ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCXIII.
SEDUTA DI MERCOLEDÌ 10 SETTEMBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Commemorazioni:
Presidente
Cevolotto
Castelli Avolio
Persico
Cianca
Rodi
Crispo
Corbi
Targetti
Sforza, Ministro degli affari esteri
Chiostergi
Cifaldi
Congedi:
Presidente
Messaggio del Presidente del Praesidium del Soviet Supremo:
Presidente
Per le dimissioni presentate dall’onorevole Orlando:
Presidente
Per la pubblicazione dei resoconti stenografici dell’Assemblea:
Presidente
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Codacci Pisanelli
Crispo
Preziosi
Per la discussione di una mozione e di una interpellanza:
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Nenni
Presidente
Cevolotto
Capua
Fuschini
Togliatti
Risposta ad una interrogazione:
Faralli
Cappa, Ministro della marina mercantile
Presidente
Sui lavori dell’Assemblea:
Presidente
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.
(È approvato).
Commemorazioni.
PRESIDENTE. Non ancora si è spenta in quest’Aula l’eco delle parole con cui ieri si era espresso il comune profondo commosso cordoglio dell’Assemblea per la morte improvvisa di due nostri valenti colleghi, che una nuova notizia di lutto ci sorprende e ci rattrista.
Stamane, alle prime luci, lontano dalla famiglia, dalla sua città natale e da quella di elezione, lontano dall’Italia, a Losanna, è morto l’onorevole Carlo Bassano, per subita crisi di angina pectoris. Lo aveva recato laggiù quel mai raffrenato amore di pace fra i popoli che, in vita, lo spingeva sempre a volgersi con simpatia verso ogni iniziativa che facesse appello ai sensi di fraternità spirituale e di solidarietà fra gli uomini. Egli aveva voluto infatti rendersi conto di persona del valore e degli intendimenti del Convegno che in questi giorni raggruppa a Gstaad rappresentanti delle varie correnti del federalismo europeo. Forse la fatica del viaggio aprì più facile il varco al malore letale; certo la fibra, già così robusta, accusava da qualche tempo le conseguenze delle fatiche e delle profonde emozioni che l’onorevole Bassano aveva lietamente incontrate nella sua tenace opposizione al fascismo e nella lotta coraggiosa che aveva condotto contro l’oppressione tedesca.
Tutti coloro che qui, in Roma, sono stati in quel tempo attivi sul fronte della liberazione possono dirci di lui ben più di quanto occorra per celebrarlo fra i più degni di onoranza e di ricordo. E meritatamente, fino dal primo tempo del riscatto di Roma dalla occupazione nemica, fu chiamato a posti di alta responsabilità nel Governo e nella pubblica amministrazione.
Deputato all’Assemblea Costituente per il collegio di Aquila, noi abbiamo udito frequentemente la sua serena voce pacata parlarci con dottrina dei nostri problemi costituzionali. Ma questa voce si levò invece fremente ed appassionata quando la ratifica delle condizioni di pace propose recentemente all’Assemblea un compito di tragica ma irrinunciabile responsabilità.
Così, tra l’affetto per le più larghe masse del nostro popolo e la dedizione alla Patria, Carlo Bassano è trascorso, recandoci al di sopra del lungo abisso della nostra rovina nazionale un vivido insegnamento di tenace fedeltà agli alti ideali cui si era consacrato. (Segni di generale consenso).
CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CEVOLOTTO. La commozione per la perdita improvvisa, inaspettata, dell’amico fraterno mi impedisce di commemorato degnamente. Ma io voglio ricordare qui quest’uomo buono, pacato, tranquillo, affabile, cortese con tutti, ma che, proprio per questi suoi caratteri, pochi conoscevano, se non ne avevano la consuetudine di lunghi anni, nella fermezza delle sue idee, nella dedizione completa al suo ideale.
Giovanissimo, nato da una famiglia ricca di censo e di nobile prosapia, Egli si era iscritto a militare in quei partiti radicale e della democrazia sociale che allora rappresentavano le correnti estremiste; e parve quasi in quell’ambiente un reprobo.
Ed egli fin da allora tenacemente sostenne le sue idee, perché la sua mente lo portava ad una visione democratica della vita sociale italiana. E quando, dopo la guerra, alla quale partecipò sebbene un difetto della vista gli avrebbe permesso di non entrare nella battaglia, venne il fascismo, Carlo Bassano, con la stessa tranquillità con cui aveva aderito alle idee democratiche, mantenne fermo il suo punto, non si iscrisse né a sindacati né al partito; e, quando poté e come poté, sempre manifestò la sua fede antifascista con coraggio sereno.
Quando venne il momento della cospirazione, quando i tedeschi occuparono Roma, quando cominciarono le segrete adunanze dei comitati antifascisti, la casa di Carlo Bassano fu il punto di ritrovo di tutti questi comitati. Quando non si sapeva dove riunirci, dove andiamo? ci si chiedeva: andiamo da Bassano. Bassano accoglieva tutti con quella semplicità che gli era propria. Una volta erano radunati tre comitati in casa di Bassano con tale manifesta imprudenza che non so come non ne siano venuti tristi effetti. Vennero i repubblichini a domandare dove era Carlo Bassano; furono fatti sparire immediatamente i segni delle adunanze e ci nascondemmo come potemmo. Fortunatamente la polizia non insistette e se ne andò, altrimenti avrebbe fatto una retata clamorosa.
Poi, quando vennero i nazisti a cercarlo, perché troppo imprudente era questo suo contegno, per un favore del destino egli non era in casa e poté essere avvertito; e si allontanò allora e continuò la sua azione con la stessa tranquillità coraggiosa, con la stessa calma imperturbabile, come se nulla fosse successo, con un coraggio tanto aperto e spontaneo che non parve nemmeno coraggio e che pochi conobbero o riconobbero. Perciò, quando venne la liberazione, non sembrò a nessuno illogico che Bassano, avvocato di valore, che esercitava con fortuna presso la Cassazione civile, fosse chiamato al Sottosegretariato del Ministero della giustizia e poi al Sottosegretariato per la marina e poi ancora alla carica di prefetto di Roma, che egli tenne con una equanimità, con una imparzialità, con una tolleranza, ma allo stesso tempo con un vigore di azione, che gli valsero il rispetto e la considerazione di tutti.
Egli non aveva nemici; aveva forse degli avversari; aveva amici dappertutto, perché tutti sapevano quanto era buono, quanto era onesto.
Noi lo abbiamo avuto compagno, lo abbiamo avuto segretario generale del nostro partito e lo abbiamo apprezzato perché in tutto, nei consensi e nei dissensi, che egli manteneva sempre in una linea aderente alla disciplina di partito, era così leale, così aperto, così sincero, che non poteva non cattivarsi l’amicizia di chi lo avvicinava e anche di chi lo contrastava.
Oggi, noi, purtroppo, qui lo commemoriamo; e resta in noi soltanto, col grande dolore, il rammarico per la sua scomparsa, e resta una cara memoria che ci servirà di esempio, di monito e di sprone nelle battaglie di domani. (Applausi).
CASTELLI AVOLIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CASTELLI AVOLIO. A nome del Gruppo parlamentare della Democrazia cristiana, quale deputato del collegio d’Abruzzo e a nome mio personale, mi associo alle nobili parole pronunziate dall’onorevole Presidente dell’Assemblea e dall’onorevole Cevolotto per esprimere il cordoglio di noi tutti per l’immatura morte dell’onorevole Carlo Bassano.
Carlo Bassano ha sempre portato, in tutte le manifestazioni della sua vita operosa, nella esplicazione della sua attività professionale – egli era valente avvocato – nelle stesse lotte politiche da lui sostenute, quell’equilibrio e quella obiettività che gli provenivano dal suo sentimento profondamente e sinceramente democratico, disposato ad una innata, squisita signorilità.
Queste doti del suo carattere, del suo animo, unite ad un ingegno non comune, gli permisero di servire fedelmente e, aggiungo, utilmente il Paese e, nello stesso tempo, le idee politiche che egli professava, dapprima, come ha ricordato testé l’onorevole Cevolotto, quale Sottosegretario di Stato per la giustizia nel primo Gabinetto Bonomi, poi quale Sottosegretario per la marina nel secondo Gabinetto dello stesso onorevole Bonomi, poi quale prefetto di Roma in un periodo veramente difficile e, infine, quale segretario generale del Partito democratico del lavoro.
Non è questo il momento, onorevoli colleghi, di soffermarci sull’opera compiuta da Carlo Bassano. In quest’ora, in cui noi tutti siamo pervasi da mestizia profonda per la dipartita del collega, avvenuta in terra lontana, fuori dei confini d’Italia, nell’esplicazione di un’attività che strettamente si ricongiunge al mandato parlamentare, giungano alla sua Famiglia, così duramente provata, l’espressione del nostro cordoglio e i sentimenti della solidarietà che noi prendiamo al suo grande dolore. (Applausi).
PERSICO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERSICO. Onorevoli colleghi! Non mi riesce possibile, in questo momento, commemorare Carlo Bassano. A suo tempo dovremo fare una degna commemorazione di questo nostro collega. Oggi il mio animo è percosso da un’angoscia indicibile: è un amico fraterno che sparisce, un amico buono, leale, intelligente.
Egli aveva una sua cifra: la lealtà e la signorilità. Profondamente democratico, e non in contradizione con la nobiltà del suo lignaggio, egli ha sempre difeso la causa della libertà. Nelle ore oscure si è esposto in prima linea, senza temere i pericoli. Venuta la sua ora, ha assunto responsabilità di Governo con coscienza e dignità; ha tenuto alti uffici facendo valere, per il valore della sua persona, la carica che ricopriva.
Entrato in quest’Aula, ha portato sempre la sua serena parola, efficace, suadente, precisa, dimostrando doti non comuni di uomo di Governo e di parlamentare illustre.
Egli lascia in noi un ricordo incancellabile ed imperituro.
Vadano alla sua memoria il reverente cordoglio e il commosso saluto della nostra Assemblea. (Applausi).
CIANCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CIANCA. Mi associo con sincero dolore alla commemorazione del collega Carlo Bassano. Ricordo di aver conosciuto Carlo Bassano negli anni della lontana comune giovinezza nel suo Abruzzo nativo. Fui poi sempre legato a lui da un sentimento di sincera amicizia, perché in lui riconobbi ed apprezzai un combattente fedele e strenuo della causa antifascista, un uomo il quale nascondeva, sotto la sua gentilezza quel coraggio fermo che è stato poc’anzi ricordato dal collega Cevolotto.
Il Presidente ha giustamente detto che Carlo Bassano è morto sul campo del dovere. Inchiniamoci alla memoria di Carlo Bassano perché Egli ci lascia non soltanto un vivo ricordo ma anche un nobilissimo esempio. (Applausi).
RODI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RODI. A nome del Gruppo parlamentare qualunquista, mi associo alla manifestazione di cordoglio per la scomparsa dell’onorevole Carlo Bastano. Sono stato dolorosamente colpito dalla notizia, anche perché l’onorevole Bassano, uomo affabilissimo, mi aveva onorato della sua amicizia e, nei corridoi di Montecitorio, mi aveva parlato a lungo dei doveri del cittadino italiano.
Io desidero, per maggiormente onorare la sua memoria, promettere a me stesso di seguire i suoi consigli e i suoi insegnamenti. (Applausi).
CRISPO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CRISPO. Il Gruppo liberale si associa alla rievocazione di Carlo Bassano, ed a me rincresce vivamente di non poterne parlare come converrebbe ne parlassi, perché purtroppo non ebbi la ventura di alcuna consuetudine con lui. Intendo, non di meno, ricordare il tratto che più mi colpì nei brevi, rapidi conversari che ebbi con lui: la nota della sua signorilità: che non voleva essere già l’espressione di una sdegnosa individualità aristocratica, ma che era piuttosto come il riflesso di una squisita spiritualità che si effondeva in sorrisi di indulgenza e in espressioni di bontà.
E questo ricordo che è vivo in me mi piace ora di rievocare come il miglior tributo che si possa rendere alla memoria di Carlo Bassano. (Applausi).
CORBI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBI. Mi riesce difficile e doloroso il dover parlare commemorando il collega Bassano, per due ragioni: in primo luogo, perché ad esso io era legato da vincoli di sincera, profonda amicizia; in secondo luogo, perché io e tutti gli altri colleghi che qui hanno l’onore di rappresentare la mia regione, l’Abruzzo, contavamo sul collega Bassano come su un uomo il quale, per il suo passato, per le sue doti d’ingegno, per la sua squisita sensibilità fatta di umanità vissuta e sofferta, era un uomo il quale alla nostra regione avrebbe potuto dare, e certamente avrebbe dato, ancora la parte migliore di se stesso, tutte le sue energie. Era un uomo, in altri termini, sul quale l’Abruzzo poteva contare per poter più facilmente ricostruire le proprie città, i propri villaggi, per avviare le sue popolazioni ad una vita più degna di essere vissuta.
Con Carlo Bassano è scomparsa una delle più belle figure che questa Aula abbia conosciuto; ed è certo che con Carlo Bassano è scomparso uno degli uomini più stimati e più cari a tutti gli abruzzesi sinceramente devoti alla libertà e alla causa della democrazia. (Applausi).
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Poiché la parola del nostro Presidente, come quella, dei colleghi che lo hanno seguito, ha fatto rivivere l’onorevole Bassano quale egli fu, senza che occorresse, per rendergli onore, innalzarne o abbellirne la figura, perché egli fu quale è stato rievocato, noi socialisti ci associamo sinceramente al lutto per la sua dipartita.
Egli non militava certamente fra noi; ma noi lo abbiamo sentito a noi molto vicino. Si sapeva che egli aveva operato fervidamente, lottato, rischiato, per la riconquista della libertà, che è pregiudiziale alla conquista di qualsiasi altro bene politico o sociale. Egli era un signore, nel pensiero, nel sentimento, nei modi; egli sapeva unire alla fermezza e alla fierezza del carattere, alla sincerità e alla tenacia delle proprie idee, la tolleranza verso idee opposte. Nei contrasti che, per quanto buon volere si metta per evitare ogni asprezza, nei nostri contrasti che fatalmente in alcune ore possono, e forse debbono, essere aspri, egli ci ha insegnato come si possa sempre accompagnare alla fierezza del combattente la lealtà, la cortesia. (Vivi applausi).
SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SFORZA, Ministro degli affari esteri. Il Governo si associa alle parole nobilissime pronunciate dall’onorevole Presidente e da altri colleghi, di ogni parte di questa Assemblea sul lutto che ci ha colpiti con la perdita subitanea del collega Carlo Bassano. E poiché il caso vuole che nell’attuale Gabinetto vi sono taluni che furono intimi di Carlo Bassano prima del fascismo, durante la bufera fascista e dopo, mi sia permesso, a nome di questi amici di Carlo Bassano, dire, echeggiando un’espressione che taluni oratori hanno tracciata, che il carattere essenziale di Carlo Bassano fu una specie di nativo pudico orgoglio che lo obbligava ad essere modestissimo. E se Carlo Bassano ebbe come uomo politico un difetto, fu di essere eccessivamente modesto, fu di non pretender mai niente. Ma da questo difetto coloro che lo conobbero traggono ragione per venerarne ed averne cara più che mai la memoria. (Applausi).
CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CHIOSTERGI. Col cuore angosciato, più che con le parole, io mi associo alla commemorazione di Carlo Bassano. L’ho conosciuto poco, ma l’ho conosciuto abbastanza per ricordarlo come uno degli uomini migliori che io abbia incontrato tornando in Italia. La sua amicizia è stata per me un onore e un incitamento; sarà per l’avvenire l’indicazione della via che noi tutti dobbiamo seguire: servire il Paese, servire la libertà prima di ogni altra cosa! (Applausi).
CIFALDI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CIFALDI. Onorevoli colleghi, mi sia consentito, dopo la commemorazione del nostro caro ed illustre collega onorevole Carlo Bassano, di ricordare in quest’Aula Aldobrando Medici Tornaquinci, il quale, se non ebbe l’onore di far parte di questa Assemblea, fu tuttavia consultore nazionale e fu anche Sottosegretario di Stato per le terre invase, in quel Ministero che ebbe a titolare l’onorevole Scoccimarro.
Egli, Aldobrando Medici Tornaquinci, ha lasciato, in coloro che lo conobbero, un ricordo durevole e un insegnamento profondo. E non è senza, viva emozione che si può parlare di lui, oggi, dappoiché la sorte ha voluto che egli morisse ad appena trentanove anni, quando più forte era la vigoria della sua esistenza, quando tanti doveri ancora egli doveva compiere verso la sua famiglia e verso la sua fede.
Egli, morto di tifo quando centinaia di volte aveva guardato la morte negli occhi, con quei suoi occhi freddi e calmi che incutevano un certo rispetto anche ai suoi più cari amici; egli che la morte ha affrontato in mille rischi – perché Medici Tornaquinci fu il capo di quelle organizzazioni liberali partigiane di Firenze e combatté con fermissimo cuore e con grande audacia per conquistare e ridare la libertà al nostro Paese – e che contribuì non poco col suo coraggio e con la sua azione a creare quell’insieme di ricordi, di eroismi, di valori che rappresentano, con la gloria partigiana, uno dei pilastri della nuova storia d’Italia, uno dei ricordi più gloriosi di questo Risorgimento.
Quando, per questi meriti, andò al Governo e fu Sottosegretario per le terre invase, fu autore e protagonista d’una gesta memorabile, d’un avvenimento veramente degno di essere ricordato, perché volle, dalla parte già liberata d’Italia, portare il saluto alla parte ancora occupata dai nazi-fascisti: volle, con due compagni coraggiosi, farsi calare col paracadute oltre la linea gotica, e da lì, con raro ardimento e con fermissimo sangue freddo, prendere contatto coi componenti del Comitato di liberazione Alta Italia. Ebbe anche l’audacia e – lasciatemi dire la parola – l’eroismo di parlare alle maestranze della Fiat, e poté sfuggire appena all’inseguimento delle guardie nazi-fasciste, che seppero della di lui presenza e del di lui discorso, quando questo stava per finire.
Imperterrito, continuò la sua missione e la sua dimostrazione di eroismo e di coraggio, perché parlò ancora alle maestranze di alcuni stabilimenti di Milano e poté sfuggire alla tenaglia che lo stringeva con rischio mortale solo per miracolo, tornando sereno e tranquillo come se quello che aveva compiuto fosse la più normale delle azioni.
Egli con quell’episodio diede un insegnamento assai importante a coloro i quali ci impedirono di poterci armare sufficientemente, a coloro che non consentirono che le nostre possibilità di ripresa fossero sviluppate e potenziate, in modo da dare al nostro Paese un titolo maggiore per poterci proclamare liberi ed indipendenti, principalmente per merito nostro.
Alla memoria di Medici Tornaquinci, il quale si è visto sempre contrastato nel suo animo fra l’affetto fortissimo per la famiglia (lascia sette figli e la sposa) ed il sentimento patrio; alla memoria di Medici Tornaquinci vada il ricordo di questa Assemblea, e, mi si consenta, nasca dalla sua tomba, nasca dalla sua memoria un insegnamento ed un ammonimento per tutti quelli che vogliono servire il Paese senza personale ambizione, ma con sentimento di dedizione al bene comune. (Applausi).
PRESIDENTE. Fin dal primo momento, in cui era pervenuta alla Presidenza la notizia della morte di Aldobrando Medici Tornaquinci, a nome dell’Assemblea mi ero affrettato a far pervenire alla famiglia l’espressione del nostro cordoglio.
Oggi nuovamente mi associo a nome dell’Assemblea alle espressioni di cordoglio e di onoranza che l’onorevole Cifaldi ha voluto pronunciare.
SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SFORZA, Ministro degli affari esteri. Il Governo si associa alle parole di lutto così nobilmente pronunciate dall’onorevole Cifaldi e dà atto al Paese e alla famiglia che in Medici Tornaquinci la Consulta Nazionale ebbe uno dei suoi membri più attivi e più intelligenti e che il Paese ha perduto, con la sua scomparsa, un cittadino da cui molto potevamo aspettarci. (Applausi).
Congedi.
PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati La Malfa e Ceso.
(Sono concessi).
Messaggio del Presidente del Praesidium del Soviet Supremo.
PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea di aver ricevuto dal Presidente del Praesidium del Soviet Supremo il seguente telegramma:
Al Presidente dell’Assemblea Costituente d’Italia
Roma
«Caro Presidente,
ringrazio l’Assemblea Costituente d’Italia e Lei personalmente per il cortese saluto contenuto nel messaggio consegnato alla delegazione delle donne democratiche italiane, che io ho ricevuto con piacere durante la loro permanenza nell’U.R.S.S.
«Condivido pienamente la Sua opinione circa la grande importanza dello scambio di delegazioni per rafforzare la conoscenza reciproca fra i nostri Paesi e, in particolare, delle delegazioni delle donne democratiche d’Italia e delle donne dell’U.R.S.S., che hanno stabilito nuovi legami di simpatia fra i nostri Paesi.
«Quanto ai rilievi, contenuti nella Sua lettera, come nel precedente messaggio, circa la preoccupazione per le conseguenze che l’applicazione delle clausole del Trattato può determinare sulla pacifica e feconda ricostruzione democratica dell’Italia, devo dire che non posso completamente concordare con una tale valutazione del Trattato di pace. Il Trattato di pace rappresenta di per sé, a nostro avviso, un serio apporto allo stabilirsi di una pacifica collaborazione fra i Paesi europei, a prescindere dagli errori che vi si trovano, e che furono a suo tempo oggetto di obiezioni anche da parte dell’unione Sovietica.
«La prego, signor Presidente, di trasmettere all’Assemblea Costituente d’Italia e di gradire personalmente il saluto del Praesidium del Soviet Supremo dell’U.R.S.S. e mio personale.
«Con sincera considerazione
«Scvernik».
Per le dimissioni presentate dall’onorevole Vittorio Emanuele Orlando.
PRESIDENTE. Dopo la sospensione dei nostri lavori a fine del luglio ultimo scorso avevo ricevuto dall’onorevole Orlando una lettera con cui egli – ritenendo cessata, con l’approvazione della legge di ratifica del Trattato di pace, la ragione della sua partecipazione alla vita politica – mi presentava le dimissioni da deputato. L’atto non mi colse di sorpresa. Infatti, in occasione della discussione sulla ratifica delle condizioni di pace, l’onorevole Orlando aveva dichiarato (e tutti lo avevano udito) che il discorso, che egli allora teneva, sarebbe stato l’ultimo della sua vita parlamentare, preannunciando così il passo che, infatti, subito dopo effettuò.
È saggia e deferente norma del nostro Parlamento che, dinanzi ad atti di dimissione, il Presidente opportunamente rivolga invito al deputato di recedere dalla risoluzione o quanto meno di riconsiderarla prima ch’essa divenga definitiva, in tal modo da non deludere gli elettori che lo avevano a ragion veduta investito del mandato e da non privare il Parlamento del suo contributo di pensiero e di volontà.
Data la personalità dell’onorevole Orlando ho avvertito il bisogno, prima di rivolgergli tale preghiera, di essere confortato nel mio passo dal prezioso consiglio dell’Ufficio di Presidenza; e questo, infatti, pure apprezzando gli alti motivi ideali che avevano indotto l’onorevole Orlando a presentare le sue dimissioni, ha ritenuto unanimemente – sicuro di interpretare il sentimento di tutti i deputati – che la partecipazione dell’illustre decano della nostra Camera alla vita parlamentare italiana sia più che mai preziosa ed indispensabile nell’attuale momento e mi ha incaricato di chiedere all’onorevole Orlando di recedere dalla sua determinazione.
L’onorevole Orlando, con alto senso di civismo e con comprensione commossa dei motivi che gli addussi a convincerlo, ha pertanto accettato di ritirare la sua lettera di dimissioni. (Vivissimi, generali, prolungati applausi).
Di tutto ciò do con particolare soddisfazione notizia all’Assemblea. (Vivissimi, generali applausi).
Per la pubblicazione dei resoconti stenografici dell’Assemblea.
PRESIDENTE. E stato rilevato, e non solo dall’Ufficio di Presidenza, ma anche dagli onorevoli colleghi, un ritardo abbastanza notevole nella pubblicazione dei resoconti stenografici dell’Assemblea. Ma occorre dire che una delle ragioni principali di questo ritardo è costituito dal ritardo col quale gli onorevoli colleghi procedono alla correzione delle bozze nella sala adibita a questo scopo. E necessario, evidentemente, che la pubblicazione riprenda il suo ritmo normale.
Desidero ricordare ai colleghi che essi possono procedere a loro volta alla correzione delle bozze stenografiche nel termine di tre giorni da quello nel quale hanno pronunciato i loro discorsi, compreso in questo termine il giorno in cui il discorso è pronunciato. E volevo anche rammentare, ad evitare piccoli screzi coi funzionari addetti all’ufficio, che le bozze stenografiche non devono essere assolutamente asportate dalla sala di correzione.
D’ora innanzi mi sono permesso disporre che la pubblicazione dei resoconti stenografici avvenga anche se la correzione delle bozze non sia stata eseguita nel termine stabilito. Ciò porterà come conseguenza forse qualche amarezza. Per evitarla prego i colleghi di voler osservare il termine che è stato fissato.
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. Secondo l’intesa che è stata fra noi raggiunta ieri, dobbiamo ora iniziare la discussione generale sui primi tre Titoli della Parte seconda, che saranno discussi congiuntamente per la connessione della materia. Gli iscritti a parlare, dei quali avevamo raccolto in precedenza i nomi, separatamente, Titolo per Titolo, sono stati naturalmente raggruppati in un unico elenco che è stato affisso stamani negli ambulacri dell’Aula.
E pertanto do la parola al primo iscritto, che è l’onorevole Codacci Pisanelli, il quale ha preso il posto dell’onorevole Riccio, che a sua volta parlerà al turno già spettante all’onorevole Codacci.
Ha facoltà di parlare l’onorevole Codacci Pisanelli.
CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi! Secondo gli accordi assunti ieri, abbiamo stabilito di occuparci in maniera organica e sintetica dei primi tre Titoli della seconda Parte del progetto di Costituzione, e precisamente del Parlamento, del Capo dello Stato, del Governo.
Per quanto riguarda questi tre Titoli, prego i colleghi di non meravigliarsi se, pur essendo uno dei membri della Commissione dei Settantacinque, assumerò un atteggiamento critico, specialmente per quanto riguarda la formazione della seconda Camera, in quanto che, proprio su questo punto, fu presa da noi posizione netta e benché la maggioranza sia stata favorevole alla redazione dell’attuale progetto, tuttavia noi rimaniamo fermi alla tesi già da noi sostenuta nei lavori per la redazione del progetto.
Ma, per procedere con ordine, ritengo opportuno, essendo il primo ad occuparmi della questione, riassumere brevemente il sistema accolto nel progetto e accennare agli argomenti più controversi in seno alla Commissione dei Settantacinque.
Per quanto riguarda il Parlamento, questione fondamentale fu quella se le Assemblee legislative dovessero essere una o due. Si trovarono di fronte, in altri termini, anche nella nostra Assemblea Costituente, i due principî che già si erano trovati di fronte in altre Assemblee Costituenti, e fu ampiamente dibattuta la questione se si dovesse accedere al monocameralismo od al bicameralismo.
La votazione, seguita al dibattito, portò all’approvazione del sistema bicamerale. È interessante, però, rilevare che, accettato in linea di principio il sistema bicamerale, successivi espedienti, come la formazione della seconda Camera in maniera quasi analoga alla prima, hanno fatto rientrare dalla finestra il monocameralismo clamorosamente cacciato dalla porta. Questa è la ragione per cui noi intendiamo riprendere il nostro primitivo progetto: intendiamo, cioè, che il sistema bicamerale venga integralmente applicato.
Per quanto riguarda la prima delle due Assemblee legislative non vi è stata particolare difficoltà ad intendersi. Stabilito il principio del suffragio universale integrato dalla rappresentanza proporzionale, e dopo aver accennato ai vari requisiti che si richiedevano, sia per l’elettorato attivo che per l’elettorato passivo, si è concluso per una Camera dei deputati non dissimile dalle ultime forme assunte da essa nel sistema parlamentare italiano. A differenza, però, da quanto avveniva nella nostra precedente Costituzione, il Progetto prevede, almeno formalmente, una completa parità tra le due Assemblee.
Mentre in passato, dal fatto che le leggi tributarie dovevano essere presentate prima alla Camera dei deputati e successivamente al Senato, mentre dalla consuetudine, secondo cui la seconda Camera doveva tenere un atteggiamento di remissività nei confronti della prima, poteva desumersi una certa supremazia della prima Camera nei confronti della seconda, il Progetto attuale tende a introdurre una parità, almeno formale, fra le due Assemblee, anche se praticamente essa non può trovare completa applicazione.
Per quanto riguarda, viceversa, la formazione della seconda Camera, i dissidî sono stati gravi nella Commissione dei Settantacinque. Il Progetto prevede che la seconda Camera venga formata, per due terzi, dall’elezione che viene attribuita ad un corpo elettorale ristretto, in quanto si richiede una età superiore a quella prevista per far parte del corpo elettorale che deve dare luogo alla prima Camera, e per un terzo dall’elezione dei vari Consigli regionali. Nell’un caso e nell’altro si hanno elezioni, nell’un caso e nell’altro si dà la possibilità di far rispecchiare nella seconda Camera, in maniera quasi identica, le stesse tendenze che hanno dato luogo alla formazione della prima. Ecco perché, come sostenevo in precedenza, in questa maniera, essendo le due Assemblee praticamente formate nello stesso modo, si finisce col respingere il principio del bicameralismo, perché quando alla formale distinzione delle due Assemblee non corrisponde una sostanziale distinzione, in quanto vengono formate in maniera quasi identica, è meglio riconoscere che, nonostante le contrarie dichiarazioni verbali, si accoglie in sostanza il sistema unicamerale.
Si aggiunga che, per gli atti di principale importanza, come la votazione della fiducia al Governo, l’elezione del Capo dello Stato e la dichiarazione di guerra, le deliberazioni vengono prese dalle due Camere riunite nell’Assemblea Nazionale, cioè praticamente da un’Assemblea unica.
È da ritenere che non si possa giungere a queste conclusioni, che peccano di incoerenza, in quanto, dopo aver affermato il principio del bicameralismo, non è logico attribuire ad una Assemblea unica tutti gli atti di principale importanza, non è logico fare in maniera che l’identica formazione delle due Camere ci riporti al monocameralismo.
Ed altri rilievi sono da fare, in relazione alle diverse categorie di coloro che sono eleggibili alla seconda Camera. In particolare, ha destato impressione nel Paese il fatto che, fra i decorati al valore, siano stati scelti soltanto coloro che hanno ottenuto decorazioni nella guerra di liberazione. Questo non sembra giusto, perché anche coloro i quali nel 1915-18 ottennero decorazioni, che non si ottenevano certo con maggiore facilità di quelle ottenute successivamente, dovrebbero essere ammessi fra gli eleggibili alla seconda Camera.
D’altra parte, l’essersi limitati al principio elettivo può portare a taluni inconvenienti non lievi, in quanto, specialmente per coloro i quali si trovano in determinate posizioni, il desiderio di popolarità può essere davvero pericoloso. Si pensi ai militari, ai magistrati, i quali vogliano crearsi un’aureola di popolarità per essere poi eletti nella seconda Camera, e si consideri se persone, mosse da simili preoccupazioni, possano effettivamente compiere, con la dovuta obiettività, il loro dovere.
Questa è una delle critiche più comuni che vengono mosse alle categorie, così come sono elencate nel progetto. Ma il nostro punto di vista è ben diverso. Mi limito per ora a criticare, anche perché tra noi si è visto come ancora le idee non siano chiare e come ci si riprometta dalla discussione, che mi auguro molto feconda, un risultato che porti alla chiarificazione delle posizioni, che porti ad esaminare a fondo il problema e a risolverlo in maniera corrispondente alle nostre aspirazioni.
Il principio affermato in relazione alla seconda Camera dalla scuola sociale cristiana, e da noi ripreso ed affermato nella Commissione dei Settantacinque, è quello che sostiene la necessità di formare la seconda Assemblea legislativa in base al criterio della rappresentanza delle categorie e degli interessi.
Ed è singolare che, mentre noi riuscimmo ad ottenere una deliberazione di principio in tal senso nella Commissione dei Settantacinque, viceversa l’affermazione di principio da noi ottenuta fu, ancora una volta, successivamente abbandonata e si venne ad una conclusione che non è certo rispondente alla deliberazione approvata dalla Commissione stessa.
Sosteniamo la necessità della formazione della seconda Camera in base alla rappresentanza di categoria. Lo sosteniamo nell’interesse dei lavoratori, perché siamo convinti che l’elezione sia, senza dubbio, il migliore fra i mezzi per scegliere i rappresentanti del popolo, ma siamo ugualmente convinti che non sia un sistema perfetto.
Ha anch’esso i suoi difetti, che è bene vengano corretti e integrati da un diverso modo di formazione della seconda Camera.
Si dirà: ma anche per la formazione della seconda Camera come rappresentanza di categoria, voi, in fondo, vi basate sopra il sistema elettorale. Diverso sarebbe in ogni modo il corpo elettorale, perché verrebbero chiamati ad eleggere, a scegliere, solo coloro i quali si trovano in determinate condizioni dal punto di vista professionale, solo coloro i quali abbiano un determinato status professionale.
D’altra parte, siccome non escludiamo che, oltre a coloro i quali siano stati eletti, vi siano alcuni i quali, per l’ufficio che rivestono, entrino a far parte della seconda Camera, ne viene come conseguenza che si giunge a costituire tale Assemblea in maniera completamente diversa da quella seguita per la formazione della prima Camera.
Spiego meglio quest’ultimo concetto: oltre a coloro i quali entrerebbero, secondo il nostro progetto, a far parte della seconda Camera, perché eletti dagli appartenenti alle diverse categorie, vi dovrebbero essere anche altri, i quali, in relazione all’ufficio rivestito, dovrebbero entrare automaticamente a far parte della seconda Assemblea.
E ciò allo scopo di eliminare quell’inconveniente a cui accennavo, l’inconveniente che deriverebbe, per esempio, dal fatto prima ricordato di magistrati, di ammiragli e di generali in cerca di popolarità. Per dare a questa seconda Camera quel carattere di maggiore riflessione che in fondo è fra le più pregiate caratteristiche della seconda Assemblea nei vari sistemi bicamerali, è necessario che di essa facciano parte anche coloro i quali possono portare il prezioso contributo della loro lunga esperienza e quindi possono giovare soprattutto alla formazione di leggi di carattere tecnico, relative a particolari rami della pubblica amministrazione.
Occorre, senza dubbio, distinguere le diverse categorie e bisogna fronteggiare le difficoltà iniziali, derivanti dal fatto che la nostra organizzazione sindacale lascia ancora molto a desiderare: lascia a desiderare perché l’anagrafe sindacale non è ancora costituita, e quindi non sarebbe facile giungere alla formazione di un corpo elettorale sicuro, senza possibilità di irregolarità nelle elezioni. Ma queste difficoltà, che sono soltanto di carattere temporaneo e che saranno eliminate da una migliore organizzazione nei prossimi anni, potrebbero essere superate facendo in maniera che, per quanto riguarda la prima formazione della seconda Camera, si seguissero sistemi diversi, non esclusi quelli proposti dal nostro progetto, non escluso il ricorso ai Consigli comunali, di cui altri parlerà nelle prossime sedute.
Ma quello che a noi interessa affermare è il principio che, se effettivamente vogliamo giungere ad una seconda Camera diversa dalla prima, se effettivamente vogliamo mantenere il principio del bicameralismo, l’unica via è quella di costituire una seconda Assemblea legislativa basata sopra la rappresentanza di categorie e di interessi.
Quanto agli argomenti addotti in favore del bicameralismo, possiamo ricordare, non ultimo, quello delle statistiche relative ai diversi Stati, ai diversi sistemi parlamentari moderni, dalle quali si desume la prevalenza del sistema bicamerale. E se è necessario che gli ordinamenti si adeguino ai tempi, noi pensiamo che, come in passato la seconda Camera aveva una base rispondente ad una concezione dello Stato essenzialmente conservatrice, con una seconda Camera formata principalmente da coloro che avevano quasi un diritto ereditario a farne parte; così oggi, che ai privilegi si sostituisce, invece, la dignità del lavoro, e la posizione del cittadino risulta principalmente dal grado raggiunto mediante il lavoro, riteniamo che, appunto, effetto e segno di tale sostituzione possa essere la formazione della seconda Camera, non più in base a criteri ereditari, ma in base alla rappresentanza delle diverse categorie della produzione, in base alla organica rappresentanza delle diverse manifestazioni del lavoro.
Queste le ragioni per le quali intendiamo che venga formata la seconda Camera, non in base ai principî stabiliti nel progetto di Costituzione, ma in base a quel principio, da noi sempre tenacemente affermato, della rappresentanza di categorie e della rappresentanza di interessi. Intendiamo, cioè, che nella Costituzione vengano determinate le categorie di coloro i quali possono essere eletti dagli appartenenti alle categorie stesse a far parte della seconda Camera; intendiamo che nella Costituzione vengano indicati coloro i quali, per l’ufficio che rivestono, devono far parte della seconda Camera.
Ho sempre parlato di «seconda Camera» e mi sia consentito ravvivare un momento la vostra attenzione, ricordando le discussioni che sono sorte a proposito della denominazione da dare a questa seconda Assemblea. Si è parlato di «Camera dei senatori»; ma non si è voluto parlare di «Senato». È sembrata quasi una nuova applicazione del principio:; senatores boni viri, senatus autem mala bestia. Non si vuol più neppure nominare il Senato!
Ma questo orrore per la parola, che, specialmente per chi sta a Roma, sembra strano, in quanto l’S.P.Q.R. che si legge in tutte le cantonate ricorda come si tratti di un nome di storica rilevanza, questo orrore fa pensare all’orrore che si aveva in passato per alcune parole, a quell’orrore che faceva vietare i banchetti, ma che rendeva leciti i ranci, che faceva vietare le vacanze ma consentiva le ferie. (Si ride – Approvazioni).
L’altro punto sul quale non possiamo concordare con quanto viene disposto nel progetto è l’eccessiva quantità di deliberazioni di fondamentale importanza che debbono essere prese dall’Assemblea Nazionale. Le due Camere, riunendosi, formano questa Assemblea unica, alla quale vengono attribuiti compiti fondamentali: si può dire quasi che si sia voluto fare una scissione fra le attribuzioni legislative e le attribuzioni politiche delle Assemblee legislative. Pur trattandosi, infatti, di organi legislativi destinati principalmente e peculiarmente a svolgere funzioni legislative, tuttavia, attraverso l’attività di controllo che sono chiamate a svolgere sulla funzione di Governo, queste Assemblee legislative finiscono per partecipare anche all’attività di governo. Sembra quasi, cioè, che si sia voluto attribuire la funzione legislativa propriamente detta alle due Assemblee singole, mentre si sarebbe voluto riservare la funzione del controllo politico alla Assemblea Nazionale, alle due Camere, cioè, riunite insieme.
Se, però, una tale scissione potrebbe anche, da un punto di vista assolutamente astratto e teorico, sembrare in certo modo sodisfacente, non altrettanto sodisfacente può apparire alla mente di chi vuole, soprattutto, che si faccia tesoro dell’esperienza del passato e di chi desidera che siano le Assemblee legislative come tali ad esercitare quella funzione di controllo sull’azione di Governo che si è in ogni tempo dimostrata sommamente efficace. Si vuole, in altri termini, che sia il Parlamento, inteso come azione concomitante delle due Assemblee, a continuare ad esercitare la funzione di controllo sull’attività di Governo, senza che tale funzione venga attribuita ad un organo particolare, quale deve considerarsi quello risultante dalle due Camere riunite.
Noi non possiamo ammettere, cioè, che l’Assemblea Nazionale finisca con il compiere tutti gli atti di maggiore importanza nel campo politico: sarebbe questo un ritorno al monocameralismo, cui ci siamo opposti.
A tale proposito ricordo, a titolo, direi, ricreativo, che nel Progetto si attribuisce all’Assemblea Nazionale la deliberazione relativa alla mobilitazione generale. Rispetto ai tempi, rispetto ai sistemi di guerra, parlare oggi ancora di mobilitazione generale può ritenersi, penso, un anacronismo. Che dire, poi, del fatto che una simile deliberazione dovrebbe essere presa da un’Assemblea legislativa, per trovare poi applicazione soltanto dopo la dichiarazione del Capo dello Stato! Ciò verrebbe, come è evidente, a ritardare l’azione delle nostre forze armate e ad avvantaggiare non poco l’eventuale nemico.
Accennerò ora ad un’altra questione: quella della formazione delle leggi. Mentre, a questo proposito, noi avevamo in passato la deliberazione delle due Assemblee, la sanzione da parte del Capo dello Stato, la promulgazione e la pubblicazione, è interessante osservare che, nell’attuale Progetto, non si parla di sanzione. Si è ritenuto che la sanzione sia una caratteristica dei sistemi monarchici, inaccettabile in altri sistemi. Si salta quindi questo atto della partecipazione del Capo dello Stato alla formazione della legge; e la legge ordinaria avrà così questo itinerario: deliberazione da parte di una delle due Camere; trasmissione all’altra; deliberazione da parte di questa entro i termini stabiliti e, finalmente, promulgazione da parte del Capo dello Stato.
Risorge qui la questione annosa sulla natura della promulgazione. Si è molto discusso se la promulgazione sia un atto legislativo, se faccia cioè parte della funzione legislativa, o se rientri invece nell’altra funzione, che veniva chiamata esecutiva: si riteneva cioè che la promulgazione non fosse altro che il primo atto con cui il così detto potere esecutivo dava esecuzione, dava attuazione alla legge. Altri hanno risposto che, in questa maniera, si faceva in modo che proprio la legge mancasse di una sua forma, perché mancava in fondo un documento redatto dagli organi legislativi stessi in cui fosse concretata la legge. In altri termini, come quando si fa un contratto occorre un notaio che lo rediga, così quando viene emanata una legge, è necessario che si proceda alla materiale documentazione di essa, è necessario che si offra un testo ufficiale di essa.
Questa è la ragione per cui alcuni, forse più giustamente, hanno ritenuto che in fondo la promulgazione rientri anch’essa nella funzione legislativa. E d’altra parte, quando noi affermiamo che il Capo dello Stato rappresenta l’unità della Nazione, quando noi affermiamo che esso unifica le diverse funzioni sovrane, non si riesce a comprendere come mai vi possano essere alcuni i quali si preoccupano di impedire la partecipazione del Capo dello Stato alla legislazione.
Ecco la ragione per cui forse non sarebbe inopportuno introdurre anche nel nuovo sistema costituzionale la sanzione della legge da parte del Capo dello Stato. La partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio della funzione legislativa si riscontra, del resto, anche in sistemi completamente diversi da quelli monarchici, sia pure sotto forma diversa, sia pure limitata ad interventi puramente negativi del Capo dello Stato nell’esercizio della funzione legislativa, come quando gli è soltanto attribuito il potere di veto.
Sarebbe viceversa più opportuno conservare questa unificazione delle diverse funzioni nel Capo dello Stato e consentirgli un intervento, che d’altra parte avviene in ogni modo, perché è soltanto il Capo dello Stato che può procedere alla promulgazione. E questa promulgazione, secondo la concezione per me più convincente, è appunto una manifestazione della funzione legislativa, in quanto rivolta a rendere noto il testo ufficiale della legge.
In ogni modo, il Progetto si occupa giustamente della formazione delle leggi, e tra l’altro risolve in senso assolutamente negativo la grave e discussa questione dei decreti legge, cioè dei provvedimenti legislativi di urgenza. In base al nostro progetto di Costituzione, cioè, non saranno più possibili i decreti-legge. Sono consentiti i decreti legislativi, ossia quelli che implicano una delega da parte degli organi legislativi agli organi di Governo; ma non saranno invece ammessi quei provvedimenti legislativi che vengono emanati, in caso di necessità e di urgenza, dagli organi governativi, senza preventiva delega da parte degli organi legislativi.
E stato molto discusso in seno alla Commissione dei Settantacinque se fosse opportuna o meno questa soppressione della potestà di emanare decreti-legge. Le discussioni sono state particolarmente attraenti, ma – e qui parlo a titolo personale – ritengo che in fondo non si possa fare a meno di questa potestà, sempre esercitata dai Governi, di emanare atti con forza di legge quando la necessità e l’urgenza lo richiedano.
Si è detto: in fondo, escludendo la possibilità dei decreti-legge, noi accogliamo il sistema anglosassone, sistema che non prevede la possibilità di atti legislativi d’urgenza emanati dal Governo, ma che tuttavia non ignora l’istituto, in quanto, coi famosi «Bills» d’indennità, vengono esonerati dalla responsabilità i membri del Governo che siano stati costretti ad emanare simili atti legislativi, così che viene sanata la violazione della Costituzione, compiuta in casi di necessità e urgenza.
Ma nel nostro sistema, raccogliere un principio del genere, il volersi riferire al sistema anglosassone, non sarebbe opportuno, perché in quel sistema non funziona quella Corte costituzionale che funzionerà invece – perché è desiderata da tutti – nel nostro sistema. La Corte costituzionale, di fronte ad un decreto-legge, di fronte ad un atto legislativo emanato dal Governo in caso di necessità e d’urgenza, non potrebbe fare altro che dichiararlo incostituzionale ed invalidarlo, quindi, fin dall’inizio.
E allora, che cosa avverrebbe di tutto quello che si è compiuto in applicazione del decreto-legge? Meglio quindi, siccome non è possibile escludere praticamente l’esercizio da parte del Governo della potestà legislativa in caso di necessità e urgenza, meglio prevedere questa possibilità e contenerla entro limiti ben precisi.
Non si deve pensare che i decreti-legge abbiano avuto origine e trovato applicazione solo nel 1923 e nel periodo successivo. Fin dalla formazione dell’Italia riscontriamo l’uso di questa potestà, benché in maniera, molto più limitata di quanto non fu fatto successivamente.
Ma, appunto, un’opportuna disciplina costituzionale, la necessità di presentare questi provvedimenti alle Assemblee legislative per la conversione in legge, potrebbero costituire una garanzia sufficiente, una garanzia integrata dalla possibilità di controllo della Corte costituzionale, che potrebbe assicurarci la giustizia nella legislazione alla quale aspiriamo, dopo la buona prova dei congegni predisposti per attuare la giustizia nell’amministrazione,
Delineata in questa maniera la formazione delle leggi, dopo avere accennato all’esclusione dei decreti-legge, necessari, per esempio, come i cosiddetti decreti-catenaccio, indispensabili allorché si debbano elevare tariffe doganali, per i casi di particolari necessità (si pensi alle catastrofi che purtroppo si verificano sempre e che richiedono provvedimenti di eccezione); dopo avere accennato a questa opportunità di non escludere la possibilità della decretazione di urgenza; dopo avere accennato alla necessità di prevederla e di regolarla per evitare abusi, è bene richiamare l’attenzione dell’Assemblea sull’opportunità di una disciplina costituzionale della potestà regolamentare.
La legge non può dare che disposizioni di carattere generale. Deve, perciò, essere integrata dai regolamenti. I regolamenti sono leggi in senso sostanziale, che nella nostra Costituzione trovavano una sufficiente disciplina, mentre nell’attuale Progetto vi è al riguardo una grave lacuna. Vi si trova un semplice accenno allorché viene affermato che il Capo dello Stato emana i regolamenti.
Non si accenna invece, per esempio, a quella distinzione che oggi viene ammessa fra i regolamenti detti esecutivi, i regolamenti di organizzazione, che provvedono alla formazione dei diversi uffici, e i regolamenti autonomi e indipendenti, che si riferiscono a campi non disciplinati dalla legge formale.
Per la disciplina di questa attività legislativa, che spetta necessariamente al potere governativo, è importante ed è opportuno che, con emendamenti, si provveda ad integrare questa lacuna, già rilevata da parecchi studiosi di diritto.
Per quanto riguarda l’Assemblea Nazionale, potrà senza dubbio essere importante attribuire ad essa determinati atti, come per esempio la nomina del Capo dello Stato, ove si voglia lasciare questo compito alle Assemblee legislative, ed a questo scopo non sarebbe inopportuno far partecipare i presidenti delle varie Regioni all’Assemblea Nazionale che deve procedere alla scelta del Capo dello Stato; ma attribuire a questa Assemblea tutte le competenze che ad essa spettano secondo il Progetto è, secondo noi, in contrasto con il principio del bicameralismo, che dovrebbe essere fondamentale nella nostra Costituzione.
Passo ad accennare all’elezione del Capo dello Stato. Il sistema previsto dal Progetto fa che siano le due Camere riunite nell’Assemblea Nazionale, opportunamente integrate appunto dai membri delle Assemblee regionali che ho precedentemente ricordato, a scegliere il Capo dello Stato. Anche a questo proposito non sono mancate le discussioni e, data la necessità di dare al Capo dello Stato un certo prestigio, una certa rispondenza con le aspirazioni del popolo, non sembra imprudente sottoporre a questa Assemblea ancora una volta l’opportunità di fare in modo che il Capo dello Stato venga scelto da tutto il corpo elettorale. Per lo meno, se non si può arrivare a questo punto, ritengo che le due Camere riunite nell’Assemblea Nazionale – sia pure integrate da componenti dei vari Consigli regionali – non costituirebbero un corpo elettorale sufficiente agli scopi che si vogliono raggiungere. In relazione alla tesi che il Capo dello Stato debba essere eletto da tutto il corpo elettorale, vi è un argomento di carattere storico-politico che non dobbiamo dimenticare. In fondo, quando una elezione è di secondo grado, quando avviene da parte di persone elette a loro volta dal corpo elettorale, questo corpo elettorale si sente un po’ lontano dalla persona singola che viene finalmente prescelta. Perché il Capo dello Stato abbia prestigio sufficiente, perché proprio trovi rispondenza nelle diverse aspirazioni del popolo, mi sembra più opportuno che esso venga eletto direttamente dal corpo elettorale. Ritengo che si debba tener conto delle aspirazioni del nostro popolo. Non va trascurata la grande realtà di cui dobbiamo occuparci, costituita precisamente dal popolo italiano. Ora, se guardiamo alla storia del nostro Risorgimento, noi vediamo come il desiderio che il Capo dello Stato sia una emanazione del popolo abbia trovato riscontro nelle formule dei diversi plebisciti. Lo stesso fatto che, ad un certo momento, accanto alla formula «per grazia di Dio» si sia aggiunto «e per volontà della Nazione» dimostra come il nostro popolo voleva in sostanza che il Capo dello Stato fosse emanazione sua, fosse quasi il simbolo delle sue aspirazioni; anche se non si intendeva sopprimere l’originaria formula, tanto più che altrimenti si sarebbe avuto un Capo dello Stato fuori della grazia di Dio!
Ritengo che, cambiata la forma dell’organo supremo dello Stato, non sarebbe inopportuno fare in modo che il popolo si sentisse rappresentato direttamente dal Capo dello Stato; e d’altra parte ciò potrebbe essere molto opportuno. In un Paese come il nostro, il quale ci tiene in fondo a vedersi simboleggiato da una persona, questa persona raggiungerebbe tanto meglio il suo compito quando risultasse emanazione diretta del corpo elettorale.
Si risponde che vi sono precedenti presso altre nazioni, i quali debbono farci dubitare dell’opportunità di un simile sistema, in quanto che si è detto che in Germania – per esempio – si è giunti, in questa maniera, al dispotismo ed alla tirannia.
Ma, mentre sarebbe opportuno fare in modo che il Capo dello Stato avesse sufficienti poteri, così da non ridurlo a figura di secondo piano, si deve tener conto d’altra parte che nel nostro sistema funzionerà quella Corte costituzionale che non vi era negli altri ordinamenti è che può costituire effettivamente una garanzia non indifferente contro gli abusi di potere. Vi saranno le Assemblee legislative, alle quali sarà possibile dare sufficienti poteri di controllo nei confronti del Capo dello Stato; ma vi sarà soprattutto questo organo giurisdizionale, in grado di opporsi a tentativi di dittatura o di tirannia.
Questa è la ragione per cui mi permetto di proporre all’Assemblea, ancora una volta, di stabilire nella Costituzione che il Capo dello Stato venga scelto direttamente dal corpo elettorale e non dalla sola Assemblea Nazionale; o, per lo meno, che questa Assemblea Nazionale venga opportunamente integrata, in modo da costituire un corpo elettorale più ampio di quello limitatissimo che altrimenti verrebbe ad aversi.
Quanto alle attribuzioni del Capo dello Stato, mi permetto di fare osservare come, nella redazione del progetto di Costituzione, si sia andati alle volte un po’ rapidamente. Per esempio, si dice che il Capo dello Stato presiede il Consiglio supremo di difesa, il quale sarà forse nei progetti di qualcuno, ma per ora non risulta costituito.
Per quanto riguarda le forze armate, salvo qualche modificazione di forma che non sarà affatto inopportuna, si può ritenere che quanto il progetto stabilisce possa essere approvato.
Finalmente, accenno al problema relativo al Governo. Ci si è preoccupati di fare in modo che coloro che si occupano di una fondamentale funzione dello Stato siano garantiti dal punto di vista della stabilità. Troppo abbiamo sofferto per le frequenti cadute dei vari Ministeri. L’esperienza passata ci dimostra come sia indispensabile assicurare al Governo una certa stabilità; ed a questo scopo mirano quegli espedienti che sono stati tradotti nel Progetto.
Il principio, già accolto nella legislazione vigente, secondo cui la semplice disapprovazione di un progetto di legge non equivale a voto di sfiducia, trova conferma nel nostro progetto di Costituzione, in quanto si ritiene che la sfiducia non possa essere votata se non mediante forme speciali, cioè mediante una espressa mozione in tal senso, che non può essere subito sottoposta a votazione, ma deve essere discussa e posta in votazione soltanto dopo un congruo termine.
La stabilità del Governo – si è detto – non dipende dal sistema, ma dagli uomini; perché, quando vi sono stati uomini all’altezza della situazione, i Governi si sono retti anche in passato ed hanno potuto compiere il loro dovere.
L’esperienza storica, però, dimostra come anche coloro i quali vengono ormai riconosciuti come i nostri migliori uomini politici, si sono trovati spesso in condizione di difficoltà, appunto perché troppo instabile era la loro posizione; e l’azione di Governo, interrotta ogni tre o quattro mesi, non può raggiungere quegli scopi, che essa potrebbe invece ottenere, quando, sia pure attuata in base a principî non perfetti, venga, però, svolta in maniera continua.
Questo è lo scopo che ci siamo proposti istituendo particolari forme per la votazione della fiducia al Governo.
È interessante poi occuparsi della particolare posizione prevista per il Primo Ministro e della posizione dei diversi Ministri. Anche qui si è cercato di attuare il principio del Primo Ministro primus inter pares, cioè persona la quale non ha possibilità di imporre la propria volontà ai colleghi del Ministero. Non si tratta d’un superiore gerarchico; ma nello stesso tempo la sua posizione di preminenza è garantita, in quanto che egli ha responsabilità completa ed i Ministri possono essere da lui spinti a svolgere una determinata azione, appunto perché egli è Presidente del Consiglio, responsabile dell’attività collegialmente svolta.
Altro particolare interessante è quello della posizione riservata ai diversi Ministri.
Ogni Ministro è collegialmente responsabile dell’azione di Governo e ciò impedisce di esimersi dall’assumere la responsabilità dell’azione collettiva; d’altra parte, il Ministro è responsabile per l’attività svolta nel suo ramo di amministrazione.
Tali i principî fondamentali, relativi alla posizione del Governo; tali le misure previste nel nostro Progetto per impedire il ripetersi di Governi instabili, che ci hanno portato a risultati molto insoddisfacenti.
Le mie critiche al Progetto riguardano, dunque, il fatto che il bicameralismo, principio accolto come fondamentale a parole, viene di fatto abbandonato per cedere il posto al sistema unicamerale.
Per quanto riguarda l’elezione del Capo dello Stato, ripeto che sarebbe preferibile sostituire alla formula del Progetto quella della elezione diretta da parte del corpo elettorale, che non sia costituito dalle sole Assemblee legislative.
Finalmente, per quanto riguarda il Governo, ritengo che il Progetto, rivolto ad assicurarne la stabilità, possa essere accolto e facilmente migliorato. Noi concepiamo la funzione governativa non come semplice esecuzione di quanto le leggi stabiliscono, ma come attività concreta, svolta giorno per giorno, nei limiti delle leggi, rispettando le leggi, ma senza limitarsi a eseguirle soltanto. Ecco la differenza che passa fra la nostra concezione del Governo e l’altrui concezione del semplice potere esecutivo. Vogliamo che coloro, i quali hanno la responsabilità della cosa pubblica, siano muniti di sufficienti poteri. Vogliamo che siano sottoposti a controllo, in maniera tale che non possano passare ad usi arbitrari dei poteri discrezionali loro conferiti; ma vogliamo, nello stesso tempo, che il Governo governi. (Applausi’).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.
CRISPO. Onorevoli colleghi, parlerò brevemente sul modo in cui il progetto di Costituzione contempla l’attività legislativa del Governo, argomento del quale, a mio avviso, non si rileva mai abbastanza la gravità, per i pericoli enormi che può produrre una legislazione che taluni scrittori definirono una vera e propria usurpazione del potere legislativo da parte del potere esecutivo.
E mi occupo esclusivamente di questo tema, perché mi pare che questa parte del Progetto presenti le maggiori manchevolezze, come mi sarà facile dimostrare.
Come è noto, l’attività legislativa del potere esecutivo si esplica in una duplice forma: attraverso la delega del potere legislativo; attraverso la forma autonoma del decreto-legge.
Il progetto di Costituzione, mentre si occupa dell’attività legislativa delegata, tace del tutto dell’attività legislativa autonoma, quella, cioè, determinata da un vero e proprio stato di necessità e di urgenza.
È stato or ora affermato dall’onorevole Codacci Pisanelli che si volle così abolire questa forma di attività legislativa. Non mi sembra che tale opinione sia da accogliersi essendo, ormai, da tutti riconosciuto che la necessità di fatto possa tramutarsi e si tramuti in una fonte di diritto, e che il decreto-legge ha il suo fondamento e la sua legittimità in uno stato di necessità. Basterebbe in proposito ricordare il decreto-catenaccio, tipico esempio di decreto-legge, determinato da opportunità ed esigenze fiscali o finanziarie. Il silenzio del progetto è, dunque, una lacuna che bisognerà colmare.
Per quanto attiene all’attività delegata, non si discute più, ormai, il principio della legittimità della delega: si discute soltanto, come è noto, se l’esercizio della delega debba essere circoscritto, vale a dire disciplinato e contenuto in una norma che ne stabilisca i limiti e determini la materia, quale oggetto dell’attività legislativa delegata, e prestabilisca eventualmente anche il tempo entro il quale questa attività legislativa sia destinata ad aver vigore.
Ed, infatti, nel Progetto l’articolo 74, lungi dal contemplare una delega generale, un trasferimento, cioè, di competenza legislativa dal potere legislativo al potere esecutivo, precisa che l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato se non previa determinazione di principî e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.
A mio avviso, non può non approvarsi il divieto della concessione dei così detti pieni poteri; ma, d’altra parte, deve rilevarsi che la norma dell’articolo 74 obbedisce soltanto alle esigenze del tempo normale, e non a quelle straordinarie che possono presentarsi, per esempio, in tempo di guerra. Io ebbi già modo di fare lo stesso rilievo in rapporto alla sospensione eventuale dei diritti individuali, e ricordo che molto cortesemente l’onorevole Presidente della Commissione dei Settantacinque promise di tener conto delle osservazioni da me fatte in quella sede. Ora, anche a proposito dell’articolo 74, il rilievo ha la sua importanza. Perché non è possibile che in tempo di guerra si possa dare al Governo una delega, caso per caso, per gli eventuali provvedimenti che la condotta della guerra esige. È evidente, per altro, che quando mi riferisco alla delega generale per il tempo di guerra, essa debba trovare la sua limitazione nella natura dei provvedimenti da emanarsi, nel senso che la delega generale deve essere concessa esclusivamente per i provvedimenti resi necessari dalla condotta della guerra, e non potrà estendersi a provvedimenti estranei alla condotta della guerra.
Si può, adunque, concludere che, fermo restando il principio di una delega circoscritta, così come è stabilito nell’articolo 74, occorrerà aggiungere una norma nella quale si preveda la delega generale per il tempo di guerra in rapporto a quei provvedimenti che fossero resi necessari dalla condotta della guerra, provvedimenti la cui competenza non potrebbe essere se non del potere esecutivo.
Seconda manchevolezza del Progetto. In tema di attività legislativa delegata, è evidente che il potere delegato debba contenersi nei limiti della delega conferita. Ora, il Progetto non contempla alcun controllo per il caso di eccesso o di infedeltà nell’adempimento della delega. E non mi pare che si possa fare richiamo al capoverso dell’articolo 74, laddove è detto che per i decreti legislativi valgono le norme stabilite in ordine alla Corte costituzionale.
Nel senso, cioè, che se la Corte Costituzionale, a norma dell’articolo 126 del Progetto, giudica della incostituzionalità di tutte le leggi, secondo il richiamo del capoverso dell’articolo 74, dovrebbe poter giudicare anche eventualmente della incostituzionalità dei decreti legislativi; ma altra cosa è la incostituzionalità della legge, la quale innegabilmente si riferisce a quei requisiti formali ed esteriori che i vari ordinamenti costituzionali stabiliscono perché un provvedimento acquisti la forma e la forza di legge, ed altra cosa è la mancata corrispondenza del contenuto del decreto alla delega, ossia il mancato rispetto da parte del potere delegato dei limiti della delega. In tale caso, non può esservi altro controllo che non sia quello del potere delegante, epperò manca nel progetto la norma che contempli tale controllo e lo disciplini.
Mi sembra, inoltre, che anche inopportunamente si sia fatto richiamo, a proposito dei decreti legislativi, alle norme sul referendum nell’ultimo capoverso dell’articolo 74, dove è detto che per i decreti legislativi valgono le norme stabilite per le leggi in ordine al referendum.
Difatti, nel caso di legge vera e propria, l’applicazione del referendum è subordinata a determinate condizioni, quale, per esempio, quella che la legge sia stata approvata con una maggioranza inferiore ai due terzi; mentre ciò non può avvenire nel caso di un decreto legislativo che è un provvedimento che rientra esclusivamente, per effetto della delega, nella competenza del potere delegato. Pertanto, se anche si dovesse ritenere applicabile il referendum ai decreti legislativi, dovrebbe farsi un opportuno emendamento, prescindendosi dalle condizioni per le quali si applica il referendum a proposito delle norme legislative vere e proprie.
Concludendo questa prima parte delle mie osservazioni, io rilevo, e presenterò un opportuno emendamento, che occorre aggiungere alla norma dell’articolo 74 un comma che preveda una delega generale in rapporto a provvedimenti contingenti ed urgenti, determinati dal tempo di guerra, e occorre stabilire una norma che preveda un controllo da parte del potere legislativo che permetta di verificare se il potere delegato si sia mantenuto nei limiti della delega conferita.
Osservavo or ora che l’articolo 74 non fa cenno del decreto-legge. Io ripeto ancora una volta che il silenzio del progetto di Costituzione non può interpretarsi nel senso che si è voluta vietare questa forma di attività legislativa, pur necessaria e inevitabile in determinate contingenze.
Peraltro, mi permetto ricordare che questa materia è interamente regolata da una legge che, per quanto io sappia, non è stata ancora abrogata: la legge del 31 gennaio 1926, n. 100, la quale disciplina il modo ed il funzionamento dell’attività legislativa del potere esecutivo per mezzo dei decreti-legge. Si devono, adunque, trasferire dal terreno propriamente legislativo al terreno costituzionale le norme in proposito, perché non sia aperto l’adito a maggiori e più pericolosi abusi.
Si ritiene che, durante il ventennio fascista, ammontarono a ben 30 mila i decreti-legge emessi dal Governo, alcuni dei quali perfino per la nomina di qualche impiegato. Né farebbe sorpresa che l’abuso continuasse in regime democratico: di qui la necessità di norme atte a stabilire che il decreto-legge può essere emanato esclusivamente nei casi di urgenza e di necessità, ed a precisare che tali casi non sono mai ammissibili, quando le Camere legislative sono in funzione. Tali norme dovrebbero essere integrate con quelle relative alla conversione in legge, al termine di presentazione per la conversione, e a quello entro il quale la conversione debba aver luogo.
Occorrerebbe, infine, stabilire la necessità di delegazioni legislative anche per i decreti-catenaccio, come avviene in Francia, in Belgio, in Svizzera.
Osservo finalmente che nel progetto di Costituzione non è cenno alcuno delle così dette «ordinanze di necessità», le quali, pur avendo comune il principio sul quale si fonda il decreto-legge, obbediscono a ben altre esigenze.
L’ordinanza di necessità è quella che si emette nei casi di allarme, di pericolo pubblico, di guerra, o di stato d’assedio, quando, cioè, le libertà individuali corrono pericolo di essere limitate o sospese: è, quindi, necessario stabilire rigorose garanzie sull’uso della potestà, ad impedire eccessi e trasmodanze da parte del potere esecutivo.
Anche per quanto si riferisce alla potestà regolamentare, il progetto è del tutto manchevole. Difatti, nell’articolo 83 è detto che il Presidente della Repubblica promulga le leggi, ed emana i decreti legislativi ed i regolamenti. Quali regolamenti? Quelli per la esecuzione delle leggi, quelli delegati, quelli detti indipendenti, o quei regolamenti di indole generale, cosiddetti esterni, che possono valere erga omnes e per i quali occorrono le opportune riserve circa la materia che potrà formare oggetto di regolamento? Ora, il progetto di Costituzione tace del tutto, e non v’è alcuno che non intenda la necessità di norme in proposito.
Queste mie osservazioni, onorevoli colleghi, non hanno alcuna pretesa. Vogliono essere modesti rilievi di buon senso, intesi esclusivamente a richiamare l’attenzione della onorevole Commissione, nella fiducia che essa vorrà compiacersi di rivedere questa parte del Progetto, integrandola, se lo crederà, con le disposizioni di cui ho fatto cenno. (Applausi).
PRESIDENTE. Gli onorevoli Russo Perez, Nobile e Perrone Capano, iscritti a parlare, si trovano a Gstaad, col gruppo dei membri di questa Assemblea che si è recato a quel convegno, e sebbene non abbiano un congedo regolare, possiamo considerare che si trovino assenti per una funzione che interessa direttamente anche l’Assemblea.
Non essendo presenti gli onorevoli De Michelis, Vinciguerra, Piccioni, Fuschini e Fusco, si intende che abbiano rinunziato a parlare.
È iscritto a parlare l’onorevole Preziosi. Ne ha facoltà.
PREZIOSI. Onorevoli colleghi, io dirò poche parole soltanto su un argomento, che credo possa interessare molto l’Assemblea e soprattutto alcuni membri di essa. Parlerò brevemente del progettato metodo di formazione del futuro Senato.
Comincio con raffermare una mia opinione: il terzo dei componenti del futuro Senato non dovrebbe essere eletto, come è previsto nel progetto di Costituzione, dai membri dei Consigli regionali. A me pare gravissimo errore dire ai membri dei Consigli regionali la facoltà di eleggere un terzo dei senatori. È un errore perché l’elezione di questo terzo dei membri della seconda Camera, che nel loro complesso pare dovrebbero assommare a 311 o 315, affidata ai Consigli regionali, darebbe adito alla possibilità che una maggioranza, formatasi occasionalmente in seno ad essi, possa eleggere coloro i quali meglio potrebbero essere scelti direttamente dalla massa elettorale.
Insomma, noi avremmo questa situazione di fatto: che cioè i Consigli regionali, con una maggioranza di due, tre o quattro membri, eleggerebbero il terzo dei componenti del futuro Senato. Insomma, ad esempio, in una assemblea regionale come la siciliana – non voglio fare riferimento a nessuna situazione politica, ma solo ad una situazione di fatto – nell’assemblea regionale siciliana in cui c’è una maggioranza di 46-47 membri contro, non so, 38, 39 membri dall’altra parte, questi 46 o 47 membri soltanto eleggerebbero un determinato numero di senatori.
A me pare, onorevoli colleghi, che questo punto del progetto di Costituzione vada senz’altro modificato. Facciamo in modo che anche i membri della seconda Camera possano essere eletti a suffragio universale direttamente dagli elettori. Credo che si avrebbe un risultato migliore: si avrebbe cioè una seconda Camera espressione diretta della volontà popolare.
Ho finito per questa parte e passo a quella che si può considerare la parte più delicata, riguardante la composizione del futuro Senato.
Secondo il progetto, noi avremmo dunque un terzo di senatori eletti dai Consigli regionali, due terzi eletti dalla massa elettorale. Ora, a me pare che sia un gravissimo errore non costituire nella futura Camera alta, nel futuro Senato, un nucleo iniziale di senatori i quali possano davvero considerarsi come l’ossatura del Senato stesso.
Noi sappiamo – lo sentiamo già attraverso i discorsi che si fanno fra colleghi – che un po’ tutti considerano necessario porre la propria candidatura alla Camera dei deputati, un po’ tutti escludono la possibilità di porre la loro candidatura al Senato.
Quindi noi avremmo già questa specie di assurdo: che i candidati al Senato sarebbero coloro che, comunque, non avessero potuto essere eletti deputati. Avremmo insomma una massa nuova la quale non so come si regolerebbe inizialmente di fronte ai problemi importanti dei quali sarà investito il futuro Senato.
Insomma, noi non dobbiamo dimenticare che il Senato, così come è contemplato nel Progetto di Costituzione, avrebbe le stesse prerogative della Camera dei deputati, su per giù le stesse, se non superiori. Comunque, il Senato avrebbe le stesse alte funzioni della Camera in alcuni momenti gravi per la Nazione; come nel momento dell’elezione del Capo dello Stato.
Mi sembra, pertanto, giusto creare un nucleo iniziale di senatori con uomini democratici, con uomini degnissimi, che abbiano portato il loro contributo di intelligenza, di onore e di devozione alla Patria.
Quali dunque dovrebbero essere gli uomini i quali dovrebbero formare, secondo la mia modesta opinione, il nucleo iniziale del Senato? Gli ex deputati, gli ex membri del Parlamento che abbiano almeno un determinato numero di legislature.
Voi sapete benissimo (basta scorrere l’elenco alfabetico dei deputati, là dove si parla dell’anzianità dei deputati dell’Assemblea Costituente) che di deputati con cinque legislature ve ne sono appena otto e di deputati con quattro legislature ve ne sono appena 19. Perché, onorevoli colleghi, noi vogliamo escludere questi uomini che hanno dato per lungo tempo il loro contributo alle fortune della Patria dalla vita politica attiva?
Perché qui sorge un problema di indole concreta. Tutti sappiamo che le future elezioni saranno durissime. Si parla di circoscrizioni ristrette, ma sotto altri punti di vista ci si accorge che le circocoscrizioni sono allargate. Come si può pretendere, insomma, che uomini che hanno superato i 70 anni, che hanno dedicato la loro vita alla politica, che hanno onoratamente seduto su questi banchi per quattro o cinque legislature debbano fare una dura campagna elettorale, debbano girare così come può girare un giovane di 30-40 anni o un uomo di 50-60? Il problema bisogna guardarlo non solo da un punto di vista giuridico, ma anche da un punto di vista concreto e pratico. Insomma questi uomini dovrebbero deliberatamente ritirarsi dalla vita politica quando possono invece portare alla vita politica rinnovata del nostro Paese il loro contributo e la loro competenza. Fermiamoci su questo punto, onorevoli colleghi, ed io penso che non cascherà il mondo, che non si lamenteranno, ad esempio, gli amici socialisti, se in questa Assemblea passerà un emendamento il quale stabilisca che coloro che hanno quattro o cinque legislature possono essere nominati di diritto senatori con decreto del Capo dello Stato, salvo che, pur avendo quattro o cinque legislature, preferiscano fare ancora i giovanissimi o allontanarsi dalla politica attiva; in modo che, ad esempio, se c’è un deputato il quale ha già quattro o cinque legislature ed è ancora giovane di animo ed è nominato di diritto senatore, possa, se lo voglia, presentarsi candidato alla prima Camera. Per essere nominati senatori di diritto basterebbe avere un’anzianità parlamentare di quattro o cinque legislature; però è naturale che la nomina sarebbe subordinata all’accettazione dai prescelti.
A me pare che non si potrebbero lamentare di una simile regolamentazione, ad esempio, i colleghi socialisti se si pensa che su 19 membri di questa Camera che si trovano con quattro legislature, vi sono 5 socialisti. Ai fini statistici è interessante sapere che, su otto membri di questa Camera che si trovano con cinque legislature, vi sono tre socialisti, un comunista, un liberale, due demo-laburisti ed un socialista indipendente, Labriola. Come vedete, non si urterebbe la suscettibilità di nessuno e poi non è qui il caso di fare questioni di partito o questioni politiche.
Si tratta di affermare un principio generale, un doveroso riconoscimento per coloro che hanno servito devotamente, fedelmente e democraticamente il Paese.
Quindi io penso che si possa votare un simile emendamento. Così si eviterebbe di avere un Senato – perdonatemi l’espressione un po’ dura – raffazzonato; si avrebbe una seconda Camera con uomini che con la loro esperienza e competenza potrebbero insegnare molte cose ai nuovi arrivati pure degni; potrebbero insegnare molte cose a coloro che per la prima volta comincerebbero a servire in alto luogo il loro Paese. Io penso che così noi potremmo finalmente dare un riconoscimento a coloro che hanno sempre servito democraticamente il Paese; e non faremmo una cosa eccezionale. Oserei dire che compiremmo un dovere di riconoscimento verso gli anziani che ci sono stati maestri di vita, maestri di democrazia, maestri di onestà politica. In questo senso concludo le mie modeste parole e presenterò a parte un emendamento in relazione a quanto ho detto. (Applausi).
PRESIDENTE. È forse opportuno sospendere a questo punto la discussione, ad evitare troppe decadenze di iscrizioni per l’assenza di tanti colleghi. Io penso che nella giornata odierna abbiamo dato l’abbrivio alla ripresa dei lavori. A cominciare da domani, con regolarità normale, chiamerò a parlare gli iscritti e non arretrerò dinanzi alla triste prospettiva che molti di essi, per assenza, non parlino.
Una osservazione: dagli interventi di quest’oggi mi è parso di constatare che ogni oratore parla in genere su questioni definite che dànno sostanza a determinati articoli del testo del progetto. Da questo punto di vista molti dei colleghi iscritti a parlare nella discussione generale potrebbero forse più opportunamente intervenire in sede di emendamenti. Ciò darebbe al nostro lavoro un ritmo più rapido, evitandosi così che il necessario rigore da applicarsi in sede di discussione generale tolga a troppi la possibilità di esprimere il loro avviso.
Rinvio, comunque, il seguito della discussione alla seduta pomeridiana di domani.
Per la discussione di una mozione e di un’interpellanza.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Permetta l’Assemblea che io faccia una dichiarazione a proposito della mozione Nenni ed altri. Il Governo non ha nessuna difficoltà ad affrontare il dibattito sui problemi economico-finanziari. Crede però più conveniente e più utile che sia presente anche il Vicepresidente, Ministro del bilancio, onorevole Einaudi, il quale è stato inviato in missione ufficiale a Londra.
Passeranno probabilmente otto giorni circa, prima del suo ritorno. Credo che l’Assemblea consenta che sarebbe conveniente e più utile che il dibattito su questi problemi avvenisse in presenza sua; senza aggiungere che disgraziatamente, proprio oggi, è stato portato in clinica il Ministro dell’industria, che è Presidente del Comitato prezzi.
Non so se il proponente acceda a questo mio suggerimento.
NENNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NENNI. Per quanto io sia deferente al desiderio espresso dall’onorevole Presidente del Consiglio, che il dibattito, da noi desiderato, avvenga con la presenza del Vicepresidente del Consiglio, il quale certamente ha una parte notevole di responsabilità nella politica che il Governo segue attualmente, pure desidererei che sin da ora si fissasse la data per l’inizio della discussione sulla mozione di sfiducia.
Mi sembra che si possa conciliare il legittimo desiderio dell’onorevole Presidente del Consiglio di avere a suo fianco l’onorevole Vicepresidente del Consiglio, e mi auguro anche l’onorevole Ministro dell’industria, col desiderio, altrettanto legittimo, che la discussione non sia troppo ritardata.
Ritengo che esistono nel Paese sufficienti motivi di allarme, perché l’Assemblea affronti il tema da noi proposto.
In queste condizioni, se l’onorevole Presidente del Consiglio è d’accordo, potremmo fin da ora fissare per mercoledì o giovedì prossimo l’inizio della discussione.
DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Quando è partito l’onorevole Einaudi, insieme all’onorevole Presidente della Commissione di finanze e tesoro, era previsto, fra l’andare e il venire, un periodo di dieci giorni. Ora, mercoledì evidentemente sarebbe troppo vicino; bisognerebbe fissare giovedì o venerdì.
NENNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NENNI. Accettiamo giovedì.
PRESIDENTE. Hanno ancora diritto di parlare su questo argomento due deputati. Invito gli onorevoli colleghi a rinunciare ad esprimere con confusi mormorii la loro opinione, ed a chiedere invece la parola per fare eventuali proposte o controproposte.
CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CEVOLOTTO. Propongo lunedì, 22.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il giorno 22 è certissimo, perché è la fine dei lavori della Banca Internazionale.
CAPUA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPUA. Dato che la discussione sulla mozione è subordinata al ritorno dell’onorevole Einaudi, propongo di stabilire la data di 48 ore dopo il ritorno dell’onorevole Einaudi.
CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CEVOLOTTO. Modificherei la mia proposta nel senso che la discussione della mozione sia fissata per il giorno 23.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi sono, dunque, tre proposte, naturalmente se l’onorevole Capua conserva la sua.
C’è la proposta del Presidente del Consiglio, accettata dall’onorevole Nenni, di fissare la discussione per giovedì 18.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. No. Io ritiro la mia proposta ed accetto la proposta dell’onorevole Cevolotto. (Commenti). Se vogliamo sul serio fare una discussione che non abbia semplicemente lo scopo politico (beninteso, lo scopo politico, è evidente, è un diritto dell’Assemblea), ma sia anche un dibattito che oltre alle critiche contenga suggerimenti utili e costruttivi, è necessario che vi sia presente il responsabile del Ministero del bilancio. Io, per parte mia, farò tutto per affrettare la sua venuta, ma non posso mettere evidentemente un consesso internazionale di fronte ad una data così prossima.
NENNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NENNI. Se per giovedì 18 il Vice-presidente del Consiglio non fosse presente, noi non grideremmo allo scandalo ove ci si chiedesse un breve rinvio.
PRESIDENTE. Prego coloro i quali hanno formulato proposte, di fissarle in termini definitivi. Più nessun altro ha diritto di prendere la parola. Poi passeremo al voto delle singole proposte concrete, a meno che non si giunga ad una proposta unificata.
La sua proposta, onorevole Nenni, è un po’ elastica: essa fissa il giorno 18, a meno che il Ministro del bilancio non sia presente. In questo caso la data del 18 non sarebbe più valida. Mi pare quindi che la sua proposta venga quasi a coincidere con quella dell’onorevole Capua che parte dalla premessa della presenza del Ministro del bilancio dandogli un termine congruo perché possa prepararsi alla discussione.
FUSCHINI. Chiedo di parlare per proporre un emendamento alla proposta dell’onorevole Cevolotto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FUSCHINI. Io faccio un emendamento alla proposta dell’onorevole Cevolotto, in questo senso: vorrei fare osservare che il 22 è lunedì per cui sarebbe opportuno portare la data al 23 (Approvazioni), e si potrebbe iniziare in tal modo la discussione con la sicurezza di poterla finire. L’onorevole Nenni può essere soddisfatto egualmente di questa data, perché essa mi pare sufficientemente vicina ai suoi desideri.
PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, l’onorevole Cevolotto ha già proposto di stabilire la data del 23.
NENNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NENNI. L’onorevole Nenni potrebbe essere soddisfatto della data del 23, ma non capisce perché non ci si debba attenere alla data del 18 indicata dal Presidente del Consiglio.
FUSCHINI. Per non avere interruzioni nella discussione.
NENNI. Comunque la questione non è di sapere se arriveremo alla discussione tre giorni prima o tre giorni dopo; direi che tutto si riduce all’apprezzamento della situazione attuale del Paese. Se ci sono colleghi che in buona fede credono che la situazione economica, sociale e politica attuale si riduca tutta al fatto che ci sarebbero in Italia un certo numero di agitatori e di sobillatori (Commenti al centro), allora si può benissimo rinviare la discussione anche di due o tre mesi.
Se invece si è convinti, come noi siamo convinti, che la situazione attuale deriva da elementi obiettivi, aggravati da una politica sbagliata, allora si potrà affrettare al massimo la discussione.
Ciò detto, mi rimetto all’opinione del Presidente del Consiglio.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Devo una spiegazione. Avevo detto prima otto o dieci giorni; poi il Ministro del tesoro mi ha fatto osservare che le sedute della Banca Internazionale finiscono il 22. Allora, mi sono affrettato ad associarmi alla proposta del 23.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta che la mozione presentata dall’onorevole Nenni e altri colleghi sia posta all’ordine del giorno della seduta pomeridiana del giorno 23 di questo mese.
(È approvata).
TOGLIATTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Per quale motivo, onorevole Togliatti?
TOGLIATTI. Per questa ragione: prima della chiusura dei lavori parlamentari avevo presentato una interpellanza di urgenza al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dell’interno, relativa a determinate questioni della politica interna del Governo, particolarmente alla difesa della libertà di propaganda e delle libertà democratiche in genere. Dato che la mozione dell’onorevole Nenni investe non soltanto la politica economica, ma un po’ tutta la politica generale del Governo, io vorrei riservarmi, se l’onorevole Presidente del Consiglio non ha nulla in contrario, di trasformare la mia interpellanza di urgenza in mozione e discuterla insieme alla mozione dell’onorevole Nenni.
Vorrei sapere se l’onorevole Presidente del Consiglio ha qualche cosa contro questo mio desiderio.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non ho da fare che una obiezione di carattere estetico, perché problemi di tale natura, cioè di politica interna, di polizia, ecc., sono meno atti a far trovare la soluzione dei problemi economici. Per il resto sono d’accordo e non ho nulla in contrario.
PRESIDENTE. La mozione dell’onorevole Nenni suona: «La politica generale del Governo ed in particolare quella economica e finanziaria». Comunque, poiché mi pare che l’onorevole De Gasperi non abbia invocato argomenti politici o di procedura, ma argomenti estetici e formali, credo che la richiesta dell’onorevole Togliatti possa essere accolta.
TOGLIATTI. Allora, mi riservo di trasformare la mia interpellanza in mozione.
Risposta ad una interrogazione.
FARALLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FARALLI. Poiché è presente il Ministro della marina mercantile vorrei domandargli se a quella interrogazione che ho presentata unitamente ai colleghi Barbareschi e Pertini a proposito del dirottamento del piroscafo Conte Biancamano, data la natura particolare di questa interrogazione, può rispondere domani.
CAPPA, Ministro della marina mercantile. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPA, Ministro della marina mercantile. Sono disposto a rispondere anche subito.
PRESIDENTE. Penso che sia opportuno procedere allo svolgimento dell’interrogazione. Abbrevieremo così il tempo da dedicare alle interrogazioni nelle prossime sedute.
L’interrogazione è del seguente tenore:
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della marina mercantile, per conoscere quali inoppugnabili ragioni hanno consigliato il dirottamento verso altro porto del piroscafo Conte Biancamano appartenente di fatto e di diritto al compartimento di Genova, dove avrebbe dovuto arrivare fin dal giorno 30 agosto».
L’onorevole Ministro della marina mercantile ha facoltà di rispondere.
CAPPA, Ministro della marina mercantile. Come è noto anche agli onorevoli interroganti, i piroscafi Conte Grande e Conte Biancamano, dopo le vicende della guerra, sono stati restituiti dal Governo degli Stati Uniti d’America a quello italiano con determinate condizioni circa il servizio loro fino al 31 dicembre 1948.
Il Conte Grande, appartenendo in origine alla Società Italiana di Genova, è stato avviato al porto di Genova dove già si trova da parecchie settimane.
Il Conte Biancamano, pur essendo iscritto alle matricole del Compartimento marittimo di Genova, perché in origine di pertinenza della società «Lloyd Sabaudo», aveva la sua sede naturale a Trieste essendo passato in proprietà del «Lloyd Triestino» di Trieste.
Entrambi i piroscafi, che durante la guerra furono adibiti dagli americani come trasporti militari, hanno ora bisogno di ingenti lavori di ripristino per i quali occorre predisporre il relativo finanziamento di rilevante entità da parte dello Stato.
Le previsioni si aggirano sui tre miliardi di lire per ciascuno. Una volta che siano stati decisi in senso affermativo tali lavori, sarà necessario indire una gara fra i vari cantieri nazionali per determinare la migliore offerta sotto il punto di vista tecnico e finanziario. Intanto, mentre il Biancamano era ancora in viaggio di ritorno in Italia, sono sorte contestazioni fra Genova e Trieste circa la definitiva destinazione della nave. Da parte di Genova la contestazione è stata promossa soltanto dai marittimi iscritti al turno particolare di Genova del «Lloyd Triestino», che si sono messi in agitazione perché, da lungo tempo disoccupati, speravano con l’arrivo del Conte Biancamano in Genova di poter usufruire di un turno di imbarco.
A tale riguardo è da tenere presente che, perché la nave possa riprendere il servizio di linea e quindi imbarcare un equipaggio completo, cioè tale da alleviare l’attuale crisi di disoccupazione di quei marittimi genovesi del «Lloyd Triestino», dovrà forzatamente passare un lungo periodo. È da premettere ancora che sopra una nave in lavori di riparazioni viene di regola imbarcato un piccolo numero di marittimi che non partecipa ai lavori stessi, che sono di esclusiva competenza degli operai dei cantieri, ma effettua le cosiddette «comandate» per sorveglianza interna, pulizia, difesa antincendi. Quindi passando il Conte Biancamano in lavori di ripristino quando saranno finanziati e decisi, solamente poche decine di marittimi potrebbero trovare in tal modo occupazione. Ma va tenuto conto che nel frattempo, in attesa di ogni decisione, la nave dovrebbe mettersi in disarmo, restando a bordo soltanto il nucleo essenziale per la custodia e la sicurezza della nave. E pertanto il numero dei marittimi del «Lloyd Triestino» dimoranti a Genova, che potrebbe avvicendarsi, sarebbe pur sempre minimo e tale, comunque, da non influire effettivamente sulla attuale dolorosa loro disoccupazione.
D’altra parte, invece, onorevoli colleghi, nel settore di Trieste le maestranze di quei cantieri e quei marittimi, che contano larghe masse di disoccupati, considerando che sono stati affidati a Genova i lavori di grandi unità appartenenti a Trieste – come il Vulcania e il Gerusalemme – e che a Genova si trova il Conte Grande, hanno reclamato perché il Conte Biancamano sia inviato a Trieste.
In vista di tali contrastanti richieste, il Ministero della Marina mercantile, tenendo presente soprattutto che nulla è stato ancora deciso per i lavori di ripristino delle due navi, onde lasciare impregiudicata la questione, ha ritenuto di ordinare che il Conte Biancamano facesse scalo a Messina e lì si mettesse in disarmo in attesa delle definitive decisioni circa il cantiere che assumerà i lavori di ripristino. E ciò tenuto anche presente che recenti esperienze ammoniscono che, una volta che una nave approdi in un porto per riparazioni e che tale porto disponga di cantieri capaci di effettuarle, è molto difficile inviarla altrove, date le proteste e le agitazioni delle maestranze locali.
I marittimi di Genova del «Lloyd Triestino», insistendo nella loro richiesta che il Conte Biancamano sia inviato a Genova, hanno proposto che in sostituzione del Conte Biancamano venga da Genova inviato a Trieste il Conte Grande. La proposta non può essere presa in considerazione perché, per dare occupazione a poche decine di persone, in sostituzione di altre della medesima società, si dovrebbe, in modo antieconomico ed illogico, disporre lo spostamento di due grandi navi dalle loro sedi naturali.
Concludendo, l’agitazione dei marittimi del «Lloyd Triestino» dei turni di Genova, non ha consistenza materiale, per la limitatissima entità dello spostamento della disoccupazione e della occupazione che il reclamato invio a Genova del Conte Biancamano potrebbe produrre.
Per quanto riguarda personalmente me, considerino gli onorevoli colleghi interroganti, che io debbo astrarre, come Ministro della marina mercantile, dalla mia qualità di ligure e non posso lasciarmi influenzare da pressioni locali che provengono dalla Regione che tanto mi è cara.
D’altra parte, mai come in questo momento potrei prescindere dal considerare la situazione dei lavoratori del settore di Trieste, togliendo ad essi la speranza che, in una gara per i lavori del Conte Biancamano, possano questi venire affidati agli impianti della loro Regione.
Sono, del resto, confortato dall’adesione al mio punto di vista della Confederazione Generale del Lavoro, la quale, comunicando un telegramma della Camera del lavoro di Trieste per l’assegnazione a quel settore del Conte Biancamano, mi ha pregato di tenere in tutta considerazione le aspirazioni dei lavoratori triestini.
PRESIDENTE. L’onorevole Faralli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
FARALLI. Le spiegazioni che ha date l’onorevole Ministro della marina mercantile, se possono apparentemente essere soddisfacenti, nella loro realtà non lo sono. Non lo sono per due ragioni: prima di tutto – me lo permetta l’onorevole Ministro – si erra quando si afferma che il Conte Biancamano appartiene al Compartimento di Tieste, perché il Conte Biancamano è stato passato al compartimento di Genova nel gennaio 1937, quindi il Conte Biancamano – di fatto e di diritto – appartiene al Compartimento di Genova.
Ora, è anche da rilevare che la Società «Lloyd Triestino» – che fa parte del gruppo Finmare, e quindi dovrebbe essere di interesse generale e collettivo, interesse cioè di tutta la Nazione potenziare, come le altre società che sono state potenziate nei modi che lo Stato ha potuto – il «Lloyd Triestino» che ha sede a Genova, non ha avuto nessuna nave; mentre alla sede di Trieste sono state trasferite tutte le navi finora affidate al «Lloyd» stesso, sia per i lavori che per l’armamento, dal che deriva che la sede di Genova del «Lloyd Triestino» ha una larga aliquota di disoccupati che non ha potuto in alcun modo sistemare presso nessuna nave.
Ma il Ministro della marina mercantile ci avverte che il Conte Biancamano deve trovare il suo naturale posto di adattamento a Trieste; ora noi possiamo replicargli che, secondo la legge, il suo posto naturale è Genova e non Trieste, perché se è vero che i lavoratori triestini hanno pur diritto alla nostra considerazione – voi comprendete bene che io non sono qui né per difendere in particolare i diritti dei lavoratori triestini né in particolare i diritti dei lavoratori di Genova, ma sono qui per difendere unicamente gli interessi di tutta la comunità italiana e quindi di tutti i lavoratori – noi dobbiamo però obbiettivamente considerare che tutte le navi assegnate fino a questo momento al Lloyd Triestino sono state sempre dirottate, sono sempre state riparate e armate a Trieste, il che significa, per i colleghi che non hanno conoscenza di tal genere di cose… (Commenti)
Voci. Lo sappiamo.
FARALLI. …significa provvederle di tutto il necessario in fatto di rifornimenti e di equipaggio.
Ora, l’unico piroscafo del «Lloyd Triestino» che era stato destinato a Genova, si vede, invece, all’ultimo momento, in seguito ad una decisione non del Governo, ma ad una decisione del direttore generale, che è uno dei tanti fratelli Cosulich che tutti conosciamo – mentre il comandante del piroscafo aveva già telefonato al dipartimento di Genova di preparare anche i mezzi necessari per pagare l’equipaggio – all’altezza di una isola che si trova non molto a nord della Sicilia, si vede invece, dicevo, in seguito a una decisione del capitano Cosulich, dirottato per Trieste.
L’equipaggio si ribellò, non già per senso di insubordinazione, ma perché era già stato stabilito che la nave dovesse far rotta per Genova. Attualmente la nave si trova in disarmo a Messina. Ora io faccio presente all’onorevole Ministro della marina mercantile che le ragioni di lavoro da lui addotte non possono sussistere quando gli stessi lavoratori di Genova e gli stessi impiegati del «Lloyd Triestino» dicono che, al posto del Conte Biancamano, potrebbe essere trasferito a Trieste il Conte Grande.
È ben vero che il Ministro afferma esser difficili ad effettuarsi tali spostamenti; ma vi è un’altra considerazione cui l’onorevole Ministro non ha fatto cenno e che mi sembra non poco grave anche dal punto di vista politico, ed è che a Trieste si sta costituendo una società di navigazione internazionale per iniziativa del direttore generale del «Lloyd Triestino», capitano Cosulich. Questa società internazionale dovrebbe sostituire l’organizzazione del «Lloyd Triestino» e quindi accaparrarsi le navi che ad esso appartengono.
Ora, tutte le quattordici navi del «Lloyd Triestino» sono oggi a Trieste; il solo transatlantico Conte Biancamano non è a Trieste. Il Conte Biancamano avrebbe dovuto andare a Genova. Ebbene, se noi permettiamo che anche il Conte Biancamano sia dirottato alla volta di Trieste, noi commettiamo due ingiustizie. La prima ingiustizia è quella di trascurare completamente il compartimento di Genova; la seconda ingiustizia, che domani potrebbe nuocere non poco all’Italia, è quello di far sì che la società internazionale, che si sta costituendo a Trieste per iniziativa del capitano Cosulich e che dovrà assorbire il «Lloyd Triestino», potrà domani, attraverso una delle tante interferenze di carattere internazionale, rimanere a Trieste a disposizione della nuova compagnia; se invece noi a Trieste trasferiamo il Conte Grande che appartiene ad una società completamente italiana, con sede a Genova, qualunque possano essere gli eventi di questa costituenda società internazionale, il Conte Grande dovrebbe egualmente essere restituito.
Questa è una ragione politica che l’Assemblea, onorevoli colleghi, non può trascurare, e di cui non può non tener conto. Ed è per questo che rinnovo, a nome dei colleghi interroganti, la preghiera all’onorevole Ministro di voler considerare la situazione non soltanto dal punto di vista sotto il quale egli l’ha considerata, ma da un punto di vista più generale, tenendo conto delle esigenze del personale del «Lloyd Triestino»; tenendo conto delle esigenze che ha il porto di Genova anche nei riflessi, onorevoli colleghi, del movimento passeggeri per l’America. Oggi questo movimento in gran parte è fatto con navi che hanno altre bandiere che non la bandiera italiana, anche se gli armatori sono italiani. Non entro nel merito; in altra occasione l’argomento verrà esaminato a fondo. Ma, se noi abbiamo sottomano ora un transatlantico, che è una delle nostre migliori navi, un transatlantico che, riparato opportunamente – e bisogna ripararlo, bisogna che il Governo faccia questo sacrificio, altrimenti noi andiamo soltanto ad arricchire quei famosi armatori liberi che sotto l’usbergo delle bandiere americane delle repubbliche del Sud, stanno trasferendo tutto il nostro lavoro di trasporti con le Americhe sotto altre bandiere che non sono la bandiera italiana – sarà un bene strumentale di grande valore pratico e morale; perché fargli correre dei rischi, fargli correre dei pericoli? Il Conte Biancamano, trasferito a Genova – sua sede naturale – può rappresentare un elemento di ravvivamento dei nostri rapporti con le Americhe; ma soprattutto il Conte Biancamano, tenuto a Genova, ci dà l’assicurazione che nessuna compagnia internazionale, qualunque siano gli interferimenti dei Governi stranieri, potrà sottrarlo alla marineria italiana, che in questo momento, onorevole Ministro, è marineria della collettività italiana, in quanto la «Finmare» non è uno strumento privato ma è un bene strumentale della collettività italiana: e noi abbiamo il dovere di difenderla, non soltanto da questo banco come socialisti, ma abbiamo il dovere di difenderla soprattutto come italiani. (Applausi a sinistra).
CAPPA, Ministro della marina mercantile. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPA, Ministro della marina mercantile. Mi sembra che l’onorevole interrogante stia battendosi contro i mulini a vento.
FARALLI. Tutt’altro!
CAPPA, Ministro della marina mercantile. Assicuro l’onorevole Faralli, che la situazione è stata esaminata dal Ministero della marina mercantile non sotto un ristretto punto di vista, ma da un punto di vista generale, come egli ha invocato. D’accordo con lui, non ho negato che il Conte Biancamano appartenga al Compartimento marittimo di Genova; anzi, ho detto che è iscritto a detto Compartimento, perché originariamente era del «Lloyd Sabaudo», e quando fu costituita la «Finmare», il Conte Biancamano è stato attribuito al «Lloyd Triestino» di Trieste mentre il Conte Grande è rimasto alla Società «Italia» di Genova.
Non è nemmeno esatto – e questo desidero che sia affermato e rilevato – che l’equipaggio si sia ribellato.
FARALLI. Non si è ribellato…
CAPPA, Ministro della marina mercantile. Lo ha detto lei! Ma io nego che l’equipaggio del Conte Biancamano si sia ribellato ai suoi superiori. (Interruzioni a sinistra).
FARALLI. Non l’ho detto; ho chiarito il significato. (Interruzioni dell’onorevole Malagugini).
PRESIDENTE. Onorevole Malagugini, lasci che parli l’onorevole Faralli.
CAPPA, Ministro della marina mercantile. Ha affermato l’onorevole Faralli che una compagnia di navigazione di carattere internazionale si starebbe costituendo a Trieste, per accaparrare le navi del «Lloyd Triestino». Un riserbo naturale e doveroso mi impedisce qui di precisare quale potrà essere la condizione della nostra marina e dei nostri marittimi dello Stato libero di Trieste, e quali saranno per essere le nostre decisioni nell’interesse della marina mercantile nazionale. Posso da questo punto di vista tranquillare, sotto la mia responsabilità, l’Assemblea Costituente.
Del resto, replicando in tema del preteso pericolo che l’onorevole Faralli ha richiamato all’attenzione dell’Assemblea, che cioè, andando a Trieste, il Conte Biancamano possa essere accaparrato da questa ipotetica e fantomatica compagnia di navigazione internazionale, osserverò semplicemente che io non l’ho mandato a Trieste e non lo manderò a Trieste finché non sia chiarita la situazione eventuale. Io l’ho fermato a Messina e l’ho messo in disarmo a Messina.
FARALLI. L’ha fermato il capitano Cosulich a Messina e non il Governo!
CAPPA, Ministro della marina mercantile. Ripeto che sono stato io a mandarlo a Messina; e che è stato ivi fermato per ordine del Ministero della marina mercantile! E l’ho fermato a Messina anche in considerazione di non pregiudicare in nessun modo la risoluzione del contrasto che è sorto fra i marittimi di Genova e gli operai del settore triestino.
Faccio in proposito presente che oltre ai Cantieri di Trieste esistono in quel settore anche i Cantieri di Monfalcone, che restano compresi nella zona italiana al di qua dei confini stabiliti dal Trattato.
Mi sembra ingiusto e devo rettificare quello che ha affermato l’onorevole Faralli a carico di armatori liberi italiani. Egli ha affermato che gli armatori liberi – o una parte di questi – stanno trasferendo il nostro naviglio sotto bandiera estera. È questa una accusa veramente ingiusta che l’onorevole Faralli, il quale vive a Genova, non avrebbe dovuto portare dinanzi a questa Assemblea.
Io affermo che gli armatori liberi italiani stanno facendo uno sforzo magnifico, tenace, generoso per ricostruire la nostra marina mercantile. Essi hanno diritto al rispetto di tutti, anche di coloro che politicamente possono essere loro avversari.
La verità è che oggi non abbiamo navi di linea sufficienti per il trasporto dei passeggeri e quindi dobbiamo utilizzare tutte le navi che possono essere a nostra disposizione. Vi sono navi straniere che effettuano il trasporto passeggeri dal Sud-America, ma tutte quelle navi che è stato possibile utilizzare sono state rapidamente restituite in efficienza, ed altre stanno restituendosi in efficienza per lo sforzo di questi armatori e dei nostri cantieri grandi e piccoli. Naturalmente, vi sono anche navi estere che eseguono questo traffico, come del resto facevano in passato. Io dico all’onorevole Faralli e vorrei dire ai marittimi che risiedono a Genova una parola di tranquillità e di calma. Il Governo non vuole usare ingiustizia a nessuno, e tanto meno personalmente io che sono ligure di nascita, di consuetudine e di affetti; ma in realtà è mio dovere, quando agisco come Ministro della marina mercantile, trattare la questione dal punto di vista degli interessi nazionali: e non posso pertanto obliterare quelle che sono le aspirazioni delle masse lavoratrici di Trieste e di Monfalcone, sulle quali la disoccupazione grava oggi certamente non meno che su quelle di Genova, come del resto l’invito della Confederazione generale del lavoro – rivolto a me – ne fa attestazione. (Applausi).
FARALLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Per quale ragione? L’interrogante può dire se è soddisfatto oppur no. Non c’è possibilità di aggiungere altro. Se mai lei ha sempre la possibilità di presentare nuove interrogazioni, o, informa più drastica, di presentare un’interpellanza al Governo.
Se lei chiede di parlare per chiarire parole o frasi da lei pronunciate, e che diedero luogo ad interpretazioni a suo giudizio non esatte nell’intervento del Ministro della marina mercantile, per questo scopo preciso posso darle ancora di parlare.
FARALLI. Io intendo chiarire di tutto quanto ho precisato, che cioè l’equipaggio si era ribellato all’ordine di trasferirsi a Trieste, ma non ho inteso dire che la ribellione voleva significare quello che normalmente questa parola significa, e cioè rivolta. Volevo dire che il Comandante ha telegrafato alla sede del «Lloyd Triestino» precisando che se il piroscafo non si fosse fermato a Messina e avesse dovuto proseguire per Trieste, l’equipaggio non lo avrebbe trasferito a Trieste. Ci sono telegrammi che lo confermano e l’onorevole Ministro della prima marina non lo può contestare.
D’altra parte io intendo precisare che la cosiddetta fantomatica «Società di navigazione internazionale» si sta costituendo a Trieste sotto gli auspici del capitano Cosulich, direttore generale del «Lloyd Triestino», il quale «Lloyd Triestino» è un bene italiano perché fa parte della «Finmare».
Ora, per quanto si riferisce alla mia affermazione, che molto lavoro di trasferimento da Genova all’America viene fatto sotto bandiera straniera, questo è un fatto e l’onorevole Ministro della marina non mi può contestare che armatori genovesi e non genovesi hanno comprato delle navi dando loro bandiera panamense. Ciò può rispondere ad un piano di opportunità nei confronti degli alleati; sarà fatto per ragioni fiscali; io non lo so: la realtà è questa e nessun Ministro della marina mercantile può contestarla o smentirla. (Commenti al centro).
PRESIDENTE. Onorevole Faralli, la prego di concludere. Ho detto poco fa che se lei intendeva chiarire un equivoco sorto a proposito di una sua frase, le davo la parola. Ma non le posso concedere di rientrare nel merito.
FARALLI. Allora in sede di processo verbale completerò il mio pensiero.
Sui lavori dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Avverto che domani si terranno due sedute, alle 10 e alle 16.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
RICCIO, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se è nelle intenzioni del Governo emanare provvedimenti di legge per riparare il danno economico sofferto dagli impiegati statali, nonché da quelli degli Enti locali, dispensati dall’impiego per motivi politici durante il regime fascista e poscia riassunti in servizio. E ciò anche in considerazione che agli ex-fascisti prima epurati e poi riammessi negli impieghi, viene corrisposto l’intero trattamento economico per il periodo di tempo durante il quale sono stati assenti dal servizio.
«Martino Gaetano».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e degli affari esteri, sull’azione che si intende svolgere a protezione delle flottiglie pescherecce italiane, che vengono – secondo notizie raccolte dalla stampa – arbitrariamente sequestrate e rapinate da mezzi armati della marina jugoslava dentro il limite delle nostre acque territoriali ed in ispregio del diritto delle genti.
«Bellavista».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere so non ritenga opportuno accogliere il voto formulato dall’Associazione inquilini dell’Istituto nazionale case economiche e popolari di Messina:
- a) perché sia revocato il disposto dell’articolo 2 del regio decreto-legge 21 agosto 1940, n. 1289, col quale venne annullato il beneficio già concesso ai messinesi disastrati dal terremoto del 1908 di acquistare a scomputo gli appartamenti ad essi assegnati;
- b) perché sia ammesso nel Consiglio di amministrazione un rappresentante della suddetta Associazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Martino Gaetano».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere i motivi per i quali le ferriere non hanno ancora consegnato al Genio civile ed all’Istituto delle case popolari di Messina il quantitativo di ferro tondino per cemento armato, già assegnato dal Ministero competente; e per conoscere altresì quali provvedimenti il Ministro intende disporre per impedire che la sospensione dei lavori, già in atto in molti cantieri per mancanza di ferro, si estenda a tutti i cantieri della città e della provincia con gravissimo danno della ricostruzione e della maestranza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Fiore».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le cause che ritardano la ricostruzione del tronco ferroviario Pergola-Fermignano della linea Fabriano-Urbino, e quali provvedimenti siano in corso o si intenda sollecitamente adottare per rimuoverle. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Molinelli, Ruggeri Luigi».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga giusto e opportuno di prorogare il termine della presentazione delle domande per il concorso per titoli a posti di preside e direttore di istituti medi, termine che dovrebbe scadere il 10 ottobre prossimo.
«Sembra giusto che tale termine sia prorogato sino all’espletamento del concorso per soli titoli a cattedre di istituti medi, perché, per ovvii criteri di equità, possano parteciparvi anche coloro che, pur appartenendo al ruolo inferiore, sono stati presidi reggenti di istituti medi di secondo grado e che, per idoneità precedentemente conseguita, hanno partecipato all’accennato concorso testé bandito per soli titoli a cattedre di istituti medi di secondo grado.
«Questo per i seguenti motivi:
1°) perché il concorso per capo d’istituto non potrà essere espletato subito e, conseguentemente, i vincitori non potranno essere sistemati all’inizio del prossimo anno scolastico;
2°) perché si verrebbero a danneggiare coloro che essendo stati presidi reggenti, e non incaricati, in momenti difficili della vita nazionale, ed avendo sopportato non lievi sacrifici di ordine morale e materiale, si vedrebbero preclusa la possibilità attuale di partecipare al concorso per soli titoli a posti di capi di istituto, e la possibilità di essere in seguito sistemati, dato il numero rilevante di posti direttivi messi a concorso. (L’interrogante chiede la risposta Scritta).
«Schiavetti».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 19.5.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 10:
- – Interrogazioni.
- – Discussione dei seguenti disegni di legge:
Approvazione degli accordi commerciali e di pagamento stipulati a Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 24 novembre 1945. (18).
Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e revisione annuale delle liste elettorali. (16).
Alle ore 16:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.