Come nasce la Costituzione

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LUNEDÌ 15 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXVIII.

SEDUTA DI LUNEDÌ 15 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Russo Perez

Lussu

Presentazione di disegni di legge:

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazione (Svolgimento):

Presidente

Sforza, Ministro degli affari esteri

Lussu

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Fuschini

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

COVELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati onorevoli Jacini e Gasparotto. (Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Gli onorevoli Persico, Mastrojanni, Montini, Corbi, Pajetta Giuliano, Cifaldi, Pellegrini, iscritti a parlare, non sono presenti: s’intende che vi abbiano rinunciato.

È iscritto à parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi, non mi propongo di fare un discorso per diverse ragioni. Anzitutto, per non recare offesa alla vostra preparazione. La materia è sovrabbondante, la bibliografia estesa ed estesi sono i lavori preparatori, onde anche un amanuense intelligente può trovare facilmente la materia per preparare un discorso che appaia, o anche sia, intelligente e dotto. In secondo luogo, abbiamo dinanzi a noi un termine che si avvicina a passi di gigante, il 31 dicembre, che dobbiamo considerare come una barriera invalicabile; e quindi è nostro dovere essere brevi.

In terzo luogo, in base a quello che è stato già detto ed a quello che può supporsi sarà detto, possiamo esser certi che saranno presentati così numerosi emendamenti, da appagare anche i gusti più difficili.

Quindi, si tratta soltanto di rinunziare alla piccola vanità di fare apparire come pensiero proprio quello che può essere pensiero altrui o pensiero comune.

Per conseguenza, farò poche osservazioni su alcuni degli articoli della Parte seconda – Titoli I, II e III – del progetto di Costituzione.

L’articolo 55 dice che la Camera dei senatori sarà eletta a base regionale. Non mi spavento troppo di questa frase, per quanto vorrei che si dicesse: «La Camera dei senatori è eletta a base territoriale; ad ogni Regione sarà attribuito tale numero di senatori». Perché io vorrei ricordare il meno possibile questo sacrificio che si è imposto al corpo dell’Italia peninsulare, regionalizzandola, anche suo malgrado.

RUBILLI. Un siciliano dice questo. E la Sicilia?

RUSSO PEREZ. Ho detto di proposito «Italia peninsulare».

RUBILLI. Facciamo due Italie; quante Italie ci sono?

RUSSO PEREZ. Cari colleghi, dimostratemi che vi sia un’altra Regione, per la quale la concessione dell’autonomia sia atto di saggezza politica come per la Sicilia, ed io diventerò autonomista anche per quella Regione.

RUBILLI. Può darsi pure che ve ne pentiate.

UBERTI. L’abbiamo dimostrato!

MAZZA. È vero che metterete la tassa sul sale?

RUSSO PEREZ. S’intende; così vi faremo pagare il sale più caro per rifarci di una parte dei quattrini che ci costano certe industrie del Nord.

Come vedete, il disaccordo è quasi pieno. Durante i lavori preparatori l’onorevole Perassi disse, invece, che tutti i commissari erano d’accordo che la seconda Camera dovesse essere espressione di interessi regionali. L’onorevole Lussu, sempre un po’ eccessivo, arrivò perfino a volerla chiamare «Camera delle Regioni».

Si è discusso, durante i lavori preparatori, se questa elezione di secondo grado dovesse esser fatta dai Consigli comunali; i Consigli comunali furono bocciati. Ma non ci si accorse che le stesse ragioni, per le quali fu considerato opportuno escludere i Consigli comunali, avrebbero dovuto far consigliare l’esclusione delle Assemblee regionali.

A me pare che gli assessori, i deputati regionali, gli onorevoli, come loro piace chiamarsi – tra poco in Italia tutti i cittadini saranno onorevoli, tranne i detenuti per reati comuni; perché per i reati politici, dal piombo dei mitra all’oro delle medaglie, il giudizio varia col tempo e con gli uomini – abbiano già troppe attribuzioni, perché si possa dar loro anche quella di eleggere i senatori.

Le ragioni per cui non ritengo opportuno che siano le Assemblee regionali ad eleggere i membri della Camera Alta sono diverse. Anzitutto in codesti consessi (Consigli comunali, Assemblee regionali) vi è già la divisione ferrea dei partiti, quindi la partitocrazia imporrebbe la sua legge anche alla seconda Camera, che verrebbe ad essere formata per forza e schieramento dei gruppi contrapposti, in modo analogo ai consessi che hanno svolto il ruolo di elettori di secondo grado.

In secondo luogo si accrescerebbe oltre misura l’influenza della Regione sulla Nazione, onde, mentre l’onorevole Ruini disse che si era scelto questo sistema in base alla nuova struttura dello Stato, io penso che sarebbe stato opportuno scartarlo precisamente a cagione della nuova e, secondo me, infausta struttura dello Stato.

D’altra parte bisogna riconoscere che una differenziazione tra le due Camere è opportuno ci sia. Naturalmente il criterio di questa differenziazione può essere vario. L’onorevole Ruini ricordava quei detti un po’ retorici di Beniamino Franklin, che parlava del calesse tirato in due opposte direzioni, o quell’altra frase di spirito di Washington e di Jefferson, i quali parlavano del thè troppo caldo, che bisogna versare nel piattino perché si raffreddi! Come vedete, retorica. Ma le ragioni serie ci sono; e sono state bene individuate dall’onorevole Ruini, a pagina 10 della sua ottima relazione. Egli dice: «L’istituto della seconda Camera è prevalso nella Commissione, per l’opportunità di doppie e più meditate decisioni, e pel contributo che può dare con un altro esame, nella sua diversa composizione e competenza, una seconda Camera».

Questa differenziazione taluni la ricercano e la pongono nel criterio dell’età degli elettori e degli eligendi; altri la pongono nel sistema elettorale, anziché a suffragio diretto, col sistema dell’elezione di secondo grado; altri nella scelta dei designati a deputati, che dovrebbero rappresentare speciali categorie di interessi economici, interessi professionali ed interessi culturali. Secondo me la cosa più sensata è quella che disse, durante i lavori preparatori, il mio esimio collega, l’onorevole Giovanni Porzio: considerate la Camera Alta come una Corte di appello, come un magistrato di secondo grado. Io aggiungo che la differenziazione nasce dalla duplicità. In Corte di appello vi sono dei magistrati reclutati con lo stesso metodo dei loro colleghi del tribunale. Molte volte gli stessi giudici, che sei mesi prima appartennero ad un collegio di primo grado, sei mesi dopo appartengono ad un collegio di secondo grado. Ed è molto bene che vi sia un giudizio di secondo grado. Faccio questa osservazione: se, quando si discute degli interessi di un uomo, e tante volte di modesti interessi patrimoniali di un uomo, si pensa che sia necessario il giudice di seconde cure e a volte anche il giudice di terze cure (come la Corte Suprema), quando si tratta di grandi interessi nazionali come volete che non ci sia codesto secondo grado di giurisdizione? Dunque, nel fatto della duplicità vi è già il concetto di differenziazione. Ma volete che ci sia un altro concetto di differenziazione? Faccio mia la proposta dell’onorevole Rubilli, che questa volta non può essere in disaccordo con me: quella del collegio uninominale, del quale sono partigiano strenuo anche per l’elezione del Parlamento, per le ragioni che accennerò. La ragione principale, secondo me, è quella della necessità di moderare la prepotenza dei partiti politici, la partitocrazia che, senza dubbio, ha profondamente vulnerato le libertà democratiche ed ha tolto l’indipendenza ai rappresentanti del popolo, i quali, come durante il famoso ventennio, debbono dipendere più da coloro che stanno in alto, più da quelli che comandano nei partiti, anziché dalle masse elettorali, perché molte volte l’elezione è già fatta con la designazione. Pensate ai candidati a cui il partito fa l’onore ed il favore di metterli ai primi posti nelle liste nazionali. Costoro, col solo fatto di essere designati, sono già riusciti; tanto è vero che qui ci sono parecchi che sono entrati nel Parlamento per questa via e non per il suffragio degli elettori.

Ed allora, che cosa ne nasce? Ne nasce – siamo uomini – la necessità di adulare, di coartare, di intimidire coloro che hanno nelle mani la possibilità di designarci nelle prossime elezioni. Tanto è vero, onorevoli colleghi, che la partitocrazia ha profondamente vulnerato la libertà, l’indipendenza degli uomini politici, che adesso l’unico presidio della libertà si ritrova nella votazione segreta. Lo splendore della coscienza deve rifugiarsi nell’ombra, che di solito è cara ai traditori. Ma solo così, è doloroso, alcuni uomini, che qui rappresentano il popolo, si svincolano dalla schiavitù di coloro da cui dipende la propria sorte elettorale. Quindi, se anche il principio del collegio uninominale non fosse accettato per quanto riguarda l’elezione della prima Camera, io chiedo che sia accettato almeno per quanto riguarda l’elezione della seconda Camera, della cosiddetta Camera Alta.

Durante i lavori preparatori, vi fu l’onorevole Einaudi che sostenne questa tesi, e credo che vi sia stata anche una proposta dell’onorevole Grassi, attualmente Ministro di grazia e giustizia, perché due terzi dei senatori fossero eletti col sistema del collegio uninominale. L’onorevole Einaudi sostenne la stessa tesi, come l’onorevole Rubilli, alla Consulta, ma allora gli si disse che non era il momento di parlarne, perché non si trattava del Parlamento normale, ma dell’Assemblea Costituente, e sembrava giusto, opportuno, anzi necessario, che nell’Assemblea Costituente fossero rappresentati tutti i partiti, tutti gli aggruppamenti che avessero una certa consistenza. Ma quando l’onorevole Einaudi tornò a parlarne in questa Assemblea, gli si disse che non era neanche questa volta il caso di parlarne perché tutti oggi sono favorevoli allo scrutinio di lista e al sistema proporzionale, E l’onorevole Einaudi diceva che succede un po’ come successe durante la rivoluzione francese, e cioè che coloro i quali hanno ottenuto una posizione elevata mediante l’uso di un determinato sistema, naturalmente diventano indulgenti verso il sistema che in quelle alte posizioni li ha mandati. E questo succede anche qui. Poco fa ho sorpreso un sorriso, quando si parlava di collegio uninominale, sul volto quasi sempre sorridente dell’amico Uberti. Evidentemente egli è per lo scrutinio di lista e si vede che è ben visto dai dirigenti del suo partito. (Si ride). Durante i lavori preparatori vi fu, a favore del sistema uninominale, anche il parere espresso dall’onorevole Togliatti. Egli disse che interpretava il suo pensiero e «credo» disse – quindi non era perfettamente sicuro – il pensiero dei suoi amici schierandosi coi fautori del collegio uninominale.

Non so se fatti interni di partito abbiano prodotto qualche cambiamento, ma mi auguro che l’onorevole Togliatti e i suoi amici siano ancora d’accordo sul proposito di sostenere tale sistema.

L’onorevole Piccioni il 29 gennaio si mostrò perplesso dinanzi a questa proposta; ma dopo due giorni, nello spazio di 48 ore, la perplessità era svanita ed egli si dichiarò paladino del collegio plurinominale, del sistema dello scrutinio di lista.

Alcuni dicono che la questione non sia attuale; che l’opportunità di un ritorno al collegio uninominale non sia sentita, oggi, dalla maggioranza degli uomini politici. Io lo nego. Io credo che la coscienza di molti uomini politici senta l’attualità del problema, ma che essi, naturalmente, si schierino contro il sistema per ragioni di convenienza.

Pensate, del resto, che durante i lavori preparatori la bocciatura della proposta avvenne soltanto con 32 voti favorevoli contro 27 contrari. E allora la vera ragione è quella che dico io: non che la questione non sia attuale; essa è perfettamente attuale, ma ci sono molti che temono di non ritornare, o di ritornare con maggiore difficoltà nel futuro Parlamento o nel Senato, ove si approvasse la legge del sistema uninominale. E perché questo? Bisogna pur dirlo: perché, naturalmente, i mediocri sono più dei buoni. Io chiedo all’Assemblea un atto di coraggio: che mi dimostri, approvando il sistema uninominale, che i buoni sono in maggior numero dei mediocri.

Contro questo Sistema sono stati avanzati degli argomenti che io non esito a qualificare speciosi. Anzitutto, si dice che vi sarebbe un ibridismo nella coesistenza dei due sistemi.

Che significa ibridismo? Nella zoologia vi sono ibridi che sono animali magnifici. Il mulo ha la costanza dell’asino, l’intelligenza del cavallo, e la forza di tutti e due sommati insieme. È uno splendido animale, utilissimo. Quindi è un argomento specioso. Poi vi è un altro argomento, che mi sembra più specioso del primo. Si è detto: approvare il sistema uninominale per l’elezione, sia pure parziale, dei membri del Senato sarebbe un inficiare il sistema della proporzionale vigente per l’elezione dei deputati. Non credo che valga la pena ribattere questo argomento.

Se si cerca appunto una differenziazione, io, pensando che è difficile che si ottenga un ritorno al collegio uninominale per quanto concerne l’elezione dei deputati al Parlamento, propongo che, per lo meno, si adotti tale sistema per l’elezione dei senatori. È proprio una differenziazione che si cerca e noi proponiamo questa.

Si è detto anche che, col sistema uninominale, si renderebbero ancora più forti le baronie industriali del Nord contro le baronie agrarie del Sud.

Neanche questo argomento ho capito. Io non ho conosciuto mai, tranne che nei discorsi dell’onorevole Li Causi, le baronie del Sud. Quanto alle baronie industriali del Nord, so che sanno imporsi molto bene anche con la proporzionale e lo scrutinio di lista. Dunque, argomenti seri nessuno.

Onde, per concludere su questo punto, mi associo alla proposta dell’onorevole Rubilli con questa modifica: che tutti i senatori siano eletti col sistema uninominale.

RUBILLI. Questa è la mia proposta tranne per un quarto… ma per il resto: che tutti quanti siano eletti a collegio uninominale. Siamo d’accordo.

UBERTI. Siete d’accordo voi due!

RUBILLI. Si capisce, parlo con lui.

RUSSO PEREZ. Le ho detto la ragione, onorevole Uberti.

Poi viene l’articolo 55 in relazione all’articolo 58, nomina regia; o meglio, il re non c’è più, nomina di una parte di senatori da parte del Capo dello Stato, del Presidente della Repubblica.

Io sono favorevole a questo sistema; anzi, vorrei che l’aliquota riservata alla libera scelta del Capo dello Stato fosse abbastanza notevole; direi un terzo dei senatori.

Contro la cosiddetta nomina regia si fanno delle critiche che l’onorevole Einaudi, durante i lavori preparatori, dimostrò infondate.

Si dice che, normalmente, i senatori eletti per libera scelta dai Capo dello Stato sono, come suol dirsi, troppo governativi, troppo ligi al Governo in carica.

Questo non era esatto neanche allora, perché, in fondo, la nomina sembrava che la facesse il re, ma in realtà la faceva il Presidente del Consiglio: quindi la gratitudine del neo-senatore era diretta verso il presidente del Consiglio del momento e non verso la maestà del re. Naturalmente, quando vi era un cambiamento nel Governo, il senatore nominato a vita non aveva più ragione di mostrare questa gratitudine e riacquistava la sua indipendenza.

Ma questo, del resto, non avrebbe importanza oggi, perché allora, quando vi erano senatori di nomina regia, erano tutti di nomina regia, mentre ora ci accontenteremmo di un terzo. Io sarei già sodisfatto se mi accordaste questo terzo, onorevoli colleghi: ed allora rimangono i due terzi che potranno controbilanciare questa pretesa, ma per me inesistente, governatività dei senatori eletti dal Capo dello Stato.

Codesti senatori dovrebbero essere nominati a vita. Io penso che sia un necessario completamento del sistema della nomina a libera scelta del Capo dello Stato, quello della nomina vitalizia, perché, appunto, il Capo dello Stato dovrebbe scegliere degli uomini eminenti, conosciuti nel mondo della cultura, nel mondo dell’arte, ovvero per le alte cariche di Stato che hanno occupato, titoli che non si distruggono col passare degli anni e col variare delle vicende politiche.

Io sarei del parere che non dovrebbero essere nominati senatori coloro che occupano, ma soltanto coloro che hanno occupato alti posti nell’amministrazione dello Stato.

Per questi uomini eminenti l’onorevole Ambrosini propose, durante i lavori preparatori, la nomina a vita da parte del Capo dello Stato. A ciò si oppose colui che oggi presiede questa Assemblea, l’onorevole Terracini, il quale disse così – sono sue parole, signor Presidente: «Questi uomini eminenti, appunto perché schivi della vita del Paese, sono i meno indicati a far parte di un Congresso politico; non potendo rendersi interpreti dei bisogni e delle aspirazioni del popolo». E ricordò che Manzoni, Carducci, Marconi raramente varcarono le soglie del Senato.

Ma io chiederei all’onorevole Terracini se non sia vero che quegli insigni uomini, per quanto abbiano raramente varcato le soglie del Senato, ne abbiano ugualmente consolidato ed accresciuto il prestigio. E poi, non è sempre esatto che codesti uomini eminenti siano schivi della vita del Paese: molte volte questi uomini sono schivi di quegli accostamenti ai capi dei partiti, accostamenti che sarebbero necessari per divenire candidati nel loro collegio. Ed allora, di questa loro fierezza non dobbiamo punirli, ma premiarli…

RUBILLI. Aveva ragione l’onorevole Terracini.

PRESIDENTE. Grazie, ma non interrompa, onorevole Rubilli.

RUBILLI. Noi parliamo degli uomini eminenti che abbiano attitudini politiche; ma se si tratta di mandare al Senato dei Verdi…

RUSSO PEREZ. I Verdi sono morti, quindi non possiamo più eleggerli senatori. Ma è anche vero che oggi, se fosse vivo Marconi, vigendo il sistema caro all’onorevole Terracini, non potremmo eleggerlo alla carica di senatore.

RUBILLI. E faremmo benissimo!

RUSSO PEREZ. Non è detto che uomini del genere non siamo adatti ad essere degli ottimi parlamentari. Come può escluderlo?

PRESIDENTE. La prego, onorevole Russo Perez, passi ad altro tema.

RUSSO PEREZ. Ho finito, onorevole Presidente. Per quanto riguarda, poi, le categorie dei senatori, vorrei che questa elencazione fosse compito della legge ordinaria. Così le categorie potrebbero variare secondo i tempi e le vicende politiche. Se, per esempio, ci fosse una maggioranza biecamente reazionaria, potrebbe mettere in queste categorie i grandi datori di lavoro: se, invece, la maggioranza fosse intelligentemente progressiva, vi potrebbe mettere i datori di sciopero.

Vi è poi l’articolo 79 che parla del sistema per eleggere il Capo dello Stato. Il progetto dice che il Capo dello Stato deve essere eletto dall’Assemblea Nazionale. Io sono invece del parere che il Capo dello Stato debba essere eletto direttamente dal popolo per ragioni che non vi dirò perché vi ho promesso di non fare un discorso, vi ho promesso di essere breve: chi vuole quindi conoscere queste ragioni legga la relazione dell’onorevole Ruini a pagina 11, righe da 35 a 44.

Ed ho finito. (Applausi a destra – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Sono iscritti a parlare gli onorevoli: Nobile, Perrone Capano, Selvaggi, Pera, Priolo, Zuccarini, La Gravinese Pasquale, Castiglia. Non essendo presenti, si intende che vi abbiano rinunciato. Segue nell’ordine l’onorevole Lussu, che è presente. Ha facoltà di parlare.

LUSSU. Altri colleghi del mio Gruppo interverranno ora o successivamente, a proposito di altre questioni comprese nei Titoli che dobbiamo discutere; io mi limiterò a toccare esclusivamente il problema della seconda Camera. Ebbi già occasione, durante la discussione generalissima, parlando dopo gli onorevoli colleghi Rubilli e Tupini, di intervenire per esprimere delle opinioni critiche sulla questione. Dimostrai allora, particolarmente all’onorevole Tupini, come il parlamentare autorevole francese del secolo scorso che egli citava a sostegno della democraticità della seconda Camera, non fosse un democratico, come egli sosteneva, ma un costante e tradizionale conservatore, non sempre moderato.

Ma oggi non è mia intenzione ritornare sul carattere conservatore della seconda Camera, poiché, posta in questi termini, la questione non servirebbe a nulla; se mai, servirebbe solo a maggiormente entusiasmare quei pochi che sostengono la seconda Camera con spirito e con fini non democratici.

Oggi io desidero solo, senza peraltro pensare di spostare le forze politiche di questa Assemblea, porre in rilievo la irrazionalità e la non modernità di questo istituto parlamentare che, per il fatto stesso che chiamiamo, per forza d’inerzia, Senato, dimostra la sua arcaicità. Intanto, sarà di un certo interesse far notare che nessuno finora ha parlato a sostegno dello schema ufficiale sulla seconda Camera, così come è uscito dai lunghi e laboriosi sforzi della seconda Sottocommissione e come è arrivato in quest’Aula. Cioè, quella paziente costruzione di compromesso, che tendeva a mettere d’accordo e quelli che sostenevano la soppressione radicale della seconda Camera, e quelli che ne sostenevano la radicale composizione a tipo corporativistico; quella sapiente e laboriosa opera di compromesso, che è costata la fatica di circa due mesi, non è servita a gran che. Io sono dell’opinione che, se questa Assemblea si permettesse il lusso accademico di discutere ancora per due mesi il problema della seconda Camera, non arriverebbe ad una soluzione migliore e maggiormente accettabile. Perché, mi sono chiesto, questa impossibilità o impotenza ad elaborare un tipo di seconda Camera accettabile, mediamente accettabile? Non certo perché all’Assemblea manchino uomini di lunga esperienza politica e parlamentare, o uomini preparati, tecnicamente preparati, sul diritto pubblico comparato, vecchi o giovani che potrebbero essere maestri qui e altrove; e tanto meno perché facciano difetto a questa Assemblea uomini di buona volontà, ma semplicemente perché la seconda Camera non va. Questa è la ragione. Non va, né come è uscita dai lavori della seconda Sottocommissione, né in altro modo. Non va. Cioè non trova posto razionale in una democrazia come la nostra, che, malgrado i suoi difetti e i suoi equivoci, aspira a diventare una democrazia moderna; democrazia che risponda in termini pratici alle esigenze della vita collettiva, così come le impongono il dinamismo e la diffidenza vergo i pletorici organismi burocratici, compresi quelli politici, e, non ultimo per noi italiani, che abbiamo perduto tanto tempo, il desiderio di non perderne ancora di più.

Nel discorso, fra i più notevoli pronunciati in questa Assemblea, del collega della democrazia cristiana onorevole Clerici, così ricco di motivi vivi e moderni, è emerso, più o meno chiaramente, il concetto dell’inutilità della seconda Camera.

La seconda Camera, infatti, è inutile. Se mi si permette la similitudine, paragonando le due Camere ai due occhi, dei quali l’occhio destro rappresenti la seconda Camera e l’occhio sinistro la prima Camera, ebbene, la seconda Camera è l’occhio destro con sulla pupilla una o più cateratte; dato che questo male non indifferente si comunica da un occhio all’altro, non solo si rischia che non veda il secondo occhio, ma che non veda neppure il primo.

In conclusione, senza offendere la suscettibilità di alcuno in quest’Aula, la seconda Camera è l’occhio destro, con qualche cateratta, della vita parlamentare.

Vi è, contro questa tesi – che non è solo mia né del mio Gruppo, ma di molti altri in quest’Aula – l’opinione, nettamente contraria, di uno dei massimi e, giustamente, più autorevoli uomini politici che siedano in quest’aula: l’onorevole Presidente Nitti. Ma la sua – mi sia permesso – più che una tesi costituzionale politica, è un atto di fede, un puro atto di fede. Egli, che pur passa per scettico, ultimamente, prima che noi prendessimo le vacanze, in un suo breve intervento, ha parlato della seconda Camera, del Senato, con accenti che si potrebbero chiamare romantici. Come, egli ha domandato, come sopprimere il Senato, che fu la grandezza del nostro passato?

E quale passato, di grazia? Il Senato, qui a Roma, ha avuto due passati: uno recente e uno remoto, molto remoto. Il recente provoca scarsamente i nostri rimpianti e le nostre nostalgie; e neppure quelle dell’onorevole Nitti stesso. Il Senato recente è quello regio, anzi, quello regio-fascista. Quel Senato, onorevoli colleghi (lo si può dire perché è un giudizio politico), quel Senato era diventato una stalla. In quel Senato sono entrati i cavalli, gli asini e i muli di Caracalla. Quel Senato chiede una cosa sola del legislatore costituente: d’essere seppellito e dimenticato. Ed aggiungerei – credo senza irriverenza – che vi si potrebbe anche porre una lapide con sopra scritto quello che io ho letto su una tomba di un cimitero di cani inglese: «Qui giace Boby, il delizioso animale che suonava il piano con la coda».

Vi è l’altro Senato, quello remoto, molto remoto, di Roma antica. Credo che siamo tutti d’accordo qui dentro, compreso l’onorevole Presidente Nitti, nel ritenere (qualche nostalgico del passato remoto ed anche recente probabilmente non la pensa nello stesso modo) utile e salutare che di Roma antica oggi parli solo l’archeologo e non il politico. Quando in Italia oggi i politici parlano di Roma antica, si rischia di ritornare indietro, certamente indietro, ma non si fa un passo avanti. Questo non ha inteso certo neppure l’onorevole Nitti. Egli ha inteso solo rievocare in modo parlamentare-costituzionale la austera assemblea romana che rappresentò nel passato una grande civiltà nel mondo.

Ma quella non era una seconda Camera nel senso che questa istituzione ha nella civiltà democratica moderna; quella era una Camera unica, che non ne aveva di contrappeso un’altra. Era l’unica Camera, la sola assemblea legislativa ed esecutiva di quei tempi remoti. Sicché, in conclusione, lo stesso onorevole Nitti, con la sua nostalgia del Senato romano, porta anch’egli un contributo alla tesi per l’istituzione di una Camera unica, per la soppressione della seconda Camera, per l’unico Parlamento, per la Camera dei Deputati.

Non è poi esatto quanto ha affermato l’altro giorno un nostro vecchio ed autorevole collega al quale l’Assemblea ha prestato la più grande attenzione, l’onorevole Rubilli, che cioè, il buonsenso stesso ci indica la seconda Camera come necessaria, poiché la seconda Camera esisterebbe dappertutto, in tutti gli Stati democratici del mondo.

Ebbene, il buonsenso non ci può affatto consigliare la seconda Camera, poiché la seconda Camera non esiste dappertutto. Esiste dappertutto solo negli Stati ad organizzazione federale. Là obbedisce ad una necessità di coesione nazionale e serve a riportare al centro quanto l’organizzazione periferica allontana e disgiunge. È la rappresentanza paritetica al centro, ed in forma unitaria, dei molteplici particolarismi differenziatori: è la sintesi degli interessi locali.

Ma negli altri Stati, no, onorevole Rubilli.

Non è di nessuna utilità pratica, ai nostri fini, esaminare le varie Costituzioni unitarie degli Stati moderni, che conosciamo tutti più o meno bene, fra le quali ne esiste perfino una la quale stabilisce che la seconda Camera è eletta dalla prima. A noi interessano principalmente quei grandi paesi a civiltà affine alla nostra, diciamo a civiltà occidentale, come l’Inghilterra e la Francia, da cui derivano essenzialmente le nostre tradizioni e i nostri costumi parlamentari.

L’Inghilterra ha una seconda Camera? Sì, ha la seconda Camera, ma la seconda Camera in questo Paese trae la sua origine e fonda la propria natura nella monarchia, tanto che, detronizzato Carlo I, Oliviero Cromwell non riuscì mai a far funzionare la Camera dei Lords nel modo tradizionale, e durante il suo governo nessun lord mise mai piede nella Camera alta. Con suo figlio le cose mutarono; ma suo figlio, è risaputo, preparò la restaurazione monarchica.

Esiste oggi la Camera dei Lords come seconda Camera, cioè con uguaglianza di poteri così come sostengono debba essere da noi i fautori della seconda Camera? Non esiste affatto.

Dopo la grande campagna politica, condotta in modo solenne prima dell’altra guerra da Asquith e Lloyd George, e che si concluse con la vittoria di questi ultimi, la Camera dei Lords in Inghilterra politicamente ha cessato di esistere. Non è certo essa che può far cadere un Ministero. Questo potere ormai non esiste neppure in teoria, neppure in linea di diritto, poiché in linea di diritto esiste solo la facoltà del Governo – se lo ritenga opportuno – di nominare tanti Lords quanti ne vuole, finché la maggioranza della Camera dei Lords abbia raggiunto la maggioranza della Camera dei Comuni. La Camera dei Lords è oggi in Inghilterra, a un dipresso, quello che era il Senato in Italia prima del fascismo, vale a dire un istituto pleonastico di mera coreografia che non poteva mai, in nessun modo, opporsi alla volontà decisa della Camera dei Deputati. Dopo De Pretis, che pure era maestro di compromessi e sempre conciliante, non ci si è mai azzardati di discutere, neppure in teoria, se il Senato potesse mettere in minoranza il Governo. «Il Senato non fa crisi», diceva carezzandosi la lunga e bianca barba l’infermo De Pretis. Il Senato non fa crisi. Cioè, politicamente, non esiste.

In Francia poi la questione è stata risolta e in linea di diritto e in linea di fatto. Il Senato è stato soppresso, ed al suo posto è stato creato il Consiglio della Repubblica: compromesso fra quelli che negavano e quelli che sostenevano il Senato. Il Consiglio della Repubblica, come dice la sua stessa denominazione, è una Consulta che funziona egregiamente. Tutti ne sono sodisfatti, compreso il M.R.P., che sostenne fino all’ultimo il Senato. Chi abbia seguito regolarmente il quotidiano del M.R.P. L’Aube, avrà visto con quale compiacimento questo partito apprezza la costituzione di questo nuovo organismo parlamentare dello Stato moderno francese. Io credo che faremo opera saggia se, abbandonando l’orgoglio di non copiare nulla da un altro paese e abbandonando tutti i nostri astrusi progetti, introducessimo anche noi in Italia questo eccellente istituto che, mentre dà la possibilità di far rendere dei grandi servizi al Paese, per l’attiva loro presenza e collaborazione, a uomini che non sono dei politici di prima linea – come direbbe l’onorevole Rubilli –, nel medesimo tempo non intralcia fazione politico-legislativa del vero Parlamento.

L’opinione di quanti credono che si possa oggi, nel secolo delle forze politiche tecnicamente organizzate, dei grandi partiti politici, creare una seconda Camera con poteri eguali a quelli della Camera dei deputati, senza farne un duplicato, è pura illusione.

Comunque si costruisse una seconda Camera – con elezione a suffragio universale o con elezione di secondo grado – essa sarebbe sempre la risultante delle stesse identiche forze politiche, che hanno composto la prima Camera; sarebbe pertanto un duplicato e un duplicato vano. E sarebbe, per giunta, un istituto, che apparirebbe sempre subordinato, politicamente, alla volontà della prima Camera. Poiché, – non facciamoci illusioni! – se alla prima Camera siederanno i massimi leaders dei partiti politici – oggi Nenni, Togliatti, De Gasperi, Giannini, ecc., e domani i loro successori – alla seconda Camera non dico che andranno gli scarti, ma non più quelli che i partiti politici a coscienza politica matura e l’opinione pubblica considerano come i grandi capi politici, verso cui va la fiducia non solo dei partiti organizzati, ma di quelle masse non inquadrate, che formano l’opinione e che dànno il loro giudizio alla vita del Paese. Per cui la prima Camera apparirebbe come la sola grande Camera, quella che guida politicamente la Nazione; e la seconda Camera apparirebbe una specie di dama di compagnia, assai dispendiosa, ma inutile, malgrado le denominazioni letterarie magniloquenti. Sarebbe una cosa meschina.

Non credo abbia un successo, allo stato attuale della discussione, il progetto della Commissione. Nessuno ne è soddisfatto; probabilmente neppure l’onorevole Ruini, che, per dovere di ufficio, penso, dovrà sostenerlo. Io non mi vi soffermo neppure.

Non mi pare che abbia migliore probabilità di successo il progetto radicale, inizialmente presentato alla seconda Sottocommissione e riportato in quest’Aula ultimamente, della seconda Camera a tipo corporativo.

Dalla esposizione, fatta pure con ingegno e dottrina dall’onorevole Codacci Pisanelli, questa seconda Camera è apparsa una cosa fredda e catalettica.

UBERTI. Una cosa da venire.

LUSSU. Anche prima che l’onorevole Codacci Pisanelli parlasse, così era apparsa. Ed io credo che solo per una pura questione di principio la Democrazia cristiana osi ancora farlo proprio. Da quello che ne sappiamo, pare che, voi stessi, onorevoli colleghi democristiani, andiate alla ricerca di un’altra formula, d’una formula di compromesso, di una formula eclettica, ma che non sosterrete fino all’ultimo questa seconda Camera così stranamente composta.

Io richiamo la vostra attenzione sulla proposta sostenuta dall’onorevole Rubilli l’altro giorno e da lui così brillantemente perorata. Tutta l’Assemblea ha seguito la sua esposizione con molto interesse. Fra tanti schemi, a molti, in quest’Aula, è apparso uno dei meno peggiori. Io ne parlo appunto perché quello schema, contenuto nell’ordine del giorno che l’onorevole Rubilli ha presentato, costituisce un pericolo. Secondo la sua proposta la seconda Camera, cioè il Senato, dovrebbe essere elettiva solo per tre quarti, mentre un quarto dovrebbe essere di nomina presidenziale. A me ed a parecchi altri questo progetto non è apparso migliore di altri. Innanzi tutto la seconda Camera, se la seconda Camera ci dovesse essere, non potrebbe essere che elettiva, sia con elezioni generali a suffragio universale, sia in altra forma, ma dovrebbe essere elettiva, perché la democrazia moderna non consente che vi siano rappresentanti puramente artificiosi e non reali ed effettivi. Una Camera, nella democrazia del XX secolo, non può essere, se vuole avere un qualsiasi valore od un qualsiasi prestigio, che elettiva. Questa nomina dall’alto poi, questa nomina presidenziale, non sarebbe altro che la nomina da parte del Governo, una specie quindi di sistema maggioritario per cui il Governo, cioè le forze politiche che hanno avuto il predominio alle elezioni generali a suffragio universale, avrebbe il diritto di aggiungere una sua esclusiva percentuale a quella già esistente. E, malgrado le buone intenzioni dell’onorevole Rubilli, questa percentuale sarebbe sempre fatta di uomini non già senza partito, o di uomini non di prima linea politica o di uomini senza marcato colore politico, ma sarebbe fatta di uomini politici a colore politico ben definito, sarebbe cioè una percentuale politica che traviserebbe le reali forze risultanti alle elezioni generali politiche. Sarebbe, in poche parole, il sistema spicciolo per cui il Governo potrebbe fare, in modo certo e a suo arbitrio, della seconda Camera, la sua maggioranza politica.

Ma il lato più grave della proposta Rubilli è quello per cui tre quarti della Camera sarebbero eletti col sistema del collegio uninominale, e più grave ancora il fatto che Togliatti – questo illustre, freddo e incorreggibile maestro di errori (Si ride)ha dimostrato le sue simpatie per l’istituto del collegio uninominale. Io oso sperare che il collega Togliatti non voglia aggiungere ancora una perla luminosa alla sua collana già lunga. Questo collegio uninominale sarebbe il duplicato laico dell’articolo 7.

Collegio uninominale? Basta avere sentito le ultime espressioni idilliache in suo favore del collega Russo Perez, per capire di che natura esso sia. Io non avrei mai creduto, nel corso della ma vita di assistere alla rievocazione di questo collegio uninominale, che si riteneva fosse stato distrutto per sempre. Lo Stato e la società sono usciti dal fascismo e dalla guerra fascista in uno stato di corruzione, che sarebbe ben difficile immaginare maggiore. Ebbene, solo il collegio uninominale potrebbe darci la misura di una corruzione maggiore. La soppressione del collegio uninominale è stata un progresso per lo sviluppo della democrazia nazionale…

MAZZA. Ce ne siamo accorti!

LUSSU. ..in Italia. Il suo ripristino, anche solo per la seconda Camera, sarebbe un infallibile regresso.

«Ce ne siamo accorti»! Ma non è affatto vero quello che si diceva dopo l’altra guerra e quello che si dice oggi, che la crisi di allora è la crisi di oggi, per cui è difficile costituire un Governo di maggioranza stabile; non è affatto vero che quella crisi, che poi ci portò al fascismo ed alla guerra, sia la ragione della soppressione del collegio uninominale. Così la possono pensare alcuni rispettabili colleghi, i quali concepiscono la politica come una specie di scienza matematica, ma la crisi dell’altro dopoguerra e questa crisi non derivano affatto dal collegio uninominale: i fattori sono infinitamente più complessi e più seri, fra i quali, non ultima, l’arretratezza della nostra capacità di vita democratica, questa nostra difficile capacità di subordinare gli interessi individuali e di categoria agli interessi generali del Paese. E questo è democrazia. Col collegio uninominale non si sarebbe evitata affatto la crisi ed avremmo avuto una più meschina vita politica.

Quest’Assemblea annovera molti giovani colleghi, preparati più di quanto noi stessi e l’opinione pubblica non ritenessimo; ma essi sono troppo giovani e ignorano quale sia stato il livello di bassa corruzione toccante gli elettori e gli eletti del collegio uninominale. Meno, naturalmente, nelle regioni del Nord, dove la democrazia aveva ed ha più vaste basi che non nel collegio elettorale; di più nel Sud dove la vita politica era un meschino mondo concentrico, gravitante attorno al fatto elettorale, in cui il deputato era un eroe…

PORZIO. Ma nessun eroe! Erano delle persone elevate. Che significa questo?

LUSSU. Collega Porzio, poiché ci divide questa concezione sul collegio uninominale…

PORZIO. Sì, ma senza gratuite offese!

LUSSU. No, è esperienza di vita politica.

PORZIO. No.

LUSSU. È maturazione di coscienza politica…

PORZIO. Posso fare l’elenco dei collegi uninominali del Sud!

PRESIDENTE. Onorevole Porzio, è una questione controversa.

PORZIO. Sì, ma non è tollerabile più questo eterno Nord e Sud!

PRESIDENTE. La prego, onorevole Porzio, non interrompa.

PORZIO. Noi non abbiamo inventato Mussolini, non abbiamo eretto cappelle votive!

PRESIDENTE. Onorevole Porzio, se vuole la parola, la chieda, altrimenti devo pregarla di tacere.

LUSSU. Consiglio il collega Porzio, per la buona conservazione della sua salute, ad uscire, perché devo dirne di più grosse.

PORZIO. Ed io interromperò! (Si ride).

LUSSU. Comunque, io non sarò addolorato dalle sue interruzioni.

Nel mezzogiorno, dicevo, il deputato eletto a collegio uninominale era una specie di eroe da melodramma dalla cui voce dipendevano gli attori, i cori, l’orchestra, il pubblico. È del Sud che io parlo, di cui ho una viva e profonda esperienza.

Io, ancora giovanissimo, quasi ragazzo, ho visto il deputato del collegio uninominale entrare al palazzo di Prefettura, dal prefetto, seguito da uno stuolo di elettori clienti i quali per il loro numero, provenienti da differenti villaggi…

MAZZA. Anche adesso.

LUSSU. …occupavano non solo l’anticamera, ma le scale e la piazza.

MANCINI. Questo avviene anche con la proporzionale.

MAZZA. È la stessa cosa.

LUSSU. Ho conosciuto, ancora giovanissimo, dei deputati a collegio uninominale ricevere dei telegrammi dai loro elettori, dai quali erano invitati a giocare una quaterna secca o un ambo alla ruota di Roma. Ho conosciuto dei deputati a collegio uninominale i quali, così come oggi noi perdiamo il tempo correndo da un Ministero all’altro, correvano da un negozio all’altro della capitale per comprare scarpe o liquori per le nozze prossime dei loro elettori. E persino ho conosciuto un deputato a collegio uninominale ricevere la richiesta dagli eiettori del suo collegio perché acquistasse un ordigno speciale per i fuochi artificiali della festa del Santo patrono. Ed ho conosciuto un deputato a collegio uninominale, qui dentro, che dopo che il Governo aveva posto il voto di fiducia, parlò chiedendo la strada per il suo villaggio e subordinò la concessione del voto favorevole alla costruzione di questa strada.

Togliatti non insista su questo collegio uninominale, che è la corruzione certa della coscienza politica del Mezzogiorno e delle Isole.

Io capisco che ci sono dei correttivi, ed uno ne è l’istituto autonomistico, per cui molti problemi vanno discussi e risolti sul posto, ma questo istituto è stato così manipolato durante la sua discussione che è molto tenue e stentato. La gran parte dei problemi, per la continuità dei rapporti che legano la periferia col centro, si risolveranno qui, per cui il deputato a collegio uninominale sarebbe uno strumento (non l’onorevole Porzio, che è un asso…).

PORZIO. Ma che asso!

LUSSU. …uno strumento di una vita fatta di meschinità, di questioni e favori personali, di un’attività costante cui sfugge sempre il problema centrale, che per la democrazia è l’interesse generale.

Io mi auguro che questa Assemblea fatta più saggia dall’esame obiettivo e sereno dei vari progetti che abbiamo esaminato, rinunzi non soltanto al collegio uninominale (il collegio uninominale non deve più ritornare in Italia se vogliamo elevare le nostra coscienza politica nazionale) ma arrivi anche a sopprimere definitivamente la seconda Camera.

Io credo che è un errore quello che molti colleghi democratici pensano: che con le due Camere la democrazia sia più corretta, più moderna, più onesta e più seria.

Io credo agli istituti parlamentari, perché credo alla democrazia.

Ma non credo affatto che la democrazia sia compendiata esclusivamente nell’istituto parlamentare: la democrazia vive non solo al Parlamento, ma vive vieppiù alla periferia, alla base, nella coscienza dei cittadini anzitutto, nell’educazione dei cittadini, nella moralità del popolo, nella moralità politica. Rivive nelle Camere del lavoro, nelle cooperative, nei sindacati, nei comuni, anche nei villaggi più lontani, rivive in qualunque parte i cittadini vivano la loro vita collettiva e partecipino consapevolmente alla vita dello Stato.

È a questa forma di democrazia alla base che devono andare gli sforzi e i desideri del l’Assemblea Costituente! (Applausi).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Giannini, Adonnino, De Filpo, Cairo, Bernamonti, Buffoni, iscritti a parlare, sono assenti.

Gli onorevoli Minio, Laconi e Fuschini hanno dichiarato di rinunziare.

Onorevoli colleghi, restano per domani iscritti a parlare due deputati, e poi i relatori.

Considero pertanto che tutti coloro che non hanno preso la parola al momento in cui ho fatto l’appello del loro nome, abbiano rinunziato a parlare

Domani parleranno ancora gli onorevoli Nitti e Sforza e poi darò la parola ai relatori, cosicché per domani sera avremo terminato questa discussione generale e mercoledì passeremo allo svolgimento degli emendamenti.

FUSCHINI. Sarebbero dovuti decadere anche gli altri iscritti.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, suppongo che lei non voglia dire che ho evitato oggi di far decadere, per obbligo di Regolamento, un notevole numero di colleghi. Ho fatto l’appello di 26 nomi.

FUSCHINI. Avrebbe potuto farlo di 28, onorevole Presidente.

PRESIDENTE. Hanno parlato due colleghi; 24 non hanno risposto, o hanno dichiarato di rinunziare alla parola. Per oggi è sufficiente.

Comunque, ella sa che può presentare un ordine del giorno da svolgersi entro i 20 minuti regolamentari. Questo dico anche per gli altri colleghi che volessero portare almeno in questa maniera il loro contributo alla nostra discussione. Si tenga tuttavia presente che l’ordine del giorno, per poter essere svolto, deve essere presentato prima della chiusura della discussione.

Presentazione di disegni di legge.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare per la presentazione di alcuni disegni di legge.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Ho l’onore di presentare all’Assemblea Costituente i seguenti tre disegni di legge:

1°) «Approvazione degli accordi di carattere economico stipulati in Roma fra l’Italia ed i Paesi Bassi il 30 agosto 1946»;

2°) «Approvazione degli accordi di Carattere economico stipulati a Roma fra l’Italia e la Danimarca il 2 marzo 1946»;

3°) «Approvazione degli accordi di carattere economico stipulati in Roma, fra l’Italia e l’Ungheria il 9 novembre 1946».

PRESIDENTE. Do atto al Ministro degli affari esteri della presentazione di questi disegni di legge che saranno trasmessi alla Commissione competente.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, De Michelis, Vernocchi, Minio, Montagnana Rita, Marchesi, Lussu e Cianca hanno presentato la seguente interrogazione urgente al Ministro dei trasporti:

«Per sapere se non gli risulti che mentre si è solleciti a promuovere gli epurati, favorendoli anche col fissarne l’anzianità nel nuovo grado dal gennaio dell’anno scorso, si procede con una lentezza ostruzionistica alla riassunzione in servizio ed alla ricostruzione della carriera dei ferrovieri che la persecuzione fascista esonerò, facendo nascere la persuasione, sia negli interessati che in quanti altri sono a conoscenza della cosa, che gli organi burocratici competenti siano fuorviati nell’adempimento del loro dovere da inconsolabili nostalgie fasciste».

Interesserò il Ministro dei trasporti, che non è presente, affinché dichiari se riconosce l’urgenza dell’interrogazione e quando intenda rispondervi.

Interrogazione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Lussu, Targetti, Canevari e Nasi hanno presentato la seguente interrogazione al Ministro degli affari esteri:

«Per conoscere se risponda al vero che i funzionari del Ministero degli esteri, che giurarono fedeltà al governo di Salò e a questo prestarono il loro servizio sino alla fine, stiano per essere riassunti in carriera. Nel caso affermativo, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per impedire che la rappresentanza italiana all’estero possa essere affidata a tali elementi».

Invito l’onorevole Ministro degli affari esteri a manifestare quando creda di poter rispondere a questa interrogazione.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Benché non preparato da precise informazioni a rispondere a questa interrogazione, credo che il desiderio degli onorevoli interroganti sarà sodisfatto se io dirò loro che è esatto che gli agenti del Ministero degli esteri che servirono la repubblica di Salò sono rientrati nei ruoli del Ministero degli esteri: ma ciò è accaduto in seguito ad una precisa decisione di organi supremi quale il Consiglio di Stato, basata su un vizio formale del provvedimento di collocamento a riposo.

Questa è stata l’obbedienza ad una formalità; ma è mio desiderio precisare che quei funzionari subito dopo essere rientrati automaticamente a causa di detta decisione ed essere stati da me contemporaneamente sospesi dal grado e dallo stipendio in attesa di un procedimento disciplinare potranno, in base a decisione giuridicamente ineccepibile, essere nuovamente ricacciati. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LUSSU. Mi dichiaro perfettamente sodisfatto e ringrazio l’onorevole Ministro degli affari esteri per questa sua affermazione così precisa che non lascia dubbi. Mi permetto profittare di questa occasione per ricordare all’onorevole Ministro degli affari esteri se non sia il caso di pensare finalmente a quei funzionari che nel 1928 entrarono al Ministero degli affari esteri esclusivamente per meriti fascisti, compromettendo il prestigio della nostra rappresentanza.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Questo è un altro problema, che esula dalla interrogazione cui ho testé risposto. Né parlerò confidenzialmente con l’amicò Lussu (Commenti).

LUSSU. Grazie!

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Domani vi saranno due sedute: alle 10 per il seguito della discussione del disegno di legge sull’elettorato attivo e sulla revisione annuale delle liste elettorali; alle 16 per proseguire l’esame del progetto di Costituzione.

FUSCHINI Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Per domani mattina alle 10 sono convocate le Commissioni permanenti per l’esame dei disegni di legge. Si potrebbe tenere seduta soltanto il pomeriggio, anche per discutere la legge sull’elettorato attivo, che rientra fra i compiti istituzionalmente demandati all’Assemblea.

PRESIDENTE. Abbiamo in linea generale concordato di destinare le sedute mattutine alla discussione dei disegni di legge; e pertanto bisogna tenere delle sedute la mattina se vogliamo condurre a conclusione questo disegno di legge già discusso in due sedute antimeridiane.

FUSCHINI. Per domani mattina sono convocate tutte e tre le Commissioni permanenti.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, solo la seconda Commissione e la terza: quindi due Commissioni, non tre.

FABBRI. C’è anche quella degli statuti regionali.

PRESIDENTE. Allora invece che alle 10, fissiamo la seduta alle 11.

FUSCHINI. Si potrebbe tener seduta soltanto nel pomeriggio.

PRESIDENTE. No, i pomeriggi devono essere riservati sempre e soltanto al progetto di Costituzione; non possiamo incominciare a trasferirvi anche i disegni di legge.

FUSCHINI. Per quanto riguarda il progetto di Costituzione noi abbiamo guadagnato molto tempo su quello che lei ha ultimamente previsto.

PRESIDENTE. Non possiamo che compiacercene. Ma siccome lunedì mattina non abbiamo tenuto seduta, martedì bisogna farla. Lei ricorda, i colleghi tutti certamente ricordano, che il disegno di legge sull’elettorato attivo avrebbe dovuto essere discusso prima dell’inizio delle vacanze. In quel momento da parte del Ministero dell’interno era venuta anzi al proposito una sollecitazione, forse più urgente del necessario. Da allora è passato un mese e mezzo e credo che sia giunto davvero il tempo di concludere sull’argomento, in modo che gli uffici amministrativi competenti siano posti in grado di tradurre in pratica quelle che saranno le decisioni del l’Assemblea.

Comunque, considerato che per domani mattina alle 10 sono convocate due Commissioni permanenti, invece che alle dieci cominceremo la seduta alle 11. Non resta più d’altronde che un articolo, sul quale anzi il dibattito si è già in parte svolto.

Faccio presente ai colleghi che dopo il termine della seduta pomeridiana l’Assemblea si riunirà in Comitato segreto per esaminare e decidere alcuni problemi interni di carattere tecnico-amministrativo.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se non ritenga giusto ed opportuno estendere l’indennità di caropane istituita con decreto legislativo 6 maggio 1947, n. 433, a favore dei pensionati dello Stato ed Amministrazioni autonome, anche ai titolari di assegni di medaglie al valor militare, i quali attualmente ricevono per medaglia di bronzo un assegno di circa lire 20 mensili e per medaglia d’argento di lire 57. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti abbia adottato o intenda adottare al fine di provvedere all’assistenza dei ciechi di Italia, i quali, tramite gli organi centrali del l’Unione nazionale ciechi, il 3 maggio 1947, gli hanno presentato apposito pro-memoria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Russo Perez».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti sono stati presi a favore degli studenti che si iscrissero e frequentarono i corsi di quella scuola di medicina e chirurgia che si istituì in Asmara nel 1941 a seguito delle cessate relazioni con la Madre Patria, e vi sostennero regolari esami alla fine di ogni corso.

«La Facoltà di medicina di Roma, interessata dal Ministero della pubblica istruzione, nella seduta del 25 febbraio 1945 esprimeva parere favorevole al riconoscimento degli studi compiuti, non autorizzando per altro la Scuola al conferimento della laurea. Riconfermava tale parere favorevole nella seduta dell’11 aprile 1946.

«Oggi molti studenti sono in grado di conseguire la laurea in Patria, solo a seguito delle opportune decisioni del Ministero della pubblica istruzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«La Gravinese Nicola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quanto ci sia di vero nella notizia, ampiamente diffusa in provincia di Chieti, e riferita anche dalla stampa, secondo la quale il prefetto di detta provincia avrebbe già deciso – e sarebbe in procinto di emettere il relativo decreto – di costituire la Deputazione provinciale chiamandovi a farne parte, quali membri effettivi, cinque democristiani, tre liberali ed un qualunquista, i quali sono, ad eccezione del presidente, tutti monarchici, dimenticando che siamo in Repubblica e senza tenere nemmeno conto dei risultati non solo delle elezioni amministrative ma anche di quelli delle elezioni politiche, nelle quali ultime le varie liste riportarono la seguente votazione: Partito democristiano, voti 84.264; Unione democratica indipendente lavoro e libertà, 20.365; Partito repubblicano, 18.205; Partito socialista italiano, 13.339; Unione democratica nazionale, 11.845; Partito, comunista, 9948; Fronte dell’Uomo qualunque, 6151; Partito d’azione, 5722. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, per sapere se sia vero:

che nell’agosto 1946 il Ministero dei lavori pubblici dispose la costruzione di due case asismiche nel comune terremotato di Sant’Egidio alla Vibrata (Teramo), lungo la via Adriatica;

che successivamente, per l’intervento del solo sindaco, il quale agì senza il parere della Giunta e del Consiglio comunale, l’ingegnere capo del Genio civile di Teramo propose che la costruzione avvenisse in altra località con onere maggiore per lo Stato e per il comune, dovendo colà crearsi un’apposita via d’accesso, con nuove fognature e nuovi impianti idrici, e con enorme danno di vari piccoli proprietari, aventi solo un ristretto spazio intorno alle proprie case;

che, su ricorso dei predetti, il prefetto ordinò un altro sopraluogo del Genio civile, che dié ad essi ragione;

che nuovamente si oppose il sindaco provocando un altro accesso sul posto dell’ingegnere capo dello stesso Genio civile il quale, pubblicamente e con consenso del pro-sindaco e di due assessori, confermò che il sito migliore, sotto ogni aspetto, era quello originariamente prescelto in Via Adriatica;

che però insorse ancora il sindaco, in odio a quei piccoli proprietari, suoi avversari politici, e, per evitare che la costruzione avvenisse in quello stesso sito, autorizzò un cittadino ad edificarvi una officina meccanica;

che, fatto novello ricorso al prefetto di Teramo, questi, con lettera del 20 maggio, rispose testualmente: «Esaminati attentamente gli atti e dopo aver interessato il Genio civile, si ritiene che l’area più idonea alla costruzione delle case asismiche è quella sita lungo la Via Adriatica»;

che si addivenne finalmente all’asta ed all’aggiudicazione dei lavori, per l’importo di 25 milioni, mentre quello preventivato nel 1946 era di 12 milioni;

che il 2 agosto doveva avvenire la consegna dei lavori stessi ma, per ordini giunti dall’alto, a seguito dell’intervento di un deputato democristiano, sollecitato e divulgato dal sindaco, che è dello stesso Partito, essa venne sospesa e pare che sia il Ministero, sia il Provveditorato di Aquila, sia il Genio civile di Teramo, sia il prefetto abbiano cambiato parere, decidendo che la costruzione in oggetto non avvenga più, nonostante l’asta e l’aggiudicazione già eseguite, in quell’area della Via Adriatica! (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per conoscere se non ritengano urgente provvedere alla costruzione del carcere giudiziario a Foggia, in considerazione che dopo lo smantellamento di quello vecchio, attualmente viene adibito ad uso di carcere un vecchio asilo di mendicità.

«Detto provvedimento è tanto più urgente, in quanto una grave disoccupazione affligge questa città, particolarmente nel campo dell’edilizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Imperiale».,

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministro dell’interno, per sapere se intenda, con urgente provvedimento, disporre che per gli attuali concorsi di sanitari condotti il limite di età sia elevato ad anni 50 nei confronti dei mutilati ed invalidi della guerra 1915-18 che abbiano partecipato a concorsi sospesi a causa della guerra 1940-43, non essendo giusto che esso, che è stato fissato per molti concorsi in altre Amministrazioni dello Stato, non sia esteso ai sanitari condotti che si trovano in questa speciale ed apprezzabile condizione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tripepi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’industria e commercio, per conoscere se sono stati edotti che le assegnazioni del ferro per Messina restano regolarmente inevase sin dal 1946 a tutt’oggi, con evidente arresto della ricostruzione della città quasi del tutto distrutta dagli eventi bellici e larga persistenza di disoccupazione.

«Per conoscere, altresì, se ritengano di emanare in merito quei provvedimenti opportuni, adatti ed efficaci per l’urgente eliminazione di tanto interessato inconveniente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Salvatore».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 17.40.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e revisione annuale delle liste elettorali. (16).

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Al termine della seduta: Comitato segreto.

SABATO 13 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXVII.

SEDUTA DI SABATO 13 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali (Seguito della discussione):

Presidente

Cosattini

Uberti, Relatore

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Buffoni

Bettiol

Mannironi

Schiavetti

Fuschini

Veroni

Scelba, Ministro dell’interno

Covelli

Coppi

Fabbri

Bencivenga

Lussu

Giua

Patricolo

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Tosi.

(È concesso).

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali. (16).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali.

Ricordo che nell’ultima seduta era stato approvato l’articolo 29. Dobbiamo ora passare all’articolo 30. Avverto che il Governo ha presentato diversi emendamenti concordati con la Commissione.

Si dia lettura dell’articolo 30.

RICCIO, Segretario, legge:

«Non più tardi del 31 dicembre il sindaco, con avviso da affiggersi all’albo comunale e in altri luoghi pubblici, invita chiunque intenda proporre ricorsi contro la ripartizione del comune in sezioni, la circoscrizione delle sezioni, la determinazione dei luoghi di riunione di ciascuna di esse, l’assegnazione degli elettori alle singole sezioni e il trasferimento di essi da una ad altra sezione, a presentarli entro il 15 gennaio alla Commissione elettorale mandamentale, anche per tramite dell’ufficio comunale che ne rilascia ricevuta.

«Durante questo periodo, il testo della deliberazione di cui all’articolo 26, con i documenti relativi e con un esemplare delle liste di sezione, deve rimanere depositato nella segreteria del comune perché ogni cittadino possa prenderne visione.

«Dell’avvenuta pubblicazione dell’avviso è data immediata notizia al prefetto, al quale dev’essere trasmessa, altresì, una copia della deliberazione.

«Il sindaco, non oltre il 25 gennaio, trasmette al presidente della Commissione elettorale mandamentale il testo della deliberazione con i documenti e gli eventuali ricorsi presentati, insieme con due esemplari delle liste delle nuove sezioni e l’elenco delle variazioni apportate alle liste delle sezioni preesistenti.

«Entro il 31 marzo la Commissione mandamentale decide sui reclami, approva le nuove liste di sezione, e le variazioni a quelle delle sezioni preesistenti, tenendo conto delle decisioni adottate ai sensi dell’articolo 22 e autentica le liste, attestando in calce a ciascuna di esse il numero degli elettori che vi sono compresi, dopo aver riportato, sopra i due esemplari delle liste relative alle sezioni preesistenti depositati presso di essa le variazioni già approvate.

«Il Presidente vidima ciascun foglio con la propria firma e il bollo della Commissione.

«I due esemplari delle liste di sezione restano depositati nell’ufficio della Commissione elettorale mandamentale fino a quando non saranno indette le elezioni.

«Le decisioni della Commissione mandamentale sono immediatamente comunicate alla Commissione comunale che apporta all’altro esemplare delle liste le conseguenti variazioni.

«Entro quindici giorni dalla comunicazione, il sindaco provvede, con le modalità di cui all’articolo 17, ultimo comma, a notificare agli interessati le decisioni della Commissione sui reclami proposti.

«La Commissione mandamentale, qualora accerti, d’ufficio o su denunzia degli interessati, l’esistenza di errori materiali di scritturazione od omissioni di nomi di elettori regolarmente iscritti nelle liste generali, può apportare le occorrenti variazioni alle liste di sezione fino al secondo giorno antecedente a quello delle elezioni, dandone immediata notizia al sindaco che provvede ad informarne tempestivamente i presidenti delle singole sezioni».

PRESIDENTE. A questo articolo il Governo ha proposto il seguente emendamento:

«Scinderlo nei due articoli seguenti:

Art. 30.

«Nori più tardi del 31 dicembre il sindaco, con manifesto da affiggersi all’albo comunale e in altri luoghi pubblici, invita chiunque intenda proporre ricorsi contro la ripartizione dei comune in sezioni, la circoscrizione delle sezioni, la determinazione dei luoghi di riunione di ciascuna di esse, l’assegnazione degli elettori alle singole sezioni e il trasferimento di essi da una ad altra sezione, a presentarli entro il 15 gennaio alla Commissione elettorale mandamentale, anche per tramite del Comune che ne rilascia ricevuta.

«Durante questo periodo, la deliberazione di cui all’articolo 26, corredata dei documenti relativi e di un esemplare delle liste di sezione, rimane depositata nell’ufficio comunale perché ogni cittadino possa prenderne visione.

«Dell’avvenuta pubblicazione del manifesto è data immediata notizia al prefetto, al quale dev’essere trasmessa, altresì, una copia della deliberazione.

«Il sindaco, non oltre il 25 gennaio, trasmette al presidente della Commissione elettorale mandamentale la deliberazione di cui all’articolo 26 con i documenti e gli eventuali ricorsi presentati, insieme con due esemplari delle liste delle nuove sezioni e l’elenco delle variazioni apportate alle liste delle sezioni preesistenti.

«Per la ricezione degli atti da parte della Commissione elettorale mandamentale e per gli eventuali inadempimenti del Comune, si osservano le disposizioni di cui al terzo e quarto comma dell’articolo 21».

Art. 30-bis.

«Entro il 31 marzo la Commissione mandamentale decide sui reclami, approva le nuove liste di sezione, e le variazioni a quelle delle sezioni preesistenti, tenendo conto delle decisioni adottate ai sensi dell’articolo 22 e autentica le liste, attestando in calce a ciascuna di esse il numero degli elettori che vi sono compresi, dopo aver riportato sopra i due esemplari delle liste relative alle sezioni preesistenti depositati presso di essa, le variazioni già approvate:

«Il presidente vidima ciascun foglio con la propria firma e il bollo della Commissione.

«I due esemplari delle liste di sezione restano depositati nell’ufficio della Commissione elettorale mandamentale.

«Le decisioni della Commissione mandamentale sono comunicate, entro lo stesso termine di cui sopra, alla Commissione comunale che apporta all’altro esemplare delle liste le conseguenti variazioni.

«La Commissione mandamentale, qualora accerti, d’ufficio o su denunzia degli interessati, l’esistenza di errori materiali di scritturazione od omissioni di nomi di elettori regolarmente iscritti nelle liste generali, può apportare le occorrenti variazioni alle liste di sezione fino al secondo giorno antecedente a quello delle elezioni, dandone immediata notizia al sindaco che provvede ad informarne tempestivamente i presidenti delle singole sezioni».

Pongo in discussione l’articolo 30 nel nuovo testo.

Chiedo alla Commissione se lo accetta.

UBERTI, Relatore. La Commissione lo accetta.

COSATTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSATTINI. Questo progetto prevede un eccessivo numero di scritturazioni. Si prevede la formazione di tre liste, una delle quali dovrebbe essere depositata presso la Commissione mandamentale. Io vorrei sapere dalla Commissione quale è la funzione di queste tre liste e richiamo l’attenzione dell’Assemblea sul costo di queste scritturazioni e sulla spesa cui si va incontro.

Trovo detto qui: «…Il sindaco, non oltre il 25 gennaio, trasmette al presidente della Commissione elettorale mandamentale la deliberazione di cui all’articolo 26 con i documenti e gli eventuali ricorsi presentati, insieme con due esemplari delle liste delle nuove sezioni e l’elenco delle variazioni apportate alle liste delle sezioni preesistenti».

Poiché il numero massimo degli elettori per ogni sezione è stato portato ad 800, si renderà necessario presentare un elenco per tutte le sezioni. Sarebbe questo un quarto elenco di tutti gli elettori. Ecco perché, per semplificare, vorrei, quindi, che si dicesse che le liste debbono essere accompagnate dall’elenco delle variazioni per le nuove iscrizioni per evitare di dare un nuovo elenco.

PRESIDENTE. Onorevole Cosattini, lei così presenta un emendamento. La prego di depositarne il testo al banco della Presidenza.

L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. Alla terza lista depositata presso la Commissione mandamentale non si può rinunciare, perché il deposito delle liste e la loro conservazione da parte della Commissione mandamentale sono garanzie contro possibili manomissioni delle liste nelle mani del Comune. Quindi, trattandosi di una garanzia per tutti, ritengo che anche l’onorevole Cosattini vi aderirà. Invece importante è la sua osservazione riguardante le limitazioni delle variazioni alle nuove iscrizioni e alle cancellazioni, perché dovendosi rifondere tutte quante le sezioni per ridurle da mille elettori a 800, ne risulterebbe che le liste delle variazioni comprenderebbero di fatto tutti gli iscritti, mentre quello che è importante per la Commissione mandamentale è di conoscere solo le nuove iscrizioni oppure le cancellazioni, per portare su questi punti maggiormente la propria attenzione.

Quindi l’emendamento proposto dall’onorevole Cosattini per questa parte ritengo che possa essere utilmente accettato.

PRESIDENTE. L’onorevole Marazza ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Concordo con il Relatore.

PRESIDENTE. L’emendamento Cosattini è del seguente tenore:

Al quarto comma, dopo le parole: «elenco delle variazioni» aggiungere le altre: «per nuove iscrizioni o per radiazioni».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Pongo in votazione l’art. 30 che, con l’emendamento Cosattini testé approvato, è del seguente tenore:

«Non più tardi del 31 dicembre il sindaco, con manifesto da affiggersi all’albo comunale e in altri luoghi pubblici, invita chiunque intenda proporre ricorsi contro la ripartizione del comune in sezioni, la circoscrizione delle sezioni, la determinazione dei luoghi di riunione di ciascuna di esse, l’assegnazione degli elettori alle singole sezioni e il trasferimento di essi da una ad altra sezione, a presentarli entro il 15 gennaio alla Commissione elettorale mandamentale, anche per tramite del Comune che ne rilascia ricevuta.

«Durante questo periodo, la deliberazione di cui all’articolo 26, corredata dei documenti relativi e di un’esemplare delle liste di sezione, rimane depositata nell’ufficio comunale perché ogni cittadino possa prenderne visione. Dell’avvenuta pubblicazione del manifesto è data immediata notizia al prefetto, al quale dev’essere trasmessa, altresì, una copia della deliberazione.

«Il sindaco, non oltre il 25 gennaio, trasmette al presidente della Commissione elettorale mandamentale la deliberazione di cui all’articolo 26 con i documenti e gli eventuali ricorsi presentati, insieme con due esemplari delle liste delle nuove sezioni e l’elenco delle variazioni per nuove iscrizioni o per radiazioni apportate alle liste delle sezioni preesistenti.

«Per la ricezione degli atti da parte della Commissione elettorale mandamentale, e per gli eventuali inadempimenti del Comune, si osservano le disposizioni di cui al terzo e quarto comma dell’articolo 21».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 30-bis del quale è stata data lettura e che è una parte del primitivo articolo 30, che Commissione e Governo hanno convenuto di dividere in due articoli.

COSATTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSATTINI. Faccio rilevare che se il presidente della Commissione vidima ciascun foglio con la propria firma dovrà sottoporsi ad una fatica improba per firmare migliaia e migliaia di copie! Non sarebbe sufficiente il solo timbro?

UBERTI, Relatore. La firma è l’unico metodo di vera garanzia: il timbro lo possono mettere anche altri, là firma no. È meglio lasciarla.

COSATTINI. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 30-bis.

(È approvato).

Passiamo al Titolo IV «Dei ricorsi giudiziari». Si dia lettura dell’articolo 31.

RICCIO, Segretario, legge:

«Contro le decisioni della Commissione elettorale mandamentale o delle sue Sottocommissioni, qualsiasi cittadino può proporre impugnativa davanti alla Corte d’appello con semplice ricorso, sul quale il presidente fissa, con decreto, l’udienza di discussione della causa in via d’urgenza.

«Analoga azione può essere promossa per falsa o erronea rettificazione delle liste elettorali, fatta a norma dell’articolo 23, secondo comma.

«Il ricorso dev’essere notificato, col relativo decreto di fissazione d’udienza, all’elettore o agli elettori interessati ed alla Commissione elettorale, a pena di nullità, entro venti giorni dalla notificazione di cui al penultimo comma dell’articolo 23 se è proposto dallo stesso cittadino che aveva reclamato o aveva presentato direttamente alla Commissione una domanda d’iscrizione o era stato dalla Commissione medesima cancellato dalle liste; entro trenta giorni dall’ultimo giorno di pubblicazione della lista rettificata, negli altri casi».

PRESIDENTE. Il Governo propone di sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Il ricorso dev’essere notificato, col relativo decreto di fissazione d’udienza, all’elettore o agli elettori interessati ed alla Commissione elettorale, a pena di nullità, entro venti giorni dalla notificazione di cui al penultimo comma dell’articolo 23 se è proposto dallo stesso cittadino che aveva reclamato o aveva presentato direttamente alla Commissione una domanda d’iscrizione o era stato dalla Commissione medesima cancellato dalle liste; entro trenta giorni dall’ultimo giorno di pubblicazione della lista rettificata, negli altri casi. I termini anzidetti sono raddoppiati per i cittadini emigrati all’estero di cui all’articolo 11».

Questo emendamento è stato accettato dalla Commissione.

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 31 che, con l’emendamento testé approvato, è del seguente tenore.

«Contro le decisioni della Commissione elettorale mandamentale o delle sue Sottocommissioni, qualsiasi cittadino può proporre impugnativa davanti alla Corte d’appello con semplice ricorso, sul quale il presidente fissa, con decreto, l’udienza di discussione della causa in via d’urgenza.

«Analoga azione può essere promossa per falsa o erronea rettificazione delle liste elettorali, fatta a norma dell’articolo 23, secondo comma.

«Il ricorso dev’essere notificato, col relativo decreto di fissazione d’udienza, all’elettore o agli elettori interessati ed alla Commissione elettorale, a pena di nullità, entro venti giorni dalla notificazione di cui al penultimo comma dell’articolo 23 se è proposto dallo stesso cittadino che aveva reclamato o aveva presentato direttamente alla Commissione una domanda d’iscrizione o era stato dalla Commissione medesima cancellato dalle liste; entro trenta giorni dall’ultimo giorno di pubblicazione della lista rettificata, negli altri casi. I termini anzidetti sono raddoppiati per i cittadini emigrati all’estero di cui all’articolo 11».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 32. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il ricorso coi relativi documenti dev’essere, a pena di decadenza, depositato nella cancelleria della Corte di appello entro dieci giorni dalla notifica. La causa è decisa, senza che occorra ministero di procuratore o di avvocato, sulla relazione fatta in udienza pubblica da un consigliere della Corte, sentite le parti o i loro difensori, se si presentano, ed il pubblico ministero nelle sue conclusioni orali.

«Qualora il ricorso sia riconosciuto temerario o manifestamente infondato, la Corte di appello, con la medesima sentenza di rigetto, condanna il reclamante al pagamento a favore dell’erario dello Stato di una somma da lire 1.000 a lire 5.000».

PRESIDENTE. Il Governo propone di sostituire il secondo comma col seguente:

«Per i cittadini emigrati all’estero, il ricorso è depositato entro il termine di sessanta giorni dalla data della notificazione».

Questo emendamento è accettato dalla Commissione. Lo metto ai voti.

(È approvato).

L’articolo 32 pertanto risulta così modificato

«Il ricorso coi relativi documenti dev’essere, a pena di decadenza, depositato nella cancelleria della Corte di appello entro dieci giorni dalla notifica. La causa è decisa, senza che occorra ministero di procuratore o di avvocato, sulla relazione fatta in udienza pubblica da un consigliere della Corte, sentite le parti o i loro difensori, se si presentano, ed il pubblico ministero nelle sue conclusioni orali.

«Per i cittadini emigrati all’estero, il ricorso è depositato entro il termine di sessanta giorni dalla data della notificazione».

Lo pongo in votazione con l’intesa che rimane impregiudicato il problema del diritto di voto dei cittadini italiani nati all’estero sul quale, come si ricorderà, l’Assemblea si è riservata di decidere.

(È approvato).

Segue l’articolo 33. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il ricorso può essere proposto anche dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente per territorio nello stesso termine e con le stesse modalità di cui ai precedenti articoli 31 e 32; nel medesimo termine, il procuratore della Repubblica, qualora riscontri nel fatto che ha dato origine al ricorso estremi di reato, promuove l’azione penale».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 34. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il pubblico ministero comunica immediatamente le sentenze della Corte di appello al presidente della Commissione elettorale mandamentale nonché al sindaco, il quale ne cura l’esecuzione e la notificazione, senza spesa, agli interessati.

«La sentenza della Corte di appello può essere impugnata dalla parte soccombente col ricorso in Cassazione, anche senza ministero di avvocato. Può essere impugnata anche dal procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello che ha emesso la decisione.

«Tutti i termini del procedimento sono ridotti alla metà.

«Sul semplice ricorso il presidente fissa, in via d’urgenza, l’udienza per la discussione della causa. La decisione è immediatamente pubblicata e comunicata alle autorità di cui al primo comma».

PRESIDENTE. Il Governo propone il seguente emendamento, accettato dalla Commissione:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Le sentenze della Corte d’appello sono comunicate immediatamente dalla cancelleria, oltreché al presidente della Commissione elettorale mandamentale, al sindaco che ne cura l’esecuzione e la notificazione, senza spesa, agli interessati».

Lo pongo in voti.

(È approvato).

Il Governo ha anche proposto il seguente emendamento, pure accettato dalla Commissione:

Sostituire il terzo e il quarto comma col seguente:

«Tutti i termini del procedimento sono ridotti alla metà, fatta eccezione per i ricorsi dei cittadini emigrati all’estero. Sul semplice ricorso il presidente fissa, in via di urgenza, l’udienza per la discussione della causa. La decisione è immediatamente pubblicata. Per l’esecuzione e notificazione delle sentenze della Corte di cassazione si osservano le disposizioni di cui al primo comma».

Do lettura dell’articolo 34 con gli emendamenti testé approvati:

«Le sentenze della Corte d’appello sono comunicate immediatamente dalla cancelleria, oltreché al presidente della Commissione elettorale mandamentale, al sindaco che ne cura l’esecuzione e la notificazione, senza spesa, agli interessati.

«La sentenza della Corte di appello può essere impugnata dalla parte soccombente col ricorso in Cassazione, anche senza ministero di avvocato. Può essere impugnata anche dal procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello che ha emesso la decisione,

«Tutti i termini del procedimento sono ridotti alla metà, fatta eccezione per i ricorsi dei cittadini emigrati all’estero. Sul semplice ricorso il presidente fissa, in via di urgenza, l’udienza per la discussione della causa. La decisione è immediatamente pubblicata. Per l’esecuzione e notificazione delle sentenze della Corte di cassazione si osservano le disposizioni di cui al primo comma».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 35. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«I ricorsi giudiziari non hanno effetto sospensivo dei provvedimenti o delle decisioni contro i quali sono proposti».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo V: «Disposizioni varie». Si dia lettura dell’articolo 36.

RICCIO, Segretario, legge:

«Qualora per effetto di modificazioni intervenute nelle circoscrizioni comunali occorra procedere alla compilazione delle liste elettorali di un nuovo comune, questo è tenuto a provvedervi, non oltre novanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto col quale è costituito, mediante stralcio dei propri elettori dalle liste del comune ex capo luogo.

«Le liste, compilate in conformità del comma precedente, sono immediatamente trasmesse alla Commissione elettorale mandamentale che, entro quindici giorni dalla recezione, le munisce del visto di autenticazione, restituendo uno degli esemplari al comune.

«La stessa procedura si applica nel caso in cui una o più frazioni o borgate si distacchino da un comune per essere aggregate ad un altro.

«Il termine previsto nel primo comma è ridotto della metà per le variazioni da apportarsi alle liste dei comuni nei quali si è verificato il distacco.

«Qualora la pubblicazione del decreto recante modificazioni nella circoscrizione di uno o più comuni avvenga prima che sia esaurita la procedura di revisione annuale, la compilazione delle liste e le variazioni di cui ai commi precedenti sono effettuate in tale sede, sempreché lo stato delle operazioni relative lo consenta.

«Nel caso in cui il decreto sia pubblicato dopo la convocazione dei comizi elettorali, i termini previsti dal presente articolo decorrono dal decimo giorno successivo a quello stabilito per le elezioni. Ove la convocazione sia stata indetta per la elezione dei Consigli comunali, i comizi sono sospesi con provvedimento del prefetto e i termini anzidetti decorrono dalla data del provvedimento di sospensione».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 36-bis. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«A richiesta dei comuni e delle Commissioni elettorali, i pubblici uffici devono fornire i documenti necessari per gli accertamenti relativi alla revisione delle liste».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Segue l’articolo 37. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Tutti gli atti concernenti l’esercizio del diritto elettorale, relativi al procedimento amministrativo o al giudiziario, sono redatti in carta libera ed esenti dalla tassa di registro, dal deposito in caso di soccombenza per il ricorso in cassazione e dalle spese di cancelleria».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 38. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La copia delle liste generali di ciascun comune, autenticata dalla Commissione elettorale mandamentale, è conservata negli archivi della Commissione stessa, sotto la responsabilità del presidente.

«Le liste generali del comune devono essere riunite in uno o più registri debitamente numerati e conservate nell’archivio comunale.

«Le liste devono recare l’indicazione dell’anno e del numero di protocollo dell’incartamento relativo alla iscrizione di ciascun elettore.

«Chiunque può copiare, stampare o mettere in vendita le liste elettorali del comune».

PRESIDENTE. Il Governo ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La copia delle liste generali di ciascun comune, autenticata dalla Commissione elettorale mandamentale, è conservata negli archivi della Commissione stessa».

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Faccio osservare che la norma: «sotto la responsabilità del presidente», che figurava nel testo ministeriale, non è stata soppressa ma è stata trasferita nelle Disposizioni penali in cui sono fissate le varie responsabilità e le rispettive sanzioni. Comunque, accetto l’emendamento.

PRESIDENTE. Dopo questo chiarimento del Relatore, pongo in votazione l’emendamento del Governo al secondo comma.

(È approvato).

L’articolo 38, con l’emendamento testé approvato, risulta così formulato:

«Gli atti relativi alla revisione annuale delle liste elettorali sono sempre ostensibili a chiunque.

«La copia delle liste generali di ciascun comune, autenticata dalla Commissione elettorale mandamentale, è conservata negli archivi della Commissione stessa.

«Le liste generali del comune devono essere riunite in uno o più registri debitamente numerati e conservate nell’archivio comunale.

«Le liste devono recare l’indicazione dell’anno e del numero di protocollo dell’incartamento relativo alla iscrizione di ciascun elettore.

«Chiunque può copiare, stampare o mettere in vendita le liste elettorali del comune».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Possiamo all’articolo 39. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sindaco o chi ne esercita le funzioni, i componenti delle Commissioni elettorali ed i rispettivi segretari sono personalmente responsabili della regolarità degli adempimenti loro assegnati dalla presente legge».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 40. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«In caso di ritardo, da parte degli organi comunali, nell’adempimento dei compiti prescritti dalla presente legge, il prefetto delega un suo commissario.

«Le relative spese sono anticipate, salvo rivalsa verso chi di ragione, dal tesoriere comunale.

«Delle infrazioni alla legge, che hanno provocato l’invio del commissario, il prefetto dà notizia al procuratore della Repubblica presso il tribunale nella cui giurisdizione trovasi il comune».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Segue il Titolo VI: «Disposizioni penali». Si dia lettura dell’articolo 41.

RICCIO, Segretario, legge:

«Chiunque, essendovi tenuto per legge, non compie, nei termini e modi prescritti, le operazioni per la revisione delle liste degli elettori, la compilazione e l’affissione degli elenchi o non fa eseguire le notificazioni relative, è punito con l’ammenda da lire 1.000 a lire 5.000.

«Se l’omissione è dolosa, la pena è della reclusione sino ad un anno e della multa da lire 2.000 a lire 10.000».

PRESIDENTE. Il Governo ha proposto il seguente emendamento, accettato dalla Commissione:

Sostituire il primo comma col seguente:

«Chiunque, essendovi obbligato per legge, non compie, nei termini e modi prescritti, le operazioni per la tenuta e la revisione delle liste degli elettori, la compilazione e l’affissione degli elenchi o non fa eseguire le notificazioni relative o non cura la conservazione delle liste e degli atti relativi, è punito con l’ammenda da lire 1.000 a lire 5.000».

L’articolo 41, con l’emendamento testé approvato, è del seguente tenore:

«Chiunque, essendovi obbligato per legge, non compie, nei termini e modi prescritti, le operazioni per la tenuta e la revisione delle liste degli elettori, la compilazione e l’affissione degli elenchi o non fa eseguire le notificazioni relative o non cura la conservazione delle liste e degli atti relativi, è punito con l’ammenda da lire 1.000 a lire 5.000.

«Se l’omissione è dolosa, la pena è della reclusione sino ad un anno e della multa da lire 2.000 a lire 10.000».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 42. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Chiunque iscrive nelle liste o negli elenchi un elettore che non aveva il diritto di essere iscritto o cancella un elettore che non doveva essere cancellato, ovvero non iscrive un elettore che aveva il diritto all’iscrizione o non cancella un elettore che doveva essere cancellato, ovvero include o sposta arbitrariamente schede dallo schedario di cui all’articolo 5, è punito con l’ammenda da lire 1.000 a lire 5.000.

«Se il fatto è doloso, la pena è della reclusione sino ad un anno e della multa da lire 2.000 a lire 10.000».

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Ritengo che qui si faccia una certa confusione tra colpa e dolo. Vi sono fatti che evidentemente possono essere dovuti a negligenza ed anche fatti che possono essere voluti dolosamente. All’articolo 42 si parla di chi «include o sposta arbitrariamente schede…». Il concetto di spostare arbitrariamente non importa più il concetto di negligenza, ma di dolo.

PRESIDENTE. Faccio osservare che vi è il capoverso successivo in cui è detto: «se il fatto è doloso…».

BUFFONI. Ma quando si sposta arbitrariamente una scheda, non si tratta più di colpa, ma di dolo e mi pare, quindi, che l’avverbio «arbitrariamente» dovrebbe essere eliminato, perché se c’è un errore o negligenza non c’è arbitrio.

i» UBERTI, Relatore. Ma si può fare questo anche in buona fede.

BUFFONI. È un po’ difficile.

PRESIDENTE. Se gli onorevoli colleghi mi permettono di intervenire in questa discussione, vorrei osservare che l’onorevole Buffoni proporrebbe di sopprimere l’avverbio: «arbitrariamente», nel senso che se si ammette l’arbitrio si fa una presunzione di dolo.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Si potrebbe anche togliere l’avverbio «arbitrariamente». Rilevo però che vi possono essere tre ipotesi: che lo spostamento delle schede sia fatto d’ufficio, che sia fatto per errore, per negligenza e infine per dolo. Con la norma in questione si vuol punire il secondo caso, essendo il terzo, quello in cui concorra il dolo, punito nel comma successivo.

COSATTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSATTINI. Mi pare che il collega Buffoni sia caduto in equivoco. Può darsi che un impiegato, di sua spontanea iniziativa, compia un atto nella certezza di compiere qualche cosa di necessario, ed allora abbiamo un arbitrio in quanto egli può essere non autorizzato. Questo è un caso colposo.

MANCINI. Allora è un errore, non un arbitrio.

PRESIDENTE. L’onorevole Buffoni insiste nella sua proposta?

BUFFONI. Sì.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta Buffoni di sopprimere l’avverbio «arbitrariamente» del primo comma.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione l’articolo 42 nel testo della Commissione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 43. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Chiunque forma una lista o un elenco di elettori in tutto o in parte falsi, ovvero altera o sopprime, in tutto o in parte, una lista o un elenco di elettori, è punito con la reclusione sino a tre anni e con la multa da lire 3.000 a lire 20.000.

«Alla stessa pena soggiace chiunque sottrae od altera schede, registri e documenti relativi alle liste ed agli elenchi degli elettori».

Passiamo all’articolo 44. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Chiunque, con qualsiasi mezzo atto ad ingannare o sorprendere l’altrui buona fede, ottiene indebitamente per sé o per altri che sia effettuata un’iscrizione o non sia effettuata una cancellazione negli elenchi e nelle liste degli elettori o che sia effettuata la cancellazione d’uno o più elettori, è punito con la reclusione sino ad un anno e con la multa da lire 1.000 a lire 10.000.

«Tali pene sono aumentate di un sesto se il colpevole sia componente di una Commissione elettorale comunale o mandamentale».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Il Governo ha proposto un articolo 44-bis, accettato dalla Commissione. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Chiunque proponga, a termini dell’articolo 31, un’impugnativa avverso le decisioni della Commissione elettorale mandamentale o delle Sottocommissioni, o per falsa od erronea rettificazione delle liste elettorali, è punito, ove il ricorso sia riconosciuto temerario o manifestamente infondato, con la multa da lire 1.000 a lire 5.000.

«La condanna è pronunciata dalla Corte di appello con la medesima sentenza che rigetta l’impugnativa».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato)

Passiamo all’articolo 45. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Chiunque, contrariamente alle disposizioni della presente legge, rifiuta di pubblicare ovvero di far prendere notizia o copia degli elenchi e delle liste degli elettori e dei relativi documenti, è punito con la reclusione sino a sei mesi e con la multa da lire. 1.000 a lire 5.000».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Segue l’articolo 46. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Le condanne per i reati previsti dal presente Titolo, ove venga dal giudice applicata la pena della reclusione, importano sempre l’interdizione dai pubblici uffici per un tempo non minore di due e non superiore a cinque anni.

«Il giudice può ordinare, in ogni caso, la pubblicazione della sentenza di condanna.

«Resta sempre salva l’applicazione delle maggiori pene stabilite nel Codice penale o in altre leggi per i reati non previsti dalla presente legge.

«Ai delitti dolosi previsti dal presente Titolo non sono applicabili le disposizioni degli articoli dal 163 al 167 e 175 del Codice penale e dell’articolo 487 del Codice di procedura penale, relative alla sospensione condizionale della pena e alla non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale».

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Io mi permetto di proporre la soppressione dell’ultimo comma dell’articolo 46 che esclude dalla concessione della sospensione condizionale della pena i reati dolosi elettorali. Io comprendo che si vogliano severamente punire i delitti dolosi in materia elettorale, ma ritengo ingiusto che si introduca nella nostra legislazione, con deliberazione dell’Assemblea, per determinati reati, il divieto di concedere la condanna condizionale, perché così si va contro il principio informatore della legge, che accorda il beneficio del perdono ai condannati. Questo principio è che si deve tener conto della qualità non del delitto ma del delinquente; la sospensione condizionale della pena è una concessione che si fa «ad personam» e non si fa per determinati reati.

Insisto perché non si approvi questo comma. Sarà il magistrato che, in considerazione del fatto e della persona, deciderà se applicare o no il beneficio della condanna condizionale. Stabilire che per determinati reati non debba essere applicata la condanna condizionale, mi sembra assolutamente erroneo ed ingiusto.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Si può venire incontro, da un punto di vista astratto, sentimentale, alla proposta dell’onorevole Buffoni, ma io credo che, tenuto conto della natura di questi particolari reati ed anche del momento storico in cui ci troviamo, sia opportuno, ragionevole cercare, diciamo, di impedire al giudice di fare un troppo largo uso di un potere che in sostanza porta spesso ad un rilassamento della giustizia penale. Quindi io ritengo che si debba votare l’articolo, respingendo l’emendamento che tende in sostanza a privare di efficacia concreta tutte queste norme penali, che invece mirano ad evitare che il processo di formazione delle liste sia arbitrariamente violato e sia quindi compromessa a priori la possibilità di una regolare e normale elezione, che è fondamentale in questo momento nel quale bisogna educare ad un clima democratico le coscienze dei cittadini.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione insiste nel proprio testo.

PRESIDENTE. Prego il Governo di esprimere il suo parere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo si associa al parere della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione i primi tre commi dell’articolo 46 sui quali non vi sono emendamenti.

(Sono approvati).

Pongo in votazione il quarto comma, del quale l’onorevole Buffoni ha chiesto la soppressione, non accettata né dalla Commissione né dal Governo.

(È approvato).

L’onorevole Mannironi ha fatto pervenire alla Presidenza la seguente proposta di un articolo 46-bis aggiuntivo:

«Per i reati previsti negli articoli precedenti si procede a giudizio direttissimo».

L’onorevole Mannironi ha facoltà di svolgere la sua proposta.

MANNIRONI. Mi pare che la mia proposta non abbia bisogno di essere illustrata a lungo. A me sembra che, da tutta l’impostazione data alla regolamentazione della materia in esame, il giudizio direttissimo sia appropriato e necessario di fronte a violazioni di legge che il legislatore si propone di reprimere rapidamente.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione, non avendo esaminato il problema, si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Prego il Governo di esprimere il suo parere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Anche il Governo si rimette all’Assemblea.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Mi pare non sia opportuno abusare di questo procedimento direttissimo, il quale viene a creare delle eccezioni alle possibilità di difesa da parte dell’imputato. Io credo quindi che si debba votare contro la proposta dell’onorevole Mannironi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo 46-bis proposto dall’onorevole Mannironi, in merito al quale sia il Governo che la Commissione hanno dichiarato di rimettersi all’Assemblea.

(Non è approvato).

Passiamo all’articolo 47. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Oltre i casi previsti dall’articolo 2, non sono elettori, per cinque anni, coloro i quali hanno ricoperto le seguenti cariche:

  1. a) segretario o vicesegretario del partito fascista;

b)membro del gran consiglio del fascismo;

  1. c) componente del direttorio nazionale o del consiglio nazionale del partito fascista;
  2. d) segretario politico federale del partito fascista;
  3. e) le stesse cariche nel partito fascista repubblicano;
  4. f) ministro o sottosegretario di Stato dei governi fascisti in carica nominati dal 3 gennaio 1925;
  5. g) membro del tribunale speciale per la difesa dello Stato o membro dei tribunali straordinari della pseudo repubblica sociale;
  6. h) consigliere nazionale;
  7. i) deputato e senatore che, dopo il 3 gennaio 1925, abbiano votato leggi fondamentali intese a mantenere in vita il regime fascista;
  8. l) prefetto o questore nominati per titoli fascisti;
  9. m) ufficiale generale o ufficiale superiore della milizia volontaria sicurezza nazionale.

«La cancellazione dalle liste elettorali di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al presente articolo può aver luogo in ogni tempo e qualunque sia lo stato delle operazioni di revisione delle liste, ma non oltre la data di pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali».

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. V’è un nuovo testo di questo articolo elaborato dal Governo in seguito a nuove proposte fatte dalla Commissione e ad un ulteriore conseguente esame della questione.

Questo nuovo testo è stato comunicato alla Commissione.

PRESIDENTE. Ma la Commissione è in grado di pronunciarsi?

UBERTI, Relatore. La Commissione ritiene che possa iniziarsi senz’altro la discussione su questo nuovo testo presentato dal Governo.

PRESIDENTE. Se ne dia allora lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Oltre i casi previsti dall’articolo 2, non sono elettori, per cinque anni, coloro i quali hanno ricoperto le seguenti cariche:

  1. a) segretario o vicesegretario del partito fascista;
  2. b) membro del gran consiglio del fascismo;
  3. c) componente del direttorio nazionale o del consiglio nazionale del partito fascista;
  4. d) segretario politico federale del partito fascista;
  5. e) le medesime cariche di cui alle lettere precedenti, durante la pseudo repubblica sociale;
  6. f) ministro o sottosegretario di Stato dei governi fascisti, in carica o nominati dal 3 gennaio 1925;
  7. g) consigliere nazionale;
  8. h) membro del tribunale speciale per la difesa dello Stato o membro dei tribunali straordinari della pseudo repubblica sociale;
  9. i) prefetto o questore nominati per titoli fascisti e capo di provincia;
  10. l) ufficiale generale od ufficiale superiore della milizia volontaria sicurezza nazionale in servizio permanente retribuito, eccettuati gli addetti ai servizi religiosi, sanitari, assistenziali e gli appartenenti alle legioni libiche, alla milizia ferroviaria, postelegrafonica, universitaria, alla G.I.L., alla D.I.C.A.T. e Da. Cos., nonché alla milizia forestale, stradale e portuaria.

«Il termine stabilito nel primo comma decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge. Nei confronti di coloro i quali siano stati già cancellati o non iscritti nelle liste elettorali per avere ricoperto taluna delle cariche sopraelencate, il termine decorre dalla data della «pronuncia» o del «provvedimento» con cui fu disposta la privazione temporanea del diritto elettorale.

«La cancellazione dalle liste elettorali di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al presente articolo può aver luogo in ogni tempo e qualunque sia lo stato delle operazioni di revisione delle liste, ma non oltre la data di pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali.

«La Commissione elettorale comunale provvede d’ufficio agli accertamenti necessari ed alle conseguenti cancellazioni dalle liste generali e sezionali. Il sindaco notifica agli interessati, ai sensi dell’articolo 17, le decisioni della Commissione. Il segretario comunale elimina dallo schedario elettorale le schede corrispondenti.

«Copia del verbale relativo alle operazioni predette è trasmessa al prefetto, al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente per territorio ed al presidente della Commissione elettorale mandamentale.

«La Commissione elettorale mandamentale effettua le cancellazioni, sulla scorta degli anzidetti verbali, nelle liste generali e nelle liste di sezione depositate presso di essa.

«Contro le cancellazioni disposte a norma del presente articolo è ammesso ricorso alla Commissione elettorale mandamentale entro venti giorni dalla notificazione di cui al quarto comma. Per i cittadini emigrati all’estero si osservano le disposizioni degli articoli 11, 18 e 22.

«Nel caso in cui il ricorso sia accolto l’interessato ha diritto alla reiscrizione nelle liste elettorali in qualunque tempo; ma non oltre la data di pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali».

PRESIDENTE. Come l’Assemblea non ignora, la Commissione ha diritto, in questo caso, di chiedere il rinvio di ventiquattr’ore per pronunciarsi. Se tuttavia la Commissione ritenesse che un termine molto minore – per esempio, la sospensione di un’ora della seduta – fosse sufficiente, forse l’Assemblea non avrebbe niente in contrario.

Crederei anche opportuno di provvedere alla distribuzione agli onorevoli deputati del nuovo testo del Governo, dato che non si tratta soltanto di qualche lieve emendamento, ma di emendamenti di notevole importanza.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Ricordo che la discussione di questo progetto di legge, del resto a norma di Regolamento, si è svolta fin dall’inizio sopra il testo della Commissione. Quindi il nuovo testo presentato dal Governo deve essere considerato come un emendamento al testo della Commissione. Siccome tutte le questioni sollevate dal nuovo testo ministeriale sono già state discusse dalla Commissione, per cui questa ha in merito la sua opinione, ritengo che si possa subito discutere punto per punto il nuovo testo del Governo, considerandolo come emendamento al testo della Commissione, in quanto questa, tranne un emendamento riguardante i senatori, mantiene per tutto il resto il suo testo.

PRESIDENTE. La Commissione è d’accordo di discutere senz’altro il nuovo testo del Governo, o chiede una breve sospensione di almeno tre quarti d’ora?

UBERTI, Relatore. Ritengo inutile, ripeto, una sospensione, in quanto il nuovo testo non è che un emendamento al testo della Commissione e su di esso la Commissione si è già intrattenuta.

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Mi associo alle considerazioni del collega Uberti, e mi permetto di deplorare questo sistema del Governo di intervenire all’ultimo momento, con un emendamento di sorpresa in una questione di tanta delicatezza. Il Governo ha avuto tutto il tempo per farci conoscere le sue intenzioni e i suoi testi. Abbiamo infatti discusso in una riunione della Commissione l’ultimo testo del Governo. Ora c’è un ultimo emendamento che è ancora più ultimo di quello dell’ultimo momento. Credo che non sia serio tutto ciò e credo che noi dobbiamo considerare l’emendamento del Governo come qualsiasi altro emendamento e passare senz’altro alla discussione.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Sono di parere completamente contrario a quello dell’onorevole Schiavetti, per due ragioni: prima di tutto, perché sia salvo un principio di carattere parlamentare, che cioè il Governo ha sempre il diritto di presentare emendamenti a proposte o disegni di legge anche da esso presentati. Questo come affermazione di carattere, direi, parlamentare. In secondo luogo, credo che sia necessario un momento di riflessione da parte della Commissione, per esaminare la portata di questi emendamenti e trovare un punto d’accordo anche sulla valutazione degli emendamenti. Credo che una sospensione di mezz’ora o tre quarti d’ora possa essere sufficiente per superare questa piccola difficoltà sorta all’ultimo momento.

Faccio quindi la proposta formale che la seduta sia sospesa per tre quarti d’ora o un’ora per riprendere poi l’esame del disegno di legge.

PRESIDENTE. La proposta dell’onorevole Fuschini è di sospendere la seduta, riprendendola alle 11.30. In questo frattempo si potrebbe distribuire agli onorevoli deputati il nuovo testo governativo.

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. Pur non dissentendo da quello che il collega Schiavetti ha detto, e cioè che sarebbe stato opportuno che il Governo avesse presentato prima di oggi questi emendamenti in una materia così delicata, come quella del diritto al voto da concedere o non concedere ad alcune categorie politiche, debbo riconoscere che il collega Fuschini ha, dal punto di vista parlamentare, perfettamente ragione: il Governo ha sempre il diritto di proporre emendamenti a disegni di legge presentati dal Governo stesso o anche di iniziativa parlamentare.

Quindi, io penso che si imponga la necessità di un rinvio, anche per più di mezz’ora o tre quarti d’ora; perché ho ascoltato la lettura degli emendamenti proposti dal Governo e ve ne sono alcuni che si allontanavano molto da quelli che erano stati i risultati dello studio della Commissione. L’Assemblea deve pertanto essere posta in condizione di poter raffrontare i risultati degli studi della Commissione con gli emendamenti presentati dal Governo.

Quindi mi associo al collega Fuschini perché sia data all’Assemblea la possibilità di compiere tale esame.

PRESIDENTE. La proposta dell’onorevole Fuschini è di sospendere la seduta fino alle 11.30.

VERONI. Ma come è possibile esaminare questa questione con l’orologio alla mano?

PRESIDENTE. Allora lei non si associa alla proposta dell’onorevole Fuschini?

VERONI. Io mi sono espresso chiaramente. Non credo che si debba rinviare. Dobbiamo decidere stamane. Rimane da stabilire se debba trattarsi di mezz’ora o di tre quarti d’ora di sospensione.

PRESIDENTE. La questione, dal lato regolamentare e precedurale, è molto semplice. Giustamente l’onorevole Fuschini ha rivendicato il diritto del Governo di presentare emendamenti. Il diritto e l’interesse dell’Assemblea sono tutelati dalla norma regolamentare che dà diritto a dieci deputati di far domanda per il rinvio di ventiquattro ore della discussione del progetto di legge. Abbiamo quindi soluzioni diverse: si può accettare la proposta dell’onorevole Fuschini e rinviare la seduta alle 11.30; se poi vi sono dieci proponenti che lo domandano, si può rinviare di ventiquattro ore.

FUSCHINI. Possiamo sospendere anche fino a mezzogiorno.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Vorrei replicare all’onorevole Schiavetti. Non comprendo perché, se è dato ad un deputato (e ì colleghi ne fanno larghissimo uso) di presentare emendamenti all’ultimo momento, quando già si discutono gli articoli, debba essere deplorato il Governo se, valutato meglio un articolo, abbia ritenuto di proporre un emendamento al testo primitivo, sottoponendolo, quarantott’ore prima, all’approvazione parlamentare. Non posso accettare la deplorazione dell’onorevole Schiavetti, perché con questo verremmo a limitare i poteri e i diritti del Governo.

Per quel che riguarda il merito della questione, il Governo si rimette pienamente all’Assemblea: essa può sospendere per mezz’ora o per un’ora o rinviare, perché ciò è indifferente, desiderando il Governo lasciare alla Assemblea piena libertà.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Vorrei fare un chiarimento, perché a me sembra che questa discussione sia un po’ fuori luogo. Il Governo aveva presentato un primo testo. La Commissione ne ha elaborato un altro. Ora il Governo, nel suo emendamento, non propone delle cose nuove: esso non fa che riprendere parte di quello che era già stato proposto e che la Commissione ha già esaminato. Per ciò, riconvocandosi, la Commissione non potrebbe che ripetere quanto ha già deliberato.

PRESIDENTE. Per semplificare la discussione, richiamo l’Assemblea sulla proposta dell’onorevole Fuschini di sospendere la seduta per un’ora.

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Propongo di proseguire nella discussione degli articoli e di accantonare al discussione su questo articolo 47 per rimandarla a lunedì.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta che ha la precedenza, cioè quella dell’onorevole Covelli, di rinviare la discussione dell’articolo a lunedì.

(Non è approvata).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Fuschini di sospendere la seduta per un’ora.

(È approvata).

(La seduta, sospesa alle 11, è ripresa alle 12.5).

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione dell’articolo 47, nel nuovo testo presentato dal Governo:

«Oltre i casi previsti dall’articolo 2, non sono elettori, per cinque anni, coloro i quali hanno ricoperto le seguenti cariche:

  1. a) segretario o vicesegretario del partito fascista;
  2. b) membro del gran Consiglio del fascismo;
  3. c) componente del direttorio nazionale o del Consiglio nazionale del partito fascista;
  4. d) segretario politico federale del partito fascista;
  5. e) le medesime cariche di cui alle lettere precedenti, durante la pseudo repubblica sociale;
  6. f) ministro o sottosegretario di Stato dei governi fascisti in carica o nominati dal 3 gennaio 1925;
  7. g) consigliere nazionale;
  8. h) membro del tribunale speciale per la difesa dello Stato o membro dei tribunali straordinari della pseudo repubblica sociale;
  9. i) prefetto o questore nominati per titoli fascisti e capo di provincia;
  10. l) ufficiale generale od ufficiale superiore della milizia volontaria sicurezza nazionale in servizio permanente retribuito, eccettuati gli addetti ai servizi religiosi, sanitari, assistenziali e gli appartenenti alle legioni libiche, alla milizia ferroviaria, postelegrafonica, universitaria, alla G.I.L. alla D.I.C.A.T. e Da. Cos., nonché alla milizia forestale, stradale e portuaria.

«Il termine stabilito nel primo comma decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge. Nei confronti di coloro i quali siano stati già cancellati o non iscritti nelle liste elettorali per avere ricoperto taluna delle cariche sopra elencate, il termine decorre dalla data della «pronuncia» o del «provvedimento» con cui fu disposta la privazione temporanea del diritto elettorale.

«La cancellazione dalle liste elettorali di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al presente articolo può aver luogo in ogni tempo e qualunque sia lo stato delle operazioni di revisione delle liste, ma non oltre la data di pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali.

«La Commissione elettorale comunale provvede d’ufficio agli accertamenti necessari ed alle conseguenti cancellazioni dalle liste generali e sezionali. Il sindaco notifica agli interessati, ai sensi dell’articolo 17, le decisioni della Commissione. Il segretario comunale elimina dallo schedario elettorale le schede corrispondenti.

«Copia del verbale relativo alle operazioni predette è trasmessa al prefetto, al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente per territorio ed al presidente della Commissione elettorale mandamentale.

«La Commissione elettorale mandamentale effettua le cancellazioni, sulla scorta degli anzidetti verbali, nelle liste generali e nelle liste di sezione depositate presso di essa.

«Contro le cancellazioni disposte a norma del presente articolo è ammesso ricorso alla Commissione elettorale mandamentale entro venti giorni dalla notificazione di cui al quarto comma. Per i cittadini emigrati all’estero si osservano le disposizioni degli articoli 11, 18 e 22.

«Nel caso in cui il ricorso sia accolto l’interessato ha diritto alla reiscrizione nelle liste elettorali in qualunque tempo, ma non oltre la data di pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali».

L’onorevole Coppi e altri hanno presentato il seguente emendamento a questo articolo:

«Oltre i casi previsti dall’articolo 2, non sono elettori, per il periodo rispettivamente sottoindicato, coloro i quali hanno ricoperto le seguenti cariche:

  1. – Per vent’anni:
  2. a) segretario o vicesegretario del partito fascista;
  3. b) membro del gran consiglio del fascismo;
  4. c) le stesse cariche nel partito fascista repubblicano;
  5. d) ministro o sottosegretario dello pseudo governo fascista repubblicano;
  6. e) componente del direttorio nazionale e del consiglio nazionale del partito fascista repubblicano.
  7. – Per dieci anni:
  8. a) ministro o sottosegretario di Stato dei governi fascisti in carica dal 3 gennaio 1923;
  9. b) membro del tribunale speciale per la difesa dello Stato;
  10. c) segretario politico federale del partito fascista repubblicano;
  11. d) componente del direttorio nazionale o del consiglio nazionale del partito fascista.

III. – Per cinque anni:

  1. a) segretario politico federale del partito fascista dopo il 3 gennaio 1925;
  2. b) deputato o senatore che dopo il 3 gennaio 1925 abbia votato leggi fondamentali intese a mantenere in vita il regimo fascista;
  3. c) prefetto o questore nominato per titoli fascisti;
  4. d) ufficiale generale della milizia volontaria sicurezza nazionale;
  5. e) ufficiale generale o superiore che abbia prestato servizio effettivo nelle forze armate della pseudo repubblica sociale; ufficiali di pari grado della guardia nazionale repubblicana, delle brigate nere, dei reparti speciali di polizia politica della pseudo repubblica sociale;
  6. f) consigliere nazionale.

L’onorevole Coppi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

COPPI. Svolgo telegraficamente le ragioni che mi hanno indotto a presentare questo emendamento. Nel testo presentato sostanzialmente dalla Commissione e dal Governo si ha un termine di sospensione dal diritto elettorale unico per tutte le categorie di colpiti. Mi pare che un criterio di questo genere urti contro ragioni di giustizia, perché, ad esempio, viene messo sullo stesso piano sia il segretario o vicesegretario del partito fascista, che un più o meno innocuo consigliere nazionale.

Ritengo sia opportuno fare una graduazione di responsabilità e mi pare anche non sia il caso di preoccuparsi eccessivamente se in questa graduazione di responsabilità i termini vengano portati all’insù e non all’ingiù; termini alti: venti anni per certe cariche, dieci anni per altre; il minimo: cinque anni.

Per giustificare questo aggravamento della sanzione non ho motivo di illustrare le ragioni a questa Assemblea.

Le ragioni mi sembrano chiare, anzi sono tanto chiare che proprio non mette conto spendere parole in argomento. Ma, tanto per dare un chiarimento all’Assemblea dei motivi che mi hanno indotto a presentare l’emendamento e per citare una delle piccole cose, delle minime cose che il cessato regime consumava, permettano gli onorevoli colleghi che io dia lettura, in parte, di una deliberazione, per esempio, della Prefettura di Modena del 1941, esattamente del 27 dicembre 1941.

Si tratta di un impiegato del Comune di Modena.

La deliberazione dice così:

«Vista la nota, ecc., con cui il commissario prefettizio di Modena prende notizia di una comunicazione del segretario federale del partito nazionale fascista circa l’espulsione dal partito del vigile urbano, ecc. (il nome non interessa), con la motivazione: «Non ha mantenuto fede al giuramento prestato». Vista lettera di discolpa dell’interessato dalla quale risulta che egli non contesta. Vista la nota, ecc., con cui il segretario federale di Modena comunica che non è in corso nessuna procedura tendente a modificare il provvedimento di espulsione; ritenuto che, per effetto della espulsione dal partito nazionale fascista, l’interessato deve essere messo al bando della vita pubblica nella quale è da comprendersi anche la vita del comune, che, come ente ausiliario, fa parte della unità etica e politica della vita statale e, non avendo l’interessato tenuto fede al giuramento prestato al partito fascista ed essendosi verificato automaticamente lo stato di incompatibilità con le generali direttive della politica del Governo che autorizza la dispensa dal servizio per motivi politici; visto, ecc., decreta: l’interessato per i motivi specificati in epigrafe è dispensato dal servizio di vigile urbano del comune di Modena».

Vorrei anche ricordare agli onorevoli colleghi un altro piccolo fatto che non ebbe conseguenze.

Nel Senato (non ricordo la data, non prevedevo di dovere parlare di questo, e non mi sono munito di documentazione; ad ogni modo mi sorregge la memoria, almeno in parte) venne in discussione se per esercitare la professione di avvocato si dovesse o meno essere iscritti al partito nazionale fascista. E vi furono dei Senatori, anzi, vi fu specialmente un Senatore, che non nomino…

Voci. Il nome, il nome!

COPPI. No, non lo voglio nominare… il quale sostenne tale tesi. Nel Senato, per fortuna, si alzò una voce a contrastarlo – diverse voci, anzi – una più autorevole delle altre, una voce del Trentino, quella del senatore Conci, se ben ricordo. Quindi, io ritengo che la sanzione che è prevista nell’articolo 47, così come è proposta nel testo della Commissione, e sostanzialmente nel testo governativo, sia, per certe determinate categorie, troppo blanda.

Debbo anche spiegare agli onorevoli colleghi che ho fatto una certa discriminazione fra coloro i quali hanno appartenuto semplicemente al partito nazionale fascista e coloro che hanno appartenuto al partito fascista repubblicano. Mi pare che la condizione di questi ultimi sia assai più grave, perché il delitto peggiore, a mio modo di vedere, che il fascismo abbia commesso, è ancora stato quello di aver gettato il Paese in una guerra civile.

Naturalmente, il criterio che io ho seguito nella sospensione per venti anni, dieci anni e cinque anni, è un criterio mio personale, è un criterio che può e deve essere discusso.

Debbo precisare che al paragrafo secondo del mio emendamento, per una dimenticanza di carattere materiale, ho omesso una lettera i), che si riferisce a coloro che sono stati componenti del direttorio nazionale o del consiglio nazionale del partito fascista.

Ritengo di non dovei dare ulteriori spiegazioni. Eventualmente, nel corso della discussione, potrò ancora intervenire.

PRESIDENTE. È stato presentato il seguente emendamento all’articolo 47 dagli onorevoli Schiavetti, Lussu, Cianca, Tega, Chiostergi, Vernocchi, Gina, Fornara:

«Oltre i casi previsti dall’articolo 2, non sono elettori per dieci anni coloro i quali hanno ricoperto le seguenti cariche:

  1. a) segretario o vicesegretario del partito fascista;
  2. b) membro del gran consiglio del fascismo;
  3. c) componente del direttorio nazionale o del consiglio nazionale del partito fascista;
  4. d) ispettore nazionale o ispettrice nazionale delle organizzazioni femminili del partito fascista;
  5. e) segretario o vicesegretario federale (o carica equipollente) sin dalla prima organizzazione del partito fascista; fiduciaria o vicefiduciaria delle federazioni dei fasci femminili;
  6. f) ispettore o ispettrice federale, eccettuati coloro che abbiano esercitato funzioni esclusivamente amministrative;
  7. g) segretario politico del fascio o segretaria del fascio femminile di comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti (censimento 1936);
  8. h) qualsiasi carica politica del partito fascista repubblicano;
  9. i) consigliere nazionale;
  10. l) deputato che, dopo il 3 gennaio 1925, abbia votato leggi fondamentali intese a mantenere in vigore il regime fascista; senatore che sia stato dichiarato decaduto dall’Alta Corte o che, pur non essendo stato dichiarato decaduto, abbia partecipato all’approvazione delle leggi di cui sopra o dei loro principî informativi;
  11. m) ministro o sottosegretario di Stato dei governi fascisti in carica o nominati dal 3 gennaio 1925;
  12. n) membro del tribunale speciale per la difesa dello Stato o membro dei tribunali straordinari della pseudo repubblica sociale;
  13. o) prefetto o questore nominati per titoli fascisti; capo della provincia o questore nominati dal governo della pseudo repubblica sociale;
  14. p) «moschettiere del duce», ufficiale della milizia volontaria sicurezza nazionale, in servizio permanente retribuito, eccettuati gli addetti ai servizi religiosi, sanitari assistenziali e gli appartenenti alle legioni libiche, alle milizie ferroviaria, postelegrafonica; universitaria, alla G.I.L., alla D.I.C.A.T. e Da. Cos., nonché alla milizia forestale, stradale e portuaria;
  15. q) ufficiale che abbia prestato effettivo servizio nelle forze armate della pseudo repubblica sociale, ufficiale della guardia nazionale repubblicana, o componente delle brigate nere, delle legioni autonome e dei reparti speciali di polizia politica della pseudo repubblica sociale.

«Sono eccettuati dalla privazione del diritto elettorale coloro che siano dichiarati non punibili ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 7 del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159, e coloro che, prima del 10 giugno 1940, abbiano assunto un deciso atteggiamento contro il fascismo».

PRESIDENTE. L’onorevole Schiavetti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

SCHIAVETTI. Questo mio emendamento corre sulla falsariga delle esclusioni dal diritto elettorale previste dalle norme per l’elezione dell’Assemblea Costituente. Un esame alquanto accurato delle disposizioni che, in materia di esclusione dal diritto elettorale, sono state finora proposte, porta alle seguenti constatazioni.

Abbiamo avuto, prima, le esclusioni previste dalla legge con la quale sono stati eletti i deputati alla Costituente, esclusioni abbastanza severe, esclusioni a nostro parere giuste; poi vi sono state le esclusioni previste nel progetto di legge governativo, quello che è sottoposto oggi alla nostra approvazione; poi vi sono state le esclusioni proposte dalla Commissione che ha esaminato questo progetto; poi v’è stata la serie delle esclusioni proposte al penultimo momento dal Governo; poi, finalmente, v’è stata oggi un’altra serie di esclusioni proposte dal Governo durante questa seduta.

Ora, è facile notare che in tutte queste serie di esclusioni si constata un decrescendo di severità, un adattamento ad un clima di tolleranza e di remissione verso il regime fascista, che noi non possiamo in alcun modo tollerare! (Applausi a sinistra).

Per darvi qualche esempio di carattere concreto, vi dirò che la Commissione, nel suo progetto – e già quello della Commissione è un progetto abbastanza severo – non ha considerato fra gli esclusi, gli ispettori nazionali e le ispettrici nazionali del partito fascista; gli ispettori e le ispettrici federali; i segretari politici dei fasci e le segretarie dei fasci femminili nei comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti; coloro ai quali sono state conferite cariche da parte del partito fascista repubblicano, salvo quelle che implicavano una più grave responsabilità; non ha considerato i capi di provincia ed i questori nominati dal governo fascista repubblicano: e per fortuna questi li abbiamo inclusi all’ultimo momento; non ha considerato i moschettieri del duce, gli ufficiali della milizia, indicando soltanto gli ufficiali generali e gli ufficiali superiori; e il Governo, nell’emendamento che ci propone all’ultima ora, vorrebbe che non si considerassero i deputati e i senatori i quali hanno votato le leggi fondamentali del regime fascista ed hanno contribuito a tenere in piedi il regime fascista.

Evidentemente, se noi ci addentriamo in una serie minuta e complicata di discriminazioni, lasciamo sfuggire un mucchio di gente. Vi prego di notare che qui non si tratta di condannare nessuno all’ergastolo, non si tratta di fare dei martiri: si tratta di privare dell’elettorato attivo coloro i quali hanno sostenuto il regime fascista. Quindi gli scrupoli di coscienza che alcuni si fanno non sono, a mio modo di vedere, sussistenti.

Non saremo perfetti nella giustizia distributiva, ma saremo giusti in generale.

Noi proponiamo in questo emendamento che le esclusioni dal diritto elettorale siano sancite, per tutte queste categorie, per la durata di dieci anni. Vi è poi il problema singolarmente grave dei deputati e dei senatori, i quali, come or ora ho ricordato, hanno votato le leggi fondamentali del regime fascista.

A questo riguardo, la Commissione è d’accordo che debbano essere colpiti i deputati escludendoli dal diritto elettorale ed è d’accordo di escludere parimenti i senatori che siano stati considerati decaduti dall’Alta Corte di giustizia.

Ma, ora, debbo sottoporre all’Assemblea i risultati di una breve ricerca da me fatta l’altro giorno. Io ho voluto consultare, per l’anno 1928, gli Atti parlamentari del Senato per vedere un po’ come si sono comportati quei cento senatori circa, che sono stati discriminati dall’Alta Corte di giustizia. Naturalmente in quel periodo le votazioni delle leggi avvenivano, come ora, a scrutinio segreto e riesce quindi molto difficile il poter individuare la condotta di questi senatori. C’era però, per fortuna, in quell’epoca, nel Senato, un’opposizione liberale e democratica la quale ha cercato, specie in occasione della votazione delle leggi di carattere fondamentale, di preporre alla votazione delle leggi stesse la discussione di un ordine del giorno, in cui venissero affermati dei principî fondamentali in opposizione a quelli fascisti.

In questo modo evidentemente l’opposizione liberale cercava di inchiodare la responsabilità dei senatori ligi al regime fascista, e noi verremmo meno a questa specie di mandato politico che ci è stato affidato dai vecchi Senatori fedeli alle libertà del Risorgimento, se lasciassimo senza alcun effetto queste indicazioni di responsabilità. (Vivi applausi a sinistra).

Orbene, io ho preso in esame due votazioni: una è del 12 maggio 1928, sulla riforma della rappresentanza politica.

Si trattava di mettere in piedi la famosa Camera dei quattrocento (non era ancora la Camera corporativa), i cui membri erano tutti indicati dal Governo senza nessun’altra alternativa per il corpo elettorale.

Ci fu un ordine del giorno Garofalo, favorevole naturalmente ai criteri informatori della legge fascista; ci fu un ordine del giorno Ruffini che si dichiarò invece contrario alla legge fascista «per non privare il popolo italiano del diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti».

Siamo dunque in tema di leggi fondamentali fasciste.

Orbene, con immensa sorpresa, io, che avevo sott’occhio l’elenco dei Senatori discriminati dall’Alta Corte di giustizia, ho trovato che, salvo errori od omissioni, ci sono dieci Senatori discriminati che hanno votato l’ordine del giorno Garofalo e che hanno votato contro l’ordine del giorno Ruffini che chiedeva il mantenimento della libera scelta da parte del popolo dei propri rappresentanti.

Questi Senatori sono: Conci avv. Enrico, Dallolio Alfredo, generale d’armata; Salvago Raggi, ambasciatore e marchese, ora, credo, defunto; Sechi Giovanni, ammiraglio di squadra; Segrè Sartorio Salvatore, conte; Sirianni Giuseppe, ammiraglio di squadra; Tacconi Antonio, avvocato; Thaon di Revel, grande ammiraglio; Tolomei Ettore, conte; Rota Francesco, conte.

È un piccolo mazzetto di ammiragli e di titolati!

Voi sapete quante volte noi abbiamo detto che il paese ha bisogno, ha sete di giustizia! Il paese ha troppe volte constatato che si colpiscono i piccoli responsabili della dittatura fascista! Ora invece, egregi colleghi, voi vi trovate di fronte ai grandi responsabili della dittatura fascista e voi li colpirete in modo estremamente tenue e darete al Paese un esempio altamente educativo, se, per lo meno, escluderete dal diritto di voto questa gente che, per la sua posizione sociale e per le stesse benemerenze che aveva acquistato in altri settori verso il Paese, avrebbe dovuto sentire il bisogno di difendere la libertà costituzionale del Paese stesso!

C’è stata poi al Senato, il 15 novembre 1928, la discussione di un ordine del giorno Appiani, ordine del giorno fascista, che diceva: «Il Senato, convinto della necessità che il gran consiglio fascista abbia il suo posto tra gli organi costituzionali, passa alla discussione degli articoli». Ordine del giorno prettamente fascista.

Ho trovato altri nove senatori discriminati, quasi tutti quelli di prima, in più Ciraolo Giovanni, i quali hanno votato a favore dell’ordine del giorno Appiani.

Questa è la ragione per cui nel mio emendamento, alla formula generale: «Senatori che sono stati dichiarati decaduti dall’Alta corte di giustizia» io ho aggiunto: «o che, pur non essendo stati dichiarati decaduti, abbiano partecipato all’approvazione delle leggi di cui sopra o dei loro principî informativi»; senza questa aggiunta i senatori che hanno votato le leggi fasciste sfuggirebbero a una sanzione che deve essere, ripeto, un esempio e una indicazione! (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Cosattini, Mazzoni, Faccio, Stampacchia, Nobili Tito Oro, Tega, Bonfantini, Bianchi Bianca, Barbareschi, Fioritto, Romita, Bocconi, Mariani Enrico, Fornara, Montemartino, Giua, D’Aragona e Carpano Maglioli, hanno presentato il seguente emendamento aggiuntivo:

«e) I giornalisti che, a sostegno del regime fascista o dell’occupante tedesco, abbiano cooperato in modo rilevante ad ingannare la pubblica opinione».

PRESIDENTE. L’onorevole Cosattini ha facoltà di svolgerlo.

COSATTINI. Ritengo che poche considerazioni siano sufficienti a dimostrare che solo ragioni di giustizia ci guidano nel proporre l’esclusione dal diritto di voto, dei giornalisti postisi al servizio dei nemici della Patria. Noi abbiamo un concetto elevato della funzione del giornalismo; abbiamo coscienza della grande influenza che esso può esercitare sull’opinione pubblica, e vorremmo, nel considerarne la funzione, poterla vedere sempre sotto la luce d’una lotta ideale per la giustizia e per la libertà. Purtroppo abbiamo invece dinanzi alla mente il ricordo di vent’anni di dittatura fascista, durante la quale troppo di giornalismo si è degradato a servo della tirannide, per cui non vi è stato problema che non sia stato prospettato sotto una luce falsa. Nel ricordo degli anni tragici che abbiamo trascorso, vediamo soverchio numero di fumivendoli, contro la missione della stampa sulla società, fattisi complici della tirannia, contro il Paese e peggio, durante l’occupazione tedesca, strumento dell’invasore. Non possiamo dimenticare come attraverso alle pubblicazioni di giornali, alle comunicazioni fatte da giornalisti alla radio – abbiamo ancora nell’orecchio il senso di orrore procuratoci dalle loro voci – nelle corrispondenze dall’estero, in cento altre manifestazioni, essi non abbiano mancato di sostenere quanto vi era di più turpe e di più vile. Non può passare senza riprovazione il concorso da loro usato ad annebbiare e ad avvelenare l’opinione pubblica. Se abbiamo assistito, nella nostra vita travagliata, a fatti veramente penosi, a torture inflitte a nostri concittadini, a violenze e a barbarie, che hanno macchiato il nome del nostro Paese, ciò è dovuto alla insana propaganda di costoro che, dimentichi della loro posizione di italiani, non hanno esitato a schierarsi a fianco dei nemici.

Per queste ragioni riteniamo che, accanto a coloro che hanno esercitato funzioni direttive nel partito fascista, concorrendo con le loro forze a sostenerlo e à difenderlo, non si possa dimenticare anche l’opera nefasta di questi profanatori dell’opinione pubblica, e sia giusta sanzione impedire ad essi il diritto più alto che spetta al cittadino: quello di essere elettore e quello di poter essere eletto. Confidiamo, quindi, che l’Assemblea voglia accogliere la nostra proposta. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Fabbri e altri hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere gli ultimi sei commi dell’articolo 47».

L’onorevole Fabbri ha facoltà di svolgerlo.

FABBRI. Il mio emendamento soppressivo concerne esclusivamente una questione di procedura a proposito della eventuale cancellazione di elettori, che si ritiene non abbiano il diritto di voto. Ora, dal momento che per l’esclusione si considereranno dei requisiti obiettivi, quali saranno determinati dalla votazione di questa Assemblea, e dal momento che nella legge vi sono dei termini per la rettifica ordinaria e periodica delle liste elettorali, e per i relativi ricorsi, per le varie procedure, per i rimedi contro il loro esito, ecc., non vedo il motivo per cui, relativamente a questa categoria di cittadini, di cui all’articolo 47, che in definitiva non dovrebbero risultare inclusi nelle liste, si stabilisce una procedura di cancellazione specialissima, al di fuori di qualunque termine, del tutto anormale, che può protrarsi fino alla data di pubblicazione del manifesto che indice i comizi. Trovo inopportuna questa norma che si presta a sorprese pericolose nel periodo della lotta elettorale; perché, evidentemente, alla vigilia della pubblicazione del manifesto, si possono fare le accuse più avventate, le affermazioni più strambe, alcune delle quali implicano un giudizio strettamente soggettivo come quello, del resto, di cui mi offriva l’esempio l’oratore che ha parlato prima di me: privare un tale giornalista del diritto di voto, perché ha scritto un articolo in un certo senso.

Una voce a sinistra. Ha disonorato la stampa!

FABBRI. Il giudizio sulle richieste di privazione del diritto di voto è rimesso ad una deliberazione di una Commissione nominata dal Consiglio comunale. Questa deliberazione del Consiglio comunale, presa in pendenza delle elezioni e quando è già pubblicato il manifesto, mi pare cosa detestabile e preoccupante, tanto più che le liste sono da anni a disposizione di tutti gli interessati, di tutte le organizzazioni, di tutti i partiti che hanno la possibilità di presentare ricorsi come per tutti gli altri casi. Quindi, io sono nettamente contrario a questa procedura di eccezione che può provocare, all’ultimo momento, per un cittadino la perdita del diritto di elettorato attivo, o, se si tratti di un candidato, del diritto di eleggibilità.

In tal caso, in un certo comune, una Commissione comunale potrebbe escludere dalle liste un cittadino già virtualmente candidato ufficiale di un partito, e contro questa esclusione non vi è che una possibilità di ricorso che funzionerà, in definitiva, – se si è fatto un sopruso – cinque anni dopo, cioè alla prossima convocazione dei comizi. Tutto ciò mi pare anormale, pericolosa fonte di sopraffazioni inaudite che, specialmente nel periodo elettorale, possono determinare delle legittime reazioni se specialmente una Commissione comunale dovesse fare degli abusi. Io invito l’Assemblea a sopprimere nell’articolo tutto quanto concerne questa procedura di eccezione, permettendo che per i cittadini privati dal diritto di essere inclusi nelle liste elettorali ai sensi dell’articolo 47, valgano tutte le disposizioni che noi abbiamo considerato nella legge per coloro che non hanno il diritto di essere iscritti nelle liste elettorali: ed in conseguenza valgano gli stessi termini, sussista la possibilità degli stessi ricorsi, degli stessi rimedi; per tutti si applichi il diritto formale comune. Questo è il mio concetto.

PRESIDENTE. L’onorevole Veroni e altri hanno presentato il seguente emendamento:

Alla lettera d) sostituire le parole: del partito fascista, con le seguenti: ed i componenti del direttorio federale del partito fascista;

L’onorevole Veroni ha facoltà di svolgerlo.

VERONI. La legge che in sede di Consulta votammo per la creazione della Costituente prevedeva all’articolo 6 la sospensione dell’esercizio del diritto di voto dei Vice segretari federali. Il progetto che attualmente è al nostro esame ha escluso i Vice segretari federali dalla sospensione del diritto di voto, ed ha quindi reso più aderente agli interessi dei fascisti la disposizione della legge di cui discutiamo.

La stessa legge per la composizione della Costituente escludeva dall’esercizio del diritto di voto gli ispettori e le ispettrici federali. L’attuale progetto di legge non ha conservato questa norma ed ha ammesso all’esercizio del voto gli ispettori e le ispettrici federali. Quando discutemmo allora la legge – e gli atti parlamentari ne fanno fede – si discusse ampiamente se, oltre ai Vice segretari federali e agli ispettori e ispettrici federali (che furono poi privati del diritto di voto), dovessero essere compresi dalla sospensione dell’esercizio del diritto di voto anche i componenti dei direttori federali. Molti autorevoli colleghi affermarono in quella occasione, e produssero esempi convincenti che i componenti dei direttori federali esercitarono frequentemente un’azione politica fascista di maggior rilievo di quella propagandistica degli ispettori e delle ispettrici federali, perché i componenti di direttori federali, avendo partecipato a deliberazioni di natura politica di grande importanza, dovevano tutti assumere la piena responsabilità delle loro azioni. Avvenne in sede di Consulta che per pochi voti questa sospensione dall’esercizio del diritto di voto dei componenti di direttori federali non fu approvata. Ora è questa l’occasione nella quale la Costituente deve riprendere la questione rimasta allora sospesa, perché nessuno di noi può dimenticare – ed un collega autorevole me lo ricorda ora – che era proprio in seno ai direttori federali che si decidevano le azioni talvolta delittuose che venivano poi eseguite dai comandati dal regime fascista. Non vi è, quindi, nessuna ragione per cui i componenti del direttorio federale non debbano essere anch’essi compresi nella sospensione dell’esercizio del diritto di voto. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Bencivenga ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere, l’articolo 47».

(Commenti a sinistra e al centro).

L’onorevole Bencivenga ha facoltà di svolgerlo.

BENCIVENGA. Sarò brevissimo. Le ragioni che consigliano la soppressione di questo articolo sono di carattere etico e patriottico. (Commenti a sinistra). Io trovo assolutamente assurdo che si continuino a fomentare le divisioni tra italiani in un momento nel quale è necessario raccogliere tutte le forze della Nazione per superare la crisi dell’ora. (Commenti a sinistra – Rumori).

DE MICHELIS. Tra assassini e vittime c’è differenza!

BENCIVENGA. D’altra parte le critiche mosse a questo articolo del decreto dimostrano quanto sia difficile dare vita a una disposizione precisa al riguardo. Per queste considerazioni, per un alto sentimento di patriottismo, per dovere di coscienza, propongo la soppressione dell’articolo 47 anche a nome del Gruppo parlamentare dell’uomo qualunque. (Rumori a sinistra – Commenti).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione sul nuovo testo presentato dal Governo e sui varî emendamenti proposti.

UBERTI, Relatore. Lo spirito dell’articolo 47, così come era stato proposto, emendato dalla Commissione, aveva una caratteristica fondamentale: sganciarsi completamente da quelle che erano le pronunce di epurazione e dai giudicati emessi, in quanto completamente diversi l’uno dall’altro, alcuni estremamente severi ed altri di una indulgenza veramente straordinaria, e causa perciò di una situazione anormale di mancanza assoluta di giustizia distributiva, per cui vediamo che sono stati assolti, oppure sono stati amnistiati i responsabili maggiori del regime fascista, mentre sono stati colpiti altri i quali avevano responsabilità meno gravi.

Di fronte a questa situazione, la Commissione ha voluto impostare diversamente l’articolo 47. Il Governo continuava sulla scia delle pronuncie e tendeva a stabilire, per quelle pronuncie nelle quali non era stato stabilito il termine di durata dall’esclusione dal voto, di arrivare a fissare anche per quelle una durata. Invece, la Commissione ha ritenuto più giusto e più opportuno porre una norma, di carattere oggettivo, cioè di allontanarsi da ogni giudicato, per stabilire che basta aver ricoperto alcune determinate cariche di indubbia responsabilità – e perciò un numero ridotto di casi nei quali questa responsabilità non può essere pretestata – per non avere per un limitato periodo di tempo il diritto di voto. S’è voluto evitare ogni indagine di merito, ogni nuovo processo, per limitarsi all’accertamento del fatto di aver ricoperto quelle determinate cariche.

Si è in altre parole voluto evitare che si rinnovasse quanto è avvenuto nella epurazione, cioè che sono andati per aria i minori responsabili ed invece i maggiori ne sono usciti esenti, attraverso influenze, attraverso giudicati, attraverso amnistie, le quali hanno fatto sì che l’epurazione è diventata realmente una cosa profondamente ingiusta. Ed in questa linea ho trovato un alleato proprio nell’onorevole Schiavetti, che in questo momento viene qui a fare la critica alla proposta della Commissione, che ha avuto in lui uno dei principali sostenitori. La tendenza era netta e precisa nel rinunciare alle categorie inferiori, che possono avere minore coscienza politica vera e propria, e colpire invece i veri responsabili, i massimi esponenti, i veri capi.

Ed il pericolo maggiore è questo, caro Schiavetti, che per volere arrivare ad una giustizia assoluta non si arrivi neanche a stabilire quella che è giustizia verso i maggiori responsabili, verso i veramente colpevoli.

In merito alla esclusione di alcuni senatori la Commissione, in un primo tempo, aveva escluso tutti i senatori che avevano votato le leggi fondamentali del regime fascista. Difficoltà estrema era di stabilire quali fossero queste leggi e difficoltà estrema era quella di arrivare ad un procedimento di accertamento, di valutazione in riferimento alle persone. Ed allora, siccome vi era stato il fatto che il nuovo regime aveva creato l’Alta Corte di giustizia, la quale aveva esaminato la situazione dei senatori, si è stabilito, senza entrare nel merito, di prendere, come dato di fatto, quello che è stato deciso dall’Alta Corte, eccettuando dalla norma di esclusione solo quelli che erano stati discriminati.

Ora, che cosa è avvenuto? Schiavetti vuole estendere questa conclusione della Commissione sotto forma di emendamento aggiuntivo. La Commissione durante la sospensione della seduta ha esaminato anche questa nuova proposta dell’onorevole Schiavetti, ma non ha ritenuto di poterla accogliere, perché è difficile fissare quali sono tutte le leggi fondamentali del regime fascista, perché non potendo affidare tale incarico a commissioni comunali bisognerebbe creare un nuovo organo di valutazione, perché infine questo significherebbe trascurare le indagini già fatte da un organo come l’Alta Corte, organo creato appositamente dal nuovo regime.

È vero che il testo della Commissione in questo modo fa un trattamento diverso fra deputati e senatori, ma per quanto si sia ricercato non si è riusciti à trovare, per i pochi casi di deputati i quali hanno fatto l’opposizione nell’Aula, una formula giuridica che sia diversa da questa. Saranno pochi casi per i quali sarà facile l’accertamento. Invece per i senatori i casi sono ben più numerosi e si dovrebbe arrivare a dare alla Commissione elettorale comunale la potestà di indagare se un senatore ha votato le fondamentali leggi fasciste, compito al di là della loro possibilità, oppure creare un nuovo organo mentre ne abbiamo già uno (formato d’accordo con tutti i partiti, dopo la liberazione), che ha già condotto autorevolmente a termine la sua indagine e ai cui giudicati le commissioni comunali possono riferirsi.

È vero quello che ha detto l’onorevole Schiavetti, che qualche giudicato, rarissimo, possa esser discutibile – ogni giudizio umano può essere fallace – ma l’Alta Corte di giustizia ha tenuto conto anche di altri fatti concomitanti al rilievo del voto e ad ogni modo, fra gli inconvenienti enormi di creare un nuovo esame della situazione dei senatori e quello di prendere come dato di fatto le discriminazioni operate dall’Alta Corte di giustizia, è innegabile che è un vantaggio avere – anche se vi sono come in tutti i giudicati umani delle dubbiezze, delle cose poco esatte, dei casi particolari in cui si possa soggettivamente non convenire – tutta una situazione già valutata da un organo altissimo,

Circa la proposta di graduazione del periodo di esclusione avanzata dall’onorevole Coppi, devo rilevare che dal punto di vista della giustizia assoluta certamente la proposta dell’onorevole Coppi sarebbe fondata, ma qui dobbiamo fare provvedimenti che non rivestano un carattere complicato, bensì trovare la formula più semplice. Vuol dire che fra 5 anni, quando si esaurirà la nuova legislatura (e storicamente si riscontra che ogni legislatura modifica sempre la legge elettorale prima di indire le elezioni), se si rileverà che per qualche caso sia necessario prolungare il termine, la nuova Camera potrà sempre farlo.

Per quello che riguarda l’osservazione dell’onorevole Fabbri, che verrebbe cioè istituita una procedura particolare per questi casi, per cui alla vigilia delle elezioni, in un clima arroventato, si potrebbero decidere senza le necessarie garanzie casi di inclusione e esclusione, osservo che c’è una norma già approvata per la quale, a partire dal giorno in cui si pubblica il manifesto che indice le elezioni, le liste vengono bloccate; da quel giorno sono quelle che sono. Ora, è evidente, anche per questi casi, che dal giorno in cui sono indette le elezioni la certezza delle liste viene ad essere stabilita. La Commissione, per vero, aveva soppressi i tre commi relativi a questa particolare procedura. Il Governo la ha riproposta.

Sentiremo il Governo. La Commissione pensa che quando abbiamo la garanzia che una volta indette le elezioni le liste restano bloccate, le incertezze, le preoccupazioni dell’onorevole Fabbri vengono superate. Tuttavia non è contraria che anche per questi casi si applichi la procedura ordinaria.

Vi è l’emendamento dell’onorevole Cosattini riguardante i giornalisti. Dal punto di vista morale, sono d’accordo con lui. Però il testo proposto mi sembra molto lato. Bisognerebbe che fosse studiato in modo preciso, così che rappresenti una norma di carattere giuridico ben delimitata, in quanto dobbiamo metterci in mente che sono le Commissioni comunali e mandamentali che debbono applicare questa norma, a meno che non si crei un apposito organo centrale. Bisognerebbe arrivare ad una precisazione molto più aderente alla realtà, per modo che poi non accadano arbitrî.

C’è poi l’emendamento Veroni; l’onorevole Veroni vorrebbe arrivare a completare le deliberazioni prese dalla Consulta, aumentando le esclusioni fatte allora, dicendo che allora non si è fatto tutto quello che si doveva fare.

Mi permetta, onorevole Veroni; non solo la situazione è diversa, ma anche lo spirito della proposta della Commissione segue proprio un indirizzo opposto. Allora eravamo di fronte ad una posizione particolare: la Costituente non è un normale Parlamento, tende a costituire i fondamenti del nuovo Stato. È evidente che in quella occasione le esclusioni dal diritto di voto potevano essere maggiori che non oggi per un Parlamento ordinario. Indubbiamente anche una fiduciaria di fascio femminile ha aderito al regime fascista; ma la sua responsabilità è diversa, è ben diversa da quella dei capi del partito, del Parlamento, del governo fascista, in una parola dei centri motori del regime fascista.

Un certo grado di responsabilità vi è naturalmente in questa ed altre cariche non contemplate, ma siamo di fronte ad un problema ben grave, quello di dire: coloro i quali hanno assunto le maggiori responsabilità nel passato regime, li escludiamo, non solo da essere eleggibili, ma anche da essere elettori.

Ora, di fronte a una situazione di questo genere, la proposta del collega Veroni è contraria allo spirito che ha diretto la Commissione nell’arrivare, cioè, a sganciarsi da quelli che erano i pronunciati di questo periodo e colpire solamente i maggiori ed i veri responsabili.

Perciò pregherei l’onorevole Veroni di non voler insistere, perché evidentemente noi abbiamo di fatto ridotto l’elencazione in confronto a quelle che erano le proposte del Governo, e l’abbiamo ridotta proprio per dare un significato politico, che cioè queste esclusioni dal voto non sono tanto per poter togliere dalla partecipazione alle elezioni gente in contrasto col nuovo regime, quanto per dare una sanzione ai veri responsabili.

Vengo ora agli emendamenti proposti dal Governo. Tra questi emendamenti ve ne sono alcuni di fronte ai quali la Commissione deve insistere nel suo testo. Altri, invece, che la Commissione accoglie.

Per quanto riguarda la lettera e) la Commissione proponeva: «Le stesse cariche del partito fascista repubblicano». Invece il Governo propone:

«le medesime cariche di cui alle lettere precedenti, durante la pseudo repubblica sociale».

È una modificazione di forma, non sostanziale, per cui, se il Governo insiste, la Commissione ha deliberato di accettare la formula governativa.

Invece, insiste perché sia inserita la formula relativa ai deputati e senatori, in questa precisa espressione:

«deputati che, dopo il 3 gennaio 1925…

RUSSO PEREZ. Perché non c’è il 1924?…

UBERTI, Relatore. …abbiano votato leggi o mozioni intese a mantenere in vita il regime fascista, e senatori, eccetto quelli discriminati dall’Alta Corte di giustizia».

Su questo punto, la Commissione ha deliberato in una precedente seduta all’unanimità meno uno, nella riunione tenuta durante l’interruzione della seduta dell’Assemblea, all’unanimità.

Poi, alla lettera f), il Governo ha proposto di aggiungere: «prefetti o questori nominati per titoli fascisti, o capi di provincia».

La Commissione desidererebbe poter completare il testo in questo senso:

«o capi di provincia, o questori nominati per meriti fascisti dalla repubblica sociale».

Poi, alla lettera m) della Commissione, che diventa l) nel testo proposto ultimamente dal Governo. In essa era detto: «ufficiale generale o ufficiale superiore della milizia volontaria sicurezza nazionale». Al che il Governo ha proposto ora di aggiungere: «in servizio permanente retribuito, eccettuati gli addetti ai servizi religiosi, sanitari, assistenziali e gli appartenenti alle legioni libiche, alla milizia ferroviaria, postelegrafonica, universitaria, alla G.I.L., alla D.I.C.A.T. e Da. Cos., nonché alla milizia forestale, stradale e portuaria». Ora, dopo ampio dibattito, la Commissione ha deciso di accettare alla unanimità quest’aggiunta.

Vi è poi un’altra aggiunta da parte del Governo e cioè: «il termine stabilito nel primo comma decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge». Anche qui la Commissione accede all’emendamento del Governo.

Ma c’è poi un’aggiunta che la Commissione non ritiene di potere accettare. È la seguente: «Nei confronti di coloro i quali siano stati già cancellati o non iscritti nelle liste elettorali per aver ricoperto taluna delle cariche sopra elencate, il termine decorre dalla data della «pronuncia» o del «provvedimento» con cui fu disposta la privazione temporanea del diritto elettorale». Ora, sotto questo riguardo, si è fatto rilevare che, con la formula della Commissione, si verrebbero a danneggiare coloro i quali hanno avuto un’esclusione dal voto per un periodo minore di cinque anni, mentre sarebbero invece avvantaggiati coloro i quali hanno avuto una condanna superiore ai dieci anni. Ebbene, la Commissione invece, proprio richiamandosi a quel concetto di giustizia distributiva che deve informare ogni deliberazione dello Stato, ha ritenuto che sia assai preferibile giungere ad una norma uguale per tutti. È da notarsi infatti che molte volte, queste pronunzie, queste deliberazioni, sono state fatte in momenti o climi differenti, l’una rispetto all’altra e con giudicanti tanto diversi che, ad esempio, nella stessa provincia si sono avute per la stessa imputazione esclusioni per dieci anni ed altre solamente per un anno ed anche meno. Ci troviamo, quindi di fronte al pericolo di sanzionare con questa disposizione situazioni profondamente diverse. È per questo motivo che la Commissione ha deliberato all’unanimità di non accedere al criterio che ha informato questa aggiunta, e sembra che anche il Governo si sia, per questo riguardo, affiancato alla Commissione.

E con ciò ho terminato le mie osservazioni. Concludendo, vorrei pregare i colleghi di volersi convincere che, in realtà, si è pervenuti ad un non lieve sforzo di conciliazione, perché nella Commissione, in principio, vi era disparità profonda di pareri. Sarebbe pertanto veramente opportuno ed auspicabile che la Camera potesse ritrovarsi tutta veramente concorde su una linea che rappresenta indiscutibilmente un principio di equanimità e di giustizia.

È pertanto evidente che, soltanto allontanandosi da quella che può essere una giustizia assoluta, irraggiungibile, e in pari tempo allontanandosi altresì da quella che potrebbe rappresentare una sanatoria generale non meno ingiusta, si può pervenire ad un vero senso di concreta giustizia, rispondente alle possibilità pratiche di attuazione.

Si pensi, ad esempio, quali maggiori, più giusti e più equi risultati avrebbe avuto l’epurazione, se, anziché scendere sino ai minimi gradi, si fosse fermata su una determinata linea: non ci sarebbero oggi al Consiglio di Stato quindicimila reclami che non si sa come evadere, tanto che si pensa ad una generale sanatoria per i gradi minori. È veramente inutile e dannoso discostarsi dal criterio di realizzare norme possibili, applicabili, miranti alle maggiori e non discutibili responsabilità, nella vana ricerca di una giustizia perfetta. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Dopo che l’onorevole Relatore aveva già incominciato a parlare, è stato presentato alla Presidenza un nuovo emendamento firmato dall’onorevole Lussu e dagli onorevoli Giua, Veroni, Bennato, Nobili Tito Oro, Tega, Vernocchi, Fornara, Merighi e Fioritto, del seguente tenore:

«Aggiungere all’elenco dell’articolo 47: ufficiali volontari della guerra di Spagna appartenenti a corpi combattenti fascisti».

Ha ora facoltà di parlare l’onorevole Lussu per svolgere il suo emendamento.

LUSSU. Rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro dell’interno, per esprimere il parere del Governo sugli emendamenti proposti.

SCELBA, Ministro dell’interno. Fra il testo dell’articolo 47, formulato dal Governo, compresi gli ultimi emendamenti proposti, e il testo formulato dalla Commissione, non vi è una sostanziale difformità, perché, per quanto riguarda le categorie, l’unica difformità si riferisce ai senatori decaduti, di cui dirò appresso.

Le modifiche apportate dal Governo al precedente testo riguardano questioni di principio e di procedura.

Questioni di principio: una legge dello Stato aveva stabilito che si potesse essere privati del diritto elettorale fino a dieci anni appartenendo a determinate categorie, rimettendo ad apposite Commissioni comunali lo stabilire concretamente la misura della durata della perdita del diritto elettorale. Oggi, con le proposte della Commissione, la quale indiscriminatamente stabilisce una sospensione dal diritto elettorale per cinque anni, e qualora questa proposta venisse accettata, si avrebbero queste conseguenze: che coloro che avevano avuto dalle Commissioni una sospensione maggiore di cinque anni, vedrebbero ridotta questa sospensione ai cinque anni proposti dalla Commissione; mentre altri, che avevano avuto una sospensione inferiore ai cinque anni, vedrebbero aggravata da una nuova legge la loro posizione, nonostante che una Commissione abbia giudicato sulla sospensione del diritto elettorale. È una questione di principio: si dovrebbe stabilire almeno che nel termine di sospensione si tenesse conto delle decisioni già emanate dalle Commissioni stabilite da una legge e alle quali una legge dello Stato aveva demandato in concreto di stabilire il termine di sospensione. Comunque, il Governo, richiamata su questo punto l’attenzione dell’Assemblea, e tenuto conto delle osservazioni fatte dal Relatore, cioè che nell’applicazione concreta di queste disposizioni si sono verificate patenti e larghe ingiustizie, non ha nessuna difficoltà ad accettare il criterio addotto dalla Commissione, fissando per tutte le categorie la sospensione per un termine non superiore ai cinque anni.

C’è poi un’altra conseguenza su cui io intendo richiamare l’attenzione dell’Assemblea Costituente, e cioè che qualcuno di costoro, ai quali si era applicata la sospensione per un termine di un anno per esempio, perché la Commissione non aveva ritenuto di applicare all’attività di questo soggetto una sanzione maggiore, ha potuto partecipare concretamente a delle elezioni, alle elezioni amministrative per esempio. E oggi noi verremmo a privare questi cittadini, che hanno esercitato il diritto elettorale, e lo hanno esercitato in base ad una legge dello Stato, del diritto di voto.

Ora, queste contraddizioni mi paiono di una certa importanza, e io richiamo l’attenzione dell’Assemblea Costituente su questo punto, per vedere se non sia preferibile accettare il testo del Governo, che mi pare risponda più a un criterio di giustizia, di legalità, diremo, che non il testo della Commissione. Comunque, il Governo si rimette alla decisione dell’Assemblea.

Per il resto si tratta di questioni di procedura, che esamineremo concretamente a mano a mano che discuteremo le singole parti dell’articolo. Intendo invece esprimere il pensiero del Governo sugli emendamenti che sono stati proposti dai varî componenti di questa Assemblea.

Io non posso accettare gli emendamenti proposti dai varî oratori perché, in sostanza, tutti questi emendamenti tendono ad allargare da un canto la sfera degli elementi colpiti dalla sospensione del diritto elettorale, e dall’altro ad aumentare la durata della sospensione. In questo si concretizzano i varî emendamenti presentati dagli oratori.

Ora io mi permetterei di fare un modestissimo richiamo all’Assemblea, ed il richiamo è questo: che è facile, naturalmente – e vi sono cento ragioni per coloro che hanno sofferto durante il ventennio le vessazioni fasciste – essere portati alla durezza, ad escludere tutti coloro che hanno attivamente partecipato alla vita del fascismo affermandone la sua supremazia.

Ma, onorevoli colleghi, tutti i partiti hanno creato a questo riguardo delle larghe esenzioni, hanno creato delle vaste amnistie. Quando noi abbiamo stabilito nella legge che la sospensione dal diritto elettorale non poteva essere superiore ad una certa data, ciò non è stato stabilito da un Governo di colore, ma da un Governo di Comitato di liberazione nazionale; è stato il Governo dei sei partiti che ha stabilito le sanzioni contro il fascismo, considerando anche il diritto elettorale, limitando questo diritto. E tutti i partiti, onorevoli colleghi, compresi i rappresentanti del Partito d’azione (al quale mi pare appartenga l’onorevole Schiavetti) hanno aderito a questo concetto dopo ampia e completa discussione in cui tutti questi casi che oggi vengono sottoposti all’Assemblea Costituente furono vagliati ed esaminati.

Ma arriveremmo– direi – a degli assurdi se si dovesse accettare qualcuna delle proposte formulate dall’onorevole Schiavetti. Per esempio: segretari delle sezioni fasciste, segretari sezionali fascisti. Noi, nella legge per l’elezione alla Costituente, abbiamo stabilito un criterio più rigoroso, ma un criterio molto più largo è stato stabilito in sede di eleggibilità ai Consigli comunali, perché s’intese affermare che dalla partecipazione alle elezioni per la Costituente dovessero essere esclusi tutti gli elementi che politicamente avessero concorso all’affermarsi del regime fascista ed alla sua permanenza al potere, ma nelle elezioni amministrative locali un criterio più largo doveva usarsi, specialmente per determinati Comuni. E noi ci siamo trovati d’accordo nel ritenere, per esempio, che i podestà fascisti potessero essere eletti ed elettori, in quanto considerazioni obiettive e di fatto hanno portato a ritenere che molta gente ha fatto il podestà fascista perché era la persona più rappresentativa del luogo, perché era l’unica persona adatta per tale carica. (Interruzioni a sinistra).

Onorevoli colleghi, non essendo stato nessuno di noi podestà fascista, possiamo giudicare obiettivamente la questione. Si era ritenuto di far questo. (Interruzioni a sinistra).

Io richiamo questo argomento per dire che il Governo del Comitato di liberazione nazionale ha escluso queste categorie dalle sanzioni elettorali; e noi oggi vogliamo ritornare su queste questioni? Io dico che l’Assemblea, nella sua sovranità, è padronissima di decidere diversamente, ma non si può non consentire questo richiamo di carattere storico (che si riferisce a storia molto recente, alla vita del Governo del Comitato di liberazione nazionale); io dico che noi arriveremmo oggi a privare del diritto elettorale quei cittadini ai quali abbiamo riconosciuto il diritto di essere eletti consiglieri comunali o sindaci (Commenti a sinistra), il che rappresenterebbe un contrasto assolutamente inammissibile.

Ripeto, ho il dovere di richiamare l’attenzione dell’Assemblea su queste conseguenze, salvo il diritto dell’Assemblea di decidere sovranamente su questi punti; ma mi pare che io abbia almeno il diritto di sottoporre queste considerazioni al senso di responsabilità degli onorevoli colleghi.

Così lo stesso argomento vale anche per i componenti dei direttori fascisti, di cui parla l’emendamento dell’onorevole Veroni.

Onorevoli colleghi, noi parliamo di componenti del direttorio fascista come parliamo di segretari di fascio, ma ci riferiamo indiscriminatamente a tutto il periodo del regime fascista, cioè a dire anche a chi venti anni fa fu componente di segreteria di fascio o componente di federazione fascista e che poi, esaurita questa carica, non ha esplicato mai nessun’altra attività politica. (Commenti).

Onorevoli colleghi, prego di volere ascoltare quello che sto riferendo. Questi argomenti furono discussi e vagliati in seno al Consiglio dei Ministri, nel Governo in cui erano rappresentati tutti i partiti; se non ricordo male, si stabilì, per esempio, che la sanzione riguardasse unicamente i podestà dei grandi comuni e degli ultimi cinque anni. L’onorevole Gullo può ricordarsi della questione, se ha la memoria più felice di me. Si disse: ma possiamo colpire nella stessa maniera il segretario fascista di un qualsiasi Comune anche di mille abitanti? Con l’emendamento Schiavetti si porta a 10 mila, mentre prima si era parlato di 20 mila.

Per le elezioni della Costituente il Governo unanime fu d’accordo nello stabilire dei criteri più gravi che non fossero stabiliti, per esempio, per le elezioni amministrative, dato il valore non soltanto reale ma simbolico che rappresentava l’elezione della Costituente che doveva essere la Costituente dell’antifascismo; per cui non potevano essere elettori uomini che avevano partecipato in qualche maniera alla responsabilità direttiva del fascismo.

SCHIAVETTI. Dopo l’effetto controproducente dell’amnistia abbiamo il dovere di essere più severi.

SCELBA, Ministro dell’interno. Questo potrà essere un argomento, onorevole Schiavetti.

Torno di nuovo alla discussione. La mia non è che l’esposizione di argomenti non nuovi, che già indussero i Governi passati, nei quali erano rappresentati tutti i partiti, a scartare quelle stesse esclusioni che oggi vengono riproposte. L’emendamento – ripeto – non si potrebbe accettare senza una offesa alla giustizia: nel senso che varrebbero posti sullo stesso piano coloro che furono segretari dei fasci durante la guerra e coloro che lo furono al principio del fascismo, anche per pochi mesi. Vi sono casi di persone che sono state segretari politici o componenti di direttorio di un fascio soltanto quindici giorni o un mese. Non possiamo colpire nella stessa maniera il dirigente fascista durante il periodo della guerra ed il dirigente che lo è stato nel periodo anteriore per quindici giorni e dopo non si è più occupato di politica ma si è interessato soltanto dei propri affari.

Questa, onorevoli colleghi, è la situazione che noi creeremmo. Giudicherà l’Assemblea Costituente se debba o no sancirla. Va considerato inoltre che, accogliendosi l’emendamento Schiavetti, verrebbe tolto oggi il diritto elettorale ad elementi che, per un complesso di leggi, abbiamo lasciati, attraverso le amnistie o le discriminazioni, anche a posti di responsabilità direttiva nel campo della burocrazia o in altri campi. Per esempio, vi è il caso di un alto funzionario dello Stato che fu moschettiere del duce ma che si è ritenuto possa meritare di assumere una funzione direttiva in una amministrazione statale. Si tratta di una designazione fatta non da me, ma da persona assolutamente insospettabile appartenente ai banchi dell’estrema sinistra. Questo cittadino che oggi occupa una certa posizione amministrativa nello Stato fu discriminato: non gli si può negare oggi il diritto di voto, mentre poi egli avrà facoltà di regolare, vigilare e controllare la stessa attività e la stessa funzione elettorale. Si dice: questa è un’accusa contro leggi che sono state approvate. Sarà una accusa, ma è la conseguenza dell’applicazione di quelle leggi delle quali siamo tutti corresponsabili.

A me pare che con l’emendamento Schiavetti non sono state sufficientemente valutate tutte le conseguenze di ordine politico ed amministrativo, tutte le incongruenze che si creerebbero nella nostra vita amministrativa e politica. Io ho il dovere di richiamare l’attenzione dell’Assemblea su queste incongruenze, salvo la decisione dell’Assemblea stessa in un senso o nell’altro.

Quanto ai giornalisti, ricordo che è stata scartata in passato una disposizione che colpisse il giornalismo, salvo che esso abbia assunto forme particolari, come quella di collaborazionismo durante la pseudo repubblica di Salò.

L’emendamento Cosattini è troppo generico.

Chi giudicherebbe ed in quali limiti? Noi attribuiremmo al criterio discrezionale ed anche all’arbitrio di una semplice Commissione elettorale, che può essere rappresentativa di un solo partito, come avviene nei piccoli Comuni, il compito di decidere sul diritto più alto del cittadino. Quali incongruenze, quali sperequazioni, quali ingiustizie concrete potranno manifestarsi?

La disposizione di cui all’emendamento, così come formulata, non offre nessuna garanzia. Noi abbiamo il dovere di colpire; ma abbiamo il dovere di non lasciare all’arbitrio di alcuno di decidere sull’esercizio dei diritti del cittadino.

Volete colpire i giornalisti? Stabilite misure concrete, limiti congrui e giusti, e organi giudicanti che diano garanzia di giustizia e di imparzialità. L’Assemblea non può accettare, a mio giudizio, una formulazione così generica come quella proposta.

Il Governo ha esaminato il problema dei volontari di Spagna. Oggi da tutte le parti si chiede che il provvedimento col quale fu tolta la pensione ai mutilati e agli invalidi della guerra civile di Spagna venga revocato. Dico da tutte le parti. Quando si discusse quel provvedimento si riconobbe che volontari di Spagna ve ne sono stati certamente; ma molto maggiore fu il numero dei combattenti inviati da Mussolini in unità organiche dell’esercito. Mussolini li mandò sotto la formula del volontariato, perché non poteva mandare formazioni regolari dell’esercito italiano a combattere in Spagna. Non so quanti siano i veri volontari; non so chi siano. Ma noi non possiamo non prospettarci le difficoltà obiettive che presenta una discriminazione di questo genere: stabilire se un ufficiale sia partito volontario o come membro d’una formazione organica dell’esercito, comandata a combattere in Spagna.

Prendo l’esempio degli ufficiali di marina. I sottomarini che operavano allora nel Mediterraneo, affondavano navi anche di Paesi coi quali l’Italia non era in guerra! Ebbene, a compiere queste operazioni non è improbabile che sia stato comandato un ufficiale di carriera, senza che questi avesse la possibilità di ribellarsi, perché in quel momento chi dava l’ordine era un rappresentante dei poteri costituiti, e non era possibile sottrarvisi, salvo ad uomini che avessero una fede antifascista decisa e lottassero per questa fede. Mi pare molto difficile creare discriminazioni in questo campo e quindi potere includere nella legge l’emendamento proposto dall’onorevole Lussu, quantunque la finalità da lui perseguita corrisponda ad un senso di giustizia e quantunque tutti condanniamo gli elementi che parteciparono volontariamente alla guerra civile in Spagna. Io vedo insomma, le difficoltà pratiche di concretizzare questa discriminante, perché la situazione obiettiva in cui si svolsero i fatti rende difficile distinguere gli autentici volontari da coloro che eseguirono ordini impartiti dal governo legale.

PRIOLO. Gli ufficiali di complemento venivano interpellati.

SCELBA, Ministro dell’interno. Per quanto riguarda i questori sono d’accordo nell’accettare l’emendamento della Commissione, inteso a colpire tutti i questori nominati dalla pseudo repubblica, non quelli che erano nell’Amministrazione ed esercitavano i loro poteri, a colpire coloro che furono nominati questori per meriti fascisti, che vanno considerati alla stessa stregua di coloro che furono nominati per il medesimo motivo capi delle provincie.

Veniamo ai senatori, l’ultima categoria sulla quale si è polarizzata l’attenzione. In questa categoria rientra un numero molto limitato di persone, e pertanto si tratta soltanto di risolvere un quesito giuridico e di giustizia obiettiva. Può darsi che una difesa di un semplice principio giuridico possa portare ad inconvenienti sul terreno etico e politico; ma la violazione di un principio giuridico fondamentale in uno Stato democratico può essere foriero di ben più vasti pericoli. Qual è il principio giuridico che vogliamo difendere con la nostra proposta di non escludere dall’esercizio del diritto di voto i senatori discriminati per effetto della sentenza della Cassazione? Noi difendiamo il principio della non ammissibilità, in diritto, del criterio del bis in idem. Non possiamo ammettere che sullo stesso fatto si torni a giudicare per la seconda volta, perché è principio basilare dell’ordinamento giuridico italiano e di qualsiasi ordinamento giuridico democratico, che su di un fatto, una volta giudicato, qualunque sia la sentenza, anche se sia errata (tante volte le sentenze lo sono) non è più possibile ritornare con un nuovo giudizio,

CIANCA. Cosa c’entra questo sul piano politico?

VERONI. Ma qui si tratta di un giudizio politico!

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevole Veroni, lei è avvocato e giurista ed è stato anche Sottosegretario per la giustizia; e mi pare che per un avvocato la distinzione della politica dal diritto, quando la politica dovesse violare il diritto, che è la risultante di un ordinamento politico, non possa essere un principio accettabile. C’è un giudizio politico che possiamo dare, se lo possiamo dare, perché non credo spetti alle assemblee parlamentari il giudicare di altre autorità nell’esercizio dei loro poteri sovrani. Possiamo criticare, ma non arrogarci anche questi poteri.

Noi non possiamo, per un giudizio politico e per una valutazione politica, scardinare un principio che è basilare per un ordinamento democratico, perché rappresenta la garanzia del diritto, la legalità, il rispetto della legge, rappresenta una garanzia della democrazia, anche se, nel caso in oggetto, come valutazione politica, noi possiamo essere d’accordo nel dire che la sentenza della Cassazione è stata sbagliata.

Ora, che cosa è avvenuto? La Cassazione ha dichiarato, ed ha ritenuto che questi senatori non siano stati dei collaborazionisti e che nei loro confronti non si siano verificate le condizioni giuridiche stabilite dalla legge, cioè a dire che essi non abbiano concorso a instaurare e a consolidare il regime fascista. Questo è il giudizio della Corte di cassazione, che è il supremo organo giurisdizionale dello Stato, contro il quale non è dato a noi di poter decidere diversamente, anche se possiamo farne una valutazione politica. (Interruzioni e commenti a sinistra).

SCHIAVETTI. La Corte di Cassazione non è entrata nel merito.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ma, onorevoli colleghi, ciò che conta in una decisione non è la motivazione ma il dispositivo. (Interruzioni a sinistra). Vi sono qui molti avvocati i quali mi potranno dire se dal punto di vista giuridico io dica grosse eresie. Può darsi politicamente, ma giuridicamente non mi pare di dire eresie quando affermo che quello che conta è il dispositivo di una sentenza, non la sua motivazione, che può anche essere difettosa. Ora, la valutazione che io faccio delle sentenze della Corte di cassazione è che questi giudicati escludono, in sé e per sé, nel caso in esame, che nei confronti dei senatori discriminati si siano verificate le condizioni che dovevano portare alla loro espulsione dal Senato.

SCHIAVETTI. La Corte di cassazione ha annullato le sentenze di decadenza senza entrare nel merito, esclusivamente per difetto di motivazione. Nel merito dobbiamo entrare noi.

SCELBA, Ministro dell’interno. Vorrei rispondere che anche se la questione stesse in questi termini, non per questo muterebbe il mio avviso in materia, perché noi, onorevoli colleghi, non possiamo escludere dal voto se non quei senatori che da una sentenza sono stati dichiarati in condizione di non potere più far parte del Senato; e non possiamo applicare la stessa disposizione nei confronti dei senatori contro i quali non esiste più una sentenza di questo genere.

Vi è una diversità di criterio e di giudizio, una diversità di posizione giuridica, fra senatori che espressamente furono dichiarati collaborazionisti del fascismo ed altri senatori che non si trovano in queste condizioni, perché nei loro confronti manca una sentenza che accerti il loro collaborazionismo.

Onorevoli colleghi, si tratta di parva materia, di piccola cosa, perché non sarà il voto di 50 o 60 senatori che potrà spostare un qualsiasi esito elettorale. Né con questo noi verremmo meno al principio di colpire i responsabili del fascismo, perché i responsabili del fascismo sono precisati nominativamente dall’Alta Corte, che li ha dichiarati decaduti per essere stati collaborazionisti del regime. Quindi non pregiudichiamo neppure questo principio, mentre con un intervento diverso noi verremmo a violare un principio giuridico fondamentale.

Il Governo insiste pertanto nel chiedere l’approvazione del testo che ha presentato nella sua ultima edizione, con le modificazioni apportate dalla Commissione, che accetta.

Un’ultima parola all’onorevole Fabbri, per quanto riguarda la particolare procedura, prevista dall’articolo 47, per i ricorsi avverso le cancellazioni dalle liste elettorali per i motivi elencati nello stesso articolo. Non ho difficoltà ad accettare le osservazioni dell’onorevole Fabbri, anche perché il suo emendamento sostanziale riprende il testo della vecchia legge in materia di epurazione. Dal momento che la materia dei ricorsi è regolata nella legge, in via generale, da altre disposizioni di carattere obiettivo, accetto l’osservazione e posso, se l’onorevole Fabbri insiste nel suo emendamento, accettare la soppressione, pur non vedendo nessun pregiudizio nel mantenimento della formulazione presentata dal Governo.

GIUA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUA. Onorevoli colleghi, cercherò di comprimere il senso di pena che ho provato per effetto di alcune interruzioni dell’altra parte dell’Assemblea e della esposizione del Ministro dell’interno in merito a questo articolo 47 riguardante l’esclusione dall’elettorato attivo dei responsabili del regime fascista.

Questa Assemblea si è riportata ancora alla questione dell’epurazione e dell’amnistia. Non sono io che debbo difendere la mancata epurazione, né il decreto di amnistia, che ha finito col liberare molti criminali fascisti. Ma a me pare che la mancata epurazione si possa giustificare col fatto che in Italia non vi sono state le condizioni, i mezzi a disposizione dello stesso Governo, per non far morire di fame gran parte dei responsabili della politica del fascismo. Qualcuno anche per il decreto di amnistia può trovare la giustificazione che le carceri italiane non sarebbero state sufficienti per contenere tutti i responsabili del fascismo.

CONDORELLI. A che titolo parla l’onorevole Giua?

PRESIDENTE. Onorevole Giua, lei ha chiesto la parola per una dichiarazione di voto?

GIUA. Farò una dichiarazione di voto, in riferimento soprattutto all’emendamento relativo agli ufficiali volontari della guerra di Spagna.

Volevo dire che, in merito all’esclusione di questi responsabili del fascismo, le giustificazioni addotte dall’onorevole Ministro dell’interno mi pare provochino veramente un senso di pena, perché l’onorevole Ministro dell’interno, il quale non rappresenta solo un Ministero qualsiasi, ma rappresenta anche il più numeroso Gruppo parlamentare alla Costituente, ha voluto trovare giustificazioni che non si possono assolutamente accettare per tali.

Qui noi siamo di fronte ad una sanzione morale e, particolarmente, all’unica sanzione morale che veramente la Costituente possa prendere nei confronti dei responsabili del fascismo.

PRESIDENTE. Permette, onorevole Giua: si limiti ad illustrare l’emendamento che ha presentato insieme con l’onorevole Lussu e che l’onorevole Lussu non ha svolto. La invito a concludere.

GIUA. Insisto nell’affermare che tutti gli emendamenti presentati, ad eccezione di quello dell’onorevole Bencivenga, devono essere approvati dalla Costituente, unicamente per dare al Paese la sensazione che qui non si fanno vendette, ma che semplicemente i costituenti non hanno voluto fare altro che dare sanzioni morali ai responsabili del fascismo: e quella della esclusione dalle liste elettorali è indubbiamente la massima sanzione morale con cui noi siamo in grado di colpirli. Se poi vi sarà, come ha detto poc’anzi l’onorevole Ministro dell’interno, qualche funzionario che è potuto rientrare nel proprio ufficio in virtù dell’amnistia, ebbene, questi potrà almeno essere colpito da questa grave sanzione morale.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Ringrazio l’onorevole Ministro di avere accettato il testo della Commissione e vorrei pregare tutta l’Assemblea di volerlo approvare. La Commissione è convinta infatti, onorevoli colleghi, che esso rappresenti uno sforzo notevole di conciliazione e di giustizia.

Per quanto concerne la questione dei senatori, vorrei chiarire che il testo della Commissione ammette che siano eccettuati dalla esclusione del voto solo i senatori discriminati dall’Alta Corte di giustizia.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Debbo precisare che sarebbe stato perfettamente inutile il chiarimento da me poc’anzi formulato circa il principio giuridico invocato per la questione, ove non si fosse voluto interpretare che io intendevo alludere ai senatori comunque discriminati, ivi compresi quindi quelli giudicati dalla Corte di Cassazione.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà

UBERTI, Relatore. Debbo a mia volta chiarire che su questo punto c’è diversità di pareri tra Commissione e Governo, in quanto la Commissione ritiene che l’Alta Corte di giustizia abbia pronunziato un giudizio di merito laddove la Cassazione ne ha pronunciato soltanto uno di forma.

PATRICOLO. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRICOLO. Constatati l’importanza dell’argomento e l’esiguo numero dei deputati presenti, e soprattutto il desolante e strano deserto sui banchi della Democrazia cristiana, partito di Governo, chiedo che si proceda alla verifica del numero legale.

PRESIDENTE. La verifica del numero legale, come lei m’insegna, onorevole Patricolo, è subordinata alla circostanza che l’Assemblea stia per procedere ad una votazione. Evidentemente, onorevole Patricolo, nessuno ha dichiarato – e doveva essere il Presidente a dichiararlo – che si stava per procedere ad una votazione.

PATRICOLO. Mi perdoni, signor Presidente: è stata implicita la sua dichiarazione che saremmo passati alla votazione, quando ella ha consentito che l’onorevole Giua parlasse per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Forse mi sono espresso male o forse ha interpretato male lei le mie parole. Io ho inteso dire all’onorevole Giua che egli aveva diritto di parlare in due ipotesi: o per svolgere l’emendamento presentato da lui insieme con l’onorevole Lussu, o per fare una dichiarazione di voto; ma non si era ancora in sede di votazione.

Comunque, l’onorevole Patricolo e gli altri colleghi che fanno la domanda di verifica del numero legale avrebbero diritto al suo accoglimento se si passasse alla votazione. Ma data l’ora molto tarda e dato che la votazione importerebbe non poco tempo, possiamo essere tutti d’accordo nel rinviare il seguito della discussione di questo disegno di legge ad altra seduta. Se non vi sono osservazioni in contrario, così rimarrà stabilito:

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per conoscere l’atteggiamento del Governo ed i provvedimenti che esso intende prendere di fronte al pericolo della perdita di gran parte del raccolto agricolo: pericolo che si profila a seguito degli scioperi in corso in Alta Italia che costituiscono una grave minaccia per la produzione e l’alimentazione del Paese.

«Selvaggi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e ì Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’agricoltura e foreste, per conoscere:

1°) se non ritengano opportuno e doveroso esporre innanzi all’Assemblea Costituente ed alla pubblica opinione i precisi termini del dissidio che ha determinato lo sciopero delle maestranze agricole del Nord, con grave minaccia di fare perdere al Paese decine di milioni di quintali di prodotti pronti al raccolto, riso, patate e barbabietole, nonché di compromettere le future semine ed il mantenimento di un ingente patrimonio zootecnico;

2°) se, fatto salvo il diritto di astensione dal lavoro per proclamato sciopero di categorie sindacali, è usato rispetto alla libertà di quanti, a ragione od a torto, condividendo le ansie e preoccupazioni dell’intera Nazione, intendono anteporre l’interesse di questa a quello personale;

3°) se risponde al vero che i motivi i quali hanno determinato l’agitazione esorbitano da un ordinario conflitto di natura sindacale salariale;

4°) quali provvedimenti il Governo ha finora adottato e quali intende adottare per allontanare dal Paese un’altra sciagura;

5°) se ritengono di denunziare alla pubblica opinione le responsabilità del fatto a chiunque esse siano da attribuirsi, elevandosi così al di sopra di ogni competizione di interessi sindacali o politici.

«Miccolis, Rodinò Mario, Rodi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se intenda effettivamente garantire, di fronte alle ripetute aggressioni e intimidazioni a danno di agricoltori e di lavoratori agricoli, l’incolumità personale e la completa libertà del lavoro a tutti coloro che non intendono sottomettersi o partecipare ad uno sciopero, come quello dei braccianti dell’Italia del Nord, che appare chiaramente inspirato ad un meditato disegno politico di sabotare la produzione e di scalzare l’autorità dello Stato.

«Bellavista, Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se nelle trattative in corso col Governo jugoslavo si sia discusso:

  1. a) della restituzione dei motopescherecci italiani sequestrati a causa di un preteso sconfinamento nelle acque territoriali jugoslave;
  2. b) della regolamentazione dell’esercizio della pesca nell’Adriatico, allo scopo di riconoscere ai nostri pescatori i diritti sempre goduti e senza i quali la nostra pesca in Adriatico sarebbe virtualmente resa impossibile.

«Tozzi Condivi».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno, preciserò martedì o mercoledì quando potrò rispondere alle interrogazioni direttemi. Quanto agli argomenti in esse trattati, il Governo si riserva di fare dichiarazioni innanzi all’Assemblea anche non in sede di risposta ad interrogazioni. Interesserò gli altri Ministri interrogati perché facciano sapere al più presto quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle altre interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non creda di comunicare i risultati dell’inchiesta eseguita a carico degli uffici del Genio civile di Cagliari, relativa alla abusiva assegnazione di alloggi ricostruiti; per conoscere, altresì, se e quali adeguati provvedimenti sono stati adottati a carico dei funzionari responsabili e come sia stata possibile la lunga e larga frode senza che gli organi dirigenti e centrali intervenissero.

«Corsi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle poste e telecomunicazioni, per conoscere se intenda riprendere in esame ed emendare le disposizioni relative al riposo festivo degli uffici telegrafici dei comuni rurali sprovvisti di comunicazioni telefoniche.

«È opinione degli interroganti che giustizia e umanità impongono il dovere di non lasciar privi di ogni rapido collegamento con il mondo piccoli centri rurali, in cui possono manifestarsi d’improvviso urgenti esigenze di ordine vario, per le quali non si può attendere ventiquattro o quarantotto ore di tempo e che, se è da convinti cristiani rispettare il riposo festivo, è poco cristiano recare danni e forse lacrime a poveri nuclei umani abbandonati in nome del riposo medesimo.

«All’onorevole Ministro domandano pertanto accorgimenti atti a conciliare i desideri di onesti lavoratori con quelli di modeste collettività. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Sullo, Nobile, Ciampitti, Mannironi, Giordani, Fuschini, Mazza, Bettiol, Fioritto, Vernocchi, Fornara».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere, in rapporto alle distruzioni causate dalla eruzione del Vesuvio del marzo 1944, se intenda:

  1. a) aumentare il contributo statale, disposto con il decreto-legge 14 gennaio 1947, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 marzo 1947, n. 54, dal 59 per cento al 75 per cento;
  2. b) disporre che il contributo sia corrisposto non solo per le costruzioni, ma anche per l’importo del suolo su cui sarà costruito;
  3. c) disporre il risarcimento anche per i danni ai fondi coperti dalla lava e per i mobili distrutti;
  4. d) riaprire il termine, di cui al decreto surrichiamato, per la presentazione delle domande;
  5. e) promuovere l’espropriazione di una zona di terreno, su cui far sorgere il nuovo paese su un piano regolatore preparato dal Genio civile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se e quali provvedimenti siano allo studio circa la corresponsione di un assegno continuativo di assistenza ai privi della vista, secondo le comunicazioni del Ministero in data 30 luglio 1947. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bulloni, Targetti».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle poste e telecomunicazioni, sulla necessità della sollecita istituzione in Reggio Calabria del servizio dei conti correnti postali, dato che attualmente tutta la Calabria dipende dall’ufficio esistente presso la Direzione provinciale delle poste di Catania.

«Ora una tale dipendenza, se poteva essere giustificata molti anni or sono, quando lo sviluppo dei conti correnti postali nelle province calabresi era molto limitato, non trova alcuna ragione d’essere, ma anzi riesce molto dannosa alle categorie commerciali ed a quanti se ne servono per le loro rimesse di denaro e per i loro accreditamenti, oggi, che questo servizio statale è largamente diffuso in tutte le provincie calabresi e specie in quella di Reggio.

«Inoltre l’Ufficio dei conti correnti di Catania è sovraccarico di lavoro.

«L’autonomia siciliana aggiunge, poi, una altra ragione di più alla legittimità della proposta di sganciamento del servizio dei conti correnti postali, interessanti le provincie calabresi, da Catania e per l’istituzione di un ufficio conti correnti presso la Direzione provinciale di Reggio, che, disponendo di una sede degna ed avendo dell’ottimo personale, è benissimo in grado di poterlo accogliere.

«Per convincersi della necessità e dell’opportunità di tale istituzione il Ministero competente non avrà che da dare una occhiata alle cifre, che rappresentano lo sviluppo dei conti correnti postali nella regione calabrese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Priolo».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno inscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 14.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 15 settembre 1947.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica, italiana.

VENERDÌ 12 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXVI.

SEDUTA DI VENERDÌ 12 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Foresi

Congedi:

Presidente

Votazione segreta sul disegno di legge: Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento stipulati a Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 24 novembre 1945:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Rubilli

La Rocca

Di Gloria

Comunicazioni del Governo:

De Gasperi. Presidente del Consiglio dei Ministri

Chiusura della votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Annunzio di trasformazione di una interpellanza in mozione:

Presidente

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Interpellanza con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

FORESI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FORESI. Onorevoli colleghi, se mi fosse stato consentito ieri di essere presente all’inizio della seduta, allorché con pensiero fraterno e gentile gli onorevoli colleghi Tonello e Grilli commemorarono il defunto deputato onorevole Ventavoli, mi sarei volentieri anch’io associato a tale commemorazione. Lorenzo Ventavoli, figlio della Val di Nievole, dedicò tutto se stesso, in giovinezza e nell’età matura, al popolo di questa valle, il quale gli ha tributato le più commosse onoranze.

Figlio di povera gente, prima ancora che sulle pagine dei trattati di sociologia, aveva imparato a difendere gli umili e gli oppressi con la sua esperienza personale, giacché egli era non solo povero ma veramente figlio della miseria, di questo turpe vizio sociale che a volte spinge a molti atti insani nella vita.

Egli amò sempre da lavoratore la causa dei lavoratori; e l’amò non demagogicamente, ma cercando il loro vero bene, inculcando in essi la consapevolezza dei loro diritti ed anche dei loro doveri. Giovanissimo venne in quest’Aula, dove il suo nome già risonava per la difesa che ne fece, durante la XXIV legislatura l’onorevole Filippo Turati, quando Ventavoli, per essere rimasto fedele alle sue idee, venne iniquamente tratto in arresto.

Il fascismo spazzò via Vincenzo Ventavoli dalla vita politica, ed Egli dovette emigrare in Alta Italia, ove visse del proprio lavoro di operaio, di muratore, pur essendo dotato di ben più elevate capacità lavorative. Ma Ventavoli sopportò tutto con senso di assoluta dignità e, quando venne la liberazione, ebbe per tutti il gesto del perdono, e non già quello della recriminazione e della vendetta.

Io conobbi Ventavoli quando, giovanissimo lui e giovane anche io, eravamo candidati della circoscrizione di Pisa e di Livorno. Per quanto io fossi suo avversario politico, rimasi meravigliato e commosso nello scorgere tanta lucentezza di idee in un giovane e modesto lavoratore. Ebbi poi occasione di incontrarmi nuovamente con lui in terra di Val di Nievole dove la Provvidenza mi aveva portato, e l’ho apprezzato ancora, di più e ancora meglio. Egli mi ha avvicinato in una attività che era tanto cara al nostro cuore, e che è tanto cara al mio cuore: quella di difendere le sorti di una cooperativa di lavoratori, degna veramente di questo nome, alla quale egli ha legato la sua memoria.

A nome del popolo di Val di Niévole, a nome di ogni amico o avversario della mia provincia, io mi associo alla commemorazione fatta ieri dai colleghi e prego la Presidenza di far giungere alla Famiglia Ventavoli il nostro commosso fraterno saluto.(Applausi).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Lucifero, Campilli, Tremelloni.

(Sono concessi).

Votazione a scrutinio segreto sul disegno di legge: Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento stipulati a Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 24 novembre 1945.

PRESIDENTE. Come gli onorevoli colleghi ricordano, ieri stabilimmo di rinviare alla seduta odierna la votazione sul disegno di legge per l’approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento stipulati a Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 24 novembre 1945.

Procediamo pertanto alla votazione a scrutinio segreto su questo disegno di legge.

(Segue la votazione).

Le urne resteranno aperte, mentre si proseguirà nello svolgimento dell’ordine del giorno.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Primo iscritto a parlare è l’onorevole Zotta. Non essendo presente, si intende che vi abbia rinunziato.

È iscritto a parlare l’onorevole Rubilli. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Onorevoli colleghi, ritengo che questo capitolo di cui ci occupiamo sia il più importante della nostra Costituzione; anzi, arriverei a dire che rappresenti per se stesso tutta quanta la Costituzione, perché gli Stati liberi, le Nazioni democratiche, poggiano unicamente sulla vita e sull’attività parlamentare.

Anche le disposizioni le quali riflettono i diritti fondamentali del cittadino hanno – credo – un’importanza relativa e più modesta, perché nelle Nazioni democratiche i diritti che riguardano la libertà sono completamente rispettati, quelli che riguardano i rapporti economici e sociali sono rispettati nei limiti del possibile, anche se non sono sanciti nella legge costituzionale, anche se non sono scritti in nessuna legge.

Si è aggiunto qui – è vero – per la nostra Costituzione italiana, un altro argomento che senza dubbio è di grandissima importanza: cioè la riforma regionale. E questa riforma ormai è stata approvata dall’Assemblea, e non se ne parli più! e Dio ce la mandi buona, e possa perdonare i vostri peccati, con i 22-23 Parlamenti che vi proponete di istituire in Italia. Ad ogni modo sarebbero così due gli argomenti di maggiore portata per la nostra Costituzione, e uno dei due è senza dubbio l’argomento di cui oggi discutiamo.

Comincio da qualche osservazione in ordine al Capo dello Stato, poiché ho sentito l’altro giorno dire che non è da approvarsi la forma di elezione stabilita e progettata dalla Commissione e che occorrerebbe che il Capo dello Stato fosse eletto direttamente dal popolo. Certo, è questo un gran concetto; e se fosse possibile, in Italia specialmente, non vi sarebbe difficoltà per attuarlo. Ma credo che in fondo, fino ad un certo punto, vi possa essere una maggiore o minore differenza tra l’una e l’altra forma di elezione, perché si può ben ritenere, anche secondo il progetto della nostra Costituzione, che è proprio il popolo, sia pure in una forma indiretta e per mezzo dei suoi rappresentanti, che elegge il Capo dello Stato. Se, come pare, il Senato sarà elettivo e se concorrono per la elezione tutte e due le Camere con l’aggiunta del Presidente dell’Assemblea regionale, e di un rappresentante del Consiglio regionale, io mi domando che si vuole di più per dire che in fondo il Capo dello Stato è eletto dal popolo? D’altronde, noi non dobbiamo proporci di imitare altri Stati i quali si trovano in condizioni, se non completamente, certo molto diverse. Noi provvediamo ad una Costituzione che riguarda l’Italia, e quindi dobbiamo tener conto di quelle che sono le attuali condizioni dell’Italia nostra. Perciò dobbiamo considerare che i Capi dello Stato, i Presidenti di Repubblica, non sorgono così d’un tratto né si trovano tanto facilmente; e se abbiamo anche presente che veniamo da una triste, però molto lunga, parentesi di più di un ventennio in cui la vita pubblica ed ogni attività politica sono state completamente soffocate, si comprenderà benissimo che non sarà facile, di qua e di là, in una città od in un’altra, trovare se non a stento, attraverso non lievi difficoltà, qualche persona che possa assurgere all’elevatissima carica di Capo dello Stato.

E siccome in questo ambiente parlamentare più che fermarmi su concetti astratti e dottrinari mi piace rimanere sempre sul terreno pratico, io vi ricordo, onorevoli colleghi, quello che si è verificato tra noi quando abbiamo dovuto pensare alla scelta di un Capo provvisorio dello Stato e quello che ebbe a ripetersi allorché correva la voce che il Capo provvisorio dello Stato volesse allontanarsi o dare le sue dimissioni.

Ora, voi ricorderete tutte quante le ansie e le nostre preoccupazioni che rappresentavano, sì, una espressione di omaggio per un uomo che tutti quanti ammiriamo, rispettiamo ed amiamo, ma non celavano anche le grandi difficoltà per la sostituzione e per una nuova scelta di colui che avrebbe potuto prendere il posto di Capo dello Stato. Non sorgevano che quattro o cinque nomi – anche meno di quattro o cinque – e su questi si aggirava una possibile scelta; ma si trattava sempre di uomini che non potrebbero mai sottoporsi ai disagi ed alle fatiche di una elezione che venga dirottamente dal popolo ed obblighi ad un lungo complesso movimento elettorale. Basta adunque il voto di tutti quanti i legittimi rappresentanti del popolo, per affermare che una elezione deriva dal popolo, e che è il popolo intero che acclama il Capo dello Stato, da un punto di vista giuridico e politico insieme, mentre in linea di praticità bisogna pure riconoscere che in Italia specialmente, e nel momento attuale per lo meno, non si può fare diversamente.

Si è detto anche che, secondo la Costituzione, appare scarsa l’attività del Capo dello Stato in materia legislativa, e che, in fondo, si riduce ad una mansione puramente notarile, poiché egli si limiterebbe soltanto a mettere una firma. Ma, insomma, la firma non rappresenta soltanto l’atto materiale di segnare il nome. Il Capo dello Stato, quando appone la sua firma ad una legge, la esamina e la considera; e quindi è un’altra valutazione che si aggiunge a quella delle Camere parlamentari. Del resto, più di questo non potrebbe esservi altro, e non si potrebbe concepire un maggiore intervento da parte del Capo dello Stato in materia legislativa.

Si intende, poi, che la vera e proficua azione di un Presidente nelle varie manifestazioni della vita nazionale dipende più che altro dalle qualità della persona: vi può essere un Capo dello Stato che non si occupi di niente e si limiti solamente a firmare; vi può essere invece un Capo dello Stato, il quale senta il bisogno e specialmente il dovere di ficcare gli occhi dappertutto, anche dove non dovrebbe ficcarli, e di ogni cosa voglia rendersi debito conto per dare opportuni suggerimenti e consigli. Una attività maggiore o minore, scarsa o intensa, dipende dalla sensibilità personale dell’eletto, come del resto si verifica per tutte le cariche politiche.

Non credo, in verità, di fronte alle norme stabilite dal progetto di Costituzione, di aggiungere altro per quel che riguarda il Capo dello Stato.

Qualche considerazione in ordine al Governo.

Si è detto da parecchie parti e con plauso che la nuova Costituzione si è preoccupata molto di circondare di cautele l’eventuale voto di sfiducia. E così si ritiene che si sia risolto un grande problema, purtroppo di assai difficile soluzione; si sia riusciti cioè a garantire più o meno la stabilità del Governo.

Che la Commissione abbia fatto qualcosa al riguardo non lo saprei negare. Ma molto poco in verità, poiché non sono affatto convinto che quello che si è stabilito riesca davvero a produrre quella stabilità che tanto si desidera pel Governo. Riconosco però che nulla si poteva concretare di meglio nel campo legislativo per raggiungere uno scopo che deriva da ben diversi fattori.

Le norme proposte riescono quindi di scarso valore ed in pratica si riveleranno inefficienti o del tutto inattuabili.

In fondo, cosa c’è nel progetto? Che il voto di sfiducia deve venire da una mozione motivata. La motivazione non mancherà mai anche se debba essere scritta e non orale. Inoltre deve essere firmata da un quarto dei componenti di una delle due Camere.

Ora io mi domando: qual è il Governo che in un’Assemblea non ha un quarto di oppositori? Sarebbe una grande fortuna se esistesse un Governo di tal genere, ma forse non esiste nel mondo; tanto meno poi in Italia ho notizia che sia mai esistito un Governo, sia pur forte, o diretto da uomini d’indiscusso valore personale e politico, che non avesse neppure un quarto di oppositori e raggiungesse la quasi unanimità di consensi.

Quindi non sarà certo difficile trovare in una delle Camere un quarto dei componenti che firmino la mozione pel voto di sfiducia ad un Governo. Ed allora che si è concluso di serio? Si può essere così ingenui da credere che con tali mezzucci si possa davvero concorrere a garantire la stabilità del Governo? Ma vi è molto di più e di meglio, si aggiunge, nella Costituzione.

Infatti, una Camera potrà arrivare al voto di sfiducia. Ma sin’ora, con un simile voto, il Governo era obbligato a dimettersi; obbligato, si capisce, fino ad un certo punto, poiché si trattava sempre di una questione di carattere morale e politico, anziché di carattere giuridico; ma certo, secondo la tradizione e le consuetudini, e le norme quasi costantemente seguite, il Governo non poteva fare a meno di rassegnare le sue dimissioni. Adesso le cose possono andare anche diversamente, perché il Governo, se condannato, diremo così in prima istanza, dal voto di sfiducia di una delle due Camere, può produrre appello, può fare una specie di ricorso a sezioni unite, convocando insieme le due Assemblee parlamentari. È bocciato, a mo’ d’esempio, dalla Camera dei deputati? si rivolge anche al Senato dove vede se può racimolare i voti che mancano per formare comunque una maggioranza. Ma questa è teoria non è pratica; si può scrivere in una legge, il che non è difficile, ma non risolve nulla nella realtà. Non riesco a comprendere come mai un Governo possa reggersi e tenersi in piedi, se non ha più appoggio in tutte e due le Camere. Il sussidio di una Camera coi pochi voti racimolati non permette alcun serio funzionamento di fronte all’ostilità dell’altra Camera. Perciò dicevo che si tratta di norme assolutamente inattuabili; questo ricorso a sezioni unite non potrà mai far sì che il Governo acquisti quella stabilità che ha completamente perduta in una delle due Camere. Il Governo è stabile solo se ha una vera, effettiva maggioranza, altrimenti ha perduto qualsiasi autorità, ed anche se non nel senso strettamente giuridico, per tradizione, per buona norma politica deve dimettersi, e non può regolarsi diversamente. I correttivi a cui ora si vuol ricorrere dimostrano ad esuberanza le giuste, gravi preoccupazioni sorte da un pezzo, specialmente in Italia, per questa instabilità deplorevole e produttiva di enormi danni per la Nazione, ma non le elimina e non le attenua affatto.

È inutile farsi illusioni; la stabilità del Governo, onorevoli colleghi, non può dipendere che dal modo come sono costituite le Assemblee. Se voi insistete con il sistema proporzionale, allo scopo di garantire il diritto di ingresso a tutte le minoranze, anche le più piccole – il che se è lodevole, non è poi assolutamente indispensabile – dovete rassegnarvi a subire anche il danno che deriva da questo sistema, e che consiste nell’instabilità del Governo e nell’incertezza di ogni sua attività. Finché permane la proporzionale, mettetevelo in mente, colleghi, non potrete avere che i Governi che si sono succeduti dal 1919 al 1922, non potrete avere che Governi come quelli che abbiamo da qualche anno a questa parte, trascinantisi a stento tra mille difficoltà quotidiane e tra crisi che troppo spesso si succedono. Questo desideravo dire in ordine al Governo, anche per rispondere a coloro che con troppa facilità e con esagerato entusiasmo hanno prestato fede a norme costituzionali prive purtroppo di ogni consistenza pratica e reale.

Una. parola sola su quanto riguarda la sezione relativa alla formazione delle leggi. Mi pare che alcune delle norme proposte non si trovino in sede propria nella legge costituzionale. Per esempio, quelle di mero carattere procedurale, sull’esame e sulla discussione delle leggi, credo che non debbano trovar posto nella Costituzione. Negli Statuti, anche nel nostro Statuto, non vi sono mai state queste norme. Esse, finora, erano più propriamente collocate nel Regolamento della Camera dei deputati e nel Regolamento del Senato: sono principî formali e regolamentari nello stesso tempo. Quindi, quell’articolo 69, più o meno lungo, che si riferisce appunto alle consuete modalità di funzionamento per le Assemblee parlamentari, sarà meglio che venga stralciato dalla legge costituzionale e posto invece in quello che sarà il Regolamento della Camera dei deputati o il Regolamento della Camera dei senatori. Sarà certo che le due Camere dovranno avere ciascuna un proprio Regolamento, e perciò non può dirsi in alcun modo opportuna ora l’approvazione dell’articolo 69, quando non sappiamo nemmeno come sarà formato il Senato e come potrà funzionare, trattandosi di un’Assemblea di nuova istituzione; né d’altra parte si può impedire che anche secondo il modo con cui le due Camere saranno costituite ed organizzate, possano ciascuna nel proprio Regolamento fissare norme procedurali diverse per l’esame e la discussione delle leggi.

Sono poi un po’ perplesso per quello che riguarda la disposizione relativa all’amnistia e all’indulto. Afferma il progetto che all’amnistia e all’indulto debbono provvedere le due Assemblee riunite. Ora, il concetto è giusto, è bello, e mi piace. Quando si tratta di qualche provvedimento individuale come si verifica per la grazia, basterà affidarsi ad altre autorità che esaminino il caso singolo, e provvedano come meglio si richiede. Ma, se oggi le sentenze di assoluzione o di condanna sono pronunciate in nome del popolo, sarà corretto ed opportuno politicamente che anche il popolo, sia pure a mezzo dei suoi rappresentanti, si pronunzi su provvedimenti d’indole generale dovuti a speciali e talora eccezionali contingenze. Soltanto il popolo deve avere facoltà di eliminare o attenuare quelle condanne che in suo nome sarebbero pronunziate o sono state di già pronunziate.

Ripeto che il concetto è bellissimo e lo accetterei senz’altro. Però è pericoloso. Questi decreti di amnistia e d’indulto devono essere mantenuti segretissimi fino alla loro pubblicazione e non è affatto prudente farli conoscere parecchio tempo prima. Io so quello che avveniva quando c’era la consuetudine dei decreti di amnistia e di indulto a data fissa; io so quello che si verificava ad ogni gravidanza, annunciata al quinto mese, della principessa di Piemonte. Era facile notare l’esultanza dei condannati, come non di rado poteva constatarsi una maggiore facilità alla perpetrazione dei delitti. A qualche imputato io talora chiedevo: «Ma, insomma, perché questo piccolo delitto? Perché questa bastonata, questa aggressione che non era proprio giustificata?». Mi si rispondeva: «Adesso sta per venire l’amnistia». Ora, comprenderete il perché della mia preoccupazione. Se un decreto, di amnistia o di indulto dovrà essere deliberato dall’Assemblea Nazionale, i giornali cominceranno ad annunciarlo per lo meno una settimana prima; e poi bisognerà metterlo all’ordine del giorno, e poi non sappiamo quanto tempo si impiegherà per approvarlo. Ed intanto diventa noto e di pubblica ragione che sta per arrivare l’amnistia ed il condono, il che può essere motivo di facile spinta al delitto. Ecco il pericolo che io temo con la norma proposta.

Ora, nella mia indecisione, io sarei, in verità, per decidermi a non fare niente ed a mantenere le cose come stanno. Rinunciamo pure all’idea lodevolissima di vedere pronunciati questi atti di clemenza di larga portata dai rappresentanti del popolo, e diamo maggior peso al pericolo che, in vista dell’amnistia nota innanzi tempo, possa sorgere, quasi di un incoraggiamento non desiderato né voluto al delitto.

Ho pensato però in pari tempo che possa esservi qualche temperamento che dia modo di provvedere a tutte le esigenze cui la Costituzione s’informa. Poiché in fondo l’intervento dei rappresentanti risponde più che ad altro ad un concetto ideale, essendo sempre un decreto di amnistia e di condono preparato dai tecnici, ed in guisa che occorra soltanto un’approvazione, una specie di ratifica da parte dell’Assemblea senza ampio dibattito. Opportune e non difficili modalità concilierebbero il duplice scopo di una formale correttezza politica e democratica con la necessità che sia evitato quel pericolo di cui innanzi ho fatto cenno.

Vorrei quindi pregare la Commissione di esaminare questa possibilità; mantenendo il concetto fissato nella legge costituzionale e dichiarando che un provvedimento di amnistia e condono, preparato ed esaminato dal Governo, sia sottoposto all’approvazione delle due Assemblee, nello stesso giorno in cui è presentato, senza neppure essere annunziato nell’ordine della seduta, ed immediatamente deciso, senza ampie discussioni, che la materia del resto non richiede, dovendosi solo valutare ragioni di maggiore o minore opportunità, per le quali bastano semplici dichiarazioni di voto.

Non so sino a qual punto ciò sia possibile, e mi limito solo a richiamare al riguardo l’attenzione dei componenti della Commissione. Ma, o nel modo che ho proposto o con altro mezzo non sarà poi difficile ottenere che un decreto di amnistia e di condono non si renda troppo prematuramente ed inopportunamente noto.

Premesse queste poche osservazioni qua e là su quello che riguarda il Governo, o il Capo dello Stato o la formazione delle leggi o i provvedimenti di amnistia e di condono, veniamo ora a quella che è la questione più importante: la costituzione del Parlamento.

È per questo appunto, io dicevo, che l’argomento in esame richiede tutta la nostra attenzione, perché la vita parlamentare è per se stessa tutta quanta la democrazia, e con essa si confonde.

Questo è il momento in cui si decide dell’avvenire della Nazione, la quale si poggia nelle sue legittime esigenze di ogni genere sulla bontà e l’efficacia delle leggi che verranno emanate. All’uopo occorre prima di ogni altro che ci occupiamo della istituzione di una seconda Camera, per vedere se ora si riconosca indiscutibile la sua utilità. Io so che di questo si è largamente discusso anche in seno alla Commissione, e vi sono stati pareri in diverso senso. È prevalso in maggioranza il parere di mantenere la seconda Camera, ma debbo pure ricordare che anche qui, nell’ambiente dell’Assemblea, non tutti i pareri siano concordi ed orientati nello stesso senso; difatti, quando io presi la parola in quella che si chiamò discussione generalissima della legge costituzionale, accennai appunto al Senato e dimostrai che così come è congegnato nella legge costituzionale può anche rappresentare una. superfetazione, perché non sarebbe che la riproduzione fedele della Camera dei deputati, con gli stessi partiti più o meno nello stesso numero; quindi non avverrebbe che una inutile ripetizione, ed ogni partito nel Senato si sentirebbe legato al proprio partito della Camera dei deputati, il che porterebbe ad una votazione identica a quella della Camera dei deputati e perciò completamente inutile. Ricordo che allora da questi banchi di sinistra e da molte parti mi si interruppe e si disse: riconosciamo questa inutilità, ed è per ciò che noi non la volevamo e non la vogliamo la seconda Camera.

Qualche giorno dopo parlò l’onorevole Nenni e disse, ricordando quello che io avevo esposto qui in Assemblea: «Forse ha ragione Rubilli; la seconda Camera diventa inutile. Che ne facciamo?».

Credo perciò che non ancora ci siamo completamente intesi sulla utilità, anzi su quella che io credo una necessità della seconda Camera. E questo dissenso, secondo me, può derivare anche dal fatto che noi teniamo, di solito, troppo presente quello che è stato il nostro Senato.

Si sa che rappresentava il vecchio Senato: è stato sempre un organismo molto debole, un organismo di scarsa vitalità e di più scarsa efficacia politica, sebbene costituito da persone per la maggioranza autorevolissime. Gli uomini politici guardavano con diffidenza al Senato, anzi, e sarei quasi per dire, che lo consideravano con una certa ripugnanza. Ognuno preferiva di essere deputato attraverso le elezioni, dopo di aver sostenuto lotte talora accanitissime, ma col conforto, con l’appoggio, con la fiducia dei propri elettori. Nessuno voleva andare al Senato: finché era possibile, preferiva rimanere alla Camera dei deputati.

Il Senato rappresentava una specie di collocamento a riposo; e si sa che al collocamento a riposo ci si rassegna quando proprio la invalidità è completa e non ci permette di fare altro; quindi alla Camera che per lo più si chiamava alta, si arrivava tardi e stanchi.

Ora, s’intende che il Senato, inteso in questo senso, e circondato da un’aureola poco simpatica, destava diffidenze e non era molto apprezzato. Spesso poi la nomina a senatore rappresentava il mezzo per consolare un povero deputato sconfitto, che pure era stato tanto fedele al Governo, fin troppo fedele, e qualche volta per troppa fedeltà sacrificando i suoi sentimenti, e perfino i veri interessi nazionali; veniva quindi aspettato e meritato il premio di consolazione e si andava al Senato. Talora il laticlavio rappresentava una semplice espressione di omaggio, e bisogna riconoscere quasi sempre giustificata, ma con l’effetto di mandare in un’Assemblea politica uomini che di politica non si erano mai occupati e ne erano rimasti sempre lontani, completamente ignorandola.

Vi può essere, per esempio, un uomo più elevato, più grande di Giuseppe Verdi, il Genio italiano nella sua più fulgida, mirabile espressione, che ha commosso tante generazioni nel mondo e che continuerà a commuoverle, le farà esultare, piangere o sorridere per tanti e tanti secoli ancora? Ebbene, nessuno può venir meno al sentimento della più profonda, della più spontanea ammirazione per chi ha tanto onorato l’umanità e non l’Italia soltanto. Ma perché mandarlo al Senato? Che vi andava a fare? Vi erano tanti altri modi e più appropriati, e migliori ancora per esprimergli la venerazione e la gratitudine della Patria!

Non so se sia vero un aneddoto che mi venne riferito, oppure soltanto verosimile, poiché non posso garantirne l’autenticità; mi si disse che in una delle poche volte in cui intervenne ad una seduta, non trovò di meglio da fare che rivestire di note musicali un piccolo diverbio fra due senatori. Questa era la sua vera, la sua grande e nobile missione, l’arte, non la politica.

Ho citato un esempio dei più impressionanti, ma altri ancora e non pochi ne potrei ricordare. Insomma, in virtù di quelle nomine regie, spesso non si sapeva bene se si trattasse di un più o meno onorato collocamento a riposo oppure di un pietoso conforto ad una sconfitta elettorale o anche di qualche cosa che rimanesse incerta tra la carica politica e l’onorificenza.

E poi generali, ammiragli, alti funzionari dello Stato, persone munite di alti titoli nobiliari e di ricco censo, per lo più tutta gente che non brillava troppo per attitudini politiche, di guisa che non di rado sorgevano voci autorevoli invocanti una riforma del Senato.

Si capisce perciò che i Governi solevano trascurare la seconda Camera, e non la temevano affatto; nessuna crisi dalla medesima, per quanto io ricordi, è stata mai provocata.

Il Governo, di cui del resto ben di rado facevano parte e molto limitatamente dei senatori, si preoccupava soltanto della Camera dei deputati che frequentavano e vigilavano assiduamente, mentre al Senato di tanto in tanto apparivano membri del Governo, e spesso di quelli che non erano poi tra i più autorevoli.

Se fosse stato consentito, forse vi sarebbero andati anche soltanto dei Sottosegretari, ma a questi ne era inibito l’accesso; era un modo d’onorare almeno nella forma la Camera Alta.

Sono venute poi le epurazioni, le discriminazioni, le decadenze, le impressioni che si trattasse di un’Assemblea troppo permeata di spirito fascista e di attaccamento al regime; anche questo ha contribuito a lanciare un certo discredito verso il vecchio Senato.

Di simili concetti ed anche assai esagerati, se pure posti su di un fondamento di verità, hanno indubbiamente risentito alcuni uomini politici, e forse anche un poco i componenti della Commissione, per esprimere una certa perplessità sulla creazione di una seconda Camera o sul modo di costituirla.

Ma noi non dobbiamo pensare a quello che era il Senato; noi dobbiamo pensare al Senato che desideriamo, al Senato che vogliamo, quale ente davvero attivo e vitale per l’interesse del Paese. Così, allontanata ogni diffidenza, risulterà chiaro che non bisogna affatto respingere l’idea di ottenere una maggiore valutazione ed un perfezionamento delle leggi, specialmente di quelle più importanti, con una sapiente, oculata collaborazione delle due Camere.

Basterà del resto al riguardo osservare che una seconda Camera esiste in quasi tutte le Nazioni, così in quelle che si trovano in una condizione meno evoluta di fronte a noi, come in quelle che ci eguagliano o anche ci superano per importanza e tradizione politica. Anche questa persistenza dovunque del sistema bicamerale, deve indurci a ritenere che ne sia stata a lungo sperimentata l’utilità.

Conviene adunque soltanto ora preoccuparsi del modo migliore di organizzazione e di funzionamento. Ora, se la seconda Camera deve essere conservata, è assolutamente necessario che ad essa sia conferita la stessa dignità, lo stesso prestigio che ha la Camera dei deputati. Questo concetto mi pare assolutamente fondamentale: che non si venga a creare un Senato cui si possa anche nelle apparenze attribuire una minore importanza; le due Camere debbono essere due entità identiche, sempre però nei rapporti della rispettiva autorità e del rispettivo prestigio.

Ora, a me pare che questo concetto non sia stato seguito dalla Commissione; e perciò dicevo che la Commissione ha potuto forse lasciarsi alquanto impressionare da quegli apprezzamenti cui poc’anzi accennavo, sempre se si vuol tener presente il Senato di un tempo ormai sorpassato. Intanto, se, come abbiamo detto, la Camera Alta deve essere in tutto pari per dignità e prestigio a quella dei deputati, mi pare non vi sia dubbio che uguale ne debba essere anche il numero dei componenti. (Commenti). Perché infatti questo numero dovrebbe essere minore?

Una voce a sinistra. Perché l’Aula è più piccola! (Si ride).

RUBILLI. Bella ragione! Se l’Aula è piccola, andranno magari all’aperto o si troveranno un’altra Aula, o un posto che sia pure capace e decoroso. (Interruzione dell’onorevole Micheli). Ebbene, anche noi nei primi tempi avevamo un’Aula piccola, e tu te ne devi ricordare, caro Micheli.

Avevamo un’Aula assai più piccola di questa e molti di noi stavano in piedi. Vogliamo scherzare un poco, e sia, ma non si opporrà sul serio la difficoltà dell’Aula.

Mentre adunque parto dall’idea di un egual numero di componenti, vedo che mentre per la Camera è stabilito un deputato per ogni 80.000 mila abitanti, per il Senato la proporzione è di uno ogni 200.000 abitanti. (Commenti). Io dico che si potrebbe ridurre pure il numero dei deputati; non vi sarebbe niente di male: i partiti potrebbero essere anche contenti se invece di dieci, ad esempio, mandassero cinque rappresentanti; potrebbero scegliere i migliori: la designazione sarà più oculata. Non so perché vi debbano essere 555 o 556 deputati; diminuitene pure il numero, se volete; l’Assemblea funzionerà lo stesso. Vedete: non funziona bene anche nella seduta odierna, quando non siamo molti poi qui riuniti? Numero ridotto ed Assemblea ugualmente perfetta: il popolo allo stesso modo ben rappresentato anche con una riduzione alla metà in questa Aula, tanto più che è il popolo medesimo che per la maggior parte dovrà eleggere i suoi senatori. Ma se volete mantenere questo numero elevato per i deputati, dovete concederlo anche al Senato. Stabilendo un deputato ogni 80.000 abitanti e un senatore ogni 200.000, avreste un Senato che per il numero dei componenti sarebbe al di sotto della metà della Camera dei deputati. Ritorneremmo così agli antichi inconvenienti, perché senza dubbio l’inferiorità di numero importerebbe una minore considerazione della seconda Camera, la quale influirebbe assai meno della Camera dei deputati, il che non è giusto, nelle vicende della vita e dell’attività parlamentare. Anche di fronte all’azione ed alle decisioni del Governo, quale importanza avrebbe una piccola Assemblea di fronte ad una grande e numerosa Assemblea? Non avrebbe mai la possibilità di determinare un voto di sfiducia efficace o una crisi qualsiasi. È più che sufficiente allora al Governo per mantenersi una buona maggioranza nella Camera dei deputati.

È vero però che vi sono in aggiunta cinque senatori per ogni Regione. Donde e come sia sorta l’idea di questi cinque, davvero non me lo so spiegare. Perché? È un omaggio alla Regione? Una nuova impronta che derivi dal concetto regionale? Non bastava aver fatta una folle riforma con i relativi Parlamenti? I rappresentanti dei Consigli regionali devono intervenire per la nomina del Capo dello Stato; e vada pure; ma che debbano dare anche cinque componenti al Senato per conto loro, non riesco proprio a spiegarmelo. (Commenti). Lo so che tutto quello che riguarda la Regione per voi è sempre giusto e merita la più grande considerazione.

Ma, aggiungendo anche i cinque componenti per ogni Regione, non si arriva che ad un centinaio e si avrà così un Senato che sarà poco più della metà per numero di componenti della Camera dei deputati. Eh no! lo desidero una seconda Camera eguale per numero, per dignità e per prestigio alla prima Camera, a quella dei deputati. Che volete fare? Una Camera ed una cameretta? No, no. Le due Camere devono essere delle stesse dimensioni. (Commenti). Intendiamoci bene adunque prima di ogni altro su questo punto, che pure attiene ad un efficace e valido funzionamento del Senato. Ed allora rimane un problema che riconosco di non agevole soluzione. Come organizzare il Senato? Io ho presentato un ordine del giorno che rappresenta quello che di meglio son riuscito ad escogitare. Trovate voi se vi è possibile altra soluzione più giusta ed opportuna. Ma consideriamo e riflettiamo bene ora che ne è il momento. Perché, se vogliamo un Senato che funzioni con eguale zelo, con eguale efficacia e utilità della Camera dei deputati, dobbiamo stare attenti al modo col quale esso deve essere costituito, sempre informandoci sin quanto e dove è possibile ai concetti fondamentali di una sana democrazia.

Si è rivelato qui per la prima volta in Assemblea, nei discorsi degli oratori precedenti, un nuovo concetto: il concetto delle categorie e delle corporazioni. Finora non se ne era parlato, né mi pare che ve ne sia ampia traccia nei resoconti dei lavori della Commissione, che sono sin troppo voluminosi e rendono tutt’altro che agevole ogni ricerca.

Ma certo, qui in Assemblea è la prima volta che se ne fa cenno. È stato giustamente di già risposto che non vorremmo proprio essere ridotti a riprodurre la Camera dei fasci e delle corporazioni di non lieto ricordo.

Si replica dall’altra parte: e che importa che questa Camera rappresentò una riforma fascista?

Disse ieri uno dei migliori rappresentanti del Partito democristiano, che ho tanto ammirato e col quale tanto mi sono congratulato ieri (e sono lieto che egli sia presente per ripetergli i miei sentimenti con sincerità ed affetto): ma, in fondo, non c’è nulla di male. Se il fascismo ha fatto qualcosa di buono, sol perché l’ha fatto il fascismo lo dobbiamo abolire?

Il suo concetto, dal punto di vista astratto, non è per nulla ingiustificato; dovunque si trovi qualcosa di buono lo dobbiamo prendere.

Ma, amico mio, seppure fosse qualcosa di buono quel Consiglio delle corporazioni, credi pure, collega, ci rassegneremmo ad accettarlo con la più grande amarezza, e sentiremmo lacerarci il cuore. Tu non eri in questa Aula quando venne votata quella riforma, la quale rappresentò la distruzione anche di quegli avanzi, di quelle parvenze che ancora vi erano del glorioso Parlamento italiano! E noi che eravamo qui, a questo posto, onorati di sedere a fianco di Giovanni Giolitti, ascoltammo la sua fiera protesta quando vide che cadeva perfino e completamente il Parlamento italiano. Egli disse che non avrebbe più posto piede in quest’Aula, e difatti andò a morire poco dopo a Cavour. Egli che era stato qui nell’Aula, il più autorevole, il più fiero e formidabile oppositore del fascismo (Commenti a sinistra), quando senti approvare quella riforma, non poté frenare la più viva, coraggiosa, energica pretesta. (Interruzioni a sinistra). È inutile che interrompiate; rimane scolpita nella storia della Nazione a caratteri indelebili quella che si chiamò l’opposizione nell’Aula. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

RUBILLI. In quel momento in cui tutto un saldo e tradizionale orientamento politico spariva, il vecchio piemontese che aveva visto anche gli albori del Parlamento italiano, che aveva vissuto nel Parlamento e per il Parlamento, si senti quasi colpito al cuore, e, come per un destino, chiuse gli occhi alla vita proprio quando si spensero completamente e definitivamente le libere istituzioni parlamentari!

Eppure ad onta dell’età assai inoltrata appariva ancora robusto e vegeto e sarebbe stato in grado di governare e salvare l’Italia se voi lo aveste voluto e se il fascismo non lo avesse sopraffatto per colpe che vennero da ogni parte. Ma lasciamo andare, non ritorniamo al passato! Sarà meglio riprendere l’argomento di cui oggi ci stiamo occupando.

Dunque non c’imponete, per carità, di riprendere in esame proprio quella riforma la quale distrusse il Parlamento, perché ci obblighereste davvero ad un grande sacrificio. E ciò direi anche se quella Camera dei fasci e delle corporazioni potesse meritare plauso e lode. (Interruzione dell’onorevole Clerici).

Ma ditemi, colleghi miei, che cosa fece di buono?

Una voce. Niente.

RUBILLI. È stato un esperimento, sì, ma un esperimento completamente fallito. Né si dica che non poteva far nulla perché viveva in tempi di tirannia; ciò significa che non poteva far nulla nel campo politico, ma nel campo tecnico, economico e sociale, in cui veramente era chiamata a svolgere l’opera sua, avrebbe potuto fare delle buone ed utili leggi. Non ha fatto niente, e niente rimane dell’opera di quel consesso.

Noi potremmo persino sentirci obbligati a vincere ogni senso di legittima ripugnanza se potessimo convincerci che dall’esempio precedente derivi un’esigenza che anche oggi s’imponga pel bene del Paese; ma non ci sentiamo la forza di ripristinare una istituzione, che nella sua breve e confusa esistenza non si è dimostrata affatto utile per l’Italia.

E, d’altronde, mi domando: davvero credete che qui le varie classi sociali non siano rappresentate? Ma qui ci siamo tutti quanti di ogni gradazione, di ogni categoria. Noi rappresentiamo un repertorio ampio e completo.

Una voce. Troppi avvocati!

RUBILLI. Va bene, molti avvocati! Ora vedremo di chi è la colpa. Qui trovate i rappresentanti di tutte le classi sociali. Non mancano né professori, né medici, né avvocati, né industriali, né commercianti. e nemmeno operai o contadini. Chi vi ha detto che i contadini non sono alla Camera? I contadini hanno fatto un partito proprio, si sono presentati alle elezioni per l’Assemblea Costituente; e si presenteranno la prossima volta forse in tutte quante le circoscrizioni. Essi avrebbero qui maggiori rappresentanti senza un errore che non dipese da loro, ma da un disguido postale, perché non solo presentarono liste in più di tre circoscrizioni, ma pensarono anche ad una lista nazionale; e così avrebbero avuto un maggior numero di posti coi resti. La lista nazionale però venne respinta dalla Corte di cassazione per un caso imprevisto; era arrivato tardi il certificato di presentazione di lista in una delle circoscrizioni, e quindi alla scadenza dei termini di rigore non erano completi i documenti richiesti dalla legge.

Ma poi voglio anche dirvi: chi intendete per contadino? Io non intendo per contadino l’uomo politico o il politicante che si mette a capo di un’associazione di contadini. Questi sono dei contadini solo per esigenze ad utilità elettorali, ed assumono una qualità che loro non compete affatto. Per contadino io intendo colui che zappa la terra. Non so veramente fino a qual punto sia proprio indispensabile ed opportuno che colui che zappa la terra sia distratto dalle sue modeste e utilissime mansioni, per venire qui dove si sentirebbe un po’ disperso in questo ambiente parlamentare. Ma, ad ogni modo, che venga! A me pare che la rappresentanza delle varie classi di cittadini sin da ora sia completa; ma se a voi pare diversamente, completatela pure, perché ne avete facile mezzo, senza ricorrere a rinnovare la Camera dei fasci e delle corporazioni, con cui volete imporre ad una Camera nascente, al Senato, un’impronta tutt’altro che di lieto auspicio.

È vero che vi sono troppi avvocati e professori: ma di chi la colpa, mi domandavo poc’anzi? La colpa è di chi comanda in Italia, di chi guida, di chi dirige la Nazione. Chi comanda? Chi guida? Chi dirige? Sono i partiti, oggi. Dunque, essi dovrebbero provvedere. Noi, partiti di minoranza, non possiamo provvedere in nessun modo; perché solo a furia di grandi stenti riusciamo appena a prendere un quoziente, quando, come avviene pur troppo di frequente, il frutto del nostro lavoro non va completamente a beneficio dei resti elettorali.

Non possiamo perciò permetterci il lusso di completare alla Camera la rappresentanza delle varie classi sociali. Voi, grandi partiti, perché mandate troppi avvocati e troppi professori?

Una voce al centro. Ha ragione!

RUBILLI. Perché scegliete solo i professori? Qui, vi ricordate degli operai e dei contadini al solo scopo di impressionare il pubblico, e far colpo sulle masse operaie con semplici, belle parole; ma, quando preparate le liste, non li includete affatto gli operai ed contadini, ad essi non pensate proprio e tanto meno date loro i voti di preferenza; ve li prendete voi, avvocati e professionisti. E voleteche noi provvediamo alla rappresentanza dei contadini? Dovete pensarci voi.

Ma, vi ripeto, non vi prendete troppo fastidio al solo scopo di giustificare una strana idea che vi è sorta, pari all’idea fissa della proporzionale o della regione, State pur tranquilli, le classi sono qui di già al completo, né reclamano una maggiore rappresentanza. Comunque, rimediate come meglio vi pare perché siete ricchi ed esuberanti di mezzi. Voglio suggerirvelo e ripetervelo ancora una volta. Riducete il numero degli avvocati e dei professori e sostituiteli con contadini ed operai; e date ad essi i voti di preferenza. Farete anche buona impressione e dimostrerete la vostra sincerità, mettendo da parte la Camera dei fasci e delle corporazioni ormai tramontata e passata alla storia tra le vicende dolorose dell’Italia.

Ma in una discussione parlamentare non mi sembra opportuno che dobbiamo perderci in vuote astrazioni.

È proprio un criterio pratico e di possibile attuazione quello a cui v’informate? Ed allora, quando avremo il Senato? Oggi non abbiamo categorie organizzate, non abbiamo questi enti, da cui possa uscire la rappresentanza del Senato.

Un collega considera la sua Milano. Milano è una città che tutti vi invidiamo ed ammiriamo. Dico v’invidiamo, ma con sentimenti di simpatia, di affetto e di orgoglio d’italiani.

Ma Milano non è tutta l’Italia. Né il resto dell’Italia è come Milano.

Nel Mezzogiorno non abbiamo organizzazioni sindacali ed enti concreti e solidi in rappresentanza di classi, che possano nominare i componenti del Senato. Bisognerebbe creare simili istituzioni e fare un lavoro piuttosto lungo e complesso. E quanti anni ci vogliono? Quando avremo allora il Senato? Io non lo so. Praticamente adunque il vostro concetto è inattuabile.

Noi siamo già in ritardo con la Camera dei deputati. E pur certo che noi notiamo ovunque un disagio non lieve nel nostro popolo; ed il disagio è determinato senza dubbio dalla guerra; siamo convinti che non sarebbe stato possibile in alcun modo di evitarlo. Ma, onorevoli colleghi, a questo disagio, si aggiunge anche una grande inerzia legislativa, che acuisce ampiamente le non lievi difficoltà in cui il popolo vive. Fra qualche settimana si discuterà una mozione, la quale trae origine, occasione o pretesto da un innegabile disordine nazionale, e comunque ha sempre largo fondamento di verità. Ma vi abbiamo contribuito noi e vi contribuiamo ancora. Non possiamo fare leggi. Non abbiamo fatto niente. Non possiamo prendere provvedimenti di carattere economico e sociale che potrebbero almeno contribuire ad attenuare il malcontento. Abbiamo ritardato troppo. L’Italia, il Paese, aspetta la sua Camera dei deputati ed aspetta, in pari tempo, la seconda Camera, se, come pare, dovrà essere istituita.

Ogni attività legislativa oggi è affidata al Consiglio dei Ministri.

Troppo poco! Ed è anche per questo che il disagio non diminuisce, ma va anzi sempre aumentando in Italia.

Se si dovessero organizzare le categorie e le classi, comprendete benissimo che non arriveremmo mai almeno per ora a dare un Senato al Paese. Ma si dirà: noi vogliamo solamente un’affermazione per l’avvenire. Quello che proponiamo potremo almeno vederlo attuato in seguito, fra sei, otto, dieci anni. Ma che pretendete? Affermazioni, pegni ed ipoteche legislative e politiche a lunga scadenza? E chi lo sa anche tra pochi anni come il     mondo nelle sue alterne varie vicende si sarà trasformato?! Il mondo oggi può cambiare a momenti. Chissà cosa avverrà tra sette od otto anni, chi può dire di essere certo di ciò che potrà avvenire domani?

Pensiamo a quello che dobbiamo fare ora: in seguito avremo tutto il tempo utile per pensare ad ulteriori innovazioni, meglio studiate, meglio preparate dagli avvenimenti che si succedono. Anche accettando il concetto così eloquentemente ed abilmente esposto ieri dal collega Clerici – il cui discorso, ripeto, tanto ammirammo – il problema resta insoluto. Qualunque affermazione astratta ed ideale si voglia fare per l’avvenire, occorre sempre provvedere al modo di costituire il Senato: per ora, almeno per una prima volta, una soluzione ci è imposta immediatamente e non ammette dilazione di sorta, poiché per l’anno prossimo, e non fra cinque, sei, otto anni, il Senato deve esistere e funzionare. Quale adunque potrà essere la soluzione migliore? Un Senato di nomina presidenziale o un Senato con la nomina di componenti chiamati a prendervi parte di diritto? Non mi pare possibile. La prima ipotesi ricorderebbe troppo la nomina regia ed è da scartare: non si adatterebbe alle condizioni moderne ed ai tempi nostri, né risponderebbe a carattere democratico. Un Senato con la nomina di componenti che vi prendono parte di diritto? Sarà possibile in Inghilterra forse, o in altri Paesi dove esistono antiche tradizioni di nomi, di titoli o di famiglie, ma non è possibile fra noi, e poi ricorderebbe troppo il concetto di casta. Non resta adunque che il sistema elettivo; l’espressione anche pel Senato della volontà popolare. Ora si tratta di vedere come questa elezione debba essere disciplinata e quali temperamenti per necessità di cose debba avere.

Io non saprei concepire un Senato – di già l’ho detto a proposito della discussione generalissima, che ho ricordato poco fa – il quale fosse tutto quanto elettivo. Senza dubbio io non credo che sia il caso di fare nomine al Senato, come avveniva prima, solo a titolo di omaggio, di onorificenza e di ossequio al nome delle persone ed al loro ingegno. Ma, d’altra parte, non è possibile trascurare di far tesoro, anche per la vita pubblica, di tante mirabili attività che possono contribuire alla formazione delle leggi ed alla soluzione dei più gravi problemi politici, economici, sociali che interessano la vita del Paese.

E poi non è giusto, anche dal punto di vista giuridico, mettendo da parte le idee di opportunità, che le nomine siano lasciate tutte quante agli uomini di partito e che non si faccia posto anche a chi non è nei partiti. I partiti rappresentano, sì, la forza preponderante in Italia e dominano il Paese: siamo d’accordo. Ma non si può dire che l’Italia sia tutta rappresentala solo dai partiti. Tanta gente vive fuori dei partiti e forse si tratta della maggioranza, in confronto al popolo che è organizzato nei partiti. Io dico: perché questo popolo, pur esuberante, pur degno di ogni riguardo – che non vuole assoggettarsi ad un vincolo e ad una disciplina di partito – non deve vedere che anche dal suo seno siano scelti dei rappresentanti in una grande assemblea politica parlamentare?

Quindi, vi è un criterio di giustizia, a prescindere da legittime esigenze di opportunità e di utilità, che imporrebbe di far sì che una parte dei componenti del Senato sia sottratta alla libera elezione, in cui predomina coi sistemi attuali soltanto il concetto di partito. Vi sono persone in Italia, che sono elevatissime per studi e per qualità superiori di mente, che non si adattano, per il grado o pel carattere o per una forse malintesa dignità, ai comizi pubblici o alle competizioni elettorali. Noi altri ci presentiamo agli elettori, facciamo la nostra propaganda, ma poi compiuto il nostro dovere, vincitori o vinti, eletti o non eletti, mangiamo e dormiamo lo stesso con identica tranquillità a casa nostra; invece gli uomini di grande prestigio, se sono sconfitti, si sentirebbero moralmente annientati. Ora, comprenderete che bisogna pure tener conto di questi caratteri, Di questi sentimenti, che sono anche rispettabili. Ed allora, perché un nucleo di persone, che potrebbero rendersi utili alla Nazione, deve rimanere fuori e ne devono entrare altre non di rado prescelte più che per le loro qualità ed attitudini, per l’incomprensibile capriccio elettorale? Non si altera affatto il concetto di democrazia se una piccola parte del Senato è riservata all’oculata scelta del Presidente, la cui autorità deriva pure da una espressione popolare ed elettorale. Anzi qui potete scegliere un duplice sistema. Io ne ho indicato uno, ma ve ne potrebbe essere qualche altro, purché una piccola parte almeno sia esclusa dal metodo elettivo, ed ho ridotto nel mio ordine del giorno questa parte ad un quarto, riservando agli elettori i tre quarti, cioè la grande maggioranza dei componenti. Vi potrebbe essere, dicevo, anche qualche altro mezzo per raggiungere lo stesso scopo. A me è sembrato che per la piccola parte di cui ho fatto cenno, la nomina da parte del Presidente potesse ben sostituirsi a quella che un tempo era la nomina regia, perché oggi, come era prima il re, il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato.

Altrimenti si potrebbe pure stabilire che i componenti del Senato, cui è riservato il quarto dell’Assemblea, fossero prescelti in determinate categorie e con determinati gradi o titoli. Decidete anche a questo modo, se vi pare. Scegliete il sistema che volete: l’uno o l’altro mezzo, l’uno o l’altro metodo risolve il problema di far partecipare all’attività ed alla vita politica parlamentare italiana anche questi uomini ai quali noi dobbiamo essere grati per il contributo che possono dare per le loro qualità all’avvenire ed al benessere della Nazione.

Restano poi gli altri tre quarti. Per questi, unico mezzo è quello delle elezioni. Non c’è altro. Il dissenso sorge però sul metodo delle elezioni. Perché, vi domando, siamo o non siamo d’accordo che questo Senato debba essere una Camera ugualmente elevata, per prestigio e per dignità, a quella dei deputati? Siamo d’accordo che essa non deve essere una inefficace riproduzione della Camera dei deputati? Ripeto all’uopo per quelli che non erano presenti o l’hanno dimenticato ciò che dissi altra volta. Al Senato andranno tanti socialisti, tanti comunisti e tanti democristiani; a questo punto, il Senato è bell’e formato, l’Assemblea funziona al completo; salvo piccole più o meno imponderabili e non sempre concordi, pattugliette di liberali, qualunquisti o azionisti e forse, perché no? anche con qualche monarchico impenitente.

Ma naturalmente sono sempre tre le forze preponderanti. Ed allora r comunisti, come dissi, legati dalla disciplina di partito, come i socialisti dell’uno e dell’altro Gruppo, come i democristiani, in ogni discussione si riporteranno senz’altro all’atteggiamento tenuto nella Camera dei deputati dai rispettivi rappresentanti del proprio partito, e perciò la legge rimane intatta, come è passata nella prima Camera rimane nella seconda, che perde quindi ogni ragione di essere e diventa davvero inutile. Quale è il modo allora per eliminare questo inconveniente? Dobbiamo escogitare un sistema diverso di organizzazione, che diversifichi il Senato dalla Camera dei deputati.

Un primo mezzo al riguardo è in quel quarto di riserva, e per gli altri tre quarti bisogna preferire il collegio uninominale. L’idea a proposito del Senato non è del tutto mia, sebbene sia un uninominalista convinto, ed abbia sempre all’uopo lottato accanitamente, ma inutilmente. Però, questa volta non ho prescelto io il collegio uninominale e nemmeno Einaudi, che pure è un uninominalista come me. I due discorsi contro la proporzionale alla Consulta sono stati pronunciati da Einaudi e da me. Prima parlai io e poi Einaudi, nella stessa seduta, e si capisce che parlammo invano. Non so se vi sia stato qualche altro. Non lo ricordo. Insomma, la proposta ora pel Senato venne dall’onorevole Togliatti. È stato lui che la fece; però durò una giornata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Fu l’onorevole Grassi.

RUBILLI. Può darsi, non l’ho presente, che l’abbia inoltrata anche il collega Grassi. Comunque la fece sua e la sostenne l’onorevole Togliatti, cui io domando: perché se ne pentì da un giorno all’altro? Che sognò la notte? Si dice che la notte porti consiglio, ma talora porta anche delle cattive idee. Perché mettersi in conflitto con se stesso, ed andare alla Commissione per rinunziare al concetto lodevolissimo del collegio uninominale?

Io non lo so come gli sia venuto in mente. Ad ogni modo la proposta è sua.

TOGLIATTI. Non vi ho rinunziato.

RUBILLl. Io l’ho appresa da lei, l’ho accolta e la faccio mia, riproducendola.

TOGLIATTI. Non vi ho rinunziato ancora.

RUBILLI. Non avevo sentito bene, ma tanto meglio. Ne sono proprio contento. (Si ride). A prescindere da un senso di orgoglio personale, non mi dispiace di vedermi sorretto da un uomo così autorevole per le sue qualità personali e per la sua funzione di capo di uno dei grandi partiti.

Io rispetto gli uomini di tutti i partiti quando valgono. Dove trovo uomini di valore, li ammiro ed apprezzo. Dunque, dicevo, non solo per vedermi sorretto da un uomo di indiscutibile autorità, ma anche per cominciare ad acquistare una piccola speranza che la mia idea sia accreditata ed avvalorata.

RUSSO PEREZ. Esiste anche una sinistra, che siamo noi.

RUBILLLI. Mi rivolgo anche a voi, da una parte e dall’altra. Io qui non rappresento che ben poco. Posso rappresentare me stesso, il che per un ambiente parlamentare non è molto. Quindi faccio appello all’una e all’altra parte e domando di essere appoggiato dai vari settori.

Insomma il collegio uninominale mi pare la migliore idea, ed è sorta spontanea da uomini diversi, non preparata ne organizzata.

Se poi vi fossero delle fobie speciali verso il collegio uninominale, io dico, volgiamo anche lo sguardo, se vi pare, verso lo scrutinio di lista maggioritario. Ma insomma, vogliamo o non vogliamo che il Senato non rappresenti una riproduzione fedele della Camera dei deputati, perché l’opera sua diventerebbe allora inefficace ed inutile?

Su questo punto credo che dobbiamo essere ormai tutti quanti concordi. Ed allora, se è così, non v’è che un mezzo solo: poiché il Senato deve essere sempre per la maggior parte elettivo, occorre un metodo diverso di elezione, quale che sia, di fronte a quello che si segue per la Camera dei deputati. Mi pare ciò assolutamente chiaro ed indiscutibile.

So di avere un poco anche abusato della vostra bontà e cortesia e di essermi troppo attardato nell’esporre i miei concetti; anche per questo non voglio aggiungere altro. Ma si tratta di un argomento grave, su cui è bene che ognuno dica completamente e sinceramente il suo pensiero; in ogni discorso e in ogni parola – quando sgorghi dall’anima e sia pronunziata con libera coscienza – vi può essere una parte di verità.

Onorevoli colleghi! Che cosa volete che vi aggiunga? La mia conclusione è questa. Io comprendo le difficoltà che affrontiamo nel triste periodo che si attraversa, io sento tutto quanto il peso della nostra responsabilità. Nei disagi che la storia ha riservato alla nostra generazione, nelle condizioni attuali, sull’argomento in esame non dobbiamo farci guidare da idee preconcette, dobbiamo mettere da parte ogni competizione di partito: unico deve essere il nostro scopo, il nostro pensiero, unica la nostra mèta, contribuire, in adempimento di un grande dovere, con tutte le forze della nostra intelligenza, a dare all’Italia un Parlamento, come il Paese lo desidera e lo attende, degno delle nostre antiche, alte, gloriose tradizioni politiche e storiche, un Parlamento che sia veramente in grado di garantire gli interessi più vitali della Patria e di sollecitarne ampiamente ed efficacemente la pronta ricostruzione morale e materiale. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole La Rocca. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. Con l’ordinamento della Repubblica, cioè con la struttura dello Stato, e, quindi, con i rapporti fra i poteri, veniamo al fulcro della Costituzione.

E non si vuole, con quest’affermazione, diminuire in alcun modo il pregio e il rilievo di quella parte del testo costituzionale, già approvata, che si riferisce ai diritti e alle libertà dei cittadini e al nuovo indirizzo nel campo economico e sociale.

È stato già osservato, con finezza mentale e con autorità, che il tratto caratteristico, l’impronta veramente originale della nostra Costituzione consiste nel fatto che essa non si restringe a registrare e a sanzionare, per via di norme, il presente, quello che esiste, quello che è stato già conquistato e realizzato, ma accoglie in sé elementi programmatici destinati a servir di guida e di orientamento all’azione futura dello Stato, offre una base giuridica all’attività legislativa di domani, accoglie in germe l’avvenire.

E, da questo punto di vista, il Progetto, nel suo insieme, può dirsi un riflesso della nostra realtà obiettiva, della situazione storica concreta: un riflesso della svolta che attraversiamo, piena di quella lotta dei contrari, degli opposti, come dicono i filosofi, che è l’anima vivente della dialettica, l’essenza dell’evoluzione, della legge generale del divenire: della lotta tra il vecchio e il nuovo, tra ciò che decade, si decompone e muore e ciò che nasce, si forma, si sviluppa.

La Costituzione che, per molti aspetti, sa ancora del passato, ha ancora molte delle sue radici nel passato, apre, tuttavia, una finestra sull’avvenire; vuole, anzi, essere un ponte lanciato verso l’avvenire, per un profondo rinnovamento della struttura della società, più che maturo, non soltanto nel pensiero degli uomini, ma nella materialità delle cose, nelle condizioni obiettive, e necessario alla tutela permanente delle libertà democratiche e della pace, per la consacrazione di principî acquisiti alla coscienza giuridica, politica, sociale del nostro popolo e a cui deve corrispondere un’effettiva realizzazione di nuovi diritti, che, nelle riforme di carattere economico, nella progressiva trasformazione dell’insieme dei rapporti sociali, nel mutamento della base materiale, debbono trovare il terreno per il loro esercizio e la loro sanzione.

Ma che vale enunciare principî, se non si creano gli strumenti e gli organi per attuare queste formulazioni programmatiche?

Una Costituzione, che, difficilmente, è la realtà di un’ideologia, l’applicazione di un sistema filosofico; che è, piuttosto, il frutto delle circostanze, il prodotto dei costumi e di situazioni storiche particolari: una Costituzione, che può non esistere come documento in cui è scritto un dato ordinamento giuridico, ma dev’essere viva nella sua sostanza, come dimostrano la storia di Roma antica e quella dell’Inghilterra dell’età moderna, entrambi questi popoli essendo stati privi, o quasi, di una Costituzione nel senso di un complesso organico di disposizioni concernenti l’ordinamento dello Stato: una Costituzione è, innanzitutto, un piano per il funzionamento degl’istituti: un piano e un binario.

Essa è un diritto, ma è, pure, un insieme istituzionale, un insieme che, nel linguaggio della realtà, si chiama «governo».

La scienza del governo è la scienza politica, che, nei secoli XVIII e XIX, si chiamava Montesquieu, Rousseau, Mably, Constant, Chateaubriand, ecc.

La democrazia moderna ha bisogno di questa scienza politica, la quale non può basarsi, interamente, sulle formule della fine del secolo XVIII o degl’inizi del secolo XIX, che, ormai, non hanno più alcuna realtà sociale, non abbracciano più l’insieme dei fenomeni politici.

Le vecchie teorie costituzionali erano, sopra tutto, teorie giuridiche, fondate sulla logica del diritto.

Oggi, i ritocchi costituzionali non si compiono soltanto con accorgimenti tecnici, ma con un ardimento dottrinale, con contributi nuovi alla scienza politica.

Tutta la parte introduttiva del testo, quella dell’affermazione dei diritti, antichi e nuovi, della proclamazione dei principî, rischia di rimanere lettera morta, un complesso di aspirazioni senz’alba, di propositi senza domani, se la macchina statale ha la ruggine nelle sue ruote, o, peggio, ha dei bastoni nei raggi delle sue ruote. La vita del Paese può essere paralizzata dalle deficienze, dalle manchevolezze degli istituti che siamo chiamati a creare.

E giova ricordare il monito di Constant, che fu, comunque, un amico della libertà.

«Dichiarazioni in favore della sovranità del popolo non oppongono alcuna barriera alle usurpazioni del potere», egli scriveva.

Sono sempre i depositari del potere, legislativo od esecutivo, ad esprimere la volontà del popolo sovrano.

Perciò, è facile a tutti i Governi – e in ispecie ai rappresentativi – quando i diritti individuali non sono garantiti da solide istituzioni, di far volere al preteso sovrano tutto quanto può servire per opprimerlo come suddito, oppure, per la strada opposta, giungere al medesimo risultato, e cioè di opprimerlo come suddito per far sanzionare la sua schiavitù comò sovrano.

Buonaparte diede numerosi esempi di tal genere.

E, avanti di addentrarci nell’analisi degl’istituti, poniamoci una domanda.

L’ordinamento che elaboriamo costituisce o no un passo innanzi sulla via della democrazia, sulla via del progresso, di fronte all’organizzazione sancita nello Statuto albertino?

Per molti o per taluni aspetti, indubbiamente sì: costituisce un passo innanzi.

A parte la forma istituzionale, nella Carta albertina, concessa nel modo che tutti sanno, il monarca era la fonte del potere, la fonte e il depositario del potere: capo dell’esecutivo, di gran parte del legislativo, radice e arbitro del giudiziario, praticamente al rimorchio dell’esecutivo.

E la sovranità popolare?

La sovranità popolare entrava nell’edificio costituzionale per la porta di servizio.

Una conquista realizzata è il rovesciamento della concezione che informava gli articoli 5 e 8 dello Statuto, con il trasferimento di atti di gran rilievo costituzionale dal Capo dello Stato ai rappresentanti del popolo. Altro vantaggio ottenuto è il superamento della nomina dall’alto di un ramo del Parlamento, che esce tutto dal suffragio universale.

E, sotto la specie teorica, alla stregua di uno schema già tracciato in parte da Aristotele, quale sistema adottava lo Statuto, quale forma di governo?

Accoglieva il sistema parlamentare, ma in embrione, in potenza, a traverso la disposizione di un articolo, che stabiliva la responsabilità dei Ministri, del Gabinetto.

L’onorevole Orlando lo ha già notato.

La forma parlamentare si è, poi, affermata nella pratica, nell’attuazione delle norme, per il carattere così detto elastico della Carta albertina: carattere così elastico che non solo ha consentito ai gruppi reazionari dominanti di farsi via via la mano alla dittatura, ma ha accolto il fascismo e gli ha permesso di vivere e di portarci alla rovina.

Nella nuova Costituzione è stato, invece, affermato, nettamente, il principio della sovranità popolare.

«La sovranità appartiene al popolo», è sancito nell’articolo 1, già approvato.

Alla stregua del testo, il popolo, nel quale risiede la sovranità, è la sorgente del potere: l’unica sorgente.

Ma, da questo principio, così chiaramente, solennemente espresso, non si sono tratte le necessarie conseguenze.

Se una (e non frazionabile) è la fonte della sovranità, è assurdo ammettere ed accettare che possano esistere poteri diversi: divisi, distinti o magari opposti.

Il potere non è che uno: quello del popolo; e dal popolo, da cui emana, dev’essere esercitato, nei modi che saranno convenuti.

E qui viene in campo la questione della separazione dei poteri, presentata dai giuristi del secolo XIX come la tutela dei diritti dei cittadini e il baluardo della libertà.

All’Assemblea francese, se ne è discusso, con grande ampiezza.

Conviene dirne qualcosa, rapidamente.

Com’è noto, il principio della separazione dei poteri, già delineato da Aristotele nella sua Politica, ha trovato la sua esposizione più compiuta in Montesquieu, che, ne Lo spirito delle leggi, difendeva, in sostanza, la proprietà.

Montesquieu sosteneva che, in un buon ordinamento statale, è necessario che il potere attribuito ad un’autorità abbia un limite nel potere di un’altra autorità, in modo che un potere arresti l’altro.

Questo principio ha avuto la sua ragion d’essere ed ha adempiuto anche a una funzione progressiva: ha aiutato la libertà a nascere e il cittadino a mettersi in piedi.

Ma, come ogni regola politica, esso ha un valore relativo, poiché è nato e si è sviluppato in condizioni storiche determinate.

Si trattava, alla fine del secolo XVIII, di combattere l’assolutismo monarchico, e bisognava trovar le formule capaci di giustificare la lotta contro il potere assoluto del re.

Si esagerarono le differenze tra le due funzioni naturali del potere politico: quella di definire le norme generali dell’ordinamento, cioè, di elaborare le leggi, e quella di applicare la legge ai casi particolari.

Si giunse così, a una divisione del potere, lasciando al re, o a chi lo rappresentava, al Capo dello Stato, la funzione esecutiva e rimettendo al popolo, per il tramite dei suoi eletti, la funzione legislativa.

In breve, nella tappa di transizione, che condusse dalla monarchia assoluta al regime liberale, il re conservava il potere esecutivo, mentre il potere legislativo s’incarnava nella nazione o in certi elementi privilegiati della nazione.

In fondo, lo scopo principale di molti teorici della separazione era quello d’indebolire il potere, dividendolo; e impedire l’azione arbitraria dello Stato nei riguardi dei cittadini: ciò al tempo in cui l’ufficio dei partiti liberali consisteva nell’opporre all’onnipotenza monarchica, forte del suo passato e delle sue tradizioni, l’idea della libertà.

Tuttavia, a chi guarda le cose con chiarezza, non sfugge l’osservazione di Kelsen: che, dopo Montesquieu, si fece valere la separazione dei poteri, non per spianare la strada alla democrazia, ma piuttosto per conservare, al monarca, eliminato in parte dalla legislazione per effetto del movimento democratico, la possibilità di esercitare un potere proprio nel campo esecutivo.

A ogni modo, la formula rispondeva alle circostanze; e il dogma della separazione fu il nucleo ideologico della monarchia costituzionale: cioè, del compromesso fra il diritto divino e la sovranità popolare.

E informò di sé due regimi principali e taluni altri, intermedi.

Da un lato, come si è detto, la monarchia costituzionale, in cui il re manteneva la funzione esecutiva, e gli eletti del popolo, in generale, esercitavano la funzione legislativa o vi partecipavano; e, dall’altro, nei Paesi dove non esisteva un monarca, come nella Repubblica degli Stati Uniti, il sistema presidenziale, nel quale il popolo elegge direttamente due poteri diversi; e, con due manifestazioni diverse della sua volontà, crea due poteri distinti e separati: da una parte, il presidente, incaricato, sopra tutto, della funzione esecutiva, e, dall’altra, un’assemblea, incaricata della funzione legislativa.

Ma la teoria della separazione, necessaria nelle condizioni storiche della fine del secolo XVIII o degli inizi del XIX, via via che si è allontanata dalle circostanze che la generarono, ha cessato di essere un fattore di progresso, per la ragione che, vinta la battaglia contro i residui dell’assolutismo monarchico, il compito storico della teoria di Montesquieu è ormai esaurito.

Già nel 1848, Un grande repubblicano, Grévy, sosteneva che il mantenimento della separazione dei poteri costituiva «il grande errore politico del nostro tempo».

Si tratta, in sostanza, di un principio superato, artificiale e anacronistico, che tende a rappresentare lo Stato come una sovrapposizione di organi quasi indipendenti gli uni dagli altri e che, pur lavorando alla stessa opera generale, farebbero ciascuno operazioni essenzialmente diverse e avrebbero ciascuno una sfera d’azione propria, dalla quale ogni altro potere sarebbe escluso.

Di là dalle deformazioni, tra filosofiche e giuridiche, che parlano di due poteri, lo studio della realtà politica mostra che esiste solamente una distinzione di funzioni.

La pratica insegna che la separazione dei poteri, concepita in una maniera astratta, è un’impossibilità: che il legislativo e l’esecutivo sono intimamente legati e solidali, formano le due ruote di una stessa macchina e che, se i loro movimenti non si accordano, tutta la macchina non funziona.

Senz’aggiungere che la separazione dei poteri, teoria caratteristica del secolo XVIII, anteriore alla democrazia moderna, si è rivelata, nei fatti, una maledizione: una maledizione per gli uomini della stessa rivoluzione borghese.

Basterà ricordare la Costituzione dell’anno III, quella di Fruttidoro, alla fine del secolo XVIII, e che può dirsi il gradino del dispotismo napoleonico; la Costituzione della seconda Repubblica francese, che consentì il colpo di Stato del 2 dicembre, il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, alla metà del secolo XIX, e la bastarda Costituzione di Weimar, elaborata da dottrinari, con a capo Preuss, che dette modo al Presidente del Reich, padrone dell’esecutivo, di aprire le porte a Hitler e precipitare la Germania nell’abisso.

In tutt’e tre queste circostanze, la frattura tra l’esecutivo e il legislativo permette alla crisi sociale di sboccare nel fango della dittatura: e un regime caporale pianta gli sproni nei fianchi del popolo.

Gli americani, alla luce dell’esperienza, hanno riesaminata la questione, elaborando una teoria più sottile: quella delle bilance e dei contrappesi (checks and balances): con organi del Governo che si equilibrano gli uni con gli altri, collaborano gli uni con gli altri, si controllano gli uni con gli altri e, con questa azione reciproca, somigliando un po’ a quella dei contrappesi, contribuiscono alla armonia del Governo.

Ma, prescindendo dalle nebbie teoriche o da esperienze conformi alle condizioni particolari di altri popoli, la regola di una democrazia non falsa, né bugiarda, deve tendere all’unità del potere.

L’onorevole Ruini, nella sua relazione al progetto, inclina, invece, alla «possibilità di forme molteplici e diverse della sovranità popolare», e, scrivendo che la formula di Montesquieu è solo «in parte superata», sostiene, con… garbo, «quel tessuto costituzionale di ripartizione ed equilibrio dei poteri, che ha costituito una conquista e un presidio di libertà».

In definitiva, egli si rifiuta di trarre le necessarie conclusioni dal riconoscimento del principio della sovranità popolare, agitando lo spettro di un Governo d’Assemblea, nel caso che il potere si concentrasse nel Parlamento, che pure è l’organo di più immediata derivazione dal popolo, e presentando il Gabinetto, il Capo dello Stato o la Magistratura quali commessi e agenti d’esecuzione del legislativo.

L’onorevole Orlando, maestro di diritto, dopo essersi domandato in quale casella teorica, alla stregua dell’elenco aristotelico, dovrebbe essere assegnato l’ordinamento costituzionale della nostra Repubblica, secondo il testo in esame, dice che la Commissione ha inteso di adottare il sistema parlamentare, per contrapposto ai tipi di Governi presidenziale e direttoriale, con disposizioni atte ad assicurare la stabilità dell’azione governativa; ma conclude che, a rigor di termini, l’ordinamento, previsto dal progetto, non costituisce «una forma parlamentare» e meno che mai consolida l’autorità del Governo, rafforza il potere esecutivo.

Nella indagine sui caratteri dell’istituto parlamentare, l’onorevole Orlando afferma: «Intanto, la famosa divisione di poteri», riconoscendo che il sistema tiene distinti il legislativo e l’esecutivo e che le due funzioni, diverse nella loro portata e nel contenuto, «sono affidate ad organi sovrani», cioè, «liberi da ogni gerarchia tra loro, equivalentisi, interferenti»: «tutto un gioco di equilibrio»; principalmente «compartecipazione».

E demolisce il Progetto, mostrando perché, secondo il suo giudizio, gli elementi propri della forma parlamentare non hanno riscontro nel testo: con un Capo dello Stato ridotto a una figura decorativa, escluso dal Parlamento dall’attività legislativa, e sfornito della sanzione, in quanto è chiamato a promulgare le leggi approvate dalle due Camere; con l’Assemblea Nazionale che annulla, di fatto, il sistema bicamerale e realizza il totalitarismo d’Assemblea, crea la Camera unica, che detiene effettivamente tutti i poteri: perché elegge il Capo dello Stato e lo supplisce, delibera la mobilitazione e l’entrata in guerra, l’amnistia e l’indulto, mette in istato d’accusa il Presidente della Repubblica, concede fa fiducia al Governo o gliela nega, nomina i membri della Corte costituzionale: che è, insomma, «il vero fulcro, il centro dell’esercizio della sovranità nella struttura costituzionale», con un Primo Ministro che concentra in sé l’autorità effettiva e «può fare quello che vuole», può essere un dittatore.

Queste, in succo, le critiche dell’onorevole Orlando.

Da parte sua, l’onorevole Nitti, che si attiene al sodo, al concreto, al linguaggio delle cifre e non inclina all’ottimismo e si richiama a Solone per una Costituzione la quale sia «la più pratica e la più conveniente», mostra di ritenere anche lui che l’Assemblea sia onnipotente, notando, però, «una tendenza per cui tutto fa capo al Governo».

In ordine alla struttura dello Stato, il problema fondamentale è quello dei rapporti fra i poteri. Più particolarmente, il nodo della questione è nei rapporti fra il potere legislativo e il potere esecutivo.

In sostanza, i rapporti fra il legislativo e l’esecutivo, il loro grado di separazione e la gerarchia tra loro si trovano alla base della diversa organizzazione dei regimi democratici, che sono frutto di una lunga evoluzione storica.

A differenza del regime presidenziale, che realizza nella maniera più netta la separazione dei poteri, e di quello direttoriale (sul modello svizzero) – caratterizzato dall’esistenza di un esecutivo collegiale, non revocabile per il termine del mandato, e agli ordini del legislativo, di cui è l’espressione – il regime parlamentare rappresenta un insieme complesso: che ha per elemento principale la responsabilità ministeriale, e, pur creando dei poteri distinti, prevede e organizza la loro collaborazione, la loro associazione, il loro accordo: onde la norma della responsabilità politica del Governo, che, per vivere, ha bisogno della fiducia del Parlamento.

Intanto, il principio dell’equilibrio dei poteri, ricordato dall’onorevole Orlando come l’asse del sistema, non esclude la possibilità di una concorrenza o di una rivalità fra loro, anche se Duguit sostiene che il regime parlamentare è costituito essenzialmente sulla base dell’eguaglianza dei due organi dello Stato – il Parlamento e il Governo – e Mirkin-Guetzévitch afferma che, in detto sistema, la lotta tra il legislativo e l’esecutivo non esiste più, in quanto l’esecutivo è l’organo del popolo e la differenza tra il legislativo e l’esecutivo nella loro formazione è unicamente nel grado di formazione: il Parlamento nascendo direttamente dalle elezioni e l’esecutivo uscendo anch’esso dalle elezioni, ma per il tramite della maggioranza parlamentare: cioè, con una scelta di secondo grado.

Qui non mette conto occuparsi dei tipi ibridi di Governo, che riuniscono elementi del regime parlamentare e del regime presidenziale, com’è avvenuto nel caso della Costituzione di Weimar, che fu un ponte gettato sul caos per giungere a qualcosa di peggio della restaurazione monarchica: alla dittatura terroristica del nazismo.

Ora, se la storia, nel suo insieme, è, come riconoscono gli stessi scrittori borghesi, una storia di lotte tra classi che dominano e classi che sono dominate, tra classi che opprimono e classi che sono oppresse (e i risultati di queste lotte costituiscono le varie tappe dell’evoluzione), è lecito affermare, in linea generale, e riferendosi particolarmente, all’epoca moderna, che lo sviluppo dell’organizzazione sociale, come riflesso e riassunto di determinate condizioni storiche, è, nelle sue soste, nei suoi zig-zag e nei suoi progressi, una serie di attriti e di conflitti tra il potere esecutivo e il potere legislativo.

E si tratta di questo: che i gruppi sociali, i quali detengono il potere (economico e politico) non solo mirano a conservarlo, ma a rafforzarlo: e, quando si vedono minacciati nel godimento dei loro privilegi, rompono i patti, calpestano le leggi e ricorrono ad altri mezzi, per tenersi in sella: ricorrono a quei colpi di mano, che poi sono colpi di Stato, e si risolvono col piantare lo scarpone militare sul collo dei popoli: in altri termini, si traducono nella scomparsa del legislativo di fronte all’esecutivo.

Le Nazioni hanno compiuto un’esperienza tragica, al riguardo, e, per giunta, hanno pagato un altissimo prezzo.

Basterebbe ricordare la nascita e il consolidarsi del bonapartismo in Francia, alla fine del secolo XIX, e la nascita e il consolidarsi del fascismo in Italia, in Germania, ecc. nell’altro dopo guerra.

E a che servono, o a che possono servire le più solenni dichiarazioni di diritti, se, a un dato momento, l’esecutivo batte il pugno sul tavolo e mette i fucili all’ordine del giorno, annullando l’arma della critica con la critica delle armi e disponendo che gli stivaloni dei generali passino sulle tavole della legge?

Il Governo deve avere stabilità per assolvere ai suoi compiti, per esercitare la sua azione, per attuare il suo programma: ma il Governo non deve e non può avere mano libera, e tanto meno il modo di sovrapporsi al Paese e spianare la strada ad un ritorno offensivo di quelle forze che già una volta ci hanno trascinati al disastro, e non sono morte.

Il fulcro della questione è nei rapporti tra il legislativo e l’esecutivo.

E lo Stato, detto libero, tanto per buttare polvere negli occhi, è un non senso.

Dal punto di vista letterale, grammaticale, uno Stato libero non è altro che uno Stato libero nei confronti dei cittadini: cioè, uno Stato, con un Governo dispotico.

Tutti sappiamo benissimo che cosa è lo Stato, come e perché nacque e perché dura.

Per la costituzione di un regime veramente democratico, è necessario costruire uno Stato, che non sia più l’organo, lo strumento di dominio di categorie ristrette ed egoistiche, di pochi gruppi di privilegiati, ma diventi lo Stato degli italiani, di tutti gli italiani: lo Stato su cui il popolo che lavora mette finalmente il suo sigillo.

Cominciamo dall’esame della struttura, delle funzioni, dei poteri del Parlamento.

Esso si compone di due Camere: la Camera dei deputati e la Camera dei senatori, che, sebbene non sorgano nel medesimo modo sulla medesima base e presentino, più che una differenza, addirittura una sproporzione nel numero dei loro membri, sono poste dal Progetto sullo stesso piano.

Considerate ognuna in sé e per sé, adempiono allo stesso compito, esercitano la stessa funzione, ristrette ad essere due rami dell’attività legislativa, e sono fornite dello stesso potere, quanto alla formazione delle leggi, con uno stridore manifesto, che si risolve in un danno d’imprevedibile portata per il ritmo della vita nazionale.

Infatti, le due Camere avendo parità di poteri – ove un disegno di legge, approvato dall’una Camera, sia rigettato o non accolto dall’altra, il disegno resta lettera morta, cioè la funzione legislativa è colpita dalla paralisi, è praticamente annientata, distrutta, con la facoltà al Presidente della Repubblica di rinviare la decisione sul conflitto fra le due Camere al giudizio popolare, con un referendum sul disegno non approvato.

In altri termini, da un lato, una sosta, che potrebbe anche somigliare alla morte, nella elaborazione delle leggi e, dall’altro, un’arma tremenda, rilasciata, con una cambiale in bianco, al Capo dello Stato, di indire, in caso di contrasto fra le due Camere, il referendum e provocare continui disordini, gettare il Paese in convulsioni e agitazioni periodiche, che rischiano di mettere, ogni volta, tutto in discussione e in gioco.

E, se l’urto fra i due rami del Parlamento nasce da una questione di secondaria importanza, il male che ne risulta può essere contenuto entro certi limiti.

Ma se il contrasto si afferma sopra argomenti e materia che rappresentano interessi vitali della Nazione, quali conseguenze ne derivano?

Ne deriva, ad esempio, che le riforme di struttura, dettate dalla necessità della marcia progressiva del nostro popolo, sono relegate in soffitta; che l’organizzazione dell’industria, della produzione, del lavoro rimane allo statu quo, con i complessi monopolistici e la ricchezza concentrati nelle mani di una cricca di plutocrati, che si servono del privilegio economico per stabilire la loro egemonia sulla vita del Paese, per farsi ancora una volta arbitri della vita della Nazione: per continuare, da una parte, a opprimere, a sfruttare, ad asservire; per creare, dall’altra, le premesse, economiche e politiche, della rinascita di un passato di miseria e di lutti, con regimi tirannici all’interno e con una politica di brigantaggio nel campo internazionale: passato che dev’essere seppellito, nella fossa comune della storia, senza speranza di resurrezione.

Ne deriva che la riforma agraria che è il centro, il fulcro di quella rivoluzione democratico-borghese che, al tempo del Risorgimento, dette qualche passo innanzi, ma si arrestò, non si svolse, e che, oggi, bisogna compiere e sviluppare in modo conseguente, non si attua e continua ad essere dibattuta in controversie accademiche nelle rassegne e nei giornali.

Ne deriva che la disciplina e il controllo del credito, cioè la tutela dei risparmi dei cittadini e la sorveglianza sulla circolazione della ricchezza, restano una visione d’avvenire.

Ne deriva, insomma, che il rinnovamento democratico, richiesto dalla situazione come il mezzo più efficace per sbarrare la strada ad un nuovo sopravvento delle forze antipopolari e antinazionali, diventa una frase; che la trasformazione nel campo industriale, agrario, bancario, ecc., che non può essere più oltre ritardata e che, sola, garantisca l’esercizio effettivo delle libertà e dei diritti dei cittadini, si muta in un’aspirazione romantica di poeti baciatori di stelle.

Il problema è di una gravità enorme.

Noi siamo in debito verso la storia, per non avere condotta fino in fondo la nostra risoluzione democratico-borghese, per non avere spazzati via i resti di una civiltà decomposta, di un’epoca morta.

La dittatura terroristica del fascismo, che dev’essere considerata l’epilogo, la conclusione della politica seguita dalla casta reazionaria, dominante, non è stato un fenomeno del caso.

L’Italia ha potuto essere il terreno dell’esperimento fascista per una situazione particolare, per il concorso di circostanze particolari. Per il fatto, ad esempio, che, accanto ai vestigi, ai residui della feudalità, con la sopravvivenza del latifondo, si sono via via sviluppati gli elementi del capitalismo più avanzato e tuttavia agonizzante, del capitalismo dei monopoli, dell’imperialismo; per il fatto che è stato possibile ai gruppi più rapaci, più briganteschi del capitale industriale e bancario di stringere, con l’aiuto della monarchia, un’alleanza col capitale agrario, col blocco agrario del Sud e trasformare il Mezzogiorno e le Isole in una colonia di sfruttamento, mantenere gran parte del Paese in condizioni di arretratezza e imbavagliare e coprire di catene tutta la Nazione, e portarla, in definitiva, al disastro.

Gli elementi obiettivi delle condizioni materiali di ieri non sono scomparsi: in taluni circoli si lavora, anzi, e si lotta per conservarli.

Fino a quando una tale situazione non muta, è sempre vivo il pericolo di un ritorno offensivo di quelle forze, che hanno cagionata la rovina del Paese.

Dal punto di vista tecnico, legislativo, il motore di questo profondo rivolgimento economico e sociale, nell’orbita della legalità democratica, non può essere se non il Parlamento.

Ora, il Parlamento, per il modo con cui è stato concepito e organizzato, induce a pensare non al thè troppo caldo da versarsi nella sottocoppa, perché si raffreddi, ossia all’opportunità di una seconda Camera per un più ponderato esame, per una più matura riflessione, soprattutto per un freno agli eccessi e alle passioni di un’Assemblea popolare, secondo il pensiero di Washington e di Jefferson, ricordato dall’onorevole Ruini; ma induce, piuttosto, a pensare ai due cavalli di Franklin, che, mettendosi a tirare in senso opposto, inchiodano il carro legislativo all’immobilità, cioè, condannano la vita nazionale alla stagnazione, alla cachessia.

E, qui, bisognerebbe discorrere dell’organizzazione del Parlamento, del modo di formazione dei suoi organi, del sistema da approvare: unicamerale o bicamerale.

Bismarck ricordava che l’imperatrice Caterina dispose un giorno che fossero poste delle sentinelle a guardia di alcuni fiori bellissimi, spuntati per miracolo in un’aiola dei suoi giardini.

Dopo anni e anni, non restava di quei fiori neppure il ricordo; e le sentinelle continuavano a montar la guardia al luogo deserto, a ciò che non esisteva più.

Così è di tante altre cose nella vita. Si seguita a vegliare sulle cose morte, a custodire i sepolcri scoperchiati e vuoti.

La ragion d’essere delle Camere Alte consisteva nell’impedire il trionfo dei movimenti liberali al tempo delle monarchie, passate dalla tappa dell’assolutismo allo stadio costituzionale.

In altri termini, la seconda Camera era uno strumento nelle mani dell’autorità regia, per imbrigliare l’impeto della volontà popolare.

Già nel secolo XIX, la dottrina democratica è nettamente unicameralista: in Francia, essa si sviluppa sotto il secondo Impero e nel primo periodo della terza repubblica con i discorsi di Goblet, di Naquet, di Clemenceau, e poi, verso la fine del secolo, con le proposte dei radicali, che presentano un disegno di legge per la soppressione del Senato.

Secondo le correnti ideologiche più strettamente legate alle grandi masse popolari, gli argomenti addotti da Siéyès sulla questione sono più che mai validi.

È la teoria della sovranità nazionale, secondo la quale il Parlamento rappresenta la volontà popolare, che non ha bisogno di esprimersi che una volta sola.

Se vi sono due Camere, o queste non hanno sopra un determinato oggetto la medesima opinione, e allora una di esse tradisce la volontà nazionale e la sua esistenza è un male; oppure le due Camere si dimostrano d’accordo, e, in questo caso, la seconda è inutile.

Per venire al concreto: o il Senato esprime la stessa volontà della Camera dei Deputati e non serve a niente; o esprime una volontà diversa, e allora una delle due Camere riflette meno fedelmente dell’altra la volontà del Paese.

Ci sarebbe da aggiungere che se il contrasto fra i due rami del Parlamento si riferisce non al carattere più o meno democratico della loro elezione, ma alla diversità delle persone e ad altri fattori accidentali, il risultato è causa di complicazioni, di confusione e di ritardo.

Da parte dei sostenitori del sistema bicamerale, si oppone invece che la volontà della legge non dev’essere confusa con l’elaborazione della legge, la quale richiede riflessione, maturità, esperienza particolare, preparazione tecnica, ecc.

In definitiva, il grande argomento a sostegno del bicameralismo, è questo: che le leggi debbono passare per il filtro di un minuto, attento, pacato esame e che il dare un solo organo alla formazione e all’espressione della volontà nazionale è un rendere questa formazione e questa espressione troppo subitanea, precipitosa, inconsiderata: onde l’opportunità di doppie e più meditate decisioni, e l’utilità del contributo che può dare, con un nuovo esame, «nella sua diversa composizione e competenza», una seconda Camera.

Questo compito può essere ritenuto ancora utile. Ma non vorrei che si trattasse di altro: di tradurre in pratica politica il pensiero di Hallam: che le assemblee numerose inclinano agli eccessi, con passioni concitate e irresponsabilità collettiva: sì che la democrazia, il regno assoluto della maggioranza, sarebbe il più tirannico degli ordinamenti.

Alcuni bicameralisti dichiarano, infatti, apertamente che un’assemblea unica, eletta a suffragio universale, tende a concentrare in sé tutto il potere dello Stato, a rendere l’esecutivo e il giudiziario suoi servitori, senza possibilità di limiti o di freni: lungo Parlamento o Convenzione, non importa.

Si cita Robespierre, che aspirava ad un Governo costituzionale; si tira in ballo l’autorità di Proudhon, che è autorevole fino ad un certo punto.

La maggioranza, ritenendosi fonte del diritto, affermando, anzi, di costituire il diritto, diventerebbe dispotica.

Di qua, secondo alcuni, la necessità, per la democrazia, di organizzare un centro di resistenza contro il suo prepotere.

È, in ultima analisi, la tesi esposta nel Governo rappresentativo da Stuart Mill, e rimessa più o meno a nuovo.

Impedire che un’assemblea unica possa esercitare la sua volontà, senza il concorso o il controllo di alcun altro.

Stuart Mill scriveva: «In ogni Costituzione dovrebbe esistere un centro di resistenza contro il potere predominante. Di conseguenza, in una Costituzione democratica, occorrerebbe creare un centro di resistenza contro la democrazia».

E, nella concezione del filosofo inglese, questo «centro di resistenza» s’identificava in un «corpo conservatore, inteso a moderare e a regolare «l’influsso democratico», prendendo a modello, per la composizione di detto corpo, che avrebbe dovuto avere, come suoi tratti caratteristici, la saggezza, la competenza e una speciale educazione, l’antico Senato romano, formato, come tutti sanno, dei capi della gente patrizia, e dei consoli, dei censori, dei pretori, degli edili, dei questori, dei tribuni.

Così, da un lato, la Camera dei Deputati, come espressione e rappresentanza del sentimento popolare, e, dall’altro, il merito personale, sperimentato e avvalorato da pubblici servizi reali e confermato dalla pratica, in una Camera di riflessione, chiamata a correggere gli errori del popolo e a contenerne gl’impulsi.

Ma, oltre le difficoltà e gl’inconvenienti di un tale modo d’impostare il problema, già rilevate da Cavour in un articolo sul Senato, Mill e i suoi seguaci tendono a trasportare, nel clima moderno, un sistema che diede i suoi frutti nell’antichità, in altre circostanze e in una diversissima situazione storica: senza notare che il Senato romano, al tempo della Repubblica, se fu un corpo politico di gran rilievo e tra i più importanti finora conosciuti, ebbe, per altro, in una certa misura, un’impronta democratica, perché i suoi membri erano eletti alle cariche pubbliche, da cui derivavano, nei comizi centuriati e tributi e dovevano, pertanto, considerarsi levati al seggio senatoriale dalla fiducia popolare, sia pure con una indicazione di secondo grado, mentre oggi, gli alti posti negli uffici pubblici hanno il crisma del potere esecutivo e una Camera costituita, generalmente, di competenze acquistate nella carriera amministrativa, non sarebbe se non il braccio lungo dell’esecutivo in un ramo del Parlamento, proprio come il vecchio Senato di nomina regia.

Si può osservare: il progetto esclude ogni intervento dell’esecutivo nella formazione della seconda Camera, la quale sorge, come la prima, unicamente sopra una base elettiva, ha, alla sua origine, come la prima, unicamente il suffragio universale.

Dai verbali, foltissimi, della Commissione apparisce chiaramente che si tendeva ad aprire un varco all’influenza dell’esecutivo nella composizione del Senato, destinando un certo numero di nicchie a determinati santoni di gradimento del Capo dello Stato e, perciò, del Capo del Governo, con il pretesto della celebrità.

Da quei verbali risulta pure che della seconda Camera – accolta, in linea di principio, da tutti i partiti, se bene con criteri diversi – si è cercato di fare, sotto la specie della rappresentanza organica delle così dette «forze vive», a base di categorie e d’interessi, una nuova edizione, riveduta e corretta, e, forse, peggiorata, della vecchia Camera corporativa di tipo fascista.

Le due proposte furono respinte, dopo lunghe discussioni, accese controversie e una dura lotta.

Adesso, la tesi della rappresentanza organica, già prospettata in Commissione, ritorna, in un modo o nell’altro, nei discorsi degli onorevoli Codacci Pisanelli e Clerici, e l’onorevole Rubilli, che da poco ha finito di parlare, sostiene l’utilità e la necessità di una parziale nomina della seconda Camera da parte del Capo dello Stato, per consentire ad uomini illustri di partecipare alla vita politica senza esporsi ai fastidî e ai rischi di una campagna elettorale.

Ma, col sistema delle rappresentanze delle categorie – a prescindere dalla sua origine antidemocratica – in pratica, sul terreno concreto, come si farebbe a stabilire il collegio elettorale per la scelta dei candidati? Quali sono le forze e quali sono questi interessi che debbono essere rappresentati? A parte l’argomento che gli interessi sono rappresentati dai partiti (che esprimono e tutelano determinati interessi), poiché si dice: ci possono essere interessi non conglobati nei partiti, bisognerebbe specificare quali essi sono e come si traducono in collegi elettorali. Su quali basi e con quali liste? E non si rischia di cacciare dalla porta di servizio la sovranità popolare che è entrata nell’edificio costituzionale a bandiere spiegate? Noi non ci opponiamo ad alcun modo di formazione della seconda Camera, purché esso abbia una garanzia di democrazia, purché sia rispettato il principio della volontà popolare come unica sorgente di questa formazione e non si operi spostamento artificiale nei rapporti di forza e non si tenda a favorire alcune Categorie a danno di altre.

Con la rappresentanza organica degli interessi, attraverso le categorie, dovrebbe essere soddisfatto il desiderio che tutte le forze siano convogliate: anche quelle che non militano nei partiti. E non si otterrebbe l’intento. Vi sarebbero sempre alcuni che si lamenterebbero di essere stati esclusi. Allora, i lavoratori, i contadini da un lato; e poi? Poi, gli avvocati, gli ingegneri, i medici, gli artigiani, i pensionati, i professori, le industrie, le università, le banche, che per altro sono già largamente rappresentate. Ma, in definitiva, non ci opponiamo a niente, a patto che ogni innovazione abbia il suggello democratico.

Allo stato, la Camera dei senatori è, come già si è detto, sul medesimo piano di quella dei deputati: e la prevalenza numerica della prima Camera sulla seconda può pesare, forse, soltanto nella unione dei due rami del Parlamento in Assemblea Nazionale.

Che cosa dice sulla questione l’onorevole Orlando, che è, indubbiamente, il tecnico più autorevole dell’Assemblea?

Dal punto di vista teorico, egli sostiene che il bicameralismo deve servire a questo: a stabilire un «sistema di equilibrio» con la prima Camera, «per impedire che una Camera sola si attribuisca un potere senza limiti e senza contrappesi».

Mutatis mutandis, è un po’ il concetto di Mill e dei suoi seguaci; ed è, in un certo senso, il compito che Mill assegna alla seconda Camera.

Intanto, nel campo dottrinale, l’onorevole Orlando si discosta dal filo del pensiero politico liberale sull’argomento: da quello di Cavour, per esempio.

Cavour, scrittore, si occupò dell’istituto del Senato, in pagine che, ancora oggi, si leggono con interesse.

Egli scriveva: «Noi non esitiamo a dichiararci fautori dello stabilimento di due Camere legislative: non già per giungere con ciò ad ottenere l’equilibrio dei poteri, ma per assicurare l’azione progressiva e regolare delle nostre istituzioni politiche. L’equilibrio in meccanica indica lo stato d’immobilità, stato che mal si addice alle società moderne, spinte irresistibilmente nelle vie della civiltà: e perciò riputiamo fallace ed erronea la trita metafora, con la quale tanti pubblicisti hanno cercato di provare l’utilità di una seconda Assemblea.

«Gli ordini politici dello Stato debbono essere stabili in vista di un moto continuo, di un non interrotto svolgimento; ma di un moto, di uno svolgimento ordinati e progressivi; e, quindi, riputiamo indispensabile il dividere il potere legislativo fra due assemblee, nell’una delle quali l’elemento popolare, la forza motrice, predomini; mentre nell’altra l’elemento conservatore, coordinatore, eserciti una larga influenza.

«Respingendo l’idea dell’equilibrio, vogliamo costituire la gran macchina politica in modo che l’impulso acceleratore sia combinato con la forza moderatrice; vogliamo, accanto alla molla che spinge, il pendolo che regola e rende il moto uniforme. Ma, per ciò ottenere, non basta scrivere nello Statuto che vi saranno due Camere: bisogna ancora far sì che quella il cui ufficio si è di temperare l’ardore dell’altra possegga una forza intrinseca tale da opporre efficace resistenza alle passioni violente degl’impeti popolari disordinati, alle fazioni incomposte e sovvertitrici dell’ordine».

Ed ecco il punto sul quale tutti i politici e gli scrittori di una determinata corrente si trovano d’accordo: la necessità di una Camera alta, a carattere conservatore, che sia un muro contro le spinte o le intemperanze di un’Assemblea popolare.

L’onorevole Orlando, che, primo fra tutti, vuole la seconda Camera, ma non è contento del modo con cui s’intende istituirla, perché, alla stregua del Progetto, gli pare che sia un «doppione» della prima e, perciò, manchi della «differenza qualitativa», riconosce che la funzione della seconda Camera sta, principalmente, nell’essere un «freno» «contro la temuta onnipotenza dell’altra».

La realtà politica ha un suo linguaggio, non confondibile.

Nei Paesi, dove il parlamentarismo è nato e si è svolto, sia pure con uno spirito e una attuazione diversi, in Inghilterra e in Francia, la seconda Camera è stata, ormai, decapitata, è stata ridotta concretamente a nulla: è diventata un ricordo storico.

Nel Regno Unito, dopo il Parliament act del 1911, non accade di discutere sulla necessità tecnica della Camera dei Lords, che non ha il potere di «frenare» i bills più importanti, e, sopra tutto, i money bills. La Camera dei Lords, che ha avuta tanta parte nello svolgimento della storia inglese, della grandezza nazionale inglese e nella formazione del regime parlamentare, non è più un corpo politico: è una tradizione.

In Francia, il Senato è una Camera consultiva: esprime dei pareri, e non esercita alcun controllo politico sull’esecutivo.

Nell’U.R.S.S., la seconda Camera, tanto per intenderci, ha una fisonomia e un compito particolari: esprime gl’interessi e i bisogni delle varie Nazioni che compongono la grande Repubblica federale; ha, perciò, una sua ragione di essere.

Ma l’onorevole Orlando, per portare acqua al molino del bicameralismo, che, tra parentesi, non ha nulla da vedere col principio del regime parlamentare, interpreta la storia a suo modo, lasciando intendere che, alla luce dell’esperienza, una Camera sola costituisce, oltre tutto, un pericolo o una minaccia per la democrazia.

Egli dice, in sostanza, che il secondo bonapartismo, che chiama il fascismo francese, nacque anche dal fatto che la Costituzione repubblicana del 1848 non creò una seconda Camera.

Questa non è un’accademia e non può essere consentito di stendersi in divagazioni e polemiche di natura storica, anche se di molto interesse.

Qui ci troviamo in sede politica: abbiamo la responsabilità di porre i fondamenti di una democrazia che vogliamo durevole, siamo chiamati a creare un nuovo Stato; ed è opportuno, e giova, chiarire alcuni concetti, di grande portata, anche dal punto di vista pratico, concreto.

Il bonapartismo ha altre radici, al di fuori dell’esistenza o meno del sistema bicamerale. Il suo principale carattere storico è dato dal potere, appoggiato alle baionette, che, cercando di sembrare indipendente dai partiti, manovra tra due forze sociali ostili, che più o meno si controbilanciano; e profitta della lotta politica, giunta al più alto grado di acutezza, per levarsi ad arbitro del destino del Paese e mettersi, praticamente, al servizio di determinati interessi, che sono quelli del capitale.

E sarebbe un grave errore credere che la democrazia escluda il bonapartismo. È precisamente il contrario. Il bonapartismo nasce proprio nel seno della democrazia; come ha mostrato due volte la storia di Francia, come ha confermato, in diverse condizioni, l’esperienza ultima dell’Europa al tempo del nazi-fascismo, quando certi rapporti si stabiliscono tra le classi sociali e il contrasto politico entra in una certa fase.

Chi va a scuola dai fatti e si nutre delle lezioni della storia, sa che il bonapartismo è una forma di Governo che nasce dallo spirito controrivoluzionario di alcuni gruppi della borghesia, in mezzo a riforme democratiche e alla rivoluzione democratica.

Questo conviene rilevare, oggi, in sede di Assemblea.

La creazione o meno di una seconda Camera non entra in alcun modo nella questione del sorgere e dell’affermarsi del bonapartismo.

Del resto, proprio la Convenzione, tanto temuta e calunniata, dette il primo passo verso il sistema bicamerale, assicurando alle decisioni del legislatore il vaglio successivo di due Camere, sia pure in posizione diversa, cioè con diversa potestà.

Ma i due Consigli legislativi non impedirono il 18 brumaio del generale Bonaparte, che si levò, con la frusta e con i cannoni, sulla separazione e sull’equilibrio dei poteri, posti rigorosamente a base della Costituzione del 5 fruttidoro.

Il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, a proposito della unicameralità o della bicameralità, sembra perseguitato dal fantasma della Convenzione che, pure, compì un’opera grandiosa: proclamò la Repubblica; istituì il suffragio universale; batté, con eserciti improvvisati, l’Europa reazionaria e monarchica, coalizzata contro l’Ottantanove; salvò la Francia e la civiltà borghese dalla corda di Brunswick, che si avvicinava a Parigi con la forca «in fronte alle sue schiere» e minacciava d’impiccare mezzo mondo.

Egli teme sempre che si possa scivolare sul piano inclinato del Governo d’Assemblea.

In realtà, questo Governo non lo vuole né lo propone nessuno: e, tanto meno, lo abbiamo prospettato o sostenuto noi.

Ma non mi sembra che si debba averne tanta paura, come se si trattasse della porta dell’inferno.

Il Governo d’Assemblea non è, nel suo principio, essenzialmente diverso dal Governo parlamentare.

In concreto, sia nel Governo d’Assemblea che nel Governo parlamentare, il Gabinetto, che costituisce il Governo nel senso stretto della parola, ha bisogno, per vivere, della fiducia del Parlamento.

È questo il tratto caratteristico che distingue il Governo parlamentare e il Governo d’Assemblea dal Governo presidenziale e da quello direttoriale, che fanno eleggere il Gabinetto per una durata fissa.

Il Governo d’Assemblea, che rappresenta un tipo particolare del regime parlamentare (alcuni pubblicisti scrivono: una specie di alterazione di detto regime), ha una sua concezione della funzione dell’esecutivo e del legislativo.

Mentre il Governo parlamentare classico, che ha il suo modello nel Gabinetto inglese, richiede un esecutivo forte, armato del diritto di scioglimento delle Camere, che dirige il Parlamento, che ha l’alta mano sul lavoro legislativo ed è, in pratica, il motore dello Stato; il Governo detto «convenzionale», in una posizione subordinata di fronte al l’Assemblea, tende a concentrare nel Parlamento l’iniziativa e la responsabilità, a rendere il controllo parlamentare incessante e rigoroso, in breve, a dare al Parlamento, oltre la supremazia giuridica, la supremazia funzionale.

E non lo dico io. Riassumo, fedelmente, il pensiero di un tecnico di chiara fama: del francese Giraud, che non può essere considerato un giacobino sovvertitore e neanche uno scrittole d’avanguardia.

In linea di principio, non mi pare che una tale concezione significhi dare calci alla democrazia: o abbassarla, degradarla, corromperla.

Da noi, lo stesso onorevole Mortati, che è da ritenersi uno scolastico ortodosso del diritto costituzionale, ammette che il Governo d’Assemblea, se ha un posto a sé e un carattere suo proprio per la fissità di durata, data la mancanza della podestà di scioglimento, rientra nel tipo parlamentare, «per la necessità del costante accordo fra il Parlamento e il Governo e della compenetrazione fra i due poteri».

Il nocciolo del problema, che è il nocciolo della scienza politica, sta qui: nei vitali rapporti fra il Parlamento e il Governo, tra il legislativo e l’esecutivo, che il sistema, nel suo fondamento, tiene separati e distinti, assegnando i due poteri ad organi sovrani di legislazione e di esecuzione, i quali, pure compenetrandosi e controllandosi, possono essere contrastanti.

Tra i due, chi ha la prevalenza?

Questo è il punto.

Abbiamo, dunque, due Camere, con eguale potestà, che si attua e si esaurisce nel momento solenne della formazione della legge.

Sul piano politico, oltre un’azione di critica o un controllo in senso generale, esse, come organi distinti, non possono, in concreto, nulla.

Il voto contrario di una Camera non determina le dimissioni del Ministero, che, alla stregua del progetto, rimane in carica, se vuole, non ostante sia stato posto in minoranza in un ramo del Parlamento; e si presenta all’Assemblea nazionale, cioè alle due Camere riunite, per la fiducia o la sfiducia.

Ed ecco una prima questione da risolvere.

Accettato, in via di massima, il sistema bicamerale, la cui necessità è presentata dalla maggioranza dei teorici del diritto costituzionale come un dogma per il buon funzionamento del regime parlamentare; ammesso che, contrariamente alla tesi di Siéyès, non esiste, sopra ogni argomento, minimo o importante, semplice o complesso, una netta e precisa volontà nazionale che il Parlamento debba tradurre in articoli di legge; che, tra le diverse soluzioni possibili di un problema politico, e, sopra tutto, fra le numerose modalità di una stessa soluzione, non vi è, necessariamente, una scelta sola e mette conto studiare e discutere, prima di decidere, la opinione di una seconda Camera che, per effetto di circostanze diverse e per la competenza specifica dei suoi membri, può avere una reale efficacia.

Accettato e ammesso tutto questo, giova mantenere le due Camere sopra un piede di eguaglianza assoluta, secondo il progetto, con le conseguenze che ne derivano di eventuali dissidi insanabili nel Parlamento, di una probabile anchilosi o impotenza della funzione legislativa, di continui interventi del popolo, nel suo insieme, per una pronunzia diretta sulla materia controversa; o non conviene piuttosto limitare, entro certi limiti, la parità giuridica nei confronti dell’attività legislativa, o anche dell’attività d’indirizzo politico generale, e accogliere il principio della prevalenza di una Camera sull’altra? E, nella specie, della più numerosa su quella più ristretta, in determinati casi, per determinate materie e subordinatamente al verificarsi di determinate circostanze (riesame, cioè rinnovo di deliberazione con maggioranza speciale, decorso di tempo, ecc.), come avviene in quasi tutta l’Europa continentale, dove la seconda Camera è un che di mezzo fra la tradizione e la superstizione, come si praticava, del resto, anche in Italia, vigente lo Statuto albertino, ritenendosi dai nostri parlamentari che il Senato fosse incompetente a qualsiasi iniziativa in materia finanziaria e dovesse, in ultima analisi, passare in secondo piano di fronte alle deliberazioni prese dalla Camera dei Deputati.

Lo stesso onorevole Ruini inclina a desiderare una certa prevalenza dell’una Camera sull’altra, da collocarsi in una giusta inquadratura costituzionale.

Una seconda questione, e di grande importanza, è quella della composizione della Camera dei senatori.

Ed è chiaro che il modo con cui questa Camera sarà formata, eserciterà una notevole influenza sulla soluzione del tema della parità, intiera o limitata, dei due organi legislativi.

L’onorevole Orlando afferma che il problema di maggior rilievo nei riguardi della Camera dei Senatori è d’istituirla «in maniera diversa» da quella dei deputati; che, ove la seconda Camera dovesse essere, nella sua costituzione, un duplicato della prima, «sarebbe inutile farne due»: e aggiunge che, nelle condizioni organizzative fissate dal progetto, egli, bicameralista convinto, è quasi indotto a rinunciare a una seconda Camera che, su per giù, è la stessa dell’altra.

Ma, relativamente ai modi di formazione della seconda Camera, di cui il diritto comparato dà un ampio schema, respinto il criterio di una nomina, anche parziale, da parte del Capo dello Stato o della Camera dei deputati o per cooptazione della stessa Camera dei Senatori; esclusa, nettamente, la possibilità di nomina per ereditarietà, per appartenenza a dati uffici, per il possesso di determinati requisiti, ecc., anche se, nello stabilire le categorie degli eleggibili, non si è peccato di soverchia fedeltà alla democrazia e si è ristretta la sfera dell’elettorato passivo a strati sociali in cui si vede riapparire il sistema del censo; riconosciuto e affermato il principio che la seconda Camera deve rappresentare, come la prima, l’emanazione della sovranità popolare, dev’essere democraticamente espressa dal popolo e non deve tendere a correggere o a spostare, in una qualsiasi maniera, il risultato del suffragio universale; posto tutto ciò, appare evidente la difficoltà, e l’impossibilità, forse, di costituire due Camere che, se non sono fatte proprio con il medesimo stampo, risultino profondamente o radicalmente differenziate.

Al riguardo, quale fu l’orientamento di Cavour? quale posizione egli prese, nella discussione sull’argomento, al tempo della preparazione della Carta albertina? quale direttiva egli diede agli uomini di parte sua, anche se l’eredità da lui lasciata sulla questione non è stata raccolta, e si è via via coperta di muffa?

In primo luogo, egli ammetteva, esplicitamente, che il sistema elettivo, per la formazione della seconda Camera, era «il solo razionale, il solo opportuno», anche nelle condizioni dell’Italia di allora.

E continuava: «Perché due Camere popolari? Perché creare due istituzioni identiche, destinate a concorrere al medesimo scopo? È questo un accrescere le complicazioni del meccanismo costituzionale, senza renderlo più regolare e più perfetto; è un aumentare le difficoltà di governare, senza rendere il potere più solido, le libertà popolari più estese».

Qui, come si vede, Cavour riconosceva che il bicameralismo, contrariamente alle affermazioni di taluni ideologi, i quali lo propugnano per garantire stabilità al Governo, ecc., non rafforza la potenza del legislativo, non snellisce la macchina statale e non ne accresce il rendimento; che un potere concentrato in un solo organo ha, in generale, maggior vigore e che le decisioni sono prese molto più rapidamente e facilmente da una assemblea che da due.

Ma, accennato al solito argomento, cioè, al vantaggio di sottoporre le disposizioni legislative a una duplice discussione in assemblee distinte, a patto che il modo di elezione delle due Camere non sia identico, concludeva: «Noi crediamo facile il costituire una seconda Camera, animata da un istinto conservatore bastevole a porre un argine efficace agli impulsi talvolta eccessivi della Camera dei deputati, senza costituire un corpo elettorale privilegiato: e ciò soltanto con l’imporre ai candidati alcune condizioni di eleggibilità e col variare la composizione dei collegi elettorali e con l’aumentare la durata del mandato dell’eletto».

Ecco l’opinione di Cavour sulla seconda Camera.

Tale opinione, a parte il termine più lungo del mandato, da rigettarsi per varie ragioni: per non appesantire ulteriormente il procedimento legislativo, già lento e farraginoso, e non mettere altri germi di dissidi e di pericoli in un bicameralismo spurio; tale opinione si ritrova, grosso modo, alla base delle decisioni della Commissione.

In buona sostanza, una prima differenza tra le due Camere c’è, per la diversità dell’elettorato e dell’eleggibilità.

Tutti gli elettori, che hanno compiuto i venticinque anni, sono eleggibili a deputati, ma non a senatori.

Inoltre il diritto attivo di voto per la composizione della seconda Camera non può essere esercitato col raggiungimento della maggiore età, ma è limitato agli elettori che hanno superato i venticinque anni.

È sodisfatto, per questa via, il desiderio di coloro che, ritenendo la bicameralità un assioma di diritto pubblico, attribuiscono alla seconda Camera una funzione ritardatrice della procedura legislativa per una più meditata valutazione della convenienza politica delle leggi e per una migliore formulazione tecnica, con una selezione dell’elettorato attivo e passivo: con un maggior senso di responsabilità e di maturità nel corpo elettorale, fornito dall’età, e con la presunzione di una capacità politica, amministrativa e tecnica negli eleggibili, ristretti, secondo il progetto, a talune categorie, che bisognerà rivedere e allargare, allo scopo di consentire agli esponenti delle classi lavoratrici di essere inclusi nelle liste e partecipare alla lotta.

Poi, c’è la rappresentanza regionale: cioè il terzo dei senatori riservato all’elezione dei Consigli per dare alla seconda Camera un’impronta regionale, in rapporto alla nuova struttura introdotta in Italia con la creazione dell’ente Regione.

Per l’onorevole Orlando, questo è molto poco, o non è nulla.

Ma, a voler mantenere in piedi il sistema bicamerale e differenziare in una qualche misura i due organi legislativi, non è possibile fare di più e andare oltre, a meno che, per il modo di formazione della seconda Camera, non si voglia ricorrere a mezzi di scelta non legati all’elezione diretta da parte del corpo elettorale; alla nomina dall’alto, o per coaptazione, o su designazione di collegi speciali, o per l’appartenenza a dati uffici, o per il possesso di date competenze, o per la copertura di certe cariche o per la espressione d’interessi che, si dice, rimarrebbero compressi o confusi con altre forme di rappresentanza, ecc., ipotesi da scartarsi tutte, senz’altro.

Infine, la differenza della seconda Camera dalla prima deve consistere, secondo il criterio dello stesso Cavour, in un diverso modo di reclutamento dei due rami del Parlamento: cioè, in una diversità del sistema elettorale e della composizione dei collegi.

E questo obiettivo potrebbe essere raggiunto, per esempio, con l’adozione del collegio uninominale per la elezione dei senatori.

Per questa via sarebbero forse soddisfatte tutte le aspirazioni: una seconda Camera, come rappresentanza del merito personale, delle qualità, della competenza, della cultura, ecc., anche come valorizzatrice dell’individuo. Ebbene, il collegio uninominale permette al corpo elettorale di fermarsi pure sulla capacità, sulle virtù dell’uomo; vi sarebbe la scelta dell’individuo, con un vaglio democraticamente compiuto. Da un lato, quindi, la differenza qualitativa nella composizione dei membri e, dall’altro, la origine dal suffragio, con un altro sistema di elezione, che avrebbe un gran peso sul piano politico, perché consentirebbe un rinnovamento parziale, nel corso della legislatura, che la proporzionale, per il suo meccanismo, esclude, e darebbe modo di saggiare qua e là la pubblica opinione, di tentarne il polso, di conoscerne gli umori: il che ha un’importanza grandissima in Inghilterra e determina, con gli spostamenti parziali nei collegi, la caduta dei Ministeri, che tuttavia hanno sempre la maggioranza ai Comuni.

Accettazione, dunque, del bicameralismo, non ostante un’opposizione iniziale di principio; ma nessuna concessione ad argomenti artificiali, come quelli di freno, di equilibrio e via di seguito della Camera dei senatori all’opera dell’altra Camera, ed esigenza del rispetto del principio democratico, conseguente, sul terreno parlamentare.

Per la compiutezza dell’esposizione, oltre una critica dettagliata al procedimento per la formazione e l’applicazione delle leggi, pieno d’intoppi, di soste, d’intralci, con proposte e rigetti, con studi di Commissioni e possibilità di dissensi fra le due Camere, con rinvii al popolo e sospensive da parte del popolo, ecc., sarebbe necessario parlare dell’iniziativa legislativa, attribuita, forse, a troppe fonti, come nota l’onorevole Orlando, e dell’istituto del referendum, nuovo nella vita costituzionale italiana, destinato ad aprir la via a una manifestazione diretta della sovranità popolare come base dell’edificio democratico, a dar modo al popolo di funzionare nel sistema quale ultima istanza; ma di cui non è opportuno abusare, perché il referendum, da misura democratica, non rischi di convertirsi in una misura antidemocratica, permettendo anche a una minoranza esigua di adoperare quest’arma o d’inforcare questo cavallo, per attraversare, ritardare o impedire in parte l’attività legislativa, come osservò l’onorevole Togliatti in sede di Commissione.

Ma di tali argomenti si potrà discorrere particolarmente quando si passerà all’approvazione dei singoli articoli, con proposte di emendamenti.

La questione fondamentale, ora, è quella dei rapporti fra Parlamento e Governo.

Il nodo è qui. È qui l’essenza della vita politica del Paese: e alla stregua dell’organizzazione di questi rapporti e del funzionamento dei vari organi, legislativi ed esecutivi, si attua o non si attua la sovranità popolare.

L’onorevole Orlando, dopo aver ricordato, tra le dichiarazioni di principio, di tendenza approvate dalla Commissione, l’ordine del giorno Perassi «per l’adozione del sistema parlamentare, da disciplinarsi, tuttavia, con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo», sostiene che la forma prescelta nello schema in esame, contrapposta, evidentemente, da un lato, alla Repubblica presidenziale e, dall’altro, a quella direttoriale, ha la facciata, l’apparenza del sistema parlamentare, «dove, però, sia rafforzata l’autorità del Governo», ma non ne ha i lineamenti, lo stile, sopra tutto l’essenza, sboccando addirittura in una forma di «totalitarismo di assemblea», che assomma tutti i poteri ed «ha le chiavi della cassaforte».

A conferma della sua tesi, allega la intiera «esautorazione» del Capo dello Stato, l’indebolimento dell’esecutivo, con relativa mancanza di unità di funzione, il prevalere di una Camera unica, che «dispone di tutte le leve».

Le critiche presentate da un maestro come l’onorevole Orlando obbligano a riflettere: ma, dopo un attento esame, esse non persuadono. Anzi, si è indotti a giungere alla medesima conclusione dell’onorevole Orlando – vale a dire che non ci troviamo, forse, sul terreno di un vero sistema parlamentare – per altre vie e per altre ragioni.

In primo luogo, non è giusto affermare che il Capo dello Stato ha, nel Progetto, una parte secondaria, con funzioni tra simboliche e rappresentative; anche se gli è conferita la sola promulgazione delle leggi e non la sanzione: attributo, quest’ultimo, che si è dimostrato una lustra anche nei regimi monarchici e che, in ogni caso, non è necessario ad un Capo dello Stato concepito (ma non troppo!) quale titolare di un potere neutro, moderatore e coordinatore, ossia quale custode della Costituzione, come riconosce lo stesso onorevole Mortati, che pure è un tecnico della materia.

Il Capo dello Stato è investito, secondo il Progetto, di un troppo ampio potere, di cui potrebbe essere tentato di abusare; ha modo di esercitare un’azione politica vastissima ed importante; e se, alle funzioni, non poche e non lievi, che già gli sono attribuite, si aggiungesse la facoltà di sanzionare o di porre veti sospensivi o l’altra di far derivare, essenzialmente, dalla sua autorità il Gabinetto, pur col bisogno, in una tappa successiva, della fiducia del Parlamento, usciremmo dai limiti, generalmente riconosciuti, del sistema parlamentare ed entreremmo nello schema di un regime presso che presidenziale o con lineamenti ed alterazioni presidenziali.

Egli non ha la figura del «fannullone», disegnata dall’onorevole Orlando, ma una posizione quanto mai solida, nella cornice costituzionale.

Rappresenta l’unità nazionale; promulga le leggi ed emana i decreti legislativi e i regolamenti, nomina agli alti gradi i funzionari dello Stato; accredita e riceve i rappresentanti diplomatici; ratifica i trattati internazionali e dichiara la guerra deliberata dall’Assemblea; concede la grazia e commuta le pene (e, quindi, partecipa al potere legislativo); presiede il Consiglio Superiore della Magistratura; ed ha, inoltre, compiti generali, che non s’inquadrano in una definizione giuridica di poteri; ha funzioni non rigorosamente delineate è, perciò, più vaste, di equilibrio, di influenza, di coordinamento, di persuasione, di arbitrato: missione che già s’incarna così felicemente nelle qualità dell’attuale Capo dello Stato, nell’altezza del suo ingegno, nella virtù della sua esperienza, nel suo senso di serenità, di imparzialità, di responsabilità, nel suo spirito di dedizione intiera agl’interessi superiori della Nazione.

E, di là da questo, che non sa di decorazione soltanto, il Capo dello Stato tiene nelle sue mani un potere immenso, che si esplica in quattro attribuzioni, costituzionalmente determinate e sostanziali, vitali, decisive.

Prima: egli nomina e, quindi, revoca il Primo Ministro e i Ministri. In altri termini, il Gabinetto che, praticamente, dirige, controlla, guida il Parlamento, nasce dalla decisione del Capo dello Stato, in base a una valutazione sua personale della situazione politica generale, a un suo modo d’interpretarla e di trovarvi una soluzione idonea.

Il Gabinetto, che si è formato per volontà del Capo dello Stato, deve presentarsi all’Assemblea per il collaudo, ossia per il voto di fiducia: ma è evidente che, in periodi di crisi, la scelta del Governo da parte dell’organo supremo ha un’influenza grandissima, che non è solo d’indicazione e d’orientamento; ha un peso, che direi schiacciante.

Seconda: in caso di dissenso fra le due Camere per l’approvazione di un disegno di legge, il Presidente della Repubblica ha facoltà d’indire un referendum popolare, di chiamare, cioè, tutto il Paese a dirimere la controversia, con consultazioni generali che possono seguirsi anche a brevi intervalli ed essere il lievito di gravi perturbamenti e scoppi di passioni.

Terza: ha il comando delle forze armate. Oltre che presiedere il Consiglio Supremo di difesa, stringe nel pugno il bastone vero, di spone della forza senza frasi, che, in ultima analisi, decide di tutto e diventa legge, interviene e spazza via ogni altra cosa: abbatte anche questa tribuna, imbavaglia il pensiero e manda, incatenato, il diritto a meditare sulla sua impotenza, nella cella di un carcere.

Lassalle diceva, giustamente, che la Costituzione è, innanzi tutto, il cannone.

Quarta: può sciogliere le Camere. Il potere di scioglimento è considerato, da tutti, il mezzo caratteristico del meccanismo per ristabilire un equilibrio venuto meno, per creare un nuovo rapporto di fiducia che si è rotto fra la maggioranza dell’Assemblea e il Governo, o per accertare la corrispondenza fra gli orientamenti popolari e quelli degli organi rappresentativi, in base al sospetto di mutamenti intervenuti, nello stato della pubblica opinione, durante la legislatura, o per affrontare problemi di considerevole importanza politica, non agitati nel corso della campagna elettorale, ecc.

È l’intervento della volontà personale del Capo dello Stato nel Governo, nel Parlamento, nel Paese: possibile sempre, specie in momenti delicati e complessi e con l’esistenza di forze politiche frazionate.

È l’arma più tremenda che si possa mettere nelle mani del Capo dell’esecutivo, il quale, per giunta, ha, alle sue spalle e ai suoi ordini, le baionette.

Il Progetto attribuisce questo formidabile potere al Presidente della Repubblica, «puramente e semplicemente», come scrive l’onorevole Tosato nella sua relazione, cioè senza limiti, senza subordinarne l’esercizio al consenso di altri organi.

È la via per la trasformazione del regime parlamentare in regime presidenziale, secondo il netto giudizio di un altro relatore, che è l’onorevole Mortati.

La controfirma ministeriale non è un limite né un impedimento.

O il Primo Ministro è d’accordo col Capo dello Stato e concorre alla formazione e alla manifestazione della volontà di lui, per il provvedimento da adottare e per assumerne la responsabilità; e, in questo caso, il Governo ha un’autorità enorme sull’Assemblea e la tiene sotto la sua minaccia, col pretesto che le Camere, a un dato momento, non rappresentano più l’opinione del Paese; o il Primo Ministro non è d’accordo col Capo dello Stato e nell’ipotesi, presso che assurda, di un rifiuto della controfirma, può essere liquidato e mandato a casa, alla stregua del parere di un costituzionalista come l’onorevole Ruini. Tutto dipende dalla personalità del Capo dello Stato e dall’uso che egli intenderà fare delle sue facoltà discrezionali.

Né il Capo dello Stato trova un qualsiasi ostacolo, per l’esercizio del potere di scioglimento, nell’obbligo, strappato a stento in sede di Commissione, delle consultazioni con i Presidenti delle due Camere, perché il giudizio di questi due uomini può avere un qualche rilievo dal punto di vista politico, ma, giuridicamente, costituzionalmente, non è in alcun modo vincolante.

Il Capo dello Stato ascolta, per la forma, e «continua. a mangiare», come il gatto di Krilov, a cui il cuoco, in cucina, faceva prediche di morale e di regole di buon costume.

E Mirabeau aveva un bel gridare che lo scioglimento permette al popolo di dimostrarsi il sovrano di tutti i legislatori.

Il potere di scioglimento non è solo la chiave di volta di un ordinamento democratico, come dice Blum e come ripete, da noi, l’onorevole Ruini: esso è una clava nel pugno dell’esecutivo, che può levarla, sull’Assemblea e sul Paese, su per giù quando vuole, e nel momento ritenuto più opportuno.

Infine, nelle parole dell’onorevole Tosato, ad «evitare che il Capo dello Stato si trovi, rispetto al Parlamento, in una posizione di assoluta dipendenza», a liberarlo da «una situazione d’inferiorità», si è provveduto ad allargare il normale collegio elettorale del Capo dello Stato con l’aggiunta di un certo numero di membri estranei, facendo eleggere il Presidente dall’Assemblea Nazionale, con la partecipazione dei Presidenti e di un componente dei Consigli regionali.

E c’è chi preferisce un altro sistema di elezione, per dare una maggiore autonomia al Capo dello Stato.

Si propone, cioè, di farlo eleggere direttamente dal popolo, per «stabilire un potere più saldo» in mezzo alle fluttuazioni dei partiti, per ricostruire il pilastro caduto della potestà dell’esecutivo monarchico, con un Presidente che, avendo, come suo piedistallo, una sorta di plebiscito popolare, possa più agevolmente mettersi, se non proprio sulle orme di Cesare e di Bonaparte, almeno sopra quelle di Hindenburg.

Il Capo dello Stato non è, dunque, «esautorato».

È vero il contrario. E con le funzioni attribuite dalla Costituzione al Presidente della Repubblica, il figlio spirituale di qualche Boulanger, anche senza i galloni di generale, avrebbe modo di preparare brutti giorni al Paese e gettarlo in pericolose avventure.

E tanto meno è vero che, nel testo proposto, si è abbassato, depresso, mortificato l’esecutivo, come Gabinetto.

La Commissione, nella sua maggioranza, ha creduto di adottare una forma di Governo parlamentare, con dispositivi costituzionali atti a superare la così detta crisi di autorità e ad ovviare agli inconvenienti del parlamentarismo.

Si è cercato, innanzitutto, di assicurare la stabilità e l’unità governativa, di creare un Governo forte e durevole, che non sia una «Commissione parlamentare», un «Comitato dell’Assemblea», e, corretti, con mezzi meccanici, i difetti del sistema relativi alla debolezza dell’esecutivo, si è cercato di evitare gli eccessi del parlamentarismo, nel senso di un’invadenza dei membri delle Camere nella sfera governativa.

Da queste intenzioni e da questa volontà è nata l’Assemblea Nazionale come un coronamento del sistema parlamentare, per compiti ed atti di singolare importanza.

Quest’Assemblea, cioè il Parlamento a Camere riunite, non serve a correggere un bicameralismo bastardo per la trattazione dei problemi fondamentali; ma è chiamata, sostanzialmente, a dare la maggiore stabilità possibile al Governo.

Lo affermano, senza equivoci, il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, e il relatore sull’argomento, onorevole Tosato.

L’Assemblea elegge il Presidente della Repubblica, delibera la mobilitazione generale e l’entrata in guerra, l’amnistia e l’indulto, ecc.; ma, in primo luogo, esercita quel controllo politico che è proprio delle Camere rappresentative: conferisce la fiducia al Governo, nominato dal Capo dello Stato, o gliela nega.

Per superare le imboscate parlamentari del vecchio tempo, per eliminare, al possibile, dalla vita politica il corto circuito delle crisi ministeriali a catena, non si ammette che una sola Camera provochi la caduta del Governo; e si stabilisce che la fiducia e la sfiducia siano espresse, con una procedura particolare, dal Parlamento raccolto in Assemblea Nazionale.

Si sarebbe tentati di pensare che la Camera dei senatori sia stata istituita, da un lato, come contrappeso a quella dei deputati, nella funzione legislativa, e dall’altro, per accrescere di trecento membri l’Assemblea che deve decidere dell’indirizzo della politica generale e creare più facilmente una base di solidità e di durata al Gabinetto, con a capo un Primo Ministro, il quale regge veramente il timone e può condurre, come vedremo, la nave dello Stato nei mari o nelle secche che vuole.

Non compromesso, dunque, fra i sostenitori della Camera unica e i sostenitori delle due Camere, con la conclusione che i primi avrebbero messi nel sacco gli altri, sotterrando la bicameralità sotto il coperchio di un’Assemblea convenzionale, totalitaria;

L’Assemblea, come si è visto, serve principalmente a tenere in sella il Governo e a consentirgli di… cavalcare.

L’onorevole Orlando si duole, a ragione, del procedimento singolare, per il quale un Ministero, in minoranza in una delle due Camere, e non ostante i ripetuti voti contrari di essa, non si dimette e continua a governare.

E vede, in questo, un modo di fiaccare le reni al Governo, mentre si tratta di rafforzarlo con espedienti tecnici, di consolidarlo con una formula costituzionale, di là dalla realtà politica.

Qui sorge, in maniera fondata, il dubbio se poniamo mano a costituire un regime parlamentare, o non costruiamo, invece, un edificio di tipo intenzionalmente parlamentare, ma con tali innovazioni nella struttura, da imprimergli un carattere diverso e farne un’altra cosa.

Per motivi opposti, si arriva alla conclusione dell’onorevole Orlando.

Il regime parlamentare dovrebbe, nella sua essenza, annullare la separazione dei poteri, sostituendo ad essa una distinzione di funzioni tra organi diversi, legati da stretti rapporti di connessione e di dipendenza reciproca.

Così afferma l’onorevole Mortati nella sua relazione.

L’onorevole Orlando, a proposito del sistema, e dal punto di vista astratto, parla di un orologio, di cui il Gabinetto rappresenta il bilanciere.

È un vivere insieme, egli dice, del Parlamento e del Governo: cioè, di organi sovrani, ognuno dei quali partecipa all’altro, «in maniera da determinare una collaborazione e da impedire la sopraffazione».

Nel Progetto, si divide manifestamente il potere, che è uno, e dev’essere uno.

Si crea un distacco tra il legislativo e l’esecutivo; si scavano solchi e si levano muri tra l’uno e l’altro, e, senza condizioni di sorta, nel silenzio assoluto della norma costituzionale, sulla possibilità di contrasti, di conflitti tra i vari organi, che adempiono a funzioni diverse, ma appaiono poteri distinti, sta sospesa la mazza dello scioglimento ad libitum, ad arbitrio di Sua Eccellenza, come nelle grida manzoniane.

C’è l’Assemblea Nazionale, il Parlamento nel suo insieme, che si riunisce per deliberazioni solenni e in circostanze eccezionali: principalmente per dare, con il suo voto, il crisma dell’autorità al Governo: ciò che l’onorevole Orlando definisce la «nomina» effettiva.

Assolto tale compito, se non è all’ordine del giorno l’accusa di alto tradimento contro il Capo dello Stato o la mobilitazione o la guerra, l’Assemblea si scioglie, cioè si divide nei due rami originari, che si controbilanciano e sono chiamati a provvedere all’esercizio della funzione legislativa: alleggeriti dal peso di troppe discussioni politiche per non essere distratti dalla loro attività fondamentale.

Così, è spazzato il campo da quelle «bucce di limone», su cui i Governi di una volta cadevano all’improvviso, per gl’intrighi di qualche esperto manovratore; e gli onorevoli Ruini, Mortati, Tosato e altri possono star contenti e dormir sereni.

Allo scopo di rendersi conto, di là dalla lettera del testo, dello spirito con cui si è inteso creare un sistema parlamentare sui generis, non è male risalire alle fonti del dibattito, ai verbali della Commissione.

Non entro in dettagli. Mi restringo all’essenziale.

Secondo una tesi, sostenuta da molti, il Governo, dopo la nomina da parte del Capo dello Stato, si presentava all’Assemblea, per la fiducia: ottenutala, restava in carica per un periodo fisso, almeno due anni: per governare, si diceva.

La proposta, in questi termini, cadde.

Ma, in un certo senso e in una certa misura, si è raggiunto il medesimo obiettivo, per altra via, con accorgimenti tecnici, con inciampi di procedura.

Poiché, per un canone del regime parlamentare, il Gabinetto non può vivere senza il consenso del Parlamento, si è salvata la forma, per decenza.

Il testo dice: «Entro otto giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alla Assemblea Nazionale per chiederne la fiducia».

Ora, il credere possibile una levata di scudi contro il Gabinetto, entro un così breve termine dalla nomina fatta dal Capo dello Stato, mi sembra veramente un’ingenuità.

Il Governo, voluto e designato al Parlamento dal Presidente, afferra le redini e le tiene.

E, per levargliele di mano, se guida male, o troppo a modo suo, ci vuol fatica assai, come diceva il poeta.

La sfiducia, rinnovata, ripetuta, di una Camera, di quella dei deputati, ad esempio, non provoca, necessariamente, la crisi di un Governo che abbia la pelle dura, o non l’abbia fine e delicata come la giovane principessa della novella di Andersen, che sentiva la durezza di un pisello, posto sullo schienale del letto, attraverso montagne di materassi di piume.

Gladstone, ricordato dall’onorevole Orlando, si dimetteva, per veder ridotta, alle elezioni, la sua maggioranza.

Da noi, si può governare contro il popolo con una trentina ed anche con una ventina di voti in più.

A buttar giù il Governo, si richiede un… terremoto parlamentare. Occorre una mozione di sfiducia, motivata, e con una coda lunghissima di firme, con le firme di un terzo dei componenti di una Camera; sì che, alla stregua degli attuali rapporti di forza, in una Camera come questa, oltre il democratico cristiano, nessun altro partito potrebbe, da solo, presentare una mozione di sfiducia.

Poi, occorre che l’Assemblea Nazionale si convochi e si pronunzi.

Ed è probabile che una maggioranza contraria al Governo in una Camera sia annullata da una maggioranza in senso opposto nell’altra.

Ecco il fondamento vero e la reale missione dell’Assemblea.

Altro che accordi di corridoio tra unicameralisti e bicameralisti!

Lo confessano gli onorevoli Ruini, Tosato e altri: il complicato procedimento per l’espressione della fiducia, dopo la costituzione del Gabinetto, o della sfiducia, in sede di appello, tende ad imporre una seria «riflessione» ai rappresentanti del popolo, a richiamarli «al più alto senso di responsabilità», cioè, alla considerazione della realtà, per le conseguenze che possono nascerne.

Esso è un modo, come scrive, con garbo eufemistico, il Presidente della Commissione, di «regolare il pluralismo dei partiti»; e la Assemblea esiste per mettere più facilmente insieme una maggioranza, per impedire che il Governo sia scosso dalle tempeste e rovesciato.

L’istituto dell’Assemblea Nazionale, che non garba all’onorevole Orlando per il timore del totalitarismo, è stato creato, insomma, perché funzioni da parafulmine del Governo o da campo trincerato.

E il Governo è pensato e congegnato come organo che sovrasta: non come sintesi viva della volontà del Parlamento, non come il braccio operoso del Parlamento, non come il pensiero del Parlamento che si traduce in azione.

«Niente Giunta esecutiva dell’Assemblea», esclama, con molta franchezza, l’onorevole Ruini.

Sarebbe una concezione alla Kelsen, che non può dirsi, né dal punto di vista teorico, né da quello politico, un petroliero, e tanto meno un portatore di energie atomiche sovvertitrici.

Di più, il Governo, organizzato non quale strumento di attuazione dell’indirizzo del legislativo, ha, in un angolo, a portata di mano, l’arma dello scioglimento, per consigliare i membri delle Camere a usar prudenza, per ammonire l’Assemblea ad essere… saggia, nel suo stesso interesse.

E l’onorevole Orlando dice che si è diminuito di autorità l’esecutivo, e, in questo modo, si è alterata e contraffatta la fisonomia del sistema parlamentare.

No, questa fisonomia è stata sconciata, perché si è cercato di dare alla sovranità popolare una corona di cartapesta.

Si consideri la composizione del Gabinetto.

Qui si è rotto perfino con le nostre tradizioni parlamentari; con la pratica della democrazia avanti il fascismo.

Il Presidente del Consiglio non è primo tra eguali, primus inter pares, secondo l’antica formula; ma ha una figura e una posizione a sé, di grandissimo rilievo: è il pilota effettivo, il vero comandante della nave dello Stato.

Egli propone i suoi collaboratori al Presidente della Repubblica, che li nomina.

II Gabinetto, pertanto, è un coro docile intorno a lui.

Poi, dirige la politica generale del Governo, e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo di tutti i dicasteri, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri.

È, dunque, il Primo Ministro – e la novità si riscontra pure nella terminologia – che dà la sua impronta all’orientamento dello Stato; ed ha i poteri necessari, di fronte ai Ministri, per assicurare l’unità dell’azione governativa.

Con questa base costituzionale, ognuno immagina fin dove si possa arrivare nella realtà dell’attuazione.

L’onorevole Orlando se ne preoccupa, se ne allarma, anzi, giustamente, anche se, prima, ha denunziato l’abbassamento dell’esecutivo.

Egli ragiona così: il Primo Ministro esercita di fatto i poteri del Capo dello Stato, perché ne risponde; ha ai suoi ordini la polizia; dispone, per il tramite dello Stato Maggiore, dell’esercito; manovra l’Assemblea e ne trasferisce in sé l’autorità: è proprio un dittatore.

È un nuovo, capo a cavallo, con frusta e sproni.

Questa è la verità.

Ma c’è da augurarsi, per il bene del Paese, che non si voglia o non si ardisca giungere a tanto.

Né vale riferirsi alla pratica inglese.

Innanzi tutto, il sistema parlamentare britannico ha, come suo tratto caratteristico, l’armonia fra i due poteri, l’intima unione del legislativo e dell’esecutivo.

In Inghilterra, il Gabinetto, che è l’organo attivo dell’esecutivo, esercita effettivamente il potere e regola tutta l’attività dello Stato; ma esso esprime la volontà della Camera dei Comuni ed è il Comitato della maggioranza parlamentare.

E il successo della Costituzione britannica, nata da una grande calma legislativa, da una elaborazione continua e graduale, da uno sviluppo storico lento e progressivo, che non si riscontra, in analoga misura, in nessun altro ordinamento giuridico, se non nel diritto romano e nel diritto canonico, è dovuto, da un lato, a una situazione obiettiva ed ad un complesso di circostanze (il sistema dei due partiti, il modo di scrutinio, la mentalità britannica come riflesso di condizioni particolari, ecc.) che non esistono e non è probabile si riproducano altrove, e, dall’altro, all’organizzazione e al funzionamento degl’istituti, alla strettissima connessione degli organi sovrani tra loro.

Secondariamente, il Primo Ministro, che, fin dal tempo di Pitt, dirige il Governo, gode di una grande autorità e supera, forse, in potenza lo stesso Presidente americano, non per attributi e facoltà che gli derivano da una norma scritta, da un paragrafo costituzionale, ma per essere egli il leader del partito di maggioranza alla Camera dei Comuni.

L’evoluzione del parlamentarismo inglese può riassumersi in questi termini: il potere passato dal re ai Comuni e, per una gran parte, dai Comuni al Gabinetto e dal Gabinetto al Primo Ministro, che è il Capo effettivo, come dice Graik, per volontà popolare.

Ora, non bisogna illudersi. Non si creano, con formule giuridiche, condizioni obiettive che mancano, che sono di là da venire.

Il prestigio del Presidente del Consiglio, la stabilità ministeriale e l’unità dell’azione governativa sono problemi politici, problemi di maggioranze, dell’esistenza dei grandi partiti organizzati.

Perciò i procedimenti meccanici, adottati dalle Costituzioni europee dopo il 1918 per stabilizzare l’esecutivo, hanno dato mediocrissimi frutti.

Non mi stendo nel formulare conclusioni e proposte precise. Esse si ricavano dalle premesse, dall’esposizione critica sulla struttura del progetto nel suo insieme.

Noi, forse, non siamo ancora saliti ad un così alto grado di sviluppo, da istituire assemblee rappresentative, che parlino e agiscano, che decidano ed attuino le loro deliberazioni: che siano legislative ed esecutive ad un tempo, secondo la concezione democratica più compiuta.

Ma dobbiamo tendere, con tutte le forze, a creare un ordinamento dello Stato, che non ponga barriere alla manifestazione e al trionfo della sovranità popolare, che assicuri la Nazione da sorprese spiacevoli e garantisca l’esercizio dei diritti e il godimento delle libertà riconquistati con tanta lotta, con tanto patimento, davvero con sudore di sangue.

La Costituzione, nata nel presente, dalle condizioni e dall’esigenze del presente, deve vivere nell’oggi, con gli occhi volti al futuro.

Anche senza retorica, si ricorda, di continuo, l’eredità di gloria della nostra scienza giuridica e politica.

Siamo stati il serbatoio spirituale della terra: ma non possiamo vivere di rendita sul passato, né limitarci a custodire, come in un museo, il patrimonio che ci è stato tramandato dai padri.

Quella ricchezza di pensiero e d’istituti dobbiamo saperla accrescere, secondo il monito della parabola evangelica, dove si dice che il Maestro tolse i talenti all’uomo timoroso e torpido che, per conservarli, li sotterrò, invece di farli fruttare.

Le nostre tradizioni c’impongono un determinato metro e l’altezza, come una legge necessaria, allo stesso modo che Odisseo poneva dinanzi ai pretendenti il suo arco smisurato.

Il nostro voto è che l’Assemblea riesca a foggiare un ordinamento dello Stato, adeguato ai tempi nuovi, rispondente ai bisogni che premono, conforme alla situazione storica concreta, un ordinamento profondamente e schiettamente democratico, che consenta, nella libertà, nella giustizia sociale, nel progresso, alla volontà popolare di esprimersi e di concretarsi in atti, un ordinamento, che sia rappresentativo ed espressivo del nostro genio nazionale, della somma di vita vissuta dalla nostra gente, di quelle superiori apparizioni dell’energia spirituale e morale che tante volte illuminarono il cielo tumultuoso della nostra storia. (Applausi a sinistra – Congratulazioni).

Comunicazioni del Governo.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi onoro informare l’Assemblea che il Capo provvisorio dello Stato, con decreto in data 9 settembre 1947, ha, su mia proposta, incaricato il Ministro del tesoro. professore Gustavo Del Vecchio di reggere per interim il Ministero del bilancio durante la temporanea assenza dell’onorevole professore Luigi Einaudi.

Con altro decreto in data 12 settembre 1947 il Capo provvisorio dello Stato ha nominato, su mia proposta, di concerto con il Ministro dell’industria e del commercio, l’onorevole avvocato professore Antonio Cavalli, deputato all’Assemblea Costituente, Sottosegretario di Stato per l’industria ed il commercio.

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreta. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

È inscritto a parlare l’onorevole Di Gloria. Ne ha facoltà.

DI GLORIA. È strano ma è vero. L’Assemblea Costituente solo da ieri ha iniziato i suoi lavori squisitamente, essenzialmente, prevalentemente costituzionali giacché, come poco fa ne ha fatto cenno l’onorevole Rubilli, la materia specifica del diritto costituzionale è proprio tutto ciò che riguarda l’ordinamento dello Stato.

Dobbiamo riconoscere intanto che il Titolo I della parte II del Progetto di Costituzione, a parte alcune mende inevitabili, rivela pregi di indubbia modernità sia nello spirito che lo informa che nel suo contenuto. Riaffermata la necessità del sistema bicamerale per evitare risoluzioni affrettate e scarsamente riflettute e per una generica garanzia di equilibrio, esamineremo, sia pure brevemente, giacché questo solo ci interessa, la composizione della seconda Camera, il funzionamento di ambedue le Camere, il potere d’iniziativa legislativa popolare ed il referendum.

I giuristi più aperti alle idee di democrazia hanno sempre cercato di evitare che la seconda Camera diventasse un ostacolo o un sostanziale rinnegamento delle forze rappresentative della Nazione espresse nella e dalla prima Camera. Per questa ragione i sistemi di nomina per diritto ereditario, quelli da parte del potere esecutivo e quello per cooptazione di corpi già esistenti, sono stati giustamente esclusi giacché essi avrebbero posto accanto al primo consesso, espressione di forze reali, un consesso di uomini retrivi o comunque scarsamente rappresentativi.

I sistemi di elezione della seconda Camera, quelli più idonei a favorire la formazione di organi rappresentativi, sono dunque quelli per suffragio popolare o quelli fondati sul criterio di scelta di speciali commissioni la cui composizione ci riporta indirettamente al suffragio popolare.

Per la elezione del Senato il nostro progetto di Costituzione segue tutt’e due i criteri: un terzo del Senato infatti dovrebbe essere eletto dai Consigli regionali e due terzi per suffragio universale. Nel primo caso si ha un suffragio popolare indiretto o mediato; nel secondo caso un suffragio popolare diretto od immediato.

Noi siamo d’avviso che anche la seconda Camera, tutta quanta, debba essere eletta a suffragio universale.

Qualcuno può pensare che in tal modo si darebbe vita ad un doppione, ad un bis in idem della prima Camera; ma tutto ciò non è vero in quanto che le due Camere, se uguali risultassero per il modo della loro elezione, molto diverse risulterebbero nella loro composizione, dati i particolari e speciali requisiti richiesti per diventare deputati o senatori. Non è il sistema di elezione in sé e per sé che dà il tono ad un consesso, quanto la sua intima composizione. È chiaro che se nella prima Camera prevarrà il criterio puramente politico della rappresentanza popolare, nella seconda Camera accanto a tale criterio politico dovrà esserci concomitante o prevalente anche il criterio della competenza.

Senza voler fare del Senato una completa gerontocrazia o una vera accademia di scienziati, di letterati e di giuristi è necessario quindi che in esso, in linea di massima, prevalga il criterio della competenza non disgiunto da quello politico della rappresentanza popolare. Se renderemo elettivo il Senato in base a suffragio universale, costringeremo anche i cittadini competenti nelle varie branche dell’attività tecnica, scientifica ed artistica ad occuparsi di politica e a prendere dimestichezza con la politica stessa. Non avremo cioè degli uomini politici incompetenti, né degli uomini competenti negati alla politica. Non avremo i difetti del corporativismo né saranno offesi i principî della rappresentanza popolare. In tal modo, quindi, rappresentatività e competenza andranno unite per il maggiore decoro e per la vera affermazione della democrazia in Italia.

Se il metodo da seguire per la elezione della seconda Camera dovesse essere, come a nostro avviso sarebbe opportuno, il suffragio popolare diretto, si potrebbe fare una eccezione in base a disposizioni transitorie, solo per quei deputati all’Assemblea Costituente che abbiano l’anzianità di almeno tre legislature. Essi potrebbero far parte de jure del nostro Senato in seguito a nomina ufficiale da parte del Capo dello Stato. Ebbene, noi pensiamo, che certi uomini, qui presenti, rovinati nella loro onesta carriera politica dalla triste e trista parentesi incostituzionale del fascismo, possano vedere riconosciuta la loro fedeltà all’ordine e al progresso costituzionale venendo a far parte di diritto del nostro primo libero Senato elettivo.

D’altra parte questi egregi colleghi, forti della loro esperienza parlamentare, farebbero scuola ai nuovi, a quelli futuri, e renderebbero il consesso senatoriale più autorevole e meglio rispondente ai bisogni della Nazione.

Fino da ora facciamo questa raccomandazione, sicuri che se ne terrà conto anche se essa turba la rigida consequenzialità dei principî giuridici che abbiamo detto di seguire. L’articolo 68 riconosce anche al popolo il potere di iniziativa legislativa.

Non si può essere contrari, in linea di massima, a tale articolo; però conviene sottolineare, sia pure per incidenza, che il potere di iniziativa legislativa popolare può essere un’arma pericolosa, se si tiene conto della scarsa maturità politica del nostro popolo e della scarsissima tradizione costituzionale del medesimo.

Un referendum abrogativo, se si vuole, è più consigliabile del potere di iniziativa legislativa popolare, se è vero, come è vero, che è molto facile individuare gli errori compiuti e distruggere il mal fatto, specialmente quando le conseguenze dell’errore sono cadute sulle nostre spalle, e che è molto difficile sostituire ad essi e ad esso qualcosa di meglio e di bene architettato.

Ma se il referendum abrogativo è comunque preferibile al potere di iniziativa legislativa popolare, noi siamo del parere di non seguire il sistema svizzero in materia di conflitto tra le due Camere ma piuttosto quello francese. Anziché ricorrere al referendum, con tutta la perdita di tempo inevitabile perché necessaria, sul disegno di legge non approvato da una Camera, sarebbe meglio risolvere i conflitti deferendoli all’Assemblea nazionale, ossia al Parlamento che funziona a Camere riunite.

La nuova maggioranza, formata da senatori e deputati, sarebbe decisiva per la formazione o meno della legge, in caso di controversia, ed il popolo non patirebbe nessun affronto ai suoi diritti originari essendo l’Assemblea nazionale rappresentativa di tutto il popolo. Non si avrebbe, seguendo questo sistema, nessuna interruzione nella vita dello Stato e le due Camere eviterebbero in un certo qual modo una loro diminutio capitis o una loro, sia pure relativa, vacatio operis. Un’ultima osservazione sulla seconda Camera.

L’articolo 55 dice che la Camera dei senatori è eletta a base regionale e che ogni Regione avrà il suo numero fisso di senatori. Che la seconda Camera sia composta di rappresentanti di singole Regioni è un bene perché ognuno di essi porterà una visione concreta dei problemi locali pur mantenendo vivi ed operosi i rapporti tra Regione e Stato. I senatori, e qui soccorre il criterio della competenza, dovranno ricondurre nei limiti di una benintesa autonomia la vita delle Regioni, impedendo che esse, attraverso organi meno competenti ed affetti da troppo particolarismo, confondano autonomia con autosufficienza, con grave pericolo per la vita intera della Nazione.

In altre parole, i senatori, questi rappresentanti delle singole Regioni in seno alla seconda Camera, dovranno con la loro azione legislativa provvedere a moderare gli impulsi autarchici di certe Regioni per la salvezza e la tutela degli interessi generali del Paese.

In conclusione, noi affermiamo i seguenti punti: 1°) necessità di ammettere a far parte di diritto del nuovo Senato i deputati all’Assemblea Costituente, che abbiano l’anzianità di almeno tre legislature; 2°) demandare all’Assemblea Nazionale i conflitti delle due Camere su disegni di legge non approvati; 3°) elezioni per suffragio universale diretto di tutto il Senato, eccezion fatta per quei deputati all’Assemblea Costituente che abbiano almeno tre legislature, i quali vi dovrebbero far parte di diritto in base a disposizioni transitorie; 4°) porre maggiori misure limitative al diritto di referendum e di iniziativa legislativa popolare in conformità di quanto abbiamo osservato precedentemente.

Due parole anche sul Capo dello Stato e sul Governo.

Se in fatto di conflitti tra le due Camere il progetto di Costituzione ha seguito il sistema svizzero, in fatto di elezione del Capo dello Stato, in merito alle sue attribuzioni e ai suoi poteri, ha seguito invece il sistema francese con il quale, in definitiva, si è sostituito ad un monarca ereditario un monarca temporaneo ed elettivo, con scarsa influenza nella vita politica del Paese.

Senza desiderare una repubblica di tipo presidenziale per lo strapotere che in essa ha il Presidente – basti pensare alla pericolosa arma del veto sulle leggi del Parlamento – preferiremmo tuttavia che l’elezione del Capo dello Stato avvenisse per suffragio popolare, dal che gliene deriverebbe maggiore autonomia e saldezza di potere. Se il Presidente della Repubblica viene eletto dall’Assemblea Nazionale, esso sarà molto facilmente la diretta emanazione delle forze politiche espresse da essa; se invece fosse eletto dal popolo, il Presidente potrebbe anche essere l’espressione di una minoranza.

Certo, se tutto viene visto secondo la visuale ristretta dell’interesse dei partiti, è più giusto che il Capo dello Stato sia eletto dall’Assemblea Nazionale; ma se si considera che il Capo dello Stato deve essere al di sopra dei partiti per rappresentare tutto il popolo, non vi sarebbe niente di male se ad esercitare tale funzione superiore fosse chiamato anche un uomo di forze politiche minoritarie.

Può darsi anzi che sia più facilmente imparziale un uomo non sostenuto da grandi forze politiche, che non l’uomo spalleggiato da un grande partito del quale non potrebbe non sentire la pressione.

In quanto al Governo, pur essendo contrari all’eccessiva forza di ogni esecutivo, riaffermiamo la necessità della piena efficienza della macchina statale. Se un Governo democratico non sa mettere in atto quanto si stabilisce per il bene del Paese e non sa incutere rispetto ed obbedienza alla volontà della legge, esso si dimostra il migliore alleato della dittatura: i veri nemici della libertà sono sia quelli che la negano per principio, sia quelli che non la sanno difendere, o non se ne vogliono servire per attuare una maggiore giustizia sociale.

Il potere esecutivo, ben precisato nei suoi compiti e nei suoi limiti, deve essere un fattore sussidiario di libertà. Possa il Governo di domani essere il fedele interprete della volontà della Nazione solennemente espressa dalle leggi del Parlamento.

E con questo augurio ho finito le mie osservazioni. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Cevolotto, Nobili Tito Oro, Calosso, Mazzei, Bozzi, Riccio, Terranova, Covelli, Cortese, Bovetti, si intende che abbiano rinunziato a parlare.

Dato il grande numero degli assenti, bisogna concludere che questa è proprio una settimana di faticoso avviamento. E dire che non vi dovrebbe essere altro impegno per noi se non quello di venire all’Assemblea! (Approvazioni).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto sul disegno di legge: Accordi commerciali e di pagamento stipulati in Roma fra l’Italia e la Svezia, il 24 novembre 1945.

Presenti e votanti     290

Maggioranza           146

Voti favorevoli        286

Voti contrari             4

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Angelucci – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Barbareschi – Bardini – Basso – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belottl – Bencivenga – Bennani – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Braschi – Brusasca – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caldera – Calosso – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Avolio – Cavallari – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Cosattini – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Aragona – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantuzzi – Farini Carlo – Fedeli Armarido – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Fuschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grieco – Grilli – Guariento – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Iotti Leonilde.

Jacini –_ Jacometti.

Labriola – Lami Starnuti – Landi – La Pira La Rocca – Leone Giovanni – Lettieri – Lizzadri – Lombardi Riccardo – Lombardi Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.

Magnani – Magrini – Malagugini – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Massola – Mastino Gesumino – Mastino-Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montemartini – Monticelli – Montini. – Morandi – Moro – Mortati – Moscatelli – Murgia – Musolino.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Oro – Numeroso.

Pacciardi – Pallastrelli – Paratore  – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pella – Pellegrini – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Reale Vito – Recca – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Russo Perez.

Salerno – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Sereni – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Targetti – Tega – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vicentini – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zuccarini.

Sono in congedo:

Adonnino.

Badini Confalonieri – Baracco – Bastianetto – Bertola.

Canepa – Caso – Castiglia – Cingolani Guidi Angela – Colonnetti – Cotellessa.

Foa.

Geuna – Giannini.

La Gravinese Nicola – La Malfa.

Macrelli – Morelli Luigi.

Paolucci – Parri – Pera – Perrone Capano.

Quarello.

Restagno.

Segala – Storchi.

Tumminelli.

Zerbi.

Annunzio di trasformazione di una interpellanza in mozione.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che, sciogliendo la riserva con cui l’onorevole Togliatti aveva accompagnato l’altro giorno il suo annuncio di trasformare eventualmente la sua interpellanza al Governo sulla politica interna, in mozione, l’onorevole Togliatti ha appunto provveduto a questa trasformazione. Il testo della mozione, che reca oltre quella dell’onorevole Togliatti, le firme degli onorevoli Scoccimarro, Longo, D’Onofrio, Secchia, Novella, Rossi Maria, Laconi, è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, di fronte alle misure delle autorità di pubblica sicurezza e prefettizie che limitano la libertà di propaganda e agitazione, e le libertà democratiche in generale, nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno».

La discussione di questa mozione sarà abbinata, avendolo il Governo consentito, con quella dell’onorevole Nenni, sottoscritta anche da altri deputati, già fissata per la seduta pomeridiana di martedì prossimo 23 settembre.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Avverto che domani, sabato, vi sarà seduta alle 10, per il seguito della discussione sulle norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali.

Ho pensato che fosse più opportuno non porre all’ordine del giorno le interrogazioni, perché in tal modo c’è molta probabilità che si possa concludere domani stesso la discussione sopra questo disegno di legge. Avremo così la prossima settimana tutta libera per portare innanzi rapidamente la discussione sul progetto di Costituzione.

Interpellanza con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. E stata presentata la seguente interpellanza, con richiesta di svolgimento urgente:

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Ministro dei trasporti, per conoscere a quali criteri di amministrazione o politici si è inspirato per disporre:

1°) che il premio cosiddetto di ricostruzione fosse assegnato solo al sette per cento degli agenti e del perché, nella scelta di tale sette per cento, siano stati preferiti quasi tutti i funzionari di categoria A, alla quale categoria appartiene questo Ministro quale capo servizio della trazione, con la conseguente esclusione di quasi tutto il personale esecutivo. E del perché nella scelta dei funzionari premiati vi siano stati molti che erano rimasti fuori servizio per epurazione e che quindi non avevano contribuito in alcun modo alla ricostruzione delle ferrovie;

2°) che venisse assegnata una indennità di carica da un minimo di lire 4000 a un massimo di lire 18.000 solo ai funzionari di gruppo A per modo che si è determinata una forte disparità fra gli stipendi dei gradi alti e dei gradi medi e minimi;

3°) che al grado 6° delle categorie B e C fossero promossi agenti che fino al 25 luglio 1943 erano in servizio permanente di milizia; che nel febbraio 1944 erano stati epurati e che avendo ripreso servizio alla fine dell’anno 1946 si sono visti promossi «per merito» con decorrenza primo gennaio 1946.

«Rileva l’interpellante che tali ingiusti provvedimenti hanno creato un grande fermento fra tutto il personale ferroviario con grave danno dell’Amministrazione e del servizio che deve farsi risalire ad esso Ministro per l’emissione dei provvedimenti suelencati.

«Sansone».

Comunicherò al Ministro dei trasporti questa interpellanza, sollecitando una risposta.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere:

1°) i motivi che hanno determinato lo scioglimento del Consiglio di amministrazione degli Ospedali di Perugia;

2°) le ragioni per le quali il decreto di scioglimento, emesso in data 12 luglio 1947, è stato, dal prefetto di Perugia, comunicato, al Presidente del predetto Consiglio, soltanto un mese dopo la sua emissione, e cioè l’11 di agosto;

3°) se, dalle varie inchieste compiute, sono emersi, a carico degli amministratori, elementi di accusa e di colpa che giustificassero il provvedimento;

4°) se non ritenga necessario ed urgente, nell’interesse della verità, della moralità pubblica e della giustizia, di dare pubblicità ai risultati delle inchieste già da tempo effettuate.

«Vernocchi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quale conto ha tenuto dei consigli dati da alcuni oratori alla Costituente, in ordine ai pericoli per il carattere nazionale che nascono dall’eccesso dei programmi scolastici in età giovanile, e all’assurdità dell’esame di Stato, in cui il giovane deve esporre un’enciclopedia del sapere umano di fronte ad esaminatori a lui ignoti.

«E in base a quali criteri educativi abbia esautorato gli esaminatori di Stato del liceo di Acireale, inviando illegalmente un ispettore ad annullare certi rigorosi giudizi da loro coscienziosamente dati in applicazione dei regolamenti ministeriali sull’esame di Stato.

«Calosso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quando avranno inizio i lavori per la ricostruzione dei ponti sul fiume Tanaro in regione Rocca di Arazzo e Motta di Costigliole d’Asti, essendo dette opere assolutamente necessarie per il transito e il commercio di quelle operose e numerose popolazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere quali provvedimenti intendano prendere in merito ai problemi assistenziali presentati dall’Unione italiana dei ciechi e in modo speciale in merito alla richiesta di un assegno continuativo, che valga ad assicurare la soddisfazione dei bisogni più urgenti. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Abozzi, Mastino Pietro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non creda opportuno e giusto costituire presso ciascun Tribunale commissioni che determinino l’ammontare dell’equo canone in materia di affitti di fabbricati, analogamente al provvedimento in materia di fondi rustici, di cui al decreto legislativo 1° aprile 1947, n. 277. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Abozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga utile e possibile disporre l’istituzione di una manifattura tabacchi a Piacenza.

«In questa città già esiste un grande magazzino per tabacchi grezzi, occupante una area di circa 40.000 metri quadrati con sei capannoni e locali per gli uffici e l’alloggio del dirigente.

«Ben potrebbe, detto magazzino (attualmente adibito esclusivamente alla conservazione e stagionatura dei tabacchi grezzi e la cui area, oltre ad essere suscettibile d’ampliamento, è pure raccordata alla ferrovia dello Stato), esser suscettibile di trasformazione in manifattura vera e propria, tenendosi presente che, ante guerra, esisteva già un impianto per l’estrazione e la lavorazione dei sughi di nicotina: impianto che non sembra si voglia più mettere in efficienza.

«Va ricordato che la campagna piacentina e delle vicine provincie (specie quella dell’Oltre Po pavese) è produttrice di ottima qualità di tabacchi, e che il clima di questa regione è estremamente favorevole per la stagionatura e lavorazione del tabacco.

«Una iniziativa del genere, infine, riuscirebbe quanto mai opportuna per il sollievo della disoccupazione, specie femminile, in una città in cui, per molte e già note ragioni, la disoccupazione costituisce un male grave e allarmante. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri dell’industria e commercio e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se non ritengano necessario intervenire, con adeguati provvedimenti, a favore di quella vasta categoria di lavoratori messi a riposo, per limite di età, col sistema della liquidazione in base ai fondi di previdenza istituiti presso le aziende dove avevano prestato la loro opera.

«Il capitale loro corrisposto, e che era formato da trattenute effettuate sugli stipendi di anteguerra, è sfumato quasi subito, ed oggi questi disgraziati sono ridotti all’indigenza più penosa.

«Per un elementare dovere di giustizia e di assistenza sembra più che mai indispensabile porre un qualche rimedio a così dolorosa condizione di lavoratori, alcuni dei quali hanno speso una vita intera per il lavoro e per la società. Una forma d’intervento che non costituirebbe alcun rilevante aggravio per lo Stato, potrebbe consistere nell’istituzione obbligatoria, presso le ditte ed enti interessati, di un fondo di assistenza sul quale dovrebbero essere erogati ai vecchi dipendenti licenziati per limite d’età congrui assegni mensili o annuali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.25.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e revisione annuale delle liste elettorali.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 11 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

ccxv.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 11 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

Indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processo verbale:

Faralli

Presidente

Cappa, Ministro della marina mercantile

Commemorazione:

Tonello

Grilli

Cappa, Ministro della marina mercantile

Presidente

Sostituzione di deputati:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica

italiana (Seguito della discussione):

Preti

Clerici

Jacometti

Risposta ad una interrogazione urgente:

Presidente

Sforza, Ministro degli affari esteri

Sereni

Su di una votazione a scrutinio segreto:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

CAPPELLETTI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

FARALLI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FARALLI. Ho chiesto di parlare, onorevoli colleghi, per fare alcune precisazioni, affinché la mia replica di ieri alla risposta data dal Ministro della marina mercantile non sia fraintesa.

Ho voluto affermare che non esiste e non deve esistere alcun contrasto fra i lavoratori di Trieste e i lavoratori di Genova. Noi, specialmente di questa parte dell’Assemblea, siamo pensosi e preoccupati sia per l’interesse dei lavoratori di Genova, sia per l’interesse dei lavoratori di Trieste, ma soprattutto siamo pensosi e preoccupati per l’interesse di tutta la collettività italiana.

Desidero anche che rimanga ben precisato che il piroscafo Conte Biancamano è sempre appartenuto al compartimento di Genova, è sempre stato armato e amministrato dal compartimento di Genova.

Desidero inoltre precisare, a proposito del mio accenno alla «ribellione» dell’equipaggio, che ho usato questa parola non nel senso di rivolta; ma in quello di non rispondere ad un ordine, che era stato trasmesso, ma non dalle autorità, di trasferire la nave a Trieste.

Posso infatti precisare che in data 28 agosto, alle ore 12.10, il Ministero della marina mercantile non sapeva ancora che il Direttore generale della compagnia Cosulich – mentre il Conte Biancamano, partito da Orano, si trovava all’altezza delle Baleari, cioè a sei ore a nord di Messina – impartì alla nave l’ordine di dirottare verso Messina. Di fronte a questo ordine, l’equipaggio della nave inviava un telegramma alla sede del «Lloyd Triestino» di Genova, così concepito: «Ufficiali ed equipaggio indignati dirottamento Messina protestano energicamente presso Federazione e si rifiutano proseguire Trieste».

Altro telegramma alla stessa sera venne inviato ai giornali Lavoro e Unità di Genova, così concepito: «Equipaggio Conte Biancamano, composto marittimi compartimento Genova, consci immane lavoro e sacrifici rimessa condizione rientrare Genova, tradite legittime aspirazioni denunciano alla marineria italiana iniqua maniera e chiedono ecc.».

Soltanto in questo senso io intendevo dire che l’equipaggio del Conte Biancamano si è ribellato a un ordine ricevuto. D’altra parte devo anche precisare che mentre l’onorevole Ministro della marina mercantile ha affermato ieri che l’ordine di dirottamento a Messina era stato dato direttamente dal suo Ministero, viceversa l’equipaggio afferma che, mentre la nave si stava dirigendo verso Genova, il Direttore generale del «Lloyd Triestino», comandante Cosulich, dette l’ordine del dirottamento verso Messina. Questo avveniva il giorno 28 agosto alle ore 12. Il Ministero della marina mercantile confermava l’ordine soltanto il giorno 29.

Desidero infine precisare che gli uomini i quali possono rimanere a bordo per la cosiddetta tenuta della nave non sono una quantità così scarsa come quella accennata dall’onorevole Ministro. In una nave come il Conte Biancamano, di 24.000 tonnellate, uno dei pochi transatlantici che la tragedia della guerra ha permesso rimanga all’Italia, il personale che deve comunque rimanere a bordo è di circa 250.

PRESIDENTE. Onorevole Faralli, ella sta nuovamente svolgendo un’interrogazione già svolta. Ella ha rettificato alcuni punti ai fini del processo verbale; ma in questo momento mi sembra che riprenda la questione ex novo; le sarei grato se volesse concludere.

FARALLI. Ha perfettamente ragione, ma poiché si tratta di una questione che potrebbe ingenerare dei malintesi fra Genova e Trieste, desidero precisare.

PRESIDENTE. Ella entra però in questioni di ordine tecnico, interessantissime sì, ma trattate in questo momento non nella sede opportuna.

FARALLI. Comunque desidero rimangia ben chiaro che, quando abbiamo sollevato la questione del Conte Biancamano, abbiamo inteso rispondere a due esigenze: una di carattere sindacale relativa al fatto che detta nave rimanga alla sua sede naturale del compartimento di Genova; l’altra, di politica nazionale, per segnalare l’opportunità che il Conte Biancamano rimanga a Genova anche per sfuggire alle eventualità che possono derivare come conseguenza di una probabile costituenda società di navigazione internazionale a Trieste. A questo punto, con la discrezione necessaria, desidero che nel verbale rimanga precisato che noi intendiamo con questo nostro accenno difendere quello che è il diritto ad un bene strumentale appartenente alla collettività italiana per evitare che domani ci si possa trovare di fronte a qualche sorpresa. In questo senso insisto perché la questione del Conte Biancamano sia esaminata obiettivamente, da un punto di vista strettamente nazionale, dall’onorevole Ministro della marina mercantile, prescindendo da quelli che possono essere gli interessi particolari sia dell’armamento triestino che di quello genovese. (Applausi).

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GA.PPA, Ministro della marina mercantile. Mi pare che la questione sia stata ieri da me chiarita senza nessun preconcetto né partito preso. Ho fatto presente che il Conte Biancamano è iscritto, come è noto, nel compartimento di Genova e che il dirottamento a Messina e il disarmo non compromettono né poco né tanto la sua appartenenza. In secondo luogo ho precisato che il dirottamento a Messina e l’ordine di porsi in disarmo in questo porto non impegnano le future decisioni che potranno essere prese quando saranno determinati i lavori da compiersi e sul Conte Biancamano e sul Conte Grande e quando sarà effettuata la gara fra i cantieri concorrenti. Nel contrasto fra i marittimi genovesi del «Lloyd Triestino» i quali reclamavano a Genova per il loro turno d’impiego il piroscafo Conte Biancamano e la richiesta assillante di tutte le organizzazioni commerciali e sindacali del porto di Trieste e del cantiere di Monfalcone – perché il Conte Biancamano, pur essendo iscritto nel compartimento di Genova, in quanto in passato apparteneva al «Lloyd Sabaudo», società di Genova, è però nave del «Lloyd Triestino» di Trieste – nel contrasto di queste due domande, tutte due degne della maggiore considerazione perché vengono e l’una e l’altra da disoccupati che desiderano lavoro e pane per le loro famiglie, non ho compromesso nulla con la decisione presa. L’avviamento a Messina, dove non vi è possibilità di cantieri che possano rimettere in pristino il Conte Biancamano, fa sì che, quale sia per essere la decisione futura, l’attuale destinazione del Conte Biancamano non impedirà che sia ritornato a Genova se saranno i cantieri di Genova ad essere favoriti dall’asta, o che sia inviato nel settore di Trieste, ove i cantieri di Monfalcone riescano vincitori dell’asta.

Tutte le altre preoccupazioni che ancora oggi ha ripetuto l’onorevole interrogante sono fuori posto. L’onorevole Faralli ha portato la discussione fuori del testo dell’interrogazione. Io avevo risposto attenendomi a questa. Egli ha evaso per portare qui un problema che dovrebbe essere, se mai, occasione di notizie che personalmente potrò dargli o, se egli lo crede opportuno, potrà essere oggetto di discussione davanti all’Assemblea, attraverso un’altra interrogazione.

Ma sulle nuove sue affermazioni devo fare altre precisazioni. Per me ha una importanza molto secondaria che l’ordine di dirottamento a Messina, sia stato dato dalla società armatrice o sia stato dato dal Ministero della marina mercantile. Devesi riconoscere alla società armatrice il diritto pieno e completo di ordinare al comandante di portare la nave dove essa l’ha destinata. Indipendentemente da ciò l’onorevole Faralli è in errore quando afferma che l’ordine è stato dato dal «Lloyd Triestino». L’ordine di fare scalo a Messina è stato fatto dare da me, dopo matura considerazione, ed è stato trasmesso dal Capo del mio Gabinetto per telefono a nome mio, alla sede di Roma del «Lloyd Triestino». Qui forse è sorto l’equivoco in cui è caduto l’interrogante essendo l’ordine del Ministero al «Lloyd» stato poi ritrasmesso dal «Lloyd» stesso. Ma in realtà l’ordine partiva dal Ministero. Ciò è comprovato da una lettera del «Lloyd Triestino» che dice: «In conformità alla richiesta da lei rivoltami, comunico che in data 29 agosto, in seguito alle istruzioni di cotesto Gabinetto, abbiamo telegrafato alla nostra Direzione generale e sede marittima di Genova: «Ministero telegrafato impartire istruzioni Conte Biancamano perché approdi Messina in attesa di ordini».

FARALLI. L’ordine venne dato il 28 agosto.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Successivamente fu spedito un telegramma a mia firma.: «Autorizzasi disarmo Conte Biancamano lasciando a bordo personale per sicurezza nave, particolarmente pericolo incendi stop possibilmente la nave sia ormeggiata in porto».

Riguardo alla considerazione sul numero dei componenti l’equipaggio, è molto strano che l’onorevole Faralli, il quale come me è rappresentante di una regione e di una città marittima, venga qui a dire che per tenere in disarmo una nave di quel tipo ci vogliono almeno 250 persone. Il Conte Grande in disarmo a Genova occupa attualmente 123 persone, che sono un numero assolutamente superiore alla bisogna, perché si è dovuto cedere alle insistenze della Federazione della gente del mare per un maggiore impiego di disoccupati. In realtà, per un piroscafo in disarmo, nelle condizioni del Conte Biancamano, che è stato completamente spogliato di ogni suo contenuto – in quanto, dovendo esso servire per trasporto militare durante la guerra, le autorità americane hanno tolto tutto ciò che poteva essere causa di incendio – bastano una quarantina di persone al massimo.

Quindi, la questione si riduce a piccola cosa: non avremmo alleviato che minimamente la disoccupazione dei marittimi a Genova, anche perché deve considerarsi che coloro i quali sarebbero stati sbarcati a Genova per essere sostituiti sarebbero indubbiamente passati fra i disoccupati.

COSATTINI. Dovevate mandare la nave a Trieste.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. A Trieste non possiamo mandarla, anche per le considerazioni esposte ieri dall’onorevole Faralli.

Circa la minaccia di non obbedire agli ordini di dirottamento e di disarmo, a me spiace che sia stato in quest’Aula accennato alla possibilità che l’equipaggio di una nave italiana si rifiuti di obbedire ad un ordine ricevuto. Non è ammissibile, sotto qualsiasi Governo, che l’equipaggio di una nave mercantile si rifiuti di obbedire; e questo non soltanto perché ciò cadrebbe sotto le sanzioni del Codice della navigazione che contempla il fatto sotto il profilo di ammutinamento grave, ma anche perché in questo momento, in cui si tratta di ricostruire la marina mercantile italiana, che è parte essenziale e vitale della nostra ricostruzione economica, in questo momento in cui abbiamo bisogno di acquistare all’estero navi, anche col concorso di capitale straniero, non possiamo concepire che un equipaggio si rifiuti di obbedire agli ordini. Questo non è stato mai fatto e sono convinto che non sarà fatto!

È deplorevole che la commissione aziendale interna – non so da chi rappresentata – dei marittimi genovesi del Lloyd abbia telegrafato nei termini che leggo, giacché la cosa è stata annunciata dall’onorevole Faralli: «Appresa comunicazione ministeriale disarmo Conte Biancamano abbiamo telegrafato equipaggio rifiutarsi di sbarcare (questo è proprio un incitamento al reato). Telegrafiamo a Giulietti perché protesti presso Ministero. Informate subito onorevole Faralli che domani farà una interrogazione alla Camera».

Giacché l’onorevole Faralli è in così buoni rapporti con la commissione interna genovese dei marittimi del «Lloyd Triestino», vorrei appellarmi a suo senso di patriottismo e di civismo per pregarlo di far presente che non è assolutamente possibile ammettere in nessun modo che un equipaggio si rifiuti di ubbidire. Esso potrà far valere le sue ragioni in tutti i modi consentiti; ma bisogna tener presente che distruggeremmo la possibilità di rinascita della nostra marina mercantile se consentissimo uno stato di anarchia di questo genere, per cui un equipaggio si rifiuti di obbedire agli ordini ricevuti. (Vivi applausi).

Per fortuna, e questo torna ad onore dell’equipaggio del Conte Biancamano e della nostra gente di mare, questo non è avvenuto e sono sicuro non avverrà. Mi pare di aver sufficientemente dimostrato quali siano i miei veri sentimenti verso la gente di mare. Nel momento in cui mi insediai al Ministero della marina mercantile, trovai insolute due grosse questioni: quella del premio di avvicendamento ai marittimi disoccupati e quella del contratto di lavoro per la gente di mare. Ed è stato riconosciuto anche dai rappresentanti più autorevoli dell’organizzazione marinara che il mio intervento è valso in poche settimane a risolvere le questioni pendenti, assicurando ai marittimi disoccupati, a tutto carico degli armatori, un sussidio di 300 lire quotidiane in aggiunta al normale sussidio di disoccupazione. Posso affermare inoltre che il contratto di lavoro che è stato concluso pei marittimi è il migliore dei contratti di lavoro che esistono attualmente in Italia. Questo dimostra quali siano i miei sentimenti verso la gente di mare, di qualunque regione essa sia. Io ritengo che in questa ricostruzione della marina mercantile occorre l’accordo pieno, completo e disciplinato della gente di mare e degli armatori. Questo abbiamo raggiunto. Cerchiamo di mantenerlo. (Vivissimi applausi).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Commemorazione.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Sia a me concesso rievocare la nobile figura di un combattente della vecchia guardia socialista, e di evocarla a nome del Partito socialista italiano: Lorenzo Ventavoli.

Fu deputato nella 25a e 26a Legislatura e fu anche Consultore nazionale. Era di umile origine: fu un muratore e venne al socialismo, nei tempi eroici del socialismo, quando essere socialista voleva dire avere contro di sé tutto l’odio della borghesia e della reazione.

Si dedicò subito alla organizzazione dei lavoratori; intelligente, osservatore acuto, analizzatore paziente dei fenomeni economici, non si abbandonò mai ai romanticismi ed alle illusioni, facili in ognuno di noi negli anni della giovinezza.

Guidò la classe proletaria alle prime battaglie con senno e con fermezza, e fu perseguitato anche prima della reazione fascista. Quando il fascismo si abbatté sul nostro infelice Paese, Lorenzo Ventavoli fu una delle vittime prime e più segnate, e fu, dai fascisti, ferito ad una gamba.

Rammento il suo coraggio e la sua serenità nei momenti difficili. Dopo la marcia su Roma, con Giacomo Matteotti e con lui ci recammo, per dir così, in giro clandestino di propaganda attraverso la Sicilia.

Sempre sereno, anche nel pericolo, non smentì mai la sua fede e mai si piegò. Era buono, profondamente buono, ed amava la causa santa dei lavoratori perché sentiva che la civiltà italiana avrebbe potuto soltanto compiersi mediante l’elevazione delle classi lavoratrici. E bisogna considerare quali erano le masse lavoratrici italiane un mezzo secolo fa! Povere folle abbrutite dalla miseria, dalla fame e dall’ignoranza; povere folle che non avevano ancora un senso di dignità e che vivevano rassegnate, sotto la frusta del padrone.

Lorenzo Ventavoli fece parte di questa audace minoranza proletaria, e, accanto ai primi gloriosi assertori del movimento socialista italiano, portò quel grande movimento nelle classi lavoratrici e preparò l’avvento di un’Italia democratica e repubblicana.

A questo combattente modesto, a questo muratore che seppe elevarsi con la propria volontà e con la propria coscienza, e seppe assurgere ad alte cariche nel suo Paese, e non mutare mai, anche nelle ore più tristi e nelle ore di miseria, a questo combattente buono e generoso vada, onorevoli colleghi, a nome di tutti noi, un saluto reverente e commosso. (Applausi).

GRILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLI. A nome mio e del mio Gruppo mi associo alle nobilissime parole del collega Tonello in ricordo di Lorenzo Ventavoli.

Era un operaio e dedicò la sua intelligenza e la sua attività ad aiutare le organizzazioni operaie nelle zone della Lunigiana e della Lucchesia. I suoi compagni lo vollero deputato al Parlamento nel 1919 e nel 1921. Ma la sua fortuna politica non lo inorgoglì, e non tentò mai di trarre vantaggi personali dalla sua posizione di deputato.

Rimase operaio modesto e semplice e subì la persecuzione fascista con dignitosa fermezza.

Emigrato in Piemonte, conquistò la simpatia e la stima di tutti quelli che lo conobbero e poterono apprezzare le sue doti di intelligenza e di onestà.

Lorenzo Ventavoli può essere ricordato come uno di quegli italiani di mente e di cuore, di cui oggi sentiamo tanto bisogno per la nostra ricostruzione morale. (Applausi).

CAPPA, Ministro della Marina mercantile. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPA, Ministro della Marina mercantile. Mi associo, a nome del Governo, alla commemorazione dell’onorevole Ventavoli.

PRESIDENTE. A nome dell’Assemblea Costituente mi dichiaro partecipe del ricordo commosso dell’onorevole Lorenzo Ventavoli, di cui gli onorevoli Tonello e Grilli si sono fatti in questo momento interpreti dinanzi a noi.

Sostituzione di deputati.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che, avendo cessato di vivere, il 6 agosto 1947, l’onorevole Diego D’Amico, deputato nella lista della Democrazia cristiana per la circoscrizione di Palermo (XXX), a termini dell’articolo 64 della vigente legge elettorale politica la Giunta delle elezioni, nella sua seduta odierna, ha deliberato di proporne la sostituzione con il candidato Francesco Restivo, primo dei non eletti nella lista medesima.

In seguito alla morte, avvenuta l’11 agosto, dell’onorevole Aldo Caprani, deputato nella lista del Partito comunista italiano per la circoscrizione di Brescia (VI), la Giunta stessa ha deliberato di proporne la sostituzione con il candidato Gaetano Chiarini, primo dei non eletti nella lista medesima.

Per l’improvvisa morte, avvenuta ieri, dell’onorevole Carlo Bassano, è rimasto vacante il seggio assegnato alla lista dell’Unione democratica nazionale nella circoscrizione dell’Aquila (XXI). In sua sostituzione la Giunta delle elezioni ha deliberato di proporre la proclamazione dell’onorevole Donati Antigono, che lo seguiva nella graduatoria dei candidati della lista medesima.

Pongo ai voti queste proposte della Giunta.

(Sono approvate).

Ricordo che da oggi decorre il termine di venti giorni previsto dall’articolo 65 della vigente legge elettorale politica, per la presentazione di eventuali reclami.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

È iscritto a parlare onorevole Preti. Ne ha facoltà.

PRETI. Sono rimasto ieri assai meravigliato, quando l’onorevole Codacci Pisanelli, parlando – come egli ha dichiarato – a nome della Democrazia cristiana, ha nuovamente proposto di costituire il Senato sulla base della rappresentanza di categoria. Io proprio credevo che di un simile Senato non se ne sarebbe mai più parlato, dopo che la Commissione dei Settantacinque già l’aveva respinto.

Potrei comprendere questa proposta, se qui si trattasse di creare un Senato che fosse semplicemente un organo consultivo. Ma quando si sostiene, almeno inlinea di diritto, la parità del Senato e della Camera dei deputati, proporre poi che il Senato venga formato sulla base della rappresentanza di categoria significa ispirarsi a un criterio assai scarsamente democratico, anzi addirittura antidemocratico.

Nella moderna democrazia non si può ammettere che una Camera, la quale sia effettivamente partecipe della sovranità, attinga la sua autorità – per via diretta o indiretta – da una fonte diversa dal suffragio popolare universale. Se da quasi 40 anni la Camera dei Pari ha perso ogni potere effettivo, è proprio perché anche nella tradizionale Inghilterra questo principio democratico si è inequivocabilmente imposto.

Vorrei che l’onorevole Codacci Pisanelli fosse qui per chiedergli come, nel caso in cui dovessimo accettare la proposta sua e del suo partito, egli ci potrebbe garantire che le categorie del suo Senato corporativo rappresentino veramente il popolo. In base a quale criterio si può stabilire, putacaso, che la categoria dei meccanici abbia trenta rappresentanti in Senato e la categoria dei tessili venti, anziché magari trenta quelli dei tessili e venti quella dei meccanici? Forse con l’anagrafe professionale degli Uffici del lavoro, che oltre a riuscire sempre approssimativa, darebbe luogo a insanabili e sostanziali divergenze di interpretazione?!

E in seno ad ogni singola categoria, in base a quali criteri assegneremmo i posti rispettivamente ai rappresentanti del capitale, della tecnica e del lavoro?

Non credo si vorrebbe giungere alla rappresentanza paritetica di fascistica memoria. D’altronde, se domani l’onorevole Di Vittorio, segretario della Confederazione generale italiana del lavoro, pretendesse che in seno ad ogni singola categoria, in relazione al numero degli aderenti, i rappresentanti dei lavoratori fossero nove su dieci, non so cosa ex adverso gli si potrebbe rispondere.

Mi sembra che, sostenendo questa tesi del Senato corporativo, si voglia prescindere per forza dai partiti, i quali costituiscono le forze vive della democrazia moderna. Ma oltre a tutto si finisce per conseguire, adottando tali criteri, una rappresentanza degli interessi costruita a casaccio, non essendo rintracciabile, come ho dimostrato, nessun criterio obiettivo per assegnare un numero o un altro di senatori alle singole categorie economiche, e per suddividere i posti di rappresentanza in seno alle categorie stesse.

Il risultato sicuro, a mio parere, sarebbe uno solo: quello di ottenere una Camera conservatrice, cioè una Camera più a destra di quella Camera dei deputati che è l’espressione diretta del suffragio universale. Ed io trovo strano che un partito, come il democristiano, faccia queste proposte; sembra quasi – il che non dovrebbe essere – che esso abbia timore del suffragio universale, dopo che, pure, il 2 giugno del 1946 ha conseguito un risultato superiore, probabilmente, alle sue stesse aspettative. Perciò fanno male – a mio avviso – i rappresentanti del partito democristiano ad insistere su tali proposte non «squisitamente» democratiche. A questo riguardo io vorrei ricordare loro che, alla seconda Costituente francese, il Rapporteur général Coste Floret, rappresentante del Movimento repubblicano popolare, dichiarò, a nome del suo partito – che è anch’esso essenzialmente cattolico – e di tutti i partiti francesi, che non si poteva concepire che la sovranità risiedesse in una Camera o in Camere che non fossero diretta espressione del suffragio universale. Se di questo suffragio i cattolici italiani mostrano di diffidare, essi vengono a dare implicitamente ragione all’onorevole Nenni, il quale appunto sostiene sui giornali e sulle piazze che essi hanno paura delle elezioni!

Questa proposta del Senato corporativo il nostro partito non può naturalmente prendere nemmanco in considerazione. Non solo: ma il Partito socialista dei lavoratori italiani neppure è disposto ad accettare, in tema di Senato, il testo del progetto, di cui verrò ora a parlare.

In seno alla Commissione dei Settantacinque, dopo molte discussioni, si è finito per accettare, per la formazione del Senato, il principio del suffragio universale; ma, essendosi rivelato nel contempo il pericolo – non so poi se sia proprio un pericolo – di fare del Senato un doppione della Camera dei deputati, dando così ragione a quei partiti che sostenevano l’inutilità del primo, allora si è fatto ricorso a correttivi. Orbene, questi correttivi non ci convincono, perché ci sembrano di un evidente sapore antidemocratico.

Comincerò dall’elettorato attivo e osserverò che ne sono esclusi, in base al Progetto, in ordine alle elezioni del Senato, i cittadini di età inferiore agli anni venticinque. Questo significa negare il pieno godimento dei diritti politici a qualche milione di cittadini, i quali hanno già compiuto il servizio militare di leva, e con ciò adempiuto anche al più gravoso dei doveri nei confronti dello Stato. Né si potrà certo loro attribuire una incompleta maturità civile e politica!

Una simile limitazione viene manifestamente a contradire ai più elementari principî della moderna democrazia; senza contare poi che, in questa maniera, vengono avvantaggiati certi partiti a danno di altri, e in particolare di quelli che hanno un maggior seguito nella gioventù e che spesso meglio rappresentano l’avvenire della Nazione. La Repubblica non deve, a mio modo di vedere, trasformarsi in una gerontocrazia.

Quanto poi alle categorie dei cittadini eleggibili, esse non convincono assolutamente nessuno; al punto che credo sia inutile starle a discutere ad una ad una. Si tratta, oltre a tutto, anche di categorie eterogenee; sono posti, per esempio, gli uni a fianco degli altri i decorati della guerra di liberazione e i professori di università, mentre è evidente che gli uni sono presi in considerazione per meriti di carattere puramente politico – giacché potrebbero essere anche analfabeti – mentre gli altri sono presi in considerazione per meriti esclusivamente scientifici, posto che, per quanto concerne il piano politico, essi potrebbero anche risultare ex-militanti del partito fascista repubblicano…

A norma dell’articolo 56, intanto, alcuni partiti si potrebbero trovare nell’impossibilità di mandare alla Camera Alta persone che pure ne sarebbero degnissime, in quanto non rientrano in nessuna delle categorie previste. Né si può, d’altra parte, allungare l’elenco delle categorie stesse, sino a farlo diventare lungo come il testo della Costituzione!

Anche il criterio della parziale rappresentanza delle Regioni nella Camera Alta convince ben poco, perché, o lo Stato è federale, e allora è concepibile che i senatori siano i rappresentanti delle singole Regioni; o lo Stato invece è unitario – e la Repubblica italiana rimane tale – e allora mi sembra assolutamente illogico ricorrere a questa parziale rappresentanza delle Regioni. Comunque, un effetto certo dell’adozione di un tale criterio è questo: che, essendo assegnata a ciascuna la stessa rappresentanza, vengono favorite le Regioni meno popolate e più arretrate, quali, ad esempio, la Lucania o il Molise (se dovesse venire confermata la sua erezione a Regione) a danno di quelle più progredite e con popolazione maggiore, quali, ad esempio, la Lombardia ed il Veneto. Ed anche qui, naturalmente, il risultato non sarebbe che quello di favorire partiti che hanno una tendenza politica conservatrice a danno di altri partiti più di sinistra.

Posto dunque che, sul piano della coerenza democratica, si dovrebbero respingere tutti questi correttivi, si finisce necessariamente, per questa via, per cadere nel doppione esatto della Camera dei deputati. Io credo, peraltro, che abbandonando i criteri seguiti dal Progetto, si possa tentar di battere una via più democratica, senza per questo correre il pericolo di fare del Senato una mala copia della Camera che siede a Montecitorio.

Si possono prendere in esame diversi sistemi: per esempio, il sistema del suffragio universale abbinato al collegio uninominale. Se non erro, dinanzi alla Commissione dei Settantacinque, l’onorevole Einaudi, all’ultimo momento, ebbe a fare questa proposta: eleggere il Senato attraverso il collegio uninominale, senza ballottaggio. La proposta fu accolta favorevolmente dall’onorevole Togliatti, il quale osservò che in questa maniera si poteva anche andare incontro ai desideri di larghi strati del popolo italiano, i quali erano rimasti delusi nella loro aspettativa di vedere eletta la prima Camera sulla base del collegio uninominale, anche per meglio valo-rizzare le singole personalità. Questa proposta, che allora fu rigettata per pochi voti – forse solo perché escludeva il ballottaggio – credo che potrebbe essere ripresa ora in esame, a patto di non escludere il ballottaggio stesso. Infatti essa mi sembra più conseguentemente democratica. Si potrà obiettare che ne verrebbero avvantaggiati i due partiti più forti in Italia, il democristiano e il comunista, i quali finirebbero quasi sempre per essere i rivali in sede di ballottaggio. Ma, quando si tratta di redigere la Carta costituzionale, non si deve dare peso eccessivo a queste considerazioni contingenti: si deve cercar di guardare un po’ più lontano.

Si potrebbe anche riprendere in esame il sistema della elezione indiretta attraverso i Consigli comunali, se si riesce a trovare un congegno che ci garantisca contro la prevalenza dei Consigli dei piccoli Comuni di campagna rispetto ai Consigli comunali delle città: inconveniente che caratterizzò il Senato della III Repubblica francese. Mi si dice che sia molto difficile, quasi impossibile. Comunque, perché non ristudiare la cosa?

C’è poi anche il sistema della filiazione diretta, che forse ha il difetto – per me può essere un pregio – di essere troppo crudamente sincero. È certo un sistema che accentua la supremazia dei partiti e che perciò dovrebbe incontrare le simpatie di chi crede sia nell’interesse della moderna democrazia sanzionare sempre meglio il ruolo preminente delle organizzazioni di partito – al contrario del sistema proposto dall’onorevole Einaudi che tende ad attenuare questa preponderanza – sicché è prevedibile che chi si orienta con simpatia verso l’uno debba istintivamente diffidare dell’altro.

Con il sistema in questione si chiama la Camera dei deputati – in pratica, perciò, i singoli partiti – ad eleggere il Senato. È un sistema che presenta alcuni innegabili vantaggi: prima di tutto si opera una scelta più meditata, in quanto i partiti possono ben ponderare prima di designare l’uno o l’altro, dei loro aderenti al Senato; in secondo luogo si possono designare dei tecnici, i quali alle elezioni – salvo che nella lista nazionale – non la spunterebbero mai, data la mancanza di qualità vuoi oratorie vuoi demagogiche.

Vi sarebbe inoltre la possibilità di portare al Senato quelle personalità politiche che – si dice – non possono scendere, vuoi per l’età veneranda, vuoi per essere au dessus de la mêlée, nell’agone elettorale; perché io credo che domani tutti i partiti sarebbero disposti ad eleggere, magari all’unanimità, Vittorio Emanuele Orlando, Francesco Saverio Nitti o altre grandi personalità della vita politica italiana. (Interruzioni). Sì, anche Benedetto Croce, si capisce! Con tale sistema infine i partiti – in armonia con i canoni di una vera democrazia parlamentare – verrebbero rappresentati al Senato suppergiù nelle stesse proporzioni che nella Camera dei deputati.

La Democrazia cristiana obietterà che per questa via verrebbe certamente sanzionata l’inferiorità di fatto del Senato rispetto alla Camera dei deputati, perché una volta stabilito che una Camera nomina l’altra, è evidente che, anche se la Costituzione dice diversamente, la prima Camera eserciterà, di fatto, i poteri maggiori della seconda. Ma, d’altra parte, la subordinazione di fatto esisteva anche per il Senato del regno; e io sono convinto che nessuno dei deputati qui presenti osa pensare che domani, in linea di fatto, il Senato, con qualunque sistema sia por essere eletto, finisca per esercitare la stessa autorità della Camera dei deputati. Ciò non può essere e ciò non sarà, checché possa dire il testo della Costituzione.

D’altronde, o il Senato rappresenta delle forze diverse rispetto alla Camera dei deputati, e cioè, grazie a un sistema elettorale poco democratico, riesce a porsi come rappresentante di forze più conservatrici, e allora si potrà pensare ad una contrapposizione del Senato alla Camera dei deputati sul piano politico; ma quando anche la Camera cosiddetta alta è rappresentativa della volontà popolare perché, o direttamente o indirettamente, anche essa trae origine dal suffragio universale, allora la maggioranza nel Senato appartiene ai medesimi partiti che la posseggono nella Camera dei deputati: nel qual caso riesce assolutamente inconcepibile una opposizione fra Senato e Camera sul piano politico.

La democrazia moderna infatti non è una democrazia atomistica, poggiata sugli individui, come quella di ottant’anni fa, quando il gabinetto lo costituiva il Ministro X o il Ministro Y sulla base di amicizie personali: la democrazia moderna è essenzialmente di partito. Piaccia o non piaccia, oggi sono gli esecutivi dei partiti che tengono le fila dell’attività politica. Sono essi, perciò, che indirizzano oggi e indirizzeranno domani l’attività dei loro rappresentanti nelle due Camere. Pertanto, nel caso in cui entrambe poggino sul suffragio popolare, non essendo concepibili divergenze di ordine politico, non potranno sorgere che divergenze di carattere tecnico per il caso che i senatori studino più meditatamente, ovvero con maggiore competenza specifica, ciò che magari la Camera dei deputati abbia troppo rapidamente approvato.

In conclusione, adottando il sistema che ho ora illustrato, non si farebbe che riconoscere ufficialmente quella che è la realtà dei fatti: e cioè, che la democrazia-parlamentare moderna poggia essenzialmente sul pilastro dei partiti.

Una cosa che noi non discutiamo comunque, è la seconda Camera come tale. Una seconda Camera ci sarà, non fosse altro che per rendere omaggio alle tradizioni o, come molti dicono scherzosamente, per accontentare i così numerosi aspiranti al Senato. Sarebbe impolitico voler rimettere in discussione questo dato ormai acquisito.

L’esistenza della seconda Camera garantirà così, con assoluta certezza, quella maggiore ponderazione nella formazione delle leggi, di cui certi settori tanto si preoccupano. Ed è per questo che a mio avviso non occorreva, sempre in funzione di questa maggiore ponderazione, complicare in sovrappiù il meccanismo della formazione delle leggi.

Bisogna infatti rendersi conto che lo Stato moderno, il quale giorno per giorno allarga la sfera delle sue funzioni, specialmente nel campo economico, ha bisogno di una legislazione rapida, aderente alle contingenze quotidiane; le quali mutano continuamente in relazione al fatto che oggi il mondo procede assai più velocemente che non ai tempi della democrazia strettamente borghese.

Perciò è inutile che i nostalgici rimpiangano i tempi in cui la Camera approvava quaranta leggi all’anno, e affermino che oggi ci troviamo su piano della degenerazione parlamentare. Egli è che il mondo va avanti e forse essi stanno troppo fermi!

Orbene, bisogna decidersi a riconoscere che l’Assemblea plenaria, nella democrazia moderna, non può fungere se non da organo di controllo politico. Del resto lo riconoscono anche gli inglesi, i quali non sono affatto entusiasti del funzionamento della Camera dei Comuni, e per bocca di molti trattatisti affermano la necessità di riformarne il regolamento, di guisa che le Commissioni si sostituiscano all’Assemblea plenaria nella normale procedura legislativa. Cinquecento uomini o più, riuniti in quest’Aula riusciranno sempre a fare pochissime leggi, perché troppi vorranno intervenire e dire la loro parola talvolta neppure autorevole e, queste leggi, finiremo anche per farle male, grazie agli emendamenti improvvisati, approvati – come capita – a tambur battente, senza una sufficiente meditazione. E se, in materia di Costituzione, possiamo stare tranquilli, contando sull’opera della Commissione di revisione che riparerà a più di un errore, non si potrà per altro contare su un analogo esame di appello per la legislazione normale.

Abbiamo visto quel che è successo nelle discussioni di quest’anno: leggi di un’importanza molto relativa, come quella «leggina» che modificava il testo unico della legge comunale e provinciale, hanno richiesto un numero iperbolico di sedute. Se è ammissibile dunque, impiegare molto tempo per discutere la Costituzione, che è la legge fondamentale della Repubblica, non è serio perdere altrettanto tempo per leggi che potrebbero essere sbrigate con modesto impiego di tempo e di energie. È triste constatare come pochi deputati stiano a discutere fiaccamente in quest’Aula, mentre i più, se non sono addirittura nel «salone dei passi perduti» a fumare e ad oziare, stanno seduti al loro scanno, intenti a scrivere lettere alla moglie o al sindaco del paese.

Orbene, dinanzi a noi si pone un’alternativa. Possiamo da un lato prendere onestamente atto di questo stato di cose; ed allora si decide senz’altro di addossare il peso della legislazione ordinaria alle Commissioni, riservando all’Assemblea semplicemente le leggi costituzionali, quelle di approvazione dei trattati, e quelle sul bilancio, le leggi insomma che implicano una discussione politica. Nel quale caso bisogna modificare la norma del regolamento che riferisce al metodo di discussione, facendo dell’attuale procedura d’urgenza la procedura normale e viceversa. Oppure ci ostiniamo ad ignorare la realtà; ed allora, lasciando noi oggi le cose così come sono, potremo domani constatare che, di fronte all’irrimediabile lentezza del Parlamento, il quale non riuscirà nei termini dovuti a esplicare le sue funzioni, il Governo assumerà di fatto la funzione legislativa, come del resto da parecchi lustri va accadendo in Italia e nell’Europa in genere.

Ed allora, checché dica il testo della Costituzione – giacché anche lo Statuto albertino certe cose non le prevedeva! – noi continueremo a procedere avanti per via di decreti legislativi e di decreti-legge.

Tale eventuale conclusione non ci deve certo spaventare per la violazione che ne verrebbe del principio della divisione dei poteri. È, infatti, pacifico che questo vecchio principio costituzionale è ormai più che superato dal punto di vista della dottrina oltre che sul piano della prassi. Il dogma della divisione dei poteri in Europa, era fondato sul presupposto di due diverse fonti del potere sovrano, il popolo e la monarchia; è morto perciò con la monarchia costituzionale. In un sistema moderno di democrazia parlamentare, qual è quello che noi abbiamo stabilito di adottare, l’autorità dello Stato ha una unica fonte di legittimazione: il corpo elettorale. Il corpo elettorale nomina il Parlamento; e il partito o la coalizione di partiti che in esso possiede la maggioranza acquistano il diritto di formare il Governo. In pratica il partito o i partiti dominanti delegano il Governo a dirigere la maggioranza parlamentare. Esso Governo perciò, di fatto, promuove anche l’attività legislativa, esercitando pure in questa sfera una funzione preminente. Prescindiamo, infatti, dall’involucro giuridico e guardiamo come funziona il meccanismo della democrazia parlamentare moderna! Basterà allora constatare che i progetti, salvo eccezioni rarissime, sono presentati dal Governo e che essi diventano leggi perché votati da quella maggioranza di cui il Governo è il comitato direttivo. Di qui è facile trarre le conclusioni.

In pratica, pertanto, la differenza fra il procedimento legislativo ed il procedimento per decreto è una sola. Quando si ricorre al procedimento per decreto, la minoranza non è messa nella condizione di discutere e di emendare; quando si ricorre per contro alla procedura legislativa, la minoranza può discutere i progetti ed ottenere, se non altro degli emendamenti. Ed è assurdo perciò considerare ancora come un conflitto di poteri – cioè una contrapposizione tra un potere esecutivo ed un potere legislativo che, come tali, non esistono – quella che è semplicemente una contrapposizione tra la maggioranza parlamentare, la quale è nello stesso tempo anche Governo, e la minoranza la quale, non avendo parte nel Governo, può far sentire la sua voce semplicemente in seno all’Assemblea legislativa.

Orbene, noi siamo per la procedura legislativa, non in ossequio alla teoria della divisione dei poteri – che va accettata con molte riserve anche nella sua veste moderna di teoria della divisione delle funzioni – ma, dicevo, siamo per la procedura legislativa, in quanto, come democratici, intendiamo tutelare i diritti della minoranza, la cui azione risulterebbe necessariamente menomata se il Governo procedesse normalmente per via di decreti.

Ripeto, però, che la procedura legislativa non deve risultare troppo pesante, se si vuole evitare che il Governo sia forzato, anche contro la sua volontà, a ricorrere ai decreti legge e ai decreti legislativi.

Posto però che il Governo è arbitro della maggioranza parlamentare, trovo esagerata la diffidenza del progetto di Costituzione verso i decreti-legge ed i decreti legislativi. Non dobbiamo ignorare che ciò che stabilisce per decreto il Governo riuscirebbe sempre ad imporlo anche al Parlamento attraverso la sua maggioranza, salvo qualche eventuale emendamento.

So che in sede di Commissione si è citato spesso l’esempio di Benito Mussolini: si è detto in sostanza che Mussolini ha stabilito la dittatura a colpi di decreto-legge. Questo è assolutamente inesatto! Mussolini, fino alle elezioni del 1924 ha fatto molti decreti-legge ma, vivaddio, allora vi era una Camera la quale, se non fosse stata d’accordo con Mussolini, avrebbe potuto provocare quel voto di sfiducia che non ha mai provocato; e dopo le elezioni del 1924, le quali hanno avuto l’esito noto proprio perché quel Parlamento aveva votato quella legge elettorale che tutti conoscono, Mussolini aveva la sua maggioranza in Parlamento. La minoranza avrebbe potuto protestare, ma io credo…

FUSCHINI. Lei dimentica una cosa: il delitto Matteotti e le sue conseguenze.

PRETI. Qui c’è un equivoco. Intendo infatti dire questo: che Mussolini dopo le elezioni del 1924 non aveva bisogno di procedere per via di decreti-legge, perché rappresentando qui l’opposizione una piccola minoranza parlamentare, egli con la sua maggioranza avrebbe potuto ottenere con l’ordinaria legislazione quello stesso che otteneva attraverso i decreti-legge. E questo anche nel caso che avesse permesso alle minoranze di esercitare qualche funzione di critica parlamentare.

Solamente questo intendevo dire.

BUFFONI. Il Parlamento era una farsa.

PRETI. Appunto, siamo d’accordo. Mussolini aveva qui le sue comparse.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non è problema, questo, di tanto interesse, da perdere ancora del tempo.

PRIOLO. Si tratta di precisazioni su di un periodo della nostra storia parlamentare.

PRETI. Dato che il rapporto reale tra legge e decreti-legge è quello che io ho messo in luce, non dobbiamo aver timore di riconoscere che vi sono delle particolari situazioni nelle quali può essere necessario il ricorso sia al decreto-legge, sia ad un’ampia delega legislativa.

Per esempio, io concordo con quello che ha detto ieri l’onorevole Crispo, per quanto riguarda lo stato di guerra. Mi sembra infatti che, in caso di guerra, la delega non debba farsi caso per caso e sia opportuno, invece, ricorrere a una delega più generale per i provvedimenti resi necessari dallo stato di guerra. D’altra parte, anche la democratica Inghilterra, durante l’ultima guerra, si è attenuta suppergiù a questi criteri.

Concordo anche con le considerazioni dell’onorevole Crispo e dell’onorevole Codacci Pisanelli in merito ai decreti-legge e in particolare sulla opportunità del decreto-catenaccio. Posto, comunque, che decreti-legge vi saranno sempre, checché dovesse stabilire la Costituzione, meglio è disciplinarne fin d’ora l’uso attraverso la Carta costituzionale.

Non è dunque, onorevoli colleghi, per difetto di spirito democratico, ma perché siamo realisti, che noi siamo disposti a riconoscere, entro certi limiti, al Governo la facoltà di legiferare. E a riprova del fatto che noi vogliamo una Costituzione democratica, vi dirò che una innovazione della Carta costituzionale, che incontra la piena approvazione del nostro Partito, è quella relativa al referendum popolare. Il referendum popolare è uno strumento di educazione politica e, nello stesso tempo, un antidoto contro il monopolio dei partiti; perché, se è vero, come molti sostengono, che, attraverso il Parlamento, i partiti monopolizzano la volontà popolare, quasi che essa dovesse necessariamente passare attraverso il loro canale, noi, adottando il referendum, abbiamo trovato la via per rivolgerci direttamente al corpo elettorale, passando sopra ai partiti. D’altronde, se si deve ricorrere a correttivi del suffragio universale, esplicantesi attraverso le elezioni del Parlamento, l’unico correttivo moderno e democratico è quello del referendum.

Per non appesantire però troppo la procedura legislativa bisognerà, in tema di referendum, ricorrere a qualche snellimento, come ha osservato assai propriamente nel discorso del 5 marzo l’onorevole Laconi.

Mi resta ora da fare alcune osservazioni, non dirò sul Potere esecutivo, che a mio avviso è solo un’astrazione, ma più concretamente sul Presidente della Repubblica e sul Governo.

In complesso, mi sembra che la Presidenza della Repubblica ed il Governo, come istituti, siano ben disciplinati dal progetto di Costituzione. Avverto però la tendenza a prendere in considerazione, anziché i due distinti organi costituzionali, il cosiddetto potere esecutivo nella sua immaginaria unità, comprensivo, come tale, del Presidente della Repubblica e del Governo. È per questo che non si distingue, anche là dove si dovrebbe, la funzione propria dei due organi.

L’articolo 83, ad esempio, stabilisce che il Presidente della Repubblica «nomina, ai gradi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato». Orbene, è assolutamente pacifico che il Presidente della Repubblica solo formalmente è partecipe di questa funzione. Non si vede, quindi, perché, allo scopo di meglio distinguere le funzioni del Presidente della Repubblica da quelle del Governo, non si possa adottare lo stesso criterio che, se non erro, è stato adottato dalla Costituzione francese, quello cioè di riservare al Presidente della Repubblica solo la nomina degli alti funzionari.

D’altro lato nell’articolo 84 non si specifica sufficientemente se il Presidente della Repubblica, quando deve sciogliere le Camere, debba o non debba essere d’accordo con il Capo del Governo. A me pare che questo potere debba essere esclusivamente proprio del Presidente della Repubblica, alla stessa stregua della scelta del Primo Ministro. Se è questo che si vuole, precisiamolo meglio, tenendo presente che Presidente della Repubblica e Governo sono due organi costituzionali distinti.

In conclusione io credo che la democrazia parlamentare moderna, quale è la nostra, ci debba dare degli organi costituzionali con funzioni ben definite, capaci di reggere lo Stato con energia e con continuità d’azione e, d’altro lato, con competenza tecnica. Per questo bisogna tra l’altro, passar sopra alle preoccupazioni di coloro che difendono i principî legati al dogma della separazione dei poteri.

Non credo assolutamente, invece, che questo fine di una più efficace azione degli organi costituzionali, si possa raggiungere applicando correttivi al principio della sovranità popolare, quali il già menzionato senato corporativo. Il 2 giugno il popolo italiano ha saputo far ottimo uso del suffragio universale, e credo che indietro non si possa e non si debba più tornare. Il 2 giugno il popolo italiano ha conquistato il diritto di escludere dalla Costituzione futura una fonte di autorità sovrana diversa dal suffragio universale. Orbene, se si vogliono correggere, come ha detto ieri, mi pare, l’onorevole Codacci Pisanelli, gli effetti del suffragio universale per il fatto che esso darebbe luogo alle incontrastate supremazie dei partiti, non lo si deve fare andando indietro, verso il passato, ma procedendo più innanzi. Ed è quello che appunto si è fatto, come già dissi, nel progetto di Costituzione, ricorrendo al procedimento della democrazia diretta, attraverso quel referendum popolare il quale – non lo dobbiamo dimenticare – ci ha dato la grande vittoria repubblicana del 2 giugno.

Più la democrazia diventerà diretta, più la Repubblica italiana diventerà popolare. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Clerici. Ne ha facoltà.

CLERICI. Onorevoli colleghi, trascuro le questioni particolari che saranno oggetto anche di qualche mio emendamento, con quel metodo che ci ha suggerito ieri il nostro onorevole Presidente, invitando a trattare piuttosto in questa sede problemi di carattere generale. Mi fermerò invece su qualche questione di indole generale: sul Capo dello Stato e specialmente sulla sua nomina; sulla attività e composizione del Governo di Gabinetto; sulla formazione, origine e struttura del Senato. Infine dirò qualche cosa in aggiunta ed in parte a conferma della tesi sostenuta, mi pare, dal collega Preti, in merito alla formazione delle leggi.

Il progetto di Costituzione, onorevoli colleghi, propone, per la nomina del Capo dello Stato, l’elezione da parte dell’Assemblea formata dalle due Camere, con l’aggiunta di due rappresentanti per ciascuna Regione. Ma sarà certamente oggetto di discussione la proposta, già avanzata nelle diverse Sottocommissioni, che la nomina sia invece affidata al popolo, sia attraverso il voto diretto – tipo Costituzione di Weimar – sia attraverso il voto indiretto, di cui rimane prototipo la Costituzione degli Stati Uniti d’America, seguita dalle Costituzioni di quasi tutti gli Stati di quel continente.

Ritengo che nonostante molte ragioni stiano a favore della tesi dell’elezione popolare, sia preferibile la soluzione che è stata adottata a maggioranza dalla Commissione dei Settantacinque, ancorché non posso nascondere (la Camera lo vede da sé) che questo istituto non è in sostanza che la copia, quasi pedissequa, del disposto della Costituzione francese del 1875, riprodotto anche nell’attuale Costituzione repubblicana francese. Strano fatto, perché, come tutti sanno, la Costituzione francese del 1875 fu concepita e redatta da monarchici e con lo scopo di preparare, attraverso una Costituzione ambigua, il ritorno della monarchia, che allora non si era potuto effettuare, non già perché l’Assemblea nazionale a Bordeaux, a Versailles ed a Parigi non avesse una maggioranza monarchica e conservatrice, ma perché le frazioni monarchiche non riuscirono mai ad accordarsi per i contrasti fra i principi, fra l’ultimo rappresentante dei Borboni ed i principi della casa d’Orléans o almeno tra gli entourages dell’uno e degli altri. Una maggioranza di quasi quattro quinti monarchica, preparò allora, come è noto, quasi per disperazione una Costituzione repubblicana, vergognosa quasi di esserlo, tanto che la repubblica fu votata con un solo voto di maggioranza, e proprio per preparare il ritorno ad una monarchia di carattere costituzionale sul tipo di quella di Luigi Filippo o di quell’inglese; e tutto era predisposto perché si potesse sostituire nella Carta la parola re a quella di presidente. Eppure, strano a dirsi, quello Statuto non solo ha funzionato egregiamente per oltre mezzo secolo, ma è diventato il prototipo anche di quelli di altre nazioni; prima del 1914 fu imitato soltanto dal Portogallo; ma dopo il 1919 fu imitato da diversi Stati come la Turchia, la Grecia, e ora è imitato da noi.

È certo una Costituzione irrazionale, perché fu il frutto di un trucco; però in se stessa mi sembra efficiente se questa Costituente, come già la Commissione dei Settantacinque, resterà dell’avviso che la nuova Repubblica italiana dev’essere una Repubblica di carattere parlamentare. Perché, onorevoli colleghi, bisogna che noi stabiliamo chiaramente il baricentro di quello che sarà il nuovo Stato repubblicano italiano. Ogni regime ha il suo centro di equilibrio. Nella monarchia cosiddetta legittima, tutti sanno che un principio, quanto mai equivoco, era quello della legittimità, perché si faceva intervenire Dio, mentre in realtà si ratificava il fatto compiuto, e si gabellava per cristiana una dottrina ben diversa da quella genuina della Chiesa, circa l’origine e la natura del potere.

Nella Repubblica nostra il baricentro sarà, come avviene in tutti i regimi parlamentari, siano repubbliche o monarchie (naturalmente monarchie che abbiano, come in Inghilterra, in Belgio, in Olanda, nei paesi nordici, il carattere di repubbliche coronate) invece il Parlamento, dal quale deriva ogni potere politico; sì la sovranità è nel popolo, ma l’esercizio della sovranità è nel Parlamento.

Avendo noi ammesso questo principio come principio fondamentale, io penso, del nuovo Stato italiano, non credo che, per quanto suggestivo, l’esempio degli Stati Uniti d’America possa avere valore per noi. Perché? Perché il sistema degli Stati Uniti d’America ha un’origine storica e specifica ed ha soprattutto come postulato un popolo sostanzialmente democratico; un popolo rispetto al quale sarebbe assurda qualsiasi forma di cesarismo. Invece in Europa le elezioni popolari del Capo dello Stato hanno costantemente significato, se la storia ha un valore, un fenomeno tipico di cesarismo: la reazione e la protesta, cioè, contro le Assemblee e l’elezione di un uomo, al quale gettarsi in braccio. Non occorre che ricordi come lo stesso Cesare fu il rappresentante della più spinta democrazia di Roma, e il nemico del Senato, non meno del suo predecessore sfortunato, Catilina, del quale in gioventù egli stesso era stato un seguace. Basti pensare ai giorni nostri, all’epoca moderna: Napoleone I è stato, attraverso le sue diverse elezioni, sempre più accentratore di poteri fino a diventare imperatore della Repubblica francese, e fu inteso come il contrasto della democrazia che aveva, d’altronde, deviato, durante la rivoluzione francese, straripando nell’epoca del Terrore.

E gli storici recenti più avveduti, basta ricordare il Madelin, ci hanno dimostrato che tale dittatura era indipendente dalla persona, malgrado il genio di Napoleone; e che ad essa si sarebbe arrivati ugualmente anche se non ci fosse stato Napoleone.

Tutto era maturo, perché i ceti e le condizioni sociali francesi chiedevano un Cesare, un imperatore, un dittatore. In sua vece la sorte sarebbe toccata ad Hoche, se non fosse morto così giovine, o a Moreau il rivale sfortunato. Ed uguale è stato poi per il molto minore nepote, Luigi Napoleone nel 1850 e nel 1852; nel 1850 quale Principe Presidente; nel 1852 quale imperatore a sua volta. Se non fosse stato lui, sarebbe stato Cadillac.

Dunque un Presidente eletto dal popolo ha sempre in se stesso, in Europa (e Weimar ce l’ha confermato), il pericolo di un cesarismo, che negli Stati Uniti d’America non sarebbe concepibile, sarebbe fuori clima. Ho letto di recente in un giornale per la penna di uno scrittore brillante queste osservazioni: che ben diversi saranno in futuro i risultati delle elezioni presidenziali da noi se di persone elette dal popolo o elette dall’Assemblea. Certamente noi, per fortuna, non abbiamo un De Gaulle, non abbiamo più un D’Annunzio, né, guardandomi in giro, vedo nessuno ora che possa assumere ruoli simili; però vi è sempre il pericolo, attraverso l’elezione popolare, del successo di una persona, e dell’abuso poi che questa persona possa fare di uno straordinario potere contro quella che è la legittima, permanente, democratica rappresentanza della Repubblica popolare.

Ricordo, poi, una acuta osservazione, che non è del Tocqueville, che fu il più grande studioso della prima metà del secolo scorso degli Stati Uniti d’America, ma di quello che è il maggior conoscitore di essi ai nostri giorni, James Bryce, una acutissima osservazione circa l’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America. Quei coloni, ribellatisi alla madre Patria, nient’altro ebbero in mente di fare che sostituire la carica e le funzioni del Viceré, cioè dare alle Colonie un capo con gli stessi poteri che aveva già il Viceré inglese; il quale Viceré conservava oltre Oceano, nelle colonie poteri assai maggiori di quelli che erano in quei tempi rimasti al Re stesso in patria. Perché proprio in quei decenni la monarchia a Londra era divenuta parlamentare.

Tutti sanno la curiosa storia della monarchia parlamentare inglese, cioè di quel regime di Gabinetto nel quale ogni potere sovrano è assunto di fatto da esso e dal suo Presidente. Fu un caso; è il caso che molte volte interviene nella storia: i due primi re della Casa Hannoveriana, Giorgio I e Giorgio II, si disinteressarono delle sedute di Gabinetto, non presiedettero più il Consiglio dei Ministri, non per altro, perché erano due tedeschi che non conoscevano l’inglese, e preferirono evitare quelle noie per più piacevoli occupazioni. Così fu conquistato il principio di un Governo ministeriale autonomo ed indipendente dal re. Ma nelle colonie il Viceré, invece, continuava ad avere tutta quella autorità che aveva avuto il re precedentemente in Inghilterra sino a mezzo secolo prima. E il Presidente negli Stati Uniti ebbe così un potere veramente sovrano. Ma noi non potremmo assolutamente concepire un Presidente della nostra repubblica che avesse quei straordinari poteri, che ha il Presidente degli Stati Uniti d’America.

Certo il potere del Presidente degli Stati Uniti è ben superiore al potere che aveva un Guglielmo I o un Francesco Giuseppe, quasi pari a quello di un Nicolò di Russia. È un potere enorme, che ha come presupposto uno hiatus incolmabile tra Parlamento e Governo. Il Presidente governa lui direttamente e personalmente, nomina, lui, col consenso del Senato, i suoi Ministri, ma li revoca senza il consenso del Senato; risponde non davanti al Parlamento, ma soltanto davanti al popolo, che l’ha eletto. Le Camere hanno funzioni strettamente legislative, dalle quali sono tenuti lontani e Presidente e Ministri.

Ora, tutto questo è in contrasto con quello che è il regime costituzionale parlamentare, che si vuole instaurare in Italia, e al quale si è richiamato testé il collega onorevole Preti.

In America si arriva persino a questa enormità, per noi, naturalmente: che gli elettori di primo grado, quelli che sono eletti in un primo tempo per nominare il Presidente della Confederazione, non possono essere parlamentari dei due rami del Parlamento americano, tanto è assoluta da separazione tra potere legislativo e potere esecutivo.

Allora, si pone la questione; è possibile in Italia adottare il sistema americano, che è un sistema che è la negazione della collaborazione tra Governo e Assemblee, della responsabilità ministeriale, che è il sistema di due parallele che non s’incontrano mai, del Governo col suo Presidente e i suoi Ministri da una parte e le Camere dall’altra? Ma noi vogliamo adottare invece un sistema dove il legame tra Ministri e Camere è intimo e continuo, secondo la grande tradizione occidentale europea. Ed allora potremo avere un Presidente della Repubblica che un giorno – anche se molto in futuro; ma dobbiamo legiferare anche per un lontano avvenire – potrebbe opporre al Parlamento la sua origine sovrana, derivata e consacrata dal consenso popolare; ed allora in uno di quei momenti di smarrimento, di entusiasmo, che hanno tutti i popoli, e specialmente i latini, potrebbe sorgere grave l’antagonismo del Presidente con la permanente autorità delle Camere, del Parlamento, e del Governo che del Parlamento è l’espressione e il mandatario. E allora ricordo a me stesso più che ai colleghi che hanno la bontà di ascoltarmi con tanta cortese attenzione, una disposizione del progetto di Costituzione, sulla quale noi siamo tutti d’accordo, quella dell’articolo 85:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal Primo Ministro e dai Ministri competenti, che ne assumono la responsabilità. Il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento e per violazione della Costituzione».

La disposizione è tale e quale quella contenuta nella Costituzione di Carlo Alberto; è tale e quale quella contenuta nella Costituzione spagnola del 1806, in quella di Luigi Filippo e simili, in tutte quelle Carte cioè, che statuivano il principio formatosi nella prassi inglese e che fu espressa nel 1830 dal Thiers in Francia: «il re regna ma non governa».

Quando poc’anzi l’onorevole Preti diceva, ad esempio, che la nomina del Presidente del Consiglio è opera personale del Presidente della Repubblica, egli cadeva in un equivoco; perché, come è noto, anche quel provvedimento, in qualsiasi regime parlamentare, non è valido se non vi è un Ministro responsabile che ne assuma la paternità; se non porta cioè la firma di un Primo Ministro, sia di quello che si congeda che di quello che entra in carica. Altrimenti la nomina è nulla.

Appunto in forza di questo principio poté costituzionalmente Vittorio Emanuele III operare il passaggio da Mussolini a Badoglio; fu lo stesso Mussolini ad offrire, anzi, l’artificio per il quale, con la firma del Badoglio, egli poté prendere in quel bellissimo gioco Mussolini stesso: prima la firma del decreto di nomina del nuovo Primo Ministro era quella del Ministro uscente; Mussolini volle che fosse del subentrante e così fu giocato!

Il Capo dello Stato, re o presidente della Repubblica che sia, non ha in qualsiasi regime parlamentare alcuna responsabilità; ma appunto per ciò egli non può non ascoltare il consiglio dei Ministri responsabili, che firmano e rispondono per lui. Altrimenti si esce dalla normalità e si entra nel dispotismo; si entra nel colpo di Stato. Tutto diverso, invece, logicamente avviene per il Capo dello Stato eletto dal popolo stesso. Non sarebbe, quindi, concepibile, sarebbe anzi un assurdo, un Capo dello Stato eletto dal popolo, il quale si riducesse ad essere, non dico un fantasma, ma di certo un Capo che non può far nulla senza l’assenso, senza la firma dei suoi Ministri responsabili e che, d’altra parte, non può rifiutare il consiglio dei suoi Ministri, negare la sua firma a un decreto che essi gli sottopongono.

Se mi fosse dato di sostenere delle idee mie personali – non so con quale successo – direi che forse si poteva andare anche oltre; direi che forse si poteva anche arrivare al Governo direttoriale – Governo direttoriale al quale si arriverà forse nei decenni venturi – in cui la figura del Capo dello Stato è praticamente annullata. In fondo, il Capo dello Stato distinto dal Capo del Governo ha sempre, se vogliamo, qualche cosa del re. Dice Tito Livio che il segno dell’abolizione della monarchia in Roma fu che non vi era più nessuna autorità individuale: per ciò due furono voluti i consoli, sempre molteplice ogni magistratura.

In Isvizzera si ha l’esempio tipico del regime direttoriale, e colà il Capo dello Stato si confonde e si identifica con il Presidente del Consiglio; esso non ha alcuna prerogativa particolare, tranne forse qualche migliaio di franchi di più all’anno di stipendio, non ha alcuna residenza ufficiale, alcun apparato; sta a casa sua e paga il tram e il treno quando viaggia, come ogni altro cittadino.

Ma da qualcuno si è detto che il Governo direttoriale va bene per la Svizzera, in quanto essa non fa politica, ma fa solo amministrazione. Ebbene, io non credo che ciò sia esatto. Qui, fra noi, siamo in parecchi ad essere stati, e lungamente, in Isvizzera: fra gli altri l’amico onorevole Gasparotto che è qui vicino: orbene, noi tutti sappiamo che in realtà la Svizzera fa anch’essa della politica; fa della squisita e continua politica, non fosse che per quella sua abile attività per cercare di accontentare tutti, o almeno non scontentare nessuno dei vicini e delle grandi potenze, specie nelle terribili traversie delle due ultime guerre.

Ora in Isvizzera si è abolito, in certo senso, l’istituto del Capo dello Stato, o, per dir più esattamente, di un Capo dello Stato distinto e diverso dal capo del Governo. Né si è mai sentito, dal 1848 ad oggi, il bisogno di un istituto considerato superato e superfluo. Ed io credo che tale sarà il regime delle future repubbliche. Questa in ogni modo è una preferenza, è una opinione mia personale; e considero il problema ancora immaturo. Quello che deve però evitarsi è di dare un rilievo eccessivo al Presidente della Repubblica, ed evitare velleità possibili sempre di governi personali. Fu detto che se eletto dall’Assemblea, non si vedranno nella Presidenza della Repubblica spiccate personalità; ed è poco probabile che saranno eletti all’alta carica sia leaders dei vari partiti, sia uomini di eccezionale valore e di eccezionale autorità personale. Ciò avverrà di sicuro nella Repubblica italiana come accadde costantemente in quella francese.

Infatti è noto che non poterono mai accedere alla suprema magistratura francese né Leone Gambetta, né Jules Ferry, che pur furono i fondatori della Repubblica così detta laica, come abbiamo visto nei nostri giorni a Clemenceau, l’indomani della vittoria, anteposto Deschanel, uomo già finito, uomo che era già all’alba della pazzia (qualche mese dopo si sarebbe arrampicato sugli alberi dell’Eliseo, sarebbe caduto in pigiama dal treno e si sarebbe presentato così a un capo stazione arrischiando di finire al manicomio o in prigione); e poi a Briand, reduce dei successi di Locarno, anteporre Doumergue. Una Assemblea ha sempre diffidenza verso le troppo grandi personalità, e d’istinto si rivolge a personalità meno vistose, meno combattive.

È avvenuto persino così – se passiamo ad un altro sistema di elezione ben diverso, ma che ha qualche analogia con quello parlamentare – nelle elezioni dei Papi. Se leggete – ed è una lettura molto interessante – le ampie, minuziose descrizioni dei conclavi dal XV al XVIII secolo fatte da Pastor, vedrete che in quelle elezioni, che duravano talvolta molti mesi e non un giorno solo come quelle di Versailles, mai o quasi mai è scelta la spiccata personalità, ma quello che rappresenta la tendenza media. Il Cardinale Bentivoglio (che ha onorevole posto nella storia della Chiesa come in quella delle lettere italiane, che è l’autore della Storia della guerra di Fiandra, a cui assistette come Nunzio, e di quella del Concilio di Trento in contrasto con quella di Paolo Sarpi) dice nelle sue Memorie – così interessanti – che i cardinali si distinguono in tre categorie: santi, politici e – la categoria era per quei tempi non per i nostri – in mondani; e guai se il Papa viene eletto dalla terza categoria; ma guai anche se è scelto dalla prima, perché è utile che appartenga alla mediana.

Questa è la caratteristica dei regimi, di tutti i regimi nei quali una assemblea qualificata ed eletta scelga un capo; questa sarà la caratteristica del nostro Capo dello Stato: esso deve rispondere alla media dei suoi elettori. Noi vedremo nell’avvenire probabilmente qualche difficoltà; avremo, come ha avuto la Francia, qualche Presidente che dopo l’esperienza, breve o lunga del potere, dice: «Ma valeva la spesa di esser nominato Presidente?». Il quinto presidente francese, Casimiro Perier, rinunciò alla Presidenza, dopo un anno e protestando in una lettera al paese contro una situazione che faceva che il Presidente non contasse di fatto niente. Avremo dei casi come quelli di Grevy e di Millerand, ai quali – contro la Costituzione – le maggioranze hanno imposto le dimissioni, come già erano state imposte a MacMahon. Avremo forse anche dei casi come quello di Lebrun, fattosi eleggere una seconda volta, per fare poi, al momento della prova, una figura così meschina. Avremo questi ed altri inconvenienti. Ma tutto sommato, sarà sempre meglio di un regime con il Capo di Stato di troppa autorità. Sì signori; io ritengo un regime di un Capo dello Stato con troppa autorità un pericolo per il Paese. Così penso anche che i re troppo grandi furono un danno pei loro popoli; alla Francia giovò assai più che un Luigi XIV, che un Enrico IV, che un Francesco I, la saggezza di un Luigi XVIII. Guai ai popoli guidati dal superuomo, dall’eroe! Né mi preoccupo se il nostro Presidente della Repubblica potrà essere scherzosamente indicato come una specie di Regina Madre, che inaugura ponti ed esposizioni, e che distribuisce premi agli scolari, perché resterà sempre un uomo saggio, moderatore, anche di secondo piano rispetto al Capo del Governo. E il Governo deve essere l’emanazione, il mandatario, e come dice il principio inglese, il comitato esecutivo delle Camere, del Parlamento.

Ritengo perciò che su questo primo punto sia saggio quanto è stato proposto dalla Commissione dei Settantacinque.

E passo al Governo. Per quanto riguarda il Governo, il progetto di Costituzione all’articolo 87, fra l’altro, dispone: «Il primo Ministro e i Ministri debbono avere la fiducia del Parlamento». È dunque il sistema parlamentare che qui è stato codificato, e nulla vi è di nuovo, perché da Cesare Balbo a Facta fu il nostro sistema della monarchia parlamentare. «Entro otto giorni dalla sua formazione – continua l’articolo – il Governo si presenta all’Assemblea Nazionale per chiederne la fiducia. La fiducia è accordata su mozione motivata, con voto nominale, ed a maggioranza assoluta dei componenti la Assemblea». Questa ultima disposizione è presa di peso dalla Costituzione turca. Questo Progetto di Costituzione è un’opera certo egregia, è stata fatta da uomini di grande valore, ma (e non si offendano tutti costoro; non si offendano fra costoro quegli amici carissimi, così vicini al mio cuore, che sedettero con tanta autorità tra i Settantacinque) è un’opera un po’ troppo di professori: è, non dirò certo un centone, ma un po’ troppo un florilegio, un’antologia, un insieme di disposizioni, che – telles quelles – si trovano o nella Costituzione della Turchia, o in quelle della Finlandia, dell’Estonia o in altre di paesi anche meno importanti ed autorevoli nella storia del diritto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Beato lei che inventa delle cose nuove!

CLERICI. Non si offenda del mio rilievo, di cui credo non sia facile contestare l’esattezza. Io stavo per dire che è bene che si sia fatto così, perché ci si è tenuti ad una media, che corrisponde, io credo, a quella che è la media della nostra situazione politica e giuridica in Europa. E ci si è attenuti, soprattutto nella questione che ora ci occupa, a una procedura che è non nuova, che è stata codificata soltanto nelle più recenti Costituzioni, quella, intendo dire, delle Costituzioni del 1919 in poi; e che si legge particolarmente nelle Costituzioni del 1919 e degli anni successivi della Baviera, della Prussia, dell’Austria, dell’Estonia., della Turchia e via dicendo. La disposizione è, a mio avviso, ottima e migliore di quella della legge del 25 giugno 1944, n. 151, che ci regge, e che è la nostra Costituzione provvisoria. Sia in questa che nel Progetto di Costituzione è giustamente stabilito che il rigetto di una proposta governativa da parte dell’Assemblea non porta di per sé alle dimissioni del Governo, ma che queste sono obbligatorie solamente in seguito a votazione di una apposita mozione di sfiducia, motivata. Ma a prescindere da altre condizioni, tale mozione, ora, cioè secondo la legge 1944, n. 151, deve essere votata a maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea. È ben diverso quindi l’attuale sistema da quello proposto nel Progetto di Costituzione. Adesso è la mozione di sfiducia che deve avere la maggioranza assoluta dei voti. Con la nuova Costituzione, invece, è il Governo che deve presentarsi otto giorni dalla nomina all’Assemblea Nazionale, e deve ottenere la maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea.

La differenza è ben notevole, e lo vedremo tra pochi giorni, il 23, allorché sarà posta in discussione la mozione di sfiducia dell’onorevole Nenni; giacché sarà questa che per trionfare dovrà raccogliere la maggioranza dei Costituenti, mentre a Costituzione votata sarà il Governo futuro che dovrà preoccuparsi di raggiungere siffatte maggioranze contro anche gli assenti e gli squagliati. Tale disposizione renderà sempre più necessarie ed obbligatorie, e sarà poco male, quelle forme di coalizione, che sono più corrispondenti alla situazione politica del Paese.

Circa la figura del Governo di Gabinetto, come delineato nel Progetto di Costituzione, mi permetto di accennare all’attenzione e alla saggezza dei colleghi che mi ascoltano tanto benevolmente questi due punti che mi sembrano fondamentali. Da un lato (e coloro che hanno pratica di Governo, mi diranno forse che ho ragione) mi pare sempre più necessario per il retto funzionamento dell’amministrazione pubblica che il numero dei Ministri aumenti, se si vuole che essi possano seriamente attendere alle amministrazioni delle quali rispondono. E io non so come faranno i Ministri nella nuova situazione, quando dovranno stare per ore ed ore non solo alla Camera, ma anche al Senato. Perché oramai il lavoro amministrativo è così complicato che tutte le volte che si è voluto riunire dei Dicasteri, il risultato non è stato soddisfacente. Di recente avevamo sentito invocare la riunione dei Ministeri delle finanze e del tesoro: l’esperimento mi pare non sia stato felice, né so come un Ministro in siffatta situazione possa trovare menomamente il tempo da dedicare, anche una sola ora alla settimana, a sentire i direttori generali dei due Dicasteri riuniti. Ritengo, quindi, che dovremo arrivare in Italia rapidamente a una situazione tale quale si riscontra in Inghilterra, in Francia ed altrove, e cioè, aboliti forse i Sottosegretariati, si dovrà arrivare a stabilire tante distinte responsabilità politiche quante volte si riscontra un accentramento, un complesso di distinte e insieme complesse responsabilità amministrative. Accenno solo a qualche esempio; non mi pare ragionevole che in un Paese come il nostro non vi sia neanche un Sottosegretariato alle belle arti; dicastero che hanno tutti i paesi, anche con Ministro; né vi sia quello per l’emigrazione; né quello per la sanità, che riunisce uffici e funzioni sparse e suddivise fra tanti dicasteri; né quello per lo sport, e via dicendo. Dovremo presto o tardi per tutte queste materie creare propri dicasteri, con un Ministro responsabile.

Ma allora si avrà questo grave inconveniente: come si potrà allungare ancora quel famoso tavolo del Consiglio dei Ministri e rendere le sedute del Consiglio stesso efficienti, sollecite, ben diverse da una Assemblea, la quale come ha natura e finalità diverse, ha ben diverse caratteristiche e funzionalità?

Si dovrà, a mio avviso, arrivare definitivamente e direi costituzionalmente (e mi auguro che concreti emendamenti siano a tale proposito presentati) alla distinzione tra Ministero e Gabinetto, tra consiglio del Ministero e consiglio del Gabinetto; si dovrà cioè stabilire anche in Italia un Gabinetto, accanto, o, per dir meglio in seno al Consiglio dei Ministri come è praticato stabilmente in Inghilterra, e di quando in quando in Francia, come lo fu in Francia, e nel Belgio e in Italia durante la guerra del 1914-1918, e come fu, per la necessità dei sei partiti, in Italia dopo Salerno e sino al secondo Ministero De Gasperi. Non tutti i Ministri hanno evidentemente una ragione politica da far valere continuamente. Quelli che hanno tale funzione si riducono a quattro o cinque, e questi, evidentemente, debbono formare una entità diversa dal generico Ministero, il Gabinetto per le ordinarie e insieme più importanti questioni politiche di indole generale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. C’è anche l’esperimento Briand dell’altra guerra.

CLERICI. Concordo con lei e mi auguro che a tale proposito l’Assemblea sia investita di emendamenti specifici, che stabiliscano questo nuovo principio costituzionale. Penseranno poi i nuovi legislatori alle necessarie applicazioni.

Vengo, invece, onorevoli colleghi, ora alla questione del Senato; e può darsi che io dica cose che a prima vista sembrino ostiche a qualcuno; ma io chiedo alla saggezza, alla liberalità, alla democrazia di tutti di volere ascoltare le modeste osservazioni che mi accingo a farvi.

Io non condivido affatto le critiche che ha fatto testé l’onorevole Preti a un sistema di Senato eletto, almeno in parte, dalle diverse e specifiche categorie, e formato, quindi, anche, non dico, per ora, solamente, di rappresentanti di interessi. Anzi io sostengo che il Senato debba in parte costituire tale rappresentanza organica degli interessi. L’articolo 55 del progetto di Costituzione dice che i senatori sono eletti per un terzo dai membri dei Consigli regionali e per due terzi a suffragio universale e diretto, dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Quindi in pratica i due terzi del Senato sarebbero eletti su per giù dallo stesso corpo elettorale di quello che elegge la Camera dei deputati! Allora non valeva meglio stabilire che gli eletti si dividessero in due, seguissero l’esempio norvegese, che è tutt’altro che recente, ma anzi risale al 1804 (allorquando la Norvegia era ancora unita personalmente sotto lo stesso monarca alla Svezia), ed ha funzionato fino ad ora, e quindi presuntivamente deve essere un buon sistema. Io non sono di certo uno studioso di diritto norvegese né ho pratica di quel paese, ma da quello che ho letto in proposito è un sistema che ha funzionato benissimo. La Camera eletta nomina un quinto dei propri membri a formare il Senato, e questo siede esclusivamente per quello che è il lavoro legislativo, come seconda Camera; Camera cioè di esperti, di pratici, i quali riesaminano, uno contro quattro, il lavoro dei loro colleghi. Ma Senato e Camera siedono insieme per tutte le questioni politiche.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

CLERICI. Un Senato come quello proposto dalla Commissione dei Settantacinque, mi sembra un assurdo e un doppione; così da poter dire che è perfettamente inutile costituirlo.

Io invece ritengo che un Senato abbia ragione d’essere se rappresenti diversamente dalla Camera il paese, il popolo. Io ritengo che accanto alla Camera, che rappresenta, e deve rappresentare, le idee, le opinioni, i sentimenti diversi e spesso opposti delle correnti politiche, cioè dei partiti, occorre un Senato che rappresenti gli interessi. Quali? Innanzi tutto gli interessi territoriali. Abbiamo un bel nasconderlo, ma con la istituzione delle Regioni, se non abbiamo certamente fatto uno Stato federale, abbiamo certamente fatto qualche cosa che non è sotto certi aspetti molto diverso. Lo Stato federale svizzero è da un secolo in qua divenuto sempre meno federale, e da qualche decennio sta diventando sempre più unitario; così che in fondo, a parte il nome da esso non si differenzierà in molto, quello che sarà il nostro Stato quale sta per sorgere da questa Costituzione. Analogamente potrei riferirmi alla storia dello Stato federale degli Stati Uniti d’America. Ed allora, evidentemente, nel Senato dovranno sedere dei rappresentanti specifici delle Regioni, ed io dico anche delle Provincie, dal momento che le provincie sono state mantenute, ed io dico anche delle maggiori città – da Milano a Roma, fino a Bari e Bologna ad esempio –; e tali rappresentanti saranno eletti dai diversi Consigli regionali, provinciali o comunali, col sistema proporzionale, col voto di lista, col sistema maggioritario, secondo quanto sarà possibile e sarà conveniente.

Avremo così dei rappresentanti specifici delle Regioni singole, delle Provincie singole, e anche delle grandi singole città, i quali verranno a dire al Parlamento ed anche alla Assemblea Nazionale quali sono gli specifici interessi di Milano, di Bologna, della Sicilia o degli Abruzzi e via dicendo. Ciò corrisponde alla logica, ciò avviene di già. L’onorevole Greppi, eletto con votazione così lusinghiera in questa Assemblea, ha subito dato le dimissioni da deputato; ciò nondimeno quante volte non viene a Roma per far presente al Governo le necessità di Milano, di cui è preclaro sindaco! Eppure siedono qui, eletti a Milano, una trentina di deputati di tutti i partiti, deputati che fanno parte del Consiglio comunale e persino della Giunta comunale di Milano. La realtà è questa: il sindaco ha una funzione di diretta rappresentanza della città e come portavoce di questa è insostituibile. Ed allora, perché non trovare una forma che dia una rappresentanza effettiva, diretta, una voce qualificata a quelli che sono gli interessi locali? A un rappresentante dei diversi Consigli amministrativi locali? Ma accanto a queste rappresentanze non si devono scartare a priori quelle che dovrebbero rappresentare quelli che non esito a chiamare «gli interessi corporativi». Perché, onorevoli colleghi, il fascismo non deve costituire un impedimento a noi per fare quello che crediamo sia bene di fare, sol perché esso lo ha fatto prima ai noi. Non porteremo più, grazie a Dio, non porteranno più (perché io non ho mai sognato di portarla) una camicia nera; ma non potremo portare le mutande al posto della camicia per timore delle usanze del fascismo. È ben noto del resto che il fascismo ha accattato, ha rubato dappertutto, istituti e concetti, che non erano suoi, e nel campo economico e nel campo sindacale e nel campo politico. Ora abbiamo visto persino alcuni istituti, alcune disposizioni della repubblica di Salò rivendicate e rivelate proprio dai partiti di estrema sinistra, o dalle organizzazioni sindacali. Fra tanti mali il fascismo non conservi anche il maleficio, postumo, di impedirci, che noi si possa far bene quelle cose che esso faceva male. Come Mida trasformava in oro qualunque cosa toccasse, così il fascismo avvelenava ogni cosa a cui poneva mano. Noi dobbiamo oggi non rifare, ma fare da capo un vero autentico corporativismo. Non dobbiamo fermarci nel coraggioso compito di istituire uno Stato italiano democratico da ostacoli di carta o di cartapesta.

Ora vi è un fenomeno moderno, e questo lo dico soprattutto ai rappresentanti dell’estrema sinistra, un fenomeno tipico, il più tipico della nostra età, e queste sono le classi organizzate.

Da centocinquanta anni in qua che cosa è accaduto? Nel 1766, Turgot, ministro di Luigi XVI, abolisce le corporazioni, che però risorgono parzialmente qualche anno dopo, per poi essere abolite definitivamente nella rivoluzione francese dalla famosa legge Chapelier del marzo e del giugno 1791. Il primo Stato che le abolisce in Italia, è quello del Papa; è Piò VII nel 1801, mentre nel Piemonte durano fino al 1844. Tutta la prima metà del secolo scorso vede estendersi da Stato a Stato l’abolizione delle corporazioni; forme vecchie di un principio che però era vitale; ed infatti gli ultimi decenni del secolo scorso e il primo di questo secolo che cosa hanno portato? Il riconoscimento delle organizzazioni di classe. Si è nella seconda metà del secolo rifatto quello che nella prima si era disfatto, dopo tante discussioni, dopo tante lotte. Ed ora l’uomo organizzato è una realtà che si va attuando sempre più nella nostra epoca. Io ricorderò una pagina di Vilfredo Pareto, la quale rileva che in fin dei conti lo spirito di classe è la caratteristica dell’uomo moderno come e più che in altri secoli, che tutti agiscono nella pratica secondo lo spirito della loro classe indipendentemente dalla organizzazione di classe, che può anche non esistere, indipendentemente persino dalla coscienza di appartenenza a una data classe. Dunque, questo istinto di classe così naturale, questo fenomeno grandioso che è la moderna organizzazione delle classi – anche di quelle che sembrano meno suscettibili ad organizzarsi (pensiamo ai magistrati che hanno fatto sciopero per tanto tempo ed hanno mandato qui al Governo ed a noi dei loro membri quali veri e propri rappresentanti di una organizzazione) – è un fenomeno che non possiamo ignorare, che non possiamo disconoscere.

Signori, è il grande fatto moderno che io vi invito a considerare ai fini di tenerne conto nella opera che stiamo compiendo.

Io comprendo la posizione dei liberali; comprendo come l’onorevole Einaudi (parlo naturalmente non del Ministro, ma del costituente) possa battersi, ultimo paladino generoso e magnifico rappresentante di una dottrina al tramonto o tramontata, almeno temporaneamente, della dottrina che riconosce solo l’individuo; e trovo logico che egli non accetti il mio punto di vista. Ma io, sinceramente, non riesco a capire le ragioni dell’onorevole Preti, e di tutti quei socialisti che con lui non riconoscono la possibilità di rappresentanze politiche alle classi, a tutte le classi; e quasi che tra queste non vi fossero, imponenti, tutte le categorie dei lavoratori, giungono a considerare, a dichiarare conservatrice e reazionaria questa mia proposta!

Signori, vi è di più a favore della tesi che sostengo: vi è un problema politico, che io pongo con crudezza; e credo che l’Assemblea debba avere il coraggio di guardarlo in faccia. Lo Stato moderno, lo Stato parlamentare, la nostra Repubblica parlamentare, hanno veramente una corrispondenza nella coscienza dei cittadini, di tutti e dei più umili cittadini? Ha essa quella considerazione che le compete e che il nostro Presidente, onorevole Terracini, nel discorso avanti l’inizio delle ferie, ha ribadito, rivendicando nobilmente, contro l’opinione diffusa, questa funzione altissima, questa nobile fatica, questa delicata procedura del Parlamento? Ebbene, abbiamo il coraggio di dirlo: tutto ciò non ha corrispondenza nella coscienza dei cittadini. O almeno la grande maggioranza non comprende, non apprezza l’opera nostra.

Noi, alle volte, siamo dei sacerdoti che comprendiamo dei riti che gli estranei non comprendono o addirittura, denigrano. Questa è la realtà. Mi pare che in ciò stia un problema politico, che debba interessare tutti coloro, che si preoccupano della democrazia parlamentare, anzi della democrazia senz’altro, tenera pianticella nel nostro suolo, e quelli soprattutto fra noi che hanno come bandiera e insieme come compito il repubblicanesimo storico. Tutti costoro, tutti noi democratici e repubblicani, dobbiamo preoccuparci e far sì che le nostre istituzioni abbiano il consenso del popolo; che esse gettino nella coscienza italiana salde e profonde radici. Noi dobbiamo desiderare per il nostro regime quel favore che ebbero tanti altri pur così immeritevoli.

Se i Borboni riuscivano ad avere con loro i lazzari di Napoli, perché mai la Repubblica nostra non deve riuscire ad imporsi nella coscienza popolare? Perché dobbiamo alle volte evitare a manifestare e persino considerare se non convenga sottacere (specialmente nelle carrozze ferroviarie!) la nostra qualità di deputati? come mai dobbiamo temere di essere meno graditi al pubblico perché siamo i rappresentanti della nazione? È inutile nascondercelo: la nostra funzione è considerata, persino nelle classi più colte, molto, troppo spesso, come quella o di mezzi matti o di interessati e profittatori. I grandi scienziati, i grandi professori, i grandi banchieri ed industriali dichiarano di non degnarsi di scendere a questa nostra professione. Può darsi che per molti sia l’uva della volpe esopiana: ma per molti è vero disdegno. Ora, io ricordo una frase di Montesquieu, che mi pare indichi una condizione fondamentale per quella che è la vita degli Stati: «Non vi è cosa più potente – dice in quel piccolo superbo saggio sulle fortune dell’antica Roma – di una repubblica, nella quale i cittadini osservino le leggi, non per ragione, ma per passione; come furono Roma e Sparta; poiché si unisce alla sapienza di un buon governo tutte le forze, che potrebbe avere una fazione». Ecco il problema, problema squisitamente politico: ridare allo Stato nelle coscienze dei cittadini il posto che gli compete, ristabilire i vincoli di solidarietà politica e quelli della solidarietà sociale; ridare ai cittadini una fiducia, una fede nel regime nostro, nel Governo parlamentare! Far sorgere nei cittadini la passione dello Stato! Tale sarebbe stata la ragione del successo degli eserciti della Repubblica sovietica; la difesa dello Stato sentita come una passione, come un misticismo.

Se vogliamo creare sul serio una stabile repubblica democratica, occorre che la basiamo sulla e nella coscienza dei popolo italiano.

Permettetemi che citi ancora quello che ha detto Aristotele: «Perché uno Stato duri è necessario che i più siano interessati alla sua conservazione e la desiderino»; occorre cioè che sempre un maggior numero di cittadini confonda i propri cogli interessi pubblici, senta gli istituti politici come cosa propria.

Ora, abbiamo il coraggio di dirlo: tutte le sfumature della borghesia, che è un ceto così vasto, sono in Italia, rispetto alle nostre istituzioni parlamentari, in una posizione strana, tra la diffidenza sospettosa e l’indifferenza la meno commendevole. Guardate ora le classi popolari; esse pure non amano questa nostra Repubblica, questo nostro regime come esso è in concreto; altro essi amano, comunisti o socialisti o democratici cristiani, essi amano le nostre idealità come loro bandiera, loro entusiasmo, loro passione. Essi amano, perché la concepiscono, la nostra o la vostra bandiera, ma non riescono a concepire e ad amare lo Stato neppure sotto la forma di una Repubblica popolare e democratica. Né si può fare di ciò loro una colpa, ove si pensi che le classi intellettuali – i professori universitari ed i grandi professionisti – la concepiscono ancor meno.

Orbene, tutto ciò è un pericolo, un grave pericolo, perché il fascismo, il nazismo e le altre forme di Governi autoritari – sino il Governo Pétain-Laval (l’ultima e più impensata incarnazione, che sorse proprio in quella Francia dove era apparsa, tanto più dopo la guerra 1915-18, ormai consolidata definitivamente la libertà e la democrazia) – da che sono sorti, se non dalla convinzione, sempre più diffusa del iato tra quello che gli scrittori francesi chiamarono pays légal rispetto al pays réel?

Hanno sempre detto costoro esagerando alcune condizioni anche anormali del fenomeno parlamentare, alcuni difetti patologici, inevitabili forse, nel Parlamento – giacché ogni istituto umano ha lati buoni e cattivi, il pro e il contro – hanno esagerato tutti i difetti, i vizi, gli episodi sciagurati e, purtroppo, bisogna riconoscerlo, sono riusciti a creare quell’opinione diffusa che sta contro i Parlamenti, o, almeno, contro i parlamentari. L’abbiamo visto in un episodio recente. Ho scorso con grande attenzione le cariche denunziate dai colleghi in seguito alla nota decisione nostra, nell’elenco pubblicato in questi giorni. Mi chiedo: valeva la pena, allora, di far tanto fracasso, di dare al Paese l’impressione di chissà quali scandali? Ciò malgrado il Paese crederà sempre che almeno metà di noi abbia chissà quali prebende e chissà quali cariche amministrative, mentre dall’elenco risulta quanti pochi di noi abbiano cariche di tal genere e quanto esse siano, comunque, per la massima parte di noi, modeste.

Vi sono professioni diffamate per abitudine: presso determinati ceti, i preti, presso tutti, gli avvocati; presso molti, i giudici, gli impiegati statali ed i medici (spesso, anche le persone colte preferiscono andare dai «medicozzi», e diffidano dei medici, e parecchi medici presentano le diagnosi e le terapeutiche in forme apparentemente nuove ed ermetiche, evidentemente per rispondere al gusto del pubblico!). Ma indubbiamente la nostra tiene il primato tra le più diffamate professioni, la nostra, che Tardieu ha creduto appunto bollare nel noto suo libro come «professione parlamentare». Contro di questa, contro il parlamentarismo e non da ieri, ma da mezzo secolo e più, vi è tutta una letteratura, tante opere da farne una biblioteca. E tra essi persone d’alto ingegno, serie, studiosi, politici: basti ricordare il Prins e il De Greef, per il Belgio, uomini politici, professori, alla Università di Bruxelles, il primo dei quali iniziò la campagna con un libro uscito nel 1887 e la condusse avanti per tanti anni; il secondo fu il paladino del referendum e della proporzionale, che riuscì a veder trionfare nel suo paese e, con maggior ardore, proprio della rappresentanza organica professionale; basti ricordare in Francia il Benoist (è del 1895 l’opera sua famosa: La crisi dello Stato moderno), il Duguit, il Duthoit, e accanto a loro tutta una scuola francese (non parlo di quella dell’estrema destra, di quella dell’Action Française, del Maurras e compagni, ma di una scuola obiettiva e scientifica); tutta una scuola di pubblicisti che in Francia, in Italia poi, e altrove, hanno sottoposto a critica spietata il sistema parlamentare. Ricordo che il Benoist, che è stato uno dei più moderati, ha un giudizio che non ritengo si possa rifiutare: «l’opinion politique n’est pas tout l’homme». E cioè l’opinione politica, sulla quale si fondano partiti e Parlamenti, è importantissima ma non esaurisce tutte le caratteristiche individuali e sociali dell’uomo. Ciascun cittadino cioè si individua non soltanto per le sue idee, le sue convinzioni, i suoi sentimenti, che lo determinano ad una svolta politica, ma ha anche altri interessi e convinzioni che non hanno adeguata rappresentanza nei partiti politici e negli uomini che egli è chiamato ad eleggere. Di qui quel singolare distacco della fiducia pubblica dal sistema parlamentare.

Ricordiamo il sintomatico fenomeno Tardieu (uomo da cui si poteva dissentire, ma a cui nessuno contesterà la buona fede e l’assoluta rispettabilità, confermata poi dal suo dignitoso rifiuto e dal suo contegno verso il Governo Pétain-Laval). Eppure Tardieu, che era uno dei principali politici del suo paese, deputato, ministro, due o tre volte Presidente del Consiglio, a un certo momento divorzia dalla vita parlamentare, si ritira a vita privata e conduce, attraverso anni di lavoro, e quasi una decina di libri, una radicale campagna contro il sistema parlamentare, definitivamente da lui condannato. Per lui esso non solo era un sistema inefficiente, ma marcio, irrimediabilmente. E con lui un altro grande parlamentare, Doumergue, non solo ex Primo Ministro, ma ex Presidente della Repubblica, che, dopo l’ultimo suo Ministero, coi libri, con la radio si fa l’accusatore spietato del sistema parlamentare, e, come Tardieu, invoca il «nuovo». E poiché l’arte ha più efficacia della scienza e della politica, ricordo ancora il grande romanzo Les morts qui parlent di Melchior De Vogüe; egli pure uomo politico, ambasciatore, deputato, e insieme letterato notevole (fu accademico di Francia, ed ebbe il merito di far conoscere, con il suo celebre saggio sul romanzo russo, la letteratura russa a tutto il mondo europeo). Quel suo bel romanzo resta una insuperata descrizione dell’ambiente e della vita parlamentari. Ma tutta l’opera, che è verso il 1905, è ispirata al più sconfortante pessimismo, alla più amara convinzione: il fallimento del regime parlamentare, e sfocia nella più terribile delle conclusioni: occorre l’uomo; un uomo che ripensi un nuovo regime. L’uomo! Mussolini, Hitler, Laval! Quel gentiluomo moderato e onesto repubblicano avrebbe inorridito a vedere quali uomini avrebbero dovuto spazzare e spazzarono via il regime parlamentare!

Eppure egli era l’interprete di uno stato d’animo diffuso ai suoi tempi. E diffuso, purtroppo, ancor oggi. Di esso non possiamo non preoccuparci, perché potrebbero sorgere nuovi terribili guai.

Ma, onorevoli colleghi, in fondo a tutte codeste accuse al parlamentarismo, trovate, tra le altre critiche, queste: il mondo parlamentare è un mondo a sé, artificiale, avulso dalla vita; e tutti i parlamentari in fondo, qualunque professione di fede politica si abbia, appartengono ad una classe ristretta, solidale fra loro, miope e sorda. Peggio! I parlamentari sono reclutati in stretti ceti, e la maggior parte delle classi, delle professioni e dei mestieri non si curano neppure di ricercare un mandato parlamentare.

Adesso è uscito un libro di un giornalista di valore – intitolato I moribondi di Montecitorio; ma esso ha un antico precedente nel famoso libro di quel singolare, sebbene disordinato ingegno, che fu il Petruccelli della Gattina, letterato, patriota e politico.

Ebbene in quel libro famoso, che è del 1861, il Petruccelli della Gattina fa la statistica dei deputati del Parlamento di Torino sotto l’aspetto della loro condizione sociale, delle loro professioni, e rileva che tra tanti deputati, non vi era neanche un operaio, non vi era neanche un contadino, neanche un impiegato privato e che i funzionari pubblici invece abbondavano. Da tale constatazione (che non doveva stupire dato il sistema elettorale estremamente ristretto basato sul censo), dalla constatazione che la grande maggioranza dei deputati appartenevano alle categorie dei professori universitari, degli avvocati, l’autore trae la conclusione che il Parlamento fosse riservato ai professionisti della politica. E da allora quante volte si è ripetuto quel rilievo. Un giornalista ha detto che nel partito, anzi nei due partiti socialisti, non vi è neanche un operaio, neanche un contadino. Non so se sia esatto; quanto al partito, al quale ho l’altissimo onore di appartenere, posso dire che vi sono due autentici contadini ed alcuni che furono operai. E noi stessi, quando andiamo in mezzo alle masse, quante volte non abbiamo sentito dirci: perché mai tra voi alla Camera non vi sono che professori ed avvocati? È diffusa questa critica, è diffuso questo stato d’animo; non possiamo disconoscerlo.

Ed allora, davanti a queste constatazioni credo che valga la pena di riesaminare se, almeno parzialmente, almeno in via di esperimento, non si possa dare al popolo nel futuro Senato la rappresentanza degli interessi, accanto alle rappresentanze locali, cioè delle Regioni, delle provincie e dei comuni. Risorgerebbero così antichi sistemi di elezione, ma rinnovati secondo i bisogni dei tempi nuovi, nel nuovo spirito della nostra attuale democrazia. A proposito di quei sistemi, io ricordo una frase di uno dei nostri maestri, del migliore nostro maestro, dell’illustre uomo che abbiamo ancora la fortuna di avere per collega, dopo la seduta di ieri, di Vittorio Emanuele Orlando, che pur è sempre stato nemico della rappresentanza politica degli interessi. Egli ha scritto: «Tutti gli antichi sistemi di elezione per classe e rappresentativi degli interessi muovono dal concetto, così fecondo (sono le testuali parole di Orlando), della natura organica dello. Stato», cioè dalla concezione che lo Stato è e deve essere un organismo vivente con ogni organo e ogni funzione in armonia con tutti gli altri. La storia è lì a confermarci come spontaneamente i popoli hanno, in ogni tempo, fatto ricorso alle rappresentanze degli interessi. Trascuro onorevoli colleghi, e il sistema di Solone e le classi di Servio Tullio, trascuro le forme di rappresentanza del mondo antico; neppure voglio citarvi le corporazioni di arti e mestieri del Medio Evo, i paratici, le credenze della mia Milano, le glorie di tutti i nostri comuni. Consentite che vi ricordi i sistemi introdotti da noi, in un secondo tempo, a Milano ed altrove, dalla Rivoluzione francese, nelle repubbliche napoleoniche. Nel 1802 a Lione fu stabilito nella Costituzione della Repubblica Cisalpina la rappresentanza a mezzo di tre collegi, i possidenti, i dotti, i commercianti (è ad essi che allude il Foscolo col suo verso famoso «il dotto, il ricco ed il patrizio volgo»). Tale sistema fu copiato da tutti gli Stati napoleonici d’Italia e fuori Italia. Io vi ricordo appena le lodi che ha scritto Cesare Correnti, grande patriota e illustre liberale, parlamentare e Ministro dopo il 1859, su quelli che erano i convocati, cioè le rappresentanze elettive comunali (di uomini e di donne si noti!) nella Lombardia austriaca, rappresentanze basate sulle categorie sociali e professionali.

E perché non dovrei ricordare, malgrado il pericolo di qualche Don Basilio, che mi tacci di «austriacante», l’esempio austriaco delle quattro curie austriache, del sistema elettorale del 1867 durato sino al 1907, e alle quali quell’impero aggiunse una quinta curia, quella del suffragio universale, nel 1856 (mentre in Italia Giolitti stentò ad introdurre il suffragio universale nel 1912)? Antiquato, di certo, era tuttavia un sistema elettorale che rispondeva al bisogno della rappresentanza degli interessi. Ricordo, infine, che a Weimar fu istituito costituzionalmente accanto al Parlamento del Reich un «Consiglio economico dell’impero», pur privo di vera autorità politica, e che comprendeva una serie di minori Consigli economici particolari o locali. Persino lo Statuto albertino, e gli altri dell’800, di cui esso fu una copia pedissequa, con le sue note categorie, si era preoccupato di una certa rappresentanza di ceti e di categorie.

Tutti questi fatti hanno certamente un qualche significato storico; il ripetersi, in tempi diversi, e in forme diverse, di sistemi, anche imperfetti, di rappresentanza degli interessi dimostra un bisogno vasto e quasi universale. Un bisogno, quindi, che noi dobbiamo sodisfare, sia pure con prudenza e con ponderazione.

Tanto è vero che alla rappresentanza degli interessi si è pensato da molti illustri politici e parlamentari dell’epoca liberale nei diversi progetti di riforma del Senato regio. Se si esaminano quelli che sono i precedenti della riforma del Senato in Italia, riscontriamo cioè uomini di tutte le opinioni politiche che sostengono, sotto forme diverse, questo principio; per i liberali ricordo Giorgio Arcoleo, uno dei più grandi pensatori, il Tittoni, che era un studioso notevole di problemi costituzionali, oltreché un eminente uomo politico, il Ruffini, uno degli spiriti più liberi della resistenza antifascista, Emanuele Greppi, altro studioso di problemi politici e storici di chiara fama; fra i socialisti il Della Torre, amico di Filippo Turati, e il Loria, eminente economista; così come mi viene alla mente un altro grande economista, Maffeo Pantaleoni. Non ricordo, di proposito, progetti degli uomini della mia parte.

In tutti questi progetti, che si possono consultare anche qui, in biblioteca, uomini di ogni partito hanno, in fin dei conti, creduto far ricorso al principio che io sostengo per rinnovare il Senato regio. E tra i non parlamentari, come non potrei ricordare la tesi di Sturzo, la tesi di tutta la sua vita, da giovanissimo sino all’esilio, e che egli trasfuse nel programma del Partito popolare italiano? Più suggestivi ancora gli esempi di Parlamenti esteri. Io ricordo che la Camera ed il Senato belga hanno discusso per diversi mesi su un progetto del senatore Helleputte, nel 1892; i discorsi di quell’eminente studioso e di altri parlamentari sono stati pubblicati ed illustrati in un antico volume della casa Desclée. Ne ho una copia, a me tanto cara perché è piena di postille personali di Giuseppe Toniolo; e quell’eminente Uomo, al quale tutti noi guardiamo come a caro Maestro, del sistema da me qui sostenuto fu sempre un aperto ed entusiasta sostenitore. Ricordo che nel 1896 sono state fatte proposte in Francia, in Parlamento e fuori, di rappresentanza degli interessi per quel Senato, da uomini eminenti, dal liberale Dechanel, al celebre Abbé Lemire, che fra i primi propose ai cattolici europei l’esempio della democrazia americana, al celeberrimo socialista Jaurès. Non cito altri esempi, altre autorità; ma certo è che, se tutti questi studiosi e politici hanno prospettata l’ipotesi di una possibile rappresentanza politica ed organica degli interessi, non mi pare ipotesi da potere essere trascurata o disdegnata con tanta facilità e con tanta leggerezza come ha fatto il collega Preti, che forse è un po’troppo filosofo più che giurista.

Conosco le obiezioni, antiche anche esse, numerose ed autorevoli. L’onorevole Salandra contestando, appunto, la tesi della rappresentanza degli interessi, ebbe a scrivere che la Camera degli interessi sarebbe stata la Camera degli egoismi. Ma, siamo sinceri, credete voi che tra di noi, in ogni Parlamento politico, non entrino gli egoismi? Cacciati dalla porta essi entreranno sempre dalla finestra! Ma guardate lo spettacolo quotidiano di quest’Aula: il Presidente del Consiglio, i Ministri quante volte sono costretti, a lasciare il loro banco, a correre di là, perché devono ricevere le più varie rappresentanze delle più varie organizzazioni sindacali e di categoria. Dunque, ecco delle forze che hanno un valore politico, che hanno anzi maggiore importanza di noi tutti messi insieme! E perché non volete aprire le porte del Parlamento a tali rappresentanti del popolo organizzato in sindacati e in categorie?

Non ci vedo un qualsiasi pericolo per la democrazia, per il suffragio universale. Ripeto, non si tratta che di un esperimento parziale. Si tratta di dare agli interessi una parte, modesta, in quel Senato, che a sua volta sarà meno numeroso della Camera dei Deputati, e quindi nell’Assemblea Nazionale i rappresentanti delle categorie, degli interessi, saranno numericamente trascurabili.

Che cosa importerà, in fin dei conti se forse, dico forse, la rappresentanza degli interessi potrà portare qualche nota a destra? Che cosa importerà siffatto minimo spostamento, se potremo vincere questa grande diffusa diffidenza, questa grande obiezione: non soltanto noi parlamentari, non solo una classe politica fanno le leggi e interloquiscono nei pubblici affari; ma nei pubblici consessi hanno voce, peso, i diretti rappresentanti dei banchieri, degli industriali, degli operai, dei contadini, dei tecnici e dei magistrati, di tutte le classi e di tutte le categorie sociali?

Obietta l’onorevole Nobile, come si legge in un resoconto della Commissione dei Settantacinque, che la rappresentanza degli interessi, delle categorie sociali spontaneamente riescono ad avere voce e rappresentanza in qualsiasi Parlamento politico, come l’hanno in questa Camera Costituente. È vero, ma è vero solo in parte. Ed è vero solo in parte perché si tratta di rappresentanze indirette, non dirette. Siamo parecchi deputati qui avvocati del foro di Milano: Targetti, Gasparotto, Marazza, Jacini, Castelli, Meda, Vigorelli, io e forse altri. Ma è probabile, anzi certo, che se il foro di Milano dovesse eleggere dei suoi diretti rappresentanti, eleggerebbe non noi, almeno tutti noi, come unici suoi rappresentanti.

Alle eventuali, caotiche ed occasionali rappresentanze si deve preferire una rappresentanza professionale sistematica ed organica.

Si obietta ancora che la proposta rappresentanza degli interessi ferirebbe il principio della eguaglianza dei cittadini. Ora, anche qui, guardiamo senza viltà le cose come sono, e soprattutto prescindendo dalle concezioni filosofiche (per noi cristiani l’eguaglianza politica, civile e giuridica si basa sulla eguaglianza morale, l’identica posizione di figli di Dio, e di riscattati dal sacrificio del Cristo, per voi socialisti sulla solidarietà del lavoro e dei lavoratori, per altri su ideali nazionali o civili); prescindendo, persino, dalle astrazioni giuridiche. Guardiamo alla realtà di fatto. Sotto la eguaglianza giuridica persistono le diversità di fatto. In questa Camera vi sembra che io abbia lo stesso peso di Nitti oppure di Orlando? Abbiamo qui tra i nostri colleghi parecchie coppie di sposi, che sono pari qui; ma lo sono sempre altrove? Il figlio di Orlando è deputato come suo padre, ma nell’intimità della famiglia restano pari? Dunque vi sono aspetti molteplici della realtà; come una fotografia varia secondo il punto da cui il soggetto viene fotografato. La realtà è complessa ed è difficile riprodurla, fotografarla.

Abbiamo del resto il coraggio di dire: il progetto di Costituzione viene già a stabilire nell’elezione dei senatori delle disparità. Regioni piccole come il Friuli o il Trentino manderanno senatori in numero presso a poco pari a quelli che manderà il Veneto o la Lombardia.

In Isvizzera le piccole regioni (cioè i piccoli cantoni) mandano lo stesso numero di senatori, due ciascuna, stabiliti per Berna o Zurigo, che rappresentano ciascuno un quinto o un quarto del territorio e della popolazione svizzera. E lo stesso è stabilito per Stati tanto diversi demograficamente e geograficamente degli Stati Uniti d’America. Si dirà, ma questa è la caratteristica degli Stati confederali, nei quali si viene necessariamente a violare il principio dell’eguaglianza dei cittadini per il principio dell’eguaglianza dei singoli Stati. Ma questo avverrà anche per il nostro progetto di Costituzione; e se accetteremo l’Emilia Lunense tanto cara all’ottimo collega mio ed illustre maestro, onorevole Micheli, avremo che il cittadino dell’una e dell’altra Emilia verrà a contare il doppio che se la Regione restasse unita. Quindi, già secondo il progetto attuale è violato, per l’elezione al Senato, il principio rigido ed assoluto della parità fra i cittadini elettori. Se non vogliamo violarle dobbiamo essere logici come Siéyès e gli altri costituenti francesi dell’89 e volere una sola Camera, come vi è un solo popolo, un solo Paese, senza preoccuparci degli svantaggi, dei pericoli che la storia costantemente ci denuncia del sistema unicamerale, e che, da Cesare Balbo in poi, le mille volte vennero messi in evidenza.

Razionalmente ne teniamo conto; ma la storia è questa.

Ma quale è, onorevoli colleghi, la natura del regime nostro, indicata dallo stesso termine di regime rappresentativo? Rappresentare politicamente un paese è cosa molto difficile, molto più difficile di quello che sia per il geografo rappresentare un Paese fisico in una mappa, in una carta.

L’immagine è del resto stata ripetuta tante volte: il Parlamento sta al Paese come la carta geografica sta al paese fisico. Ma in geografia c’è la carta geografica politica e c’è la carta geografica fisica naturale. Sono due diversi aspetti che rappresentano la stessa realtà complessa; sono due riproduzioni dello stesso soggetto. Così il parlamento politico rappresenta i partiti, i sentimenti, le opinioni, ma, è vero e già l’ho detto, essi ed esse non esauriscono completamente l’uomo.

Io sono un democratico cristiano, ma sono anche un avvocato; come potrei essere un medico, ingegnere. E uomini di partiti diversi ed opposti si ricercano qui, si riuniscono, naturalmente, sotto il riguardo della comune identifica professione. Così i medici, di ogni partito politico, hanno costituito il loro gruppo.

Ecco dunque che noi dobbiamo fare del Senato yn’Assemblea che abbia la sua particolare essenza, che abbia una sua inconfondibile natura; che non sia un doppione della Camera dei deputati. E soltanto così avremo il grande vantaggio di cercare, per quel che sta in noi, di venire incontro a tanti malcontenti, a tanti scettici del regime parlamentare, e di rendere salda nella coscienza popolare italiana la Repubblica democratica.

Passo ora brevissimamente al quarto punto. L’onorevole Preti ha fatto alcune osservazioni cui aderisco, in merito alla seconda sezione del Titolo primo della parte seconda del progetto di Costituzione, cioè in merito alla formazione delle leggi. L’articolo 69 del progetto di Costituzione, al penultimo capoverso dice: «Su richiesta del Governo o del proponente, ciascuna Camera può deliberare che l’esame di un disegno di legge sia deferito ad una Commissione composta in modo da rispettare la proporzione dei gruppi alla Camera, e che, su relazione della Commissione, si proceda alla votazione senza discutere, salve le dichiarazioni di voto». È già un notevole passo avanti, ma non sufficiente data la realtà legislativa. Aggiungerò alle osservazioni dell’onorevole Preti alcune altre, a suffragio di quanto egli ci ha detto, se ben ho capito il suo discorso: lo Stato moderno – tutti ne convengono da molte leggi, ne fa a centinaia, ne fa a migliaia. Ma non può fare diversamente perché è uno Stato complicato; tutto è complicato nella vita moderna. È una regola generale che si osserva in qualsiasi paese, perché ovunque è l’identico stato delle cose. Ma un’altra osservazione si impone. A qualsiasi Assemblea manca, non dirò la competenza, ma il tempo di esaminare tutte queste leggi. Abbiamo visto noi stessi qui quello che accade quando si vuole procedere a fare una legge con attenzione: abbiamo impiegato dieci o dodici giornate per la legge sulla cinematografia ed un mese per approvare la patrimoniale.

Come faranno i nostri successori avanti a centinaia e migliaia di progetti di legge da fare o da approvare in conferma dei decreti legislativi del Governo in questi due o tre anni di attività legislativa delegata? Si dice che molta parte della materia legislativa verrà scaricata sulle Assemblee delle Regioni. Ma io convengo che, ciò malgrado, il lavoro per le nuove Camere sarà sempre almeno dieci volte superiore ad ogni possibilità umana.

Richiamo poi la vostra attenzione su di un fenomeno incontestabile, che gli anziani di questa Assemblea potranno confermarci; che cioè da quasi un quarantennio in Italia, assai prima del fascismo, quindi, la funzione legislativa veniva per la massima parte scaricata dal Parlamento sul Governo. È stata questa – diranno gli storici futuri – una fatalità. Ricordo brevemente qualche fatto e qualche dato.

Nel 1915, alla vigilia della nostra entrata in guerra, il 22 del mese di maggio fu deferita al Governo una così ampia facoltà legislativa, che praticamente si può affermare aver da allora tutti i Governi legiferato senza controllo parlamentare. È questo un fatto storico, che non si potrà rimproverare ad alcuno, ma che è incontestabile e che perciò s’impone alla nostra meditazione.

Nella XXV legislatura, su 826 decreti legislativi mandati dal Governo per la convalida, ne furono convalidati dal Parlamento appena 9. Nella XXIV, che va dal 1913 al 1919, furono approvati 396 disegni di legge sui 1181 che il Governo aveva trasmesso all’Assemblea. Nella XXV, che era Camera rinnovata e popolare, con 200 deputati della sinistra e 100 deputati del partito popolare, furono approvati solo 166 progetti di legge sui 1139 presentati. Nella XXVI, che andò dal giugno al dicembre 1921, 106 su 1185. Ed il Tittoni, nel noto suo saggio pubblicato dall’editore Zanichelli, dice che se nel 1922 si pensò di riparare all’inconveniente istituendo le sedute mattutine, accanto a quelle pomeridiane, si poté però constatare allora che le sedute mattutine erano disertate e che i deputati presenti nell’Aula non superarono mai il centinaio. (Questa mattina credo che non fossimo neanche cinquanta!).

Insomma, è difficile che una Camera possa lavorare più di quello che noi lavoriamo ora. E se si guarda alla media delle leggi che si dovrà invece fare ogni anno, è chiaro che si creerà una situazione inestricabile, e che non basterebbe, per smaltire il lavoro, votare quattro, cinque, sei leggi al giorno!

Quindi, bisognerà risolvere il problema, io credo, ancora più radicalmente di quanto non abbia già fatto il progetto di Costituzione, che qui è piuttosto incerto.

Ma vi è un’altra osservazione, sempre statistica e sempre sconfortante (e mi riferisco ancora al regime prefascista); cioè che il Governo in pratica è stato sempre più incontrollato in quella che è la sua tipica responsabilità verso le Camere, cioè per quanto riguarda i bilanci consuntivi, il che vuol dire che il Parlamento ha praticamente rinunziato alla sua precipua funzione, al suo tipico dovere, abdicando al controllo finanziario. Infatti i consuntivi 1905-1906 sono stati approvati con la legge 27 giugno 1909, n. 385; quelli dal 1906 al 1911 in blocco con la legge 14 marzo 1913; quelli del 1910-11 con la legge 19 giugno 1913; quello del 1911-12 con la legge 21 dicembre 1912; e tutti in blocco quelli dal 1912 al 1918, soltanto nel 1922. Il 21 dicembre del 1921 disse alla Camera l’allora Ministro del tesoro onorevole De Nava, parlando per l’esercizio provvisorio: «Mi sia lecito constatare che colla giornata di oggi, discutendosi il bilancio del tesoro, tutti i bilanci sono pronti. E questo fatto, lasciatemelo dire, non si era verificato da parecchi anni, anche prima della guerra». E poi? Poi venne il fascismo!

Insomma la realtà è che neanche questa loro funzione fondamentale, l’approvazione dei bilanci, le Camere, sovraccariche di lavoro politico, hanno svolto.

Ora, io mi auguro una soluzione più radicale; e spero che i colleghi i quali parleranno dopo di me e con molta maggiore autorità di me, proporranno emendamenti atti a risolvere questo problema. Già in proposito venne presentato al Senato un progetto, mi pare nel 1922, dal senatore Scialoja e dal senatore Mortara e da altri 70 Senatori, al fine di temperare, se non di vietare del tutto, l’uso dei decreti-legge. Anzi l’abuso, quell’abuso (si pensi, in sette anni dal 1907 al 1913 il Governo emanò 30 decreti-legge ed invece 2800 dal 1914 al 1921) per cui la Corte di cassazione del Regno, allora a sezioni unite, emanò una memorabile sentenza, – il 24 gennaio 1922, Mortara estensore-presidente – che dichiarava illegale un decreto-legge. E vi fu allora l’inizio coraggioso di una revisione che il fascismo poi ha stroncato. Possiamo facilmente prevedere, dunque, da una parte una quantità enorme di progetti di legge, che dovranno essere sottoposti alle Camere future per essere approvati (e non parlo di tutti i decreti legislativi, rispetto ai quali le Camere future non potranno che arrivare a una convalida generale, così come si fece per la legislazione 1915-1919 dopo l’altra guerra); dall’altra parte la impossibilità per i nostri successori di funzionare più attivamente di quanto si fa ora da noi e si fece dai nostri predecessori. Credo perciò che noi dovremo vedere se lo spirito della democrazia parlamentare non abbia bisogno e opportunità di forme nuove. In fin dei conti, noi siamo ancora tutti presso a poco legati nelle forme a quel delicatissimo regime che è sorto tra il 1740 e il 1800 in Inghilterra, quando si andava in portantina e col guardinfante; a quello che è lo spirito del regime parlamentare di allora o tutt’al più del tempo di Luigi Filippo. Ma da allora il mondo ha camminato.

Io credo che proprio in questo capitolo della formazione delle leggi noi dovremo proporci questo problema, risolvere con nuove forme l’antico e venerato principio parlamentare.

Concludendo, non basta statuire (come statuisce il progetto di Costituzione): il Governo non potrà fare leggi. Ma le potranno fare le Camere? Se non si troverà modo di distinguere leggi da leggi, se non si potranno affrontare e risolvere i problemi cui ho accennato, noi rischieremo di avere scritto nello Statuto fondamentale norme impossibili. Se facciamo una Costituzione che sappiamo a priori che è impossibile applicare, evidentemente non facciamo opera saggia.

E allora, per la salvaguardia dello spirito della Repubblica, credo che, al di sopra delle ideologie di partito, dovremo guardare le cose concretamente, dovremo guardare alle possibilità obiettive e vedere se il progetto non possa essere notevolmente migliorato. (Vivi applausi – Molte congratulazioni).

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Jacometti. Ne ha facoltà.

JACOMETTI. Dopo il discorso-fiume, del resto molto interessante sotto parecchi punti di vista, del collega onorevole Clerici, io cercherò, onorevole Presidente, di aderire all’invito che molte volte venne dal seggio presidenziale e di essere non soltanto breve, ma scheletrico. Cercherò anche di essere chiaro.

D’altra parte, mi interesserò di un solo punto: quello della seconda Camera.

Il partito socialista fu sempre e continua ad essere (ed io penso che lo sarà anche per l’avvenire), in linea di principio, per una Camera unica. Perché? Perché noi riteniamo che una Camera che sia espressione del suffragio universale, sia la rappresentanza diretta, integrale e genuina della volontà popolare. L’aderenza fra Paese e Camera è così perfetta, la rispondenza è rapida, integrale e sensibilissima.

Contro questa concezione, contro questo nostro modo di pensare, si levano parecchie critiche. Io le raggrupperò in tre.

La prima è questa: proprio per l’aderenza fra Paese e Camera dei rappresentanti, si dice che la Camera può prendere sovente dei dirizzoni, può dare adito a delle svolte improvvise.

Credo che sia questo un modo non giusto di pensare, anzi credo di più: che ci sia in questo concetto qualcosa di eminentemente conservatore: si vuol impedire alla volontà popolare di esprimersi direttamente, naturalmente e genuinamente.

Che cosa si vuole in realtà? Si dice: sì, rappresentanza diretta, sì, suffragio universale; però con la palla di piombo al piede, però con dei freni. La seconda Camera, da questo punto di vista, potrebbe essere definita la Camera della paura. Si teme, cioè, che la prima Camera, espressione diretta del popolo, possa fare delle riforme troppo rapide, possa cioè realizzare, attuare, con grande immediatezza, la volontà della Nazione, del popolo. Ecco perché si vuole la seconda Camera e si tenta di impedire alle forze popolari di far valere il proprio pensiero; perché si ha paura della politica delle masse, della politica popolare.

La seconda critica che si fa alla Camera unica è di natura diversa; si dice: la Camera unica può diventare una Camera dittatoriale, può sfociare in una rappresentanza di interessi di partiti, in una dittatura di gruppi politici. È una critica che io non ho mai concepito, che io non ho mai capito. Ma perché si deve temere una dittatura, quando la prima Camera è la rappresentanza vera e propria del Paese e della maggioranza del Paese? Ma che cosa significa allora democrazia in questo caso? Perché mi pare, onorevoli colleghi, che il Governo democratico non si identifichi con un calderone in cui ci sia un po’ di tutto, il calderone che noi abbiamo avuto dalla liberazione in poi in Italia, in cui tutti i partiti o molti partiti siano rappresentati.

A questo punto permettetemi di aprire una parentesi, di dire che non sono in contraddizione con me stesso e col mio partito, quando affermo questo; perché se noi oggi siamo contro il Governo di colore, lo siamo perché oggi il potere legislativo non è affidato all’Assemblea, ma al Governo. Domani, quando il potere legislativo fosse ripassato alla Camera, noi saremmo per quella democrazia che riteniamo la vera e che si esprime con una maggioranza che governa e con una minoranza che critica e che controlla.

Una terza critica, che ho sentito fare da un uomo che oggi siede ai banchi del Governo, è quella che una Camera unica porta quasi inevitabilmente alla dittatura di un uomo, ed a conforto di questa tesi furono fatti i nomi del primo e del terzo Napoleone. La cosa avvenne in un contraddittorio che io sostenni alla vigilia del 2 giugno dell’anno scorso; potei allora facilmente rispondere che quando il 28 ottobre 1922 il fascismo si impadroniva del potere, non vi era una Camera unica in Italia, ma ve n’erano due di cui una di nomina regia.

Ma se per tutte queste ragioni noi siamo sempre stati per la Camera unica, comprendiamo però che nella situazione italiana di oggi, forse le simpatie, forse la volontà dei più va verso le due Camere, né noi vi siamo ostili per partito preso; ma poniamo una condizione, che cioè le due Camere siano espressione integrale, democratica, della volontà popolare. Ora, nel Progetto a noi presentato, si parla di Senato come della seconda Camera ed io vorrei esaminare rapidissimamente, nella forma e nella sostanza, la progettata istituzione. Non capisco innanzitutto, perché si sia adottato il nome di Senato. Oh! lo so che è vecchio di secoli, ma le impressioni che riceviamo sono sempre quelle più vicine a noi; e quando si dice «Senato» pensiamo soprattutto all’ultimo Senato, a quel fiacco, osceno, ultimo Senato che tanto male fece all’Italia, che si piegò al fascismo come forse nessun’altra forza d’Italia si piegò al fascismo. E non sarà certamente il giudizio della Corte di cassazione a farci mutare pensiero su questo argomento. Ma la cosa principale è la sostanza.

Ci sono due tipi di seconde Camere: quello dei paesi federali, in cui la seconda Camera rappresenta gli interessi dei singoli Stati, e non è il caso di parlarne; c’è poi il Senato che proviene dalla nomina regia. Che cosa era il Senato di nomina regia? Era un vero e proprio modo di protezione della monarchia. Quando la monarchia si trova di fronte all’incalzare delle classi popolari, essa cerca di proteggersi ed allora crea questa seconda Camera che dovrebbe fare da contrappeso ed impedire ogni vero progresso, forma cioè una trincea davanti all’istituto monarchico per impedire che possa essere travolto. Quando la corona poi passa da un uomo a una classe, dal re alla borghesia, abbiamo la stessa difesa fatta attraverso il Senato con forme diverse: con modi diversi si cerca di controbilanciare sempre la diretta volontà popolare, salvaguardando gli interessi di classe.

Comunque sia, noi siamo sul cammino della creazione di una seconda Camera. A me pare si debbano, a questo punto, tener presenti due concetti: quello della funzione della seconda Camera e quello del metodo di formazione di essa. Noi crediamo che una Camera sia tanto più operante e vitale quanto più precisa e utile ne è la funzione, crediamo che la seconda Camera debba avere una funzione distinta dalla prima, una funzione sua propria.

Ora, nel Progetto noi troviamo, salvo alcune differenze di cui parlerò subito, nella seconda Camera un doppione della prima! La seconda Camera dovrebbe fare esattamente quello che fa al prima Camera: e questo noi non lo concepiamo.

Si era parlato di un Consiglio superiore dell’economia, e noi dichiariamo che l’idea ci seduceva: un Consiglio superiore in cui tutte le forze produttive del Paese fossero rappresentate ci avrebbe trovato consenzienti. Fummo noi a lanciarne l’idea. Si trattava di vedere se questa seconda Camera avesse dovuto avere voto deliberativo o consultivo: ma insomma c’era qualche cosa di nuovo e di diverso, c’era una funzione specifica, c’era una collaborazione con la prima Camera che poteva diventare seriamente vitale.

Si poteva concepire anche una specializzazione tecnica della seconda Camera. Molte forme sarebbero state possibili, concepibili. Invece, no! Invece, si è andati a creare un doppione.

Se andiamo a vedere quale è il metodo di formazione della seconda Camera, noi – dopo aver detto e ripetuto che il principio democratico deve essere integrato e non alterato – ci troviamo di fronte a qualcosa di incongruente, direi di assurdo: il principio democratico non è mantenuto.

Intanto, la seconda Camera è eletta a base regionale. Si ha un frazionamento dello Stato. Quelle forze centrifughe, che tendono a spezzettare lo Stato repubblicano italiano, si manifestano anche qui. Ma c’è di peggio. È detto nel Progetto che ogni Regione deve avere un numero fisso di cinque senatori più un senatore per 200 mila abitanti. Qui andiamo veramente contro il principio democratico, perché c’è una disuguaglianza fondamentale tra Regione e Regione. Una Regione con un milione di abitanti verrebbe ad avere 10 senatori; una Regione con 5 milioni, invece di avere 50 senatori, verrebbe ad averne soltanto 30. Vi è una differenza che va oltre i due terzi, quasi uguale alla metà.

I senatori sono eletti per un terzo dai membri dei Consigli regionali e per due terzi a suffragio universale. Anche qui la libera espressione della volontà popolare viene alterata.

Ma vi è di più. Per essere elettori del Senato bisogna aver compiuto i 25 anni di età. Questa è una delle incongruenze, delle cose illogiche ed assurde, escogitate soltanto per capriccio e per poter affermare che fra le due Camere una differenza esiste. Non si capisce perché mentre la Camera dei deputati è eletta da elettori di 21 anni, gli elettori fra 21 e 25 siano scartati per il Senato. Essi sono capaci per una elezione, ma non per l’altra. La cosa ha i suoi riflessi e le sue conseguenze logiche. Si tende, attraverso questo metodo, ad avere un corpo elettorale scelto, di élite. Non è più il grande corpo elettorale comune, è un corpo selezionato. Ma, se si seleziona il corpo elettorale, la conseguenza che ne deriva è questa: che gli eletti della seconda Camera vengono ad essere messi al disopra di quelli della prima, considerati, ragionevolmente, un’élite. E. questo significa svalutare la prima Camera nei confronti della seconda.

Questo concetto della svalutazione lo ritroviamo ancora, quando passiamo dagli elettori agli eleggibili. Si dice nel progetto che gli eleggibili devono essere domiciliati o nati nella Regione. Anche questo è un criterio poco logico, che porta al frazionamento del Paese. Perché un uomo, che per caso è nato a Genova e che è domiciliato momentaneamente a Napoli o a Salerno, ma che ha svolto tutta la propria attività in Piemonte, non deve poter essere senatore piemontese? Non deve poter rappresentare quella Regione nella quale ha abitato ed ha lavorato?

Poi: i candidati devono aver compiuto i 35 anni di età. Sono esclusi gli uomini dai 25 ai 35 anni. Essi sono buoni per la prima Camera, ma non per il Senato; e ancora una volta si cerca di degradare la prima Camera nei confronti alla seconda, perché si fa una selezione per la seconda.

Ma la cosa veramente assurda, e in un certo modo anche tendenziosa, sta nelle categorie degli eleggibili al Senato. Quali sono esse dunque? «Decorati al valore nella guerra di liberazione 1943-1945» e questo va bene. «Capi di formazioni regolari o partigiane». Perché «capi»? Se l’essere stato combattente della libertà è un requisito per essere eletto senatore perché scegliere i capi e non scegliere tutti coloro i quali hanno combattuto per la libertà? E la cosa si aggrava quando si legge: «Con grado non inferiore a comandante di divisione». Questo significa che la maggior parte dei combattenti di questa parte, che pure ha dato tanti uomini alle formazioni dei partigiani e dei liberatori, non potrà domani essere candidato per il Senato: pochissimi infatti hanno raggiunto il grado di comandante di divisione od un grado equiparato.

La stessa osservazione deve essere fatta per altre categorie: «Presidenti della Repubblica, Ministri, ecc.» e va bene, «Membri per quattro anni, complessivi di Consigli regionali o comunali».

Lasciamo stare i Consigli regionali, che non ci sono ancora, e vediamo i Consigli comunali. Se si riflette un momento, si constata che la gran massa dei Consigli comunali conquistati dai partiti di sinistra, più di 2400, fu conquistata solo nel 1920; due anni dopo tutta questa gente fu defenestrata. In sostanza questa gente fu ai Consigli comunali soltanto per due anni ed adesso, se lo è ancora (fra le due elezioni, vi è una frattura di più di vent’anni), lo è da poco tempo. Noi avremo questo risultato: che quasi tutti i consiglieri comunali socialisti e comunisti saranno esclusi dalla candidatura al Senato. Troviamo poi: «Professori ordinari di Università e di Istituti superiori, membri dell’Accademia dei Licei e di corpi assimilati; magistrati e funzionari dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni, ecc.; membri elettivi per quattro anni di Consigli superiori presso le amministrazioni centrali; di Consigli di ordini professionali; di Consigli di Camere di commercio, industria ed agricoltura, di Consigli direttivi nazionali, ecc.; membri per quattro anni di Consigli di amministrazione o di gestione (questi legalmente non ci sono ancora) di aziende private o cooperative con almeno cento dipendenti o soci; imprenditori individuali; proprietari conduttori; dirigenti tecnici ed amministratori di aziende di eguale importanza».

Esaminate con ponderazione tutte queste categorie; tengo a farvi osservare che è stato fatto un calcolo dal quale è risultato che vi è una differenza e una sproporzione tra partiti di destra e di sinistra di uno a dieci. Abbiamo, con la stessa massa, una quantità di possibili candidati uguale ad un decimo dei partiti di destra.

Ebbene, onorevoli colleghi, per tutte queste ragioni noi voteremo contro questo Progetto e presenteremo degli emendamenti, perché ci pare che effettivamente se dessimo vita ad un Senato del tipo progettato, noi creeremmo una Camera antidemocratica, in contraddizione completa con le nostre aspirazioni. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a domani alle 16.

Risposta ad una interrogazione urgente.

PRESIDENTE. È stata presentata una interrogazione con richiesta di urgenza dagli onorevoli Sereni e Laconi:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri, per sapere che cosa risulti esattamente al Governo intorno alle dichiarazioni attribuite dalla stampa all’ammiraglio Bieri della flotta americana del Mediterraneo, e quale atteggiamento esso abbia preso o intenda prendere dinanzi alle dichiarazioni stesse e particolarmente a quella parte di esse che si riferisce al carattere permanente della presenza della flotta statunitense nelle acque italiane».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Posso rispondere anche subito.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro degli affari esteri ha facoltà di parlare.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Risponderò subito all’interrogazione degli onorevoli Sereni e Laconi, ma sono certo che essi mi comprenderanno se risponderò con estrema brevità. Sono certo che mi comprenderanno perché non dubito che essi hanno a cuore il decoro nazionale quanto l’ho io.

Quando io lessi l’intervista dell’Ammiraglio americano, non me ne occupai affatto, perché capii immediatamente e sentii non solo come Ministro degli esteri, ma come italiano e come uomo di buon senso, che ci trovavamo di fronte ad una delle troppo numerose prove di mancanza di responsabilità politica, nazionale e patriottica di certi giornali. L’intervista Bieri è un falso. Ho ricevuto or ora, per rispondere all’interrogazione dei miei colleghi, il testo che fu dato, e non vi è una parola sulla permanenza, più o meno prolungata, della squadra. Niente, assolutamente niente. L’intervista fu onestamente redatta; ma gli scribi che la riprodussero pensarono forse che falsandola si sarebbero vendute più copie di certi giornali; ma quando si tratta di argomenti che concernono l’indipendenza e la sovranità italiana, non si dovrebbe scherzare a questo modo. Punto e basta. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Sereni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SERENI. Io potrei dichiararmi sodisfatto della risposta che l’onorevole Ministro degli esteri ha dato alla nostra interrogazione se si trattasse effettivamente di un falso. Ho potuto constatare, dal confronto dei testi pubblicati da differenti giornali, che le dichiarazioni esplicite di basi a Napoli od altre città non apparivano nel testo dell’intervista. Tuttavia ho letto nel testo dell’intervista, che finora non è stata smentita da nessuno, dichiarazioni che non sono meno preoccupanti, in quanto si parla di una permanenza della flotta americana nel Mediterraneo. Ora, una flotta ha bisogno di determinate basi, e la flotta americana non ha basi nel Medi terraneo. Quando si dice «qui», e la parola viene pronunciata ih Italia, io credo che le basi siano quelle italiane. In ogni caso, a quanto mi risulta, ieri, in una conferenza stampa al Ministero degli esteri, si è detto che appunto non si intendeva occuparsi dell’intervista. Non so se questo atteggiamento possa costituire una garanzia degli interessi nazionali. Un esponente elevato della politica, dell’esercito e della flotta americana ha fatto delle dichiarazioni che sarebbero lesive per l’indipendenza del nostro Paese. Penso che il compito del Ministero degli esteri, del Governo, sia quello di prendere, di fronte ad una dichiarazione di questo genere, immediata posizione, tanto è vero che non il nostro Governo, ma il Governo americano ha sentito il bisogno di prendere immediatamente posizione in proposito. Mi meraviglio – non posso non meravigliarmi – che si sia dimostrato in questa occasione più sollecito della difesa dell’indipendenza del nostro Paese il Governo degli Stati Uniti d’America che il nostro.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. L’onorevole Sereni sa, dalla lunga permanenza insieme nel Governo, quanto ho sempre apprezzato la sottigliezza del suo spirito e la rapidità delle sue percezioni. Mi meraviglio questa volta che non sia pienamente d’accordo con me nel sentire quanto è più bello, quanto è più alto che di fronte ad una notizia che è considerata inammissibile dal Governo italiano, il Governo stesso non si sia degnato di smentire e che le più alte autorità americane lo abbiano invece fatto di loro libera volontà. Questo è il mio sentimento, sentimento della dignità italiana, e tale che mai ammetterei con aria sospettosa, con aria intimidita che certe cose possono accadere quando so che mai accadranno fino a che quanti pensano come me saranno a questo posto. (Applausi).

Su di una votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Stamane l’Assemblea è stata investita dell’esame del disegno di legge relativo agli Accordi commerciali e di pagamento tra l’Italia e la Svezia e si sarebbe potuto passare e qualcuno ha pensato che si passasse alla sua votazione a scrutinio segreto. Invece, a norma dell’articolo 106 del regolamento, faremo la votazione a scrutinio segreto nella seduta di domani, e questo preannunzio implica evidentemente l’augurio e la speranza che nella prossima seduta vi sia il numero sufficiente perché la votazione sia valida.

Domani, nella mattinata dovranno riunirsi le Commissioni legislative; pertanto è opportuno non tenere seduta. Si terrà la seduta alle 16 per il seguito della discussione sul Progetto di Costituzione della Repubblica Italiana.

Vorrei ancora una volta pregare i colleghi presenti – ma la preghiera va essenzialmente agli assenti – di venire alla seduta pronti a prendere la parola quando essa fosse in qualunque momento loro data.

Se in questi primi giorni è ancora comprensibile che si sia usata indulgenza verso gli assenti, dobbiamo mettere ora fine alle tolleranti attese e riprendere il corso normale della discussione. (Approvazioni).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere per quali ragioni ai contadini della Valle Bormida non siano ancora stati pagati, per parte degli enti competenti della provincia di Asti, i saldi delle nocciole conferite agli ammassi negli anni 1941-42. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per conoscere per quale motivo non si sia ancora provveduto a regolare lo stato di cittadinanza degli abitanti delle Valli atesine, sconvolto dagli insani accordi Mussolini-Hitler del 1939; e quale provvedimento abbia in animo il Governo di adottare in proposito, per pacificare quella contrada e per il buon nome della democrazia e della Repubblica italiana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacometti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere che cosa intende fare in merito all’olivicoltura e all’elaiotecnia italiane che rischiano, per il disinteressamento governativo, di rimanere prive di tecnici, per i quali non c’è adeguata sistemazione negli uffici statali o parastatali, relativi alla suddetta branca di agricoltura. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere quando e come intende provvedere alla soluzione dei problemi che riflettono i ciechi civili, con particolare riguardo all’assistenza continuativa, secondo i voti formulati a suo tempo dalle sezioni U.I.C. di tutta l’Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ravvisi l’opportunità di aggiornare le indennità di trasferta a favore di tutti i funzionari, che per ragioni di servizio debbono stare molto tempo fuori sede. Le diarie attuali sono veramente irrisorie e (perché no?) inumane. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere a che punto sono giunti i lavori per l’emanazione dei nuovi Codici penali e di procedura penale e se è possibile affrettarne la conclusione; in quanto sembra quasi incredibile che la giustizia penale continui ad essere amministrata dalle leggi fasciste, sia pure con le lievi attenuazioni introdotte col decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 288. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.15.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 11 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXIV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 11 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Congedo:

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Pastore Raffaele

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Bruni

Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri

Ghidetti

Fanfani, Ministro del lavoro e della previdenza sociale

Vernocchi

Disegno di legge: Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento stipulati a Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 24 novembre 1945 (Discussione):

Presidente

Disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e revisione annuale delle liste elettorali (Discussione):

Presidente

Uberti, Relatore

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Perassi

Cosattini

Micheli, Presidente della commissione

Caldera

Fabbri

Fuschini

De Michelis

Caroleo

Veroni

Cevolotto

La seduta comincia alle 10.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana del 31 luglio 1947.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Restagno.

(È concesso).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni.

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici prega che sia anticipato lo svolgimento delle interrogazioni a lui rivolte dovendo egli poi assentarsi per motivi del suo ufficio.

Perciò, cominciamo dalla interrogazione dell’onorevole Pastore Raffaele, diretta appunto al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se non creda opportuno procedere a una inchiesta per il crollo delle volte delle case dei senza-tetto di Foggia, onde assodare le responsabilità ed evitare possibili salvataggi».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Subito dopo il mio insediamento al Ministero dei lavori pubblici, in data 6 giugno, mi pervenne una lettera del prefetto di Foggia, colla quale si richiamava l’attenzione del Ministero su alcuni crolli in un complesso di alloggi per ricovero dei senza-tetto, avvenuti nella località Borgo Croci di Foggia; si trattava di sessantaquattro piccoli appartamenti.

Immediatamente feci telegrafare e scrivere al Genio civile, il quale mi diede conferma di quanto era avvenuto, secondo la informazione precedente del prefetto di Foggia. Ma non rimasi sodisfatto di quelle informazioni e in data 26 giugno disposi senz’altro un’inchiesta ministeriale. Nel frattempo perveniva al Ministero, in data 20 giugno, il testo della interrogazione dell’onorevole Pastore.

L’inchiesta ministeriale ha avuto il suo svolgimento ed i risultati mi sono stati presentati a fine di agosto. Li ho esaminati e devo dire che il primo ad esserne insoddisfatto sono stato io; perché, nell’ordinare l’inchiesta (di cui conoscevo la grande importanza, per il fatto che si trattava di non potere disporre, all’indomani del compimento di sessantaquattro alloggi, della integralità di essi, ai fini così urgenti del ricovero di senza-tetto) io stabilivo – scrivendo di mio pugno – che essa avesse questi limiti: adottare sul posto provvedimenti urgenti e adeguati, comprese eventuali denunce all’autorità giudiziaria a carico dei responsabili, chiunque essi fossero, funzionari od impresari.

Nella inchiesta che ha condotto, il rappresentante del mio Ministero non ha creduto di trovare elementi tali di responsabilità che potessero dar luogo a denunce o ad altri provvedimenti immediati che io intendo invece debbano essere adottati perché il fatto comunque è grave. Si tratterà della impresa, si tratterà del Genio civile, si tratterà del Provveditorato: quel che sarà, sarà. L’importante è che io assicuro l’onorevole Pastore e l’Assemblea che questa inchiesta, i cui dati sono recentissimi e per i quali si individua specialmente la responsabilità di un ingegnere del Genio civile, che nel frattempo, poveretto, è morto, per me non è sufficiente: e quindi ho disposto immediatamente un’altra inchiesta affidandola ad altre persone che esaminino la cosa con quel senso di responsabilità che io avevo indicato fin dal momento in cui ho ordinato le prime indagini. Di questo nuovo risultato, che darà modo al Ministro di adottare adeguati provvedimenti a carico di tutti i responsabili, darò rendiconto all’onorevole Pastore ed all’Assemblea, se lo vorrà.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all’onorevole Pastore, mi permetto di ricordare all’Assemblea la necessità che le repliche degli interroganti siano mantenute nei limiti regolamentari, e questo nell’interesse di tutti, cioè per avere modo di svolgere il maggior numero di interrogazioni possibile. Il Regolamento stabilisce che l’interrogante ha diritto di parlare per cinque minuti.

L’onorevole Pastore Raffaele ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

PASTORE RAFFAELE. Prendo atto delle dichiarazioni del Ministro, ma voglio richiamare la sua attenzione su tutto ciò che avviene nel Provveditorato di Bari. Oggi si vuole attribuire la colpa del crollo delle volte delle casette a un ingegnere che è morto; ma invece occorre andare più in fondo, perché il Ministro deve anche conoscere – ed è bene che l’Assemblea sappia ciò – che le casette costruite dalle cooperative non sono crollate. Allora dobbiamo domandarci: perché? Perché le imprese, quando concorrono alle aste, offrono ribassi effimeri per far credere che si preoccupano dell’interesse dello Stato, salvo poi a mettersi d’accordo con coloro che dirigono i lavori e cambiarne la struttura.

Le volte furono sostituite con voltini di gesso, che naturalmente, anche a detta dei tecnici, dovevano assolutamente crollare. E di questo era consapevole il provveditore di Bari, che aveva dato il suo assenso. C’è stato un periodo in cui si diceva che il provveditore era stato trasferito e che alcuni funzionari erano stati accantonati. Ma oggi, non so perché, il. provveditore è stato rimesso al suo posto e naturalmente l’inchiesta sarà sempre più difficile.

Prego l’onorevole Ministro di voler indagare a fondo. Si vorrebbero salvare le imprese, imprese che dovrebbero ricostruire le case, e si vorrebbe far cadere tutta la responsabilità sull’ingegnere capo del Genio civile, persona che più non esiste.

Attendo quindi i risultati dell’inchiesta finale per poter esprimere il mio parere.

PRESIDENTE. Fa piacere constatare come il primo degli interroganti si sia mantenuto nei limiti, anche più ristretti, del tempo concesso. Questo esempio potrebbe essere salutare.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Corsi al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se non creda di comunicare i risultati dell’inchiesta eseguita a carico degli uffici del Genio civile di Cagliari, relativa alla abusiva assegnazione di alloggi ricostruiti; per conoscere, altresì, se e quali adeguati provvedimenti sono stati adottati a carico dei funzionari responsabili e come sia stata possibile la lunga e larga frode senza che gli organi dirigenti e centrali intervenissero».

Non essendo presente l’onorevole Corsi, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Camangi al Ministro delle finanze, «per sapere se ha esaminato, e in tal caso come intenda risolvere, il problema di fronte al quale si trovano le Amministrazioni comunali nella applicazione dell’imposta di famiglia. Le Amministrazioni stesse, infatti, pure avendo a disposizione tutti i mezzi per procedere ad accertamenti dei redditi molto vicini alla realtà – e ciò nell’interesse delle finanze comunali – sono indotte invece ad accertare i redditi stessi in cifre notevolmente inferiori alla realtà per evitare che degli accertamenti stessi, ove esatti, si serva poi il fisco applicando agli stessi le aliquote erariali, che, sproporzionatamente elevate, determinerebbero una tassazione assolutamente insostenibile per i contribuenti. Tale stato di cose si risolve, d’altra parte, non soltanto in un danno per le finanze locali, ma anche per quelle dello Stato, che attraverso la integrazione dei bilanci è costretto ad esborsi sempre maggiori».

Poiché l’onorevole Camangi non è presente, s’intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Paris, Persico, Mazzoni, Bordon, Canepa, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro delle finanze, «per sapere se non ritengano opportuno sospendere l’entrata in vigore del decreto legislativo 24 maggio 1947, n. 589, oppure apportarvi delle sostanziali modifiche, tali da non pregiudicare la ripresa e lo sviluppo del turismo nel nostro Paese».

Poiché nessuno degli onorevoli interroganti è presente, tranne l’onorevole Bordon, che rinuncia allo svolgimento dell’interrogazione, s’intende che tutti gli interroganti vi abbiano rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Schiratti, al Ministro delle finanze e all’Alto Commissario per l’alimentazione, «per sapere se il frutto tributario e la limitazione o disciplina dei consumi, che si vogliono perseguire col decreto legislativo 24 maggio 1947, n. 589, compensino il grave turbamento che la prossima applicazione di tale decreto porterà in un vasto settore dell’attività commerciale con evidenti riflessi nocivi e per il turismo e per la categoria di prestatori di opera; e se di conseguenza non credano di sospenderne l’applicazione o, se mai, di apportarvi quelle radicali modifiche che valgano ad evitarne i prospettati inconvenienti».

Poiché l’onorevole Schiratti non è presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Bruni, al Ministro dell’interno, «per conoscere se non intenda rimediare all’errata interpretazione data al decreto 1° aprile 1947, n. 221, del Ministero dell’interno, con cui si intese alleviare le gravi condizioni di disagio nelle quali versano i funzionari di pubblica sicurezza e gli appartenenti al Corpo degli agenti di pubblica sicurezza, stabilendo per essi una indennità giornaliera di ordine pubblico con decorrenza dal 1° gennaio. La indennità in parola teneva conto anche di rischi e di sacrifici eccezionali ai quali è sottoposto, attualmente, il personale di pubblica sicurezza. Ora la Ragioneria centrale del Ministero dell’interno, con interpretazione inesplicabile, ha disposto che tale indennità non sia accumulabile con i compensi per lavoro straordinario in certi casi rimessi all’arbitrio dei ragionieri della questura, e non cumulabile perfino con la indennità giornaliera di pubblica sicurezza. Cosicché si è reso inutile il provvedimento di cui sopra, aggravando il vivo malcontento di tutto il personale di pubblica sicurezza che si ritiene vittima di una autentica beffa».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Con provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri il 18 luglio ultimo scorso, su proposta del Ministro dell’interno, in corso di pubblicazione, viene disposta l’abolizione del divieto del cumulo delle indennità di ordine pubblico con i compensi per lavoro straordinario, mentre già con la legislazione precedente era ammesso il cumulo di detta indennità di ordine pubblico con quella giornaliera di pubblica sicurezza.

PRESIDENTE. L’onorevole Bruni ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BRUNI. Mi dichiaro soddisfatto ed esprimo la speranza che il cumulo entri subito in vigore.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Sì, subito.

PRESIDENTE. L’onorevole Mancini ha chiesto il rinvio dello svolgimento di questa sua interrogazione al Ministro del lavoro e della previdenza sociale: «per conoscere la ragione per la quale il preventorio di Cosenza rimane ermeticamente chiuso».

Lo svolgimento di questa interrogazione è pertanto rinviato ad altra seduta.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Ghidetti, ai Ministri delle finanze, del tesoro, e degli affari esteri, «per sapere se non riconoscono urgente la necessità di intervenire a favore degli infortunati nel lavoro fruenti di rendita dall’Istituto nazionale svizzero di assicurazione contro gli infortuni. Alcune migliaia di famiglie italiane potrebbero liberarsi dalla miseria se il Governo italiano si decidesse a prendere la determinazione che l’Istituto svizzero attende per dar corso al pagamento delle rendite in Italia e degli arretrati dal 1° ottobre 1946, determinazione che il Governo italiano non deve ritardare oltre, per quanto sta nelle sue possibilità, senza assumere grave responsabilità».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La questione del pagamento delle rendite correnti e degli arretrati dal 1° ottobre 1946 da parte dell’Istituto nazionale svizzero d’assicurazione contro gli infortuni è stata regolata in base all’accordo italo-svizzero firmato a Berna il 9 luglio.

L’articolo 9 dell’accordo stabilisce, infatti, che esso entra in vigore il giorno della firma con effetto però anche sulle obbligazioni scadute dopo il 30 settembre 1946 e non ancora regolate. L’applicazione sollecita di tale accordo, di cui il Ministero degli affari esteri sta curando l’attuazione perché entri in vigore, consentirà quanto prima agli infortunati di riscuotere quanto è di loro spettanza.

PRESIDENTE. L’onorevole Ghidetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

GHIDETTI. La risposta che l’onorevole Sottosegretario Brusasca ha testé comunicato non è sodisfacente; benché assicuri che si presterà, d’ora in avanti, maggiore attenzione di quanto non sia avvenuto fino ad oggi per la stipulazione di accordi del genere. Sta di fatto che da un anno, dico da un anno, i nostri infortunati sul lavoro in Svizzera attendono di potere avere le loro indennità, le rendite, alle quali hanno diritto; la cosa va messa tanto più in rilievo poiché si tratta di preziosa valuta estera che dovrebbe entrare in Italia, e che noi lasciamo fuori, perdendo così anche la possibilità di utilizzarla vantaggiosamente. E giusto ieri, conversando con vari colleghi dell’Assemblea, dei più diversi settori, ho sentito che in molte provincie d’Italia c’è del malcontento, sia pure limitato – per questo fatto – ad alcune migliaia di italiani, malcontento determinato da un modo di procedere che non si riesce a spiegare. Con la Svezia si è stabilito felicemente un accordo commerciale e di pagamento, del quale ci occuperemo questa mattina. Non capisco perché non si riesca a concludere un accordo con la Svizzera su questa materia. Va tenuto conto che dalla Svizzera giungono in Italia comunicazioni ufficiali dell’Istituto assicuratore svizzero in risposta a lettere scritte dagli interessati, cioè dagli infortunati, che certo non fanno piacere ai poteri costituiti. Dice appunto una comunicazione di qualche mese, fa, da Lucerna, ad un infortunato italiano: «Vi diremo che le trattative in corso fra i due Stati per regolare la questione del pagamento di rendite d’assicurazione non tendono a sfociare ad una conclusione, per il fatto che il rispettivo Ministero del Governo italiano, che assume la responsabilità del ritardo, tarda a prendere una determinazione». Ora è evidente che…

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Di quale data è quella lettera?

GHIDETTI. È in data del 10 giugno 1947. Un mese dopo io presentavo appunto questa interrogazione, prendendo come rigorosa motivazione la comunicazione ufficiale, giunta dalla Svizzera che ho letto poc’anzi. Diffondendosi in Italia queste notizie, si screditano le nostre istituzioni che noi abbiamo il dovere di sostenere e di difendere; ma bisogna anche poter dimostrare che ogni mezzo è stato offerto per ottenere la stipulazione di un accordo.

Dopo quanto ha dichiarato l’onorevole Sottosegretario Brusasca io sono certo che per l’avvenire si presterà maggiore attenzione; ma vorrei si prendesse impegno fin d’ora in modo che, a non oltre un mese di distanza, o mediante un accordo provvisorio, o sulla base di acconti, si riesca finalmente ad andare incontro a questi infelici. Colgo l’occasione per ricordare che sono già più di sei mesi che un’analoga situazione si è imposta all’attenzione nostra a proposito degli infortunati sul lavoro in Germania, questione che attende ancora una soluzione e per la quale, pur non riguardandolo direttamente, era stato interessato anche il Ministero degli esteri. Vi sono infortunati sul lavoro e vedove di infortunati sul lavoro negli anni scorsi in Germania, o da dieci, venti anni fa, che dal 1944 non ricevono più la rendita perché ne è stato sospeso il pagamento.

Se pertanto anche questa volta dovesse accadere come allora quando, nonostante l’assicurazione che io ebbi, secondo la quale entro pochi giorni, entro al più qualche settimana, si sarebbe provveduto, mentre, come ripeto, a tutt’oggi la situazione è rimasta insoluta, vuol dire allora che a causa di negligenza si opera a screditare le istituzioni ed è evidente che, di fronte a ciò, bisognerà provvedere in modo diverso.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Prendo atto della dichiarazione dell’onorevole Ghidetti, al quale però debbo far presente la circostanza che il Ministero, in tema di rapporti con l’estero, non sempre può agire in conformità dei suoi desideri e della sua volontà. Posso comunque comunicare all’onorevole Ghidetti che l’accordo è stato realizzato in data 9 luglio e che in questi giorni il Ministero sta affrettando le pratiche perché esso entri in vigore e perché di conseguenza i beneficiari possano ricevere le rendite.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Desidero fornire un chiarimento per quanto riguarda l’ultimo accenno dell’onorevole Ghidetti a proposito degli infortunati sul lavoro in Germania. Posso assicurare l’onorevole Ghidetti che il provvedimento relativo è stato già approvato dal Consiglio dei Ministri e che in questi giorni sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Tale provvedimento è stato preso nel senso che i lavoratori di cui si tratta ricevano le loro competenze dagli istituti italiani in attesa che questi istituti possano rivalersi sui corrispondenti istituti germanici.

Il problema quindi si può considerare risolto.

GHIDETTI. Prendo atto, ma la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale non è ancora avvenuta.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ho detto che sta avvenendo in questi giorni.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Vernocchi, al Ministro dell’interno, «per sapere quali relazioni esistano tra l’inchiesta condotta sull’amministrazione degli Ospedali riuniti di Perugia e la disastrosa alienazione di un vasto tenimento agricolo, di antichissima proprietà dell’Istituto, intorno alla quale pende una grave causa avanti al Consiglio di Stato».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Assicuro l’onorevole interrogante che nessuna relazione sussiste tra l’inchiesta condotta sull’amministrazione degli Ospedali riuniti di Perugia e l’alienazione delle tenute Collestrada e Ospedalicchio, stipulata nel 1942 e annullata con decreto del Capo dello Stato, e per la quale pende un giudizio, su ricorso presentato dagli acquirenti, dinanzi al Consiglio di Stato con l’intervento dell’Avvocatura dello Stato la quale, in rappresentanza del Ministero dell’interno, insieme con il difensore dell’ente, resiste al ricorso.

L’inchiesta fu determinata da denunzie di stampa, cui si interessò vivamente la cittadinanza, riguardanti l’amministrazione interna degli Ospedali riuniti di Perugia, denunzie che determinarono anche una discussione sul funzionamento dell’Opera Pia in seno al Consiglio comunale di quella città.

PRESIDENTE. L’onorevole Vernocchi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

VERNOCCHI. Non posso evidentemente dichiararmi soddisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario per l’interno. L’onorevole Sottosegretario ha preso visione soltanto dell’inchiesta amministrativa, che non è mai stata pubblicata, e della quale non mi è stato possibile prendere visione, nonostante il mio interessamento presso il suo predecessore, il quale, in mia presenza, ebbe a telefonare al Capo di Gabinetto del Ministro per averne copia ed ebbe la riposta evasiva che era stata inviata al prefetto di Perugia. E quando il Sottosegretario Carpano replicò che, indubbiamente, ci dovevano essere altre copie, rispose che non ve ne erano altre, che ne esisteva una sola e questa era stata inviata al prefetto di Perugia.

Esistono però altre relazioni, perché non soltanto vi è una inchiesta amministrativa, ma ne fu fatta anche una tecnico-sanitaria ordinata dall’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità, e ne fu fatta una dal Ministero della pubblica istruzione. Ora, io conosco tutte e due queste relazioni e ne conosco particolarmente le conclusioni; ed è per questo che io ho presentato l’interrogazione nei termini scritti perché il nesso tra la campagna iniziatasi contro gli amministratori dell’Opera pia di Perugia, le relazioni d’inchiesta e la vendita scandalosa di due proprietà dell’Opera pia stessa è evidente.

Onorevole Sottosegretario, io ho qui dinanzi agli occhi un codicillo riassuntivo di una delle due inchieste; e questo codicillo dice proprio così:

«Sulla base delle dichiarazioni dei rappresentanti dei vari partiti, della stampa cittadina, nonché delle personalità più in vista, si risale alle cause più o meno oscure della campagna stessa, il cui animatore è stato l’avvocato Mignini, tipo di mistico esaltato, ambizioso e facilmente suggestionabile.

«Tali causa si riassumono: 1°) nell’interesse degli acquirenti della tenuta dell’ospedale alienata nel 1942; e l’attuale amministrazione ha perseguito la rivendicazione di tali beni di grande valore, ed ha ottenuto il decreto del Capo dello Stato di annullamento dell’atto di compra-vendita; 2°) altra causa è l’ostilità dei direttori della clinica, i quali avevano sperato, con la nomina di un collega, il professore Severi, a Presidente del Consiglio di amministrazione dell’ospedale, di trarre maggiori vantaggi (dichiarazione del professor Borrino), mentre invece il Severi si è solo preoccupato di rimettere in ordine l’amministrazione e i servizi ospedalieri, eliminando ogni spreco e abuso, da qualunque parte venisse perpetrato».

È evidente, onorevole Sottosegretario, che qui c’è sotto qualche cosa che non è chiara; oppure che è troppo chiara. Se ella mi avesse risposto prima, io forse sarei stato in grado di darle anche allora gli elementi che posso esporre adesso all’Assemblea, e di impedire che si prendesse un provvedimento che non esito a definire scandaloso: lo scioglimento dell’amministrazione degli Ospedali riuniti di Perugia.

Come spiega lei, onorevole Sottosegretario, che la mia interrogazione è del 1° luglio, le mie sollecitazioni sono del 14 luglio – ed ella mi disse allora che non era in grado di rispondere perché non conosceva la relazione che non era ancora ultimata (mentre era compiuta fin dal marzo precedente) – e il fatto che il 12 luglio, forse a sua insaputa – perché se ne fosse stato a conoscenza il 14 me lo avrebbe detto – è stato emanato il decreto ministeriale di scioglimento dell’amministrazione degli ospedali, comunicato soltanto l’11 agosto dal prefetto di Perugia al Presidente dell’amministrazione predetta? Come spiega questo fatto così strano? Appare strano a noi, e deve apparire ancora più strano a lei, che non è stato informato a tempo dai suoi uffici, che questo decreto ministeriale era già stato deciso ed era stato già deliberato.

E allora, se io avessi potuto parlare prima, se avessi potuto prima esporre all’Assemblea che cosa c’è sotto la campagna contro gli amministratori dell’Opera pia di Perugia, io sono certo che ella, nella sua onestà (che io riconosco), avrebbe impedito che fosse stato preso un provvedimento di questo genere, che getta il sospetto su persone di probità indiscutibile e su scienziati noti e valorosi.

Onorevole Sottosegretario, lei certo sa che l’Opera pia di Perugia era proprietaria (e fortunatamente lo è ancora) – ed io prendo atto della sua dichiarazione di assistere il difensore dell’Ente – di due grandi tenute di circa 820 ettari appoderati in 50 colonie, sulla piana del Tevere. Queste due tenute si riallacciano alla tradizione francescana, perché furono donate da San Francesco all’Opera pia di Perugia perché fossero dedicate a luogo di ricovero per i lebbrosi di sovente visitati dal Santo. Orbene, queste due tenute costituiscono l’unica proprietà e l’unica risorsa dell’Opera pia di Perugia. Sa ella che, ad un determinato momento, nel 1942, ancora in regime fascista, queste due tenute di 820 ettari furono vendute per appena 19 milioni? Dopo vari interventi governativi, prima attraverso il famigerato Trinca Armati, fucilato al Nord, poi attraverso la società Silta del gruppo Vaselli-Ciano, esse furono acquistate, senza alcun sopraluogo (mentre il sopraluogo era stato fatto precedentemente da Vaselli) dal gruppo Caniati-Sonnino delle Bonifiche ferraresi.

Orbene, chi è uno di coloro che, particolarmente, hanno iniziato la campagna di diffamazione e di denigrazione contro gli amministratori dell’ospedale di Perugia? L’avvocato Fausto Andreani, che è uno dei difensori del gruppo Caniati-Sonnino.

Ecco la relazione, onorevole Sottosegretario, che esiste fra l’una e l’altra cosa!

Chi è l’altro che ha presentato un’interpellanza al Consiglio comunale per chiedere le dimissioni dell’amministrazione, che ha promosso un’agitazione popolare e che sui giornali ha iniziato contro gli stessi amministratori una campagna denigratoria?

L’avvocato Mignini di cui ho parlato prima, e che disgraziatamente è iscritto al suo partito, onorevole Sottosegretario.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Ve ne è di peggio, in tutti i partiti!

PRESIDENTE. Onorevole Vernocchi, cerchi di concludere.

VERNOCCHI. E bisognerebbe andare in fondo per vedere certi addentellati di parentele che esistono e che servono come filo conduttore per dimostrare come vi sia relazione fra la campagna denigratoria contro gli amministratori del pio Ente e la causa che pende presso il Consiglio di Stato, in opposizione al decreto del Capo dello Stato che riconsegna all’Opera pia le due tenute vendute nella maniera che io ho denunciata.

Io non voglio insistere maggiormente perché ella non ha elementi per rispondermi, mentre io ne ho molti a mia disposizione. Ma le voglio dire solo che nell’opera di diffamazione dei consiglieri di amministrazione dell’Opera pia hanno contribuito anche quei clinici e quei medici contro i quali si è espressa in maniera molto decisiva e avversa la relazione fatta per conto del Ministero della pubblica istruzione. E perché? Perché gli amministratori dell’Ospedale di Perugia volevano reprimere abusi e impedire il prolungarsi di disordini amministrativi. Alcuni clinici ed alcuni medici (non tutti) erano insofferenti di questa disciplina imposta e dei controlli che l’amministrazione aveva stabilito. Oh! se io dovessi leggervi le parti delle inchieste che trattano questo particolare argomento vedremmo come e quanto questi signori clinici e medici ne escono male! Ecco perché io ho presentato un’altra interrogazione al Ministro della pubblica istruzione; perché è necessario conoscere i provvedimenti che si intende adottare nei confronti di quei signori che hanno abusato della pubblica amministrazione.

Ma sapete cosa dice la relazione nei riguardi degli attuali amministratori che sono stati defenestrati nel modo da me denunciato? Ecco: «Conviene peraltro rilevare che dopo i disordini lasciati dagli eventi bellici nell’ospedale, l’attuale amministrazione ha cercato di organizzare i servizi anche se il programma non è stato completato nel breve periodo proposto».

Ora, io nego che si dovesse sciogliere l’amministrazione dell’ospedale, perché non c’era nessun elemento di accusa contro gli amministratori; ed io non mi dolgo con lei, ma mi dolgo con il suo Ministro che ha aderito al giuoco; perché si dice a Perugia che sia persino venuta una delegazione della Democrazia cristiana, capeggiata dal segretario locale, per impedire la pubblicazione dell’inchiesta amministrativa, allo scopo di salvare il prestigio politico del Partito! Si dicono molte cose ancora a Perugia ed il Ministro dell’interno avrebbe dovuto rendersi conto, prima, della verità dei fatti e poi provvedere; se così avesse fatto, io sono certo che avrebbe provveduto non contro gli onesti amministratori degli ospedali di Perugia, ma contro coloro che effettivamente hanno male amministrato la pubblica cosa.

Signori, perché non si è pubblicata la relazione? Perché si è trasferito il prefetto Peano che era favorevole alla pubblicazione? Perché il prefetto ispettore Tranchida, che ha fatto la relazione sanitaria, è stato collocato a riposo? Sono tutti interrogativi, onorevole Sottosegretario, che in questo momento vengono alla mia mente e che io espongo a lei. Fate luce fino in fondo, perché fino in fondo bisogna andare in questa faccenda che non è chiara e non è onesta.

Onorevole Sottosegretario, dica al suo Ministro che non si eleva il costume morale gettando il sospetto su uomini probi che hanno dato esempio di onestà in tutta la loro vita. Si fa il contrario anzi, perché si vengono a premiare indirettamente coloro che devono essere colpiti e che, invece, rimangono impuniti.

Orbene, io mi rivolgo alla sua personale onestà, da tutti noi conosciuta, perché il vento della calunnia che striscia e rimbalza, e non abbatte, no, ma col suo passaggio solleva la polvere della strada che si posa sugli animi e sulle coscienze, non cristallizzi la iniquità delle coscienze stesse. Questo chiedono gli onesti amministratori dell’ospedale di Perugia, questo chiede la cittadinanza di Perugia, questo vuole il popolo italiano. (Applausi a sinistra).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Una semplice precisazione, anzitutto, sul ritardo della risposta; l’onorevole collega sa che il 14 luglio io ero pronto a rispondere. La risposta non ha potuto essere data semplicemente perché era trascorso il tempo destinato alle interrogazioni ed io sono stato lasciato in libertà come poc’anzi il Ministro dei lavori pubblici. Nell’uscire ho avuto il piacere d’incontrare l’onorevole Vernocchi che era più sorpreso di me dell’inclusione improvvisa di questa interrogazione nell’ordine del giorno. L’onorevole Vernocchi mi vorrà dare atto, quindi, che non ho proprio esercitato nessuna arte insidiosa per rispondere a settembre.

VERNOCCHI. Gliene do atto subito, perché riconosco la sua onestà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Quanto al testo della mia risposta, esso è perfettamente aderente al testo dell’interrogazione. Tutto quello che, ad illustrazione dell’interrogazione, l’onorevole interrogante ha creduto di poter dire, poteva formare oggetto di un’altra interrogazione alla quale io avrei risposto fornendo tutti quegli altri elementi che l’onorevole interrogante lamenta di non aver ricevuto oggi.

Ad ogni modo: quod differtur non aufertur. Onorevole interrogante, sono a sua disposizione.

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato allo svolgimento delle interrogazioni.

Discussione del disegno di legge: Approvazione degli accordi commerciali e di pagamento stipulati a Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 24 novembre 1945. (18).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Approvazione degli accordi commerciali e di pagamento stipulati a Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 24 novembre 1945.

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi nessuno iscritto a parlare e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Questo disegno di legge consta del seguente articolo unico:

«Piena ed intera esecuzione è data agli accordi commerciali e di pagamento stipulati in Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 24 novembre 1945.

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 1° dicembre 1945».

Sarà votato a scrutinio segreto nella seduta pomeridiana di domani.

Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali. (16).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del seguente disegno di legge: Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali.

Apro la discussione generale sopra questo disegno di legge.

Non essendovi nessuno iscritto a parlare e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame dei singoli articoli, che sarà fatto sul testo della Commissione.

Faccio presente che, dopo che la Commissione ebbe presentato la sua relazione ed i suoi emendamenti, il Governo ha presentato una serie di emendamenti che sono stati regolarmente sottoposti all’esame della Commissione. Io devo quindi chiedere alla Commissione, e per essa al Relatore, il parere sopra i singoli emendamenti.

L’articolo 1 è del seguente tenore:

«Sono elettori tutti i cittadini italiani che abbiano il godimento dei diritti civili e politici, abbiano compiuto il 21° anno di età e non si trovino in alcuna delle condizioni previste dall’articolo 2».

Il Governo ha proposto di sostituirlo col seguente:

«Sono elettori tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto il 21° anno di età e non si trovino in alcuna delle condizioni previste dall’articolo 2».

Invito il Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento proposto dal Governo. La nuova formulazione è più esatta. Non porta modificazioni di sostanza.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 1 nella nuova formula proposta dal Governo.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2:

«Non sono elettori:

1°) gli interdetti e gli inabilitati per infermità di mente;

2°) i commercianti falliti, finché dura lo stato di fallimento, ma non oltre cinque anni dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento;

3°) coloro che sono sottoposti alle misure di polizia del confino o dell’ammonizione, finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi;

4°) coloro che sonò sottoposti a misure di sicurezza detentive a norma dell’articolo 215 del Codice penale o a libertà vigilata, finché durano gli effetti del provvedimento;

5°) i condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici;

6°) coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata;

7°) in ogni caso i condannati per peculato, malversazione a danno di privati, concussione, corruzione, turbata libertà degli incanti, calunnia, falsa testimonianza, falso giuramento, falsa perizia o interpretazione, frode processuale, subornazione, patrocinio o consulenza infedele o altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico, millantato credito del patrocinatore, associazione per delinquere, devastazione e saccheggio, per delitti contro la incolumità pubblica, esclusi i colposi, per falsità in moneta, in carte di pubblico credito e in valori di bollo, falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione, certificazione o riconoscimento, falsità in atti, per delitti contro la libertà sessuale, esclusi quelli preveduti dagli articoli 522 e 526 del Codice penale, per offese al pudore e all’onore sessuale, per delitti contro la integrità e la sanità della stirpe, escluso quello preveduto dall’articolo 553, per il delitto d’incesto, per omicidio, lesioni personali non colpose gravi o gravissime, furto, eccettuati i casi previsti dall’articolo 626, primo comma, del Codice penale, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, per danneggiamento o appropriazione indebita nei casi pei quali si procede d’ufficio, truffa, fraudolenta distruzione della cosa propria e mutilazione fraudolenta della propria persona, circonvenzione di persone incapaci, per usura, frode in emigrazione, ricettazione e bancarotta fraudolenta, per i giuochi d’azzardo; per le contravvenzioni previste dal Titolo VII del testo unico della legge di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e dalle disposizioni del decreto legislativo luogotenenziale 12 ottobre 1944, n. 323;

8°) i condannati per i reati previsti nel Titolo I del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159, sulle sanzioni contro il fascismo e di cui all’articolo 1 del decreto legislativo luogotenenziale 22 aprile 1945, n. 142, nonché i condannati per i reati previsti dal decreto legislativo luogotenenziale 26 aprile 1945, n. 195, sulla punizione dell’attività fascista;

9°) i titolari dei locali di meretricio e i titolari di case da giuoco.

«Le disposizioni dei numeri 5, 6, 7 e 8 non si applicano se la sentenza di condanna è stata annullata o dichiarata priva di effetti giuridici, in base a disposizioni legislative di carattere generale, o se il reato è estinto per effetto di amnistia, o se i condannati sono stati riabilitati. Nel caso di amnistia, non può farsi luogo alla iscrizione nelle liste elettorali se non è intervenuta la declaratoria della competente Autorità giudiziaria».

Il Governo ha proposto di sostituire, al primo comma, il numero 9 col seguente:

«9°) i titolari dei locali di meretricio e i concessionari di case da giuoco».

Invito il Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo, nel suo progetto, non aveva incluso né i titolari, né i concessionari delle case da giuoco. Infatti, era sembrato al Governo di non potere istituire una identità morale tra i titolari delle case di meretricio ed i titolari delle case da giuoco, autorizzate. È noto quanta preoccupazione vi sia in ordine alle qualità personali di costoro; e la preoccupazione derivava anzitutto dalla considerazione che si tratta dell’unica figura di contravvenzione a tutta la materia disciplinata dal libro III del Codice penale, dalla quale si faccia discendere una sanzione di tanta gravità, ma soprattutto dallo scrupolo che non poteva non derivare al Governo per il fatto che questi concessionari, i quali dovrebbero essere esclusi dal diritto di voto, in realtà ripetono la concessione direttamente dallo Stato; dico direttamente, anche se sono i Comuni a darla; i Comuni la dànno, in quanto sono autorizzati espressamente da disposizioni tassative. Ad ogni modo, gli atti di concessione devono essere ratificati dal Ministero dell’interno.

Per queste ragioni era sembrato che il Ministero non potesse, da una parte, concedere una autorizzazione e, dall’altra, punire il concessionario, privandolo del diritto di voto, cioè classificandolo in una categoria di indegnità morale.

Questo viene detto per debito di coscienza.

Nel merito il Governo si rimette completamente alla decisione dell’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Al n. 4 sostituire le parole: sottoposti a misure di sicurezza detentive, a norma dell’articolo 215 del Codice penale, o a libertà vigilata» con le seguenti: «sottoposti a misure di sicurezza detentive o a libertà vigilata a norma dell’articolo 215 del Codice penale».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Si tratta di un semplice spostamento di un’espressione, che ritengo sarà accolto dalla Commissione, perché risponde allo spirito col quale la stessa Commissione ha leggermente modificato il testo del Governo, inserendovi il richiamo all’articolo 215 del Codice penale. La Commissione ha inserito la frase: «a norma dell’articolo 215 del Codice penale», dopo le parole: «a misure di sicurezza detentive». Siccome la libertà vigilata, di cui si parla, è pure una misura di sicurezza, sia pure non detentiva, preveduta dall’articolo 215, ed è a questa soltanto che la legge vuol riferirsi, mi pare opportuno che il richiamo «a norma dell’articolo 215» segua le parole «libertà vigilata» in modo da riferirsi ad entrambe: le misure di sicurezza detentive e la libertà vigilata, evitando qualsiasi pericolo di estensione o di interpretazione abusiva.

PRESIDENTE. Prego il Relatore di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. Trattasi di un perfezionamento tecnico che la Commissione accetta.

COSATTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSATTINI. Al numero 9, per metterci in accordo con la legge di pubblica sicurezza, in luogo delle parole: «titolari dei locali di meretricio» si dovrebbe dire: «tenutari di case di meretricio».

PRESIDENTE. Onorevole Relatore, quale è il parere della Commissione?

UBERTI, Relatore. Per la Commissione l’emendamento non ha rilevanza.

PRESIDENTE. A differenza della parola «titolari», quella «tenutari» mantiene la loro figura al livello dovuto. Cosa ha da dire il Governo?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato all’interno. Nessuna difficoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Mi rincresce per i proprietari di tenute agricole. (Si ride). Si confonde un po’ la cosa e si dà importanza particolare ad una frase che effettivamente non mi pare l’abbia. Nessuna difficoltà, peraltro, ad accettare la proposta fatta.

PRESIDENTE. L’emendamento al numero 9 dell’articolo 2 è del seguente tenore: «I tenutari dei locali di meretricio e i concessionari di case da giuoco».

CALDERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALDERA. Mi pare in sostanza che, moralmente, gli uni valgano gli altri, ma, dal punto di vista eminentemente soggettivo, differenza vi è ed io ritengo che sia bene non metterli tutti e due sotto il numero 9, ma fare due numeri: 9 e 10: nel primo si includerebbero i tenutari di case di tolleranza e nel secondo i concessionari di case da giuoco. Così si possono distinguere.

UBERTI, Relatore. Possiamo accettare.

PRESIDENTE. Allora pongo in votazione la proposta Caldera di formulare due numeri distinti:

(È approvata).

Pongo ai voti l’emendamento del Governo che risulta così modificato:

9°) «i tenutari dei locali di meretricio»; 10°) «i concessionari di case da gioco». (È approvato).

Pongo in votazione ora l’emendamento sostitutivo Perassi, al n. 4, che è del seguente tenore:

«sottoposti a misure di sicurezza detentive o a libertà vigilata, a norma dell’articolo 215 del Codice penale».

In sostanza, la nuova formula Perassi salva dal pericolo che questa libertà vigilata sia contemplata come ostativa del diritto elettorale anche in casi diversi da quelli dell’articolo 215 del Codice penale.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 2, che con gli emendamenti testé approvati, risulta così concepito:

«Non sono elettori:

1°) gli interdetti e gli inabilitati per infermità di mente;

2°) i commercianti falliti, finché dura lo stato di fallimento, ma non oltre cinque anni dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento;

3°) coloro che sono sottoposti alle misure di polizia del confino o dell’ammonizione, finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi;

4°) coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza detentive o a libertà vigilata, a norma dell’articolo 215 del Codice penale;

5°) i condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici;

6°) coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata;

7°) in ogni caso i condannati per peculato, malversazione a danno di privati, concussione, corruzione, turbata libertà degli incanti, calunnia, falsa testimonianza, falso giuramento, falsa perizia o interpretazione, frode processuale, subornazione, patrocinio o consulenza infedele o altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico, millantato credito del patrocinatore, associazione per delinquere, devastazione e saccheggio, per delitti contro la incolumità pubblica, esclusi i colposi, per falsità in moneta, in carte di pubblico credito e in valori di bollo, falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione, certificazione o riconoscimento, falsità in atti, per delitti contro la libertà sessuale, esclusi quelli preveduti dagli articoli 522 e 526 del Codice penale, per offese al pudore e all’onore sessuale, per delitti contro la integrità e la sanità della stirpe, escluso quello preveduto dall’articolo 553, per il delitto d’incesto, per omicidio, lesioni personali non colpose gravi o gravissime, furto, eccettuati i casi previsti dall’articolo 626, primo comma, del Codice penale, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, per danneggiamento o appropriazione indebita nei casi pei quali si procede d’ufficio, truffa, fraudolenta distruzione della cosa propria e mutilazione fraudolenta della propria persona, circonvenzione di persone incapaci, per usura, frode in emigrazione, ricettazione e bancarotta fraudolenta, per i giuochi d’azzardo; per le contravvenzioni previste dal Titolo VII del testo unico della legge di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e dalle disposizioni del decreto legislativo luogotenenziale 12 ottobre 1944, n. 323;

8°) i condannati, per i reati previsti nel titolo I del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159, sulle sanzioni contro il fascismo e di cui all’articolo 1 del decreto legislativo luogotenenziale 22 aprile 1945, n. 142, nonché i condannati per i reati previsti dal decreto legislativo luogotenenziale 26 aprile 1945, n. 195, sulla punizione dell’attività fascista;

9°) i tenutari dei locali di meretricio;

10°) i concessionari di case da gioco.

«Le disposizioni dei numeri 5, 6, 7 e 8 non si applicano se la sentenza di condanna è stata annullata o dichiarata priva di effetti giuridici, in base a disposizioni legislative di carattere generale, o se il reato è estinto per effetto di amnistia, o se i condannati sono stati riabilitati. Nel caso di amnistia, non può farsi luogo alla iscrizione nelle liste elettorali se non è intervenuta la declaratoria della competente Autorità giudiziaria».

(È approvato).

Passiamo al Titolo II:

DELLE LISTE ELETTORALI

Art. 3.

«Sono iscritti d’ufficio nelle liste elettorali i cittadini che, possedendo i requisiti per essere elettori e non essendo incorsi nella perdita definitiva o temporanea del diritto elettorale attivo, sono compresi nel registro della popolazione stabile del comune.

«Sono iscritti, altresì, coloro i quali compiano il 21° anno di età entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello in cui hanno inizio le operazioni di revisione annuale delle liste e si trovino nelle condizioni di cui al comma precedente».

Lo metto in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 4:

«Le liste elettorali, distinte per uomini e donne, sono compilate in ordine alfabetico, in doppio esemplare ed indicano per ogni elettore:

  1. a) il cognome e nome e, per le donne coniugate o vedove, anche il cognome del marito;
  2. b) la paternità;
  3. c) il luogo e la data di nascita;

c-bis) il titolo di studio;

  1. d) la professione o il mestiere;
  2. e) l’abitazione o, quando l’elettore sia iscritto nelle liste a termini dell’articolo 10, il comune di residenza.

«Esse debbono essere autenticate, mediante sottoscrizione, dal presidente della Commissione elettorale comunale e dal segretario.

«Le liste elettorali sono permanenti. Salvo il disposto degli articoli 24 e 49, le liste non possono essere modificate se non per effetto della revisione annuale, alla quale si procede in conformità delle disposizioni del presente titolo».

All’articolo 4 il Governo ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sostituire la lettera e) con la seguente:

  1. e) l’abitazione e, quando l’elettore sia iscritto nelle liste a termini dell’articolo 10, anche il comune di residenza».

Prego l’onorevole Relatore di volere esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione lo accetta, perché si rende più agevole il recapito del certificato elettorale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento del Governo.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 4 che, nel suo complesso, risulta così formulato:

«Le liste elettorali, distinte per uomini e donne, sono compilate in ordine alfabetico, in doppio esemplare, ed indicano per ogni elettore:

  1. a) il cognome e nome e, per le donne coniugate o vedove, anche il cognome del marito;
  2. b) la paternità;
  3. c) il luogo e la data di nascita;

c-bis) il titolo di studio;

  1. d) la professione o il mestiere;
  2. e) l’abitazione e, quando l’elettore sia iscritto nelle liste a termini dell’articolo 10, anche il comune di residenza.

«Esse debbono essere autenticate, mediante sottoscrizione, dal presidente della Commissione elettorale comunale e dal segretario.

«Le liste elettorali sono permanenti. Salvo il disposto degli articoli 24 e 49, le liste non possono essere modificate se non per effetto della revisione annuale, alla quale si procede in conformità delle disposizioni del presente titolo».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 5:

«Presso ogni comune è istituito lo schedario elettorale, che è formato di una parte principale e di due compartimenti ed è tenuto in ordine alfabetico.

«Nella parte principale sono raccolte le schede degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune: i due compartimenti comprendono rispettivamente le schede di coloro che debbono essere cancellati dalle liste e quelle di coloro che debbono esservi iscritti.

«I due compartimenti dello schedario forniscono gli elementi per la revisione annuale delle liste e per le variazioni periodiche previste dall’articolo 24. Essi devono essere tenuti continuamente aggiornati sulla base delle risultanze dei registri dello stato civile, dell’anagrafe e degli atti e documenti della pubblica autorità inerenti alla capacità elettorale dei cittadini.

«Le schede eliminate dallo schedario elettorale devono essere conservate, previa stampigliatura, nell’archivio comunale per un periodo di cinque anni.

«La Giunta municipale verifica, almeno ogni tre mesi, ed in ogni caso nella prima quindicina di ottobre, la regolare tenuta dello schedario elettorale.

«Con decreto del Ministro per l’interno saranno emanate le norme per l’impianto e la tenuta dello schedario elettorale.

«Le spese per l’impianto dello schedario sono a carico dello Stato».

Chiedo al Governo se accetta il testo della Commissione.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 5.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 6:

«Entro il mese di ottobre di ciascun anno il sindaco, in base ai registri dello stato civile e dell’anagrafe e sulla scorta dello schedario elettorale, provvede alla compilazione di un elenco, in ordine alfabetico, distinto per uomini e donne, di coloro che sono o verranno a trovarsi nelle condizioni di cui all’articolo 3.

«In caso di distruzione totale o parziale o d’irregolare tenuta del registro di popolazione, vi suppliscono le indicazioni fornite dagli atti dello stato civile, dalle liste di leva e dai ruoli matricolari depositati nell’archivio comunale.

«Ove manchino anche tali indicazioni, può farsi ricorso a registri, atti e documenti in possesso di altri enti od uffici».

Il Governo ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Entro il mese di ottobre di ciascun anno il sindaco, in base ai registri dello stato civile e dell’anagrafe e sulla scorta dello schedario elettorale, provvede alla compilazione di un elenco, in ordine alfabetico, distinto per uomini e donne, di coloro che sono o verranno a trovarsi nelle condizioni di cui all’articolo 3 e che risultano compresi nel registro della popolazione stabile del comune alla data del 15 ottobre».

Chiedo il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione lo accetta, perché è necessario stabilire un termine, fissato al 15 ottobre, uguale per tutti i comuni, in modo che le varie Commissioni non prendano date diverse.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento del Governo.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 6 nel suo complesso, con l’emendamento approvato:

«Entro il mese di ottobre di ciascun anno il sindaco, in base ai registri dello stato civile e dell’anagrafe e sulla scorta dello schedario elettorale, provvede alla compilazione di un elenco, in ordine alfabetico, distinto per uomini e donne, di coloro che sono o verranno a trovarsi nelle condizioni di cui all’articolo 3 e che risultano compresi nel registro della popolazione stabile del comune alla data del 15 ottobre.

«In caso di distruzione totale o parziale o d’irregolare tenuta del registro di popolazione, vi suppliscono le indicazioni fornite dagli atti dello stato civile, dalle liste di leva e dai ruoli matricolari depositati nell’archivio comunale.

«Ove manchino anche tali indicazioni, può farsi ricorso a registri, atti e documenti in possesso di altri enti od uffici».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 7:

«Entro il termine previsto dal primo comma dell’articolo precedente, il sindaco trasmette un estratto dell’elenco di cui al medesimo articolo, comprendente i nati nella circoscrizione di ciascun tribunale, al rispettivo ufficio del casellario giudiziale.

«Per coloro che abbiano ottenuto la cittadinanza italiana e per i cittadini italiani nati all’estero, l’estratto dell’elenco è trasmesso all’ufficio del casellario giudiziale presso il tribunale di Roma.

«L’ufficio del casellario, entro il mese di novembre, restituisce al comune l’estratto dell’elenco, previa apposizione dell’annotazione «Nulla» a fianco di ciascun nominativo per il quale non sussista alcuna iscrizione per reati che comportino la perdita della qualità di elettore ed allega, per gli altri nominativi, il certificato delle iscrizioni esistenti, osservato il disposto dell’articolo 609 del Codice di procedura penale».

Il Governo ha presentato i seguenti due emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Entro il termine stabilito dal primo comma dell’articolo precedente, il sindaco trasmette un estratto dell’elenco ivi previsto, comprendente i nati nella circoscrizione di ciascun tribunale, all’ufficio del casellario giudiziale competente. Nell’elenco non sono compresi gli elettori immigrati da altri comuni».

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«L’ufficio del casellario, entro il mese di novembre, restituisce al comune l’estratto dell’elenco, previa apposizione dell’annotazione «Nulla» per ciascun nominativo nei cui confronti non sussista alcuna iscrizione per reati che comportino la perdita della qualità di elettore ed allega, per gli altri nominativi, il certificato delle iscrizioni esistenti, osservato il disposto dell’articolo 609 del Codice di procedura penale».

L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. Domandiamo al Governo un chiarimento: quale è stato il motivo per cui alle parole: «all’ufficio del casellario giudiziario» si è aggiunta la parola: «competente»?

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di parlare.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. È sembrato che la formulazione fosse più precisa. Non esiste una ragione specifica, diversa da questa. È stato soltanto allo scopo di precisare. Si capisce che è il casellario giudiziario che deve avere la possibilità di rilasciare questi certificati.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Il Governo ha anche aggiunto, alla fine del primo comma: «Nell’elenco non sono compresi gli elettori immigrati da altri comuni».

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Questo emendamento avrebbe lo scopo di evitare che l’attestazione del casellario giudiziario venga nuovamente richiesta dagli elettori che si siano trasferiti dal comune. È per non fare due rilasci.

UBERTI, Relatore. Dopo questi chiarimenti, la Commissione accetta i due emendamenti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione i due emendamenti presentati dal Governo.

(Sono approvati).

Pongo in votazione l’articolo 7 così modificato:

«Entro il termine stabilito dal primo comma dell’articolo precedente, il sindaco trasmette un estratto dell’elenco ivi previsto, comprendente i nati nella circoscrizione di ciascun tribunale, all’ufficio del casellario giudiziale competente. Nell’elenco non sono compresi gli elettori immigranti da altri comuni.

«Per coloro che abbiano ottenuto la cittadinanza italiana e per i cittadini italiani nati all’estero, l’estratto dell’elenco è trasmesso all’ufficio del casellario giudiziale presso il tribunale di Roma.

«L’ufficio del casellario, entro il mese di novembre, restituisce al comune l’estratto dell’elenco, previa apposizione dell’annotazione «Nulla» per ciascun nominativo nei cui confronti non sussista alcuna iscrizione per reati che comportino la perdita della qualità di elettore ed allega, per gli altri nominativi, il certificato delle iscrizioni esistenti, osservato il disposto dell’articolo 609 del Codice di procedura penale».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 8:

«Entro il mese di novembre l’autorità provinciale di pubblica sicurezza trasmette alla segreteria del comune l’elenco dei cittadini italiani che si trovino sottoposti alle misure del confino o della ammonizione, nonché l’elenco dei titolari dei locali di meretricio.

«Tale disposizione si applica per coloro che abbiano compiuto il 21° anno di età o lo compiano entro il 30 aprile dell’anno successivo».

Il Governo ha proposto il seguente emendamento sostitutivo dal primo comma:

«Entro il mese di novembre l’autorità provinciale di pubblica sicurezza trasmette al comune l’elenco dei cittadini, che si trovino sottoposti alle misure del confino o della ammonizione, nonché l’elenco dei titolari dei locali di meretricio e dei concessionari di case da giuoco».

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Questa dizione deve essere riveduta in seguito alle modificazioni apportate all’articolo 2. Quindi si dovrà dire: «l’elenco dei tenutari dei locali di meretricio e dei concessionari delle case da giuoco».

PRESIDENTE. Poiché all’articolo 2 si è fatta una distinzione tra le due categorie, sarebbe opportuno dire: «l’elenco dei tenutari dei locali di meretricio e quello dei concessionari di case da giuoco».

UBERTI, Relatore. La Commissione è d’accordo.

PRESIDENTE. L’articolo 8 risulta pertanto così modificato:

«Entro il mese di novembre l’autorità provinciale di pubblica sicurezza trasmette al Comune l’elenco dei cittadini che si trovino sottoposti alle misure del confino o della ammonizione, nonché l’elenco dei tenutari dei locali di meretricio e quello dei concessionari di case da giuoco.

«Tale disposizione si applica per coloro che abbiano compito il 21° anno di età o lo compiano entro il 30 aprile dell’anno successivo».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 9:

«Il primo novembre il sindaco, con avviso da affiggersi all’albo comunale ed in altri luoghi pubblici, invita tutti coloro che siano in possesso dei requisiti per ottenere la iscrizione nelle liste elettorali a farne domanda, entro il giorno 15 dello stesso mese.

«Nella domanda vanno indicati la paternità, il luogo e la data di nascita, la professione e l’abitazione; ad essa devono essere allegati i documenti comprovanti nel richiedente il possesso dei requisiti per essere elettore nel comune. Se il richiedente non ha l’abitazione nel comune, può indicare altresì in quale sezione elettorale intende essere iscritto. Se non è nato nel comune deve allegare il certificato di nascita.

«La domanda è sottoscritta dal richiedente. Nel caso che egli non sappia o non sia in grado di sottoscriverla per fisico impedimento, può fare la domanda in forma verbale, alla presenza di due testimoni, innanzi ad un notaio, o al segretario comunale o ad altro impiegato all’uopo delegato dal sindaco. Dell’atto è rilasciata attestazione al richiedente».

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Poiché all’articolo 4 si è aggiunto il titolo di studio, sarebbe bene aggiungerlo anche qui, dicendo: «la paternità, il titolo di studio, ecc.». Così pure alla «professione» bisognerebbe aggiungere: «mestiere».

PRESIDENTE. Sta bene; il secondo comma risulterebbe allora così modificato:

«Nella domanda vanno indicati la paternità, il luogo e la data di nascita, il titolo di studio, la professione o mestiere e l’abitazione; ad essa devono essere allegati i documenti comprovanti nel richiedente il possesso dei requisiti per essere elettore nel Comune. Se il richiedente non ha l’abitazione nel Comune deve indicare altresì in quale sezione elettorale intenda essere iscritto. Se non è nato nel Comune deve allegare il certificalo di nascita».

Lo metto in votazione.

(È approvato – Si approva l’articolo così modificato).

Passiamo all’articolo 10:

«Chi è iscritto nelle liste elettorali di un Comune può chiedere di rimanervi, nonostante abbia trasferito la propria residenza in altro Comune ed ottenuto la iscrizione nel relativo registro della popolazione stabile. A tal fine, entro 15 giorni dal trasferimento della residenza, invia al sindaco del Comune nelle cui liste intende di mantenere l’iscrizione, apposita domanda della quale il sindaco stesso dà immediata notizia al sindaco dell’altro Comune.

«Chi, pur non avendovi la residenza, intenda essere iscritto nelle liste elettorali del Comune di nascita o del Comune dove ha la sede principale dei propri affari od interessi deve, entro il termine previsto dal primo comma dell’articolo precedente, presentare domanda al sindaco unendovi la dichiarazione del Comune di residenza attestante l’avvenuta rinuncia alla iscrizione nelle liste di quel Comune.

«Alle domande di cui sopra si applica il disposto dell’ultimo comma dell’articolo precedente.

«Le domande ed i documenti annessi devono essere presentati nella segreteria comunale ed il segretario, all’atto della presentazione, ne rilascia ricevuta con l’indicazione dei documenti allegati.

«Per i cittadini di cui al presente articolo ed a quello precedente, non compresi nell’elenco di cui all’articolo 6, il Comune richiede il certificato del casellario giudiziale, a norma dell’articolo 7, entro il 20 novembre. Il casellario provvede al relativo rilascio entro il 10 dicembre».

Il Governo ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente: «Per i cittadini di cui al presente articolo ed a quello precedente, non compresi nell’elenco prescritto dall’articolo 6, il sindaco richiede, entro il 20 novembre, tranne per coloro che siano già elettori, il certificato dell’ufficio del casellario giudiziale, che provvede al rilascio non oltre il 10 dicembre».

Invito l’onorevole Relatore a pronunciarsi al riguardo.

UBERTI, Relatore. La Commissione lo accetta perché è un perfezionamento di forma.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento del Governo.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 10 con questo emendamento.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 11:

«I cittadini emigrati all’estero, purché in possesso dei requisiti di cui all’articolo 1, possono chiedere di essere iscritti nelle liste elettorali o di esservi reiscritti se già cancellati o di conservare la iscrizione se ancora compresi nelle liste, anche quando siano stati cancellati dal registro della popolazione stabile.

«La domanda, da inoltrare per tramite della competente autorità consolare, deve pervenire, entro il 15 novembre, al sindaco del comune di nascita o del comune nelle cui liste il richiedente risultava iscritto all’atto della partenza. Della ricezione della domanda e della decisione della Commissione elettorale mandamentale il comune dà notizia all’interessato per mezzo della predetta autorità.

«Per gli emigrati che domandano la iscrizione o la reiscrizione nelle liste, il comune richiede il certificato del casellario giudiziale entro il termine di cui all’ultimo comma dell’articolo precedente.

«Della qualità di emigrato è fatta apposita annotazione nelle liste generali e sezionali e nello schedario elettorale».

Il Governo ha presentato il seguente emendamento.

«Sostituire il secondo comma col seguente:

La domanda, da inoltrare per tramite della competente autorità consolare, deve pervenire, entro il 15 novembre, al sindaco del comune di nascita o del comune nelle cui liste il richiedente risultava iscritto all’atto della partenza. Della ricezione della domanda il sindaco dà notizia all’interessato, per mezzo della predetta autorità. Per lo stesso tramite notifica all’interessato le decisioni delle Commissioni elettorali comunale e mandamentale».

Chiedo il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione accetta anche questo emendamento, in quanto che si tratta anche qui di un perfezionamento formale consistente nella sostituzione della parola «comune» con quella di «sindaco».

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emenda del Governo.

(È approvato).

Metto in votazione l’articolo 11 con quest’emendamento.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 12:

«Entro il mese di ottobre di ciascun anno il Consiglio comunale elegge, nel proprio seno, una Commissione per la revisione delle liste elettorali. L’elezione non è valida se non interviene la metà del numero dei consiglieri.

«La Commissione è costituita di quattro componenti effettivi e quattro supplenti nei comuni il cui Consiglio ha da 15 a 30 membri, di sei componenti effettivi e sei supplenti in quelli il cui Consiglio ha da 40 a 50 membri, di otto componenti effettivi ed otto supplenti negli altri comuni.

«Nella Commissione deve essere rappresentata la minoranza.

«A tale effetto, per la elezione dei componenti effettivi nei comuni il cui Consiglio non ha più di 30 membri, ciascun consigliere scrive nella propria scheda un nome e sono proclamati eletti coloro che hanno raccolto il maggior numero di voti, purché non inferiore a tre.

«Nei comuni il cui Consiglio ha da 40 a 50 membri, ogni consigliere dispone di quattro voti che può assegnare a quattro candidati diversi ovvero ad un numero inferiore di candidati o concentrarli anche su uno solo. Sono proclamati eletti coloro che hanno raccolto il maggior numero di voti, purché non inferiore ad otto.

«Nei comuni il cui Consiglio ha da 60 ad 80 membri ogni consigliere dispone di sei voti e la elezione si effettua con le modalità di cui al precedente comma. Sono proclamati eletti coloro che hanno raccolto il maggior numero di voti, purché non inferiore a dodici.

«A parità di voti è proclamato eletto l’anziano di età.

«Il sindaco non prende parte alla votazione.

«Con votazione separata e con le stesse modalità, si procede alla elezione dei membri supplenti. Questi prendono parte alle operazioni della Commissione soltanto se mancano i componenti effettivi, e in corrispondenza delle votazioni con le quali gli uni e gli altri sono risultati eletti dal Consiglio comunale.

«La Commissione è presieduta dal sindaco.

«Per la validità delle riunioni della Commissione è richiesto l’intervento della metà più uno dei componenti.

«Le funzioni di segretario della Commissione sono esercitate dal segretario comunale.

«Se il Consiglio comunale, nell’epoca indicata nel primo comma, è sciolto, i componenti eletti per l’anno precedente restano in carica sotto la presidenza del Commissario prefettizio e, avvenuta la nomina del sindaco, sotto la presidenza di questo».

A questo articolo il Governo ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Entro il mese di ottobre di ogni biennio il Consiglio comunale elegge, nel proprio seno, una Commissione per la revisione delle liste elettorali. L’elezione non è valida se non interviene la metà del numero dei consiglieri».

Invito l’onorevole Relatore a pronunciarsi a nome della Commissione.

UBERTI, Relatore. Alla Commissione l’emendamento sembra opportuno, in quanto che si arriva in questo modo ad utilizzare meglio le esperienze già fatte nel primo anno di attività da parte dei membri della Commissione.

COSATTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSATTINI. L’ultima parte del primo comma: «L’elezione non è valida se non interviene la metà del numero dei consiglieri», mi sembra superflua e proporrei di toglierla.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Sembra a prima vista dizione superflua. Ma in realtà non lo è, perché ci sono delle situazioni nelle quali, in caso di seconda convocazione, la seduta può esser valida anche con un minor numero di presenti. La formula rappresenta una garanzia maggiore per tutte le parti politiche. Non vedo che vi sia alcun male a lasciare l’inciso.

PRESIDENTE. Il suo emendamento, onorevole Cosattini, mi sembra che porterebbe a questo: che questa nomina non si potrebbe far altro che in sedute valide di prima convocazione, e non potrebbe mai avvenire in sedute di seconda convocazione.

MICHELI, Presidente della Commissione. Questo non è detto: quindi c’è la necessità di lasciare il testo come proposto.

PRESIDENTE. Non mi sono spiegato bene: io facevo presente all’onorevole Cosattini la portata del suo emendamento

COSATTINI. Ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo si voti l’emendamento del Governo.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 12 con quest’emendamento.

(È approvato).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Desideravo sapere dalla Commissione se c’è qualche articolo che provveda per i cittadini nati all’estero, perché qui si parla con precisione dei cittadini emigrati all’estero; ma il figlio di padre italiano nato all’estero, i cittadini italiani tutti nati all’estero hanno diritto di essere elettori in Italia. Domando se la loro posizione è prevista e regolata in qualche parte del progetto di legge.

UBERTI, Relatore. È considerato emigrato, in quanto figlio di un emigrato.

PRESIDENTE. Senza entrare in merito a questo argomento, che non è attinente a questo articolo ormai approvato, se ella, onorevole Fabbri, volesse presentare degli emendamenti aggiuntivi, ha tutto il tempo a sua disposizione fino all’approvazione totale della legge.

Dobbiamo ora esaminare congiuntamente gli articoli 13 e 14, poiché il Governo ha proposto di fonderli in un solo articolo.

Art. 13.

«Trascorso il termine di cui al primo comma dell’articolo 9 e non oltre il 15 dicembre, la Commissione comunale procede alla formazione, in ordine alfabetico, dei tre elenchi separati per la revisione delle liste, previsti dall’articolo seguente.

«Gli elenchi, in duplice copia, devono essere distinti per uomini e donne».

Art. 14.

«Nel primo elenco la Commissione comunale propone l’iscrizione di coloro i quali risultino in possesso dei requisiti per ottenere l’iscrizione nelle liste elettorali, tanto se siano compresi nell’elenco di cui all’articolo 6, quanto se abbiano presentato domanda a termini degli articoli 9, 10 e 11. Accanto a ciascun nominativo va apposta un’annotazione indicante il titolo ed i documenti per i quali l’iscrizione è proposta, e se per domanda dell’interessato o d’ufficio.

«Nel secondo elenco la Commissione propone la cancellazione di coloro che sono incorsi nelle incapacità di cui ai nn. 3 e 9 dell’articolo 2 e di coloro che hanno rinunziato all’iscrizione nelle liste del comune a norma del secondo comma dell’articolo 10.

«Nel terzo elenco sono segnati i nominativi di coloro le cui domande d’iscrizione non sono state accolte, con l’indicazione a fianco dei motivi del diniego».

L’emendamento proposto dal Governo è il seguente:

Art. 13.

«Fonderlo con l’articolo 14 nel testo seguente:

«Non oltre il 15 dicembre, la Commissione comunale procede alla formazione, in ordine alfabetico, di tre elenchi separati per la revisione delle liste.

«Gli elenchi, in duplice copia, devono essere distinti per uomini e donne.

«Nel primo elenco la Commissione comunale propone l’iscrizione di coloro i quali risultino in possesso dei requisiti per ottenere la iscrizione nelle liste elettorali, tanto se siano compresi nell’elenco di cui all’articolo 6, quanto se abbiano presentato domanda ai termini degli articoli 9, 10 e 11. Accanto a ciascun nominativo va apposta un’annotazione indicante il titolo ed i documenti per i quali l’iscrizione è proposta, e se per domanda dell’interessato o d’ufficio.

«Nel secondo elenco la Commissione propone la cancellazione di coloro che sono incorsi nelle incapacità di cui ai nn. 3 e 9 dell’articolo 2 e di coloro che hanno rinunziato all’iscrizione nelle liste del comune a norma del secondo comma dell’articolo 10.

«Nel terzo elenco sono segnati i nominativi di coloro le cui domande d’iscrizione non sono state accolte, con l’indicazione a fianco dei motivi del diniego».

L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento, perché i termini sono tutti collegati l’uno con l’altro.

PRESIDENTE. Metto in votazione il nuovo articolo 13, che risulta dalla fusione dei due articoli 13 e 14.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 15:

«Di tutte le operazioni compiute dalla Commissione comunale per la revisione delle liste elettorali il segretario redige, su apposito registro, il verbale che è sottoscritto dai membri della Commissione presenti alla seduta e dal segretario. Quando le deliberazioni della Commissione non siano concordi, il verbale deve recare l’indicazione del voto di ciascuno dei componenti e delle ragioni addotte anche dai dissenzienti».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 16:

«Entro il 31 dicembre il sindaco invita, con manifesti da affiggersi all’albo comunale e in altri luoghi pubblici, chiunque intenda proporre ricorsi contro gli elenchi, a presentarli non oltre il 15 gennaio con le modalità di cui al successivo articolo 18.

«Durante questo periodo, un esemplare di ciascuno degli elenchi firmato dal presidente della Commissione comunale e dal segretario, deve rimanere depositato nell’ufficio comunale, insieme con i titoli e documenti relativi a ciascun nominativo e con le liste elettorali dell’anno precedente. Ogni cittadino ha diritto di prenderne visione.

«Il sindaco notifica al prefetto della provincia l’avvenuta affissione del manifesto».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 17:

«La pubblicazione prescritta dall’articolo precedente tiene luogo di notificazione nei confronti di coloro dei quali la Commissione comunale ha proposto l’iscrizione nelle liste elettorali.

«A coloro la cui domanda d’iscrizione non sia stata accolta, o che non siano stati inclusi nel primo elenco di cui all’articolo 14 per essere incorsi in una delle incapacità previste dall’articolo 2, il sindaco notifica per iscritto la decisione della Commissione comunale, indicandone i motivi, non oltre dieci giorni dalla pubblicazione degli elenchi. La decisione della Commissione è notificata anche a coloro dei quali sia stata proposta la cancellazione dalle liste.

«La notificazione è eseguita per mezzo degli agenti comunali, che devono chiedere il rilascio di apposita ricevuta. In mancanza di ricevuta, l’attestazione degli agenti circa l’avvenuta notificazione fa fede fino a prova in contrario».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 18:

«Ogni cittadino, nel termine indicato nell’articolo 16, può ricorrere alla Commissione elettorale mandamentale contro qualsiasi iscrizione, cancellazione, diniego di iscrizione od omissione di cancellazione negli elenchi proposti dalla Commissione comunale.

«I ricorsi possono essere anche presentati nello stesso termine al sindaco che, per mezzo del segretario comunale, ne rilascia ricevuta e li trasmette alla Commissione elettorale mandamentale.

«Il ricorrente che impugna un’iscrizione deve dimostrare di aver fatto eseguire la notificazione del ricorso alla parte interessata, entro i cinque giorni successivi alla presentazione, per mezzo di ufficiale giudiziario di pretura o di usciere dell’ufficio di conciliazione.

«La parte interessata può, entro cinque giorni dall’avvenuta notificazione, presentare un contro-ricorso, eventualmente corredato da documenti, alla stessa Commissione elettorale mandamentale, che ne rilascia ricevuta».

Il Governo ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I ricorsi possono essere anche presentati nello stesso termine al comune, che ne rilascia ricevuta».

Chiedo il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. Accettiamo le nuove proposte del Governo: però la Commissione chiede che rimanga l’ultima frase: «e li trasmette alla Commissione elettorale mandamentale». È una norma implicita, ma la Commissione ritiene opportuno che sia mantenuta esplicitamente per maggiore chiarezza.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Accetto di mantenere questa ultima indicazione.

PRESIDENTE. L’emendamento del Governo viene quindi completato dalle parole: «e li trasmette alla Commissione elettorale mandamentale».

Pongo in votazione l’emendamento nella formula testé letta.

(È approvato).

Il Governo ha presentato inoltre il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, i seguenti commi:

«Per i cittadini emigrati all’estero il ricorso dev’essere presentato, non oltre il trentesimo giorno dalla data della notificazione della decisione della Commissione comunale.

«Se la presentazione del ricorso avviene per mezzo dell’autorità consolare, questa ne cura l’immediato inoltro alla Commissione mandamentale competente».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io confesso di non avere esaminato il tecnicismo del progetto di legge e quindi avevo chiesto una spiegazione alla Commissione. Ma faccio presente che in una seduta quasi plenaria della Costituente fu dibattuta lungamente la questione se i cittadini residenti all’estero potessero addirittura aver diritto di votare all’estero, e solo per ragioni di opportunità fu escluso; ma risultò essere desiderio di tutti, e fu formulato il voto generale del mantenimento di questo collegamento fra i cittadini italiani all’estero e gli organi politici italiani, nel senso che i cittadini tutti, residenti all’estero, potessero recarsi in Italia per esercitare di fatto il loro diritto di voto.

Ora mi pare che questa precisa condizione che l’italiano emigrato all’estero, per essere iscritto nelle liste degli elettori, debba indicare il Comune da dove emigrò, porti alla conseguenza che tutti i nati all’estero – cittadini italiani o perché di padre italiano o per tutti gli altri motivi per cui viene attribuita dalla nostra legge in materia la cittadinanza italiana – non hanno la possibilità di trovare il Comune dove possono presentare questa documentazione per conservare l’elettorato attivo quale manifestazione ed estrinsecazione del loro diritto di cittadini italiani, tuttora permanente.

PRESIDENTE. La discussione a cui ella si riferisce mi sembra che sia avvenuta in tema di diritto elettorale politico, non amministrativo.

FABBRI. Ma questo progetto di legge concerne tutto l’elettorato attivo; assorbe l’uno e l’altro.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. La questione sollevata in sede di discussione della nuova Costituzione, in materia di diritti politici, era un’altra; si trattava di dare a tutti i cittadini italiani all’estero il diritto di voto e che questo voto potesse essere dato all’estero, senza rientrare in patria. Il problema non è stato possibile risolverlo in tali termini. Ora invece la questione fatta dall’onorevole Fabbri è che non solo gli emigrati, ma anche i figli degli emigrati, possano chiedere l’iscrizione nelle liste elettorali del Comune di origine in patria. Mi sembra che la soluzione sia indubbia; solo è necessario che i cittadini emigrati, ed in questi sono compresi anche i figli di emigrati, perché seguono per la legge civile la condizione dei loro padri, facciano una domanda, che si iscrivano, non in una lista all’estero, ma nella lista del paese da cui provengono.

L’onorevole Fabbri vuol esser tranquillo che i figli degli emigrati all’estero abbiano gli stessi diritti dei cittadini italiani nati in Italia. A me sembra evidente, fino a che siano cittadini italiani, che la Costituzione pone solo questo requisito.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà..

FABBRI, Io trovo che il primo articolo della legge è chiarissimo e non sollevo il dubbio che suppone l’onorevole Uberti. Io mi preoccupo che nelle modalità esecutive, per tradurre in atto l’esercizio di questo diritto astratto, si parli sempre del cittadino emigrato all’estero. L’onorevole Uberti completa dicendo che il figlio segue la condizione del padre. Ora io mi chiedo se un figlio o nipote di italiano, residente da anni negli Stati Uniti, può presentare il certificato di emigrazione che si riferisca a suo padre o a suo nonno per essere egli iscritto nelle liste in Italia. L’affermativa è un’opinione personale dell’onorevole Uberti. Il certificato è personale e quindi mi rimetto alla Commissione per il chiarimento più opportuno da introdurre nel progetto di legge.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Qui si tratta solo del problema di come organizzare il voto dell’emigrato all’estero, non si tratta cioè di stabilire se il figlio del cittadino emigrato all’estero è cittadino italiano. Si segue quella che è la legge della cittadinanza italiana e noi non siamo qui in tema di modifica di questa legge.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. La questione che propone l’onorevole Fabbri è importante sotto l’aspetto delle particolari modalità occorrenti, le quali, se non sono specificate chiaramente, possono effettivamente domani portare qualche remora nel raggiungimento di questo diritto particolare. Io, pur essendo d’accordo col Relatore nella tesi esposta, che in fondo il figlio del cittadino italiano nato all’estero è italiano e quindi ha i medesimi diritti, trovo però opportuno per tante ragioni ed anche per la risonanza che può avere una doverosa nostra preoccupazione di facilitare coloro che volessero restare elettori nella patria d’origine, che questo sia chiarito. Quindi io proporrei di sospendere momentaneamente questa parte, ed in sede di coordinamento dei vari articoli che a questa questione si riferiscono, cercheremo di proporre una particolare formulazione la quale tenga presente le argomentazioni dell’onorevole Fabbri, sia pure tenendo ferma la tesi sostenuta dal nostro Relatore.

PRESIDENTE. Ella propone di tenere in sospeso l’approvazione dell’articolo?

MICHELI, Presidente della Commissione. Accordiamoci intanto ad un criterio di riserva, di sospensione, in modo che in sede di coordinamento ci sia il modo di potere accontentare l’onorevole Fabbri con qualche disposizione aggiuntiva che non è bene adesso improvvisare, perché improvvisare in questo caso è evidentemente non opportuno e certo non consigliabile.

Noi nella discussione di domani potremmo avere qualche maggiore elemento. Diamo una occhiata alla situazione magari insieme all’onorevole Fabbri e potremmo presentare, se del caso, un emendamento o fare una dichiarazione che possa consentire alla legge quella interpretazione che sia conforme al principio sostenuto dall’onorevole Fabbri.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Avevo chiesto di parlare prima che parlasse l’onorevole Presidente della Commissione. Avendo egli proposto che su questo punto vi sia una sospensione per modo che il problema sia esaminato, non ho ragione d’insistere. Mi limito ad aderire all’osservazione dell’onorevole Fabbri. In realtà qui c’è una lacuna perché le disposizioni del progetto di legge non prevedono l’ipotesi del cittadino italiano nato e residente all’estero. Questi cittadini, secondo il sistema attuale, non sarebbero iscritti di ufficio perché non hanno la residenza stabile in Italia, né nella legge è indicato a quale Comune essi potrebbero far domanda d’iscrizione. Esiste quindi il problema. Ritengo, perciò, molto opportuna la proposta del Presidente della Commissione di riesaminare la questione in modo da poter formulare proposte concrete.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Siamo all’articolo 18. Qui si parla soltanto dei ricorsi; ma secondo me oltre che tenere sospeso questo comma, – anzi bisognerebbe riordinare tutto l’articolo – occorre tener presente l’articolo 11, perché quella è la sede nella quale si dovrà inserire la richiesta fatta dall’onorevole Fabbri. È nell’articolo 11 che si deve fare l’aggiunta oltre che farla nell’articolo 18 che parla dei ricorsi.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Riterrei opportuno approvare ugualmente l’articolo, salvo studiare una aggiunta, se si rivelasse necessaria.

PRESIDENTE. Allora non occorre prendere in questo momento nessuna deliberazione. La questione si potrà ripresentare e risolvere con norme da coordinarsi con l’articolo 11.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Presidente della Commissione. L’onorevole Relatore dice: «Approvare salvo». Va bene: quando c’è un «salvo» è evidente che c’è una sospensione, una riserva nel testo che si approva. È quindi la medesima cosa. Se l’Assemblea crede di rinviare si avrà maggiore libertà di manovra; diversamente è lo stesso. Noi possiamo approvare colla riserva di poter esaminare la questione alla quale ha dato origine l’osservazione dell’onorevole Fabbri, cui si è associato l’onorevole Perassi, che esso pure ha messo in rilievo la particolare importanza che effettivamente essa può rivestire. Questo lo faremo in modo che prima della chiusura della discussione, la Commissione porti, o d’accordo con gli onorevoli proponenti, un testo il quale consenta l’eventuale riforma dell’articolo 11 e degli altri articoli che a questo hanno riferimento, oppure, se andrà in diversa sentenza, ne esporrà le ragioni ed allora l’Assemblea deciderà.

In questa forma non mi oppongo perché si tratta di un’approvazione condizionata. L’Assemblea stabilisce il riesame della questione.

PRESIDENTE. Il testo si approva così come è, con l’intesa che al momento opportuno si tornerà sulla proposta dell’onorevole Fabbri in base alle proposte della Commissione.

DE MICHELIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE MICHELIS. Si tratta di una precisazione: vale addire, nell’articolo 11 dove si dice: «I cittadini emigrati all’estero», propongo che si aggiunga: «e i loro figli che hanno conservato il diritto di cui all’articolo 1».

PRESIDENTE. L’onorevole Presidente della Commissione ha detto: si approvi l’articolo nella formula attuale, intendendo che questa approvazione non chiude la strada all’inclusione della norma suggerita dall’onorevole Fabbri, anzi dichiarando che la Commissione è la prima a riconoscere la necessità di esaminare la questione.

Onorevole Fabbri, è soddisfatto di questa soluzione?

FABBRI. Io sono soddisfattissimo; ma vorrei precisare che non ho mai dubitato della tesi principale, cui si riferiscono le risposte che mi sono state date.

All’articolo 1 si riconosce il diritto a tutti i cittadini; ma, quando si regola il modo in cui i cittadini possono farsi inscrivere nelle liste elettorali, si stabiliscono tali modalità, per cui i cittadini nati all’estero non hanno nessun modo di inscriversi in nessun Comune o lista.

CALDERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALDERA. Si potrebbe giungere senza altro ad una soluzione dicendo: «i cittadini residenti all’estero»; così superiamo le difficoltà derivanti dalla dizione «nati da genitori italiani residenti all’estero».

La locuzione «emigrati» comporta una valutazione diversa, vale a dire la condizione degli italiani che risiedono fuori del confine. Adoperando la dizione «i cittadini residenti all’estero» superiamo tutte le difficoltà. Vi entrano non solo i genitori, ma anche i figli di coloro, che hanno facoltà di dichiarare che conservano la cittadinanza italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole Caldera propone di risolvere la questione sin da ora, sostituendo alla parola «emigrati» la parola «residenti all’estero».

Il Presidente della Commissione ha facoltà di esprimere il proprio parere.

MICHELI, Presidente della Commissione. La proposta dell’onorevole Caldera è importantissima, più di quello che non risulti dalla parola stessa, inquantoché può avere anche delle interferenze di ben altro genere. Abbiamo già sentito questo accenno in altre discussioni e ne abbiamo anche discusso nella Commissione. Quindi, teoricamente, io accederei alla proposta Caldera, che è semplice e precisa; però, non è scevra di difficoltà. Ad ogni modo anche per questo, rinasce l’opportunità di rinviare l’esame della questione, nel senso detto prima; cioè: approviamo, riservandoci il riesame, nel quale, se del caso, riprenderemo tutti i punti relativi alla questione. Si capisce che, se noi entriamo nel concetto espresso dall’onorevole Caldera, e questo mi pare possa essere, allora cominceremo col proporre l’emendamento dell’articolo 1, poi all’articolo 11 ed agli altri che all’articolo in discussione hanno riferimento. Sarà tutto un lavoro di coordinamento che la Commissione farà. Ma essa in questo momento non si sente di improvvisare, perché l’argomento ha evidenti interferenze la cui importanza ci può momentaneamente anche sfuggire.

Pertanto la Commissione chiede il rinvio alla prossima seduta, alla quale faremo una proposta concreta. Così saremo più sicuri di dettare norme chiare e sicure, come è necessario sempre, ma particolarmente in una materia di questo genere.

PRESIDENTE. Quindi la proposta confermata dall’onorevole Presidente della Commissione è di procedere alla votazione di questo articolo, con la riserva che la Commissione ripresenterà la questione all’Assemblea, in sede di coordinamento.

CALDERA. Nell’occasione prego di togliere quel «Per», con cui inizia il comma; è orribile.

PRESIDENTE. La forma si potrà rivedere in sede di coordinamento, senza bisogno di ricorrere alla revisione da parte di un letterato.

MICHELI, Presidente della Commissione. Basterà che il nostro Presidente la risciacqui in Arno. (Si ride).

PRESIDENTE. Pongo ai voti il secondo emendamento del Governo.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 18 con le modificazioni del Governo e con la riserva illustrata dal Presidente della Commissione:

«Ogni cittadino, nel termine indicato nell’articolo 16, può ricorrere alla Commissione elettorale mandamentale contro qualsiasi iscrizione, cancellazione, diniego di iscrizione od omissione di cancellazione negli elenchi proposti dalla Commissione comunale.

«I ricorsi possono essere anche presentati nello stesso termine al Comune, che ne rilascia ricevuta.

«Il ricorrente che impugna un’iscrizione deve dimostrare di aver fatto eseguire la notificazione del ricorso alla parte interessata, entro i cinque giorni successivi alla presentazione, per mezzo di ufficiale giudiziario di pretura o di usciere dell’ufficio di conciliazione.

«La parte interessata può, entro cinque giorni dall’avvenuta notificazione, presentare un contro-ricorso, eventualmente corredato da documenti, alla stessa Commissione elettorale mandamentale, che ne rilascia ricevuta.

«Per i cittadini emigrati all’estero il ricorso dev’essere presentato, non oltre il trentesimo giorno dalla detta notificazione della decisione della Commissione comunale.

«Se la presentazione del ricorso avviene per mezzo dell’autorità consolare, questa ne cura l’immediato inoltro alla Commissione mandamentale competente.

(È approvato)

Passiamo all’articolo 19:

«In ogni comune capoluogo di mandamento giudiziario è istituita una Commissione elettorale mandamentale, presieduta dal presidente del tribunale, nelle sedi ove esista, o dal pretore nelle altre sedi e composta di quattro commissari, di cui uno nominato dal prefetto e tre dalla Deputazione provinciale. Il commissario di nomina prefettizia è scelto tra i dipendenti dello Stato di gruppo A o, in mancanza, di gruppo B, in attività di servizio o a riposo; nel capoluogo della Provincia la nomina è fatta tra i funzionari di prefettura di grado non inferiore all’VIII.

«I commissari, la cui nomina spetta alla Deputazione provinciale, sono scelti fra gli elettori dei comuni del mandamento estranei all’amministrazione dei comuni medesimi, sempreché abbiano adempiuto almeno all’obbligo dell’istruzione elementare e non siano dipendenti civili o militari dello Stato, né dipendenti della provincia, dei comuni e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza in attività di servizio.

«La Deputazione provinciale nomina, altresì, tre commissari supplenti, che sostituiscono quelli effettivi in caso di assenza o di legittimo impedimento.

«Qualora la circoscrizione di un mandamento giudiziario comprenda comuni di più provincie, i prefetti delle provincie interessate possono determinare, con propri decreti, la competenza territoriale delle Commissioni elettorali in maniera che essa sia esercitata nell’ambito di una sola provincia.

«Analogamente i prefetti, quando la situazione dei luoghi lo consigli, hanno facoltà di determinare, con proprio decreto, la competenza territoriale della Commissione elettorale mandamentale in difformità della circoscrizione giudiziaria.

«I provvedimenti di cui ai due comma precedenti son adottati d’intesa con i primi presidenti delle Corti d’appello competenti per territorio.

«Nei mandamenti che abbiano una popolazione superiore ai 50.000 abitanti possono essere costituite Sottocommissioni elettorali in proporzione di una per ogni 50.000 abitanti o frazione di 50.000. Possono essere egualmente costituite ove esistano sezioni di pretura. Le Sottocommissioni sono presiedute da magistrati in attività di servizio, a riposo od onorari, nominati dal presidente del tribunale, ed hanno la stessa composizione prevista per la Commissione elettorale mandamentale. Il presidente della Commissione mandamentale ripartisce i compiti fra questa e le Sottocommissioni e ne coordina e vigila l’attività.

«I componenti della Commissione e della Sottocommissione, ad eccezione dei rispettivi presidenti, durano in carica due anni e non possono essere confermati nel biennio successivo.

«Ai componenti delle Commissioni e Sottocommissioni elettorali mandamentali è concessa, oltre il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, una medaglia di presenza nella stessa misura determinata dalle disposizioni in vigore per i componenti delle Commissioni costituite presso le amministrazioni dello Stato».

Questo articolo ha dato luogo alla proposta del Governo di ripartirlo in tre articoli, il 19, il 19-bis, il 19-ter, di cui do lettura.

Art. 19.

«In ogni comune capoluogo di mandamento giudiziario è costituita entro il mese di ottobre di ciascun biennio, con decreto del Primo Presidente della Corte d’Appello, una Commissione elettorale mandamentale, presieduta dal Presidente del Tribunale, nelle sedi ove esista, o dal pretore nelle altre sedi e composta di quattro membri di cui uno designato dal prefetto e tre dal Consiglio provinciale. Il componente designato dal prefetto è scelto tra i dipendenti dello Stato di gruppo A o, in mancanza, di gruppo B, in attività di servizio o a riposo; nel capoluogo della provincia la nomina è fatta tra i funzionari di Prefettura di grado non inferiore all’VIII.

«I componenti, la cui designazione spetta al Consiglio provinciale, sono scelti fra gli elettori dei comuni del mandamento estranei all’amministrazione dei comuni medesimi, sempreché abbiano adempiuto almeno all’obbligo dell’istruzione elementare, e non siano dipendenti civili o militari dello Stato, né dipendenti della provincia, dei comuni, e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza in attività di servizio.

«Il Consiglio provinciale designa, altresì, tre componenti supplenti, che sostituiscono quelli effettivi in caso di assenza o di legittimo impedimento.

«I componenti della Commissione, ad eccezione dei rispettivi presidenti, durano in carica due anni e possono essere confermati nel biennio successivo.

«1 componenti delle Commissioni che, senza, giustificato motivo, non prendano parte a tre sedute consecutive, sono dichiarati decaduti. Il Primo Presidente della Corte d’Appello provvede alla loro sostituzione, promuovendo le necessarie designazioni dagli organi competenti.

«Ai componenti delle Commissioni elettorali mandamentali è concessa, oltre il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, una medaglia di presenza nella stessa misura determinata dalle disposizioni in vigore per i componenti delle Commissioni costituite presso le Amministrazioni dello Stato».

Art. 19-bis.

«Nei mandamenti che abbiano una popolazione superiore ai 50.000 abitanti possono essere costituite, su proposta del presidente della Commissione mandamentale, Sottocommissioni elettorali in proporzione di una per ogni 50.000 abitanti o frazione di 50.000. Le Sottocommissioni sono presiedute da magistrati in attività di servizio, a riposo od onorari ed hanno la stessa composizione prevista per la Commissione elettorale mandamentale. Il presidente della Commissione mandamentale ripartisce i compiti fra questa e le Sottocommissioni e ne coordina e vigila l’attività.

«Per la costituzione ed il funzionamento delle Sottocommissioni e per il trattamento economico spettante ai singoli componenti si applicano le disposizioni dell’articolo precedente.

Art. 19-ter.

«Qualora la circoscrizione di un mandamento giudiziario comprenda comuni di più provincie, il Primo Presidente della Corte d’Appello può determinare, con proprio decreto, la competenza territoriale delle Commissioni elettorali in maniera che essa sia esercitata nell’ambito di una sola Provincia.

«Analogamente il Primo Presidente della Corte d’Appello, quando la situazione dei luoghi lo consigli, ha facoltà di determinare, con proprio decreto, la competenza territoriale della Commissione elettorale mandamentale in difformità della circoscrizione giudiziaria».

Come gli onorevoli colleghi avranno potuto constatare, oltre a questa diversa distribuzione della materia, si propongono anche delle modificazioni, ma più di forma che di sostanza.

Chiedo il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione approva la suddivisione in tre articoli perché si tratta di tre argomenti diversi; ma prega il Governo di voler mantenere un punto del testo della Commissione, laddove si dice nel primo capoverso: «possono essere ugualmente istituiti ove esistono sezioni di Pretura». Poiché si tratta solo di una facoltà e poiché ci può essere qualche caso rarissimo in cui ci siano tali distanze per cui sia opportuno dividere la Commissione mandamentale in due fissando le sedi ove siano sezioni di Pretura, la Commissione ritiene che tale possibilità possa essere mantenuta. Riconosco che v’è la difficoltà estrema della scarsezza nel numero dei magistrati. Ma in qualche caso eccezionale potrebbe essere superata. Vorremmo pertanto pregare il Governo di accettare il punto di vista della Commissione.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA. Sottosegretario di Stato all’interno. Il Governo si rimette alla decisione dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Allora l’articolo 19-bis sarebbe integrato da questa aggiunta, dopo il primo periodo del primo comma:

«Possono essere ugualmente costituite ove esistano sezioni di Pretura».

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Nel primo comma è prevista la presidenza della Commissione da parte del presidente del Tribunale.

UBERTI, Relatore. No! Da parte di un Presidente della Corte di Appello!

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo! L’articolo 19, così come era stato presentato dal Governo, è stato successivamente tripartito!

CAROLEO. Circa la presidenza delle Commissioni date a Presidenti di Tribunali e di Corti d’Appello, praticamente può essere opportuno aggiungere: «O da un consigliere delegato o da un giudice delegato», perché molto spesso le Commissioni non potranno funzionare per impedimento dei Presidenti di Tribunali o delle Corti d’Appello. È un suggerimento di indole pratica.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Caroleo, ma il Primo Presidente, quando lo ritenga opportuno, può delegare un giudice, anche se non vi sia nessuna esplicita dichiarazione di legge in proposito.

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. A mio parere ha ragione il Presidente quando osserva che il Presidente del Tribunale, senza che la legge lo dica espressamente, può delegare un giudice. Vi è, per esempio, la legge attualmente in vigore per l’assegnazione delle terre incolte, la quale prevede una Commissione presieduta dal Presidente del Tribunale, che ha la facoltà di delegare un giudice.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Una cosa è la legge per l’assegnazione delle terre incolte, ed altra cosa è la legge elettorale, in cui i poteri conferiti ad un titolare di Corte d’Appello o ad un titolare di Tribunale, sono poteri conferiti in via esclusiva. D’altra parte, se la Commissione chiarisce nel senso indicato dall’onorevole Veroni, io non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 19, testé letto.

(È approvato).

Pongo ora in votazione l’articolo 19-bis, con l’aggiunta testé letta: «possono essere ugualmente costituite ove esistano sezioni di Pretura».

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 19-ter sul quale non è stata fatta nessuna obiezione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 20:

«La Commissione elettorale mandamentale e le Sottocommissioni compiono le proprie operazioni con l’intervento del presidente e di almeno due commissari.

«Le decisioni sono adottate a maggioranza di voti; in caso di parità prevale il voto del presidente.

«Il segretario del Comune capoluogo del mandamento giudiziario od altro funzionario di ruolo del Comune designato dal sindaco, esercita le funzioni di segretario della Commissione elettorale mandamentale; le funzioni di segretario delle Sottocommissioni sono esercitate da impiegati del Comune, designati dal sindaco.

«Di tutte le operazioni il segretario redige processi verbali che sono sottoscritti da lui e da ciascuno dei membri presente alle sedute.

«Le decisioni devono essere motivate; quando esse non siano concordi, nel verbale deve essere indicato il voto di ciascuno dei commissari e le ragioni addotte anche dai dissenzienti.

«Copia dei verbali è trasmessa, entro il termine di giorni cinque, al prefetto ed al procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente per territorio».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 21.

«Decorso il termine di cui all’articolo 16, e non più tardi del 25 gennaio, il sindaco deve trasmettere al presidente della Commissione elettorale mandamentale:

1°) i tre elenchi di cui all’articolo 14 corredati di tutti i documenti relativi;

2°) i reclami presentati contro detti elenchi, con tutti i documenti che vi si riferiscono;

3°) i verbali delle operazioni e deliberazioni della Commissione comunale.

«L’altro esemplare degli elenchi suddetti rimane conservato nella segreteria del Comune.

«Il presidente della Commissione elettorale mandamentale invia ricevuta degli atti al sindaco, entro tre giorni dalla data della loro ricezione, della quale viene presa nota in apposito registro firmato in ciascun foglio dal presidente della Commissione.

«Qualora il comune non provveda all’invio degli atti nel termine prescritto, il presidente della Commissione elettorale mandamentale ne dà immediato avviso al prefetto, agli effetti dell’articolo 40».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 22:

«La Commissione elettorale mandamentale:

1°) esamina le operazioni compiute dalla Commissione comunale e decide sui ricorsi presentati contro di esse;

2°) cancella dagli elenchi formati dalla Commissione comunale i cittadini indebitamente proposti per l’iscrizione o per la cancellazione, anche quando non vi sia reclamo;

3°) decide sulle nuove domande d’iscrizione o di cancellazione che possono esserle pervenute direttamente.

«La Commissione, prima di iscrivere, su domanda o di ufficio, coloro che da nuovi documenti risultino in possesso dei requisiti necessari, deve sempre richiedere il certificato del casellario giudiziale.

«La Commissione si raduna entro i dieci giorni successivi a quello nel quale ha ricevuto gli atti».

Il Governo ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere in fine, il seguente comma:

«I ricorsi presentati, a termini dell’ultimo comma dell’articolo 18, dai cittadini emigrati all’estero sono decisi dalla Commissione elettorale mandamentale nella prima riunione dopo la loro ricezione e le conseguenti eventuali variazioni alle liste elettorali sono effettuate in occasione delle operazioni previste dall’articolo 24».

Chiedo il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione accetta.

COSATTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSATTINI. In questo articolo 22 si dà facoltà alla Commissione mandamentale di rivedere totalmente le operazioni compiute dalla Commissione comunale, perché al numero 2° si stabilisce che la Commissione elettorale mandamentale «cancella dagli elenchi formati dalla Commissione comunale i cittadini indebitamente proposti per l’iscrizione o per la cancellazione, anche quando non vi sia reclamo. Ora, questa funzione data alla Commissione mandamentale, è meramente platonica, perché non è concepibile che le Commissioni mandamentali abbiano il tempo, la capacità e la possibilità di poter rivedere l’operato di tutte le Commissioni comunali.

Quindi a me pare che sarebbe sufficiente riservare alla Commissione mandamentale di decidere sui reclami, sulle contestazioni che si sollevano, altrimenti in questo modo si attribuirà a queste Commissioni un compito che non potranno mai praticamente svolgere.

PRESIDENTE. Questo suo concetto sarebbe già espresso nel numerò 1. Quindi ella propone di sopprimere il numero 2.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. La Commissione non può accettare l’emendamento dell’onorevole Cosattini, perché sarebbe una grave limitazione alla Commissione mandamentale, di dovere cioè agire soltanto in base ai ricorsi e non avere un diritto di intervento diretto. È una garanzia maggiore per tutti che la Commissione abbia la facoltà di agire anche di propria iniziativa.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Mi associo alle ragioni espresse dall’onorevole Relatore.

PRESIDENTE. Onorevole Cosattini, insiste?

COSATTINI. Se la Commissione non accetta, non insisto.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento del Governo.

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 22, con questo emendamento.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 23:

«Entro il 31 marzo la Commissione elettorale mandamentale deve avere provveduto all’approvazione degli elenchi ed alle relative variazioni da effettuare sull’esemplare delle liste generali depositate presso la Commissione stessa. Nel medesimo termine gli elenchi devono essere restituiti al Comune insieme con tutti i documenti. Il segretario comunale ne invia immediatamente ricevuta al presidente della Commissione.

«Nei quindici giorni successivi la Commissione comunale, con l’assistenza del segretario, apporta, in conformità degli elenchi approvati, le conseguenti variazioni alle liste generali, aggiungendo i nomi compresi nell’elenco dei nuovi elettori iscritti ed eliminando i nomi di quelli compresi nell’elenco dei cancellati.

«Delle rettificazioni eseguite, il segretario comunale redige verbale che, firmato dal presidente della Commissione elettorale comunale e dal segretario, è immediatamente trasmesso al prefetto, al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente per territorio ed al presidente della Commissione elettorale mandamentale.

«Entro lo stesso termine di cui al secondo comma, le decisioni della Commissione elettorale mandamentale sono, a cura del sindaco, notificate agli interessati con le modalità di cui all’ultimo comma dell’articolo 17.

«Le liste rettificate, insieme con gli elenchi approvati, debbono rimanere depositate nella segreteria comunale dal 15 al 30 aprile, ed ogni cittadino ha diritto di prenderne visione. Dell’avvenuto deposito il sindaco dà pubblico avviso».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 24:

«Alle liste elettorali, rettificate in conformità dei precedenti articoli, non possono apportarsi, sino alla revisione dell’anno successivo, altre variazioni se non in conseguenza:

1°) della morte dell’elettore;

2°) della perdita della cittadinanza italiana.

Le circostanze di cui al presente ed al precedente numero debbono risultare da documento autentico;

3°) della perdita del diritto elettorale, che risulti da sentenza passata in giudicato o da altro provvedimento definitivo dell’autorità giudiziaria, nonché dalle sentenze di cui all’articolo 46, primo comma. A tale scopo, il cancelliere che provvede alla compilazione delle schede per il casellario giudiziale ai sensi degli articoli 9 e 11 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 778, e dei nn. 6 e 11 del decreto ministeriale 6 ottobre 1931, deve inviare notizia della sentenza o del provvedimento al comune del luogo dove è stata pronunciata la sentenza od emanato il provvedimento. Se la persona alla quale si riferisce la sentenza od il provvedimento non risulti domiciliata in detto comune, il sindaco trasmette la comunicazione della cancelleria giudiziaria al comune di residenza, da accertare a mezzo degli organi di pubblica sicurezza;

4°) del trasferimento della residenza. Gli elettori che hanno perduto la residenza nel comune sono cancellati dalle relative liste, in base al certificato dell’ufficio anagrafico attestante l’avvenuta cancellazione dal registro di popolazione, se non hanno espressamente dichiarato, con le modalità stabilite dal primo comma dell’articolo 10, di volervi rimanere iscritti. Gli elettori che hanno acquistato la residenza nel comune, sono iscritti nelle relative liste, in base alla dichiarazione del sindaco del comune di provenienza, attestante l’avvenuta cancellazione da quelle liste. La dichiarazione è richiesta d’ufficio dal comune di nuova iscrizione anagrafica.

«Le variazioni alle liste sono apportate, con l’assistenza del segretario, dalla Commissione elettorale comunale che vi allega copia dei suindicati documenti; le stesse variazioni sono apportate alle liste di sezione. Copia del verbale relativo a tali operazioni è trasmessa al prefetto, al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente per territorio ed al presidente della Commissione elettorale mandamentale.

«La Commissione elettorale mandamentale apporta le variazioni risultanti dagli anzidetti verbali nelle liste generali e nelle liste di sezione depositate presso di essa ed ha la facoltà di richiedere gli atti al comune.

«Alle operazioni previste dal presente articolo la Commissione comunale è tenuta a provvedere almeno ogni tre mesi a decorrere dalla data in cui le liste sono state rettificate in conseguenza della revisione annuale, ma, in ogni caso, non oltre la data di pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali per le variazioni di cui al n. 4 e non oltre il quindicesimo giorno anteriore alla data delle elezioni, per le altre.

 «Le deliberazioni della Commissione comunale relative alle variazioni di cui ai nn. 2 e 4 devono essere notificate agli interessati con le modalità di cui all’articolo 17, ultimo comma; avverso lo deliberazioni predette è ammesso ricorso alla Commissione elettorale mandamentale nel termine di dieci giorni dalla data della notificazione.

«La Commissione mandamentale decide sui ricorsi nel termine di 15 giorni dalla loro ricezione e dispone le conseguenti eventuali variazioni. Le decisioni sono notificate agli interessati, a cura del sindaco, con le stesse modalità di cui al comma precedente».

Il Governo ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, sostituire il n. 3°) col seguente:

3°) della perdita del diritto elettorale, che risulti da sentenza passata in giudicato o da altro provvedimento definitivo dell’autorità giudiziaria, nonché dalle sentenze di cui all’articolo 46, primo comma. A tale scopo, il cancelliere che provvede alla compilazione delle schede per il casellario giudiziale ai sensi degli articoli 9 e 11 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 778, e dei nn. 6 e 11 del decreto ministeriale 6 ottobre 1931, deve inviare notizia della sentenza o del provvedimento al comune di residenza dell’interessato o, ove il luogo di residenza non sia conosciuto, a quello di nascita. Se la persona alla quale si riferisce la sentenza od il provvedimento non risulti iscritta nelle liste elettorali del comune al quale è stata comunicata la notizia, il sindaco, previ eventuali accertamenti per mezzo degli organi di pubblica sicurezza, la partecipa al comune nelle cui liste l’elettore è compreso».

«Sostituire il quarto e il quinto comma con i seguenti:

«Alle operazioni previste dal presente articolo la Commissione comunale è tenuta a provvedere almeno ogni tre mesi e, in ogni caso, non oltre la data di pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali per le variazioni di cui ai nn. 2, 3 e 4, e non oltre il quindicesimo giorno anteriore alla data delle elezioni, per le variazioni di cui al n. 1.

«Le deliberazioni della Commissione comunale relative alle variazioni di cui ai nn. 2, 3 e 4 devono essere notificate agli interessati entro dieci giorni: avverso le deliberazioni predette è ammesso ricorso alla Commissione elettorale mandamentale nel termine di dieci giorni dalla data della notificazione».

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Per i cittadini emigrati all’estero si osservano le disposizioni degli articoli 11, 18 e 22».

Invito l’onorevole Relatore ad esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione accetta questa ultima aggiunta proposta dal Governo, come pure quell’altra al quarto e all’ultimo comma riguardante gli emigrati all’estero. Per la prima aggiunta al numero 3 si tratta di sollecitare la notificazione delle sentenze penali incaricandone l’organo all’uopo deputato: il cancelliere. È un perfezionamento tecnico che la Commissiono accetta volentieri.

Quanto al concetto di fissare una data per bloccare le liste (primo comma dell’art. 24) è certamente anche questo opportuno, perché bisogna arrivare ad un momento in cui le liste sono quelle che sono e non possano più essere modificate. Dare una certezza alle liste.

PRESIDENTE. Pongo ai voti gli emendamenti del Governo.

(Sono approvati).

Pongo in votazione l’articolo 24 con questi emendamenti.

(È approvato).

Passiamo al

Titolo III.

Della ripartizione dei comuni in sezioni elettorali e della compilazione delle liste di sezione.

Art. 25.

«Ogni comune è diviso in sezioni elettorali.

«La divisione in sezioni è fatta indistintamente per elettori di sesso maschile e femminile ed in guisa che in ogni sezione il numero di elettori non sia di regola superiore a 800 né inferiore a 100 iscritti.

«Quando particolari condizioni di lontananza o di viabilità rendano difficile l’esercizio del diritto elettorale, si possono costituire sezioni con un numero minore di 100 iscritti, ma non inferiore a 50».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 26:

«Entro il 31 dicembre di ciascun anno la Commissione elettorale comunale provvede, con un’unica deliberazione, alla revisione della ripartizione del comune in sezioni elettorali, della circoscrizione delle sezioni e del luogo di riunione di ciascuna di esse e dell’assegnazione degli elettori alle singole sezioni, nonché alla compilazione della lista degli elettori per ogni nuova sezione e alla revisione delle liste per le sezioni già esistenti».

Il Governo ha proposto di sostituirlo col seguente:

«Entro il 31 dicembre di ciascun anno la Commissione elettorale comunale provvede, con un’unica deliberazione, alla revisione della ripartizione del comune in sezioni elettorali, della circoscrizione delle sezioni e del luogo di riunione di ciascuna di esse e dell’assegnazione degli elettori alle singole sezioni, nonché alla revisione delle liste per le sezioni già esistenti ed alla compilazione delle liste degli elettori per ogni nuova sezione».

Il Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. Si tratta solamente di una inversione nelle disposizioni, rispondente maggiormente al procedimento logico dell’operazione, che è quindi accettabile.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 26 del testo proposto dal Governo.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 27:

«L’elettore è assegnato alla sezione nella cui circoscrizione ha, secondo l’indicazione della lista generale, la propria abitazione. È data tuttavia facoltà alla Commissione elettorale mandamentale di autorizzare, nei comuni aventi popolazione agglomerata inferiore a 10.000 abitanti e che non siano capoluoghi di provincia, che l’assegnazione sia effettuata secondo l’ordine alfabetico delle liste elettorali.

«Gli elettori che non hanno l’abitazione nel comune e che non hanno presentato la dichiarazione di cui al secondo comma dell’articolo 9, sono ripartiti nelle singole sezioni secondo l’ordine alfabetico, salvo che il numero degli elettori richieda l’istituzione di apposite sezioni.

«L’elettore che trasferisce la propria abitazione nella circoscrizione di altra sezione del comune deve essere compreso nella lista degli elettori di quest’ultima. La domanda, sottoscritta dall’elettore, deve essere presentata alla Commissione comunale entro il 15 novembre. La Commissione apporta le occorrenti variazioni allegando la domanda al verbale della relativa deliberazione.

«Se il trasferimento di abitazione è stato regolarmente notificato all’anagrafe entro il 31 ottobre, la variazione è fatta d’ufficio dalla Commissione.

«Il segretario comunale apporta le necessarie variazioni allo schedario elettorale».

A questo testo il Governo ha proposto i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo e il secondo comma con i seguenti:

«L’elettore è assegnato alla sezione nella cui circoscrizione ha, secondo l’indicazione della lista generale, la propria abitazione. È data tuttavia facoltà alla Commissione elettorale mandamentale di autorizzare, nei comuni aventi popolazione agglomerata inferiore a 10.000 abitanti, che l’assegnazione sia effettuata secondo l’ordine alfabetico delle liste elettorali.

«Gli elettori che, non avendo l’abitazione nel comune, abbiano omesso di indicare, a termine dell’articolo 9, comma secondo, la sezione alla quale intendono essere iscritti e gli elettori emigrati all’estero, sono ripartiti nelle singole liste di sezione secondo l’ordine alfabetico, salvo che, per la loro entità numerica, si renda necessaria la istituzione di apposite sezioni».

«Sostituire il quarto comma col seguente:

«Se il trasferimento di abitazione è stato regolarmente notificato all’anagrafe entro il 15 ottobre, la variazione è fatta d’ufficio dalla Commissione».

L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. La Commissione accetta gli emendamenti.

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. Non crede la Commissione che all’articolo 27 si debba tener conto di quella riserva fatta all’articolo 11?.

PRESIDENTE. È pacifico che della riserva beneficiano tutte queste disposizioni.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io domando alla Commissione se ha esaminato questo criterio dell’assegnazione secondo l’ordine alfabetico, perché credo che potrebbe creare una confusione nelle sezioni fra i cittadini provenienti da tutte le parti della città, che renderebbe più difficile il funzionamento delle sezioni stesse.

Potrebbe darsi che una sezione fosse composta tutta di individui che non sono dimoranti nella località. Mi pare che questo sia un criterio illogico.

Che ci possa essere una deviazione dal criterio strettamente territoriale per i comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti sta bene, ma sostituirvi, sia pure per i comuni inferiori ai 10.000 abitanti, l’altro criterio dell’ordine alfabetico mi pare non sia opportuno.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. È solamente per i comuni che hanno meno di 10.000 abitanti che è stato disposto di valersi del metodo alfabetico. Per gli altri invece si segue il criterio dell’abitazione. È quindi nei grossi centri che il problema sollevato dal collega ha ragion d’essere e quindi la sua preoccupazione è già risolta dal testo dell’articolo.

CEVOLOTTO. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo ai voti gli emendamenti del Governo.

(È approvato).

Metto in votazione l’articolo 27 con questi emendamenti.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 28:

«Le liste di sezione devono essere compilate distintamente per sesso, in triplice esemplare, e contenere due colonne rispettivamente per le firme di identificazione degli elettori e per le firme di riscontro per l’accertamento dei votanti; le liste vanno sottoscritte dai componenti della Commissione comunale e dal segretario e devono recare il bollo dell’ufficio comunale.

«Gli elettori emigrati all’estero, di cui all’articolo 11, sono ripartiti nelle liste di sezione per ordine alfabetico ed iscritti in fogli susseguenti a quelli in cui sono compresi gli altri elettori».

A questo articolo il Governo ha proposto di sopprimere il secondo comma. Invito l’onorevole Relatore a pronunciarsi su questo emendamento soppressivo.

UBERTI, Relatore. La Commissione accetta la soppressione del comma perché si tratta di materia che è stata regolata in altro articolo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento soppressivo proposto dal Governo.

(È approvato).

Metto allora in votazione l’articolo 28 così modificato.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 29:

«Possono avere sede nello stesso fabbricato sino a quattro sezioni; ma l’accesso dalla strada alla sala deve condurre solo a due sezioni e non più di due sezioni possono avere l’accesso dalla medesima strada.

«Tuttavia, per comprovate necessità, i comuni possono essere, caso per caso, autorizzati dal prefetto a riunire nello stesso fabbricato un numero di sezioni superiore a quattro, ma mai maggiore di dodici, ed a prescindere dalle limitazioni, previste dal comma precedente, circa il numero di sezioni che possono avere il medesimo accesso o l’accesso dalla medesima strada, purché, in ogni caso, un medesimo accesso dalla strada alla sala non serva più di sei sezioni.

«Quando, per sopravvenute gravi circostanze, sorga la necessità di variare i luoghi di riunione degli elettori, la Commissione comunale deve farne proposta alla Commissione elettorale mandamentale non oltre il decimo giorno antecedente alla data di convocazione degli elettori, informando contemporaneamente il prefetto. La Commissione mandamentale, premesse le indagini che reputi necessarie, provvede inappellabilmente in via di urgenza e non più tardi del quinto giorno antecedente alla data predetta.

«Qualora la variazione sia approvata, il presidente della Commissione mandamentale ne dà immediato avviso al prefetto e al sindaco, il quale deve portarla a conoscenza del pubblico con manifesto da affiggersi due giorni prima del giorno delle elezioni».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

La seduta termina alle 12.10.

MERCOLEDÌ 10 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXIII.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 10 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Commemorazioni:

Presidente

Cevolotto

Castelli Avolio

Persico

Cianca

Rodi

Crispo

Corbi

Targetti

Sforza, Ministro degli affari esteri

Chiostergi

Cifaldi

Congedi:

Presidente

Messaggio del Presidente del Praesidium del Soviet Supremo:

Presidente

Per le dimissioni presentate dall’onorevole Orlando:

Presidente

Per la pubblicazione dei resoconti stenografici dell’Assemblea:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Codacci Pisanelli

Crispo

Preziosi

Per la discussione di una mozione e di una interpellanza:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Nenni

Presidente

Cevolotto

Capua

Fuschini

Togliatti

Risposta ad una interrogazione:

Faralli

Cappa, Ministro della marina mercantile

Presidente

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Commemorazioni.

PRESIDENTE. Non ancora si è spenta in quest’Aula l’eco delle parole con cui ieri si era espresso il comune profondo commosso cordoglio dell’Assemblea per la morte improvvisa di due nostri valenti colleghi, che una nuova notizia di lutto ci sorprende e ci rattrista.

Stamane, alle prime luci, lontano dalla famiglia, dalla sua città natale e da quella di elezione, lontano dall’Italia, a Losanna, è morto l’onorevole Carlo Bassano, per subita crisi di angina pectoris. Lo aveva recato laggiù quel mai raffrenato amore di pace fra i popoli che, in vita, lo spingeva sempre a volgersi con simpatia verso ogni iniziativa che facesse appello ai sensi di fraternità spirituale e di solidarietà fra gli uomini. Egli aveva voluto infatti rendersi conto di persona del valore e degli intendimenti del Convegno che in questi giorni raggruppa a Gstaad rappresentanti delle varie correnti del federalismo europeo. Forse la fatica del viaggio aprì più facile il varco al malore letale; certo la fibra, già così robusta, accusava da qualche tempo le conseguenze delle fatiche e delle profonde emozioni che l’onorevole Bassano aveva lietamente incontrate nella sua tenace opposizione al fascismo e nella lotta coraggiosa che aveva condotto contro l’oppressione tedesca.

Tutti coloro che qui, in Roma, sono stati in quel tempo attivi sul fronte della liberazione possono dirci di lui ben più di quanto occorra per celebrarlo fra i più degni di onoranza e di ricordo. E meritatamente, fino dal primo tempo del riscatto di Roma dalla occupazione nemica, fu chiamato a posti di alta responsabilità nel Governo e nella pubblica amministrazione.

Deputato all’Assemblea Costituente per il collegio di Aquila, noi abbiamo udito frequentemente la sua serena voce pacata parlarci con dottrina dei nostri problemi costituzionali. Ma questa voce si levò invece fremente ed appassionata quando la ratifica delle condizioni di pace propose recentemente all’Assemblea un compito di tragica ma irrinunciabile responsabilità.

Così, tra l’affetto per le più larghe masse del nostro popolo e la dedizione alla Patria, Carlo Bassano è trascorso, recandoci al di sopra del lungo abisso della nostra rovina nazionale un vivido insegnamento di tenace fedeltà agli alti ideali cui si era consacrato. (Segni di generale consenso).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. La commozione per la perdita improvvisa, inaspettata, dell’amico fraterno mi impedisce di commemorato degnamente. Ma io voglio ricordare qui quest’uomo buono, pacato, tranquillo, affabile, cortese con tutti, ma che, proprio per questi suoi caratteri, pochi conoscevano, se non ne avevano la consuetudine di lunghi anni, nella fermezza delle sue idee, nella dedizione completa al suo ideale.

Giovanissimo, nato da una famiglia ricca di censo e di nobile prosapia, Egli si era iscritto a militare in quei partiti radicale e della democrazia sociale che allora rappresentavano le correnti estremiste; e parve quasi in quell’ambiente un reprobo.

Ed egli fin da allora tenacemente sostenne le sue idee, perché la sua mente lo portava ad una visione democratica della vita sociale italiana. E quando, dopo la guerra, alla quale partecipò sebbene un difetto della vista gli avrebbe permesso di non entrare nella battaglia, venne il fascismo, Carlo Bassano, con la stessa tranquillità con cui aveva aderito alle idee democratiche, mantenne fermo il suo punto, non si iscrisse né a sindacati né al partito; e, quando poté e come poté, sempre manifestò la sua fede antifascista con coraggio sereno.

Quando venne il momento della cospirazione, quando i tedeschi occuparono Roma, quando cominciarono le segrete adunanze dei comitati antifascisti, la casa di Carlo Bassano fu il punto di ritrovo di tutti questi comitati. Quando non si sapeva dove riunirci, dove andiamo? ci si chiedeva: andiamo da Bassano. Bassano accoglieva tutti con quella semplicità che gli era propria. Una volta erano radunati tre comitati in casa di Bassano con tale manifesta imprudenza che non so come non ne siano venuti tristi effetti. Vennero i repubblichini a domandare dove era Carlo Bassano; furono fatti sparire immediatamente i segni delle adunanze e ci nascondemmo come potemmo. Fortunatamente la polizia non insistette e se ne andò, altrimenti avrebbe fatto una retata clamorosa.

Poi, quando vennero i nazisti a cercarlo, perché troppo imprudente era questo suo contegno, per un favore del destino egli non era in casa e poté essere avvertito; e si allontanò allora e continuò la sua azione con la stessa tranquillità coraggiosa, con la stessa calma imperturbabile, come se nulla fosse successo, con un coraggio tanto aperto e spontaneo che non parve nemmeno coraggio e che pochi conobbero o riconobbero. Perciò, quando venne la liberazione, non sembrò a nessuno illogico che Bassano, avvocato di valore, che esercitava con fortuna presso la Cassazione civile, fosse chiamato al Sottosegretariato del Ministero della giustizia e poi al Sottosegretariato per la marina e poi ancora alla carica di prefetto di Roma, che egli tenne con una equanimità, con una imparzialità, con una tolleranza, ma allo stesso tempo con un vigore di azione, che gli valsero il rispetto e la considerazione di tutti.

Egli non aveva nemici; aveva forse degli avversari; aveva amici dappertutto, perché tutti sapevano quanto era buono, quanto era onesto.

Noi lo abbiamo avuto compagno, lo abbiamo avuto segretario generale del nostro partito e lo abbiamo apprezzato perché in tutto, nei consensi e nei dissensi, che egli manteneva sempre in una linea aderente alla disciplina di partito, era così leale, così aperto, così sincero, che non poteva non cattivarsi l’amicizia di chi lo avvicinava e anche di chi lo contrastava.

Oggi, noi, purtroppo, qui lo commemoriamo; e resta in noi soltanto, col grande dolore, il rammarico per la sua scomparsa, e resta una cara memoria che ci servirà di esempio, di monito e di sprone nelle battaglie di domani. (Applausi).

CASTELLI AVOLIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTELLI AVOLIO. A nome del Gruppo parlamentare della Democrazia cristiana, quale deputato del collegio d’Abruzzo e a nome mio personale, mi associo alle nobili parole pronunziate dall’onorevole Presidente dell’Assemblea e dall’onorevole Cevolotto per esprimere il cordoglio di noi tutti per l’immatura morte dell’onorevole Carlo Bassano.

Carlo Bassano ha sempre portato, in tutte le manifestazioni della sua vita operosa, nella esplicazione della sua attività professionale – egli era valente avvocato – nelle stesse lotte politiche da lui sostenute, quell’equilibrio e quella obiettività che gli provenivano dal suo sentimento profondamente e sinceramente democratico, disposato ad una innata, squisita signorilità.

Queste doti del suo carattere, del suo animo, unite ad un ingegno non comune, gli permisero di servire fedelmente e, aggiungo, utilmente il Paese e, nello stesso tempo, le idee politiche che egli professava, dapprima, come ha ricordato testé l’onorevole Cevolotto, quale Sottosegretario di Stato per la giustizia nel primo Gabinetto Bonomi, poi quale Sottosegretario per la marina nel secondo Gabinetto dello stesso onorevole Bonomi, poi quale prefetto di Roma in un periodo veramente difficile e, infine, quale segretario generale del Partito democratico del lavoro.

Non è questo il momento, onorevoli colleghi, di soffermarci sull’opera compiuta da Carlo Bassano. In quest’ora, in cui noi tutti siamo pervasi da mestizia profonda per la dipartita del collega, avvenuta in terra lontana, fuori dei confini d’Italia, nell’esplicazione di un’attività che strettamente si ricongiunge al mandato parlamentare, giungano alla sua Famiglia, così duramente provata, l’espressione del nostro cordoglio e i sentimenti della solidarietà che noi prendiamo al suo grande dolore. (Applausi).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi! Non mi riesce possibile, in questo momento, commemorare Carlo Bassano. A suo tempo dovremo fare una degna commemorazione di questo nostro collega. Oggi il mio animo è percosso da un’angoscia indicibile: è un amico fraterno che sparisce, un amico buono, leale, intelligente.

Egli aveva una sua cifra: la lealtà e la signorilità. Profondamente democratico, e non in contradizione con la nobiltà del suo lignaggio, egli ha sempre difeso la causa della libertà. Nelle ore oscure si è esposto in prima linea, senza temere i pericoli. Venuta la sua ora, ha assunto responsabilità di Governo con coscienza e dignità; ha tenuto alti uffici facendo valere, per il valore della sua persona, la carica che ricopriva.

Entrato in quest’Aula, ha portato sempre la sua serena parola, efficace, suadente, precisa, dimostrando doti non comuni di uomo di Governo e di parlamentare illustre.

Egli lascia in noi un ricordo incancellabile ed imperituro.

Vadano alla sua memoria il reverente cordoglio e il commosso saluto della nostra Assemblea. (Applausi).

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Mi associo con sincero dolore alla commemorazione del collega Carlo Bassano. Ricordo di aver conosciuto Carlo Bassano negli anni della lontana comune giovinezza nel suo Abruzzo nativo. Fui poi sempre legato a lui da un sentimento di sincera amicizia, perché in lui riconobbi ed apprezzai un combattente fedele e strenuo della causa antifascista, un uomo il quale nascondeva, sotto la sua gentilezza quel coraggio fermo che è stato poc’anzi ricordato dal collega Cevolotto.

Il Presidente ha giustamente detto che Carlo Bassano è morto sul campo del dovere. Inchiniamoci alla memoria di Carlo Bassano perché Egli ci lascia non soltanto un vivo ricordo ma anche un nobilissimo esempio. (Applausi).

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. A nome del Gruppo parlamentare qualunquista, mi associo alla manifestazione di cordoglio per la scomparsa dell’onorevole Carlo Bastano. Sono stato dolorosamente colpito dalla notizia, anche perché l’onorevole Bassano, uomo affabilissimo, mi aveva onorato della sua amicizia e, nei corridoi di Montecitorio, mi aveva parlato a lungo dei doveri del cittadino italiano.

Io desidero, per maggiormente onorare la sua memoria, promettere a me stesso di seguire i suoi consigli e i suoi insegnamenti. (Applausi).

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Il Gruppo liberale si associa alla rievocazione di Carlo Bassano, ed a me rincresce vivamente di non poterne parlare come converrebbe ne parlassi, perché purtroppo non ebbi la ventura di alcuna consuetudine con lui. Intendo, non di meno, ricordare il tratto che più mi colpì nei brevi, rapidi conversari che ebbi con lui: la nota della sua signorilità: che non voleva essere già l’espressione di una sdegnosa individualità aristocratica, ma che era piuttosto come il riflesso di una squisita spiritualità che si effondeva in sorrisi di indulgenza e in espressioni di bontà.

E questo ricordo che è vivo in me mi piace ora di rievocare come il miglior tributo che si possa rendere alla memoria di Carlo Bassano. (Applausi).

CORBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBI. Mi riesce difficile e doloroso il dover parlare commemorando il collega Bassano, per due ragioni: in primo luogo, perché ad esso io era legato da vincoli di sincera, profonda amicizia; in secondo luogo, perché io e tutti gli altri colleghi che qui hanno l’onore di rappresentare la mia regione, l’Abruzzo, contavamo sul collega Bassano come su un uomo il quale, per il suo passato, per le sue doti d’ingegno, per la sua squisita sensibilità fatta di umanità vissuta e sofferta, era un uomo il quale alla nostra regione avrebbe potuto dare, e certamente avrebbe dato, ancora la parte migliore di se stesso, tutte le sue energie. Era un uomo, in altri termini, sul quale l’Abruzzo poteva contare per poter più facilmente ricostruire le proprie città, i propri villaggi, per avviare le sue popolazioni ad una vita più degna di essere vissuta.

Con Carlo Bassano è scomparsa una delle più belle figure che questa Aula abbia conosciuto; ed è certo che con Carlo Bassano è scomparso uno degli uomini più stimati e più cari a tutti gli abruzzesi sinceramente devoti alla libertà e alla causa della democrazia. (Applausi).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Poiché la parola del nostro Presidente, come quella, dei colleghi che lo hanno seguito, ha fatto rivivere l’onorevole Bassano quale egli fu, senza che occorresse, per rendergli onore, innalzarne o abbellirne la figura, perché egli fu quale è stato rievocato, noi socialisti ci associamo sinceramente al lutto per la sua dipartita.

Egli non militava certamente fra noi; ma noi lo abbiamo sentito a noi molto vicino. Si sapeva che egli aveva operato fervidamente, lottato, rischiato, per la riconquista della libertà, che è pregiudiziale alla conquista di qualsiasi altro bene politico o sociale. Egli era un signore, nel pensiero, nel sentimento, nei modi; egli sapeva unire alla fermezza e alla fierezza del carattere, alla sincerità e alla tenacia delle proprie idee, la tolleranza verso idee opposte. Nei contrasti che, per quanto buon volere si metta per evitare ogni asprezza, nei nostri contrasti che fatalmente in alcune ore possono, e forse debbono, essere aspri, egli ci ha insegnato come si possa sempre accompagnare alla fierezza del combattente la lealtà, la cortesia. (Vivi applausi).

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Il Governo si associa alle parole nobilissime pronunciate dall’onorevole Presidente e da altri colleghi, di ogni parte di questa Assemblea sul lutto che ci ha colpiti con la perdita subitanea del collega Carlo Bassano. E poiché il caso vuole che nell’attuale Gabinetto vi sono taluni che furono intimi di Carlo Bassano prima del fascismo, durante la bufera fascista e dopo, mi sia permesso, a nome di questi amici di Carlo Bassano, dire, echeggiando un’espressione che taluni oratori hanno tracciata, che il carattere essenziale di Carlo Bassano fu una specie di nativo pudico orgoglio che lo obbligava ad essere modestissimo. E se Carlo Bassano ebbe come uomo politico un difetto, fu di essere eccessivamente modesto, fu di non pretender mai niente. Ma da questo difetto coloro che lo conobbero traggono ragione per venerarne ed averne cara più che mai la memoria. (Applausi).

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Col cuore angosciato, più che con le parole, io mi associo alla commemorazione di Carlo Bassano. L’ho conosciuto poco, ma l’ho conosciuto abbastanza per ricordarlo come uno degli uomini migliori che io abbia incontrato tornando in Italia. La sua amicizia è stata per me un onore e un incitamento; sarà per l’avvenire l’indicazione della via che noi tutti dobbiamo seguire: servire il Paese, servire la libertà prima di ogni altra cosa! (Applausi).

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Onorevoli colleghi, mi sia consentito, dopo la commemorazione del nostro caro ed illustre collega onorevole Carlo Bassano, di ricordare in quest’Aula Aldobrando Medici Tornaquinci, il quale, se non ebbe l’onore di far parte di questa Assemblea, fu tuttavia consultore nazionale e fu anche Sottosegretario di Stato per le terre invase, in quel Ministero che ebbe a titolare l’onorevole Scoccimarro.

Egli, Aldobrando Medici Tornaquinci, ha lasciato, in coloro che lo conobbero, un ricordo durevole e un insegnamento profondo. E non è senza, viva emozione che si può parlare di lui, oggi, dappoiché la sorte ha voluto che egli morisse ad appena trentanove anni, quando più forte era la vigoria della sua esistenza, quando tanti doveri ancora egli doveva compiere verso la sua famiglia e verso la sua fede.

Egli, morto di tifo quando centinaia di volte aveva guardato la morte negli occhi, con quei suoi occhi freddi e calmi che incutevano un certo rispetto anche ai suoi più cari amici; egli che la morte ha affrontato in mille rischi – perché Medici Tornaquinci fu il capo di quelle organizzazioni liberali partigiane di Firenze e combatté con fermissimo cuore e con grande audacia per conquistare e ridare la libertà al nostro Paese – e che contribuì non poco col suo coraggio e con la sua azione a creare quell’insieme di ricordi, di eroismi, di valori che rappresentano, con la gloria partigiana, uno dei pilastri della nuova storia d’Italia, uno dei ricordi più gloriosi di questo Risorgimento.

Quando, per questi meriti, andò al Governo e fu Sottosegretario per le terre invase, fu autore e protagonista d’una gesta memorabile, d’un avvenimento veramente degno di essere ricordato, perché volle, dalla parte già liberata d’Italia, portare il saluto alla parte ancora occupata dai nazi-fascisti: volle, con due compagni coraggiosi, farsi calare col paracadute oltre la linea gotica, e da lì, con raro ardimento e con fermissimo sangue freddo, prendere contatto coi componenti del Comitato di liberazione Alta Italia. Ebbe anche l’audacia e – lasciatemi dire la parola – l’eroismo di parlare alle maestranze della Fiat, e poté sfuggire appena all’inseguimento delle guardie nazi-fasciste, che seppero della di lui presenza e del di lui discorso, quando questo stava per finire.

Imperterrito, continuò la sua missione e la sua dimostrazione di eroismo e di coraggio, perché parlò ancora alle maestranze di alcuni stabilimenti di Milano e poté sfuggire alla tenaglia che lo stringeva con rischio mortale solo per miracolo, tornando sereno e tranquillo come se quello che aveva compiuto fosse la più normale delle azioni.

Egli con quell’episodio diede un insegnamento assai importante a coloro i quali ci impedirono di poterci armare sufficientemente, a coloro che non consentirono che le nostre possibilità di ripresa fossero sviluppate e potenziate, in modo da dare al nostro Paese un titolo maggiore per poterci proclamare liberi ed indipendenti, principalmente per merito nostro.

Alla memoria di Medici Tornaquinci, il quale si è visto sempre contrastato nel suo animo fra l’affetto fortissimo per la famiglia (lascia sette figli e la sposa) ed il sentimento patrio; alla memoria di Medici Tornaquinci vada il ricordo di questa Assemblea, e, mi si consenta, nasca dalla sua tomba, nasca dalla sua memoria un insegnamento ed un ammonimento per tutti quelli che vogliono servire il Paese senza personale ambizione, ma con sentimento di dedizione al bene comune. (Applausi).

PRESIDENTE. Fin dal primo momento, in cui era pervenuta alla Presidenza la notizia della morte di Aldobrando Medici Tornaquinci, a nome dell’Assemblea mi ero affrettato a far pervenire alla famiglia l’espressione del nostro cordoglio.

Oggi nuovamente mi associo a nome dell’Assemblea alle espressioni di cordoglio e di onoranza che l’onorevole Cifaldi ha voluto pronunciare.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Il Governo si associa alle parole di lutto così nobilmente pronunciate dall’onorevole Cifaldi e dà atto al Paese e alla famiglia che in Medici Tornaquinci la Consulta Nazionale ebbe uno dei suoi membri più attivi e più intelligenti e che il Paese ha perduto, con la sua scomparsa, un cittadino da cui molto potevamo aspettarci. (Applausi).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati La Malfa e Ceso.

(Sono concessi).

Messaggio del Presidente del Praesidium del Soviet Supremo.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea di aver ricevuto dal Presidente del Praesidium del Soviet Supremo il seguente telegramma:

Al Presidente dell’Assemblea Costituente d’Italia

Roma

«Caro Presidente,

ringrazio l’Assemblea Costituente d’Italia e Lei personalmente per il cortese saluto contenuto nel messaggio consegnato alla delegazione delle donne democratiche italiane, che io ho ricevuto con piacere durante la loro permanenza nell’U.R.S.S.

«Condivido pienamente la Sua opinione circa la grande importanza dello scambio di delegazioni per rafforzare la conoscenza reciproca fra i nostri Paesi e, in particolare, delle delegazioni delle donne democratiche d’Italia e delle donne dell’U.R.S.S., che hanno stabilito nuovi legami di simpatia fra i nostri Paesi.

«Quanto ai rilievi, contenuti nella Sua lettera, come nel precedente messaggio, circa la preoccupazione per le conseguenze che l’applicazione delle clausole del Trattato può determinare sulla pacifica e feconda ricostruzione democratica dell’Italia, devo dire che non posso completamente concordare con una tale valutazione del Trattato di pace. Il Trattato di pace rappresenta di per sé, a nostro avviso, un serio apporto allo stabilirsi di una pacifica collaborazione fra i Paesi europei, a prescindere dagli errori che vi si trovano, e che furono a suo tempo oggetto di obiezioni anche da parte dell’unione Sovietica.

«La prego, signor Presidente, di trasmettere all’Assemblea Costituente d’Italia e di gradire personalmente il saluto del Praesidium del Soviet Supremo dell’U.R.S.S. e mio personale.

«Con sincera considerazione

«Scvernik».

Per le dimissioni presentate dall’onorevole Vittorio Emanuele Orlando.

PRESIDENTE. Dopo la sospensione dei nostri lavori a fine del luglio ultimo scorso avevo ricevuto dall’onorevole Orlando una lettera con cui egli – ritenendo cessata, con l’approvazione della legge di ratifica del Trattato di pace, la ragione della sua partecipazione alla vita politica – mi presentava le dimissioni da deputato. L’atto non mi colse di sorpresa. Infatti, in occasione della discussione sulla ratifica delle condizioni di pace, l’onorevole Orlando aveva dichiarato (e tutti lo avevano udito) che il discorso, che egli allora teneva, sarebbe stato l’ultimo della sua vita parlamentare, preannunciando così il passo che, infatti, subito dopo effettuò.

È saggia e deferente norma del nostro Parlamento che, dinanzi ad atti di dimissione, il Presidente opportunamente rivolga invito al deputato di recedere dalla risoluzione o quanto meno di riconsiderarla prima ch’essa divenga definitiva, in tal modo da non deludere gli elettori che lo avevano a ragion veduta investito del mandato e da non privare il Parlamento del suo contributo di pensiero e di volontà.

Data la personalità dell’onorevole Orlando ho avvertito il bisogno, prima di rivolgergli tale preghiera, di essere confortato nel mio passo dal prezioso consiglio dell’Ufficio di Presidenza; e questo, infatti, pure apprezzando gli alti motivi ideali che avevano indotto l’onorevole Orlando a presentare le sue dimissioni, ha ritenuto unanimemente – sicuro di interpretare il sentimento di tutti i deputati – che la partecipazione dell’illustre decano della nostra Camera alla vita parlamentare italiana sia più che mai preziosa ed indispensabile nell’attuale momento e mi ha incaricato di chiedere all’onorevole Orlando di recedere dalla sua determinazione.

L’onorevole Orlando, con alto senso di civismo e con comprensione commossa dei motivi che gli addussi a convincerlo, ha pertanto accettato di ritirare la sua lettera di dimissioni. (Vivissimi, generali, prolungati applausi).

Di tutto ciò do con particolare soddisfazione notizia all’Assemblea. (Vivissimi, generali applausi).

Per la pubblicazione dei resoconti stenografici dell’Assemblea.

PRESIDENTE. E stato rilevato, e non solo dall’Ufficio di Presidenza, ma anche dagli onorevoli colleghi, un ritardo abbastanza notevole nella pubblicazione dei resoconti stenografici dell’Assemblea. Ma occorre dire che una delle ragioni principali di questo ritardo è costituito dal ritardo col quale gli onorevoli colleghi procedono alla correzione delle bozze nella sala adibita a questo scopo. E necessario, evidentemente, che la pubblicazione riprenda il suo ritmo normale.

Desidero ricordare ai colleghi che essi possono procedere a loro volta alla correzione delle bozze stenografiche nel termine di tre giorni da quello nel quale hanno pronunciato i loro discorsi, compreso in questo termine il giorno in cui il discorso è pronunciato. E volevo anche rammentare, ad evitare piccoli screzi coi funzionari addetti all’ufficio, che le bozze stenografiche non devono essere assolutamente asportate dalla sala di correzione.

D’ora innanzi mi sono permesso disporre che la pubblicazione dei resoconti stenografici avvenga anche se la correzione delle bozze non sia stata eseguita nel termine stabilito. Ciò porterà come conseguenza forse qualche amarezza. Per evitarla prego i colleghi di voler osservare il termine che è stato fissato.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Secondo l’intesa che è stata fra noi raggiunta ieri, dobbiamo ora iniziare la discussione generale sui primi tre Titoli della Parte seconda, che saranno discussi congiuntamente per la connessione della materia. Gli iscritti a parlare, dei quali avevamo raccolto in precedenza i nomi, separatamente, Titolo per Titolo, sono stati naturalmente raggruppati in un unico elenco che è stato affisso stamani negli ambulacri dell’Aula.

E pertanto do la parola al primo iscritto, che è l’onorevole Codacci Pisanelli, il quale ha preso il posto dell’onorevole Riccio, che a sua volta parlerà al turno già spettante all’onorevole Codacci.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Codacci Pisanelli.

CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi! Secondo gli accordi assunti ieri, abbiamo stabilito di occuparci in maniera organica e sintetica dei primi tre Titoli della seconda Parte del progetto di Costituzione, e precisamente del Parlamento, del Capo dello Stato, del Governo.

Per quanto riguarda questi tre Titoli, prego i colleghi di non meravigliarsi se, pur essendo uno dei membri della Commissione dei Settantacinque, assumerò un atteggiamento critico, specialmente per quanto riguarda la formazione della seconda Camera, in quanto che, proprio su questo punto, fu presa da noi posizione netta e benché la maggioranza sia stata favorevole alla redazione dell’attuale progetto, tuttavia noi rimaniamo fermi alla tesi già da noi sostenuta nei lavori per la redazione del progetto.

Ma, per procedere con ordine, ritengo opportuno, essendo il primo ad occuparmi della questione, riassumere brevemente il sistema accolto nel progetto e accennare agli argomenti più controversi in seno alla Commissione dei Settantacinque.

Per quanto riguarda il Parlamento, questione fondamentale fu quella se le Assemblee legislative dovessero essere una o due. Si trovarono di fronte, in altri termini, anche nella nostra Assemblea Costituente, i due principî che già si erano trovati di fronte in altre Assemblee Costituenti, e fu ampiamente dibattuta la questione se si dovesse accedere al monocameralismo od al bicameralismo.

La votazione, seguita al dibattito, portò all’approvazione del sistema bicamerale. È interessante, però, rilevare che, accettato in linea di principio il sistema bicamerale, successivi espedienti, come la formazione della seconda Camera in maniera quasi analoga alla prima, hanno fatto rientrare dalla finestra il monocameralismo clamorosamente cacciato dalla porta. Questa è la ragione per cui noi intendiamo riprendere il nostro primitivo progetto: intendiamo, cioè, che il sistema bicamerale venga integralmente applicato.

Per quanto riguarda la prima delle due Assemblee legislative non vi è stata particolare difficoltà ad intendersi. Stabilito il principio del suffragio universale integrato dalla rappresentanza proporzionale, e dopo aver accennato ai vari requisiti che si richiedevano, sia per l’elettorato attivo che per l’elettorato passivo, si è concluso per una Camera dei deputati non dissimile dalle ultime forme assunte da essa nel sistema parlamentare italiano. A differenza, però, da quanto avveniva nella nostra precedente Costituzione, il Progetto prevede, almeno formalmente, una completa parità tra le due Assemblee.

Mentre in passato, dal fatto che le leggi tributarie dovevano essere presentate prima alla Camera dei deputati e successivamente al Senato, mentre dalla consuetudine, secondo cui la seconda Camera doveva tenere un atteggiamento di remissività nei confronti della prima, poteva desumersi una certa supremazia della prima Camera nei confronti della seconda, il Progetto attuale tende a introdurre una parità, almeno formale, fra le due Assemblee, anche se praticamente essa non può trovare completa applicazione.

Per quanto riguarda, viceversa, la formazione della seconda Camera, i dissidî sono stati gravi nella Commissione dei Settantacinque. Il Progetto prevede che la seconda Camera venga formata, per due terzi, dall’elezione che viene attribuita ad un corpo elettorale ristretto, in quanto si richiede una età superiore a quella prevista per far parte del corpo elettorale che deve dare luogo alla prima Camera, e per un terzo dall’elezione dei vari Consigli regionali. Nell’un caso e nell’altro si hanno elezioni, nell’un caso e nell’altro si dà la possibilità di far rispecchiare nella seconda Camera, in maniera quasi identica, le stesse tendenze che hanno dato luogo alla formazione della prima. Ecco perché, come sostenevo in precedenza, in questa maniera, essendo le due Assemblee praticamente formate nello stesso modo, si finisce col respingere il principio del bicameralismo, perché quando alla formale distinzione delle due Assemblee non corrisponde una sostanziale distinzione, in quanto vengono formate in maniera quasi identica, è meglio riconoscere che, nonostante le contrarie dichiarazioni verbali, si accoglie in sostanza il sistema unicamerale.

Si aggiunga che, per gli atti di principale importanza, come la votazione della fiducia al Governo, l’elezione del Capo dello Stato e la dichiarazione di guerra, le deliberazioni vengono prese dalle due Camere riunite nell’Assemblea Nazionale, cioè praticamente da un’Assemblea unica.

È da ritenere che non si possa giungere a queste conclusioni, che peccano di incoerenza, in quanto, dopo aver affermato il principio del bicameralismo, non è logico attribuire ad una Assemblea unica tutti gli atti di principale importanza, non è logico fare in maniera che l’identica formazione delle due Camere ci riporti al monocameralismo.

Ed altri rilievi sono da fare, in relazione alle diverse categorie di coloro che sono eleggibili alla seconda Camera. In particolare, ha destato impressione nel Paese il fatto che, fra i decorati al valore, siano stati scelti soltanto coloro che hanno ottenuto decorazioni nella guerra di liberazione. Questo non sembra giusto, perché anche coloro i quali nel 1915-18 ottennero decorazioni, che non si ottenevano certo con maggiore facilità di quelle ottenute successivamente, dovrebbero essere ammessi fra gli eleggibili alla seconda Camera.

D’altra parte, l’essersi limitati al principio elettivo può portare a taluni inconvenienti non lievi, in quanto, specialmente per coloro i quali si trovano in determinate posizioni, il desiderio di popolarità può essere davvero pericoloso. Si pensi ai militari, ai magistrati, i quali vogliano crearsi un’aureola di popolarità per essere poi eletti nella seconda Camera, e si consideri se persone, mosse da simili preoccupazioni, possano effettivamente compiere, con la dovuta obiettività, il loro dovere.

Questa è una delle critiche più comuni che vengono mosse alle categorie, così come sono elencate nel progetto. Ma il nostro punto di vista è ben diverso. Mi limito per ora a criticare, anche perché tra noi si è visto come ancora le idee non siano chiare e come ci si riprometta dalla discussione, che mi auguro molto feconda, un risultato che porti alla chiarificazione delle posizioni, che porti ad esaminare a fondo il problema e a risolverlo in maniera corrispondente alle nostre aspirazioni.

Il principio affermato in relazione alla seconda Camera dalla scuola sociale cristiana, e da noi ripreso ed affermato nella Commissione dei Settantacinque, è quello che sostiene la necessità di formare la seconda Assemblea legislativa in base al criterio della rappresentanza delle categorie e degli interessi.

Ed è singolare che, mentre noi riuscimmo ad ottenere una deliberazione di principio in tal senso nella Commissione dei Settantacinque, viceversa l’affermazione di principio da noi ottenuta fu, ancora una volta, successivamente abbandonata e si venne ad una conclusione che non è certo rispondente alla deliberazione approvata dalla Commissione stessa.

Sosteniamo la necessità della formazione della seconda Camera in base alla rappresentanza di categoria. Lo sosteniamo nell’interesse dei lavoratori, perché siamo convinti che l’elezione sia, senza dubbio, il migliore fra i mezzi per scegliere i rappresentanti del popolo, ma siamo ugualmente convinti che non sia un sistema perfetto.

Ha anch’esso i suoi difetti, che è bene vengano corretti e integrati da un diverso modo di formazione della seconda Camera.

Si dirà: ma anche per la formazione della seconda Camera come rappresentanza di categoria, voi, in fondo, vi basate sopra il sistema elettorale. Diverso sarebbe in ogni modo il corpo elettorale, perché verrebbero chiamati ad eleggere, a scegliere, solo coloro i quali si trovano in determinate condizioni dal punto di vista professionale, solo coloro i quali abbiano un determinato status professionale.

D’altra parte, siccome non escludiamo che, oltre a coloro i quali siano stati eletti, vi siano alcuni i quali, per l’ufficio che rivestono, entrino a far parte della seconda Camera, ne viene come conseguenza che si giunge a costituire tale Assemblea in maniera completamente diversa da quella seguita per la formazione della prima Camera.

Spiego meglio quest’ultimo concetto: oltre a coloro i quali entrerebbero, secondo il nostro progetto, a far parte della seconda Camera, perché eletti dagli appartenenti alle diverse categorie, vi dovrebbero essere anche altri, i quali, in relazione all’ufficio rivestito, dovrebbero entrare automaticamente a far parte della seconda Assemblea.

E ciò allo scopo di eliminare quell’inconveniente a cui accennavo, l’inconveniente che deriverebbe, per esempio, dal fatto prima ricordato di magistrati, di ammiragli e di generali in cerca di popolarità. Per dare a questa seconda Camera quel carattere di maggiore riflessione che in fondo è fra le più pregiate caratteristiche della seconda Assemblea nei vari sistemi bicamerali, è necessario che di essa facciano parte anche coloro i quali possono portare il prezioso contributo della loro lunga esperienza e quindi possono giovare soprattutto alla formazione di leggi di carattere tecnico, relative a particolari rami della pubblica amministrazione.

Occorre, senza dubbio, distinguere le diverse categorie e bisogna fronteggiare le difficoltà iniziali, derivanti dal fatto che la nostra organizzazione sindacale lascia ancora molto a desiderare: lascia a desiderare perché l’anagrafe sindacale non è ancora costituita, e quindi non sarebbe facile giungere alla formazione di un corpo elettorale sicuro, senza possibilità di irregolarità nelle elezioni. Ma queste difficoltà, che sono soltanto di carattere temporaneo e che saranno eliminate da una migliore organizzazione nei prossimi anni, potrebbero essere superate facendo in maniera che, per quanto riguarda la prima formazione della seconda Camera, si seguissero sistemi diversi, non esclusi quelli proposti dal nostro progetto, non escluso il ricorso ai Consigli comunali, di cui altri parlerà nelle prossime sedute.

Ma quello che a noi interessa affermare è il principio che, se effettivamente vogliamo giungere ad una seconda Camera diversa dalla prima, se effettivamente vogliamo mantenere il principio del bicameralismo, l’unica via è quella di costituire una seconda Assemblea legislativa basata sopra la rappresentanza di categorie e di interessi.

Quanto agli argomenti addotti in favore del bicameralismo, possiamo ricordare, non ultimo, quello delle statistiche relative ai diversi Stati, ai diversi sistemi parlamentari moderni, dalle quali si desume la prevalenza del sistema bicamerale. E se è necessario che gli ordinamenti si adeguino ai tempi, noi pensiamo che, come in passato la seconda Camera aveva una base rispondente ad una concezione dello Stato essenzialmente conservatrice, con una seconda Camera formata principalmente da coloro che avevano quasi un diritto ereditario a farne parte; così oggi, che ai privilegi si sostituisce, invece, la dignità del lavoro, e la posizione del cittadino risulta principalmente dal grado raggiunto mediante il lavoro, riteniamo che, appunto, effetto e segno di tale sostituzione possa essere la formazione della seconda Camera, non più in base a criteri ereditari, ma in base alla rappresentanza delle diverse categorie della produzione, in base alla organica rappresentanza delle diverse manifestazioni del lavoro.

Queste le ragioni per le quali intendiamo che venga formata la seconda Camera, non in base ai principî stabiliti nel progetto di Costituzione, ma in base a quel principio, da noi sempre tenacemente affermato, della rappresentanza di categorie e della rappresentanza di interessi. Intendiamo, cioè, che nella Costituzione vengano determinate le categorie di coloro i quali possono essere eletti dagli appartenenti alle categorie stesse a far parte della seconda Camera; intendiamo che nella Costituzione vengano indicati coloro i quali, per l’ufficio che rivestono, devono far parte della seconda Camera.

Ho sempre parlato di «seconda Camera» e mi sia consentito ravvivare un momento la vostra attenzione, ricordando le discussioni che sono sorte a proposito della denominazione da dare a questa seconda Assemblea. Si è parlato di «Camera dei senatori»; ma non si è voluto parlare di «Senato». È sembrata quasi una nuova applicazione del principio:; senatores boni viri, senatus autem mala bestia. Non si vuol più neppure nominare il Senato!

Ma questo orrore per la parola, che, specialmente per chi sta a Roma, sembra strano, in quanto l’S.P.Q.R. che si legge in tutte le cantonate ricorda come si tratti di un nome di storica rilevanza, questo orrore fa pensare all’orrore che si aveva in passato per alcune parole, a quell’orrore che faceva vietare i banchetti, ma che rendeva leciti i ranci, che faceva vietare le vacanze ma consentiva le ferie. (Si ride – Approvazioni).

L’altro punto sul quale non possiamo concordare con quanto viene disposto nel progetto è l’eccessiva quantità di deliberazioni di fondamentale importanza che debbono essere prese dall’Assemblea Nazionale. Le due Camere, riunendosi, formano questa Assemblea unica, alla quale vengono attribuiti compiti fondamentali: si può dire quasi che si sia voluto fare una scissione fra le attribuzioni legislative e le attribuzioni politiche delle Assemblee legislative. Pur trattandosi, infatti, di organi legislativi destinati principalmente e peculiarmente a svolgere funzioni legislative, tuttavia, attraverso l’attività di controllo che sono chiamate a svolgere sulla funzione di Governo, queste Assemblee legislative finiscono per partecipare anche all’attività di governo. Sembra quasi, cioè, che si sia voluto attribuire la funzione legislativa propriamente detta alle due Assemblee singole, mentre si sarebbe voluto riservare la funzione del controllo politico alla Assemblea Nazionale, alle due Camere, cioè, riunite insieme.

Se, però, una tale scissione potrebbe anche, da un punto di vista assolutamente astratto e teorico, sembrare in certo modo sodisfacente, non altrettanto sodisfacente può apparire alla mente di chi vuole, soprattutto, che si faccia tesoro dell’esperienza del passato e di chi desidera che siano le Assemblee legislative come tali ad esercitare quella funzione di controllo sull’azione di Governo che si è in ogni tempo dimostrata sommamente efficace. Si vuole, in altri termini, che sia il Parlamento, inteso come azione concomitante delle due Assemblee, a continuare ad esercitare la funzione di controllo sull’attività di Governo, senza che tale funzione venga attribuita ad un organo particolare, quale deve considerarsi quello risultante dalle due Camere riunite.

Noi non possiamo ammettere, cioè, che l’Assemblea Nazionale finisca con il compiere tutti gli atti di maggiore importanza nel campo politico: sarebbe questo un ritorno al monocameralismo, cui ci siamo opposti.

A tale proposito ricordo, a titolo, direi, ricreativo, che nel Progetto si attribuisce all’Assemblea Nazionale la deliberazione relativa alla mobilitazione generale. Rispetto ai tempi, rispetto ai sistemi di guerra, parlare oggi ancora di mobilitazione generale può ritenersi, penso, un anacronismo. Che dire, poi, del fatto che una simile deliberazione dovrebbe essere presa da un’Assemblea legislativa, per trovare poi applicazione soltanto dopo la dichiarazione del Capo dello Stato! Ciò verrebbe, come è evidente, a ritardare l’azione delle nostre forze armate e ad avvantaggiare non poco l’eventuale nemico.

Accennerò ora ad un’altra questione: quella della formazione delle leggi. Mentre, a questo proposito, noi avevamo in passato la deliberazione delle due Assemblee, la sanzione da parte del Capo dello Stato, la promulgazione e la pubblicazione, è interessante osservare che, nell’attuale Progetto, non si parla di sanzione. Si è ritenuto che la sanzione sia una caratteristica dei sistemi monarchici, inaccettabile in altri sistemi. Si salta quindi questo atto della partecipazione del Capo dello Stato alla formazione della legge; e la legge ordinaria avrà così questo itinerario: deliberazione da parte di una delle due Camere; trasmissione all’altra; deliberazione da parte di questa entro i termini stabiliti e, finalmente, promulgazione da parte del Capo dello Stato.

Risorge qui la questione annosa sulla natura della promulgazione. Si è molto discusso se la promulgazione sia un atto legislativo, se faccia cioè parte della funzione legislativa, o se rientri invece nell’altra funzione, che veniva chiamata esecutiva: si riteneva cioè che la promulgazione non fosse altro che il primo atto con cui il così detto potere esecutivo dava esecuzione, dava attuazione alla legge. Altri hanno risposto che, in questa maniera, si faceva in modo che proprio la legge mancasse di una sua forma, perché mancava in fondo un documento redatto dagli organi legislativi stessi in cui fosse concretata la legge. In altri termini, come quando si fa un contratto occorre un notaio che lo rediga, così quando viene emanata una legge, è necessario che si proceda alla materiale documentazione di essa, è necessario che si offra un testo ufficiale di essa.

Questa è la ragione per cui alcuni, forse più giustamente, hanno ritenuto che in fondo la promulgazione rientri anch’essa nella funzione legislativa. E d’altra parte, quando noi affermiamo che il Capo dello Stato rappresenta l’unità della Nazione, quando noi affermiamo che esso unifica le diverse funzioni sovrane, non si riesce a comprendere come mai vi possano essere alcuni i quali si preoccupano di impedire la partecipazione del Capo dello Stato alla legislazione.

Ecco la ragione per cui forse non sarebbe inopportuno introdurre anche nel nuovo sistema costituzionale la sanzione della legge da parte del Capo dello Stato. La partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio della funzione legislativa si riscontra, del resto, anche in sistemi completamente diversi da quelli monarchici, sia pure sotto forma diversa, sia pure limitata ad interventi puramente negativi del Capo dello Stato nell’esercizio della funzione legislativa, come quando gli è soltanto attribuito il potere di veto.

Sarebbe viceversa più opportuno conservare questa unificazione delle diverse funzioni nel Capo dello Stato e consentirgli un intervento, che d’altra parte avviene in ogni modo, perché è soltanto il Capo dello Stato che può procedere alla promulgazione. E questa promulgazione, secondo la concezione per me più convincente, è appunto una manifestazione della funzione legislativa, in quanto rivolta a rendere noto il testo ufficiale della legge.

In ogni modo, il Progetto si occupa giustamente della formazione delle leggi, e tra l’altro risolve in senso assolutamente negativo la grave e discussa questione dei decreti legge, cioè dei provvedimenti legislativi di urgenza. In base al nostro progetto di Costituzione, cioè, non saranno più possibili i decreti-legge. Sono consentiti i decreti legislativi, ossia quelli che implicano una delega da parte degli organi legislativi agli organi di Governo; ma non saranno invece ammessi quei provvedimenti legislativi che vengono emanati, in caso di necessità e di urgenza, dagli organi governativi, senza preventiva delega da parte degli organi legislativi.

E stato molto discusso in seno alla Commissione dei Settantacinque se fosse opportuna o meno questa soppressione della potestà di emanare decreti-legge. Le discussioni sono state particolarmente attraenti, ma – e qui parlo a titolo personale – ritengo che in fondo non si possa fare a meno di questa potestà, sempre esercitata dai Governi, di emanare atti con forza di legge quando la necessità e l’urgenza lo richiedano.

Si è detto: in fondo, escludendo la possibilità dei decreti-legge, noi accogliamo il sistema anglosassone, sistema che non prevede la possibilità di atti legislativi d’urgenza emanati dal Governo, ma che tuttavia non ignora l’istituto, in quanto, coi famosi «Bills» d’indennità, vengono esonerati dalla responsabilità i membri del Governo che siano stati costretti ad emanare simili atti legislativi, così che viene sanata la violazione della Costituzione, compiuta in casi di necessità e urgenza.

Ma nel nostro sistema, raccogliere un principio del genere, il volersi riferire al sistema anglosassone, non sarebbe opportuno, perché in quel sistema non funziona quella Corte costituzionale che funzionerà invece – perché è desiderata da tutti – nel nostro sistema. La Corte costituzionale, di fronte ad un decreto-legge, di fronte ad un atto legislativo emanato dal Governo in caso di necessità e d’urgenza, non potrebbe fare altro che dichiararlo incostituzionale ed invalidarlo, quindi, fin dall’inizio.

E allora, che cosa avverrebbe di tutto quello che si è compiuto in applicazione del decreto-legge? Meglio quindi, siccome non è possibile escludere praticamente l’esercizio da parte del Governo della potestà legislativa in caso di necessità e urgenza, meglio prevedere questa possibilità e contenerla entro limiti ben precisi.

Non si deve pensare che i decreti-legge abbiano avuto origine e trovato applicazione solo nel 1923 e nel periodo successivo. Fin dalla formazione dell’Italia riscontriamo l’uso di questa potestà, benché in maniera, molto più limitata di quanto non fu fatto successivamente.

Ma, appunto, un’opportuna disciplina costituzionale, la necessità di presentare questi provvedimenti alle Assemblee legislative per la conversione in legge, potrebbero costituire una garanzia sufficiente, una garanzia integrata dalla possibilità di controllo della Corte costituzionale, che potrebbe assicurarci la giustizia nella legislazione alla quale aspiriamo, dopo la buona prova dei congegni predisposti per attuare la giustizia nell’amministrazione,

Delineata in questa maniera la formazione delle leggi, dopo avere accennato all’esclusione dei decreti-legge, necessari, per esempio, come i cosiddetti decreti-catenaccio, indispensabili allorché si debbano elevare tariffe doganali, per i casi di particolari necessità (si pensi alle catastrofi che purtroppo si verificano sempre e che richiedono provvedimenti di eccezione); dopo avere accennato a questa opportunità di non escludere la possibilità della decretazione di urgenza; dopo avere accennato alla necessità di prevederla e di regolarla per evitare abusi, è bene richiamare l’attenzione dell’Assemblea sull’opportunità di una disciplina costituzionale della potestà regolamentare.

La legge non può dare che disposizioni di carattere generale. Deve, perciò, essere integrata dai regolamenti. I regolamenti sono leggi in senso sostanziale, che nella nostra Costituzione trovavano una sufficiente disciplina, mentre nell’attuale Progetto vi è al riguardo una grave lacuna. Vi si trova un semplice accenno allorché viene affermato che il Capo dello Stato emana i regolamenti.

Non si accenna invece, per esempio, a quella distinzione che oggi viene ammessa fra i regolamenti detti esecutivi, i regolamenti di organizzazione, che provvedono alla formazione dei diversi uffici, e i regolamenti autonomi e indipendenti, che si riferiscono a campi non disciplinati dalla legge formale.

Per la disciplina di questa attività legislativa, che spetta necessariamente al potere governativo, è importante ed è opportuno che, con emendamenti, si provveda ad integrare questa lacuna, già rilevata da parecchi studiosi di diritto.

Per quanto riguarda l’Assemblea Nazionale, potrà senza dubbio essere importante attribuire ad essa determinati atti, come per esempio la nomina del Capo dello Stato, ove si voglia lasciare questo compito alle Assemblee legislative, ed a questo scopo non sarebbe inopportuno far partecipare i presidenti delle varie Regioni all’Assemblea Nazionale che deve procedere alla scelta del Capo dello Stato; ma attribuire a questa Assemblea tutte le competenze che ad essa spettano secondo il Progetto è, secondo noi, in contrasto con il principio del bicameralismo, che dovrebbe essere fondamentale nella nostra Costituzione.

Passo ad accennare all’elezione del Capo dello Stato. Il sistema previsto dal Progetto fa che siano le due Camere riunite nell’Assemblea Nazionale, opportunamente integrate appunto dai membri delle Assemblee regionali che ho precedentemente ricordato, a scegliere il Capo dello Stato. Anche a questo proposito non sono mancate le discussioni e, data la necessità di dare al Capo dello Stato un certo prestigio, una certa rispondenza con le aspirazioni del popolo, non sembra imprudente sottoporre a questa Assemblea ancora una volta l’opportunità di fare in modo che il Capo dello Stato venga scelto da tutto il corpo elettorale. Per lo meno, se non si può arrivare a questo punto, ritengo che le due Camere riunite nell’Assemblea Nazionale – sia pure integrate da componenti dei vari Consigli regionali – non costituirebbero un corpo elettorale sufficiente agli scopi che si vogliono raggiungere. In relazione alla tesi che il Capo dello Stato debba essere eletto da tutto il corpo elettorale, vi è un argomento di carattere storico-politico che non dobbiamo dimenticare. In fondo, quando una elezione è di secondo grado, quando avviene da parte di persone elette a loro volta dal corpo elettorale, questo corpo elettorale si sente un po’ lontano dalla persona singola che viene finalmente prescelta. Perché il Capo dello Stato abbia prestigio sufficiente, perché proprio trovi rispondenza nelle diverse aspirazioni del popolo, mi sembra più opportuno che esso venga eletto direttamente dal corpo elettorale. Ritengo che si debba tener conto delle aspirazioni del nostro popolo. Non va trascurata la grande realtà di cui dobbiamo occuparci, costituita precisamente dal popolo italiano. Ora, se guardiamo alla storia del nostro Risorgimento, noi vediamo come il desiderio che il Capo dello Stato sia una emanazione del popolo abbia trovato riscontro nelle formule dei diversi plebisciti. Lo stesso fatto che, ad un certo momento, accanto alla formula «per grazia di Dio» si sia aggiunto «e per volontà della Nazione» dimostra come il nostro popolo voleva in sostanza che il Capo dello Stato fosse emanazione sua, fosse quasi il simbolo delle sue aspirazioni; anche se non si intendeva sopprimere l’originaria formula, tanto più che altrimenti si sarebbe avuto un Capo dello Stato fuori della grazia di Dio!

Ritengo che, cambiata la forma dell’organo supremo dello Stato, non sarebbe inopportuno fare in modo che il popolo si sentisse rappresentato direttamente dal Capo dello Stato; e d’altra parte ciò potrebbe essere molto opportuno. In un Paese come il nostro, il quale ci tiene in fondo a vedersi simboleggiato da una persona, questa persona raggiungerebbe tanto meglio il suo compito quando risultasse emanazione diretta del corpo elettorale.

Si risponde che vi sono precedenti presso altre nazioni, i quali debbono farci dubitare dell’opportunità di un simile sistema, in quanto che si è detto che in Germania – per esempio – si è giunti, in questa maniera, al dispotismo ed alla tirannia.

Ma, mentre sarebbe opportuno fare in modo che il Capo dello Stato avesse sufficienti poteri, così da non ridurlo a figura di secondo piano, si deve tener conto d’altra parte che nel nostro sistema funzionerà quella Corte costituzionale che non vi era negli altri ordinamenti è che può costituire effettivamente una garanzia non indifferente contro gli abusi di potere. Vi saranno le Assemblee legislative, alle quali sarà possibile dare sufficienti poteri di controllo nei confronti del Capo dello Stato; ma vi sarà soprattutto questo organo giurisdizionale, in grado di opporsi a tentativi di dittatura o di tirannia.

Questa è la ragione per cui mi permetto di proporre all’Assemblea, ancora una volta, di stabilire nella Costituzione che il Capo dello Stato venga scelto direttamente dal corpo elettorale e non dalla sola Assemblea Nazionale; o, per lo meno, che questa Assemblea Nazionale venga opportunamente integrata, in modo da costituire un corpo elettorale più ampio di quello limitatissimo che altrimenti verrebbe ad aversi.

Quanto alle attribuzioni del Capo dello Stato, mi permetto di fare osservare come, nella redazione del progetto di Costituzione, si sia andati alle volte un po’ rapidamente. Per esempio, si dice che il Capo dello Stato presiede il Consiglio supremo di difesa, il quale sarà forse nei progetti di qualcuno, ma per ora non risulta costituito.

Per quanto riguarda le forze armate, salvo qualche modificazione di forma che non sarà affatto inopportuna, si può ritenere che quanto il progetto stabilisce possa essere approvato.

Finalmente, accenno al problema relativo al Governo. Ci si è preoccupati di fare in modo che coloro che si occupano di una fondamentale funzione dello Stato siano garantiti dal punto di vista della stabilità. Troppo abbiamo sofferto per le frequenti cadute dei vari Ministeri. L’esperienza passata ci dimostra come sia indispensabile assicurare al Governo una certa stabilità; ed a questo scopo mirano quegli espedienti che sono stati tradotti nel Progetto.

Il principio, già accolto nella legislazione vigente, secondo cui la semplice disapprovazione di un progetto di legge non equivale a voto di sfiducia, trova conferma nel nostro progetto di Costituzione, in quanto si ritiene che la sfiducia non possa essere votata se non mediante forme speciali, cioè mediante una espressa mozione in tal senso, che non può essere subito sottoposta a votazione, ma deve essere discussa e posta in votazione soltanto dopo un congruo termine.

La stabilità del Governo – si è detto – non dipende dal sistema, ma dagli uomini; perché, quando vi sono stati uomini all’altezza della situazione, i Governi si sono retti anche in passato ed hanno potuto compiere il loro dovere.

L’esperienza storica, però, dimostra come anche coloro i quali vengono ormai riconosciuti come i nostri migliori uomini politici, si sono trovati spesso in condizione di difficoltà, appunto perché troppo instabile era la loro posizione; e l’azione di Governo, interrotta ogni tre o quattro mesi, non può raggiungere quegli scopi, che essa potrebbe invece ottenere, quando, sia pure attuata in base a principî non perfetti, venga, però, svolta in maniera continua.

Questo è lo scopo che ci siamo proposti istituendo particolari forme per la votazione della fiducia al Governo.

È interessante poi occuparsi della particolare posizione prevista per il Primo Ministro e della posizione dei diversi Ministri. Anche qui si è cercato di attuare il principio del Primo Ministro primus inter pares, cioè persona la quale non ha possibilità di imporre la propria volontà ai colleghi del Ministero. Non si tratta d’un superiore gerarchico; ma nello stesso tempo la sua posizione di preminenza è garantita, in quanto che egli ha responsabilità completa ed i Ministri possono essere da lui spinti a svolgere una determinata azione, appunto perché egli è Presidente del Consiglio, responsabile dell’attività collegialmente svolta.

Altro particolare interessante è quello della posizione riservata ai diversi Ministri.

Ogni Ministro è collegialmente responsabile dell’azione di Governo e ciò impedisce di esimersi dall’assumere la responsabilità dell’azione collettiva; d’altra parte, il Ministro è responsabile per l’attività svolta nel suo ramo di amministrazione.

Tali i principî fondamentali, relativi alla posizione del Governo; tali le misure previste nel nostro Progetto per impedire il ripetersi di Governi instabili, che ci hanno portato a risultati molto insoddisfacenti.

Le mie critiche al Progetto riguardano, dunque, il fatto che il bicameralismo, principio accolto come fondamentale a parole, viene di fatto abbandonato per cedere il posto al sistema unicamerale.

Per quanto riguarda l’elezione del Capo dello Stato, ripeto che sarebbe preferibile sostituire alla formula del Progetto quella della elezione diretta da parte del corpo elettorale, che non sia costituito dalle sole Assemblee legislative.

Finalmente, per quanto riguarda il Governo, ritengo che il Progetto, rivolto ad assicurarne la stabilità, possa essere accolto e facilmente migliorato. Noi concepiamo la funzione governativa non come semplice esecuzione di quanto le leggi stabiliscono, ma come attività concreta, svolta giorno per giorno, nei limiti delle leggi, rispettando le leggi, ma senza limitarsi a eseguirle soltanto. Ecco la differenza che passa fra la nostra concezione del Governo e l’altrui concezione del semplice potere esecutivo. Vogliamo che coloro, i quali hanno la responsabilità della cosa pubblica, siano muniti di sufficienti poteri. Vogliamo che siano sottoposti a controllo, in maniera tale che non possano passare ad usi arbitrari dei poteri discrezionali loro conferiti; ma vogliamo, nello stesso tempo, che il Governo governi. (Applausi’).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi, parlerò brevemente sul modo in cui il progetto di Costituzione contempla l’attività legislativa del Governo, argomento del quale, a mio avviso, non si rileva mai abbastanza la gravità, per i pericoli enormi che può produrre una legislazione che taluni scrittori definirono una vera e propria usurpazione del potere legislativo da parte del potere esecutivo.

E mi occupo esclusivamente di questo tema, perché mi pare che questa parte del Progetto presenti le maggiori manchevolezze, come mi sarà facile dimostrare.

Come è noto, l’attività legislativa del potere esecutivo si esplica in una duplice forma: attraverso la delega del potere legislativo; attraverso la forma autonoma del decreto-legge.

Il progetto di Costituzione, mentre si occupa dell’attività legislativa delegata, tace del tutto dell’attività legislativa autonoma, quella, cioè, determinata da un vero e proprio stato di necessità e di urgenza.

È stato or ora affermato dall’onorevole Codacci Pisanelli che si volle così abolire questa forma di attività legislativa. Non mi sembra che tale opinione sia da accogliersi essendo, ormai, da tutti riconosciuto che la necessità di fatto possa tramutarsi e si tramuti in una fonte di diritto, e che il decreto-legge ha il suo fondamento e la sua legittimità in uno stato di necessità. Basterebbe in proposito ricordare il decreto-catenaccio, tipico esempio di decreto-legge, determinato da opportunità ed esigenze fiscali o finanziarie. Il silenzio del progetto è, dunque, una lacuna che bisognerà colmare.

Per quanto attiene all’attività delegata, non si discute più, ormai, il principio della legittimità della delega: si discute soltanto, come è noto, se l’esercizio della delega debba essere circoscritto, vale a dire disciplinato e contenuto in una norma che ne stabilisca i limiti e determini la materia, quale oggetto dell’attività legislativa delegata, e prestabilisca eventualmente anche il tempo entro il quale questa attività legislativa sia destinata ad aver vigore.

Ed, infatti, nel Progetto l’articolo 74, lungi dal contemplare una delega generale, un trasferimento, cioè, di competenza legislativa dal potere legislativo al potere esecutivo, precisa che l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato se non previa determinazione di principî e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.

A mio avviso, non può non approvarsi il divieto della concessione dei così detti pieni poteri; ma, d’altra parte, deve rilevarsi che la norma dell’articolo 74 obbedisce soltanto alle esigenze del tempo normale, e non a quelle straordinarie che possono presentarsi, per esempio, in tempo di guerra. Io ebbi già modo di fare lo stesso rilievo in rapporto alla sospensione eventuale dei diritti individuali, e ricordo che molto cortesemente l’onorevole Presidente della Commissione dei Settantacinque promise di tener conto delle osservazioni da me fatte in quella sede. Ora, anche a proposito dell’articolo 74, il rilievo ha la sua importanza. Perché non è possibile che in tempo di guerra si possa dare al Governo una delega, caso per caso, per gli eventuali provvedimenti che la condotta della guerra esige. È evidente, per altro, che quando mi riferisco alla delega generale per il tempo di guerra, essa debba trovare la sua limitazione nella natura dei provvedimenti da emanarsi, nel senso che la delega generale deve essere concessa esclusivamente per i provvedimenti resi necessari dalla condotta della guerra, e non potrà estendersi a provvedimenti estranei alla condotta della guerra.

Si può, adunque, concludere che, fermo restando il principio di una delega circoscritta, così come è stabilito nell’articolo 74, occorrerà aggiungere una norma nella quale si preveda la delega generale per il tempo di guerra in rapporto a quei provvedimenti che fossero resi necessari dalla condotta della guerra, provvedimenti la cui competenza non potrebbe essere se non del potere esecutivo.

Seconda manchevolezza del Progetto. In tema di attività legislativa delegata, è evidente che il potere delegato debba contenersi nei limiti della delega conferita. Ora, il Progetto non contempla alcun controllo per il caso di eccesso o di infedeltà nell’adempimento della delega. E non mi pare che si possa fare richiamo al capoverso dell’articolo 74, laddove è detto che per i decreti legislativi valgono le norme stabilite in ordine alla Corte costituzionale.

Nel senso, cioè, che se la Corte Costituzionale, a norma dell’articolo 126 del Progetto, giudica della incostituzionalità di tutte le leggi, secondo il richiamo del capoverso dell’articolo 74, dovrebbe poter giudicare anche eventualmente della incostituzionalità dei decreti legislativi; ma altra cosa è la incostituzionalità della legge, la quale innegabilmente si riferisce a quei requisiti formali ed esteriori che i vari ordinamenti costituzionali stabiliscono perché un provvedimento acquisti la forma e la forza di legge, ed altra cosa è la mancata corrispondenza del contenuto del decreto alla delega, ossia il mancato rispetto da parte del potere delegato dei limiti della delega. In tale caso, non può esservi altro controllo che non sia quello del potere delegante, epperò manca nel progetto la norma che contempli tale controllo e lo disciplini.

Mi sembra, inoltre, che anche inopportunamente si sia fatto richiamo, a proposito dei decreti legislativi, alle norme sul referendum nell’ultimo capoverso dell’articolo 74, dove è detto che per i decreti legislativi valgono le norme stabilite per le leggi in ordine al referendum.

Difatti, nel caso di legge vera e propria, l’applicazione del referendum è subordinata a determinate condizioni, quale, per esempio, quella che la legge sia stata approvata con una maggioranza inferiore ai due terzi; mentre ciò non può avvenire nel caso di un decreto legislativo che è un provvedimento che rientra esclusivamente, per effetto della delega, nella competenza del potere delegato. Pertanto, se anche si dovesse ritenere applicabile il referendum ai decreti legislativi, dovrebbe farsi un opportuno emendamento, prescindendosi dalle condizioni per le quali si applica il referendum a proposito delle norme legislative vere e proprie.

Concludendo questa prima parte delle mie osservazioni, io rilevo, e presenterò un opportuno emendamento, che occorre aggiungere alla norma dell’articolo 74 un comma che preveda una delega generale in rapporto a provvedimenti contingenti ed urgenti, determinati dal tempo di guerra, e occorre stabilire una norma che preveda un controllo da parte del potere legislativo che permetta di verificare se il potere delegato si sia mantenuto nei limiti della delega conferita.

Osservavo or ora che l’articolo 74 non fa cenno del decreto-legge. Io ripeto ancora una volta che il silenzio del progetto di Costituzione non può interpretarsi nel senso che si è voluta vietare questa forma di attività legislativa, pur necessaria e inevitabile in determinate contingenze.

Peraltro, mi permetto ricordare che questa materia è interamente regolata da una legge che, per quanto io sappia, non è stata ancora abrogata: la legge del 31 gennaio 1926, n. 100, la quale disciplina il modo ed il funzionamento dell’attività legislativa del potere esecutivo per mezzo dei decreti-legge. Si devono, adunque, trasferire dal terreno propriamente legislativo al terreno costituzionale le norme in proposito, perché non sia aperto l’adito a maggiori e più pericolosi abusi.

Si ritiene che, durante il ventennio fascista, ammontarono a ben 30 mila i decreti-legge emessi dal Governo, alcuni dei quali perfino per la nomina di qualche impiegato. Né farebbe sorpresa che l’abuso continuasse in regime democratico: di qui la necessità di norme atte a stabilire che il decreto-legge può essere emanato esclusivamente nei casi di urgenza e di necessità, ed a precisare che tali casi non sono mai ammissibili, quando le Camere legislative sono in funzione. Tali norme dovrebbero essere integrate con quelle relative alla conversione in legge, al termine di presentazione per la conversione, e a quello entro il quale la conversione debba aver luogo.

Occorrerebbe, infine, stabilire la necessità di delegazioni legislative anche per i decreti-catenaccio, come avviene in Francia, in Belgio, in Svizzera.

Osservo finalmente che nel progetto di Costituzione non è cenno alcuno delle così dette «ordinanze di necessità», le quali, pur avendo comune il principio sul quale si fonda il decreto-legge, obbediscono a ben altre esigenze.

L’ordinanza di necessità è quella che si emette nei casi di allarme, di pericolo pubblico, di guerra, o di stato d’assedio, quando, cioè, le libertà individuali corrono pericolo di essere limitate o sospese: è, quindi, necessario stabilire rigorose garanzie sull’uso della potestà, ad impedire eccessi e trasmodanze da parte del potere esecutivo.

Anche per quanto si riferisce alla potestà regolamentare, il progetto è del tutto manchevole. Difatti, nell’articolo 83 è detto che il Presidente della Repubblica promulga le leggi, ed emana i decreti legislativi ed i regolamenti. Quali regolamenti? Quelli per la esecuzione delle leggi, quelli delegati, quelli detti indipendenti, o quei regolamenti di indole generale, cosiddetti esterni, che possono valere erga omnes e per i quali occorrono le opportune riserve circa la materia che potrà formare oggetto di regolamento? Ora, il progetto di Costituzione tace del tutto, e non v’è alcuno che non intenda la necessità di norme in proposito.

Queste mie osservazioni, onorevoli colleghi, non hanno alcuna pretesa. Vogliono essere modesti rilievi di buon senso, intesi esclusivamente a richiamare l’attenzione della onorevole Commissione, nella fiducia che essa vorrà compiacersi di rivedere questa parte del Progetto, integrandola, se lo crederà, con le disposizioni di cui ho fatto cenno. (Applausi).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Russo Perez, Nobile e Perrone Capano, iscritti a parlare, si trovano a Gstaad, col gruppo dei membri di questa Assemblea che si è recato a quel convegno, e sebbene non abbiano un congedo regolare, possiamo considerare che si trovino assenti per una funzione che interessa direttamente anche l’Assemblea.

Non essendo presenti gli onorevoli De Michelis, Vinciguerra, Piccioni, Fuschini e Fusco, si intende che abbiano rinunziato a parlare.

È iscritto a parlare l’onorevole Preziosi. Ne ha facoltà.

PREZIOSI. Onorevoli colleghi, io dirò poche parole soltanto su un argomento, che credo possa interessare molto l’Assemblea e soprattutto alcuni membri di essa. Parlerò brevemente del progettato metodo di formazione del futuro Senato.

Comincio con raffermare una mia opinione: il terzo dei componenti del futuro Senato non dovrebbe essere eletto, come è previsto nel progetto di Costituzione, dai membri dei Consigli regionali. A me pare gravissimo errore dire ai membri dei Consigli regionali la facoltà di eleggere un terzo dei senatori. È un errore perché l’elezione di questo terzo dei membri della seconda Camera, che nel loro complesso pare dovrebbero assommare a 311 o 315, affidata ai Consigli regionali, darebbe adito alla possibilità che una maggioranza, formatasi occasionalmente in seno ad essi, possa eleggere coloro i quali meglio potrebbero essere scelti direttamente dalla massa elettorale.

Insomma, noi avremmo questa situazione di fatto: che cioè i Consigli regionali, con una maggioranza di due, tre o quattro membri, eleggerebbero il terzo dei componenti del futuro Senato. Insomma, ad esempio, in una assemblea regionale come la siciliana – non voglio fare riferimento a nessuna situazione politica, ma solo ad una situazione di fatto – nell’assemblea regionale siciliana in cui c’è una maggioranza di 46-47 membri contro, non so, 38, 39 membri dall’altra parte, questi 46 o 47 membri soltanto eleggerebbero un determinato numero di senatori.

A me pare, onorevoli colleghi, che questo punto del progetto di Costituzione vada senz’altro modificato. Facciamo in modo che anche i membri della seconda Camera possano essere eletti a suffragio universale direttamente dagli elettori. Credo che si avrebbe un risultato migliore: si avrebbe cioè una seconda Camera espressione diretta della volontà popolare.

Ho finito per questa parte e passo a quella che si può considerare la parte più delicata, riguardante la composizione del futuro Senato.

Secondo il progetto, noi avremmo dunque un terzo di senatori eletti dai Consigli regionali, due terzi eletti dalla massa elettorale. Ora, a me pare che sia un gravissimo errore non costituire nella futura Camera alta, nel futuro Senato, un nucleo iniziale di senatori i quali possano davvero considerarsi come l’ossatura del Senato stesso.

Noi sappiamo – lo sentiamo già attraverso i discorsi che si fanno fra colleghi – che un po’ tutti considerano necessario porre la propria candidatura alla Camera dei deputati, un po’ tutti escludono la possibilità di porre la loro candidatura al Senato.

Quindi noi avremmo già questa specie di assurdo: che i candidati al Senato sarebbero coloro che, comunque, non avessero potuto essere eletti deputati. Avremmo insomma una massa nuova la quale non so come si regolerebbe inizialmente di fronte ai problemi importanti dei quali sarà investito il futuro Senato.

Insomma, noi non dobbiamo dimenticare che il Senato, così come è contemplato nel Progetto di Costituzione, avrebbe le stesse prerogative della Camera dei deputati, su per giù le stesse, se non superiori. Comunque, il Senato avrebbe le stesse alte funzioni della Camera in alcuni momenti gravi per la Nazione; come nel momento dell’elezione del Capo dello Stato.

Mi sembra, pertanto, giusto creare un nucleo iniziale di senatori con uomini democratici, con uomini degnissimi, che abbiano portato il loro contributo di intelligenza, di onore e di devozione alla Patria.

Quali dunque dovrebbero essere gli uomini i quali dovrebbero formare, secondo la mia modesta opinione, il nucleo iniziale del Senato? Gli ex deputati, gli ex membri del Parlamento che abbiano almeno un determinato numero di legislature.

Voi sapete benissimo (basta scorrere l’elenco alfabetico dei deputati, là dove si parla dell’anzianità dei deputati dell’Assemblea Costituente) che di deputati con cinque legislature ve ne sono appena otto e di deputati con quattro legislature ve ne sono appena 19. Perché, onorevoli colleghi, noi vogliamo escludere questi uomini che hanno dato per lungo tempo il loro contributo alle fortune della Patria dalla vita politica attiva?

Perché qui sorge un problema di indole concreta. Tutti sappiamo che le future elezioni saranno durissime. Si parla di circoscrizioni ristrette, ma sotto altri punti di vista ci si accorge che le circocoscrizioni sono allargate. Come si può pretendere, insomma, che uomini che hanno superato i 70 anni, che hanno dedicato la loro vita alla politica, che hanno onoratamente seduto su questi banchi per quattro o cinque legislature debbano fare una dura campagna elettorale, debbano girare così come può girare un giovane di 30-40 anni o un uomo di 50-60? Il problema bisogna guardarlo non solo da un punto di vista giuridico, ma anche da un punto di vista concreto e pratico. Insomma questi uomini dovrebbero deliberatamente ritirarsi dalla vita politica quando possono invece portare alla vita politica rinnovata del nostro Paese il loro contributo e la loro competenza. Fermiamoci su questo punto, onorevoli colleghi, ed io penso che non cascherà il mondo, che non si lamenteranno, ad esempio, gli amici socialisti, se in questa Assemblea passerà un emendamento il quale stabilisca che coloro che hanno quattro o cinque legislature possono essere nominati di diritto senatori con decreto del Capo dello Stato, salvo che, pur avendo quattro o cinque legislature, preferiscano fare ancora i giovanissimi o allontanarsi dalla politica attiva; in modo che, ad esempio, se c’è un deputato il quale ha già quattro o cinque legislature ed è ancora giovane di animo ed è nominato di diritto senatore, possa, se lo voglia, presentarsi candidato alla prima Camera. Per essere nominati senatori di diritto basterebbe avere un’anzianità parlamentare di quattro o cinque legislature; però è naturale che la nomina sarebbe subordinata all’accettazione dai prescelti.

A me pare che non si potrebbero lamentare di una simile regolamentazione, ad esempio, i colleghi socialisti se si pensa che su 19 membri di questa Camera che si trovano con quattro legislature, vi sono 5 socialisti. Ai fini statistici è interessante sapere che, su otto membri di questa Camera che si trovano con cinque legislature, vi sono tre socialisti, un comunista, un liberale, due demo-laburisti ed un socialista indipendente, Labriola. Come vedete, non si urterebbe la suscettibilità di nessuno e poi non è qui il caso di fare questioni di partito o questioni politiche.

Si tratta di affermare un principio generale, un doveroso riconoscimento per coloro che hanno servito devotamente, fedelmente e democraticamente il Paese.

Quindi io penso che si possa votare un simile emendamento. Così si eviterebbe di avere un Senato – perdonatemi l’espressione un po’ dura – raffazzonato; si avrebbe una seconda Camera con uomini che con la loro esperienza e competenza potrebbero insegnare molte cose ai nuovi arrivati pure degni; potrebbero insegnare molte cose a coloro che per la prima volta comincerebbero a servire in alto luogo il loro Paese. Io penso che così noi potremmo finalmente dare un riconoscimento a coloro che hanno sempre servito democraticamente il Paese; e non faremmo una cosa eccezionale. Oserei dire che compiremmo un dovere di riconoscimento verso gli anziani che ci sono stati maestri di vita, maestri di democrazia, maestri di onestà politica. In questo senso concludo le mie modeste parole e presenterò a parte un emendamento in relazione a quanto ho detto. (Applausi).

PRESIDENTE. È forse opportuno sospendere a questo punto la discussione, ad evitare troppe decadenze di iscrizioni per l’assenza di tanti colleghi. Io penso che nella giornata odierna abbiamo dato l’abbrivio alla ripresa dei lavori. A cominciare da domani, con regolarità normale, chiamerò a parlare gli iscritti e non arretrerò dinanzi alla triste prospettiva che molti di essi, per assenza, non parlino.

Una osservazione: dagli interventi di quest’oggi mi è parso di constatare che ogni oratore parla in genere su questioni definite che dànno sostanza a determinati articoli del testo del progetto. Da questo punto di vista molti dei colleghi iscritti a parlare nella discussione generale potrebbero forse più opportunamente intervenire in sede di emendamenti. Ciò darebbe al nostro lavoro un ritmo più rapido, evitandosi così che il necessario rigore da applicarsi in sede di discussione generale tolga a troppi la possibilità di esprimere il loro avviso.

Rinvio, comunque, il seguito della discussione alla seduta pomeridiana di domani.

Per la discussione di una mozione e di un’interpellanza.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Permetta l’Assemblea che io faccia una dichiarazione a proposito della mozione Nenni ed altri. Il Governo non ha nessuna difficoltà ad affrontare il dibattito sui problemi economico-finanziari. Crede però più conveniente e più utile che sia presente anche il Vicepresidente, Ministro del bilancio, onorevole Einaudi, il quale è stato inviato in missione ufficiale a Londra.

Passeranno probabilmente otto giorni circa, prima del suo ritorno. Credo che l’Assemblea consenta che sarebbe conveniente e più utile che il dibattito su questi problemi avvenisse in presenza sua; senza aggiungere che disgraziatamente, proprio oggi, è stato portato in clinica il Ministro dell’industria, che è Presidente del Comitato prezzi.

Non so se il proponente acceda a questo mio suggerimento.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Per quanto io sia deferente al desiderio espresso dall’onorevole Presidente del Consiglio, che il dibattito, da noi desiderato, avvenga con la presenza del Vicepresidente del Consiglio, il quale certamente ha una parte notevole di responsabilità nella politica che il Governo segue attualmente, pure desidererei che sin da ora si fissasse la data per l’inizio della discussione sulla mozione di sfiducia.

Mi sembra che si possa conciliare il legittimo desiderio dell’onorevole Presidente del Consiglio di avere a suo fianco l’onorevole Vicepresidente del Consiglio, e mi auguro anche l’onorevole Ministro dell’industria, col desiderio, altrettanto legittimo, che la discussione non sia troppo ritardata.

Ritengo che esistono nel Paese sufficienti motivi di allarme, perché l’Assemblea affronti il tema da noi proposto.

In queste condizioni, se l’onorevole Presidente del Consiglio è d’accordo, potremmo fin da ora fissare per mercoledì o giovedì prossimo l’inizio della discussione.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Quando è partito l’onorevole Einaudi, insieme all’onorevole Presidente della Commissione di finanze e tesoro, era previsto, fra l’andare e il venire, un periodo di dieci giorni. Ora, mercoledì evidentemente sarebbe troppo vicino; bisognerebbe fissare giovedì o venerdì.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Accettiamo giovedì.

PRESIDENTE. Hanno ancora diritto di parlare su questo argomento due deputati. Invito gli onorevoli colleghi a rinunciare ad esprimere con confusi mormorii la loro opinione, ed a chiedere invece la parola per fare eventuali proposte o controproposte.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Propongo lunedì, 22.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il giorno 22 è certissimo, perché è la fine dei lavori della Banca Internazionale.

CAPUA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPUA. Dato che la discussione sulla mozione è subordinata al ritorno dell’onorevole Einaudi, propongo di stabilire la data di 48 ore dopo il ritorno dell’onorevole Einaudi.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Modificherei la mia proposta nel senso che la discussione della mozione sia fissata per il giorno 23.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi sono, dunque, tre proposte, naturalmente se l’onorevole Capua conserva la sua.

C’è la proposta del Presidente del Consiglio, accettata dall’onorevole Nenni, di fissare la discussione per giovedì 18.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. No. Io ritiro la mia proposta ed accetto la proposta dell’onorevole Cevolotto. (Commenti). Se vogliamo sul serio fare una discussione che non abbia semplicemente lo scopo politico (beninteso, lo scopo politico, è evidente, è un diritto dell’Assemblea), ma sia anche un dibattito che oltre alle critiche contenga suggerimenti utili e costruttivi, è necessario che vi sia presente il responsabile del Ministero del bilancio. Io, per parte mia, farò tutto per affrettare la sua venuta, ma non posso mettere evidentemente un consesso internazionale di fronte ad una data così prossima.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Se per giovedì 18 il Vice-presidente del Consiglio non fosse presente, noi non grideremmo allo scandalo ove ci si chiedesse un breve rinvio.

PRESIDENTE. Prego coloro i quali hanno formulato proposte, di fissarle in termini definitivi. Più nessun altro ha diritto di prendere la parola. Poi passeremo al voto delle singole proposte concrete, a meno che non si giunga ad una proposta unificata.

La sua proposta, onorevole Nenni, è un po’ elastica: essa fissa il giorno 18, a meno che il Ministro del bilancio non sia presente. In questo caso la data del 18 non sarebbe più valida. Mi pare quindi che la sua proposta venga quasi a coincidere con quella dell’onorevole Capua che parte dalla premessa della presenza del Ministro del bilancio dandogli un termine congruo perché possa prepararsi alla discussione.

FUSCHINI. Chiedo di parlare per proporre un emendamento alla proposta dell’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Io faccio un emendamento alla proposta dell’onorevole Cevolotto, in questo senso: vorrei fare osservare che il 22 è lunedì per cui sarebbe opportuno portare la data al 23 (Approvazioni), e si potrebbe iniziare in tal modo la discussione con la sicurezza di poterla finire. L’onorevole Nenni può essere soddisfatto egualmente di questa data, perché essa mi pare sufficientemente vicina ai suoi desideri.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, l’onorevole Cevolotto ha già proposto di stabilire la data del 23.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. L’onorevole Nenni potrebbe essere soddisfatto della data del 23, ma non capisce perché non ci si debba attenere alla data del 18 indicata dal Presidente del Consiglio.

FUSCHINI. Per non avere interruzioni nella discussione.

NENNI. Comunque la questione non è di sapere se arriveremo alla discussione tre giorni prima o tre giorni dopo; direi che tutto si riduce all’apprezzamento della situazione attuale del Paese. Se ci sono colleghi che in buona fede credono che la situazione economica, sociale e politica attuale si riduca tutta al fatto che ci sarebbero in Italia un certo numero di agitatori e di sobillatori (Commenti al centro), allora si può benissimo rinviare la discussione anche di due o tre mesi.

Se invece si è convinti, come noi siamo convinti, che la situazione attuale deriva da elementi obiettivi, aggravati da una politica sbagliata, allora si potrà affrettare al massimo la discussione.

Ciò detto, mi rimetto all’opinione del Presidente del Consiglio.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Devo una spiegazione. Avevo detto prima otto o dieci giorni; poi il Ministro del tesoro mi ha fatto osservare che le sedute della Banca Internazionale finiscono il 22. Allora, mi sono affrettato ad associarmi alla proposta del 23.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta che la mozione presentata dall’onorevole Nenni e altri colleghi sia posta all’ordine del giorno della seduta pomeridiana del giorno 23 di questo mese.

(È approvata).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Per quale motivo, onorevole Togliatti?

TOGLIATTI. Per questa ragione: prima della chiusura dei lavori parlamentari avevo presentato una interpellanza di urgenza al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dell’interno, relativa a determinate questioni della politica interna del Governo, particolarmente alla difesa della libertà di propaganda e delle libertà democratiche in genere. Dato che la mozione dell’onorevole Nenni investe non soltanto la politica economica, ma un po’ tutta la politica generale del Governo, io vorrei riservarmi, se l’onorevole Presidente del Consiglio non ha nulla in contrario, di trasformare la mia interpellanza di urgenza in mozione e discuterla insieme alla mozione dell’onorevole Nenni.

Vorrei sapere se l’onorevole Presidente del Consiglio ha qualche cosa contro questo mio desiderio.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non ho da fare che una obiezione di carattere estetico, perché problemi di tale natura, cioè di politica interna, di polizia, ecc., sono meno atti a far trovare la soluzione dei problemi economici. Per il resto sono d’accordo e non ho nulla in contrario.

PRESIDENTE. La mozione dell’onorevole Nenni suona: «La politica generale del Governo ed in particolare quella economica e finanziaria». Comunque, poiché mi pare che l’onorevole De Gasperi non abbia invocato argomenti politici o di procedura, ma argomenti estetici e formali, credo che la richiesta dell’onorevole Togliatti possa essere accolta.

TOGLIATTI. Allora, mi riservo di trasformare la mia interpellanza in mozione.

Risposta ad una interrogazione.

FARALLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FARALLI. Poiché è presente il Ministro della marina mercantile vorrei domandargli se a quella interrogazione che ho presentata unitamente ai colleghi Barbareschi e Pertini a proposito del dirottamento del piroscafo Conte Biancamano, data la natura particolare di questa interrogazione, può rispondere domani.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Sono disposto a rispondere anche subito.

PRESIDENTE. Penso che sia opportuno procedere allo svolgimento dell’interrogazione. Abbrevieremo così il tempo da dedicare alle interrogazioni nelle prossime sedute.

L’interrogazione è del seguente tenore:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della marina mercantile, per conoscere quali inoppugnabili ragioni hanno consigliato il dirottamento verso altro porto del piroscafo Conte Biancamano appartenente di fatto e di diritto al compartimento di Genova, dove avrebbe dovuto arrivare fin dal giorno 30 agosto».

L’onorevole Ministro della marina mercantile ha facoltà di rispondere.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Come è noto anche agli onorevoli interroganti, i piroscafi Conte Grande e Conte Biancamano, dopo le vicende della guerra, sono stati restituiti dal Governo degli Stati Uniti d’America a quello italiano con determinate condizioni circa il servizio loro fino al 31 dicembre 1948.

Il Conte Grande, appartenendo in origine alla Società Italiana di Genova, è stato avviato al porto di Genova dove già si trova da parecchie settimane.

Il Conte Biancamano, pur essendo iscritto alle matricole del Compartimento marittimo di Genova, perché in origine di pertinenza della società «Lloyd Sabaudo», aveva la sua sede naturale a Trieste essendo passato in proprietà del «Lloyd Triestino» di Trieste.

Entrambi i piroscafi, che durante la guerra furono adibiti dagli americani come trasporti militari, hanno ora bisogno di ingenti lavori di ripristino per i quali occorre predisporre il relativo finanziamento di rilevante entità da parte dello Stato.

Le previsioni si aggirano sui tre miliardi di lire per ciascuno. Una volta che siano stati decisi in senso affermativo tali lavori, sarà necessario indire una gara fra i vari cantieri nazionali per determinare la migliore offerta sotto il punto di vista tecnico e finanziario. Intanto, mentre il Biancamano era ancora in viaggio di ritorno in Italia, sono sorte contestazioni fra Genova e Trieste circa la definitiva destinazione della nave. Da parte di Genova la contestazione è stata promossa soltanto dai marittimi iscritti al turno particolare di Genova del «Lloyd Triestino», che si sono messi in agitazione perché, da lungo tempo disoccupati, speravano con l’arrivo del Conte Biancamano in Genova di poter usufruire di un turno di imbarco.

A tale riguardo è da tenere presente che, perché la nave possa riprendere il servizio di linea e quindi imbarcare un equipaggio completo, cioè tale da alleviare l’attuale crisi di disoccupazione di quei marittimi genovesi del «Lloyd Triestino», dovrà forzatamente passare un lungo periodo. È da premettere ancora che sopra una nave in lavori di riparazioni viene di regola imbarcato un piccolo numero di marittimi che non partecipa ai lavori stessi, che sono di esclusiva competenza degli operai dei cantieri, ma effettua le cosiddette «comandate» per sorveglianza interna, pulizia, difesa antincendi. Quindi passando il Conte Biancamano in lavori di ripristino quando saranno finanziati e decisi, solamente poche decine di marittimi potrebbero trovare in tal modo occupazione. Ma va tenuto conto che nel frattempo, in attesa di ogni decisione, la nave dovrebbe mettersi in disarmo, restando a bordo soltanto il nucleo essenziale per la custodia e la sicurezza della nave. E pertanto il numero dei marittimi del «Lloyd Triestino» dimoranti a Genova, che potrebbe avvicendarsi, sarebbe pur sempre minimo e tale, comunque, da non influire effettivamente sulla attuale dolorosa loro disoccupazione.

D’altra parte, invece, onorevoli colleghi, nel settore di Trieste le maestranze di quei cantieri e quei marittimi, che contano larghe masse di disoccupati, considerando che sono stati affidati a Genova i lavori di grandi unità appartenenti a Trieste – come il Vulcania e il Gerusalemme – e che a Genova si trova il Conte Grande, hanno reclamato perché il Conte Biancamano sia inviato a Trieste.

In vista di tali contrastanti richieste, il Ministero della Marina mercantile, tenendo presente soprattutto che nulla è stato ancora deciso per i lavori di ripristino delle due navi, onde lasciare impregiudicata la questione, ha ritenuto di ordinare che il Conte Biancamano facesse scalo a Messina e lì si mettesse in disarmo in attesa delle definitive decisioni circa il cantiere che assumerà i lavori di ripristino. E ciò tenuto anche presente che recenti esperienze ammoniscono che, una volta che una nave approdi in un porto per riparazioni e che tale porto disponga di cantieri capaci di effettuarle, è molto difficile inviarla altrove, date le proteste e le agitazioni delle maestranze locali.

I marittimi di Genova del «Lloyd Triestino», insistendo nella loro richiesta che il Conte Biancamano sia inviato a Genova, hanno proposto che in sostituzione del Conte Biancamano venga da Genova inviato a Trieste il Conte Grande. La proposta non può essere presa in considerazione perché, per dare occupazione a poche decine di persone, in sostituzione di altre della medesima società, si dovrebbe, in modo antieconomico ed illogico, disporre lo spostamento di due grandi navi dalle loro sedi naturali.

Concludendo, l’agitazione dei marittimi del «Lloyd Triestino» dei turni di Genova, non ha consistenza materiale, per la limitatissima entità dello spostamento della disoccupazione e della occupazione che il reclamato invio a Genova del Conte Biancamano potrebbe produrre.

Per quanto riguarda personalmente me, considerino gli onorevoli colleghi interroganti, che io debbo astrarre, come Ministro della marina mercantile, dalla mia qualità di ligure e non posso lasciarmi influenzare da pressioni locali che provengono dalla Regione che tanto mi è cara.

D’altra parte, mai come in questo momento potrei prescindere dal considerare la situazione dei lavoratori del settore di Trieste, togliendo ad essi la speranza che, in una gara per i lavori del Conte Biancamano, possano questi venire affidati agli impianti della loro Regione.

Sono, del resto, confortato dall’adesione al mio punto di vista della Confederazione Generale del Lavoro, la quale, comunicando un telegramma della Camera del lavoro di Trieste per l’assegnazione a quel settore del Conte Biancamano, mi ha pregato di tenere in tutta considerazione le aspirazioni dei lavoratori triestini.

PRESIDENTE. L’onorevole Faralli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

FARALLI. Le spiegazioni che ha date l’onorevole Ministro della marina mercantile, se possono apparentemente essere soddisfacenti, nella loro realtà non lo sono. Non lo sono per due ragioni: prima di tutto – me lo permetta l’onorevole Ministro – si erra quando si afferma che il Conte Biancamano appartiene al Compartimento di Tieste, perché il Conte Biancamano è stato passato al compartimento di Genova nel gennaio 1937, quindi il Conte Biancamano – di fatto e di diritto – appartiene al Compartimento di Genova.

Ora, è anche da rilevare che la Società «Lloyd Triestino» – che fa parte del gruppo Finmare, e quindi dovrebbe essere di interesse generale e collettivo, interesse cioè di tutta la Nazione potenziare, come le altre società che sono state potenziate nei modi che lo Stato ha potuto – il «Lloyd Triestino» che ha sede a Genova, non ha avuto nessuna nave; mentre alla sede di Trieste sono state trasferite tutte le navi finora affidate al «Lloyd» stesso, sia per i lavori che per l’armamento, dal che deriva che la sede di Genova del «Lloyd Triestino» ha una larga aliquota di disoccupati che non ha potuto in alcun modo sistemare presso nessuna nave.

Ma il Ministro della marina mercantile ci avverte che il Conte Biancamano deve trovare il suo naturale posto di adattamento a Trieste; ora noi possiamo replicargli che, secondo la legge, il suo posto naturale è Genova e non Trieste, perché se è vero che i lavoratori triestini hanno pur diritto alla nostra considerazione – voi comprendete bene che io non sono qui né per difendere in particolare i diritti dei lavoratori triestini né in particolare i diritti dei lavoratori di Genova, ma sono qui per difendere unicamente gli interessi di tutta la comunità italiana e quindi di tutti i lavoratori – noi dobbiamo però obbiettivamente considerare che tutte le navi assegnate fino a questo momento al Lloyd Triestino sono state sempre dirottate, sono sempre state riparate e armate a Trieste, il che significa, per i colleghi che non hanno conoscenza di tal genere di cose… (Commenti)

Voci. Lo sappiamo.

FARALLI. …significa provvederle di tutto il necessario in fatto di rifornimenti e di equipaggio.

Ora, l’unico piroscafo del «Lloyd Triestino» che era stato destinato a Genova, si vede, invece, all’ultimo momento, in seguito ad una decisione non del Governo, ma ad una decisione del direttore generale, che è uno dei tanti fratelli Cosulich che tutti conosciamo – mentre il comandante del piroscafo aveva già telefonato al dipartimento di Genova di preparare anche i mezzi necessari per pagare l’equipaggio – all’altezza di una isola che si trova non molto a nord della Sicilia, si vede invece, dicevo, in seguito a una decisione del capitano Cosulich, dirottato per Trieste.

L’equipaggio si ribellò, non già per senso di insubordinazione, ma perché era già stato stabilito che la nave dovesse far rotta per Genova. Attualmente la nave si trova in disarmo a Messina. Ora io faccio presente all’onorevole Ministro della marina mercantile che le ragioni di lavoro da lui addotte non possono sussistere quando gli stessi lavoratori di Genova e gli stessi impiegati del «Lloyd Triestino» dicono che, al posto del Conte Biancamano, potrebbe essere trasferito a Trieste il Conte Grande.

È ben vero che il Ministro afferma esser difficili ad effettuarsi tali spostamenti; ma vi è un’altra considerazione cui l’onorevole Ministro non ha fatto cenno e che mi sembra non poco grave anche dal punto di vista politico, ed è che a Trieste si sta costituendo una società di navigazione internazionale per iniziativa del direttore generale del «Lloyd Triestino», capitano Cosulich. Questa società internazionale dovrebbe sostituire l’organizzazione del «Lloyd Triestino» e quindi accaparrarsi le navi che ad esso appartengono.

Ora, tutte le quattordici navi del «Lloyd Triestino» sono oggi a Trieste; il solo transatlantico Conte Biancamano non è a Trieste. Il Conte Biancamano avrebbe dovuto andare a Genova. Ebbene, se noi permettiamo che anche il Conte Biancamano sia dirottato alla volta di Trieste, noi commettiamo due ingiustizie. La prima ingiustizia è quella di trascurare completamente il compartimento di Genova; la seconda ingiustizia, che domani potrebbe nuocere non poco all’Italia, è quello di far sì che la società internazionale, che si sta costituendo a Trieste per iniziativa del capitano Cosulich e che dovrà assorbire il «Lloyd Triestino», potrà domani, attraverso una delle tante interferenze di carattere internazionale, rimanere a Trieste a disposizione della nuova compagnia; se invece noi a Trieste trasferiamo il Conte Grande che appartiene ad una società completamente italiana, con sede a Genova, qualunque possano essere gli eventi di questa costituenda società internazionale, il Conte Grande dovrebbe egualmente essere restituito.

Questa è una ragione politica che l’Assemblea, onorevoli colleghi, non può trascurare, e di cui non può non tener conto. Ed è per questo che rinnovo, a nome dei colleghi interroganti, la preghiera all’onorevole Ministro di voler considerare la situazione non soltanto dal punto di vista sotto il quale egli l’ha considerata, ma da un punto di vista più generale, tenendo conto delle esigenze del personale del «Lloyd Triestino»; tenendo conto delle esigenze che ha il porto di Genova anche nei riflessi, onorevoli colleghi, del movimento passeggeri per l’America. Oggi questo movimento in gran parte è fatto con navi che hanno altre bandiere che non la bandiera italiana, anche se gli armatori sono italiani. Non entro nel merito; in altra occasione l’argomento verrà esaminato a fondo. Ma, se noi abbiamo sottomano ora un transatlantico, che è una delle nostre migliori navi, un transatlantico che, riparato opportunamente – e bisogna ripararlo, bisogna che il Governo faccia questo sacrificio, altrimenti noi andiamo soltanto ad arricchire quei famosi armatori liberi che sotto l’usbergo delle bandiere americane delle repubbliche del Sud, stanno trasferendo tutto il nostro lavoro di trasporti con le Americhe sotto altre bandiere che non sono la bandiera italiana – sarà un bene strumentale di grande valore pratico e morale; perché fargli correre dei rischi, fargli correre dei pericoli? Il Conte Biancamano, trasferito a Genova – sua sede naturale – può rappresentare un elemento di ravvivamento dei nostri rapporti con le Americhe; ma soprattutto il Conte Biancamano, tenuto a Genova, ci dà l’assicurazione che nessuna compagnia internazionale, qualunque siano gli interferimenti dei Governi stranieri, potrà sottrarlo alla marineria italiana, che in questo momento, onorevole Ministro, è marineria della collettività italiana, in quanto la «Finmare» non è uno strumento privato ma è un bene strumentale della collettività italiana: e noi abbiamo il dovere di difenderla, non soltanto da questo banco come socialisti, ma abbiamo il dovere di difenderla soprattutto come italiani. (Applausi a sinistra).

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Mi sembra che l’onorevole interrogante stia battendosi contro i mulini a vento.

FARALLI. Tutt’altro!

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Assicuro l’onorevole Faralli, che la situazione è stata esaminata dal Ministero della marina mercantile non sotto un ristretto punto di vista, ma da un punto di vista generale, come egli ha invocato. D’accordo con lui, non ho negato che il Conte Biancamano appartenga al Compartimento marittimo di Genova; anzi, ho detto che è iscritto a detto Compartimento, perché originariamente era del «Lloyd Sabaudo», e quando fu costituita la «Finmare», il Conte Biancamano è stato attribuito al «Lloyd Triestino» di Trieste mentre il Conte Grande è rimasto alla Società «Italia» di Genova.

Non è nemmeno esatto – e questo desidero che sia affermato e rilevato – che l’equipaggio si sia ribellato.

FARALLI. Non si è ribellato…

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Lo ha detto lei! Ma io nego che l’equipaggio del Conte Biancamano si sia ribellato ai suoi superiori. (Interruzioni a sinistra).

FARALLI. Non l’ho detto; ho chiarito il significato. (Interruzioni dell’onorevole Malagugini).

PRESIDENTE. Onorevole Malagugini, lasci che parli l’onorevole Faralli.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Ha affermato l’onorevole Faralli che una compagnia di navigazione di carattere internazionale si starebbe costituendo a Trieste, per accaparrare le navi del «Lloyd Triestino». Un riserbo naturale e doveroso mi impedisce qui di precisare quale potrà essere la condizione della nostra marina e dei nostri marittimi dello Stato libero di Trieste, e quali saranno per essere le nostre decisioni nell’interesse della marina mercantile nazionale. Posso da questo punto di vista tranquillare, sotto la mia responsabilità, l’Assemblea Costituente.

Del resto, replicando in tema del preteso pericolo che l’onorevole Faralli ha richiamato all’attenzione dell’Assemblea, che cioè, andando a Trieste, il Conte Biancamano possa essere accaparrato da questa ipotetica e fantomatica compagnia di navigazione internazionale, osserverò semplicemente che io non l’ho mandato a Trieste e non lo manderò a Trieste finché non sia chiarita la situazione eventuale. Io l’ho fermato a Messina e l’ho messo in disarmo a Messina.

FARALLI. L’ha fermato il capitano Cosulich a Messina e non il Governo!

CAPPA, Ministro della marina mercantile. Ripeto che sono stato io a mandarlo a Messina; e che è stato ivi fermato per ordine del Ministero della marina mercantile! E l’ho fermato a Messina anche in considerazione di non pregiudicare in nessun modo la risoluzione del contrasto che è sorto fra i marittimi di Genova e gli operai del settore triestino.

Faccio in proposito presente che oltre ai Cantieri di Trieste esistono in quel settore anche i Cantieri di Monfalcone, che restano compresi nella zona italiana al di qua dei confini stabiliti dal Trattato.

Mi sembra ingiusto e devo rettificare quello che ha affermato l’onorevole Faralli a carico di armatori liberi italiani. Egli ha affermato che gli armatori liberi – o una parte di questi – stanno trasferendo il nostro naviglio sotto bandiera estera. È questa una accusa veramente ingiusta che l’onorevole Faralli, il quale vive a Genova, non avrebbe dovuto portare dinanzi a questa Assemblea.

Io affermo che gli armatori liberi italiani stanno facendo uno sforzo magnifico, tenace, generoso per ricostruire la nostra marina mercantile. Essi hanno diritto al rispetto di tutti, anche di coloro che politicamente possono essere loro avversari.

La verità è che oggi non abbiamo navi di linea sufficienti per il trasporto dei passeggeri e quindi dobbiamo utilizzare tutte le navi che possono essere a nostra disposizione. Vi sono navi straniere che effettuano il trasporto passeggeri dal Sud-America, ma tutte quelle navi che è stato possibile utilizzare sono state rapidamente restituite in efficienza, ed altre stanno restituendosi in efficienza per lo sforzo di questi armatori e dei nostri cantieri grandi e piccoli. Naturalmente, vi sono anche navi estere che eseguono questo traffico, come del resto facevano in passato. Io dico all’onorevole Faralli e vorrei dire ai marittimi che risiedono a Genova una parola di tranquillità e di calma. Il Governo non vuole usare ingiustizia a nessuno, e tanto meno personalmente io che sono ligure di nascita, di consuetudine e di affetti; ma in realtà è mio dovere, quando agisco come Ministro della marina mercantile, trattare la questione dal punto di vista degli interessi nazionali: e non posso pertanto obliterare quelle che sono le aspirazioni delle masse lavoratrici di Trieste e di Monfalcone, sulle quali la disoccupazione grava oggi certamente non meno che su quelle di Genova, come del resto l’invito della Confederazione generale del lavoro – rivolto a me – ne fa attestazione. (Applausi).

FARALLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Per quale ragione? L’interrogante può dire se è soddisfatto oppur no. Non c’è possibilità di aggiungere altro. Se mai lei ha sempre la possibilità di presentare nuove interrogazioni, o, informa più drastica, di presentare un’interpellanza al Governo.

Se lei chiede di parlare per chiarire parole o frasi da lei pronunciate, e che diedero luogo ad interpretazioni a suo giudizio non esatte nell’intervento del Ministro della marina mercantile, per questo scopo preciso posso darle ancora di parlare.

FARALLI. Io intendo chiarire di tutto quanto ho precisato, che cioè l’equipaggio si era ribellato all’ordine di trasferirsi a Trieste, ma non ho inteso dire che la ribellione voleva significare quello che normalmente questa parola significa, e cioè rivolta. Volevo dire che il Comandante ha telegrafato alla sede del «Lloyd Triestino» precisando che se il piroscafo non si fosse fermato a Messina e avesse dovuto proseguire per Trieste, l’equipaggio non lo avrebbe trasferito a Trieste. Ci sono telegrammi che lo confermano e l’onorevole Ministro della prima marina non lo può contestare.

D’altra parte io intendo precisare che la cosiddetta fantomatica «Società di navigazione internazionale» si sta costituendo a Trieste sotto gli auspici del capitano Cosulich, direttore generale del «Lloyd Triestino», il quale «Lloyd Triestino» è un bene italiano perché fa parte della «Finmare».

Ora, per quanto si riferisce alla mia affermazione, che molto lavoro di trasferimento da Genova all’America viene fatto sotto bandiera straniera, questo è un fatto e l’onorevole Ministro della marina non mi può contestare che armatori genovesi e non genovesi hanno comprato delle navi dando loro bandiera panamense. Ciò può rispondere ad un piano di opportunità nei confronti degli alleati; sarà fatto per ragioni fiscali; io non lo so: la realtà è questa e nessun Ministro della marina mercantile può contestarla o smentirla. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Faralli, la prego di concludere. Ho detto poco fa che se lei intendeva chiarire un equivoco sorto a proposito di una sua frase, le davo la parola. Ma non le posso concedere di rientrare nel merito.

FARALLI. Allora in sede di processo verbale completerò il mio pensiero.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Avverto che domani si terranno due sedute, alle 10 e alle 16.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se è nelle intenzioni del Governo emanare provvedimenti di legge per riparare il danno economico sofferto dagli impiegati statali, nonché da quelli degli Enti locali, dispensati dall’impiego per motivi politici durante il regime fascista e poscia riassunti in servizio. E ciò anche in considerazione che agli ex-fascisti prima epurati e poi riammessi negli impieghi, viene corrisposto l’intero trattamento economico per il periodo di tempo durante il quale sono stati assenti dal servizio.

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e degli affari esteri, sull’azione che si intende svolgere a protezione delle flottiglie pescherecce italiane, che vengono – secondo notizie raccolte dalla stampa – arbitrariamente sequestrate e rapinate da mezzi armati della marina jugoslava dentro il limite delle nostre acque territoriali ed in ispregio del diritto delle genti.

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere so non ritenga opportuno accogliere il voto formulato dall’Associazione inquilini dell’Istituto nazionale case economiche e popolari di Messina:

  1. a) perché sia revocato il disposto dell’articolo 2 del regio decreto-legge 21 agosto 1940, n. 1289, col quale venne annullato il beneficio già concesso ai messinesi disastrati dal terremoto del 1908 di acquistare a scomputo gli appartamenti ad essi assegnati;
  2. b) perché sia ammesso nel Consiglio di amministrazione un rappresentante della suddetta Associazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere i motivi per i quali le ferriere non hanno ancora consegnato al Genio civile ed all’Istituto delle case popolari di Messina il quantitativo di ferro tondino per cemento armato, già assegnato dal Ministero competente; e per conoscere altresì quali provvedimenti il Ministro intende disporre per impedire che la sospensione dei lavori, già in atto in molti cantieri per mancanza di ferro, si estenda a tutti i cantieri della città e della provincia con gravissimo danno della ricostruzione e della maestranza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fiore».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le cause che ritardano la ricostruzione del tronco ferroviario Pergola-Fermignano della linea Fabriano-Urbino, e quali provvedimenti siano in corso o si intenda sollecitamente adottare per rimuoverle. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Molinelli, Ruggeri Luigi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga giusto e opportuno di prorogare il termine della presentazione delle domande per il concorso per titoli a posti di preside e direttore di istituti medi, termine che dovrebbe scadere il 10 ottobre prossimo.

«Sembra giusto che tale termine sia prorogato sino all’espletamento del concorso per soli titoli a cattedre di istituti medi, perché, per ovvii criteri di equità, possano parteciparvi anche coloro che, pur appartenendo al ruolo inferiore, sono stati presidi reggenti di istituti medi di secondo grado e che, per idoneità precedentemente conseguita, hanno partecipato all’accennato concorso testé bandito per soli titoli a cattedre di istituti medi di secondo grado.

«Questo per i seguenti motivi:

1°) perché il concorso per capo d’istituto non potrà essere espletato subito e, conseguentemente, i vincitori non potranno essere sistemati all’inizio del prossimo anno scolastico;

2°) perché si verrebbero a danneggiare coloro che essendo stati presidi reggenti, e non incaricati, in momenti difficili della vita nazionale, ed avendo sopportato non lievi sacrifici di ordine morale e materiale, si vedrebbero preclusa la possibilità attuale di partecipare al concorso per soli titoli a posti di capi di istituto, e la possibilità di essere in seguito sistemati, dato il numero rilevante di posti direttivi messi a concorso. (L’interrogante chiede la risposta Scritta).

«Schiavetti».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.5.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Interrogazioni.
  2. Discussione dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli accordi commerciali e di pagamento stipulati a Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 24 novembre 1945. (18).

Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e revisione annuale delle liste elettorali. (16).

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

MARTEDÌ 9 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXII.

SEDUTA DI MARTEDÌ 9 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Commemorazioni:

Presidente

Caronia

Pieri

Nasi

La Rocca

Mastrojanni

Bernamonti

Bonomelli

Bellavista

Persico

Bulloni

Cianca

Scelba, Ministro dell’interno

Congedi:

Presidente

Comunicazioni del Presidente:

Presidente

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Risposte scritte ad interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Fuschini

Scelba, Ministro dell’interno

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Lussu

La Rocca

Annunzio di una mozione:

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Nenni

Mazza

Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta pomeridiana del 30 luglio 1947.

(È approvato).

Commemorazioni.

PRESIDENTE. Ben due nomi, devo oggi, a triste inizio della, ripresa dei nostri lavori, pronunciare, poiché due colleghi nostri sono stati, per morte improvvisa, sottratti in uno e per sempre alla dolce intimità dei loro focolari ed al fervido pulsare della nostra vita nazionale.

Il 6 agosto si spegneva infatti a Roma, dopo una brevissima violenta infermità, il collega onorevole professore Diego D’Amico, Alto Commissario aggiunto per l’igiene e la sanità pubblica. Pervenuto all’esercizio della funzione parlamentare da una attività scientifica e professionale, che aveva dato già chiara fama al suo nome come valente studioso e pubblicista e come apprezzato docente universitario, egli rappresentava nella Costituente il collegio della Sicilia occidentale. Pieno di fervore appassionato per la medicina in genere e la scienza oculistica in particolare, aveva fatto del più valido ordinamento sanitario del Paese il tema di una assidua, perseverante indagine che per più di un venticinquennio diede fra l’altro frutto di numerosi scritti anche polemici, e di utili iniziative. La sua particolare formazione spirituale e morale lo aveva poi sospinto a ricerche più difficili e sottili in rami connessi oltre che alla medicina, e cioè ai fenomeni più direttamente legati alla vita materiale, anche ai più misteriosi processi della psicologia.

La stessa passione operosa l’onorevole D’Amico portò nell’Assemblea Costituente, facendosi fra l’altro promotore del Gruppo parlamentare medico, del quale era autorevole Segretario; e la imprevedibile immaturità della sua scomparsa (era nato nel 1895) rende più vivo il nostro compianto e più doloroso il lutto dell’Assemblea.

Non meno profondi il rammarico ed il cordoglio per la scomparsa del collega onorevole avvocato Aldo Caprani, anch’egli – appena quarantottenne – abbattuto con crudele repentinità dalla morte nella notte dell’11 agosto a Brescia. Dopo essere stato nella guerra 1915-18 soldato valoroso, sospinto poi dal maturare dei tempi e dal suo vivo sentimento di umana comprensione verso le classi diseredate, non poteva non essere e fu nobile combattente della libertà e della giustizia sociale. Per questo, nei tempi del trionfo pieno del regime obbrobrioso, egli conobbe i rigori polizieschi, l’esilio, l’internamento in terra straniera. La guerra di liberazione lo trovò fra le schiere della resistenza, nei primi gruppi partigiani del bresciano, tra i valorosi combattenti della 54a Brigata Garibaldi, Commissario interdivisionale di guerra.

Uomo dagli entusiasmi generosi ed oratore appassionante, anche per queste sue doti era stato prescelto dagli elettori di Brescia quale loro rappresentante nell’Assemblea Costituente. E questa si unisce oggi ad ogni altro che lo ebbe caro per compiangerne la scomparsa ed onorarne il ricordo. (Segni di generale consenso).

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. Onorevoli colleghi, a nome del Gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana e del Gruppo parlamentare siciliano, dirò brevemente di Diego D’Amico, così immaturamente ed improvvisamente scomparso.

È assai triste per i più vecchi commemorare i più giovani, ed è specialmente penoso per me, che ebbi il D’Amico allievo, collega, collaboratore prezioso, amico fraterno.

Tutti noi ricordiamo Diego D’Amico, sempre presente in quest’Aula, sempre pronto ad intervenire in tutte le questioni di carattere sanitario, sempre giovialmente accogliente verso i colleghi, che a lui ricorrevano per consigli o per favori. E lo ricordiamo specialmente noi del Gruppo medico-parlamentare, che lo abbiamo avuto attivissimo segretario ed animatore.

Non dirò per brevità della sua promettente giovinezza. Egli, dopo avere compiuto brillantemente gli studi classici, si indirizzò verso la scienza medica, attrattovi dal suo amore per la ricerca scientifica e dal suo alto senso umanitario. Nel 1915 entrò come studente di medicina nell’Università di Palermo. Ma gravi eventi distolsero ben presto il D’Amico dagli studi. L’Italia entrava in guerra per la difesa delle idealità democratiche e per la riconquista dei suoi territori ancora in mano allo straniero. Il D’Amico accorse a dare l’opera sua, non nelle comode retrovie della sanità, ma tra i combattenti, volontario come ufficiale di fanteria. Fu ferito nel maggio del 1916 davanti a Gorizia e per il suo valore fu decorato della Croce di guerra al merito.         .

Compiuto questo suo primo dovere verso la Patria, il D’Amico riprese con ardore i suoi studi prediletti e nel 1920 conseguì brillantemente la laurea in medicina presso l’Università di Roma. Entrò immediatamente nella scuola del grande Maestro dell’oculistica Giuseppe Cirincione, che del giovane D’Amico aveva già apprezzato le doti non comuni. In quella vera fucina di studi, sotto la guida di tanto Maestro, il D’Amico ben presto ebbe a distinguersi e rapidamente da semplice assistente assurse nel 1925 al grado di aiuto, conseguendo nello stesso tempo la libera docenza per titoli ed il grande premio nazionale di oculistica. In quel periodo la sua produzione scientifica fu varia e notevole, facendo prevedere in lui uno dei futuri maestri dell’oculistica. Purtroppo in quel momento avvenne qualche cosa che doveva stroncare la carriera del giovane studioso e la vita del suo Maestro. Eravamo, come ricordate, in un triste periodo, eravamo nel periodo torbido del delitto Matteotti, quando il fascismo, buttata la maschera, procedeva inesorabilmente alla soppressione sistematica dei suoi avversari, non più materialmente, perché la prova Matteotti si era dimostrata pericolosa, ma moralmente; gli uomini d’intelletto furono l’obiettivo preferito.

L’Università, fino a quel momento, aveva resistito alla dittatura. Bisognava flettere la resistenza degli universitari. Un numero trascurabile di professori aveva piegato ai servizi della dittatura. Alla Minerva, alla dura ma per lo meno intelligente dittatura del Gentile, era subentrata la vile servitù del Fedele, che aveva chiesto l’onore di occupare nel fascismo il posto lasciato vacante dalla morte del povero Casalini. Imperava nel partito Farinacci, che dava gli ordini di colpire senza pietà gli universitari, e Fedele colpiva.

Tra i designati alla soppressione morale erano in prima linea il Cirincione e chi vi parla. L’ordine era di colpire a qualunque costo questi due professori che non piegavano. Ripeto, non potendo procedere alla soppressione materiale e nemmeno alla soppressione legale – perché vigeva ancora la legge sulla inamovibilità dei professori – si tentò di sopprimerci moralmente. Quindi denunzie, inchieste, sospensioni ed altro. Figuratevi che il Cirincione era accusato di essersi appropriato dei fondi della clinica, dei miseri fondi della clinica (allora la dotazione era di poche migliaia di lire!) per la quale egli aveva profuso non soltanto i tesori della sua intelligenza, ma anche quelli del suo ben fornito portafoglio.

Il sottoscritto era accusato anch’egli di peculato per aver permesso ai suoi assistenti di guardia di prender parte ai pasti nella clinica a loro spese!

Queste erano le accuse, che funzionari e giudici e ministri non ebbero vergogna di prendere in considerazione perché bisognava dimostrare che eravamo ladri, assassini, incapaci, per evitare la reazione del mondo culturale.

In questo triste frangente il giovane D’Amico restò vicino ai suoi Maestri. Mi permetto qui rivelare un episodio che ancora ci dirà quale fosse il cuore di questo giovane collega che ci è venuto oggi a mancare.

Egli, di spirito veramente antifascista, pensò di iscriversi al fascismo per cercare di conoscere i piani che si preparavano per colpire i suoi Maestri, per tentare di sventarli, per esplicare più efficace opera di difesa dei suoi Maestri. Tra le carte del povero D’Amico probabilmente si troverà una mia dichiarazione nella quale, venuto a conoscenza del suo gesto, scrivevo che il D’Amico, conservando il suo spirito nettamente ribelle alla dittatura, era ricorso alla finzione di inchinarsi alla dittatura per poter difendere i valori morali che si tentava offuscare.

Certamente l’opera generosa fino al sacrificio dovette essere di giovamento ai suoi calunniati Maestri, i quali riuscirono a dimostrare la loro integrità morale, la loro dirittura scientifica, e vinsero contro la forza bruta del fascismo. Ma vinsero soltanto moralmente, perché la dittatura non rinunziò alla sua preda. Fallito il tentativo di soppressione morale, la lotta assunse il suo vero carattere politico ed, in mio onore, venne abrogata la legge della inamovibilità dei professori, per cui chi vi parla fu colpito dal trasferimento e privato per lungo tempo della sua attività scientifica e morale con la distruzione di una fiorente scuola, ed il Cirincione, prima che dal trasferimento, venne colpito dalla morte, contro la quale non volle difendersi. Alla memoria del grande Maestro vada un riverente pensiero in quest’Aula, che Egli per molti anni onorò della sua presenza, in cui spesso risuonò la sua sapiente parola. (Approvazioni).

Dopo questo tristissimo episodio, il D’Amico, privato del suo Maestro, allontanato dalla sua scuola, espulso dal fascismo che non doveva tardare a scoprire la sua manovra, non si perdette di animo, e sostenuto dalla sua fede nel bene e dalla sua passione scientifica, lasciò Roma ed andò a prestare il suo servizio nell’Ospedale psichiatrico di Palermo. Qui intraprese altra opera. Il D’Amico, non era solamente un valoroso ricercatore, ed un provetto clinico, era anche un cultore di scienze sociali, economiche e storiche. Assunse in quel periodò la redazione della rivista Cultura medica moderna e dalle pagine di questa rivista condusse un’attiva campagna di indole sanitaria e sociale, che doveva preludere all’attività dell’ultimo recente periodo.

Quando avvenne il crollo del fascismo il D’Amico, che intanto era rientrato a Roma, uscì dall’ombra in campo aperto per mettersi a servizio del Paese.

Fu tra i primi ad accorrere nelle file della Democrazia cristiana e gli elettori di Sicilia, che ben conoscevano i suoi meriti, lo mandarono a questa Assemblea.

Della Sua attività in questa Assemblea io non vi dirò, perché tutti ne siete testimoni. Vi dirò soltanto che, come ha detto il nostro Presidente, Egli volle, fin dal primo giorno, che sorgesse un Gruppo medico parlamentare, Gruppo che ben presto con la cordiale adesione di tutti i colleghi, venne formato, diventando la vera espressione del corpo sanitario italiano in seno alla Costituente.

Del Gruppo, per unanime volontà dei suoi componenti, Egli divenne il segretario e fu il vero animatore. Una sola voglio citare delle iniziative del Gruppo sotto la spinta del D’Amico, quella del referendum presso tutta la classe medica italiana per preparare la riforma sanitaria, referendum che ha dato veramente risultati preziosi e che è la prima dimostrazione di quanto si possa fare con una stretta collaborazione fra il centro e la periferia. Un materiale preziosissimo, fatto di esperienza e di scienza, è stato in brevissimo tempo raccolto, materiale che riuscirà certamente di grande vantaggio per raggiungere quella sana organizzazione sanitaria che attende il nostro Paese. Per compiere in breve tempo questa impresa, per venire incontro ai bisogni della classe sanitaria, per meglio studiare le condizioni sanitarie del Paese, il D’Amico percorse in breve tempo quasi tutta l’Italia, senza risparmiarsi fatiche e sacrifici e certamente questa sua eccessiva attività non deve essere estranea al precipitare delle sue condizioni di salute, all’affrettare la sua fine, che possiamo considerare la morte sul campo.

Egli, da poco, per questa sua grande attività, per le prove di capacità e competenza, era stato chiamato all’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità, dove, insieme al collega dottor Perrotti, aveva intrapreso un’opera assai proficua in servizio del Paese, e si cominciava già a sentire l’influenza benefica dell’opera sua, quando la triste Parca, che infierisce sui migliori, recideva il filo della sua vita.

Oggi la classe sanitaria italiana piange unanimemente la sua dipartita, perché vede scomparire dall’agone uno dei suoi più validi campioni, uno dei più valorosi militi della difesa sanitaria del Paese.

Ma la fiamma accesa dal D’Amico è ancora viva. I colleghi, pur sbigottiti ed affranti, raccolti intorno alla sua memoria, sono fermamente decisi a continuare e completare l’opera con lui iniziata facendo proprio il motto che un giovane artista scrisse un giorno sotto l’immagine marmorea del D’Amico: «L’uomo vale per quel che sa rendere all’umanità». Per quello che il D’Amico ha reso all’umanità il suo ricordo resterà imperituro fra di noi. (Applausi).

PIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERI. Onorevoli colleghi! L’onorevole Diego D’Amico, che con calda e commossa eloquenza hanno commemorato il Presidente Terracini ed il professor Caronia, era Segretario del Gruppo medico parlamentare, che ha designato me a rievocarne il ricordo.

Diego D’Amico era l’anima del Gruppo medico parlamentare ed aveva la mentalità del costruttore: ne aveva l’originalità e l’entusiasmo, la sagacia e la tenacia. Sua fu l’idea, sua e del collega Giuseppe Alberti (che, eletto alla Costituente, poi si dimise) di riunire i medici in un Gruppo parlamentare, in modo che, spogliandosi di ogni spirito di parte, dessero il loro contributo alla soluzione del problema grave e indilazionabile della riforma sanitaria.

Diego D’Amico analizzò gli elementi di questo problema e li affidò per lo studio alle commissioni in cui aveva suddiviso il Gruppo medico parlamentare.

Egli percorse per un anno in lungo e largo tutta l’Italia, per poter portare la parola del Gruppo medico parlamentare tra i medici e rinunziò anche al suo riposo domenicale, per poter convocare i medici nei capoluoghi di provincia, sottoporre loro problemi della riforma sanitaria e spronarli a studiarli.

Nel marzo scorso, essendosi reso libero il posto di Alto Commissario aggiunto alla sanità, fu nominato Diego D’Amico. Mai scelta fu più indovinata. Egli era veramente, come dice una frase inglese, «l’uomo adatto nel posto adatto».

Appena insediato – e in ciò è la riprova del suo talento di organizzatore – egli creò una commissione di studio che sceverasse tutti gli elementi del referendum indetto tra i medici italiani, li coordinasse e ne estraesse la soluzione per i singoli problemi.

Il mese scorso il Pensiero Medico pubblicò la prima parte del referendum indetto fra i medici italiani. Il nostro Collega non poté vedere pubblicata la seconda parte, perché la sera del 6 agosto la morte lo ghermì e lo atterrò a tradimento.

Davanti alla sua Salma, composta nell’augusta maestà della morte, l’animo nostro si ribellava all’idea che fosse spenta quella fiamma d’intelligenza, quell’ansia inesausta di azione, quell’ardore di generosità.

Nessuno di noi si sente degno di raccogliere la fiaccola caduta dalle mani di Diego D’Amico; ma tutti noi ci sentiamo impegnati a continuare ed a perfezionare l’opera sua. Ecco: il Corpus di principî, di direttive e d’azione è pronto e la prossima Assemblea Legislativa dovrà tradurlo in provvide leggi che porteranno l’Italia all’avanguardia delle conquiste igieniche e sanitarie.

Questa sarà la più efficace commemorazione che Diego D’Amico avrebbe potuto desiderare; sarà il monumento ideale che l’Assemblea Legislativa dedicherà alla memoria del collega così immaturamente scomparso. (Applausi).

NASI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NASI. A nome dei demolaburisti e quale rappresentante della circoscrizione occidentale della Sicilia, alla quale apparteneva Diego D’Amico, mi unisco alle parole commosse che sono state pronunciate alla memoria del Collega scomparso.

Ho visto Diego D’Amico sul suo letto di morte: conservava la stessa serenità che gli era consueta in tutti i momenti della sua vita privata e politica, di scienziato e di uomo, sicché il suo carattere gli faceva vedere molte miserie, anche politiche, con senso di obiettività e di serenità.

Ricordo i lunghi discorsi che egli mi faceva in tema di politica e in tema di costume politico; egli era veramente un uomo superiore. L’ho ammirato e l’ho amato; ora, in questo momento, rivolgo a lui un reverente saluto, al quale credo si associ unanime il sentimento della Camera, poiché egli fu, soprattutto, un amico di tutti. (Applausi).

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. A nome del Gruppo parlamentare comunista, mi associo al rimpianto e al cordoglio espresso per la perdita dell’onorevole D’Amico. Ricordo, qui, soprattutto, lo spirito che lo condusse nella lotta per la conquista delle libertà democratiche; l’amore che lo guidò nel consacrarsi alla causa di tutta l’umanità, per difenderla con la sua attività scientifica, dalle insidie e dalle percosse della sorte e del caso.

Credo che l’Assemblea Costituente onorerà in maniera degna la memoria di lui, cercando di tradurre in opere concrete lo spirito e l’amore del collega scomparso. (Applausi).

MASTROJANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTROJANNI. A nome del Gruppo parlamentare del Fronte liberale democratico dell’Uomo qualunque e mio particolare, mi associo alle nobili espressioni di esaltazione e di cordoglio che l’onorevole Presidente di questa Assemblea ha testé pronunziato per degnamente commemorare gli onorevoli colleghi D’Amico e Caprani, recentemente scomparsi.

Noi ricordiamo la loro vita breve, ma intensamente ed operosamente vissuta nel culto per la patria, nell’amore per la scienza, nel dovere per l’esercizio del mandato parlamentare. Ci inchiniamo reverenti per la loro scomparsa e conserviamo nel nostro cuore commosso il ricordo della loro vita illustre ed operosa. (Applausi).

BERNAMONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNAMONTI. A nome del Partito comunista, mi associo alle nobili parole del Presidente per la memoria del compagno e collega avvocato Aldo Caprani.

Egli, nato da una famiglia di piccoli proprietari, nella Val Camonica, nel 1899, non perseguì miraggio di maggiore ricchezza. La sua vita fu tutta improntata a disinteresse, a rinuncia, a modestia. Si può dire che egli ebbe l’amore, il culto della povertà, perché donò, e si lasciò persino spogliare, senza resistenza, di quelli che erano i suoi pochi beni. Questa sua profonda umanità ebbe senza dubbio una parte notevole nella sua attività politica. Egli, dopo aver partecipato valorosamente alla prima guerra mondiale e averne visto gli orrori, e dopo aver vissuto le sofferenze del popolo, si orientò verso il Partito socialista, a cui si iscrisse nel 1919. E nel 1924, durante il periodo successivo all’assassinio di Giacomo Matteotti, egli venne al Partito comunista. Egli intendeva combattere, insieme con tutti i compagni di questo partito, insieme con la classe lavoratrice italiana, senza alcuna rinuncia, senza alcun riguardo alle difficoltà del momento; e scelse quel partito che, anche nell’Aula parlamentare, in condizioni particolarmente difficili, contrastò al fascismo la sua albagia e gli rinfacciò i suoi delitti.

All’Università di Pavia Caprani fu compagno di studi di Ferruccio Ghinaglia, un grande martire della nostra idea; lo vide combattere in mezzo ai lavoratori della città e della campagna, con quell’ardore da apostolo che lo distingueva, e lo vide cadere a pochi passi da lui, sul ponte del Ticino, assassinato dai fascisti.

La violenza del fascismo imperante si abbatté anche fisicamente sopra di lui: fu più volte percosso, e nel 1926, dopo l’attentato di Bologna, fu ferito a Brescia. Nel 1931 assunse la responsabilità del partito per la provincia di Brescia. Sopravvennero le immancabili persecuzioni, per cui egli dovette emigrare, ed il suo esilio fu in Francia. Là sofferse la fame. Privo di quei mezzi che egli aveva largamente donato, dovette sottoporsi alle fatiche manuali più umili, ed il suo esilio in Francia si concluse poi, sotto il Governo di Pétain, col campo di concentramento.

Quando la giovane repubblica democratica spagnola fu attaccata dalla concentrazione fascista nazionale e internazionale, con la compiacenza di alcuni paesi, o per lo meno delle classi capitalistiche di alcuni paesi sedicenti democratici, Caprani varcò i Pirenei, perché voleva andare a combattere nelle file del popolo spagnolo, nelle file delle brigate internazionali; ma egli era già ammalato, il suo cuore era già assai debole, e la visita medica gli impedì di essere arruolato.

Dopo il 25 luglio 1943 rientrò in Italia, raccolse le prime file dei partigiani della sua provincia, divenne Commissario politico della 54a Brigata garibaldina e poi Commissario interdivisionale.

Svolse la sua opera specialmente in Valcamonica, in mezzo ai suoi contadini, in mezzo a quei montanari che, pur dissentendo da lui generalmente per le sue idee politiche, lo apprezzavano per il suo cuore e per la sua sincerità.

Nella vita egli fu solo, e fu solo anche per l’abbandono di persone vicine che preferirono lasciarlo isolato, allo sbaraglio, nella lotta.

Come avvocato egli fu valente, e fu soprattutto l’avvocato dei poveri e dei perseguitati.

Qui alla Camera fu un deputato taciturno. Io credo che la maggioranza di voi non l’abbia nemmeno conosciuto personalmente, malgrado che egli fosse qui a tutte le sedute. Parlò una volta sola dal suo banco, quando avverti i pericoli che il decreto-legge, che aboliva la disciplina sugli alloggi, costituiva per i meno abbienti, i quali, senza quella disciplina, sarebbero stati impossibilitati a trovarsi una casa; e l’esperienza immediata ha confermato la realtà delle sue previsioni.

La sua dedizione alla propria idea fu completa, totale. Egli non risparmiò nulla di se stesso. Ancora il 10 agosto egli tenne un grande comizio a Vestone e parlò per un’ora e mezza, entusiasmando una numerosa folla di ascoltatori. Quel comizio (mi è stato detto da chi vi assistette) fu veramente il suo canto del cigno. Egli si sentì male dopo aver terminato il discorso e voleva tornare immediatamente a Brescia; ma volle il caso che un bambino che stava per affogare, salvato in quel momento, avesse bisogno di essere trasportato d’urgenza all’ospedale vicino. Egli diede la sua macchina. Fu un’ora e mezza di ritardo nel suo ritorno a Brescia. Il bambino fu salvo, ma forse quel ritardo influì sulla morte del nostro carissimo compagno.

Ed egli tornò a casa. La mattina dopo, contrariamente alle sue abitudini mattiniere, non si alzò e fu trovato morto tranquillamente nel suo letto.

La costernazione della sua gente fu grande. In Valcamonica io ho parlato con sacerdoti, con insegnanti, con contadini, con uomini di qualsiasi pensiero politico: tutti unanimemente avevano un compianto ed un rimpianto per la triste ed improvvisa fine di Aldo Caprani. Il funerale fu una apoteosi: il popolo, dalle montagne, dalle valli, dalle città accorse unanime a dare l’ultimo saluto ad Aldo Caprani.

Il suo ricordo vive d’una vita attiva ancora e vivrà imperituro in mezzo alla sua gente. Egli fu uno di quei capi che sono capi per essersi fatti amare. Infatti seppe farsi amare da tutto il suo popolo.

Ebbe un grande rispetto per la religione della sua gente. Egli sostenne sempre quello che è anche nella linea politica del nostro partito, lealmente osservato: il rispetto delle coscienze, il rispetto della libertà dell’esercizio del culto in tutta la più larga espressione del termine, il rispetto per la religione.

Si è detto in questi giorni, da voce altamente autorevole che questa è un’ora di prova. Ciò solitamente coincide con l’ora del maggiore pericolo; l’ora di coloro che accorrono a combattere, per salvare una fede, per salvare qualche cosa che è prezioso all’umanità.

Il nostro partito, Caprani in prima fila, avverti già l’ora della prova, per la difesa della libertà, della dignità stessa della persona umana, per la difesa della libertà e dell’indipendenza della nostra Nazione; sentì l’ora della prova quando il fascismo, imperante con tutte le sue forze, soverchiava ogni anelito di libertà e combatté con tutto il suo fervore per vincere la prova. Riconosciamo tuttavia che ogni giorno della vita dei popoli ha la sua ora di prova; e anche oggi può essere l’ora della prova per il popolo italiano.

Io ritengo che questa sia l’ora della prova della buonafede democratica dei vari raggruppamenti politici che siedono in quest’Aula e che vivono la vita del nostro popolo. (Applausi).

BONOMELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMELLI. Il Partito socialista italiano si associa alle nobili parole di rievocazione della figura di Aldo Caprani, fatta dal Presidente di questa Assemblea e dal collega Bernamonti per il Partito comunista.

Ma, sicuro interprete di quel popolo bresciano e bergamasco che ci ama e che ci segue, io porto qui il cordoglio della ferrea Brescia operaia e della paziente Bergamo laboriosa.

Intendo far riecheggiare in quest’Aula, per l’immatura perdita del collega Caprani, l’intimo, doloroso stupore delle migliaia di operai dei nostri cantieri, dei lavoratori tutti delle officine e degli stabilimenti, delle operaie dei molti opifici, dei contadini chinati sulle feconde zolle delle nostre due provincie.

Aldo Caprani ci è stato rapito alla vita ed alla lotta, ancora giovane se non giovanissimo, orbando il popolo nostro lavoratore d’uno dei suoi più tenaci difensori.

Figlio di autentici popolani, fin da fanciullo si era nutrito di quei sani principî della democrazia socialista che lo indussero alle battaglie politiche in difesa del proletariato.

Presente sempre ed ovunque si accendesse la lotta per la emancipazione dei lavoratori, entrò nella mischia negli anni più duri, allorquando il regime fascista si palesò feroce dittatura.

Ma la sua tempra di alfiere dei diritti del popolo, il suo cuore generoso ed altruista, malgrado la sua malferma salute, non gli concessero alcuna, tregua.

Lo troviamo irriducibile oppositore al dispotismo fascista; instancabile organizzatore della resistenza alla dittatura, pervicace propagandista delle moderne dottrine sociali, capo e gregario nella lotta clandestina per la vittoria della democrazia.

Inseguito, spiato, perseguitato, imprigionato, torturato, esiliato.

Il giorno della tanto attesa liberazione nazionale, rientrò finalmente nella sua Brescia a capo della 54a brigata garibaldina, di cui era commissario.

Tutta la sua vita testimonia la grande sua anima di vero amico del popolo, ed egli si consacrò, con la più completa dedizione, alla lotta diuturna per la redenzione delle classi lavoratrici.

Unico deputato bresciano del Partito di sua elezione, lascia un cumulo di eredità d’amore e di riconoscenza nella mente e nel cuore di tutto il popolo bresciano.

Noi deputati socialisti, suoi concittadini, mandiamo alla sua memoria l’estremo, fraterno omaggio di cordoglio e di fede. (Applausi).

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. A nome dei colleghi di parte liberale, mi associo alle nobili parole pronunciate per i colleghi Aldo Caprani e Diego D’Amico. Del primo, ricorderò quella pagina fulgida che fu il suo volontario esilio di Verné, in Francia, scelto per non sottostare a un regime che aveva lottato e che continuò a lottare con implacabile e cosciente tenacia. Del secondo, dirò che egli appariva a tutti noi, specie a quelli che più vicino gli erano, come il rappresentante tipico di quella che è stata detta la poesia dell’azione, perché Diego D’Amico era veramente un uomo che non sapeva rinunciare ad una intelligente ed ordinata attività, spesa alle opere del bene. Anche quando dovette trasferirsi per motivi professionali ed universitari a Roma (qui svolgeva la massima parte della sua attività professionale) tornava spesso all’isola natia e alla nativa Bagheria, ma non era questo l’excursus rapido del medico, diventato celebre nel campo nazionale, che veniva a drenare una clientela attirata dal nome e dalla celebrità, perché queste rapide visite erano svolte ad esclusivo vantaggio dei più umili e dei meno abbienti ai quali Diego D’Amico prestò sempre costantemente e gratuitamente la sua opera professionale. (Applausi).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, a nome del Gruppo parlamentare socialista dei lavoratori italiani, mi associo, con animo reverente e commosso, alle nobili parole che in questa Aula hanno rievocato la memoria dei colleghi Aldo Caprani e Diego D’Amico.

Il collega Caprani era a noi quasi ignoto e se il collega Bernamonti non ce ne avesse tracciato oggi la nobile figura, noi avremmo ignorato di avere accanto a noi un’anima così buona, così semplice e così devota alla causa della umanità e del popolo. Ci rincresce di aver appreso tutto ciò troppo tardi, ma tuttavia ci riconforta, perché dimostra come in mezzo a noi ci siano delle gemme ignorate, come era la figura di Aldo Caprani, alla quale inviamo un commosso saluto.

Diego D’Amico era in mezzo a noi come un fratello. Tutti gli volevamo bene. Egli spandeva intorno a sé un sorriso di bontà e di cordialità e chiunque di noi si è rivolto a lui per un’opera buona, ha trovato sempre il suo cuore leale, aperto e pronto a dare tutto quanto era possibile dare. Il ricordo di Diego D’Amico e di Aldo Caprani resterà indelebile nella nostra memoria. (Applausi).

BULLONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BULLONI, A nome del Gruppo parlamentare democristiano, e quale deputato di Brescia, mi associo alle espressioni di cordoglio per la scomparsa del collega onorevole Aldo Caprani, che la morte ha improvvisamente ghermito durante il sonno ristoratore della fatica spesa il giorno precedente nel lavoro tra i suoi fedeli amici delle valli bresciane.

La sorte vuole che si associ all’unanime compianto chi da lunghissimi anni aveva stretto cordiali rapporti professionali e di amicizia con Aldo Caprani, consolidatisi quando, sopravvenuta la bufera, la persecuzione poliziesca e la violenza ci colpirono entrambi. Caprani fu modesto e generoso sempre: si esaltava nella difesa dei suoi ideali, che servì sempre con grande dignità e disinteresse. La causa della libertà lo volle, infine, sui monti della sua Valle Camonica, al comando di formazioni garibaldine, dove profuse l’ardore della sua fede, del suo slancio e del suo coraggio. Quanti gli vollero bene e lo apprezzarono, ne onorano la memoria. (Applausi).

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Anche a nome dei colleghi del mio Gruppo, rendo omaggio con reverente dolore alla memoria dei colleghi Caprani e D’Amico. Conobbi il collega Caprani in esilio, ed ebbi subito modo di apprezzare la sincerità della sua fede. Egli fu un uomo che seppe affrontare, per la difesa delle proprie idee, tutte le prove e tutti i sacrifici.

Il collega D’Amico era un grande scienziato ed un altissimo spirito, il quale traeva dal suo generoso senso di umanità l’ispirazione e la forza necessaria a respingere qualunque motivo o qualunque sentimento settario e di bassa polemica politica.

Mi permetta la Camera di ricordare con speciale riconoscenza l’iniziativa di D’Amico perché una borsa di studio fosse intitolata al nome di un altro giovane scienziato immaturamente scomparso: Federico Nitti.

Io penso che noi dobbiamo essere grati a questi nostri colleghi morti, perché essi ci dànno modo d’innalzarci spiritualmente nel momento stesso in cui ricordiamo i loro nomi che hanno dato e dànno prestigio a questa Assemblea. (Applausi).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. A nome del Governo mi associo al tributo di omaggio reso dall’Assemblea Costituente alla memoria di Diego D’Amico e di Aldo Caprani, così immaturamente scomparsi e perduti alla causa della scienza e della Nazione. Alle desolate famiglie dei colleghi scomparsi i sensi del più vivo e sentito cordoglio. (Applausi).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Bassano, Canepa, Pallastrelli e Parri.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Adempio all’incarico gradito di comunicare il seguente telegramma pervenuto alla Presidenza dell’Assemblea:

«Rappresentanti Unione Parlamentare europea pregano comunicare Assemblea Costituente avvenuto inizio lavori scopo assicurare libera pacifica convivenza popoli nel quadro unità europea. Comitato direttivo: Giacchero, Macrelli, Badini, La Gravinese, Colonnetti».

Comunico che la seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge (finanze e tesoro), nella riunione di stamane, ha eletto all’unanimità suo Vice presidente l’onorevole Paratore.

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso le seguenti domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

contro i deputati Li Causi e Meda per il reato di cui all’articolo 595, primo e secondo comma, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa), e contro il deputato Patrissi, per il reato dell’articolo 341, Codice penale (oltraggio ad un pubblico ufficiale).

Saranno stampate, distribuite e inviate alla Commissione competente.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato risposte scritte alle interrogazioni presentate da onorevoli deputati.

Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta di oggi.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. È iscritto all’ordine del giorno il disegno di legge per la disciplina dell’elettorato attivo. Il Governo ha trasmesso ieri numerosi emendamenti al testo elaborato dalla Commissione, che ha preso in esame il primitivo progetto, al quale aveva già apportato modificazioni.

Questi emendamenti agli emendamenti saranno stampati, in modo che tutti gli onorevoli colleghi abbiano la possibilità di averne conoscenza prima che si inizi la discussione del provvedimento.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. La presentazione di emendamenti così numerosi da parte del Governo ad un disegno di legge, su cui la Commissione ha già presentato la sua relazione, rende, direi, quasi impossibile l’inizio della discussione, dato che la Commissione deve esaminare gli emendamenti proposti dal Governo e giudicare se possano essere accolti prima della discussione in seduta pubblica.

Quindi, ritengo che, oltre al distribuire gli emendamenti agli onorevoli colleghi, sia necessario che gli emendamenti stessi vengano esaminati dalla Commissione prima che il disegno di legge venga iscritto all’ordine del giorno.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo non si oppone a che sia rinviata la discussione sul disegno di legge, in attesa che la Commissione esamini gli emendamenti da esso proposti, benché si tratti di emendamenti di carattere formale e non sostanziale.

PRESIDENTE. Questo disegno di legge, che era iscritto, per la discussione, all’ordine del giorno della seduta di oggi, molto probabilmente, se lo svolgimento dei lavori andasse con una certa correntezza e senza gli inconvenienti rilevati dalle giustificate osservazioni fatte dall’onorevole Fuschini, sarebbe necessario esaminarlo nella seduta di domani. Rendendomi conto della validità di quanto ha detto l’onorevole Fuschini, penso che possiamo evitare di rimettere il provvedimento all’ordine del giorno della seduta di domani. Ma vorrei pregare la Commissione di volere domani dedicarsi a questo esame, in modo che dopodomani si possa iniziare la discussione in seduta pubblica. Se no, si corre il pericolo di trascinare troppo a lungo l’esame di questo disegno di legge, quando sovrasta la necessità dell’esame successivo della legge elettorale; se ne potrebbe avere grave nocumento. In questo senso, se non vi sono osservazioni, resta così stabilito.

(Così rimane stabilito).

L’ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni.

Ritengo, tuttavia, opportuno non iniziare oggi l’esame delle interrogazioni, rinviandolo invece alla seduta di domani. Possiamo, piuttosto, intrattenerci oggi brevemente sopra il nostro piano di lavoro.

Noi avevamo al proposito fatto ottimi progetti prima dell’inizio delle ferie. Ma certamente ciascuno di noi li ha riesaminati e rielaborati durante le ferie stesse. Si tratterebbe ora di vedere come le singole conclusioni coincidono per quindi stabilire concretamente il da fare.

Dopo che avremo su di ciò concluso, darò lettura di una mozione presentata da alcuni colleghi sull’attività del Governo, e per la quale si dovrà stabilire la data di discussione, dopo che il Governo stesso avrà espresso il suo avviso.

Se non vi sono proposte in contrario, e, cioè, se nessuno propone di affrontare lo svolgimento delle interrogazioni, intratteniamoci dunque del modo e del ritmo dei lavori, del loro calendario e del loro programma.

L’Assemblea Costituente aveva deciso, ed in effetti ha dato corso prima delle ferie a questa sua decisione, di mutare l’ordine di discussione dei titoli della seconda parte del progetto di Costituzione, esaminando appunto per primo il titolo relativo alle Regioni. Ciò è stato fatto; ma abbiamo lasciato in sospeso alcuni articoli di questo titolo per i quali, con giustificazioni di ordine vario, è stato chiesto ed approvato il rinvio.

Ci si pone ora il problema se dobbiamo subito riaffrontare quei punti lasciati in sospeso o se si debba invece iniziare l’esame della seconda parte del progetto di Costituzione incominciando dal titolo primo, salvo poi, giunti che fossimo al titolo sulla Regione, esaminare gli articoli rinviati.

In tal senso ci consiglia il fatto che mentre per alcuni articoli la ragione del rinvio è stata data dalla necessità di decidere dapprima altre questioni che ne condizionavano i termini, queste questioni ancora stanno insolute dinanzi a noi.

L’unico articolo che potremmo subito affrontare è quello che comprende l’elencazione nominativa delle regioni. Ma anche per esso è forse meglio lasciare trascorrere qualche tempo ancora, affinché i pensieri si orientino e si maturi qualche decisione comune, riprendendo il suo esame quando, nello svolgimento ordinato dei nostri lavori, sarà giunto il suo turno numerico.

Se nessuno fa obiezione, possiamo restare dunque intesi che riprenderemo domani, nella seduta pomeridiana, la discussione sul progetto di Costituzione, iniziando dal titolo relativo al potere legislativo. A questo proposito l’onorevole La Rocca mi ha fatto pervenire la seguente richiesta scritta: «Chiedo che la discussione generale sul titolo primo e sul titolo terzo del progetto di Costituzione, in merito all’ordinamento dello Stato, cioè sul Parlamento e sul Governo, avvengano non in due tempi separati, ma congiuntamente per una trattazione organica dei due argomenti intimamente legati e connessi tra di loro».

La richiesta dell’onorevole La Rocca echeggia considerazioni che l’onorevole La Rocca aveva già fatto, assieme a tutti noi, in seno alla seconda Sottocommissione della Commissione costituzionale, quando, affrontando questa materia, ci trovammo nella necessità di parlare anche dei problemi relativi al potere esecutivo mentre discutevamo quelli pertinenti al potere legislativo e viceversa. Tempestivamente l’onorevole La Rocca ci offre ora il prezioso contributo della sua esperienza, ed io credo – se non vi sono proposte in contrario – che possiamo accettare la sua proposta, nel senso appunto che congiuntamente esamineremo, nella discussione generale, i titoli relativi al legislativo e quelli relativi all’esecutivo, intendendo per esecutivo solo il Governo, e non il Capo dello Stato.

Naturalmente, per ciò che si riferisce all’articolazione, ogni articolo dovrà poi essere esaminato e votato a sé, tornandosi a dividere, nella trattazione analitica, ciò che compete al legislativo da ciò che compete all’esecutivo. Se non vi sono obiezioni – e prego i colleghi che fossero di avviso contrario di farlo subito presente – restiamo intesi che domani incominceremo la discussione generale relativa ai due primi titoli della seconda parte del progetto costituzionale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa mattina il Comitato di redazione del progetto di Costituzione si è riunito ed ha deciso di accogliere la proposta che era già stata fatta e che era stata svolta dal Presidente della Costituente, di rinviare, al momento in cui saranno discussi gli altri articoli sulla Regione che sono rimasti sospesi, anche il tema dell’elenco delle Regioni ed il modo di modificare la struttura delle Regioni stesse. Non entro nell’argomento perché mi pare che vi sia un diffuso consenso, dato che alcuni dubbi sono stati superati.

Sulla proposta dell’onorevole La Rocca, il Comitato non ha potuto pronunciarsi, perché la proposta è stata avanzata ora per la prima volta. Io esprimerò il mio punto di vista personale. Penso che potrebbe essere opportuna la discussione unitaria dei problemi attinenti al potere legislativo ed al Governo; dubito però che si possa lasciare da parte, in questo caso, il tema del Capo dello Stato, per alcune ragioni molto ovvie. La Commissione è convinta per ciò che riguarda la posizione del Capo dello Stato; per quanto riguarda il potere legislativo vi è, per esempio, il caso del dissenso fra i due rami del Parlamento, che può essere risolto in maniera diversa, ma che nel progetto di Costituzione è stato risolto dando al Capo dello Stato la facoltà di intervenire, di indire un referendum. D’altra parte, avverrebbe che si discuterebbero, in via generale, i titoli I e III, lasciando sospeso il II. Che cosa avverrebbe? Si farebbe, subito dopo la votazione del I e del III, la discussione del titolo II, in via generale, e poi si discuterebbe articolo per articolo. Non mi pare che questo sia simmetrico; quindi farei questa sommessa proposta: personalmente, non sono contrario ad accettare la proposta dell’onorevole La Rocca, anche perché semplifica ed armonizza la discussione, ma io pregherei di discutere il I, il II e il III titolo, cioè tanto il potere legislativo, quanto il Capo dello Stato ed il Governo, e poi procedere alla votazione articolo per articolo. In caso diverso, dovrei insistere sulle riserve che ho fatto e che mi paiono molto ovvie, perché, diversamente, vi sarebbe una specie di disordine nella discussione.

Quindi, faccio questa proposta: o di mantenere la discussione separata, o di unire tutti e tre i titoli in una discussione generale – il che è un risparmio di tempo – salvo poi a procedere alla singola discussione degli articoli.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. A me pare che sia necessario precisare oggi che questa impostazione dell’ordine dei lavori debba considerarsi in linea generale, ma non come un sistema rigido, perché ricordo all’onorevole Presidente ed all’Assemblea che il Comitato delle autonomie – la cui prima riunione effettiva è quella di domani – deve al più presto riferire all’Assemblea (e l’Assemblea deciderà) sullo Statuto della Regione sarda. Il che significa che ad un certo momento dovremo fermare i lavori e discutere questo problema. Mi pare che qualora venga accettato l’ordine dei lavori, esso debba considerarsi in linea generale, salva la possibilità di discutere anche altri problemi.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Credo che sia opportuno che l’Assemblea si convinca della necessità di accelerare, nel miglior modo possibile, i lavori della Costituente stessa, in riferimento ai compiti specifici che ha la Costituente, cioè di mettere in prima linea, avanti ad ogni cosa, la discussione del progetto di Costituzione, e che ognuno di noi tenga presente la necessità di attendere a questa discussione in limiti prudenti ed in limiti che rispecchino veramente la situazione in cui oggi noi ci troviamo.

L’articolo 3 del famoso decreto del 16 marzo 1946 aveva dato alla Costituente il compito di approvare la nuova Costituzione, le leggi elettorali ed i trattati internazionali. Ora, di questi compiti uno solo, per ora, è stato esaurito, l’approvazione di trattati internazionali, e potrà essere ancora completato con la discussione di altri trattati che dovranno essere approvati dalla Costituente.

Ma credo che sia necessario affrettarsi – questa è una breve premessa che mi permetto di fare all’Assemblea – perché non ritengo molto lato il tempo disponibile per la discussione: abbiamo dinanzi a noi non molte sedute, in confronto al lavoro che dobbiamo compiere, non solo per i molti articoli che ci rimangono da discutere, ma soprattutto per la discussione delle leggi elettorali che la Costituente deve approvare.

Non parlo della legge elettorale per la elezione della Camera dei Deputati, ma mi riferisco soprattutto ad una legge elettorale nuovissima che noi dovremo approntare e discutere, vale a dire la legge elettorale che dovrà servire di base per la nomina dei membri della seconda Camera.

Ora, dato il breve tempo che sta dinanzi a noi, breve in raffronto al lavoro che dobbiamo compiere, è necessario restringere le discussioni il massimo possibile. E mi permetto di fare appello all’onorevole Presidente, perché nelle discussioni sia di carattere generale, che nelle discussioni particolari degli articoli, si applichi rigorosamente il Regolamento, senza eccezioni di sorta, e non si creino dei precedenti che hanno dato luogo a perdita di tempo nel precedente periodo dei lavori di questa Assemblea.

Per quanto si riferisce al modo di discutere, ai temi da discutere, credo che sia giusta l’osservazione che ha fatto l’onorevole Ruini, a proposito della proposta dell’onorevole La Rocca. Non è possibile scindere il capitolo che si riferisce al Capo dello Stato dai titoli che si riferiscono alle due Camere legislative ed al Governo, perché il Capo dello Stato è collegato al Governo come è collegato alle Assemblee legislative. Vi sono interferenze negli stessi articoli e non è possibile dividere questa discussione in due tempi. Si deve fare, cioè, una discussione unica per tutto quello che si riferisce alla struttura politica dello Stato, che ancora non abbiamo potuto discutere e sulla quale vi sono molte cose che abbiamo bisogno di discutere chiaramente ed esplicitamente, perché vi sono lacune, ombre, imprecisioni e non vi è fra noi una concezione precisa che rispecchi la possibilità di risolvere con chiarezza i problemi relativi a questi punti fondamentali della Costituzione.

Egregi colleghi, finora abbiamo discusso dei principî, abbiamo posto le basi filosofiche, sociali, morali del nuovo Stato italiano; ma ancora non abbiamo discusso il meccanismo di funzionamento di questo nuovo Stato, eccetto la parte che si riferisce alla Regione, che è la parte più nuova della nostra Costituzione.

Quindi, io, signor Presidente, credo che sia opportuno modificare – se l’amico La Rocca vi accede – modificare la proposta La Rocca: si faccia, cioè, una discussione generale unica sui primi tre titoli della seconda parte, passando poi, alla parte che si riferisce all’organizzazione della Magistratura e della Suprema Corte.

Insisto quindi, tornando al punto iniziale del mio discorso, nell’affermare che tutte le discussioni le quali non si riferiscano alla Costituzione debbono essere senz’altro bandite perché, se noi inserissimo discussioni di altro genere, come disegni di legge che hanno pure, sì, notevole importanza se volete, ma non quanta ne ha la Costituzione, dato che da troppo tempo ormai viviamo in uno stato di provvisorietà costituzionale che è tempo di chiudere – noi correremmo veramente il rischio di non condurre a termine la nostra opera.

Non portiamo dunque più all’Assemblea disegni di legge che possono essere ampiamente e liberamente discussi in sede di Commissione. Certamente io non sono qui per proporvi di eliminare le discussioni politiche che sono contemplate nel famoso articolo 3 del decreto del 16 marzo; non vi chiedo cioè di bandire dai nostri lavori quelle discussioni politiche che investono la fiducia o la sfiducia al Governo: queste sono tassativamente indicate e ogni parte della Camera può provocarle quando creda. Ma, all’infuori di queste, tralasciamo di recare in Assemblea tutte quelle altre leggi che non farebbero se non distrarre l’Assemblea stessa da quelle che sono, in definitiva, le sue peculiari funzioni.

Questo noi dobbiamo fare se vogliamo che il 31 dicembre il nostro dovere sia compiuto di fronte al popolo. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Vi è allora la proposta degli onorevoli Ruini e Fuschini di allargare l’ambito della discussione generale che inizieremo domani.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Sono d’accordo con quanto hanno detto i colleghi onorevoli Ruini e Fuschini circa l’opportunità e l’utilità di trattare unitariamente i tre titoli. Mi ero astenuto dal far menzione precisa del Titolo III perché, nel progetto di Costituzione, si è dato praticamente al Capo dello Stato un rilievo particolare. Ecco perché avrei desiderato che si fosse fatta una trattazione separata intorno ai primi due titoli, unicamente allo scopo di fermare la discussione, in un primo momento, su quelli che possono considerarsi i rapporti essenziali fra Parlamento e Governo, che costituiscono l’essenza della vita politica del Paese.

Ero animato, in altre parole, dall’intento di realizzare una economia della discussione, senza che essa ne restasse mutilata: ma intendevo soprattutto di dare una trattazione organica ad argomenti intimamente connessi e legati tra loro.

Sono tuttavia persuaso che, per una più ampia comprensione, ci si debba logicamente occupare anche del titolo relativo alle prerogative e alle funzioni del Capo dello Stato, salvo poi, si intende, a trattare minutamente le varie questioni quando si passerà alla discussione degli emendamenti e all’approvazione degli articoli.

PRESIDENTE. Mi pare allora che non vi sia disaccordo, sostanzialmente, tra il punto di vista dell’onorevole La Rocca e quello degli onorevoli Ruini e Fuschini: possiamo quindi senz’altro restare d’intesa che la discussione generale che inizieremo domani si riferirà a tutti e tre i Titoli iniziali della II parte del progetto.

All’onorevole Lussu risponderò che è perfettamente naturale che, ove nuove materie di discussione insorgano nel corso dei nostri lavori, esse dovranno venire inserite nei nostri ordini del giorno.

Concordo poi pienamente con l’onorevole Fuschini circa l’esigenza da lui sottolineata di imprimere ai nostri lavori un ritmo che sia della maggior possibile speditezza, liberandoli da quanto non si ravvisi strettamente necessario ai loro fini.

Ed una delle norme che dovremo osservare – ciò mi è suggerito proprio dal decorso di questa nostra attuale discussione – sarà quella di non accavallare i temi dei dibattiti.

Le questioni si sovrappongono ad altre questioni, si complica lo svolgimento dei lavori, e là dove si crede di guadagnare tempo, se ne impiega di più e malamente.

Io stavo parlando del modo con cui procedere nella discussione, proposto dall’onorevole la Rocca; ma, mentre le osservazioni dell’onorevole Fuschini erano assolutamente pertinenti, non così mi pare lo fossero quelle dell’onorevole Lussu. Per finire debbo aggiungere che io vedo il nostro calendario in questo schema: nel mese attuale, di settembre, e in quello di ottobre noi porteremo a fine ciò che si riferisce al potere legislativo ed esecutivo, cioè concluderemo sui primi tre Titoli della seconda parte, e nel mese di novembre esamineremo e voteremo ciò che si riferisce al potere giudiziario ed alla Corte costituzionale. Nella prima decade di dicembre affronteremo poi e concluderemo la discussione sugli articoli transitori, in maniera che verso la metà del mese di dicembre avremo completato l’esame e l’approvazione del testo intero della Costituzione. Tengano presente, gli onorevoli colleghi, che gli articoli votati dovranno poi subire ancora un coordinamento definitivo e quel perfezionamento stilistico e letterario, del quale tutti avvertono, o hanno già avvertita, la necessità. E dovremo poi ancora trovarci per pochissime sedute allo scopo di approvare il testo definitivo, che abbia subito già cioè queste operazioni di rettifica e di coordinamento che lo renderanno più elegante nella forma e nello stile.

Credo che, volendolo, – e non dubito che noi tutti lo vogliamo – questo programma, questo calendario può essere perfettamente osservato. Ma forse, ad aiutarci, sarebbe bene che noi non dicessimo troppo frequentemente, fra noi, che il tempo che ci resta è breve e la strada da percorrere, invece, molto lunga. Da oggi al 31 dicembre, tenuto conto delle domeniche e di tutte le feste in calendario, comprese le natalizie, noi disporremo ancora di 82 giorni. Calcolando che solo per metà di questi 82 giorni noi terremo sedute mattutine, giungiamo ad una disponibilità di 123 sedute. 123 sedute sono molte; e se saranno sedute di quattro ore avremo modo di svolgere un ampio lavoro. Non suggestioniamoci, dunque, da noi stessi asserendo la precarietà del tempo in relazione alla vastità del compito! Il compito è vasto, certamente, ma il tempo sufficiente. L’importante è il saggio impiego di queste 123 sedute. Io ritengo che noi dovremmo dedicare tutte quelle pomeridiane al lavoro costituzionale. Naturalmente, se intervenissero ad un certo momento discussioni di natura squisitamente o esclusivamente politica – e i colleghi intendono ciò a cui io alludo – queste discussioni non potranno essere fatte solo la mattina né essere spezzettate. Allora noi saremmo obbligati ad aprire una parentesi nei nostri lavori costituzionali. Ma, in mancanza di queste interruzioni, o anche con queste interruzioni, per tutti i giorni che saranno disponibili, noi dedicheremo le mattine ai provvedimenti legislativi: a quelli che abbiamo già dinanzi a noi e agli altri che potrebbero ancora eventualmente esserci sottoposti. Nel pomeriggio: lavoro costituzionale.

E con questa amministrazione del tempo noi abbiamo tutta la possibilità di portare a conclusione il lavoro principale che, come l’onorevole Fuschini giustamente ricordava, è quello costituzionale, al quale spetteranno, fino a dicembre, 82 sedute. Quali sono le leggi ordinarie non di testo costituzionale che abbiamo ancora da votare? Vi sono i Trattati di commercio già stretti con varie Nazioni. A questi potranno forse ancora altri aggiungersene, ed io me lo auguro, come tutti ve lo augurate. Poi, vi è il progetto di legge per l’elettorato attivo; e poi le leggi elettorali, delle quali quella per la prima Camera è già stata depositata all’Assemblea Costituente, ed esaminata in parte dalla Commissione apposita. Può essere che il Governo vi abbia da apportare alcune modifiche, ma, lo spero, senza procrastinare così l’inizio dell’esame in seduta plenaria. Poi avremo la legge elettorale per la seconda Camera, alla quale l’onorevole Fuschini ha accennato, ma che sino a questo momento non è stata ancora naturalmente redatta né presentata all’Assemblea Costituente.

Ed infine ricordo i progetti di legge per il consolidamento della Repubblica ed il progetto di legge sulla stampa. Tutta questa materia legislativa sarà posta all’ordine del giorno delle sedute mattutine.

Io sono intenzionato di dedicare i primi quaranta minuti di tutte le sedute mattutine allo svolgimento delle interrogazioni, in maniera che queste abbiano una certa tempestività di svolgimento. Invito i colleghi, però, ad attenersi al Regolamento per i limiti di tempo concessi per la replica degli interroganti alla risposta del Ministro competente; ed insieme a rinunciare alla consuetudine degli ultimi tempi per la quale ogni interrogazione viene presentata con carattere di urgenza, ciò che praticamente toglie questo carattere a tutte le interrogazioni.

Le interrogazioni con carattere di urgenza non devono essere evidentemente soppresse; ma ricordo che, in definitiva, l’urgenza è affidata, per la sua valutazione, al Governo, e l’impazienza dell’interrogante non fa legge in proposito.

Infine non si trascurino le interrogazioni che richiedono risposta scritta, le quali hanno trovato ormai un loro ritmo abbastanza normale di svolgimento da parte dei Ministeri.

Ho così delineato, nel suo quadro generale, il programma dei nostri lavori. C’è possibilità di applicare alcune norme particolari che ci consentano di accelerarli?

L’onorevole Fuschini ha chiesto che la Presidenza applichi senza eccezione e severamente il Regolamento. Ma l’onorevole Fuschini sa per esperienza che il Regolamento della Camera legislativa, fatto proprio dalla Costituente, si è dimostrato, in mancanza di una spontanea collaborazione nell’applicarlo da parte dei colleghi, forse non sufficientemente idoneo a questa maggiore snellezza di lavoro che da noi si esige.

Io credo quindi che l’invito rivolto dall’onorevole Fuschini alla Presidenza, e che la Presidenza con gratitudine accetta, sia da considerare anche come un invito che i membri dell’Assemblea si rivolgono reciprocamente e che cercheranno reciprocamente di osservare e di fare osservare.

Se qualche collega ha qualcosa da aggiungere o qualche questione da porre chieda di parlare; altrimenti a questo proposito possiamo fare punto. (Approvazioni).

Annunzio di una mozione.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente mozione:

«L’Assemblea Costituente, di fronte ai risultati della politica generale del Governo ed in particolare di quella economico-finanziaria che compromette lo sforzo solidale della ricostruzione del Paese, l’ordine interno e il tenore di vita delle masse popolari, nega la sua fiducia al Governo e passa all’ordine del giorno.

«Nenni, Basso, Romita, Cosattini, Faralli, Giacometti, Giua, Jacometti, Lizzadri, Morandi, Nobili Tito Oro, Cacciatore, Stampacchia, Tonello, Vernocchi».

Questa mozione evidentemente è presentata in base al capoverso terzo dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946.

Secondo questo capoverso, il rigetto di una proposta governativa da parte dell’Assemblea non comporta le dimissioni del Governo. Ma queste conseguono all’approvazione di una apposita mozione di sfiducia, approvazione intervenuta non prima di due giorni dalla presentazione della mozione e adottata a maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea. È certo che però la disposizione di questo articolo 3 non si sovrappone e non annulla le disposizioni contenute nel Regolamento della Camera, che l’Assemblea Costituente ha fatto proprio, in tema di mozione.

Orbene, a tenore dell’articolo 125 del Regolamento: «Dopo la lettura di una mozione presentata a norma degli articoli 123 e 124, la Camera, udito il Governo ed il proponente, e non più di due deputati, determinerà il giorno in cui dovrà essere svolta e discussa secondo le norme del Capitolo XIII».

L’articolo 3 del decreto che ho ricordato interviene in questo senso: che la data di discussione deve essere fissata in modo tale che, comunque, la votazione non intervenga prima di 48 ore dalla presentazione della mozione stessa.

In questo momento ci troviamo di fronte a una mozione depositata.

Si tratta di stabilire quando debba essere esaminata, discussa e votata. Pongo pertanto innanzitutto il quesito al Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Stante l’assenza del Presidente del Consiglio, il Governo si riserva di precisare, salvo il diverso avviso dell’Assemblea, in una delle prossime sedute la data che esso propone per la discussione di questa mozione.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Onorevoli colleghi, sono sorpreso delle precauzioni con le quali il Governo chiede non so quanti giorni, per dare una risposta circa la data di discussione della mozione del Gruppo parlamentare socialista. Nel presentare questa mozione il Gruppo socialista non presumeva di poter contare sul consenso del Governo, circa il fondo del problema.

Ciò non era nelle nostre aspettative e nelle nostre speranze. Siamo però convinti che ci deve essere il pieno consenso del Governo sulla necessità che la discussione si faccia. Non voglio qui entrare nel merito, ma ritengo di essere interprete del pensiero, forse unanime, dell’Assemblea se dico che il Paese è turbato, che il Paese è inquieto, che il Paese soffre, e che su questo turbamento, su questa inquietudine, su questa sofferenza il Governo ha certamente qualche cosa da dire.

In tali condizioni, il Presidente del Consiglio avrebbe potuto muoversi dal Viminale per venire a Montecitorio e sacrificare qualche istante del suo tempo, certamente prezioso, al desiderio non soltanto del Gruppo socialista, ma di tutta l’Assemblea di avere delle spiegazioni sulla situazione.

Comunque, ricordo al Governo che la légge alla quale si è riferito l’onorevole Presidente della Costituente, del 16 marzo 1946, se non ha annullato il Regolamento interno dell’Assemblea, ha però inteso di fissare un principio al quale il Governo avrebbe torto di sottrarsi. Quando abbiamo discusso quella legge in Consiglio dei Ministri abbiamo inteso di offrire alle minoranze in particolare, e comunque a uno qualsiasi dei Gruppi dell’Assemblea, la possibilità di provocare, quando lo ritenesse opportuno, una discussione sulla politica generale del Governo.

Abbiamo pensato allora di ricorrere alla procedura eccezionale della mozione di sfiducia da discutere non prima di 48 ore dal momento del suo deposito, per garantire ad un tempo i diritti dell’Assemblea e quelli del Governo.

Vorrei perciò pregare il Governo di fissare una data prossima per la discussione della nostra mozione senza sottrarsi all’obbligo morale di accettare la discussione da noi sollecitata.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

MAZZA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZA. A me pare che sia necessario, per il rispetto che noi dobbiamo all’Assemblea ed ai nostri colleghi – circa cinquanta – che sono fuori d’Italia, in Isvizzera, a rappresentare la Costituente italiana, che questa mozione di carattere eccezionale e vitale per la Nazione sia discussa per lo meno non prima del ritorno di tutti i colleghi che possono considerarsi comandati in Svizzera. (Commenti).

Insisto perché l’assenza di moltissimi colleghi faccia rimandare la discussione, in attesa del loro ritorno. Ricordo benissimo che nell’ultima seduta, da qualche parte di questa Assemblea si chiese la riapertura proprio dopo il ritorno dei deputati che dovevano recarsi in Svizzera.

PRESIDENTE. Onorevole Mazza, non ha il dubbio di essere un po’ fuori argomento?

MAZZA. Non credo, perché ho voluto fare osservare che in questo momento mancano ben cinquanta deputati. (Commenti a sinistra).

Presidenza del Presidente TERRACINI

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Forse non sono stato sufficientemente chiaro. Non intendevo affermare che il Governo voglia sfuggire alla discussione; d’altronde, non sarebbe nei suoi poteri, perché spetta all’Assemblea di discutere sempre, in ogni momento, la politica generale del Governo. Intendevo, data l’assenza del Presidente del Consiglio, pregare il proponente di attendere una delle prossime sedute, anche quella di domani, per dar modo al Presidente stesso di dire il sub pensiero in ordine alla data della discussione della mozione.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Se si tratta di un rinvio a domani, non abbiamo nessuna obiezione da fare.

PRESIDENTE. Sta bene. Se non vi sono altre osservazioni, resta inteso che domani, salvo che sopravvengano impedimenti imprevisti, il Governo farà conoscere il suo pensiero circa la data di discussione della mozione. Resta salvo il diritto dell’Assemblea di decidere in proposito.

(Così rimane stabilito).

In ordine alla seduta di domani, poiché la Commissione che deve esaminare il progetto di legge per l’elettorato attivo, secondo quanto fu detto in principio di seduta, avrà a disposizione la giornata di domani per l’esame degli emendamenti presentati dal Governo, penso sia bene non tener seduta domattina, per lasciare alla Commissione la possibilità di svolgere i suoi lavori.

Quindi, domani terremo solo la seduta pomeridiana, alle ore 16, per il seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Si inizierà la discussione generale sui primi tre Titoli della seconda parte.

Interrogazioni e interpellanze.

PRESIDENTE. Durante la sospensione dei lavori parlamentari sono state presentate numerose interrogazioni e interpellanze.

Alcune di queste interrogazioni sono state presentate con carattere di urgenza. Con ciò esse denunciano una comprensibile preoccupazione degli interroganti, ma insieme una non giusta considerazione del valore relativo dei vari problemi.

Faccio ancora una volta notare che l’urgenza delle interrogazioni deve essere, a norma del Regolamento, valutata dal Governo. Gli interroganti possono proporla, ma non la fissano senz’altro. E pertanto, prima di assegnare alle proprie interrogazioni il carattere di urgenza, sarebbe opportuno che gli interessati ascoltassero l’avviso del Ministro competente, in maniera da non venire poi delusi dal ritardo eventuale della risposta. Comunque, i membri del Governo presenti, dopo aver udito il contenuto di queste interrogazioni, mi faranno sapere quando intendono rispondere.

Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per conoscere in base a quale utilità reale e alla stregua di quale criterio di opportunità, si consente, in una città come Napoli, colpita, forse, come nessun’altra città italiana dalla crisi delle abitazioni, l’abolizione del Commissariato degli alloggi.

«Anche ad ammettere che tale Commissariato, per colpa o per debolezza di dirigenti, non abbia funzionato sino ad oggi come sarebbe stato desiderabile, resta sempre il fatto, certissimo, che l’abolizione del Commissariato non significa e non può significare altro se non il dare mano libera agli speculatori, i quali, profittando delle circostanze, fanno salire alle stelle i prezzi di un qualsiasi piccolo appartamento e provvedono di un alloggio, sia pure a condizioni usuraie, i ricchissimi, cioè quelli che hanno rubato e rubano al mercato nero, e condannano a rimanere sul lastrico i lavoratori onesti e senza casa che, nonostante la migliore loro volontà, non hanno modo di alimentare lo strozzinaggio e soddisfare l’ingordigia insaziata di taluni proprietari, affittuari, mediatori e speculatori d’immobili urbani.

«La Rocca».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se, vista la continua diminuzione delle superfici coltivate a grano e l’insufficienza delle assegnazioni di concimi chimici (circa 13 chilogrammi per ettaro) non ritenga di dovere urgentemente stabilire, prima degli inizi dei lavori di semina, il prezzo del grano per il futuro raccolto del 1948 e impegnarsi ad assegnare ad ogni comune, ed a prezzo ragionevolmente proporzionale a quello del grano e tempestivamente, un quantitativo sufficiente di concimi chimici.

«Giacchero».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere come intenda sistemare giuridicamente la posizione di alcuni insegnanti delle scuole di avviamento al lavoro, i quali, non essendo di ruolo, non godono dei benefici di legge pur prestando a volte per decenni il loro incondizionato servizio allo Stato; e se non ritenga opera di giustizia promuovere un decreto legislativo che parifichi agli altri funzionari statali il trattamento da farsi doverosamente agli insegnanti delle scuole di avviamento al lavoro.

«Caso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere:

  1. a) quali risultati positivi abbia dato l’inchiesta su quanto è accaduto nel carcere giudiziario di Poggio Reale di Napoli e quali provvedimenti siano stati presi al riguardo. Ciò anche in relazione alle pubblicazioni fatte sul giornale L’Umanità, e sul n. 32 del 10 agosto della rivista L’Europeo;
  2. b) se si sia indagato sulla sussistenza dei gravi fatti denunciati dal giornale Avanti! del 7 agosto, come avvenuti nel carcere giudiziario di «Regina Coeli» di Roma.

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga opportuno assumere l’integrale assistenza degli emigrati all’estero, mandando presso le nostre rappresentanze consolari funzionari dello stesso Ministero, affinché l’operaio italiano in terra straniera abbia a ricevere ogni migliore cura per l’opera di personale tecnicamente preparato e particolarmente esperto.

«Carpano Maglioli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti intenda adottare contro coloro che abusando delle proprie funzioni, si sono resi responsabili dell’arresto di un valoroso comandante partigiano capitano della polizia ausiliaria di Genova, e poiché il fatto ha generato un grave malessere d’ordine morale e civico, l’interrogante invoca una rigorosa inchiesta per chiarire le penombre che gli organi del Governo proiettano da qualche tempo sul movimento partigiano e sulle persone dei suoi eroici esponenti.

«Faralli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare rispettivamente nei confronti degli organi di polizia di Vittoria e del pretore di Vittoria, in relazione al loro passivo ed ostruzionistico comportamento di fronte alla esplicita ed insistente richiesta dei dirigenti la sezione del Partito socialista lavoratori italiani di Vittoria, diretta a conseguire la immediata reintegra nel possesso del locale della sezione, dal quale sono stati spogliati con violenza e nottetempo dal barone Antonio Paternò di Vittoria, che ciò facendo ha commesso reato.

«Sta di fatto che il barone Paternò, locante del vano adibito a sede della sezione del Partito socialista dei lavoratori italiani in Vittoria, pretendeva il rilascio del locale entro fine luglio e, anziché rivolgersi all’autorità giudiziaria, con la tradizionale mentalità baronale siciliana, provvide con suoi uomini (i non tramontati armigeri feudali) all’occupazione violenta dei locali.

«I dirigenti della sezione del Partito socialista dei lavoratori italiani, rispettosi della legalità democratica, desistendo dal primo impulso di farsi ragione direttamente, si sono rivolti alle autorità provinciali e locali, sollecitando l’immediato intervento della pubblica sicurezza per la reintegrazione del possesso delittuosamente violato, salvi in seguito gli apprezzamenti giudiziari di merito, e la pubblica sicurezza si è limitata a svolgere una inutile pratica burocratica, senza intervenire nei confronti del barone violatore della legge.

«Il pretore dal suo canto, investito del caso con regolare ricorso, mentre in un primo tempo, di fronte alla clamorosa notorietà del fatto delittuoso, disponeva la reintegrazione infra le ventiquattro ore nel possesso, successivamente e senza disporre nemmeno notifica, accettando un motivo di peregrina formalità inerente al contratto di locazione, e se mai discutibile in sede di merito, disponeva la sospensiva del precedente giusto ed opportuno provvedimento, in base al quale intanto, essendo trascorso invano il termine in esso fissato, gli iscritti alla sezione procedevano alla diretta immissione in possesso.

«I fatti vanno apprezzati politicamente in relazione all’ambiente, perché la conclusione sostanziale che se ne trae è che in Sicilia ai baroni riesce sempre possibile usare prepotenze e violenze senza che contro di esse vi siano tempestivi ed opportuni interventi delle autorità, per quelle rapide riparazioni di giustizia, che sono essenziali alla fiducia nella democrazia.

«Cartia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se intenda provvedere allo stanziamento dei fondi occorrenti per la costruzione dell’Asilo d’infanzia in comune di Agropoli (Salerno), ove attualmente circa duecento bambini si raccolgono in locali angusti, inadatti ed insalubri. L’urgenza della nuova sede è stata già fatta presente all’ufficio del Genio civile di Salerno dall’amministrazione comunale con l’accordo di tutti i partiti.

«Cacciatore».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se, in vista del primo Festival internazionale e della Mostra internazionale del cinema a passo ridotto, che si svolgeranno in Salerno nella seconda decade del prossimo settembre, considerata l’importanza delle due manifestazioni, di cui un gruppo di giovani volenterosi, con scarse disponibilità finanziarie, ha preso l’iniziativa, non ritenga opportuno erogare un adeguato contributo dello Stato, onde garantire il regolare e decoroso svolgimento delle manifestazioni stesse.

«Cacciatore».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’industria e commercio, di grazia e giustizia e dell’interno, per chiedere che l’Assemblea Costituente sia – appena possibile – ampiamente informata delle direttive e delle conclusioni dell’inchiesta relativa allo scandalo delle gomme, in quanto la criminale speculazione investe con l’A.T.A.C. uno dei più vitali servizi della Capitale.

«La pubblica opinione, stanca della sistematica impunità e delle risibili penalità generalmente inflitte per reati contro l’interesse generale, esige sanzioni esemplari pronte ed adeguate.

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non intenda emanare opportune disposizioni perché l’articolo 283 del Regolamento per gl’Istituti di prevenzione e di pena 18 giugno 1931, n. 787, venga opportunamente modificato, o almeno interpretato cum grano salis, onde impedire la possibilità del ripetersi di casi che – come quello del pazzo omicida Bruno Strolighi – offendono la morale e mettono in serio pericolo la tranquillità pubblica e privata.

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare in ordine alla necessaria ed urgente ricostruzione della ferrovia Isernia-Vairano, reclamata da gravi ed evidenti ragioni di comunicazione e di traffico tra il Molise e l’Abruzzo coi grandi centri di Napoli e di Roma, e non più dilazionabile, specie ora che per le ricostruzioni e le riparazioni delle reti ferroviarie è stata fatta una nuova assegnazione di fondi per oltre 175 miliardi.

«Mentre si è provveduto e si continua a provvedere alla ricostruzione ferroviaria dell’Italia del Nord e in quella Centrale, anche nei tronchi di scarsa importanza, si trascura la ricostruzione del tratto Isernia-Vairano, che per la sua eccezionale importanza avrebbe dovuto avere un’assoluta precedenza.

«Il collegamento della rete Adriatica con quella Tirrenica, attraverso il Molise, non può essere effettuato se non col tronco della Isernia-Vairano.

«Ed enormi sono gl’interessi che vengono danneggiati, in ogni settore, dall’ingiustificato ritardo della invocata ricostruzione, per le popolazioni del Molise che più delle altre la guerra ha colpito e funestato.

«Ciampitti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni che hanno indotto l’Alto Commissario per l’alimentazione a rifornire l’Italia meridionale, ed in particolare la città di Messina, di pasta alimentare (fabbricata nei pastifici dell’Italia settentrionale) piuttosto che di grano, arrecando così un grave danno alle maestranze ed alle industrie locali.

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le cause del grave disastro sulla linea ferroviaria Camigliatello-Cosenza, gestita dalla Società Calabro-Lucana, nel quale hanno incontrato la morte cinque padri di famiglia, e si lamentano numerosi feriti.

«Si chiede se sia consentito su queste linee a forte pendenza, il movimento di automotrici, logorate dal tempo e dall’uso, e per giunta sottoposte quotidianamente ad un sovraccarico di viaggiatori. I quali non lasciano nemmeno libero – con evidente e continuo pericolo – lo spazio riservato al conducente, di cui limitano vigilanza e possibilità di movimento e di immediata e provvida manovra.

«Mancini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del tesoro e del commercio con l’estero, per conoscere le ragioni di carattere economico e monetario, le esigenze tecniche e pratiche che hanno determinato il recente provvedimento che stabilisce la parità legale del dollaro a lire 350.

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per chiedere se, dinanzi alla persistente campagna avversa alle nuove direttive per un più razionale ed aggiornato completamento della stazione di Roma, non ravvisi l’opportunità di riesumare le molteplici responsabilità legate al progetto iniziale e sommerse nella catastrofe della Nazione.

«Quel progetto, non movendo da presupposti essenzialmente tecnici e logici, non poteva non riassumersi che in un orrore architettonico ed in un errore funzionale.

«E se il recente intervento di organi responsabili migliorerà la situazione, non risanerà però l’enorme danno finanziario la cui responsabilità deve essere individuata, per l’evidente colposo consenso portato ad una realizzazione, nella quale la tecnica ha sistematicamente ceduto a pretese direttive politiche (se tali possono chiamarsi la megalomania ed il cafonismo veramente tipici in quell’opera) dietro le quali, comunque, agiva quella organizzazione di interessi, che trova ancora eco nella stampa.

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non creda opportuno di accogliere l’invito che l’interrogante gli rivolge, di voler effettuare una breve visita al porto di Civitavecchia durante l’imbarco dei viaggiatori diretti in Sardegna. In tal modo, l’onorevole Ministro potrà accertare come, a causa dell’enorme ed inqualificabile ritardo col quale procedono i lavori di ricostruzione delle banchine di quel porto, l’imbarco e lo sbarco delle molte centinaia di viaggiatori si svolga in condizioni di disagio e di pericolo attraverso una banchina ristretta, inidonea, fangosa o polverosa, dove sostano carri ferroviari, dove si caricano merci voluminose e sulle persone assiepate premono in disordine carriaggi di ogni specie. Soprattutto, l’onorevole Ministro potrà rilevare come, a causa del predetto ritardo nella esecuzione dei lavori, non sia possibile destinare al servizio Civitavecchia-Olbia un piroscafo più capace, per cui sono necessari fondali più alti. Da questo fatto consegue che ogni giorno, dopo scenate indecorose e fatti dolorosi, centinaia di viaggiatori, per lo più sprovvisti di mezzi di soggiorno, vengono respinti perché non possono essere imbarcati; e ciò mentre il piroscafo denominato Città di Tunisi, che potrebbe soddisfare le esigenze dei traffico sardo se fossero apprestati adatti fondali, viaggia quasi vuoto fra Napoli e Palermo con un deficit di dieci milioni di lire al mese, altro autentico sperpero e disservizio da reprimere al più presto.

«Corsi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere i criteri che hanno presieduto alla distribuzione ed assegnazione del «Premio della ricostruzione» fra il personale delle ferrovie dello Stato.

«Morini»..

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e dell’interno, per conoscere se non si ritiene urgente ed indispensabile – in rapporto e riferimento al decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 177 – emanare disposizioni le quali:

  1. a) permettano anche ai comuni interessati il controllo sui cinematografi, contemplato nell’articolo 62 del testo unico 30 dicembre 1933, n. 3276;
  2. b) modifichino radicalmente l’attuale procedura di versamento dei contributi ai comuni; procedura che attualmente rende utilizzabili i proventi spettacoli solo a distanza di anni.

«Morini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno, delle finanze e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se siano a cognizione delle furiose grandinate e conseguenti piene che hanno devastato nel corrente mese ed in alcuni territori ripetutamente in giorni diversi le già fiorenti campagne di Lanciano (frazione Sant’Onofrio), Atessa, Casalbordino, Vasto, Ortona a Mare, Villalfonsina, Fossacesia, Rocca San Giovanni, il dorsale collinoso di Chieti, San Giovanni Teatino, Torrevecchia Teatina, Pizzoferrato, Pennapiedimonte, Tollo, Ganosa Sannita, Poggiofiorito, Crecchio e di numerose altre località della provincia di Teramo, distruggendo il raccolto totalmente per migliaia di ettari ed arrecando danni per centinaia e centinaia di milioni, con la conseguente miseria di quelle laboriose popolazioni; e quali provvedimenti intendano adottare per almeno attenuare la loro iattura, avvalendosi dei decreti-legge 28 settembre 1930, e 30 marzo 1933, o adottando – di urgenza, come è suggerito dalla gravità eccezionale del caso – speciali ed adeguati provvedimenti.

«Lopardi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere – dopo che inutilmente si è rivolto, allo stesso fine, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla Direzione Generale dell’assistenza post-bellica – i motivi per i quali sono stati, nel luglio scorso, ritirati dagli Istituti di educazione ed istruzione in cui erano ricoverati, e restituiti alle macerie, alla fame, alle malattie, 256 bambini dei 23 comuni della Maiella terribilmente sinistrati dalla guerra e nei quali si vive ancora una vita di inferno.

«Si chiede che l’inumano provvedimento – che, non potendo essere validamente giustificato da esigenze di bilancio, inconcepibili in questa materia, ha provocato enorme, preoccupante risentimento in quelle martoriate popolazioni di montagna fin troppo esasperate per lo stato di completo abbandono in cui sono lasciate dagli organi responsabili del Governo – venga revocato d’urgenza almeno per quelli (circa 120) dei predetti, disgraziati bambini che sono orfani di militari e partigiani caduti in combattimento o dispersi o di vittime civili, tanto più che ad essi non può provvedere, per mancanza di fondi, l’Opera nazionale orfani di guerra.

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se, di fronte alla palese e riconosciuta imperfezione delle disposizioni di legge vigenti in tema di procedimenti a carico di ex fascisti imputati di collaborazionismo, alla quale imperfezione è dovuto il costante susseguirsi di decisioni giudiziarie disformi e contraddittorie, le quali commuovono sfavorevolmente l’opinione pubblica e pregiudicano il prestigio della giustizia, non ravvisi la necessità urgente di un provvedimento legislativo che, eliminando e correggendo le deviazioni e le anomalie delle vigenti norme di legge, limiti l’intervento della giustizia punitiva ai soli casi di delinquenza comune occasionati da motivi politici.

«Villabruna».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale, delle finanze e del tesoro, per stabilire l’esattezza della notizia, diffusa negli ambienti politici di Bologna, secondo la quale l’ex Stabilimento poligrafico editore del Resto del Carlino, già centro di propaganda delle teorie fasciste e cassa di risonanza degli interessi dei maggiori esponenti del passato regime e dopo la liberazione affidato ad una cooperativa – detta S.T.E.B. – forte di 400 tipografi, che hanno durante due anni compiuto opera lodevole sotto tutti i punti di vista, dimostrando l’attitudine della loro classe all’autogoverno, sarebbe stato riscattato per un pugno di moneta svalutata dai rappresentanti di correnti politiche, che l’opinione pubblica dell’Emilia ha già ripetutamente con indubbie prove elettorali sconfessato.

«In caso affermativo il sottoscritto domanda se il riscatto dell’importante istituto, con il consenso del Governo, non sia contrario alle premesse fondamentali dell’Italia democratica e repubblicana, che nel suo progetto di Costituzione riconosce la funzione sociale della cooperazione (articolo 42) e proibisce la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista (articolo 1 delle disposizioni transitorie).

«Zanardi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere quali provvedimenti intenda prendere nei confronti del Procuratore generale della Repubblica di Napoli, il quale, durante la discussione del processo Basile, conclusosi in modo tanto offensivo per la giustizia, ha dichiarato che le leggi eccezionali per le sanzioni contro i fascisti sono una mostruosità ed ha insinuato che la Magistratura del Nord nel giudicare i fascisti ha subito interferenze estranee ed ha perciò compiuto non opera di giustizia, bensì di vendetta; affermazioni queste che non sono assolutamente compatibili con la qualità di magistrato e che suonano aperta sconfessione delle leggi dello Stato da parte di chi dovrebbe sentire solo il dovere di applicarle.

«Barbareschi, Faralli, Pertini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non creda di dare opportune istruzioni ai Commissari regionali per gli usi civici, di restringere la loro azione agli atti di pura amministrazione ordinaria, posto che la materia – per deliberazione dell’Assemblea Costituente – sarà in breve di dominio legislativo dell’ente Regione.

«Un tale provvedimento appare tanto più necessario in quanto da parte di tali organi esecutivi si insiste sull’applicazione della legge fascista sul riordinamento degli usi civici del 16 giugno 1927, n. 1766, la quale nelle zone montane dell’Alta Italia e in particolare in Friuli, non avrebbe altro esito di quello di determinare grave disordine e sconvolgimento dell’economia locale.

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se, tenuto conto:

  1. a) che gravi errori ed ingiustificate sperequazioni si lamentano in ordine agli accertamenti compiuti dai funzionari dell’Amministrazione finanziaria ai fini dell’applicazione dell’imposta generale sull’entrata a carico dei negozi di vendita al dettaglio, dei pubblici esercizi, degli artigiani; dei professionisti ed agenti di cambio, degli spedizionieri ed agenti di viaggio, degli esercenti trasporti di persone con mezzi di trasporti da piazza e da noleggio: errori e sperequazioni dovute ai criteri di verifica e di accertamento sbrigativi e puramente congetturali che sono adottati nei confronti di alcuni singoli contribuenti, e i cui risultati vengono arbitrariamente estasi agli appartenenti alla medesima categoria, senza la necessaria identificazione della effettiva importanza di ogni singola attività;
  2. b) che la Commissione provinciale istituita col decreto legislativo 27 dicembre 1946, n. 469, non offre, per la sua composizione, seria garanzia di un esatto ed imparziale giudizio: circostanza tanto più deprecabile ove si tenga conto del carattere definitivo attribuito alle decisioni di detta Commissione, ed alla comminatoria di sanzioni pecuniarie irrevocabili a carico dei contribuenti, anche quando l’applicazione di tali sanzioni in concreto sia del tutto ingiustificabile;
  3. c) che il sovra lamentato metodo di accertamento e di tassazione non soltanto determina un grave stato di disagio e di malcontento nei riguardi delle categorie colpite, ma è destinato a risolversi in un ulteriore aumento dei prezzi a danno dei consumatori;

non ravvisi la necessità urgente di apportare alle vigenti disposizioni opportuni ritocchi e modifiche, diretti ad assicurare un più razionale ed equo sistema di accertamento, che si ritiene di poter proporre come segue:

1°) comunicazione obbligatoria al contribuente del referto della polizia tributaria, o di ogni altro organo inquirente, in modo di consentire al contribuente stesso un effettivo e tempestivo esercizio del suo diritto di difesa;

2°) formulazione degli accertamenti da effettuarsi in collaborazione tra gli Uffici delle imposte dirette e gli Uffici del registro, con il concorso di Commissioni qualificate appartenenti alle singole categorie interessate;

3°) istituzione di un nuovo organo giurisdizionale di primo grado, rappresentato da una Commissione presieduta da un magistrato in servizio od a riposo, e composta di membri designati dalle varie categorie: attribuendo alla Commissione provinciale funzioni giurisdizionali di secondo grado;

4°) esenzione da qualunque sopratassa e pena pecuniaria nei casi di concordato concluso avanti la Commissione di primo grado.

«Villabruna».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se il Governo intende mettere finalmente un termine alla vita della A.R.A.R., che occupa da anni impianti dell’industria privata con pregiudizio dell’economia nazionale e con aggravamento del problema della disoccupazione.

«De Martino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere:

1°) se gli consti che taluni uffici distrettuali delle imposte dirette – e segnatamente quello di Sant’Angelo dei Lombardi – stiano dando prova di eccessivo ed inconsulto zelo, avendo proceduto e continuando a procedere solo dopo la pubblicazione del decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 143, alla notifica di numerosi accertamenti per l’imposta ordinaria sul patrimonio, con effetto dal 1° gennaio 1943, in confronto di modestissimi proprietari od esercenti, i quali finora erano rimasti indisturbati, pur essendo l’imposta in vigore dal 1940, ingenerando così il sospetto che la procedura, formalmente avviata per un tributo che viene a cessare, sia in realtà preordinata ad acquisire contribuenti alla straordinaria proporzionale; e se non creda di dare disposizioni perché gli Uffici – fatta eccezione per i rari casi di gravi ed evidenti erronee omissioni – si astengano dal notificare nuovi avvisi di accertamento per l’imposta ordinaria sul patrimonio e revochino quelli già notificati;

2°) se gli consti che taluni uffici siano riluttanti ad accogliere il principio della legge che gli imponibili della straordinaria proporzionale devono essere stabiliti in base ai valori del triennio 1937-39 moltiplicati per i coefficienti fissi di 10 (terreni) e 5 (fabbricati) e se non creda, ad evitare fastidi per i contribuenti più modesti e meno attrezzati alla difesa dei loro interessi, di dare istruzioni perché siano rettificati, sulla base dei detti coefficienti, tutti gli imponibili per i quali vi sia stata variazione in aumento dell’imposta ordinaria sul patrimonio dopo la prima applicazione di essa;

3°) se, per quanto concerne le piccole aziende industriali e commerciali, agli effetti della determinazione dei valori assoggettabili alla straordinaria proporzionale, non creda che si debbano adottare criteri analoghi a quelli stabiliti per i terreni ed i fabbricati, che sostanzialmente riescono a stabilire valori imponibili medi inferiori a quelli correnti, onde stabilire criteri uniformi e perequati nell’applicazione dello stesso tributo.

«Scoca».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della marina mercantile, per conoscere quali inoppugnabili ragioni hanno consigliato il dirottamento verso altro porto del piroscafo Conte Biancamano appartenente di fatto e di diritto al compartimento di Genova, dove avrebbe dovuto arrivare fin dal giorno 30 agosto.

«Faralli, Barbareschi, Pertini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, sulle ragioni per le quali la polizia di Terni non è intervenuta, in occasione di una recente dimostrazione, contro quei dimostranti colpevoli del reato di cui all’articolo 297 Codice penale, e nella flagranza di esso, per aver scritto ed esposto cartelli offensivi della dignità del Sovrano Pontefice.

«Bellavista, Condorelli, Mazza».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare al fine di risolvere l’intollerabile situazione per la quale, quantunque siano stati stanziati i fondi necessari ed appaltati i relativi lavori, onde venire incontro con 180 alloggi agli urgenti bisogni di una popolazione come quella della città di Benevento, distrutta per metà in conseguenza della guerra, non si ottiene ancora, dopo un anno di interruzione, che venga fornito il ferro necessario all’impresa, dopo che sono stati anche rilasciati dal competente ufficio del Genio civile i relativi buoni di assegnazione.

«E per conoscere, inoltre, se, in vista della tragica situazione di centinaia di famiglie che tutt’ora vivono in fetide baracche o in oscuri antri, situazione personalmente constatata dall’onorevole Ministro in una sua visita alla predetta città, non intenda il Governo intervenire in maniera più pronta ed efficace con lo stanziamento di adeguati fondi e la rapida costruzione di opportuni alloggi.

«Cifaldi, De Caro Raffaele, Bosco Lucarelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non reputi opportuno revocare la disposizione in base alla quale è fatto obbligo alle amministrazioni universitarie di versare al Tesoro, a partire dal prossimo anno accademico, l’importo della sopratassa speciale di iscrizione, incamerata negli anni passati dalle stesse università in virtù dell’articolo 30 del decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 238: disposizione che aggrava ulteriormente le già gravi condizioni finanziarie degli istituti di cultura superiore.

«Martino Gaetano».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Governo, per sapere quali provvedimenti di urgenza intenda adottare per far fronte alla grave e allarmante disoccupazione di Napoli e della ragione campana.

«Salerno, Persico, Ruggiero Carlo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere come mai non si sia ancora provveduto all’approvazione dei sottoelencati progetti concernenti la sistemazione di Altino (Chieti): 1°) riparazione acquedotto; 2°) riparazione cimitero; 3°) pavimentazione e fognature al paese; 4°) scuole elementari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Venditti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non intenda estendere, seguendo ampio criterio di equità, alle vedove ed ai figli e figlie nubili minorenni dei pensionati civili e militari e dell’Amministrazione delle ferrovie dello Stato (anche se il matrimonio fu contratto durante lo stato di quiescenza, oppure nel biennio precedente al collocamento a riposo) e alle figlie nubili maggiorenni del pensionato, rimaste orfane, le disposizioni contenute nel capo I del titolo IV del testo unico delle leggi sulle pensioni civili e militari, approvato con regio decreto 21 febbraio 1895, n. 70, e dell’articolo 15 del testo unico delle disposizioni per le pensioni del personale delle ferrovie dello Stato, approvato con regio decreto 22 aprile 1909, n. 229, colle successive rispettive modificazioni, e nei limiti propri di ciascuna; subordinando il godimento del detto beneficio alle seguenti circostanze:

1°) che si tratti di vedova o di figli di pensionato rimasto vedovo prima o dopo la cessazione del servizio attivo e passato a seconde nozze dopo la messa in quiescenza oppure nel biennio precedente ad essa;

2°) che dalla data del matrimonio del pensionato a quella del suo decesso sia trascorso il termine non minore di 18 mesi compiuti;

3°) che le orfane maggiorenni del pensionato siano nubili, inabili a qualsiasi lavoro redditizio e non godano altra pensione od assegno a carico dello Stato, come già previsto dalla legge per le pensioni del personale delle ferrovie dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Selvaggi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se gli risulta che il Comando generale dell’Arma dei carabinieri non ha ancora dato esecuzione al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 maggio 1947, n. 500, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 giugno 1947. Poiché sembra che quel Comando generale, assumendo deficienze organiche, abbia intenzione di avanzare proposte per rendere inapplicabile all’Arma il decreto stesso, l’interrogante si permette di far rilevare all’onorevole Ministro che alle paventate deficienze si potrebbe ovviare potenziando l’arruolamento, anziché trattenendo coloro che aspirano al collocamento a riposo, su domanda, e coloro che eventualmente avessero demeritato dopo la proclamazione dell’armistizio.

«E pertanto chiede all’onorevole Ministro se non ritenga opportuno respingere eventuali proposte tendenti a non far applicare all’Arma il predetto decreto, e dare nel contempo urgenti disposizioni per l’immediata esecuzione dello stesso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Coppa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per richiamare la sua attenzione sul regio decreto 6 gennaio 1942, n. 47, che riservava a favore dei reduci e categorie similari il 50 per cento delle cattedre d’insegnamento che si sarebbero rese vacanti fino a sei mesi dopo la fine dello stato di guerra. Nell’articolo 7 si faceva speciale menzione di coloro che, dopo aver superato favorevolmente la prova scritta, non hanno potuto prendere parte a quelle orali, perché impossibilitati da cause di guerra.

«Un recente provvedimento stabilisce che metà di detti posti venga conferita in base alla sola valutazione dei titoli a coloro che abbiano precedentemente conseguita un’abilitazione. L’interrogante domanda se non si ritenga giusto aprire tale concorso per titoli anche a coloro che, ai sensi del surriferito articolo 7, avendo già favorevolmente superato le prove scritte, non abbiano poi potuto partecipare agli orali o per sopravvenuta prigionia, o per altre riconosciute cause di guerra.

«Con ciò, infatti, non si verrebbe meno al criterio fondamentale cui il recente provvedimento è ispirato, cioè che non si possa conseguire la nomina in ruolo senza aver sostenuto un esame. D’altra parte, mentre coloro che sono in possesso di una completa abilitazione, o l’hanno conseguita prima della guerra, non riuscendo in condizioni normali a vincere il concorso, hanno potuto sostenere regolarmente esami durante la guerra stessa, non riportando quindi da essa quei danni, cui lo spirito del regio decreto 6 gennaio 1942 mira a porre rimedio; con il provvedimento di cui sopra si viene a stornare una metà dei posti loro riservati a coloro che dalla guerra sono stati impossibilitati a completare gli esami di concorso già da essi iniziati con buone probabilità di riuscita, ledendo così uno stato giuridicamente già acquisito da una categoria cui con minori possibilità di dubbi si deve riconoscere un effettivo danno subito a causa di servizio di guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Macrelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se il Governo non intende con esplicito provvedimento stabilire quale sia la precisa data in cui si deve ritenere proclamata la pseudo repubblica sociale italiana, ad evitare contestazioni in linea di ricorso da parte di funzionari lesi nei loro diritti, tenendo presente: 1°) che il decreto legislativo luogotenenziale 5 ottobre 1944, n. 249, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 ottobre 1944, n. 70, relativo all’assetto della legislazione nei territori liberati, all’articolo 2 dichiara, tra l’altro, la inefficacia giuridica dei provvedimenti adottati «sotto l’impero del sedicente governo della repubblica sociale italiana», concernenti «la nomina, la carriera e la cessazione dal servizio dei dipendenti dello Stato, degli enti pubblici e degli enti sottoposti a vigilanza o tutela dello Stato e rispetto ai quali lo Stato abbia, comunque, partecipato alla formazione del capitale o, sotto qualunque forma, al finanziamento»;

2°) che in base a questo decreto, alcune amministrazioni dell’Italia non liberata all’8 settembre hanno dichiarato privi di ogni efficacia giuridica tutti i provvedimenti adottati dopo l’8 settembre 1943.

«Ora, poiché fino al 24 settembre 1943 non intervenne alcuna innovazione nell’ordinamento giuridico dello Stato e poiché solo dopo questa data si delinea la costituzione nei territori occupati dai nazisti di uno pseudo governo fascista repubblicano, appare arbitrario il provvedimento adottato da tali enti con la pronuncia di nullità dei provvedimenti indicati all’articolo 2 del decreto legislativo del 5 ottobre 1944, n. 249, anche anteriori al 24 settembre 1943, presi da amministrazioni non repubblichine di enti pubblici o parastatali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cevolotto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della difesa e della marina mercantile, per conoscere per quale motivo è cessato, dopo solo due viaggi, il servizio di trasporto dei prigionieri di guerra e degli internati civili dall’Eritrea, pel quale servizio il Governo americano ha posto a disposizione di quello italiano fin dal novembre 1946 le navi Vulcania e Saturnia; e ciò mentre numerosi ex militari e civili anelano di rimpatriare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e di grazia e giustizia, per conoscere se non ritengano opportuno, per ragioni di giustizia ed equità, emanare un provvedimento che sancisca l’efficacia retroattiva del decreto legislativo luogotenenziale 20 marzo 1945, n. 212, in tema di abrogazione della sanzione di nullità degli atti privati non registrati aventi per oggetto trasferimenti di beni immobili e di diritti immobiliari, stabilita con decreto-legge 27 settembre 1941, n. 1015, ovviando, in tal modo, alle ben note storture pratiche che in realtà derivano dalla mancanza di tale retroattività che, convalidando la nullità delle scritture private in data anteriore al suddetto decreto-legislativo luogotenenziale 20 marzo 1945, n. 212, e privandole di ogni azionabilità, favorisce in conseguenza la mala fede dei contribuenti inadempienti, mentre reca danno non indifferente ai moltissimi cittadini che acquistarono beni immobili e diritti immobiliari nel periodo intercorrente tra i due decreti, con piena e provabile buona fede. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere quello che ha fatto per eliminare la incresciosa situazione che si è verificata fra i dipendenti dell’Arsenale militare marittimo di Taranto, in seguito alle elezioni recentemente avvenute per la nomina delle Commissioni interne. Per tali elezioni gli organi direttivi della F.N.D.S., dopo aver preteso che la lista dell’Uomo qualunque dovesse avere 1200 firme, mentre tale condizione non era fatta per gli altri Partiti, successivamente, dopo cioè che la lista aveva raccolto le firme richieste, hanno escluso con arbitraria quanto faziosa decisione la lista qualunquista dalle elezioni. In tale circostanza i rappresentanti dell’Uomo qualunque in seno al Comitato elettorale della F.N.D.S. sono stati aggrediti e malmenati, mentre sono stati minacciati i firmatari stessi della lista qualunquista. Ciò premesso, l’interrogante reputa opportuno chiedere se l’autorità militare intende riconoscere valide le elezioni suddette, i cui risultati vanno considerati non rispondenti alla volontà degli arsenalotti, molti dei quali, dopo aver sottoscritto la lista dell’Uomo qualunque, si sono astenuti dal voto, deplorando l’atteggiamento delle autorità militari marittime, le quali benché richieste di intervenire per prevenire gli accennati abusi, non hanno ritenuto opportuno evitare tempestivamente gli incresciosi incidenti lamentati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se sia tollerabile che in regime di democrazia si possa tentare d’imporre ad un cittadino o a diversi cittadini di lasciare il luogo di loro abituale residenza e le loro normali occupazioni.

«Ciò con riferimento a quanto si è verificato o si vorrebbe fare verificare in comune di Bomporto (provincia di Modena), ove da parte della locale Camera del lavoro si esige che il signor Piccinini Gaetano con i suoi familiari abbandoni il paese e conseguentemente anche la abituale professione di fattore di campagna. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Coppi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della difesa, in relazione con l’immane tragedia avvenuta a Cefalonia negli infausti giorni del settembre 1943, in cui perirono oltre 5000 soldati e 500 ufficiali italiani, ed i superstiti furono deportati in Germania, dove trovarono quasi tutti una lenta morte; tragedia causata da insipienza e incoscienza di capi lontani e da spietata ferocia dei barbari tedeschi-nazisti, l’interrogante chiede di sapere, prescindendo dalla questione delle responsabilità alte e basse, quali provvedimenti siano stati adottati o si trovino allo studio per onorare degnamente le vittime e dare allo loro famiglie quel conforto morale e materiale che è anche una doverosa riparazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bernamonti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali provvedimenti si intendono adottare per ovviare alla difficile situazione in cui vengono a trovarsi i proprietari di alberghi requisiti per le truppe e i servizi alleati, specialmente nelle stazioni balneari e di cura come Viareggio ed altre.

«Ai detti proprietari vengono corrisposte, a titolo di indennizzo per la requisizione, delle somme assolutamente inadeguate ai costi attuali, e appare urgentissimo, fra l’altro, un provvedimento per una sollecita revisione dei prezzi-letto, che si confaccia alle esigenze odierne, essendo inconcepibile che si possa far fronte alle spese di gestione con sole 17 lire giornaliere per letto, cifra attualmente fissata.

«Provvedimenti di estrema urgenza si impongono anche per il rimborso mensile dei consumi, come acqua, luce, legna, ecc. e per la liquidazione totale che dovrebbe essere fatta ogni trimestre per poter mettere l’albergatore in condizione di far fronte ai propri impegni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non intenda emanare norme integrative al decreto legislativo luogotenenziale 26 marzo 1946, n. 134, per rendere più facile e più sollecita la riscossione dei profitti di regime, determinando una data fissa alla quale debba riferirsi la valutazione dei profitti avocabili e stabilendo criteri di valutazione quanto più è possibile automatici, in analogia a ciò che si è fatto per l’avocazione dei profitti di guerra e di speculazione e per l’imposta straordinaria sul patrimonio. (L’interrogante. chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se trova corretto che il Direttore generale addetto all’emigrazione non risponda alle lettere dei deputati alla Costituente che prospettano casi di speciale rilievo per l’inclusione nella quota negli S.U.A., o se creda di dare disposizioni precise per evitare, perché il grave inconveniente non debba ripetersi e sia invece consentito, attraverso queste segnalazioni e richieste, il costante controllo sull’operato di quella direzione generale, ed il rilascio di passaporti, per accertare che siano rilasciati secondo l’ordine di precedenza e secondo un criterio non di favore, ma di giustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Reale Vito».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se crede di intensificare i lavori per la ricostruzione della Manifattura tabacchi «San Pietro Martire», sezione Scafati, in vista delle gravi condizioni della disoccupazione locale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Falco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere i motivi per i quali l’Istituto sperimentale dei tabacchi di Scafati, che ha avuto vita gloriosa dal 1865, è stato soppresso e le ragioni per cui si è creduto di sistemare i servizi relativi ponendoli alla dipendenza di una sezione dell’agenzia di Cava dei Tirreni.

«Evidenti ragioni logiche, tecniche, ambientali consigliano invece di dare sede proprio in Scafati, giovandosi delle attrezzature colà esistenti, all’Istituto scientifico sperimentale dei tabacchi di nuova creazione, in perfetta autonomia.

«Tutto questo a prescindere dalla legittima e doverosa tutela dei diritti dei funzionari e del personale, da anni stabilitosi in Scafati, e che non sarebbe giusto sottoporre, nei gravi momenti attuali, alle enormi e gravi difficoltà di un trasferimento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Falco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se per motivi etici ed economici non intenda estendere, nei riguardi di tutti i concedenti, il provvido decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato (4 dicembre 1946, numero 671) riflettente la temporanea sospensione dell’esercizio del diritto di affrancazione dei canoni enfiteutici, censi ed altre prestazioni perpetue, nei riguardi dei comuni, provincie ed istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Falco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali ragioni ostacolino l’accoglimento della istanza di erezione in ente morale dell’Associazione volontari del sangue di Milano.

«L’istanza, corredata di tutti i documenti rituali, presentata da oltre un anno all’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica, rimane inevasa per ragioni incomprensibili.

«L’interrogante ritiene legittima e giusta l’aspirazione della benemerita Associazione milanese dei donatori del sangue costituita alla data del 30 giugno 1947 da 9983 volontari con ben 59.714 donazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tumminelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se intende emanare un provvedimento legislativo, per il quale possano partecipare ai concorsi per direttore didattico tutti gli insegnanti elementari forniti di laurea e non solo quelli forniti del diploma di vigilanza scolastica rilasciato dalla facoltà di magistero, come previsto dall’articolo 2 della legge 31 maggio 1943, n. 570.

«L’interrogante ritiene giustificato il desiderio dei maestri che si trovano nelle condizioni predette, perché con un tale provvedimento si verrebbe a sanare la lacuna, per cui con un titolo superiore detti insegnanti non potrebbero partecipare ad un concorso aperto ai loro colleghi non laureati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tumminelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri della difesa e della pubblica istruzione, per conoscere quali ragioni hanno ispirato il provvedimento di adibire a casa di svago e divertimento del soldato l’edificio scolastico della ex scuola Martignoni di Milano, mentre istituti scolastici governativi sono sopraffollati di alunni e debbono alternare nelle stesse aule anche tre turni al giorno di insegnamento per carenza di locali e impossibilità di ottenere dall’autorità provinciale nuovi edifici.

«In modo particolare appare ingiustificato e inopportuno l’uso che si vuole fare della ex scuola Martignoni (un edificio scolastico moderno con sessanta o settanta aule) mentre c’è un liceo scientifico governativo con circa duemila scolari senza sede, accampato alla men peggio, presso due scuole già per conto proprio sovraccariche di scolari.

«È pertanto urgente disporre che la sede dell’ex scuola Martignoni sia messa a disposizione dell’autorità scolastica milanese perché possa sistemarvi il secondo liceo scientifico governativo, provvedendo diversamente per la casa di svago del soldato, che non presenta lo stesso carattere di urgenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tumminelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se ritenga o meno opportuno emanare un provvedimento legislativo per l’assicurazione obbligatoria contro i danni prodotti dalla grandine nella coltivazione del tabacco per conto dello Stato.

«In proposito l’interrogante ebbe a presentare, di sua iniziativa, una proposta di legge che fu svolta e presa in considerazione nella seduta del 3 giugno 1922 (Atti parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXVI, sessione 1921-22, Documento n. 1599) e che non poté aver seguito per i successivi eventi politici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, per conoscere se sia in corso l’equiparazione dei cantonieri statali ai cantonieri ferroviari e se con tale provvedimento stiano per essere concretate anche le altre richieste presentate dalla Associazione nazionale di categoria nell’interesse dei cantonieri statali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Chieffi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non ritiene opportuno, per eliminare la incresciosa situazione che si è verificata tra i dipendenti dell’Arsenale militare marittimo di Taranto, in seguito alle elezioni recentemente avvenute per la nomina delle Commissioni interne, disporre l’annullamento delle elezioni stesse, i cui risultati vanno considerati non rispondenti alla volontà degli arsenalotti, molti dei quali, dopo aver sottoscritto la lista dell’Uomo qualunque, si sono astenuti dal voto.

«Infatti per tali elezioni gli organi direttivi della F.N.D.S., dopo aver preteso che la lista dell’Uomo qualunque doveva avere 1200 firme, mentre tale condizione non era fatta per gli altri partiti, successivamente, dopo cioè che la lista aveva raccolto le firme richieste, hanno escluso con arbitraria quanto faziosa decisione la lista qualunquista dalle elezioni. In tale circostanza i rappresentanti dell’Uomo qualunque in seno al Comitato elettorale della F.N.D.S. sono stati aggrediti e malmenati, mentre sono stati minacciati i firmatari stessi della lista qualunquista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«La Gravinese Nicola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli affari esteri, per conoscere se risponda a verità la notizia pubblicata dai giornali che una Corte alleata avrebbe, a Livorno, condannato a morte per impiccagione un cittadino italiano reo di aver ucciso un paracadutista calatosi in borghese in territorio italiano in istato di guerra; e, ove la notizia fosse vera, come il Governo intenda reagire a questa patente offesa ai principî di giustizia e a quella sovranità italiana di cui tanto si è parlato durante la discussione per la ratifica anticipata del «Trattato». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Russo Perez».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se non ritiene opportuno estendere la concessione di tradotte per il trasporto di legna da ardere anche alle stazioni ferroviarie situate al sud della linea Battipaglia-Potenza-Metaponto-Brindisi.

«Sta di fatto che l’esclusione dal beneficio dell’intera regione calabrese, mentre ha suscitato vivo malcontento fra i numerosi industriali boschivi, i quali hanno visto perduta ogni possibilità di commercio con ditte ed enti del Settentrione, ove la legna da ardere, mancando il carbone fossile, è insistentemente richiesta, ha provocato nei più importanti scali ferroviari della Calabria l’affardellamento di enormi montagne di legna da tempo in attesa di carico.

«Tale incresciosa situazione ha causato gravissimi danni agli industriali i quali, dopo aver impiegato cospicui capitali per l’acquisto dei boschi, la lavorazione in loco ed il trasporto agli scali, hanno dovuto subire gravissime crisi economiche e sono stati costretti a sospendere la lavorazione, mettendo in stato di disoccupazione un considerevole numero di lavoratori, che nella produzione e nel commercio della legna in quella regione trova largo impiego. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tieri».

«Il sottoscritto fa presente al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro degli affari esteri, che in data 16 giugno 1947 presentò la seguente interrogazione:

«Per sapere se consti della esistenza in Albania, e precisamente a Korce, di circa settecento lavoratori italiani cui non è stato finora consentito di rientrare in patria, e per conoscere quali provvedimenti siano stati presi o siano in corso di adozione allo scopo suddetto, tenuto presente che gli stessi prigionieri di guerra sono rientrati da tempo in famiglia.

«L’onorevole Presidente del Consiglio, presente alla seduta del 16 giugno 1947 dell’Assemblea, dichiarò di riconoscere l’urgenza dell’interrogazione.

«Soltanto però nella seduta del 28 luglio 1947, l’onorevole Ministro degli affari esteri, come risulta dal relativo resoconto, diede, sollecitato dall’interrogante, una risposta incompleta ed assai vaga.

«L’interrogante ripete, pertanto, l’interrogazione, soprattutto al fine di sapere quali provvedimenti intenda attuare il Governo onde ottenere l’immediato rimpatrio dei nostri connazionali, i quali non possono continuare ad essere trattati con dispregio delle più elementari norme del diritto internazionale e della libertà e dignità dell’uomo civile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Costantini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quale attività il Governo abbia svolto e intenda svolgere per rendere possibile alle varie migliaia di ex prigionieri, residenti prima della guerra coi loro familiari all’estero o nei territori coloniali italiani, di ricongiungersi con le loro famiglie, facendo finalmente ritorno alle loro case o alle sedi del loro lavoro.

«Non può, infatti, non apparire degna del maggiore interessamento da parte del Governo la dolorosa situazione in cui si trovano questi nostri connazionali che dopo avere servito la Patria in guerra e dopo avere trascorso lunghi anni in prigionia, trattenuti ancora oggi nei centri di raccolta, versano in condizioni materiali e morali di estremo disagio; costretti all’ozio e sottoposti ad un trattamento di quasi prigionia in patria, sono ancora tenuti lontani dai loro cari, che non vedono da oltre sei anni, e, preoccupati delle condizioni di indigenza in cui versano i loro familiari, assistono con crescente sconforto al costante rinvio della soluzione del loro problema. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere se, dopo quattro anni di ritardo, la direzione generale degli italiani all’estero (ufficio scuole) abbia intenzione di corrispondere al professore Vincenzo Forti, profugo dalla Tunisia, gli stipendi di maggio e giugno 1943. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Vita».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del lavoro e della pubblica istruzione, per conoscere se sia fondata la notizia della rimozione degli uffici dell’Ispettorato regionale del lavoro nonché di quelli della Deputazione di storia patria dalla città di Reggio Calabria, dove hanno sede; ed in caso affermativo quali motivi abbiano determinato tali provvedimenti, di cui la sola notizia – che è da augurarsi infondata – ha già suscitato vivissima agitazione nella popolazione ed unanimi manifestazioni di protesta in seno alle rappresentanze cittadine e provinciali di Reggio Calabria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri dei lavori pubblici, delle finanze e del tesoro, per sapere quali provvedimenti intendano adottare, in linea d’urgenza, a favore delle 40 famiglie duramente colpite dal disastroso incendio sviluppatosi il 7 agosto 1947 a Sant’Eufemia d’Aspromonte, in seguito al quale ben 40 abitazioni furono compietamente distrutte. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere quali provvedimenti ha preso o intenda prendere ai fini della sistemazione e riattivazione del campo di aviazione di Comiso.

«Detto campo, per la sua ubicazione e per le sue condizioni di vasta attrezzatura, suscettibili di essere ripristinate nella efficienza che ebbero durante la guerra, si presta a diventare uno dei più importanti aeroporti civili mediterranei e ciò va tenuto presente nelle concessioni di linee aeree ai fini di più ampio sviluppo della nostra aeronautica civile.

«Inoltre detto campo è al centro di una estesa zona agraria a cultura intensiva, rinomata in Italia e all’estero per la produzione ed esportazione di primaticci e prodotti ortofrutticoli in genere, che con grande vantaggio dell’economia collettiva potrebbero essere aviotrasportati nei lontani centri di consumo.

«Infine i lavori di sistemazione per ripristinare il campo nella primitiva efficienza sarebbero immediatamente opportuni per fronteggiare la grave disoccupazione che affligge la provincia di Ragusa, specie nel campo edile, e che ha dato luogo a recenti scioperi.

«Non ultima considerazione che si impone, e di natura schiettamente politica, è che la Sicilia non è soltanto il trinomio Palermo, Messina, Catania, ma vi è anche non ultima, ma purtroppo negletta e trascurata, tutta la zona sud-orientale, che rappresenta una popolazione di circa mezzo milione e un centro di intensa produzione agricola pregiata e di attività commerciale nonché di solerte avviamento industriale, per cui si impone di andare incontro al bisogno dei nuovi tempi relativo ad un collegamento aereo coi grandi mercati, alla quale esigenza risponde pienamente l’aeroporto di Comiso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cartia ».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro della difesa, per sapere se, di fronte alla situazione che si è creata colla proroga dei lavori dell’Assemblea e il conseguente ritardo nella convocazione di un regolare Parlamento, di fronte alla gravità del problema del riordinamento delle Forze armate sulla base imposta dall’ingiusto trattato di pace, ed all’evidente malumore derivante dalla sistemazione dei quadri:

non si ritenga opportuno portare la questione dinanzi all’Assemblea per una esauriente discussione;

o, qualora altre esigenze vi si oppongano, provocare dall’Assemblea la nomina di una Commissione parlamentare, assistita da elementi tecnici delle singole Forze armate, per gettare le basi del definitivo ordinamento e risolvere con equità i gravi problemi della sistemazione del personale, evitando il diffondersi e l’aggravarsi di quello stato di malessere nato dai vari provvedimenti; che, da coloro, che si ritengono danneggiati, vengono attribuiti a criteri ingiusti e settari, con grave danno di quel cameratismo che deve esistere tra i quadri dell’esercito permanente e quello in congedo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bencivenga».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della marina mercantile, per conoscere i motivi pei quali in data 1° agosto è stata data disposizione che non sia applicato alcun aumento alla misura dei contributi previsti dall’articolo 1279, primo e secondo comma, del Codice della navigazione, sospendendo così l’applicazione del decreto presidenziale 26 aprile 1947, n. 547, il quale dispone sia decuplicata la misura dei contributi predetti, decreto già entrato in vigore il giorno 3 luglio 1947, ed in base al quale le Capitanerie di porto avevano già dato le disposizioni del caso; ed altresì per conoscere come si intenda provvedere a normalizzare il regime dei contributi in questione, nell’interesse dei lavoratori portuali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere:

se è a conoscenza della pubblicazione, da parte di un giornale romano della sera, del diario scritto da una detenuta responsabile di un orrendo crimine che ebbe a commuovere profondamente l’anima del popolo;

e come tale pubblicazione – a parte le ovvie considerazioni morali che la deplorano – sia stata possibile, dal momento che le norme regolamentari vigenti nelle carceri giudiziarie non consentono ai detenuti d’inviare all’esterno manoscritti senza il consenso dell’autorità giudiziaria;

e per conoscere inoltre quali provvedimenti s’intendano prendere contro i responsabili dell’avvenuta infrazione alle norme suddette. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Minio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se nel piano generale di ricostruzione e di potenziamento delle linee ferroviarie italiane non possa essere compresa la costruzione del tratto Roccasecca-Formia, che completerebbe il congiungimento trasversale tra l’Adriatico e il Tirreno, con enorme vantaggio di tutta l’economia nazionale.

«Il sottoscritto desidera ricordare che, nella seconda tornata di sabato 6 agosto 1921 della Camera dei Deputati (Legislatura XXVI, prima sessione, Discussioni n. XXXIII, pagina 1547) ad una sua esplicita richiesta, il Ministro dei lavori pubblici dell’epoca, onorevole Micheli, ebbe a rispondere che avrebbe tenuto «nella massima considerazione la linea Roccasecca-Formia per la grande importanza che effettivamente riveste». Da allora (e sono passati ben 26 anni!) non se n’è fatto più nulla! (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere le ragioni che inducono le Intendenze di finanza e gli uffici distrettuali delle imposte dirette a non dare immediata comunicazione alle rispettive esattorie delle imposte stesse degli avvenuti riscatti dell’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio, onde ne derivano sì il pericolo di ingiusti atti coattivi contro contribuenti che hanno effettuato l’intero pagamento e sì affievolimento nella volontà di molti altri a determinarsi al riscatto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cifaldi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere:

se gli è noto che alcuni comandi della Guardia di finanza ed, in particolare, quello di Caserta, non dànno alcun valore alle norme esecutive, emesse dal Ministero dell’agricoltura e confermate dall’Alto Commissariato dell’alimentazione (circolari 20255 e 20303 del 7 dicembre 1946 e 9 dicembre 1946), allo scopo di regolare le modalità e la procedura per l’ammasso dell’olio disposto con il decreto ministeriale 31 ottobre 1946, n. 252. Ciò, mentre dette norme hanno avuto dovunque in Italia piena esecuzione e completo riconoscimento di legalità e sono state, poi, confermate e convalidate dal decreto ministeriale 11 maggio 1947, n. 120, che fa espresso richiamo ad esse;

quali provvedimenti intenda di prendere con l’urgenza richiesta dal caso, dato che il detto comando della Guardia di finanza di Caserta arresta, denunzia e sequestra i prodotti, come in questi giorni è avvenuto a Teano, di coloro che disciplinatamente si sono attenuti a dette norme e disposizioni, cosa che risulta dalle dichiarazioni scritte della UCSEA e degli altri organi locali preposti al controllo, dichiarando esso Comando di ritenere le norme stesse incapaci di modificare la esecutorietà di quanto prescritto dal succitato ed iniziale decreto 31 ottobre 1946.

«Si fa presente che la posizione va chiarita e regolarizzata con ogni urgenza, dato che anche la magistratura del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che è in possesso delle denunzie presentate dal comando della Guardia di finanza di Caserta contro i presunti trasgressori, ha dimostrato di non avere una precisa opinione in proposito. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali difficoltà si frappongono alla promulgazione dei provvedimenti legislativi, già da tempo predisposti, circa l’allineamento del sistema e dell’entità delle prestazioni all’assicurazione di malattia per i lavoratori rispettivamente dell’agricoltura, del commercio e del credito ed assicurazione.

«Chiede inoltre di conoscere le ragioni del ritardo nella determinazione dell’adeguamento delle aliquote contributive per il settore dell’agricoltura per l’anno 1947, riferito all’assicurazione di malattia, ritardo che toglie all’Istituto assicuratore ogni possibilità funzionale in tale campo, con grave pregiudizio degli interessi dei lavoratori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bibolotti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quanto già chiesto con altra interrogazione presentata nella seduta dell’Assemblea del 30 luglio 1947 (sin oggi senza risposta) e cioè i motivi che ritardano la sanzione dell’accordo «già intervenuto» fra il comune di Reggio Calabria ed il Ministero della pubblica istruzione per la nazionalizzazione del Museo di Reggio Calabria.

«La pratica si trova dal dicembre 1946 all’esame del Ministero dell’interno e già quello della pubblica istruzione ne ha fatto presente l’urgenza, segnalando anche «eventuali resistenze al provvedimento da parte di elementi locali, per ragioni personali», come dalla risposta ad analoga interrogazione del sottoscritto data dal Ministro della pubblica istruzione il 28 luglio 1947. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere i motivi che sinora hanno impedito, nonostante l’assicurazione data dal Ministero con foglio n. 17500 dell’8 gennaio 1947 diretto al prefetto di Roma, di adottare i provvedimenti ripetutamente invocati dalla deputazione provinciale della Capitale per eliminare l’anormale situazione determinatasi nell’ufficio di segretario generale dell’Amministrazione provinciale, ricoperto nominalmente dall’avvocato Giovanni Lorenzo Imbriaco, il quale però non presta servizio essendosi ritenuto inopportuno ch’egli riprenda le funzioni esercitate durante tutto il periodo fascista, ed effettivamente disimpegnato dal dottor Pasquale Catarinella, designato alla carica dalla deputazione provinciale; per conoscere altresì se non ritenga che sia ora di porre fine agl’indugi, liberando l’Amministrazione provinciale dall’aggravio di un doppio stipendio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carboni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere quali criteri vennero adottati dalla Commissione costituita in seno al Ministero per lo sfollamento degli ufficiali in base al decreto 20 maggio 1946, n. 384, essendosi verificato il caso di allontanamento dall’esercito di giovani ufficiali superiori, con brillante passato militare, internati nei campi di concentramento e che hanno compiuto tutto e intero il loro dovere, mentre vennero richiamati dalla posizione di «attesa di reimpiego» ufficiali che aderirono e giurarono fedeltà alla infausta repubblica di Salò. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze, dell’agricoltura e foreste e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere quali provvedimenti intendano adottare per alleviare almeno in parte i gravissimi danni del violento uragano che si è abbattuto nei giorni scorsi sul territorio del comune di San Giovanni Lipioni (Chieti) distruggendo completamente i raccolti dell’ulivo e dell’uva, le piante da frutta e gli ortaggi e danneggiando persino l’abitato mercé la rottura di tegole e vetri.

«Si chiede innanzi tutto l’esenzione da tutte le imposte e la concessione di speciali beneficî nel campo dell’agricoltura e dell’alimentazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per sapere se siano a conoscenza che il piccolo comune di Lentella (Chieti) di mille anime, che ha dato ai granai del popolo, pur avendo un agro poverissimo, ben 1200 quintali di grano, il doppio dello scorso anno, è tra i paesi più trascurati d’Italia e attende da anni che siano riparati l’unica strada di accesso al paese, l’acquedotto che è in fin di vita ed è in parte franato, il cimitero e la strada che vi conduce, nonché le fognature.

«Si chiede che si provveda d’urgenza a tali lavori, mai effettuati nonostante le promesse delle autorità comunali e provinciali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze, del tesoro, dell’agricoltura, dei lavori pubblici e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare, nei limiti della rispettiva competenza, per alleviare in qualche modo i gravissimi danni (valutati a circa un miliardo di lire) della terribile grandinata che, con chicchi di eccezionale grandezza (del peso di mezzo chilo) si è abbattuta il 12 agosto 1947 su una vasta zona della campagna di Ortona distruggendo completamente il raccolto della pregiata uva da tavola di esportazione «Pergolone», del vino e dell’ulivo, nonché tutti gli ortaggi.

«Si chiede, per quei disgraziati agricoltori, che con sacrifizi sovrumani e con la perdita di centinaia di loro congiunti erano riusciti a far rinascere e prosperare i loro campi già schiantati dalla furia devastatrice della guerra e insidiati da innumerevoli mine, oltre all’esenzione da ogni genere di tributi, la concessione dei seguenti benefici che valgano ad attenuare le condizioni di angosciosa miseria in cui sono nuovamente piombati per effetto di questo secondo flagello:

1°) versamento immediato di un altro anticipo sui danni di guerra per la perdita di beni mobili domestici;

2°) versamento cumulativo di due acconti a quelli che non hanno ancora riscosso alcun anticipo;

3°) liquidazione e pagamento dei danni di guerra subiti dalle loro aziende agricole;

4°) pronta liquidazione del contributo statale a quelli tra loro che hanno riparato o ricostruito le case di abitazione danneggiate o distrutte dagli eventi bellici;

5°) speciali provvidenze nel campo alimentare e dell’agricoltura. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se e quando cesserà il monopolio dei pubblici servizi automobilistici, tuttora detenuto da grosse imprese privilegiate ed inamovibili che riescono sempre ad impedire il sorgere di altre libere ed oneste iniziative di società minori od a soffocarle appena nate, per eliminare senza scrupoli la concorrenza e dominare senza contrasti in un campo che involge, tra gli altri e soprattutto, gli interessi di intere popolazioni, specie nelle zone che sono ancora prive di comunicazioni ferroviarie.

«Si chiede, in concreto – citandosi uno dei tanti episodi incresciosi – perché è stato soppresso il servizio (ottimo sotto tutti gli aspetti) – che veniva effettuato dalla Società italiana riparazioni e trasporti (S.I.R.E.T.) tra Lanciano e Roma e Lanciano e Napoli e che non solo collegava tra loro importanti centri intermedi come Ortona, Francavilla, San Vito, ecc., ma aveva ridata la vita a quelle ampie zone dell’Aventino e del Sangro, martoriate dalla guerra, tuttora tagliate dal mondo per la mancata e tanto attesa ricostruzione della ferrovia Sangritana che prima le attraversava.

«Si impone il ripristino immediato di tale servizio, la cui ingiustificata soppressione ha provocato energiche proteste unanimi dei comuni, dei partiti, delle associazioni ed altri enti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non ritenga opportuno, al fine di evitare eventuali casi di corruzione e per rassicurare il pubblico interessato, di disporre l’affissione nei locali dei Distretti militari degli elenchi dei cittadini esonerati dal servizio militare con la specificazione del motivo dell’esonero. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scarpa».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste, sulla opportunità di prorogare la scadenza del premio di sollecito conferimento del grano agli ammassi almeno fino al 31 agosto in favore dei produttori della provincia di Potenza, i quali, pur essendo animati da spirito di solidarietà e di premura, non sono in grado di godere del premio stesso, non essendo per la maggior parte forniti di trebbie e di altri attrezzi necessari per il compimento dei lavori di raccolta del grano e debbono perciò attendere lungo tempo prima che sia giunto il loro turno per usufruire delle pochissime trebbie esistenti in provincia.

«Tale condizione di svantaggio di fronte ai produttori delle altre zone determina gravissimo malumore. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zotta».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri del tesoro, delle finanze e dell’industria e commercio, per conoscere esattamente, tenuto conto degli stanziamenti originari e di quelli successivi, l’importo dei fondi finora erogati per la ricostruzione ed il ripristino degli impianti industriali, in dipendenza del decreto legislativo luogotenenziale 1° novembre 1944, n. 367, e di quello 8 maggio 1946, n. 449, fondi che l’opinione pubblica ritiene, in complesso, ammontanti a circa 35 miliardi. E perché sia precisato in che modo l’importo stesso è stato ripartito tra l’Italia settentrionale e quella centrale e meridionale.

«Ciò allo scopo di verificare se all’Italia meridionale, che ha il triste privilegio di aver sopportato il più alto onere di distruzioni – onere che nel suo maggior centro, Napoli, ha raggiunto il 70 per cento circa della consistenza degli impianti – è stata assegnata o, quanto meno, riservata su detti fondi, come prescritto da ogni più elementare criterio di equità e di giustizia, una quota proporzionata all’importo dei danni subiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere quali provvedimenti in via d’urgenza intenda adottare in favore degli agricoltori (piccoli proprietari e coltivatori diretti) di Soligo, frazione del comune di Farra di Soligo in provincia di Treviso, che si trovano in condizioni pietose causa la distruzione delle case, mobilia e bestiame avvenuta nel periodo nazi-fascista. Lamentano infatti detti agricoltori che la situazione è notevolmente aggravata in seguito all’aumento della pressione fiscale, che non tiene conto di tante rovine consumate, di reddito notevolmente diminuito, delle condizioni pietose in cui versano centinaia di famiglie. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali provvedimenti in via del tutto straordinaria intenda adottare per la ricostruzione di 12 case di abitazione e 25 stalle, distrutte in rappresaglie nazi-fasciste nel disgraziatissimo Soligo, frazione del comune di Farra di Soligo, provincia di Treviso.

«La miseria di quella popolazione è spaventosa e non si può chiedere alla stessa alcun ulteriore sacrificio. Si invocano, pertanto, provvedimenti urgenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se, considerata la gravissima situazione granaria verificatasi nel corrente anno non solo a causa dell’annata sfavorevole, ma anche per la ridotta superficie investita e per le minori cure dedicate alle culture cerealicole, e tenuto conto che nell’ambiente agricolo è diffuso un preoccupante fermento, dovuto a convinzione e propaganda, che lascia prevedere per la nuova campagna un investimento ancor più ridotto, non ritengano urgentissimo che il Governo si pronunci subito con precisione sulla futura disciplina granaria per il fatto che gli agricoltori, nel breve volgere di pochi giorni, debbono predisporre i lavori per la semina. E per sapere in particolare a qual punto sia la preparazione delle norme per le nuove forme di ammasso per contingente previste per il nuovo anno, per le quali sarà bene aver cura che:

1°) per incoraggiare le colture cerealicole le nuove norme da emanarsi siano note almeno entro la prima quindicina di settembre;

2°) la disciplina si basi su quantitativi fissati indistintamente per ettaro in coltivazione, in modo che all’ammasso per contingente contribuiscano tutti gli agricoltori, siano o no produttori di cereali;

3°) siano fissate le quote pro capite per uso famigliare, quelle per semina e usi aziendali considerandole come facenti parte del conferimento all’ammasso per contingente;

4°) sia prevista l’esclusione delle piccolissime aziende;

5°) il decreto sull’ammasso per contingente fissi delle norme di carattere generale lasciando che l’attuazione pratica sia regolata da disposizioni provinciali in quanto in ogni provincia ci sono situazioni ambientali e sistemi di lavoro (menda, cottimo, ecc.) che sarebbe impossibile prevedere con un unico decreto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guariento».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Governo, per sapere se non sia giunta l’ora di liquidare l’abbondante serie di Commissari e Commissariati che, a più di due anni dalla liberazione, detengono come un’arbitraria e vantaggiosa sinecura la rappresentanza di Associazioni e di Istituti pubblici, di cui è doveroso nei congrui casi ristabilire la legittima rappresentanza, mediante la libera elezione degli aventi diritto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bertini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non credano addivenire prontamente alla liquidazione dell’Ente nazionale di previdenza avvocati, e ciò conforme ai ripetuti voti della classe forense, giacché l’Istituto stesso è mancato completamente ai suoi scopi e la sua gestione continua ad impinguarsi inutilmente dei gravosi contributi degli interessati e delle tasse giudiziarie, esatte con grave imbarazzo della stessa Amministrazione giudiziaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bertini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della difesa e della pubblica istruzione, per sapere:

  1. a) se è a loro conoscenza che un grande edificio dell’ex scuola Martignoni a Milano sia dedicato a casa di svago e divertimento per il soldato, mentre il secondo Liceo scientifico milanese manca di una sede propria e deve ospitare una crescente popolazione scolastica;
  2. b) se, in caso in cui la notizia sia vera, non ritengano di adottare d’urgenza il provvedimento di restituire all’autorità scolastica l’edificio in parola, che consentirebbe la disponibilità di 60 o 70 aule, e quindi risolverebbe il grave problema che si affaccia nel veniente anno scolastico per gli studenti del Liceo scientifico milanese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tremelloni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se intenda provvedere a sollecitare le promozioni dei sergenti maggiori dell’Esercito, da tempo bloccate, e all’assegnazione di alloggi ai sottufficiali ammogliati; se non creda di subordinare il trasferimento di detti sottufficiali alla disponibilità di alloggio nella nuova sede di destinazione: le quali provvidenze costituirebbero una prova che il Dicastero della difesa cerca di adeguare le condizioni economico-morali di questi suoi dipendenti a quelle, indubbiamente migliori, di ogni altro dipendente statale e parastatale di parità di grado se non di funzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Filippini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti sono stati presi a favore degli studenti che si iscrissero e frequentarono i corsi della scuola di medicina e chirurgia che si istituì in Asmara nel 1941 a seguito delle cessate relazioni con la Madre patria, e vi sostennero regolari esami alla fine di ogni corso.

«La Facoltà di medicina di Roma, interessata dal Ministero della pubblica istruzione, nella seduta del 25 febbraio 1945 esprimeva parere favorevole al riconoscimento degli studi compiuti, non autorizzando per altro la Scuola al conferimento della laurea. Riconfermava tale parere favorevole nella seduta dell’11 aprile 1946.

«Oggi molti studenti sono in grado di conseguire la laurea in Patria, solo a seguito delle opportune decisioni del Ministero della pubblica istruzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«La Gravinese Nicola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se è vero che l’ispettore agrario compartimentale di Catanzaro, dottor Berna, valendosi della sua carica e con mezzi illeciti, sia venuto in possesso di terreni tratti dai relitti di bonifica nel comprensorio di Brancaleone (Reggio Calabria), sfera di sua competenza, intestandoli alla moglie e alla figlia, alle quali ha erogato sussidi per miglioramenti agricoli.

«In caso affermativo quali provvedimenti intenda prendere a carico del suddetto funzionario, che, fra l’altro, è un epurato fascista, affinché la scandalosa speculazione, oggetto di vivaci commenti, sia severamente repressa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro della marina mercantile, per sapere quali provvedimenti intendano adottare affinché venga distribuito equamente – secondo le attrezzature di cui sono forniti i porti d’Italia ed il numero dei componenti le compagnie – l’arrivo dei piroscafi di grano, carbone ed altro, e ciò perché tutte le città marinare abbiano eguale possibilità di lavoro. Se intendano espletare un’azione per accertare il funzionamento della Commissione di coordinamento trasporti e se, accertata la inefficienza o la mancanza di detta Commissione che avrebbe il compito di coordinare il lavoro dei porti con obiettività ed unicità d’indirizzo, quali provvedimenti verranno adottati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità), per sapere se non ritenga opportuno ed utile attrezzare un padiglione degli Ospedali riuniti di Reggio Calabria, oggi disponibile, come sanatorio antitubercolare, indispensabile a questa città, dove non esiste istituzione del genere e dove il diffondersi, in questi ultimi tempi, della tubercolosi nelle classi popolari, ha acuito in modo preoccupante la situazione generale, rendendo difficile l’assistenza agli ammalati e la profilassi sanitaria per carenza di sanatori.

«L’interrogante fa rilevare che fin’oggi gli ammalati di questa provincia sono costretti ad essere ricoverati in altre provincie con grande disagio delle famiglie povere, ragion per cui la richiesta in oggetto si appalesa maggiormente necessaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni della ritardata emanazione del provvedimento di estensione agli agenti di custodia dei benefici che loro competono a mente di quanto è disposto dall’articolo 2, terzo capoverso, del decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945, n. 722, e ciò a partire dalla data in cui sono stati chiamati per legge a far parte delle Forze armate dello Stato; provvedimento che, oltre ad eliminare la disuguaglianza di trattamento tra il personale di custodia e gli appartenenti agli altri corpi di polizia, varrà a sollevare le condizioni di grave disagio economico e morale, in cui gli agenti si trovano a vivere attualmente, tenuto presente il delicato servizio cui devono assolvere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga opportuno dare al Commissario dell’Ente edilizio di Reggio Calabria, integrato da una Commissione consultiva, la facoltà di regolare gli alloggi dei complessi edilizi di sua competenza, mediante redistribuzione ai concessionari, in quei casi che l’alloggio risulti eccedente al fabbisogno familiare, secondo lo stato di famiglia, documentato dall’ufficio anagrafe della città.

«Ciò per evitare nella crisi attuale, come in effetti si verifica, la speculazione di subaffitti simulati, da una parte, e la privazione di un tetto ad aventi diritto, in conseguenza della guerra, dall’altra.

«L’interrogante fa osservare che la concessione, da parte dell’Ente edilizio, degli alloggi agli aventi diritto non deve avere il carattere di contratto privato per il motivo che tale carattere non consente all’organo concedente di eliminare la sperequazione e la speculazione. Ragion per cui è desiderabile dare alla concessione il carattere pubblico e regolabile secondo la necessità, specie dopo lo scioglimento dei Commissariati degli alloggi, che ha sensibilmente aggravato la situazione dei senzatetto, in condizioni economiche non sufficienti a procurarsi un’abitazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere:

  1. a) se non ritenga urgente sospendere il taglio di piante forestali nella zona dell’Aspromonte in Calabria, dove ditte industriali, venute dal Nord e spinte da criteri speculativi, compiacentemente favorite dagli agenti forestali, spogliano la foresta delle piante utili, anzi indispensabili alla sistemazione montana idrico-forestale ed alla bonifica delle zone vallive in via di programmazione e di attuazione;
  2. b) se non riconosca, invece, necessario procedere al rimboschimento continuo, oggi sospeso per mancanza dei fondi occorrenti, della suddetta zona mediante un programma razionale, in breve tempo eseguibile e concordato con gli enti tecnici di bonifica valliva, al fine di valorizzare tutte le opere fin qui eseguite a valle, che costarono milioni all’erario e che ancora sono sotto il pericolo continuo di alluvioni, per mancato coordinamento di azione tra il Ministero dell’agricoltura e quello dei lavori pubblici;
  3. c) se, al fine di cui sopra, non ritenga procedere al riordinamento del corpo forestale, non ancora sistemato e rispondente alle immediate necessità, tenendo presente che la Calabria per la sua speciale costituzione orografica è la regione che ha immediato bisogno del servizio forestale, competente per tecnica ed adeguato alle esigenze della vigilanza e della disciplina delle foreste. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga giusto provvedere d’urgenza a che l’importante nodo stradale Cesena-Cesenatico venga classificato statale, accogliendo così i voti delle amministrazioni e popolazioni interessate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non crede necessario revocare prontamente un enorme errore verso il sergente Brunati Ermelindo di Carlo e di Fumagalli Rosalia, nato il 26 ottobre 1916 a Lentate sul Seveso ed ivi abitante in via Verdi, 5.

«Risulta all’interrogante, come del resto è palese dagli atti, che il 23 marzo 1943 il nominato Brunati ebbe ad apostrofare il colonnello Gambassi, il quale commemorava la fondazione dei fasci nella caserma «Giacomo Medici» a Roma con la frase: «Piantala, buffone!», esprimendo in tal modo la sua avversione al fascismo che il detto colonnello si apprestava a commemorare.

«Per questo fatto il sergente Brunati venne condannato in data 23 luglio 1943 a 12 anni di reclusione militare. Scontati 15 mesi il coraggioso sergente, avvenuta la liberazione di Roma, venne liberato dal capitano Palma. Se non che, attualmente il sergente in parola è stato nuovamente arrestato per scontare la pena inflittagli sotto il Governo fascista.

«Il sergente in parola è riuscito a rendersi latitante.

«L’interrogante chiede che l’onorevole Ministro di grazia e giustizia intervenga prontamente a revocare l’arresto, in quanto l’atto del sergente Brunati fa parte dei tanti episodi di eroismo e di resistenza al fascismo, di cui si sono resi responsabili centinaia di migliaia di soldati, civili e militari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mariani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non ritenga opportuno e necessario che l’amnistia, di cui all’articolo 1 del decreto 5 aprile 1944, n. 96, sia applicata d’ufficio ai condannati dell’ex tribunale speciale per la difesa dello Stato di fascista memoria per reati contro il cessato regime fascista.

«Ciò per evitare lungaggini procedurali a danno di tali condannati che debbono provvedere alla richiesta di applicazione della citata amnistia a loro spese, per di più col danno che può derivare dal non ottenere subito il certificato penale senza l’annotazione del reato, commesso appunto, come previsto dall’articolo 1 del citato decreto, per ridare al popolo italiano le libertà soppresse. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mariani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le ragioni che consigliarono la sospensione dei lavori di ricostruzione della stazione ferroviaria di Mortara, e per chiedere se non sia d’avviso che debbano essere ripresi al più presto, al fine di ripristinare il normale funzionamento di tutti gli uffici tutt’ora sistemati, in parte, in ambienti di fortuna.

«È superfluo aggiungere che alla stazione di Mortara convergono, e fanno capo, diverse linee con enorme affluenza di viaggiatori, per cui si rende necessario il sollecito riassesto della medesima. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pistoia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze, del tesoro, dei lavori pubblici, dei trasporti e dell’industria e commercio, per sapere se ritengano – anche per dimostrare, coi fatti, che il Governo non intende trascurare gli interessi vitali dell’Italia centro-meridionale – che sussista la imprescindibile, urgente necessità di proporre che la legge 5 dicembre 1941, n. 1572, sul decentramento degli stabilimenti industriali in connessione coi nuovi impianti idroelettrici dell’Italia centro-meridionale ed insulare, riprenda il proprio vigore e ne venga prorogata l’efficacia almeno pel decennio 1947-56.

«Tale necessità è stata dimostrata con ragioni inoppugnabili dalla Camera di commercio, industria ed agricoltura di Teramo in una mozione, allegata alla presente interrogazione e già comunicata direttamente ai predetti Ministri, con la quale si confutano ampiamente i rilievi, vaghi, inesatti ed incompleti, formulati nella risposta negativa dell’ex Ministro Morandi ad una precedente interrogazione del sottoscritto sullo stesso argomento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se non creda urgente disporre per la pronta ricostruzione della stazione ferroviaria di Codroipo, la quale, in seguito agli eventi di guerra, è stata ridotta nel suo corpo centrale  a tale esiguo numero di ambienti da rendere penoso e difficile il lavoro del personale e il traffico viaggiatori, mentre i depositi merci sono così ridotti che la maggior parte delle merci in sosta sono lasciate all’aperto, con continuo e grave pericolo di deterioramento per intemperie e moltiplicate ed incerte le cautele di custodia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze, del tesoro, dell’agricoltura, dei lavori pubblici e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare, nei limiti della rispettiva competenza, per alleviare in qualche modo i gravissimi danni delle terribili, eccezionali grandinate che si sono abbattute, distruggendo tutti i raccolti, sulle campagne dei comuni, già sinistrati dalla guerra, di Ari, Arielli, Canosa Sannita, Crecchio, Filetto, Giuliano Teatino, Lanciano, Orsogna, Poggiofiorito, Ripateatina, Vacri, Villamagna ed altri viciniori.

Si chiede, per quei disgraziati agricoltori, oltre all’esenzione da ogni genere di tributi, la concessione dei seguenti benefici che valgano ad attenuare le condizioni di angosciosa miseria in cui sono nuovamente piombati per effetto di questo secondo flagello:

1°) versamento immediato di un altro anticipo sui danni di guerra per la perdita di beni mobili domestici;

2°) versamento cumulativo di due acconti a quelli che non hanno ancora riscosso alcun anticipo;

3°) liquidazione e pagamento dei danni di guerra subiti dalle loro aziende agricole;

4°) pronta liquidazione del contributo statale a quelli tra loro che hanno riparato o ricostruito le case di abitazione danneggiate o distrutte dagli eventi bellici;

5°) speciali provvidenze nel campo alimentare e dell’agricoltura. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non ritenga opportuno e doveroso un sollecito e definitivo esame della situazione critica, e talvolta tragica, di quei cittadini italiani che svolgevano in Africa Orientale Italiana una libera attività e sono stati duramente colpiti nei loro interessi, senza che sia stato finora adottato alcun provvedimento per il risarcimento dei danni industriali o commerciali da essi subiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«de Martino Carmine».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga di dover includere nei concorsi banditi con decreto ministeriale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 luglio 1947 tra ex combattenti, mutilati ed invalidi per la lotta di liberazione, partigiani combattenti e reduci dalla prigionia e dalla deportazione, per la nomina ad insegnanti negli istituti governativi d’istruzione media, anche gli orfani di ex combattenti, di mutilati ed invalidi per la lotta di liberazione, di partigiani combattenti e di reduci dalla prigionia o dalla deportazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carboni Angelo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se gli organi responsabili del patrimonio di Arte sono al corrente dei propositi dell’Amministrazione di Milano – rivelati dalla stampa – circa l’alienazione di oggetti e di opere appartenenti a gallerie e musei di proprietà di quel Comune, e come – nel caso affermativo – si pensi di provvedere alla tutela dell’interesse nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e degli affari esteri, per conoscere quali provvedimenti si intenda adottare – ai fini del non più prorogabile ravvio alla normalità – per la graduale eliminazione di tutte le organizzazioni a carico del bilancio statale, le quali, sorte nell’immediato tragico dopoguerra, oggi, a distanza di vari anni, non dovrebbero avere più ragione di essere.

«Più particolarmente chiede se sia nota la esistenza in Roma di un Centro di assistenza per i figli degli italiani all’estero, abusivamente installatosi, da oltre quattro anni, nella proprietà privata denominata Villa Stuart sulla via Trionfale; che i componenti di detto Centro, i quali vivono a carico dello Stato, sono nella maggioranza impiegati a stipendio fisso o comunque addetti ad attività redditizie; che alcuni di questi, in convivenza promiscua, compiono anche atti vandalici contro la proprietà illegittimamente occupata, commettendo atti di violenza privata che nemmeno gli organi di pubblica sicurezza hanno potuto contenere, evocando in piena Roma i fasti della zona di Tombolo.

«La pronta eliminazione di questa situazione intollerabile determinerà l’impostazione di un vasto programma edilizio, che iniziative private straniere sollecitano di poter realizzare con evidente maggior decoro di Roma e con apporto effettivo alla soluzione dell’angoscioso problema della disoccupazione operaia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché, con la nomina di una Commissione idonea, si provveda, appena possibile, al riordinamento della Galleria nazionale d’arte moderna in Roma, restituendole con l’indirizzo di origine – compromesso da facile inclinazione a gusti polemici ed a mode anche straniere – l’importanza internazionale che le spetta.

«Collocate che siano le pitture e le sculture che hanno sicuramente varcato le soglie del temporaneo successo, o che rappresentino documentazione significativa di correnti costruttive, le tendenze nuove, dopo obiettiva selezione, troveranno la loro sede provvisoria in un apposito reparto della Galleria stessa, in attesa di quel collaudo del tempo che manifesta infallibilmente la caducità delle opere che non siano pervase dal divino afflato dell’arte. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non creda sollecitare il decreto di approvazione e di finanziamento, in base alla legge 13 febbraio 1933, n. 215, dei lavori di sistemazione dei pascoli alpini Fossa di Stevenà, Coda di Bosco, Pizzoch di proprietà del comune di Caneva di Sacile il cui progetto per un importo di 2.440.000 lire è stato preparato ancora il 26 aprile 1947.

«I lavori in corso devono esser in breve sospesi per mancanza del contributo governativo, con pericolo dei lavori eseguiti e con aumento della già impressionante disoccupazione locale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della difesa, per conoscere quali sono le ragioni del differente trattamento – relativamente alla corresponsione della razione viveri in natura od in contanti – tra i sottufficiali dell’Aeronautica militare, non effettivamente impiegati ma considerati in «attesa di destinazione», e quelli della Marina militare, pure considerati nella medesima posizione.

«Ciò perché consta che, mentre ai primi non sono state – a tutt’oggi – corrisposte le razioni viveri in natura od in contanti, a quelli della Marina militare – come da dispaccio del Ministero della marina, Direzione generale C.E.M.M., Direzione generale di Commissariato, protocollo n. 2000548 del 30 gennaio 1947 – è stato disposto di corrispondere tale razione viveri in natura od in contanti, rispettivamente se residenti in sede ove esistano magazzini viveri o se residenti in sede ove non esistano tali magazzini.

«Ora, considerato il caso di una forte aliquota di sottufficiali dell’Aviazione militare, trovantisi nella identica posizione dei sottufficiali della Marina militare, si ritiene che le disposizioni intese a regolare il trattamento economico ed amministrativo per i dipendenti della Marina debbano essere identiche – come per il passato – a quelle per i dipendenti dell’Aviazione, perché se uno stato di disagio economico esiste per i primi, è vero che lo stesso stato di disagio esiste per i secondi.

«Si chiede pertanto che venga, con urgenza, esaminata la situazione dei sottufficiali dell’Aviazione militare nella posizione di «attesa di destinazione» e che venga quindi esteso a questi ultimi il trattamento che è goduto dai loro colleghi della Marina militare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rognoni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se, presso i depositi dell’U.N.R.R.A. di Livorno e di Mestre, esistano giacenze di macchine agricole di probabile distribuzione ai Consorzi agrari provinciali per soddisfare le richieste di assegnazione, espresse dai vari centri di motoaratura.

«Ciò perché, tra le altre, nella provincia di Padova sono state assegnate – da parte del locale Consorzio agrario provinciale – macchine agricole ai centri di motoaratura dei comuni di Montagnana, Este e Campodarsego, mentre non è stata data evasione alla richiesta di assegnazione presentata dal nuovo centro di motoaratura del comune di Rubano – recentemente costituitosi – avendo, il predetto Consorzio agrario, esaurite le scorte. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rognoni».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Ministro del tesoro, sui gravissimi fatti dichiarati da un comunicato della Questura di Roma e che dimostrano come esista in Italia la possibilità – incontrastata ed incontrollata – di fabbricare ed emettere moneta dello Stato senza il concorso dello Stato medesimo.

«Se non ritenga urgente ed indispensabile una severa inchiesta su tutta la gestione del Poligrafico per colpire inesorabilmente i responsabili di fatti che gettano luce sinistra sulla vita amministrativa, tecnica e finanziaria dello Stato italiano.

«Se non ritenga, infine, evidente la necessità che si sappia finalmente, attraverso la stampigliatura o il cambio della moneta, quale è il suo effettivo volume – lecito od illecito – in libera circolazione, allo scopo di dare alla nostra sventurata moneta almeno un elemento di concretezza e restituendo così allo Stato quella serietà, di propositi e di sistemi, che costituisce base essenziale ed inderogabile di ogni sistema monetario.

«Santi».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri di grazia e giustizia e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quali provvedimenti si siano adottati per far cessare le già segnalate persecuzioni contro i coltivatori della terra in Calabria, che vivono nelle tradizionali condizioni di fame e sono scambiati per affamatori. Essi si trovano oggi esposti a vessatorie perquisizioni domiciliari ad opera di incaricati di enti parassitari dello Stato, che girano in lussuose macchine e in abiti sportivi, e, agendo per lo più in base a denunzie anonime, con audace offesa alla libertà individuale, provocano facili mandati di cattura e iniqui sequestri di tutto il misero frutto del lavoro, in danno di chi ha sudato un’intera annata per un pezzo di pane.

«Caroleo».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure le interpellanze saranno iscritte all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 18.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.