Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Presentazione di relazioni:

Piemonte

Bibolotti

 

Votazione segreta dei disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca il 2 marzo 1946. (31).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio il 18 aprile 1946. (40).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma, fra l’Italia e la Svezia il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

 

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Preti

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Mortati

Perassi

Benvenuti

Rossi Paolo

Russo Perez

Moro

Lussu

Cappugi

Uberti

Damiani

Rodi

Condorelli

Codacci Pisanelli

Benedettini

Nobile

Gronchi

Crispo

Giannini

Giacchero

Sicignano

Covelli

Coppa

Fabbri

Lucifero

Penna Ottavia

Mastrojanni

Mazza

Bencivenga

Fresa

Marinaro

Puoti

Abozzi

Miccolis

Venditti

Tumminelli

Conti

Votazioni segrete:

Presidente

Risultato delle votazioni segrete:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Presentazione di una relazione.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Ho l’onore di presentare la relazione sul disegno di legge: «Norme per la istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Votazione segreta di disegni di legge.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946. (31).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946. (40).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

(Segue la votazione).

Avverto che le urne rimarranno aperte, per proseguire nello svolgimento dell’ordine del giorno.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di costituzione della Repubblica italiana.

Riprendiamo la votazione degli emendamenti al terzo comma dell’articolo 126, così formulato:

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

Vi è anzitutto l’emendamento proposto e ritirato dall’onorevole Ambrosini e ripreso dall’onorevole Preti, così formulato:

«Il Presidente della Repubblica ed i Ministri messi in stato di accusa dalla Camera dei deputati a norma della Costituzione sono giudicati dal Senato costituito in Alta Corte di giustizia».

Questo emendamento propone una soluzione che è in contrasto con una norma già approvata dall’Assemblea Costituente. È già stato rilevato stamane che, in un articolo approvato dall’Assemblea in sede di potere legislativo, è stato stabilito che l’accusa ed il giudizio del Presidente della Repubblica sono deferiti ad una decisione delle due Camere, in seduta comune, mentre nella proposta dell’onorevole Ambrosini, ripresa dall’onorevole Preti, si parla della accusa sollevata dalla Camera dei deputati, e poi del giudizio del Senato costituito in Alta Corte di giustizia. È una norma che è in netto contrasto con una deliberazione già presa dall’Assemblea e crea quindi un caso di preclusione.

Pongo quindi in votazione il testo della Commissione, che rileggo:

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

(È approvato).

L’onorevole Preti mi fa pervenire ora una nuova formulazione della sua proposta, di cui do lettura:

«Il Presidente della Repubblica e i Ministri messi in stato di accusa dalle Camere a norma della Costituzione sono giudicati dal Senato costituito in Alta Corte di giustizia».

Io non so se l’Assemblea ritenga che si possa considerare come non avvenuta la votazione di poco fa, allo scopo di poter esprimere un giudizio su questa nuova formulazione, che è diversa dalle altre. Di tale diversità, forse, è un po’ difficile trovare una motivazione sostanziale.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Onorevole Presidente, lei mi disse che il mio emendamento non poteva essere votato, in quanto affidava l’accusa alla competenza della sola Camera dei deputati, mentre si era già votato in precedenza in altro senso. Ho proposto ora una modifica, uniformandomi per questa parte ai risultati della precedente votazione, di maniera che il mio emendamento possa essere votato.

La pregherei, quindi, di metterlo in votazione.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, le ho dato atto che lei avrebbe potuto modificare la formulazione; ma, poiché non è stata proposta alcuna modifica, abbiamo proceduto alla votazione.

Ho dato comunicazione all’Assemblea del testo dell’onorevole Preti facendo semplicemente questa osservazione: che è vero che la formulazione è diversa dalla precedente, ma, nel suo meccanismo interno il testo nuovo è di difficile motivazione perché non vedo ragione per cui, essendo ambedue le Camere a sollevare l’accusa, debba poi essere una sola di queste, e precisamente il Senato, a divenire corte giudicante, col che o si diminuisce in certo senso la Camera che ha mossa l’accusa, o si fa il Senato accusatore e giudice nel contempo.

PRETI. Siamo d’accordo che c’è questa parziale contraddizione: ciò dipende dal fatto che in precedenza abbiamo votato un altro articolo che affidava l’accusa alla competenza di entrambe le Camere.

Ora, l’unica maniera per poter far sì che il giudizio sul Presidente della Repubblica e sui Ministri non sia dato dalla Corte costituzionale, cioè da un organo giudiziario, ma da un organo politico, sta nell’accogliere questo mio emendamento.

Se però qualcuno mi suggerisce una forma migliore, ne sarò ben felice.

PRESIDENTE. Non si tratta di cercare una forma migliore. La questione si è che l’Assemblea, pochi minuti fa, ha già votato, e lei stesso ha potuto constatare come la grande maggioranza dell’Assemblea abbia scelto una soluzione.

Vi è ora l’emendamento presentato dall’onorevole Mortati, che la Commissione ha dichiarato di accettare e che deve considerarsi come emendamento aggiuntivo, del seguente tenore:

«Per i giudizi sull’accusa del Presidente della Repubblica e dei Ministri intervengono, oltre i componenti ordinari della Corte, altri 15 membri eletti dal Parlamento in seduta comune al principio di ogni legislatura fra cittadini aventi i requisiti per l’elezione a membro del Senato».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Forse occorrerebbe elevare il numero a sedici, perché conviene conservare anche complessivamente un numero dispari.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, aderisce alla proposta di elevare a sedici questo numero?

MORTATI. Vi aderisco.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’emendamento Mortati, testé letto, con questa modificazione.

(È approvato).

L’articolo 126 risulta nel suo complesso così approvato:

«La Corte costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni, sui conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato e su quelli fra Stato e Regioni e fra Regioni.

«Giudica il Presidente della Repubblica e i Ministri accusati a norma della Costituzione.

«Per i giudizi sull’accusa del Presidente della Repubblica e dei Ministri intervengono, oltre i componenti ordinari della Corte, altri 16 membri eletti dal Parlamento in seduta comune al principio di ogni legislatura fra cittadini aventi i requisiti per l’elezione a membro del Senato».

Passiamo ora alla Sezione II del Titolo VI: Revisione della Costituzione. È stato presentato un emendamento dall’onorevole Perassi alla intitolazione stessa di questa Sezione, ma lo esamineremo alla fine, come già abbiamo fatto in casi analoghi.

Passiamo pertanto all’articolo 130. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«La iniziativa della revisione costituzionale appartiene al Governo ed alle Camere.

«La legge di revisione costituzionale è adottata da ciascuna delle Camere in due letture, con un intervallo non minore di tre mesi. Per il voto finale in seconda lettura è richiesta la maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera.

«La legge di revisione costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali.

«Non si fa luogo a referendum, se la legge è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento sostitutivo dell’intero articolo:

«Sostituirlo col seguente:

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali devono essere adottate da ciascuna Camera in due letture con un intervallo non minore di tre mesi ed approvate a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera nel voto finale in seconda lettura.

«La legge di revisione costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi.

«Non si fa luogo a referendum se la legge di revisione costituzionale è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. È stato detto qui e fuori di qui che vari articoli della Costituzione sono inutili o sovrabbondanti: può darsi. Ma qui invece ci troviamo di fronte ad un articolo che è giuridicamente necessario; si tratta solo di formularne il testo definitivo.

Giuridicamente necessario, ho detto, perché discende da alcuni criteri che hanno costantemente dominato l’elaborazione del progetto costituzionale.

Fino dall’inizio dei nostri lavori, l’Assemblea Costituente, attraverso gli oratori dei vari gruppi, ha unanimemente accolto il principio che la Costituzione italiana dovesse essere una Costituzione rigida e, sulla base di questo principio, è stato elaborato il testo del Progetto.

Il primo riflesso giuridico di questo principio della rigidità della Costituzione è quello che si può chiamare il primato della Costituzione sulle leggi ordinarie, nel senso che la Costituzione si pone come un limite alle leggi ordinarie. Il che significa che la conformità alla Costituzione è un essenziale requisito per la validità di ogni legge.

Ma quando si dice rigidità della Costituzione, non si vuole affermare l’immutabilità assoluta di essa. Se l’espressione frangar non flectar può essere la divisa di un uomo di carattere o può essere il motto di un giornale, non può essere il motto di una Costituzione, perché è contradittoria e ripugnante alla destinazione stessa di ogni ordinamento giuridico, e quindi anche della Costituzione, la sua immutabilità.

Si tratta, dunque, di contemperare questi due concetti: da un lato, la rigidità della Costituzione, e dall’altro, la sua non immutabilità. Questi due criteri determinano il problema legislativo che dobbiamo ora risolvere. Si tratta, cioè, di inserire nella Costituzione una norma che regoli il procedimento di formazione delle leggi costituzionali.

A questo riguardo, con riferimento all’emendamento che ho presentato, rilevo, anzitutto, che non si deve parlare soltanto di revisione della Costituzione, perché nel testo, già approvato, si prevede anche, in un caso, un tipo speciale di legge, la legge costituzionale: tali sono, secondo l’articolo 108, le leggi con le quali si adottano gli ordinamenti speciali per alcune Regioni. Ora, a meno di voler distinguere – il che mi sembra inutile – fra leggi che modificano la Costituzione e le altre leggi costituzionali (il che darebbe luogo poi ad altri inconvenienti), sembra opportuno fare una norma unica che riguardi sia la formazione di leggi che toccano direttamente la Costituzione, rivedendola, sia le leggi che riguardano le altre materie costituzionali.

Quale può essere questa norma? Il mio emendamento non tocca nessuna parte sostanziale del testo elaborato dalla Commissione dei Settantacinque. Questo testo è ispirato ad un criterio di ragionevolezza che risponde a quanto abbiamo detto prima, e cioè che la Costituzione deve essere rigida, ma non immutabile, inflessibile. Non si può concepire la Costituzione come una lastra di vetro; occorre che sia di un metallo duro, ma un metallo plasmabile. Si tratta, dunque, di trovare una formula che contemperi queste due esigenze.

Il concetto a cui si è ispirata la Commissione è quello di rendere il procedimento di formazione delle leggi costituzionali più complicato di quello che è previsto per le leggi ordinarie, ma di non arrivare a stabilire un procedimento che renda estremamente difficile la revisione della Costituzione.

L’idea pratica che è stata di guida nel disciplinare questa materia è questa: di far sì che vi sia una ponderata riflessione quando si procede ad un atto così importante. Da ciò l’adozione del sistema delle due letture a distanza di un certo periodo di tempo: tre mesi, si propone nel testo. L’esperienza dimostra che questo espediente è utile. Ciascuno di noi potrebbe porsi questa domanda: se io fossi chiamato a votare a distanza di tre mesi qualche articolo della Costituzione che ho già votato, darei il medesimo voto? Lasciare un certo margine alla riflessione è utile.

Il secondo punto che nel testo della Commissione distingue la legge costituzionale dalla legge ordinaria è la maggioranza speciale, richiesta affinché essa sia validamente adottata in ciascuna delle due Camere. Nel progetto si dispone che le leggi di revisione della Costituzione – e, secondo il mio emendamento, le altre leggi costituzionali – devono essere adottate da ciascuna Camera in due letture, con intervallo non minore di tre mesi, e approvate a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera nel voto finale in seconda lettura. A noi sembra che questo sistema sia un dispositivo di riflessione, sufficiente ad assicurare che l’adozione di una legge costituzionale avvenga in condizioni tali da rispondere a vere esigenze del Paese, e con ciò sia sufficientemente differenziata la legge costituzionale da quella ordinaria.

La differenza fra legge costituzionale e legge ordinaria è poi accentuata dal comma seguente, nel quale si prevede la possibilità del referendum. E su questo punto il mio testo, nella sua prima parte, non differisce sostanzialmente dal testo della Commissione. Infatti dice: «La legge costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o (ecco una piccola variante) cinque Consigli regionali». Nel testo della Commissione si dice invece: «sette Consigli regionali». A questo riguardo, ricordo che in altra occasione è stato fatto presente che, data la distribuzione delle regioni d’Italia, esigere che la domanda del referendum sia fatta da almeno sette Consigli regionali potrebbe avere qualche inconveniente dal punto divista politico. Quindi sembra conveniente abbassare questo numero a cinque.

L’emendamento che ho proposto continua, portando una semplice integrazione al testo della Commissione per quanto riguarda il referendum. Nel mio emendamento si dice: «La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi».

Con questa formula si risolve il problema di configurare il referendum che si applica in questo caso. Secondo la formula proposta, si adotta un tipo di referendum che è diverso da quello che era stato escogitato nell’articolo 72 del progetto per quel che concerne le leggi ordinarie.

Come l’Assemblea ricorderà, secondo quel testo – che non è stato approvato – una legge ordinaria sarebbe stata promulgata e pubblicata e sarebbe stata poi sottoposta al referendum, se un certo numero di cittadini ne avesse fatta domanda in un determinato termine, restando in tal caso sospesa l’entrata in vigore della legge. Con un tale regolamento, il referendum avrebbe appunto la configurazione giuridica di un veto.

Mi sembra che in materia di leggi costituzionali convenga dare al referendum una altra configurazione, più vicina a quella che ha il referendum in altri paesi, dove questo istituto di democrazia diretta è praticato, specialmente in Svizzera, e cioè disciplinato in modo che il concorso del voto del popolo, quando la domanda di referendum è regolarmente fatta, assume il valore giuridico di un elemento di formazione della legge costituzionale.

In confronto a tale concetto, nel nuovo testo da me proposto si prevede che la legge costituzionale votata dalle due Camere, non è promulgata, ma viene soltanto pubblicata ai fini di essere portata a conoscenza del popolo, sicché i cittadini possano esercitare la facoltà di chiedere il referendum. Soltanto quando, essendo stato richiesto il referendum, la votazione popolare abbia avuto luogo e la maggioranza richiesta si sia pronunciata a favore della legge, questa viene promulgata e pubblicata ai fini della sua entrata in vigore.

Occorre poi determinare qui qual è il numero di voti richiesti perché la legge sottoposta al referendum possa ritenersi approvata. Nel testo da me proposto si precisa che occorre la maggioranza dei voti validamente espressi.

Infine, nell’ultimo comma, che è uguale a quello del testo della Commissione, si stabiliscono i casi in cui su una legge costituzionale non è ammesso il referendum facoltativo. Si dice cioè: «Non si fa luogo a referendum se la legge costituzionale è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».

Questo comma, che potrebbe eventualmente diventare, dal punto di vista formale, un inciso del precedente, viene a porre un limite ragionevole alla facoltà di chiedere il referendum e quindi alla messa in moto di una macchina notevolmente pesante, quale è quella della votazione popolare.

Anche qui, sotto questa formula, c’è una idea di buon senso. Quando, secondo il procedimento abbastanza complicato che è previsto, una legge costituzionale è stata votata dalle due Camere e ciascuna di queste l’abbia approvata a maggioranza di due terzi dei suoi membri, si può fondatamente presumere che si è di fronte a una legge costituzionale che risponde a esigenze sentite dalla maggioranza del Paese. Quindi sembra inutile condizionare la perfezione di una tale legge all’eventualità del referendum. Ricordo, a questo riguardo, che anche recenti Costituzioni, per esempio quella francese, contengono qualche analoga disposizione.

Sono questi i criteri a cui si ispira il testo dello articolo come è stato rielaborato nella formulazione che ho sottoposto all’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha presentato il seguente emendamento:

«Tra il secondo ed il terzo comma inserire il seguente:

«Il Presidente della Repubblica non può domandare alle Camere una nuova deliberazione».

Ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Più che presentare un emendamento, intendevo porre un quesito al Presidente della Commissione dei Settantacinque.

Siccome il secondo capoverso dell’articolo 71 dice che «entro un determinato termine il Presidente della Repubblica può con messaggio motivato domandare una nuova deliberazione», io intendevo chiedere se questo vale anche per le leggi costituzionali, oppure no. A me sembra che non debba valere. Ad ogni modo, siccome ci potrebbe essere incertezza, per questo chiedo spiegazioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Benvenuti ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo il primo comma, aggiungere:

«Il Presidente della Repubblica non promulga le leggi modificatrici della Costituzione o con essa contrastanti, se non quando siano adottate dalle due Camere con la procedura e con la maggioranza di cui al presente articolo».

Ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Onorevoli colleghi, continuo il cortese contradittorio iniziato con i colleghi della Commissione sabato scorso e continuato stamattina col collega Rossi. Ho detto che il problema va al di là del testo letterale dell’emendamento. È un problema che segna una svolta, a mio avviso, della elaborazione costituzionale che stiamo formulando.

Il problema è questo: i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino, che abbiamo riconosciuto come inviolabili all’articolo 2 della nostra Costituzione, sono garantiti dalla Costituzione o sono rimessi all’arbitrio di qualsiasi maggioranza parlamentare?

Questo è il tema che vi propongo e che passerò brevemente ad illustrare, a sostegno del mio emendamento. Premetto che desidero mantenermi su di un terreno generale e ideale, sul terreno dei principî.

Io non mi vergogno di difendere gli immortali principî: potrà essere una posizione romantica, ma tengo fermo e duro su questo terreno. Lascio ad altri i fasti della così detta real politik, perché sono convinto che ogni abbandono di principî si traduce sempre in una debolezza dell’azione.

D’altra parte, il principio della inviolabilità della persona umana fa parte essenziale del programma del partito nel quale ho l’onore di militare. Ai colleghi del Partito repubblicano storico mi permetto di ricordare un passo classico di Mazzini. Nei «Diritti e doveri del l’uomo» Mazzini proclamava: «Vi sono cose che costituiscono il vostro individuo (parla agli italiani) e sono essenziali alla vita umana. Su queste neppure il popolo ha signoria. Nessuna maggioranza può rapirvi ciò che vi fa essere uomini. Nessuna maggioranza può decretare la tirannide e spegnere o alienare la libertà».

Vi dico con tutta franchezza che non mi sento di approvare un testo costituzionale che dà al potere legislativo la facoltà, perfettamente legittima, di decretare la tirannide e di spegnere la libertà. Questo il pubblico non sa ancora: bisogna avere il coraggio di denunciarlo. Gli italiani credono che il Presidente della Repubblica nella nuova Costituzione abbia funzioni di tutore della Costituzione e della pubblica libertà, e credono sul serio che la Costituzione che si sta costruendo sbarri la strada ad ogni tirannia. Al contrario, il Presidente della Repubblica, così come la sua figurai emerge dal sistema costituzionale sostenuto dalla Commissione, deve obbligatoriamente promulgare le leggi, quando anche esse sopprimano le libertà fondamentali dei cittadini.

È contro questa complicità del Presidente della Repubblica che io insorgo. Una legge che mettesse la stampa alla mercé della polizia, che comprimesse la libertà religiosa, che è sacra per gli italiani, che istituisse tribunali speciali, dovrebbe o non dovrebbe essere promulgata dal Presidente della Repubblica? Lo deve essere secondo il sistema architettato dalla Commissione; anzi, se il Presidente della Repubblica non la promulga, egli è passibile di essere deferito all’Alta Corte di giustizia.

E più precisamente: il Presidente che ha giurato fedeltà alla Costituzione è passibile di deferimento all’Alta Corte di giustizia ove si rifiuti di promulgare una legge che violi quella Costituzione alla quale ha giurato fede. Questa è una mostruosità giuridica e morale. E non parliamo più, onorevoli colleghi, di Costituzione rigida! Io non conosco il perfetto toscano dei costituzionalisti ma il semplice comune vernacolo dell’umile gente della Valle Padana, che qui mi ha mandato a difendere le sue libertà. Quando in uno Stato non esiste un organo che abbia il potere è il dovere di impedire l’entrata in vigore di leggi incostituzionali, o comunque violatrici della libertà, ci troviamo di fronte ad una Costituzione non più rigida, ma tipicamente flessibile, in quanto docile ed adattabile ad ogni e qualsiasi arbitrio del potere legislativo.

Ma i colleghi rispondono: «C’è la Corte costituzionale». Questa difesa non può esser tenuta valida. Quando avete votato, onorevoli colleghi della Commissione, l’obbligatorietà della promulgazione, l’istituzione della Corte costituzionale non era ancora votata e, se non fosse stata mai votata, saremmo rimasti senza un qualsiasi barlume di garanzie di fronte al prepotere della maggioranza legiferante.

In secondo luogo, faccio presente una considerazione fondamentale: se la Corte costituzionale non era ancora istituita quando avete votato il principio delle promulgazioni obbligatorie, essa non è entrata in vita neppure oggi. Noi dobbiamo infatti attendere che l’istituto sia regolato, concretamente istituito e messo in azione da parte del potere legislativo ordinario. Quindi, in realtà, la prima maggioranza che uscirà dal suffragio popolare, dopo lo scioglimento della nostra Assemblea, avrà praticamente il potere illimitato di votare qualsiasi legge, di istituire qualsiasi regime anticostituzionale, senza ombra di controllo, neppure quello della Corte costituzionale. Ed infine, se si ricorresse alla Corte costituzionale, quando una legge anticostituzionale e liberticida fosse già entrata in vigore (supponete una legge che sciogliesse i partiti, che sopprimesse la stampa, che imbavagliasse i giornali, che arrestasse i cittadini), una legge cioè che rievocasse i fasti del 3 gennaio mussoliniano e di tutta la legislazione successiva, allora io mi domando: la situazione incostituzionale ed eccezionale che sarebbe venuta a crearsi, quale margine lascerebbe al popolo italiano per adire sul serio la Corte costituzionale? Quale margine di libertà lascerebbe il fatto compiuto al Parlamento ed ai cittadini per insorgere contro la legge incostituzionale? In realtà, il fatto compiuto, svuoterebbe la Corte costituzionale della sua sostanziale funzione di difesa del cittadino.

È contro questo «fatto compiuto», con tutte le sue gravissime conseguenze, che si leva il mio emendamento, il quale non ha nessun contenuto rivoluzionario, che tocchi cioè i sacri principî del diritto parlamentare. Qualche volta, quando si parla di questioni costituzionali, si ha l’impressione di essere gente che, invitata in una buona società, non ne conosce le regole: ma mi sembra che il mio emendamento non turbi nessuna delle norme fondamentali del galateo costituzionale. Noi abbiamo stabilito procedure e maggioranze specifiche per le leggi, che rivedono, modificano o comunque mutano la Costituzione. Conseguentemente il Presidente della Repubblica, all’atto in cui la legge è sottoposta alla sua promulgazione, deve esaminarne il contenuto. Ciò deve essere da lui fatto soltanto al fine di determinare con quale maggioranza, legittimamente e costituzionalmente, la legge debba venire approvata. Se la legge è tale da poter essere votata con maggioranza ordinaria, il Presidente della Repubblica la promulgherà; se è tale invece da richiedere il procedimento speciale con la maggioranza qualificata, di cui all’articolo che stiamo esaminando, ebbene, il Presidente della Repubblica non promulgherà; perché una legge non viene in essere, se non è votata con la maggioranza e con le procedure prescritte dalla Costituzione. Come non sarebbe da considerarsi approvata una legge ordinaria, che non fosse votata dalla maggioranza della Camera e del Senato, così non è da ritenersi approvata una legge, che innovi, modifichi o violi la Costituzione, qualora non venga votata con la particolare procedura e colla maggioranza prescritta per tali eccezionali atti legislativi.

Quindi, nessuna violazione sostanziale dell’obbligo della promulgazione. Il Presidente della Repubblica non promulga, perché la legge non c’è. Questa è la sostanza del mio emendamento.

Il Capo dello Stato, in sostanza, deve limitarsi a controllare se il potere legislativo abbia o meno rispettato le norme stabilite, per la validità delle sue deliberazioni, dalla stessa sovranità popolare, in quella solenne suprema sua manifestazione che è la Carta Costituzionale.

Tale posizione del Presidente della Repubblica non ha nulla a che vedere coll’esercizio della «sanzione».

Il diritto di sanzione rappresentava una partecipazione del Capo dello Stato al potere legislativo come un «terzo ramo del Parlamento». Nel concetto del mio emendamento, invece, il Presidente della Repubblica deve limitarsi ad esaminare se il potere legislativo ha esercitato i suoi poteri nei limiti e colle forme stabilite dalla Carta Costituzionale, la quale costituisce l’espressione suprema della volontà sovrana del popolo italiano sul piano del diritto pubblico. D’altronde, onorevoli colleghi, se non entriamo in questo ordine di idee, a cosa varrebbe la norma di revisione della Costituzione? Quale sarà mai la maggioranza che, volendo adottare una norma anticostituzionale, ricorrerà al procedimento di revisione? Essa metterà sempre il Paese di fronte al fatto compiuto: comincerà col far promulgare la legge dal Presidente, la farà mettere in esecuzione e poi aspetterà il ricorso. Cadrebbe quindi il contenuto sostanziale della revisione costituzionale, la quale è ispirata ad un concetto preventivo, in quanto è intesa a prevenire la possibilità dell’entrata in vigore di una legge incostituzionale.

Onde è la stessa finalità dell’istituto della revisione costituzionale che verrebbe scalfita alla radice.

Dice l’onorevole Paolo Rossi: il Presidente invitato a promulgare una legge incostituzionale può dimettersi. Questa, io dico, è la peggiore delle soluzioni! Perché arriveremo a questo risultato: che l’Assemblea nominerà un secondo Presidente più docile del primo, e si consoliderà questa (chiamiamola così) giurisprudenza, che il Presidente della Repubblica non giura fedeltà al popolo, alla libertà ed alla Costituzione, ma giura fedeltà servile alla maggioranza parlamentare. Questo sarebbe il risultato di una soluzione del genere, che io non mi sento di accettare.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Benvenuti.

BENVENUTI. Non mi sento di accettarla, tanto più che col sistema costituzionale varato dai nostri amici della Commissione si verrebbero in fatto a conferire alle Assemblee legislative, comprese quelle costituenti, poteri che, secondo me, non possono esser loro conferiti, neppure ove si trattasse di Assemblee costituenti. Desidero cioè riaffermare, prima di chiudere, un principio fondamentale: che qualsiasi legge violasse la Costituzione, e soprattutto violasse i principî fondamentali di libertà ed i diritti inalienabili dell’uomo e del cittadino (e qui parlo come cittadino e come deputato, in nome di quella percentuale di volontà popolare che, sia pure indegnamente, ho l’onore di rappresentare), una legge che venisse approvata da qualsivoglia maggioranza, contro i diritti dell’uomo e contro le libertà costituzionali, sarebbe soltanto chiffon de papier, un pezzo di carta! Perché nessun cittadino può essere tenuto all’osservanza di disposizioni legislative alle quali manchi il fondamento essenziale del rispetto delle libertà individuali e della Carta fondamentale della Repubblica. Ho finito. Non so quale sarà la sorte riserbata al mio emendamento, ma ho la coscienza di aver difeso una causa giusta ed ho soprattutto la certezza che per ogni causa giusta e per ogni verità c’è sempre un avvenire. Il tempo riserva la vittoria ad ogni battaglia che trascende gli interessi contingenti dell’ora che volge e difende valori universali. Ma ho fiducia che sarà questa stessa Assemblea ad accogliere il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Voglio applaudire anch’io le cose che ella ha detto, onorevole Benvenuti, anche se giungo in ritardo. La sua esigenza è l’esigenza di tutti coloro che amano sinceramente la libertà. Mi consenta di dirle che quelle stesse parole con cui ella ha concluso il suo discorso dimostrano che è bene che questa suprema esigenza resti inappagabile legislativamente e che ad un certo momento non la si possa appagare altrimenti che con il proprio sacrificio. Come si può pretendere la garanzia delle garanzie della Costituzione? Perché ella, in sostanza, vuole qualche cosa che garantisca i congegni già destinati a garantire la Costituzione. L’onorevole Benvenuti in precedenza aveva proposto un’altra formulazione come articolo 130-bis. «Le disposizioni della presente Costituzione che riconoscono o garantiscono i diritti di libertà, rappresentando l’inderogabile fondamento per l’esercizio della sovranità popolare, non possono essere oggetto di procedimenti di revisione costituzionale, tendenti a misconoscere o a limitare tali diritti, ovvero a diminuirne le guarentigie».

BENVENUTI. Questo è un altro emendamento.

ROSSI PAOLO. Sostanzialmente è lo stesso. Lei vuole con questo ottenere una garanzia ulteriore delle garanzie già stabilite. La finalità dei due emendamenti è comune: ella intende con entrambi ottenere gli stessi effetti.

Perciò io rispondevo all’altro emendamento che mi pareva più consono al discorso dell’onorevole Benvenuti. Se si tratta di leggi che modificano la Costituzione, e così seriamente come lei ha accennato, è evidente che si tratta di leggi costituzionali che non possono essere votate se non con le garanzie dell’articolo 130. Il controllo formale del Presidente nessuno glielo toglie; quindi, se si volesse creare una legge costituzionale, una legge attinente alla libertà, senza il procedimento dell’articolo 130, il Presidente farebbe benissimo a non promulgarla.

BENVENUTI. Allora, la Commissione accetta l’emendamento?

ROSSI PAOLO. No, la Commissione dichiara che la formulazione dell’articolo 130 comprende ed esaurisce, senza ombra di dubbio, l’esigenza di cui al suo emendamento aggiuntivo.

PRESIDENTE. Vi sono poi l’emendamento presentato dall’onorevole Perassi e il quesito dell’onorevole Preti. L’onorevole Rossi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Al quesito risponderà l’onorevole Perassi; in quanto all’emendamento Perassi la Commissione lo fa proprio perché mantiene intatta la struttura del progetto e introduce miglioramenti suggeriti dal più accurato esame della materia.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sull’emendamento dell’onorevole Preti.

PERASSI. Il comma che l’onorevole Preti ha formulato, e che proporrebbe di aggiungere al testo che stiamo discutendo, solleva un problema interessante e delicato. Anche il Comitato riconosce che quando si tratta di leggi costituzionali la situazione in cui si trova il Presidente della Repubblica è un po’ diversa da quella in cui si trova quando si tratti di una legge ordinaria, ai fini dell’esercizio della facoltà discrezionale attribuitagli dall’articolo 71, che abbiamo già votato, secondo il quale – come si ricorderà – il Presidente della Repubblica può con messaggio motivato domandare alle Camere una nuova deliberazione su una legge da esse adottata.

Quando si tratti di leggi ordinarie, questa facoltà del Presidente di attirare l’attenzione delle Camere su un testo che hanno votato può essere motivata anche da considerazioni attinenti alla costituzionalità del testo votato. È uno dei casi in cui l’uso di tale facoltà potrebbe essere particolarmente conveniente.

Quando si tratti di leggi costituzionali, è evidente che la situazione è un po’ diversa, perché trattandosi di leggi costituzionali non è possibile sollevare una questione di incostituzionalità. Al Presidente spetta solo di accertare che, trattandosi di una legge costituzionale, questa sia stata votata secondo il procedimento stabilito dalla Costituzione.

Ma, ciò posto, conviene arrivare ad inserire espressamente nella Costituzione una disposizione che vieti in maniera assoluta al Presidente di far uso di quella facoltà?

Io ritengo che non sia il caso di fare questa inserzione, né ritengo che sia opportuno – e su questo punto vorrei richiamare particolarmente l’attenzione dell’onorevole Preti – che su questo emendamento intervenga un voto da parte dell’Assemblea.

Mi pare che sia una questione estremamente delicata, da lasciare alla prassi costituzionale. È questa che permetterà di dare al funzionamento della Costituzione quell’indirizzo che meglio corrisponde alla realtà delle cose.

Per conseguenza, a nome del Comitato, pregherei in maniera particolarmente insistente l’onorevole Preti di voler desistere dal sottoporre questo suo emendamento alla votazione e di ritirarlo, dopo le spiegazioni che ho dato.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Preti se conserva il suo emendamento.

PRETI. Non insisto sul mio emendamento, in quanto ritengo che la prassi costituzionale si svolgerà nel senso da me auspicato.

L’articolo non menziona il diritto di veto del Presidente ed io ritengo che questa sia una sufficiente garanzia giuridica e politica. Un Presidente che ne volesse fare uso assumerebbe la responsabilità di dare al testo costituzionale un’interpretazione arbitraria.

PRESIDENTE. L’onorevole Benvenuti mantiene il proprio emendamento?

BENVENUTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Allora, onorevoli colleghi, passiamo alla votazione.

Pongo ai voti innanzitutto il primo comma del testo dell’onorevole Perassi che la Commissione ha dichiarato di far proprio:

«Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali devono essere adottate da ciascuna Camera in due letture, con un intervallo non minore di tre mesi, ed approvate a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera nel voto finale in seconda lettura».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo Benvenuti, non accettato dalla Commissione, del seguente tenore:

«Il Presidente della Repubblica non promulga le leggi modificatrici della Costituzione o con essa contrastanti, se non quando siano adottate dalle due Camere con la procedura e con la maggioranza di cui al presente articolo».

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma del testo Perassi:

«La legge di revisione costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi».

(È approvato).

Pongo in votazione l’ultimo comma:

«Non si fa luogo a referendum se la legge di revisione costituzionale è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri».

(È approvato).

Abbiamo così approvato tutto il testo dell’articolo 130 nella formulazione accettata dalla Commissione.

Presentazione di una relazione.

BIBOLOTTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BIBOLOTTI. Mi onoro di presentare la relazione della terza Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, sul disegno di legge:

«Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 22 dicembre 1946».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Proseguiamo nell’esame del progetto di Costituzione.

L’onorevole Benvenuti ha proposto il seguente articolo 130-bis:

«Le disposizioni della presente Costituzione che riconoscono o garantiscono diritti di libertà, rappresentando l’inderogabile fondamento per l’esercizio della sovranità popolare, non possono essere oggetto di procedimenti di revisione costituzionale, tendenti a misconoscere o a limitare tali diritti, ovvero a diminuirne le guarentigie».

Ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Sarò brevissimo, anche perché mi duole che ad esporre questo concetto non sia presente un collega di alto valore, che avrebbe potuto svolgerlo colla sua particolare competenza di giurista: alludo al collega onorevole Calamandrei, il quale fu il primo a lanciare l’idea sul piano parlamentare. Per parte mia mi si consenta di rammentare che, già fin dall’anno scorso, avevo sostenuto in articoli di quotidiani politici il concetto che i diritti fondamentali di libertà del cittadino non possono andare assoggettati né a revisione costituzionale e neppure rientrare nella sfera di disponibilità di qualsiasi Assemblea Costituente. Successivamente l’onorevole Calamandrei, nel suo discorso in sede di discussione generale sul progetto di Costituzione, aveva manifestato l’intenzione di proporre un emendamento che stabilisse la non revisionabilità costituzionale dei diritti di libertà. Egli allora, se ben ricordo, ebbe a prospettare la questione sotto un profilo nuovo che qui mi permetto di riproporre brevemente all’Assemblea. Va tenuto fermo il concetto tradizionale affermato in tutte le classiche «dichiarazioni di diritti» e cioè che i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino sono anteriori allo Stato, anteriori alla legge positiva, o comunque radicati nel diritto di natura, nella coscienza giuridica creatasi nel consorzio umano prima di ogni intervento dello Stato. Contro tali diritti né lo Stato, né la legge possono in alcun caso intervenire: questo concetto è sempre valido, anzi fondamentale. Ma l’onorevole Calamandrei ha prospettato il problema in termini nuovi, specificando come oggi i diritti di libertà non vadano più concepiti come limite alla sovranità popolare, ma come il presupposto necessario al suo esercizio.

Mi si consenta di aggiungere una considerazione: gli Stati assoluti, gli Stati tradizionali, anche nel loro sviluppo parlamentare, erano sempre legittimi, quale che fosse l’apporto dato dalla volontà popolare alla vita dello Stato. La legittimità c’era sempre; il consenso si presumeva anche in mancanza di un istituto che permettesse a tale consenso di manifestarsi liberamente, coscientemente, volontariamente. Lo Stato era sempre legittimo, avesse un Parlamento o no, ammettesse il suffragio universale o no, partecipasse il popolo o non partecipasse alla attività politica. In regime democratico invece la volontà sovrana dello Stato si manifesta solo per mezzo della partecipazione libera e cosciente dei cittadini. Non c’è volontà di Stato, se non c’è l’immissione della volontà dei cittadini espressa attraverso l’esercizio dei diritti di libertà nelle forme costituzionali.

Onde, ogni revisione costituzionale dei diritti di libertà ossia della libertà personale, della libertà di coscienza, della libertà di riunione, della libertà di espressione, della libertà di voto, colpirebbe alla radice il concetto di libertà democratica e non solo farebbe cadere l’istituto, ma distruggerebbe fondamentalmente i concetti di democrazia e di libertà costituzionale. È chiaro d’altronde che, come vien proposto il principio della non revisionabilità della forma istituzionale, a maggior ragione dovrà venir proclamata l’intangibilità e quindi la non revisionabilità dei diritti fondamentali senza dei quali non vi è né repubblica né libertà.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei chiedere all’onorevole Benvenuti se è disposto ad aggiungere, dopo le parole: «riconoscono o garantiscono i diritti di libertà», le parole: «e del lavoro». Il mio Gruppo è favorevole all’emendamento dell’onorevole Benvenuti e lo voterà, con questa aggiunta.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Io mi rendo perfettamente conto dello spirito della proposta dell’onorevole Laconi, e dichiaro di condividerlo in linea di principio. Ma faccio presente la difficoltà pratica di formulare immediatamente un testo che dia soddisfazione all’istanza prospettata dal collega. In questo senso: che io ritengo che quella categoria di diritti che non rientrano strettamente nei diritti di libertà, nel senso tradizionale, ma che per il loro contenuto sociale conferiscono efficacia e concretezza all’esercizio dei diritti di libertà, siano essi pure intangibili. Senonché, data una Costituzione come questa la quale nel capo dedicato ai problemi del lavoro tocca argomenti svariati, dal controllo sul credito, allo sviluppo dell’artigianato, dall’aiuto alle zone montane, alla legge sulle cooperative, ecc., occorrerebbe studiare una formula precisa e non troppo lata in modo da non comprendere nella norma di non revisionabilità disposizioni non essenziali ed evidentemente revisionabili.

Fermo restando quindi, che il riconoscimento dei diritti del lavoro rappresenta un contributo fondamentale ad un concreto esercizio dei diritti di libertà, l’accoglimento della proposta Laconi richiederebbe l’elaborazione di un nuovo testo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Rossi Paolo ad esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. I diritti di libertà, fra i quali il diritto del lavoro è compreso come primissimo, sono contenuti in una categoria più vasta: il diritto naturale.

L’onorevole Benvenuti e l’onorevole Laconi rivendicano qui, dopo tante discussioni, il vecchio e maltrattato diritto naturale e hanno ragione. È passato da poco un periodo in cui un interprete relativamente autorizzato del pensiero di Mussolini scriveva una canzonetta così fatta:

«L’italian non ha paura della legge di natura e talora anche corregge la natura della legge!»

La preoccupazione dell’onorevole Benvenuti, dell’onorevole Laconi e di tutti noi, che i diritti della persona umana, i diritti della dignità umana, i diritti del lavoro umano siano validamente tutelati è la preoccupazione essenziale dell’Assemblea, ma non credo che alcun articolo bis possa costituire una difesa intrinseca di questi diritti fondamentali. Per difenderli ci vuole, onorevole Benvenuti, onorevole Laconi, onorevoli colleghi, qualche cosa di più che una disposizione di carattere costituzionale: ci vuole il permanere costante e fino al sacrificio, in tutti noi, della stessa ardente volontà di essere liberi che in questo momento ha manifestato con eloquenza l’onorevole Benvenuti.

Ahimè, dal punto di vista formale, dal punto di vista legalitario, dal punto di vista costituzionalistico, questo povero articolo 130-bis è una ben modesta garanzia. Pensi l’onorevole Benvenuti che basterebbe il procedimento della doppia revisione per porre nel nulla questa garanzia che egli considera un argine insormontabile, una tutela invincibile dei diritti fondamentali della personalità umana; basterebbe che un’Assemblea con un primo procedimento di revisione costituzionale cancellasse dalla Costituzione l’articolo 130-bis e una seconda volta, dopo questa cancellazione, modificasse taluni degli articoli che garantiscono le principali libertà dell’uomo perché accadesse questa cosa enorme: che una violazione fondamentale dei diritti della libertà umana avesse l’apparenza della legalità, ciò che non vogliamo noi della Commissione, ciò che spero l’Assemblea non vorrà.

Se una lesione di questo genere dovesse mai avvenire nel futuro, avvenga col sangue, avvenga con la violenza, avvenga contro la legge, non avvenga almeno col soccorso formale della Costituzione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Benvenuti.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Voterò contro la proposta dell’onorevole Benvenuti non per motivi di carattere sostanziale, non per motivi di ordine sociale e politico, perché posso essere d’accordo nella sostanza con le idee espresse dall’onorevole Benvenuti, ma mi meraviglio come, pur essendoci in questa Aula tanti esimi giuristi, tanti professori di diritto, si lasci a me, avvocato, il compito di proclamare assurda una legge la quale dichiari immutabile ed eterna un’altra legge. Per questo motivo voterò contro.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro, a titolo personale, che non Vedo l’opportunità di questo articolo 130-bis proposto dall’onorevole Benvenuti ed accettato dall’onorevole Laconi. Che i diritti fondamentali di libertà, tra i quali sono anche i diritti del lavoro di cui parla l’onorevole Laconi, debbano essere salvaguardati permanentemente nella prassi legislativa e politica del nostro Paese, non credo vi possa essere dubbio. Mi pare che quello stesso articolo 6 – se non sbaglio – il quale consacra, senza nominarli individualmente, i diritti fondamentali della persona umana sia in questo senso sufficientemente indicativo della nostra volontà di salvaguardare i diritti fondamentali e di sottrarli al vivo flusso della vita storica che deve passare dinanzi a questi diritti senza toccarli. Sono diritti che noi chiamiamo naturali e poniamo al di sopra delle mutevoli esigenze della vita politica. Ma la norma così come è formulata, nel significato che fatalmente assumerebbe, è da un lato inutile per quanto ha detto l’onorevole Rossi e dall’altro pericolosa, perché diventa un ostacolo a quelle riforme di dettaglio che attengono a quel tanto di storico e di mutevole che è in questi diritti assoluti. Quindi la norma proposta finirebbe per essere un impedimento a quel processo di revisione e di adattamento che invece è garanzia di stabilità della Costituzione. Per queste ragioni, pur apprezzando, i motivi della proposta e pur condividendo con i colleghi che hanno prospettato questa esigenza il proposito di difendere questi diritti fondamentali e metterli al di sopra delle mutevoli vicende della vita politica, dichiaro che voterò contro l’articolo 130-bis.

PRESIDENTE. Il seguente emendamento all’emendamento Benvenuti è stato presentato dagli onorevoli Laconi, Gullo Fausto ed altri:

«Dopo le parole: diritti di libertà, aggiungere: e del lavoro».

Si metterà in votazione prima il testo dell’onorevole Benvenuti, e separatamente l’emendamento aggiuntivo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei fare una dichiarazione semplicissima. Un dilemma. O noi intendiamo questa modificazione in senso letterale, e allora non potremo più in nessun modo ritoccare la Costituzione. Le libertà che abbiamo messo nella Costituzione sono libertà che hanno un inderogabile fondamento; e cadono tutte nell’espressione dell’onorevole Benvenuti; così che, se non potessimo toccarle, non potremmo mai toccare l’arca santa della Costituzione. O noi vogliamo affermare un’altra cosa; che vi sono diritti di libertà e di democrazia, che sono inviolabili e che neppure la Costituzione può violare; le leggi «superiori a quelle della città» di cui parla Antigone; i diritti naturali; gli «immortali principî»; ed io sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Benvenuti, nel sentire la esigenza di queste istanze supreme; ma non si tratta di vere norme giuridiche; non ci muoviamo più nella zona del diritto; siamo in quella zona più alta, dove stanno i principî di natura etico-politica; superiori alla lettera del diritto, e tali che non possono essere tradotti in norme concrete di Costituzione, come quelle che l’onorevole Benvenuti ha proposto. Noi del resto, spingendoci ai limiti del contenuto d’un testo costituzionale, abbiamo già parlato nei primi articoli della nostra Costituzione di diritti «inviolabili» dell’uomo; non possiamo andare più in là e stabilire che tutto quanto riguarda le libertà non può essere oggetto di revisione costituzionale. Ripeto: dobbiamo difendere questi diritti inviolabili, questi principî etico-politici; ma non possiamo dire che la Costituzione non potrà mai essere riveduta.

PRESIDENTE. Onorevole Benvenuti, mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. Rispondo alle dichiarazioni dell’onorevole Ruini; ripeto che per quanto attiene alla formulazione dell’emendamento i vari rilievi meritano di essere presi in considerazione; preciso che il mio concetto è questo: che le norme relative ai diritti di libertà possono essere rivedute nel senso di ampliare o meglio garantire tali diritti, che si possa cioè in questo campo andare avanti e non indietro. Il testo costituzionale può evidentemente essere riveduto: ma la revisione del testo non potrebbe mai limitare i diritti di libertà, né, aggiungo, quei diritti sociali che rappresentano una integrazione concreta ed essenziale dei diritti di libertà. Ritengo peraltro opportuno di ritirare l’emendamento augurandomi che il principio meglio formulato possa venire riproposto successivamente.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Benvenuti con la modificazione da me proposta.

PRESIDENTE. Su questo emendamento è stata presentata domanda di votazione per appello nominale dagli onorevoli Laconi, Grieco, Reale Eugenio, Moranino, Farina, Pellegrini, Longo, Rossi Maria Maddalena, Musolino, Gullo Fausto, Platone, Lozza, Cremaschi Olindo, Pucci, Lombardi Carlo. Contemporaneamente è stata presentata anche domanda di votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Uberti, Monticelli, Castelli Avolio, Giacchero, Pecorari, Bertone, Camposarcuno, Del Curto, Ambrosini, Perlingieri, Bosco Lucarelli, Chatrian, Baracco, Colonnetti, Brusasca, Clerici, Riccio, Caronia, Mazza, Bubbio. Avrà la precedenza la votazione a scrutinio segreto.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Precedentemente si era stabilito che si sarebbe votata prima la formula dell’onorevole Benvenuti e poi l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Laconi. Penso che, se si votasse a scrutinio segreto, si ingenererebbe confusione. Desidero che il Presidente chiarisca.

PRESIDENTE. Si era detto di votare per divisione, in quanto ci trovavamo di fronte ad un emendamento aggiuntivo dell’onorevole Laconi all’emendamento dell’onorevole Benvenuti. Poiché questi ha ritirato il proprio emendamento, ci troviamo di fronte soltanto alla formulazione unitaria dell’onorevole Laconi, che ha modificato il testo primitivo dell’onorevole Benvenuti.

La votazione quindi si riferisce al testo completo.

CAPPUGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPUGI. Accetto l’emendamento Laconi; però chiedo che, per ovviare all’inconveniente segnalato dall’onorevole Ruini, che ha determinato l’onorevole Benvenuti a ritirare il suo emendamento, l’emendamento Laconi sia integrato con la seguente aggiunta: «se non nel senso di un loro ulteriore ampliamento».

LACONI. Accetto la proposta Cappugi.

PRESIDENTE. Onorevole Cappugi, penso che il suo concetto sia implicito nella formulazione proposta.

CAPPUGI. L’osservazione del Presidente è giustificata, e quindi ritiro il mio emendamento.

LACONI. Chiedo che l’onorevole Presidente dia ancora lettura dell’elenco dei firmatari della richiesta di votazione a scrutinio segreto. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Darò lettura dei richiedenti la votazione per appello nominale e dei richiedenti la votazione a scrutinio segreto.

L’appello nominale è stato richiesto dagli onorevoli Laconi, Grieco, Reale Eugenio, Moranino, Farina, Longo, Rossi Maria Maddalena, Pellegrini, Musolino, Gullo Fausto, Platone, Lozza, Cremaschi Olindo, Pucci e Lombardi Carlo.

Lo scrutinio segreto è stato richiesto dagli onorevoli Uberti, Monticelli, Castelli Avolio, Pecorari, Bertone, Clerici, Bosco Lucarelli, Chatrian, Bubbio, Alberti, Baracco, Colonnetti, Brusasca, Giacchero, Caronia, Ambrosini, Mazza, Riccio, Perlingieri e Camposarcuno.

LACONI. Qui si rivelano gli amici della democrazia! (Rumori al centro).

UBERTI. Si rivela la vostra lealtà. Voi siete stati sempre i difensori dello scrutinio segreto! (Proteste a sinistra).

LACONI. Noi avevamo chiesto l’appello nominale!

UBERTI. Voi non avete coraggio, tanto vero che ricorrete allo scrutinio segreto. (Proteste del deputato Laconi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio. Mi pare che in questa gara di richieste di appelli nominali e di scrutini segreti sia assai difficile stabilire a-chi spetti il primato.

UBERTI. Noi abbiamo da tempo proposto una modifica del Regolamento, nel senso di dare la prevalenza all’appello nominale. (Applausi al centro – Rumori all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Rammarico, onorevole Uberti, che temi metta nell’obbligo di dire che attendiamo da tre settimane la relazione dell’onorevole Gronchi a questa decisione della Giunta del Regolamento e che non è certo responsabilità né dell’Assemblea, né dell’Ufficio di Presidenza se il Relatore non ha ancora adempiuto al suo compito.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’emendamento aggiuntivo, fatto proprio e modificato dall’onorevole Laconi:

«Le disposizioni della presente Costituzione che riconoscono o garantiscono i diritti di libertà e del lavoro, rappresentando l’inderogabile fondamento per l’esercizio della sovranità popolare, non possono essere oggetto di procedimenti di revisione costituzionale, tendenti a misconoscere o a limitare tali diritti, ovvero a diminuirne le guarentigie».

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti                               309

Votanti                                307

Astenuti                               2

Maggioranza           154

Voti favorevoli        116

Voti contrari                        191

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Arata – Arcangeli – Azzi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bocconi – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci.

Caccuri – Caiati – Cairo – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciccolungo – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fioritto – Firrao – Fornara – Fresa – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lopardi – Lozza – Lussu.

Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marina Mario – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Notarianni – Numeroso.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Persico – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Ponti – Priolo – Pucci – Puoti.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sartor – Scalfaro –Scarpa – Scoccimarro – Sereni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli.

Uberti.

Valenti – Vicentini – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini –– Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Conti.

Zanardi.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni – Varvaro – Viale.

Risultato della votazione segreta sugli Accordi di carattere economico.

PRESIDENTE. Comunico frattanto il risultato delle votazioni a scrutinio segreto sui seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        314

Voti contrari                          10

(L’Assemblea approva).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        316

Voti contrari                            8

(L’Assemblea approva).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        317

Voti contrari                            7

(L’Assemblea approva).

Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        314

Voti contrari                          10

(L’Assemblea approva).

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        316

Voti contrari                            8

(L’Assemblea approva).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        315

Voti contrari                            9

(L’Assemblea approva).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e Scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946.

Presenti e votanti     324

Maggioranza           163

Voti favorevoli        316

Voti contrari                  8

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Ambrosini – Arata – Arcangeli.

Bacciconi– Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonfantini – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Burato.

Caccuri – Caiati – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Castelli Avolio – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsi – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Firao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Mancini – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini– Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Ponti – Preti – Priolo – Proia.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Secchia – Sereni – Sicignano – Siles – Simonini – Spallicci – Spataro –Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni – Varvaro – Viale.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 131. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«La forma repubblicana è definitiva per l’Italia e non può essere oggetto di revisione costituzionale».

PRESIDENTE. Sono stati presentati numerosi emendamenti.

L’onorevole Damiani ha presentato una proposta soppressiva. Ha facoltà di svolgerla.

DAMIANI. L’articolo 131 che in questo momento il signor Presidente ha letto è, per me, pleonastico, in quanto dichiara definitivo ciò che per sua natura già si deve intendere stabile. La costruzione del nuovo Stato italiano, che è frutto del concorso della volontà del popolo e del lavoro di un anno e mezzo dei deputati dell’Assemblea Costituente, deve essere ritenuta una costruzione non effimera. Quindi, volere dire nella Costituzione che noi non la riteniamo provvisoria, significa dimostrare la preoccupazione che essa lo sia. Invece tutti sentiamo che questa costruzione è stabile.

Ma se è pleonastico dire che ciò che è nato, è nato definitivamente, non possiamo noi dichiarare, nello stesso tempo, da un punto di vista logico, che una costruzione umana sia definitiva, cioè eterna, immutabile. Ogni costruzione umana è di per sé destinata a variare nel tempo.

Affermare la definitività della forma di uno Stato sarebbe come se un architetto che ha costruito un tempio pretendesse preservarlo dai terremoti o dai bombardamenti scrivendo sul fregio: «Questo tempio è definitivo». Mi pare sia una stonatura!

RUSSO PEREZ. È ridicolo!

DAMIANI. Quindi, siccome tutto è mutevole, non solo nella terra, non solo in noi, ma anche nell’universo stesso, noi non possiamo affermare quel principio, che, del resto, credo non sia stato mai affermato in nessun testo legislativo o costituzionale.

Se venisse dichiarato sarebbe una presunzione assurda.

Vi è da notare ancora che l’espressione «per l’Italia» contenuta nell’articolo è infelice, in quanto sembrerebbe che la norma fosse emanata da un organo supernazionale, che potesse fissare «per l’Italia» la forma repubblicana, e per altri paesi forme diverse. Inoltre l’articolo 131 è doppiamente pleonastico, perché in esso, dopo la stabilita definitività della forma repubblicana, si ripete ancora che essa non può essere oggetto di revisione. È implicito che tutto quanto è definitivo non può essere revisionato; ed è perciò superfluo ripetere con altre parole lo stesso concetto.

Per i detti motivi l’articolo 131 appare così difettoso da giustificarne la soppressione.

PRESIDENTE. L’onorevole Rodi ha anch’egli proposto di sopprimere l’articolo 131.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

RODI. Anch’io ho proposto la soppressione dell’articolo 131, e non vi nascondo che sono rimasto perplesso di fronte a questo articolo, nel quale si fa un’affermazione solenne, ma di una solennità priva di sostanza, perché, come giustamente diceva il collega Damiani poc’anzi, il legislatore qui ha mostrato, per lo meno, di essere o di avere una presunzione storica. È certo che nel compilare l’articolo 131 ha dimenticato che la storia non è fatta soltanto dalla volontà di un individuo, ma dal concorso di tanti elementi che spesso servono a modificare radicalmente e profondamente un qualsiasi regime che possa essere stato costituito. D’altra parte, la dichiarazione che si fa nell’articolo 131 è, per lo meno, illiberale, perché implicitamente vieta alla volontà popolare di manifestarsi in un determinato modo, nel caso cioè che questa volontà popolare desiderasse nel futuro modificare la forma dello Stato. E noi non abbiamo il diritto di ipotecare il futuro e di impedire che in questo futuro la volontà popolare si possa manifestare liberamente.

D’altra parte, l’Assemblea Costituente ha già votato una legge che contempla e prevede le punizioni dei movimenti monarchici, che siano esercitati con carattere di violenza. Ma questa legge è diretta contro la violenza e noi, anzi, possiamo aggiungere che la violenza, da qualunque parte essa venga, deve essere punita. E l’Assemblea, votando questa legge, ha commesso un duplice errore: il primo, perché non era il caso di fissare in una legge speciale ciò che è già contemplato dal Codice; in secondo luogo è stato commesso, a mio avviso, un grave errore, perché si è voluto accomunare l’idea monarchica col fascismo e quindi si è voluto in un certo senso compromettere il libero pensiero di tutti quei milioni di individui che hanno una loro determinata idea politica. Di modo che se facciamo riferimento a quella legge, che riguarda l’eventuale o presunta violenza dei monarchici, e poi ci soffermiamo sull’articolo 131, possiamo senz’altro dire che i monarchici in Italia hanno finito di vivere. Perché se il monarchico ha il diritto di nutrire il suo sentimento e si troverà costantemente di fronte all’articolo 131, egli saprà che questo suo sentimento è per lo meno, e soltanto, platonico.

Quindi, mentre da un lato noi sottolineiamo il principio della libertà e diciamo ai monarchici che essi possono liberamente nutrire i propri sentimenti, neghiamo però a questi monarchici di nutrire speranze in eventi futuri. Intendiamoci bene: qui non si tratta di speranze che possano contemplare una restaurazione violenta della monarchia, ma di quelle restaurazioni così frequenti nella storia e che sono il risultato logico di un processo che può verificarsi in un popolo che si trovi nelle nostre condizioni.

Attraverso la legge che prevede la violenza sarà facile domani accusare qualcuno di essere stato violento; e lo si può punire vietando le unioni e le organizzazioni. Ma per l’articolo 131 domani dichiarerete che è assolutamente inutile che in Italia esistano unioni e partiti monarchici, poiché è assurdo che voi dobbiate consentire il mantenimento di queste unioni impedendo ai milioni di individui che ne fanno parte di aspirare ad una modificazione di carattere istituzionale, modificazione che sia suggerita, dettata, voluta dagli avvenimenti storici.

Vi sono milioni di individui, i quali possono legittimamente aspirare alla restaurazione monarchica, e noi non abbiamo il diritto, con un articolo, di spezzare questa aspirazione. D’altra parte la stabilità di un regime non può essere fissata da un articolo di legge. Quando la Repubblica avrà dimostrato di essere forte, serena nella sua forza, e capace di conservare la democrazia e la libertà, allora vi assicuro che questa Repubblica sarà veramente definitiva.

Non possiamo presumere oggi, in un periodo di penoso e profondo esperimento, fissare come definitivo ciò che dalla storia non è stato ancora detto e ciò che dallo stesso stato psicologico del popolo italiano è stato rifiutato. Facciamo in modo, con il concorso di tutti, che questa Repubblica diventi forte e democratica nella sua sostanza; e a poco per volta verremo ad assottigliare quelle aspirazioni che voi con un articolo volete stroncare in un momento in cui gli animi sono ancora protesi verso un determinato sentimento.

Né possiamo noi assumerci questa responsabilità. Quindi, propongo la soppressione dell’articolo 131, anche per un omaggio alla libertà ed alla logica. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Castiglia ha già svolto il seguente emendamento: «sopprimere le parole: e non può essere oggetto di revisione costituzionale».

L’onorevole Azzi ha proposto il seguente emendamento che non rientra nella materia relativa all’articolo in esame:

«Dopo l’articolo 131 aggiungere una Parte terza: La difesa nazionale, trasferendovi gli articoli 6, 49, 75 nella conseguente numerazione».

L’onorevole Condorelli ha proposto la soppressione dell’articolo. Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, quello che l’onorevole Rodi ha detto così bene, chiarisce l’aspetto politico della questione; per lo che io mi intratterrò soltanto sull’aspetto giuridico della medesima.

In realtà, questo articolo contiene due concetti: uno è la definitività della forma repubblicana, l’altro è la esclusione dal procedimento di revisione costituzionale delle norme che stabiliscono questa forma.

La prima disposizione è bizzarra o superflua; la seconda è certamente impolitica ed antidemocratica.

La definitività della forma repubblicana è disposizione bizzarra o superflua, a seconda del modo con cui si interpetra quel «definitivo». Se quel definitivo volesse impegnare la storia futura, sarebbe evidentemente una bizzarria, di cui rideranno i contemporanei ed ancor di più i futuri. Se il legislatore avesse veramente la possibilità di determinare o di formare la realtà degli eventi e dei fatti, io raccomanderei ai costituenti di vietare i terremoti della mia Sicilia, e non avrei nessuna difficoltà ad estendere la richiesta alle altre regioni telluriche d’Italia. Ma evidentemente non potrà essere questo il significato di quel «definitivo».

Avrà il significato della definitività giuridica? Noi abbiamo delle sentenze definitive, quando sono esauriti o esclusi i processi di impugnazione. Abbiamo delle leggi definitive, cioè quelle che non sono temporanee. Quando in una legge non si mette un termine, essa è definitiva. Noi, dunque, non affermiamo in sostanza altro che quello che è implicito in ogni legge, nella quale non vi sia termine, cioè in una legge definitiva. E chi può dire che una legge sia provvisoria, a meno che la legge stessa non lo dica?

Evidentemente, se l’interpretazione di quel «definitivo» è questa, è superfluo aggiungerlo.

La seconda disposizione, quella che vieta il processo di revisione costituzionale delle norme che conformano questa Costituzione repubblicana, è palesemente antidemocratica, perché è antidemocratica nel fine. Il suo fine sarebbe di cristallizzare questa forma, di confiscare alle generazioni future la libertà di darsi la forma di reggimento politico che potranno prescegliersi; e dico antidemocratica soltanto nella finalità; perché nell’effettività non c’è legge che possa confiscare questa possibilità ai futuri. Questa legge che, attraverso una sua espressione, pretende la perennità, mi ricorda quella cara amicizia comune della nostra infanzia, il Barone di Münchausen, che, caduto in una palude col cavallo, appendendosi al codino della sua parrucca, trasse fuori dalla palude sé e il cavallo.

È una legge che, essendo per sua natura umana essenzialmente mutevole, con una sua affermazione pretende di diventare immutevole. È troppo chiaro: è veramente un capolavoro di umorismo questa legge, che afferma la propria immutabilità, a mezzo della legge stessa, che è poi mutevole per sua definizione.

Ora, dicevo, la disposizione che vieta il processo di revisione relativamente alla forma repubblicana, è antidemocratica nella finalità, non riesce ad esserlo nella realtà, perché siccome la legge umana è per sua natura mutevole, mentre solo la legge di Dio è eterna, si cerca sin da ora in che modo gli italiani potranno legalmente mutare questa legge. Voi avete pensato di offrire un mezzo solo agli italiani per modificare questa legge: la rivoluzione. I giuristi invece hanno già trovato le vie per cui questo mutamento può avvenire legalmente.

L’onorevole Calamandrei ha osservato che gli italiani dovranno ricorrere a creare una nuova Costituente. Nego che questa soluzione sia conforme alla nostra Costituzione, perché la Costituente non è un organo perenne della Costituzione, ma è un organo straordinario. La stessa nostra Costituzione crea il potere costituente. Prima il potere costituente ed il potere legislativo erano la stessa cosa. Ora il potere costituente è lo stesso potere legislativo con determinati accorgimenti di votazione e con l’intervento eventuale del popolo: perciò una Costituente come questa – giusta la creazione costituzionale che noi abbiamo fatto – non ci può essere. Viceversa è molto semplice; lo dice la nostra stessa Costituzione: non si può rivedere la forma repubblicana dello Stato, ma si può rivedere l’articolo 131. Si chiederà la revisione dell’articolo 131, cioè questo cambiamento si farà in due tempi: 1°) attraverso la revisione dell’articolo 131; 2°) attraverso il processo di revisione costituzionale della forma repubblicana.

Che cosa sarà rimasto di questo vostro articolo 131? La storpiatura, cioè l’attestazione di questa vostra volontà antipopolare ed antiliberale di confiscare la libertà delle generazioni future e lo smacco di non esserci riusciti, perché non ci potete riuscire. È stato detto, ed è una verità indiscutibile, che i morti governano i vivi, i morti ci governano attraverso le tradizioni, le credenze, le leggi di cui siamo eredi. Però in questo processo di costruzione della civiltà ogni generazione aggiunge il suo contributo. Voi con questo articolo di legge vorreste impedire alle future generazioni del popolo italiano di aggiungere un loro contributo od un certo loro contributo all’edificio che state creando. A questo non riuscirete.

Riuscirete soltanto ad attestare dinanzi alla future generazioni questa vana pretesa di limitare le loro libertà (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di sopprimere l’articolo 131.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi! L’articolo 131 del progetto di Costituzione non è sostenibile dal punto di vista giuridico e, in quanto pone fuori legge i monarchici, non può neppure essere sostenuto sotto l’aspetto politico.

Dal punto di vista giuridico è stato dimostrato che la norma, sia pure costituzionale, che pretenda di autoproclamare la propria immutabilità, non è ammissibile, anche se non mancano precedenti al riguardo. Vi è infatti un precedente famoso di una perfettissima Costituzione, tanto perfetta che non riuscì ad aver vita: quella di Weimar. Ogni contraria affermazione può sodisfare bramosie demagogiche, ma, giuridicamente, è priva di qualsiasi valore.

Una volta ammessa la possibilità di rivedere la Costituzione, si ammette, inoltre, almeno implicitamente, che perfino la norma, la quale proclami di essere immutabile può, a sua volta, essere mutata. Lo ha, poco fa, riaffermato l’onorevole Perassi, mio maestro di diritto internazionale, allorché ha detto che ripugna alla coscienza giuridica che vi possano essere Costituzioni immutabili. D’altra parte, con la disposizione contenuta nell’articolo 131, si finirebbe per mettere fuori della legge e contro la Costituzione una cospicua minoranza del popolo italiano. Viceversa, le recenti leggi per la difesa delle istituzioni ammettono implicitamente l’attività, a favore della restaurazione della monarchia, purché senza ricorso alla violenza. Respingendo l’articolo in esame, compiremo un gesto di comprensione e un’efficace opera di pacificazione. Ho apprezzato nei giorni scorsi, quando abbiamo discusso le leggi sulla difesa delle istituzioni repubblicane, il gesto di generosità di un nobile rappresentante del Partito repubblicano storico, il quale ha detto che non le approvava, in quanto riteneva che esclusivamente nella coscienza del popolo deve ricercarsi il presidio e la garanzia delle attuali istituzioni. Appunto per lealtà verso le attuali istituzioni, cui una simile affermazione autoritaria non gioverebbe, propongo di eliminare l’articolo. Porre contro la Costituzione una minoranza così cospicua del popolo italiano non sarebbe certo opportuno nel momento attuale. Ho sentito parlare l’altro giorno in quest’Aula di «Vostra repubblica» da una parte, e dall’altra, di «vostro Cavour». Né l’una, né l’altra affermazione possono essere accolte da questa Assemblea, perché disconoscono una realtà che è antistorico negare. L’attuale repubblica e la geniale opera di Cavour sono patrimonio storico di tutti gli italiani e nessuno potrà distruggerlo. Così come nessuno abbatterà il monumento a Vittorio Emanuele II, al re che domina e dominerà, padre della patria, dal Campidoglio, finché il Campidoglio starà!

Mostri la maggioranza della nostra Assemblea di saper vincere, così come gli altri hanno mostrato di saper perdere.

Sopprimiamo la presuntuosa affermazione di perpetuità repubblicana e favoriamo la salutare emulazione, che spingerà repubblicani e monarchici nella nobile gara a chi serva meglio il Paese. Gara in cui i monarchici a nessuno vogliono esser secondi, qualunque sia la forma di Governo!

Qualunque sia la forma di Governo, l’atteggiamento dei fedeli all’idea monarchica e al Paese non muterà, poiché essi, trattandosi di materia opinabile, in cui nessuno può pretendere di possedere la verità assoluta, sanno, per l’unione nazionale, sacrificare anche le loro convinzioni più care sull’altare della Patria.

Convinzioni che sarebbe ingiusto e vano schernire, perché basate su argomentazioni storiche non disprezzabili, perché collegate ai ricordi di tante famiglie italiane, ciascuna delle quali ha per lo meno un congiunto e spesso più d’uno, caduti in una delle cinque guerre d’indipendenza col sacro binomio della patria e del re sulle labbra.

Il 1948 batte alle porte e con esso il centenario dell’epico Risorgimento italiano. Venga un gesto di giustizia e di generosa comprensione a pacificare ed unire l’antico dissidio, così che repubblicani e monarchici si sentano affratellati nella grande famiglia italiana, dal sacrificio degli uni e degli altri resa libera ed una.

Facciamo in modo che tutti gli italiani possano considerare di loro appartenenza la Carta costituzionale qui preparata, e che tutti possano chiamarla «la nostra Costituzione».

Asserire l’assoluta immutabilità della forma di Governo repubblicana equivarrebbe a porre contro la Costituzione numerosi italiani, che tendono a realizzare le loro convinzioni istituzionali in maniera legale, solo mezzo ammissibile fra persone dignitose e civili.

La cospicua minoranza, che nel referendum del 2 giugno si pronunziò in senso diverso dall’opinione che prevalse, non merita simile trattamento.

Non lo merita, ed ha, anzi, diritto alla soppressione da me proposta, ha diritto a questo gesto di generosa comprensione, perché con la pronta e piena adesione ai risultati della scelta popolare ha dimostrato coi fatti che, se il repubblicano Garibaldi seppe dire «obbedisco», quanti fra noi son monarchici, fermi nelle loro convinzioni, hanno saputo, sanno e sapranno mantenere il sacro impegno di assoluta fedeltà verso la Patria con fierezza e lealtà non inferiori a quelle del grande Nizzardo! (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Russo Perez ha anch’egli proposto di sopprimere l’articolo 131.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

RUSSO PEREZ. Le ragioni che militano per la soppressione di questo articolo sono state già svolte dagli onorevoli colleghi che mi hanno preceduto. Mi rimetto a quello che hanno detto gli altri.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha proposto di sostituire il testo dell’articolo 131 con il seguente:

«La forma istituzionale dello Stato è subordinata alla volontà della Nazione liberamente e democraticamente espressa».

L’onorevole Benedettini ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

BENEDETTINI. Dopo quanto è stato così brillantemente esposto dagli altri colleghi, dichiaro che il mio emendamento era stato presentato nell’ipotesi che non fosse messa in votazione la soppressione.

Ritengo che la proposta di soppressione sia preferibile all’emendamento da me proposto. Comunque, se un articolo dovesse effettivamente stabilire una definita situazione, io credo opportuno che questo emendamento fosse tale da rispettare la sovranità del popolo. Pertanto, lasciare il testo nella sua formula originaria, mi sembrava una cosa per lo meno ridicola, sicché l’emendamento che riportava la forma istituzionale dello Stato alla subordinazione della volontà della Nazione liberamente e democraticamente espressa, credo che fosse un emendamento che non avrebbe potuto onestamente essere respinto da nessun membro dell’Assemblea Costituente veramente democratico e rispettoso della sovranità popolare.

In ogni modo, se il Presidente mette ai voti la proposta di soppressione, dichiaro di ritirare il mio emendamento e di votare a favore della soppressione.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere l’articolo 131, e subordinatamente, sostituirlo col seguente:

«La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Dirò brevemente il mio pensiero.

Non per le ragioni addotte da altri onorevoli colleghi, ma per altre ben differenti, avevo proposto di sopprimere integralmente l’articolo 131. Io spero ed ardentemente auguro, ed anche son convinto, che la forma repubblicana sia definitiva per il nostro Paese. La monarchica, oltre ad essere un anacronismo storico, costituisce anche un ostacolo a quella federazione mondiale dei popoli, che oggi appare come una necessità fatale del genere umano. Ma questa verità, per affermarsi nella coscienza dei popoli, non ha bisogno di riconoscimenti costituzionali. Tuttavia posso comprendere che si sia sentito il bisogno di vietare, come si fa nella seconda parte dell’articolo, che la forma repubblicana possa essere oggetto di revisione costituzionale. Per la nostra Costituzione il reggimento repubblicano, deve essere immutabile.

Ma, nella prima parte dell’articolo, vi è una affermazione che, mi si consenta di dirlo, è o pleonastica o ridicola. In essa si dice: «la forma repubblicana è definitiva per l’Italia»; ora, io posso ben comprendere che, un anno fa, quando questo articolo fu compilato, e la Repubblica era appena nata (per giunta in mezzo a molte discussioni), si sia potuto sentire il bisogno di una affermazione retorica di tal genere. Ma, oggi, essa non può non apparire ingenua. Il cittadino comune, che, domani, leggendo la Costituzione, vi trovasse una siffatta dichiarazione, non potrebbe non sorridere. Che cosa si intende dire affermando che la forma repubblicana è definitiva per l’Italia?

Se con una tal frase si intendesse esprimere la certezza storica che nel futuro nessun cambiamento avrà luogo, si farebbe assumere con ciò al legislatore una parte di profeta, che qualcuno non mancherebbe di trovare ridicola. Se, invece, si volesse semplicemente esprimere che la forma repubblicana è definitiva per la nostra Costituzione, essa sarebbe del tutto superflua, perché tale concetto è espresso chiaramente nella seconda proposizione.

D’altra parte, mi domando, e chi mai può ipotecare l’avvenire? Chi dice che in un lontano futuro la forma repubblicana non possa evolversi in una del tutto diversa? Non si può proprio immaginare nessuna altra forma all’infuori della monarchica e della repubblicana? Per conto mio penso, con qualche nostalgia, a quelle tribù esquimesi che, pur senza alcuna organizzazione statale, vivono in perfetto ordine e felicità. (Commenti).

No, onorevoli colleghi, noi non possiamo ipotecare l’avvenire. Del resto, affermare in un articolo della Costituzione che per l’Italia la forma repubblicana è definitiva, è così ingenuo, come sarebbe ingenuo un articolo nel quale fosse detto che ogni rivoluzione è proibita!

La seconda proposizione, secondo cui la revisione della forma repubblica non è consentita, si può lasciare. Essa servirà ad esprimere più efficacemente la nostra convinzione che la forma repubblicana è necessaria per l’avvenire del popolo italiano, e che soltanto da una reazione armata sopraffattrice potrebbe essere eliminata.

Concludo, pertanto, proponendo che si sopprima la prima parte dell’articolo 131, sicché l’articolo stesso suoni così:

«La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Rossi Paolo a esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Che gli onorevoli colleghi di parte monarchica si oppongano alla introduzione dell’articolo 131 nella nostra Costituzione, mi pare spiegabile e giusto; che essi però si scandalizzino o ironizzino, onorevole Condorelli, non mi pare altrettanto spiegabile e giusto. Ella non si è certo scandalizzata, in altri tempi, che lo Statuto albertino cominciasse precisamente con la medesima affermazione con cui la nostra Carta costituzionale finisce, che cioè la monarchia era la forma perpetua e irrevocabile dello Stato italiano. (Commenti a destra – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio!

ROSSI PAOLO. Io posso anche comprendere che questa protesta e questa ironia ci vengano eventualmente da un anarchico, o ci vengano dall’onorevole Nobile, il quale ha delle nostalgie polari per gli esquimesi che vivono anche senza repubblica, senza legge alcuna: ma mi stupisco che questo scandalo venga da lei, onorevole Condorelli.

Ella mi sollecita a trattare il problema dal punto di vista giuridico, ma ella stessa mi ha dimostrato che giuridicamente non sussistono quegli allarmi che lei ha mostrato di temere, giacché ella ha detto che questo articolo 131 non pietrifica la nostra Costituzione, perché, con la revisione, si potrebbe giungere legalmente e senza rivoluzione a forme istituzionali diverse dalla Repubblica. E allora, se questo pericolo giuridico non vi è; e lo dichiarate voi stessi, come lo ha dichiarato l’onorevole Codacci Pisanelli; e se questo ridicolo non vi è, che valore ha l’affermazione dell’articolo 131?

Ha il valore di una solenne affermazione politica, che la prima Costituzione italiana non può in alcun modo omettere. (Vivi applausi a sinistra – Commenti a destra).

Io stesso personalmente ho avuto talune perplessità, nel senso perfettamente opposto di quelle che sembrano muovere gli onorevoli Codacci Pisanelli e Condorelli: mi è parso che fosse addirittura superflua questa dichiarazione e che in qualche modo essa potesse sminuire la grandezza dell’affermazione repubblicana. Mi sono poi convinto dalla lettura di altri testi costituzionali (Interruzioni a destra); e qui vorrei rispondere alle preoccupazioni dell’onorevole Damiani, che non è affatto vero che l’articolo 131 sia un novum, che sia qualche cosa di esclusivo della nostra Costituzione, questa affermazione dell’immutabilità della forma repubblicana. Questa è la frase che conchiude quasi tutte le Costituzioni repubblicane; questa è la frase che conchiude e corona la recente Costituzione francese, che nell’articolo 87 dice precisamente:

«La forma repubblicana del Governo non può essere oggetto di una proposta di revisione».

Onorevoli colleghi, affermando questo principio, noi compiamo non soltanto una solenne dichiarazione di principio, solenne atto politico, ma ci conformiamo alla struttura costituzionale dei testi dei Paesi repubblicani.

Soltanto per la forma potrei aderire – e credo che la Commissione sia d’accordo con me – all’emendamento dell’onorevole Nobile. È forse esatto – e qui si risponde in parte anche a talune obiezioni degli onorevoli Condorelli e Codacci Pisanelli – che è superfluo dichiarare che una legge è definitiva. Tutte le leggi non temporanee sono definitive. Quindi la redazione più perfetta, migliore, secondo noi, sarebbe proprio la riproduzione del testo dell’articolo 87 della Costituzione francese, da cui credo che l’onorevole Nobile abbia tratto il suo emendamento: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».

Questa è la forma che noi proponiamo. (Vivissimi, prolungati applausi a sinistra – Grida a sinistra di: Viva la Repubblica! – Nuovi vivissimi applausi – Grida ostili del deputato Covelli – Rumori vivissimi a sinistraScambi di vivacissimi apostrofi fra l’estrema sinistra e l’estrema destra – Agitazione – Tumulto – Il Presidente fa sgombrare le tribune e sospende la seduta).

PRESIDENTE. La seduta è ripresa.

Onorevoli colleghi, era augurabile che, esaminandosi questo articolo che è l’ultimo della Costituzione, esso desse luogo possibilmente a una forma dignitosa, se non solenne, di coronamento dei nostri lavori. Perché è vero che avremo ancora da esaminare le norme transitorie, ma credo che ognuno di noi si renda conto che con la votazione di questa sera avremo concluso il testo fondamentale, quello destinato a tramandarsi. Le norme transitorie sono caduche e non faranno parte integrante della Costituzione della Repubblica italiana. E io comprendo che in questa ultima votazione la esultanza dall’una parte e l’amarezza dall’altra potessero essere maggiori di quanto non siano stati nel corso dei nostri lunghi lavori. Ma, ripeto, che questa esultanza e questa amarezza si esprimessero in forme che dessero prova della profonda consapevolezza dell’importanza del lavoro che abbiamo quasi condotto a termine, sarebbe stata una cosa profondamente desideratile. E non rammaricherò mai abbastanza che ciò non sia avvenuto. (Vivissimi, prolungati applausi).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Il momento attuale è purtroppo il meno adatto per fare una lunga dichiarazione. Io la farò a nome del Gruppo, breve ma esplicita. La questione del regime repubblicano è stata decisa da una consultazione diretta del popolo attraverso il referendum. Essa non può essere quindi assomigliata ad alcuna altra questione e norma che durante la discussione in quest’Aula è stata formulata, discussa e decisa dall’Assemblea Costituente. È evidente che, data l’origine attraverso la quale l’attuala forma dello Stato è nata e va consolidandosi, non potrebbe essere modificata che da una consultazione diretta, fatta nella stessa forma attraverso la quale essa è sorta. Perciò noi siamo contrari a ogni formula soppressiva e favorevoli alla formulazione del testo della Commissione. (Vivissimi applausi a sinistra ed al centro – Si grida: Viva la Repubblica! – Il Presidente e i deputati si levano in piedi applaudendo a lungo vivamente).

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. È per dichiarazione di voto, ma in sostanza per fatto personale. Comprendo bene che le mie parole non cadono in proposito dopo che questa discussione, che per noi era essenzialmente tecnica e in termini tecnici fu posta, ha scatenato l’incidente che con parole così alte il Presidente, a nome di tutti, ha saputo deplorare. Però, io non posso lasciar passare, tornando proprio alla questione tecnica, senza una risposta, quanto ebbe ad affermare l’onorevole Rossi, allorché si meravigliava che io, monarchico, profondamente rispettoso della sapienza giuridica da tutti riconosciuta dello Statuto, che proprio nel suo centesimo anno di vita troverà la sua morte forse non gloriosa, mi stupisca della proposta dichiarazione di definitività della forma repubblicana, mentre anche lo Statuto conteneva, a suo vantaggio, analoga dichiarazione.

Io rilevo che l’espressione che si legge, non in una norma dispositiva, ma soltanto nel preambolo, che dichiara lo Statuto legge immutabile e irrevocabile della monarchia, non ha affatto (per comune consenso di tutti gli studiosi che si sono occupati di diritto costituzionale; forse non di tutti quelli che si sono occupati della riforma costituzionale) il significato che ella, onorevole Rossi, ha creduto di dare.

Noi ci trovavamo innanzi ad una Costituzione che era nata flessibile, e che rimase flessibile. Dunque non era né immutabile né irrevocabile. Quell’«immutabile e irrevocabile», per comune consenso di tutti i giuristi che si sono occupati della nostra antica gloriosa Costituzione, si riferiva soltanto alla monarchia. Si intendeva che il re non potesse modificarla o revocarla; ma non che il popolo, nella pienezza delle sue istituzioni rappresentative, non la potesse modificare.

Questa è la risposta che do ed alla quale lei difficilmente potrà ribattere. (Vivi applausi a destra).

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Ho chiesto di parlare per fare una breve dichiarazione a nome del mio gruppo. Benedetto Croce ebbe a dire che la Repubblica è l’Italia. Noi ripetiamo queste parole: dopo il referendum del 2 giugno nessun più di noi sente il dovere di essere lealmente repubblicani.

Ma qui non si tratta di Repubblica e monarchia: qui si tratta di una istanza di libertà. Si tratta di una istanza di libertà per una ragione molto semplice. Non mi sembra che l’onorevole Rossi si sia bene apposto, quando, raccogliendo una osservazione dell’onorevole Condorelli, riteneva che, essendo ogni legge definitiva, quando non sia temporanea od eccezionale, il concetto espresso dall’articolo 131 rimarrebbe egualmente, anche senza l’articolo stesso. Perché qui non si tratta della legge: la Repubblica è sorta dal referendum. Non è la legge che crea la Repubblica: è, invece, la volontà popolare. Quindi il riferimento alla legge (me lo consenta l’onorevole Rossi) mi sembra del tutto fuori posto; né mi sembra più opportuno il richiamo che or ora faceva l’onorevole Gronchi al referendum popolare, per affermare che, data la solennità dell’atto, ne deriverebbe il carattere definitivo e immutabile della forma repubblicana. È evidente, difatti, che il nuovo regime non potesse essere instaurato che per volontà di popolo o direttamente, o per mezzo dei suoi rappresentanti.

Se un richiamo al referendum può essere fatto, questo richiamo deve essere fatto da noi liberali a proposito dell’articolo 130, dove è consacrato il principio che la legge di revisione costituzionale è sottoposta al referendum popolare, quando entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia domanda un quinto dei membri di una Camera o 500.000 elettori o sette Consigli regionali.

Si ponga l’ipotesi che domani, quand’anche si fosse consolidato il potere repubblicano – e noi auspichiamo che il potere repubblicano, col concorso di tutti gli italiani, si consolidi e permanga come il regime definitivo dell’Italia – 500.000 elettori chiedano col referendum la revisione della norma che noi discutiamo. In questo caso, l’articolo 131 sarebbe una sopraffazione della volontà di questi elettori, sarebbe, cioè, una sopraffazione di una istanza di libertà. Ecco perché io non dico: Viva la Repubblica o viva la monarchia, ma viva la libertà della volontà e della coscienza popolare. (Interruzioni a sinistra).

Per queste ragioni noi dichiariamo che voteremo per la soppressione dell’articolo 131. (Vivi applausi a destra – Commenti a sinistra).

GIANNINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’«Uomo Qualunque» non può accettare questo articolo 131, perché esso vulnera il suo diritto di essere governato da quella istituzione che vuole scegliersi.

Noi ultimamente a Bari, in un documento politico del nostro partito, che è stato chiamato «i dieci punti di Bari», nel decimo punto abbiamo stabilito ed accettato che il Capo dello Stato è eletto dalla comunità per garantire la legge della comunità.

Ora, nel nostro fronte ci sono monarchici e repubblicani, comunque ci sono soltanto cittadini italiani pensosi del bene della Patria, al di sopra delle istituzioni.

Noi non possiamo accettare l’articolo 131, che vulnererebbe in modo assoluto il diritto all’uomo qualunque italiano di scegliersi un’altra istituzione.

Per questa ragione noi voteremo contro l’articolo 131 e per la sua soppressione. (Applausi a destra).

GIACCHERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIACCHERO. Per le ragioni già dette anche da altri colleghi, per cui la forma repubblicana è stata determinata dal referendum popolare, distinto da quella consultazione che ha creato questa Assemblea Costituente, come l’Assemblea Costituente nulla avrebbe potuto togliere alla decisione così voluta dal popolo, così nulla ora può aggiungere: per tali motivi voterò a favore dell’emendamento soppressivo dell’articolo 131. (Applausi a destra).

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Vorrei rispondere una parola all’onorevole Condorelli. Ella dice che col sistema dello Statuto albertino – e la ringrazio della lezione che mi ha dato – sarebbe stato anche possibile l’introduzione della Repubblica, ma non aggiunge che sarebbe stato necessario che il re la promulgasse e la sanzionasse! Lei comprende che è questa una soverchia ingenuità. In realtà la monarchia se n’è andata soltanto dopo la sconfitta. (Vivi rumori a destra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Coppa, Fabbri, Lucifero, Russo Perez, Cicerone, Condorelli, Benedettini, Penna Ottavia, Bencivenga, Mazza, Rodi, Miccolis, Abozzi, Venditti, Tumminelli, De Falco, Mastrojanni, Perugi, Fresa, Puoti, Marinaro, Capua e Trulli, hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto. Non sono per tanto ammesse altre dichiarazioni di voto.

SICIGNANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Per quale ragione?

SICIGNANO. Per una mozione di ordine su questa votazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SICIGNANO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi; non ho mai abusato della vostra pazienza; credo di essere il deputato più silenzioso di quest’Assemblea. (Commenti al centro e a destra).

Voglio fare una breve dichiarazione per la mia dignità non soltanto di deputato, ma soprattutto di italiano e di uomo del 1947. (Commenti a destra). È perfettamente vero che, se noi ci atteniamo strettamente al Regolamento dell’Assemblea si può procedere su questo argomento ad una votazione per scrutinio segreto; ma io mi domando dove andrà a finire la dignità dei rappresentanti costituenti e parlamentari d’Italia, se oggi nasconderanno nel segreto di un voto di urna la loro espressione su un argomento fondamentale per l’avvenire di questa nostra Repubblica italiana! (Vivi applausi a sinistra – Rumori all’estrema destra).

PRESIDENTE. La prego di attenersi alla mozione d’ordine.

SICIGNANO. La Repubblica italiana è nata non già per capriccio di pochi uomini, ma dal dolore e dal sangue degli italiani, dolore e sangue che è stato originato soltanto dalla monarchia dei Savoia. (Rumori a destra).

BENEDETTINI. Questa non è mozione d’ordine! (Interruzioni – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, è la seconda volta, nel corso dei nostri lunghi lavori, che mi permetto di ricordare, e in modo particolare ai colleghi di una parte dell’Assemblea, che non ci si deve dimenticare, fatta pure la debita parte ai loro pensieri e sentimenti, che qui siamo in Repubblica e che se, parlando del passato, uomini che lo hanno dolorosamente vissuto, si esprimono in maniera molto decisa e con molta deplorazione contro istituti e uomini superati e rovesciati, essi esercitano un loro sacrosanto diritto. E pertanto non è il caso, ogni qualvolta un repubblicano bolla la monarchia e qualche cosa che è stato, e che fortunatamente non è più, di sollevare delle proteste. Pertanto vorrei rivolgere ai colleghi una preghiera: scrivano sui giornali, parlino nei loro comizi, difendano la monarchia, ma, quando contro di essa risuonano in quest’Aula parole di rampogna e condanna, non interrompano, non protestino. (Vivissimi prolungati applausi – Commenti all’estrema destra).

BENEDETTINI. Qui siamo in regime di libertà e noi, in questa sede, per primi, abbiamo il diritto di esprimere i nostri sentimenti. (Interruzioni e rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Lei, a sua volta non impedisca agli altri di esprimere i propri sentimenti, ed ogni volta che si parla di quella che è stata la monarchia di questo Paese, non si ritenga investito del diritto e del dovere di difenderla.

Onorevole Sicignano, la prego di concludere. Presenti la sua mozione d’ordine.

SICIGNANO. Io propongo che tutti i deputati approvino per acclamazione l’ultimo articolo della Costituzione della Repubblica italiana! (Applausi a sinistra – Rumori a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Sicignano, la sua richiesta non è accoglibile. Non è detto, perché siamo alla fine della discussione, che dobbiamo disconoscere il Regolamento che ha retto tutti i nostri lavori. (Applausi a destra – Commenti a sinistra).

COVELLI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Premetto che io non sono tra i firmatari della richiesta di scrutinio segreto; ma pregherei coloro che l’hanno firmata di volerla ritirare. (Commenti).

E qui cade di proposito un chiarimento in relazione agli incidenti di poco fa. L’onorevole Conti e chi vi parla erano in quel momento impegnati in un duello di «evviva» e di «abbasso». Non che io ritiri quello che ho detto: chi come me ha ancora intatto il sentimento per quell’istituto – pur con la lealtà più assoluta alle istituzioni – non potrà non rispondere sempre come stasera al grido non più sedizioso, a termini di legge, dell’onorevole Conti, con questo grido che sarà sedizioso e di cui mi accollo intiera la responsabilità.

Detto questo, e a scanso di equivoci, dichiaro che noi non chiediamo la solidarietà nascosta di nessuno. (Approvazioni). Noi restiamo sulle nostre posizioni intatte e – sia detto a chiara voce, mentre si stanno per concludere i lavori della Costituzione italiana – sentano l’obbrobrio di questo, insieme con noi, coloro che qui dentro dovevano rappresentare il sentimento monarchico: sentano l’obbrobrio di aver parlato a nome della monarchia e di aver chiesto i voti a nome della monarchia. (Approvazioni).

È per questo che io insisto presso gli amici che hanno chiesto lo scrutinio segreto: dobbiamo poter dire domani ai nostri monarchici, ai nostri elettori, chi ha veramente mantenuto l’impegno di lealtà nei loro confronti e chi lo ha tradito. (Approvazioni).

A parte tutto quello che noi possiamo fare nell’ambito della legalità, e di cui ci assumiamo piena la responsabilità, io ritenevo che non ci fosse stato bisogno né di dichiarazioni di voto né comunque di cavilli, per rispettare il buon senso e la logica: ci è stato consentito di esprimere le nostre idealità, ci è stato consentito di svolgere un’azione politica su queste nostre idealità e si richiede da noi più che da altri il più assoluto rispetto alla legge, cui noi non derogheremo se non derogheranno gli altri.

Ebbene, come si può mettere d’accordo quanto è stato sancito nelle leggi cosiddette eccezionali, che sono state approvate da noi, con quello che è detto in questo articolo 131 della Costituzione? A parte il diritto contestabilissimo di voler ipotecare il futuro, noi dobbiamo in quest’ora, per voi di una certa solennità, dichiarare in tutta lealtà, che se il popolo italiano lo vorrà, attraverso le vie democratiche, nell’ambito della legge, malgrado la Costituzione, malgrado l’articolo 131, ripeto, se il popolo italiano lo vorrà, la monarchia la restaureremo. (Commenti). Ed è per questo che insisto presso gli amici di ritirare la richiesta di scrutinio segreto, perché parta da questa manifestazione almeno un inizio di lealtà e di onestà politica. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Chiedo ai firmatari della domanda di votazione a scrutinio segreto se la mantengono. (Commenti).

Onorevole Coppa?

COPPA. Sono tra i firmatari. Per quello che ha detto l’onorevole Covelli, ritiro la mia firma.

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri?

FABBRI. Se si tratta di sostituire l’appello nominale allo scrutinio segreto, sono felicissimo di ritirare la domanda di scrutinio segreto. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero?

LUCIFERO. Dichiaro che per mio conto mantengo la domanda di scrutinio segreto e spiego perché.

PRESIDENTE. No, la prego! (Commenti a destra).

LUCIFERO. Hanno diritto tutti di parlare, credo!

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, lei che è maestro di Regolamento, sa che si ha il diritto di parlare se si rinunzia ad una richiesta presentata, ma si perde il diritto di parlare se la si mantiene.

Io la prego quindi di dirmi se conferma la sua richiesta; e in questo caso, con rammarico, non posso darle la parola.

LUCIFERO. Signor Presidente, visto che l’onorevole Covelli, del quale io condivido i sentimenti e col quale ho condiviso la battaglia, ha impostato su un tema elettoralistico…

GIANNINI. Ecco: e speculativo!

LUCIFERO. …la questione di questo voto – che per me non può essere dubbio, perché tutti sanno come voterò – mantengo la proposta di scrutinio segreto, a tutela delle libertà democratiche del Parlamento italiano. (Approvazioni a destra – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez?

RUSSO PEREZ. Ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli?

CONDORELLI. Mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini?

BENEDETTINI. Pur essendo chiaro il mio voto, che naturalmente già si conosce, io insisto, per le stesse ragioni espresse dall’onorevole Lucifero.

PRESIDENTE. Onorevole Penna Ottavia?

PENNA OTTAVIA. Insisto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Cicerone, De Falco, Perugi, Trulli e Capua non sono presenti.

Onorevole Mastrojanni?

MASTROJANNI. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Mazza?

MAZZA. Ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Bencivenga?

BENCIVENGA. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Fresa?

FRESA. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Rodi?

RODI. Insisto. Poi spiegherò il perché. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Marinaro?

MARINARO. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Puoti?

PUOTI. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Abozzi?

ABOZZI. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Miccolis?

MICCOLIS. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Venditti?

VENDITTI. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Tumminelli?

TUMMINELLI. Insisto.

GIANNINI. Aggiungo la mia firma, e faccio presente che avevo chiesto di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Giannini, bisognava prima stabilire se viene mantenuta la proposta di scrutinio segreto; in questo caso, non si dà la parola a nessuno.

GIANNINI. Ma io intendevo parlare sulla mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ma l’onorevole Covelli non ha fatto una mozione d’ordine. Egli ha pregato i presentatori della domanda di scrutinio segreto di ritirarla. Ed io per questa ragione ho interpellato i presentatori.

GIANNINI. Signor Presidente, spero che lei mi farà l’onore di darmi atto che sono uno dei più non irrispettosi deputati di questa Assemblea. Mi permetto di farle notare questo: che l’onorevole Covelli, nel fare – come aveva diritto di fare – la sua proposta, ha innestato su questa proposta una questione elettoralistica che ci riguarda tutti, perché le elezioni in Italia vogliamo farle tutti. Pochi di noi non hanno nessun desiderio di ritornare qui dentro, per quanto male si dica del Parlamento!

Ora, l’onorevole Covelli, con intelligenza, con vivacità meridionale, si è impadronito di questo articolo 131 (di cui praticamente a noi non importa nulla) ed ha impiantato per conto suo una botteguccia monarchica ed ha trovato nella estrema sinistra chi ha impiantato una botteguccia repubblicana. (Commenti a sinistra). È giusto che si chiarisca. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Giannini, io sono veramente spiacente.

Siamo stati sempre così cortesi tra noi due, onorevole Giannini! Può essere una cosa spiacevole per chi è direttamente interessato nello svolgimento di un’azione politica che qualcun altro si è impadronito di una carta che gli sarebbe utile, ma lei consentirà con me che non è in sede di Assemblea che si può condursi come in un giuoco.

GIANNINI. Quando ci s’impadronisce della mia carta devo cercarne una migliore.

PRESIDENTE. L’unica carta che qui conta è quella offerta dal Regolamento.

L’onorevole Covelli si è valso di un suo diritto: ha chiesto la parola per fare una proposta. Lei, in questo momento, non ha proposte da fare. Ha soltanto da polemizzare con l’onorevole Covelli.

GIANNINI. Ho da proporre che si mantenga lo scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Ho detto poco fa (lei è così attento ai nostri lavori e non se lo sarà fatto sfuggire) a un suo collega che poiché conservava la sua firma alla domanda di scrutinio segreto non aveva diritto di parlare. Poiché lei non aveva posto la sua firma, evidentemente, era in una situazione neutra; ma poiché a voce ha dichiarato di firmare lo scrutinio segreto, posso chiederle: mantiene la sua firma o la ritira? E lei può dire che la ritira e può motivare il ritiro.

GIANNINI. La mantengo.

PRESIDENTE. E allora non ha nulla da aggiungere.

GIANNINI. Ho inteso un collega dell’estrema sinistra parlare dello scrutinio segreto come di una votazione disonorante ed è unicamente per questo, poiché non la ritengo una votazione disonorante, che chiedo lo scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Comunico che, oltre all’onorevole Giannini, hanno ora firmato la richiesta di scrutinio segreto gli onorevoli Rodinò Mario, Lagravinese Pasquale, Codacci Pisanelli.

CONTI. Chiedo di parlare, per fatto personale.

PRESIDENTE. La pregherei di voler chiedere la parola per fatto personale sul processo verbale di domani; così ci permetterà di giungere finalmente alla votazione.

CONTI. La terrò per due minuti. Parlerò in modo opportuno, l’assicuro.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Se mi lasciate parlare (perché io credo che passata in quest’Aula una burrasca ognuno di noi desideri di riportare un certo grado almeno di serenità per spiegazioni fra le parti politiche della Camera), io desidero fare una dichiarazione molto semplice e la faccio particolarmente all’onorevole Covelli. Fra me e lui vi è stato uno scambio di grida: da parte mia di abbasso la monarchia, da parte sua di abbasso la Repubblica.

Ebbene, devo ricordare, onestamente, che in questa Camera, in quest’Aula, in tempo di monarchia io ho gridato più di una volta: abbasso la monarchia e tutta la Camera, monarchica, mi ha assalito senza nessun riguardo e senza nessuna pietà.

Ammetto, per ciò, pienamente che i monarchici presenti in questa Aula possano anche, in condizioni eccezionali come quelle nelle quali venticinque anni or sono gridai «Abbasso la monarchia!», gridare «Abbasso la Repubblica!».

La situazione in cui eravamo mezz’ora fa possiamo ammettere che sia stata una situazione eccezionale. Monarchici, che direi incartapecoriti come l’onorevole Covelli e compagni, hanno gridato «Abbasso la Repubblica». E sia. Ma, cari colleghi monarchici, mettiamoci tutti su un terreno di serenità e di buonafede. Io nel 1923 e nel 1924 gridavo abbasso alla monarchia che si era associata al fascismo per massacrare l’Italia. Voi della Repubblica godete una libertà illimitata, che non è mai stata, e non lo sarà mai, violata a vostro danno. (Interruzioni a destra – Commenti).

Noi vi riconosciamo pienamente tutta la libertà, ma non vi riconosceremo mai il diritto d’ingannare il Paese con la vostra propaganda non sincera e non veritiera. Questo è quello che volevo dichiararvi. (Applausi a sinistra – Rumori all’estrema destra).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indìco la votazione segreta sulla seguente formulazione:

«La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     351

Maggioranza           176

Voti favorevoli        274

Voti contrari                        77

(L’Assemblea approva).

(L’Assemblea sorge in piedi – Vivissimi, prolungati applausi).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Angelucci – Arata – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Boldrini – Bonfantini – Bonino – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Raffaele – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Fornara – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galioto – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchiero – Giannini – Giolitti – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Imperiale.

Jervolino.

Labriola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Lussu.

Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Marazza – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Porzio – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Francesco – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni – Varvaro – Viale.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Dobbiamo soltanto votare le proposte di modifica alle intitolazioni, e pertanto non v’è più motivo di sospendere brevemente la seduta e prolungare i lavori sino alle 22.

L’onorevole Martino Gaetano propone di sostituire il titolo: «Garanzie costituzionali» con «Garanzie giurisdizionali e Revisione della Costituzione».

Prego l’onorevole Ruini di voler esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato mantiene l’intitolazione originaria.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Martino Gaetano, non accettato dalla Commissione.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il titolo del progetto:

«Garanzie costituzionali».

(È approvato).

Una seconda proposta di modifica è stata presentata dall’onorevole Perassi:

«Sostituire il titolo della Sezione II: «Revisione della Costituzione», col seguente: «Revisione della Costituzione e leggi costituzionali».

Chiedo all’onorevole Ruini il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente intitolazione della seconda Sezione del Titolo VI della Costituzione, accettata dalla Commissione:

«Revisione della Costituzione e leggi costituzionali».

(È approvata).

Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 11.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga opportuno esonerare dalla prestazione del servizio militare di leva i giovani perseguitati razziali delle classi dal 1919 al 1924, che la tardiva chiamata alle armi verrebbe nuovamente a distogliere dalle attività che hanno ripreso od appena iniziato dopo un lungo periodo di persecuzione.

«Giua, Fornara».

«Al Ministro delle finanze, per conoscere se è esatto che egli abbia comunicato alla stampa l’acquisto di sigarette estere che verrebbero pagate a 60-70 lire a pacchetto e che, rivendute, darebbero allo Stato un margine netto di lire 200 a pacchetto: complessivamente, il gettito, previsto fino al 30 giugno 1948, su tale operazione, sarebbe di lire 10 miliardi.

«Per conoscere altresì il perché il Monopolio non abbia tempestivamente agito per rendere possibile la produzione del tabacco e dei manufatti su suolo italiano, con operai italiani.

«Il costo della mano d’opera necessaria a tale produzione può calcolarsi intorno ad 1 miliardo e 500 milioni di lire, il che significa, considerato il termine di tempo, che, se il Monopolio avesse agito tempestivamente, ben 7500 disoccupati avrebbero potuto risolvere il problema del lavoro e del pane quotidiano.

«Leone Giovanni, Gabrieli».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intenda attuare a favore dei numerosi pazienti affetti da tubercolosi, assistiti dall’Istituto di previdenza sociale, che non trovano ricovero negli stabilimenti di cura per deficienza di posti; quali provvidenze, inoltre, vuol disporre per quelli che, clinicamente guariti, debbono essere dimessi dai luoghi di cura.

«De Maria».

Ne darò notizia ai Ministri interrogati affinché facciano sapere quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quando intende procedere ad emanare le norme che dovranno stabilire le modalità di cui è cenno all’articolo 7 del decreto ministeriale 24 dicembre 1946, n. 4432, relativo al bando di concorso per esami a 400 posti di notaio, e se – con l’occasione – non reputi opportuno costituire sedi per questo esame-concorso in altre città capoluogo di Regione oltre Roma, allo scopo di evitare che la maggior parte dei concorrenti debba trovarsi nella dolorosa condizione di rinunziare al concorso per la mancanza di mezzi finanziari necessari ad affrontare le ingenti spese di viaggio e soggiorno a Roma. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zagari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare affinché le industrie meridionali, ed in particolare i cantieri navali di Taranto, già Tosi, che impiegano oltre tremilacinquecento unità, non siano privati dei benefizi, di cui hanno goduto le industrie del Settentrione con gli aiuti recentemente stanziati dal Governo in loro favore. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zagari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se, di fronte alle gravi esigenze di bilancio che incontra l’Amministrazione comunale di Chioggia – e, come Chioggia, tutti i Comuni rivieraschi, nei quali la pesca costituisce l’attività prevalente degli abitanti – non ritenga necessario ed urgente autorizzare quell’Amministrazione comunale all’applicazione dell’imposta di cui all’articolo 41 del decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 62 (modificato dall’articolo 10 del decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 177), essendo evidente che la pesca non può considerarsi come una attività industriale, come pure, sempre agli effetti della citata legge, che il ricavato dell’attività prevalente degli abitanti non può non essere considerato un prodotto locale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, se non creda conforme ad equità – come ha riconosciuto l’Alto Commissariato all’alimentazione – restituire ai panificatori della provincia di Udine l’ammontare del prezzo d’integrazione delle loro giacenze di farine al 31 marzo 1944, prezzo riscosso da tutti gli altri panificatori d’Italia, ma non da quelli della provincia di Udine, perché il relativo ordine di accreditamento di lire 505.864 alla Tesoreria provinciale, venne bloccato dall’Amministrazione militare alleata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

 

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se e quali provvedimenti intendano prendere per contribuire a mettere la Società Geografica Italiana in condizione di adempiere ai nobili compiti per i quali fu istituita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile, Corbino, Bozzi, Costantini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano opportuno ed urgente promuovere provvedimenti atti ad alleviare la critica situazione determinata fra gli agricoltori, specialmente meridionali, dall’inasprimento dei contributi unificati in agricoltura, che in molti casi superano l’ammontare di tutte le altre imposte riunite insieme, situazione resa ancora più gravosa dalla coincidenza, nel giro di soli due giorni, del pagamento dei contributi suppletivi 1947 e della prima loro rata trimestrale 1948. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se, in considerazione della ristabilita normalità dei trasporti, non ritenga giusto, a favore dei familiari dei dipendenti statali ed assimilati, godenti della tariffa differenziale C, ripristinare integralmente tale concessione, abrogando la disposizione che ancora limita al numero di quattro i viaggi annuali di detti familiari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.50.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA Di MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Moro

Targetti

Arata

Presidente

Dominedò

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Benvenuti

Perassi

Rossi Paolo

Laconi

Condorelli

Codacci Pisanelli

Mortati

Ambrosini

Preti

Musolino

 

Votazione segreta:

Presidente

 

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto, di Costituzione della Repubblica italiana.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Signor Presidente, vorrei proporre alla Presidenza un quesito relativo al valore della votazione fatta ieri sera sull’emendamento di rinvio alla legge, proposto dall’onorevole Arata. Non considero adesso il valore morale della frettolosa votazione fatta in presenza di pochissimi colleghi, così come trascuro altre considerazioni di carattere giuridico e politico, relative all’assurdo che si crea omettendo di indicare, dopo aver delimitato nella Costituzione la Corte di garanzia costituzionale, le forme e i modi attraverso i quali può essere promossa azione dinanzi alla Corte stessa per la dichiarazione della incostituzionalità della legge.

Vorrei soffermarmi invece un momento sulla contradizione, che a me appare evidente, fra la votazione che fu fatta sull’emendamento dell’onorevole Arata e la votazione che era stata fatta precedentemente sull’emendamento soppressivo dell’onorevole Gullo. A mio parere, e a parere dei miei amici, fra le due votazioni vi è una radicale incompatibilità, un’assoluta contradizione. La quale contradizione sarebbe risultata certamente più evidente, se ieri sera la votazione sull’emendamento soppressivo dell’onorevole Gullo fosse stata fatta nel modo ormai consueto della nostra prassi parlamentare, cioè se si fosse votato per la soppressione del comma proposto dall’onorevole Gullo, votando negativamente sulla formulazione positiva del comma stesso. Se così fosse avvenuto e se ieri sera per ragioni di opportunità non fosse stata mutata questa procedura, noi ci saremmo trovati dinnanzi ad un comma approvato dell’articolo 128, comma il quale avrebbe significato, non soltanto che a parere dell’Assemblea Costituente anche il singolo, leso nel proprio diritto da una legge incostituzionale, ha il potere di promuovere una dichiarazione di incostituzionalità, ma anche implicitamente, che all’Assemblea Costituente, come del resto è logico, spetta di decidere, intorno ai casi, le forme, i modi attraverso i quali si può proporre la questione di incostituzionalità della legge.

Se, quindi, avessimo seguito la via normale, trovandoci di fronte ad un comma significativo esplicitamente e implicitamente e per quello che esso logicamente fa attendere come seguito dell’articolo, noi non avremmo avuto alcun dubbio circa l’improponibilità dell’emendamento proposto dall’onorevole Arata. Mi pare che il senso di tale votazione, alla quale siamo addivenuti ieri sera per appello nominale, non sia assolutamente dubbio. L’Assemblea non soltanto ha respinto la proposta dell’onorevole Gullo, tendente a togliere al singolo la possibilità di proporre azione per incostituzionalità della legge, ma ha inteso rivendicare a sé la decisione su questo punto importantissimo, che, qualora non fosse deciso, determinerebbe una lacuna nella Costituzione, tanto che la Corte costituzionale sarebbe per lungo tempo incapace di assolvere la sua funzione di garanzia della Costituzione. Questo rinvio alla legge, pertanto, è, a nostro avviso, assurdo ed improponibile. Io domando alla Presidenza quale sia la sua opinione sul valore di questa votazione e subordinatamente chiedo che essa voglia rimettere al Comitato di coordinamento lo studio dei rapporti fra le due votazioni e la ricerca di una formula che elimini questa contradizione. Il Comitato di coordinamento è certamente competente ad eliminare le contradizioni che esplicitamente, visibilmente si riscontrano nel testo della Costituzione, ma qui, se pure una delle due votazioni non si è espressa positivamente nel testo costituzionale, vi è certo egualmente una contradizione, sia pure implicita, che, a mio parere, l’Assemblea deve eliminare attraverso l’attività del Comitato di redazione.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Devo anzitutto osservare che, se vi fosse una contradizione fra una norma e l’altra, l’Assemblea non avrebbe in questo momento veste per intervenire in merito. Sarebbe la Commissione che ha l’incarico del coordinamento delle norme, a prospettare questa eventuale contradizione, in sede di discussione del coordinamento stesso.

A me sembra, però, che l’onorevole Moro non abbia ragione di lamentare questa contradizione. Basta tener presenti la portata della proposta soppressiva dell’onorevole Gullo e il tenore della portata dell’emendamento dell’onorevole Arata.

L’onorevole Gullo aveva proposto la soppressione del primo comma, ritenendo che non si dovesse ammettere l’eccezione d’incostituzionalità in via incidentale. L’Assemblea ricorda gli argomenti che egli addusse a sostegno di questa sua tesi. Era un unico punto che egli aveva considerato, cioè l’azione d’incostituzionalità promossa in via incidentale. Fra le altre ragioni ricordo che egli addusse anche questa: che, ammesso che una parte in un giudizio potesse eccepire l’incostituzionalità di una norma, si avrebbe avuto come conseguenza di appesantire l’opera della giustizia ed in alcuni casi arrivare anche a sabotarla con queste eccezioni dilatorie. Quindi, chiara era la tesi dell’onorevole Gullo, come più chiare le conseguenze dell’approvazione del suo emendamento.

L’onorevole Gullo non sostenne, né avrebbe potuto nella sua proposta soppressiva sviluppare un concetto simile, che si dovessero demandare alla legge le modalità e la regola dell’esercizio dell’azione di incostituzionalità: anzi dimostrò implicitamente di ritenere che la Costituzione avrebbe potuto regolare l’esercizio dell’azione d’incostituzionalità in via generale, escludendo, lo ripeto, l’eccezione in via incidentale. Era una proposta ben precisa e limitata ad escludere l’azione incidentale di incostituzionalità. L’Assemblea non ha condiviso il pensiero dell’onorevole Gullo ed ha votato contro la soppressione. Quale è invece la portata dell’emendamento Arata?

L’onorevole Arata non fa nessuna distinzione fra eccezione in via incidentale ed eccezione in via principale: prescinde completamente da quelle che possono essere le ragioni addette dall’onorevole Gullo contro l’eccezione in via incidentale, e propone, lasciando impregiudicata la questione, se l’eccezione debba proporsi sia in via incidentale che in via principale, di demandare alla legge il Regolamento delle modalità e dell’azione. In questo senso l’Assemblea si è pronunziata. E dov’è la contradizione? Forse che l’emendamento Arata negava il diritto ad agire che avrebbe voluto negare l’onorevole Gullo: e l’Assemblea non negò? Una parola, se il Presidente me lo concede, vorrei aggiungere; la determinazione delle funzioni di un organo e la sua composizione sono evidentemente collegate. Non so se qualora la Corte delle garanzie avesse ricevuto dall’Assemblea una composizione, secondo noi l’unica corrispondente alla sua funzione, una composizione che la ricollegasse molto più alla sovranità popolare, alcuni di noi, che hanno votato l’emendamento Arata non potessero essere dell’opinione che fosse utile stabilire fin d’ora le modalità e i limiti di quell’azione, per impedire che la legge ponesse a questa troppe limitazioni. A volte non bisogna dolersi delle conseguenze di deliberazioni che forse si sono prese eccedendo nelle nostre pretese.

ARATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Desidero dare alcuni chiarimenti intorno a quello che vorrei chiamare il processo logico della discussione che ha portato al voto di ieri.

Nella seduta di sabato io avevo proposto un emendamento all’articolo 128 ed uno contemporaneo all’articolo 129.

Col primo emendamento chiedevo la soppressione dei primi due commi dell’articolo 128. Se non che mi rendevo anche conto che questo non era sufficiente, ma che bisognava dare all’Assemblea il mezzo di poter esprimere anche un pensiero positivo. E pertanto proponevo che nell’articolo 129, là dove è detto: «la legge stabilisce le norme che regolano i conflitti di attribuzione e la composizione, ecc.» si modificasse così: «la legge stabilisce le norme che regolano le azioni di incostituzionalità, i conflitti, ecc…».

Mi sembrava in tal modo di dare all’Assemblea la possibilità di esprimere un pensiero positivo, nel senso che, mentre sopprimeva i primi due commi dell’articolo 128, in quanto vertenti in materia procedurale, anche se riverberata da aspetti sostanziali, poteva nel contempo decidere che questa materia venisse rimandata alla legge. Ed io penso che non ero, in fondo, nel torto, perché la faticosa e laboriosa casistica, in cui stavamo annegando ieri, dimostrava e dimostra, secondo me, la opportunità di rimandare alla legge tutta questa materia.

Nella seduta di ieri l’onorevole Gullo ha confermato il mio pensiero. E ricordo incidentalmente che il Relatore onorevole Rossi aveva dichiarato, sabato, che la Commissione, sul piano concettuale, non trovava, niente in contrario a che la mia proposta potesse essere accettata, ove l’Assemblea lo avesse creduto, pur mettendo in rilievo che si trattava di materia molto delicata. Nella seduta di ieri l’onorevole Gullo ha proposto la soppressione pura e semplice del primo comma; il che comportava soltanto la possibilità di un giudizio negativo sul contenuto e sulla rilevanza costituzionale del comma stesso.

Ed allora, io, rinunziando implicitamente al mio emendamento all’articolo 129, ho proposto il mio emendamento, di carattere positivo, diretto ad ottenere non solo che venissero soppressi i primi due commi dell’articolo 128, ma che si dichiarasse anche, esplicitamente, che questa materia veniva rinviata alla legge.

L’onorevole Gullo ha insistito nella proposta di soppressione pura e semplice, e su questo punto è avvenuta la votazione col noto risultato; ma con ciò è stato escluso che l’Assemblea potesse successivamente sopprimere il comma sotto un diverso profilo, cioè nel senso che alla soppressione pura e semplice venisse sostituito il rinvio del problema alla legge. Questo è il significato del voto dato sul mio emendamento. Son lieto che anche l’onorevole Targetti abbia espresso questa tesi, che mi sembra fondatissima. Io penso di aver così esaurientemente illustrato all’Assemblea il significato di quella mia proposta e della votazione che n’è seguita, e penso che l’Assemblea non abbia nessuna ragione per tornare sul suo voto e, tanto meno, per trovare contradizione tra questa decisione e quella intervenuta sull’emendamento dell’onorevole Gullo.

PRESIDENTE. Al quesito posto dall’onorevole Moro debbo dare una risposta. Dirò subito che non comprendo per quali ragioni l’onorevole Moro lo abbia posto in questa sede. Abbiamo un Comitato di redazione ed eventualmente – è stato detto e ripetuto – quando tale Comitato constatasse che fra due deliberazioni dell’Assemblea nel testo costituzionale vi fosse contradizione, dovrebbe segnalarle, studiando e suggerendo delle modifiche. E dove si trattasse di problemi importanti, su cui sarebbe opportuno chiedere ancora il parere dell’Assemblea, ciò verrebbe fatto, quando il testo completo della Costituzione, già riveduto dal Comitato, fosse portato per la votazione definitiva dinanzi all’Assemblea.

Mi pare, che la questione debba risolversi non andando a ricercare le intenzioni di coloro i quali hanno presentato certi emendamenti, o l’interpretazione che di questi testi od emendamenti occorre dare; ma richiamandosi all’elementare sviluppo della procedura, così come è avvenuto. Io ricordo che ieri sera, prima della votazione sull’emendamento soppressivo dell’onorevole Gullo Fausto, di fronte ad un’Assemblea numerosa, la questione della procedibilità alla votazione dell’emendamento soppressivo è stata espressamente posta, discussa e conclusa. Ricordo che da parte dell’onorevole Lussu è stato ad un certo momento proposta la questione se si potesse procedere alla votazione dell’emendamento soppressivo dell’onorevole Gullo.

Ed io gli ho risposto che in primo luogo, già in precedenza alcune volte, tuttavia non molto frequentemente, si era proceduto alla votazione di un emendamento soppressivo, a seconda del momento della discussione e delle conseguenze che la soppressione avrebbe portato con sé; in secondo luogo, che la mia decisione di procedere alla votazione di quell’emendamento soppressivo era stata preceduta da un intervento esplicito del Presidente della Commissione, che soltanto dopo il suo assenso avevo deciso in conseguenza. Lo stesso onorevole Lussu, dopo queste spiegazioni, ha compreso la logica e la giustezza del procedimento e non ha più sollevato obiezioni.

Debbo soltanto dire che eccezioni, a questo proposito, avrebbero dovuto essere avanzate ed accolte prima della votazione; oggi è evidente che il richiamo può avere solo più carattere di rammarico, ma non può inficiare la validità del voto di ieri Per la votazione avvenuta successivamente, sull’emendamento dell’onorevole Arata, non voglio pregiudicare le decisioni del Comitato di redazione e poi quelle della Assemblea, ma osservo che non mi pare vi sia contradizione. L’Assemblea, quando le è stato sottoposto il problema di non introdurre nella Costituzione nessuna casistica di impugnabilità, nella sua maggioranza, ha deliberato onorevolmente.

D’altra parte, onorevole Moro, non si pone a priori una questione di preclusione. Si potrebbero sollevare queste questioni, prima che la votazione avvenga e non dopo, perché se si permettesse di sollevare la eccezione di preclusione a votazione avvenuta, non vi sarebbe nessuna votazione che potesse ritenersi definitivamente valida.

Vi potranno essere talvolta contradizioni, tra i risultati di due votazioni. Il deputato che lo ritenga, può porre la questione al Comitato di redazione, oppure all’Assemblea nel momento in cui avrà di fronte tutto il testo della Costituzione per l’approvazione definitiva. Allo stato della discussione, non ci resta, quindi, che proseguire l’esame dell’articolo 128 e degli articoli successivi.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Ho chiesto di parlare anzitutto per giustificare la sede che ho scelto per proporre questa questione. Io ho l’impressione che la questione sia più vasta che non quelle spettanti al Comitato di coordinamento. Pur avendola posta però in questa sede ed in questi termini, come una riserva doverosa da parte mia, per non attardare i lavori dell’Assemblea, accetto che sia rimessa al Comitato di coordinamento per le decisioni.

Circa il secondo rilievo del Presidente, vorrei poi dire che non ho già inteso di affermare che il Presidente abbia violato delle norme regolamentari ponendo in votazione l’emendamento soppressivo così come esso era stato proposto; ho soltanto rilevato che si era seguita una procedura non consueta nei nostri lavori. Ricordo benissimo che la procedura era stata accettata dal Presidente della Commissione. Fu solo per deferenza verso la sua persona e per non prolungare i lavori che io non credetti di sollevare eccezioni sulla procedura nella seduta di ieri sera. Quindi, solo mi son permesso di ricordare che, se la questione fosse stata posta in modo positivo anziché negativo, quella contradizione sarebbe apparsa più chiara.

Per quanto poi riguarda la sostanza della contradizione, cedo, se l’onorevole Presidente me lo consente, la parola all’onorevole Dominedò.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Desidero rilevare che, qualora si dimostri che sussista un’autentica contradizione, come a noi fermamente sembra, fra la seconda votazione relativa all’emendamento Arata e la prima relativa all’emendamento Gullo, a noi pare che sia proprio questa la sede per affrontare il problema (Commenti), poiché allora non si tratterebbe di nuova opera di coordinamento, bensì del venir meno di una decisione contrastante, con altra validamente presa in precedenza.

Io ho seguito, signor Presidente, con attenzione la sua risposta. Ma mi permetto di farle osservare che l’emendamento dell’onorevole Gullo tendeva alla soppressione del comma approvato dall’Assemblea, proprio in quanto esso contempla l’azione del singolo attraverso l’incidente di incostituzionalità nel corso del giudizio. Appare, quindi, chiaro che la reiezione di un emendamento così specificamente motivato porti, come diretta conseguenza, alla volontà di conservare questo istituto a garanzia del singolo. Ed allora, se così è, il successivo emendamento che pretenderebbe di rinviare alla legge la garanzia voluta dall’Assemblea, si pone in evidente contradizione con la precedente votazione.

Ma v’è qualcosa di più. Quando l’onorevole Gullo ci dice: io desidero, io reputo opportuno che l’istituto della Corte costituzionale funzioni esclusivamente attraverso una specie di azione popolare, mediante cioè quella messa in moto prevista dal secondo comma dell’articolo 128, in forza del quale la dichiarazione di incostituzionalità può essere promossa solamente dal Governo e da determinate percentuali di deputati o elettori, quando ciò si dice, si viene necessariamente ad escludere ogni altra forma di azione o d’iniziativa. Viceversa l’Assemblea ha già riconosciuto il diritto del singolo di sollevare eccezione di incostituzionalità nel caso concreto, istituendo così nell’ambito della giustizia legislativa qualcosa di parallelo a quanto già opera nel settore della giustizia amministrativa, in cui appunto è data facoltà al singolo di sollevare eccezione nei confronti di un suo presunto diritto leso. È pertanto evidente che se ci ritenessimo vincolati ai risultati della seconda votazione, verremmo per ciò stesso a contradire quanto già avevamo deliberato, riaprendo la questione se debba o non debba essere riconosciuta nella Costituzione l’azione del singolo, anzi dando risposta negativa al quesito già risolto affermativamente col voto dell’Assemblea.

Poiché dunque noi siamo dinanzi a una regolare e valida pronuncia dell’Assemblea Costituente, io faccio appello a tale pronuncia, acciocché in questa sede, o in quella di coordinamento, si deliberi di eliminare quanto con essa logicamente contrasti.

PRESIDENTE. Mi permetto di far osservare all’onorevole Dominedò che la votazione di cui si tratta ha espresso semplicemente il concetto che il diritto del singolo circa l’eccezione di incostituzionalità non deve essere definito costituzionalmente; ma nessuno afferma ora, che non debba esistere in generale.

Ho sott’occhio l’articolo 98, che è stato votato dall’Assemblea e che si riferisce ad un altro organismo nuovo nella struttura dello Stato, così come è nuova la Corte costituzionale, ed è il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. E proprio nei confronti di questo nuovo istituto l’Assemblea ha ritenuto che fosse sufficiente affermarne la creazione, rimettendo poi alla legge sia l’indicazione delle materie per le quali sarà competente sia le sue funzioni.

È evidente che, poiché i materiali relativi alla discussione, all’elaborazione della Costituzione rappresenteranno non soltanto termini di interpretazione, ma anche fonti di diritto per l’avvenire, la votazione avvenuta, in quanto esprime la volontà della maggioranza dell’Assemblea, che nella Corte costituzionale il singolo abbia diritto di procedibilità, non potrà restare ignorata ai futuri legislatori quando assolveranno il loro compito. Bisognerebbe sapere già fin d’ora che quei legislatori misconosceranno questa volontà manifestata dall’Assemblea per poter affermare che la votazione successiva è stata, in contradizione con l’intenzione prima manifestata dall’Assemblea.

Comunque, non entriamo nel merito, onorevoli colleghi; è sufficiente, mi pare, stabilire questo a garanzia della validità dei nostri lavori: che le varie votazioni sono avvenute in forma regolare; che l’Assemblea stessa ha, fin dall’inizio dei suoi lavori, attraverso il Comitato di redazione, precostituito un organismo, il quale è indicato all’identificazione di casi del genere di quelli prospettati dall’onorevole Moro, e che, se non della loro soluzione, è investito dell’incarico di segnalarli all’Assemblea, perché una soluzione venga ad essi data.

Ciò dichiarato e constatato, penso che possiamo proseguire nei nostri lavori.

Abbiamo da esaminare l’ultimo comma dell’articolo 128 del seguente tenore:

«Se la Corte dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata alle Camere, perché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali».

Nel testo, come i colleghi hanno constatato dalla lettura che ne ho fatto, è stato soppresso l’inciso «nell’uno o nell’altro caso», per adeguare questo comma ai precedenti, e al posto della parola «Parlamento», secondo il suggerimento dell’onorevole Perassi, è stato sostituito il termine «Camere».

ARATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Desidero ricordare che io avevo chiesto di sostituire alla parola «se» la parola «quando».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta la sostituzione.

PRESIDENTE. Allora pongo in votazione il terzo comma con la modifica testé accolta:

«Quando la Corte dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata alle Camere, perché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali».

(È approvato).

L’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Mastino Pietro decade in conseguenza delle votazioni fatte nella seduta pomeridiana di ieri.

L’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Mastino Pietro è del seguente tenore:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Il magistrato dovrà rimettere gli atti alla Corte costituzionale quando ritenga che le leggi che dovrebbe applicare siano contrarie alla Costituzione dello Stato».

Vi è poi l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Martino Gaetano del seguente tenore:

«Nell’ipotesi di cui al primo comma di questo articolo, la legge dichiarata incostituzionale dalla Corte non si applica alle controversie».

Anche quest’emendamento – come l’onorevole Martino Gaetano potrà egli stesso confermare – presupponeva la votazione dei primi due commi e quindi anch’esso decade. Vi è poi un articolo 128-bis proposto dall’onorevole Benvenuti, del seguente tenore, già svolto. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La dichiarazione di incostituzionalità può essere altresì promossa in via principale dal Presidente della Repubblica ogni qualvolta egli ravvisi nei provvedimenti legislativi, che gli vengono proposti per la promulgazione, disposizioni inconciliabili con gli ordinamenti costituzionali della Repubblica ovvero con le libertà e coi diritti garantiti ai cittadini dalla Costituzione.

«Il Presidente della Repubblica non può promuovere azione di incostituzionalità oltre i termini di promulgazione della legge di cui all’articolo 71.

«È facoltà del Presidente della Repubblica di sospendere la promulgazione degli atti per i quali abbia promosso dichiarazione di incostituzionalità sino a quando non sia intervenuta la decisione della Corte costituzionale.

«Gli atti del Presidente della Repubblica di cui al precedente articolo non richiedono la controfirma ministeriale».

«Subordinatamente, fermi restando i primi due commi dell’emendamento, sostituire i successivi due commi come segue:

«Ove intervenga, entro i termini di cui all’articolo 71, dichiarazione di incostituzionalità, il Presidente della Repubblica non dà corso alla promulgazione.

«Qualora il Presidente della Repubblica non possa promuovere azione di incostituzionalità per mancanza della controfirma ministeriale di cui all’articolo 95, è riconosciuta al Presidente stesso la facoltà di promuovere tale azione a titolo personale negli stessi modi e cogli stessi effetti previsti dalla legge per gli altri cittadini, organi ed enti a ciò autorizzati».

BENVENUTI. Chiedo di parlare per dar ragione del ritiro dell’emendamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Nello svolgimento del mio emendamento avevo posto il problema generale dell’atteggiamento del Presidente della Repubblica di fronte a leggi incostituzionali. Avevo prospettato la necessità giuridica e morale che il Presidente della Repubblica rifiutasse la promulgazione a leggi incostituzionali.

E, in considerazione del conflitto che si verrebbe a creare fra potere legislativo e Capo dello Stato, io avevo proposto come rimedio il deferimento della questione al giudizio della Corte costituzionale, giudizio a cui il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto attenersi.

Il parere della Commissione su questo mio emendamento è stato negativo. Dico francamente che vi sarebbe da nutrire profonda preoccupazione e accorata tristezza per le sorti della libertà nel nostro Paese se questa dovesse essere l’ultima parola, specialmente data la motivazione della onorevole Commissione. La quale ha motivato la sua reiezione anzitutto affermando che vi sarebbe a favore del Presidente il rimedio del rinvio alla nuova deliberazione delle Camere: rimedio questo ripetutamente denunciato come inefficiente, in quanto in nessun caso il Presidente della Repubblica potrebbe rinviare il provvedimento alle Camere senza la controfirma ministeriale, e nessun Governo – espressione della maggioranza che abbia votato quella legge incostituzionale – sarebbe in condizione di apporre la propria firma ad un atto con cui il Presidente della Repubblica denunciasse al Parlamento l’incostituzionalità della legge.

In secondo luogo, onorevoli colleghi, la Commissione ha motivato così: Dobbiamo evitare al Presidente della Repubblica il disdoro, la perdita di prestigio che potrebbe derivargli dal fatto che il suo parere in materia costituzionale risulti diverso da quello della Corte costituzionale emesso nella sua sentenza.

Ora io sono commosso, profondamente commosso di questa delicatezza usata verso la figura del Presidente; però, onorevoli colleghi, io mi preoccupo di usare ben altro riguardo al Presidente della Repubblica e di evitargli cioè la situazione intollerabile, non dico per il primo cittadino della Repubblica, ma per qualsiasi cittadino che abbia coscienza delle libertà costituzionali, la situazione intollerabile cioè di dover con la sua firma, con la sua promulgazione, apporre l’exequatur a norme incostituzionali, che potrebbero essere violatrici dei diritti elementari di tutti i cittadini e delle libertà garantite dalla Costituzione della Repubblica.

E di questo mi sono preoccupato: di usare questo riguardo al Presidente della Repubblica, di evitargli tale assurda situazione. E su questo punto la Commissione è rimasta completamente negativa. Permetta la Commissione che di questo argomento mi occupi io.

E ritiro questo emendamento in questa sede per riaprire lo stesso problema in sede di discussione all’articolo 130.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo parere.

ROSSI PAOLO. L’onorevole Benvenuti riapre la grave questione del potere personale del Presidente, che abbiamo larghissimamente discusso con l’intervento dei maggiori costituzionalisti che partecipano a questa Assemblea.

Vorrei concorrere a tranquillizzare i suoi scrupoli in qualche modo.

È vero che il Presidente della Repubblica non può giovarsi del disposto dell’articolo 72, se non con atto di Governo, controfirmato dal Ministro responsabile. Ma vediamo che cosa avverrà in pratica, onorevole Benvenuti.

I due poteri, le due persone, il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente della Repubblica, hanno pure dei contatti, dei rapporti. Supponiamo che il Governo sottoponga una legge non costituzionale alla firma del Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica farà le sue personali rimostranze, le sue personali insistenze perché si ricorra al procedimento dell’articolo 72 e la legge sia eventualmente riproposta, per nuovo esame, al Parlamento. O si troveranno d’accordo i due uomini eminenti, entrambi sensibili ai problemi costituzionali, entrambi sensibili ai problemi della libertà e del decoro del Paese, ed allora l’articolo 72 funzionerà; o non si troveranno d’accordo e la extrema ratio del Presidente della Repubblica che ricusa di partecipare con la sua autorità, sia pure formale, alla formazione di leggi anticostituzionali, si manifesterà con le dimissioni.

Il Presidente della Repubblica aprirà la crisi costituzionale ed il Paese finirà per decidere attraverso le elezioni.

Ella accenna al prestigio del Capo dello Stato, e dice che la Commissione tutelerebbe meno il prestigio sostanziale del Capo dello Stato avendo riguardo a un prestigio meramente formale.

È peggio (mi pare di interpretare l’opinione dell’onorevole Benvenuti), un Presidente della Repubblica che firma una legge incostituzionale, violatrice della libertà dei cittadini, che non un Presidente che si veda eventualmente sconfessato dalla Corte costituzionale.

Nell’un caso si tratta di un prestigio di sostanza, storico, e nell’altro caso si tratta di un prestigio di forma che rimane nella cronaca.

Aderisco al concetto dell’onorevole Benvenuti, ma ricordo che quella suprema via di salvare la propria coscienza, a cui facevo accenno poc’anzi a proposito dell’articolo 72, rimane sempre aperta. Meglio, assai meglio un Presidente della Repubblica che si dimetta prima, denunciando Governo e maggioranza per la incostituzionalità di una legge, che non un Presidente costretto a dimettersi dopo, quando la Corte costituzionale abbia respinto il suo ricorso.

Mi pare con questo di esser riuscito a diminuire le preoccupazioni dell’onorevole Benvenuti, al quale faccio infine osservare che dopo la votazione dell’emendamento Arata, anche la materia della sua proposta resta sottoposta al legislatore dell’avvenire.

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 129. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La legge stabilisce le norme che regolano i conflitti di attribuzione e la composizione e il funzionamento della Corte costituzionale».

PRESIDENTE. Il seguente emendamento dell’onorevole Martino Gaetano è stato già svolto:

«Sopprimere le parole: e la composizione».

Ricordo, a questo proposito, che l’Assemblea ha approvato il modo con cui la Corte deve essere composta, e pertanto, queste parole andrebbero soppresse anche per una ragione di coordinamento.

L’onorevole Arata ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: che regolano, aggiungere le seguenti: le azioni d’incostituzionalità».

Ha facoltà di svolgerlo.

ARATA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: della Corte costituzionale, aggiungere le parole: e le garanzie di indipendenza dei suoi componenti».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Nel mio emendamento si propone un’aggiunta che non ha bisogno di essere illustrata. La legge che regolerà la Corte costituzionale dovrà fra l’altro, evidentemente, determinare anche le condizioni che assicurino l’indipendenza dei componenti la Corte, così come esistono delle norme che assicurano l’indipendenza degli altri giudici. Si tratta, dunque, di un’aggiunta che va da sé. Il Comitato di redazione credo avrà la cura di vedere in che modo questo articolo 129 potrà coordinarsi con il testo dell’articolo 128, quale è risultato in conseguenza dell’approvazione dell’emendamento Arata.

PRESIDENTE. Chiedo alla Commissione di esprimere il suo parere.

ROSSI PAOLO. Con l’espressa riserva di ritoccare l’articolo in sede di coordinamento, la Commissione accetta l’emendamento Perassi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. La parola «composizione» ha qui un particolare significato e cioè che i modi, la procedura per l’elezione dei membri della Corte devono essere determinati per legge. Credo quindi che in questo senso non ci sia nessuna ragione di sopprimere quella parola, e chiedo al Presidente di metterla in votazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Martino Gaetano non è presente.

CONDORELLI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Martino.

PRESIDENTE. Allora votiamo per divisione. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo:

«La legge stabilisce le norme che regolano i conflitti di attribuzione».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole: «la composizione».

Ricordo che v’è la proposta soppressiva fatta propria dall’onorevole Condorelli.

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Pongo in votazione l’ultima parte dell’articolo con l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Perassi, accettato dalla Commissione:

«e il funzionamento della Corte costituzionale e le garanzie di indipendenza dei suoi componenti».

(È approvata).

L’articolo 129 risulta approvato nel suo complesso così;

«La legge stabilisce le norme che regolano i conflitti di attribuzione, la composizione e il funzionamento della Corte costituzionale e le garanzie d’indipendenza, dei suoi componenti».

Vi è ora un articolo aggiuntivo 129-bis dell’onorevole Martino Gaetano, già svolto:

«Non sono sindacabili da parte della Corte costituzionale le leggi approvate mediante referendum popolare».

Esso non ha ragione di essere, perché la Costituente ha conservato nell’articolo 72 soltanto il referendum abrogativo.

L’onorevole Codacci Pisanelli ha anche egli presentato un articolo 129-bis: se he dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Corte costituzionale è competente a conoscere delle violazioni del diritto umano e dei diritti internazionali.

«Essa potrà, inoltre, sospendere l’efficacia delle leggi costituzionali impugnate dagli interessati perché ledano diritti della personalità, rinviandole al Parlamento per il decisivo riesame».

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli mi deve dare atto che, per ciò che si riferisce alla competenza della Corte costituzionale, l’Assemblea ha già lungamente discusso e replicatamente votato in sede di articolo 126. È da supporre che in quell’ambito siano state incluse tutte le competenze che ad essa s’intendono dare. Per ciò che si riferisce al secondo comma, è una riassunzione, sotto diversi aspetti, del contenuto dei primi due commi dell’articolo 128. Pertanto, mi pare che l’emendamento non possa essere posto in votazione.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Ritenevo che si trattasse di una competenza diversa di quella di cui ci siamo occupati finora; poiché abbiamo esaminato soltanto la competenza in relazione alle leggi ordinarie. Pensavo invece ad una particolare competenza relativa alle leggi costituzionali; ed avevo proposto questo emendamento per il caso in cui si fosse voluto prevedere nel nostro sistema un organo competente a giudicare dei delitti internazionali.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Rossi Paolo di esprimere il parere della Commissione, se ritiene cioè che l’emendamento abbia possibilità di essere accolto.

ROSSI PAOLO. Prego l’onorevole Codacci Pisanelli di non insistere; la Commissione dovrebbe esprimere parere contrario, per ragioni tecniche, che esporrò, se l’onorevole Codacci insisterà.

CODACCI PISANELLI. Se si ritiene che vi sia una preclusione, non ho nessuna difficoltà a ritirare l’emendamento. Se invece, come penso, non vi è preclusione al riguardo, perché si tratta di competenza completamente diversa da quella esaminata finora, ritengo opportuno di svolgere il mio emendamento, perché l’Assemblea possa esaminare tutti i problemi che si riconnettono a questo argomento.

PRESIDENTE. Poiché la Commissione ha espresso lo stesso mio avviso, mi riconfermo nella convinzione che vi sia preclusione nella presentazione del suo emendamento, che pertanto non può essere accolto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prima di passare all’esame della sezione II, riguardante la revisione della Costituzione, propongo che l’Assemblea si occupi di un argomento, che è stato rimandato, ma che si riferisce direttamente alla competenza della Corte costituzionale, cioè il giudizio sopra il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati nelle forme di legge, previsto nel terzo comma dell’articolo 126.

Siccome dobbiamo ritornare sopra questa norma, e siccome sono stati presentati emendamenti, ritengo sia opportuno esaurire questa materia.

PRESIDENTE. Sta bene. Il terzo comma dell’articolo 126 dice:

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

L’onorevole Gullo Fausto ha già svolto il seguente emendamento:

«Sopprimerlo».

Così pure l’onorevole Musolino ha svolto il suo:

«Rinviarlo al Titolo I della II parte del progetto, nel testo seguente: Le due Camere, costituite in Alta Corte di giustizia, giudicano il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati di reati di alto tradimento».

L’onorevole Mortati aveva proposto il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Per i giudizi relativi alle accuse contro il Capo dello Stato ed i Ministri, si aggiungono ai membri ordinari 16 altri cittadini eleggibili ad ufficio politico, scelti dal popolo con elezioni indirette, secondo le modalità che saranno stabilite dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. L’articolo 126 affidava il giudizio sull’accusa del Presidente della Repubblica e dei Ministri alla Corte costituzionale. Mentre la Corte costituzionale, nella sua attività ordinaria di sindacato delle leggi, esplica un’attività strettamente giurisdizionale e, quindi, deve essere composta in armonia col contenuto di questa funzione, viceversa nel giudizio sull’accusa, essa viene a rivestire un carattere più spiccatamente politico; ciò perché, a tenore della disposizione a suo tempo approvata, l’accusa a questi organi supremi dello Stato non si inquadra necessariamente nell’ambito della comune azione penale. Le formule adottate: «violazione della Costituzione» in generale, o «delitto di tradimento», sono espressioni lasciate volutamente in una sfera un po’ generica, tale da consentire che l’accusa sia sollevata anche per fatti che non rivestono la figura di veri e propri reati ai sensi del Codice penale. Appare di conseguenza necessario, che il giudice sia formato in modo da potere formulare valutazioni di accuse tali, da esigere una preparazione e sensibilità non esclusivamente giuridiche. Questa è la ragione della mia proposta, secondo la quale la composizione della Corte nei giudizi in parola viene integrata con l’aggiunta di un numero, equivalente agli ordinari, di membri scelti dalle Camere riunite al principio di ogni legislatura. Quest’ultima modalità ha lo scopo di impedire che i giudici siano nominati al momento dell’accusa e che, quindi, l’accusatore orienti la sua scelta in modo da pregiudicare l’imparzialità dei giudici.

PRESIDENTE. Vi è poi una proposta di emendamento sostitutivo degli onorevoli Ambrosini, Tosato, Moro, Uberti, Codacci Pisanelli, Bellato, Cappi, Giacchero, Rescigno, Cimenti e Corbino:

«Il Presidente della Repubblica ed i Ministri messi in stato di accusa dalla Camera dei deputati a norma della Costituzione sono giudicati dal Senato costituito in Alta Corte di giustizia».

AMBROSINI. Ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

ROSSI PAOLO. La Commissione accetta l’emendamento dell’onorevole Mortati. Fra la competenza della Corte costituzionale, la quale verrebbe ad acquistare con un piccolo numero di giudici una suprema autorità, e la competenza del Parlamento, (mi pare che in ciò si concreti la proposta dell’onorevole Musolino), a nostro avviso la proposta dell’onorevole Mortati raggiunge un giusto mezzo assai sodisfacente. Infatti, secondo l’emendamento Musolino, i giudici verrebbero ad essere praticamente 850 o 900, giudici di una imputazione di carattere non solo politico, ma di carattere criminale o politico-criminale. Siffatto imponente numero di giudici renderebbe difficilissima la procedura e molto ardua una decisione ragionata; basta pensare al mutarsi continuo di questi 900 magistrati, i quali dovrebbero sedere «pro tribunali» per giudicare il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati.

Ho un ricordo storico, a questo proposito, quello del processo di Napoleone III, allora solo principe Luigi Bonaparte, imputato per lo sbarco di Boulogne, dopo il suo primo tentativo. Di questo processo, celebratosi dinanzi alla Corte dei Pari, ho letto i verbali: fu un processo caotico, difficile, slegato. I membri che erano presenti ad una seduta non lo erano all’altra ed alla fine del giudizio non si capiva più nulla. Stando alla proposta Musolino, il Collegio che alla fine dovrebbe giudicare, non sarebbe più lo stesso Collegio che avrebbe assistito alle sedute del processo.

La Commissione non crede, dunque, di accettare l’emendamento. L’importanza era quella di avere dei giudici precostituiti, per impedire che la stessa maggioranza che ha posto in stato di accusa il Presidente e i Ministri, stabilisca anche quali giudici debbano giudicarli. Con l’emendamento Mortati il giudice rimane appunto precostituito, perché i giudici della Corte costituzionale sono tali di diritto, e perché gli altri quindici membri di nomina parlamentare debbono essere nominati in principio di legislatura.

La nostra Commissione crede di poter aderire con tranquilla coscienza all’emendamento dell’onorevole Mortati.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Subordinatamente all’approvazione dell’emendamento soppressivo, faccio mio l’emendamento presentato dall’onorevole Ambrosini, testé ritirato.

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Vorrei rispondere all’onorevole Preti che, secondo il testo che già abbiamo votato, non occorre che l’accusa sia fatta dal Parlamento in entrambi i suoi rami, perché può essere fatta anche da un solo ramo del Parlamento. Potrebbe, infatti, avvenire che il solo Senato ponesse il Governo in istato di accusa e che il solo Senato giudicasse quindi il Governo, che si avesse cioè la riunione nel Senato delle due qualità di accusatore e giudice, il che sarebbe nuovo e non conveniente.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Io osservo che c’è una preclusione: noi abbiamo già votato un articolo secondo il quale l’accusa del Presidente della Repubblica e dei Ministri è fatta dal Parlamento a Camere riunite. Pertanto il Parlamento non può essere anche giudice.

PRESIDENTE. Noi abbiamo già votato l’articolo 90 che dice: «Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri sono messi in istato di accusa dal Parlamento in seduta comune per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni».

Comunque io porrò prima in votazione il testo del terzo comma; gli emendamenti che sono stati proposti a questo riguardo debbono essere considerati come emendamenti aggiuntivi.

Vi è l’emendamento Ambrosini, fatto proprio dall’onorevole Preti, il quale propone una formula diversa di giudizio a proposito della Corte costituzionale, e parimenti la proposta dell’onorevole Musolino. Porremo, pertanto, in votazione dapprima la proposta dell’onorevole Musolino, quindi quella dell’onorevole Preti.

PRETI. Vi è un emendamento soppressivo.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, poiché ciascuno di questi emendamenti propone una costruzione in sé completa, non si può porre in votazione l’emendamento soppressivo, e tutti i membri dell’Assemblea, i quali ritengano che non debba parlarsi dell’argomento nella Costituzione, potranno esprimere tale loro atteggiamento votando contro tutti gli emendamenti proposti.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Vorrei domandare alla Commissione quale giudizio essa dà intorno alla questione della preclusione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi pare vi sia una certa confusione in tutto questo. È evidente che la Camera mette in istato d’accusa il Presidente della Repubblica e i Ministri attraverso una sua maggioranza; si tratta, quindi, di una deliberazione che avviene attraverso la solita procedura. Per il giudizio invece, può essere richiesta una maggioranza qualificata; tutto questo si potrà decidere in sede di regolamento delle due Camere.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi, ha qualche cosa da aggiungere al quesito formulato dall’onorevole Moro?

ROSSI PAOLO. Osserverò semplicemente all’onorevole Moro che una preclusione vera e propria qui in sostanza non c’è: io non la vedo. C’è però qualche cosa di peggio che una preclusione: c’è una incongruenza, perché in realtà, quando la maggioranza abbia messo in istato d’accusa il Presidente della Repubblica o i Ministri, essa avrebbe con ciò già emesso la sentenza.

Non vediamo una preclusione in senso tecnico, ma vediamo un’assurdità così stridente da indurci a pregare l’onorevole presentatore di voler ritirare l’emendamento.

MUSOLINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MUSOLINO. Vorrei rilevare che la Corte costituzionale, dopo che è stato respinto l’emendamento Laconi e dopo quanto l’Assemblea ha deliberato ieri, viene nominata, in ragione di un terzo dei suoi membri, dal Presidente della Repubblica. Mi pare quindi che, in tal modo, si venga a creare una incompatibilità, perché, in sostanza, chi giudica sarebbe colui stesso che è nominato da chi viene messo in istato d’accusa.

Reputo, quindi, che l’emendamento Mortati non possa per questa ragione essere accettato.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Vorrei osservare all’onorevole Musolino che, secondo l’emendamento dell’onorevole Mortati, l’inconveniente che egli rileva non può preoccupare. Infatti la maggioranza dei giudici, secondo il sistema che abbiamo creato, sarebbe sempre nominata dal Parlamento: credo che l’onorevole Musolino avrà presenti gli articoli approvati cui alludo.

Alcuni membri della Corte costituzionale saranno, sì, di origine presidenziale, ma una grande maggioranza, 21 su 30, resta di origine parlamentare.

PRESIDENTE. Mi pare che le due argomentazioni dell’onorevole Moro e dell’onorevole Musolino reciprocamente si elidano.

Vi sarebbe preclusione – salva la validità che riconosco di ciò che ha detto l’onorevole Rossi – tanto nei confronti della proposta dell’onorevole Musolino (preclusione sollevata dall’onorevole Moro), quanto della proposta dell’onorevole Mortati (preclusione sollevata dall’onorevole Musolino).

Ritengo che in questa sede i due emendamenti non abbiano carattere preclusivo, appunto perché si deve vedere poi in quale modo si dovranno organizzare nel loro interno gli organi destinati ad adempiere queste funzioni.

Faccio presente che ad esempio, a proposito della costituzione del Senato in Alta Corte di giustizia, l’ultimo Regolamento del Senato disponeva la nomina di un’apposita Commissione per il giudizio all’inizio di ogni legislatura; per cui, non si poneva più la questione della incompatibilità fra le funzioni sommate di accusatori e di giudici, dato che la Commissione per il giudizio non si identificava più con tutto il Senato, ma rappresentava un organo da questo distinto.

MUSOLINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MUSOLINO. Alla fine del mio emendamento, propongo di fare la seguente aggiunta:

«La legge regola il funzionamento dell’Alta Corte».

Così sono eliminati i dubbi ora sollevati.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo alle votazioni. Dovrò porre dapprima in votazione l’emendamento dell’onorevole Musolino con l’aggiunta testé proposta. Il testo definitivo è pertanto del seguente tenore:

«Le due Camere, costituite in Alta Corte di giustizia, giudicano il Presidente della Repubblica e i Ministri accusati di reati di alto tradimento.

«La legge regola il funzionamento dell’Alta Corte».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che votiamo contro l’emendamento Musolino per le ragioni già esposte, e chiediamo l’appello nominale.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Chiediamo la votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Nel concorso fra le due domande, prevale quella dello scrutinio. La richiesta di votazione a scrutinio segreto è firmata dagli onorevoli Preti, Cairo, Nasi, Tonello, Laconi, Stampacchia, Nobile, Bordon, Gullo Fausto, Binni, Momigliano, Villani, Lombardi Carlo, Tega, Costantini, Musolino, Fornara, Lami Starnuti, Filippini, Grassi.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sulla formulazione proposta dall’onorevole Musolino in sostituzione dell’ultimo comma dell’articolo 126.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     279

Maggioranza           140

Voti favorevoli        114

Voti contrari            165

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Arata – Arcangeli.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barontini Anelito – Bartalini – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Braschi – Bubbio – Bucci.

Cacciatore – Caccuri – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Cimenti – Clerici – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Corbino – Corsi – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Covelli – Cremaschi Carlo – Crispo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – Del Corto – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – D’Onofrio.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.     

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giacchero – Giolitti – Giordani – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Morandi – Moranino – Moro – Mortati – Moscatelli – Murdaca – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Pesenti – Pistoia – Platone – Ponti – Preti – Priolo – Proia – Pucci.

Quintieri Adolfo.

Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Rodi – Romita – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor –Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella.

Targetti – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Veroni – Vicentini – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caso – Cavallari.

Dugoni.

Garlato – Ghidini – Gortani.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni – Varvaro – Viale.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato al pomeriggio.

Avverto che i lavori, nella seduta pomeridiana, saranno protratti fino alle ore 22, con una brevissima interruzione di mezz’ora verso le ore 19.

La seduta termina alle 13.

MARTEDÌ 2 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cccxv.

SEDUTA DI MARTEDÌ 2 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Per un incidente al Congresso del Partito liberale:

Minio

Presidente

Corbino

Inversione dell’ordine del giorno:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Targetti

Laconi

Mastino Pietro

Dominedò

Macrelli

Canevari

Lussu

Martino Gaetano

Moro

Cevolotto

Persico

Perassi

Nobile

Ambrosini

Fabbri

Uberti

Candela

Bubbio

D’Aragona

Gullo Fausto

Mortati

Codacci Pisanelli

Mastino Gesumino

Rossi Paolo

Moro

Arata

Corbino

Condorelli

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Presentazione di una relazione:

Mastino Gesumino

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alla 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Per un incidente al Congresso del Partito liberale.

MINIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MINIO. Ho chiesto di parlare, perché ritengo necessario elevare una parola di protesta in quest’Aula contro l’insulto che ieri sera è stato fatto, nel corso della seduta pomeridiana del Congresso del Partito liberale, alla persona del Presidente della nostra Assemblea Costituente. Ritengo che nessun congresso sia obbligato ad invitare il nostro Presidente; ma, una volta che si vuole invitarlo, è dovere che sia fatto rispettare, perché egli rappresenta la nostra Assemblea, la prima Assemblea liberamente eletta dal popolo italiano.

Mi rammarico che un incidente così increscioso sia potuto avvenire e ritengo giusto esprimere qui il nostro sdegno per il fatto deplorevole, che dimostra, fra l’altro, la cattiva educazione di certe persone.

Non conosco il nome del delegato che si è permesso di ingiuriare un ospite nel suo Congresso; so soltanto che si è qualificato rappresentante dei liberali siciliani.

Egli ha detto che non era giusto usare cortesia «verso delle persone che adoperano il coltello». Io ritengo che il coltello lo adoperino soltanto i mafiosi siciliani, i soli che costui rappresentava al congresso liberale.

Prendo atto della protesta sollevata dall’onorevole Lucifero nella stessa sede del Congresso. Ma ho l’impressione che le sue parole siano state la difesa di un avvocato di ufficio.

Non mi interessa sapere se la carica che ricopre l’onorevole Terracini sia o non sia un’alta carica dello Stato: è una cosa che mi preoccupa ben poco. Quello che so, è che alto è il nome di Umberto Terracini, che per la libertà ha sacrificato tutta la sua vita. (L’Assemblea sorge in piedi e applaude lungamente).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, se mi permette, vorrei, prima di darle la parola – e dopo le dichiarazioni dell’onorevole Minio – render noto che ieri sera stessa, in amichevoli e cordialissimi incontri, quella che credo di poter ritenere un’uscita verbale non ponderata di una persona che, nella sua individualità, non può certo pretendere di rappresentare un pensiero collettivo, è stata ridotta ad episodio senza importanza e rilievo.

Penso, d’altra parte, che l’unico elemento che avrebbe potuto eventualmente farlo prendere in considerazione e cioè una mancanza di rispetto all’Assemblea, sia del tutto mancato in questo episodio banalissimo. Ripeto che in ogni congresso, non può intendersi coinvolta la responsabilità collettiva nel gesto e nella parola di una persona sola. (Vivissime approvazioni).

Ha facoltà di parlare l’onorevole Corbino.

CORBINO. Io ringrazio il Presidente di aver voluto informare l’Assemblea delle parole che, a nome del Gruppo parlamentare liberale, io ho voluto recargli nel suo Gabinetto ieri sera, quando ho saputo dell’incidente. Incidente di cui non credo sia il caso di drammatizzare la portata perché, da parte nostra, non è mai mancato il senso di rispetto, non alla carica soltanto del Presidente dell’Assemblea Costituente, ma alla persona di Umberto Terracini, a cui tutti riconosciamo che svolge l’opera inerente alla sua carica con quel senso di dirittura morale e di superiorità personale che occorre in un Presidente di una Assemblea, come quella della quale noi tutti facciamo parte.

Con queste parole io intendo che, se pure qualche minima traccia di quello che il Presidente ha voluto chiamare un banale incidente fosse ancora rimasta nell’animo di qualcuno, questa traccia sia completamente eliminata, perché ad Umberto Terracini ed al Presidente dell’Assemblea confermiamo intiera la nostra stima e la nostra devozione. (Vivissimi applausi).

Inversione dell’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, propongo di invertire l’ordine del giorno, e di passare quindi, senz’altro, al seguito della discussione del progetto di Costituzione, rinviando a più tardi la votazione segreta sui disegni di legge che sono stati discussi ieri

(Così rimane stabilito).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati svolti tutti gli emendamenti agli articoli 127 e 128.

Mi perviene ora un emendamento, sostitutivo del quarto comma dell’articolo 127, presentato dagli onorevoli Ambrosini, Cappi, Tosato, Moro, Uberti, Codacci Pisanelli.

Poiché l’altra sera eravamo rimasti d’intesa che sarebbero stati accolti ancora emendamenti all’articolo 128, se fosse stato reso necessario dalle conclusioni che si sarebbero prese relativamente all’articolo 127, accetto questo emendamento, senza tuttavia dare ai presentatori la facoltà di svolgerlo.

L’emendamento è del seguente tenore:

«I giudici durano in carica dodici (o nove) anni e sono rinnovabili per un terzo ogni quattro (o tre) anni.

«La rinnovazione avverrà per estrazione a sorte nell’ambito di ognuno dei tre gruppi di membri della Corte rispettivamente nominati dal Presidente della Repubblica, dal Parlamento riunito in seduta comune e dal Consiglio superiore della Magistratura.

«Alla sostituzione dei giudici cessati dall’ufficio si procede con lo stesso sistema di nomina di cui al primo comma del presente articolo».

Pregherei l’onorevole Ruini di esprimere il parere del Comitato su questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho potuto riunire il Comitato e promuovere il suo parere, perché l’emendamento è stato presentato proprio ora.

Come opinione personale mia, dopo qualche scambio di idee che ho avuto, osservo che lo scopo di dare una certa continuità e durata alla Corte costituzionale era raggiunta nel senso che nel testo da noi accettato non si stabiliva un periodo molto lungo per la carica (sette anni), ma non si vietava la rieleggibilità, così che chi avesse fatto buona prova poteva essere confermato senza limite di tempo.

Ora si vuole prendere la via di una maggior durata (si parla di dodici anni), ma con rinnovazione periodica per estrazione a sorte. Non so se lo scopo sia raggiunto meglio in questo modo, più complicato e meccanico dell’altro.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Desidererei dalla Commissione un chiarimento su questo punto. Nella formula proposta dalla Commissione, a proposito delle categorie entro le quali devono essere scelti i componenti della Corte delle garanzie, non è specificato se quest’obbligo di stare entro i limiti delle categorie si estenda anche al Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a dare il chiarimento richiesto dall’onorevole Targetti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Posso dichiarare all’onorevole Targetti che il senso dell’emendamento accettato dal Comitato è questo: che le categorie sono stabilite per tutti, da qualunque fonte venga l’elezione. E ciò per assicurare in tutti le condizioni di competenza.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Devo confessare che io ed altri colleghi avevamo dato un’altra interpretazione; ma se questa è l’interpretazione – diciamo così – autentica della Commissione, allora noi vorremmo avere la possibilità, nonostante quello che ha dichiarato il nostro Presidente, di dare modo all’Assemblea di entrare in un ordine di idee diverso, vorremmo cioè presentare un emendamento che dica: «eletti dal Parlamento». Alle parole: «I membri della Corte costituzionale» aggiungere: «eletti dal Parlamento», e poi «debbono appartenere alle categorie, ecc.», in modo che l’Assemblea possa decidere se il Presidente della Repubblica deve avere una così limitata libertà di scelta. Dico subito che questa limitazione mi sembra inopportuna, perché (senza fare esempi, ma la possibilità di farne è manifesta) possono darsi casi in cui personalità della politica, od uomini eminenti in altri campi, siano indicati, per molte e molte qualità, a ricoprire quest’alto ufficio e non siano avvocati né professori di diritto.

È tanto vero che ciò può accadere, che può bastare guardarsi intorno per averne la conferma. Vedete, egregi colleghi, in questo momento passa davanti al mio banco l’onorevole Micheli. Chi potrebbe negargli le qualità per essere eletto alla Corte delle garanzie: eppure non sarebbe eleggibile! (Commenti).

PRESIDENTE. Sta bene. In analogia a quanto si è fatto per l’emendamento presentato dall’onorevole Ambrosini, ritengo che possiamo accogliere anche quello presentato in questo momento dall’onorevole Targetti. Allora, passiamo alla votazione dell’articolo 127 sul testo base presentato dagli onorevoli Conti, Monticelli, Leone Giovanni, Bettiol, Cassiani, Rossi Paolo, Avanzini, accettato dalla Commissione:

«Sostituirlo col seguente:

«La Corte costituzionale è composta di 15 membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dalle supreme Magistrature dell’ordine giudiziario e amministrativo.

«I membri della Corte costituzionale debbono appartenere alle seguenti categorie: magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori dell’ordine giudiziario e amministrativo; professori universitari di ruolo in materie giuridiche; avvocati dopo venti anni di esercizio, che con la loro nomina cessano di essere iscritti nell’albo professionale.

«La Corte elegge il presidente fra i suoi componenti.

«Il Presidente e i giudici durano in carica sette anni.

«L’ufficio di presidente o giudice della Corte costituzionale è incompatibile con quello di membro del Parlamento e dei Consigli regionali e con ogni carica od ufficio indicati dalla legge».

Al primo comma di questo articolo vi sono i seguenti emendamenti, già svolti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«I giudici della Corte sono nominati per un terzo dalla Camera dei deputati, per un terzo dal Senato e per un terzo dalle Assemblee regionali.

«Laconi, Molinelli, Landi, Nobile, Mattei Teresa, Montalbano, Barontini Ilio, Platone, Musolino, Boldrini, Noce Teresa, Rossi Maria Maddalena, Ricci Giuseppe, Togliatti, Bosi, Magnani».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica nomina un terzo dei componenti della Corte. Gli altri due terzi sono nominati per metà dalla Camera dei deputati e per metà dal Senato della Repubblica.

«Targetti».

È chiaro che ha precedenza nella votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Laconi. Su questa votazione è stato chiesto l’appello nominale dall’onorevole Laconi e da altri.

Faccio presente ai presentatori che questa richiesta può ritardare i nostri lavori.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei precisare, non c’è nessuna intenzione di ritardare i lavori dell’Assemblea; però la questione è di un interesse politico tale che non è possibile rinunziare alla richiesta di appello nominale.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Mentre in un primo momento ritenevo opportuno dare voto favorevole alla proposta, in base alla quale le Assemblee regionali dovrebbero contribuire alla nomina dei componenti la Corte costituzionale, in un secondo momento ho deciso di non votare questa proposta, in quanto mi sembra più opportuna quella contenuta nell’emendamento Perassi, che consente meglio alle Regioni di avere una propria voce nel seno della Corte costituzionale.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, in conformità di quanto è stato osservato nella precedente discussione, dichiaro, anche a nome dei miei colleghi di Gruppo, che noi voteremo per l’emendamento Conti, fatto proprio dalla Commissione, come quello che ci sembra rappresentare più equilibratamente ed armonicamente l’afflusso proporzionale dei vari poteri dello Stato nella composizione della sovrastante Corte costituzionale, contemperando così l’esigenza politica con quella tecnica per la formazione del Supremo organo giurisdizionale.

Voteremo contro, di conseguenza, gli emendamenti Targetti e Laconi, oggi proposti.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. L’altra sera ebbi occasione di richiamare l’attenzione, soprattutto dell’onorevole Laconi, sull’emendamento presentato dall’onorevole Perassi. Volevo chiedere all’onorevole Laconi se conosce l’emendamento presentato dall’onorevole Perassi, che concilierebbe il nostro pensiero ed il suo per tutelare i diritti e gli interessi delle Regioni, ed invito, pertanto, l’onorevole Laconi a ritirare il suo emendamento per ripiegare su quello dell’onorevole Perassi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il mio emendamento tende a sodisfare due esigenze: una è certamente quella di dare voce alle regioni; l’altra esigenza è che la composizione della Corte sia una composizione democratica. Ora, l’emendamento dell’onorevole Perassi aggiunge soltanto certe appendici regionali, ma non muta la composizione della Corte. Quindi, credo di non poter accedere alla proposta Perassi e mantengo pertanto il mio emendamento.

CANEVARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEVARI. A nome del mio Gruppo dichiaro che voteremo contro l’emendamento Laconi, perché voteremo a favore dell’emendamento Targetti. E vorrei cogliere l’occasione per pregare l’onorevole Laconi di non insistere sulla votazione per appello nominale, visto che dopo le dichiarazioni di voto espresse dai diversi gruppi, il suo emendamento presumibilmente non è destinato ad essere approvato.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io vedo nell’emendamento Laconi la buona volontà di creare un istituto democratico, ed in questo senso, esso merita tutta la nostra deferenza ed attenzione. D’altro canto, esaminando l’ultima parte del suo emendamento, è chiaro che i rappresentanti delle Regioni meno numerose, come gran parte del Mezzogiorno e del centro d’Italia, si troverebbero menomati, perché verrebbero a perdere quella rappresentanza che invece in altri emendamenti essi hanno. Pertanto, essendo la questione così importante, è chiaro che non possiamo vedere in questo emendamento lo stesso spirito democratico degli altri emendamenti. Noi voteremo pertanto contro e, quindi, l’onorevole Laconi e gli altri compagni farebbero opera serena se ritirassero la richiesta di appello nominale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Per fare piacere all’onorevole Lussu ritiro la richiesta di appello nominale.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Desidero dichiarare che anche i deputati liberali voteranno contro l’emendamento Laconi. Il voler ravvisare nella Corte costituzionale un contenuto politico tale per cui essa, per la sua formazione, per la sua composizione e per il suo funzionamento, debba essere un organo politico, è a parere nostro estremamente pericoloso.

Nella Corte costituzionale occorre piuttosto ravvisare un organo prevalentemente giurisdizionale. È chiaro che avrà un contenuto politico l’attività di questo organo giurisdizionale, poiché esso dovrà interpretare e le leggi e la Costituzione, però questo contenuto politico dovrà essere limitato quanto più è possibile. Tale limitazione (limitazione indispensabile perché la Corte costituzionale sia una effettiva garanzia) possiamo raggiungerla solo circondando e la formazione e la composizione e il funzionamento della Corte di determinate cautele. Per ciò che riguarda la formazione della Corte noi ravvisiamo queste cautele in quanto è disposto nel primo comma dell’emendamento Conti, Monticelli, Leone Giovanni ed altri, fatto proprio dalla Commissione, che per altro esattamente coincide con un mio emendamento, al quale noi restiamo fedeli.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Laconi:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«I giudici della Corte sono nominati per un terzo dalla Camera dei deputati, per un terzo dal Senato e per un terzo dalle Assemblee regionali».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione dell’emendamento Targetti, del seguente tenore:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica nomina un terzo dei componenti della Corte. Gli altri due terzi sono nominati per metà dalla Camera dei deputati e per metà dal Senato della Repubblica».

Su questo emendamento è stata chiesta la votazione per appello nominale dall’onorevole Moro e altri. È stata anche chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Targetti, Bettinelli, Nobili Tito Oro, Zappelli, Mancini, Tega, Nobile, Laconi, Pastore Raffaele, Landi, Saccenti, Musolino, Tonello, Silipo e altri.

Procediamo, pertanto, alla votazione segreta.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     305

Maggioranza           153

Voti favorevoli        144

Voti contrari                        161

(L’Assemblea non approva)

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Azzi.

Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Barontini Anelito – Bartalini – Bazoli – Bei Adele – Beilato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bucci – Burato.

Caccuri – Caiati – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Fiorentino – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchero – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Magnani – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Marinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montemartini – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Pollastrini Elettra – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini.

Saccenti – Salerno – Sampietro – Sansone – Sardiello – Scalfaro – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spataro – Stella.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Veroni – Vicentini – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Cavallari.

De Vita – Dugoni.

Ghidini – Gui.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan – Rubilli.

Vanoni – Varvaro – Viale.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 127 nel testo della Commissione:

«La Corte costituzionale è composta di quindici membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dalle supreme Magistrature dell’ordine giudiziario e amministrativo».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo al secondo comma:

«I membri della Corte costituzionale debbono appartenere alle seguenti categorie: magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori dell’ordine giudiziario e amministrativo; professori universitari di ruolo in materie giuridiche; avvocati dopo venti anni di esercizio, che con la loro nomina cessano di essere iscritti nell’albo professionale».

L’onorevole Targetti ha proposto di aggiungere, dopo le parole: «della Corte costituzionale» le altre: «eletti dal Parlamento».

A tenore di questo emendamento la scelta in queste categorie è obbligatoria soltanto per quella parte della Corte costituzionale che deve essere eletta dal Parlamento, e non rappresenta, invece, un vincolo per quella parte che deve essere nominata dal Presidente della Repubblica e, evidentemente, neppure per quella nominata dalla Magistratura.

Pertanto il testo nella formulazione proposta dall’onorevole Targetti sarebbe il seguente:

«I membri della Corte costituzionale eletti dal Parlamento debbono appartenere alle seguenti categorie:».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Pongo un quesito: coloro che desiderano votare contro le categorie in senso assoluto, ma che voterebbero subordinatamente la proposta dell’onorevole Targetti, come possono regolarsi?

PRESIDENTE. Mi pare intanto che ci sia un mezzo molto semplice, per quanto un po’ noioso, perché impegna a numerose votazioni: chiedere che si voti per divisione e votare contro in tutte le votazioni.

LACONI. La mia domanda, signor Presidente, conteneva implicitamente una richiesta: non potrebbe, cioè, mettere in votazione l’emendamento soppressivo prima di quello Targetti?

PRESIDENTE. Non è possibile, onorevole Laconi, anzitutto perché sappiamo, dagli emendamenti presentati, che fra coloro i quali votano per le categorie c’è diversità, perché alcuni vogliono che le categorie valgano per tutti i tre terzi, dei membri della Corte costituzionale, altri che valgano soltanto per un terzo. E, questi ultimi colleghi, che hanno presentato un emendamento apposito, hanno diritto di farlo valere.

Presenti un emendamento, onorevole Laconi, che dica esplicitamente:

«I membri della Corte costituzionale non sono vincolati all’appartenenza ad alcuna categoria».

È un emendamento positivo che si può mettere in votazione; mentre non si può mettere in votazione un emendamento soppressivo del comma.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto di parlare per questa ragione: il mio emendamento tendeva a lasciare libertà di scelta al solo Presidente della Repubblica. Ma, dato il risultato della votazione testé avvenuta, l’emendamento resterebbe collocato in modo da dare libertà di scelta anche al Consiglio Superiore della Magistratura; e di questo non vi sarebbe proprio ragione.

Quindi, se c’è modo di limitare questa libertà di scelta al Presidente della Repubblica, insisto nel mio emendamento: se, invece, l’articolo venisse ormai congegnato in modo da estendere questa facoltà anche al Consiglio Superiore della Magistratura, dovrei ritirarlo, giacché l’Assemblea deve convenire che questa libertà di scelta al Consiglio Superiore della Magistratura non avrebbe quelle giustificazioni che valgono per il Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Non è difficile presentare una formula che esprima questa sua opinione: che questo vincolo non valga per il Presidente della Repubblica. Rediga un emendamento in tal senso.

TARGETTI. Basta che mi dia facoltà di presentare una nuova formula.

PRESIDENTE. Siamo sempre pronti ad accettare emendamenti.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei ancora proporre, se è possibile, che si proceda alla votazione di questo comma secondo un criterio di divisione logica; cioè si votino le categorie singolarmente per ciascuno dei tre gruppi, in modo che sia possibile votare pro o contro le categorie, in riferimento ai diversi gruppi.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la. Costituzione. Mi pare che potremmo ottenere chiarezza di votazione con questo sistema. La proposta del Presidente dell’Assemblea mi pare giusta. Si può partire dalla formula più radicale e generale dell’onorevole Laconi, che per nessuno dei tre gruppi di eletti (dal Presidente della Repubblica, dal Parlamento, dai magistrati) è richiesto nessun requisito, nessuna appartenenza a date categorie. Viene poi la posizione dell’onorevole Targetti, per la quale soltanto il Presidente della Repubblica può, nella sua nomina, prescindere da ogni categoria; cioè «tranne per i membri eletti dal Presidente della Repubblica, gli altri membri devono appartenere alle seguenti categorie». Tali sono le configurazioni logiche dei due concetti, salvo la loro più opportuna formulazione.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Proporrei di dire: «i membri della Corte costituzionale nominati dal Parlamento e dal Consiglio Superiore della Magistratura devono appartenere alle seguenti categorie».

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, mi precisi meglio la sua ultima richiesta. Lei ha chiesto la votazione per divisione. Questa richiesta si riferisce solo alle tre categorie qui indicate, oppure lei chiede che per ognuno dei terzi che costituiscono la Corte costituzionale si debba votare sulle tre categorie dalle quali dovrebbero essere scelti?

LACONI. Penso che l’essenziale sia stabilito sul primo punto se si fa una condizione diversa per gli appartenenti a ciascuno dei tre gruppi o se si fa la stessa condizione a tutti i giudici della Corte costituzionale. Risolto questo, si può passare alle tre categorie.

PRESIDENTE. Successivamente c’è la proposta dell’onorevole Targetti, così riassunta attraverso le parole dell’onorevole Ruini: «tranne che per i membri nominati dal Presidente della Repubblica, i membri della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie».

Date le tendenze manifestatesi nell’Assemblea penso che non sia necessario seguire la successione logica alla quale l’onorevole Laconi si richiama. Pertanto, propongo di procedere soltanto a queste tre votazioni:

1°) Esclusione generale di categorie per tutti i membri;

2°) Esclusione dei membri nominati dal Presidente della Repubblica;

3°) Categorie per tutti i membri che devono essere nominati.

Attraverso queste tre votazioni si possono manifestare le singole opinioni.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Chiedo che si ponga in votazione distintamente l’appartenenza alle categorie anche per i membri designati dalle Camere, non soltanto per i membri nominati dal Presidente della Repubblica.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi sembra che il Presidente abbia posto chiaramente la questione.

Dobbiamo prima votare il principio che non c’è categoria per nessuno dei tre gruppi. Nella logica si deve votare prima la proposta dell’onorevole Laconi.

TARGETTI. Propongo la seguente formulazione:

«Tranne che per quelli eletti dal Presidente della Repubblica, i membri debbono appartenere, ecc.».

PRESIDENTE. Credo che si possa votare sui seguenti punti:

1°) Scelta dei membri della Corte costituzionale non vincolata alla loro appartenenza ad alcune categorie;

2°) (formula Targetti): Tranne che per quelli nominati dal Presidente della Repubblica, i membri della Corte costituzionale devono appartenere a certe categorie;

3°) Categorie cui debbono appartenere tutti i membri della Corte.

Porrò in votazione il principio a tenore del quale nessuno dei membri della Corte costituzionale deve obbligatoriamente appartenere ad una determinata categoria.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro a nome del mio Gruppo che voteremo contro le proposte che lasciano libera scelta per quanto riguarda la qualità dei giudici della Corte costituzionale, perché pensiamo che la limitazione ad alcune categorie serva per dare all’Alta Corte prestigio, serietà ed imparzialità.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente formulazione che, come ha già detto l’onorevole Ruini, sarà destinata ad essere inserita nel testo dell’articolo o ad esserne esclusa a seconda della formulazione finale dell’articolo, salvo il merito della votazione stessa:

«La scelta dei membri della Corte costituzionale non è vincolata all’appartenenza ad alcuna categoria».

(Dopo prova e controprova non è approvata).

Passiamo alla seconda formula:

«Tranne che per i membri nominati dal Presidente della Repubblica, i membri della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie».

Questa formulazione significa che per i membri della Corte costituzionale che devono essere eletti dal Parlamento o nominati dalle supreme Magistrature v’è l’obbligo dell’appartenenza a determinate categorie. Quindi, resterebbe un terzo libero, quello nominato dal Presidente della Repubblica.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi sembra che si potrebbero mettere in votazione separatamente le eccezioni al principio dell’appartenenza a determinate categorie.

PRESIDENTE. Ritengo che col sistema di votazioni adottato non si pregiudichi alcuna tesi.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Dichiaro che voterò contro questo emendamento, in quanto ritengo che tutti i membri dell’Alta Corte costituzionale devono essere scelti tra le categorie che hanno una sicura competenza tecnica oltreché politica. Si tratta della più alta Magistratura della Repubblica. Nemmeno la scelta del Presidente della Repubblica può essere del tutto libera in questa materia. È essenziale, perché l’Alta Corte possa agire rispondendo alle ragioni per le quali fu creata, che sia costituita da elementi tecnicamente competenti. Dalle categorie indicate dalla legge costituzionale potranno essere tratti elementi che alla competenza tecnica uniscano la necessaria esperienza politica.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente formulazione:

«Tranne che per i membri nominati dal Presidente della Repubblica, i membri della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie».

(Non è approvata).

Passiamo alla formulazione successiva:

«I membri della Corte costituzionale eletti dal Parlamento devono appartenere alle seguenti categorie».

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Abbiamo votato adesso negativamente sulla proposta che la scelta del Presidente della Repubblica possa avvenire fuori delle categorie.

Perciò abbiamo votato che anche i membri eletti dal Presidente della Repubblica devono appartenere a determinate categorie.

Votando adesso la formula proposta dal Presidente, cioè che solo i membri eletti dal Parlamento appartengano a determinate categorie, verremo ad escludere quello che abbiamo già votato, cioè che i membri eletti dal Presidente devano anche essi appartenere a determinate categorie. Credo che la votazione non possa farsi in questo modo.

PRESIDENTE. La sua osservazione è giusta. Pongo in votazione la formulazione seguente:

«Tranne che i membri eletti dal Parlamento, i componenti della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie».

(Non è approvata).

Pongo ora in votazione la formula proposta dalla Commissione:

«I membri della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie».

Se nessuno chiede che sulle categorie si voti per divisione, potremo votare tutto il comma, indicando anche le categorie.

PERSICO. Chiedo di parlare.

RESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Se non si vota per divisione, propongo che alle parole «professori di ruolo» siano sostituite le parole «professori universitari ordinari» perché professori di ruolo sono anche gli incaricati.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato aveva in un primo tempo, nell’accettare l’emendamento Conti, posto che il professore doveva essere ordinario. Presentata una nuova proposta io ed alcuni colleghi non saremmo personalmente contrari ad ammettere tutti i professori che danno sufficiente garanzia di competenza.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Ricordo che su questo emendamento io ebbi già a parlare come relatore di turno; nel testo allora letto si era adottata la stessa formula usata anche per il Consiglio Superiore della Magistratura, cioè «professori ordinari di materie giuridiche». Dicendosi «professori di ruolo» si introduce una modifica, che, a mio avviso, non sembra conveniente.

La categoria dei professori di ruolo comprende, infatti, gli straordinari e gli ordinari. Ora, il professore straordinario, secondo la legge attuale, è nominato in prova; dopo tre anni è sottoposto ad un giudizio, in seguito al quale, se favorevole, egli diventa professore titolare definitivo.

A me pare non sia opportuno che in una Corte Suprema segga un membro, il quale si trovi nella situazione giuridica di un professore in prova che deve sottostare ad un giudizio di conferma.

Aggiungo un’altra considerazione: nel testo definitivo dell’emendamento viene limitata la scelta dei magistrati a quelli delle giurisdizioni superiori, il che significa dire, per lo meno, da Consigliere di Corte d’appello in su, e per gli avvocati si esigono venti anni di esercizio. Ora mi pare che per ragioni di coerenza e di eguaglianza di trattamento non sia il caso di concedere ai professori universitari un trattamento così diverso dagli altri, includendovi anche i professori straordinari, che possono essere valorosi, ma anche giovanissimi. Per questo è meglio attenersi al testo che la Commissione aveva originariamente proposto: «professori ordinari».

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del secondo comma:

«I membri della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie: magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori dell’ordine giudiziario o amministrativo».

(È approvata).

Passiamo alla votazione della seconda categoria con l’emendamento dell’onorevole Persico:

«Professori universitari ordinari di materie giuridiche».

NOBILE. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Voterò l’emendamento dell’onorevole Persico per questa considerazione: che mentre nel testo della Commissione vi sono limitazioni per i magistrati e per gli avvocati, non ve ne è nessuna per i professori di ruolo, sicché anche un professore straordinario, appena nominato, potrebbe essere eletto membro dell’Alta Corte. Dato che non vedo il perché di una tale eccezione, dichiaro che voterò a favore dell’emendamento Persico, il quale, almeno in parte, vale ad eliminarla.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il testo con l’emendamento dell’onorevole Persico.

«Professori universitari ordinari in materie giuridiche».

(È approvato).

Pongo in votazione l’altra categoria:

«Avvocati dopo venti anni di esercizio che con la loro nomina cessano di essere iscritti nell’albo professionale».

(È approvata).

Pongo in votazione il terzo comma:

«La Corte elegge il presidente fra i suoi componenti».

(È approvato).

Il quarto comma nel testo formulato dalla Commissione dice:

«Il Presidente e i giudici durano in carica sette anni».

L’onorevole Gullo Fausto propone di sostituire alla parola: «giudici», la parola: «componenti».

Quale è il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho difficoltà che si voti ora su questa espressione, salvo poi riesaminare e scegliere il termine migliore in sede di coordinamento.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Secondo l’emendamento accettato dalla Commissione i giudici durano in carica sette anni, mentre faccio osservare che con il nostro emendamento tale durata è portata a 12 anni.

PRESIDENTE. Per adesso, onorevole Ambrosini, voteremo sull’emendamento Gullo Fausto, inteso a sostituire al termine «giudici» il termine «componenti».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Propongo di aggiungere dopo le parole «i componenti», le parole «della Corte».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Si potrebbe voltare prima il Presidente e poi i membri, perché nella formulazione attuale pare che il Presidente duri in carica per nove anni in quanto tale, cioè in quanto Presidente.

PRESIDENTE. Non so quale risultato si raggiunge, se non si propone un emendamento che indichi un rinnovamento dei membri ad epoche diverse di quello del Presidente.

LACONI. Io desidero votare perché il Presidente duri in carica nove anni in quanto membro, non in quanto Presidente.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si potrebbe votare sopprimendo «Presidente» e dicendo «i componenti della Corte» oppure «i membri della Corte».

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Secondo me è preferibile usare la parola «giudici», che sottolinea il carattere giurisdizionale della Corte.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente formulazione:

«I membri (salvo a decidere poi se si dovrà dire, invece «componenti» o «giudici») della Corte durano in carica…» senza citazione specifica del Presidente, dato che l’onorevole Laconi ha posto in evidenza che il Presidente, da questo punto di vista, non è che un semplice membro dell’Alta Corte, e, quindi, non è necessario fare distinzioni.

(È approvata).

Pongo in votazione la proposta Gullo di sostituire alla parola: «membri», l’altra: «componenti».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione la proposta di sostituire alla parola: «membri», l’altra: «giudici».

(È approvata).

Ed ora passiamo al termine di durata che la Commissione propone di sette anni.

L’onorevole Martino Gaetano ha proposto nove anni, ma è assente.

CANDELA. Faccio mia questa proposta.

PRESIDENTE. Vi è anche l’emendamento dell’onorevole Ambrosini, del seguente tenore:

«I giudici durano in carica dodici (o nove) anni e sono rinnovabili per un terzo ogni quattro (o tre) anni.

«La rinnovazione avverrà per estrazione a sorte nell’ambito di ognuno dei tre gruppi di membri della Corte, rispettivamente nominati dal Presidente della Repubblica e dal Parlamento riunito in seduta comune e dal Consiglio Superiore della Magistratura.

«Alla sostituzione dei giudici cessati dall’ufficio si procede con lo stesso sistema di nomina, di cui al primo comma del presente articolo».

Chiedo all’onorevole Ambrosini se intenda di lasciare tuttora indeterminata la durata della carica o se creda invece di determinarla.

AMBROSINI. Mi permetto di rilevare l’opportunità di scegliere il termine di dodici anni, specialmente ove si tenga presente la prima parte del mio emendamento in relazione con la seconda. Noi crediamo, infatti, che si debba assicurare una stabilità ed una continuità nel lavoro di questa Corte, la quale deve affrontare le questioni fondamentali per la vita delle istituzioni.

D’altra parte, ci rendiamo conto che è opportuno che la Corte sia periodicamente rinnovata, perché eventuali nuove correnti della coscienza nazionale possano recare ad essa ed avere in essa il loro peso. È per questa ragione che noi proponiamo il rinnovamento parziale dopo tre o quattro anni, a seconda della prevalenza del termine di nove o di dodici anni; termine di dodici anni che raccomando all’Assemblea.

Si otterranno in tal modo due scopi: in primo luogo la continuità del lavoro della Corte e conseguentemente, quindi, la stabilità della giurisprudenza; in secondo luogo, si otterrà quell’avvicinamento della Corte stessa alle correnti della coscienza pubblica che nel frattempo siano mutate nel Paese, cui poco anzi accennavo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a pronunciarsi al riguardo a nome della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sulla durata in carica dei membri della Corte costituzionale furono affacciate, nei nostri lavori, diverse idee. Si parlò anche di una nomina vitalizia, secondo l’esempio che vi è in vari Stati, ad esempio negli Stati Uniti d’America. La Commissione si pronunciò originariamente per la durata di nove anni. Qui in Assemblea si propone sette anni.

Penso, comunque, che la proposta dell’onorevole Ambrosini sia subordinata alla deliberazione che noi prenderemo circa il sistema del rinnovamento parziale. Sarebbe pur logico votare prima su tale punto.

PRESIDENTE. Onorevole Ambrosini, accede al criterio che si ponga in votazione il suo emendamento dopo che si sarà votato intorno alla questione del rinnovamento parziale?

AMBROSINI. Vi accedo, onorevole Presidente.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Vorrei sapere se nel rinnovamento parziale è compreso anche il Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, è evidente: anche egli è compreso nel numero dei membri.

BUBBIO. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Desidererei sapere se, dato che la scelta dei membri di questa Corte è fatta da tre fonti, la rinnovazione avverrà nel coacervo, oppure in rapporto a ciascuna fonte distinta?

PRESIDENTE. Mi sembra che ciò risulti ben chiaro dal testo dell’emendamento dell’onorevole Ambrosini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dovremo decidere prima il principio del rinnovamento parziale e periodico, e del sorteggio, che avrà luogo una prima volta, e poi per un certo tempo non occorrerà più, finché non sia compiuto il ciclo di rinnovamento per quelli rimasti in carica. La forma dell’articolo dovrà essere modificata in tal senso.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Il Presidente ha messo in rilievo che anche il Presidente della Corte costituzionale è fra i membri che possono essere sorteggiati.

In questo caso dovremmo preoccuparci di un’altra questione: cioè, se sono rieleggibili o no. Perché, se non fossero rieleggibili, sarebbe molto curioso che il Presidente dovesse decadere dopo soli tre o quattro anni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’è niente di male. Viene colpito come gli altri.

CEVOLOTTO. Mi pare che la questione della rieleggibilità dovrebbe essere posta prima.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, vuole esprimere il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La questione della rieleggibilità mi pare distinta da quella posta dall’onorevole Cevolotto. Il divieto di rieleggibilità non vi è nell’emendamento dell’onorevole Ambrosini, e sembrerebbe opportuno che non vi sia. Il sistema del rinnovamento consente di non cristallizzare la composizione della Corte; ed alle parziali scadenze si potranno far valere le nuove correnti, di cui parla l’onorevole Ambrosini; ma è meglio che nulla vieti di rieleggere chi si è mostrato degno e capace, ed ha la fiducia anche delle nuove correnti.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Se non erro, i membri dovrebbero essere quindici: cinque, per ogni categoria. Mi domando come sarà possibile procedere ad un rinnovamento parziale, dato che è impossibile dividere la cifra in parti uguali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ricordo all’Assemblea che il numero dei membri della Corte costituzionale non l’abbiamo ancora stabilito. Ci siamo riservati di stabilirlo in seguito.

PRESIDENTE. No, permetta, onorevole Ruini, abbiamo già votato il primo comma del testo della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo scusa se non avevo avvertito che abbiamo già votato il numero di quindici. In una seduta, nella quale, per un’indisposizione, non ci presiedeva l’onorevole Terracini e presiedeva invece l’onorevole Conti, quando venne la questione del numero, si decise di rinviarla a quando si fosse esaminato tutto l’insieme dell’articolo. Quindi, supponevo che nel primo comma fosse stata sospesa l’indicazione del numero. Invece si è stabilito, senza che io l’avvertissi, il numero di quindici. Sarebbe stato meglio tenere in sospeso la indicazione del numero perché, col sistema del rinnovamento periodico, d’un terzo o d’un quarto ogni tanti anni, bisogna che il numero dei giudici di ogni gruppo (eletti dal Presidente della Repubblica, dal Parlamento, dai magistrati) sia divisibile per tre o per quattro. Se il numero dei giudici in complesso è quindici, e la rinnovazione avviene per un terzo, avremo difficoltà; occorrerebbe che il numero complessivo, fosse ad esempio, diciotto.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Credo che sia molto utile la proposta che sto per fare. Riferendomi a quanto diceva testé il Presidente della Commissione, a me pare che non si possa tornare sopra alle deliberazione già prese circa il numero dei membri; ma d’altra parte si può ovviare all’inconveniente fatto presente, rinnovando per un quinto e non già per un terzo.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di dirmi a quale delle due dichiarazioni la Commissione si attiene. Quando ho dato lettura – all’inizio della seduta – dell’emendamento Ambrosini, la Commissione ha dichiarato di non accettarlo. Ora ho l’impressione, dalle ultime dichiarazioni dell’onorevole Ruini, che la Commissione abbia cambiato parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione, non essendosi potuta riunire perché la proposta è stata avanzata in principio di seduta, non può che mantenere il suo testo. Le mie osservazioni sono subordinate alla possibilità che l’emendamento dell’onorevole Ambrosini sia accolto, perché allora sorgerebbe la difficoltà che occorre far presente.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Ritengo che la difficoltà accennata dal Presidente della Commissione dei Settantacinque possa essere superata in questo senso. Noi riteniamo che sia sufficiente il numero di quindici giudici e forse non conviene eccedere nel numero per ragioni burocratiche che sono intuitive.

In rapporto all’estrazione a sorte, basterebbe rinnovare la prima volta due consiglieri su cinque, la seconda volta lo stesso, la terza uno su cinque.

PRESIDENTE. Per fare accogliere nei limiti del possibile la richiesta dell’onorevole Cevolotto e di altri colleghi, penso che l’onorevole Ambrosini non si opponga a che il primo comma del suo emendamento sia modificato. Il suo testo dice:

«I giudici durano in carica dodici (o nove) anni e sono rinnovabili per un terzo ogni quattro (o tre) anni».

Si potrebbe invece dire:

«I giudici sono rinnovabili per un terzo ogni tre (o quattro) anni e durano in carica nove (o dodici) anni».

In questa maniera viene sodisfatta la richiesta di conoscere prima il termine del rinnovamento e se questo rinnovamento è periodico, per stabilire successivamente in correlazione il termine di durata della carica.

AMBROSINI. Accetto senz’altro, perché il principio, che mi pare sia necessario ed opportuno affermare, è quello della rinnovabilità.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che la difficoltà del terzo sussista, perché se sono quindici e cioè cinque per ogni gruppo, come si fa a fare il terzo di cinque? Se non si vuol modificare la cifra di giudici, si spiega la proposta Nobile di rinnovazione del quinto.

PRESIDENTE. Rinnovabili, allora, per un quinto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le improvvisazioni non sono facili, specialmente in un Comitato di redazione, quale vorrebbe essere un’Assemblea di 500 membri. Se mettiamo rinnovazione d’un quinto, occorrerebbe uno spazio di tempo non breve per completare il ciclo di rinnovamento.

Una voce. Dieci anni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La rinnovazione ogni due anni può sembrare eccessiva, e non in armonia coi criteri di durevolezza.

CANEVARI. Rinunziamo a questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non si può improvvisare. La rinnovazione offrirebbe meno inconvenienti se avvenisse ogni tre anni. Vediamo ad ogni modo di trovare una buona via.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Se c’è questa titubanza riguardo la modalità concreta di applicazione del principio della rinnovabilità, potremmo affermare il principio: «rinnovabili secondo le norme stabilite dalla legge». Una legge sarà necessaria per il regolamento della Corte ed allora questa, che è una particolarità di applicazione, potremo demandarla al futuro legislatore.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Richiamo l’onorevole Ambrosini all’avvertimento che gli è venuto dal suo collega Fuschini e che era prima condiviso dalla sua parte, che, in principio, proponeva la nomina a vita.

Non potendo aver questo, sembra che, per prolungare il termine della durata in carica, ad esempio a dodici anni, si sia pensato al rinnovamento parziale e periodico; ma ciò presenta inconvenienti, che non si possono nascondere. La garanzia di continuità e durevolezza potrebbe meglio raggiungersi con la durata di nove anni senza rinnovamenti e sorteggi, ammettendo d’altra parte la rieleggibilità.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Sono completamente di accordo. L’interessante è affermare nella Costituzione il principio della rinnovabilità. Data la ristrettezza del tempo che ci resta per compiere i nostri lavori (che debbono assolutamente concludersi subito) possiamo rimandare alla legge il disciplinamento completo dell’applicazione del principio.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io voterò contro l’emendamento, perché il rinviare alla legge la risoluzione delle difficoltà che abbiamo constatato e riconosciuto non le attenua, anzi non fa che dissimulare queste difficoltà, che ci sono e rimarranno. Per superarle, il meglio è non votare questa formula. Anche per dare alla Corte costituzionale, dopo la prima nomina, un sufficiente periodo di tempo per organizzarsi e orientare la propria giurisprudenza.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente, formula:

«I giudici sono rinnovabili secondo le norme che saranno stabilite dalla legge».

(È approvata).

Ora si tratta di stabilire il termine di durata in carica.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Dato che l’Assemblea ha ritenuto di rinviare alla legge la rinnovabilità o meglio la disciplina per la rinnovabilità, sarebbe opportuno rinviare alla legge anche la fissazione della durata della carica, perché le due questioni sono intimamente legate. Non si può decidere su una e rinviare la decisione dell’altra. Io penso sia opportuno e prudente rinviare alla legge entrambe le questioni.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Siamo contrari alla proposta dell’onorevole Gullo, perché riteniamo che sia indispensabile fissare già nella Costituzione il termine di durata dell’ufficio dei giudici della Corte costituzionale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. A questo punto è assolutamente indispensabile che non si fissi la durata. Altrimenti cade la proposta dell’onorevole Ambrosini. È evidente che introducendo un rinnovamento parziale ci sarà un certo numero di giudici che durano di meno. Quando stabiliamo disposizioni tassative per cui i giudici devono durare dodici o nove anni, togliamo la possibilità alla legge di domani di stabilire che due terzi dei primi giudici dureranno per un periodo minore. O noi prevediamo interamente il sistema nella Costituzione, o non possiamo prevedere la durata: perché impediamo che la proposta Ambrosini venga domani attuata dalla legge.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Gullo, secondo la quale si rimette alla legge anche l’indicazione della durata in carica dei giudici della Corte costituzionale.

(Non è approvata).

Passiamo alla proposta dell’onorevole Ambrosini: «I giudici durano in carica dodici anni».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio far presente che, col sorteggio subito dopo tre anni, è minata la continuità proprio nel periodo iniziale di esperimento della Corte, in cui non occorrerebbe che intervenisse il sorteggio.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. L’onorevole Ruini ha, sia pure tardivamente, apprezzato l’osservazione nostra di poco fa. A me pare che nella sua dichiarazione sia contenuta la proposta di aggiungere: «hanno una durata massima di dodici anni». Ma se non si dice, si esclude che abbiano una durata inferiore; e quindi si esclude la proposta Ambrosini.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, mi pare che lei confonda la questione. Si potrà al massimo dire che, se la legge stabilirà che la prima o la seconda rinnovazione avvengano per estrazione, allora è certo che un dato numero di giudici nella prima tornata non resterà in carica dodici anni; ma, quando il meccanismo si sarà messo in moto, tutti i giudici resteranno in carica dodici anni.

Pongo in votazione la proposta Ambrosini: «I giudici durano in carica dodici anni».

(È approvata).

Decade così tutta la seconda parte dell’emendamento Ambrosini, che si riferiva al modo col quale avrebbe dovuto avvenire la rinnovazione.

Vi è adesso l’emendamento dell’onorevole Martino Gaetano a tenore del quale «i giudici non sono rieleggibili».

L’onorevole Mortati propone la formula:

«I giudici non sono immediatamente rieleggibili».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio osservare all’onorevole Martino che, se il suo emendamento aveva tutta la ragion di essere quando non si era stabilito il rinnovamento parziale, ora che questo rinnovamento è stato stabilito ed è stata introdotta la possibilità o di portare correnti nuove o di confermare quelle antiche, che avevano mostrato capacità in questo ufficio, il suo emendamento perde la sua ragion d’essere.

Credo sia opportuno non ammetterlo e lasciare la rieleggibilità, tenendo presente che la rinnovabilità adempie al compito di permettere che correnti nuove penetrino in questo istituto. Se no, vi sarebbe quasi un giudizio di incapacità per coloro che, pure essendo degni di rimanere, sarebbero nella impossibilità di essere confermati.

PRESIDENTE. Onorevole Candela, lei aveva fatto suo l’emendamento Martino?

CANDELA. Sì. È questione di consentire un avvicendamento nelle altissime funzioni.

Il Presidente della Repubblica non potrà essere rieletto; non per questo avrà il brevetto di indegnità.

In sostanza, posso accettare l’emendamento Mortati al nostro emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho parlato di indegnità. Ho detto che, stabilito il concetto della rinnovabilità parziale, veniva meno la necessità del divieto. Mi pare che sia un concetto molto chiaro e preciso.

CANDELA. La sostanza dell’emendamento è un’altra: è di impedire che in certi posti non avvenga l’avvicendamento.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. A me pare che la ragione che aveva ispirato la proposta dell’onorevole Martino Gaetano non fosse quella detta dall’onorevole Candela, di assicurare l’avvicendamento, bensì l’altra di assicurare l’indipendenza del giudice.

L’onorevole Martino si preoccupava cioè che la rieleggibilità non importasse nel giudice conformismo a quella autorità, da cui avrebbe dovuto desumere la nuova investitura. Questo problema non è stato toccato dall’onorevole Ruini. Siccome occorre da una parte soddisfare questa esigenza ed assicurare dall’altra che quelle competenze utilizzabili per il difficile compito di giudice della Corte, che in Italia non sono moltissime, non vengano definitivamente escluse da una ulteriore utilizzazione, mi pare che sia opportuno scegliere una via di mezzo ed ammettere la rieleggibilità ma non immediatamente, cioè con intervalli costituiti dai turni che la legge stabilirà per il rinnovamento parziale. Per queste ragioni mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula:

«I giudici non sono immediatamente rieleggibili».

(È approvata).

Vi sono ora due emendamenti aggiuntivi proposti dall’onorevole Nobile. Pongo in votazione il primo che è del seguente tenore:

«I membri della Corte costituzionale appartenenti ai ruoli della Magistratura non potranno esser promossi, durante il tempo in cui apparterranno alla Corte stessa, se non per diritto di anzianità».

(Non è approvato).

Il secondo emendamento dell’onorevole Nobile è del seguente tenore:

«I membri della Corte, che per un caso qualsiasi, tranne quello di rinnovo, cessassero di far parte di essa prima dello spirare del termine, verranno sostituiti da altri, da nominarsi dagli stessi corpi che avevano nominati i membri cessati».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei dar conto brevemente di questa proposta. In fondo intendevo con essa semplicemente eliminare una lacuna; infatti nulla si è stabilito di ciò che avverrà nei casi in cui un membro sia dimissionario, o venga malauguratamente a cessare di vivere. Si dovrà in tali casi provvedere alla sostituzione? Se si dovrà provvedervi bisognerà specificare in qual modo. A questo mira il mio emendamento. Mi sembra che il problema meriti di essere esaminato e risolto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Nobile.

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Pongo in votazione l’ultimo comma del testo della Commissione nella seguente definitiva formulazione:

«L’ufficio di giudice della Corte costituzionale è incompatibile con quello di membro del Parlamento o dei Consigli regionali e con ogni carica od ufficio indicati dalla legge».

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo  127-bis proposto dall’onorevole Perassi:

«Quando il giudizio avanti la Corte verte sulla costituzionalità di una legge regionale o su un conflitto di attribuzioni fra lo Stato ed una Regione, la Regione interessata ha la facoltà di designare una persona, scelta fra le categorie indicate nell’articolo precedente, per partecipare alla Corte come giudice».

(Non è approvato).

L’articolo 127 risulta, nel suo complesso, così approvato, salvo coordinamento:

«La Corte costituzionale è composta di 15 membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature dell’ordine giudiziario e amministrativo.

«I membri della Corte costituzionale debbono appartenere alle seguenti categorie: magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori dell’ordine giudiziario e amministrativo; professori universitari ordinari di materie giuridiche; avvocati dopo venti anni di esercizio, che con la loro nomina cessano di essere iscritti nell’albo professionale.

«La Corte elegge il presidente fra i suoi componenti.

«I giudici sono rinnovabili secondo le norme che saranno stabilite dalla legge; durano in carica dodici anni e non sono immediatamente rieleggibili.

«L’ufficio di giudice della Corte costituzionale è incompatibile con quello di membro del Parlamento e dei Consigli regionali e con ogni carica od ufficio indicati dalla legge».

Passiamo all’articolo 128. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Quando, nel corso di un giudizio, la questione d’incostituzionalità di una norma legislativa è rilevata d’ufficio o quando è eccepita dalle parti, ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata, la questione è rimessa per la decisione alla Corte costituzionale.

«La dichiarazione d’incostituzionalità può essere promossa in via principale dal Governo, da cinquanta deputati, da un Consiglio regionale, da non meno di diecimila elettori o da altro ente od organo a ciò autorizzato dalla legge sulla Corte costituzionale.

«Se la Corte, nell’uno o nell’altro caso, dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata al Parlamento, perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali».

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati già svolti e mantenuti i seguenti emendamenti:

«Sopprimere i primi due commi.

«Sostituire il terzo col seguente:

«Quando la Corte dichiara l’incostituzionalità di una norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata al Parlamento perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali.

«Arata».

«Al primo comma, sostituire la prima parte con la seguente:

«Quando nel corso di un giudizio, ed entro un anno dalla data d’entrata in vigore di una legge, la questione d’incostituzionalità di una norma è rilevata d’ufficio…

«Mastino Gesumino».

«Al primo comma, sopprimere le parole: ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata.

«Bertone».

«Al secondo comma, alle parole: cinquanta deputati, sostituire: cento deputati e cinquanta senatori; alle parole: un Consiglio regionale, sostituire: cinque Consigli regionali; e alle parole: non meno di diecimila elettori, sostituire: non meno di cinquantamila elettori.

«Targetti».

«Al secondo comma, sopprimere le parole: da un Consiglio regionale.

«Bertone».

«Al secondo comma, sopprimere le parole: da non meno di diecimila elettori.

«Nobile».

«Aggiungere, subito dopo il secondo comma, il comma seguente:

«Per le leggi riguardanti le Regioni la dichiarazione di incostituzionalità deve essere promossa da almeno tre Consigli regionali se la disposizione riguarda genericamente le Regioni, o dal Consiglio regionale della Regione a cui è limitata la disposizione.

«Bertone, Bubbio».

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Il magistrato dovrà rimettere gli atti alla Corte costituzionale quando ritenga che le leggi che dovrebbe applicare siano contrarie alla Costituzione dello Stato.

«Mastino Pietro».

Si era riservato il diritto ai colleghi di presentare nuovi emendamenti in relazione al testo che sarebbe stato approvato dell’articolo 127.

L’onorevole Targetti ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo il secondo comma aggiungere il seguente:

«Ciascun Consiglio regionale può eccepire l’incostituzionalità di una legge che riguardi direttamente la regione che rappresenta».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha presentato, a sua volta, il seguente testo sostitutivo dell’articolo 128:

«Ogni giudice potrà rilevare l’incostituzionalità degli atti aventi efficacia di legge ordinaria non applicandoli al caso deciso, senza sospenderne l’osservanza o annullarli.

«Quando lo ritenga opportuno il giudice potrà rimettere la questione di incostituzionalità alla Corte costituzionale e dovrà farlo in caso di giudicati contrastanti al riguardo.

«L’annullamento di una legge ordinaria invalida da parte della Corte costituzionale avrà efficacia oggettiva e potrà, inoltre, essere promosso in via principale dal Governo, da cinquanta deputati, da un Consiglio regionale, da non meno di diecimila elettori, o da qualsiasi cittadino che dimostri di avervi interesse per la lesione di un suo diritto o interesse costituzionalmente garantito».

C’è da rammaricarsi che l’onorevole Codacci Pisanelli non abbia presentato prima questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dichiarare, a nome del Comitato, che non ci possiamo pronunciare formalmente su emendamenti presentati alla ultimissima ora. Avremmo bensì, per regolamento, il diritto di chiedere ventiquattr’ore di tempo per esaminare gli emendamenti proposti in Assemblea; ma non è possibile ricorrere a tale rinvio, ora che siamo così stretti dal tempo. Rivolgo, quindi, un appello a voi, perché rinunciate più che è possibile ai vostri emendamenti, rimettendovi caso mai alla Commissione per il coordinamento e la revisione finale.

La Commissione non si può pronunciare. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Non posso che appoggiare le considerazioni fatte dall’onorevole Ruini.

A proposito dell’articolo 128 non è avvenuto, come per altri articoli, che la Commissione o alcuni colleghi abbiano presentato all’ultimo momento un nuovo testo. Il testo della Commissione dell’articolo 128 è stato pubblicato otto mesi fa, e pertanto tutti coloro che volevano proporre emendamenti hanno avuto a loro disposizione un’enorme quantità di tempo.

Il presentarli adesso, nel minuto immediatamente precedente alla votazione, evidentemente non trova giustificazioni; e tuttavia io li porrò ugualmente in votazione, perché vincolato da quella dichiarazione dell’altro giorno, che del resto non riguardava questi emendamenti; ma non potrò concedere ai presentatori la parola per svolgere le loro proposte.

L’onorevole Mortati presenta ora il seguente nuovo testo:

«La questione di illegittimità costituzionale di una norma o atto avente forza di legge, che sia rilevata di ufficio nel corso di un giudizio o sollevata dalle parti e non sia ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa per decisione alla Corte costituzionale.

«Il ricorso per illegittimità costituzionale può essere prodotto direttamente innanzi alla Corte costituzionale nel termine che sarà fissato dalla legge, da chi pretenda direttamente leso dalla norma un suo diritto o interesse legittimo, e, inoltre, anche senza questo interesse, dal Governo o da un decimo dei membri di ciascuna Camera.

«La sentenza della Corte costituzionale che dichiara la incostituzionalità di una norma è pubblicata nei modi prescritti per le leggi entro 15 giorni dalla sua emissione ed ha per effetto la sospensione della efficacia della norma.

«Il Parlamento provvede alla sua abrogazione, procedendo al regolamento dei rapporti che sia reso da essa necessario».

Invito l’onorevole Ruini a esporre il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La proposta dell’onorevole Mortati coincide in alcuni punti con quello che era il testo della Commissione dei Settantacinque; in altri punti invece se ne distacca.

Il primo comma coincide con la sostanza del testo della Commissione, e potrebbe da questa essere accolto. Riguarda l’ipotesi che la questione di incostituzionalità sorga nel corso di un giudizio; essa dovrà esser rimessa alla Corte. Nell’emendamento Mortati si tratta di mere modifiche formali, che è meglio rinviare al coordinamento.

Vi sono poi nel testo Mortati punti nuovi. Uno di essi è che chiunque venga leso in un suo diritto o interesse legittimo da una norma di cui ritenga l’incostituzionalità, può direttamente adire la Corte costituzionale. Non è più il caso del primo comma, cioè delle eccezioni che possono venir presentate nel corso di un giudizio e che debbono essere rimesse alla Corte costituzionale, perché decida. Vi è una facoltà del soggetto, di un diritto o interesse leso di promuovere direttamente il giudizio della Corte costituzionale.

Sopra questo punto, io non avrei alcuna difficoltà; ritenendo però che anche qui la forma dell’emendamento debba essere riveduta.

Altro punto dell’emendamento dell’onorevole Mortati – e qui ci incominciamo a distaccare – è che verrebbe tolto quanto la Commissione dei Settantacinque aveva proposto sulla possibilità di provocare il giudizio della Corte, non solo in base ad eccezione o ricorso di un soggetto singolo di diritto o interesse legittimo concretamente ed attualmente leso, ma anche per mezzo di una specie – diciamo così – di azione popolare; svolto nell’interesse generale, anche senza che sia già avvenuta una lesione concreta, per il pericolo che ha in sé, virtualmente, la norma incostituzionale. L’azione poteva essere esercitata dal governo, da cinquanta deputati o senatori, da diecimila elettori o da un organo o ente a cui è autorizzato da legge. Il testo della Commissione dei Settantacinque è pubblicato da otto mesi. Ad un tratto l’onorevole Mortati ha proposto di sopprimere questa seconda forma di ricorso, popolare e collettiva. Ma ha poi, a poche ore di intervallo, mutate di nuovo le sue proposte.

MORTATI. Non è esatto, le ho lasciato ieri il testo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ieri lei proponeva di sopprimere la seconda via. Oggi non più; la lascerebbe pel Governo e per un numero di deputati e senatori…

MORTATI. Un decimo dei membri della Camera.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sarebbe tolta la possibilità di ricorrere nell’interesse generale ai diecimila elettori o agli altri enti che sono determinati dalla legge.

Non posso pronunciarmi a nome della Commissione; ma esprimo il mio punto di vista personale, che non sia opportuno eliminare tutto ciò che si riferisce al ricorso in via generale, al ricorso complessivo, che può basarsi non sopra una violazione concreta, diretta, attuale di un diritto o interesse particolare, ma sopra una visione più complessa e larga di incostituzionalità della legge.

Aggiungo che facendo questo, lungi dall’andare incontro a quel pericolo che è stato accennato nella discussione generale, di tenere il Paese in continuo sovvertimento, si va incontro alla legalità, perché invece di autorizzare, o per lo meno, di rendere possibili agitazioni anche violente, quando un dato numero di elettori, quando una collettività invochi una decisione della Corte costituzionale, ci si mette nella via della legalità.

Un ultimo punto di divergenza con l’onorevole Mortati è che il testo stabiliva che, quando la Corte costituzionale avesse riconosciuta l’incostituzionalità di una norma, questa cessava di avere efficacia, e poi gli atti si rimettevano al Parlamento, perché prendesse i provvedimenti di sua competenza. Il Parlamento può infatti confermare, nelle forme della revisione costituzionale, una legge ordinaria, che, come tale, contrastava con la Costituzione prima che questa fosse modificata. Può invece, se crede, sostituire con norme diverse la legge dichiarata incostituzionale. Può altresì provvedere al regolamento dei rapporti che si renda necessario per la dichiarazione d’incostituzionalità della norma, in quanto, prima della dichiarazione, la norma stessa abbia avuto vigore e sia stata applicata anche in sentenze; che portata ha l’annullamento? Ex nunc o ex tunc? Non si può stabilire un criterio a priori; sarà il Parlamento a regolare i rapporti, a secondo delle esigenze.

Così io vedo, e non può essere diversamente, le cose. L’onorevole Mortati non ammette che la norma dichiarata incostituzionale cessi senz’altro di aver efficacia. Stabilisce che la dichiarazione della Corte debba esser pubblicata; e sta bene; ma questa è disposizione, alla quale non occorre la Costituzione; basterà la legge per il funzionamento della Corte. Con la pubblicazione, dice l’onorevole Mortati, la norma o l’intera legge dichiarata incostituzionale non perde senza altro ogni efficacia, ma viene sospesa; e poi spetta al Parlamento abrogarla. È un sistema complicato e non necessario; e presenta dubbi ed inconvenienti. Se il Parlamento non abroga la legge sospesa, avremo una diuturna sospensione? E non può il Parlamento, invece che abrogare, confermare la legge nelle forme costituzionali? Come figura giuridica, non ritengo che sia necessaria la sottigliezza della distinzione fra sospensione e cessazione d’efficacia; è perfettamente logico e coerente al sistema della dichiarazione di incostituzionalità che la legge dichiarata illegittima cessi d’aver efficacia; ed è preferibile e più riguardoso pel Parlamento non chiedergli, quasi come atto obbligato, che esso abroghi la norma; è molto meglio che, di fronte alla cessazione d’efficacia della norma stessa, il Parlamento provveda nelle vie che gli sono aperte, e che ho indicato.

Riassumendo: 1°) resta fermo che la Corte sia investita di ogni eccezione di incostituzionalità che sorga in un giudizio; 2°) si può accettare che, come l’onorevole Mortati propone, l’azione possa essere direttamente promossa alla Corte da un singolo leso in un suo diritto o interesse legittimo; 3°) bisogna mantenere più in pieno l’azione popolare e collettiva nell’interesse generale; 4°) è da respingere la figura della sospensione, mantenendo quella della cessazione d’efficacia. Tale è il mio preciso pensiero. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi propone che all’ultimo comma del testo della Commissione, dopo la frase: «se la Corte dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia», si aggiunga: «a decorrere dalla pubblicazione della decisione, salvo che la Corte fissi ad altro effetto un termine che non può essere superiore a sei mesi».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Questo emendamento presentato all’ultimo momento non le darebbe il diritto alla parola. Ma dica pure, onorevole Perassi, tenendo però presente che non abbiamo più da sprecare altro tempo.

PERASSI. L’emendamento che ho proposto è stato suggerito, in parte almeno, dall’emendamento Mortati, il quale si allontanava dal testo della Commissione sostituendo, alla idea della cessazione di efficacia, il sistema della sospensione della efficacia, lasciando al Parlamento il compito di abrogare l’atto.

A questo riguardo, cominciando anzitutto dalla formulazione dell’emendamento Mortati, rilevo che non mi sembra proprio il caso di dire che il Parlamento provvede alla sua abrogazione procedendo al regolamento dei rapporti, che si sia reso necessario. E ciò anche perché l’atto che può essere oggetto del giudizio davanti alla Corte può non essere una legge in senso formale dello Stato, ma può essere atto avente valore di legge, decreto legislativo o decreto legge, e può essere una legge regionale. Quindi, non mi sembra che quest’ultima formulazione dell’onorevole Mortati corrisponda a tutte le ipotesi. Ritengo invece che convenga restare sul terreno della proposta della Commissione, secondo la quale, quando la Corte costituzionale accerta che una norma è incostituzionale, questa cessa di avere efficacia.

A questo punto vi è un’idea giusta nell’emendamento Mortati, che deve essere accolta, ed è di prescrivere che la decisione della Corte debba essere pubblicata. Quanto alle modalità della pubblicazione ritengo che possano essere oggetto della legge.

Vi è poi un altro problema che si riconnette anche alle considerazioni che hanno suggerito all’onorevole Mortati il suo emendamento, ed è questo: che, cessando l’efficacia di una norma giuridica, si possono in certi casi presentare delle situazioni delicate, in quanto può darsi che la cessazione di questa norma dia luogo a qualche inconveniente, se non si provvede. In questo ordine d’idee nell’emendamento che io ho proposto si dice: «La decisione della Corte che accerti la incostituzionalità importa la cessazione della efficacia dalla pubblicazione della decisione o dal termine, non superiore a sei mesi, fissato dalla Corte nella decisione stessa».

In linea normale, la norma dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia dalla data di pubblicazione della Corte, ma sembra opportuno che la Corte possa, nella sua stessa decisione, indicare un termine dal quale cominci ad avere effetto la cessazione di efficacia, termine al quale io ho messo, nel mio emendamento, il limite massimo di sei mesi. Il significato concreto di questo espediente è questo: che l’organo competente, cioè l’organo che ha fatto l’atto dichiarato illegittimo dalla Corte, avrà il tempo necessario per provvedere in conseguenza, adottando, eventualmente, le norme che, secondo i casi, occorrono. Una disposizione analoga si trova nella Costituzione austriaca.

Questo è il significato del mio emendamento.

Per esaurire il mio intervento rilevo che, nell’ultimo periodo del testo della Commissione, si dice: «La decisione della Corte è comunicata al Parlamento». La parola «Parlamento», quando venne elaborato quel testo, aveva un significato, oggi ne ha un altro, e quindi occorre sostituire a questa espressione le parole: «alle Camere».

Ritengo poi, personalmente, che sia inutile l’aggiunta finale: «perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali». Questo va da sé e mi pare sia inutile dirlo nella Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Martino Gaetano ed altri presentano ancora il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma: Nella ipotesi di cui al primo comma di questo articolo la legge dichiarata incostituzionale dalla Corte non si applica alla controversia».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi duole che il collega Perassi, al quale debbo tanto perché è stato veramente il più assiduo, il più forte, il più valoroso dei collaboratori in questa opera che abbiamo compiuto per il progetto, non mi abbia completamente convinto. Se avessimo potuto parlare tranquillamente, l’uno avrebbe convinto l’altro. In questo tumulto improvvisato di discussioni, dobbiamo scambiarci le idee con discorsi pubblici!

Se si stabilisse un termine, fino a sei mesi, ed intanto la norma dichiarata incostituzionale dovesse rimanere in vigore, ne verrebbe una situazione inammissibile ed assurda. I tribunali continuerebbero ad applicare una norma incostituzionale; ed i privati che vi avessero interesse si precipiterebbero a chiederne l’applicazione. Come non ho ammesso la tesi Mortati, che sia sospesa l’efficacia della norma, ed invitate le Camere ad abrogarla, non ammetto, a maggior ragione, che la norma continui provvisoriamente, per un dato termine, ad aver efficacia. Prego l’onorevole Perassi di considerare le mie osservazioni e di ritirare la sua proposta.

PRESIDENTE. È stato presentato un emendamento soppressivo del primo comma dall’onorevole Gullo, al quale faccio rilevare che c’è già un emendamento del genere: quello dell’onorevole Arata.

GULLO FAUSTO. Mi associo a quello.

PRESIDENTE. Domando ai presentatori degli ultimi emendamenti se li mantengono.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, mantiene il suo emendamento?

PERASSI. Non insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, l’emendamento che ha ora presentato è subordinato all’accettazione dell’altro suo emendamento?

TARGETTI. È un completamento.

PRESIDENTE. Onorevole Martino Gaetano, conserva il suo emendamento?

MARTINO GAETANO. Lo conservo.

PRESIDENTE. Per l’emendamento Mortati, l’onorevole Ruini accetterebbe la formulazione dei due primi commi?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Mortati potrebbe acconsentire a rimanere al testo della Commissione che, in sede di coordinamento, terrebbe conto delle sue proposte di forma; e sarebbe disposta, con l’autorizzazione dell’Assemblea, ad ammettere il ricorso diretto dell’interessato, leso in concreto, alla Corte. Si potrebbe, per quanto riguarda il ricorso popolare e collettivo, nell’interesse generale, togliere la richiesta dei diecimila elettori e non accontentarsi della richiesta d’una sola Regione, ma di tre (considerando che una Regione potrà da sola ricorrere al pari d’un singolo quando si tratti di concreta lesione da essa sofferta). Ma dovrà rimanere, pel rimanente, quanto prevede il testo della Commissione. E così pure dovrà rimanere la cessazione d’efficacia, e non la sospensione.

L’Assemblea potrebbe autorizzare il Comitato ad adottare un testo definitivo, da sottoporre poi all’Assemblea stessa in sede di coordinamento.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Come membro del Comitato di redazione dissento: non posso accettare alcuno degli emendamenti Mortati. Desidererei che si rimanesse fermi al testo originario.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’ho dichiarato.

PRESIDENTE. Lei ha dichiarato che si resta al testo, salvo il consenso dell’onorevole Mortati ad accogliere alcune modificazioni formali. Ma quella che, a parer mio – non starebbe a me il sottolinearlo – è una modificazione molto importante, cioè accettare la facoltà di ricorso per incostituzionalità anche da parte del singolo, non credo possa essere accolta dall’Assemblea implicitamente: occorre votarla formalmente. È uno di quei punti essenziali sui quali l’onorevole Laconi ha dichiarato di dissentire. Desidero sapere se questo secondo comma dell’onorevole Mortati è accettato dalla maggioranza della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la. Costituzione. La Commissione non può, allo stato delle cose, che mantener fermo il suo testo. A titolo personale, ho espresso il mio avviso sull’emendamento Mortati.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene il suo emendamento?

CODACCI PISANELLI. Dato che non mi è stato concesso illustrare il mio emendamento, vorrei dire le ragioni per cui lo ritiro.

PRESIDENTE. Ritengo che lei debba attribuire a se stesso la mancata illustrazione del suo emendamento. Il testo dell’articolo è pubblicato da otto mesi. Mi pare strano che un collega, così profondo conoscitore di dottrine giuridiche, abbia bisogno di attendere l’ultimo minuto per presentare non un piccolo emendamento formale, ma un emendamento sostitutivo di tutto l’articolo. È evidente che non potevo permetterle di svolgerlo in questo momento. Ad ogni modo ha facoltà di esporre le ragioni per cui lo ritira.

CODACCI PISANELLI. Chiedo scusa all’onorevole Presidente se soltanto ora ho presentato questo emendamento; ma, appunto perché mi occupo di discipline giuridiche, confesso che ancora oggi ho gravissimi dubbi per quanto riguarda la istituzione della Corte costituzionale, che pure ho invocata.

Con l’emendamento proposto io desideravo far presente anzitutto l’opportunità di fare in modo che l’incidente di incostituzionalità non desse luogo a quelle complicazioni ed a quelle gravose spese, che sarebbero necessarie, se ogni volta si dovesse finire dinanzi alla Corte costituzionale, per far risolvere l’incidente d’incostituzionalità di una legge. Per tale ragione, proponevo, secondo il sistema accolto anche in altri ordinamenti, che la questione di incostituzionalità potesse essere risolta da qualunque giudice.

In secondo luogo, avevo ritenuto opportuno di riconoscere ai giudici la facoltà di inviare essi i casi di dubbio o le questioni d’incostituzionalità alla Corte costituzionale, per una soluzione definitiva, specialmente nei casi controversi.

Finalmente avevo esaminato la possibilità del ricorso principale alla Corte costituzionale, per ottenere la dichiarazione di invalidità di una legge ordinaria, perché ci stiamo occupando della legge ordinaria, che abbiamo distinto dalla legge costituzionale.

D’altra parte, sorge qui un grave problema, quello di attribuire un valore alla sentenza che sarà pronunciata dalla Corte costituzionale. Come principio generale, la sentenza ha efficacia limitata alle sole parti in causa. Quale sarà il valore della sentenza relativa alla legge ordinaria? Evidentemente dobbiamo derogare dal principio normalmente accolto per la cosa giudicata, che ha efficacia fra le sole parti in causa, ed ammettere invece l’efficacia oggettiva, cioè per tutti, della dichiarazione di incostituzionalità della legge.

Altro problema, veramente grave, che dovrebbe essere risolto, è quello della eventuale retroattività di questa dichiarazione: cioè, la dichiarazione di incostituzionalità di una legge sarà efficace soltanto per l’avvenire o sarà retroattiva? Ritengo che la questione debba risolversi nel secondo senso: efficacia retroattiva.

Finalmente, ritenevo opportuno che si chiarisse questo concetto, scopo di praticità, per rendere più facile e più spediti i giudizi. Si pensi quello che avverrà qualora sia sollevata dinanzi a una Pretura la questione di incostituzionalità di una legge; si dovrà andare dinanzi alla Corte costituzionale; potrà essere un comodo espediente processuale, per rendere interminabili le liti.

Per queste ragioni io proponevo quell’emendamento. Dato che non abbiamo la possibilità di esaminare a fondo il problema, sono costretto a ritirarlo.

PRESIDENTE. Il primo comma dell’articolo 128, nel testo della Commissione, è il seguente:

«Quando, nel corso di un giudizio, la questione d’incostituzionalità di una norma legislativa è rilevata d’ufficio o quando è eccepita dalle parti, ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata, la questione è rimessa per la decisione alla Corte costituzionale».

L’onorevole Mastino Gesumino propone che si inserisca, dopo la parola «giudizio», l’inciso: «ed entro un anno dalla data d’entrata in vigore di una legge».

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. L’onorevole Mortati ha nel suo emendamento posto la stessa questione, sia pure limitandosi all’azione di incostituzionalità promossa dal privato, in quanto deferisce alla legge la fissazione del termine. E poiché io mi proponevo l’unico scopo di richiamare l’Assemblea sulla gravità estrema del problema che un termine sia posto, affinché, l’ordinamento giuridico non resti scosso dal dubbio che le leggi non abbiano che limitato ed incerto vigore, ove l’onorevole Mortati mantenga il suo emendamento, per quanto riguarda la parte attinente all’azione del privato che chiede la dichiarazione di incostituzionalità della legge, aderisco all’emendamento dell’onorevole Mortati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per da Costituzione. Mi pare che, anche se fosse discutibile che potesse stabilirsi un termine per altri casi di azione diretta alla Corte, ciò non potrebbe ammettersi per il caso di eccezione in un altro giudizio. Se la legge è incostituzionale, è logico che chi ne è colpito possa addurre la sua incostituzionalità, e non possa rinunciare al suo diritto di difesa solo perché la legge è in vigore da qualche tempo.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di rispondere alle osservazioni dell’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Dovrei osservare semplicemente questo: che mai, come in questo caso, è vero l’assioma, che è anche un principio elementare di diritto, che chi eccepisce, nell’atto di eccepire, si fa attore. E questo è tanto più profondamente vero nel caso in esame, in cui con l’eccezione si tende a provocare una sentenza di incostituzionalità che riguarda la legge come tale. La legge che verrebbe dichiarata nulla attraverso questa eccezione non riguarda solo il cittadino costituito in giudizio, ma tutti i cittadini. L’eccezione ha quindi una portata formidabile, che, investendo l’essenza della legge, tocca tutto l’ordinamento giuridico. Ha quindi essenziale carattere di diritto pubblico e non di diritto privato, e deve assolutamente essere regolata. Ecco perché osservo che, anche per quanto riguarda l’eccezione, è bene porre un termine perché ne sia legittimo l’esercizio.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Se deve restar ferma la prima parte dell’articolo 128, trovo che l’emendamento dell’onorevole Mastino Gesumino è saggio e giudizioso; ma in realtà è saggio e giudizioso, appunto perché in parte corregge il sostanziale vizio della norma, che è quello di concedere al privato, al singolo, la facoltà di mettere in moto il funzionamento della Corte delle garanzie costituzionali. Senonché io ho presentato un emendamento soppressivo della prima parte dell’articolo 128, sul quale richiamo l’attenzione dell’Assemblea, che forse non ha esaminato a fondo le aberranti conseguenze alle quali può portare la norma proposta. Si dà al singolo la facoltà di adire la Corte costituzionale per ottenere la dichiarazione di incostituzionalità della legge; badate, al singolo, che è proprio il meno indicato a farlo, cioè a colui che esamina la incostituzionalità della legge attraverso l’angolo visuale di ciò che egli crede un suo diritto.

Evidentemente la giustizia ideale sarebbe questa: che la sistemazione giuridica del fatto venisse dopo il fatto; ma poiché questo non è possibile, per mille ed una ragione che non starò qui ad elencare, si fa ricorso alla legge, ossia alla sistemazione giuridica che viene prima del fatto. Da questo punto di vista la legge non è che una forma di transazione tra questa giustizia ideale, che è irraggiungibile, e quella giustizia che è possibile raggiungere nel tempo e nell’ambiente in cui viviamo. Ma è evidente che, appunto perché transazione, la legge non si attaglia a tutti i casi. La legge ha davanti a sé la maggior parte dei casi; o meglio la forma che quella data ipotesi assume nel maggior numero dei casi. Ma non c’è legge ottima, la quale in un qualche caso particolare non si dimostri addirittura iniqua, e ciò appunto perché il legislatore non riesce a prevedere tutti i casi, ed anche prevedendoli, non può contenerli tutti in una stessa disposizione di legge. Senonché è umano che il privato guardi la legge dal punto di vista del suo caso singolo; e non infrequentemente anche il giudice cede a questa necessità. Noi tante volte chiamiamo aberratiti delle massime giurisprudenziali, appunto perché le valutiamo al di fuori del caso concreto, che le ha determinate, e non consideriamo che il giudice è portato ad affermare quella illogicità giuridica, appunto perché egli vuole ad ogni costo fare aderire la legge, che resiste a ciò, al fatto così come a lui si presenta. Ora, dire al privato, che si sente leso da una norma di legge: tu hai la facoltà di adire la Corte costituzionale, perché essa esamini la incostituzionalità della legge, vuol dire innanzi tutto dargli un mezzo defaticatorio al quale ricorrerà, non foss’altro per ritardare la conclusione del giudizio, senza considerare l’enormità di lavoro che noi daremmo alla Corte, ove ogni privato avesse tale facoltà. Ma anche a non tener conto di tutte queste difficoltà pratiche, v’è che la Corte costituzionale deve giudicare della costituzionalità della legge prescindendo dal fatto singolo, cioè in astratto, senza che il suo giudizio sia fuorviato dall’esame del caso concreto. Quindi dare al singolo il diritto di adire la Corte nel momento in cui è pendente un giudizio a cui egli sia direttamente interessato, è stabilire una norma oltremodo pericolosa. Né vedo alcuna ragione che la spieghi. Allorché si demandava alla Magistratura ordinaria questa materia, si spiegava che la parte potesse proporre l’eccezione di incostituzionalità; ma quando a richiedere che si proceda a tale esame noi abilitiamo un certo numero di elettori o il Governo o un Consiglio regionale, non c’è motivo di pensare che possa essere incostituzionale una legge, contro la quale nessuno ha creduto di proporre la eccezione di incostituzionalità. Ciò nonostante si propone di dare al privato la facoltà di adire la Corte costituzionale, di mettere in movimento questo meccanismo così complicato e complesso, per far dichiarare l’incostituzionalità di una legge, che è pur stata accettata da tutti, tanto che i mezzi ordinari di opposizione non sono stati messi in moto.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, la prego di concludere.

GULLO FAUSTO. Signor Presidente, sento in coscienza di dover esprimere queste mie idee perché vedo chiaramente il pericolo enorme a cui si va incontro con questa norma.

PRESIDENTE. Non le voglio contrastare l’esercizio di un suo dovere di coscienza; ma le assicuro che queste cose sono già state dette.

GULLO FAUSTO. Vorrei aggiungere una altra cosa soltanto. La norma dispone che la proposta della parte passa alla Corte costituzionale, ove il giudice non la ritenga manifestamente infondata. È una maniera questa di andare incontro alla possibilità di mille ingiustizie. Perché cosa deve fare il giudice per dire se l’eccezione è o non è manifestamente infondata? Deve evidentemente sottoporla al suo esame, il quale può essere rigoroso o benevolo, secondo il criterio e il temperamento del giudice. Non parlo di malafede. Ed è già questo un inconveniente grave.

Ancora: la questione va alla Corte costituzionale quando un altro giudice, sia pure in seguito ad un esame non approfondito, ha già manifestato la sua opinione sulla incostituzionalità. Anche questo mi pare aberrante, perché la Corte costituzionale non è detto che sia un giudice d’appello di fronte al giudice ordinario. E in questo caso sarebbe appunto un giudice d’appello, dato, ripeto, che il giudice, dinanzi al quale si eccepisce l’incostituzionalità, deve fare un esame per accertare se l’eccezione sia manifestamente infondata.

Per tutte queste ragioni, prego l’Assemblea di accogliere l’emendamento soppressivo di questa prima parte dell’articolo 128.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Vorrei rispondere brevissimamente all’onorevole Gullo.

L’onorevole Laconi era preoccupato che fosse accettato l’emendamento Mortati e insisteva perché la Commissione non si distaccasse dal testo originario. Ora l’onorevole Gullo combatte quel testo.

Non accettiamo né l’emendamento Mortati, né l’emendamento soppressivo dell’onorevole Gullo, al quale mi permetto rivolgere una domanda: desidera egli, nel suo sistema, che le eccezioni di incostituzionalità siano per sempre vietate al singolo, al privato? Noi abbiamo creato un giudice esclusivo in materia di legittimità costituzionale. Attualmente, nel sistema finora vigente, un privato può davanti a un giudice ordinario eccepire l’incostituzionalità della legge…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Della legge no.

ROSSI PAOLO. Mi correggo, non della legge, evidentemente, ma di decreti e provvedimenti. Invece la Commissione ha concepito un sistema per cui giudice esclusivo delle questioni di questa natura sia la Corte costituzionale.

Onorevole Gullo, desidera ella togliere al privato il diritto di eccepire l’incostituzionalità di fronte a qualsiasi giudice?

GULLO FAUSTO. Sì.

ROSSI PAOLO. Badi, allora, che questo sistema è estremamente pericoloso.

Mi consenta di richiamare la sua attenzione sugli articoli 20 e 21 della Carta costituzionale, a titolo d’esempio.

Dice l’articolo 20:

«Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

«Nessuno può essere punito se non in forza di una legge in vigore prima del fatto commesso.

«Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza al di fuori dei casi previsti dalla legge».

E l’articolo 21:

«La responsabilità penale è personale.

«L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

«Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.

«Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra».

Supponga, per avventura, che nessun Consiglio regionale si sia mosso, che i cinquanta deputati non si siano mossi e che, per la prima volta, un imputato venga a trovarsi di fronte ad un magistrato, il quale potrebbe infliggergli anche la pena di morte, in virtù di un decreto incostituzionale. Che cosa deve fare il suo difensore?

Istituita la Corte costituzionale, non possiamo fare altro se non pregarvi di votare a favore del testo così come esso è stato concepito, perché appare estremamente pericoloso sia togliere al privato il diritto di sollevare l’eccezione d’incostituzionalità, sia lasciare che di siffatta eccezione possono decidere altri giudici.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Dichiaro che voterò a favore del comma dell’articolo 128. Ritengo che noi dobbiamo soprattutto impedire che i principî sanciti nella Costituzione vengano violati. Francamente non intendo perché il magistrato, quando si trovi dinanzi ad una legge che egli, nella propria intelligenza e nella propria coscienza, giudichi anticostituzionale, non debba manifestare questo suo convincimento.

Si intende bene che non egli potrà decidere, ma egli dovrà pure avere la facoltà di rimettere la decisione alla Corte costituzionale. Non comprendo, d’altra parte, perché il privato, cui è stata già concessa la possibilità che gli sia resa giustizia di fronte a minori disposizioni di legge, non debba invece averla di fronte a quella che sarebbe una violazione dei suoi diritti fondamentali e, cioè, alla violazione delle tavole statutarie, poste a fondamento dello Stato. Ammettendo, invece, il diritto di ricorso del privato alla Corte costituzionale faremmo in modo che l’azione del privato si fonderebbe coll’interesse di tutto il Paese.

Voterò quindi in favore della prima parte dell’articolo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Arata che aveva presentato un emendamento soppressivo dei primi due commi, mi ha fatto pervenire adesso un altro emendamento, che deve naturalmente intendersi sostitutivo dei due precedenti. Esso è del seguente tenore:

«La legge stabilirà i modi e i termini per i giudizi sull’incostituzionalità delle leggi».

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Debbo dichiarare, anche a nome dei miei colleghi di Gruppo, che noi voteremo per il testo della Commissione e quindi contro l’emendamento soppressivo, considerando che è proprio nella fase dell’applicazione del diritto che sorge l’esigenza di controllare se sia costituzionalmente valida la legge da applicare nel caso singolo.

Crediamo con ciò di affermare una più alta tutela della libertà del cittadino, in conformità di quanto già dispone in via generale l’articolo 19 della Costituzione, consacrando secondo i principî il diritto del singolo di sollevare l’incidente di incostituzionalità, che il giudice è tenuto anche d’ufficio a deferire alla decisione della Corte costituzionale. Un limite già opera, ed è notevole – se mi permette l’onorevole Gullo – attraverso la delicata facoltà del magistrato di non rimettere la questione alla Corte, qualora egli ritenga manifestamente infondata l’eccezione.

GULLO FAUSTO. Il ricco potrà sempre adire l’Alta Corte, il povero mai.

DOMINEDÒ. Mi consenta, onorevole Gullo! Proprio se noi riconosciamo a qualunque cittadino il potere di sollevare l’incidente di costituzionalità idoneo ad essere senz’altro trasferito innanzi alla Corte costituzionale, evidentemente realizziamo una finalità che serve a neutralizzare la sua obiezione. È perciò che noi sosteniamo non solo la proponibilità nel corso di giudizio della eccezione di incostituzionalità, ma altresì il conseguente diritto di ogni cittadino, titolare di un diritto o di un interesse legittimo, di adire direttamente la Corte. In tal modo, anche nell’ambito del futuro sindacato di validità della legge, come già in quello dell’atto amministrativo, la lesione del singolo aprirà la via per un accertamento efficace erga omnes nell’interesse della comunità.

Riteniamo pertanto di attenerci allo spirito della Costituzione votando per il testo proposto dalla Commissione e contro l’emendamento soppressivo.

PRESIDENTE. Allora, possiamo passare alla votazione. Abbiamo, dunque, la proposta soppressiva dell’onorevole Gullo, che si riferisce al primo comma; poi abbiamo l’emendamento sostitutivo dell’onorevole Arata, ancora per il primo comma; e poi vi sono emendamenti modificativi del testo del primo comma proposto dalla Commissione.

Ora, non so se nel caso concreto la proposta soppressiva possa e debba essere messa in votazione. Vorrei conoscere a questo proposito anche il parere dell’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è questione di mia competenza, perché riguarda l’ordine dei lavori. Ad ogni modo personalmente non ho difficoltà.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione per prima la proposta soppressiva del primo comma dell’articolo 128 presentata dall’onorevole Gullo.

Sulla proposta di soppressione del comma è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Uberti, Moro, Ponti, Dominedò, Fabriani, Delli Castelli Filomena, Coppi, Bubbio, Nicotra Maria, Ambrosini, Murdaca, Damiani, Alberti, Bosco Lucarelli, Ermini.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Penso che la procedura che si vorrebbe adottare adesso, votando la proposta soppressiva, non risponde alla prassi che costantemente in materia costituzionale^ da parecchio tempo abbiamo adottata.

L’altro giorno io proposi che si votasse un emendamento soppressivo. Mi fu giustamente risposto che questo non era possibile, poiché la consuetudine sempre seguita era per il contrario.

Credo quindi che non si possa ragionevolmente mettere ai voti per appello nominale questa proposta soppressiva.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, in precedenza qualche volta si è proceduto alla votazione di un emendamento soppressivo. Ad ogni modo, proprio per le considerazioni che lei ha espresso, mi sono rivolto al Presidente della Commissione per chiederne il parere e, soltanto dopo che egli si è dichiarato favorevole, ho dichiarato di porre in votazione la proposta soppressiva.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta soppressiva del primo comma dell’articolo 128.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Arcaini.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Allegato – Amadei.

Baldassari – Barbareschi – Barontini Anelito – Bartalini – Bernamonti – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bonomelli – Bordon – Bosi.

Cacciatore– Carpano Maglioli – Colombi Arturo – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Michelis Paolo – D’Onofrio.

Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giolitti – Giua – Gullo Fausto.

Imperiale.

Laconi – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Lombardi Carlo – Longo – Lozza.

Magnani – Maltagliati – Mancini – Massini – Massola – Merlin Angelina – Minella Angiola – Molinelli – Momigliano – Morandi – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Noce Teresa – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pastore Raffaele – Pellegrini – Pesenti – Pistoia – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Scarpa – Schiavetti – Sereni – Sicignano – Silipo – Simonini.

Targetti – Tega – Tomba – Tonello.

Vischioni.

Zanardi – Zappelli.

Rispondono no:

Aldisio – Ambrosini – Angelucci – Arcaini – Azzi.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellato – Belotti – Benvenuti – Bernabei – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bocconi – Bonino – Bosco Lucarelli – Braschi – Brusasca – Bubbio.

Caccuri – Cairo – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Caronia – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colonnetti – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsi – Cortese Pasquale – Cosattini – Cotellessa.

Damiani – D’Aragona – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Germano – Giacchero – Giannini – Giordani – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Rocco.

Jervolino.

Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Lettieri – Lizier – Lussu.

Macrelli – Magrini – Malvestiti – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morini – Moro – Mortati – Murdaca.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Pacciardi – Pallastrelli – Paris – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perugi – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Ponti.

Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rossi Paolo – Ruini – Rumor.

Saggin – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Segni – Spallicci – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Terranova – Titomanlio Vittoria – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Veroni – Vicentini – Vigo – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Si è astenuto:

Arata.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Cavallari.

De Vita – Dugoni.

Ghidini.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan – Rubilli.

Vanoni – Varvaro – Viale.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale. Invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti                               287

Votanti                                286

Astenuto                              1

Maggioranza           144

Hanno risposto      92

Hanno risposto no    194

(L’Assemblea non approva).

Presentazione di una relazione.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Mi onoro di presentare la relazione al disegno di legge:

«Approvazione dei seguenti atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia e altri Stati, l’8 febbraio 1947:

  1. a) Accordo per la conservazione e la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale;
  2. b) Protocollo di chiusura;
  3. c) Protocollo di chiusura addizionale».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

(La seduta sospesa alle 20.40 è ripresa alle 21.45).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Dato l’esito della votazione alla quale abbiamo proceduto prima dell’interruzione, in seguito alla quale è stata respinta la proposta soppressiva del primo comma dell’articolo 128, passiamo alla votazione della formulazione dell’onorevole Arata, il quale propone che ai due primi commi dell’articolo 128 si sostituisca il seguente:

«La legge stabilirà i modi e i termini per i giudizi di incostituzionalità delle leggi».

Con questa proposta si rimettono alla legge tutte le disposizioni particolareggiate che sono contenute nel testo della Commissione.

La pongo ai voti.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Dato il risultato di questa votazione, l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Bertone, che avrebbe dovuto trovar posto dopo il secondo comma, s’intende decaduto.

La prima parte del terzo comma, nel testo della Commissione, è la seguente:

«Se la Corte, nell’uno o nell’altro caso, dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia».

È evidente che, dato l’esito della votazione testé avvenuta, deve cadere l’inciso: «nell’uno o nell’altro caso», cosicché il testo deve essere il seguente: «Se la Corte dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia».

A questo punto ci arrestiamo perché vi sono numerosi emendamenti aggiuntivi e modificativi.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Domando la verifica del numero legale, perché argomenti così importanti noi si possono decidere con una casuale maggioranza alla presenza di poche decine di deputati. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Concordo pienamente con lei sulla motivazione; mi permetto di deplorare vivissimamente l’assenza quasi totale dei membri di tutti i Gruppi dell’Assemblea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego l’onorevole Moro di considerare la portata della sua proposta che equivale a rimandare di ventiquattro ore, cioè fino a domani sera, le decisioni. (Commenti al centro).

Vorrei osservare al collega Moro che, quel che poteva essere deprecabile, è avvenuto perché abbiamo demandato alla legge ordinaria materie che potevano essere ritenute di natura costituzionale.

Ora si tratta di stabilire un punto che è bene sia nella Costituzione e che da parte dell’onorevole Arata non è contestato. Pur rinviando le norme per le condizioni e per la procedura del giudizio di incostituzionalità, si deve stabilire il punto della cessazione d’efficacia delle leggi dichiarate incostituzionali. Su ciò non sembra vi possa essere contrasto. Approviamo dunque l’ultimo comma dell’articolo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Moro se intende insistere sulla richiesta di verifica del numero legale.

MORO. Mi sembra che sia indispensabile questo accertamento anche per la portata delle successive votazioni.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto di parlare per fare una proposta, accogliendo la quale si raggiungerebbe ugualmente lo scopo cui mira l’onorevole Moro e si eviterebbero le conseguenze, non certo utili per il corso dei lavori, di una constatazione della mancanza del numero legale.

Lo scopo che l’onorevole Moro si prefiggeva con la domanda di verifica del numero legale, dobbiamo riconoscerlo, è più che legittimo, perché questioni dell’importanza di quelle che vengono ora decise con le nostre votazioni devono essere decise da un numero di rappresentanti sufficiente a conferire autorità alle decisioni stesse. E quindi non sarà mai abbastanza lamentato e criticato l’assenteismo dei colleghi, di un Gruppo o dell’altro, che non sentono il dovere di sopportare i piccoli sacrifici richiesti dall’adempimento del loro ufficio. Sacrifici che non meritano neppure questo nome se si confrontano con l’importanza del compito che ci è affidato.

Ma, detto questo, chiedo ai colleghi se questo stesso scopo di evitare votazioni alle quali non parteciperebbe un numero sufficiente di costituenti non si può raggiungere ugualmente togliendo la seduta. In tal modo, non si va incontro all’inconveniente, che tutti i colleghi sanno, di una verifica negativa del numero legale.

ARATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Aderisco alla proposta dell’onorevole Targetti e nel tempo stesso mi permetto di prospettare qui se non sia il caso di conformarci al criterio che abbiamo seguito lo scorso sabato, al criterio cioè di svolgere intanto gli emendamenti, riservandoci di votare poi domani. In tal modo non si perderebbe la seduta.

PRESIDENTE. Onorevole Arata, io apprezzo il suo suggerimento; sono tuttavia riluttante a seguirlo, giacché ho presente l’esperienza di oggi in cui abbiamo visto come tutti coloro i quali avevano presentato degli emendamenti, anche coloro che li hanno presentati all’ultimo momento, hanno chiesto ed insistentemente di prendere nuovamente la parola.

La proposta dell’onorevole Targetti soddisfa evidentemente all’esigenza di non far votare questi punti così importanti con una Assemblea semideserta senza imporci una sospensione di lavoro di 24 ore.

Mi permetto tuttavia di dire ciò che l’onorevole Targetti, nella sua squisita delicatezza, ha voluto evitare, e desidero che se ne prenda nota espressa nel processo verbale. Esprimo, cioè, la più viva ed amara deplorazione contro tutti gli assenti in corpo e verso ciascuno di essi individualmente, per lo spettacolo veramente spiacevole ed umiliante al quale questa sera, per fortuna, non assistono troppi spettatori.

È una colpa che non trova sufficiente deplorazione, dato specialmente che siamo verso il termine dei nostri lavori. Io voglio quanto meno augurarmi che da parte di coloro i quali, con tanta meticolosità, si astengono dal dare ai nostri lavori il contributo della loro presenza e che in generale si costituiscono in una cerchia facilmente identificabile, non debba sorgere poi un’idea peregrina la quale trovi a giustificazione dell’impossibilità di concludere i lavori della nostra Assemblea, nei termini stabiliti dalla legge, proprio quel ritardo che è causato dalla loro negligenza.

E mi rivolgo ai presenti con un appello particolare perché diano il loro contributo affinché i nostri lavori siano conclusi – come è nostro assoluto dovere – nel tempo che ci è stato fissato. (Vivissimi, generali applausi).

Detto questo, pongo in votazione la proposta dell’onorevole Targetti di rinviare la nostra seduta, interrotta non per responsabilità nostra, ma per colpa degli assenti.

(È approvata).

Il seguito di questa discussione è pertanto rinviato a domani alle 11.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei giustificare l’assenza di alcuni deputati del mio Gruppo che sono tuttora impegnati per il lavori del Congresso del Partito liberale.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, per i suoi colleghi del Gruppo liberale sappiamo bene che vi è la giustificazione valida dei lavori del Congresso.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevole Presidente, siccome domani mattina si concludono i lavori del nostro Congresso, la pregherei di evitare che domani vi siano delle votazioni.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, non glielo posso assicurare; faremo il massimo possibile. Ero rimasto d’accordo coi membri del Gruppo liberale, di ricominciare quest’oggi le votazioni, e anche ih relazione a ciò abbiamo stabilito il calendario dei nostri lavori.

Io vorrei poter venire incontro a tutte le richieste; ma occorre stabilire che più nessuna richiesta sia avanzata per sospensioni, proroghe o rinvii dei nostri lavori. Ognuno scelga, e chi si sente di partecipare ai lavori della nostra Assemblea, venga. So, onorevole Condorelli, che i lavori del Congresso tratterranno forse lei e gli altri suoi colleghi, ma, evidentemente, non possiamo più anteporre una pur giusta esigenza di partito alla più giusta esigenza dell’Assemblea.

CONDORELLI. Ella sa, signor Presidente, con quale scrupolo io abbia seguito i lavori dell’Assemblea…

PRESIDENTE. Non si tratta di questione personale.

CONDORELLI. Mi dia anche atto, onorevole Presidente, dello stato di enorme disagio in cui io ed i miei colleghi ci troveremo domani mattina, chiamati da due doveri che contrastano in questo modo. Per altri partiti s’è usato un diverso trattamento.

Noi chiediamo soltanto questo: che domani mattina non si facciano votazioni.

PRESIDENTE. Con i rappresentanti ufficiali del suo Gruppo abbiamo stabilito che si cominciasse a votare e a svolgere il nostro lavoro regolare oggi nel pomeriggio.

Adesso non mi muova dunque il rimprovero di fare un diverso trattamento al Gruppo liberale rispetto ad altri Gruppi. Con ogni Gruppo ogni volta si è concordato in precedenza; così si è fatto col Gruppo liberale.

Debbo dichiarare che non posso assolutamente impegnarmi a concedere ulteriori rinvii.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Ai Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere se non si ravvisi urgente concedere la garanzia dello Stato ai Comuni per i mutui di cassa, cui essi sono costretti a ricorrere per far fronte al pagamento degli stipendi e dei salari; e ciò segnatamente mediante intervento presso le Casse di risparmio, che, malgrado il non lieve tasso d’interesse praticato, rifiutano ulteriori aperture di credito; quale intervento si palesa anche giustificato in relazione al sistematico grave ritardo dello Stato a versare ai Comuni i contributi e concorsi cui esso è tenuto, nonché avuto riguardo al fatto che esso ha recentemente accollato ai bilanci comunali le spese degli uffici annonari, assumendo a suo carico solo una aliquota pro capite, di gran lunga inferiore all’importo delle spese.

«Bubbio».

«Al Ministro della marina mercantile, per conoscere:

1°) se non crede che ormai sia indilazionabile emettere i provvedimenti opportuni per dare all’Ente autonomo del porto di Napoli le facoltà e i diritti pari a quelli che hanno gli Enti similari dei porti di Genova, Savona e Venezia. E ciò al fine di dare al porto di Napoli la necessaria efficienza nei mezzi meccanici sussidiari che sono indispensabili per la vita effettiva di un porto;

2°) se non crede opportuno emettere provvedimenti contingenti affinché il personale dello stesso Ente autonomo del porto sia messo in condizione di riscuotere a fine mese corrente gli stipendi e gli altri emolumenti dovuti;

3°) e, infine, per conoscere quali provvedimenti intende adottare per incrementare l’industria dell’armamento in Napoli e nel Mezzogiorno d’Italia.

«Sansone».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non creda opportuno emettere con urgenza gli opportuni provvedimenti per la realizzazione dell’acquedotto del Torano indispensabile per la vita di molti comuni di Terra di Lavoro e per la stessa città di Napoli.

«Sansone».

Chiederò ai Ministri interrogati quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se ritenga conforme a dignità nazionale lo scandaloso stato di deperimento e ruina, a cui sono abbandonati numerosi stabili amministrati dall’Istituto delle Tre Venezie, situati nei comuni di Tarvisio e Malborghetto, e ciò quando il problema dei senza tetto si fa più assillante. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se, in accoglimento delle istanze formulate anche dall’Assemblea regionale Triveneta dei rappresentanti di tutti gli ordini e collegi professionali non ritenga opportuno promuovere, per quel che concerne i redditi professionali, la revoca del decreto 1° settembre 1947, n. 892, con particolare riguardo alla disposizione – non razionale, non giusta e non democratica – secondo cui il nuovo imponibile viene determinato mediante automatica moltiplicazione del reddito precedentemente accertato per un fattore fisso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici premesso che trai proprietari di fabbricati danneggiati per fatto bellico, i quali ricostruirono fruendo degli interventi di cui al decreto legislativo luogotenenziale 9 giugno 1945, n. 305, è sorto profondo malumore dopo che il decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261, aumentò la portata degli interventi stessi a favore delle sole successive ricostruzioni; premesso, altresì, che più forti ancora sono i lagni di quanti, avendo iniziata la ricostruzione vigente il primo decreto ed ultimata vigente il secondo, si vedono ora riconosciute indiscriminatamente soltanto le agevolazioni di cui al decreto legislativo luogotenenziale 9 giugno 1945, n. 305 – l’interrogante chiede di sapere se non si ritenga conforme ad equità e giustizia di riconoscere – e pertanto di dar luogo sollecitamente – ai conseguenti provvedimenti:

  1. a) in via principale, che a tutti i ricostruttori di fabbricati sia dato di fruire dei più favorevoli interventi contemplati nel decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261;
  2. b) in via subordinata, che dei benefici, di cui al detto decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261, possano fruire tutti quelli che le opere di ricostruzione ultimarono dopo l’entrata in vigore del citato decreto, o quanto meno ed in ogni caso che dei più favorevoli interventi debba giovarsi quella parte di lavori che fu eseguita dopo il 10 aprile 1947.

«Schiratti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se, in considerazione delle gravissime distruzioni di guerra sofferte dalla città di Treviso, e di fronte all’ingente numero di domande d’alloggio – ben 253 soltanto della categoria urgentissima – presentate su 1500 agenti ferroviari del deposito di Treviso in vista della assegnazione di dieci nuovi alloggi e di 24 in costruzione, a cura dell’Amministrazione, non intenda adottare con urgenza speciali provvidenze, avendo presente:

1°) che i molti agenti ferroviari ancora sfollati da Treviso abitavano in edifici privati prossimi alla stazione ferroviaria, come questa distrutti dai bombardamenti aerei e non ancora riedificati;

2°) che col progressivo migliorare dei trasporti ferroviari più disagevole diviene la situazione per il personale di macchina e viaggiante tuttora sfollato, costretto per le inderogabili esigenze dei turni e degli orari a raggiungere con mezzi primitivi, e in condizioni di tempo e di luogo spesso proibitive, il posto di servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri di grazia e giustizia e delle finanze, per sapere se non ritengano opportuno disporre – in accoglimento della domanda presentata sin nel marzo 1947 dal comune di Calendasco (Piacenza) – l’aggregazione di quel Comune agli uffici giudiziari e finanziari di Piacenza, con distacco, rispettivamente da quelli di Borgonovo Val Tidone e di Castel San Giovanni.

«La domanda appare fondata solo che si consideri che il comune di Calendasco dista solo dieci chilometri da Piacenza, cui è unito da mezzi diretti di comunicazione, mentre dista rispettivamente 24 e 18 chilometri da Borgonovo e da Castel San Giovanni senza servizio diretto di comunicazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se non ritengano equo provvedere con urgenza all’inquadramento dei maestri elementari dei convitti nazionali nel ruolo unico dei maestri, per risolvere una buona volta la situazione di una numerosa classe di insegnanti, i quali, pur essendo maestri elementari, non si trovano nella identica posizione giuridica ed economica di quelli delle scuole pubbliche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Silipo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere come sia attualmente regolato il diritto di caccia nei laghi di Fogliano, Monaci, Caprolace e Paola, in provincia di Latina, dopo il decreto del Capo dello Stato del 2 settembre 1946, che ha dichiarato acque pubbliche i detti laghi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 22.10.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

  1. Votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946. (31).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946. (40).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e Scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

  1. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

LUNEDÌ 1° DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 1° DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

INDICE

 

Congedo:

Presidente

 

Disegni di legge (Presentazione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

 

Disegni di legge (Discussione e approvazione):

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Presidente

 

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca il 2 marzo 1946. (31).

Presidente

 

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

Presidente

 

Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara tra l’Italia e la Turchia il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Presidente

 

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio il 18 aprile 1946. (40).

Presidente

 

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma, tra l’Italia e la Svezia il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Presidente

Perassi

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di, Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

Presidente

 

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Costantini

Canevari

Cavalli, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio

Malvestiti, Sottosegretario di Stato per le finanze

Arata

Morini

 

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

 

Interrogazione (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Cevolotto.

(È concesso).

Presentazione di disegni di legge.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare i seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi ad Atene, fra l’Italia e la Grecia, il 31 marzo 1947.

Approvazione degli Accordi di carattere economico e finanziario conclusi a Madrid, tra l’Italia e la Spagna, il 20 giugno 1947.

Approvazione del Protocollo regolante l’emigrazione di minatori italiani in Francia e la corrispondente fornitura di carbone francese, all’Italia, con Convenzione annessa e scambio di Note, stipulati in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 15 maggio 1947.

Approvazione degli Accordi di carattere commerciale e finanziario conclusi a Montevideo, tra l’Italia e l’Uruguay, il 26 febbraio 1947, nonché dello scambio di Note effettuato il 29 maggio 1947.

Approvazione dello scambio di Note Verbali fra l’Italia e gli Stati Uniti d’America, effettuato a Roma, il 24-26 settembre 1946, relativo alla sistemazione dei cimiteri di guerra americani in Italia.

Approvazione dell’Accordo stipulato in Roma, tra il Governo italiano ed il Comitato intergovernativo per i rifugiati, il 15 maggio 1947.

Approvazione degli Accordi di carattere economico e finanziario stipulati all’Aja, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 18 dicembre 1946.

Approvazione del Protocollo addizionale provvisorio agli Accordi commerciali e di pagamento del 2 marzo 1946 e dello scambio di Note conclusi a Roma tra l’Italia e la Danimarca il 23 maggio 1947.

PRESIDENTE. Do atto al Ministro degli affari esteri della presentazione di questi disegni di legge. Saranno inviati alla Commissione competente.

Discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del seguente disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi a Roma, tra l’Italia e i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Dichiaro aperta la discussione generale.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro, chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi, conclusi in Roma, fra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946:

  1. a) Accordo commerciale;
  2. b) Accordo di pagamento;
  3. c) Scambio di Note relativo agli Accordi commerciale e di pagamento».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 30 agosto 1946».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946. (31).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946. (31).

Dichiaro aperta la discussione generale.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946:

  1. a) Accordo commerciale;
  2. b) Accordo di pagamento;
  3. c) Scambio di Note relativo agli Accordi suddetti».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 1° aprile 1946».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del seguente disegno di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946 (32).

Dichiaro aperta la discussione generale su questo disegno di legge.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi conclusi in Roma, fra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946:

  1. a) Accordo commerciale;
  2. b) Accordo per regolare i pagamenti derivanti dagli scambi commerciali;
  3. c) Scambio di Note relativo all’Accordo di pagamento».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 9 novembre 1946».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Apro la discussione generale su questo disegno di legge.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947:

  1. a) Accordo commerciale;
  2. b) Accordo di pagamento;
  3. c) Scambio di note».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore nei modi e nei termini di cui all’articolo 6 dell’Accordo commerciale e all’articolo 4 dell’Accordo di pagamento».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946. (40).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia e il Belgio, il 18 aprile 1946. (40).

Apro la discussione generale su questo disegno di legge.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data agli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, fra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’esame dell’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 1° maggio 1946».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, la discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Dichiaro aperta la discussione generale su questo disegno di legge.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei approfittare della celerità con la quale si svolge l’ordine del giorno e prendere occasione dal disegno di legge relativo all’Accordo con la Svezia per fare qualche considerazione di carattere generale e prevalentemente tecnico.

Esaminando questo disegno di legge e quelli concernenti gli altri accordi internazionali all’ordine del giorno io mi sono domandato: per quale motivo il Governo ha ritenuto di presentare all’Assemblea questi atti internazionali con un disegno di legge e non seguendo altre vie? Io non credo che il Governo abbia seguito questa procedura ritenendosi obbligato a farlo in virtù dell’articolo 3 del decreto luogotenenziale 16 marzo 1946. Voi sapete che in quel decreto si dice che l’Assemblea delibera – e non il Governo – le leggi di approvazione di trattati internazionali. Io so che qualche dubbio è sorto sul modo di interpretare questa espressione contenuta in quel decreto e che da parte di qualche organo dello Stato si è pure ritenuto di interpretare quella espressione alla lettera, nel senso cioè che nessun accordo internazionale potesse essere reso esecutivo se non mediante un atto legislativo, deliberato dall’Assemblea Costituente.

Non credo che questa interpretazione sia esatta, perché la disposizione dell’articolo 3 occorre inquadrarla in tutto il sistema dell’ordinamento costituzionale provvisorio che è attualmente in vigore. Secondo il mio avviso questa disposizione vuol dire soltanto che all’Assemblea Costituente devono essere presentati quei trattati internazionali per i quali, secondo l’antico ordinamento (che al riguardo non è ancora abrogato), era richiesta l’approvazione parlamentare, cioè quelli che comportino variazioni di territorio dello Stato oppure oneri alle finanze. Quando invece un accordo internazionale esige l’adozione di nuove norme legislative o deroghe a norme legislative, ritengo che la competenza a fare l’atto interno, ossia l’ordine di esecuzione, spetti alla competenza del Governo, secondo l’articolo 3 dello stesso decreto 16 marzo 1946. Vero è che nello stesso articolo 3 vi è una disposizione generica la quale dice che il Governo potrà sottoporre all’Assemblea Costituente qualunque altro argomento per il quale ritenga opportuna la deliberazione di essa. Io suppongo che molti dei disegni di legge relativi ad accordi internazionali presentati all’Assemblea, il Governo li abbia presentati valendosi di questa facoltà conferitagli dalla disposizione che ora ho citato. È una facoltà discrezionale che il Governo esercita secondo il suo prudente criterio. Vi possono essere ragioni di ordine politico, per le quali il Governo ritenga opportuno che anche un trattato, che potrebbe essere reso esecutivo mediante un decreto legislativo, sia portato innanzi all’Assemblea mediante la presentazione di un disegno di legge di approvazione. Credo, d’altra parte, che il Governo, nell’esercitare questa facoltà discrezionale, terrà conto anche della situazione attuale dell’Assemblea Costituente e, in particolare, del lavoro che grava sull’Assemblea soprattutto per il suo compito principale relativo alla Costituzione e per altre leggi complementari della Costituzione.

Venendo, in particolare, all’accordo che mi ha suggerito queste osservazioni – che riguardano anche altri accordi – si può domandare: questo accordo, per essere reso esecutivo, ha bisogno di un provvedimento legislativo, di una legge? Vi sono in esso molti articoli i quali non esigono questa procedura. Siamo, infatti, in presenza di un accordo amministrativo, che si limita a regolare il reclutamento in Italia di un certo numero di operai da impiegarsi in Svezia. Ciò spiega come gran parte degli articoli stabiliscono soltanto obblighi per la Svezia, riguardanti il trattamento dei lavoratori in Svezia.

Però vi è nell’Accordo qualche disposizione per la quale occorre che nel nostro diritto interno sia adottato un provvedimento di carattere legislativo.

La disposizione più notevole che si può rilevare – e a questo punto faccio non più una osservazione formale come le precedenti, ma un’osservazione che riguarda il contenuto dell’accordo – è quella contenuta nell’articolo 14, nel quale si disciplina la rimessa dei risparmi dei lavoratori italiani che vanno in Svezia; e vi si stabilisce in quale misura la Svezia dovrà consentire che questi risparmi siano trasferiti e, soprattutto, si regola il modo del trasferimento.

Nell’articolo 3 del protocollo addizionale si precisa poi, in che modo si effettua la rimessa agli aventi diritto. E questo è il lato notevole e nuovo in accordi relativi all’emigrazione di lavoratori italiani. Si prevede qui che la Banca italiana incaricata, rimetterà agli aventi diritto l’equivalente in lire dei dollari depositati in America, applicando un certo tasso di conversione, cioè per il 50 per cento da cedersi al cambio ufficiale maggiorato della quota di adeguamento e diminuito dello scarto d’uso e, per l’altro cinquanta per cento, da cedersi al cambio del dollaro di esportazione da parte delle banche italiane incaricate del servizio della rimessa.

Ora, sotto questa formulazione tecnica, vi è un fatto notevole ed è che, in tal modo, si viene a stabilire una cessione obbligatoria dei risparmi degli emigranti all’Istituto dei cambi italiano. È questa la novità caratteristica di questo Accordo; novità che io sottolineo perché è un caso – il primo caso – in cui si fa alle rimesse degli emigranti un trattamento analogo a quello che si fa al ricavato delle esportazioni italiane.

Lo rilevo, perché così i lavoratori italiani che vanno in Isvezia sono chiamati a contribuire con un onere loro imposto, al riassetto dell’economia nazionale.

PRESIDENTE. Non essendovi altri oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1:

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi, conclusi a Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947:

  1. a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia;
  2. b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 2.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 19 aprile 1947».

PRESIDENTE. Pongo in discussione questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia e il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 2629 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi conclusi tra l’Italia ed il Belgio:

  1. a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio, del 23 giugno 1946;
  2. b) Scambio di note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto, del 26-29 ottobre 1946;
  3. c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga del 26 aprile 1947;
  4. d) Scambio di note per l’applicazione immediata, a titolo provvisorio, all’Annesso del 27-28 aprile 1947».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

Poiché l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno è tuttora assente da Roma, sono rinviate ad altra seduta le seguenti interrogazioni:

Cicerone, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere se il Governo non creda giunto il momento per adottare in Puglia misure eccezionali in difesa dell’ordine costituito e dell’incolumità personale dei cittadini, in considerazione che la situazione dell’ordine pubblico sta ivi diventando gravissima; il numero dei morti e dei feriti cresce giornalmente per l’indeciso atteggiamento delle forze di polizia, le quali, intervenendo sempre in ritardo, non riescono a rappresentare più l’autorità dello Stato e a farla rispettare preventivamente; gruppi sovversivi tengono ferma ogni attività produttiva, con incalcolabile danno all’economia del Paese e contro la volontà di lavoro delle popolazioni pugliesi: il perdurare di un atteggiamento di protesta puramente platonico da parte del Governo costringerà i privati a provvedere alla difesa individuale, al di fuori degli ordinamenti costituiti»;

Caccuri, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati contro i responsabili dei luttuosi incidenti di Corato, Gravina e Bitonto e quali misure intende adottare per fronteggiare l’imperversare delle violenze in terra di Bari»;

De Maria, al Ministro dell’interno, «per conoscere i particolari dell’uccisione del sacerdote Di Leo di Bitonto ed i provvedimenti che il Governo intende adottare per fronteggiare la grave situazione di disordine verificatasi in Puglia e che si va estendendo anche alla Basilicata ed alla Calabria»;

Stampacchia e Cacciatore, al Ministro dell’interno, «sui dolorosi avvenimenti accaduti in Campi Salentina (Lecce) e sui provvedimenti che intende prendere per richiamare le autorità locali ad una più una comprensione del contenuto delle agitazioni delle classi lavoratrici e per stroncare l’atteggiamento provocatorio delle classi padronali nel resistere alle richieste dei lavoratori»;

Gabrieli al Ministro dell’interno, «per conoscere i particolari sui fatti di sangue di Campi Salentina e di Trepuzzi (Lecce);

Monterisi, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali misure siano state adottate e si intendano adottare contro i responsabili dei luttuosi avvenimenti di Puglia»;

Pastore Raffaele, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intenda adottare per rimuovere le cause che hanno determinato ancora una volta lo spargimento di sangue proletario nelle Puglie»;

Codacci Pisanelli e Recca, al Ministro dell’interno, «per conoscere quale fondamento abbia e quali eventuali misure abbia provocato da parte del Governo la notizia, pubblicata dalla stampa e confermata da persone del luogo, circa la presenza e la diretta partecipazione di stranieri al comando delle squadre d’azione protagoniste delle attuali violazioni delle più fondamentali libertà in Puglia e nel Salento»;

Turco, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «sugli annunziati disordini nelle province calabresi, sulle informazioni avute, sui provvedimenti presi, e per sapere se si intende provvedere finalmente ad adeguare le necessità delle popolazioni calabre sul piano delle necessità nazionali»;

Silipo, Gullo Fausto, Musolino, Mancini e Priolo, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «sui recenti fatti di Calabria»;

Quintieri Quinto, Bonino, Perrone Capano, Condorelli, Morelli Renato, Cortese Guido, Badini Confalonieri, Colonna e Villabruna, al Ministro dell’interno, «per conoscere, in relazione anche con i recenti disordini accaduti nella città di Cosenza, a qual punto dovranno giungere le devastazioni delle sedi del Partito liberale italiano, prima che si provveda alla tutela delle sedi stesse»;

Mancini, Priolo, Gullo Fausto e Silipo, al Ministro dell’interno, «sui fatti di Bisignano in provincia di Cosenza, dove un morto e parecchi feriti sono stati vittime del terrore premeditatamente diffuso dagli agrari più arretrati e più gretti della provincia. È davvero doloroso che all’ostinata trascuranza del Governo nei rapporti di quelle popolazioni patriottiche e tranquille si aggiunga ora la violenza e lo spargimento di sangue, che crea lutti, spreme lacrime e scava solchi profondi di irritazione e di protesta»;

Condorelli, al Ministro dell’interno, «circa i fatti del 24 novembre, che condussero alla devastazione della sede dell’unione monarchica italiana di Cosenza, circa i provvedimenti preventivi e repressivi adottati, nonché, in generale, sull’esistenza di progetti riparatori, che impediscano che la violenza politica raggiunga l’effetto di eliminare od attenuare l’azione dei partiti contro la quale si dirige»;

Sansone, al Ministro dell’interno, «per conoscere in base a quale ordine e per quali motivi i carabinieri di Giugliano (Napoli) hanno perquisito senza preavviso le abitazioni di numerosi cittadini iscritti ai partiti socialisti e comunisti. Per conoscere, altresì, se tale abusiva operazione di polizia venne portata preventivamente a conoscenza del Ministero dell’interno o del comando dei carabinieri ed infine per conoscere quali energici provvedimenti intende adottare contro i responsabili»;

Bellavista, Villabruna e Crispo, al Ministro dell’interno, «sui recenti fatti di Caltanissetta ed Agrigento, nei quali vennero assaltate e devastate le sedi di partiti politici. Ed in particolare, se siano stati identificati ed arrestati gli autori del tentato omicidio in danno del vicecommissario di pubblica sicurezza Di Natale, che venne derubato dell’orologio e di altri effetti personali in occasione della grave aggressione subìta; se sia stato deferito all’autorità giudiziaria, come responsabile del reato d’istigazione a delinquere, il deputato regionale Gino Cortese; se siano stati identificati ed arrestati i lanciatori di bombe contro la sede del Partito liberale di Agrigento, attentato conclusosi col ferimento di cinque carabinieri»;

Fiorentino e Musotto, al Ministro dell’interno, «sul contegno tenuto dalla polizia durante la recente manifestazione di protesta dei minatori di Aragona, in Agrigento, e sui provvedimenti che reputa indispensabile adottare per garantire la libertà dei lavoratori nella difesa del loro diritto alla vita»;

D’Amico, Montalbano e Fiore, al Ministro dell’interno, «per conoscere il pensiero del Governo sulle gravi violenze poliziesche contro un pacifico corteo di lavoratori svoltosi in Agrigento, e quali provvedimenti intenda prendere contro i responsabili»;

Castiglia, al Ministro dell’interno, «sui fatti di violenza comunista di Caltanissetta e sulle misure adottate per prevenire la minaccia di «più gravi pericoli» che incomberebbero sulla Sicilia, formulata dall’esponente comunista, signor Gino Cortese, consigliere regionale dell’Assemblea siciliana»;

Fiore, Montalbano e D’Amico, ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, «per conoscere: 1°) per quali ragioni il Governo ha revocato o sospeso la concessione di terreno, in territorio di Mussomeli (ex feudo Polizzello), fatta regolarmente dalla Commissione per l’assegnazione delle terre incolte o mal coltivate della provincia di Caltanissetta; 2°) quali provvedimenti il Governo intenda adottare per sanare la situazione creatasi col misconoscimento dei diritti dei contadini, per sottrarre la provincia di Caltanissetta al dominio della mafia, cause prime dei recenti incidenti, e per richiamare le autorità locali ad una giusta comprensione delle richieste e agitazioni dei contadini»;

Marconi e Dossetti, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili della spedizione compiuta il 19 novembre a Cola di Vetto (Reggio Emilia) da elementi che, eccitati da un discorso del segretario dell’A.N.P.I., hanno perquisito case e persone, percosso a sangue due esponenti della Democrazia cristiana ed altri giovani, minacciando altri più gravi interventi e spargendo il terrore in quel pacifico paese»;

Tumminelli, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti di urgenza abbia preso o intenda prendere, dopo il nuovo assassinio politico, verificatosi qualche giorno fa a Zeme Lomellina, di cui è stato vittima il trentatreenne profugo giuliano Silvestro Zoppini, iscritto al Fronte democratico liberale dell’Uomo Qualunque»;

Tumminelli, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti di urgenza abbia preso o intenda prendere di fronte al fatto che il Sindacato venditori ambulanti e giornalai del Biellese, riunitosi il 18 novembre 1947, nella sede della Camera del lavoro, col pretesto della minaccia della popolazione democratica di Biella che considererebbe la vendita dei giornali: L’Uomo Qualunque, La Sferza, Candido, Brancaleone, La Rivolta Ideale, come un «incitamento alla reazione popolare», ha deliberato di non più ritirare e vendere i detti giornali e gli altri che potessero essere invisi alla popolazione democratica del Biellese»;

Capua e Rodi, al Ministro dell’interno, «sui tumulti organizzati e sulle violenze che hanno culminato con la devastazione di sedi qualunquiste»;

Treves e Preti, al Ministro dell’interno, «per sapere quali misure il Governo abbia preso in seguito ai ripetuti roghi di giornali di vario colore politico avvenuti in varie città d’Italia, onde impedire che si rinnovino simili attentati alla libertà della stampa»;

Di Fausto, al Ministro dell’interno, «per sapere se, in correlazione con l’odierna distruzione di giornali avvenuta alla periferia di Roma, il Governo sia al corrente delle recentissime deliberazioni dei Sindacati giornalai di Biella, Sampierdarena e Genova, per cui non si procederà al prelievo ed alla vendita dei giornali non ritenuti graditi alla popolazione, a fine di evitare i danni conseguenti alla distruzione di pubblicazioni e di edicole. Poiché la decisione si risolve in un grave attentato alla libertà di stampa ed in un arbitrio nel quale sono coinvolti fra l’altro giornali che hanno costantemente combattuto il neofascismo, l’interrogante chiede quali provvidenze vorrà adottare il Governo per il ristabilimento della normalità nel rispetto dei patti liberamente conclusi».

L’onorevole Costantini ha presentato la seguente interrogazione:

al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere se non ritenga conveniente ed utile provvedere con legge alla revoca di tutti i titoli nobiliari conferiti durante il regime fascista e, nella assoluta maggioranza, per benemerenze di carattere esclusivamente politico».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. La risposta all’interrogazione dell’onorevole Costantini è semplice.

Rientrando questa materia per la sua natura costituzionale nella competenza dell’Assemblea Costituente, le cui decisioni riguardano tutta la materia nobiliare e non soltanto i titoli concessi durante il regime fascista, si ritiene che qualsiasi norma di applicazione debba essere presa dal Governo in funzione della norma emanata dall’Assemblea Costituente, e quindi dopo l’entrata in vigore della Carta costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Costantini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

Tenga presente, onorevole Costantini, che l’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio ha fatto riferimento al progetto di Costituzione, nel quale troviamo la IV disposizione transitoria che è proprio del seguente tenore:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari.

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome.

«La legge regola la soppressione della Consulta araldica.

«L’Ordine mauriziano è mantenuto come ente ospedaliero».

COSTANTINI. Veramente, onorevole Presidente e onorevole Sottosegretario di Stato, non era mia intenzione entrare in una disamina di carattere generale per quanto riguarda l’uso dei titoli nobiliari, perché in realtà, pure dal mio punto di vista politico, uso distinguere – perché è necessario – fra quei titoli nobiliari che hanno una tradizione, diciamo così, e i titoli nobiliari che non ce l’hanno o l’hanno soltanto in quanto sono in funzione di un determinato regime, di una determinata situazione politica, della quale effettivamente noi non abbiamo a lodarci.

Ecco lo scopo della mia interrogazione: questa distinzione che io creo, nella mia qualità di cittadino italiano, come credo debba farla chiunque si senta consapevole delle proprie attitudini politiche in questo determinato momento. I vari conti di Val Cismon, baroni dell’Aterno, marchesi di Neghelli, quegli altri di Cortellazzo, via, onorevole Sottosegretario, non possono essere paragonati a quella aristocrazia tradizionale…

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Se si guardano le origini…

COSTANTINI: …che ha per lo meno un riferimento storico.

Per queste ragioni ritenevo che una norma di legge di carattere particolare dovesse colpire, revocandoli, questi titoli, i quali soprattutto sono stati conferiti solo in riconoscimento, a determinate famiglie o a determinati individui, di una specifica qualità politica, in rapporto ad un regime che effettivamente non ha giovato al nostro Paese; per non dire e ripetere la frase: che ha molto nociuto al nostro Paese.

Ecco perché, mi sembra che sia necessaria o utile una distinzione, anche e precipuamente al fine di stabilire una differenza fra quello che è, o che sarà, il trattamento che la nostra Costituzione farà ai titoli nobiliari in genere, e quello che deve rappresentare la revoca di provvedimenti di carattere eccezionale e nient’affatto lodevole, che sono stati concessi dal regime fascista.

Oserei rivolgere da questo posto, in questo momento, una preghiera all’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio, affinché in rispetto di quelle norme di etica che esistono anche nella politica, questa distinzione venisse fatta attraverso una proposta legislativa che, più che dall’Assemblea Costituente, potrebbe emanare dall’Assemblea legislativa, oppure, nelle nostre particolari condizioni, diciamo, costituzionali, proprio dal Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Io ritengo che l’onorevole Costantini potrà far valere questo suo punto di vista fra pochissimi giorni, allorquando si discuteranno gli articoli delle disposizioni transitorie, anche perché, se la iniziativa fosse presa dal Governo, non si avrebbe il tempo di discuterne o se ne discuterebbe dopo l’approvazione di quegli articoli. D’altro canto l’esame della questione non mi sembra possa rientrare nella competenza del Governo, in quanto si tratta di un vero e proprio potere sovrano quale è quello di concedere titoli nobiliari.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Forse non mi sono spiegato bene. Io dico: la Costituzione potrà riconoscere i titoli nobiliari, o non riconoscerli, parlo di quelli che esistevano prima del fascismo. Ma si tratta di creare una distinzione…

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Tale distinzione potrà essere fatta in sede di discussione delle norme transitorie della Costituzione. Allora ella potrà proporre un emendamento.

COSTANTINI. Mi sembrerebbe strano che nella Costituzione uguagliassimo tutti i titoli nobiliari, quelli tradizionali e quelli concessi dal regime fascista per benemerenze politiche di pretta marca fascista. Riconosco che sarà compito della Assemblea legislativa, ma vorrei incitare il Governo a farsi lui promotore di una proposta di legge che sarà sottoposta all’Assemblea Costituente, se l’Assemblea Costituente diverrà poi Assemblea legislativa, o al futuro Parlamento; in quanto – come dicevo prima – mi sembra dovere etico-politico distinguere i titoli nobiliari che preesistevano al fascismo e che hanno una tradizione, dai titoli nobiliari dati in funzione politica sotto il regime fascista.

PRESIDENTE. Lei ha la strada aperta, onorevole Costantini. Il giorno in cui l’Assemblea discuterà le disposizioni transitorie, preparerà un emendamento.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Canevari, Bocconi, Caporali, Ruggiero Carlo, Zanardi, Morini, Merighi, Tonello, Longhena, Treves, Filippini, Cairo, Piemonte, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per sapere se il Governo intende o meno di emanare le disposizioni legislative che consentano alle cooperative, alle mutue e agli enti similari il ricupero dei beni di cui furono spogliati dal fascismo».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Come ho avuto purtroppo diverse volte occasione di dichiarare in sede di risposta a diverse interrogazioni dello stesso onorevole Canevari, dell’onorevole Macrelli e di altri, i Ministeri avevano, riguardo alla materia di cui a questa interrogazione, delle tesi diverse, tanto che più d’una volta, portato l’argomento in Consiglio dei Ministri, è sorto contrasto di opinioni fra i Ministri interessati; e l’ultima volta (se non erro, tre settimane or sono), essendo localizzata la diversità di opinioni su alcuni punti, è stato incaricato un ristretto Comitato – composto dai Ministri Scelba, Pella e Del Vecchio – di studiare questi punti controversi e vedere di trovare un criterio risolutivo coordinato in apposito testo di legge da presentare alle Commissioni legislative dell’Assemblea.

Posso assicurate l’onorevole Canevari che ricorderò ai tre Ministri l’impegno preso, onde fare in modo che essi traggano le loro conclusioni.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CANEVARI. Avrei desiderato vivamente di trovarmi nella condizione di dichiararmi sodisfatto. Devo purtroppo dichiarare che non sono sodisfatto. Avevamo appreso che il Consiglio dei Ministri, in una delle ultime riunioni presiedute dall’onorevole Einaudi, aveva preso in esame un disegno di legge a tale scopo, ma che a nessuna conclusione era giunto il Consiglio dei Ministri.

Le difficoltà di ordine giuridico e di ordine pratico che si presentano per adottare il provvedimento da noi invocato (e che d’altra parte era stato esposto in un disegno di legge che raccolse in questa Assemblea la firma di 54 deputati, senza che si riscontrasse in quella proposta qualche opposizione o qualche contrasto con proposte fatte precedentemente dallo stesso Macrelli, quando era al Governo) noi le avevamo considerate e tenute presenti.

Il 25 luglio 1946 (è bene ricordarlo), quasi un anno e mezzo fa, in occasione della discussione parlamentare sulle dichiarazioni fatte in quest’Aula dal Presidente del Consiglio dei Ministri, io ebbi l’onore di presentare e di svolgere un ordine del giorno accettato dal Governo come raccomandazione, nel quale l’Assemblea invitava il Governo a presentare con tutta urgenza un provvedimento legislativo inteso a consentire ai Comuni (non parlo soltanto a nome del movimento cooperativo mutualistico, ma di enti statali, parastatali, di Comuni, Provincie, che sono stati spogliati dei loro beni durante il regime fascista), alle opere pie, alle cooperative, agli enti mutualistici, la possibilità di ricuperare i beni di cui furono spogliati dal regime fascista.

Era un invito che si riallacciava a un ordine del giorno votato nel primo congresso della cooperazione del settembre 1945, e del quale ordine del giorno ci eravamo, a tempo debito, fatto premura di presentarlo e di esporlo allo stesso Governo.

L’onorevole De Gasperi, dunque, aveva dichiarato di accettare quell’ordine del giorno come raccomandazione. Passarono sei mesi; si giunse alla lunga crisi del febbraio. Il Governo non espose in proposito; ed allora presentammo un secondo ordine del giorno rivolgendo lo stesso invito; e il Governo ripeté le sue promesse e il suo impegno. Il 5 maggio 1947 si svolse una interrogazione da me presentata in proposito al Presidente del Consiglio dei Ministri, e la risposta datami allora mise in chiara luce che il provvedimento non faceva parte delle cure premurose del Governo.

Venne la crisi del luglio. Noi non presentammo nessuna richiesta in proposito, perché l’attuale Ministro Guardasigilli, interpellato da me, mi assicurò che questo provvedimento sarebbe stato il primo atto del nuovo Governo. Passarono tutti questi mesi; si è arrivati a questa interrogazione, per sentirci dire che, esaminato il provvedimento, quale sarebbe stato allestito, preparato, disposto dalla Presidenza del Consiglio, esso avrebbe trovato nei diversi dicasteri degli ostacoli, delle opposizioni, delle difficoltà; per cui noi siamo certi, se è vero che questa Assemblea terminerà i suoi lavori con la fine di dicembre, che il Governo, nonostante la sua promessa, vedrà chiusi i lavori dell’Assemblea Costituente senza mantenere la parola data; parola che era stata accolta come un impegno solenne da parte di tutti gli enti interessati.

Badate che è una questione importantissima che interessa tutta l’Italia, tutto il movimento cooperativo e organizzativo, e che interessa anche diversi Comuni. Per esempio, i colleghi della provincia di Udine mi hanno fatto presente il caso del Comune di Chiusaforte che aveva un patrimonio ingente boschivo. È stato spogliato nel 1936 per la somma di 400 mila lire; nel 1937 gli acquirenti (naturalmente, i favoriti del fascismo) incassarono, soltanto per il taglio di una annata, le 400 mila lire spese per l’acquisto di tutto il patrimonio. Tutta la popolazione di quel Comune è in attesa fiduciosa del vostro provvedimento. Se il provvedimento non si attuerà, sarà, non soltanto una disillusione, ma una prova che si aveva ragione di non nutrire fiducia nel vostro Governo.

Da ogni provincia, da diverse associazioni, noi riceviamo l’incitamento di muoverci, per indurre il Governo a mantenere la sua parola.

Prendo atto della risposta soltanto come impegno, ma non come una dichiarazione che possa farmi nutrire nuove e più forti speranze. Il provvedimento che attendiamo non è che un atto di giustizia riparatrice atteso dai contribuenti, dai poveri, dai mutualisti, dai cooperatori, ai quali, con la violenza e con la frode, sono stati distrutti, sperperati, carpiti, rubati i loro beni. È un atto riparatore dei peggiori delitti del fascismo, perché rivolti contro le vittime più innocenti. Signori del Governo, date almeno questa assicurazione, che per la fine di questo mese voi emanerete il provvedimento invocato, con i mezzi più idonei e pratici per la sua attuazione. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Arata, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’industria e commercio e delle finanze, «per sapere se, in relazione ai vincoli rigorosi stabiliti per le altre provincie d’Italia sulla circolazione delle automobili e sull’assegnazione del carburante, sussista per Roma un particolare regime, tale da consentire che le automobili – sia di privata proprietà, che di pubblico servizio – vengano usate anche come mezzo ordinario di accesso, specialmente nelle ore notturne, ai locali di divertimento o di ritrovo in genere, e tale anche da consentire la larga circolazione di automobili dei Ministeri ed enti pubblici senza stretta necessità di servizio. E, comunque, per sapere se l’onorevole Ministro delle finanze non ritenga conveniente disporre perché i locali uffici finanziari e fiscali provvedano ad opportune ispezioni, nei luoghi sopradetti, per l’accertamento della proprietà degli automezzi come sopra adibiti, ai fini dell’acquisizione di più completi elementi di valutazione tributaria, quale parziale rimedio, per l’imposizione di quella disciplina e solidarietà sociali alle quali sono, in parte, legate le sorti della ricostruzione nazionale».

L’onorevole Sottosegretario per l’industria e il commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio. Le disposizioni emanate per la disciplina della circolazione automobilistica non prevedono alcuna eccezione per la città di Roma. Esiste già un divieto di sosta delle auto-vetture presso i locali di divertimento e di ritrovo. È però pacifico che tutte le autovetture circolanti nelle ore notturne devono essere in possesso della prescritta autorizzazione rilasciata dagli uffici U.P.I.C. presso le Camere di commercio. Si assicura inoltre che presso il Ministero dell’industria e commercio, è in corso di esame un provvedimento, diretto ad instaurare una più rigida disciplina della circolazione automobilistica nei giorni festivi e nelle ore serali. Su questo provvedimento si è già pronunciato in linea di massima il Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze ha facoltà di rispondere per la parte che riguarda il suo Ministero.

MALVESTITI, Sottosegretario di Stato per le finanze. È chiaro che gli uffici distrettuali delle imposte dirette svolgono delle indagini atte a portare, anche induttivamente, un contributo all’accertamento vero e reale delle possibilità del contribuente.

Nel caso particolare, specialmente per ciò che riguarda la imposta complementare, gli uffici distrettuali si preoccupano di venire a conoscere la condotta di vita dei singoli contribuenti; e quindi il fatto che il contribuente possiede automobili o frequenta locali di lusso è un elemento di fatto induttivo per il relativo accertamento. Per la città di Roma, in modo particolare, l’Ufficio distrettuale si è preoccupato di giungere ad accertamenti il più che possibile positivi.

PRESIDENTE. L’onorevole Arata ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ARATA. Ringrazio gli onorevoli Sottosegretari non tanto per il contenuto delle loro risposte, che data la materia e l’ambiente non potevano non intonarsi al chiaroscuro, quanto per avere riconosciuto la fondatezza della mia interrogazione e per avere quindi anche riconosciuto che da essa esula quel qualsiasi influsso agitatorio, che la dizione letteraria potrebbe indurre qualcuno a ravvisarvi. Io ho tenuto a denunziare un fatto, un fenomeno, che si verificava (e vorrei non poter dire che si verifica) a Roma, di giorno e specialmente di notte e particolarmente nel periodo estivo, epoca a cui risale la mia interrogazione.

È vero che quest’estate il Governo non aveva ancora adottati i provvedimenti resi noti o preannunziati soltanto in questi giorni, ma una disciplina legislativa esisteva già; ed esisteva pure il bisogno sentito, grave, urgente che questa disciplina venisse rispettata. Ora, io non insisterò nella descrizione delle manifestazioni di apparente inesistenza di qualsiasi disciplina della circolazione automobilistica a Roma. Mi rendo conto che nella capitale occorre avere molta comprensione, vorrei dire mondana, e molta rassegnazione; ma è questione di misura; perché credo che neppure a Roma sia già giunto il momento di consentire che tanta preziosa benzina venga consumata per andare a ballare a Villa Umberto e per recarsi comunque a divertire in pubblici ritrovi, o che si usino le macchine dei Ministeri o di altri Enti pubblici per persone e servizi, che nulla hanno a che vedere con le esigenze della pubblica amministrazione.

Può darsi – io ad ogni modo prendo atto della buona volontà espressa dal Governo – che il male, almeno in qualche parte, sia irrimediabile. Mi rendo conto dell’ambiente in cui si agisce; ma in tal caso, e se proprio è così, il Governo – come mi permetto di suggerire nella mia interrogazione e come me ne conforta la risposta dell’onorevole Sottosegretario per le finanze – cerchi almeno di rivalersi, ponendo a carico di coloro che ostentano tanta abbondanza, cioè quella abbondanza che permette loro di trascurare i buoni di assegnazione di benzina, perché hanno ogni possibilità di attingere alle fonti del mercato nero, tutti i possibili rigori di legge, se non proprio sul piano della circolazione automobilistica, almeno in quello fiscale, anche perché sia meno stridente il contrasto con la disciplina imposta nelle altre provincie italiane, dove il permesso per la circolazione automobilistica è negato sovente a persone e a ditte che pur ne avrebbero urgente bisogno per sbrigare i loro affari. Faccio dunque uno speciale affidamento sulla risposta dell’onorevole Sottosegretario alle finanze.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Morini, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, «per conoscere a che punto sono le trattative fra i dipendenti e industriali delle aziende gas: e sapere cosa intenda fare per evitare alle città italiane la iattura della sospensione della erogazione del gas; sospensione che si avrà martedì 11 novembre, a seguito dello sciopero già preannunciato per detto giorno di fronte all’ingiustificato irrigidimento padronale».

Onorevole Morini, intende che sia svolta?

MORINI. Ormai è superata.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’interrogazione dell’onorevole Ciampitti, al Ministro dei trasporti, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare in ordine alla necessaria ed urgente ricostruzione della ferrovia Isernia-Vairano, reclamata da gravi ed evidenti ragioni di comunicazione e di traffico tra il Molise e l’Abruzzo coi grandi centri di Napoli e di Roma, e non più dilazionabile, specie ora che per le ricostruzioni e le riparazioni delle reti ferroviarie è stata fatta una nuova assegnazione di fondi per oltre 175 miliardi. Mentre si è provveduto e si continua a provvedere alla ricostruzione ferroviaria nell’Italia del nord e in quella centrale, anche nei tronchi di scarsa importanza, si trascura la ricostruzione del tratto Isernia-Vairano, che per la sua eccezionale importanza avrebbe dovuto avere un’assoluta precedenza. Il collegamento della rete adriatica con quella tirrenica, attraverso il Molise, non può essere effettuato se non col tronco della Isernia-Vairano. Ed enormi sono gl’interessi che vengono danneggiati, in ogni settore, dall’ingiustificato ritardo della invocata ricostruzione per le popolazioni del Molise che più delle altre la guerra ha colpito e funestato».

Poiché il Ministro dei trasporti non è presente, questa interrogazione s’intende rinviata.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Cifaldi, De Caro Raffaele e Bosco Lucarelli, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare al fine di risolvere l’intollerabile situazione per la quale, quantunque siano stati stanziati i fondi necessari ed appaltati i relativi lavori, onde venire incontro con 180 alloggi agli urgenti bisogni di una popolazione come quella della città di Benevento, distrutta per metà in conseguenza della guerra, non si ottiene ancora, dopo un anno di interruzione, che venga fornito il ferro necessario all’impresa, dopo che sono stati anche rilasciati dal competente ufficio del Genio civile i relativi buoni di assegnazione. E per conoscere, inoltre, se, in vista della tragica situazione di centinaia di famiglie che tuttora vivono in fetide baracche o in oscuri antri – situazione personalmente constatata dall’onorevole Ministro in una sua visita alla predetta città – non intenda il Governo intervenire in maniera più pronta ed efficace con lo stanziamento di adeguati fondi e la rapida costruzione di opportuni alloggi».

Poiché il Ministro dei lavori pubblici non è presente, questa interrogazione è rinviata.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Carpano Maglioli, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, «per sapere se non ritenga opportuno assumere l’integrale assistenza degli emigrati all’estero, mandando presso le nostre rappresentanze consolari funzionari dello stesso Ministero, affinché l’operaio italiano in terra straniera abbia a ricevere ogni migliore cura per l’opera di personale tecnicamente preparato e particolarmente esperto».

Poiché l’onorevole interrogante non è presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Lettieri, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere le ragioni per cui sono rimasti sospesi i lavori stradali fra Sacco e Roscigno, fra Orria e Omignano Scalo, fra Perito ed Ostigliano, tutti paesi della provincia di Salerno, costretti, per la incompiuta opera di cui sopra, a fare lunghissimi e disagiati tragitti per raggiungere i rispettivi scali ferroviari».

Poiché il Ministro è assente, l’interrogazione s’intende rinviata.

Per lo stesso motivo è rinviata la seguente interrogazione dell’onorevole Cacciatore, al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se intende provvedere allo stanziamento dei fondi occorrenti per la costruzione dell’Asilo d’infanzia in comune di Agropoli (Salerno), ove attualmente circa duecento bambini si raccolgono in locali angusti, inadatti ed insalubri. La urgenza della nuova sede è stata già fatta presente all’ufficio del Genio civile di Salerno dall’Amministrazione comunale con l’accordo di tutti i partiti».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Sansone, al Ministro dell’interno, «per conoscere in base a quale ordine e per quali motivi i carabinieri di Giugliano (Napoli) hanno perquisito senza preavviso le abitazioni di numerosi cittadini iscritti ai partiti socialista e comunista. Per conoscere, altresì, se tale abusiva operazione di polizia venne portata preventivamente a conoscenza del Ministero dell’interno o del comando dei carabinieri ed infine per conoscere quali energici provvedimenti intende adottare contro i responsabili».

Data l’assenza del Ministro, s’intende rinviata. E così pure è rinviata, per lo stesso motivo, la seguente interrogazione degli onorevoli Morini e Sampietro, al Ministro dei trasporti, «per sapere se si ha l’esatta sensazione della gravissima situazione cui si è ridotta la classe dei ferrovieri, trattenendo, sul mensile di ottobre, tutte le anticipazioni fatte nei mesi precedenti; e per chiedere che venga immediatamente corrisposta una nuova anticipazione – proporzionalmente minore al complesso di quelle rimborsate – da restituire ratealmente in quattro-cinque mesi».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Varvaro, ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, «per sapere: 1°) se è a loro conoscenza che da quattro anni la popolazione di Montelepre è posta in blocco fuori legge dalle autorità di polizia preposte alla lotta contro il banditismo, le quali si comportano – e talvolta lo dichiarano senza infingimenti – come se tutti i seimila abitanti di quella cittadina fossero dei banditi o dei loro complici; senza tener conto del fatto che la stragrande maggioranza è costituita da galantuomini e onesti agricoltori e che di essa fanno parte uomini che onorano i pubblici impieghi, la Magistratura e la scienza. Che nel corso delle indagini e dei rastrellamenti indiscriminati vengono commessi soprusi di ogni genere, senza alcun rispetto per la libertà, per il domicilio, per la proprietà e per la vita stessa dei cittadini; 2°) se questo avviene per ordini del Ministero dell’interno e in quale misura è voluto, permesso o tollerato dalla Magistratura; 3°) se e quali provvedimenti intendano adottare perché a Montelepre si ripristinino la legalità e il rispetto della legge; 4°) se non intendano provvedere all’accertamento imparziale e severo dello stato di cose denunziato, dandone mandato a funzionari non suscettibili di influenze di ufficio, solleciti soltanto della ricerca della verità e ispirati dal sentimento del dovere».

Data l’assenza dei Ministri interrogati, si intende rinviata.

È pure rinviata per lo stesso motivo l’interrogazione dell’onorevole Canevari, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere la situazione attuale del Monte pensioni dei maestri elementari e i provvedimenti adottati per adeguare le pensioni degli insegnanti elementari a quelle dei pensionati dello Stato».

Segue l’interrogazione degli onorevoli Spallicci, Chiostergi, Camangi, Azzi, Magrini, Paolucci, Zuccarini e Longhena, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere quali provvedimenti abbiano preso per evitare che la ristampa dell’Enciclopedia Treccani venga affidata ancora a quegli elementi fascisti che già ne avevano diretto la compilazione».

Data l’assenza degli interroganti, s’intende che vi abbiano rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Tumminelli, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere: 1°) se il Commissariato nazionale della G.I. (Gioventù Italiana), creato con decreto del 2 agosto 1943 con il compito di reperire il patrimonio della ex GIL e di predisporre i lavori di una Commissione interministeriale per decidere sulla destinazione di quel patrimonio, abbia espletato il suo compito e con quali conclusioni; 2°) se non si ritiene improrogabile imporre a partiti politici e ad enti l’immediata restituzione allo Stato degli immobili e delle attività tutte della ex GIL, di cui sono in illegittimo possesso o fanno arbitrario uso; 3°) se non sembra opportuno ed urgente che l’intero patrimonio della ex GIL venga conferito all’Ente dei patronati scolastici, tenendo presente che solo con questa destinazione quel cospicuo patrimonio del popolo italiano può considerarsi restituito al legittimo uso, fuori di ogni passione politica».

Data l’assenza dell’interrogante, s’intende decaduta.

Sono, invece, rinviate, per assenza dei Ministri interrogati le seguenti interrogazioni:

Nobile, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere quale ingegnere sia stato designato, ed in base a quali criteri, per i lavori relativi ai beni immobiliari di proprietà dello Stato italiano in Varsavia»;

Perugi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere: 1°) quali aiuti ed alleggerimenti fiscali intenda disporre il Governo a favore degli agricoltori del comune di Gradoli (provincia di Viterbo), i cui raccolti sono stati quasi interamente distrutti dalla grandine nel nubifragio verificatosi in quella zona il 28 giugno ultimo scorso; 2°) se in considerazione dell’attività quasi esclusivamente vinicola di quei lavoratori e del fatto che i danni subiti avranno ripercussioni negative sui raccolti ancora per circa due anni, non ritenga dare agli aiuti oltre che un carattere urgente, anche uno continuativo per alleggerire il disastro che ascende a più di cento milioni di lire»;

Perlingieri, Moro, Bettiol, Salvatore, Bosco Lucarelli, Fuschini, Ermini, Rescigno, Recca, Uberti e Gabrieli, ai Ministri dell’industria e commercio, delle finanze e dei lavori pubblici, «per conoscere se ravvisino di prorogare per un decennio le disposizioni della legge 5 dicembre 1941, n. 1572, concedente agevolazioni agli impianti industriali dell’Italia centro-meridionale, iniziati entro il termine del 31 dicembre 1946 e ciò sia in considerazione del fatto che, a causa del periodo bellico, la detta legge non ha potuto avere pratica attuazione, sia in considerazione della necessaria evoluzione industriale dell’Italia centro-meridionale, resa più urgente dalle distruzioni belliche e costituente un aspetto primario del problema meridionale»;

Cevolotto, Cianca e Lussu, al Ministro dei trasporti, «per conoscere in base a quali ragioni è stata concessa la carta gratuita di libera circolazione di prima classe sulla intera rete ferroviaria dello Stato al signor Giovanni Host-Venturi, ex Ministro del regime fascista»;

Caronia, Dominedò, Di Fausto, Angelucci, Giordani, Orlando Camillo, Corsanego, Guidi Cingolani Angela, De Palma e Bonomi Paolo, al Ministro dell’interno, «per conoscere i motivi per cui si è rifiutata all’amministrazione del Pio Istituto Santo Spirito ed Ospedali riuniti di Roma l’autorizzazione a contrarre con la Cassa depositi e prestiti un mutuo di lire 400.000.000 per completare e mettere in efficienza l’Ospedale sanatoriale di Monte Mario, ospedale di urgente necessità per sgombrare i congestionati ospedali di Roma delle molte centinaia di ammalati di tubercolosi, che limitano la disponibilità dei posti-letto per le malattie per cui si richiede più immediata assistenza, e costituiscono un pericolo per gli altri infermi»;

Lopardi, ai Ministri dell’interno, delle finanze e dell’agricoltura e foreste, «per conoscere se siano a cognizione delle furiose grandinate e conseguenti piene che hanno devastato nel mese di settembre ed in alcuni territori ripetutamente in giorni diversi le già fiorenti campagne di Lanciano (frazione Sant’Onofrio), Atessa, Casalbordino, Vasto, Ortona a Mare, Villalfonsina, Fossacesia, Rocca San Giovanni, il dorsale collinoso di Chieti, San Giovanni Teatino, Torrevecchia Teatina, Pizzoferrato, Pennapiedimonte, Tollo, Canosa Sannita, Poggiofiorito, Crecchio e di numerose altre località della provincia di Teramo, distruggendo il raccolto totalmente per migliaia di ettari ed arrecando danni per centinaia e centinaia di milioni, con la conseguente miseria di quelle laboriose popolazioni; e quali provvedimenti intendano adottare per almeno attenuare la loro iattura, avvalendosi dei decreti-legge 28 settembre 1930 e 30 marzo 1933, o adottando – di urgenza, come è suggerito dalla gravità eccezionale del caso – speciali ed adeguati provvedimenti».

È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali motivi lo abbiano indotto a ordinare all’autorità militare di assumere a Milano i poteri prefettizi, misura che l’autorità militare stessa giudicò inopportuna e pericolosa.

«Pajetta Giancarlo, Alberganti».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali siano stati i precisi motivi che lo hanno indotto ad ordinare all’autorità militare di sostituirsi al prefetto, assumendo tutti i poteri; e per quali ragioni non abbia creduto di tener in alcun conto i voti che da tutti gli enti, associazioni, organizzazioni sindacali e partiti politici, giungevano al Governo stesso, richiedendo la permanenza in carica del prefetto Troilo, unanimemente considerato elemento equilibratore della vita della città e della provincia. L’interrogante – preoccupato dello stato di agitazione che permane nella provincia di Milano – chiede, inoltre, se e in qual modo il Ministro intenda oggi prendere in considerazione i voti della intera provincia.

«Mariani Francesco»

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ne darò notizia al Ministro dell’interno perché comunichi quando intende rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge;

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere se, date le gravi condizioni economiche dei piccoli comuni rurali, il Governo voglia, come da fatta promessa dell’ex Ministro del tesoro, onorevole Campilli, autorizzare l’applicazione della tassa famiglia (focatico) ai proprietari terrieri, che attualmente ne sono esenti, perché non residenti sul luogo.

«Tonello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno, per venire incontro ai produttori e vinificatori di vino moscato, la cui produzione dell’annata passata è ancora tutta invenduta, di abolire a detto vino la qualifica di vino di lusso.

«L’interrogante fa presente come in certe città il dazio sul vino moscato raggiunge le 55 lire al litro, rendendo così impossibile, per l’alto prezzo, la vendita di un vino che dovrebbe essere di largo consumo popolare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere a quale stato di istruttoria trovasi la pratica di pensione (dall’interrogante personalmente consegnata all’ufficio competente il giorno 16 ottobre 1947) alla vedova del colonnello genio alpini Gnecchi Mario, morto in Russia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere i motivi del ritardo della emanazione dei provvedimenti atti a mettere la Commissione unica per gli affari del personale, nella possibilità di formulare le proprie decisioni sul personale esonerato dal servizio durante il periodo fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 17.5

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

  1. Votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946. (31).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946. (40).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.