Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI SABATO 12 APRILE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXXVI.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 12 APRILE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Dossetti                                                                                                           

Caroleo                                                                                                           

Cevolotto                                                                                                        

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Cappi                                                                                                                 

Laconi                                                                                                              

Labriola                                                                                        Della Seta      

Grassi                                                                                                               

Cianca                                                                                                              

Crispo                                                                                                               

Binni                                                                                                                 

Rubilli                                                                                                              

Lucifero                                                                                              

Bruni                                                                                                                

Calosso                                                                                                            

Annunzio di una mozione:

Presidente                                                                                                        

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro                                                     

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni:

Presidente                                                                                                        

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

D’Aragona                                                                                                       

Tupini                                                                                                                

Corbino                                                                                                            

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Tosi, Corsini, Macrelli, Spallicci, Rapelli, Chiostergi, La Malfa, Pacciardi, Tega e Abozzi.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Compiuto l’esame degli emendamenti all’articolo 14, spetta ora alla Commissione di esprimere su di essi il proprio parere.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Ho chiesto di parlare soprattutto per un chiarimento procedurale, relativo all’ordine dei nostri lavori. Nella seduta del 25 marzo, dopo l’approvazione dei primi due comma dell’articolo 5 del progetto, poi diventato articolo 7 del testo costituzionale, noi abbiamo anche posto in votazione una serie di emendamenti relativi al terzo comma, che, secondo un’ultima deliberazione si sarebbe poi dovuto trasferire nell’attuale articolo 14. Ora, gli emendamenti respinti contenevano una parte, che viene oggi riproposta in alcuni, anzi in quasi tutti gli emendamenti che sono stati presentati, particolarmente in quelli degli onorevoli Binni, Pajetta-La Rocca, Laconi e Cianca. La parte che ha formato oggetto di votazione riguarda precisamente due punti:

1°) la eliminazione della formula «in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano»;

2°) la inversione della formula «sono regolati per legge sulla base di intese, ove siano richieste», con alterazione profonda del significato della formula stessa.

Quindi, volevo sottoporle, onorevole Presidente, questo problema e sapere da lei se, come sommessamente mi pare, su questi due punti, già decisi dalle votazioni del 25 marzo, non si abbia più la possibilità di presentare nuovi emendamenti che ritornerebbero a proporre, come oggetto di votazione, modificazioni che sono già state respinte. Resta invece aperta la questione sollevata dall’ultimo emendamento proposto nella seduta del 25 marzo, dall’onorevole Lucifero, relativo alla sostituzione della parola «tutte» alla formula che era nell’originario ultimo comma dell’articolo 5 del progetto, cioè «le altre confessioni religiose».

Così stando le cose, mi pare che la discussione di oggi sui singoli emendamenti e le relative votazioni dovranno sostanzialmente assumere, dal punto di vista procedurale, questo aspetto: quello di una discussione e di votazioni relative a un solo emendamento come emendamento aggiuntivo, cioè quello che dovrebbe avere come contenuto la proposizione «tutte le confessioni religiose sono eguali di fronte alla legge», salvo poi, s’intende, il coordinamento del testo già approvato in sede di votazione dell’articolo 7, con le nuove deliberazioni che oggi prenderemo.

PRESIDENTE. Circa il quesito posto dall’onorevole Dossetti, dal resoconto stenografico della seduta del 25 marzo scorso, risulta che, a proposito del terzo comma dell’articolo 5 – divenuto poi articolo 7 – comma che fu deciso di trasferire all’articolo 14, furono fatte votazioni sulla base di due emendamenti presentati dagli onorevoli Pajetta Giancarlo, Laconi e Mattei Teresa. Il primo di questi emendamenti mirava a far sopprimere nella prima parte del terzo comma dell’articolo 7, la frase «in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano» e non fu approvato.

Il secondo emendamento, presentato dagli stessi Deputati, tendeva a sostituire la seconda parte del terzo comma dell’articolo 7 con la seguente formulazione:

«I rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge sulla base di intese, con le rispettive rappresentanze».

Il testo della Commissione diceva invece: «I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze». Anche questo emendamento fu respinto.

È pertanto evidente che, nelle votazioni che dobbiamo fare sugli emendamenti dell’articolo 14, questi due punti non possono essere modificati senza annullare il risultato delle votazioni già fatte. Tutto il resto dell’articolo può, invece, subire modificazioni.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. A proposito del rilievo fatto dall’onorevole Dossetti, credo che vi sia ancora da osservare qualche cosa relativamente alla parola: «tutte» che si legge nei varî emendamenti proposti per la formulazione dell’articolo 14, in quanto, avendo l’Assemblea regolato all’articolo 7 i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, non può in un altro articolo comprendersi con aggettivazione totalitaria la stessa Chiesa cattolica, la cui condizione giuridica, ripeto, ha già formato oggetto di esame e di approvazione, da parte dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Caroleo, lei entra nel merito della questione, mentre in questo momento si sta esaminando una questione procedurale relativa alla votazione degli emendamenti.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Osservo che nell’emendamento proposto in questo momento dall’onorevole Laconi, dall’onorevole Cianca, e da altri, che riassume, e coordina i due diversi emendamenti che erano stati presentati dagli onorevoli Laconi e Cianca separatamente, si è usata per l’ultimo capoverso dell’articolo 14 l’espressione: «Le confessioni religiose diverse dalla Chiesa cattolica, o dalla confessione cattolica»: Ora, questo non è altro che un coordinamento rispetto al testo dell’articolo 7 che è stato votato: «le altre confessioni religiose». Naturalmente, poiché non si parla della confessione cattolica nella prima parte dell’articolo 14, è evidente che bisognerà usare un’altra dizione da quella del progetto – e precisamente quella che è stata ora proposta – per coordinare col testo dell’articolo il capoverso. Del resto, anche per le altre questioni che si potranno fare relative a diversità di dizione fra ciò che è stato proposto nel nuovo emendamento e ciò che è stato votato nell’articolo 7, salvo le questioni che, come ha osservato il Presidente, sono state deliberate, potremo vedere se in linea di coordinamento non ci potremo intendere su tutti i punti.

PRESIDENTE. Mi pare, onorevole Cevolotto, che la sua osservazione sia interessante e valida; ma devo farle notare che, come ho ricordato, nella seduta del 25 marzo non si è affatto votato a questo proposito; e quindi si possono fare proposte di modificazioni.

Così chiarite le posizioni, chiedo alla Commissione di esprimere il proprio parere sugli emendamenti proposti all’articolo 14.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa mattina ai lavori del Comitato di redazione non ha potuto partecipare l’onorevole Tupini, perché era occupato nell’ufficio di Presidenza dell’Assemblea. Quindi riferirò io.

Questa mattina, come mai, si è vista la difficoltà dei compiti del Comitato di redazione, che rappresenta tutta la Commissione; difficoltà che vanno aumentando ora per ora. Quella che era stata gestazione di nove mesi, tenace e paziente – e di tutto ci avete rimproverati, tranne del non aver lavorato – diventa ora necessità di emendare, mutare, sostituire, in un’ora, in meno di un’ora, con proposte presentate all’ultimo momento, e talvolta su questioni sostanzialmente nuove, di grande gravità. Ho il dovere di richiamare su di ciò l’attenzione dell’Assemblea Costituente, prima di entrare in argomento; ma sarò brevissimo.

In realtà che cosa avviene? Quanto era difficile fare con Settantacinque membri – metterli d’accordo, trovare la formula esatta e risolutiva – diventa ora molto più difficile con 550. Uomini di valore e di cultura; ma anche se ciascuno fosse un redivivo Solone, non potrebbero pel loro stesso numero formare un Comitato tecnico di redazione. L’onorevole Croce avrebbe voluto che vi fosse un solo estensore, un solo costituente, un solo artefice della Costituzione. Anche se fosse stato, e non era possibile, che il testo fosse redatto, da uno solo, si sarebbero avute, alla sua presentazione all’Assemblea, 550 che avrebbero messo le mani in pasta con facoltà, spesso improvvisata, di spostare quanto di ordine e di coerenza logica, anche prescindendo da questioni particolari di contenuti, era stato raggiunto. Che cosa fare? Io mi inchino naturalmente alle decisioni dell’Assemblea; nell’Assemblea tutti siamo costituenti; ed abbiamo diritto di esercitare pienamente le funzioni delegate dalla sovranità popolare. È necessario che la Costituzione passi attraverso il vaglio di tutti. Non tutti possono avere la stessa esperienza tecnica nel faticoso lavoro di legislatori; ma tutti sono competenti, in quanto esprimono la volontà del popolo. Si è constato, di fatto, in tutti i Paesi, che le Assemblee che pur si chiamano legislative non possono adempiere a tutte le esigenze della legislazione. I Codici non possono essere discussi ed approvati da più centinaia di Deputati. Dopo una discussione generale, ne è approvata la redazione a Commissione. Il che non è possibile per una Costituzione; tutta l’Assemblea deve approvarlo. Ma, esclusa ogni limitazione formale, vi è la necessità di un’autolimitazione, e di metodi di discussione che gli stessi Deputati pongono, con senso di responsabilità a se stessi.

Io faccio una viva raccomandazione: di tener presenti alcuni criteri, almeno per le modifiche che non toccano la sostanza delle cose:

1°) Gli emendamenti di pura forma, e quelli di spostamento della collocazione dovrebbero essere rinviati alla revisione definitiva che sarà fatta, nel modo che l’Assemblea riterrà opportuno, quando tutto il testo sarà stato discusso ed approvato, articolo per articolo. Le modifiche proposte sono spesso minime: un verbo al soggiuntivo, invece che all’indicativo, soppresso un «che è». Oppure due comma, invece di uno. E così via. Vedremo tutto questo a suo tempo: quando si dovrà coordinare e cercare lo stile della Costituzione.

2°) Dovrebbe essere rispettata la deliberazione già presa; che gli emendamenti siano presentati quarantotto ore prima della discussione. Il Regolamento consente di poter presentare emendamenti con dieci firme durante la discussione, ma di ciò logicamente dovrebbe farsi limitato uso per sole questioni di una certa importanza. Il Comitato di redazione dei Settantacinque, impegnato in due e forse in tre sedute quotidiane dell’Assemblea, ha pur necessità di raccogliersi, di esaminare meditatamente gli emendamenti, di non improvvisare sulle improvvisazioni. Se continueranno a piovere gli emendamenti, anche non stampati, anche non dattilografati, inviati mentre si discute alla Presidenza o alla Commissione, saremo costretti ad avvalerci del diritto che ci dà il Regolamento di chiedere un rinvio di ventiquattr’ore, per potere avere la possibilità dell’esame.

3°) Dichiaro e mi impegno che, quando siano presentati a tempo gli emendamenti, il Comitato pregherà i presentatori di prendere parte ai suoi lavori, per mettersi d’accordo.

Aggiungo una raccomandazione. Una Commissione come questa, che non è Governo, sebbene sieda al banco dei Sottosegretari, non può evidentemente sollevare una questione di fiducia; ma abbiate presente che siete voi che ci avete designati, pel tramite della Presidenza dell’Assemblea, che i membri della Commissione sono rimasti in contatto continuo coi loro gruppi, che abbiamo fatto un immane lavoro, che di questo lavoro è giusto tener conto; e prima di gettarlo a mare, di modificarlo in un attimo, è bene pensarvi un po’ su. Ho ancora nell’animo l’invocazione con cui ho finito la mia relazione verbale ed espresso il voto che la Costituente migliori la Costituzione. Ciò che è già in alcuni punti avvenuto. Ma bisogna evitare che i repentini e subitanei dibattiti la peggiorino, se non altro spezzando e rendendo informe nelle sue linee l’edificio costruito. Mi sia concesso chiedere ancora all’Assemblea, nel suo senso di responsabilità, l’autodisciplina indispensabile per giungere alla buona Costituzione che tutti desideriamo.

Passo ora al merito della questione.

CRISPO. L’Assemblea dovrebbe essere dunque spossessata del diritto di fare la Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, prego: io non voglio spossessare nessuno. Ho riconosciuto il pieno diritto dell’Assemblea e di ogni suo componente.

Ho pregato di presentare gli emendamenti quarantott’ore prima, come era stato deciso; ho pregato di cercare che gli emendamenti di pura forma fossero rimandati; e così quelli di mera collocazione; ho ricordato che è nostro diritto, e finora non l’abbiamo esercitato, di chiedere un rinvio di ventiquattr’ore per esaminare gli emendamenti fioriti nella discussione; mi sono impegnato, se gli emendamenti son presentati a tempo, di esaminarli in Comitato insieme coi loro autori. Che cosa vi poteva essere di più riguardoso? Ho fatto bensì un richiamo al senso di responsabilità, e sono abituato a farlo a me stesso prima che non agli altri. Ho raccomandato all’Assemblea, col pieno rispetto per i suoi poteri, che la Costituzione venga fatta nel modo migliore possibile, secondo i nostri desideri.

Ed eccoci all’articolo 14. Il fascicolo degli emendamenti ne figlia, ogni giorno, dei nuovi. Li abbiamo esaminati tutti; ed abbiamo anche preso conoscenza dei memoriali che ci sono giunti e delle proposte che ci hanno fatte alcune confessioni religiose, come l’Evangelica e l’Israelitica. La Commissione è decisa a fare di tutto per venire incontro ai loro desideri.

Gli emendamenti, spesso analoghi fra loro – e credo che si siano concordati testi comuni – riguardano quelle che saranno le due parti del futuro articolo 14. La prima è costituita dall’articolo 14, quale era nel progetto della Commissione, la seconda da ciò che era una volta l’ultimo comma dell’articolo 7, ed è stato invece trasferito qui, in fine all’articolo 14, come ha deliberato l’Assemblea, e la Presidenza vi ha ricordato e precisate le sue decisioni.

Parliamo anzitutto di quanto è stato votato, e poi di quanto è ancora allo stadio di progetto. Il comma approvato dall’articolo 7 è questo:

«Le altre confessioni religiose hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese, ove siano richieste dalle rispettive rappresentanze».

Nell’approvare tale formulazione, l’Assemblea ha respinto due emendamenti allora proposti: uno dei quali voleva togliere il richiamo all’ordinamento giuridico italiano, e l’altro subordinare la regolazione con legge dei rapporti con lo Stato alla richiesta delle confessioni interessate. Delle decisioni già prese noi dobbiamo tener conto, secondo i criteri testé accennati dall’onorevole Dossetti e dal Presidente dell’Assemblea, ma è chiaro che, quando sorgono esigenze di coordinamento col nuovo articolo in cui il comma già approvato viene inserito, siamo autorizzati a provvedere a tali esigenze.

Alcuni degli attuali emendamenti propongono di sopprimere la frase «in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano», di cui fu altra volta respinta la soppressione. Ciò costituisce un evidente ostacolo. La questione potrebbe essere considerata soltanto dal punto di vista del coordinamento, per il fatto che l’altro comma dell’articolo 14 parla di contrasto «col buon costume e con l’ordine pubblico». Possiamo certamente togliere quest’ultima espressione. Altro è se possiamo, per evitare duplicati e per ragioni di miglioramento formale, cancellare invece la frase già confermata.

Possiamo modificare l’ultimo periodo: «I rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulle base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze». L’onorevole Pajetta Giancarlo proponeva di rimettere alle rappresentanze della confessione religiosa la decisione se i rapporti con lo Stato dovessero venire o no regolati con legge. Ma l’Assemblea nella sua maggioranza non ha accolto questo criterio; e, come risulta dall’avvenuta discussione, ha ritenuto che, pur non essendo obbligatorio regolare con legge i rapporti con le varie Chiese, a ciò sia da addivenire a richiesta della Chiesa o anche senza sua richiesta, quando lo Stato lo giudicasse necessario. Insistevo, nel senso che occorresse sempre la richiesta della Chiesa, soprattutto quella Israelita; e per essa sarebbe, a mio avviso giusto, perché non ravviso motivi di intervento regolatore dello Stato. Ma la disposizione è generale, e vi possono essere confessioni religiose per le quali la regolazione occorra, anche senza loro richiesta; come potrebbe essere, ad esempio, per l’islamismo (facciamo un’ipotesi teorica) che diventasse una Chiesa italiana. Dovremmo evidentemente regolarla per quei suoi ordinamenti interni, quale è la poligamia, che contrastano con l’ordinamento giuridico italiano.

Un nuovo emendamento Pajetta ed altri riproducono la questione. A mio avviso, quanto fu deliberato deve rimaner fermo nella sua sostanza. Altro è se non siano ammissibili ritocchi di forma che consentano una migliore espressione del concetto accolto; e ciò, anche in relazione al fatto che, nell’allora avvenuta discussione, l’onorevole Leone aveva proposto di mettere «possono essere regolati» invece che «sono regolati»; ma, se ben ricordo, una vera votazione non vi fu, essendosi intanto preceduto all’approvazione della proposta Lucifero di spostamento dell’intero comma. Voglio ricordare che, in un memorandum delle chiese evangeliche si adotta una formula consona al testo del progetto già approvato, quindi non conforme all’emendamento Pajetta, salvo modifiche secondarie di forma sui modi d’intesa con lo Stato. Ritengo che su questo punto, ormai, non possa sorgere grande battaglia…

Veniamo ora a ciò che era nel disegno della Commissione l’articolo 14 tutto intero, ed ora divenuto il primo comma del nuovo articolo 14. Qui siamo perfettamente liberi, perché l’Assemblea non si è pronunciata. Il testo dice: «Tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto, purché non si tratti di principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume». Devo constatare che gli emendamenti riguardano solo le ultime parole: e del rimanente non toccano lo spirito e neppure la forma della disposizione, che è veramente larga e sodisfacente. Me lo hanno dichiarato anche rappresentanti esteri di confessioni religiose. È una affermazione vigorosa di libertà di coscienza e di fede, che è doverosa, ma farà onore alla nostra Costituzione.

Il solo punto controverso è: «purché non si tratti di principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume». L’onorevole Binni propone di cancellare tutta la frase, ispirandosi ad un apprezzabile riguardo verso le attuali chiese minori, che non sono in contrasto con il buon costume e l’ordine pubblico; ma vi sono proposte di tali chiese, ad esempio delle evangeliche, che fanno proprio, almeno in parte, il testo della Commissione, e dicono: «purché non si tratti di principî o riti contrari al buon costume».

L’Assemblea Costituente deciderà in questa questione. Si potrebbe, andando più in là di quanto chiedono gli evangelici, togliere la parola «principî», che potrebbe prestarsi a discussioni più teoriche; e lasciar soltanto «rito»: un limite occorre. Vi possono essere riti contrari al buon costume («stravaganti» dice in un suo emendamento l’onorevole Nobile); si è accennato ai nudisti, ai tremolanti, alla setta russa degli eviratori, che predica il sacrificio di Origene. Vi saranno o no in Italia, e comunque deciderà volta per volta lo Stato, se il buon costume sia o no offeso; ma non può dar senz’altro via libera.

Le questioni più vive ed ardenti sorgono per aggiunte che si inseriscono, per così dire, fra il vecchio ed il nuovo; ed hanno diritto di essere prese in esame. Si tratta di aggiungere che: «tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge». L’espressione «tutte» era stata fin dalla prima discussione avanzata dall’onorevole Lucifero, in luogo alle «altre» che aveva un senso, quando era collegata alle altre disposizioni dell’articolo 7 sulla Chiesa cattolica; ma ora che è avvenuto il distacco, deve essere senza dubbio sostituita; alcuni propongono «tutte»; altri «le confessioni diverse dalla cattolica». Con quest’ultima dizione si elimina il punto vero del dibattito; che vede, invece, con la formula Lucifero «tutte», implicarvi la questione dell’eguaglianza fra la religione cattolica e le minori confessioni.

Riferisco obiettivamente gli argomenti pro e contro. La tesi che propone «l’eguaglianza di tutte le confessioni religiose di fronte alla legge», svolta in seno alla Commissione dall’onorevole Lucifero, e ripresa stamani dagli onorevoli Laconi ed altri, è questa: quando si è stabilito che i rapporti tra Chiesa cattolica e Stato siano regolati dal Concordato – e precisamente dai Patti lateranensi – si sono regolati i rapporti colla Chiesa cattolica, non colla religione cattolica, si sono regolati rapporti dell’ordinamento dello Stato con un altro ordinamento che ha profilo politico ed internazionale; non con la religione in sé stessa, possiamo quindi (così sostengono) mettere l’affermazione della «eguaglianza di tutte le confessioni religiose»; che, se fosse tolto, sottolineerebbe il carattere confessionale, che gli stessi cattolici negano allo Stato italiano.

Obiezioni fatte dall’altra parte: dopo che si è parlato ad un certo momento della Chiesa cattolica, dandole una speciale posizione, non si può dichiarare una formale eguaglianza; del resto un alto spirito laico, il Ruffini, diceva che non può considerarsi alla stessa stregua il cattolicesimo e l’esercito della salute.

La corrente che si oppone alla proclamazione dell’eguaglianza intende chiarire il suo pensiero: «Noi rispettiamo la libertà religiosa degli appartenenti a qualunque confessione, nel senso che sono eguali di fronte alla legge. Ma questo è già detto nell’articolo 3: «I cittadini, a qualunque religione appartengano, sono eguali di fronte alla legge». Quando si tratta di eguaglianza delle Chiese – e questo è stato l’argomento svolto, soprattutto dall’onorevole Dossetti – vi sono differenze tecniche. Non può un ordinamento religioso dirsi perfettamente eguale all’altro, poiché fra di loro, ci sono differenze, dipendenti dalla loro struttura e da ragioni storiche. «Quindi – dice Dossetti – quell’affermazione non avrebbe nessun valore tecnico o avrebbe valore politico, che respingiamo».

Ecco il dissenso: la Commissione ne prende atto e vi riferisce.

Spetta ora a voi decidere. Mi auguro – vorrei dire, sono sicuro – che, se non la formula dell’eguaglianza delle confessioni, trovi posto nella nostra Costituzione il principio della eguale libertà, così che sia tranquillizzata e sodisfatta l’opinione pubblica degli altri Paesi, che attende un giusto riconoscimento anche delle religioni minori.

PRESIDENTE. Sono stati presentati altri emendamenti che, data la delicatezza della materia, ritengo opportuno porre in discussione.

Gli onorevoli Cappi e Gronchi hanno proposto di modificare il comma che si viene ad aggiungere all’articolo 14, dopo la trasposizione dall’articolo 7, come segue:

«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere di fronte alla legge».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgerlo.

CAPPI. Vorrei che mi si credesse quando affermo che dirò una parola schietta a tutti i colleghi dell’Assemblea: mi sembra che sia una mala sorte della politica italiana degli ultimi decenni (che è spiegabile con le note situazioni passate, storiche e politiche, che furono superate di fatto il 20 settembre 1870 e furono superate anche di diritto 1’11 febbraio 1929), mala sorte che in Italia (la quale, o per indifferentismo religioso o per una superiore civile tolleranza religiosa non ebbe guerre di religione) la materia ecclesiastica, la materia dei rapporti fra Stato e Chiesa, sia delicata, e qualche volta addirittura esplosiva.

Voi potete credere che chi vi parla, come pure la totalità degli amici democristiani di quest’Aula, è decisamente fautore della più ampia libertà religiosa.

Chi vi parla frequentò dall’asilo in poi le scuole pubbliche e fu educato in questo clima di libertà. Per essere, però, sincero, devo dire che ho talora incontrato negli insegnanti della scuola pubblica qualche cosa che si può definire un dogmatismo, se non un settarismo, laico.

Sarebbe desiderabile, nell’interesse di quella pace religiosa da tutti invocata, che non vi fossero dogmatismi o settarismi, né laici né religiosi.

Ora, veniamo al punto. L’onorevole Laconi ha proposto questo emendamento:

«Tutte le confessioni religiose sono uguali davanti alla legge». È un emendamento, è una formula che da noi non può essere accettata. Non può essere accettata perché può implicare, nella sua formulazione, una specie di giudizio nel merito, sul contenuto delle singole confessioni religiose: giudizio di parità che – voi lo comprendete – non solo i cattolici, ma neanche gli appartenenti ad altre confessioni religiose non possono ammettere, perché è impossibile che un credente di una data fede ammetta una parità con le altre fedi. (Commenti a sinistra). Né lo Stato ha competenza in ciò.

Voi mi dite: «davanti alla legge». Siamo schietti! Quello che preme e che dovrebbe premere principalmente a voi, se non avete secondi pensieri, è questo: che sia libero l’esercizio della confessione religiosa e sia libero con parità, tanto per quella religione che raccoglie nel suo seno la quasi totalità dei cittadini, quanto per quelle confessioni religiose che raccolgono una infima minoranza.

Questa è l’esigenza della libertà religiosa: che, cioè, qualunque confessione abbia la possibilità di esercitare liberamente su un piede di uguaglianza con le altre la propria religione.

Cosa si può pretendere di più per rispondere ad una esigenza di libertà e di tolleranza religiosa?

Questo desidererei che gli avversari mi spiegassero.

Quando noi diciamo all’articolo 15 che: «Il carattere ecclesiastico ed il fine di religione o di culto di una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative»; quando, in un altro articolo, è sancita la piena libertà del culto e della propaganda religiosa, pare proprio, a noi, che evocare fantasmi di intolleranza e di oppressione religiosa sia assolutamente fuori luogo.

Se volessi aggiungere qualche considerazione di opportunità a queste considerazioni di ordine teorico, non dovrei che ripetere quanto, con parola alata e commossa, disse in quest’Aula pochi giorni fa l’onorevole Calamandrei, quando ricordò le benemerenze della Chiesa cattolica nel periodo dell’oppressione nazi-fascista; benemerenze, badate, onorevoli colleghi, non ispirate soltanto ad un principio di umanità, non benemerenze del povero parroco di campagna o del guardiano di un convento che diede asilo ai perseguitati, ma benemerenze della Chiesa cattolica in consapevole difesa di un principio di libertà civile e religiosa.

Io vi potrei citare anche una testimonianza dell’Einstein, il grande scienziato israelita, il quale disse che nell’ultimo ventennio grandi forze dello spirito, come le università, come la stampa, fallirono, piegarono di fronte all’oppressione nazi-fascista: la sola istituzione che non piegò fu quella della Chiesa cattolica. (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Siamo fuori di strada.

CAPPI. Queste vostre interruzioni non vorrei, onorevoli colleghi, dessero ragione a me quando parlavo di un certo dogmatismo laico.

Ad ogni modo, noi su questo emendamento ci batteremo; che, cioè, le confessioni religiose sono ugualmente libere di fronte alla legge, perché questo – e il giudizio di qualsiasi uomo sereno non può essere diverso – garantisce in pieno la libertà di tutte le confessioni religiose. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha proposto di sostituire le parole: «Tutte le confessioni religiose» con le altre: «Anche le confessioni religiose non cattoliche».

CAROLEO. Dopo quello che ha detto l’onorevole Cappi, ritiro il mio emendamento e aderisco all’emendamento Cappi-Gronchi. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Sta bene. Gli onorevoli Binni, Pajetta Giancarlo, La Rocca, Basso, Nobili Tito Oro, Cianca, Laconi, De Michelis, Giua, Pieri, Tonello e altri, hanno presentato un testo unitario dei loro emendamenti, così formulato:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto, purché non si tratti di riti contrari all’ordinamento giuridico dello Stato.

«Tutte le confessioni religiose sono eguali davanti alla legge.

«Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, ed i loro rapporti con lo Stato sono regolati, per legge, mediante intese con le rispettive rappresentanze».

LACONI. Chiedo di poter illustrare l’emendamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Non ho che da richiamarmi a quanto ho esposto questa mattina. In sostanza, il contenuto essenziale del mio emendamento, come di quelli dell’onorevole Cianca, dell’onorevole Basso ed altri, si ritrova nell’emendamento che abbiamo ora, di comune accordo e con un maggiore apporto di adesione, presentato.

Il Presidente Ruini ha, poco fa, esposto il movente che ha portato a quest’ultima formulazione, ed io non mi soffermerò su questo punto. Voglio soltanto accennare ad un argomento che è stato, sia pure di sfuggita, avanzato dall’onorevole Caroleo, il quale diceva che quando noi abbiamo, nell’articolo 7, stabilito una posizione particolare per la Chiesa cattolica, abbiamo con ciò stesso esclusa l’eguaglianza delle diverse confessioni religiose. All’onorevole Caroleo, io ripeto quello che ho detto stamani in quest’aula, che in questa particolare sede e con questa particolare formulazione non si intende più ritornare sulla questione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, come entità giuridica, come un’organizzazione particolare. Qui si vuole, invece, stabilire la condizione delle diverse confessioni religiose nel loro momento pre-giuridico, preorganizzativo, rispetto allo Stato. Questo soltanto. Ed è quindi una questione del tutto diversa ed in sede appropriata.

Vero è che altra obiezione è stata avanzata, in questo momento, dall’onorevole Cappi. Io non so per quale ragione, l’onorevole Cappi voglia vedere una intenzione così sottile e malevola dove non c’è, voglia richiamarsi a tendenze e preoccupazioni che non vi sono da parte nostra. Io parlo in nome di un Gruppo che ha votato per l’articolo 7. Evidentemente, le preoccupazioni da cui moviamo in questo momento sono forse le stesse da cui movevamo allora, ma non sono certo preoccupazioni che si indirizzano contro la Chiesa cattolica. Non ve ne sarebbe ragione. Noi qui non ci troviamo a regolare i rapporti fra Stato e Chiesa, ma ci troviamo a regolare i rapporti fra Stato e confessioni religiose nella loro generalità, e anzi mi sorprende un atteggiamento come quello dell’onorevole Cappi. Non so perché egli abbia voluto fare quella strana affermazione che, escludendo l’eguaglianza delle diverse confessioni, si verrebbe ad introdurre una sorta di valutazione di merito sul contenuto di esse. Ciò significherebbe che, affermando l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, si viene anche a stabilire ed introdurre una determinata valutazione circa la capacità intellettuale dei diversi cittadini. Non credo che si possa supporre una intenzione di questo genere. Faccio, del resto, notare all’onorevole Cappi che qui non di religione si parla. Comprenderei la sua eccezione se qui si dicesse che tutte le religioni sono eguali di fronte allo Stato italiano. Potrebbe trovarsi in una formula di questo genere una illegittima intromissione dello Stato italiano nella valutazione di questioni che sono al di fuori dei suoi interessi e della sua competenza. Ma qui non di religioni si parla, non di fedi religiose, si parla di confessioni religiose e ci si riferisce a quegli atti di adesione e di riconoscimento per cui cittadini dello Stato italiano aderiscono ad una determinata religione; e questa è un’altra cosa. È soltanto in questo momento che lo Stato interviene per regolare i suoi rapporti e, constatando che esistono queste confessioni religiose che variamente raggruppano i suoi cittadini, ne riconosce l’eguaglianza in se stesse.

D’altra parte, non credo che a questo punto sarebbe necessaria ed utile una riaffermazione della libertà. La libertà delle confessioni religiose è in altra parte e l’abbiamo già approvata. Io direi che qui si tratta di altro, di stabilire non la libertà delle confessioni religiose nei confronti dello Stato, ma l’indipendenza dello Stato nei confronti delle confessioni religiose, e cioè la aconfessionalità dello Stato. In questo senso questa affermazione ha un valore. Mutando la formulazione in quella particolare forma che l’onorevole Cappi propone, mi pare che l’affermazione sarebbe completamente svuotata di significato e inaccettabile per tutti coloro che qui intendono fare un’affermazione della aconfessionalità dello Stato.

Altra questione è quella sollevata dall’onorevole Dossetti, cioè l’eccezione che egli ha fatto circa il diritto da parte nostra di presentare determinate modificazioni. Io voglio far notare che per quanto riguarda l’«ove sia richiesto» è soppresso nell’emendamento che noi abbiamo presentato con l’onorevole Cianca. Figurava nell’emendamento che io presentai, ma è stato di comune accordo eliminato, e l’eccezione dell’onorevole Dossetti, a questo proposito, cade.

Cade anche per la seconda questione, cioè per quanto riguarda il richiamo all’ordinamento giuridico dello Stato, in quanto, in realtà, noi non abbiamo soppresso il richiamo all’ordinamento giuridico dello Stato, ma lo abbiamo trasferito nel primo comma dello stesso articolo, e penso che in sede di coordinamento siamo pienamente nel diritto di far questo.

Vorrei, come ultima questione, accennare al fatto che da qualche parte si è sollevata un’eccezione per quanto riguarda la formula: «i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge». Qualcuno mi faceva notare che questo verrebbe a stabilire un obbligo da parte dello Stato a regolare per legge i suoi rapporti con le diverse confessioni religiose. Credo di interpretare il pensiero degli altri proponenti dicendo che noi non avremo nessuna difficoltà ad aggiungere sono regolati «se del caso», o sostituire un «possono» al «sono», in modo che sia lasciata la facoltà allo Stato di intervenire in questa materia senza fargliene un obbligo.

PRESIDENTE. L’onorevole Labriola ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo:

«Sono pienamente libere le opinioni e le organizzazioni dirette a dichiarare il pensiero laico od estranee a credenze religiose».

L’onorevole Labriola ha facoltà di svolgerlo.

LABRIOLA. Nell’articolo 16 del progetto in esame si parla di credenze religiose, di fede religiosa e di Chiese di vario genere, ma non vi è nessun cenno dell’esistenza di organizzazioni dette «del libero pensiero», o che prendono un nome analogo. Dette organizzazioni non hanno a che vedere con le Chiese, sia pure del più vario tipo.

Si potrebbe sostenere che con l’articolo 16 dello stesso progetto di Costituzione, il caso di queste libere organizzazioni sia stato riconosciuto, poiché si parla del fatto che i cittadini hanno piena libertà di esprimere il loro pensiero. Si potrebbe anche aggiungere che, essendo stato riconosciuto coll’articolo 13 il diritto di libera associazione di tutti i cittadini, si è implicitamente ammessa la legalità delle organizzazioni le quali possono diffondere un pensiero come quello definito libero.

Tuttavia, poiché così a lungo si è discusso intorno alle singole confessioni e si è parlato delle varie Chiese cristiane, io trovo naturale e giusto che proprio in questa sede di discussione il discorso cada su quelle organizzazioni le quali non possono considerarsi come professanti opinioni mistiche o trascendenti. Aggiungo che, quando io propongo si tenga conto dell’esistenza di queste organizzazioni, di questi aggruppamenti, e delle opinioni relative, non faccio opera di opposizione alle confessioni e alle dottrine religiose dichiarate. Potrei essere un cattolico, e proporre questo articolo; potrei essere un evangelico o un israelita, e proporre appunto l’articolo medesimo. Mi preoccupo del fatto che, tacendo degli aggruppamenti laicistici e del libero pensiero, voi lasciate aperto il campo alla possibilità che domani un Governo, quale esso sia, possa interdire il diffondersi di un’opinione non confessionale. Vi sono uomini, vi sono nuclei, vi sono organizzazioni, che non sanno collocarsi in una dottrina religiosa determinata, e io chiedo per essi il diritto di organizzarsi e far propaganda. Del resto e di passaggio, alcuni hanno assunto che anche l’ateismo può essere una religione; Hebbel era un ateo e si proclamava un credente, Spengler diceva appunto che anche l’ateismo possa essere una religione. Ma smettiamo di teologizzare.

Tuttavia, non è di ciò che io parlo; constato il fatto dell’esistenza di uomini, per i quali il pensiero laico od estraneo ai culti ha un valore assoluto, e dell’esistenza nel nostro Paese di organizzazioni le quali si propongono una critica del pensiero religioso in quanto sia concretato nelle forme di una fede, di un catechismo, di una dottrina. Il negare l’esistenza di queste correnti sarebbe negare la pura verità.

Constato che noi non abbiamo una statistica delle opinioni religiose del nostro Paese; l’ultima statistica a tale proposito mi pare sia quella che risulta dal censimento del 1912. Già io dissi che nel 1922, allorché si trattò di compilare il formulario del nuovo censimento, ogni cosa fu messa in opera perché il quesito relativo alle religioni non venisse considerato nella formula stessa. Quando ci riferiamo al censimento del 1912, troviamo indicato un gruppo di persone – senza confessioni, direbbero i tedeschi – rilevantissimo. Se non ricordo male, superava il milione.

Non so che cosa sia accaduto dal 1922 ai nostri giorni. Suppongo che le persone estranee ai culti siano diventate un tantino più numerose. Si parla molto degli israeliti, e per il rispetto che si deve al loro culto se ne parli finché si vuole; ma, in realtà, secondo la statistica del 1912, non si tratterebbe che di 60 mila persone; ora il preoccuparsi di 60 mila persone è cosa certamente egregia; ma l’occuparsi di opinioni che riguardano più di un milione di persone è cosa assai più importante e che non si può assolutamente trascurare.

Io vi ripeto ancora una volta che, a furia di voler sottilizzare, si potrebbe anche trovare che la propaganda di un pensiero puramente laico, di un pensiero estraneo a credenze positive, sia ammesso nell’articolo 16 del progetto di Costituzione e che nell’articolo 13 sia ammessa la loro libertà di organizzazione; ma io penso che sia meglio dichiarare esplicitamente – come si fa per i cattolici, i protestanti e gli israeliti – che i liberi pensatori non sono proscritti dalla nostra Costituzione. È una buona misura di precauzione.

Se infatti il Governo interdicesse domani la professione di un pensiero estraneo ad ogni culto positivo ed a qualsiasi credenza religiosa, potrebbe farlo – esagerando un poco, questo è vero – perché con l’articolo 7 o 5 del nostro progetto di Costituzione noi siamo legati ai Patti lateranensi. Questa mi parve allora, ed io lo dissi, cosa pericolosissima per tutti. Ci saremmo potuti trovare, come oggi ci troviamo, dinanzi al fatto che in determinati casi, quei Patti rappresentano un inutile ostacolo. Il resto lo vedremo quando si parlerà del divorzio… E quante difficoltà essi non potrebbero crearci per cose di minor conto!

Ricorderò ancora una volta che, per effetto dei Patti lateranensi, all’articolo 5 del concordato col Vaticano, l’Italia è tenuta ad escludere dall’insegnamento gli apostati, le persone che siano state colpite da una censura ecclesiastica. Il Buonaiuti non potrebbe mai più insegnare in Italia; eppure un ministro monarchico italiano, il Baccelli, volle in piena monarchia nominare l’Ardigò professore di filosofia nelle nostre università, e l’Ardigò, oltre ad essere l’unico grande filosofo italiano moderno che io conosca, era appunto un ecclesiastico «apostata», e anche il Renan, se per caso fosse venuto in Italia, non avrebbe potuto insegnare.

Perciò appunto può avere la sua importanza pratica che per coloro i quali non appartengono a culti generalmente riconosciuti, sia non solo ammessa la parità dei diritti con tutti gli altri italiani, ma la possibilità di far piena propaganda delle loro idee.

Domani un Governo, il quale lo volesse, potrebbe interdire le associazioni del libero pensiero, e bisogna impedire questa possibilità, per la democrazia e per la civiltà italiana.

Io non sono qui a fare l’apologista di nessuna fede che sia in contrasto con l’opinione degli altri: faccio una riserva a favore della libertà per tutti. Questa parola «libertà» è ripetuta sovente in quest’Assemblea; eppure accade che non sempre siamo disposti a trarne tutte le conseguenze. C’è sempre una riserva mentale a detrimento di qualcheduno.

Richiamo l’attenzione dei colleghi sul fatto che nell’articolo 16 non si parla che di una generica libertà di opinione, ma si potrebbe sostenere per il fatto che i Patti lateranensi sono inclusi nella nostra Costituzione, che alle organizzazioni che siano espressione del libero pensiero non sia lasciata la stessa libertà che agli altri cittadini. Per riservare a questi cittadini, ai quali appartengo io stesso, la libertà di fare la propaganda del loro pensiero, estranea ai culti positivi, ho proposto il mio emendamento o la mia aggiunta e potremmo consigliare a questi miei colleghi di destra dell’Assemblea Costituente, proprio socialisti e comunisti, di non rigettare la mia aggiunta e fare in modo che un gruppo notevole di cittadini possa affermare il diritto della propria opinione, ad ottenere il loro riconoscimento.

Noi abbiamo un’esperienza tale del passato che non ci permette di pensare che il passato non possa ritornare. Non dobbiamo dimenticare le lezioni del passato. La libertà di coscienza è cosa gravissima ed importantissima anche per coloro che non professano nessun culto riconosciuto. (Applausi).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il suo avviso sopra questi ultimi emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Pregherei di consentire una interruzione di pochi minuti perché, raccogliendo insieme i presentatori degli ordini del giorno, si veda fino a che punto è possibile mettersi d’accordo. La Commissione ha per regolamento il diritto di chiedere 24 ore di sospensione per esaminare gli emendamenti; chiediamo dieci minuti.

PRESIDENTE. Accedo alla richiesta del Presidente della Commissione.

La seduta sospesa alle 17.20, è ripresa alle 17.40.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo comunicare all’Assemblea che, in seguito ad uno scambio di vedute con i presentatori degli emendamenti, si è realizzato un accordo parziale, un accordo cioè sulle altre parti dell’ordine del giorno, tranne per un contrasto che non è stato possibile superare: la questione dell’eguaglianza di tutte le confessioni religiose di fronte alla legge.

Accantonando tale questione, leggerò, il testo sul quale si è verificata l’unanimità dei presentatori di emendamenti sul primo comma: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in pubblico o in privato atti di culto»; e fin qui si era già tutti d’accordo; l’accordo si estende ora anche all’ultima frase: «purché non si tratti di riti contrari al buon costume».

I colleghi che avevano poi proposto di mettere qui «ordinamento giuridico» togliendolo dall’ultimo comma, hanno riconosciuto che potrebbe essere pericoloso, perché lo Stato, emanando norme legislative di volta in volta, limiterebbe la libertà dei culti, più che rimettendosi al criterio obbiettivo del buon costume.

Unanimità vi è pure stata su ciò che sarà il terzo comma:

«Le confessioni religiose diverse dalla cattolica» (testo Cianca) «hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano». Qui è necessario parlare di ordinamento giuridico, perché si tratta di intese fra due ordinamenti; e del resto vi è già una decisione dell’Assemblea. Come pure vi è sul successivo ed ultimo periodo, che viene ritoccato solo formalmente, nel senso richiesto dalle Chiese evangeliche; e con la espressa dichiarazione (che a nome della Commissione ripeto) che non è necessario avvenga la regolazione per legge; e che nei riguardi degli israeliti potrà essere accolto il loro desiderio di non far luogo a legge regolatrice.

Proporrei che tutti i presentatori, ritirando i loro emendamenti, si associassero a questo testo, di cui poi si votassero le due parti.

In quanto al secondo comma, non essendo stata possibile una intesa, deciderà la maggioranza sulle proposte presentate. La Commissione non poteva far altro: agevolare i consensi, semplificare e precisare i dissensi.

LABRIOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LABRIOLA. La mia aggiunta ha valore di per sé. Chiederò che sia messa in votazione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Poiché il testo di cui ha già dato lettura l’onorevole Ruini è un testo concordato, devo ritenere che i presentatori dei vari emendamenti abbiano acceduto a tale formulazione. Passiamo pertanto alla votazione, del primo comma che rileggo:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in pubblico o in privato atti di culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».

DELLA SETA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DELLA SETA. Sull’articolo 14 ebbi già occasione di esprimere il mio modesto giudizio, in sede di discussione generale del titolo primo.

In sede di votazione, non posso ancora una volta non rilevare che la libertà religiosa, per quanto esplicitamente riconosciuta e sancita nell’articolo 14, non armonizza coll’articolo 7, cioè con i Patti lateranensi, inseriti nella Costituzione stessa.

Non posso non rilevare che l’ultimo inciso, sul quale tanto e tanto ormai abbiamo discusso, se venisse mantenuto, sarebbe, da un lato, poco rispettoso verso le minoranze religiose, e, dall’altro, si presterebbe ad un possibile arbitrio dell’autorità amministrativa o di polizia, per limitare quella libertà, religiosa, che nell’articolo stesso vuole essere affermata.

Sono stato in tutta la mia vita troppo difensore della libertà religiosa, perché io possa oggi votare contro, sia contro l’articolo 14, come è stato formulato nel testo, sia contro tutti gli emendamenti presentati.

Quindi, non voterò contro; ma mi asterrò, dando alla mia astensione il significato di una constatazione storica. Constato che, nella prima Costituzione dello Stato repubblicano – una volta conferito a questo il carattere della confessionalità – non ha potuto essere sancito quel principio della libertà di coscienza che, nel rispetto di tutte le fedi, è il dettato della coscienza moderna, è il portato della moderna scienza giuridica.

Esprimo l’augurio che, nella evoluzione, lenta, ma ineluttabile, delle istituzioni repubblicane, questo principio della libertà di coscienza, nel rispetto di tutte le fedi, possa una volta per sempre essere solennemente, esplicitamente ed integralmente riconosciuto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 14 nel testo già letto.

(È approvato).

Passiamo alla votazione del terzo comma:

«Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti in quanto non contrastino coll’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le rispettive rappresentanze».

(È approvato).

Dobbiamo ora passare alla votazione del secondo comma, sui quale non si è raggiunta un’intesa:

«Tutte le confessioni religiose sono eguali davanti alla legge».

Su di esso sono state presentate due richieste di votazione per appello nominale. La prima è firmata dagli onorevoli Cevolotto, Lombardi, Filippini, Foa, Zanardi, Binni, Di Gloria, Cianca, Canevari, Preti, Labriola, Schiavetti, Bassano, Carboni, Rossi Paolo, Carmagnola, Luisetti, Chiaramello; la seconda è firmata dagli onorevoli Andreotti, Tozzi Condivi, Recca, Cremaschi, Dominedò, Turco, Castelli Avolio, Valenti, Ferrarese, Leone Giovanni, De Caro, Castelli, Coppi, Salizzoni, Bianchini Laura, Fabriani, Taviani, Fanfani, Ferrario Celestino, Sampietro, Marzarotto.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Non a nome della Commissione, ma a nome di uno che ha seguito i lavori della prima Sottocommissione, vorrei ricordare all’Assemblea, in questo momento in cui ci accingiamo a votare questo secondo comma dell’articolo, se non sia il caso di conservare quella unanimità che ci ha spinto ad approvare i due primi comma e a sopprimere questa parte. Vi sembrerà strana questa mia proposta, ma io voglio soltanto farvi considerare questo: noi abbiamo approvato due parti dell’articolo; con la prima abbiamo affermato la libertà di coscienza e di culto: manifestazione solenne di questa libertà, che è una delle più grandi conquiste dello spirito umano.

Con la seconda parte, che viene qui per trasferimento, abbiamo regolati i rapporti fra Stato e Chiese. Questi rapporti erano compresi, secondo la Commissione, nell’articolo 5, divenuto poi articolo 7.

La proposta dell’onorevole Lucifero di trasferire questa parte dall’articolo 7 all’articolo che noi abbiamo votato, non può modificare l’economia che dal punto di vista costituzionale la Commissione aveva concepito, ossia, stabilendo che i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica venivano regolati non in forma giurisdizionale, ossia per legge dello Stato, ma in forma concordataria, regolava per legge i rapporti tra lo Stato e le altre Chiese sulla base di preventive intese.

Il problema, quindi, trasferito in questo articolo, non è di libertà; già questo è stato assodato nel primo comma testé approvato, nel senso che ciascuno è libero della propria coscienza religiosa, non solo internamente, ma anche esteriormente, in tutte le manifestazioni del culto esterno, in cui si concretizza la libertà religiosa. Qui si tratta soltanto di regolare i rapporti tra l’ordinamento giuridico dello Stato e le singole Chiese. Ora, se ammettiamo che tutte le confessioni religiose sono eguali di fronte alla legge, diciamo cosa diversa dell’articolo 7, con il quale si sono regolati i rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa. Quindi se questo comma si deve approvare dobbiamo parlare delle altre Chiese, e non della Chiesa cattolica. Questa è l’esigenza tecnica dell’articolo.

D’altra parte, siccome votando l’ultimo comma abbiamo detto che le confessioni religiose hanno diritto di costituirsi secondo i propri statuti, che non possono essere identici, ma saranno diversi secondo l’organizzazione interiore delle Chiese stesse; e siccome abbiamo detto che i rapporti sono regolati per legge, secondo intese singole, non è più possibile concepire che sono tutte eguali, perché le leggi potranno essere diverse regolando questi diversi rapporti. Mi pare che qui usciamo fuori dalla direttiva giuridica tenuta; e finiamo per creare un precetto oscuro che o non significa niente o modifica le disposizioni già votate.

Io, quindi, voglio domandare a voi, alla vostra coscienza, se non ritenete che questa sia una votazione equivoca che non corrisponde allo spirito di chiarezza che deve avere ogni norma costituzionale.

Quindi, io proporrei la soppressione di questo comma.

PRESIDENTE. Dovrei porre in votazione la proposta formale dell’onorevole Grassi di soppressione del secondo comma.

CEVOLOTTO. Domando che la richiesta di votazione per appello nominale, già fatta per il secondo comma, sia estesa alla proposta dell’onorevole Grassi. (Commenti).

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Avevo fatto questa proposta di soppressione con lo scopo di raggiungere la finalità di una votazione unanime da parte dell’Assemblea. Ma, dal momento che su questa questione si domanda l’appello nominale, io, per non complicare la soluzione, ritiro la mia proposta.

PRESIDENTE. Dobbiamo, quindi, passare alla votazione del secondo comma proposto.

DOSSETTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Dichiaro di votare contro – come, del resto, era prevedibile – alla proposta del secondo comma, con questo intendimento: che né io né i miei amici vogliamo rinnegare l’esigenza che ha indotto alcuni colleghi a presentare questo emendamento.

Se ho bene inteso, l’esigenza si può sostanzialmente esprimere così: si vuole assicurare che la libertà e l’uguaglianza di tutti i cittadini, a qualunque confessione appartengano, sia garantita non soltanto per essi in quanto cittadini singoli, professanti una determinata fede religiosa, ma in quanto anche membri di una determinata forma sociale, in cui si concreta e si esprime quella fede religiosa.

Ora, questa esigenza – a nostro giudizio – era espressa con tutta schiettezza, categoricità e lealtà non solo dalla norma dell’articolo 14, nella quale si parla di uguaglianza e libertà religiosa in qualsiasi forma sia individuale sia associata, ma ancor più dalla norma dell’articolo 15 successivo, sulla quale è da lamentare che molti colleghi non abbiano portato la loro attenzione.

Questa norma, in tutta la sua estensione, ha una portata categorica che vuole esprimere in termini più corretti e più precisi tecnicamente la suddetta esigenza specifica, che, io voglio ancora sperare, sia l’unico motivo che induce i colleghi a presentare l’emendamento.

Infatti, nell’articolo 15 si dice: «Il carattere ecclesiastico ed il fine di religione e di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, ecc., per ogni sua forma di attività». Un principio che ha una portata così ampia, non mi pare possa essere espresso che attraverso queste precise determinazioni tecniche. Invece, la formulazione che ora ci viene proposta, oltre che avere la portata tecnica già compresa nelle attuali espressioni dell’articolo 14 e 15, sembrerebbe, specialmente nell’interpretazione data da alcuni colleghi durante questa discussione, assumere in più un significato politico che è estraneo alla portata tecnica della dichiarazione stessa. Sembra così atteggiarsi quasi ad un tentativo di svuotamento e di riduzione del consenso da alcuni dato alla norma dell’articolo 7, od essere, invece, per altri, la manifestazione della coerenza della loro opposizione alla norma posta nell’articolo 7.

E questa supposizione di una interpretazione politica, che altera il significato tecnico della portata dell’emendamento proposto, che lo snatura e lo rende quindi incompatibile col sistema già deliberato, questa supposizione trae fondamento e si avvalora per quella singolarissima insinuazione di nuove dottrine ecclesiasticistiche, che stamani abbiamo sentito farci dall’onorevole Laconi. Questi, con qualcosa che è certamente molto originale, ma è per questo anche disorientante, è venuto ad insegnarci che si può distinguere fra Chiese e confessioni religiose, e si può quindi dire che la norma in questione, la norma cioè che viene proposta, con questo emendamento, è perfettamente compatibile con la norma dell’articolo 7, e, quindi, col consenso dato all’articolo 7, in quanto nell’articolo 7 si veda la Chiesa cattolica, mentre questa norma non sarebbe perfettamente compatibile, in quanto nell’articolo 7 si veda non più la Chiesa cattolica, ma la confessione cattolica.

Per queste ragioni, dunque, e perché riteniamo che l’esatta portata tecnica dell’emendamento proposto sia già sodisfatta, e dall’articolo 14, e, ancor più, dall’articolo 15; e perché riteniamo che un’eventuale aberrante interpretazione, cui l’emendamento facilmente si presta in sede politica, snaturerebbe il sistema che si è già da alcuni tanto formalmente approvato, dichiariamo di votare contro l’emendamento proposto. (Applausi al centro).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io, naturalmente, voterò a favore del capoverso che è stato proposto, e non soltanto per le ragioni che ha detto stamattina, così bene, l’onorevole Laconi, ma anche per un’altra ragione che viene incontro proprio a quello che diceva ora l’onorevole Dossetti. Questi diceva: «Noi abbiamo già espresso il concetto che voi volete affermare più fortemente. Perché volete questa accentuazione?». Il perché lo dicemmo già quando discutemmo in seno alla Sottocommissione. Anche allora io osservai: badate, che se la formula, che poi è stata adottata nell’articolo 7, passa, allora sarà necessario rinforzare il concetto dell’uguaglianza di tutte le Chiese, della libertà assoluta di tutte le religioni, libertà che non vi è, se non vi è l’uguaglianza.

DOSSETTI. Perché non l’ha proposto in Sottocommissione?

CEVOLOTTO. Io avevo anzi proposto una formula molto più ampia, che del resto è stampata nei verbali della Sottocommissione.

DOSSETTI. La sua formula non ha niente a che vedere con questo problema.

CEVOLOTTO. Nella mia relazione, lo avevo detto in tutti i modi. Allora avevo osservato anche questo: che l’esperienza storica dimostra la necessità dell’affermazione che noi proponiamo, perché l’Assemblea ha richiamato i Patti lateranensi nella Costituzione (e va bene o, secondo me, va male; ma insomma, va bene perché l’ha voluto la maggioranza), ma quando vigevano i Patti lateranensi, nel brutto tempo del fascismo, vigeva anche una legge che, in sostanza, dava formalmente la libertà ai culti ammessi, cioè ai culti diversi del culto cattolico. Eppure, questa libertà non c’è stata.

DOSSETTI. Con provvedimenti di polizia non c’è libertà che vada.

CEVOLOTTO. C’è stata una forma di persecuzione, specialmente contro i Valdesi.

Badate che io non l’attribuisco affatto, come i Valdesi credono, alla Chiesa cattolica; l’attribuisco all’esecutivo: la polizia, data l’affermazione di superiorità della Chiesa cattolica nel Trattato e nel Concordato lateranense, riteneva di dover considerare in fatto e in diritto deteriori tutte le altre religioni. Ora voi dite sinceramente che, inserendo i Patti lateranensi nella Costituzione, non avete voluto creare uno stato confessionale, né dare una supremazia di azione alla Chiesa cattolica a danno delle altre Chiese, e che volete affermare la libertà di tutti nella forma più ampia e più concreta. Allora, per evitare quelle deformazioni da parte dell’esecutivo che ci sono state in questi anni, è necessaria un’affermazione la quale tolga ogni dubbio ed è l’affermazione che noi intendiamo di fare votando il capoverso che abbiamo proposto.

Noi non ci proponiamo con questo di voler dire – e sarebbe una stupidaggine – che tutte le religioni devono essere regolate nello stesso modo. Sono fenomeni di estensione differente, di contenuto differente, che hanno una storia e un’organizzazione diverse; e infatti noi diciamo che saranno regolate diversamente. Ma, appunto perché non si abbia, in queste diverse organizzazioni legislative e nella esecuzione, una violazione della libertà, è indispensabile una netta dichiarazione di principio che metta concettualmente tutte le religioni alla pari, come tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge, anche se lo stato personale dei singoli uomini è regolato diversamente, a seconda della loro professione, della loro attività, della loro posizione.

Questo vogliamo affermare e vogliamo così affermare una necessità storica che è stata dimostrata dall’esperienza di questi anni. Poiché voi desiderate che vi sia un’ampia libertà religiosa per tutti, poiché voi, democratici cristiani, domandate che questa libertà sia riconosciuta, come noi, non dovreste opporvi alla nostra formula; perché non penso neanche lontanamente che le vostre parole non siano sincere e che sotto alla vostra adesione alla parità religiosa e alla libertà di culto per tutti si celi un pensiero reticente che vagheggi l’attribuzione di una superiorità alla Chiesa cattolica a detrimento delle altre religioni. Questo vogliamo evitare e riteniamo necessario, per evitarlo, che la formula da noi proposta venga votata. (Applausi a sinistra).

CIANCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. L’onorevole Grassi, quando ha accennato alla sua proposta, la quale tendeva in realtà a sopprimere il comma che stiamo discutendo, ha detto che bisognava evitare equivoci. A mio giudizio, l’equivoco sarebbe consistito in una unanimità la quale non poteva essere assolutamente sincera. Noi stiamo assumendo in questo momento una precisa responsabilità e dobbiamo dire le ragioni per le quali, manteniamo un atteggiamento che non risponde affatto – caro collega Cappi – a una preoccupazione di dogmatismo laico. Noi potremmo anche consentire nella impostazione che il collega Dossetti ha fatto quando ha spiegato i motivi per i quali egli è contrario al nostro ordine del giorno. Egli ha detto: ma le vostre esigenze sono garantite dalle disposizioni contenute nell’articolo successivo, e da quelle contenute in altri articoli. Uscendo anche qui dall’equivoco, caro collega Dossetti, io mi domando, perché voi vogliate ripudiare una affermazione di principio, dalla quale discendono logicamente proprio quelle disposizioni che sono contenute negli articoli a cui ella si è riferito. Quali sono le ragioni per cui voi respingete il principio che, viceversa, affermate di voler consacrare in disposizioni concrete?

Noi per questo vogliamo che venga messo ai voti per appello nominale il nostro emendamento.

Il collega Cappi ha accennato a motivi di opportunità. Io penso che questi motivi appartengono ad uno stile politico che deve essere estraneo al nostro spirito, di fronte a problemi di tanta importanza. Alle ragioni di opportunità che l’onorevole Cappi ha accennato, io potrei opporre altre ragioni di opportunità; ma me ne dispenso. E non è neppure il caso di ricordare, come l’onorevole Cappi ha fatto, le benemerenze della Chiesa cattolica. Questo non è un motivo che possa determinare il nostro atteggiamento di fronte alle responsabilità che ci spettano. Noi rispondiamo di fronte alla nostra coscienza, di fronte a quello che per noi è il principio della libertà e dell’eguaglianza. Siamo fedeli all’osservanza di questo principio, e soltanto ad essa, quando, ripudiando la concezione dello Stato confessionale, vogliamo che l’Assemblea Costituente della Repubblica italiana affermi l’eguaglianza di tutte le fedi religiose davanti alla legge. (Applausi).

CRISPO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Vorrei fare qualche osservazione di carattere rigorosamente giuridico, per rendere ragione del mio voto.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, le faccio presente che siamo in sede di dichiarazione di voto; non si tratta, quindi, di considerazioni di carattere giuridico.

CRISPO. Sì, di carattere giuridico per giustificare il voto favorevole che io darò all’emendamento Cianca.

PRESIDENTE. Rammento solo, per tutti coloro che faranno dichiarazioni di voto, che la dichiarazione di voto è una succinta spiegazione del proprio voto. La faccia, onorevole Crispo.

CRISPO. A me sembra, contrariamente all’opinione espressa dall’onorevole Dossetti, che il contenuto dell’emendamento Cianca non sia compreso nell’articolo 14, né nell’articolo 15. Ond’è che l’onorevole Dossetti potrebbe essere d’accordo con me, se quel che io assumo risponde esattamente all’interpretazione e dell’articolo 14 e dell’articolo 15.

L’articolo 14 contempla il diritto dei singoli come tali, o dei singoli in quanto pensino di riunirsi in più persone per professare un determinato culto, una determinata fede religiosa. Difatti, l’articolo 14 stabilisce: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individuale o associata», «forma associata» è in rapporto alla forma individuale; individuo, cioè, e pluralità di persone che si riuniscono per professare il loro culto, e farne propaganda. Il concetto non si identifica, adunque, con quello di chiesa o di organizzazione religiosa, o di confessione religiosa, che, per me, è assolutamente diverso e distinto.

Né mi pare – ed ho finito – che sia contenuto l’emendamento nell’articolo 15, in quanto l’articolo 15 stabilisce che il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di un’associazione o di una istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni o di speciali gravami fiscali in rapporto alla sua costituzione, alla sua capacità giuridica e ad ogni forma di attività che sia in relazione con la detta capacità giuridica.

Noi diciamo, invece, che tutte le confessioni religiose sono eguali di fronte alla legge, nel senso che la legge non può porre, comunque, restrizioni alle esplicazioni del contenuto religioso dell’associazione; onde, sotto questo aspetto e per questa interpretazione, io dichiaro di votare a favore.

BINNI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BINNI. Dichiaro di associarmi alle osservazioni fatte dagli onorevoli colleghi che hanno parlato dichiarando di votare a favore. Il nostro voto è la logica conseguenza del nostro atteggiamento generale, ed è anche la logica conseguenza delle dichiarazioni fatte da me questa mattina, e del nostro atteggiamento tenuto nel corso della discussione sull’articolo 7, quando dicemmo di preoccuparci del principio dell’eguaglianza delle fedi religiose.

È naturale, quindi, che anche oggi noi votiamo sinceramente e lealmente per questo principio fondamentale.

RUBILLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Parlo per dichiarazione di voto a nome mio ed a nome anche di parecchi amici e colleghi. Ho seguìto con grande attenzione tutto quanto il dibattito che si è svolto intorno alla questione di cui ci siamo occupati nella seduta antimeridiana e poi in quella pomeridiana; si è arrivati ad una quasi completa intesa, con votazione pressoché unanime, su quelli che sono i punti fondamentali della disposizione di legge di cui trattiamo.

C’è una divergenza soltanto su questo comma, divergenza che io e coloro, a nome dei quali parlo, non riusciamo in alcun modo a comprendere nella portata e nel significato vero che ad essa si vuol dare. Pare, infatti, che le due formule proposte dall’una e dall’altra parte siano completamente uguali.

E se si volesse, in certo modo, dal punto di vista grammaticale, sofisticare sulle due formule, si troverebbe, a parer mio, migliore per la libertà religiosa, ed anche dal punto di vista giuridico, quella proposta dalla parte democristiana che non l’altra. Le parole sono queste; la prima dice: «Tutte le professioni religiose sono egualmente libere di fronte alla legge». La seconda dice invece: «Tutte le professioni religiose sono uguali di fronte alla legge». Ora, «ugualmente libere» dice qualche cosa di più e di meglio che non dica la parola «uguali». (Applausi al centro Commenti a sinistra).

Non si può d’altronde stabilire un’eguaglianza completa in ciò che nel fatto e nella realtà non è uguale, poiché è innegabile che una delle religioni, la cattolica, è in Italia di gran lunga preminente sulle altre.

Allora, appunto per questo, non comprendiamo il grande dibattito che si è svolto al riguardo tra due formule in sostanza accettabili questa mattina e nell’attuale seduta; vi deve essere, e vi è senza dubbio, dall’una all’altra parte, una divergenza ed un antagonismo di partito. Ma, noi siamo e vogliamo essere estranei a simili competizioni ed a simili manovre; quindi ci asteniamo dalla votazione. (Commenti).

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Le mie parole possono essere una risposta a quanto ha detto or ora l’onorevole Rubilli. Io avrei anche potuto fare a meno di una dichiarazione di voto; prima di tutto, perché sono un poco il responsabile di questo dibattito, e non me ne pento, perché penso che in democrazia i dibattiti sono più utili dell’unanimità; e poi perché in quella sede ed in questa avevo già espresso chiaramente il mio pensiero.

Ma forse c’è qualche parola da dire, che forse nessuno ha voluto dire, ed è bene che sia detta.

Qui non si tratta soltanto di una questione di tecnica costituzionale. Abbiamo sentito interpretazioni varie di tecnica costituzionale, le une favorevoli ad una tesi, le altre favorevoli all’altra.

Mi riallaccio a quanto ebbe a dire l’onorevole Corbino in occasione della votazione sull’articolo 7.

Qui vi è una questione politica complementare alla votazione dell’articolo 7. Quando si votò l’articolo 7, ad un certo momento, non si votava più un articolo di Costituzione; per la procedura, per la quale si era arrivati a quel voto, per le discussioni che vi erano state, si era giunti al punto di votare non un articolo di Costituzione, ma di votare a favore o contro i Patti lateranensi. (Approvazioni).

Quindi ci siamo trovati, moltissimi di noi, a mettere la nostra riconferma a quella pace religiosa che i Patti lateranensi avevano consacrata in Italia.

Ed il nostro voto – sia stata errata o non errata la nostra interpretazione – il nostro voto è stato squisitamente e responsabilmente politico. Oggi la questione si pone di nuovo in termini politici. Qui non si vota una proposizione della Costituzione, qui si vota – sia giusta o errata la proposizione – sulla confessionalità dello Stato; perché questa è l’interpretazione, giusta o sbagliata, che dalla massa degli italiani, e forse non solo degli italiani, sarà data a questo voto; ripeto, giusta o sbagliata, sarà una interpretazione sul fatto se lo Stato italiano sarebbe (non dico sarà) uno Stato confessionale o meno.

Io credo che nessuno possa mettere in dubbio che fra i cattolici che sono in quest’aula vi saranno altri cattolici come me, ma non credo che ve ne possa essere uno più profondamente cattolico e cristiano di me (Commenti Interruzioni al centro).

Signori, (Accenna al centro) la fede, se l’avete, non si discute! Se non credete alla fede degli altri, vuol dire che manca a voi! (Rumori al centro Applausi a sinistra).

Ma appunto perché sono cattolico e sono gelosissimo della preminenza della mia religione in Italia, non credo che una dichiarazione di confessionalità possa convenire né alla Chiesa, né all’Italia; non voglio che l’Italia possa anche soltanto sembrare uno Stato confessionale, perché questo è contrario agli interessi del Paese ed è contrario agli interessi della religione che professo.

Vi è una preminenza della Chiesa cattolica in Italia, una preminenza di cui, noi cattolici, siamo fieri e convinti, e di cui gli altri non potranno che essere lieti, come già hanno avuto occasione di esserne lieti e beneficati, e questa preminenza non è data dall’articolo 7. Questa preminenza è data dal numero dei cattolici che sono in Italia e che costituiscono una maggioranza che è al di là e al di sopra di tutte le altre maggioranze, più o meno passeggere, più o meno fittizie, perché è una maggioranza che ha le sue radici nei secoli e nei cuori.

Ed è soprattutto la preminenza della sua verità che non ha bisogno dei nostri voti per essere confermata ed affermata.

Ecco la ragione per la quale voterò a favore dell’emendamento proposto. (Applausi).

BRUNI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUNI. Voterò a favore della formulazione Cianca perché presenta maggior garanzia dei diritti di libertà per le minoranze religiose, ed esprime in modo chiaro, senza possibilità di equivoci, le esigenze di eguaglianza civica che costituiscono l’anima – se una ce ne deve essere – della nostra Costituzione.

Anche in questo emendamento, come vorrebbe l’onorevole Cappi, non esistono valutazioni della «verità» religiosa, e perciò io in piena coscienza lo voterò. Né si tratta, come temono alcuni, di identificare l’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica con quello delle altre Chiese. Gli eventuali accordi delle altre Chiese con lo Stato italiano, se avverranno, avverranno sulla base del rispetto dell’ordinamento giuridico di queste Chiese, senza che ciò implichi un giudizio di merito di questo ordinamento di fronte a quello della Chiesa cattolica. Questi eventuali accordi dovranno rimanere semplici problemi di libertà e di autonomia. (Applausi).

CAROLEO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. All’autorevole voce degli altri mi permetto di unire la mia debole parola. Voto contro l’emendamento proposto, perché ho votato, a suo tempo, a favore dell’articolo 7.

È per me (con questo non intendo di recare alcuna ombra alla libertà di opinione altrui) nient’altro che una questione di coerenza e di lealtà. Perciò nulla da rilevare nei confronti di coloro, che a suo tempo hanno lealmente votato contro l’articolo 7. Il rilievo è per coloro che, come me, a suo tempo hanno votato a favore di quell’articolo; e la votazione fu fatta senza prevenzione alcuna che dubbio potesse sorgere sulla parità di trattamento per tutte le confessioni religiose in Italia. La votazione fu fatta per il richiamo a quei Patti lateranensi che avevano definitivamente posto in quiete la pace religiosa italiana e che non dovevano (questo mi permisi di dire nella precedente dichiarazione di voto) in nessun caso intendersi come contrastanti con i diritti di libertà che la Costituzione italiana riconosce a tutti i cittadini del mondo. (Rumori a sinistra).

Quando si dice, come si diceva poco fa da parte dell’onorevole Lucifero, che con l’articolo 7 si votarono…

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, l’articolo 7 è passato. Si attenga all’argomento.

CAROLEO. …si votarono i Patti lateranensi, questo è conferma di quel dovere di coerenza a cui poco fa mi riferivo. D’altra parte, l’onorevole Presidente mi fa fede che io avevo presentato un emendamento all’emendamento dell’onorevole Laconi, che poi ho ritirato in seguito all’emendamento, che mi sembrava più comprensivo, dell’onorevole Cappi, come l’onorevole Rubilli ha poi anche riconosciuto.

E questo emendamento tendeva a confermare la parità di trattamento per tutte le confessioni religiose, tenendo però presente che l’Assemblea Costituente aveva già votato nel senso di non costituire un privilegio per la Chiesa cattolica, ma solo un regolamento di fronte alla legge italiana. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione per appello nominale. Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Esegue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Franceschini.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Allegato – Amadei – Amendola – Assennato – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bassano – Bei Adele – Bellusci – Bernini Ferdinando – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bruni – Buffoni Francesco.

Cairo – Calosso – Canevari – Carboni – Carmagnola – Cavallari – Cerretti – Cevolotto – Cianca – Cifaldi – Conti – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Aragona – De Mercurio – De Michelis Paolo – Di Gloria – Di Vittorio – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Fabbri – Faccio – Fantuzzi – Farina Giovanni – Ferrari Giacomo – Filippini – Flecchia – Foa – Fornara – Fusco.

Gallico Spano Nadia – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Giua – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Labriola – Laconi– Landi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Luisetti.

Maffi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Mariani Francesco – Martino Enrico – Massini – Massola – Mattei Teresa – Merighi – Minio – Modigliani – Morandi – Moranino – Morini – Moscatelli – Musolino.

Natoli Lamantea – Nobili Oro – Noce Teresa.

Paris – Pastore Raffaele – Perassi – Pertini Sandro – Piemonte – Pieri Gino – Platone – Preti – Priolo.

Ravagnan – Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rodi – Romita – Rossi Paolo – Ruggiero Carlo.

Schiavetti – Scotti Francesco – Secchia – Silipo – Stampacchia.

Taddia – Targetti – Tonello – Tonetti – Tremelloni – Treves.

Vernocchi – Veroni – Villabruna – Vischioni.

Zanardi.

Rispondono no:

Alberti – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Belotti – Bencivenga – Bergamini – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Campilli – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carignani – Caroleo – Carratelli – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chieffi – Ciccolungo – Cicerone – Coccia – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Condorelli – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Falco – De Gasperi – Del Curto – De Michele Luigi – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabriani – Fanfani – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gatta – Germano – Giacchèro – Giannini – Gonella – Gortani – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo.

Jervolino.

Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri.

Malfidi – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Marina Mario – Marinaro – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mazza – Meda Luigi – Miccolis – Micheli – Monticelli – Montini – Moro – Mortati.

Notarianni.

Orlando Camillo.

Pat – Pecorari – Petrilli – Ponti – Proia – Puoti.

Quintieri Adolfo.

Recca – Restagno – Rivera – Roselli.

Salizzoni – Sampietro – Scalfaro – Schiratti – Spataro – Stella – Storchi.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tieri Vincenzo – Togni – Tosato – Tozzi Condivi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Vendita – Viale – Vicentini – Vilardi.

Zerbi – Zotta.

Si sono astenuti:

Bonomi Ivanoe – Bozzi.

Della Seta.

Nitti.

Paratore – Preziosi.

Rubilli – Ruini.

Deputati in congedo:

Abozzi.

Bucci.

Cacciatore – Carpano – Cingolani – Chiostergi – Corsini.

D’Amico Michele.

Fiore – Fuschini.

Gavina.

La Malfa – Li Causi.

Macrelli – Mastino Pietro – Montalbano.

Nenni.

Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pallastrelli – Parri – Penna Ottavia.

Rapelli.

Saccenti – Selvaggi – Simonini – Spallicci.

Tega – Tosi.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale.

Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Comunico il risultato della votazione per appello nominale:

Presenti                         283

Votanti                          275

Astenuti                            8

Maggioranza                  138

Hanno risposto            135

Hanno risposto no          140

(Il secondo comma dell’emendamento non è approvato).

Pongo ora ai voti la formulazione del secondo comma in base all’emendamento presentato dagli onorevoli Cappi e Gronchi:

«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere di fronte alla legge».

In questo emendamento la formulazione stessa fa parte integrante del secondo comma. Pertanto l’articolo risulta formato di due soli commi e non di tre. Votando questo emendamento resta quindi esplicito che tale formulazione dovrà essere poi coordinata col testo già approvato, in maniera che nel suo risultato finale l’articolo 14 resterà formato di due soli commi.

(È approvata).

Passiamo ora alla votazione dell’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Labriola:

«Sono pienamente libere le opinioni e le organizzazioni dirette a dichiarare il pensiero laico od estranee a credenze religiose».

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Premetto che il mio gruppo è perfettamente d’accordo sul contenuto dell’emendamento dell’onorevole Labriola, e noi riteniamo anzi che questo contenuto sia esaurito da una serie di articoli, di cui alcuni sono stati votati ed altri ancora no. Richiamerò a questo riguardo l’articolo 13, nel quale è stato stabilito il diritto di organizzazione senza alcuna limitazione; e così l’articolo 16, nel quale è stabilito il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero e di diffonderlo attraverso la stampa, ecc.; richiamerò anche l’articolo 27, nel quale è stabilito che l’arte e la scienza sono libere come pure libero è il loro insegnamento.

Evidentemente tutto lo spirito della Costituzione che noi stiamo elaborando afferma il principio della libertà assoluta del pensiero e della professione e diffusione delle idee, che attengano a determinate ideologie indipendenti o differenziate da quelle religiose.

Sarebbe indubbiamente cosa di gravità incommensurabile se la democrazia italiana non si trovasse in grado oggi di fare una affermazione solenne di questi principî, perché ciò significherebbe che la democrazia italiana è diventata non soltanto uno Stato confessionale, ma è diventata anche uno Stato orientato ideologicamente. Penso che tutti i deputati e tutto il Paese siano unanimi nel respingere una tesi di questo genere.

Ma la domanda che mi faccio, e che discende da queste premesse, è la seguente: riteniamo noi che sia necessaria una nuova affermazione di questo genere?

Se guardiamo al contenuto di questi articoli che ho testé elencato, dobbiamo forse ritenere che il loro contenuto esaurisca l’argomento, rispondendo completamente a tutte le esigenze e che probabilmente sia superflua un’aggiunta di questo genere. Comunque, la questione che appare a noi sostanziale è che questa affermazione non è al suo luogo.

Qui, in questo articolo trasformato, come è stato trasformato con l’aggiunta di una parte dell’articolo 5, si regolano i rapporti fra lo Stato e determinate confessioni religiose. Ed è inutile che io chiarisca che, quando si parla di confessioni, si parla di riti, di culti, e di determinate forme di organizzazione, che sono completamente diverse da quelle alle quali si riferisce l’emendamento dell’onorevole Labriola, organizzazioni che hanno come scopo la diffusione di concezioni laiche, o il progresso della cultura in generale, sia pure orientata in un determinato senso laico e non religioso.

Questa è la riserva fondamentale che noi facciamo.

Se dovessimo entrare nel merito dell’articolo, noi chiederemmo all’onorevole Labriola di recedere dalla sua richiesta, in questo momento, e di preparare, invece, la formula di un altro articolo – se lo ritiene – che abbia però un contenuto più vasto di questo emendamento e che riassuma tutti i principî che sono sparsi nel testo della Costituzione in una solenne affermazione, con cui la democrazia italiana riconosca la libertà di pensiero e la libertà di diffusione del pensiero laico senza limite alcuno, indipendentemente da quanto è detto per le confessioni religiose.

Noi chiederemmo questo all’onorevole Labriola.

LABRIOLA. Allora, fatelo voi.

LACONI. Dato che l’onorevole Labriola, ha già risposto, col proporre a me o al nostro Gruppo di presentare un articolo di questo genere, se questo è il suo pensiero, la nostra posizione può essere precisata in questo modo: se l’onorevole Labriola ritiene di rinunciare al suo emendamento, noi proporremo in altro momento – in quanto non è possibile materialmente farlo adesso – un articolo che riassuma l’esigenza manifestata dall’onorevole Labriola in una formulazione che ci paia più comprensiva.

CALOSSO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALOSSO. A proposito di questo emendamento, il meglio per tutti sarebbe che fosse proposto dai democristiani. (Commenti). Questo non è uno scherzo: è la realtà di tutta questa discussione da cui non sappiamo uscire, data l’antitesi tra clericali ed anticlericali.

Voi sareste più adatti di tutti ad afferrare il momento che sfugge e fare questa pacificazione religiosa che è nel pensiero delle sinistre. In quanto poi alla propaganda del libero pensiero – questa è una parola generica, qualche volta banale – sarebbe più chiaro parlare dell’ateismo. Penso che anche in questo voi che vi chiamate cristiani, potreste essere i più interessati, perché il cristianesimo, durante tutto il primo secolo fu confuso con l’ateismo, mai con l’idolatria, mai col pio paganesimo. (Rumori – Commenti al centro).

Tutto il primo secolo della storia della Chiesa cristiana rileva questo; e perché? Eravate confusi con gli atei e con gli epicurei, mai con gli stoici o con i pii pagani. Ed era ben naturale. Il cristianesimo è una rivoluzione, è nel futuro – non è quasi ancora cominciato, a meno che voi non crediate che sia finita – e, quindi, tutto ciò che incomincia è facilmente scambiato per ateismo; quindi, a voi converrebbe di aprire la libertà in questo senso e trovare una formula per il libero pensiero. Si potrà, forse, limitare la formula; per esempio, credo che sarete tutti d’accordo, se si può trovare una certa limitazione a quell’ateismo e a quell’idolatria, che qualche volta sono le manifestazioni follaiole intorno a San Gennaro (questo lo potrete anche proporre, e lo accetterei), quando insultano il Santo e lo chiamano «faccia gialluta e porco» (Si ride – Commenti).

Ora, io vorrei votare questo emendamento proposto dai democratici cristiani e, se l’onorevole Laconi si accordasse e lasciasse ai democratici cristiani la formulazione dell’emendamento, io ne sarei lieto, e questa sarebbe una bella manifestazione, specialmente per voi (Accenna al centro) di fronte al Paese. Sarebbe, effettivamente, un inizio di quella pacificazione religiosa che voi avete avuto al balzo e che non avete saputo cogliere, come tante altre volte, come nell’altro dopo-guerra di cent’anni fa, quando un’ondata di cattolicesimo attraversò la Europa. Allora, avevate dei veri cattolici, come il Manzoni, ma disgraziatamente ci furono altri cattolici, che erano la maggioranza (Interruzioni dell’onorevole Micheli). È il quinto vangelo italiano, credo che lo avrà letto. Invece, prevalse quell’altra corrente che per cent’anni si è opposta criminosamente all’unità d’Italia, finché nel 1929 Mussolini fece quest’accordo, cosa inelegante, cosa anticristiana. Sarebbe stato meglio che avesse prevalso nei cattolici questo filone. (Interruzione al centro).

Mi auguro che ci sia un democratico cristiano, democratico e soprattutto cristiano – perché questa è la critica che facciamo ai democratici cristiani, ed è una critica molto leale, che cioè non sono abbastanza cristiani (Si ride) – che si metta sul terreno di un altro partito. Io non mi professo maestro di cristianesimo, ma, mi pare molto organico per un partito di mettersi gentilmente sul terreno di un altro. Noi siamo pronti a metterci su un terreno di cattolicesimo manzoniano, ma, ogni volta che abbiamo provato, abbiamo visto delle reazioni.

Non è il caso di tirarla alla lunga; mi auguro che ciò avvenga.

LABRIOLA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LABRIOLA. Constato che sono tutti d’accordo sul mio emendamento. L’onorevole Laconi ha dichiarato che nella sostanza e persino nella forma, consente con me, salvo che egli avrebbe voluto che questo emendamento fosse proposto in altra sede.

Dell’onorevole Calosso non ho compreso le conclusioni, cioè se vota o no a favore di esso. Lo voterebbe se proposto dai democratici cristiani. Ma, intende votarlo adesso, proposto da me?

CALOSSO. Lo voto, disgraziatamente, in questo caso.

LABRIOLA. Sarebbe odioso, da parte dei comunisti, veder affacciare una tesi cristiana e cattolica, anzi del cattolicesimo deteriore cioè quella espressa con la formula in odium auctoris. Se non ho mal compreso quello che il collega Laconi ha detto poco fa, egli è d’accordo con il mio emendamento, ma vorrebbe che fosse proposto da altra persona. Ignoro se vi siano motivi personali che lo inducano a ciò.

LACONI. In altra parte della Costituzione.

LABRIOLA. In ogni modo, dato l’emendamento, date le opinioni che ho esposto dianzi, dichiarate pure se vi conviene dir no.

Mi duole che voi abbiate votato i Patti lateranensi, ma non vorrete affermare che quelli non vi obbligano a rifiutare la libertà di espressione della loro opinione ai liberi pensatori. Che questa sia la sede per la discussione e soprattutto per la votazione del mio emendamento è cosa evidente. Qui si parla di tutti i culti, ed il libero pensiero potrebbe anche prendere le forme di una Chiesa, ciò che è in certi paesi. Per me, ripeto, non vi è dubbio che il posto del mio emendamento aggiuntivo sia proprio questo. Debbo perciò insistere nella votazione di esso; se rimarremo in pochi, sarà questa la prova che rancori personali, risentimenti, motivi inferiori della medesima natura avranno impedito la prevalenza di un principio riconosciuto da tutte le opinioni democratiche. Io domando per i liberi pensatori lo stesso rispetto che abbiamo dichiarato per tutte le confessioni religiose. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Metto in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Labriola.

(Non è approvato).

Resta così approvato l’articolo 14 nella seguente formulazione, salvo il necessario coordinamento:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in pubblico o in privato atti di culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere di fronte alla legge.

«Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le rispettive rappresentanze».

Il seguito della discussione è rinviato alla prossima seduta.

Annunzio di una mozione.

PRESIDENTE. È stata presentata alla Presidenza la seguente mozione:

«L’Assemblea Costituente, riferendosi anche alle interpellanze di molti Deputati, rimaste finora inascoltate, invita il Governo ad adottare per i pensionati le stesse provvidenze che si attendono in questi giorni per i dipendenti dello Stato, perequando innanzi tutto le antiche pensioni alle nuove, specie nell’assegno base per corrispondenti categorie e gradi.

«Incombe sui rappresentanti del popolo italiano il dovere di far cessare la dura ingiustizia, imposta ai più deboli e fedeli servitori della Nazione, condannati alla fame contro ogni senso di elementare umanità.

«Se altri mezzi non sono disponibili, dovranno chiamarsi a contribuzione straordinaria tutti i cittadini della Repubblica, solidali di fronte al commovente spettacolo di vecchi lavoratori, che languono in silenzio nella miseria.

«Caroleo, Carratelli, Del Curto, Quintieri Adolfo, Lucifero, Colonna, Preziosi, Colitto, Mariani Enrico, Fornara, Silipo, Condorelli, Bellusci, Priolo, Carboni, Ghidetti, Natoli, Musolino».

Domando al Governo quando intenda fissare la data di svolgimento di questa mozione.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il Governo farà conoscere il suo avviso nella prossima seduta.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato risposte scritte a interrogazioni presentate dagli onorevoli Deputati, in seguito ad una sollecitazione che nei giorni scorsi ho loro inviato.

Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta di oggi.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Ritengo opportuno che lunedì 14 abbia luogo una seduta antimeridiana.

Voci. No! No!

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Vorrei dire che noi siamo obbligati a due sedute quotidiane; il che significa che il funzionamento dei vari Gruppi parlamentari è completamente sospeso e reso impossibile. Ora, è evidente che questi Gruppi devono avere la possibilità di riunirsi per stabilire l’azione che devono svolgere. Quindi vorrei pregare che per lunedì si faccia una sola seduta pomeridiana, lasciando liberi i Deputati nella mattinata.

PRESIDENTE. Permetta, onorevole D’Aragona, non per farle un rimprovero, ma uno dei Deputati che si è lamentato alcuni giorni fa del poco lavoro dell’Assemblea, è stato proprio lei.

D’ARAGONA. Anche il lavoro dei Gruppi è un lavoro parlamentare.

PRESIDENTE. C’è anche la giornata di domani in cui i Gruppi possono lavorare.

Desidero far presente, che era nel programma – e non soltanto – mio di finire questa sera il Titolo I della prima parte del progetto di Costituzione. Siamo arrivati a poco più della metà. La prossima settimana, che doveva essere destinata alla discussione del Titolo II, incomincerà a cedere una parte del suo tempo alla conclusione di questo lavoro. Ora, io penso che i Gruppi, che possono funzionare, se lo vogliono, hanno le sere a loro disposizione, sino al momento nel quale non dovremo occupare anche le sere per le discussioni in Assemblea plenaria, il che non escludo che debba avvenire. Pregherei pertanto i colleghi di voler accedere alla mia proposta che si tenga una seduta anche lunedì mattina.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. A me dispiace di dovere insistere, ma credo che, ogni tanto, il dare la possibilità di convocare i Gruppi significhi facilitare i lavori dell’Assemblea. Che cosa si vuole infatti stabilire nelle riunioni dei Gruppi? Si vogliono disciplinare le iscrizioni degli oratori, si vuol limitare quanto più è possibile il loro numero, si vuol disciplinare la presentazione stessa degli emendamenti. Tutto questo serve o non serve ad abbreviare le discussioni dell’Assemblea?

Mi pare, quindi, che sia nell’economia di tempo dei lavori dell’Assemblea la necessità che questi Gruppi possano organizzare tale lavoro.

D’altro canto, ho lamentato che l’Assemblea non abbia lavorato in precedenza; riconosco che adesso l’Assemblea lavora intensamente e mi auguro anzi che essa lavori ancor più intensamente nel futuro; ma bisogna dare ai Gruppi la possibilità di rendere questi lavori efficaci, evitando che essi si risolvano invece in discussioni sforzate.

È per queste ragioni che insisto, perché sia evitato l’inconveniente che i Gruppi non abbiano la possibilità di riunirsi.

TUPINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI. La Commissione è contraria all’accoglimento di questa proposta ed è favorevole alla proposta dell’onorevole Presidente. Noi sentiamo che il lavoro nostro è molto intenso, ma sentiamo anche che è doveroso far questo lavoro, che è arretrato nei confronti di quello che sta ancora davanti a noi. Ciò anche perché c’è un impegno dinanzi al Paese, in virtù del quale noi dobbiamo dare questa parola d’onore che il 24 giugno i nostri lavori siano ultimati. (Commenti – Approvazioni).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Riconoscendo la fondatezza delle osservazioni dell’onorevole D’Aragona, potremmo chiedere all’onorevole Presidente, quando si prospettino delle questioni che impongono una riunione dei Gruppi, che, in linea eccezionale, qualche volta di mattina non si tenga seduta.

Nel caso concreto però non mi pare che, per la settimana prossima, vi sia questa necessità. Cerchiamo, quindi, di guadagnar tempo e teniamo la seduta antimeridiana di lunedì. Se si dovesse presentare una necessità concreta, domanderemo all’onorevole Presidente di saltare una seduta antimeridiana, con l’impegno di sostituirla con una seduta notturna.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole D’Aragona di tenere nella giornata di lunedì soltanto seduta pomeridiana.

(Non è approvata).

Resta dunque stabilito che lunedì 14 vi sarà seduta alle 10 e alle 16.

La seduta termina alle 20.5.

Ordine del giorno per le sedute di lunedì 14.

Alle ore 10:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI SABATO 12 APRILE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXXV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 12 APRILE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

 

Commemorazione di Roberto Bracco:

La Rocca                                                                                                          

Targetti                                                                                                           

Colitto                                                                                                             

Crispo                                                                                                               

Cappi                                                                                                                 

Cianca                                                                                                              

Chiostergi                                                                                                        

Bergamini                                                                                                         

Binni                                                                                                                 

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Merlin, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia                                      

Bertini                                                                                                              

targetti                                                                                                           

Scalfaro                                                                                                          

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Farini                                                                                                                

Grilli                                                                                                                

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Binni                                                                                                                 

La Rocca                                                                                                          

Nobili Tito Oro                                                                                                

Lucifero                                                                                                           

Nobile                                                                                                               

Laconi                                                                                                              

Cianca                                                                                                              

La seduta comincia alle 10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Commemorazione di Roberto Bracco.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Onorevole signor Presidente, onorevoli colleghi, vi prego di scusarmi se rubo qualche minuto ai lavori dell’Assemblea.

Ma sento di obbedire a un dovere, di adempiere a un voto.

Nei giorni scorsi, Napoli ha iniziato le onoranze ad un suo grande figlio, che, nell’arena dell’arte, stampò una inconfondibile orma; che patì ed arse per condurre più innanzi l’ala della poesia e della verità; che, negli anni bui, vecchio e indomito, visse come in esilio nella sua patria, straniero nella sua terra stessa, nutrendosi del suo patimento, di ogni sorta di vituperî facendo concime ai suoi fiori: e, in disparte, con la sua compagna, nella miseria, nelle rinunzie, aspettò l’alba della libertà, e con la sua opera l’affrettò, l’eccitò col suo grido; e, per avversità della sorte, non vide quest’alba levarsi, trasvolare, nella sua veste vermiglia sulle rovine e sulla bellezza d’Italia: morì, poco prima che il fascismo crollasse, nell’aprile del 1943, in una casa a Sorrento, tra quelle vigne ambrosie e quei giardini d’aranci, che già avevano profumata la sua giovinezza errante.

Parlo di Roberto Bracco.

Fu un artista geniale, un italiano schietto, un soldato dal cuore saldo al servizio della causa del nostro paese.

Certa critica, che presume di troneggiare su ogni argomento e sputa su tutto – che, intanto, dall’inizio del secolo, ha mancato al suo compito, perché non è riuscita a dar luce a un’opera d’arte – certa critica, tra zoppa e sbilenca, ha tentato di diminuire l’artista, spacciandolo per un napoletano che voleva atteggiarsi a nordico (la scimmia di Ibsen), o addirittura a russo.

Ma la censoria asinità di critici alla Castelvetro passa; e le Smorfie gaie e le Smorfie tristi, le Ombre cinesi e gli Specchi restano.

Resta, cioè, quella novellistica bracchiana, che non teme il confronto della migliore francese: dal Maupassant al Daudet: mirabile rappresentazione di corpo e d’anima, dove il comico si mescola al tragico e la vena del riso si tramuta in un nodo di pianto e lo stame della vita è dedotto e attorto dalle mani del caso, il vero peccatore, come seppe Edipo, che, dopo aver commesso il più gran male, dopo avere arato e seminato il solco nel quale era nato, redense l’ignoto perverso, entrando volontariamente nel buio.

E in questa novellistica, iridata di spume, nell’intreccio di mille vicende, tra dolorose e liete, un’immagine torna sempre: l’immagine di una Napoli d’altri tempi e ormai fuori moda: della Napoli piena di dimenticanza che, nel grembo di una donna, restringe l’immensità del sogno; della Napoli del «popolo minuto», rapita in una ebrezza che pare la festa del mondo; della Napoli in cui la gioiosità e la malinconia di cento poeti levano in alto gli zampilli di fontane incantate; della stupenda città, protesa sopra un mare di oblio, che converte in fiori i suoi pensieri, per ispargere di profumo il cammino per il quale passa l’amore.

Cercò egli, nell’ultima tappa di una esistenza amara, di accostarsi all’altra città, alla nuova, destinata a mutare il volto del Mezzogiorno: alla Napoli infoscata dalla fuliggine dei carboni, arrossata dal bagliore dei forni, sonante del pulsare asmatico dei motori, di un ansito di ferro, dell’orchestra delle sirene: alla città delle fabbriche e delle officine, – ormai per due terzi distrutta, – e dove lo sposalizio del genio e del braccio trasfigura l’ignoto.

Ma questi tentativi d’arte, ricchi di spunti e di aneliti, si perdettero nel saccheggio dei fascisti barbari, che irruppero nello studio dello scrittore e lo devastarono.

E, di là dagli sberleffi di una minutaglia estetico-critica dalle labbrucole salivose e dal naso che non sa di viola, resta, di Roberto Bracco, il teatro, che se non è prodigio, è quasi sempre turbamento: perché, in un’epoca di cerebrali senza idee, il Bracco tradusse in visioni, che parlano alla sensibilità, problemi che la scienza e la filosofia pongono e non risolvono: fedele all’insegnamento che la tragedia è tragedia appunto per questo; perché non è vincitrice, perché non è eroica, come appare dalla storia spirituale del teatro tragico, dove, guardando alle cime, dai greci allo Shakespeare, dal Racine al Goethe, non s’incontra nessuna creatura, la quale sia veramente vittoriosa.

Se ad esempio, nel Piccolo Santo, il dissidio tra l’anima dei personaggi e le loro manifestazioni costituisce il filo conduttore dello sviluppo drammatico e lo scrittore fa dell’arpa dei suoi sensi un ponte per portare sulla scena le parole del silenzio, nei Pazzi, che debbono considerarsi la continuazione, la sintesi e il culmine logico di altre opere bracchiane d’indole tragica, non solamente si chiede dove nell’uomo finisca la saggezza e la follia cominci e quali siano, su questa terra, i pazzi e quali i savi, ma, in una serie di quadri, è raffigurato il contrasto tra la materia e lo spirito, tra la carne e l’anima; e, alla fine, il sipario cala, lasciando che le interrogazioni e i dubbi continuino a pungere l’umanità in un’eco perpetua.

Drammi composti con un ritmo inimitabile, secondo una libera invenzione e non secondo le ricette convenute: opera uscita da una profonda ansietà e da una vigile angoscia e intesa a trasformare le immagini del mondo visibile in segni luminosi del mondo interiore, del nero gorgo del cuore.

Anche per questo, la tomba di Roberto Bracco non sarà silenziosa.

Ma, da quando il fascismo s’impadronì del potere, egli abbandonò quasi il suo lavoro di artista e volle dimostrarsi, innanzi tutto e soprattutto, il servo di un’idea, un difensore della libertà.

Del resto, già Pindaro aveva troncate le corde e mutilata la cetra, perché sapeva quanto sia più bello combattere e osare.

Giovanni Amendola trasse il Maestro dai giardini dell’arte nel campo della politica militante: dalle polemiche rumorose nei caffè e dalle dispute nelle piazze e nelle strade lo attirò nella battaglia di Montecitorio.

E qui, Roberto Bracco, deputato di Napoli e della Campania nel 1924, mutò il suo seggio in una trincea, per la resistenza all’oppressione e per l’attacco; e si consacrò alla lotta con l’impeto di un giovane di vent’anni.

Abbattuta la tribuna parlamentare, egli fu, in ogni circostanza, una volontà di rivolta, e il vivo anelito umano verso l’armonia sociale, contro il dominio dei predoni; e pagò, con una morte lenta, con un lungo martirio, l’ardore della sua fede; cacciato dalle vetrine dei librai, bandito dai cinematografi e dai teatri, colpito nei suoi pochi beni, con la casa di Santa Teresella degli Spagnoli invasa e spogliata, e dispersi i libri, bruciate le carte, dove vivevano in germe alcune opere nuove; ridotto, povero in canna, a far sottili le spese, con un male che già lo consumava, con mille necessità che lo premevano e lo angustiavano; e tuttavia in piedi, diritto, sul limitare della decrepitezza, il volto leso dagli anni, arato dai crucci, ma aperto e fiero; gli occhi cerchiati di sofferenza, ma la bocca piena di dispregio e d’odio contro la dittatura che ci teneva immersi nella vergogna, contro il regime che diceva di portare in sé lo spirito della vittoria, e non portava se non il fermento della disfatta.

Le sue lettere di quel tempo, ad uomini politici, ad artisti, ad impresari, ad amici, quando saranno pubblicate, daranno la misura del suo coraggio.

Certo, la sua stanza da studio, di via Crispi, di via Tasso, fu, per anni, un centro di riunione delle forze schiettamente democratiche, che si opponevano alla tirannide coronata di stupidezza e intendevano compiere un lavoro di talpa alle basi della nostra schiavitù di allora.

Sentiva egli approssimarsi il battito d’ali di un genio di libertà e di giustizia, chiamato ad improntare di sé la vita della nazione. E pronunciava parole d’avvenire; si tendeva con ansia verso un ordine nuovo.

La sorte non gli ha concesso di vivere questo suo sogno.

È un debito di gratitudine, per tutti gli italiani onesti, onorare Roberto Bracco, il cittadino magnanimo che, dell’amore dell’arte e della libertà fece alla sua vita lampada e rogo; che aggiunse, con la sua opera, una qualche pietra armoniosa all’edificio innalzato dai padri; che, vecchio ed invalido, nei giorni della reazione più cruda, tenne alta, a viso aperto, la bandiera dell’antifascismo; e fu la voce della fede, la riscossa della volontà, il grido che eccita l’aurora; e parve davvero di granito. (Vivi generali applausi).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI: Il nostro Gruppo socialista, con due sole parole, ma con tutto il cuore, si associa alla nobilissima esaltazione che con bella eloquenza ha fatto l’onorevole La Rocca di Roberto Bracco.

Colleghi, al fascismo, al dittatore, anche quando agli occhi di tutti apparve un criminale insanguinato, letterati, artisti, giornalisti, in una vergognosa gara, cercarono di prostrarsi, anzi cercarono di vincersi gli uni gli altri nell’adulazione, negli incensamenti. Una grande mortificazione per tutti noi! E a tutti noi, antifascisti, antifascisti ante l’8 settembre, ci fu di grande conforto sapere che non eravamo restati addirittura abbandonati dagli uomini del pensiero e dell’arte. E quando da qualche manifestazione ci veniva la consapevolezza che qualcuno di questi uomini a noi cari per l’altezza del loro pensiero era rimasto al nostro fianco, ci veniva, colleghi, un conforto che è difficile descrivere quanto e quale fosse. Per questo conforto, del quale manterremo sempre gratitudine, per l’onore che questi uomini, come Roberto Bracco, resero all’arte, per avere, nei limiti della loro possibilità, redento la letteratura e l’arte dalla vergogna cui tanti altri l’avevano condannata, vada il nostro pensiero costante e reverente. (Applausi).

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Io mi associo, a nome del Gruppo al quale appartengo, con fervido cuore, alla magnifica celebrazione che l’onorevole La Rocca ha fatto di Roberto Bracco. Egli, con la sua parola alata, ci ha fatto d’un subito attingere le vette dello spirito e ci ha fatto protendere l’animo verso l’orizzonte luminoso di quella che è l’arte italiana, la quale non ha mai conosciuto e non conoscerà se non l’ansia e la sete, sete inesausta, del superamento. Ciò significa che l’Italia è una Nazione che ha ancora qualche cosa da dire al mondo. E la dirà. (Applausi).

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Il gruppo liberale si associa alla rievocazione della nobilissima figura di Roberto Bracco. Egli non fu soltanto un grande artista; fu, soprattutto, l’apostolo di una fede che visse nel suo cuore e nell’opera sua. A quella fede noi oggi sentiamo il dovere di dare il tributo del nostro ricordo e del nostro sentimento. (Approvazioni).

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Il Gruppo democristiano, con parola forse più fredda, ma con non minore intensità di sentimento, si associa alla commemorazione di Roberto Bracco, la cui memoria è a noi cara non solo per l’indomito amore suo per la libertà, ma per la nobiltà, e la spiritualità che ispirarono la sua arte. (Applausi).

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Mi associo, anche a nome del mio gruppo, alla rievocazione che è stata fatta di Roberto Bracco. Io ricordo in Roberto Bracco il combattente attivo per la causa della libertà. Da questi banchi, accanto a Giovanni Amendola, egli si levò fermamente contro la dittatura e, quando la rivendicazione dei diritti integrali del Parlamento fu resa vana, egli, insieme con Giovanni Amendola, continuò la sua battaglia dalla trincea del Mondo.

Sono stati ricordati i meriti artistici di Roberto Bracco. Io voglio esaltare soprattutto l’esempio di coerenza, di dignità, di fermezza, di coraggio morale che egli ha lasciato a tutti gli italiani.

Io penso che l’Assemblea dell’Italia libera e repubblicana, onorando Roberto Bracco, onori se stessa. (Applausi).

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. A nome del Gruppo repubblicano, mi associo a questa commovente manifestazione in onore di Roberto Bracco. Tre anni fa ho avuto occasione di commemorarlo all’estero, davanti a miei allievi di altra nazionalità: e Roberto Bracco ha potuto servire ancora una volta a difendere il buon nome d’Italia là dove, purtroppo, esso era soprattutto rappresentato da coloro che l’Italia non rappresentavano, ma soltanto il fascismo.

È dunque doveroso da parte mia associarmi a questa grande manifestazione di ammirazione verso l’artista e soprattutto verso l’uomo di carattere, che è stato un esempio per noi ed è stato di grande utilità per la difesa del carattere italiano all’estero. (Applausi).

BERGAMINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERGAMINI. Rivolgo anch’io una parola di compianto alla memoria di Roberto Bracco, col quale ebbi una lunga consuetudine di affetto ed anche di lavoro giornalistico.

Per molti anni ho creduto che egli fosse esclusivamente dato al suo amore dell’arte, ai cimenti letterari e del teatro, nei quali rifulgeva il suo nobile ingegno, la sua ispirazione, la sua virtù creatrice d’opere acclamate in Italia e all’estero. Quella era la sua grande passione, tutta la sua vita che sembrava lontana, avulsa dalle preoccupazioni e dalle battaglie politiche. Ma quando egli vide la libertà italiana soffocata, quando vide la nostra civiltà offesa, si svegliò a un tratto in lui il senso politico e fu veemente, tenace e attivo. Allora io l’ho più amato ed ammirato, perché ho visto che era alta in Roberto Bracco la coscienza politica; non meno della coscienza artistica, erano in lui alti e robusti e fiammanti gli ideali supremi d’un popolo civile, e saldo il carattere e forte la fibra di combattente: onde si può ben dire che egli ha onorato, come l’arte, la politica italiana. (Applausi).

BINNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BINNI. Desidero associarmi, a nome del Gruppo parlamentare del Partito socialista dei lavoratori italiani a questa commemorazione di Roberto Bracco e desidero che in questo caso la mia parola suoni anche come omaggio di quei letterati e critici che si trovano in questa Assemblea.

L’arte di Roberto Bracco è un’arte che ha ancora la sua durata, la sua limitata ma importante durata, e ripeto, in questo caso mi piace che da uomini di cultura e del mestiere si renda omaggio ad una continuità e ad una fedeltà all’arte, quale si mostrò nei romanzi e nel teatro di colui che oggi l’Assemblea commemora. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi. La rievocazione di Roberto Bracco era un dovere di questa Assemblea di liberi rappresentanti del popolo italiano. Roberto Bracco sarà perennemente ricordato all’arte nella Italia e nel mondo. Qui bene è stata rievocata la sua figura di uomo, che ha affrontato il dispotismo, di uomo di carattere e di fede, che ha voluto dedicare la sua vita, anche negli ultimi anni, alla lotta contro il dispotismo, che aveva offuscato le più belle tradizioni della vita italiana.

L’Assemblea ha onorato se stessa ricordando Roberto Bracco, ed io sono sicuro di interpretare il pensiero di voi tutti mandando alla famiglia l’espressione del più vivo ricordo e della più viva ammirazione di tutti gli italiani. (Vivi generali applausi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni.

La prima è quella dell’onorevole Bertini, al Governo, «per sapere se abbia nulla da dire o da fare per il disservizio giudiziario rassegnatamente cronico e portato ora alla esasperazione dall’agitazione di giusta protesta dei magistrati e degli avvocati; e se, in attesa di esaminare innanzi alla Costituente i nuovi ordinamenti su questo argomento, non creda di dare una precisa assicurazione circa il trattamento proporzionato da fare ai magistrati e circa la pienezza dei mezzi atti a porre l’amministrazione giudiziaria nella dignità ed efficienza proprie di uno Stato libero, consapevole del dovere di rendere a tutti giustizia».

Poiché anche altre due interrogazioni dell’onorevole Targetti e dell’onorevole Scalfaro al Ministro di grazia e giustizia sono relative ad argomenti identici, esse possono venire raggruppate e svolte contemporaneamente.

Do lettura dell’interrogazione dell’onorevole Targetti, al Ministro di grazia e giustizia, «perché voglia informare l’Assemblea del punto a cui si trova l’agitazione dei magistrati che rende ancora più grave e dannoso per la collettività, nelle più importanti città d’Italia, il disservizio giudiziario, e di ciò che il Governo si propone di fare per risolvere tale grave questione, in modo da assicurare al Paese una giustizia sollecita, illuminata e serena».

Do lettura dell’interrogazione dell’onorevole Scalfaro, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere se non ritenga di intervenire con massima urgenza ad eliminare la penosa situazione dei magistrati: 1°) integrando gli stipendi, perché siano adeguati alle necessità della vita ed alla dignità della loro funzione; 2°) risolvendo rapidamente la posizione di coloro che, promossi durante la repubblica fascista per normale scrutinio o per concorso e comunque non per ragioni politiche di alcun genere, sono stati retrocessi al grado precedentemente ricoperto e ciò con grave scapito, tra l’altro, del prestigio del magistrato così colpito.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

MERLIN, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. Per rispondere agli onorevoli interroganti potrei rimettermi a quanto ho già avuto l’onore di dichiarare alla Assemblea il 29 marzo 1947. Però, confermando quelle dichiarazioni, credo opportuno completarle e, se necessario, chiarirle.

Ripeto pertanto che il Governo è a conoscenza perfetta delle ragioni che hanno spinto una parte dei magistrati, in alcuni distretti giudiziari, al gravissimo atto della parziale astensione del lavoro.

Conoscere non vuol dire certo né approvare né giustificare.

La Magistratura si lagna per non aver ottenuto, nella nuova carta statutaria, quella posizione di pieno autogoverno cui essa aspira; d’altra parte la Magistratura realmente soffre (il Governo per primo lo ha riconosciuto) del disagio economico che lo slittamento della moneta ha provocato.

Sul primo punto il Governo non c’entra, il problema è di competenza dell’Assemblea Costituente, davanti la quale non è stato presentato lo statuto, ma un progetto di Costituzione.

Tra non molto verranno in discussione gli articoli da 94 a 105 sull’ordine giudiziario e sulle norme della giurisdizione. Il punto più grave, che è quello della composizione del Consiglio Superiore della Magistratura, è regolato dall’articolo 97. Il Governo non può né esprimere pareri, né anticipare giudizi, e tanto più che per lo statuto ciascun membro del Governo vota soltanto secondo la sua coscienza.

Perciò i magistrati, su questo punto, dovrebbero rimettersi senz’altro alle decisioni della Costituente con piena fiducia, comunque con senso di disciplina, perché la Costituente, eletta liberamente, dal popolo, ha tutti i poteri per dare agli italiani il nuovo statuto e tutti i cittadini sono tenuti in anticipo a rispettare le deliberazioni che saranno prese.

Ad ogni modo il Governo ama ricordare ai magistrati che la legge più ampia che sia stata data alla Magistratura per assicurarne le più sicure guarentigie di inamovibilità e di indipendenza, con elezione democratica per i Consigli giudiziari presso ogni Corte di appello e del Consiglio Superiore in Roma, porta le firme di De Gasperi, Togliatti e Corbino ed ha la data del 31 maggio 1946, n. 511.

Questo dovrebbe già essere un elemento di tranquillità per una fiduciosa attesa.

Sul secondo punto, che è indubbiamente il più grave, il Governo ha già dichiarato che è convinto che condizioni di grave disagio economico esistano, e che era doveroso provvedere nei limiti del possibile.

Evita di proposito di definire la qualifica giuridica esatta da darsi ai magistrati.

Questo sarà compito dell’Assemblea.

Ma il Governo ha già dichiarato che nel quadro, generale delle strettezze in cui vive tutta la classe impiegatizia, la situazione dei magistrati, per ragioni evidenti, presenta una maggiore importanza ed esige particolari provvidenze.

È per questo che il Governo ha già dato prova della sua buona volontà e qualche cosa ha già fatto in favore dei magistrati.

Il mio Ministero, dopo opportuna deliberazione del Consiglio dei Ministri, ha presentato alla Commissione competente dell’Assemblea uno schema di decreto legislativo, che contiene notevoli provvidenze economiche per il personale dell’ordine giudiziario.

Vengono prima di tutto aumentate le indennità di toga; questa indennità era diventata irrisoria perché partiva da un minimo di lire 247 mensili per gli uditori, ed arrivava ad un massimo di lire 2.473 per il primo Presidente della Corte Suprema.

La nuova tabella partirà da un minimo di lire 3.437 per i gradi 10 e 11 ed arriverà a lire 6.875 per il grado 1°.

Questi aumenti costeranno al bilancio dello Stato una spesa di circa 300 milioni.

Un secondo beneficio è compreso nello schema di decreto sopraricordato e riguarda i compensi per lavoro straordinario.

In ordine a tali compensi le norme vigenti prevedono in linea generale la possibilità di corrisponderli in ragione di un massimo di 60 ore mensili; ma, per quanto riguarda i gradi inferiori al sesto, è stabilito che la spesa complessiva non possa superare l’importo dei compensi che in tale misura spetterebbero ad una metà del personale; vale a dire che, nell’ipotesi in cui si ritenga di corrispondere i compensi a tutto il personale, non è possibile superare il limite di 30 ore mensili per ciascuna unità. Quanto ai gradi superiori al 7° è, invece, prevista la possibilità di corrispondere i compensi in ragione di 60 ore mensili con una speciale liquidazione forfetaria.

Nello schema di decreto presentato, come si disse alla Commissione della Costituente, tali limitazioni vengono abolite, disponendosi che per i magistrati sia consentita la corresponsione dei compensi per un massimo di 60 ore, senza distinzione di gradi.

Da calcoli, per quanto approssimativi, del mio Ministero, questa seconda concessione costerà al Tesoro circa altri 300 milioni.

Non si poteva negare tale beneficio anche al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e si avrà così una maggiore spesa di altri 300 milioni circa.

Ecco perché nelle mie precedenti dichiarazioni avevo potuto affermare che queste provvidenze costeranno al Tesoro circa un miliardo e ciascun magistrato avrà un beneficio medio di circa lire 6.000, cioè annue lire 70.000 circa.

Sono il primo a riconoscere che queste concessioni rappresentano non quello di cui la Magistratura avrebbe bisogno, ma una prova soltanto di buona volontà ed un soccorso urgente.

Anche su questo i magistrati darebbero buon saggio di disciplina e di patriottismo rimettendosi all’Assemblea Costituente ed alla Commissione davanti alla quale il progetto è allo studio.

Osservo comunque, senza con ciò voler fare confronti, sempre odiosi, che in Italia intere classi di umili lavoratori, per saggio consiglio delle loro organizzazioni, capiscono che la politica dell’inflazione sarebbe la peggiore delle politiche ed avvierebbe tutti al disastro ed attendono invece con fiducia l’effetto utile della politica di rivalutazione della lira e di compressione di prezzi che il Governo si è proposta.

Perciò il Governo rivolge ancora una volta un appello ai magistrati di voler desistere dalla loro agitazione, che non giova a nessuno e fa del danno a tutti.

Il nostro Paese, per risollevarsi dalla rovina in cui è stato gettato per colpa del fascismo, ha bisogno di concordia e di disciplina. Questa soltanto sarà la via della nostra salvezza! (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Bertini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BERTINI. Non posso naturalmente dichiararmi sodisfatto delle dichiarazioni del Governo, se non sotto un solo punto di vista, cioè che c’è oggi in realtà la buona volontà del Sottosegretario e del Ministro. A proposito poi del Sottosegretario, gli riconosco il buon volere, anche perché ebbe la benevolenza, in seguito ad un invito da me rivoltogli come Presidente dell’Ordine forense di Bologna, di intervenire ad una riunione di magistrati e di avvocati, nella quale la situazione della classe fu particolarmente esaminata; e ciò ha condotto alle dichiarazioni odierne ed all’appello che il Governo fa, per la cessazione dello sciopero, diciamo così, dei magistrati.

Peraltro, il guaio è sempre lo stesso; perché non si deve dimenticare che la irritazione gravissima, da cui oggi è dominata la classe dei magistrati, ha il suo addentellato in una serie di dimenticanze sistematiche, secondo l’andazzo di tutti i passati Governi.

Si potrebbe dire – se l’argomento potrà piacere – che, se non tutti i Ministri della giustizia, almeno il 50 per cento di loro, dacché l’Italia è stata costituita, ha avuto la premura di fare dei progetti per l’ordinamento e per il trattamento di quella classe; ma, peraltro, questi progetti hanno rappresentato una specie di fidanzamento colla povertà e quasi si potrebbero raffigurare col famoso dipinto giottesco in Assisi: S. Francesco che dà l’anello alla povertà, per sposarla. I Ministri della giustizia del Regno d’Italia non hanno fatto, per mostrare questo fidanzamento amoroso, se non depositare negli archivi polverosi del Ministero i progetti di riforma.

Ma veniamo a guardare in faccia la situazione.

Si parla di slittamento della lira, ed è giusto. Ma – intendiamoci – quando i magistrati – e non da oggi – hanno sollevato la loro voce, ce n’è voluto perché, finalmente, si arrivasse a quelle indennità, le quali rappresentano una promessa, e lo riconosce anche l’onorevole Sottosegretario di Stato, onestamente; ma se questa promessa si aggiunge alle centinaia di promesse continuate fatte in passato, allora la classe dei magistrati si viene a trovare in tale stato di malcontento, da non potere essere sodisfatta con uno sbocconcellamento di poche migliaia di lire.

Io – lo sa l’onorevole Sottosegretario – pur solidarizzando con la classe povera, perché questa astensione venisse fatta, ma contenuta in limiti tali da non recar danno nei casi pietosi o urgenti in cui fosse necessario l’intervento della giustizia, tuttavia, ho mantenuto i contatti con la classe forense e con i vari gradi della magistratura, per trovare la soluzione adeguata alle esigenze attuali del bilancio.

L’onorevole Sottosegretario ha accennato alle nuove riforme, che la Carta costituzionale ha già molto opportunamente introdotte. Ma, se queste riforme danno buon affidamento e buona impostazione al piano organico della magistratura ed ai nuovi rapporti col potere esecutivo, tuttavia, signori, è pur tempo che, correlativamente, si dia alla magistratura qualcosa che risponda ad una dignitosa condizione di vita.

Quindi, se oggi il tema viene soltanto saggiato, affinché in sede di Carta costituzionale il problema sia risolto, deve essere esaminato, nello stesso tempo, almeno un piano organico, un piano che, anche come programma minimo, rappresenti da parte del Governo una veduta d’insieme sulla sorte dei magistrati.

E c’è di più: bisogna anche considerare che l’amministrazione della giustizia non è un peso per lo Stato. Potrebb’essere un peso, perché la giustizia, rappresentando un servizio fondamentale per la civile convivenza, dovrebbe rappresentare anche da parte dello Stato una adesione a quella spesa che è rappresentata come esigenza di pari grado.

Tuttavia, si sono avuti notevoli inasprimenti delle tasse giudiziarie; ma tutto ciò a che ha servito per i magistrati? Essi non hanno avuto nessun beneficio, mentre i contribuenti ne sono rimasti gravemente colpiti. Ora, fate la proporzione e vi renderete conto che, se voi arrivate in ritardo con le vostre misure, la colpa non è né dei contribuenti né dei magistrati, e si verrebbe anzi ad aumentare quella irritazione di cui lo sciopero è stata una ragione d’essere, ed a cui questa categoria è stata costretta di addivenire.

Sono 44 anni che vivo a contatto con le classi della magistratura e so che ci sono poveri magistrati che non hanno avuto la maniera di scaldarsi, né in casa né durante l’esplicazione del loro mandato nelle aule giudiziarie. Molti magistrati ci hanno detto: noi lavoriamo per la fame e non per l’agiatezza. Voi dovete dunque fare un elogio alla magistratura italiana, che ha sempre cercato di difendere la propria indipendenza; e si tratta di una categoria che vive ancora oggi in mezzo alla miseria profonda, e che tuttavia sa essere onesta, a differenza di molte altre classi della burocrazia, e di corrispondenti gradi dell’amministrazione statale.

Signori miei, io vado al termine accennando anche a servizi dell’amministrazione giudiziaria che sono miserabili: voi avete, per esempio, allargato la giuria ed introdotto parecchie commissioni speciali, nelle quali i magistrati vengono sempre chiamati a dirigerle o a farne parte, e non vi accorgete che manca il personale. Il 50 per cento delle sedi, cui i magistrati dovrebbero essere adibiti, sono prive di personale. Io ricordavo ieri al Ministro e al Sottosegretario di Stato che, dall’aprile dell’anno scorso, è stato indetto un concorso per nuove assunzioni di magistrati. Ebbene, è una cosa che fa piangere e potrebbe far ridere al tempo stesso: quel concorso è rimasto in sospeso, in attesa che la Commissione abbia a finire la revisione degli scritti, scritti che furono presentati nell’aprile dell’anno scorso. Intanto questi giovani aspettano di essere chiamati a dare gli orali; ed accade che i più, o si sviano dall’aspirazione che avevano di entrare nella magistratura, oppure si trovano in condizioni di inferiorità nei riguardi di altri impiegati che sono successivamente entrati nella magistratura. Costoro hanno la facoltà di poter essere domani assunti nella magistratura, e così coloro che cercavano di entrarvi, attraverso un concorso regolare, verranno invece a subire la diminuzione dell’anzianità rispetto a questi altri.

Signori, dunque, è tutta una vita di pianto che noi con dolore vi rappresentiamo. Ed allora io avrei desiderato, illustre amico di cui so la grande bontà e so anche la grande volontà che pone per rendere efficiente la propria opera, amico Sottosegretario, io so che lei parla chiaro e parla bene in tutti i momenti nei quali la sua attività viene data al Ministero di grazia e giustizia; si compenetri, come sempre si compenetra, del pianto di questa gente che è pianto, o signori, pericoloso, perché se questa istituzione della Magistratura non regge alla dignità, all’imparzialità ed all’indipendenza del suo mandato, sono inutili le leggi restrittive a difesa della libertà, sono inutili le sanzioni per mantenere onesta la gente; signori, voi perderete la libertà e perderete la giustizia, degna garanzia di un popolo libero. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TARGETTI. Se della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia, non si è dichiarato sodisfatto l’onorevole Bertini, suo compagno di Partito, sarà un po’ difficile che mi possa dichiarare sodisfatto io.

Una voce al centro. Che c’entra?

PROIA. Lei pure appartiene alla maggioranza!

TARGETTI. È vero che come appartenente al Partito socialista italiano faccio parte della maggioranza, però c’è stato l’articolo 7, che può spiegare… (Rumori Interruzioni). Le interruzioni non si dovrebbero raccogliere, ma a non raccoglierle si fa un atto di poca considerazione per l’interruttore.

PRESIDENTE. È opportuno non raccoglierle.

TARGETTI. Ma allora si dimostra che non si considerano meritevoli di essere prese in considerazione.

Io, comunque, non posso, a maggior ragione del collega Bertini, essere sodisfatto della risposta del Sottosegretario, perché qui non siamo a fare delle esercitazioni di eloquenza, ma a chiedere cose determinate, per raggiungere un determinato scopo.

Io ho chiesto al Governo che cosa intende fare per risolvere questa incresciosa questione dello sciopero dei magistrati ed è questo che sarebbe utile e interessante poter sapere. Lo sciopero dei magistrati è un fatto ormai anche troppo noto. Contro lo sciopero dei magistrati si è protestato, come questione di principio, da varî partiti. L’onorevole De Gasperi, in una a conversazione alla radio – le conversazioni alla radio sono un buon sistema, molto democratico, per comunicare col pubblico, ma non bisogna abusarne, perché delle volte è facile andare incontro a qualche piccolo inconveniente – l’onorevole De Gasperi parlando dello sciopero dei magistrati è stato un po’ forte, un po’ aspro. Si capisce che per i magistrati, dipendenti dallo Stato, sarebbe augurabile che non fossero mai costretti a scioperare, ma è molto più facile, onorevoli colleghi, – e vorrei persuadere i colleghi anche di altre parti dell’Assemblea – è molto più facile essere abbastanza stoici per affermare questo divieto che essere stoici al punto di rispettarlo. I magistrati, si dice (e lo si dice in genere dei funzionari dello Stato, dei ferrovieri, dei postetegrafonici) non devono scioperare; ma, al tempo stesso, si dovrebbe dire che il Governo non deve mettere né i magistrati, né i maestri elementari, né alcuno dei suoi dipendenti nella impossibilità di vivere. È per questa ragione che il nostro Partito, attraverso la sua stampa, a Milano, e a Torino, ha dato la sua piena solidarietà a questa agitazione dei magistrati, riconoscendone tutta la fondatezza. Come tutti sanno, noi socialisti non abbiamo nessun debito di riconoscenza da pagare alla Magistratura italiana, presa nel suo complesso. Del resto, alla Magistratura italiana noi non abbiamo mai chiesto né chiediamo, né chiederemo mai, nessun’adesione alla politica nostra piuttosto che ad altra politica. Abbiamo sempre chiesto, chiediamo e siamo pronti a fare tutto il possibile – nelle forme naturalmente più che legali – per imporre che la Magistratura italiana non amministri una giustizia di classe. Entro questi limiti e in questi termini si può delineare il nostro atteggiamento verso la Magistratura.

Noi non abbiamo potuto negare la nostra solidarietà a questo movimento, per le stesse ragioni accennate dall’amico Bertini. Le condizioni della Magistratura sono veramente pietose. Se voi assistete, onorevoli colleghi, ad una riunione di magistrati, soltanto dalle manifestazioni esterne, dall’abito e, non è una esagerazione dire, perfino dal volto – perché vi sono dei magistrati in condizioni di tale miseria da non aver potuto e non potere neppure alimentarsi a sufficienza – voi comprendete che quella è una specie di esposizione della miseria. La stessa impressione dolorosissima si avrebbe intervenendo ad un’adunanza di maestri elementari.

In una situazione così grave il Governo ha il dovere di fare tutto il possibile perché questo movimento si arresti.

L’onorevole Sottosegretario alla giustizia ha confermato che qualche provvedimento, qualche soccorso di urgenza è stato deliberato a favore dei magistrati. Avrei preferito – come gliene avevo fatto preghiera confidenzialmente – che, alla designazione generica dei provvedimenti presi, avesse sostituito l’indicazione di cifre. Sarà forse che io me ne intendo poco o non so di chi è la colpa, ma quando si sente quello che il Ministero ha concesso ci si fa un’idea; quando si sente che cosa hanno ottenuto quelli a cui la concessione è stata fatta, ci facciamo un’idea del tutto diversa. Noi avremmo voluto sapere praticamente – specialmente per i disgraziati giudici dei gradi inferiori – quale rimedio alle loro necessità è stato oggi offerto dal Governo.

Noi sappiamo purtroppo quale è la reale situazione in cui si trovano i magistrati. È verissimo che anche nel passato, e quando io parlo del passato (assicuro i colleghi che questa non è una esagerazione, ma un mio sentimento profondo), quando parlo del passato del nostro Paese, non vi includo il periodo fascista, perché quello fu un periodo di invasione, di dominazione, di oppressione da parte di connazionali più stranieri e nemici dell’Italia che molti stranieri; anche nel passato, il problema della Magistratura non è stato fra noi mai affrontato. Ma per quale ragione, onorevoli colleghi? Perché per l’Amministrazione della giustizia, come per le scuole, non si è mai voluto spendere neppure lo strettissimo necessario. Si è preferito spendere per la marina e per la guerra, ma la giustizia e l’istruzione pubblica sono state le due cenerentole del bilancio dello Stato italiano.

Questo passato vergognoso rende ancora più grave il presente.

Che cosa fare? Noi chiediamo che il Governo – se oggi, come oggi, si trova nell’impossibilità di concedere ai magistrati qualche altro miglioramento, veramente efficace e notevole – dia loro almeno una fondata speranza, anzi un’assicurazione che, appena possibile, la loro situazione sarà ancora riveduta. Dia assicurazioni capaci di togliere questa nuova causa di disservizio giudiziario rappresentata dallo sciopero dei magistrati. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole. Scalfaro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto. La prego di tener presente che l’argomento è stato già discusso ampiamente.

SCALFARO. Due parole. Sono magistrato, e come tale sono particolarmente parte in causa. Non parlo certo – e non ne ho l’autorità – a nome della magistratura. Ringrazio quegli onorevoli colleghi di qualsiasi parte che in ogni modo si sono voluti interessare, in un momento tanto triste nella vita, della magistratura italiana. Non li ringrazio però qualora abbiano comunque ritenuto lecito l’atteggiamento di sciopero. (Applausi a destra e al centro). Parlo come magistrato, e non ho mutato, per essere entrato in quest’Aula, il mio pensiero: cioè che la magistratura, la quale deve tutelare, deve applicare la legge, la magistratura che ha in mano questa forza di giustizia nella sua attuazione, non può fare sciopero. E soprattutto non può farlo e non deve farlo, come lo ha fatto, in questo momento. Chi d’altra parte è entrato, come gli onorevoli colleghi avvocati sono entrati, in questo periodo di vacanze, in tutti gli uffici giudiziari, ha trovato i magistrati al loro posto; per cui, in ultima analisi, ci si trova di fronte a magistrati che hanno voluto assumere un atteggiamento, traendone tutte le dolorose conseguenze nei commenti e nei riflessi dell’opinione pubblica, senza averne i vantaggi che hanno le altre categorie in questi casi.

Ringrazio il Ministro di grazia e giustizia e il Sottosegretario per la giustizia, ringrazio il Governo, per quello che hanno voluto fare. Però mi si consenta un’osservazione: il centro della questione è l’autonomia della magistratura. Se tale problema – come è giusto – deve essere portato dinanzi a questa Assemblea perché venga risolto dalla Costituzione, è altrettanto vero che non è possibile che i magistrati si trovino continuamente di fronte a questa argomentazione: a parità di grado – se si vuole ancora ripetere la graduazione che si faceva un tempo: grado X, grado IX, grado VI, ecc. – in un’altra Amministrazione gli stipendi sono inferiori. Ma bisogna rifarsi a quella che è la dignità del magistrato, bisogna rifarsi all’altissimo compito del magistrato, bisogna rifarsi a quello che è l’impedimento che scaturisce da una precisa disposizione di legge per il magistrato di avere qualsiasi altra attività, di esercitare qualsiasi altra mansione o funzione.

E allora, per quale ragione già nel progetto di Costituzione si dice che i magistrati si distinguono per funzioni e non per gradi? Per quale ragione si scrive nel progetto di Costituzione – e io spero che questa Assemblea lo voglia varare con grande maggioranza – che il magistrato non deve essere iscritto a partiti politici, per essere al di fuori, al di sopra della vita politica della Nazione, se non perché si vede che il magistrato si trova in condizioni tanto diverse da quelle di tutti i funzionari delle varie amministrazioni? Si definirà la magistratura il terzo potere o meno; questo lo deciderà la Costituzione.

Ma io voglio dire che proprio per queste argomentazioni, per questi dati di fatto, bisogna andare incontro al magistrato, vedendo in esso quella altissima funzione e dignità. Perché invece si è lasciato che si giungesse ad uno sciopero che, lo ripeto ancora una volta, io depreco profondamente? Perché non si è cercato in tutti i modi di impedirlo? Perché non si è cercato di attuare quanto i magistrati chiedevano da tanto tempo?

E concludo: faccia il Governo, faccia l’Assemblea, facciano gli avvocati, che in modo particolare conoscono qual è la situazione speciale dei magistrati, che questa toga, già tanto pesante nella fatica, nella difficoltà per la ricerca del vero e del giusto, non debba maggiormente appesantirsi sotto le continue, terribili preoccupazioni economiche. Fate dunque in modo che l’esodo, che avviene soprattutto fra i giovani, dalla Magistratura, i quali disertano in cerca di altre vie più remunerative, non debba continuare aumentando il disagio della Magistratura, già tanto depauperata di molti suoi elementi migliori.

Bisogna fare in modo che la Magistratura possa riprendere la sua funzione; bisogna che questo appello sia accettato, anche se muove dall’ultimo magistrato d’Italia.

Se infatti io ho parlato è perché sono certo di aver detto parole di verità, se ho alzato un grido, è perché ritengo e fermamente ritengo che sia un grido di giustizia. (Applausi).

PRESIDENTE. Si trasmetterà questo voto al Ministro del tesoro, perché ne prenda conoscenza.

Si dovrebbe ora passare all’interrogazione dell’onorevole Geuna, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro delle finanze e tesoro, «per conoscere quali provvedimenti il Governo intenda prendere a favore dei pensionati che versano nelle più gravi condizioni di stenti e di fame e che, senza agitazioni inconsulte, con alto senso di civismo, attendono legalmente giustizia».

Vorrei però rivolgere all’onorevole Geuna una preghiera: l’onorevole Ministro dell’interno desidererebbe rispondere subito ad una interrogazione urgente presentata ieri dagli onorevoli Farini ed altri sulla serrata degli esercenti dei ristoranti e dei bar. Se pertanto l’onorevole Geuna vorrà consentire, lo svolgimento della sua interrogazione potrà essere rinviato alla prossima seduta.

GEUNA. Acconsento.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Massini, Farini, D’Onofrio, Pertini, Barbareschi, Grieco hanno presentato la seguente interrogazione:

«Al Presidente del Consiglio, perché dica se il Governo, di fronte alla decisione di serrata presa dai conduttori dei pubblici esercizi di Roma, alla minaccia analoga agitata dai commercianti di Torino, alla deliberazione dei proprietari di case di Milano di rifiutare il pagamento delle tasse, tipici esempi di una mentalità avida e incapace di comprendere le necessità del momento, atteggiamenti che nettamente contrastano con quelli delle masse lavoratrici che, sopportando da anni i durissimi pesi della sventura nazionale, danno diuturno spettacolo di rinuncia e di sacrificio, non ritenga di dovere immediatamente disporre le misure più severe consentite dalla legge per punire tanta manifestazione di chiuso egoismo ed ammonire ognuno della sua ferma volontà di svolgere senza esitazione il programma annunciato in materia economica e finanziaria».

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Per quanto riguarda la serrata degli esercenti dei ristoranti e dei bar che ha avuto luogo a Roma ieri, essa potrebbe considerarsi in certo senso esaurita, in quanto la serrata stessa è venuta a cessare. Desidero però precisare l’atteggiamento del Governo in questa materia, anche come riferimento alle notizie pubblicate stamattina dalla stampa, che travisano completamente quella che è stata la decisione del Governo.

Appena informato della proclamata serrata, io ho fatto comunicare ai dirigenti della categoria che la serrata rappresentava nella sostanza un attentato contro la politica del Governo tendente alla limitazione dei consumi e che il Governo non avrebbe tollerato menomamente, per suo conto, questo atteggiamento; e che comunque ero deciso a prendere tutte le misure necessarie per stroncare questa agitazione.

Per mezzo poi del Sottosegretario di Stato per l’interno è stato comunicato che il Governo non poteva restare impassibile di fronte al tentativo di affamamento della popolazione romana e di tutte le persone che hanno l’abitudine di prendere i loro pasti nei ristoranti, e feci diffidare la categoria che se entro mezzogiorno non fosse stata presa una decisione, il Governo avrebbe assicurato, con tutti i mezzi a sua disposizione, la riapertura di tutti i ristoranti, anche procedendo alla nomina di commissari, perché si trattava di assicurare l’alimentazione della cittadinanza di Roma.

La Commissione sottopose alcune osservazioni: erano osservazioni di dettaglio: le giacenze di pasta bianca e di farina bianca che tutti i ristoranti si erano procurate nel passato quando le leggi annonarie non erano applicate. Si trattava di contravvenzioni fatte in periodi di transizione. Dissi che tutta questa materia poteva essere regolata. Ma una cosa doveva essere ferma e chiara, che le disposizioni attuate dal Governo in materia annonaria dovevano essere osservate rigorosamente e perentoriamente, e nessuna disposizione già impartita sarebbe stata né attenuata, né revocata per quanto riguardava l’avvenire. Questa dichiarazione è stata fatta nettamente, e tengo a riaffermarla qui, perché stamane una parte della stampa ha presentato come una specie di capitolazione l’atteggiamento del Governo di fronte alle richieste degli esercenti romani.

Devo dire che non solo non c’è stata una capitolazione del Governo, ma il Governo ha confermato ieri e, comunque, intende confermare nettamente di fronte all’Assemblea e alle categorie interessate, che le leggi votate dal Governo saranno osservate severamente ed i mezzi che abbiamo escogitati, compresa la cointeressenza degli agenti nella osservanza delle leggi, ci danno affidamenti che esse troveranno piena ed assoluta applicazione.

Si tratta di leggi dettate da necessità imperiose; e da disordini in questo campo e di fronte alla miseria di tante categorie s’impone una disciplina nei consumi.

Tutti i cittadini devono sentire, e gli esercenti per primi, che la politica del Governo in materia annonaria è dettata da necessità imperiose ed inderogabili e questa politica va assolutamente perseguita.

Questa assicurazione intendo dare all’Assemblea. Disposizioni sono state rinnovate all’Autorità di pubblica sicurezza perché tutte le infrazioni in materia dolciaria ed in materia annonaria siano severamente punite, così come si era incominciato a fare sin da martedì scorso, e l’Assemblea può essere sicura che il Ministero dell’interno perseguirà inflessibilmente la politica del Governo. (Applausi).

Per quanto riguarda le altre materie che formano oggetto della interrogazione, compreso lo sciopero minacciato dai proprietari di case, il Governo ha allo studio la materia e si propone di attuare, anche legislativamente, le misure necessarie per assicurare l’osservanza della legge anche in questo campo. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FARINI. Noi non possiamo che prendere atto delle dichiarazioni del Ministro dell’interno e dichiararci in parte sodisfatti, per quanto riguarda soprattutto la messa a punto del Governo circa l’interpretazione data dai giornali questa mattina per quanto è avvenuto ieri, messa a punto estremamente necessaria e che dimostra come vi è una certa stampa – una stampa che chiamiamo gialla – la quale utilizza ogni avvenimento che si verifica nel nostro Paese, in questo momento particolarmente grave e difficile, per creare una situazione di disagio e di agitazione e per intervenire come alimento fomentatore di agitazione. Io penso che in questo caso l’onorevole Ministro dell’interno avrebbe dovuto dire quali sono le misure che intende prendere contro questa stampa.

È indispensabile fare il punto della situazione; non si può più consentire che esista una stampa la quale, contro gli interessi fondamentali della nazione, crei difficoltà alla politica del Governo, a quelle misure iniziali che noi approviamo e sosteniamo; che devono tendere appunto a risanare il nostro Paese ed a realizzare il programma economico e finanziario che il Governo si propone.

Uno degli elementi fondamentali è indiscutibilmente quello di compiere un atto di giustizia perché il grave peso di questa situazione sia sopportato da tutta la massa del popolo, da tutti i cittadini italiani, secondo le loro reali possibilità economiche. Ed è deplorevole che una categoria, come quella dei commercianti, i quali hanno realizzato ampi profitti (badate che facciamo distinzione fra il grosso commerciante e il piccolo commerciante, perché sappiamo che alla testa di questa agitazione, della serrata, sono soprattutto quei commercianti che hanno realizzato i maggiori profitti e che si abbandonano facilmente alla speculazione), debbano imporre la loro volontà, e noi diciamo che questi commercianti devono essere severamente colpiti, in quanto è la massa di tutto il popolo italiano che sta soffrendo di questa situazione e che ne sopporta le conseguenze con grande disciplina nazionale.

Il popolo italiano, dall’atteggiamento che terrà il Governo nei riguardi di questa categoria, giudicherà la politica reale che il Governo persegue. E badate che se noi siamo solidali nella politica del Governo, d’altra parte rispondiamo di questo tutti collettivamente di fronte al Paese. Badate che la massa del popolo italiano giudica in questo modo e dipende quindi dal vostro atteggiamento, dal vostro senso di giustizia se questa azione di rigenerazione morale e di miglioramento economico e finanziario del nostro Paese si potrà realizzare.

Quei commercianti hanno dimostrato di seguire solamente gli interessi del proprio portafoglio.

Ora noi diciamo che non possiamo considerare chiuso l’incidente solamente perché la serrata è cessata. Sappiamo che un’analoga minaccia esiste al nord, sappiamo qual è la posizione che stanno prendendo i proprietari di case a Milano. Ebbene, noi diciamo che il Governo deve darci maggiore affidamento e dirci, nel caso in cui si verifichi un’altra volta la serrata contro gli interessi nazionali, che affamerebbe il popolo, quale sarà la sua azione. Passeremo al ritiro delle licenze, alla confisca dei negozi? Passeremo a trasformare questi negozi in spacci e a darne la direzione al personale? Ecco quello che vogliamo sapere dal Governo. E vogliamo anche sapere dal Governo che ha iniziato quest’opera di disciplinamento, quali mezzi adopererà, vale a dire quali misure opporrà contro coloro che si disinteressano delle sorti del Paese. (Applausi).

PRESIDENTE. Vi è un’altra interrogazione presentata ieri con richiesta di urgenza, ed alla quale l’onorevole Ministro dell’interno intende rispondere:

«Al Ministro dell’interno, sulle violenze commesse il 7 aprile in Guastalla contro il deputato Alberto Simonini per impedirgli di pronunciare un discorso politico.

«Grilli, Badini Confalonieri, Bonomi Ivanoe, Cifaldi, Tremelloni, Chiaramello, Calosso, Ghidini, Canevari, De Caro Raffaele, Ruggiero, D’Aragona, Cairo, Rossi Paolo, Di Gloria, Veroni».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, a seguito delle violenze perpetrate contro rappresentanti di questa Assemblea, sono state impartite particolari disposizioni ai prefetti perché la libertà di parola, che deve essere garantita a tutti i cittadini, venga tutelata in modo particolare nei confronti dei rappresentanti dell’Assemblea Costituente.

Ma nello stesso tempo ho ricordato ai partiti e ai cittadini che vi sono leggi che vanno osservate, e le leggi prescrivono che non si può tenere un pubblico comizio senza darne preavviso all’Autorità di pubblica sicurezza, in modo che questa abbia la possibilità di predisporre le misure atte ad assicurare la libertà di parola nel caso che violazioni venissero tentate.

Nel caso dell’onorevole Simonini mi dispiace di dover dichiarare che egli non si è attenuto alle norme di legge. Il suo comizio è stato improvvisato e nessuna comunicazione ne è stata data all’autorità di pubblica sicurezza. Sicché non si sono potute prendere tempestivamente le misure necessarie a garantire per ogni evenienza la libertà di parola all’onorevole Simonini. Egli, anzi, si è reso responsabile dell’infrazione di una precisa disposizione di legge, e qualche autorità ha chiesto di procedere contro di lui per violazione della legge. (Commenti animati).

Devo aggiungere che le autorità locali, nelle particolari condizioni in cui si è realizzata la manifestazione, hanno fatto tutto quello che potevano. E, se non è toccato di peggio all’onorevole Simonini, qualche merito ne ha la polizia. Non bisogna, del resto, dimenticare che le forze di polizia sono modeste; noi non possiamo tenere degli interi battaglioni di agenti nelle varie località, ma soltanto pochi agenti; e si è dovuto anche allo sforzo fatto dagli agenti di pubblica sicurezza esistenti nel luogo, e ai carabinieri, se l’onorevole Simonini non ha avuto di peggio.

Per quanto riguarda la repressione dell’attentato, sette dei responsabili sono stati individuati e denunciati all’autorità giudiziaria. Essi saranno perseguiti nei modi di legge.

PRESIDENTE. L’onorevole Grilli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GRILLI. Non sarei sincero, se dicessi di aver presentato questa interrogazione soltanto per conoscere quali sono le comunicazioni ufficiali pervenute al Governo sugli incidenti di Guastalla, che riguardano un nostro valoroso collega; o per conoscere quali misure intenda adottare il Ministro dell’interno per evitare che inconvenienti di questo genere abbiano a ripetersi.

Perché, qualunque potessero essere le assicurazioni che su questo punto mi venissero dal Governo, non potrei mai sentirmi sodisfatto, perché penso che sarebbe umiliante per tutti se domani l’uomo politico che vuole esprimere e divulgare il suo pensiero in una assemblea di cittadini, avesse bisogno di circondarsi di carabinieri e di poliziotti.

Il problema che ci preoccupa non è di polizia: si tratta di ben altro. Si tratta di sapere se il nostro Paese è capace e degno di democrazia, se ha capito cosa è la libertà e se l’articolo 16 del progetto di Costituzione, che approveremo stasera, contenga la proclamazione d’un principio penetrato nella coscienza del popolo italiano, o non piuttosto una platonica affermazione, destinata domani alle beffe di quello strillone fiorentino, di cui ci parlò l’onorevole Calamandrei. Io non mi sento troppo tranquillo su questo punto.

Sono trascorsi 26 anni dal giorno in cui, in quest’Aula, da questo stesso posto, ebbi l’onore di protestare contro le violenze commesse a Bologna, in danno di Enrico Ferri.

Si era allora agli albori del fascismo – la parola «albori» forse non è appropriata, perché le tenebre non hanno albori – si era all’inizio del fascismo; perché il fascismo è cominciato proprio così: colle aggressioni agli uomini, che avevano il culto della libertà.

Si sentiva allora che qualcosa di grave pesava sul nostro Paese. Ed io vi confesso che, talvolta, mi pare ancora di sentire quell’afa del 1921. Ma allora non si sapeva dove si sarebbe andati a finire; oggi si dovrebbe sapere, se gli avvenimenti ci hanno insegnato qualcosa.

Allora, io mi rivolsi al Governo; oggi vorrei rivolgermi ai Partiti politici, a tutti i Partiti politici, che in questa Assemblea hanno i loro rappresentanti migliori. Io non intendo fare il processo ad alcun partito. Non voglio portare qui le risse del Paese. Voglio anch’io condividere le responsabilità, voglio anch’io assumere la mia parte di colpa, affinché ci si possa guardare negli occhi, serenamente, onestamente, tutti compresi della gravità di questo problema e tutti protesi alla ricerca della migliore soluzione.

Quando si trattò delle elezioni amministrative nella scorsa primavera, e poi, delle elezioni politiche del 2 giugno, tutti i partiti si trovarono d’accordo ed accettarono e pronunziarono una parola d’ordine, che dette risultato magnifico: rispetto di tutte le opinioni e di tutte le propagande.

E le elezioni – sotto la sorveglianza del Ministro Romita, il quale scrisse allora una pagina che gli farà sempre onore – si svolsero in un’atmosfera, civilissima e tranquillizzante, di libertà. Chi di noi non fu fiero di quel successo?

E, se si vuole, in questa stessa Assemblea – eccettuati alcuni incidenti determinati dall’affioramento di questioni personali che inacidiscono ed eccitano per loro natura – la discussione del progetto di Costituzione e dei più importanti problemi della nostra politica si è svolta alta e serena, in una forma, che qualunque Parlamento ci potrebbe invidiare.

Ed allora dico: perché non ci mettiamo d’accordo, per ripetere ancora una volta al Paese quella parola d’ordine? Una parola, che bolli e sconfessi tutte le violenze, da qualsiasi parte vengano? Perché non ci mettiamo d’accordo tutti per difendere questo patrimonio comune, che è la libertà, e per imporne il rispetto a tutti quelli che ci seguono senza eccezioni, senza restrizioni mentali, senza paura, affinché le violenze, se dovessero ancora continuare, non abbiano almeno una bandiera, in cui ammantarsi, non abbiano un partito politico dietro il quale pretendere l’impunità, e rimangono soltanto una esplosione di criminalità, per la quale basti il Codice penale?

Onorevoli colleghi, dopo tutto si tratta di una questione di lealtà, dirò di più: di una questione di onestà. Ed io vi pongo, questo dilemma: o tutti noi siamo sinceri, quando si parla e si scrive di democrazia e di libertà – e sono due anni che queste parole brillano su tanta carta e sono pronunciate da tante labbra – ed abbiamo allora il dovere di essere coerenti e di imporne e pretenderne il rispetto da tutti i nostri seguaci, per non far come il famoso padre Zappata, che predicava bene e razzolava male. O invece, Dio non lo voglia, non siamo sinceri, e queste parole democrazia e libertà sono soltanto parole vane che non salgono dalla nostra coscienza, ma escono dalla nostra bocca magari per inganni elettorali; ed allora smettiamo questa gesuitica commedia, leviamoci la maschera e parliamo chiaro, e confessiamo che la formula «o con noi o contro di noi» e quell’altra formula «io soltanto ho sempre ragione», che furono il nucleo centrale della presunzione fascista, non sono rimaste fra i cadaveri di Dongo, ma sono rientrate in Paese, raccolte da qualche sollecito successore. Ma allora, colleghi, dobbiamo rinnegare anche quei ragazzi che sono morti per ridarci la libertà! (Applausi).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo non può che accogliere e far proprio l’appello che l’onorevole interrogante ha rivolto all’Assemblea.

È proprio vero ciò che lo stesso interrogante ha detto: che la libertà politica non può essere garantita dalla polizia. Vana illusione è questa, o signori, di contare esclusivamente sulle forze di polizia. Se una coscienza ed un senso della democrazia non pervade tutti i partiti nella loro azione concreta, se l’azione di tutti i partiti non imporrà ai propri aderenti la disciplina coerente, e conseguente, vorrei dire, è vano parlare di democrazia ed è vano pensare alla libertà.

Io sento che nel Paese vi sono fremiti di agitazione, vi sono manifestazioni continue di intolleranza, che la polizia non sempre è in grado di prevenire, anche se reprime, perché nessun caso di violenza è rimasto ad oggi non denunciato all’Autorità giudiziaria.

Noi sentiamo che, soltanto se il senso di libertà pervaderà tutti gli italiani, potremo veramente assicurare al nostro Paese la libertà politica. E l’appello, che così altamente ha rivolto l’onorevole interrogante all’Assemblea, il Governo lo fa proprio e lo rivolge ai Deputati, ai Partiti e al Paese. In questo momento di turbamento economico, quando il disagio economico, largamente diffuso, è già motivo sufficiente per determinare uno stato di agitazione nel Paese, non aggiungiamo a questi elementi di turbamento politico, altri elementi di carattere politico, che vanno evitati; e non soltanto per l’interesse contingente, ma per affermare di fronte al Paese e di fronte all’estero, che ci guarda, che l’Italia ha finalmente rinunciato al fascismo, concretamente, nelle sue manifestazioni peggiori, che sono le manifestazioni di intolleranza e di violenza settaria, che tendono a togliere la libertà di parola alle altre correnti politiche. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

Presidenza del Presidente TERRACINI

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Iniziamo l’esame dell’articolo 14:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto, purché non si tratti di principî o riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume».

Sono stati presentati numerosi emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Mastino Pietro ed è stato già svolto:

«Sopprimerlo in relazione all’emendamento sostitutivo dell’articolo 9».

Segue l’emendamento dell’onorevole Binni:

«Sostituirlo col seguente:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto.

«Le confessioni religiose sono eguali di fronte alla legge e hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano».

L’onorevole Binni ha facoltà di svolgerlo.

BINNI. Durante la discussione dell’articolo 7, se vi fu una lunga e dura battaglia, tutti però, mi sembra, concordarono nel riconoscimento generale della libertà di religione e della libertà di culto; e, anzi, proprio i colleghi democratici cristiani affermarono la loro volontà di non legare, in alcun modo, l’inserzione dei Patti lateranensi ad una qualsiasi, possibile menomazione o violazione della libertà generale di religione. E proprio l’onorevole De Gasperi accennò esplicitamente alla buona volontà con cui il suo partito sarebbe venuto incontro a tutte le possibili modifiche, in sede legislativa, contro ogni limitazione o violazione possibile di questa libertà.

Ora io penso che qui, in sede di Costituzione, sarebbe il caso di attuare questa buona volontà generale e di attuarla soprattutto e anzitutto col togliere dalla nostra Costituzione quelle limitazioni che, secondo me, sono o inutilmente offensive o realmente dannose: e accenno all’ultima parte del primo comma dell’articolo 14, là dove si parla di «atti di culto, purché non si tratti di principî o riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume».

È vero che l’onorevole Mortati, nel suo intervento nella discussione generale, fece rilevare che in effetto queste limitazioni sarebbero pur sempre rimaste valide nei decreti, nella legge comune e nei provvedimenti di polizia. Ma questo non mi pare un buon motivo per inserire queste limitazioni nella nostra Carta costituzionale; anzi mi sembra che, appunto perché si tratta di provvedimenti contenuti in decreti, in testi di polizia, appunto per ciò noi dovremmo risparmiare la loro inserzione nel testo della Costituzione, che deve avere massima sobrietà e solennità e, secondo me, non deve portare neppure l’ombra di qualsiasi irrispettosità, di qualsiasi offesa per culti o religioni delle quali noi abbiamo il massimo rispetto. Anche qui è il caso di ricordarci dell’ambiente storico in cui viviamo; ricordiamo che non siamo nell’Africa centrale, ma siamo in Italia; siamo una nazione in cui direi che perfino il più rozzo senso del numinoso ha trovato sempre la maniera di sublimarsi, in qualche modo, in forme comunque innocenti, entro il cerchio potente della religione tradizionale e non ha dovuto sceglier nessun culto di quelli che l’onorevole Nobile potrebbe chiamare forme e riti stravaganti. Anzi mi pare che questa proposta, onorevole Nobile, indichi ancora più questo carattere che mi pare sia offensivo e che può anche allargare l’arbitrarietà di una definizione di questi culti. Tra l’altro, a parte il fatto che a me sembra impossibile che ci siano fra noi questi culti stravaganti, questa adorazione, per esempio, dei serpenti o simili, sarebbe molto difficile dare una definizione di questo carattere di stravaganza. Se colui che giudica partisse da una mentalità arretratamente illuministica o strettamente razionalistica, dove si arriverebbe nella definizione di queste stravaganze? Mi pare che se anche questo punto del buon costume non sia così grave come l’altro punto dell’ordine pubblico, noi dovremmo rendere comunque in questo caso un comune omaggio allo spirito religioso che tutti ci può legare, al carattere serio della parola religione e della parola culto quale dobbiamo volere nella nostra Costituzione.

Quanto poi al punto dell’ordine pubblico, questa formula mi pare ancora più pericolosa, più rischiosa. È una di quelle formule che, pure essendo consuetudinarie in alcune Costituzioni – per quanto non si trovi nelle Costituzioni dei più grandi paesi democratici – appare estremamente pericolosa e direi ricca di tentazioni per chi ha il potere e può servirsene per i suoi scopi particolari.

L’onorevole Preti, nel suo intervento, ha portato numerosi esempi dello zelo inopportuno che durante il passato alcuni ministri di culto, sia pure periferici, sia pure dei bassi strati ecclesiastici, hanno dimostrato servendosi di questa formula dell’ordine pubblico per impedire la libertà di culto di alcune denominazioni protestanti. E, anche se questo non è il caso preciso, noi non possiamo dimenticare che con questa formula così generica e così insidiosa anche ad un uomo, che tutti ricordiamo con rispetto e alcuni di noi con venerazione, cioè ad Ernesto Buonajuti, fu impedito più volte di tenere delle pubbliche conferenze di carattere religioso, che non erano atti di culto, ma erano certamente una manifestazione di libertà di pensiero.

LABRIOLA. È il Concordato!

PRESIDENTE. Non interrompa, onorevole Labriola.

BINNI. Con la formula dell’articolo 14 si può impedire una manifestazione di libertà di pensiero, di libertà di religione. Epperciò io credo che questi pericoli ci siano veramente e che noi potremmo dare prova di generosità e di coraggio moderno, escludendo dalla nostra Costituzione quelle due limitazioni.

Quanto poi al secondo comma dell’articolo 14, esso risulta – come tutti sappiamo – dal trasferimento, proposto dall’onorevole Lucifero, dall’articolo 7 all’articolo 14. È evidente – ed io l’ammetto senza altro – che questo trasferimento porta con sé dei grossi inconvenienti dal punto di vista dell’armonia generale dell’articolo; porta degli inconvenienti, in quanto si può sentire una incongruenza, una certa contraddittorietà fra l’affermazione generale che qui noi facciamo (e che vogliamo fare, senza equivoci, perché questo è il nostro spirito ed è anche lo spirito per cui abbiamo votato contro l’articolo 7), cioè l’affermazione generale che le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge, e l’inserzione dei Patti lateranensi che si è avuta con la votazione dell’articolo 7.

Ora, in verità, se questa contradizione c’è – né potrebbe essere diversamente sanata – essa ad ogni modo non dipende certamente da noi che abbiamo votato contro l’articolo 7 e che prevedevamo questo caso e forse anche altri casi che potessero avvenire, cioè che lo strascico di questo articolo si sentisse anche in altre occasioni. Ad ogni modo, non spetta a noi di abbandonare un principio generale, e secondo noi essenziale ad uno Stato moderno, come quello della libertà e dell’uguaglianza delle confessioni religiose. Anzi, vorrei dire che in questo caso noi offriremmo alla Democrazia cristiana l’occasione di dimostrare praticamente quella volontà da essa enunciata di non legare l’inserzione dei Patti ad una limitazione delle altre confessioni religiose. Anche se, come ripeto, ci potrebbe essere qualche formulazione più adatta – e fin d’adesso mi dichiaro disposto, anche a nome del gruppo che qui rappresento, ad accettare una formulazione che potesse essere più adatta, e che secondo me potrebbe essere quella che so esser stata proposta dall’onorevole Cianca – quello che a noi preme, malgrado le formulazioni leggermente differenti che si possono adottare, è l’affermazione chiara e recisa dell’uguaglianza delle confessioni religiose, dell’eguaglianza dei culti. Ciò costituisce per noi un aspetto essenziale della nostra libertà, affinché la libertà scenda un po’ da quell’Olimpo di buone intenzioni, da quegli appelli magnanimi che risuonano più volte, di derivazione cristiana, o illuministica, o risorgimentale, e si precisi in garanzie per tutti i cittadini, affinché essi possano vivere e svolgersi in condizioni effettivamente libere ed effettivamente democratiche. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Pajetta Giancarlo e La Rocca:

«Sostituirlo col seguente:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto, purché non si tratti di riti contrari all’ordinamento giuridico dello Stato o al buon costume.

«Tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge e si reggono sulla base dei propri statuti. I loro rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, mediante intese con le rispettive rappresentanze».

Non essendo presente l’onorevole Pajetta, l’onorevole La Rocca ha facoltà di svolgerlo.

LA ROCCA. Credo che non sia il caso di svolgere questo emendamento, già ampiamente prospettato dall’onorevole Pajetta. Ritengo che qui si tratti di trasportare sul piano religioso un principio già affermato, riconosciuto e sancito sul piano politico. D’altra parte credo che non si possa in alcun modo contestare questo: che vi sarebbe veramente libertà religiosa, soltanto se tutte le organizzazioni religiose fossero poste sul medesimo piano, in condizioni di perfetta eguaglianza.

Io so, peraltro, che è stato proposto all’emendamento dell’onorevole Pajetta e mio un altro emendamento, dell’onorevole Laconi, che accetto in pieno, e al quale mi rimetto, aspettando che l’onorevole Laconi svolga questo concetto.

PRESIDENTE. Sono stati poi presentati, i seguenti emendamenti:

«Sopprimere le parole: principî o.

«Basso, Nobili Tito Oro, Giua, Pieri, Costantini, Grazi, Merighi, Tonello, Tega, De Michelis».

«Sopprimere le parole: all’ordine pubblico.

«Basso, Nobili Tito Oro, Giua, Pieri, Costantini, Grazi, Merighi, Tonello, Tega, De Michelis, Tomba».

«Aggiungere come secondo comma il terzo comma dell’articolo 5 del progetto, con i seguenti emendamenti:

«Soppressione della parola: altre, e delle parole: in quanto contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

«Sostituzione dell’ultima proposizione con la seguente: i loro rapporti con lo Stato sono regolati, se del caso, per legge, previa intesa con le rispettive rappresentanze.

«Basso, Nobili Tito Oro, Giua, Pieri, Costantini, Grazi, Merighi, Tonello, Tega, De Michelis».

Essendo dei firmatari presente l’onorevole Nobili Tito Oro, egli ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. Mi pare, onorevoli colleghi, che la lettera del primo emendamento da noi proposto spieghi sufficientemente lo spirito e la portata delle modifiche che noi tendiamo ad apportare al testo del progetto. Esse mirano a rendere concreta, operante ed effettiva la libertà di culto che si garantisce a tutti i cittadini e partono dalla preoccupazione che questa garanzia non sia sufficientemente accordata dal testo del progetto; il quale riconosce bensì la libertà a tutti i cittadini di compiere pubblicamente e privatamente tutti gli atti del loro culto, ma la subordina alla condizione che non si tratti di principî e di riti contrarî all’ordine pubblico ed al buon costume.

Qui è da domandarsi quale sarà l’organo che dovrà decidere del concorso degli estremi per l’attuazione di questa eccezione al diritto della libertà di culto. Non v’è dubbio che dovranno essere necessariamente gli organi di polizia; ma noi rimetteremo agli organi di polizia, onorevole Tupini, il decidere e il giudicare intorno ai principî di una fede religiosa? Ammetteremo noi che i principî di una fede religiosa, i quali si consustanziano con la fede stessa, possano costituire oggetto di esame da parte di elementi estranei a quella fede? Questo è assurdo e contraddice all’essenza della stessa libertà religiosa e pertanto mi pare che l’espressione «principî» debba essere senz’altro esclusa dalla formula del testo.

Ma questo soggiunge che principî e riti non debbano essere contrari all’ordine pubblico. Senonché, quello dell’ordine pubblico è criterio troppo evanescente e troppo spesso preso a pretesto da funzionarî di polizia per non permettere quelle manifestazioni che ad essi fa comodo di non permettere, e che potrebbero essere anche sconsigliate e non volute dai Governi del tempo.

È dunque troppo soggettivo, troppo elastico e troppo facilmente invocabile questo criterio, perché si possa ad esso affidare il regolamento di una libertà che interessa la grande maggioranza dei cittadini. Noi crediamo pertanto che debba essere soppresso anche il criterio discriminativo dell’ordine pubblico.

Ho visto che in altro emendamento si propone di sostituire al criterio dell’«ordine pubblico» quello dell’«ordinamento giuridico»; ma la situazione non verrebbe migliorata, in quanto resterebbe sempre in potere del Governo promuovere riforme legislative atte a impedire manifestazioni di culti ad esso non accetti.

Io ho svolto l’emendamento proposto dal nostro gruppo, ma il fatto di aver trasferito in questa sede l’ultimo comma dell’articolo 5, oggi 7, del progetto di Costituzione, mi pone innanzi ad un’altra considerazione, che io sottopongo ora al giudizio dell’onorevole Commissione: l’ultimo comma dell’articolo prevede che i rapporti tra lo Stato e le chiese siano regolati da leggi. Basteranno dunque queste leggi ad eliminare tutti i dubbî che possano sorgere in ordine ai riti, così che, presentandosi casi di riti ritenuti contrari al buon costume, possano in tale sede esser presi gli accordi al riguardo necessari fra Stato e chiese interessate.

Parmi, pertanto che si possa sopprimere addirittura l’intero inciso che riguarda l’eccezione e fermare il testo del progetto alla parola: «culti». Questa è la mia personale proposta. (Applausi a sinistra).

Resta il secondo emendamento; la sua portata è evidente. Per rispetto al principio che alla libertà di culto debba corrispondere la libertà della Chiesa, si propone che la regolazione dei rapporti collo Stato mediante la legge prevista avvenga soltanto «se del caso»; ossia, o a richiesta della chiesa interessata, o per gravi ragioni lasciate alla valutazione del Governo.

PRESIDENTE. L’onorevole Lucifero ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma dell’articolo 7 (già articolo 5 del Progetto), divenuto secondo comma dell’articolo 14, sostituire le parole: Le altre confessioni, con le parole: Tutte le confessioni».

Ha facoltà di svolgerlo.

LUCIFERO. Io non ho da insistere sul mio emendamento, che fu semplicemente una correzione di forma allorquando proposi lo spostamento del capoverso, che era quello che mi premeva e che l’Assemblea ha ritenuto di accogliere. Oggi, l’unico concetto che fondamentalmente mi interessa è l’affermazione di uguaglianza di tutte le confessioni di fronte alla legge. Quindi, il mio emendamento non ha ragione di essere e voterò per uno di quegli emendamenti che mi sembrerà meglio corrispondente al mio pensiero in questo senso.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha già svolto il suo emendamento: «dopo la parola: riti, aggiungere la parola stravaganti». Egli però ha successivamente proposto di modificare come segue l’ultima proposizione dell’articolo 14: «purché non si tratti di principî o riti contrari alla civiltà, all’ordine pubblico o al buon costume».

Chiedo all’onorevole Nobile se intende svolgere questa modificazione apportata all’emendamento già presentato.

NOBILE. Non avrei nulla da aggiungere. Convengo perfettamente con le ragioni addotte poco fa dai colleghi che mi hanno preceduto, per quanto riguarda forse la opportunità di fermarsi alle parole «buon costume»; ma se si mantiene, come è stato proposto dalla Commissione, questo inciso, quest’ultima proposizione, cioè di escludere i riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume, in questo momento a me sembra indispensabile che si considerino anche quegli altri riti, e ce n’è una quantità enorme, soprattutto nell’America del Nord, che sono delle vere e proprie aberrazioni, e sono contrarie al buon senso, all’intelligenza, alla civiltà.

Io potrei mostrare proprio qui, in una rivista che è giunta qualche settimana fa dall’America, delle fotografie dove si vedono delle giovani donne che sono ministri di questo culto, che già da molti anni si osserva nello Stato del Texas, e che portano recinti al collo dei serpenti. Questo Stato, soltanto in questi giorni, ha sentito la necessità di reprimere l’uso dei serpenti; ma ricordo di avere assistito in America ad altre manifestazioni più stravaganti di queste.

Coi contatti avuti in questi ultimi tempi con gli americani e soprattutto con i negri, non ci sarebbe da meravigliarsi che si ammettessero queste aberrazioni! Ecco perché io mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi ha presentato un emendamento al quale l’onorevole La Rocca ha detto di aderire, rinunciando al proprio:

«Sostituire l’articolo col seguente:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto, purché non si tratti di riti contrari all’ordinamento giuridico dello Stato o al buon costume.

«Tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge.

«Le confessioni religiose si reggono sulla base dei propri statuti, e i loro rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, mediante intese con le rispettive rappresentanze, salvo quanto disposto dall’articolo 7».

L’onorevole Laconi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

LACONI. Come è stato giustamente rilevato, il mio emendamento riprende essenzialmente i motivi dell’emendamento degli onorevoli Pajetta Giancarlo e la Rocca, ed inoltre tiene conto di alcune preoccupazioni emerse durante la redazione del testo in seno alla Commissione.

Per quanto riguarda le variazioni introdotte con l’emendamento Pajetta Giancarlo, ne dirò le ragioni, dato che l’onorevole La Rocca vi ha rinunciato.

La prima di queste modificazioni è quella relativa alla soppressione della parola «principî». Io non credo di dover esporre diffusamente i motivi di questa variazione, perché già lo ha fatto l’onorevole Nobili Tito Oro. Qui si tratta, in sostanza, di precludere la possibilità all’Autorità di pubblica sicurezza di intervenire in una valutazione, che dovrebbe essere puramente ideologica, del contenuto delle diverse religioni e della loro aderenza o meno ai principî generali che informano l’ordinamento dello Stato. Un’indagine di questo genere uscirebbe dalla possibilità e dalla competenza dello Stato.

La seconda modificazione consiste nel trasportare la frase «contrari all’ordinamento giuridico» nella prima parte dell’articolo. Tutti hanno infatti rilevato che non può mettersi in una parte «ordinamento giuridico» e in un’altra parte «ordine pubblico».

Vi è finalmente il punto sostanziale, cioè l’affermazione nuova che viene introdotta in questa formulazione e che concerne l’eguaglianza di tutte le confessioni di fronte alla legge.

Tutti conoscono la storia di questa nuova introduzione. Una richiesta in questo senso è stata avanzata dalle principali confessioni religiose che vi sono oggi in Italia oltre quella cattolica; particolarmente è stata avanzata dagli israeliti e dagli evangelici. Noi riteniamo che questa richiesta sia giusta e che abbia la sua ragion d’essere. Io vorrei rilevare che quando noi abbiamo disciplinato i rapporti con la Chiesa cattolica nell’articolo 7, abbiamo inteso disciplinare dei rapporti giuridici con un’organizzazione giuridica. Qui noi siamo in tutt’altra sede: siamo nella parte che concerne i diritti e i doveri dei cittadini in ordine ai rapporti civili, e si tratta di stabilire quale sia il riconoscimento o meno che lo Stato dà alle diverse confessioni religiose, in quanto tali e non ancora in quanto organizzazioni giuridiche. Per questo mi pare che l’affermazione dell’eguaglianza di tutte le confessioni religiose, senza distinzione di sorta, valga ad affermare quel principio di laicità dello Stato che noi non crediamo compromesso dai riconoscimenti fatti all’articolo 7.

Nell’emendamento Pajetta vi è un’altra modificazione ed è la frase «i loro rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge». Anche questa modificazione è stata richiesta da determinate confessioni religiose, le quali intendono e desiderano considerarsi come delle associazioni private.

Queste sono le modificazioni introdotte dall’emendamento Pajetta. Nel corso della discussione in seno al Comitato di redazione sono state avanzate delle preoccupazioni.

Si è osservato – e con una certa legittimità – che lo spostamento dall’articolo 7 all’articolo 14 di questa parte, verrebbe a stabilire principî che appaiono in contradizione con altri stabiliti con l’articolo 7. Si è detto che con l’articolo 7 si sono disciplinate le relazioni con una particolare confessione religiosa, i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica, e che questo regolamento potrebbe costituire una contradizione con quanto disposto nell’articolo 14.

Io non credo che questa contradizione ci sia, o per lo meno non credo che ci sia del tutto. Perché mi pare che quanto è stabilito dall’articolo 7 riguardi la Chiesa cattolica come ordinamento giuridico. Infatti, si stabilisce che lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Si badi: la Chiesa cattolica, non la confessione cattolica, e alla Chiesa cattolica, si fa anche riferimento più sotto là dove si riconoscono i Patti lateranensi, alla Chiesa cattolica e alla Città del Vaticano che è uno Stato sovrano.

Non credo dunque che vi sia contradizione tra l’articolo 7 e l’articolo 14. Perché nell’articolo 14 non siamo ancora, per quanto riguarda le confessioni religiose, al momento giuridico in cui le comunità dei fedeli si organizzano e, quindi, richiedono che siano regolati i loro rapporti con lo Stato. Ci troviamo invece ancora nel momento originario, quando gli individui come singoli costituiscono una comunità di fedeli. Ed a questo punto la nostra affermazione di eguaglianza di tutte le confessioni religiose nei loro rapporti con lo Stato deve essere piena e totale.

Su questa materia non possiamo stabilire diversamente, perché dobbiamo renderci conto del grave significato che avrebbe ogni limitazione. Se noi, infatti, introducessimo una eccezione per la Chiesa cattolica, questa eccezione significherebbe voler costituire un privilegio per una determinata confessione religiosa, il che si tradurrebbe nella confessionalità dello Stato.

Si è detto che lo Stato italiano non può disconoscere che differenze di fatto esistono fra una confessione religiosa e l’altra. Ma queste differenze esistono per tutte le confessioni egualmente. Mentre, se un’eccezione si facesse per la Chiesa cattolica in questo articolo, noi stabiliremmo una distinzione particolare per una confessione, a cui si verrebbero a riconoscere, in quanto tale, particolari diritti.

Giusta è l’eccezione per quanto riguarda la seconda parte di questo comma. È esatto che vi è una coincidenza d’argomento quando si abbandona il terreno della confessione religiosa e si entra nel terreno della confessione già organizzata. A questo punto noi non possiamo ignorare che in altri articoli della Costituzione abbiamo stabilito delle eccezioni a favore della Chiesa cattolica, ed è quindi giusto che a questo punto sia stabilito un richiamo all’articolo 7. È per questo che io propongo la seguente formulazione:

«Le confessioni religiose si reggono sulla base dei loro Statuti, e i loro rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, mediante intese con le rispettive rappresentanze, salvo quanto disposto dall’articolo 7».

Per tutte queste ragioni ho presentato l’emendamento.

PRESIDENTE. È stato presentato il seguente emendamento, a firma degli onorevoli Cianca, Calamandrei, Foa, Schiavetti, Giua, Lombardo Ivan Matteo, Bonomi Ivanoe, Paris, Buffoni, Cevolotto, Vischioni, Conti e Natoli:

«Sostituire l’articolo col seguente:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato e in pubblico atti di culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

«Tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge.

«Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti. I rapporti con lo Stato, ove esse lo richiedano, sono regolati per legge sulla base di intese con le rispettive rappresentanze».

L’onorevole Cianca ha facoltà di svolgerlo.

CIANCA. Nella prima parte dell’articolo noi proponiamo di sopprimere le parole «principî» ed «ordine pubblico».

Ci rendiamo perfettamente conto delle ragioni esposte dai colleghi onorevoli Binni e Nobili Tito Oro, circa l’opportunità che l’articolo termini con le parole «atti di culto».

Per questo aderiamo all’emendamento, più comprensivo, da loro proposto.

In quanto alla seconda parte dell’articolo, appare evidente il nostro sforzo di conciliare le diverse tendenze ed esigenze che si sono manifestate in questo dibattito. Per le ragioni dette dall’onorevole Laconi, abbiamo voluto ed intendiamo riaffermare il principio dell’eguaglianza di tutte le fedi religiose; principio contro il quale nessun oratore in quest’Aula ha osato levarsi. Chi avesse fatto una eccezione di questo genere, avrebbe dato la sua adesione al principio dello Stato confessionale.

D’altronde, l’affermazione dell’eguaglianza delle confessioni scaturisce dalla prima parte dell’articolo 14, il quale afferma che ogni cittadino ha diritto di esercitare liberamente la propria professione religiosa.

Noi ci preoccupiamo, però – e qui rispondo anche all’osservazione dell’onorevole Laconi – di tener conto di uno stato di fatto.

Lo abbiamo detto durante il dibattito svoltosi per l’articolo 7 e lo ripetiamo oggi. Questo stato di fatto mostra che la maggioranza degli italiani professa la religione cattolica.

L’articolo 7 riguarda i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, in una formulazione risultante dalla volontà della maggioranza.

Noi abbiamo esposto le ragioni per le quali siamo contrari all’articolo 7; il quale include, a nostro giudizio, un pericolo contro la eguaglianza delle fedi religiose, che, in linea teorica, è qui da tutti accettata.

È perché teniamo conto del fatto storico, per cui la religione cattolica è professata dalla grande maggioranza degli italiani, che nel nostro emendamento prendiamo atto del trattamento che la maggioranza di questa Assemblea ha fatto alla Chiesa cattolica votando l’articolo 7. E, per quel che riguarda le altre confessioni religiose, proponiamo di disciplinare la materia secondo la formula contenuta nell’ultima parte del nostro emendamento.

Siamo d’accordo con l’onorevole Laconi: bisogna prima affermare in linea di principio l’eguaglianza di tutte le fedi religiose; quanto all’organizzazione giuridica di tale principio, mentre da un lato si riconosce l’opportunità del regime concordatario nei rapporti fra la Chiesa cattolica è lo Stato italiano, d’altro lato si deve assicurare a tutte le altre confessioni religiose il diritto di organizzarsi secondo i proprî statuti. In conclusione, noi crediamo che (salvo a concordarci con i colleghi per un unico emendamento che esprima in una formula più opportuna il pensiero comune a tutti) votare contro il nostro emendamento, cioè contro il principio informatore di esso, significhi votare contro l’eguaglianza e la libertà di cui parlava il collega Lucifero, significhi votare per lo Stato confessionale ai danni della pace religiosa. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 12.20.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 APRILE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXXIV.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 APRILE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica Italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Maffi                                                                                                                

Chiostergi                                                                                                        

Tonello                                                                                                            

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione                                                 

Andreotti                                                                                                        

Conti                                                                                                                

Rossi Paolo                                                                                                      

Bettiol                                                                                                             

Perassi                                                                                                              

Corsanego                                                                                                       

Caroleo                                                                                                           

Di Gloria                                                                                                          

Cappi                                                                                                                 

Della Seta                                                                                                       

Lucifero                                                                                                           

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Cappa, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri             

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE comunica che hanno chiesto congedo i deputati Bucci, Cacciatore, Carpano Maglioli, D’Amico Michele, Fiore, Gavina, Li Causi, Montalbano, Nenni, Orlando Vittorio Emanuela, Saccenti, Selvaggi e Togliatti.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

La discussione e lo svolgimento degli emendamenti all’articolo 11, si sono conclusi nella seduta antimeridiana. Dobbiamo ora procedere alle votazioni.

Al primo comma dell’articolo, l’onorevole Patricolo ha proposto di sopprimere la seconda parte, ed ha chiesto che si proceda alla votazione per divisione di questo primo comma.

Pertanto, pongo in votazione la prima parte del primo comma:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge».

(È approvata).

Il testo della Commissione aggiunge:

«in conformità delle norme e dei trattati internazionali».

L’onorevole Patricolo ha già proposto la soppressione di questa seconda parte del comma.

Pongo ai voti questa proposta di soppressione.

(Non è approvata).

Pongo ai voti la seconda parte del primo comma:

«in conformità delle norme e dei trattati internazionali».

(È approvata).

Al secondo comma sono stati presentati emendamenti dall’onorevole Ravagnan ed altri; dall’onorevole Basso ed altre dall’onorevole Patricolo. Avverte, poi, che gli onorevoli Trevs, Bulloni e Cappi, che avevano presentato emendamenti per loro conto, li hanno sostituiti con il seguente, accettato dalla Commissione:

«Lo straniero, al quale sia impedito l’effettivo esercizio dei diritti derivanti dalle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica italiana».

Chiedo intanto all’onorevole Nobile se insiste ancora nel suo emendamento.

NOBILE. Non insisto.

PRESIDENTE. Di questi emendamenti si allontana di più dal testo della Commissione quello presentato dagli onorevoli Ravagnan, Laconi e Grieco. Esso ha, d’altra parte, un carattere più ampio degli altri emendamenti. Mentre, infatti, negli altri si fa richiamo espresso ai diritti di libertà garantiti dalla Costituzione, nell’emendamento Ravagnan è soppresso ogni richiamo alla Costituzione italiana.

Esso è del seguente tenore:

«Lo straniero perseguitato per avere difeso i diritti della libertà e del lavoro ha diritto di asilo nel territorio italiano».

MAFFI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Tengo a dichiarare che voterò per l’emendamento Ravagnan, perché sono d’avviso che esso significhi e riproduca nella forma più completa il testo stesso della Commissione, poiché la Costituzione della Repubblica italiana è la Costituzione di una Repubblica «fondata sulla libertà e sul lavoro», (come è detto nella formula ormai adottata per la nostra Costituzione). Il diritto di asilo che ha ogni straniero perseguitato per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro, equivale all’espressione usata dalla Commissione; ma si espone in una forma immensamente più esatta, più conforme al concetto fondamentale espresso nel testo della Commissione stessa.

Non solo; la formula dell’emendamento proposto dal compagno Ravagnan ha, per conto mio, un grande vantaggio, quello di liberare il nostro Paese dalle immigrazioni indesiderabili.

Badate che la perorazione e la contro-orazione Ravagnan da una parte e Tonello dall’altra hanno forse peccato per una eccessiva asprezza di tono.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. È sempre dolce l’onorevole Tonello! (Si ride).

MAFFI. Ci sono sostanze dolci che allo stomaco possono sembrare irritanti: sentiremo cosa pensa delle dichiarazioni Tonello lo stomaco svizzero. Ma questo è un particolare. Dicevo che l’onorevole Ravagnan e l’onorevole Tonello hanno posto in evidenza i gravi pericoli costituiti per lo Stato dall’avere ospiti indesiderati, che rappresentano elementi di conflitto nella vita della Nazione, e che dobbiamo cercare di eliminare.

Per queste ragioni, allo scopo di eliminare l’arrivo in Italia di elementi che siano contrari ai concetti della libertà e dei diritti del lavoro, voterò per l’emendamento Ravagnan.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Durante lunghissimi anni sono stato ospite della libera Elvezia, e non ho personalmente che da lodare l’atteggiamento tenuto verso di me dalle autorità e dalla popolazione. Però ho potuto constatare, a più riprese, quando ho dovuto occuparmi di espulsioni di miei connazionali, che c’era in Svizzera, come in altri Paesi, una tendenza ad interpretare il diritto di asilo non come un diritto dello straniero, ma come un diritto dello Stato verso gli altri Stati, il che permetteva, in realtà, di sopprimere nel fatto il diritto di asilo.

Per questa ragione, e solo per questa ragione, voterò l’emendamento Ravagnan, perché mi pare sia quello che giustifica meglio di ogni altro il diritto del singolo al diritto di asilo, senza trasferirne il riconoscimento ad uno Stato nei confronti di altri Stati.

TONELLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. È bene che io precisi il mio concetto, forse non chiaramente espresso stamane.

Io dissi che quasi tutti gli Stati che hanno nelle loro Costituzioni il diritto di asilo, in pratica non lo realizzano, sicché il diritto di asilo diviene una menzogna.

Fortunato il collega che ha parlato, il quale, da buon figliuolo, non ha avuto noie, ma vicino a lui c’è l’onorevole Rodolfo Pacciardi. Ora, se noi abbiamo combattuto contro il fascismo nella Svizzera, se abbiamo dato dei fastidi alla Svizzera, ciò è dovuto al fatto che Motta era un noto fascista. (Interruzioni Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Tonello, la prego di considerare che siamo in tema di discussione sulla nostra Costituzione, e che non è questa la sede per esprimere giudizi sopra Paesi che hanno sempre dimostrato la loro amicizia verso la nostra Nazione. (Vivi applausi).

TONELLO. Anch’io posso gridare «Viva la Svizzera», perché se vado in Svizzera ho molti amici, anche tra quelli che sono nelle vostre file. Io combattevo il fascismo in Svizzera, perché dovevamo difenderci contro tutte le spie che il fascismo aveva sparse anche in quel Paese.

Ora, non voglio che si creda che in Svizzera io sia stato un rompicollo ed abbia voluto dare fastidio ad un Paese che mi dava ospitalità. Ho semplicemente scritto una poesia contro Dollfuss e il Papa che avevano fatto perire la Repubblica austriaca. (Proteste Rumori al centro).

TUPINI. Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Dichiaro che la Commissione, alla quasi unanimità, è contraria all’emendamento Ravagnan.

ANDREOTTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI. Questa mattina ho presentato una richiesta di votazione per appello nominale sull’emendamento dell’onorevole Treves. Analoga richiesta presento ora per la votazione nell’emendamento Ravagnan. Essa porta le firme anche degli onorevoli Orlando Camillo, Cremaschi, Quintieri Adolfo, Tambroni, Leone Giovanni, Valenti, Dominedò, Maffioli, Tosi, De Palma, Zerbi, Bubbio, Marazza e Castelli Avolio.

PRESIDENTE. Mi consentano i colleghi di far presente una considerazione che può valere per valutare pienamente le conseguenze eventuali della richiesta di votazione nominale. Nella ipotesi che l’Assemblea non risulti in numero legale quando si procederà all’appello nominale, si verrebbe ad immobilizzare per 24 ore il nostro lavoro, a termini del Regolamento.

Se l’Assemblea non è in numero, il Regolamento prescrive, infatti, che il Presidente possa rinviare la seduta ad altra ora dello stesso giorno, con un intervallo di tempo non minore di un’ora, oppure scioglierla. In quest’ultimo caso l’Assemblea s’intende convocata per il prossimo giorno non festivo all’ora medesima del giorno prima, il che significherebbe domani alle ore 17,30.

Se i presentatori della richiesta di appello nominale ritengono che abbiamo molto tempo a disposizione per i nostri lavori, oppure ritengono che la votazione abbia una tale importanza da giustificare la loro richiesta, io darò ad essa senz’altro corso.

ANDREOTTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI. Io insisterei nella richiesta di votazione per appello nominale, anche perché mi pare che sia veramente deplorevole il fatto che numerosi nostri colleghi non sono presenti alle sedute dell’Assemblea. D’altra parte, non mi sembra serio votare articoli della Costituzione, che sono tutti importanti, con la presenza nell’Aula di non più di un quinto dei membri dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Desidero far presente all’onorevole Andreotti che nessuno più di me è già intervenuto, e più d’una volta, per lamentare questo spiacevole assenteismo dei membri della nostra Assemblea. Mi sembra, però, che vi siano due fatti da tener separati: l’assenza di molti dei membri di questa Assemblea e la necessità che l’Assemblea svolga i suoi lavori. Ed io ritengo che sarebbe una doppia responsabilità quella che ci assumeremmo, se, oltre a dover constatare l’assenza di tanti colleghi dalle sedute, non giungessimo a terminare il nostro lavoro entro il tempo che la legge ha stabilito. (Commenti).

Io sono contento di constatare che nessuno pensa alla possibilità di non tener fede al termine stabilito. D’altra parte, non ritengo che facilitiamo il nostro lavoro se ci obbligheremo per 24 ore a restare inattivi.

Comunque, poiché la domanda è mantenuta, passerò senz’altro alla votazione per appello nominale.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. L’Assemblea ha già sottolineato in modo abbastanza eloquente la proposta dell’onorevole Andreotti, con la quale egli ha inteso di deplorare l’assenteismo dei nostri colleghi, che il 2 giugno furono eletti essenzialmente, se non esclusivamente, per fare la Costituzione dello Stato. Poiché siamo tutti consenzienti con lo spirito della proposta e con il fine cui essa tende, mi associo all’onorevole Presidente nell’invito all’onorevole Andreotti a voler recedere dalla richiesta di appello nominale.

Valga questa presa di posizione dell’Assemblea a deplorare l’assenteismo dei colleghi che non sono presenti, e ad invocare il loro intervento; e, soprattutto, a richiamare l’Ufficio di Presidenza alla constatazione di quelle assenze che, come tutti sanno, sono produttive di qualche conseguenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Tupini sa che l’Ufficio di Presidenza si è già posto il problema, ed io credo che l’appello dell’onorevole Tupini voglia significare che egli ritiene giunto il tempo – e tutti noi lo riteniamo, con lui – di passare a delle forme di controllo le quali significhino che la fiducia che si poteva in precedenza porre sullo spirito di diligenza dei nostri colleghi può forse cominciare ad attenuarsi.

Di questo parleremo nella prossima seduta dell’Ufficio di Presidenza.

Per ora, prego l’onorevole Andreotti di rispondere all’appello rivoltogli dall’onorevole Tupini.

ANDREOTTI. Mi dispiace di non poter aderire (Rumori Interruzioni) all’appello che viene sia dal Presidente dell’Assemblea, sia dall’onorevole Tupini, ma ritengo che per le ragioni sostanziali che ho detto prima, forse ai colleghi che non sono intervenuti, pur potendo intervenire, sia alla seduta di stamane che a questa, può giungere come un richiamo efficace quello di una constatazione fatta attraverso un appello nominale della loro assenza formale da questa seduta. L’onorevole Presidente può, avvalendosi del Regolamento, stabilire che la seduta possa riprendersi fra un’ora. Noi faremo il possibile affinché un certo numero di Deputati, che sono in Roma e che potrebbero venire alla seduta, siano presenti fra un’ora. Se ciò non avvenisse, l’onorevole Presidente potrebbe rinviare la seduta a domani. In questa maniera noi potremmo avere forse una partecipazione che renda, mi pare, degna l’adesione ad una formula o all’altra degli articoli che stiamo votando.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Ho chiesto la parola per rilevare che la proposta dell’onorevole Andreotti non può essere accolta. Se egli si fosse limitato a chiedere la votazione per appello nominale per stabilire una maggioranza e una minoranza sul testo dell’emendamento del collega Ravagnan, egli avrebbe perfettamente ragione e non gli si potrebbe opporre nessun diniego. Ma l’onorevole Andreotti ha spiegato qual è lo scopo: egli ha richiesto l’appello nominale per constatare l’assenteismo dei nostri colleghi. Ora, è evidente che per questo scopo non può essere indetta la votazione per appello nominale. Io chiedo al Presidente di respingere la domanda.

PRESIDENTE. Onorevole Conti, le faccio presente, per spiegarle le ragioni per le quali, nonostante le sue osservazioni, nel merito comprensibili, dispongo di passare all’appello nominale, che ogni membro dell’Assemblea, quando riesca a trovare nove colleghi che concordino con lui, può chiedere la constatazione del numero legale, in occasione di ogni votazione che si debba eseguire; e, ciò può giovare a sottolineare il numero degli assenti. Dato ciò, la richiesta dell’onorevole Andreotti avrà seguito. (Interruzione dell’onorevole Conti).

Si dà inizio all’appello nominale sull’emendamento proposto dagli onorevoli Ravagnan, Laconi e Grieco così formulato:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero perseguitato per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro ha diritto di asilo nel territorio italiano».

Estraggo a sorte il nome del Deputato dal quale comincerà la chiama.

(Esegue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Cappa.

Si faccia la chiama.

RICCIO, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Alberganti – Allegato – Amadei – Amendola – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bellusci – Bianchi Bruno – Bibolotti – Bitossi – Bonomelli – Buffoni Francesco.

Caldera – Camangi – Carmagnola – Cavallari – Cerretti – Cevolotto – Chiostergi – Cianca – Conti – Corbi – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

Della Seta – De Michelis Paolo – Di Vittorio – D’Onofrio.

Facchinetti – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Ferrari Giacomo – Flecchia – Fogagnolo – Fornara.

Gervasi – Ghidetti – Giua – Grazi Enrico – Grieco – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – La Malfa – Landi – La Rocca – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lopardi – Lozza.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Francesco – Massini – Massola – Mattei Teresa – Merighi – Merlin Angelina – Modigliani – Moranino – Moscatelli – Musolino.

Negro – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa.

Pacciardi – Paolucci – Paris – Pastore Raffaele – Pertini Sandro – Pieri Gino – Platone – Pressinotti – Preziosi – Priolo.

Ravagnan – Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Roveda – Ruggieri Luigi.

Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Silipo – Spallicci – Stampacchia.

Targetti – Tega – Tonello – Tonetti.

Vernocchi – Vischioni.

Zuccarini.

Rispondono no:

Andreotti – Angelucci – Arcaini.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Bassano –Bastianetto – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Bergamini – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bocconi – Bonomi Ivanoe – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Cairo – Calosso – Campilli – Canevari – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carignani – Caroleo – Carratelli – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Cifaldi – Coccia – Colitto – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Federici Maria – Ferrario Celestino – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa– Fusco.

Gabrieli – Garlato – Geuna – Ghidini – Giacchèro – Giannini – Giordani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo.

Jervolino.

Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lucifero.

Maffioli – Mannironi – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Marzarotto – Mastrojanni – Mazza – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Murgia.

Nitti – Notarianni.

Orlando Camillo.

Paratore – Pastore Giulio – Patricolo – Pecorari – Pella – Perugi – Piccioni – Piemonte – Ponti – Proia.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Recca – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rognoni – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggiero Carlo – Ruini.

Salizzoni – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Veroni – Vicentini – Vilardi.

Zerbi.

Si sono astenuti:

Binni – Bruni.

D’Aragona.

Lombardo Ivan Matteo.

Martino Enrico.

Perassi – Preti.

Zanardi.

Deputati in congedo:

Bucci, Cacciatore, Carpano Maglioli, D’Amico Michele, Fiore, Fuschini, Gavina, Li Causi, Mastino Pietro, Montalbano, Nenni, Orlando Vittorio Emanuele, Pallastrelli, Parri, Penna Ottavia, Selvaggi, Simonini, Saccenti, Togliatti.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti   289

Maggioranza         145

Hanno risposto sì  112

Hanno riposto no   169

Astenuti    8

(L’Assemblea non approva l’emendamento Ravagnan).

Dobbiamo ora procedere all’emendamento sostitutivo del secondo comma proposto dall’onorevole Basso ed altri.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Dichiaro che voteremo contro, per la stessa ragione che ci ha indotti a votare contro l’emendamento Ravagnan: intendiamo votare l’emendamento Treves.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Basso ed altri:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero, che sia perseguitato nel proprio paese per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro garantiti dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento sostitutivo del secondo comma presentato dall’onorevole Patricolo ed altri:

«Lo straniero perseguitato nel proprio paese per azioni commesse in difesa delle libertà garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio italiano».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento presentato dagli onorevoli Treves, Bulloni, e Cappi, che la Commissione ha dichiarato di accettare:

«Lo straniero, al quale sia impedito l’effettivo esercizio dei diritti derivanti dalle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica italiana».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi, fatto proprio dall’onorevole Conti e accettato dalla Commissione:

«Al secondo comma, aggiungere le parole: «nelle condizioni stabilite dalla legge».

(È approvato).

Dobbiamo ora procedere alla votazione dell’emendamento presentato dall’onorevole Corsanego:

«Dopo il secondo comma, aggiungere il seguente:

«Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita da convenzioni internazionali».

La Commissione ha accettato l’emendamento ed ha proposto di sostituire alla parola: «convenzioni» l’altra: «trattati», e di trasferire il comma, se approvato, all’articolo 10.

L’onorevole Corsanego ha accettato la modificazione e la nuova collocazione.

Pongo in votazione l’emendamento così modificato.

(È approvato).

Si passa ora al terzo comma:

«Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

A questo comma sono stati presentati alcuni emendamenti. L’onorevole Corsanego ha proposto che dopo la parola: «estradizione» si aggiunga: «del cittadino e». Dopo l’approvazione della precedente proposta dello stesso onorevole Corsanego, questo emendamento si intende assorbito.

Vi è poi un emendamento proposto dagli onorevoli Bettiol, Leone Giovanni, Benvenuti:

«All’ultimo comma, aggiungere le parole: e in nessun caso quella del cittadino».

Poiché, in seguito alla votazione precedente, sono state trasferite all’articolo 10 tutte le disposizioni relative al cittadino, anche questo emendamento dovrebbe considerarsi assorbito.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Mi pare vi sia un equivoco, perché il mio emendamento ha una sua logica ed un suo spirito ben precisi, e non consente in nessun caso l’estradizione del cittadino, mentre, con l’emendamento dell’onorevole Corsanego, questa estradizione è possibile.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Mi pare che qui vi siano due questioni nettamente diverse. Vi è, cioè, la questione se si debba ammettere l’estradizione del cittadino o no: su questo punto l’Assemblea ha già votato l’emendamento dell’onorevole Corsanego, nel senso che essa non è ammessa, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali. La seconda questione riguarda l’affermazione nella Costituzione del principio che in nessun caso è ammessa l’estradizione del cittadino per reati politici. Ora, siccome ciò è stato affermato per lo straniero nell’articolo 11, e siccome, in seguito all’emendamento votato, si è parlato dell’estradizione del cittadino nell’articolo 10, è evidentemente necessario che nell’articolo 10 si aggiunga che l’estradizione del cittadino in nessun caso è ammessa per reati politici.

PRESIDENTE. Lei ha parlato, onorevole Perassi, a nome proprio o della Commissione?

PERASSI. A nome mio.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Questa mattina la Commissione che ha esaminato la proposta, ha deciso, come ho risposto tanto all’onorevole Corsanego che all’onorevole Bettiol, di non accettare la proposta di emendamento dell’onorevole Bettiol.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha sottolineato che si tratta di due questioni diverse, per modo che la votazione avvenuta poco fa dell’emendamento Corsanego non esclude la possibilità della votazione dell’emendamento Bettiol.

Vi è poi la dichiarazione dell’onorevole Tupini, a tenore della quale, la Commissione, nel merito dell’emendamento Bettiol, si è dichiarata contraria, cioè la Commissione ritiene che non si possa affermare, in maniera assoluta, che non può concedersi la estradizione al cittadino in relazione ai reati di carattere politico.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE; Ne ha facoltà.

PERASSI. Se non mi inganno, la proposta dell’onorevole Bettiol era nel senso di escludere in via assoluta l’estradizione del cittadino. Era la riaffermazione del principio del Codice penale del 1889. L’Assemblea ha già votato, a maggioranza, a questo riguardo un emendamento nel senso di riprodurre nella Costituzione la disposizione dell’articolo 13 del Codice penale vigente, secondo la quale «non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali». Ma questa formula non dice nulla circa i reati politici. Conseguentemente, resterebbe aperta la possibilità che in una Convenzione internazionale venisse prevista anche la estradizione del cittadino per reato politico. Ora, a me pare che la Costituzione debba in maniera espressa escludere questa possibilità, ristabilendo un principio nettamente affermato nel Codice del 1889. Il Codice fascista lo aveva soppresso. Per fortuna, però, tutte le convenzioni internazionali che sono state stipulate, anche durante il regime fascista, hanno escluso l’estradizione per reato politico. Ora, essendosi stabilito nell’articolo 11 che lo straniero che si trova in Italia non potrà mai essere estradato per reato politico, mi pare che sia una necessità logica e politica che questo principio si affermi, anche e soprattutto, per il cittadino.

Siccome nell’articolo 10 è stata aggiunta quella disposizione, che è stata già votata, al fine di coordinare i due articoli, mi sembra necessario che nell’articolo 10, ossia nel comma votato si dica: «Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali, ma in nessun caso per reato politico».

CORSANEGO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORSANEGO. Io mi associo alle osservazioni fatte dall’onorevole Perassi, perché coincidono con la proposta del mio secondo emendamento; cioè si tratta in realtà di dichiarare nettamente nella nostra Costituzione, dopo di avere negata l’estradizione allo straniero per reati politici, che a maggior ragione questa estradizione debba essere negata al cittadino, ed è per questo motivo che io avevo proposto un emendamento apposito.

PRESIDENTE. Vi è dunque un emendamento all’emendamento.

Abbiamo votato l’emendamento dell’onorevole Corsanego, da trasferire all’articolo 10, che suona così: «Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita da trattati internazionali». Si tratta ora di aggiungere le parole: «ma in nessun caso per reati politici».

Pongo in votazione questa formulazione aggiuntiva.

(È approvata).

Rimane, pertanto, assorbito il terzo comma dell’emendamento Patricolo ed altri.

L’articolo 11 resta pertanto così formulato:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

«Lo straniero, al quale sia impedito l’effettivo esercizio dei diritti derivanti da libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica nelle condizioni stabilite dalla legge».

Abbiamo poi approvato il seguente comma da inserirsi all’articolo 10:

«Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita da trattati internazionali ma in nessun caso per reati politici».

Passiamo all’esame dell’articolo 12:

«Tutti hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.

«Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.

«Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica».

L’onorevole Mastino Pietro ha proposto di sopprimere l’articolo; ma non essendo egli presente, l’emendamento si intende decaduto. L’onorevole Caroleo ha presentato i seguenti due emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Tutti hanno diritto di riunirsi dovunque senz’armi».

«Sopprimere il secondo comma».

L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerli.

CAROLEO. Poiché si riconosce, in via di regola, il diritto di riunione in senso generale, penso che basterà aggiungere al primo comma l’avverbio «dovunque», per affermare senza limitazioni questa regola generale. L’eccezione è una sola; che delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso.

E allora, facendo la rettifica accennata al primo comma, può, in conseguenza, sopprimersi il comma secondo, e così si evita anche la preoccupazione che ha suggerito l’altro emendamento dell’onorevole Lami Starnuti, a proposito della esclusione espressa del preavviso per le riunioni private.

Vi è poi l’eliminazione dell’avverbio «pacificamente», che mi sembra per una parte superfluo e d’altro lato eccessivo. Superfluo, se si intende riferirsi alla necessità che la riunione sia tranquilla e non dia luogo a preoccupazioni per l’ordine pubblico, in quanto dei cittadini a cui si riconosce il diritto di riunirsi senz’armi non possono dare preoccupazione di questa indole; eccessivo, se si intende fare riferimento alle intenzioni, perché non possono introdursi limitazioni di questo genere.

Che se poi si intendesse fare riferimento a quelle manifestazioni sediziose, di cui si occupano il testo unico della legge di pubblica sicurezza e gli articoli 654 e 655 del Codice penale, mi sembra che anzitutto il «pacificamente» non esprimerebbe appieno il significato delle disposizioni legislative indicate; e poi non sarebbe ciò materia della Costituzione, ma delle norme particolari, che già si occupano di questi fatti, i quali costituiscono reato e sono perseguibili specificamente, a termini delle leggi penali.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Lami Starnuti, Tremelloni e Carboni, hanno presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire alla parola: anche, le altre: private o».

DI GLORIA. Fo mio l’emendamento e chiedo di svolgerlo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GLORIA. La dizione dell’articolo 12, che cioè: «per le riunioni anche in luogo pubblico non è richiesto preavviso», contiene implicitamente, a fortiori, anche il diritto di tenere riunioni private senza preavviso. Tuttavia è preferibile sostituire la dizione seguente:

«Per le riunioni private o in luogo aperto al pubblico non è richiesto preavviso».

In fatto di chiarezza non si è mai chiari abbastanza!

D’altra parte, se sarà accolto l’emendamento Caroleo, noi siamo disposti a ritirare il nostro; ma finché non lo sappiamo, insistiamo in quello che abbiamo presentato.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mazzei e Santi hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Aggiungere al primo comma:

«In nessun caso la legge può limitare questa libertà per ragioni politiche».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso all’autorità, che può, con provvedimento motivato, vietarle per ragioni di sicurezza e di incolumità pubblica».

Non essendo gli onorevoli Mazzei e Santi presenti, gli emendamenti si intendono decaduti.

Parimenti s’intende decaduto, per l’assenza dell’onorevole Crispo, il seguente emendamento da lui presentato e già svolto:

«Al terzo comma, dopo le parole: in luogo pubblico, aggiungere le seguenti: o esposto al pubblico».

L’onorevole Cappi ha ora proposto di fondere gli articoli 12 e 13 nella seguente formulazione:

«I cittadini sono liberi di riunirsi pacificamente e senza armi e di associarsi per fini che non siano penalmente illeciti.

«Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CAPPI. Il mio emendamento ha un lato che si riferisce alla forma e un lato che si riferisce alla sostanza.

Per la forma, mira ad una maggiore concisione dei due articoli: li riduce presso a poco alla metà. Mi sembra, infatti, che per omogeneità di materia, ciò che riguarda il diritto di riunione e quello di associazione possa essere compreso in un unico articolo.

Quanto alla sostanza, riconosco che si va contro i criteri generali adottati dalla Commissione, perché si tratta di omettere nell’articolo le particolari condizioni alle quali si vuole subordinare il diritto di riunione, cioè il preavviso, la possibilità di proibizione e via dicendo.

Pare a me, che si dovrebbe affermare il diritto di riunione, di associazione e che le eventuali limitazioni, per ragioni di incolumità pubblica o altre, si debbano rimettere a quella che sarà la legge di pubblica sicurezza, la quale potrà con maggiore concretezza disciplinare questo diritto.

Ad ogni modo, se questa seconda parte sostanziale non è accettata dalla Commissione, io insisto almeno per la parte formale, per dare maggiore stringatezza e brevità ai due articoli.

PRESIDENTE. Prego la Commissione per la Costituzione di esprimere il proprio parere sugli emendamenti.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Comincio dall’emendamento proposto dall’onorevole Cappi, il quale involge una questione di carattere generale, cioè la fusione in uno degli articoli 12 e 13. La Commissione non accetta questo emendamento, che lo stesso onorevole Cappi ha dichiarato di valore soltanto formale. Anche per questa ragione prego l’onorevole Cappi di non insistervi. I due articoli devono rimanere distinti per meglio accentuare gli elementi specifici del loro contenuto.

Altro è dire riunione, altro dire associazione. Una riunione può avvenire anche tra cittadini, che non sono associati tra di loro in partiti o in speciali organizzazioni. Le riunioni poi hanno finalità contingenti e distinte da quelle permanenti delle associazioni.

Quanto all’emendamento di carattere sostanziale proposto dall’onorevole Cappi allo stesso articolo, potremo riservarci di discuterlo nel merito quando verrà il turno dell’articolo 13.

CAPPI. D’accordo.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Allora esaminiamo gli emendamenti proposti per l’articolo 12.

Basta leggere quelli degli onorevoli Lami Starnuti e Caroleo, per capire subito che essi hanno valore puramente formale. Vogliamo proprio insistere in queste modificazioni di forma?

L’onorevole Caroleo propone:

«Tutti hanno diritto di riunirsi dovunque senz’armi».

Faccio notare all’onorevole Caroleo che tutte le Costituzioni (e ciò senza volere essere pedissequi imitatori) che hanno trattato il diritto di riunione, si esprimono allo stesso modo, cioè nel senso di riconoscere il diritto stesso ai cittadini che intendano riunirsi, purché lo facciano pacificamente e senz’armi.

Sopprimere il «pacificamente» e lasciare soltanto «senz’armi», mi pare che costituisca una mutilazione impropria e, quindi, inaccettabile, come inaccettabile è l’altro emendamento aggiuntivo dello stesso onorevole Caroleo, relativamente all’avverbio «dovunque». Insisto, dunque, nella formula del progetto. La legge penserà al resto.

Circa l’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti: «Per le riunioni private o in luogo aperto al pubblico», ritengo che anch’esso sia di valore formale e peggiori, piuttosto che migliorare, la nostra formula. Prego perciò l’onorevole Lami Starnuti di volerlo ritirare. E poiché l’onorevole Mazzei ha già ritirato il suo, e l’onorevole Cappi ha aderito alla mia proposta di mantenere distinti i due articoli, penso che si potrà senz’altro addivenire alla votazione della nostra formula.

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, ella mantiene i suoi emendamenti?

CAROLEO. Non mi oppongo a che sia mantenuto l’avverbio «pacificamente», ma insisterei per la soppressione del secondo comma.

PRESIDENTE. Onorevole Di Gloria, ella mantiene il suo emendamento?

DI GLORIA. Noi possiamo votare senz’altro l’emendamento dell’onorevole Caroleo.

PRESIDENTE. Onorevole Cappi, ella mantiene il suo emendamento?

CAPPI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo ai voti il primo comma nella formula proposta dall’onorevole Caroleo, il quale ha accettato di mantenere la parola: «pacificamente»:

«Tutti hanno diritto di riunirsi dovunque pacificamente e senz’armi».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma nel testo della Commissione: «Tutti hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi».

(È approvato).

Dobbiamo ora votare la proposta dell’onorevole Caroleo di sopprimere il secondo comma.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. A maggior ragione insisto perché l’onorevole Caroleo ritiri il suo emendamento.

CAROLEO. Vi rinuncio.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma nel testo proposto dalla Commissione: «Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma:

«Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso all’autorità, che possono vietarle per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica».

(È approvato).

Il testo dell’articolo 12 è, quindi, nel suo complesso il seguente:

«Tutti hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.

«Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.

«Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica».

Passiamo all’articolo 13.

«I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

«Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

Sono stati presentati a questo articolo alcuni emendamenti. L’onorevole Mastino Pietro, ha proposto di sopprimere il primo comma.

Non essendo egli presente, l’emendamento che aveva già svolto, si intende decaduto.

L’onorevole Corsanego ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: che non sono vietati, sostituire: che non siano vietati».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORSANEGO. Non è necessario svolgere questo emendamento, perché basta leggerlo: è soltanto una garbata ribellione all’eccessivo amore che l’illustre Presidente della nostra Commissione ha per il modo indicativo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Della Seta:

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Sono proibite quelle associazioni che, per tener celata la loro sede, per non compiere nessun pubblico atto che accerti della loro esistenza, per tener celati i principî che esse professano, debbono considerarsi associazioni segrete e, come tali, incompatibili in un disciplinato regime di libertà.

«Sono proibite, altresì, quelle associazioni che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

L’onorevole Della Seta ha facoltà di svolgerlo.

DELLA SETA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi; in tempi oscuri, sotto i dispostici regimi, le associazioni segrete sorgono per generazione spontanea; e non v’è occhio scaltro di polizia, non ferocia di reazionario Governo, che valga a scoprirle o a sopprimerle.

Quando la libertà è un mito, quando un delitto è il pensiero, quando anche uno sguardo, anche un sospiro è sospetto, allora le anime fiere e generose si raccolgono nell’ombra e da quell’ombra scaturiscono le prime luci annuncianti l’aurora della libertà.

Noi italiani non possiamo dimenticare che con i primi moti carbonari del 1820 e del 1821 l’Italia ha dato i primi fremiti per la propria indipendenza, per la propria unità, per la propria libertà. E noi legislatori non dobbiamo dimenticare che, come sospetto di appartenere alla Carboneria, fu denunciato e vessato il principe della scienza giuridica italiana; colui il cui libro postumo, meraviglioso, sulla «Scienza delle Costituzioni» dovrebbe oggi essere presente ad ognuno di noi, a quanti qui siamo per elaborare una Costituzione; colui che ebbe come discepolo prediletto, come «pupilla dei suoi occhi » Carlo Cattaneo; colui che ancora oggi, dopo morto, è più vivo di prima, intendo Gian Domenico Romagnosi.

Ma quando siamo in democrazia, quando la libertà non è un mito, quando libera la parola può farsi ascoltare dalla cattedra, dalla tribuna, nel foro, quando la stampa su tutto e su tutti può esercitare il suo diritto di critica, allora le associazioni segrete, di qualsiasi colore e di qualsiasi genere, rosse o nere, laiche od ecclesiastiche, non hanno alcuna ragione di essere. Se sono, solo una cosa testimoniano, cioè che un qualcosa di poco onesto e di poco confessabile in esse e per esse si compie.

E, perciò, io mi spiego il divieto che, per le associazioni segrete, nell’articolo 13 è stato consacrato. Si potrà discutere, in linea teorica, sulla opportunità o meno di rendere esplicito quanto è già implicito nello spirito di una Costituzione repubblicana; ma se il divieto è stato consacrato nella Costituzione, rimanga pure; rimanga, ma senza equivoci. Questo il punto.

Si è detto da taluno che con questo articolo si è voluto colpire di traverso, senza nominarla, una qualche associazione ritenuta erroneamente segreta. Io non do credito a questo giudizio. Se così fosse, dovrei ripetere quanto, per altro argomento, già dissi, cioè essere questa una Costituzione reticente, e, in quanto reticente, mortificante. Dovrei dire essere questa anche una Costituzione poco cauta, perché riaprirebbe, nel Paese, la discussione su quali sono e non sono le organizzazioni veramente segrete, che, operando nell’ombra, minano la struttura democratica e repubblicana del nuovo Stato.

Ma io, ripeto, non posso dar credito a questo giudizio. Preferisco, prendendone atto, ricordare a me stesso quello che con tanta insistenza e con tanto fervore è stato ricordato dall’onorevole Ruini, Presidente della Commissione, e anche ieri dallo stesso onorevole Tupini; cioè che questa nostra Costituzione non è, e non vuole essere, una semplice platonica affermazione di principî, ma ha un carattere storico, nel senso che una qualche parola, una qualche locuzione, una qualche affermazione, una qualche norma suonano come negazione, come condanna di quanto, sotto il passato regime dittatoriale, è stato, per mire reazionarie e liberticide, perpetrato.

Quindi, ad impedire che taluno – e questo taluno potrebbe essere un uomo di Governo, un uomo di parte, un partito o una chiesa – sotto la maschera di fare appello al rispetto della Costituzione, possa domani farsi iniziatore, in pieno regime repubblicano, di una nuova azione reazionaria e liberticida, la triplice necessità, morale, giuridica e politica, di ben precisare quali siano le note, onde una data associazione possa o no ritenersi segreta.

È un’associazione che tiene celata la sua sede o si trasferisce di sede in sede per sfuggire al controllo della pubblica autorità? È, senza dubbio, un’associazione segreta. Se riuscite a scoprirla, cada sotto la sanzione della legge.

È un’associazione che non ha una persona o più persone, degne moralmente e intellettualmente, che la rappresentino e ne assumano, pubblicamente, di ogni suo atto la piena responsabilità? È un’associazione che nessun atto compie che sia reso di pubblica ragione? È anche questa un’associazione segreta. Se riuscite a scoprirla, cada pur essa sotto la sanzione della legge.

È un’associazione che si fa assertrice di taluni principî? Ed allora, prima di condannarla, si ha il dovere di esaminare e di valutare questi principî, cioè se siano contro il sentimento religioso o se, nel rispetto di tutte le fedi, siano per la libertà di coscienza; se siano per la patria o contro la patria; se siano a favore o contro la democrazia, a favore o contro l’ordinamento repubblicano; se favoriscano il divampare del più esasperante nazionalismo o siano invece per l’armonia tra gli Stati, per la fratellanza tra i popoli.

Tutto questo, onorevole Presidente e signori della Commissione, ho voluto significare col mio emendamento, onde non si abbia, nell’articolo 13, questa latente, patente contradizione: mentre nel primo comma si ha il riconoscimento pieno della libertà di associazione, col secondo comma, per una troppo generica dizione, si apre la via a possibili deprecabili violazioni di quella libertà anteriormente, esplicitamente consacrata.

PRESIDENTE. Vi è, infine, l’emendamento degli onorevoli Bellavista e Candela:

«Al secondo comma, alle parole: Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, sostituire le altre: Sono proibite le associazioni che perseguono».

Non essendo presenti gli onorevoli presentatori, l’emendamento s’intende decaduto.

Prego la Commissione di esprimere il suo parere sugli emendamenti Corsanego e Della Seta.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Credo che l’onorevole Corsanego, per la motivazione stessa che verbalmente ha dato del suo emendamento, non vi insisterà e accetterà la formulazione indicativa che è così cara – come egli diceva – al Presidente della nostra Commissione e, quindi, rinuncerà a far mettere ai voti la sua proposta. Eventuali perfezionamenti di forma e di stile potranno essere fatti dopo che avremo approvato l’intero progetto.

Così pure mi dichiaro contrario all’emendamento dell’onorevole Della Seta. Io sono un grande estimatore dell’onorevole Della Seta, e penso che mi crederà sulla parola se gli dico che nella nostra formula non si annida alcuno dei sottintesi da lui temuti e denunciati. È evidente che le associazioni previste dall’articolo in esame sono quelle veramente segrete, e non quelle che per caso avessero i requisiti illustrati dall’onorevole Della Seta. Nessuno di noi pensa di sancire cose contrarie alla libertà e alla democrazia.

Ma l’onorevole Della Seta vorrà convenire che proprio nell’interesse della libertà e della democrazia non sono tollerabili e nemmeno concepibili delle associazioni con fini occulti ed inconfessabili. Prego, perciò, l’onorevole Della Seta di volersi appagare della nostra formula e ritirare il suo emendamento.

Quello dell’onorevole Bellavista deve intendersi decaduto per l’assenza del suo proponente. Non avrei, quindi, da rispondere ad altri colleghi, e mi pare che si possa procedere senz’altro alla votazione.

PRESIDENTE. Onorevole Corsanego, ella aderisce alla richiesta della Commissione?

CORSANEGO. Non è il caso di insistere per un verbo; però mi permetto di raccomandare che tutte le volte, in cui stilisticamente il modo soggiuntivo esprima meglio il pensiero del legislatore, sia adoperato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È una questione grammaticale; me lo ha insegnato Gianturco, che se ne intendeva più di lei e di me.

PRESIDENTE. L’onorevole Della Seta insiste sul suo emendamento?

DELLA SETA. Io sono sempre per la massima concisione, lapidaria, tacitiana; ma questa volta la concisione potrebbe tradire un po’ quella che è la sostanza. Io debbo riferirmi a quel senso storico a cui lei ieri s’è riferito…

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Non lo tradisco.

DELLA SETA. Se lei accetta il divieto, non dovrebbe aver nulla in contrario ad accettare quelle note particolari per cui le associazioni segrete si distinguono da quelle non segrete. È per quel senso storico cui ella stessa ha fatto appello. Noi stiamo legiferando dopo il regime dittatoriale. Quindi, ad eliminare ogni equivoco, credo necessario porre quelle note.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Mi permetto di insistere, onorevole Della Seta.

DELLA SETA. Se avessimo legiferato in altro momento, consentirei con lei pienamente.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Proprio perché deliberiamo in questo momento.

DELLA SETA. Mi duole molto, ma debbo insistere nell’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Cappi propone che l’articolo 13 si inizi con le parole: «Tutti» in luogo di: «I cittadini», in armonia con la dizione usata nell’articolo precedente.

Qual è il parere della Commissione su questo emendamento?

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Vorrei fare una domanda all’onorevole Cappi. Egli ha proposto di sostituire il termine: «tutti» alle parole: «i cittadini». Poiché alcuni dei colleghi della Commissione hanno dei dubbi al riguardo, propongo che, per la migliore intelligenza dell’Assemblea, l’onorevole Cappi illustri il suo emendamento. Si potrà così addivenire al voto con maggiore chiarezza.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Cappi.

CAPPI. Non comprendo, finché non mi sia spiegata, la discriminazione fra i cittadini e gli stranieri. Gli stranieri, infatti, che hanno diritto di soggiorno nel nostro territorio, perché non potrebbero associarsi, per fini leciti, in associazioni di studio o culturali in genere?

TUPINI. Presidente della prima Sottocommissione. Ma ci insiste proprio, onorevole Cappi? Guardi che sorge in taluno il dubbio che consentire agli stranieri di associarsi per fini politici propri, i quali potrebbero anche evidentemente essere in contrasto con i fini politici italiani, possa costituire un pericolo per il Paese. Prego, quindi, l’onorevole Cappi di voler apprezzare questa considerazione.

CAPPI. Rinunzio.

PRESIDENTE. Devo avvertire che pervengono ancora alla Presidenza emendamenti all’articolo 13, che non possono prendersi in considerazione, sia pure a malincuore, perché presentati in ritardo.

Ricordino gli egregi colleghi, che gli emendamenti non fioriscono all’ultimo minuto. I numerosi presentatori di questi emendamenti li avranno, presumo, meditati da parecchi giorni e avrebbero almeno potuto presentarli all’inizio della seduta.

Una voce a sinistra. La discussione può farli sorgere.

PRESIDENTE. Sì, può farli sorgere, ma relativamente agli emendamenti in discussione, non già rispetto al testo originario.

Pongo in votazione il comma nel testo della Commissione:

«I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Della Seta, non accettato dalla Commissione:

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Sono proibite quelle associazioni che, per tener celata la loro sede, per non compiere nessun pubblico atto che accerti della loro esistenza, per tener celati i principî che esse professano, debbono considerarsi associazioni segrete e, come tali, incompatibili in un disciplinato regime di libertà.

«Sono proibite, altresì, quelle associazioni che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

Avverto che per questa votazione è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Andreotti, Camposarcuno, Gotelli Angela, Carignani, Biagioni, Grilli, Gabrieli, Mannironi, Zerbi, Conti, Paolucci, Tozzi Condivi, Magrini, Bellusci, Zuccarini, Cappi, Firrao, Marazza, Taviani, Dominedò, Spallicci.

CAPPI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Voterò contro l’emendamento Della Seta, sia per le ragioni dette dall’onorevole Tupini, sia perché trovo incompleta la elencazione delle note caratteristiche della segretezza di un’associazione, perché mi sembra che la nota più caratteristica di una associazione segreta sia quella di non rendere pubblico l’elenco dei propri soci.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCÌFERO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento proposto dall’onorevole Della Seta, perché sono favorevole a qualunque disposizione che chiarisca quali sono gli intendimenti del legislatore e renda, pertanto, impossibile arbitrî successivi che vadano al di là delle sue intenzioni.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione per appello nominale. Estraggo il nome del Deputato dal quale essa dovrà cominciare.

(Esegue il sorteggio).

Comincerà dalla onorevole Delli Castelli Filomena.

Si faccia la chiama.

RICCIO, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Azzi.

Bassano – Bernabei – Bocconi – Buffoni Francesco.

Cairo – Carmagnola – Cevolotto – Chiaramello – Chiostergi – Cianca – Costantini.

D’Aragona – De Caro Raffaele – Della Seta.

Fabbri – Faccio – Fusco.

Ghidini – Giua – Grilli.

Labriola – Lombardi Riccardo – Lopardi – Lucifero.

Macrelli – Merighi.

Pacciardi – Paolucci – Paris – Pieri Gino – Pignatari.

Rodi – Rossi Paolo – Ruggiero Carlo.

Schiavetti – Spallicci.

Taddia – Tonello.

Vischioni.

Zanardi.

Rispondono no:

Allegato – Amadei – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bellusci – Belotti – Benedetti – Bergamini – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bonomelli – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Camangi – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carignani – Caroleo – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Cicerone – Cifaldi – Coccia – Colitto – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsini – Costa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabriani – Fanfani – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Federici Maria – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gatta – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchèro – Giannini – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Rocca – Leone Giovanni – Lettieri – Lombardi Carlo – Lozza.

Maffi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Marinaro – Martino Enrico – Marzarotto – Massini – Massola – Mastrojanni – Mattei Teresa– Mazza – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monticelli – Montini – Morini – Moro – Mortati – Murgia – Musolino.

Nobile Umberto – Nobili Oro.

Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pella – Perassi – Pertini Sandro – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Platone – Ponti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Puoti.

Ravagnan – Reale Eugenio – Recca – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rognoni – Romita – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini.

Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Secchia – Silipo – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Titomanlio Vittoria – Togni – Tonetti – Tosato – Tozzi Condivi – Treves – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Vernocchi – Viale – Vicentini – Villabruna.

Zerbi – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Canevari.

Patricolo.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Comunico che dalla numerazione dei voti risulta che l’Assemblea non è in numero legale. Pertanto, valendomi della facoltà concessami dall’articolo 36 del Regolamento, rinvio la seduta, con l’intervallo di un’ora, alle 20,30.

(La seduta, sospesa alle 19,30, è ripresa alle 20,30).

PRESIDENTE. Domando agli onorevoli firmatari se insistono nella loro richiesta di votazione per appello nominale.

ANDREOTTI. Rinunziamo.

PRESIDENTE. Sta bene.

Si procede allora alla votazione dell’emendamento Della Seta di cui precedentemente è stata data lettura.

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione del secondo comma dell’articolo nel testo della Commissione:

«Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

(È approvato).

Il testo dell’articolo 13 risulta, quindi, nel suo complesso, così formulato.

«I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

«Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».

Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio, perché dica se il Governo, di fronte alla decisione di serrata presa dai conduttori dei pubblici esercizi di Roma, alla minaccia analoga agitata dai commercianti di Torino, alla deliberazione dei proprietari di case di Milano di rifiutare il pagamento delle tasse, tipici esempi di una mentalità avida e incapace di comprendere le necessità del momento, atteggiamenti che nettamente contrastano con quelli delle masse lavoratrici che, sopportando da anni i durissimi pesi della sventura nazionale, danno diuturno spettacolo di rinuncia e di sacrificio, non ritenga di dovere immediatamente disporre le misure più severe consentite dalla legge per punire tanta manifestazione di chiuso egoismo ed ammonire ognuno della sua ferma volontà di svolgere senza esitazione il programma annunciato in materia economica e finanziaria.

«Massini, Farini, D’Onofrio, Pertini, Barbareschi, Grieco».

«Al Ministro dell’interno, sulle violenze commesse il 7 aprile in Guastalla contro il deputato Alberto Simonini per impedirgli di pronunciare un discorso politico.

«Grilli, Badini Confalonieri, Bonomi Ivanoe, Cifaldi, Tremelloni, Chiaramello, Calosso, Ghidini, Canevari, De Caro Raffaele, Ruggiero, D’Aragona, Cairo, Rossi Paolo, Di Gloria, Veroni».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Domani il Governo risponderà o comunicherà quando potrà rispondere.

PRESIDENTE. Avverto che domani vi sarà seduta alle 10 e alle 16.

La seduta termina alle 20.40.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 APRILE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXXIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 APRILE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Cifaldi                                                                                                              

Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno                                   

Silipo                                                                                                                

Mancini                                                                                                            

Lupis, Sottosegretario di Stato per gli italiani all’estero                                        

Togni, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale                      

Sullo Fiorentino                                                                                             

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Condorelli                                                                                                      

Marinaro                                                                                                         

Nobile                                                                                                               

Cairo                                                                                                                

Mastrojanni                                                                                                    

Dominedò                                                                                                         

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione                                                 

Bulloni                                                                                                            

Cappi                                                                                                                 

Preziosi                                                                                                            

Guerrieri Filippo                                                                                             

Rossi Paolo                                                                                                      

Ravagnan                                                                                                        

Treves                                                                                                              

Tonello                                                                                                            

Conti                                                                                                                

Corsanego                                                                                                       

Bettiol                                                                                                             

Patricolo                                                                                                         

Leone Giovanni                                                                                                

Per la discussione sulla situazione finanziaria:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

La Malfa                                                                                                          

Corbino                                                                                                            

Labriola                                                                                                          

Barbareschi                                                                                                       

Gronchi                                                                                                            

Scoccimarro                                                                                                    

D’Aragona                                                                                                       

Natoli                                                                                                              

Cianca                                                                                                              

Marinaro                                                                                                         

Chiostergi                                                                                                        

Interrogazioni ed interpellanza con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Galati, Sottosegretario di Stato per le poste e telecomunicazioni                          

Ghidetti                                                                                                            

Sullo Fiorentino                                                                                             

Geuna                                                                                                               

Fogagnolo                                                                                                       

Interrogazioni ed interpellanze (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La sedata comincia alle 10.

BERTOLA. Il Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana del 29 marzo.

(È approvato).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni.

La prima è quella dell’onorevole Geuna, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro, delle finanze e tesoro, «per conoscere quali provvedimenti il Governo intenda prendere a favore dei pensionati che versano nelle più gravi condizioni di stenti e di fame e che, senza agitazioni inconsulte, con alto senso di civismo, attendono legalmente giustizia».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Franceschini, al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, ed ai Ministri dei lavori pubblici, dell’assistenza post-bellica e del tesoro, «per conoscere se non ritengano rispondente a giustizia, oltreché conforme all’universale aspettazione, inserire opportunamente nel prossimo decreto, che regola il vasto piano della ricostruzione edilizia, una disposizione che distingua i sinistri per causa di rappresaglia da tutti gli altri considerati comunque effetto di eventi bellici; e conceda ai primi speciali condizioni di favore, sia quanto alla misura del risarcimento, che dovrebbe essere in buon numero di casi anche totale, sia quanto alla precedenza ed alla procedura nel vaglio dei progetti, nelle anticipazioni e nella esecuzione dei lavori. Il criterio discriminatorio per l’invocato provvedimento è imposto soprattutto dalla considerazione che, mentre i danneggiati da bombardamento o da altre operazioni belliche furono passivi verso l’azione causa di sinistro, i rappresagliati invece, nella loro quasi totalità, determinarono direttamente l’atto di devastazione nei propri riguardi col rendersi attivi nei confronti della lotta clandestina, per efficace partecipazione ad essa o per vario favoreggiamento, sì da incorrere coscientemente nelle barbare misure di repressione o di intimidazione, singole come collettive. Tali specifiche benemerenze, frutto di amore, di fede, di sacrificio, non possono non essere ritenute sacrosanto motivo per il riconoscimento d’un particolare debito della Patria».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Bonomi Paolo, al Ministro degli affari esteri, «per conoscere se risponda al vero che sia stato in questi giorni concluso un accordo suppletivo per l’invio in Francia di 10.000 bieticultori con arruolamento sottratto alla diretta funzione degli Uffici del lavoro e riservato soltanto ad alcune province; per sapere in pari tempo quali precise ragioni impediscano ancora di mettere in applicazione gli accordi per l’emigrazione in Argentina e facciano preferire, accordandole precedenza, l’emigrazione in Paesi che non possono offrire le condizioni e i vantaggi dell’emigrazione in Argentina».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Cifaldi, al quale però debbo rivolgere una preghiera a nome dell’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno il quale, dovendo tra breve assentarsi, desidererebbe fosse data la precedenza alle interrogazioni degli onorevoli Silipo e Mancini, così da potervi rispondere subito. L’onorevole Cifaldi acconsente?

CIFALDI. Acconsento.

PRESIDENTE. Si procede dunque allo svolgimento delle seguenti interrogazioni che, trattando lo stesso argomento, possono essere svolte congiuntamente:

Silipo, Bosi, Musolino, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intendano prendere nei riguardi del prefetto di Cosenza e del comandante la stazione dei carabinieri della medesima città, i quali, imponendo al dottor Valente Erminio di Fuscaldo, a mezzo di diffida, di cessare dalla sua attività sindacale e politica, hanno violato i diritti più sacri ed inalienabili dei cittadini italiani, agendo secondo i sistemi di un regime tirannico e dittatoriale. Gli interroganti segnalano la gravità dell’abuso commesso e la necessità di eliminarlo al più presto possibile.

Mancini, al Ministro dell’interno, «per conoscere se abbia emanato disposizioni agli organi dipendenti, tali da consentire il provvedimento della diffida, a modo del passato regime, nei confronti di un’attivista sindacale; e, in caso negativo, per conoscere quale provvedimento abbia l’onorevole Ministro adottato per la revoca della diffida arbitrariamente comminata dal maresciallo dei carabinieri della stazione di Cosenza, Polito Ricciotti, contro il dottor Erminio Valente; e quali misure crede di prendere a carico di costui, responsabile di tale atto lesivo della libertà politica e sindacale e dei diritti del cittadino perpetrato con verbale del 4 marzo».

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ringrazio per la cortesia della precedenza e prometto che sarò brevissimo. Spero anche che gli interroganti possano dichiararsi sodisfatti, perché il provvedimento di diffida a carico del dottor Erminio Valente di Fuscaldo è stato revocato dal prefetto di Cosenza, a seguito delle risultanze di nuovi accertamenti. Confido che questa precisazione valga a sodisfare gli onorevoli interroganti.   

PRESIDENTE. L’onorevole Silipo ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SILIPO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario delle spiegazioni che ha fornite e soprattutto lo ringrazio della notizia della revoca del provvedimento. Intendo, però, dire qualche cosa intorno al maresciallo dei carabinieri. Quale provvedimento è stato preso contro questo messere, il quale crede ancora di essere nei tempi per lui belli, quando era possibile ogni abuso e sopruso, e non già in quelli della Repubblica italiana? Questo maresciallo, che pare abbia ingannato anche il prefetto, si crede ancora una potenza e, come lui, quasi tutti i marescialli che si trovano in Calabria.

È precisamente su questo stato di cose che richiamo l’attenzione dell’onorevole Sottosegretario; perché i marescialli e i brigadieri dei carabinieri – salve le debite eccezioni – quando devono prendere provvedimenti contro i fascisti, allora diventano le «vestali della libertà», mentre, quando debbono prendere provvedimenti contro gli antifascisti, allora sono i «rigidi tutori dell’ordine». Non ho altro da aggiungere.

PRESIDENTE. L’onorevole Mancini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MANCINI. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per l’interno della cortese risposta data alla mia interrogazione, e mi dichiaro completamente sodisfatto. Faccio mia anche la preghiera rivolta dal compagno Silipo, che sarebbe opportuno che al più presto possibile si prendessero provvedimenti per allontanare tutti i marescialli dei carabinieri dalla provincia di Cosenza. Essi infatti vi hanno fatto lor nido da parecchi lustri e vi imperversano nello stesso modo come vi imperversavano ai tempi fascisti, con questa differenza: che allora naturalmente era compatibile ed era garantita la loro attività. Oggi tutti i sovversivi sono dichiarati fascisti. Fu dichiarato fascista questo giovanetto di 22 anni, il dottor Valente, laureato in scienze politiche e sociali, il quale ai tempi in cui è caduto il fascismo, aveva 16 anni.

Mi auguro che il Sottosegretario per gli interni terrà presente la nostra preghiera e la farà presente al Comandante la Legione di Catanzaro, il quale è un ufficiale che sa fare il suo dovere ed intende quali sono i doveri dei suoi subordinati.

PRESIDENTE. Passiamo ora all’interrogazione degli onorevoli Cifaldi, Corbino, Cortese, Badini Confalonieri, ai Ministri degli affari esteri e del lavoro e previdenza sociale, «per conoscere le ragioni della ritardata esecuzione degli accordi conclusi fra l’Argentina e l’Italia per l’emigrazione di nostri lavoratori».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli italiani all’estero ha facoltà di rispondere.

LUPIS, Sottosegretario di Stato per gli italiani all’estero. Il Governo italiano non ha opposto, né ha intenzione di opporre, il minimo ostacolo all’emigrazione in Argentina, essendo, anzi, suo vivo desiderio che tale emigrazione sia svolta con la maggiore ampiezza in corrispondenza delle richieste che potranno pervenire dalla nazione amica.

Il Ministero degli esteri e quello del lavoro si tengono a stretto contatto con la Delegazione argentina, e stanno svolgendo con essa conversazioni conclusive su tutti i particolari, che dovranno prolungarsi di qualche giorno, ma non ritarderanno in alcun modo l’inizio delle partenze che dovrebbe aver luogo l’8 maggio, se le date di arrivo dei vapori argentini resteranno, come è da sperare, inalterate.

Per quanto si riferisce ai reclutamenti, la Delegazione argentina ha promesso di comunicare tra breve la composizione professionale dei primi trasporti. Appena in possesso di tali informazioni, le amministrazioni competenti prenderanno le disposizioni del caso.

È infine da tener presente che, mentre è da sperare per l’anno prossimo una larga corrente emigratoria verso la Repubblica argentina, le effettive possibilità di trasferimento in quei territorio, tenuto conto di tutti i mezzi di trasporto che si riuscirà a mobilitare, avranno necessariamente quest’anno limiti piuttosto ristretti, che si pensa possano comprendere da 30 a 40 mila lavoratori. È necessario che ciò si sappia per non alimentare esagerate aspettative e conseguenti disillusioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale, per la parte di sua competenza, ha facoltà di rispondere.

TOGNI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Allo stato attuale, diremo costituzionale italiano, le competenze del Ministero del lavoro e degli uffici da questo dipendenti in materia di emigrazione si limitano unicamente a provvedere al reclutamento dei lavoratori che desiderano emigrare, operando le opportune selezioni dal punto di vista tecnico-professionale e dal punto di vista sanitario.

A tal proposito, anche con riferimento a molte notizie inesatte comparse sulla stampa, la quale purtroppo devesi rilevare come sia molto prodiga di spazio verso certe notizie che sostanzialmente dovrebbero avere meno interesse, mentre è molto parca nel concedere spazio a comunicati e notizie di organismi responsabili che interessano veramente gran parte del popolo italiano, ricordo che il 12 marzo il Ministero del lavoro emanò un comunicato col quale si precisava la situazione effettiva ed aggiornata dei rapporti e delle condizioni relative all’emigrazione argentina.

Nello stesso giorno, con circolare 12 marzo, indirizzata a tutti gli Uffici del lavoro, il Ministero del lavoro emanò le norme che determinano la procedura per la raccolta delle domande di emigrazione e per il compimento delle operazioni di reclutamento dei lavoratori emigranti. Tali norme prevedono una stretta collaborazione fra gli uffici del lavoro e tutti gli altri enti e organizzazioni a carattere sia sindacale che assistenziale, direttamente o indirettamente interessati all’emigrazione dei nostri lavoratori. Tali norme di carattere generale sono state poi integrate con altre dettate con circolare del 25 marzo 1947, non appena cioè abbiamo avuto dal Ministero degli esteri gli elementi del caso, con la quale è stato stabilito che, in attesa che da parte argentina vengano indicate le categorie professionali definitivamente desiderate come numero e come destinazione, gli uffici provinciali del lavoro devono senz’altro iniziare la raccolta delle domande e provvedere alla prima istruttoria delle stesse, avendo cura di informare i singoli interessati che l’accettazione di tali domande è per ora effettuata al solo fine di guadagnare tempo rispetto al momento in cui si potrà dar corso all’avviamento dell’emigrazione stessa. Non appena avremo da parte argentina, tramite il Ministero degli esteri, gli elementi definitivi, gli uffici del lavoro saranno in grado di completare in breve termine la compilazione delle liste di emigrazione e dar, quindi, attuazione pratica agli accordi stessi.

PRESIDENTE. L’onorevole Cifaldi na facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CIFALDI. Sono riconoscente agli onorevoli Sottosegretari per gli italiani all’estero e per il lavoro delle notizie che hanno avuto la bontà di riferire, perché è esatto il rilievo dell’onorevole Sottosegretario per il lavoro di una larga diffusione fatta dalla stampa di notizie che hanno creato, specie in vaste zone del Mezzogiorno, speranze di possibili e facili emigrazioni in Argentina. Noi conosciamo la situazione in cui si trova tanta parte della nostra popolazione agricola e riceviamo – dico così perché credo che come me molti altri colleghi di questa Assemblea le ricevano – continue domande e premure per sapere qualche cosa di concreto in ordine alla possibilità di emigrazione verso questa nazione amica. Ritengo, perciò, essere opportuno poter fare intendere quelli che sono i limiti effettivi e le difficoltà vere che si frappongono a questa emigrazione. Praticamente mi pare di aver capito che sarà possibile cominciare con l’8 maggio, come diceva l’onorevole Sottosegretario per gli italiani all’estero, i primi viaggi verso l’Argentina, mentre sembrerebbe, non dico una contraddizione, ma per lo meno una differente interpretazione, quanto detto dall’altro Sottosegretario, che cioè ogni possibilità pratica è ancora sospesa dipendendo dalle ulteriori notizie che l’Argentina deve far conoscere a noi, circa la qualifica degli operai o degli emigranti che desidera e preferisce; onde sembrerebbe che allo stato attuale non ci sia nessuna concreta possibilità di emigrazione verso l’Argentina.

Ora, io mi permetto di chiedere che si voglia eventualmente sollecitare perché questa emigrazione abbia corso. Certo non è possibile far alcunché che non sia più che conveniente e utile da parte nostra, ma bisognerebbe rimuovere anche con buona volontà gli ostacoli che si possono frapporre. Credo che ciò sia giovevole agli interessi collettivi, perché sono proprio di pochi giorni or sono e la voce raccolta dagli onorevoli Mancini e Sardiello a proposito dei moti nelle Calabrie e le notizie relative ai fatti di Taranto e quelle relative alle agitazioni di Gioia del Colle e di altri paesi. Indubbiamente il substrato di queste agitazioni è economico. Se possiamo avviare all’emigrazione i lavoratori che sono disoccupati e soffrono la fame nel nostro paese, potremo raggiungere l’intento che tutti desideriamo. E ritengo che anche la Confederazione generale del lavoro voglia adoperarsi affinché siano agevolate le possibilità di questa emigrazione. Credo che il problema debba essere inteso in un senso morale e in un senso pratico; credo che dobbiamo cercare di spezzare questo cerchio di isolamento in cui tutt’ora è costretto il nostro paese. Riallacciando i rapporti con le Nazioni che si dimostrano verso di noi più amiche e benevole, possiamo più facilmente avere la possibilità di riprendere queste file così proficue per il lavoro italiano.

L’Argentina mi sembra la nazione che, sia per il suo clima, sia per le larghissime possibilità di lavoro, sia per la buona volontà dimostrata verso la nostra Nazione, possa accogliere larghe masse di nostri lavoratori, di quei lavoratori che nelle difficoltà dell’ultima guerra hanno saputo mantenere la fiaccola del rispetto dovuto alla nostra Italia, e del prestigio del nostro lavoro.

Spero, quindi, che il Ministro del lavoro e quello degli esteri possano accogliere queste mie premure e vogliano rimuovere le difficoltà che ancora ostacolano il rapido avviamento di questa nostra emigrazione verso l’Argentina. (Approvazioni).

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

SULLO FIORENTINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SULLO FIORENTINO. Desidero domandare quando il Ministro dell’Agricoltura vorrà rispondere ad una mia interrogazione, di cui già è stata riconosciuta l’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’agricoltura non è presente. Ella potrà ripetere la sua richiesta in fine di seduta.

Presidenza del Presidente TERRACINI

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Procediamo all’esame dell’articolo 9, così concepito:

«La libertà e la segretezza di corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono garantite. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge».

A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti, fra i quali il seguente, già svolto, dell’onorevole Mastino Pietro:

«Sostituirlo col seguente:

«L’inviolabilità della persona e del domicilio, le libertà di circolare e di soggiornare nel territorio della Repubblica, di associazione, di parola, di propaganda, di stampa, di fede e di culto religiosi ed ogni forma di corrispondenza e di comunicazione sono garantite dalla legge».

Seguono altri emendamenti non ancora svolti. Il primo è quello dell’onorevole Ruggiero Carlo, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Il segreto della corrispondenza è inviolabile. Può essere fatta deroga solo in forza di atto motivato dell’autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge».

Non essendo presente l’onorevole Ruggiero Carlo, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’emendamento degli onorevoli Condorelli e Bellavista, così formulato:

«Sopprimere la seconda parte.

«Nel caso in cui tale emendamento venga respinto, alla fine dell’articolo aggiungere: ed in pendenza di procedimento penale».

L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgerlo.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, è stato reiteratamente osservato da varie parti come in questa nostra Costituzione avvenga molto spesso che si enunci un principio ritenuto evidente, ma che poi viene svuotato di contenuto, ammettendo la possibilità di larghe e illimitate eccezioni da parte del legislatore.

Ciò si ravvisa in moltissimi articoli compreso questo. Ieri l’onorevole Tupini, rispondendo ad analoghe osservazioni fatte da altri colleghi, disse che, quando questa possibilità di deroga è attribuita al potere legislativo o al potere giudiziario, non è vulnerata la libertà del cittadino, perché la massima fiducia in uno Stato civile e libero va accordata a questi poteri.

Però, io osservo che ciò non vale gran che laddove si cerca di creare una Costituzione rigida, la quale ha la principale funzione di indirizzare l’attività del legislatore.

Ora, una Costituzione rigida non è tanto diretta a limitare il potere esecutivo, che è limitato dalla legge, quanto a limitare il potere legislativo.

Enunciare un principio e poi aprire un amplissimo ambito, muovendosi nel quale il potere legislativo può anche distruggere il principio stesso, è indubbiamente un errore di tecnica.

Questo errore si presenta particolarmente grave in rapporto alla disposizione in esame, nella quale è affermato un principio, ormai indiscutibile: la libertà e la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, salvo però, si dice, i casi previsti dalla legge come eccezionali.

Ora, a me pare che questo principio vada affermato assolutamente, senza limitazioni di sorta.

Può essere limitata la libertà e la segretezza di corrispondenza, in conseguenza necessaria delle limitazioni della libertà personale e della libertà domiciliare, nei casi in cui la Costituzione prevede che queste libertà, personale e domiciliare, possano essere limitate.

Aggiungere particolari limitazioni alla libertà e alla segretezza della corrispondenza mi pare non giustificato in nessun modo.

Io, perciò, col mio emendamento propongo la soppressione della seconda parte dell’articolo.

Bisogna affermare pienamente ed illimitatamente questa libertà e segretezza di corrispondenza, senza aggiungere altre limitazioni a quelle necessariamente derivanti dalle limitazioni previste alla libertà personale e domiciliare.

Io trovo che, in sostanza, i redattori di questo articolo della Costituzione si sono preoccupati della opportunità di non limitare eccessivamente l’attività dell’Autorità giudiziaria nella scoperta dei reati. Ma osservo che, data la redazione attuale della seconda parte dell’articolo, basterebbe supporre o inventare il sospetto di un reato o di una responsabilità per distruggere totalmente la libertà e la segretezza della corrispondenza: basterebbe che l’Autorità giudiziaria avesse il sospetto d’un reato, per limitare questa libertà.

Se poi si vuole prevedere questo, si faccia quello che io propongo nell’emendamento che presento in via subordinata; si dica che l’Autorità giudiziaria con un provvedimento può limitare questa libertà personale ad una determinata persona «in pendenza di procedimento penale». È questa una preoccupazione avvertita anche dal collega Bulloni, il quale in un suo emendamento vorrebbe sostituire l’inciso «nei casi stabiliti dalla legge» con l’altro «nei casi di inchiesta penale».

Io lascio la decisione ai tecnici del diritto processuale penale; ma ritengo che la mia formulazione «in pendenza di procedimento penale» sia esatta, perché inchiesta penale potrebbe aversi, io penso, anche al di fuori d’un procedimento penale.

L’inchiesta penale può essere anche condotta dalla polizia, salvo poi fare una denuncia all’Autorità giudiziaria. Accettando la dizione dell’emendamento dell’onorevole Bulloni ne deriverebbe che si potrebbe avere la limitazione di questo diritto gelosissimo anche durante una semplice inchiesta di polizia. Mi sembra più logico che questa limitazione, se ci deve essere, ci sia soltanto quando è aperto il procedimento penale, altrimenti mi pare che si verrebbe ad introdurre una eccezione che vuoterebbe di ogni contenuto pratico il principio. Sia chiaro che il legislatore potrà limitare la libertà e la segretezza della corrispondenza soltanto per le necessità del procedimento penale ed in pendenza di esso.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento a firma degli onorevoli Bulloni, Benvenuti e Avanzini:

«Alle parole: nei casi stabiliti dalla legge, sostituire le altre: nei casi di inchiesta penale».

Non essendo presenti i firmatari, l’emendamento s’intende decaduto. Come pure è decaduto, per la stessa ragione, l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, di cui ho già dato lettura.

Rimane, quindi, soltanto l’emendamento degli onorevoli Condorelli e Bellavista sul quale chiedo alla Commissione di esprimere il proprio parere.

MARINARO. A nome della Commissione, dichiaro di non accettare l’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo nella formulazione proposta dalla Commissione:

«La libertà e la segretezza di corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono garantite.

(È approvata).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Condorelli di sopprimere la seconda parte dell’articolo.

(Non è approvata).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei chiedere un chiarimento: nel caso di guerra, la censura deve essere certamente ammessa. Chiedo se questo è considerato in qualche altro articolo.

PRESIDENTE. Sono già stati presentati degli articoli aggiuntivi che prevedono questa possibilità. L’onorevole Crispo ha presentato appunto un articolo aggiuntivo che prevede modificazioni alle modalità stabilite in questo articolo in caso di guerra, di stato d’assedio, ecc. L’onorevole Nobile, comunque, non ha presentato nessun emendamento su questo punto.

NOBILE. Ne parlerò in occasione dell’emendamento Crispo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seconda parte dell’articolo 9 nel testo della Commissione:

«La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge».

(È approvata).

Pongo ora in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Condorelli così formulato:

«ed in pendenza di procedimento penale».

(È approvato).

L’articolo 9, nel suo complesso, risulta così formulato:

«La libertà e la segretezza di corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono garantite. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge ed in pendenza di procedimento penale».

Passiamo all’esame dell’articolo 10:

«Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano, nei limiti e nei modi stabiliti in via generale dalla legge per motivi di sanità o di sicurezza. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per ragioni politiche.

«Ogni cittadino ha diritto di emigrare, salvo gli obblighi di legge.

«La Repubblica tutela il lavoro italiano all’estero».

A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti. Il primo è quello, già svolto, dell’onorevole Mastino Pietro:

«Sostituirlo col seguente:

«Ogni cittadino ha diritto di emigrare salvo gli obblighi di legge».

Segue l’emendamento degli onorevoli Cairo, Di Gloria, Rossi Paolo, Pera, Persico:

«Sostituirlo col seguente:

«Tutti i cittadini possono trasferirsi e dimorare in qualsiasi parte del territorio italiano, ove non facciano ostacolo motivi generali di sanità e di sicurezza determinati dalla legge.

«L’emigrazione all’estero è libera.

«La Repubblica protegge ed assiste i cittadini emigrati per ragione di lavoro».

L’onorevole Cairo ha facoltà di svolgerlo.

CAIRO. Il nostro emendamento, mira soprattutto a sostituire alcune espressioni che, a nostro avviso, sono imprecise.

Nel testo della Commissione, infatti, si parla di circolazione. Abbiamo preferito la dizione «trasferirsi», poiché sembra a noi che la parola usata nel progetto abbia un che di tecnico e di scientifico che male si riferisce agli uomini, e che fa pensare alla circolazione monetaria, alla circolazione sanguigna, alla circolazione dei veicoli; abbia, insomma, un sapore per così dire regolamentare che non è, a nostro avviso, conforme a quella che dovrebbe essere l’espressione anche linguistica e lessicale del testo costituzionale; tanto più che nel concetto di trasferimento c’è qualche cosa di permanente e di positivo che sfugge al concetto di circolazione.

E questo è così vero, a nostro avviso, che in un altro emendamento suggerito da altro collega, per intensificare questo concetto di circolazione, si è arrivati persino ad affermare la libertà di movimento; il che – è lapalissiano il dirlo – non è possibile ammettere. Quindi, ritengo che la parola «trasferimento» traduca meglio e meglio concreti il pensiero anche dei colleghi che hanno proposto l’articolo.

Abbiamo sostituito, poi, nel nostro emendamento, la parola «dimora» alla parola «soggiorno», in quanto riteniamo che con la parola «dimora» si faccia ricorso ad un preciso istituto giuridico previsto dalla nostra legislazione, mentre l’istituto del «soggiorno» non esiste. L’espressione, oltre a non essere perfettamente giuridica, fa pensare a qualcosa di fiscale; io penso, in questo momento, alla «tassa di soggiorno». Quindi, il far riferimento all’istituto della dimora credo non sia solo questione linguistica, ma anche questione di un certo contenuto giuridico.

Nel testo proposto da noi si afferma sic et simpliciter che l’emigrazione all’estero è libera, e si toglie l’espressione «salvo gli obblighi di legge». Qui il pensiero va a quello che riguarda specialmente il dovere militare, e cioè alla coscrizione. A questo proposito noi abbiamo il nostro pensiero, che svolgeremo a suo tempo. Comunque, noi riteniamo, fautori come siamo di quella nazione armata, che potrebbe diventare una realtà storica, suggerita dalle nostre condizioni storiche in questo momento, noi riteniamo che liberi come saremo dai vincoli di questa obbligatorietà del servizio militare, noi potremo affermare finalmente il grande principio, che è principio di civiltà socialista, del libero trasferimento di tutti i popoli e della libera emigrazione da una parte all’altra dei territori del mondo.

Il «salvo gli obblighi di legge» ci sembra una di quelle limitazioni, che purtroppo abbondano in questo testo costituzionale, per le quali concetti che dovrebbero apparire come dichiarazioni di principio trovano poi subito delle limitazioni, talvolta anche ingiustificate, in questo ricorso perenne alla legge. Il dire, a nostro avviso, che «l’emigrazione all’estero è libera» è affermare uno di questi principî fondamentali. Il sopprimere la frase «salvo gli obblighi di legge» non può significare senz’altro che l’emigrazione non possa essere regolata dalla legge. Il principio affermato dalla Costituzione è un principio fondamentale e generale e non toglie al legislatore la possibilità di una limitazione che non vada a violare il principio, ma che sia un’applicazione del principio stesso. Noi riteniamo che sia assolutamente necessario affermare solennemente questo principio di libertà che riguarda il nostro avvenire, che riguarda l’avvenire pacifico, che noi abbiamo in cima a tutti i nostri pensieri, dell’Europa e del mondo.

Al terzo ed ultimo comma il nostro emendamento sostituisce le parole «protegge ed assiste» alla parola «tutela». Nella tutela è parso ai proponenti dell’emendamento che fosse insito un concetto paternalistico che avesse, direi quasi, un richiamo nostalgico alla protezione paterna, a quella specie di tutela che faceva della nazione una specie di pupilla, che fu del fascismo ma che non deve essere della Repubblica italiana. Si aggiunge la parola «assiste» perché noi riteniamo che il dovere della Repubblica non sia solo quello di proteggere, ma anche quello di prestare assistenza effettiva agli emigranti. Il concetto di assistenza troverà poi il suo sviluppo e il suo svolgimento in quella sede sindacale, la quale darà, d’accordo con gli organi del Governo della Repubblica, il continuo sussidio, il costante sostegno a questi nuovi emigranti, che non dovranno essere più le turbe cenciose di un tempo, ma i cittadini nuovi della vera civiltà italiana, la civiltà del lavoro, e che porteranno il contributo prezioso della loro preziosissima opera all’estero. Questi ambasciatori di civiltà, come furono sempre e come dovranno essere ancora i nostri emigranti, dovranno godere non solamente della tutela, ma della protezione, la quale importa assistenza materiale e morale da parte della Repubblica italiana.

Per riassumere noi chiediamo: l’affermazione del concetto di «trasferimento» che, per nostro conto, meglio sostituisce il vago concetto di «circolazione»; il richiamo all’istituto della «dimora» al posto del «soggiorno» che non ha chiaro profilo giuridico; che l’emigrazione, come diritto e come libertà, venga affermata senza alcuna limitazione; che si faccia luogo al concetto di protezione e di assistenza che è molto più lato e deve essere sostituito alla parola paternalistica «tutela» che male può riferirsi ai nuovi nostri emigranti. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento, già svolto, dell’onorevole Nobile:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Ogni cittadino può circolare, soggiornare ed esercitare liberamente la propria arte, professione o mestiere, in qualsiasi parte del territorio italiano, salvo le restrizioni imposte dalla legge per motivi di sanità pubblica o di sicurezza. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per ragioni politiche».

Segue l’emendamento dell’onorevole Ruggiero Carlo:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Ogni cittadino ha diritto di muoversi e soggiornare sul territorio italiano, salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità e di sicurezza pubbliche».

Non essendo presente l’onorevole proponente, l’emendamento si intende decaduto.

Segue l’emendamento dell’onorevole Mastrojanni:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano. Qualsiasi limitazione non può derivare che dalla legge, che provvede per motivi di sanità o di sicurezza, esclusa comunque la ragione politica».

L’onorevole Mastrojanni ha facoltà di svolgerlo.

MASTROJANNI. Il mio emendamento ha un valore più formale che sostanziale, dividendo in due distinti periodi la intera dizione dell’articolo.

Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano (primo periodo). Nel secondo periodo sono contenute le limitazioni relative alle ragioni di sanità e di sicurezza; e l’esclusione delle limitazioni del diritto per ragioni politiche ho ritenuto che dovesse essere affermata in modo più evidente e più soddisfacente. Sostanzialmente, il mio emendamento riproduce il contenuto dell’articolo già proposto dalla Commissione per il progetto di Costituzione, ma lo esprime con una dizione che corrisponda meglio alle necessità di distinguere la parte positiva (diritto) da quella negativa (limitazione del diritto).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Dominedò:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«L’emigrazione è libera, salvi gli obblighi imposti dalla legge per i casi di guerra o di emergenza».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Lo spirito del mio emendamento è quello di far sì che la libertà dell’emigrazione, sancita in sede costituzionale, non sia ad un tempo rimessa alla possibilità di subire obblighi o limiti incondizionati in sede legislativa e in ciò convengo nella sostanza delle considerazioni svolte dal precedente collega di parte socialista.

Ora, io vorrei chiedere alla Commissione se non ritenga conveniente, in relazione anche a quanto già considerammo in sede di terza Sottocommissione, che la disciplina dell’emigrazione, così intimamente connessa ai problemi del lavoro e così strettamente attinente all’espansione della personalità umana sul piano economico-sociale, non debba essere opportunamente trasferita sotto il titolo dei «Rapporti sociali». Se la Commissione credesse di venire incontro a questa mia proposta, non avrei motivo di insistere adesso nello svolgere il mio emendamento.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Senz’altro; siamo d’accordo. Vi sono anche altri emendamenti conformi alla sua richiesta, degli onorevoli Roselli e Ruggiero.

DOMINEDÒ. Allora, non ho altro da aggiungere, in questa sede.

PRESIDENTE. L’onorevole Roselli ha presentato il seguente emendamento:

«Trasferire gli ultimi due commi, in apposito articolo, al Titolo III (Rapporti economici), dove la materia dell’emigrazione ha sede più opportuna».

Non essendo l’onorevole Roselli presente, l’emendamento si intende decaduto.

L’onorevole Ruggiero Carlo ha presentato un secondo emendamento:

«Trasferire l’ultimo comma all’articolo 30».

Non essendo presente, l’emendamento si intende decaduto.

Sono stati ora presentati, dagli onorevoli Bulloni e Schiratti, i seguenti emendamenti:

«Sostituire ai due ultimi commi dell’articolo 10 del testo della Commissione, il seguente:

«Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge».

«Trasferire i due ultimi commi del testo della Commissione al Titolo terzo sui rapporti economici».

L’onorevole Bulloni ha facoltà di svolgerli.

BULLONI. Mantengo l’emendamento, rinunciando a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Cappi ha proposto la soppressione di parecchi articoli, fra i quali l’articolo 10 in esame. Ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CAPPI. Ho proposto la soppressione degli articoli 9, 10, 17, 18; ma insisterei soprattutto sulla soppressione degli articoli 17 e 18.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Cappi di voler fare riferimento, per ora, all’emendamento all’articolo 10. Gli emendamenti agli altri articoli potrà svolgerli a suo tempo.

CAPPI. Ho proposto la soppressione dell’articolo 10 che mi sembrava superfluo, in quanto la materia è già compresa nell’articolo 8 che garantisce la libertà personale, dizione così larga che mi sembrava potesse comprendere anche la libertà di uscire e rientrare nel territorio dello Stato. Comunque, se la Commissione non accetta la proposta, non insisto.

PRESIDENTE. Vi è, infine, l’emendamento dell’onorevole Preziosi, così formulato:

All’ultimo comma aggiungere: istituendo presso le proprie rappresentanze diplomatiche uffici speciali di assistenza per i lavoratori».

L’onorevole Preziosi ha facoltà di svolgerlo.

PREZIOSI. Mantengo l’emendamento, rinunziando a svolgerlo

PRESIDENTE. Invito la Commissione a esprimere il suo parere sugli emendamenti.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Dichiaro innanzitutto che la Commissione accetta gli emendamenti proposti dagli onorevoli Bulloni e Schiratti. A proposito dell’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, che riguarda il diritto all’emigrazione, faccio presente che, siccome il concetto in esso contenuto è stato ripreso sia dalla proposta di emendamento dell’onorevole Dominedò, sia da quella degli onorevoli Roselli e Ruggiero che, per quanto decadute per l’assenza dei proponenti hanno trovato tuttavia altri colleghi che si sono ritenuti sostanzialmente d’accordo, che del diritto di emigrazione potrà parlarsi senz’altro nella parte relativa ai rapporti economici. In quella sede potremo discutere gli emendamenti che già sono stati presentati o che comunque saranno presentati al riguardo.

Circa l’emendamento presentato dall’onorevole Cairo ed altri per la sostituzione del verbo «dimorare» a quello del progetto «soggiornare», osservo che quest’ultimo è comprensivo del primo. La Commissione quindi vi insiste, perché è convinta che esso meglio sancisca il diritto del cittadino a stabilirsi nei luoghi che preferisce.

Faccio inoltre osservare all’onorevole Cairo che tutta la materia riguardante l’emigrazione forma già oggetto dei «rapporti economici» e che pertanto noi potremo rimandarla in quella sede.

Anche l’emendamento dell’onorevole Nobile, relativo all’esercizio dei commerci e delle professioni, può rientrare nei rapporti economici e precisamente nell’articolo 31 del progetto. Prego pertanto l’onorevole Nobile di rinviare a quella sede l’esame della questione da lui sollevata.

L’emendamento dell’onorevole Mastrojanni mi sembra di natura formale e, coerentemente con quanto ho avuto l’onore di proporre a chiusura della discussione generale del primo capitolo, non mi pare che valga la pena di insistervi e prego perciò l’onorevole Mastrojanni di ritirarlo.

Analogamente la Commissione non è d’accordo con l’onorevole Mastrojanni circa il suo emendamento soppressivo, perché distruttivo di una garanzia di libertà per il cittadino.

C’è infine l’emendamento dell’onorevole Preziosi. Prego il collega di volerne rinviare l’esame al capitolo dei rapporti economici, e specificamente agli articoli che riguardano l’emigrazione.

GUERRIERI FILIPPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUERRIERI FILIPPO. Io non ho fatto nessuna proposta di emendamento, ma vorrei, se fosse possibile, proporre alla Commissione una semplice posposizione di parola, e cioè che invece di dire «ogni cittadino può circolare e soggiornare», si dica: «ogni cittadino può soggiornare e circolare». È una inezia, ma mi pare che risponda di più ad un concetto logico, in quanto il fatto di soggiornare precede il circolare.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Questa appartiene a quella serie di proposte che io considero di natura stilistica. Risciacqueremo in Arno tutto il contesto del progetto dopo che sarà divenuto definitivo.

PRESIDENTE. Dopo le dichiarazioni della Commissione, domando ai presentatori di emendamenti se li mantengono.

Non essendo presente l’onorevole Mastino Pietro, il suo emendamento s’intende decaduto. L’onorevole Cairo mantiene il suo emendamento?

ROSSI PAOLO. Quale firmatario dell’emendamento Cairo, dichiaro di mantenerlo.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Mastrojanni, il suo emendamento s’intende decaduto.

L’onorevole Dominedò mantiene il suo emendamento?

DOMINEDÒ. Ho fatto richiesta alla Commissione, che ha accettato, di rinviare la materia al titolo dei rapporti sociali.

PRESIDENTE. Allora si intende che, in sede di articolo 10, l’emendamento dell’onorevole Dominedò è ritirato.

L’onorevole Preziosi mantiene il suo emendamento?

PREZIOSI. Accetto senz’altro quanto è stato dichiarato dall’onorevole Tupini, e cioè che l’emendamento sarà preso in esame in sede di rapporti economici.

PRESIDENTE. S’intende che l’onorevole Bulloni mantiene i suoi emendamenti, già accettati dalla Commissione.

L’onorevole Cappi ritira la proposta di soppressione dell’articolo 10?

CAPPI. La ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile mantiene il suo emendamento?

NOBILE. Consento al suggerimento dell’onorevole Tupini di presentare l’emendamento in altra sede.

PRESIDENTE. Rimane, dunque, l’emendamento Cairo e altri, non accettato dalla Commissione, del quale pongo in votazione il primo comma:

«Tutti i cittadini possono trasferirsi e dimorare in qualsiasi parte del territorio italiano, ove non facciano ostacolo motivi generali di sanità e di sicurezza determinati dalla legge».

(Non è approvato).

Pongo ai voti il primo periodo del primo comma nel testo della Commissione:

«Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano, nei limiti e nei modi stabiliti in via generale dalla legge per motivi di sanità o di sicurezza».

(È approvato).

Pongo ai voti il secondo periodo dello stesso comma:

«In nessun caso la legge può limitare questa libertà per ragioni politiche».

(È approvato).

Pongo ai voti il secondo comma dell’emendamento Cairo e altri:

«L’emigrazione all’estero è libera».

(Non è approvato).

Pongo ai voti la proposta degli onorevoli Bulloni e Schiratti, accettata dalla Commissione, di sostituire gli ultimi due commi dell’articolo 10 col seguente:

«Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi salvo gli obblighi di legge».

(È approvata).

Pongo ai voti la proposta degli stessi onorevoli Bulloni e Schiratti, che la Commissione ha accettato, di trasferire i due ultimi commi dell’articolo del testo della Commissione al Titolo terzo sui rapporti economici.

(È approvata).

Decade, pertanto, il terzo comma dell’emendamento Cairo e altri, per quanto riguarda l’art. 10, il quale resta approvato in questa formulazione definitiva:

«Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano, nei limiti e nei modi stabiliti in via generale dalla legge per motivi di sanità o di sicurezza. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per ragioni politiche.

«Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi salvo gli obblighi di legge».

Passiamo all’esame dell’articolo 11:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

«Lo straniero al quale siano negate nel proprio paese le libertà garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio italiano.

«Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo è quello, già svolto, dell’onorevole Mastino Pietro:

«Sostituirlo col seguente:

«Lo straniero a cui siano negate nel proprio Paese le libertà garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio italiano. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

Non essendo presente il proponente, l’emendamento si intende decaduto.

Segue l’emendamento, già svolto, dell’onorevole Ruggiero Carlo:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero al quale sono negati i diritti e le libertà garantiti da questa Costituzione ne ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica».

Non essendo presente il proponente, l’emendamento si intende decaduto.

Segue l’emendamento degli onorevoli Bulloni e Avanzini:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero al quale siano negate le libertà garantite dalla presente Costituzione ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica».

L’onorevole Bulloni ha facoltà di svolgerlo.

BULLONI. Rinuncio all’emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Ravagnan, Laconi, Grieco:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero perseguitato per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro ha diritto di asilo nel territorio italiano».

PRESIDENTE. L’onorevole Ravagnan ha facoltà di svolgerlo.

RAVAGNAN. Onorevoli colleghi, noi abbiamo presentato questo emendamento perché riteniamo che esso corrisponda ad una esigenza di chiarezza del testo costituzionale.

Anzitutto noi pensiamo che non vi è dubbio che la Costituzione che si va elaborando sia una Costituzione antifascista. Non vi è dubbio che il Comitato di redazione, presentandoci questo articolo, abbia avuto l’intenzione di affermare che il diritto di asilo è concesso in Italia a coloro che hanno combattuto all’estero per la libertà contro il fascismo, e che sono perseguitati per questa lotta. Siamo certi che questo è il concetto che anima la Commissione.

Riteniamo tuttavia che questo concetto sia troppo generico, sia troppo poco concreto e la formula che proponiamo vale appunto a dare a questo concetto una concretezza e una precisione maggiore.

Per dare un esempio: si usa dire oggi in Italia che noi abbiamo dei detenuti politici. Ora, i detenuti politici che abbiamo oggi in Italia sono di natura tutt’affatto opposta di quelli che esistevano prima della caduta del fascismo. E se ci si presenta alle frontiere un individuo che dice di essere perseguitato politico, e lo è della stessa natura di quelli che sono in carcere in Italia, come possiamo permettere che egli abbia diritto di asilo?

È necessaria dunque una discriminazione. Non possiamo concedere in tal caso il diritto di asilo, non possiamo ammettere una Costituzione che rischi di concedere il diritto di asilo ad elementi che si trovino sullo stesso piano di quelli che noi riteniamo in Italia pericolosi per l’ordine pubblico e per le istituzioni del nostro Paese.

Analogamente, se in un paese straniero sono negate le libertà di organizzazione a determinati gruppi che hanno condotto una lotta analoga a quella che è stata svolta nel nostro Paese da gruppi messi sotto la sanzione delle nostre leggi, come possiamo poi ammettere il diritto di asilo per gli esponenti di tali organizzazioni? Certamente non è possibile. Ecco la necessità di introdurre nella Costituzione una formulazione più precisa, e non credo che alcuno possa essere contrario a che essa sia introdotta, perché si tratta di una formulazione più restrittiva non della libertà, ma della possibilità che la libertà sia intaccata.

Oggi nel nostro Paese si ha da fare con molti e molti stranieri che non possono rientrare nel loro paese perché hanno condotto colà un’azione analoga a quella che svolge oggi il neo-fascismo e il neo-nazismo. Ci sono stati colleghi che in sede di commissione plenaria a questo proposito hanno affermato astrattamente il principio che si devono considerare in generale i perseguitati politici per qualsiasi idea. Nella pratica, altra è la vita che hanno condotto i combattenti della libertà in terra straniera, una vita di povertà decorosa e onorata, e altra è la vita che conducono in Italia questi elementi, i quali si sono abituati alla morale fascista e nazista all’estero, di rapine e di delitti, e compiono rapine e delitti in Italia, e si dedicano ad attività ignobili di trafficanti di valute e di qualcosa di peggiore. Questo non è ammissibile che avvenga nel nostro Paese.

Per questo ci permettiamo di richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla necessità che la formulazione sia del tipo che noi proponiamo.

Io osservo ancora che la nostra formula si discosta anche da quelle presentate da altri gruppi, nel senso che noi non facciamo accenno ai diritti di libertà garantiti dalla Costituzione italiana.

Questa non è un’omissione; noi pensiamo che se facciamo esplicito riferimento soltanto ai diritti garantiti dalla nostra Costituzione, implicitamente siamo obbligati ad istituire dei raffronti colle altre Costituzioni.

Una voce. No, no.

RAVAGNAN. A noi sembra così. Questo raffronto ci sembra superfluo e non opportuno.

Dobbiamo semplicemente stabilire una norma, una indicazione, per cui sia obbligatoria la valutazione dell’attività del profugo politico straniero, poiché oggi e successivamente – in un periodo che non sappiamo quanto possa durare – evidentemente la lotta ci divide in due campi; e questi campi non si possono astrattamente considerare alla stessa stregua.

Per queste ragioni, insistiamo perché il nostro emendamento sia posto in votazione e ci auguriamo che sia approvato.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Treves, Cairo, Grilli, Canevari, Bocconi, Morini, Carboni, D’Aragona, Preti, Chiaramello hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero, al quale sia negato l’effettivo esercizio dei diritti di libertà garantiti dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica».

L’onorevole Treves ha facoltà di svolgerlo.

TREVES. Onorevoli colleghi, il nostro emendamento mira soprattutto a precisare un dato di fatto in un articolo che ci sta molto a cuore.

Effettivamente tutte le Costituzioni moderne contengono un articolo sul diritto di asilo per i perseguitati politici. Sia la Costituzione russa che quella jugoslava, sia il primo progetto di Costituzione francese all’articolo 6 e ora nel proemio, accolgono questa disposizione, ma in termini diversi da quello che è il testo suggerito dalla nostra Commissione. In quelle Costituzioni mi sembra seguito un altro procedimento, più esemplificativo. Si dice che gli stranieri perseguitati per avere compiuto determinati atti in favore della libertà e dei diritti del lavoro, hanno diritto di asilo nel territorio.

Il testo della Commissione è più comprensivo, senza scendere ad esemplificazioni.

Ma il nostro emendamento mira a precisare la portata della disposizione e perciò le parole chiave – diciamo così – a noi sembrano «l’effettivo esercizio dei diritti di libertà», ecc.

Quello che a noi preme di stabilire è se lo straniero può avere l’effettivo esercizio di questi diritti, e non che questi diritti siano astrattamente incorporati nella Carta costituzionale del paese cui lo straniero appartiene. Si tratta di vedere in pratica se lo straniero ha l’effettivo esercizio di quei diritti a cui noi soprattutto teniamo. In questo senso, proprio per precisare e completare il testo della Commissione, noi abbiamo formulato il nostro emendamento.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Basso, Nobili Tito Oro, Giua, Pieri, Costantini, Grazi, Merighi, Tonello, Tega, De Michelis, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo straniero, che sia perseguitato nel proprio paese per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro garantiti dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica».

L’onorevole Tonello, firmatario dell’emendamento, ha facoltà di svolgerlo.

TONELLO. Onorevoli colleghi, ho considerato le ragioni addotte dall’onorevole Ravagnan, tendenti a limitare in un certo modo il diritto di asilo allo straniero, ed ho provato una istintiva avversione dell’animo mio nel sentire enunciare il principio della limitazione del diritto di asilo.

Io ebbi la sventura di sopportare oltre venti anni di amaro esilio e so come la libertà concessa agli stranieri nel campo del pensiero non sia che una menzogna, anche se stampata nella Carta costituzionale di un Paese libero. E nella Svizzera, che i miei amici repubblicani hanno il torto di dipingere come la terra promessa della libertà, nella Svizzera questo diritto di asilo non è che una ipocrisia borghese e capitalistica. Erano favoriti tutti i commendatori ladri, tutti gli affaristi, tutti i banchieri falliti; ma i galantuomini, quelli che hanno lottato e che lottano e che soffrono per una idea, erano continuamente tormentati, come continuamente tormentato fu colui che vi parla. Ricordo di essere stato espulso dalla Svizzera per una poesia scritta prima dell’assassinio di Dolfüss e riguardante il passato Pontefice. Dissero che avevo offeso dei capi di Stato, cosicché dovetti fare il mio fardello e continuare il mio calvario in altra terra. Mi recai in Francia, e vidi che anche lì era problematico il diritto di asilo, benché il trinomio di libertà, fratellanza ed eguaglianza fosse sulla bocca di tutti. La verità è che quando un povero operaio, un cittadino straniero, capitava sotto le grinfie della polizia era perseguitato senza pietà.

Ed allora, dobbiamo proprio noi mettere delle limitazioni a questo riguardo nella nostra Costituzione? Dobbiamo noi proprio inserire nella Costituzione queste restrizioni di libertà al diritto di asilo? Io credo di no. Io non mi sento di approvarle, benché riconosca che le ragioni addotte dall’onorevole Ravagnan sono buone ed oneste, e mi ripugni il pensare che in Italia tutti i persecutori, tutti gli aguzzini di altri popoli sono liberi di ricoverarsi. Ma io penso che vi è il Codice penale, e che nella Costituzione non dobbiamo ammettere questo principio. Oggi vi è la Costituente. V’è un’aria di libertà, ma non sappiamo quali Governi e quali maggioranze si avranno domani, e quali uomini politici interpreteranno le limitazioni che includiamo nella nostra Costituzione. Basterà che venga un eresiarca qualunque da un altro Paese perché si trovi nella Costituzione le ragioni per mettergli la corda al collo o per esiliarlo un’altra volta.

Io vi invito, onorevoli colleghi, a rimanere fermi nel concetto espresso nell’emendamento presentato dal compagno Basso, da me e da altri compagni. Esso dice: «Lo straniero che sia perseguitato nel proprio Paese per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro garantiti dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica». Qui è precisamente segnato il limite di questa libertà, cioè questa libertà è ammessa per coloro che hanno difeso nel loro Paese le libertà che sono sancite nella nostra Costituzione.

Questo emendamento può essere adottato anche dagli amici comunisti, in quanto ribadisce il concetto espresso anche dall’onorevole Ravagnan, ma in una forma più precisa che ci rende più tranquilli. Esso ci fa capire che domani un agitatore operaio, un organizzatore di masse, venendo in Italia, troverà la difesa del suo diritto di asilo e nessuno lo espellerà.

Aspettiamo a marciare verso l’aria grigia della palude e della reazione e ci troveremo benissimo. Anche dieci anni fa, quando il Presidente della Repubblica svizzera mi mandò lo sfratto, nel Parlamento svizzero disse: «Noi riconosciamo teoricamente che gli esiliati hanno diritto di esprimere il loro pensiero e la loro anima nella nostra terra ospitale, ma…», ed i «ma» seguiranno sempre quando si vuole perseguitare lo straniero che sia incomodo non solo allo Stato, ma anche alle classi borghesi e abbienti dello Stato in cui si è ricoverato.

Non bisogna mettere limitazioni. Vi è il Codice penale ed in esso potrete mettere tutte le limitazioni che vorrete, ma nella Costituzione no. Nella Costituzione deve essere messo limpido il concetto che sacra deve essere l’ospitalità.

Onorevoli colleghi, pensate che questo fatto ha una grande importanza, anche perché può darsi che noi socialisti abbiamo ancora bisogno di chiedere ospitalità ai Paesi stranieri; ma può darsi che lo abbiate anche voi, amici della destra, questo bisogno. Oggi a me, domani a te, dice il proverbio. Badate, questo negare ogni concetto largo di libertà, può colpire non solo i vostri avversari, ma anche voi stessi se l’ora della lotta suona. Ebbene, io vi dico che farete il vostro dovere, onorevoli colleghi, se voterete l’emendamento da noi proposto. Noi vogliamo che i combattenti onesti di una idea trovino aperte le vie del mondo e che la Costituzione affermi questo diritto sacro di ospitalità, senza limitazioni. Le limitazioni saranno fatte nei Codici penali dei singoli Stati, ma non devono apparire nella Costituzione. Qui in Italia devono poter venire tutti i combattenti onesti di una idea, tutti gli assertori di un nuovo mondo di libertà e di pace; essi devono poter vivere indisturbati e fare la loro propaganda, senza che trovino un intralcio nella Costituzione italiana.

Sarebbe doloroso e anche vile che proprio noi nella nostra Costituzione mettessimo una norma che contrasti con questo concetto. Ne abbiamo già messe delle limitazioni alla libertà negli articoli che abbiamo approvato, onorevoli colleghi, e non occorre che ne mettiamo ancora altre per incatenare noi stessi.

Ai colleghi democratici cristiani io dico che noi proponiamo questo emendamento per uno spirito di conciliazione, per non avere delle noie con gli stranieri coi quali dobbiamo vivere in pace. Se voi mettete limitazioni nella Costituzione, un Governo potrebbe domani applicare a suo capriccio e interpretare a modo suo la Costituzione e voi potrete anche ingaggiare nuove lotte politiche dannose al nostro Paese che deve marciare invece verso la libertà.

Domando quindi che sia accettato l’emendamento Basso per l’avvenire stesso del nostro Paese, per potere anche dire al mondo che l’Italia è diventata non soltanto il Paese dell’articolo 7, ma anche il Paese dell’articolo 11. (Commenti).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento, giù svolto, dell’onorevole Nobile:

«Al secondo comma, aggiungere le parole: salvo le restrizioni imposte dalla legge sull’immigrazione».

Segue l’emendamento dell’onorevole Perassi:

«Al secondo comma, aggiungere le parole: nelle condizioni stabilite dalla legge».

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. In assenza dell’onorevole Perassi, fo mio l’emendamento e rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Corsanego ha presentato i seguenti emendamenti:

«Dopo il secondo comma, aggiungere il seguente:

«Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita da trattati internazionali».

«All’ultimo comma, dopo la parola: estradizione, aggiungere: del Cittadino e».

L’onorevole Corsanego ha facoltà di svolgerli.

CORSANEGO. Il primo emendamento da me proposto è simile a quello proposto dai miei amici Bettiol, Leone Giovanni e Benvenuti, con una piccola differenza, cioè che mentre nell’emendamento Bettiol si esclude in ogni caso l’estradizione del cittadino, nel mio emendamento si ammettono delle eccezioni.

Lo svolgimento di questo emendamento può essere brevissimo, perché si tratta di materia cognita a tutti i giuristi. Tutti sanno che quasi tutte le legislazioni vietano l’estradizione dei loro concittadini e il divieto si fonda su motivi notissimi, perché il cittadino e lo Stato sono uniti da vincoli tali che non implicano soltanto degli obblighi da parte del cittadino di pagare le tasse, di prestare servizio militare, ecc., ma, in contrapposto agli obblighi, il cittadino ha dei diritti e tra questi il diritto di essere protetto dal proprio Stato sia all’interno che all’estero. Un secondo motivo è che, di solito, i giudici sono portati ad essere molto più severi verso lo straniero e la stessa opinione pubblica, lo stesso pubblico che assiste ad un dibattimento penale, sono sempre più ostili verso l’imputato straniero. Vi è poi un altro motivo fondamentale: ci sono molte nazioni le quali conservano delle pene barbare ed hanno una procedura difettosa.

Per tutti questi motivi, la maggior parte delle Costituzioni e la maggior parte delle legislazioni penali vietano l’estradizione dei propri cittadini. Ma se questo principio si trova consacrato nella maggior parte delle Costituzioni e si trova ripetuto nella maggior parte dei Trattati di diritto internazionale, la dottrina moderna e la prassi contemporanea hanno portato dei temperamenti al principio stesso: cioè la tendenza moderna è diretta a rendere meno assoluto il divieto di estradizione dei cittadini. Per esempio, c’è la grande eccezione degli Stati Uniti d’America e dell’Inghilterra, i quali concedono anche l’estradizione del proprio cittadino, perché dicono che non concepiscono che un colpevole possa essere legittimamente sottratto alla giurisdizione dello Stato di cui ha violato le leggi. Quindi l’Inghilterra e l’America concedono l’estradizione del cittadino anche quando non vi sia reciprocità.

Nel 1921 vi fu una convenzione fra l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, per cui fu concessa in qualche caso l’estradizione dei propri cittadini, con questa esatta formula: L’extradition des propres citoyens peut être niée, cioè: può essere negata; ma può anche essere ammessa. E in certi casi è ammessa l’estradizione del cittadino dalle legislazioni del Brasile, del Perù e dell’Uruguay.

Perciò il mio emendamento ha un duplice scopo: anzitutto di affermare il principio, che non si trova formulato nell’articolo così com’è proposto, del divieto di estradizione del cittadino; e in questo concordo perfettamente coi miei colleghi e amici. Però, aggiungo che è possibile – per eccezione, quando ci sia la reciprocità di un’altra Nazione – concedere l’estradizione del cittadino. Perciò il mio emendamento dice appunto: «Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita da trattati internazionali».

C’è poi un secondo mio emendamento allo stesso articolo, che consiste in una piccola aggiunta che si rende necessaria: laddove si dice che non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici, se si accetterà l’emendamento del collega Bettiol, allora si dirà: «in nessun caso quella del cittadino»; ma, se si accettasse per avventura il mio emendamento, bisognerebbe aggiungere all’ultimo comma la parola «cittadino»; cioè: non è ammessa l’estradizione del cittadino e dello straniero per reati politici. Bisogna, in sostanza, tener ben fermo il principio che mai, in nessun caso, può avvenire la mostruosità giuridica che un cittadino debba essere estradato per motivi politici.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento, già svolto, dell’onorevole Preziosi:

«All’ultimo comma, dopo la parola: ammessa, aggiungere le parole: in nessun caso».

Non essendo egli presente, l’emendamento si intende decaduto.

Gli onorevoli Bettiol, Leone Giovanni e Benvenuti hanno presentato il seguente emendamento:

«All’ultimo comma, aggiungere le parole: e in nessun caso quella del cittadino».

L’onorevole Bettiol ha facoltà di svolgerlo.

BETTIOL. Col collega Leone e col collega Benvenuti noi insistiamo sul nostro emendamento, il quale è diretto a porre in sede costituzionale un divieto assoluto per quanto riguarda l’estradizione del cittadino. Io mi rendo conto che molte obiezioni assennate possono esser fatte contro il principio che noi vorremmo vedere sancito nella Costituzione; ma però ci richiamiamo al fatto che ogni Costituzione è storicamente condizionata, quindi sorge in un determinato momento storico che ha caratteristiche, peculiarità tutte sue. Questa nostra Costituzione – è stato detto già da più parti in questa Assemblea – sorge dopo la tirannia del ventennio. In quel periodo il principio dell’estradabilità del cittadino è stato nuovamente riaffermato, mentre nella nostra tradizione giuridica e politica, anteriore alla instaurazione del regime dittatoriale in Italia, era sancito il principio che il cittadino mai poteva venire estradato.

C’è, quindi, questa esigenza di carattere politico che, in questo momento, urge alle porte della Costituzione e fa sì che il principio della non estradizione del cittadino sia da considerarsi come degno di essere sancito espressamente negli articoli costituzionali.

Badate bene poi che la regola stessa per cui il cittadino non può essere estradato si può anche riferire, grosso modo, alla regola che nessuno può essere distolto dai propri giudici naturali; principio che è stato già accolto nel progetto di Costituzione. E qual è il giudice più naturale, se non il giudice del Paese, se non il giudice dello Stato cui il cittadino stesso appartiene? È soltanto il giudice del Paese cui appartiene il cittadino che può infatti valutare, nei momenti o nelle situazioni di fatto, tutto quello che attiene all’azione delittuosa commessa dal cittadino stesso.

Le azioni delittuose perpetrate dal cittadino all’estero possono trovare in Italia una valutazione e un giudizio diversi da quelli che si possono avere all’estero, in quanto il nostro giudice ha una sensibilità diversa da quella del giudice che vive sotto altro clima, in altra situazione sociale e politica.

Noi crediamo che, per queste ragioni ed anche per altre cui per brevità ometto di accennare, l’emendamento debba esser posto in votazione.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Ruggiero Carlo:

«Trasferire l’articolo dopo l’articolo 22 alla fine del Titolo».

Non essendo presente l’onorevole proponente, l’emendamento si intende decaduto.

L’onorevole Patricolo ha ora presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Colitto, Perugi, Mazza, De Falco, Miccolis, Corsini, Tumminelli, Marinaro e Rodi:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge.

«Lo straniero perseguitato nel proprio paese per azioni commesse in difesa delle libertà garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio italiano.

«Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

L’onorevole Patricolo ha facoltà di svolgerlo.

PATRICOLO. Il mio emendamento nasce da una preoccupazione non solo di carattere giuridico, ma anche di carattere politico. Per quanto poi tale mio emendamento sia molto vicino a quello presentato dai settori di sinistra, le preoccupazioni di carattere politico che mi muovono sono completamente opposte a quelle indicate dall’onorevole Tonello e dall’onorevole Basso.

Io direi, comunque, di esaminare l’articolo 11, così come esso si presenta. Si legge nel primo comma: «La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali».

Il mio emendamento tende a togliere completamente la seconda proposizione del primo comma, giacché noi abbiamo già inserito nell’articolo 3 del progetto di Costituzione un principio per cui l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Non vedo, quindi, perché, in questa precisa materia, si debba sottolineare che tale condizione giuridica è subordinata alle norme del diritto internazionale.

Noi dobbiamo riferirci al diritto italiano e, d’altronde, la nostra legge si adatterà sempre alle norme internazionali.

Trovo, pertanto, superflua l’affermazione contenuta in questa seconda parte del primo comma.

Veniamo ora al secondo comma: «Lo straniero al quale siano negate nel proprio paese le libertà garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio italiano».

Questa affermazione mi sembra di una grande gravità per la Costituzione italiana; richiamo pertanto l’attenzione degli onorevoli colleghi sul fatto che, secondo me, qualsiasi delinquente comune, di qualsiasi Stato, può avere il diritto di asilo in Italia, in quanto che, secondo la dizione giuridicamente ferrea di questo secondo comma, non è escluso che i delinquenti comuni possano essere ricevuti in Italia e soggetti al diritto di asilo, poiché nel secondo comma manca il titolo giuridico perché lo straniero non abbia rifiutato il diritto di asilo.

Quando si dice che «Lo straniero, al quale sono negate nel proprio paese le libertà garantite dalla Costituzione, ecc.», non si dice: «Lo straniero che ha compiuto determinati atti, lo straniero che ha compiuto determinati reati», ma si fa riferimento allo straniero che si trova in uno Stato in cui non esistono le nostre libertà e, quindi, ha il diritto di asilo.

Io dico alla Commissione che se un delinquente comune di un altro Stato viene in Italia, perseguito dalla legge del suo paese e chiede il diritto di asilo, allora noi non possiamo assolutamente negarlo, perché lo straniero ci dimostrerà che nel suo paese non sono rispettate le nostre libertà ed è soltanto questo il titolo che lo autorizza ad avere il diritto di asilo in Italia. D’altra parte il diritto di asilo è un istituto vecchio nel diritto internazionale e si riferisce principalmente al diritto comune.

Il diritto di asilo era dato dalla Chiesa cattolica principalmente; quindi il delinquente comune, rifugiatosi in una Chiesa, non poteva essere preso. Ora, se vogliamo modificare questo diritto di asilo e dargli una nuova configurazione giuridica, occorre esprimerlo esplicitamente nella Costituzione, o aggiungendo la parola «politiche» alla «libertà», ed allora si comprenderà che soltanto coloro i quali sono, secondo il loro paese, nell’impossibilità di godere delle libertà politiche italiane, possono essere ricevuti in Italia; oppure bisognerà modificare secondo l’emendamento mio.

D’altra parte il mio emendamento tende a precisare la questione delle azioni commesse dallo straniero, perché lo stesso diritto di asilo implica la persecuzione da parte di uno Stato straniero in un ordinamento giuridico estraneo al nostro verso un cittadino. Non basta dire che un cittadino spagnolo, inglese, russo o tedesco non goda delle sue libertà per ammetterlo in Italia e concedergli il diritto di asilo. Il diritto di asilo presuppone che questo cittadino sia un perseguitato, oppure sia stato condannato in contumacia, o voglia sfuggire ad una legge che vuole punirlo. Se, invece, ammettiamo chiunque appartenga ad un Paese ove non esistono le libertà di cui si gode in Italia, allora andiamo incontro ad una immigrazione in massa da parte di certi paesi, dove le nostre libertà non sono conosciute, all’immigrazione di delinquenti comuni, i quali pretenderebbero di avere sempre il diritto di asilo.

L’ultimo comma, pel quale è detto che non è ammessa l’estradizione per reati politici, non risolve nulla, perché rimane sempre il dubbio, essendo per gli altri reati ammessa l’estradizione. Dico ancora che il comma secondo dell’articolo 11 non ci dice se per i reati comuni è ammessa l’estradizione. Politicamente, non credo sia il caso di preoccuparci che dall’estero possano venire degli uomini perseguitati per antifascismo o fascismo, per monarchismo o per essere repubblicani – io mi riferisco all’onorevole Tonello il quale ha detto delle parole sagge: oggi a me domani a te – perché non possiamo ipotecare il futuro. Facciamo sì che la nostra Costituzione sia affermazione di libertà vere, e poi quale che sia l’indirizzo politico del Governo italiano, esso potrà garantire coloro che seguono le correnti politiche della maggioranza del Governo italiano. Questa è una preoccupazione che, io direi all’onorevole Tonello, non è il caso di avere. Guardiamo alla Costituzione come a un fatto puramente giuridico. Facciamo in modo che questo nuovo statuto in Italia garantisca le libertà con formule pienamente giuridiche. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole. Cappi ha presentato il seguente, emendamento, firmato anche dagli onorevoli Castelli, Schiratti, Tosato, Recca, De Palma, Bastianetto, Bulloni, Chieffi e Lettieri:

«Modificare il secondo comma come segue:

«Lo straniero al quale nel proprio paese sia impedito di diritto o di fatto l’esercizio delle libertà garantite dalla presente Costituzione, ha diritto di asilo nel territorio italiano».

L’onorevole Cappi ha facoltà di svolgerlo.

CAPPI. Desidero dire una parola sola sul mio emendamento che riguarda il primo capoverso dell’articolo 11. L’emendamento sostanzialmente si ispira al concetto che ha ispirato l’emendamento dell’onorevole Treves; si tratta di sostituire ad un criterio astratto un criterio concreto, perché è difficile oggi che in un Paese di una certa civiltà si neghino espressamente nella Costituzione alcune libertà civili o politiche. È difficile che tali libertà si trovino negate in una Costituzione, ma purtroppo non è difficile che di fatto l’esercizio di quelle libertà sia limitato. Perciò a me pare che la formula «negare l’esercizio delle libertà» sia più corretta e concreta che «negare le libertà». Osservo che sarebbe anche superfluo l’inciso «di diritto o di fatto» perché potrebbe bastare «al quale nel proprio paese sia impedito l’esercizio delle libertà».

E giacché ho la parola, mi sembra eccessivo il timore dell’onorevole Patricolo che, mantenendo il comma così com’è, si corra il rischio di vedere invasa l’Italia dai delinquenti comuni. In Italia, nella nostra Costituzione, non vi è libertà per i rapinatori, gli assassini, i delinquenti comuni. Quindi, se un delinquente comune venisse in Italia non potrebbe appellarsi a questa norma, perché la libertà per i delinquenti comuni non è sancita dalla nostra Costituzione.

Ad abundantiam si potrebbe aggiungere: «a cui sia impedito l’esercizio delle libertà politiche e civili», ma mi sembra superfluo.

Per queste ragioni insisterei sul mio emendamento.

PATRICOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRICOLO. Vorrei chiarire brevissimamente il concetto. Io non dico che nella nostra Costituzione siano riconosciute le libertà riguardo al delitto comune, ma la dizione, quale noi presentiamo nel secondo comma, non dà il titolo per il quale lo straniero possa godere del diritto di asilo, perché lo straniero che non abbia determinate libertà, indipendentemente dai reati commessi, sia politici o non, secondo la dizione del secondo comma avrebbe diritto di asilo. È una questione sottile di diritto, ma invito l’onorevole Cappi, illustre giurista e maestro, di badare bene a questa dizione. Noi andremmo incontro domani a sorprese molto gravi se adottassimo la dizione del secondo comma.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione sugli emendamenti?

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Non essendo presenti gli onorevoli Mastino Pietro e Ruggiero Carlo si intende che abbiano rinunciato ai loro emendamenti.

Mi riferirò, quindi, subito all’emendamento proposto degli onorevoli Ravagnan, Laconi e Grieco. I colleghi Laconi e Grieco fanno parte della Commissione dei settantacinque e la presentazione stessa del loro emendamento dimostra che non siamo tutti d’accordo nel testo dell’articolo.

Osservo, comunque, agli onorevoli proponenti la soverchia genericità e latitudine del loro emendamento. Infatti, essi propongono che: «Lo straniero perseguitato per aver difeso i diritti della libertà e del lavoro ha diritto di asilo nel territorio italiano». Qui non trovo alcun accenno specifico ai diritti di libertà garantiti dalla nostra Costituzione. Un riferimento ai diritti di libertà e del lavoro, genericamente intesi senza un accenno specifico ai diritti di libertà garantiti dalla nostra Costituzione, mi pare che sia un emendamento così esteso, da superare, se non addirittura da contradire allo spirito e alla sostanza delle nostre esigenze nazionali.

Nel merito faccio osservare che, quando il nostro testo dice che è garantito il diritto di asilo a coloro ai quali siano negate nel proprio Paese le libertà garantite dalla Costituzione italiana, in questa dizione sono comprese tutte le libertà presso di noi garantite, e, quindi, anche il diritto del lavoro e di libertà sindacale. Se precisiamo in modo particolare la libertà del lavoro, corriamo il rischio che questa distinzione escluda altri diritti che non siano quelli specifici del lavoro.

Per queste ragioni la maggioranza della Commissione si dichiara contraria all’emendamento Ravagnan, Laconi e Grieco.

L’onorevole Treves ha presentato un emendamento che si avvicina molto a quello dell’onorevole Cappi, come questi testé riconosceva.

Per mio conto non sarei alieno dall’accettare l’emendamento Treves o Treves-Cappi.

Sarei tuttavia del parere di dire invece che: «Lo straniero al quale sia negato»; «Lo straniero al quale sia «impedito» l’effettivo esercizio dei diritti di libertà, ecc.», perché, come giustamente osservava l’onorevole Cappi, è difficile che in teoria sia negato l’esercizio di un diritto. È molto più probabile che l’esercizio del diritto sia impedito praticamente.

TREVES. Onorevole Tupini, c’è un emendamento che stiamo concordando.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Benissimo, avevo io stesso proposto di trovare una formula d’accordo tra i vari presentatori.

Le stesse ragioni da me opposte all’emendamento Ravagnan e le riserve per talune delle considerazioni illustrative degli emendamenti Treves e Cappi valgono anche per l’emendamento degli onorevoli Basso, Nobili Tito Oro, Giua, Tonello ed altri, che dichiaro – perciò – di non accettare.

Per quanto poi riguarda l’emendamento proposto dall’onorevole Nobile, ricordo quello che già ho detto a proposito dell’emendamento da lui presentato all’articolo 10, cioè che trattandosi di restrizioni imposte dalla legge sull’immigrazione, ne riparleremo in sede di discussione dei rapporti economici. In altri termini l’emendamento Nobile rimane impregiudicato, ma la sede in cui lo si esaminerà sarà quella del capitolo terzo.

Per quanto attiene all’emendamento Perassi, fatto proprio e svolto dall’onorevole Conti, io ed alcuni della Commissione non siamo contrari.

Riguardo all’emendamento proposto dall’onorevole Corsanego, dichiaro di essere d’accordo sul merito, salvo una mia proposta personale di emendamento all’emendamento.

La prima considerazione riguarda il collocamento di questo emendamento per quanto attiene alla estradizione del cittadino.

Se il Presidente consente, io direi che la sede opportuna sia l’ultima parte dell’articolo 10.

Prego l’onorevole Corsanego e gli onorevoli Bettiol ed altri, i quali, sia pure con termini diversi, aderiscono all’emendamento, di prendere atto di questo: che dobbiamo, sì, considerare l’estradizione del cittadino e l’estradizione dello straniero; ma, per quanto attiene all’estradizione del cittadino, collocare il concetto nell’articolo 10, e per quanto attiene all’estradizione dello straniero parlarne in sede di articolo 11, ora diventato 12.

Però, nel momento stesso in cui dichiaro di accettare l’emendamento Corsanego, nella speranza che egli concordi con me circa la sede più opportuna, prego di volere consentire che la formula da lui adoperata «consentita da trattati internazionali» sia sostituita da questa «consentita dalle convenzioni internazionali».

Ne ho già espresso le ragioni all’onorevole Corsanego e mi pare che egli non abbia opposto difficoltà.

L’onorevole Corsanego propone ancora altro emendamento e cioè di aggiungere all’ultimo comma, dopo la parola «estradizione» le parole «del cittadino e».

Naturalmente, avendo egli aderito alla mia proposta di collocamento, l’emendamento stesso deve ritenersi assorbito in quella.

Credo di aver così implicitamente risposto anche agli onorevoli Bettiol ed altri, dai quali spero avere eguale consenso.

Onorevole Bettiol, è necessario aggiungere «e in nessun caso quella del cittadino»?

Quando non è consentita l’estradizione del cittadino e quando noi disgiungiamo l’estradizione dello straniero, collocandola all’articolo 11, e quella del cittadino, collocandola all’articolo 10, viene meno la ragione del suo emendamento.

Se fossero stati uniti i due concetti, avrei compreso il motivo rafforzativo della sua proposta, ma ora non più.

Ritengo, perciò, che l’onorevole Bettiol possa aderire.

L’onorevole Ruggiero Carlo non è presente. Comunque la sua proposta è fatta propria dalla Commissione. Evidentemente è opportuno che questo articolo, che riguarda lo straniero – e che per ragioni di logica è stato collocato nel capitolo dei diritti di libertà – sia trasferito in fondo al capitolo, e quindi è la Commissione stessa che crede opportuno di proporre alla Assemblea che questo articolo 11 sia votato, sì, ma poi sia collocato in fondo al capitolo riguardante i rapporti civili. E così mi pare di avere risposto a tutti. Vi sarebbe poi l’emendamento dell’onorevole Preziosi, che s’intende decaduto poiché il presentatore è assente.

Comunque anche qui siamo di fronte alla stessa questione da me sollevata a proposito dell’emendamento dell’onorevole Bettiol; e mi pare, anche per quanto riguarda l’articolo 12, di avere esaminato e detto il mio pensiero su tutte le proposte di emendamento. Ora vorrei conoscere il testo definitivo dell’emendamento presentato dall’onorevole Treves.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Treves, Bulloni e Cappi hanno proposto di sostituire il secondo comma col seguente: «Lo straniero al quale sia impedito l’effettivo esercizio dei diritti derivanti dalle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica italiana».

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Io però direi: «dei diritti di libertà democratiche» anziché «dei diritti derivanti, ecc.».

PRESIDENTE. Comunque, sulla forma definitiva, ci si potrà mettere d’accordo successivamente.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Fatto salvo, naturalmente, il pensiero dell’onorevole Laconi, che deve dirci se io posso esprimere il pensiero dell’intera Commissione. Molti di noi sono d’accordo, comunque, sul testo presentato dagli onorevoli Treves e Cappi.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ravagnan se mantiene il suo emendamento.

RAVAGNAN. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Tonello se mantiene l’emendamento di cui è firmatario.

TONELLO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, ella insiste nel suo emendamento?

NOBILE. Ho riflettuto sulla proposta fatta dall’onorevole Tupini e mi son persuaso che il posto migliore per inserire il mio emendamento e discuterlo è proprio qui.

Che il diritto di asilo debba concedersi a rifugiati politici isolati è cosa fuor di questione; ma domani potrebbero battere alle nostre porte migliaia di profughi politici di altri paesi, e noi saremmo costretti a dar loro asilo senza alcuna limitazione, quando restrizioni potrebbero venir consigliate anche da ragioni di carattere economico.

Severe limitazioni a questo riguardo vi sono perfino in un paese ricco come gli Stati Uniti di America, dove si richiede che vengano soddisfatte le prescrizioni della legge sulla immigrazione. Pregherei, perciò, il Presidente di porre in votazione il mio emendamento.

TUPINI. Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Nella eventualità che sia posta ai voti la proposta di emendamento dell’onorevole Nobile, faccio osservare che bisognerebbe collegarla con l’emendamento presentato dall’onorevole Perassi «nelle condizioni stabilite dalla legge». Però, senza entrare nel merito, insisto nel dire che la sede adatta è quella dei rapporti economici. Quanto al merito, mi riservo di spiegarmi al momento opportuno e pertanto non si deve ritenere pregiudicato. L’onorevole Nobile la pensa diversamente; vuol dire che l’Assemblea deciderà. Ricordo infine all’onorevole Presidente e all’Assemblea che ove questi due emendamenti venissero approvati dovrebbero essere collegati fra di loro, per trarne una formula chiara e intelligibile.

PRESIDENTE. Onorevole Conti, conserva il suo emendamento?

CONTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Corsanego?

CORSANEGO. Accetto la proposta della Commissione.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Bettiol?

LEONE GIOVANNI. Come firmatario dell’emendamento vorrei osservare che siamo d’accordo per la trasposizione del principio nell’articolo precedente, perché quella è la sede più opportuna. Ci sembra, poi, che vada messo in rilievo il divario fra la nostra formula e quella dell’onorevole Corsanego, in quanto noi non vorremmo consentire che neppure in caso di convenzione o trattato internazionale l’estradizione possa essere concessa. E a fondamento di questo nostro emendamento poniamo l’esperimento attuale di un trattato che ci viene imposto. In avvenire, potrebbe accadere qualcosa di. analogo.

PRESIDENTE. Onorevole Patricolo, insiste nel suo emendamento?

PATRICOLO. Insisto.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione: Onorevole Patricolo, le chiedo scusa se ho omesso di portare il mio esame sul suo emendamento che non avevo trovato tra quelli stampati. La prego però ugualmente di non insistervi perché le preoccupazioni che vi si esprimono non mi sembrano fondate e, in ogni modo, possono sentirsi soddisfatte dalle limitazioni del diritto di asilo previste nell’emendamento Treves e altri. Infatti abbiamo già accolto il concetto di assicurare il diritto di asilo a coloro ai quali sia impedito effettivamente l’esercizio di quei diritti di libertà che sono garantiti dalla nostra Costituzione. Mi oppongo perciò all’emendamento Patricolo.

PATRICOLO. Allora, io chiederò che il mio emendamento sia votato per divisione.

PRESIDENTE. La votazione sugli emendamenti e il seguito della discussione sono rinviati alla seduta pomeridiana.

Per la discussone sulla situazione finanziaria.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo è a piena disposizione dell’Assemblea per promuovere e partecipare alla discussione sulla situazione finanziaria, nel momento in cui l’Assemblea lo crederà opportuno, senza trincerarsi dietro disposizioni o restrizioni di poteri o di forme procedurali. Detto ciò, il Governo prega l’Assemblea, nella sua responsabilità, di considerare lo stato di fatto. Il Governo ha fatto una relazione ampia, dettagliata, diffusa dalla stampa in tutto il Paese, sullo stato presente delle finanze e del bilancio. In sede propria ha preso i provvedimenti finanziari annunciati – in parte presi e in parte in corso di attuazione – che dovrebbero rimediare alla situazione. Lo scopo fondamentale è, da una parte, di combattere la speculazione e, dall’altra, di abbassare e comprimere i prezzi, di controllare il credito, di introdurre viveri e tessuti e di disporre e preparare economie sul bilancio. Queste singole disposizioni sono oggetto di elaborazione – se non sono già oggetto di decreto – da parte di diverse Commissioni di Ministri. I Ministri sono ora impegnati in questo lavoro.

La discussione più impegnativa e più utile per l’Assemblea e per il Governo sarebbe, naturalmente, quella da fare nel momento della presentazione dei bilanci preventivi, perché in quel momento, accanto alla situazione attuale, il Governo è in grado di precisare i provvedimenti presi e quindi la situazione che potrà disegnarsi per il prossimo avvenire. Questa descrizione e questa discussione panoramica potrebbero esser fatte non prima della fine del mese; e questo sarebbe normale. Ma il ritmo dei tempi e le preoccupazioni generali fanno desiderare che l’Assemblea sia investita prima del problema, o della parte essenziale del problema finanziario.

Secondo me e secondo quello che pensa il Governo, è nel momento in cui la Commissione presenterà alla Camera la relazione sopra l’imposta patrimoniale, che è uno degli elementi fondamentali nella politica finanziaria del Governo, che sarà giunta l’opportunità di completare questa relazione con altri elementi a sua disposizione di carattere finanziario, per estenderla anche ai problemi di carattere economico con la relazione del Ministro dell’industria e commercio. Pare al Governo che quello sarà il momento opportuno per una discussione utile e per uno scambio di idee fra l’Assemblea e i rappresentanti del Governo.

C’è però un problema di economia di tempo, se non erro, e qui non vogliamo comportarci come degli estranei. Il Governo ha le sue responsabilità particolari, s’intende; l’Assemblea Costituente ha le sue. Tuttavia i membri del Governo sono membri della Costituente e il lavoro che il Governo fa e che presenta all’Assemblea va inquadrato in un problema di economia di tempo e di distribuzione di lavoro che interessa entrambi. Permettetemi allora di dire, come membro dell’Assemblea, che questa non deve e non può dimenticare la necessità di coordinare la discussione sui problemi finanziari ed economici col suo compito fondamentale, che è quello di votare la Costituzione. Noi pensiamo che, a parte la discussione generale che si dovrebbe fare in occasione della presentazione della relazione sull’imposta patrimoniale, ci sia tutto un programma di lavori da combinare fra le proposte del Governo e il tempo di cui dispone l’Assemblea. Sarebbe, a tal fine, opportuno che la Presidenza dell’Assemblea, insieme con la Presidenza del Consiglio, forse consultando – se ciò pare utile – i capi-gruppo, stabilisca un programma di lavori che vada al di là dell’urgenza dell’attuale discussione e che ci garantisca di poter assolvere tutti i nostri compiti. Ora è da considerare che se è utilissima la discussione, più utile ancora è l’azione; e il tempo è disgraziatamente limitato. Accanto ai compiti normalmente amministrativi, il Governo ha una certa parte di legislazione di urgenza cui deve provvedere; e questa parte di legislazione di urgenza si riferisce proprio ai problemi immediati che riguardano l’alimentazione, e l’attuazione di tutto il programma economico e finanziario del Governo.

Il Governo interviene tutti i giorni dinanzi ai riflessi di questa politica che esso fa; e quindi il Governo ha bisogno di una certa possibilità di azione, che deve essere svolta, naturalmente, al di fuori dell’Assemblea. C’è quindi un senso di responsabilità comune e un senso di solidarietà nei compiti, che in fondo deve tendere a dimostrare che il regime democratico vuole e sa superare, queste difficoltà gravissime che sono sopra di noi. C’è in questo senso di responsabilità, in questa volontà comune, anche il criterio dell’economia del tempo che dobbiamo dividere e suddividere fra noi e i nostri compiti, in modo che non si intralcino e tutti possiamo fare il massimo sforzo per superare le difficoltà presenti.

Devo dire subito che, a parte ogni dichiarazione di carattere generale di governo, il Consiglio dei Ministri – che ho momentaneamente disertato, ma che è ancora riunito – ha di nuovo oggi ribadito la sua unanime convinzione di marciare sulla strada che si è iniziata, di continuare in un’azione economica per la compressione dei prezzi, di fare appello a tutte le forze del Paese, perché dallo sforzo comune si riesca prima a contenerli e poi a comprimerli; e a questo riguardo svolgerà un’azione concentrica, anche al di fuori dell’Assemblea, e punterà con tutte le forze alla soluzione di quei problemi di struttura e di organizzazione economica che riescano a dominare quel larghissimo margine di speculazione illecita, che è una delle cause principali dell’aumento dei prezzi.

Questo è il nostro programma; in questo chiediamo l’appoggio, il consiglio e la sanzione dell’Assemblea Costituente.

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Ho il dovere di informare l’Assemblea che la relazione al progetto di legge sull’imposta straordinaria è pervenuta ai membri della Commissione mercoledì scorso a mezzogiorno. La Commissione si è riunita alle ore 16 e ha fatto un primo generale esame del provvedimento, ascoltando sul provvedimento stesso la relazione del Ministro Campilli e alcune spiegazioni particolari del Sottosegretario Pella.

La Commissione si riunirà mercoledì in mattinata e inizierà l’esame approfondito del progetto. Io ho dovuto dar tempo ai colleghi di prendere conoscenza della relazione e del progetto. Spero che sabato venturo la Commissione sia in grado di presentare la relazione all’Assemblea Costituente, e quindi di consentire la discussione in Assemblea, a partire da quest’altro lunedì.

La Commissione ha preso accordi con il Ministro per iniziare i lavori preparatori dei bilanci preventivi 1947-48; essa pensa che, in tutto questo periodo tanto la Commissione quanto l’Assemblea, saranno impegnate nell’esame dei problemi finanziari del nostro Paese.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero far rilevare, senza voler creare dei fastidì al Governo per lo svolgimento della sua politica, che noi, come Assemblea, ci. troviamo in una situazione molto curiosa. Quindici giorni fa, dai banchi di vari settori fu avanzata la proposta di una discussione immediata della situazione economica e finanziaria del Paese. Soltanto motivi collegati agli impegni che molti di noi avevano assunto e all’imminenza delle feste pasquali ci indussero a rimandare la discussione.

Durante questo periodo, uno dei gruppi che allora non vollero accedere all’idea di fare subito la discussione, è venuto nell’ordine di idee di farla, e anzi ha addirittura chiesto di anticipare la data di convocazione, già prestabilita, dell’Assemblea.

Non credo che in questi quindici giorni le cose siano così migliorate da rendere inutile una discussione che noi allora ritenevamo necessaria.

Il Governo sta emanando dei provvedimenti; esso è entrato in quella che si potrebbe chiamare, in termini vulcanologici, una fase eruttiva; e non tutto quello che viene fuori in questa fase può avere, non dirò l’assenso a posteriori, ma neanche l’assenso preventivo di alcuni settori di questa Assemblea.

Ma è proprio sull’indirizzo di tutti questi provvedimenti che noi dovremmo avere il coraggio di affrontare i problemi e di arrivare ad una conclusione se non di carattere politico, anche soltanto di carattere tecnico, nei limiti in cui in questa materia la tecnica si può distinguere dalla politica. Attendere la presentazione del progetto relativo all’imposta sul patrimonio ed i bilanci significa non fare più la discussione economica e finanziaria: la qual cosa l’Assemblea è padronissima di decidere, assumendone intiera la responsabilità; ma non so quale figura noi faremmo di fronte al Paese, dopo aver detto quindici giorni fa: «Dobbiamo discutere questo problema», come se oggi le cose fossero andate tanto bene da poter dire: «Aspettiamo che vengano i bilanci».

Io non credo che l’Assemblea, con il calendario dei lavori che ha in vista, avrà il tempo di discutere i bilanci. Se noi dobbiamo finire, come tutti ci auguriamo che avvenga, per il 24 giugno, la Costituente non potrà, entro quel termine, prendere anche in esame i bilanci dei Ministeri, i quali potrebbero del resto andare avanti con l’esercizio provvisorio o con una legge che li approvi in blocco; perché non è in sede di bilanci di previsione che si può effettuare il controllo dell’Assemblea sulla spesa pubblica in un periodo in cui tra la previsione e il relativo consuntivo esistono scarti che possono essere superiori al 100 per 100.

Ecco perché io dico: ci troviamo in un periodo in cui siamo in molti, e siamo relativamente freschi perché abbiamo avuto dieci giorni di vacanza, e siamo anche in condizioni, non dirò di perfetto idillio, ma di armonia, di concordia, perché il problema che ci interessa ci potrà prospettare delle soluzioni differenti dal punto di vista politico, ma tutti vogliamo che si ricorra a quei mezzi che consentano di tirar fuori il Paese dalla situazione attuale.

A mio giudizio, dunque, tutto sarebbe in favore di una discussione immediata di carattere generale. Le discussioni di carattere tecnico sull’imposta e sugli altri provvedimenti del Governo, o si faranno in seno alla Commissione o, se ci sarà tempo, si faranno in seno all’Assemblea.

Io non voglio – ripeto – creare fastidî al Governo. È lungi da me qualsiasi proposta intesa a mettere il Governo in un imbarazzo politico. Io pongo il problema di fronte all’Assemblea per quelli che sono i precedenti della questione e per il giudizio che il Paese può dare di una Assemblea che, di fronte ad una situazione economica di una certa gravità, continua ad occuparsi di tante altre cose, anche se importanti.

Se l’Assemblea ritiene di rimandare, rimandi; da parte nostra insistiamo nel ritenere urgente ed improrogabile la discussione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Desidero osservare che forse non ho rilevato abbastanza – ma la risposta dell’onorevole Corbino me ne dà occasione – che l’Assemblea, rappresentata in quattro Commissioni riunite, ha discusso per tre giorni sopra la relazione Campilli ed ha votato anche un ordine del giorno; così che si può dire che l’Assemblea stessa ha avuto occasione di esprimere una direttiva generica e un pensiero anche di critica sopra lo stato di fatto delle finanze. Altro è se si parla dei provvedimenti che sono in corso. Ma vi prego anche di considerare che si tratta di provvedimenti ancora in corso, alcuni parzialmente in corso, altri non ancora del tutto deliberati ed in elaborazione presso il Governo. Quindi, in questo momento, si possono dare indicazioni generali, ma non si può fare una critica circa provvedimenti concreti, i quali arrivano, del resto, per la maggior parte, alle Commissioni dell’Assemblea.

Se l’onorevole Corbino, o qualche altro, all’infuori delle dichiarazioni generiche fatte nella Commissione, ha un pensiero taumaturgico, una soluzione, noi siamo i primi a desiderare che siano suggeriti in modo che ci possano togliere dall’imbarazzo. E ci sono cento forme per cui l’Assemblea questo pensiero ci può trasmettere e questo controllo può esercitare. Ma io mi domando che cosa farete in una discussione generale nella quale il Governo vi può dire che non ha ancora perfezionato i suoi provvedimenti e non vi può offrire un quadro completo per quanto riguarda l’avvenire.

Io mi rimetto di nuovo alla decisione dell’Assemblea per quanto riguarda il Governo, ma ritengo e confermo che l’opportunità maggiore sarebbe quella della presentazione della relazione sulla patrimoniale. Il Governo, per conto suo, e credo anche la Presidenza dell’Assemblea, non intendono limitare le discussioni di carattere tecnico, ma vorrei che si tenesse presente che la discussione in sede delle quattro Commissioni riunite, e quindi in una adunanza di notevole importanza, è stata tale che il Governo ne ha preso atto nelle sue decisioni per frenare le spese, e ridurre soprattutto le spese di bilancio.

LABRIOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LABRIOLA. Ricordo che l’Assemblea, quando l’onorevole Nitti parlò, a proposito dell’articolo 5, della leggenda di Bisanzio, applaudì. L’onorevole Nitti, che aveva torto dal punto di vista storico perché la storia reale è diversa, ricordò la vecchia leggenda che mentre Bisanzio stava per essere occupata dai Turchi, nella città si discuteva intorno a problemi teologici, cioè se la seconda persona della Trinità fosse stata creata per mezzo del Padre oppure avesse un’esistenza prima del Padre. E l’Assemblea applaudì. L’Assemblea volle dire che quando la casa brucia non è il caso di occuparsi di altre faccende. L’Assemblea assunse che i problemi pratici debbono avere il primo posto nelle sue discussioni. Adesso, il Presidente del Consiglio, in quel suo discorso un po’ sparso che, a dire la verità, non sono riuscito nel mio spirito a rimettere tutto bene insieme, non si sa se ci venga a proporre di rinviare qualsiasi discussione sull’argomento o lasci all’Assemblea la responsabilità di fissare la discussione sugli argomenti finanziari ed economici del Paese.

A me basta rilevare semplicemente che i Paese – e purtroppo la parola non è una esagerazione – arde: dimostrazioni in ogni luogo, agitazioni in ogni parte, discussioni in seno a tutte le assemblee e per condire l’insieme anche qualche omicidio. Per esempio, qui a Roma non sappiamo se oggi potremo andare a far colazione. In queste condizioni noi ci occuperemmo, se si vuole, del divorzio, l’unico argomento sul quale potremo per adesso richiamare la nostra attenzione, per completare la stesura della Costituzione.

Bella cosa la Costituzione! Noi comporremo un bellissimo documento da tramandare ai posteri, ma è cosa infinitamente più grave occuparci delle condizioni del nostro Paese.

Diceva il Presidente del Consiglio: ma che cosa farete se non possiamo proporre nulla di concreto?

Onorevole De Gasperi, possiamo fare una cosa molto semplice e naturale per noi: potremo dire che il Governo non conosce i suoi doveri, che pensa troppo tardi ai problemi che interessano tutto il Paese e poi cerca di differirne l’esame da parte dell’Assemblea. Quindi il Governo, se così si continua, deve cedere ad altri il proprio ufficio, il proprio compito e la direzione degli affari. Ad un Governo si chiede una consapevole direzione della cosa pubblica. Non è da oggi soltanto che accadono tumulti e si hanno invasioni di terre, non è da oggi soltanto che i dimostranti invadono gli uffici delle prefetture non sono di oggi soltanto i tumulti che si verificano in tanti centri del nostro Paese. Accadono da vari mesi faccende di un simile genere, ed il disordine economico di tutta la nazione avrebbe dovuto preoccupare il Governo.

E dovremo noi occuparci di simili cose, soltanto quando verranno presentati i bilanci o avremo più esatte notizie della patrimoniale?

Ci sono delle responsabilità del Governo e delle responsabilità dei Deputati. Noi siamo stati eletti dagli elettori, ed è agli elettori che dovremo render conto del nostro mandato. Il nostro è un mandato essenzialmente di controllo dell’opera del Governo. Il Governo ha il compito di iniziare e di indirizzare: ma i Deputati hanno il compito di porre in esame l’azione del Governo e vedere se esso assolve i propri doveri.

Ne viene di conseguenza che se il Governo crede di dovere aspettare ancora e di avere innanzi a sé il tempo per assolvere ai propri doveri, noi questo tempo possiamo pensare di non averlo.

Obbligo del Governo era di venire innanzi all’Assemblea con un lavoro preparato; e se preparato non è, peggio per esso, e noi ne trarremo le illazioni necessarie.

Concludo perciò che la questione di discutere la situazione economica e finanziaria è urgentissima. Avrei desiderato che l’onorevole Presidente del Consiglio, dati i precedenti che sono stati invocati da varie parti dell’Assemblea e quello che l’onorevole Corbino ricordava, fosse venuto qui a dirci: discutete di questa materia e in queste condizioni. Il Governo non l’ha fatto. L’Assemblea si trarrà d’impaccio a modo suo: non avremo delle dotte relazioni elaborate dal Governo, avremo delle semplici informazioni, quali risultano ai Deputati. Ma potremo almeno dire: bisogna distinguere le responsabilità del Governo da quella dell’Assemblea. Preciseremo che la responsabilità della situazione presente non tocca all’Assemblea: lo preciseremo perché il Paese sappia cosa dovrà fare nelle prossime elezioni politiche. (Applausi).

BARBARESCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BARBARESCHI. Quando alla vigilia di Pasqua abbiamo chiesto la convocazione urgente della Camera pensavamo di dare la nostra collaborazione al Governo per quei provvedimenti che oggi si stanno prendendo. Ci fu risposto allora che la discussione sulla situazione economico-finanziaria avrebbe potuto essere fatta oggi; o al massimo domani. Ci spiace che per ragioni tecniche questo non sia possibile.

Aderiamo alla richiesta del Presidente del Consiglio con questa chiara intesa, del resto ammessa dallo stesso Presidente, che in sede di discussione per la ratifica del decreto per l’imposta patrimoniale si farà anche la discussione completa sulla situazione finanziaria ed economica del paese.

Aderiamo a questa proposta e ci permettiamo di rivolgere viva preghiera ai componenti la Commissione esaminatrice del decreto perché, sollecitando i suoi lavori, possa dare più presto di sabato la sua relazione all’Assemblea.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Barbareschi ho poco da aggiungere. Vorrei dire all’onorevole Labriola che la sua memoria è alquanto labile, se non ricorda che avrebbe avuto la più ampia occasione di discutere la politica economico-finanziaria del Governo – anziché spaziare nei vasti cieli della dottrina politica – in occasione della discussione generale sulle comunicazioni del Governo, avvenuta lo scorso gennaio.

Comunque, non mi pare che si possa giudicare come inopportuna la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio, di porre l’Assemblea di fronte ad una serie di provvedimenti, a cominciare da quello, in certo senso fondamentale, dell’imposta straordinaria sul patrimonio, quando ci separano pochi giorni dalla presentazione della relazione sui provvedimenti medesimi.

Perciò, noi siamo del parere, espresso anche a nome del Partito socialista italiano dall’onorevole Barbareschi, che la presentazione della relazione sull’imposta straordinaria sul patrimonio fornisca occasione abbastanza prossima e, comunque, opportuna per una discussione sulla politica finanziaria ed economica del presente momento.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Mi associo alle dichiarazioni degli onorevoli Gronchi e Barbareschi.

Noi riteniamo utile che una discussione su tutta la politica economica e finanziaria del Governo venga fatta in questa Assemblea, dopo la preventiva discussione avvenuta nelle quattro Commissioni riunite.

Però, noi riteniamo pure utile lasciare al Governo la possibilità di concretare in provvedimenti definiti il programma che si è proposto di attuare. Tanto più utile sarà la discussione quanto più si baserà su provvedimenti concreti; e tanto meglio se questi provvedimenti potranno essere accompagnati da dichiarazioni del Governo, non solo sugli elementi della situazione economica e finanziaria contingente, ma anche sulle prospettive che il Governo ha per il prossimo avvenire.

All’onorevole Labriola desidero far osservare che questa non è un’Assemblea legislativa normale, ma un’Assemblea Costituente, la quale entro il 24 giugno deve dare la nuova Costituzione al Paese. (Interruzioni Commenti). Se è vero che noi abbiamo il dovere del controllo sull’azione governativa, però è anche vero che abbiamo concordemente stabilito che in questo periodo di eccezione i rapporti fra l’Assemblea ed il Governo necessariamente sono regolati in modo diverso da quello normale e tradizionale d’un regime parlamentare.

Questo mi permetto ricordare agli onorevoli colleghi.

Per queste ragioni concordo con la dichiarazione del Presidente del Consiglio, quando dice di considerare un po’ anche l’economia del tempo e di ciò che dovremo fare.

Ritengo che il problema dell’imposta straordinaria sul patrimonio può dare occasione ad una discussione su tutta la politica finanziaria ed economica del Governo.

Poiché oggi è venerdì, e quand’anche decidessimo di iniziare subito la discussione, potremmo avere solo domani o lunedì la relazione del Ministro Campilli e poi quella del Ministro Morandi; quindi potremmo incominciare a discutere mercoledì o giovedì. Per la fine della settimana prossima la Commissione del Tesoro sarà in condizione di presentare la relazione sull’imposta straordinaria sulla quale si inizierà la discussione; quindi tutta la divergenza si riduce ad una questione di 4-5 giorni, una settimana.

Io non credo che un così breve ritardo nella discussione su tali problemi possa avere conseguenze negative: se così fosse direi di non perdere nemmeno un’ora di tempo, di discutere subito, di giorno e anche di notte. Comunque questo giudizio spetta al Governo, e se il Governo dice di ritenere opportuno che la discussione si inizi con la presentazione della relazione sull’imposta straordinaria, noi non abbiamo motivo di avere parere diverso od opposto a quello espresso dal Presidente del Consiglio.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Comprendo che il rinviare la discussione di qualche giorno non dovrebbe pregiudicare la situazione: però mi pare che quando un problema di questo genere è stato posto, il Paese ha il diritto di esserne informato il più sollecitamente possibile.

Non credo che il fatto che noi siamo un’Assemblea Costituente e non un’Assemblea legislativa ci esoneri dall’obbligo di tener conto della situazione economica e finanziaria del nostro Paese, di esaminarla e di vedere se possiamo trovare soluzioni che possano finalmente mettere il nostro Paese su una strada di vera ricostruzione. Ecco perché ci auguriamo che il Governo senta il bisogno di sollecitare questa discussione. Il fatto che dovremmo chiudere i nostri lavori il 24 giugno non ha importanza agli effetti di questa discussione, perché se noi facciamo la discussione una settimana prima oppure dopo, indubbiamente del tempo ce ne vorrà, e questo dovrà essere inevitabilmente tolto ai lavori sulla Costituzione. Se sarà necessario noi dovremmo sentire il dovere di fare delle sedute anche notturne, perché dobbiamo fare la Costituzione; ma nello stesso tempo non possiamo trascurare i problemi più urgenti che il Paese deve risolvere.

Che la Commissione finanziaria debba esaminare il progetto sulla imposta patrimoniale è un fatto che non credo possa impedire all’Assemblea di discutere il problema generale sulla questione economica e finanziaria. L’imposta patrimoniale è uno degli aspetti che eventualmente potrà esser preso in esame nella discussione generale sulla economia del nostro Paese. Quindi insisto, a nome del mio gruppo, perché questa discussione sia portata dinanzi all’Assemblea il più sollecitamente possibile, perché soltanto così daremo al Paese la sensazione esatta che sentiamo i bisogni che il Paese ha e cerchiamo di risolverli nel miglior modo possibile.

NATOLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NATOLI. Il Gruppo repubblicano avrebbe desiderato che la discussione fosse avvenuta prima; ma, di fronte alle dichiarazioni del Governo, che si assume la responsabilità di portarla all’Assemblea, non si oppone. La situazione del Paese non è lieta, poiché vi è uno stato di agitazione anche provocato. Comunque, il Gruppo repubblicano è d’accordo che la questione sia portata in Assemblea.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Quando la questione venne la prima volta dinanzi alla riunione dei Presidenti dei Gruppi, noi sostenemmo che l’iniziativa e la responsabilità di questa discussione spettavano al Governo. Rimaniamo, dunque, coerenti alla posizione che assumemmo allora ed accettiamo la proposta che è stata formulata, a nome del Governo, dal Presidente del Consiglio. Ci dispensiamo dal ripetere ragioni note a tutti per cui affrontare i problemi finanziari è uno dei doveri essenziali dell’Assemblea; ma, tenendo conto che il rinvio è breve e preoccupati soprattutto della serietà, della concretezza e della efficacia del dibattito, aderiamo alla proposta del Presidente del Consiglio, augurandoci che nella prossima settimana possa essere iniziata la discussione sulla situazione finanziaria.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Indipendentemente dall’avviso manifestato dal Presidente del Consiglio sulla opportunità di abbinare la discussione sulla situazione generale finanziaria con quella sullo stato di previsione dell’esercizio futuro, io penso che un’utile discussione sulla situazione finanziaria non si possa fare se prima la Commissione di finanza e tesoro non abbia ultimato i suoi lavori sui provvedimenti testé adottati dal Governo. Posso essere d’accordo con l’onorevole Corbino, che alcuni punti della situazione finanziaria possono essere esaminati indipendentemente dai provvedimenti adottati dal Governo recentemente; ma non c’è dubbio che specialmente il provvedimento riguardante l’imposta straordinaria sul patrimonio ha una influenza decisiva sulla situazione finanziaria, specialmente quando si tenga conto che il Ministro del tesoro alla stessa Commissione di finanza e tesoro fece dichiarazioni che riguardano un piano di risanamento generale della finanza dello Stato.

Ora, siccome la Commissione di finanza e tesoro è riconvocata per mercoledì prossimo, e in quell’occasione si esamineranno tutti i problemi relativi ai provvedimenti finanziari, e siccome prevedo che i lavori della Commissione potranno essere ultimati probabilmente per la fine della settimana ventura, io proporrei che la discussione sulla situazione finanziaria fosse stabilita a data fissa, cioè il 21 aprile prossimo.

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Come Presidente della Commissione finanze e tesoro, sento il dovere di dichiarare che la Commissione si è tenuta al di fuori di qualsiasi orientamento e indirizzo politico ed ha considerato i suoi lavori dal punto di vista strettamente tecnico.

Il progetto di imposta straordinaria ci è stato presentato mercoledì. Noi ne abbiamo fatto un primo esame mercoledì stesso; naturalmente, abbiamo potuto considerare il solo aspetto generale della questione.

Stabilendo come termine massimo per i nostri lavori sabato venturo, riteniamo di aver fatto uno sforzo, perché questi non sono problemi che la Commissione può considerare da un giorno all’altro. Adesso, ci investite di una responsabilità più delicata, nel senso che ci esortate a sollecitare i nostri lavori, onde permettere il dibattito in seno all’Assemblea. Noi faremo il possibile, ma non credo che possiamo anticipare la conclusione dei nostri lavori prima di sabato, in modo che l’Assemblea possa discutere lunedì la situazione finanziaria generale, in base al progetto di legge.

PRESIDENTE. Vi è dunque la proposta del Presidente del Consiglio, riecheggiata da taluni oratori, perché la discussione circa la situazione economica e finanziaria abbia luogo in occasione della presentazione, da parte della Commissione finanze e tesoro, della relazione sull’imposta straordinaria sul patrimonio. Questa proposta sottopongo all’approvazione dell’Assemblea.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Per le ragioni da me precedentemente espresse, dichiaro che noi votiamo contro.

PRESIDENTE. Metto ai voti la proposta. (È approvata).

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Domando che, nel frattempo, la Presidenza distribuisca il resoconto delle discussioni avvenute in seno alle quattro Commissioni riunite, affinché vi sia la preparazione necessaria alle discussioni che dovremo fare in Assemblea.

PRESIDENTE. Per quanto le discussioni che avvengono in seno alle Commissioni normalmente non diano luogo ad una documentazione da distribuire ai membri dell’Assemblea, accedendo al desiderio espresso oggi dall’onorevole Chiostergi, e già manifestato in precedenza da altri colleghi, disporrò che siano stampati e distribuiti i verbali delle sedute delle Commissioni riunite. (Approvazioni).

Interrogazioni ed interpellanza con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni per le quali è stato chiesto lo svolgimento d’urgenza:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro delle finanze e tesoro, per sapere se non ritengano giunto il momento, a due anni di distanza dalla fine della guerra, di prendere finalmente a cuore le disgraziate condizioni dei sinistrati di guerra e di affrontare – con una legge di emergenza – il problema del risarcimento dei danni, liquidando totalmente i più modesti e accordando acconti sufficienti per i danni più rilevanti; se non credano giusto e morale stabilire che le leggi emanande in tema di risarcimento per la ricostruzione siano basate sui principî di solidarietà e di mutualità, per cui tutta la ricchezza nazionale debba concorrere alla rinascita del nostro Paese; se a tale scopo non siano anche da facilitare gli Istituti di credito fondiario ad istituire immediatamente speciali sezioni, autorizzate ad emettere cartelle per le opere di ricostruzione a favore di privati e di enti pubblici.

«Fogagnolo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali difficoltà si frappongono al sollecito espletamento delle indagini in corso nei confronti dell’ufficio annonario comunale di Ancona per le gravissime irregolarità da esso commesse continuamente nelle assegnazioni dei generi tesserati, spesso arbitrarie o addirittura apparenti, e nella mancata tenuta dei libri contabili. Poiché queste ed altre concomitanti irregolarità ed arbitri sono stati documentatamente accertati da una diligente inchiesta del sindaco di Ancona, e poiché la giustificata indignazione della cittadinanza è accresciuta dal sospetto diffuso nell’opinione pubblica locale che la lentezza delle indagini dipenda, oltre che da difficoltà tecniche, anche da pressioni di natura politica da parte di coloro che hanno l’interesse di mettere tutto a tacere, l’interrogante chiede altresì di conoscere quali misure l’onorevole Ministro intenda adottare e quali istruzioni intenda emanare per dissipare i gravi sospetti della popolazione, per accertare rapidamente e compiutamente tutte le responsabilità e per assicurare la conseguente applicazione delle sanzioni previste dalle leggi.

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per conoscere quale sia l’atteggiamento che il Governo intende assumere nei confronti delle ultime arbitrarie occupazioni di terre verificatesi nei giorni scorsi nelle provincie calabresi e determinatesi in seguito ad agitazioni fomentate da elementi estremisti, contrarie al rispetto e allo spirito della legge e lesive di ogni principio di proprietà privata.

«Capua».

 

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Governo, per sapere se abbia nulla da dire o da fare per il disservizio giudiziario rassegnatamente cronico e portato ora alla esasperazione dall’agitazione di giusta protesta dei magistrati e degli avvocati; e se, in attesa di esaminare innanzi alla Costituente i nuovi ordinamenti su questo argomento, non creda di dare una precisa assicurazione circa il trattamento proporzionato da fare ai magistrati e circa la pienezza dei mezzi atti a porre l’Amministrazione giudiziaria nella dignità ed efficienza proprie di uno Stato libero, consapevole del dovere di rendere a tutti giustizia.

«Bertini».

«II sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, perché voglia informare l’Assemblea del punto a cui si trova l’agitazione dei magistrati che rende ancora più grave e dannoso per la collettività, nelle più importanti città d’Italia, il disservizio giudiziario e di ciò che il Governo si propone di fare per risolvere tale grave questione, in modo da assicurare al Paese una giustizia sollecita illuminata e serena.

«Targetti».

Comunico inoltre che è pure pervenuta alla Presidenza la seguente interpellanza per la quale è stato chiesto lo svolgimento d’urgenza:

«Il sottoscritto chiede d’interpellare i Ministri del lavoro e previdenza sociale, dell’interno, della difesa, dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, per conoscere se e quali provvidenze abbiano escogitato a favore della popolazione di Campobasso, privata del suo territorio agricolo per la costituzione di un lago artificiale, che dà vita ad una grandiosa centrale elettrica.

«Rivera».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

GALATI, Sottosegretario di Stato per le poste e telecomunicazioni. Il Governo si riserva di comunicane se e per quali di queste interrogazioni ed interpellanza accetta l’urgenza.

GHIDETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDETTI. Nella seduta del giorno 27 marzo, il Governo ha riconosciuto il carattere di urgenza ad un’interpellanza da me presentata, relativa alla situazione dei lavoratori italiani infortunati sul lavoro in Germania e vorrei pregare il Presidente di invitare il Governo a stabilire la data di discussione.

PRESIDENTE. Il problema difficile delle interpellanze – anche di quelle di carattere urgente – è fissarne la data di svolgimento nel quadro dei lavori dell’Assemblea. Non è il Governo, infatti, che la stabilisce: è l’Assemblea che deve dedicare qualche seduta alle interpellanze. Mi sembra, però, che col programma di lavori poco fa stabilito non ci siano molte prospettive di avere una seduta a questo scopo. Se l’Assemblea ritiene che si debba interrompere la discussione sul progetto di Costituzione o sul problema economico-finanziario, per dar luogo a quella delle interpellanze, la Presidenza accederà alla richiesta; ma allo stato di fatto, temo che tale possibilità non sia molto vicina. II Governo risponderà invece alle interrogazioni.

SULLO FIORENTINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SULLO FIORENTINO. Poiché da ventun giorni il Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha riconosciuto l’urgenza di una mia interrogazione, pregherei il Presidente di sollecitarne lo svolgimento.

PRESIDENTE. Vorrei far presente agli onorevoli colleghi che sarebbe forse anche opportuno ricorrere alle interrogazioni con risposta scritta. Proprio nella giornata di ieri mi sono rivolto, in maniera questa volta ufficiale, ai singoli Ministri per ricordar loro la norma del Regolamento che fissa un limite, entro il quale deve esser data risposta scritta alle interrogazioni.

GEUNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Avevo presentato un’interrogazione concernente i pensionati, che questa mattina era la prima nell’ordine del giorno; ma, per un disguido ferroviario, non sono stato presente. Vorrei chiedere che sia inserita nell’ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Sarà tenuto conto della sua richiesta.

FOGAGNOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FOGAGNOLO. Desidero far presente che l’onorevole Sottosegretario alla guerra mi ha dichiarato che non ha difficoltà a riconoscere l’urgenza per l’interrogazione, testé letta, sui sinistrati di guerra da me presentata.

PRESIDENTE. Il Governo sarà interpellato al riguardo.

Interrogazioni ed interpellanze.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e delle interpellanze pervenute alla Presidenza.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, ed i Ministri dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste, per sapere:

1°) se è a conoscenza del Governo lo stato di grave disagio nel quale si dibatte l’agricoltura e quindi tutta l’economia dei comuni situati nella piana di Oristano in seguito ai danni provocati dalle continue alluvioni dovute all’illegale funzionamento delle opere di scarico del lago Omodeo che, creato come opera di trattenuta delle piene del fiume Tirso, è invece diventato causa principale degli allagamenti delle campagne sottostanti ed impedimento alla esecuzione delle opere di bonifica e di trasformazione fondiaria nei terreni più fertili della Sardegna;

2°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora raccolto le proteste delle popolazioni colpite, proteste che tendono a fare cessare l’attuale stato di asservimento di tutta l’economia di una vasta e fertile regione agli interessi della società concessionaria del bacino, asservimento che dura dal 1924, malgrado le vive proteste delle popolazioni danneggiate;

3°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora ritenuto opportuno applicare l’articolo 30 dei disciplinari di concessione 17 marzo 1914 (legge 11 luglio 1913, n. 985) dichiarando la decadenza della concessione stessa dato che l’esercizio del serbatoio è così difettoso ed irregolare da richiedere provvedimenti nel pubblico interesse.

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga che quelle medesime considerazioni che hanno giustamente indotto il Governo a provvedere perché sia garantita una certa qual dignità di vita e serenità di spirito ai magistrati, valgano anche per i professori universitari, il cui attuale stato di disagio economico si ripercuote dolorosamente sulle sorti stesse della ricerca scientifica e della cultura nazionale.

«Colonnetti».

 

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se creda che la Direzione generale delle ferrovie dello Stato abbia provveduto secondo legge e giustizia, escludendo dalle promozioni per gli anni 1944 e 1945 tutti gli impiegati sottoposti a giudizio di epurazione, per i quali il Consiglio di Stato dichiarò non esser luogo a irrogazione di sanzioni disciplinari, e se non pensi che l’illegittima esclusione violi le disposizioni del decreto legislativo 9 novembre 1945, n. 702.

«Abozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non intenda prorogare i termini utili per la presentazione delle domande di risarcimento di danni subìti per rappresaglia, ai 180 giorni concessi quale termine delle domande relative ai danni derivanti da esplosioni e ordigni di guerra, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 1946, n. 226, che statuì l’equiparazione delle formazioni partigiane alle Forze armate, ai fini del risarcimento dei danni di guerra.

«Selvaggi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’industria e commercio, sulle misure che intendono adottare allo scopo di evitare l’estendersi del sistema di lotta sindacale attuato in alcuni importanti stabilimenti dell’Italia settentrionale e centrale, sistema diretto a «rallentamenti» della produzione, che incidono in modo grave sulla già ridotta produzione industriale ed impediscono ogni efficace azione di compressione dei prezzi, in aperta contraddizione con la politica annunziata dal Governo.

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste, per conoscere se e come intenda accogliere i ripetuti voti dei Sindacati forestali di tutta Italia, i quali reclamano:

1°) che vengano restituiti alla Direzione dei servizi forestali: organicità, attività, spirito di iniziativa, nominando il capo del Corpo delle foreste ed eliminando le due attuali discordi direzioni;

2°) che vengano adottati i numerosi provvedimenti reclamati dai forestali per le promozioni, le reintegrazioni nel grado, l’esaurimento delle pratiche di epurazione, il decoroso armamento e la vestizione del personale, il trattamento di assistenza, il prelevamento dei viveri, la corresponsione delle competenze arretrate ed insomma per tutto quanto valga a dimostrare ai dipendenti l’equo interessamento della Direzione alle loro più elementari esigenze;

3°) che sia comunque creata e ricostituita quella armonia e corrispondenza di scopi e di azioni fra Direzione e personale, senza le quali è vano sperare in un soddisfacente andamento delle importanti, delicate attribuzioni affidate al Corpo delle foreste.

«Santi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere l’esatta versione dei fatti ai quali diede luogo l’agitazione popolare del 10 aprile culminata con l’invasione della Prefettura di Torino, specie in riferimento alla causale che provocò l’agitazione stessa e ai provvedimenti adottati al riguardo.

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quando intenda disporre che siano sostituite le intitolazioni a non insigni nomi della decaduta dinastia nelle scuole italiane, nelle quali dovranno educarsi le nuove generazioni repubblicane.

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se non intendano subito emanare disposizioni affinché agli olivicoltori e ai frantoiani dei comuni delle provincie che hanno per intero soddisfatto il contingente comunale di olio da conferire agli oleari del popolo, venga concessa l’autorizzazione a commerciare l’olio loro rimasto sia nell’ambito della provincia che in altre, limitatamente per ora a quantitativi pari a quelli conferiti agli ammassi, subordinando il trasferimento del prodotto alla emissione di una regolare bolletta di accompagnamento, da rilasciarsi dalla Sepral o dalla Upsea. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quale fondamento abbiano le voci di cui si è fatta eco recentemente la stampa di Ferrara, circa trattative in corso per l’assorbimento del plurisecolare Ateneo estense da parte della Università cattolica di Milano. E per conoscere, inoltre, se a tale Ateneo sarà conservata la stessa autonomia e indipendenza, di cui godono tutte le altre Università di Stato, e se gli sarà garantito il funzionamento con mezzi adeguati, così come avviene per gli altri Atenei. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bosi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere – premesso che a parità di grado e di categoria di mutilazione, o inabilità a causa di servizio non di guerra, corrispondono pensioni, che per i dipendenti vincolati da rapporto di impiego assommano alla misura annua, per esempio, di lire 16.480, mentre per coloro che contrassero lo stesso grado di invalidità o mutilazione, a causa di servizio di guerra, corrispondono assegni pari a lire 242.647 – se non ritenga equo ed opportuno un provvedimento legislativo, atto ad equiparare le mutilazioni e le invalidità derivate da servizio in guerra con quelle di categoria identica contratte in servizio non di guerra, estendendo agli ultimi l’indennità di super invalidità, di cura ed assistenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non creda opportuno esaminare la situazione degli agenti di pubblica sicurezza richiamati in servizio in forza del decreto-legge 1° settembre 1940 e di quelli richiamati in servizio in seguito a propria domanda, al fine di stabilire:

  1. a) il regime della indennità di pensione per questi richiamati;
  2. b) il loro diritto ad avere effetti di vestiario;
  3. c) la possibilità di chiedere trasferimenti, con diritto a rimborso, spese trasporto masserizie;
  4. d) la tessera definitiva per tutti; e, in generale, un trattamento pari a quello che viene concesso ai richiamati dei carabinieri, ai quali vengono riconosciuti diritti pari a quelli dei carabinieri in servizio permanente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Grieco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non creda opportuno bandire un concorso per sottotenente in servizio permanente effettivo nell’arma dei carabinieri cui possano partecipare gli ufficiali che hanno superato il 28° anno di età, già dichiarati idonei al concorso dell’aprile 1943 per sottotenente di complemento dei carabinieri, che si rifiutarono di partecipare ai corsi indetti a Firenze, partecipando invece alla lotta partigiana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritengano doveroso ed utile:

1°) provvedere al passaggio in ruolo dei dipendenti del Ministero dei lavori pubblici, che per provata capacità e lodevole servizio compiuto come avventizi per oltre dieci anni risultino meritevoli di tale trattamento, destinato anche a rendere più tranquillo e più proficuo il loro lavoro;

2°) ammettere un regolare contratto di impiego per il rimanente personale avventizio con meno di dieci anni di servizio. Ciò si chiede in deroga alle disposizioni generali in vista della enorme mole di lavori pubblici per la ricostruzione e le riparazioni e dei conseguenti compiti delicati riservati agli Uffici del Genio civile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guariento».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio con l’estero, per conoscere:

1°) per quali motivi il contingente di importazione di gomma grezza, chiusosi ad iniziativa della Direzione delle importazioni il 31 gennaio 1947, è stato portato da diecimila tonnellate, come convenuto con il Ministero dell’industria, a diecimilaseicento tonnellate, ed in favore di quali ditte;

2°) se, in relazione al fatto che molte licenze risultano concesse a ditte non qualificate, l’onorevole Ministro non creda voler rendere pubblico l’elenco nominativo delle ditte preferite, ed i criteri che hanno guidato la Direzione delle importazioni in tale circostanza;

3°) se sia vero che la percentuale assegnata a ditte meridionali, del contingente in questione, sia minima e lesiva dello sviluppo commerciale e degli interessi del Mezzogiorno;

4°) se, per la chiarezza e salvaguardia della pubblica amministrazione, in un Dicastero di delicata struttura come è quello del commercio con l’estero, l’onorevole Ministro non ritenga opportuno dare pubblicazione periodica e regolare dell’elenco nominativo delle ditte, cui vengono concesse licenze di importazione, esportazione, e compensazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cicerone».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se sia vero che si vuol trasferire il deposito del 47° reggimento fanteria da Lecce, ove da moltissimi anni è di stanza, dando lavoro ad un ingentissimo numero di persone, a Bari, ove già hanno sede oltre una ventina di enti militari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cicerone».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere i motivi per i quali si indugia nel riconoscere a tutti gli effetti il «Gruppo patrioti della Maiella», eroica formazione volontaria di combattenti della guerra di liberazione che, operando dapprima come banda partigiana e, poi, come unità militare alle dipendenze della 209a divisione italiana (P.M. 185) sino al 10 ottobre 1944 e della 228a divisione. I.F.A.HQ (P.M. 16) successivamente, s’è coperta di gloria dal fiume Sangro (5 dicembre 1943) ad Asiago (1° maggio 1945) e si impone, oggi, alla riconoscenza ed all’ammirazione degli italiani con questo suo stato di servizio che è luminoso esempio del patriottismo indomito dei montanari d’Abruzzo, purissimi eredi delle tradizioni garibaldine: caduti in combattimento 54; mutilati, invalidi e feriti 200; decorati al valore 206. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere i motivi per i quali – pur dopo innumerevoli richieste, sollecitazioni e proteste, anche dell’interrogante – le popolazioni dei 23 comuni della Maiella sinistrati dalla guerra vengono lasciate da mesi senza soccorso alcuno e costrette ad una esasperazione senza limiti, che da un momento all’altro può provocare gravi incidenti: la Sezione distaccata dell’assistenza post-bellica di Torricella Peligna, preposta alla loro assistenza, fin dal mese di febbraio doveva ricevere circa 12 milioni per provvedere al rimborso dei ruoli, alla erogazione di sussidi, alle spese di assistenza sanitaria, ecc., e finora non ha ricevuto nulla! Si invita ancora una volta il Ministero a provvedere d’urgenza all’invio di tali fondi direttamente alla predetta Sezione per evitare che vengano stornati, per altre esigenze, dalla Prefettura di Chieti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici, della marina mercantile e delle finanze e tesoro, per sapere se non ritengano che sia giunto il momento di riesaminare la questione degli Enti autonomi portuali, allo scopo di giudicare e decidere se non sia il caso di ripristinare – nell’interesse economico e politico della Nazione, ai fini della sollecita ricostruzione dei porti danneggiati dalla guerra, nonché dell’inizio del decentramento delle funzioni statali – gli Enti predetti che furono soppressi in blocco, nel 1923, dal governo fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non ritenga opportuno, oltreché giusto, per alleviare in minima parte i sacrifici e gli stenti della martoriata classe dei funzionari statali, promuovere l’emanazione di un decreto legislativo che estenda fino al limite di 25 anni di età per ogni figlio a carico, la corresponsione ai predetti funzionari dell’aggiunta di famiglia che, in base alle vigenti, vecchie disposizioni, cessa al compimento del 21° anno di età, quando, cioè, maggiori e più gravi diventano gli oneri del capo famiglia per il proseguimento degli studi e per la sistemazione dei figli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuno, oltreché giusto, promuovere l’emanazione di un decreto legislativo il quale – riparando alle dannose conseguenze del Regio decreto 1° giugno 1933, n. 641, che per l’ammissione agli impieghi presso gli enti locali e parastatali richiedeva tassativamente l’iscrizione al partito fascista – sopprima il limite massimo di età per quegli aspiranti a tali impieghi che, non potendo oggi partecipare ai relativi pubblici concorsi per aver superato il limite predetto, siano in grado di dimostrare che per deliberato proposito mai hanno chiesto la tessera fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ravvisi l’urgente necessità di trarre dal loro completo isolamento i numerosi comuni delle vallate del Sangro e dell’Aventino (molti dei quali sono stati gravemente danneggiati dalla guerra), disponendo che, in attesa della ricostruzione della linea ferroviaria Sangritana che da Crocetta si svolgeva fino a Castel di Sangro, sia istituito al più presto un servizio automobilistico per passeggeri e per merci, che giornalmente, con varie corse di andata e ritorno, compia, press’a poco, lo stesso percorso per ridare la vita a quei comuni ristabilendone i collegamenti ed i traffici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e delle finanze e tesoro, per sapere se non ravvisino la necessità di aggiornare, in materia di valori e di prezzi, le varie provvidenze legislative emanate a suo tempo per la ricostruzione dei paesi della Marsica distrutti o danneggiati dal terremoto del 13 gennaio 1915. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere se non ravvisi la necessità, vivamente sentita nel Mezzogiorno d’Italia, di promuovere l’emanazione di un decreto legislativo, il quale – considerato che la legge 5 dicembre 1941, n. 1572, sul decentramento degli stabilimenti industriali, in connessione ai nuovi impianti idroelettrici dell’Italia centrale, meridionale ed insulare, fu promulgata in un tempo (Gazzetta Ufficiale del 4 febbraio 1942, n. 28) in cui, per le vicende belliche, nessuno poteva trarne vantaggio, e ritenuto che essa non poté ricevere applicazione nel limite di tempo all’uopo stabilito (fino al 31 dicembre 1946) a causa delle difficoltà, tuttora fortissime, per le attrezzature e le materie prime – rimetta in vigore, con le innovazioni di forma richieste dall’attuale regime repubblicano, la legge suindicata e ne proroghi l’efficacia almeno pel decennio 1947-56. Dalla realizzazione di tale voto – espressamente formulato dalla Camera di commercio e industria di Teramo con apposita deliberazione – deriverebbe sicuro beneficio alle provincie dell’Italia centro-meridionale ed alle isole e più particolarmente all’Abruzzo, povero di industrie, specie in relazione al grande impianto idroelettrico del Vomano in corso di costruzione, con contributo notevole alla ricostruzione della vita economica nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritenga assolutamente necessario ed urgente annullare ogni effetto del decreto del 1923 con cui vennero lesi i diritti e le aspettative di migliaia di operai statali a matricola arbitrariamente retrocessi in una posizione di instabilità e di precarietà economica. Alla soglia o già in piena vecchiaia questi operai oggi debbono poter fruire della pensione cui avrebbero avuto diritto se non fosse intervenuto il deprecato decreto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Andreotti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga indispensabile ed urgente:

  1. a) disporre che si proceda alla ricostruzione dell’edifizio della importante stazione ferroviaria di Francavilla a Mare, una delle pochissime, di quelle distrutte sul litorale adriatico, che non siano state ancora riedificate;
  2. b) ordinare che fin d’ora servizi automobilistici sussidiari delle ferrovie dello Stato compiano più volte al giorno, per viaggiatori e per merci, il percorso Francavilla-Chieti;
  3. c) disporre che vengano migliorate le comunicazioni automobilistiche tra il capoluogo di Chieti ed i vari centri della provincia mercé l’uso di maggior numero di veicoli ed ordinandosi alle società concessionarie delle varie linee di distinguere con apposite vetture, in determinati punti di più intenso traffico come Lanciano, San Vito, Ortona e Francavilla, il servizio per Chieti da quello per Pescara, al fine di evitare che viaggiatori da e per Chieti o centri di detta provincia siano costretti a compiere inutilmente un maggior percorso, con notevole aggravio di spese, transitando per Pescara. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere quale fondatezza abbia la progettata istituzione nella piana di Gela di un aeroporto civile, il cui approntamento importerebbe una spesa di circa 750 milioni di lire, mentre esiste nel territorio di Comiso un aeroporto militare in ottime condizioni, fornito di acqua, luce, alloggi, rimesse e materiale vario recuperabile ed utilizzabile, che potrebbe essere con minima spesa trasformato in aeroporto civile. E ciò a prescindere dalla considerazione che la piana di Gela è zona malarica ed acquitrinosa, che l’area, in cui dovrebbe o potrebbe sorgere il progettato campo di Gela, riveste carattere di maggiore ubertosità rispetto a quello dove attualmente sorge l’aeroporto di Comiso, tanto più che tale fertilità sarà maggiormente potenziata dalle costruende dighe del Disueri, mentre l’aeroporto di Comiso non potrebbe, in ogni caso, altro che con enormi dispendiosissime opere, riportarsi allo statu quo ante per uno sfruttamento agricolo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cannizzo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei trasporti e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se non ravvisino la necessità improrogabile di adottare provvedimenti di urgenza, atti a rimuovere le difficoltà che si frappongono alla concessione di carri ferroviari, per trasportare dalle zone di produzione a quelle di consumo rilevanti quantitativi di paglia e di foraggio, destinati agli allevamenti stabulanti e semi-stabulanti dell’Italia settentrionale. Ogni ulteriore ritardo si rifletterà sugli allevamenti, sulla ricostruzione del patrimonio zootecnico e sulla produzione letamica. Le merci sopraindicate sono in sofferenza da molti mesi, pur essendo state acquistate per il consumo dalle zone degli allevamenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere:

1°) quali provvedimenti intenda prendere nei riguardi dell’esattore delle imposte di Roma, che dal 1944 – in dispregio delle chiare disposizioni di legge – notifica le cartelle di pagamento delle imposte senza indicare le aliquote per ogni cento lire di rendita, o di reddito imponibile, colle quali si determinano le somme dovute allo Stato, alla provincia, al comune, ponendo così il contribuente nella condizione di non poter rilevare gli eventuali errori materiali, per i quali è ammesso ricorso entro tre mesi dalla pubblicazione del ruolo;

2°) se intenda disporre che – venuti a mancare ai contribuenti gli elementi necessari per rilevare gli errori materiali – i ricorsi prodotti per questa ragione siano considerati in termini – ove non lo fossero – per i casi in cui l’ignoranza delle aliquote non avesse loro consentito di conoscerne la sussistenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Santi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuno, accogliendo i voti più volte espressi dal Sindacato magistrale e dall’Associazione nazionale reduci, di immettere nei ruoli, previo concorso per soli titoli, gli insegnanti elementari reduci, i quali non abbiano potuto partecipare per ragioni di servizio militare a regolari concorsi nazionali banditi durante la guerra. Tale beneficio potrebbe essere eventualmente limitato solo a coloro che abbiano riportato la qualifica di «buono» nel servizio prestato da incaricati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere con urgenza se, accogliendo i voti dell’Unione nazionale ferrovieri e in attesa che sia approvato il nuovo regolamento del personale ferroviario che dovrà dare ai ferrovieri che prestano servizio negli uffici un trattamento giuridico ed economico pari a quello degli altri impiegati dello Stato, non ritenga giusto e doveroso sospendere immediatamente i provvedimenti di collocamento a riposo del personale degli uffici per limite d’età inferiore a quello applicato dalle altre Amministrazioni dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cifaldi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali ostacoli si frappongono alla sollecita sistemazione, più volte richiesta dall’Unione nazionale ferrovieri, del personale contrattista dipendente dall’Amministrazione ferroviaria e specialmente di coloro che abbiano le qualifiche di combattente, di reduce e di partigiano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cifaldi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se gli sembri giusto che – come avverte una sua recente circolare telegrafica ai prefetti – agli impiegati degli Enti locali e parastatali che prestano servizio nei centri sinistrati dalla guerra venga negata l’indennità di disagiata residenza a causa delle difficoltà di bilancio di quegli stessi Enti; e se non ritenga opportuno – per riparare a così grave ingiustizia ed alla sperequazione, che ne deriva, tra le predette categorie di impiegati e quella dei dipendenti statali – promuovere l’emanazione di un decreto legislativo che, a modifica delle disposizioni richiamate nella circolare succitata, ponga l’onere della indennità in oggetto a carico dello Stato od autorizzi la integrazione, da parte dello Stato, di quei bilanci, per far fronte al pagamento della indennità medesima, in considerazione del fatto che nella generalità dei casi non possono essere attivi i bilanci di Enti dei centri sinistrati dalla guerra e tali ufficialmente classificati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non crede opportuno di impartire energiche disposizioni agli agenti di polizia affinché sia evitato lo sconcio di sistemi adottati da strilloni, incaricati della vendita di certi giornali, che si permettono di gridare notizie non contenute nei giornali stessi o deformate tendenziosamente. A Roma, in questi ultimi giorni, senza il minimo intervento degli agenti di polizia, gli strilloni hanno annunziato fra l’altro, «la svalutazione della moneta» e la «fuga di Parri». Il malcostume contribuisce a diffondere allarmismo nel Paese e uno scandalismo diffamatorio irresponsabile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Natoli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga urgente promuovere la emanazione delle nuove norme per le proroghe dei contratti agrari, tenendo conto della particolare situazione di determinate regioni come la Riviera Ligure, ove la maggior parte delle affittanze dei terreni adibiti a colture floricole scadono il 30 giugno prossimo venturo.

«L’attuale periodo di incertezza nuoce alla produzione delle prossime annate in coltura che alimenta una forte corrente di esportazione, particolarmente interessante per la nostra bilancia commerciale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pera».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere :

1°) i motivi che provocano il ritardo della concessione dell’aumento del 120 per cento di indennità carovita agli impiegati statali e parastatali dei paesi della Penisola Sorrentina e dei comuni di Bacoli, Monte di Procida, Nola, centri nei quali il costo della vita è superiore a quello del capoluogo e che sono collegati ad esso, oltre che per continuità quasi assoluta di abitato, anche da rapidi mezzi di trasporto;

2°) i motivi per cui non viene pagata la indennità di presenza agli insegnanti della provincia di Napoli da moltissimi mesi;

3°) i motivi per cui agli impiegati statali con sede di servizio in Napoli, ma domiciliati in provincia per l’assoluta mancanza di abitazioni, non viene pagata l’indennità di città sinistrata, mentre è evidente che detti funzionari devono subire aggravi fisici ed economici non indifferenti.

«La necessità di venire incontro ai bisogni degli impiegati statali e parastatali della provincia di Napoli deve essere onestamente ed accuratamente vagliata dal Ministro del tesoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mazza».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e dei lavori pubblici, per conoscere se sono a conoscenza che i locali delle scuole elementari in taluni paesi della Calabria, come Bianconuovo, Mammola, Brancaleone, per non dire di molti altri, sono dei veri tuguri e perfino delle stalle, i cui miasmi rendono irrespirabile l’aria agli alunni e agli insegnanti con grave nocumento della salute di questi, costretti talvolta a sospendere la scuola.

«Se, in considerazione di questa grave situazione, non si ritiene necessario dichiarare urgenti i lavori per la costruzione degli edifici scolastici e provvedere al finanziamento dei molti progetti approvati, esistenti presso il Genio civile, in attesa di essere eseguiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano, nell’interesse dei fittavoli o coloni dei fondi olivetati, emettere un decreto che confermi, sani e ratifichi il decreto ministeriale 19 ottobre 1945 (Gazzetta Ufficiale del 26 ottobre 1945, n. 127), dai tribunali dichiarato incostituzionale, per analogia, in seguito a sentenza della Cassazione 25 maggio 1946, che dichiarò illegittimo il decreto Gullo del 26 luglio 1944, emesso per il grano, allo scopo di difendere i suddetti coltivatori diretti dalla richiesta poco onesta di proprietari dei fondi olivetati, i quali, avvalendosi dell’adesione della Magistratura, pretendono ed ottengono in via giudiziaria la restituzione del premio percepito per la coltura degli oliveti per l’annata agraria 1945-46.

«L’interrogante fa presente che il Presidente del Consiglio dei Ministri, per riparare all’ingiustizia derivata dalla sentenza della Cassazione succitata, beneficiante i ricchi proprietari e dannosa ai lavoratori della terra, emise un decreto-legge, in data 22 giugno 1946, n. 44, con effetto retroattivo, per il pagamento del premio ai coltivatori del grano, e la questione fu definitivamente risolta.

«Altrettanto chiedesi oggi per i coltivatori dell’olio per l’annata 1945-46.

«Fa presente ancora l’interrogante che il Comitato interministeriale dei prezzi, in data 18 ottobre 1946, adottò il provvedimento che, «anche per l’olio, nel determinare il prezzo, debbasi, come già per i cereali, assegnare una terza parte a chi provvede alla coltura dei fondi, cioè al fittavolo». (Vedere il Tempo e il Globo del 19 ottobre 1946). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della difesa, perché consideri se non sia il caso di apportare al decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 401, opportune modifiche, perché esso comprenda anche i sottufficiali dei carabinieri, che, per essere arrivati all’apice della carriera, non possono, pur trovandosi nelle condizioni previste dall’articolo 2, conseguire la promozione straordinaria per «benemerenze d’istituto». Non è giusto che un brigadiere possa essere promosso maresciallo ed un maresciallo maggiore debba conservare il suo grado. Ben si potrebbe, invece, andare incontro anche ai marescialli, promovendoli, ove concorrano altre condizioni, sottotenenti.

«Colitto».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro delle finanze e tesoro, per conoscere le ragioni per le quali viene ancora ritardato il pagamento delle lettere di credito rilasciate dagli alleati ai nostri soldati che hanno lavorato in prigionia alle loro dipendenze.

«Il ritardo è tanto più inescusabile, in quanto risulta che in molti casi i Comandi alleati hanno già provveduto al ritiro delle lettere di credito contro versamento delle intere somme dovute.

«E mentre dagli Alleati fu praticato il cambio di lire 225 per dollaro, i distretti militari italiani praticarono, nei pochi casi in cui effettuarono i pagamenti, il cambio di lire 100 e, come se non bastasse tale patente ingiustizia, venne persino richiesto il rimborso della differenza, in quanto per successivo pentimento non avrebbero voluto praticare nemmeno il cambio a lire 100, ma a lire 18.

«Tale incresciosa situazione genera notevole disagio ai reduci che, in gran parte disoccupati, si vedono privati di somme che potrebbero utilizzare per iniziare nuove produttive attività.

«Coccia, Carignani».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi. ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure le interpellanze saranno iscritte nell’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano, nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 13.15.

GIOVEDÌ 10 APRILE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXXXII.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 10 APRILE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Comunicazione del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Sulla comunicazione alla Camera dei Comuni del Canadà del messaggio del Presidente dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Dichiarazione del deputato Russo Perez circa un’accusa mossagli:

Russo Perez                                                                                                      

Presentazione di una relazione:

Vernocchi                                                                                                        

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Basso, Relatore                                                                                                  

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione                                                 

                                                                                                                          

Nobili Tito Oro                                                                                                

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Patricolo                                                                                                         

Bulloni                                                                                                            

Costantini                                                                                                        

Bettiol                                                                                                             

Gabrieli                                                                                                            

Caroleo                                                                                                           

Murgia                                                                                                             

Lucifero                                                                                                           

Crispo                                                                                                               

Preziosi                                                                                                            

Grilli                                                                                                                

Veroni                                                                                                              

Cifaldi                                                                                                              

Tonello                                                                                                            

Russo Perez                                                                                                      

Baldini Confaloneri                                                                                       

Laconi                                                                                                              

Rossi Paolo                                                                                                      

Maffi                                                                                                                

Codacci Pisanelli                                                                                            

Sui lavori dell’Assemblea:

Barbareschi                                                                                                     

D’Aragona                                                                                                       

Corbino                                                                                                            

Tupini                                                                                                                

Galati, Sottosegretario di Stato per le poste e telecomunicazioni                          

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta pomeridiana del 28 marzo.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Parri, Fuschini, Pallastrelli, Penna Ottavia, Simonini e Mastino Pietro.

(Sono concessi).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato a far parte della Commissione per la Costituzione l’onorevole Bettiol, in sostituzione dell’onorevole Froggio.

Sulla comunicazione alla Camera dei Comuni del Canadà del messaggio del Presidente dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Il Presidente della Camera dei Comuni del Canadà, signor Gaspard Fauteux, ha informato il Rappresentante diplomatico italiano ad Ottawa di aver dato conoscenza ai capi dei partiti politici, rappresentati in quel Parlamento, del messaggio inviato a nome dell’Assemblea Costituente italiana.

Nella sua comunicazione, ispirata a viva cordialità verso l’Italia, il signor Fauteux dice fra l’altro:

«Credo di rispecchiare i sentimenti che animano i membri della Camera dei Comuni, assicurandovi della profonda simpatia e dell’ammirazione del Canadà verso i vostri compatrioti, perché non ignoriamo le sofferenze morali e fisiche del popolo italiano, nonché lo sforzo supremo dell’Italia per migliorare la sorte della sua popolazione e riprendere il posto che dovrebbe occupare nel mondo internazionale».

La risposta della Camera dei Comuni canadese conferma che la voce dell’Assemblea Costituente va trovando sempre maggiormente eco nei più alti consessi del mondo; fatto di cui abbiamo ragione di compiacerci non solo per il prestigio dell’Assemblea, ma anche e specialmente per il bene del Paese. (Vivissimi, generali applausi).

Auguri dell’Assemblea al Capo dello Stato.

PRESIDENTE. Dopo la sospensione dei lavori, ho inviato al Capo dello Stato, onorevole Enrico De Nicola, il seguente telegramma:

«Sicuro di esprimere il sentimento unanime dell’Assemblea Costituente, i cui rappresentanti d’ogni Gruppo già vollero, recentemente, farsi interpreti diretti, presso di Lei, del rispetto, della fiducia e della simpatia di tutte le correnti politiche, Le invio, in occasione delle festività pasquali, annunciatrici del sereno e pacifico risveglio delle feconde forze del creato, auguri di felicità personale, intimamente connessa con le sorti della rinascita della Nazione».

Il Capo dello Stato ha risposto nei termini seguenti:

«La ringrazio vivamente del cortese telegramma augurale che in occasione della Pasqua ha voluto inviarmi e formulo i voti più fervidi per la prosecuzione degli storici lavori dell’Assemblea Costituente, da Lei autorevolmente presieduta». (Vivissimi, generali applausi).

Dichiarazione del deputato Russo Perez circa un’accusa mossagli.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Se fossero in giuoco solo il mio interesse e la mia dignità, non prenderei la parola per smentire certe voci calunniose messe in giro a mio danno da avversari poco scrupolosi, dato che il Governo, per bocca dell’onorevole Carpano, ha già dichiarato che le accuse sono senza fondamento. Ma parmi che sia in giuoco anche la dignità dell’Assemblea, perché da tempo assistiamo con dolore al dilagare di un malcostume, per cui uomini facenti parte di questo Consesso, non solo non si attengono alle regole di cortesia che una volta (e vi sono autorevoli colleghi che ricordano, incarnano e rimpiangono quel tempo) erano vanto del Parlamento italiano, ma spesso trascendono a ingiurie e arrivano alla diffamazione non documentata né documentabile, e anche alla calunnia ed alla istigazione al delitto, come è avvenuto a mio danno.

Quando si pone in questa Assemblea il dilemma «o un cospiratore o un calunniatore», e sia stato dimostrato che non vi è un cospiratore, occorre che vi sia una sanzione contro il calunniatore, ove si voglia veramente riparare l’offesa e il danno e, nello stesso tempo, tutelare la dignità di questa Assemblea, che dovrebbe accogliere il fior fiore del popolo italiano, non soltanto per intelligenza e cultura, ma anche per onestà e buone maniere.

Quello che stava contro di me nelle interrogazioni che mi riguardavano era la difficoltà, per una persona normale, di ammettere che un giornalista, un uomo politico possa, pur di far male al proprio avversario, attribuirgli dei fatti assolutamente inesistenti.

Eppure il caso non è nuovo.

Durante la scorsa campagna elettorale, a Castronovo di Sicilia, vi furono dei fatti di sangue ed io, che avevo tenuto un comizio in quella città esortando il popolo alla tolleranza ed alla concordia, fui accusato dal giornale diretto dal deputato Li Causi di avere eccitato il popolo alla reazione e quindi indirettamente al misfatto. Si noti che la stessa sera si era acclarato, e il detto giornale ne faceva cenno, che dal fatto esulavano i moventi politici.

E, per i fatti ultimi, dopo che il Sottosegretario di Stato agli interni dichiarò che le accuse a me rivolte erano prive di fondamento, lo stesso giornale ha osato scrivere che io sono stato «pubblicamente svergognato alla Costituente».

Si tratta di una invincibile tendenza alla invenzione e alla diffamazione. Pensate che, alla sola Procura della Repubblica di Palermo, sono annotate 27 querele per diffamazione contro l’onorevole Li Causi, il doppio o il triplo di quante, in un’intera legislatura burrascosa, se ne possono addensare sul capo di 500 deputati. E pensate che vi sono altre otto provincie in Sicilia. In una di queste, perché un pretore emise una sentenza che non garbava all’onorevole interrogante, egli additò tutta la Magistratura al disprezzo dei suoi elettori e fu denunciato per vilipendio delle istituzioni.

L’articolo del giornale del deputato Li Causi, di cui le proteste e le interrogazioni non sono che amplificazioni, minimizzazioni o svolgimenti, porta la data del 25 marzo e mi accusa, anzitutto, di eccitamento alla guerra civile. Come sarà certamente risultato dalle indagini fatte, io ho eccitato i miei ascoltatori, come sempre, alla tolleranza. L’Umanità ha scritto recentemente che gli iscritti al Partito socialista lavoratori italiani debbono provvedere energicamente alla loro difesa personale. Io ho detto di meno. Non «energicamente reagire», ma nei limiti che la legge assegna al diritto di difesa, e rimanendo piuttosto al di qua che al di là di essi.

Che la data in cui parlavo fosse una data importante per il caduto regime potrei dire che lo ignoravo, tanto ciò era lontano dalla mia mente. Chi scelse quella data fu il Presidente del Comitato elettorale, che non appartiene al nostro partito.

Mi si accusò di apologia del fascismo. Mi è penoso discolparmi da una accusa che offende soprattutto la mia intelligenza, una accusa contro cui sono insorti migliaia di cittadini anche di altri partiti, che, in nome della verità, in nome dell’onestà, hanno inondato il mio studio di proteste, alcune delle quali troppo vivaci per essere lette in questa Assemblea. Eccone una firmata da 22 ufficiali superiori, quasi tutti mutilati e decorati al valore.

Si è chiesto un rapporto alla polizia. Io mi permetto di trovare un po’ strano il procedimento. Alla fine di ogni comizio elettorale il funzionario di servizio riferisce al superiore su quanto è accaduto. E così avvenne a Palermo. Se nulla di illegale fu rilevato, nulla di illegale avvenne. Bisognava chiedere quel rapporto. Chiederne uno nuovo avrebbe potuto essere interpretato da un funzionario timido come desiderio di ottenere una nuova versione dei fatti. Comunque l’onestà dei funzionari, anche col secondo rapporto, smentì in pieno gli interroganti circa l’apologia, circa i monumenti e circa la bandiera.

Ma debbo fermarmi un istante sull’episodio della bandiera, perché voi possiate esser certi che l’incredibile può esser vero: che, cioè, un mio atto di lealismo è stato trasformato dai calunniatori in un atto di ribellione. Prima che si iniziasse il comizio mi si disse che vi era disponibile una sola bandiera, ma con lo stemma sabaudo. Proibii che la si esponesse, preferendo la critica degli amici monarchici alla speculazione degli avversari, nel desiderio di evitare atti ed atteggiamenti contrari alle direttive del mio partito e alle idee già manifestate su tale materia dal Ministro dell’interno onorevole Scelba. Mentre io parlavo, alcuni amici coprirono tutta la parte centrale della bandiera con l’insegna dell’«Uomo Qualunque», e allora soltanto la bandiera fu esposta sul tavolo degli oratori. Ecco una dichiarazione rilasciatami sull’argomento. Ebbene, il giornale del deputato Li Causi afferma che fu esposta la bandiera col «ranocchio» sabaudo tra gli applausi delle «pervertite» dame della aristocrazia palermitana. Per tutte le accuse fattemi ho già presentato querela per diffamazione con facoltà di prova. Ma chiamo anche giudice dei fatti questa alta Assemblea.

Il deputato Montalbano ha svolto l’interrogazione. Alle risposte dell’onorevole Carpano avrebbe dovuto dichiararsi lieto che i fatti non si fossero svolti nel modo immaginato dagli interroganti. Ebbene, l’onorevole Montalbano, imperterrito, cocciuto e assurdo rispose: «Sta di fatto che lo stemma c’era e che Russo Perez ha fatto l’apologia del fascismo, ha proposto erezione di monumenti ai giustiziati di Dongo»… e simili castronerie.

Cosicché, se io faccio una interrogazione per sapere se sia vero che egli esercita la tratta delle bianche e che tutte le case di piacere del nord-Africa siano gestite da lui, e se le informazioni della polizia smentiscono in pieno l’assunto, io, dato il sistema inaugurato dall’onorevole Montalbano, posso dire: Sta di fatto che egli gestisce quelle case.

Ebbene, con lo stesso, anzi con minor fondamento, egli ha osato dire che da diversi mesi io cerco di riorganizzare su larghe basi il disciolto partito fascista per il ritorno della monarchia e sa perfino chi sarà il mio Ministro dell’interno, risum teneatis: l’ispettore generale di polizia Messana.

Che io non riorganizzo nessun partito egli lo sa bene, lo sanno le Autorità, lo sanno tutti. E, se quanto ha detto il deputato Montalbano non fosse assolutamente fanciullesco, potrei dire che egli ha mentito sapendo di mentire.

Ma poiché i fatti attribuitimi, se fossero veri, costituirebbero reato, ed egli ha lanciato le sue stolte accuse sotto l’usbergo dell’immunità parlamentare, che fa lecito, di questi tempi, come ho già lamentato, diffamare e indicare al pubblico odio e al pubblico disprezzo ogni Deputato che non appartenga al gruppo degli intoccabili, io penso che il deputato Montalbano, se vuole aspirare ad essere considerato un galantuomo; ha due sole vie dinanzi a sé: o ritrattare quanto ha detto, e la ritrattazione, per le persone a modo, non è vergogna, ma onore, ove sia caduto in errore; oppure denunziarmi al magistrato. Io lo querelerò subito per calunnia.

Ma, onorevoli colleghi, questa è la mia azione. Se voi volete che il sistema della diffamazione e della calunnia contro gli avversari politici sia bandito da questo consesso, avete i mezzi per farlo. Ho finito. (Applausi a destra).

Presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Vernocchi ha facoltà di recarsi alla tribuna per presentare una relazione.

VERNOCCHI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione sul disegno di legge relativo all’ordinamento della cinematografia nazionale.

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Vernocchi della presentazione della relazione sul disegno di legge relativo all’ordinamento dell’industria cinematografica nazionale. Sarà stampata e distribuita.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Non essendovi altri oratori iscritti a parlare sul Titolo I, darò la parola all’onorevole Basso, Relatore su questo Titolo, e all’onorevole Tupini, Presidente della prima Sottocommissione.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Basso.

BASSO, Relatore. Onorevoli colleghi, parlando a nome della Commissione e per esporre un suo pensiero collettivo, io sarò ancora più sobrio del solito, perché cercherò di eliminare da queste mie brevi dichiarazioni qualunque posizione di partito o qualunque considerazione di carattere personale. E sarò sobrio anche perché la discussione generale, cui dovrei rispondere, non ha offerto, per la verità, molti spunti di carattere generale, che rendano possibili dei chiarimenti approfonditi. Quasi tutti gli oratori – direi, tutti gli oratori – che sono intervenuti nella discussione generale su questo Titolo hanno in realtà trattato ciascuno argomenti speciali, attinenti a determinati articoli, hanno svolto in precedenza emendamenti, o hanno criticato e difeso singoli testi, più che enunciare dei criteri di carattere generale. E poiché la Commissione si riserva, in sede di discussione e votazione dei singoli emendamenti, di esprimere su ciascuno il proprio punto di vista, dichiaro che non farò in questo mio breve intervento riferimenti specifici alle cose che sono state dette in ordine ai singoli articoli, limitandomi quindi a dei concetti generali.

Non ho molte cose da aggiungere a quello che il nostro Presidente Ruini ha già detto nella sua Relazione relativamente a questo Titolo.

Con quali criteri noi abbiamo cercato di elaborare questi articoli sulle libertà civili che oggi sono in discussione, e di cui il collega La Pira ed io siamo stati relatori davanti alla prima Sottocommissione?

Dalle osservazioni che sono state fatte e dagli emendamenti che sono stati presentati, io vedo che i colleghi si sono indirizzati verso due forme di osservazioni assolutamente opposte. Vi sono coloro i quali propongono di semplificare, di scarnire al massimo questi articoli, limitandosi quasi senz’altro ad un semplice rinvio alla legge; vi sono altri, viceversa, che trovano che i nostri articoli sono insufficienti e che occorrerebbe maggiormente precisare, maggiormente inserire particolari nella Costituzione, per dare il massimo possibile di garanzie sui temi delle libertà individuali.

Io credo che noi ci siamo attenuti ad una giusta via di mezzo, preoccupati di evitare da un lato il semplice rinvio alla legge; abbiamo, cioè, pensato che il tipo di norme, come, per esempio, quella dell’articolo dello Statuto albertino relativo alla stampa – «La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi» – un tipo cioè di norma costituzionale che si limita semplicemente al rinvio ad una legge futura – come parecchi emendamenti presentati in questa sede ci richiedono ancora oggi – sia un tipo di norma vuota, assolutamente da scartare in questa nostra Carta costituzionale. Noi non abbiamo, purtroppo, nella nostra storia recente, una tradizione di libertà e di democrazia che abbia creato un costume politico nel nostro Paese; usciamo, al contrario, da un periodo di dittatura e di larghi abusi, proprio nel campo delle violazioni della libertà individuale. Quindi un semplice rinvio alla legge, senza che nella Costituzione siano indicati per lo meno i limiti entro cui il legislatore si può muovere, senza che nella Costituzione siano affermati i fondamenti delle garanzie che devono essere date al cittadino, sembrava veramente – e sembra ancora oggi – alla Commissione (la quale in questo difenderà i proprî testi nelle linee generali, salvo emendamenti particolari) una cosa impossibile. Sembra sia assolutamente da evitare, dall’altro lato, che si debba inserire nella Costituzione tutto ciò che rivesta carattere di eccessiva particolarità: una disciplina integrale non può essere fatta nella Costituzione; ed in tale ordine di idee abbiamo appunto cercato di costruire questi articoli relativi alla difesa delle libertà fondamentali.

Un altro inconveniente è che si tratta di norme contenute in disposizioni ormai tradizionali le quali, dalla Magna Carta inglese, ci derivano attraverso le Costituzioni più moderne. Non c’è, in fondo, mentalità più conservatrice di quella del giurista, il quale continua a ripetere le formule più vecchie e più logore per disciplinare una materia che, più di qualsiasi altra, è nuova e cambiata.

Noi troviamo che quasi tutti i giuristi, e comunque tutti coloro che si accingono a discutere ed a vagliare norme in questo campo, non riescono mai a distaccarsi da quelli che sono i testi e le forme tradizionali. È quindi molto difficile incapsulare in questa formula una realtà nuova, che abbraccia situazioni giuridiche e politiche e di fatto completamente diverse.

La stessa concezione dello Stato tende oggi, direi, ad essere diversa. Noi cerchiamo oggi infatti di avere uno Stato che sia veramente democratico, cioè del popolo; ed evidentemente, nella misura in cui cerchiamo di realizzare una Costituzione che risponda a questi criteri, e che sia veramente una Costituzione di tutto il popolo italiano, non possiamo conservarvi immutata la mentalità che inspirava determinati articoli, i quali nascevano da una situazione storica diversa, in cui i singoli cittadini si dovevano difendere da un potere esecutivo che era loro nemico.

Noi ci riferiamo oggi a poteri pubblici che sono emanazione del popolo, e non dobbiamo concepire in partenza gli atti di questi poteri pubblici come arbitri di un potere tradizionale monarchico contro cui i cittadini debbano difendersi; è evidente quindi che oggi sono da ricercarsi formule rispondenti a questa esigenza di una società che non è più quella di un tempo. Ed in questo senso credo che gli articoli, così come la Commissione li ha elaborati attraverso una serie di discussioni, possano, salvo marginali emendamenti, rispondere alle esigenze della nostra Costituzione.

Ma si è detto da taluno che la libertà individuale e personale vi risulta scarsamente tutelata e che il rinvio alla legge delle disposizioni particolari non può essere ritenuto sufficiente. Sotto tale punto di vista, però, noi abbiamo cautelato queste nostre norme in un triplice modo: con il rinvio alla legge generale, cioè con il rinvio alla volontà popolare consacrata in norme giuridicamente valide, senza lasciare margini alla discrezionalità del potere esecutivo; con l’intervento dell’autorità giudiziaria la quale controlli che l’applicazione di queste norme sia fatta in modo legale, e con quelle determinate limitazioni e criteri generali che abbiamo stabilito nella Costituzione, a cui anche la legge dovrà informarsi.

Noi abbiamo pertanto affermato dei concetti che riteniamo rispondano veramente alla difesa dei diritti del cittadino. Non abbiamo infatti soltanto fissato nella Costituzione dei principî fondamentali, quali la necessità dell’intervento dell’autorità giudiziaria e la necessità di rispettare determinati termini, ma abbiamo fissato altresì qualche cosa di nuovo, che cioè, non potendosi disconoscere il diritto della pubblica sicurezza di intervenire in determinati casi di necessità e di urgenza, debba esservi l’obbligo non solo di denunziare tali casi per averne la convalida da parte dell’autorità giudiziaria quando si voglia mantenerli, ma anche di denunciarli all’autorità giudiziaria, pur se la stessa pubblica sicurezza rinunzi all’arresto o al fermo operato. Ossia, non che l’Autorità di pubblica sicurezza debba chiedere all’Autorità giudiziaria di intervenire soltanto per mantenere l’arresto o la conferma del provvedimento, ma debba anche far conoscere all’Autorità giudiziaria tutti i casi in cui essa ha proceduto a questo determinato fermo o arresto, perché l’Autorità giudiziaria si pronunzi, in ogni caso, sulla legalità del provvedimento. Abbiamo pensato che questa norma, collegata a quella dell’articolo 22, che stabilisce la responsabilità personale dei funzionari che violino le norme e i diritti di libertà sanciti da questa Costituzione, dovrebbe dare al cittadino una sufficiente garanzia che i suoi diritti saranno rispettati.

È stata fatta da qualcuno l’osservazione che questo articolo 8, così come formulato, non tutelava abbastanza la libertà del domicilio, e la Commissione è d’accordo nello staccare da questo articolo 8, secondo le proposte già pervenute, l’articolo 9, nel quale si parlerà della inviolabilità di domicilio in modo espresso. Anche qui ci siamo trovati di fronte alla necessità di tener conto della vita moderna, diversa da quella di sei o sette secoli fa, ed un articolo – come da taluno è stato proposto – che dicesse che il domicilio è inviolabile sarebbe insufficiente, perché paralizzerebbe alcuni aspetti della vita del giorno d’oggi, in cui bisogna riconoscere che pubblici ufficiali debbono avere, in determinati casi, il diritto di entrare nel domicilio privato per ragioni diverse da quelle di polizia, e, per esempio, anche per ragioni fiscali.

Ma queste norme le abbiamo circondate da alcune necessarie cautele, perché la libertà del cittadino sia garantita e soprattutto non sia trascurato il punto fondamentale per cui questi articoli furono dettati e devono essere mantenuti, cioè la garanzia contro l’arbitrio della pubblica sicurezza, stabilendo che leggi speciali potranno dettare norme nei casi in cui questi interventi saranno consentiti e solo per quei casi speciali.

Abbiamo cercato, nel limite di queste considerazioni, che sono essenzialmente tecniche per la formazione di questi articoli, di ampliare più che possibile i diritti di libertà del cittadino, anche per reazione a quello che è il periodo da cui usciamo.

Ed abbiamo fatto innovazioni che rappresentano un progresso della nostra Carta costituzionale rispetto ad altre; abbiamo riconosciuto, per esempio, il diritto di associazione, in una forma sconosciuta non solo nello Statuto albertino, che non lo menzionava, ma anche in altre Costituzioni. Abbiamo detto che il diritto di associazione è riconosciuto senza limitazione per fini che non sono vietati ai singoli da leggi penali, cioè tutto quello che un cittadino può fare da solo, che può compiere senza urtare i precetti della legge penale, può essere oggetto e scopo di associazione ed è la forma più ampia che si trovi in qualsiasi Costituzione. È un passo avanti per noi; e anche in ordine al diritto di riunione, essendosi affermato che non è soggetto a preavviso, quando si tratta di luogo di riunione aperta al pubblico, abbiamo esteso lo stesso diritto di riunirsi senza preavviso per la riunione privata e per quella fatta in luogo privato, ma aperta al pubblico.

Sono state mosse critiche in vario senso all’articolo relativo alla libertà di stampa. È questo un articolo su cui la Commissione si è più a lungo soffermata, perché ha sentito che era più che mai necessario soppesare le singole parole. Noi ritorneremo su questo articolo e diremo quali sono gli emendamenti che accettiamo e quelli che respingiamo. Un punto fermo, comunque, è che qualche principio limite debba essere inserito nella Carta costituzionale e che non si possa in questa delicatissima materia fissare semplicemente il rinvio ad una legge che possa poi disciplinare la stampa senza un controllo costituzionale.

È stato in modo particolare criticato l’istituto del sequestro preventivo, che la Commissione ha ammesso. Io credo che vi siano dei casi in cui non vi dovrebbe essere nessuna possibilità di discutere sull’opportunità di questo sequestro preventivo, e sono i casi in cui vi è una violazione delle norme amministrative sulla pubblicazione della stampa; quando, ossia, si pubblica il giornale, la rivista, la pubblicazione periodica senza l’indicazione del gerente responsabile, quando si stampa qualsiasi cosa senza l’indicazione del tipografo, quando cioè ci sia in chi stampa il desiderio di sottrarsi alla responsabilità che deve assumere. Evidentemente in tali casi è giusto che la legge intervenga ed ordini l’immediato sequestro di questa stampa, perché se noi vogliamo difendere la libertà dei cittadini e della stampa, la vogliamo però difendere nella stessa misura in cui colui che ritiene di valersi di questa libertà, si assume la responsabilità relativa; e sarebbe veramente un non senso che difendessimo la libertà di stampare da parte di colui che non si assume la responsabilità delle cose che dice e che stampa. Vi è quindi una connessione fra il principio di responsabilità e il principio di libertà, e giustamente, io credo, la Commissione ha ritenuto che nei casi di violazione di norme amministrative si possa introdurre il sequestro preventivo.

Riguardo al sequestro preventivo per reati che siano il risultato del contenuto di quello che si è stampato, la cosa evidentemente è più delicata e potrebbe prestarsi più facilmente ad arbitrio.

Io credo – ed esprimo qui un mio parere strettamente personale – che in questa materia sia bene affidarsi soltanto al magistrato; naturalmente ad un magistrato che abbia questa specifica funzione di sorveglianza sulla stampa, che possa intervenire prontamente contro i reati di stampa e il cui intervento costituisca senz’altro l’inizio di un procedimento contro colui che si è reso responsabile del delitto.

Ma quello che bisogna distinguere sono le due ipotesi: quella di violazione delle norme amministrative e quella del reato contenuto nel testo che si stampa. In questa materia vi è una norma che è stata oggetto di critiche ed è quella relativa al comma ove si dice che la legge può stabilire dei controlli sulle fonti di finanziamento e di informazioni. Io credo che questa norma vada collegata nel quadro accennato di un rapporto fra il senso di responsabilità e la libertà dei cittadini. È giusto che sia riconosciuta la libertà di stampa; è giusto però che questa libertà sia accompagnata dalle responsabilità che non sono soltanto le responsabilità di colui che firma, ma sono anche le responsabilità di colui che finanzia e di colui che dà le notizie che si pubblicano. Credo che questa sia una nuova conquista della libertà di stampa. Ma qui rientreremmo in norme particolari, sulle quali ci ritroveremo a parlare quando discuteremo dei singoli articoli.

Quello che la Commissione ritiene dover riaffermare è soltanto che essa ha creduto di mantenere nella formulazione che ha dato e che sostanzialmente risponde anche al pensiero della Commissione, un giusto equilibrio fra la necessità della libertà personale e l’autorità dello Stato, fra la necessità di dare alla Costituzione alcune direttive fondamentali e la necessità di non scendere a particolari, che avrebbero inutilmente appesantito il testo della Costituzione.

In tali limiti, credo che, senza gravi difficoltà per questi articoli, potremo senz’altro procedere rapidamente; e che la grande maggioranza degli emendamenti presentati potrà essere facilmente superata, senza discussioni, perché non vi sono in giuoco, per la maggior parte di essi, preoccupazioni politiche, ma è in tutti noi la preoccupazione tecnica di formulare articoli, che rispondano nel modo migliore alle esigenze, che ho affermate.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente della prima Sottocommissione.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Onorevoli colleghi, più che per necessità sostanziali, per onore di firma prendo la parola. Dopo le delucidazioni e le spiegazioni date dal Relatore onorevole Basso, anche a nome del collega onorevole La Pira, a me non rimane che rilevare come tutti coloro che sono intervenuti nella discussione (ben 20 o più colleghi) si siano, in via di massima, pronunziati favorevolmente all’insieme degli articoli che vanno dall’8 al 22.

Dovrei, anzi, ringraziare di questa adesione gli onorevoli colleghi, i quali l’hanno data, talvolta, anche con un certo fervore di esaltazione, che ha fatto piacere a tutti noi della Commissione che abbiamo elaborato e formulato questi articoli.

Naturalmente ci riserviamo, in sede di discussione degli emendamenti, di precisare in modo concreto e specifico il nostro pensiero, anche perché la stessa discussione, che abbiamo chiamata generale, è stata generale per modo di dire, poiché ciascuno degli oratori non ha fatto che abbordare ed esaminare l’uno o l’altro degli articoli del primo capitolo, la cui formulazione sarà da noi difesa nei confronti degli emendamenti da varie parti presentati e che sono – a mio avviso – di tre ordini: stilistici, formali e sostanziali.

Mentre per i primi due sarà facile intenderci, per quelli di sostanza ci consentirete una maggiore intransigenza.

Alcuni colleghi, infine, sono intervenuti nella discussione senza presentare emendamenti. A questi io debbo qualche risposta fin da questo momento e in modo particolare all’onorevole Tieri, il quale ha investito il capitolo ora in esame e – si può dire – l’intero progetto con particolare accento di critica negativa.

In fondo egli si è espresso nei seguenti termini: «Ciascun articolo ha in comune con i precedenti il pregio di cominciare bene e di terminare male». E ancora: «Comincia bene l’articolo allorquando fa delle affermazioni fondamentali, sostanziali di diritto, e finisce male quando si riferisce o alla legge o al magistrato».

Faccio osservare all’onorevole Tieri (a parte le risposte che hanno già dato a lui gli onorevoli Bettiol e Leone Giovanni) che il riferimento alla legge o al magistrato è una necessità in un progetto costituzionale, che non può esaurire una serie di casi, e che la legge ed il magistrato, in un paese democraticamente organizzato, rappresentano appunto la garanzia della libertà e della democrazia. Il nostro sforzo è stato precisamente quello di sottrarre all’arbitrio del potere esecutivo ogni possibilità di menomare la libertà dei cittadini, preferendo così la garanzia della legge e della magistratura, che non dovrebbero preoccupare lo spirito libero e democratico dell’onorevole Tieri.

Ci sono poi alcuni colleghi che hanno domandato la soppressione di alcune disposizioni. Mi riferisco agli onorevoli Mastino Pietro, Grilli, Veroni e Carboni, i quali hanno criticato l’ultima parte dell’articolo 8, che prevede la punizione di ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

Noi, invece, teniamo in modo speciale a questa disposizione, che del resto altri colleghi hanno giustamente apprezzata ed esaltata, e desideriamo che rimanga così com’è nel testo della nuova Costituzione per ragioni di umanità e anche a titolo di condanna di un periodo nefasto della nostra storia politica, durante il quale la polizia, o giudiziaria o politica o carceraria, ha creduto di servire la tirannide con sistemi tutt’altro che rispettosi della dignità dell’uomo e del cittadino.

Ecco perché vogliamo dare al legislatore futuro una direttiva precisa, al fine di assicurare ai cittadini, qualunque sia il motivo della loro detenzione, il pieno rispetto della loro integrità e dignità personale. (Interruzione dell’onorevole Grilli).

Onorevole Grilli, so benissimo che ella condivide questi miei apprezzamenti, ma allora non insista nella domanda di soppressione della norma da noi proposta.

All’onorevole Basile, che, pur limitando il tema delle sue critiche, si è mostrato tutt’altro che tenero verso l’insieme del nostro progetto, rispondo di non poter consentire con lui nella proposta di soppressione di quella parte dell’articolo 8 che si riferisce alle misure provvisorie.

Ci sono dei casi veramente eccezionali di necessità, di urgenza, di sanità e incolumità pubblica, di flagranza di reato, ecc., in cui l’adozione di misure provvisorie si manifesta estremamente opportuna. L’importante è che queste misure siano veramente provvisorie e durino il minor tempo possibile. Perciò le abbiamo limitate a 48 ore. Un tale limite mi sembra così modesto da garantire ogni possibilità di arbitrio e di trattamento vessatorio.

Dopo ciò non credo di dover aggiungere altro. L’onorevole Basso ha già dato uno sguardo di insieme ed ha reso edotta l’Assemblea dei motivi ispiratori di questo titolo del progetto, i quali hanno trovato già, attraverso la vostra elevata e approfondita discussione, il generale consentimento che non rimane oscurato né diminuito da qualche critica di dettaglio.

E io sono particolarmente lieto di fare questo rilievo che reputo di buon auspicio per la definitiva approvazione dei singoli articoli, per il cui eventuale affinamento la Commissione darà tutto il suo appoggio e la più schietta collaborazione. (Applausi).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale sopra il primo titolo del progetto di Costituzione.

Dobbiamo ora passare allo svolgimento degli emendamenti.

Penso che ogni collega abbia esaminato con una certa preoccupazione il fascicolo degli emendamenti, che sono ben 116 per 15 articoli; anzi 117 poiché in questo momento ne è stato presentato un altro.

Di questi 117 emendamenti, 39 sono già stati svolti. Ne restano ancora da svolgere 78, e se ogni presentatore si varrà della facoltà riconosciuta di parlare per 10 minuti, abbiamo una prospettiva di giornate e giornate esclusivamente dedicate allo svolgimento degli emendamenti.

Prima di passare a questa fase, tuttavia necessaria, del nostro lavoro, desidero pregare ancora una volta gli onorevoli colleghi di non voler presentare gli emendamenti all’ultimo momento. Questo pone delle difficoltà al lavoro della Commissione, la quale deve esaminarli, se desideriamo che essa dia, prima che si passi alla votazione, il proprio parere, in una forma ponderata e ragionata, e non si esprima succintamente e con improvvisazione.

Pregherei anche gli onorevoli colleghi di evitare di presentare emendamenti di carattere puramente stilistico o addirittura grammaticale, poiché una revisione finale, da questo punto di vista, dovrà essere fatta. Ora, non c’è nulla di male nel segnalare alcune di queste modificazioni necessarie; ma è anche necessario non appesantire eccessivamente i lavori.

Rammento che i presentatori di emendamenti possono parlare per dieci minuti, e desidero preannunciare che sarò molto severo nel richiamare gli oratori a questa norma.

Molti onorevoli colleghi hanno presentato emendamenti su vari articoli. Penso che sia opportuno che essi li svolgano tutti insieme nel modo più succinto possibile, per economizzare del tempo.

Vi sono emendamenti che mirano a mutare di sede un determinato articolo. Questa discussione, a mio parere, si potrebbe fare alla fine, quando si tratterà di dare la forma conclusiva al complesso della Costituzione.

Vi sono emendamenti che propongono di sdoppiare o di riunire articoli; ma ritengo che sia soprattutto essenziale soffermarsi a definire quali principî devono essere contenuti nella Costituzione, rinviando a un lavoro successivo le questioni di forma.

L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato, dopo la chiusura della discussione generale, il seguente ordine del giorno, che pertanto non può essere svolto ma sarà posto in votazione a suo tempo:

«L’Assemblea Costituente, sciogliendo la riserva concordata in sede di discussione generale, delibera di rinviare a un Proemio la riconsacrazione delle libertà già acquisite per le conquiste storiche del secolo passato e di sostituire in conseguenza la enunciazione, che ne è contenuta nel Titolo I di questa Parte, con un richiamo generico accompagnato dalla riaffermazione delle garanzie ad esse dovute».

Ha poi presentato anche i seguenti emendamenti:

Sostituire il titolo: Diritti e doveri dei cittadini, con l’altro: Il Popolo.

Premettere all’attuale Titolo «Rapporti Civili» un nuovo Titolo I che, sotto la intestazione «Diritti essenziali della Personalità», riporti, nel testo già approvato, gli ex articoli 6 e 7, ora 2 e 3.

Sopprimere gli articoli 8, 9, 10, 12, 13 e 16 e sostituirli col seguente:

Art. 8. – La Repubblica garantisce con apposite leggi la più ampia tutela delle libertà storicamente acquisite e riconsacrate in Proemio, nonché i diritti che ne discendono.

Quando l’esercizio di tali diritti ponga in pericolo l’ordine pubblico, la pubblica salute o il buon costume, il magistrato o il funzionario di polizia che, in virtù delle leggi speciali, ne abbia determinata la sospensione o la restrizione, risponderà penalmente di ogni arbitrio e di ogni eccesso.

È punita ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà.

L’onorevole Nobili Tito Oro ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. Il primo emendamento riguarda la proposta di sostituire il titolo di questa parte. Aderendo alla raccomandazione dell’onorevole Presidente e a quella già fatta dall’onorevole Tupini, accetto di rinviare questa proposta alla Commissione di redazione.

Per quanto riguarda l’emendamento relativo al collocamento in questa sede di quelli che furono inizialmente gli articoli 6 e 7, che poi furono trasferiti ai numeri 2 e 3, mi rimetto parimenti alla proposta dell’onorevole Presidente di parlarne alla fine.

Viene pertanto in esame l’emendamento sull’articolo 8, emendamento, onorevoli colleghi, che presuppone necessariamente la risoluzione della questione da me posta con l’ordine del giorno, che non è una questione nuova che si presenta in questo momento, ma che è stata sollevata fin dal primo discorso pronunciato in questa Aula in sede di discussione generale: la proposta, cioè, di redigere un Proemio (o Preambolo, come si è chiamato) ove si tratti delle libertà e ciò per un complesso di ragioni che potrò esporre brevemente, ma che furono già esposte in questa Assemblea.

PRESIDENTE. Permetta, onorevole Nobili, se lei svolge, sia pure brevemente, il suo ordine del giorno, evidentemente la preghiera che ho fatta in principio non verrebbe esaudita.

NOBILI TITO ORO. Questo potrebbe portare in certo qual modo anche all’abbreviazione del nostro lavoro perché, qualora quell’ordine del giorno non dovesse essere approvato, dichiaro subito che cadrebbe l’emendamento relativo al trasferimento degli articoli 6 e 7, ora 2 e 3, sotto un titolo nuovo di questa parte, da intestarsi ai «Diritti essenziali della personalità», nonché quello da me proposto sull’articolo 8 per sopprimere gli articoli 9 e 10, 12, 13 e 16, non in quanto ne escluderebbe il contenuto dal Progetto, ma in quanto la parte relativa alle «libertà» dovrebbe essere trasferita nel Preambolo e solo sommariamente richiamata nel testo.

Siccome l’onorevole Presidente della Commissione dichiarò alla chiusura della discussione generale che egli non avrebbe avuto niente in contrario a formulare questo Preambolo e che se ne sarebbe parlato proprio alla fine della discussione sulla parte introduttiva, mi pare che la sede opportuna per risolvere la questione sia proprio questa.

PRESIDENTE. E quindi ha presentato l’ordine del giorno che l’Assemblea voterà e, approvandolo, ne accetterà il concetto.

NOBILI TITO ORO. Allora, ammesso che l’ordine del giorno sia approvato, svolgo l’emendamento all’articolo 8 che non è emendamento a questo articolo, ma è anche emendamento sostitutivo degli articoli 8, 9, 10, 12, 13 e 16, cioè è un articolo che riassume sostanzialmente il contenuto di tutti gli articoli che riguardano le varie libertà contemplate negli articoli da me richiamati; che prevede in un comma successivo le restrizioni rese indispensabili da ragioni di ordine pubblico, di pubblica salute, di buon costume, ma prevede anche un’altra necessità – quella sulla quale insisto in questo emendamento – di rendere penalmente responsabili i magistrati, gli ufficiali di polizia, che col pretesto o in occasione dell’applicazione delle disposizioni eccezionali, abbiano commesso arbitrii o siano caduti in eccessi. Questo è il mio emendamento. Non ho altro da dire. Si discute male, quando si sa che c’è un presupposto sospeso.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Tupini. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Se non c’è altri che parli in sostegno della proposta dell’onorevole Nobili Tito Oro, faccio osservare al collega che il suo ordine del giorno, presentato dopo la chiusura della discussione, press’a poco ha dei punti di contatto con la proposta di sopprimere gli articoli che vanno dall’8 al 16, sostituendovi un solo articolo. Sono due proposte che hanno molti punti di contatto fra di loro, perché entrambe parlano della eventualità di portare in un proemio le disposizioni contenute in ciascuno di questi articoli, come pure di riportare senz’altro ad un proemio tutte le dichiarazioni dei diritti e dei doveri dei cittadini.

Ricordo all’onorevole Nobili Tito Oro e all’Assemblea che la Commissione è contraria a questo ordine del giorno, come all’emendamento; ed è contraria per le ragioni che già il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, ha esposto nella sua relazione, che l’onorevole Basso ha ribadito poc’anzi e che io stesso ho accennato nel mio intervento a chiusura della discussione generale, allorquando ho detto che una Costituzione la quale si basa sulla legge, sulla razionalità della legge – perché questo è il concetto fondamentale che anima le Costituzioni moderne – ha per ciò stesso una garanzia indistruttibile delle libertà umane. Che la garanzia sia sempre completa ed esauriente non si può pretendere. Meglio sarebbe che la legge esaminasse tutti i casi, ma ove questo non sia possibile, meglio è appagarsi di quanto finora abbiamo conseguito. Volere di meno, cioè rimandare il tutto a una generica dichiarazione di principio da inserire in un proemio o in un articolo unico, significherebbe venir meno a quelle esigenze fondamentali postulate da tutte le Costituzioni moderne e a maggior ragione dalla nostra, se si vuole tener conto del momento storico speciale nel quale si forma e si realizza il processo costituente della Repubblica italiana.

Ciò premesso, onorevoli colleghi, vi domando di voler respingere la proposta dell’onorevole Nobili Tito Oro e di passare senz’altro alla discussione del titolo, cominciando dall’articolo 8.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Mi trovo di fronte ad una situazione completamente diversa da quella che avevo considerato nel momento in cui formulai l’ordine del giorno, che costituisce il presupposto necessario del mio emendamento all’articolo 8; completamente diversa, perché se si voglia richiamare il resoconto sommario, l’unico che abbiamo fino ad ora, mi pare, della seduta del 12 marzo, vi troveremo proprio la dichiarazione esplicita del Presidente della Commissione che egli non sarebbe stato contrario all’introduzione del Proemio di cui all’ordine del giorno che mi è interdetto di illustrare..

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Glielo confermo.

NOBILI TITO ORO. Ora, non contesto il diritto della Commissione di mutare avviso; ma bisognerà pure che io sia messo in condizioni di poter rispondere a quella che è stata l’ultima opinione di chi per essa ha parlato.

Per quali motivi infatti è stato chiesto che si inserisse anche nella nostra Costituzione un Proemio? Non già per ispirito di imitazione di quanto fatto in Francia, ma perché ricorrono da noi circostanze analoghe? Per un motivo semplicissimo: la Costituzione è atto storico che non può conservare come proprio ciò che è stato oggetto di conquista di altri tempi. Queste libertà erano state già conquistate; esse appartenevano già al patrimonio morale, politico e sociale del nostro popolo: questo potrà essere chiamato responsabile di non averle difese, ma ciò non toglie che esse costituissero già una sua precedente conquista.

Non siamo noi dunque, onorevoli colleghi, non è questa Assemblea che possa proclamarle e conferirgliele.

Questo va evitato; altrimenti andiamo incontro ad un plagio storico. D’altra parte, queste libertà, dopo il periodo tenebroso che le sommerse, vanno pure riconsacrate; ed a ciò non potrebbe meglio provvedersi che mediante un Proemio.

Orbene, la Relazione dell’onorevole Presidente della Commissione, che ha pregi notevolissimi e che ricorda le pagine poderose degli statisti e dei giuspubblicisti del Risorgimento che illustrarono gli istituti fondamentali del nuovo Stato, la relazione, dicevo, dell’onorevole Ruini, là dove si occupa di questa parte del progetto di Costituzione, accenna a questo problema e vi accenna in senso opposto a quello or ora enunciato…

PRESIDENTE. Mi perdoni, onorevole Nobili, ma tutta la discussione sul proemio è già stata fatta. Lei, in questo momento, ha presentato la proposta di sciogliere una riserva. Ciò non significa però che si possa rifare una discussione sul proemio. C’è un ordine del giorno, e lo voteremo. La Commissione aveva il diritto di dichiarare, come ha dichiarato, che in questo momento non aveva la possibilità di prendere una deliberazione.

NOBILI TITO ORO. Mi limiterò allora a rispondere alle osservazioni specifiche che l’onorevole Ruini ha fatto al mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Nobili, lei ha fatto una proposta; l’onorevole Tupini le ha risposto e la discussione è finita.

NOBILI TITO ORO. Mi perdoni, onorevole Presidente. Lei avrà notato che, mentre io parlavo, l’onorevole Tupini è intervenuto, credendo che io avessi finito. Per rispetto alla sua autorità, io allora ho taciuto, anche per conoscere il suo pensiero sull’argomento.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo scusa, onorevole Nobili: non avevo compreso che lei non avesse finito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Spero che, quando avrò dato alcuni chiarimenti all’onorevole Nobili, egli comprenderà che non c’è nessuna ragione di dissenso e che il suo ordine del giorno può essere, per il momento almeno, sospeso.

Le dichiarazioni che feci a nome della Commissione sono le seguenti. Nella discussione generale era stato da varie parti, fra gli altri dall’onorevole Calamandrei, dall’onorevole Cevolotto, dall’onorevole Lucifero, proposto che la Costituzione si aprisse con un preambolo. Il Comitato – ed io ne fui fedele eco all’Assemblea Costituente – ritenne che la questione del preambolo poteva essere più opportunamente decisa quando sarebbe stata esaurita la discussione della prima parte della Costituzione sui diritti e doveri dei cittadini, e non soltanto delle disposizioni generali. L’Assemblea consentì.

Senza anticipare ogni decisione, che deve essere rinviata, dissi che la Commissione era favorevole, in linea di massima, ad un preambolo di natura storico-espositiva. Vi erano invece dissensi se e quali dichiarazioni contenute nel progetto possano e debbano collocarsi nel preambolo. Per mio conto, non l’ho mai nascosto, sono favorevole al preambolo anche non soltanto storico-espositivo. L’Assemblea deciderà a suo tempo.

Debbo però fare osservare all’onorevole Nobili che altra è la questione da lui sollevata; e cioè di imitare l’ultima Costituzione francese, non limitandosi a trasferire alcune dichiarazioni generali che possono trovare posto più opportuno nel preambolo, ma di eliminare dal testo metà della Costituzione, tutta la parte che riguarda i diritti e doveri, riassumendo nel preambolo pochi cenni di diritti di libertà, perché è già materia acquisita alla storia costituzionale. La Commissione fu unanime nello scartare questa tesi. L’ho detto nella relazione che l’onorevole Nobili è stato così benevolo di ricordare in modo troppo lusinghiero.

NOBILI TITO ORO. Adesso l’avrei criticata.

RUINI, Presidente della Commissione. Nella mia relazione è detto questo: la Francia nella sua seconda Costituzione, non nella prima, ha rinviato in poche parole al preambolo tutta la parte dei diritti e dei doveri, la parte economica, la parte sociale. Si è limitata soltanto a mettere nella Costituzione l’ordinamento costituzionale. Perché ha fatto questo? Ha accolto la proposta di Herriot, che era risuonata nella prima discussione e che fu respinta, ma poi implicitamente accolta con la reiezione che il plebiscito fece di quel primo testo. La Francia ritiene di avere già, nelle sue anteriori Costituzioni, posto in modo lapidario la tavola dei valori fondamentali di libertà dei cittadini. La Francia non ha bisogno di ripetere oggi l’affermazione di diritti che sono acquisiti dalla famosa dichiarazione settecentesca in poi. Basta richiamarli. L’esempio non può aver seguito da noi, perché non abbiamo quei precedenti. La tradizione repubblicana è stata quella che è stata. Quali sono i precedenti? Forse lo Statuto albertino? Parlando, della stampa esso dice semplicemente che la stampa è libera e la legge ne reprime gli abusi. Tace sul diritto di associazione. Non abbiamo un documento nel quale siano acquisiti i diritti di libertà cui l’onorevole Nobili allude.

La Commissione è stata unanime nel riconoscere che non si può rinunciare a mettere nel testo i diritti e doveri dei cittadini (salvo poi vedere se alcuni principî generali potranno o no collocarsi nel preambolo). Non si può dimenticare che non abbiamo i precedenti costituzionali che ha la Francia. Né possiamo dimenticare che usciamo da un grande tormento e che un anelito di libertà deve essere rispecchiato nella Costituzione.

Ho ascoltato con molto piacere quello che hanno detto il Relatore Basso ed il Presidente della Sottocommissione Tupini. Noi abbiamo affermato qui alcuni principî – lo ha già riconosciuto qualcuno anche all’estero – come quello sulla garanzia per le limitazioni della libertà personale da parte della pubblica sicurezza (ogni atto della quale deve essere convalidato dall’autorità giudiziaria) e quello che vi è diritto d’associazione per ogni attività che sia concesso di svolgere come diritto individuale. Principî nuovi, che non vi sono in nessuna Costituzione. Perché dobbiamo rinunciarvi?

L’onorevole Nobili, così acuto e sagace, si accontenti di questa impostazione. Sulla questione concreta della natura e del contenuto del preambolo decideremo poi. Diciamo intanto qui le parole di libertà che il Paese attende.

PRESIDENTE. Credo che questa discussione abbia messo in chiaro che sarebbe unanime intendimento votare senz’altro sull’ordine del giorno dell’onorevole Nobili Tito Oro, perché, nel caso che fosse accolto dall’Assemblea, non sarebbe più necessario discutere poi su tutta una serie di articoli successivi e quindi numerosi emendamenti non avrebbero ragion d’essere. Nell’ipotesi contraria, noi seguiteremo nell’ordine lo svolgimento degli emendamenti.

Metto pertanto ai voti l’ordine del giorno Nobili Tito Oro:

«L’Assemblea Costituente, sciogliendo la riserva concordata in sede di discussione generale, delibera di rinviare a un Proemio la riconsacrazione delle libertà già acquisite per le conquiste storiche del secolo passato e di sostituire, in conseguenza, la enunciazione, che ne è contenuta nel Titolo I di questa Parte, con un richiamo generico accompagnato dalla riaffermazione delle garanzie ad esse dovute».

(Non è approvato).

Passiamo all’esame dell’articolo 8, al quale sono stati presentati i seguenti emendamenti già svolti:

Sostituirlo col seguente:

La persona umana è inviolabile.

Mastino Pietro.

Al secondo comma, dopo la parola: domiciliare, aggiungere le seguenti: sequestro di cose o atti.

Crispo.

Al terzo comma, sostituire le parole: autorità di pubblica sicurezza, con le seguenti: autorità di polizia.

Crispo.

Al terzo comma, sopprimere l’ultimo periodo: Se questa non le convalida nei termini di legge, sono revocate e restano prive di ogni effetto, sostituendolo col seguente: La quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esse entro le successive quarantotto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto.

Preziosi.

Sopprimere l’ultimo comma.

Grilli.

All’ultimo comma, alle parole: È punita, sostituire le parole: È repressa e punita.

Veroni.

All’ultimo comma, aggiungere: È assolutamente vietato privare della libertà personale chiunque sia estraneo al fatto pel quale l’autorità di polizia procede.

Crispo.

Procediamo ora all’esame degli emendamenti non ancora svolti.

L’onorevole Patricolo ha presentato i seguenti emendamenti:

Raggruppare gli articoli 8, 17, 18, 21, 20, 19, 22 nell’ordine.

Raggruppare gli articoli 10, 12, 13, 14, 15 nell’ordine.

Raggruppare gli articoli 16, 9 nell’ordine.

Porre in ultimo l’articolo 11.

La disposizione degli articoli sarebbe, pertanto, la seguente: 8 (8), 9 (17), 10 (18), 11 (21), 12 (20), 13 (19), 14 (22), 15 (10), 16 (12), 17 (13), 18 (14), 19 (15), 20 (16), 21 (9), 22 (11).

Trasferire l’ultimo comma dell’articolo 8 all’articolo 22, quale ultimo comma.

PRESIDENTE. Ha la parola l’onorevole Patricolo per svolgere il suo emendamento.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Se ella mi consente, onorevole Patricolo, desidererei premettere alcune dichiarazioni.

PATRICOLO. Senz’altro.

TUPINI. Presidente della prima Sottocommissione. Ella sa che io l’ho incoraggiata anche quando ha chiesto il nostro parere in merito al suo emendamento, e quindi conosce che io, in fondo, ho guardato con simpatia, almeno personale, l’ordine di posizione degli articoli da lei previsto. La Commissione, però, nel prendere in esame il suo emendamento, ha ritenuto di doverle sottoporre, a mio mezzo, alcune considerazioni d’ordine pregiudiziale.

Nel merito potremmo essere d’accordo con lei. Senonché, una discussione in questo momento potrebbe portarci troppo lontani, perché si dovrebbe dare uno svolgimento adeguato alle ragioni per le quali, sul filo logico del suo pensiero, si dovrebbe accogliere la sua proposta. La prego perciò di voler rinviare la presentazione e l’illustrazione del suo emendamento alla fine della discussione del capitolo. In quella occasione, la Commissione di coordinamento terrà un’apposita seduta per la posizione definitiva degli articoli ed anche lei vi potrà intervenire. Potremo allora stabilire di comune accordo se e in quali limiti potrà essere accolta la sua proposta.

PATRICOLO. Ringrazio l’onorevole Tupini delle sue dichiarazioni. Senz’altro potrei accedere alla sua richiesta; ma occorrerebbe che quanto egli ha detto si facesse veramente al più presto; perché il mio emendamento, nel trasporre gli articoli secondo una linea logica, come l’onorevole Tupini ha affermato, tende a far sì che alcuni emendamenti di carattere sostanziale siano discussi in precedenza per determinati articoli, onde evitare che si debba tornare indietro sulla discussione, dopo aver accettato una dizione che dovrebbe essere modificata.

TUPINI. Presidente della prima Sottocommissione. Domani stesso, se possibile.

PATRICOLO. Su questa assicurazione, aderisco senz’altro alla sua richiesta.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Cairo, Persico, Di Gloria, Rossi Paolo e Pera hanno proposto di sostituire l’articolo 8 col seguente:

La libertà personale è inviolabile.

Solamente la legge, nei casi, nei modi e nei termini da essa espressamente previsti, può limitarla.

Non essendo presente nessuno dei firmatari, l’emendamento s’intende decaduto.

Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Bulloni ed Avanzini:

Sostituire l’articolo 8 col seguente:

La libertà personale è inviolabile.

Nessuno può esserne privato, salvo flagranza di reato, ovvero per atto dell’Autorità giudiziaria, e nei modi previsti dalla legge.

Il fermo di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato o di fuga.

Il fermo e l’arresto di polizia non possono durare più di quarantotto ore.

Decorso tale termine, la persona fermata o arrestata deve essere rimessa in libertà, a meno che nel frattempo sia intervenuta denuncia all’Autorità giudiziaria, o questa abbia, nei termini di legge, convalidato il provvedimento.

È punita ogni violenza fisica o morale nei confronti delle persone comunque sottoposte a restrizioni della libertà.

L’onorevole Bulloni ha facoltà di svolgerlo.

BULLONI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento all’articolo 8 del progetto muove da una duplice preoccupazione: quella, innanzi tutto, di rendere più effettiva la tutela della libertà personale del cittadino, e l’altra, di garantire la difesa della società dagli attacchi della delinquenza.

Alla prima preoccupazione la sodisfazione è data dalla indicazione precisa dei casi, nei quali il cittadino può essere privato della libertà personale: cioè, soltanto nel caso di flagranza di reato o di provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, in relazione a inchiesta, che abbia dato risultati, per l’accertamento d’un reato per cui il cittadino possa essere privato della libertà personale.

Di fatti, è espressamente detto nell’emendamento:

«Nessuno può esserne privato, salvo flagranza di reato, ovvero per atto dell’autorità giudiziaria, e nei modi previsti dalla legge».

Fuori di questi casi, la necessità pratica ha posto ai legislatori precedenti ed ai giuristi il caso del «fermo di polizia».

È bene, per l’abuso che dell’istituto è stato fatto, che una parola chiara e precisa sia detta nella Carta fondamentale dello Stato italiano in relazione al fermo di polizia, che non deve essere ammesso, se non per fondato sospetto di reato o di fuga.

Si rende in tal modo effettiva la tutela della libertà del cittadino ed a questo riguardo si è proposto il termine di 48 ore. Decorso questo termine, il provvedimento restrittivo della libertà personale, attraverso il fermo o l’arresto della polizia, resta senza effetto ed il fermato deve essere senz’altro rimesso in libertà, a meno che non sia intervenuta, nel termine delle 48 ore, la denuncia alla autorità giudiziaria, nel qual caso l’autorità stessa provvede a norma di legge, o a meno che non sia intervenuta la convalida del fermo ad opera dell’autorità giudiziaria.

In questo si manifesta la preoccupazione di difendere la società. Chi ha la conoscenza pratica dell’attività giudiziaria si rende conto di questa fondamentale esigenza per cui, in omaggio a supremi principî, non si violino anche altri supremi interessi.

Il termine delle 48 ore indicato dal progetto non sodisfa a queste necessità; nelle 48 ore l’autorità giudiziaria deve essere informata e deve dare la possibilità alla polizia di svolgere e di completare quelle ulteriori indagini che verranno a concludere la denuncia all’autorità stessa. Per cui è bene chiarire che il provvedimento di convalida dell’autorità giudiziaria deve avvenire nel termine espressamente indicato dalla legge con la larghezza che la necessità pratica suggerisce in materia.

Propongo poi, insieme con i colleghi Avanzini, Bettiol, Benvenuti, Leone Giovanni, un articolo 8-bis:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre senza ordine dell’autorità giudiziaria. Solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, la forza pubblica può disporre sequestri di cose, ispezioni o perquisizioni personali o domiciliari. Tali provvedimenti devono essere comunicati entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria».

All’attenzione del legislatore deve porsi un limite ai facili sequestri, che troppo spesso finiscono per violare anche la proprietà, come in questi ultimi tempi si è verificato.

Il provvedimento del sequestro di cose, la perquisizione domiciliare o personale, debbono e possono essere eseguite dalla forza pubblica in casi di urgenza, ma immediatamente, nel termine di 48 ore, devono essere comunicati all’autorità giudiziaria, la quale deve avere il controllo su questi atti che ledono una libertà fondamentale del cittadino, ad ogni fine; perché, quando si dice che, se l’autorità giudiziaria non convalida il provvedimento, questo rimane senza effetto, non si dice ancora che l’autorità giudiziaria, attraverso la segnalazione che è resa obbligatoria, deve svolgere i controlli necessari per giudicare dei motivi e della condotta che la pubblica forza ha seguito nei determinati casi tassativamente indicati dalla legge.

Dissento dal criterio che sarebbe stato adottato con lo stabilire questa specie di istituto della convalida da parte dell’autorità giudiziaria degli atti della pubblica forza. In modo particolare, per quanto si riferisce ai provvedimenti relativi alla libertà personale, tutti questi provvedimenti dovrebbero essere comunicati all’autorità giudiziaria e sottoposti alla convalida della medesima.

Se, come ho detto, i provvedimenti di urgenza relativi a sequestro di cose e ad ispezioni domiciliari e personali devono essere comunicati, non tutti quelli relativi alla libertà personale devono essere comunicati. Chi non sa, per esempio, che la polizia talvolta finge di operare dei fermi di persone precedentemente da lei scelte, per svolgere opera di collaborazione attraverso la confidenza, che è uno strumento essenziale della attività e dell’indagine poliziesca? Non è forse una ingenuità od una incongruenza pretendere che la polizia debba dare notizia all’autorità giudiziaria dei fermi, quali quelli per il caso che in via di esemplificazione ho accennato? Perché non varrà la semplice segnalazione; la segnalazione dovrà essere corredata da una motivazione, da una esposizione, che contrasta con la natura e con le necessità del fermo al quale ho fatto riferimento.

Garanzia del cittadino per quanto ha tratto alla libertà personale è questa: il fermo non può durare più di 48 ore, a meno che non sia intervenuta la denunzia alla autorità giudiziaria, che svolgerà la sua azione a termini di legge, o a meno che l’autorità giudiziaria, informata del fermo stesso, non abbia convalidato, nei termini indicati dalla legge, il provvedimento. Questa segnalazione, invece, si rende senz’altro necessaria per le ispezioni personali e domiciliari di cui ho fatto cenno nell’emendamento proposto sotto l’articolo 8-bis.

Propongo inoltre un altro emendamento, firmato anche dal collega Mortati:

«Misure di polizia restrittive della libertà personale a carico di persone socialmente pericolose possono essere disposte solo per legge e sotto il controllo dell’Autorità giudiziaria.

«In nessun caso la legge può consentire tali misure per motivi politici».

La società deve difendersi dagli oziosi, dai vagabondi, dai senza mestiere, dalle persone socialmente pericolose.

Abbiamo ora considerato i casi della limitazione della libertà personale in relazione all’accertamento del reato in una fase pre-processuale, si potrebbe dire. Dobbiamo noi considerare il caso che il cittadino possa essere sottoposto a misure restrittive della libertà personale, quando egli rappresenti un pericolo per la società? Riteniamo debba affermarsi che misure di polizia restrittive della libertà personale a carico di persone socialmente pericolose possono essere disposte solo per legge e sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, ed aggiungere che in nessun caso la legge può consentire tali misure per motivi politici.

Erano già sufficientemente indicati la ragione e il titolo per cui si possa procedere a misure restrittive della libertà personale anche fuori dell’accertamento di reato a carico di persona socialmente pericolosa; ma, a dirimere ogni legittima preoccupazione fatta sorgere dalla tragica e dolorosa esperienza che molti di noi abbiamo vissuto, è ben chiaro che questi provvedimenti, in ogni caso, non possono essere adottati per motivi politici; che i casi di misure restrittive della libertà nei confronti di persone socialmente pericolose devono essere tassativamente indicati dalla legge, ed il controllo per l’applicazione di queste misure è riservato esclusivamente all’autorità giudiziaria, e non anche all’autorità di polizia.

Continuando nello svolgimento degli emendamenti presentati, mi soffermerò brevemente su quello proposto, insieme con i colleghi Benvenuti e Avanzini, all’articolo 9:

«Alle parole: nei casi stabiliti dalla legge, sostituire le altre: nei casi di inchiesta penale».

Il progetto dice che la libertà e la segretezza di corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono garantite e che la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge. È un diritto, quello della segretezza della corrispondenza, cui dobbiamo assicurare una garanzia di tutela e di difesa. Non possiamo, quindi, non considerare nella Carta costituzionale le limitazioni che questo diritto può subire. La sua limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria, nei casi stabiliti dalla legge. Il legislatore futuro può fare una casistica che sostanzialmente ferisca e vulneri lo spirito che ha determinato la formulazione dell’inviolabilità di questo diritto. È necessario dire nella Carta costituzionale che tale diritto può essere sospeso soltanto nel caso di inchiesta penale; ed anche qui per provvedimento dell’autorità giudiziaria.

All’uopo mi permetto di sottoporre alla considerazione del Comitato di redazione che un altro caso deve essere previsto nella limitazione dell’esercizio del diritto di segretezza di corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione: caso di inchiesta penale, ma altresì caso di stato di guerra. Si dovrà necessariamente formulare un articolo aggiuntivo nel quale si dica che determinati diritti considerati nella Carta costituzionale saranno sospesi nel caso di guerra.

PRESIDENTE. Onorevole Bulloni, mi permetta. Per non allungare troppo la materia nello svolgimento degli emendamenti, possiamo restare a quelli che lei ha già svolto.

BULLONI. Avevo raccolto l’invito del Presidente di esaurire tutti gli emendamenti in una sola volta.

PRESIDENTE. Siccome ho visto che è difficile tenere dietro a tutte queste varie argomentazioni, possiamo fermarci per adesso agli articoli che lei ha trattato. A suo tempo avrà facoltà di svolgere gli altri emendamenti.

BULLONI. Va bene.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Costantini e Fedeli Aldo hanno proposto di sostituire l’articolo 8 col seguente:

«La libertà personale ed il domicilio sono inviolabili, salvo le limitazioni tassativamente fissate dalla legge.

«Nei casi di necessità ed urgenza o flagranza di reato, gli organi di pubblica sicurezza possono adottare misure provvisorie, soggette alla convalida dell’Autorità giudiziaria entro le quarantotto ore, a pena di decadenza».

L’onorevole Costantini ha facoltà di svolgere l’emendamento.

COSTANTINI. Le ragioni che mi hanno determinato a presentare l’emendamento sostitutivo all’articolo 8, possono trovarsi nella relazione dell’onorevole Presidente della Commissione dei Settantacinque, là dove egli afferma, e condivido la sua opinione, che la Costituzione deve essere il più possibile breve, semplice, chiara e accessibile a tutto il popolo. Sembra a me che le disposizioni contenute nell’articolo 8 possano trovare, sotto l’aspetto formale più che sostanziale, un’espressione più concisa e più accessibile al popolo, cioè meglio rispondente a quei principî che l’onorevole Presidente della Commissione ha enunciati quasi come presupposto di ogni norma costituzionale.

Mi permetto di richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sulla prima parte dell’articolo 8, in cui si dice che la libertà personale è inviolabile, che non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale o domiciliare, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. Oso ritenere che quando noi affermassimo nella Carta costituzionale, come io ho proposto, che la libertà personale e il domicilio sono inviolabili, salvo le limitazioni tassative fissate dalla legge, avremmo stabilito i presupposti fondamentali delle norme contenute nei primi due commi dell’articolo 8. Invero, tutto ciò che riguarda la libertà della persona e non soltanto l’arresto o il fermo, ma anche la perquisizione, la ispezione personale, ecc., entra nel concetto lato del diritto alla libertà e alla protezione o tutela della personalità umana, diritto o tutela della libertà, in senso assoluto, che noi intendiamo proteggere.

Nella seconda parte, cioè col terzo comma dell’articolo 8, il progetto determina quelle che noi potremmo chiamare le eccezioni alla norma generale, e che sono dettate – come ha osservato esattamente il Relatore della Commissione, onorevole Basso – dalle necessità dello svolgersi della vita quotidiana, dalle necessità di operare degli organi di pubblica sicurezza. Si tratta di limitazioni, oltre che provvisorie, eccezionali. Ciò nonostante, seguendo il concetto espresso nell’articolo 8 come è formulato dalla Commissione, ho ritenuto di dire che nei casi di necessità e urgenza o flagranza di reato gli organi di pubblica sicurezza possono adottare misure provvisorie, soggette alla convalida dell’autorità giudiziaria entro le 48 ore a pena di decadenza. Decadenza, si intende, che colpirà quelle misure provvisorie ed eccezionali che l’autorità di pubblica sicurezza avesse ritenuto necessario di adottare in determinate circostanze, tra le quali specificamente è indicata anche la flagranza del reato.

Ritengo, come qualche collega che mi ha preceduto nella discussione generale, che debba essere soppresso l’ultimo capoverso dell’articolo 8. A mio avviso, è ben vero che noi usciamo dalla tragica situazione causata da un regime il quale ha violato tutte le libertà e la dignità umana, per cui anche gli organi di polizia non potevano che risentire e riflettere questa situazione particolarissima, ma non è men vero che quel regime è stato una eccezione, e non costituisce un’abitudine; che è stato un regime di sopraffazione della volontà popolare e non un regime sentito e voluto dal popolo italiano. Non possiamo dimenticare altresì che le leggi ordinarie, il codice penale, il regolamento di polizia e il regolamento carcerario stabiliscono quale debba essere la tutela del detenuto e dell’arrestato, stabiliscono altresì le sanzioni punitive nei riguardi di chi manchi di rispetto all’integrità fisica e morale, alla dignità personale del detenuto. Pertanto che da noi si debba, come ha detto l’onorevole Tupini, «per ricordare il periodo nefasto, durante il quale abbiamo personalmente pagato lo scotto della violazione di codesta norma», inserire nella Carta costituzionale del nostro Paese – che non è neanche una Carta limitata ad uso interno, ma è destinata alla diffusione anche all’estero – una disposizione che offende i principî fondamentali delle tradizioni di civiltà, della dignità e della libertà umane, e quindi stabilire nella Costituzione stessa che gli agenti della pubblica sicurezza, i tutori dell’ordine in generale, i custodi delle carceri, non devono maltrattare i detenuti, mi sembra significhi andare un po’ al di là delle nostre colpe recenti, a tutto danno della nostra tradizione civile.

Ecco perché, onorevoli colleghi, oltre che per la questione di forma, che interessa i primi commi dell’articolo 8, io credo di dover richiamare la vostra attenzione sull’ultimo comma, perché dissento profondamente da quanto ha detto l’onorevole Tupini. Se il fascismo è passato come una bufera, noi vogliamo dimostrare – perché è vero, e noi tutti lo sappiamo – che esso non ha lasciato traccia nell’animo dei cittadini e che bastano le leggi ordinarie per assicurare il massimo rispetto dei detenuti, senza che debba formare oggetto della nostra Carta costituzionale questa garanzia, la quale è talmente elementare da considerarla soltanto i popoli che sono di civiltà embrionale e non appartengano a quel grado avanzato di civiltà che l’Italia ha diritto ed orgoglio di rivendicare per sé. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Bettiol, Leone Giovanni e Meda hanno proposto di sostituire l’articolo 8 col seguente:

La libertà personale è inviolabile.

Nessuno può esserne privato, salvo il caso di flagranza di reato, se non per atto dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge.

Il fermo di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e di fuga. Il fermo e l’arresto di polizia non possono durare più di quarantotto ore.

Decorso tale termine, la persona fermata o arrestata deve essere rimessa in libertà, a meno che l’Autorità giudiziaria, informata del caso, non abbia convalidato il provvedimento.

È vietata ogni violenza fisica o morale nei confronti delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

L’onorevole Bettiol ha facoltà di svolgere l’emendamento.

BETTIOL. Vorrei chiedere all’onorevole Presidente se mi è concesso di parlare su tutti gli emendamenti presentati, che sono quattro o cinque, o soltanto sugli emendamenti dell’articolo 8.

PRESIDENTE. Soltanto sugli emendamenti all’articolo 8. Lei, oltre ad aver presentato quello testé letto, ha firmato l’articolo 8-bis, già svolto dall’onorevole Bulloni.

BETTIOL. Ho presentato un emendamento, e poi ho firmato un secondo emendamento, i quali tendono a sbloccare l’articolo 8 dal progetto costituzionale, in nome più che di un’esigenza logica astratta, di un’esigenza logica concreta, cioè di quella esigenza logica che porta a distinguere i beni giuridici che vengono ad essere tutelati e che formano l’anima dei diritti qui riconosciuti e categoricamente affermati.

Col mio emendamento all’articolo 8, firmato anche dai colleghi Leone Giovanni e Meda, dopo avere affermato che la libertà personale è inviolabile, vengo a considerare due casi nettamente distinti: il caso in cui la limitazione o la privazione della libertà personale sia conseguenza di un atto o di un provvedimento dell’autorità giudiziaria; il caso, in cui questa limitazione avvenga per opera della polizia: è il famoso «fermo» di polizia.

Mi sono preoccupato di espressamente richiamare nella Costituzione questo istituto, il quale ormai esiste nella nostra prassi; non è stato affatto una creazione ibrida o perniciosa del ventennio, ma già esisteva prima che il fascismo venisse a travolgere le libertà fondamentali dell’individuo, come necessità concreta, pratica della società, come strumento di difesa per fermare, bloccare, colpire i più pericolosi delinquenti. Ora, mi pare che anche sul terreno costituzionale questo istituto debba ottenere un riconoscimento e debba essere anche limitato in modo chiaro e preciso, nel senso che per il fermo di polizia sia necessario che sussista un fondato sospetto di reato e di fuga; non basta soltanto il sospetto di reato, né è sufficiente il puro e semplice sospetto di fuga, ma devono concorrere entrambi perché questo provvedimento possa essere preso dall’autorità di polizia. Naturalmente, tanto il fermo, quanto l’arresto di polizia, non possono durare più di. 48 ore, perché, se il provvedimento non è poi convalidato dall’autorità giudiziaria, la persona deve essere immediatamente rimessa in libertà.

Ho voluto poi, con l’ultimo comma dell’emendamento, ribadire categoricamente il principio che ogni violenza fisica o morale, nei confronti di persone comunque sottoposte a restrizione di libertà, deve essere, vietata. Prego di fare attenzione sulla scelta di questa espressione: «vietata». Nel progetto di Costituzione, si dice «punita». Ma il termine «punita» richiama troppo da vicino il Codice penale; è, un’espressione tecnica, propria della legislazione penale e, come tale, presupporrebbe la previsione d’una sanzione specifica che non può essere invece prevista nella Carta costituzionale. Meglio dunque, dal punto di vista tecnico, usare l’espressione «vietata».

Concordo poi perfettamente con l’onorevole Tupini sulla necessità di mantenere fermo quest’ultimo comma dell’articolo, e dissento al riguardo da quanto l’onorevole Costantini ha testé affermato. La nostra Costituzione deve essere, infatti, una Costituzione antipoliziesca, in quanto è antifascista; e, purtroppo, sino a tanto che non verrà meno quel diaframma, quella diffidenza reciproca che c’è tra polizia da una parte e cittadini dall’altra, io credo sia opportuno che tale divieto sia espressamente e categoricamente sancito nella Carta costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli ha proposto di sostituire il terzo comma col seguente:

«L’arresto di una persona senza ordine o mandato dell’Autorità giudiziaria può avere luogo nei soli casi contemplati dalla legge e con le garanzie ch’essa stabilisce».

L’onorevole Gabrieli ha facoltà di svolgere l’emendamento.

GABRIELI. L’emendamento muove dal proposito di rendere più rigorosa la garanzia della libertà umana, di limitare ogni forma di restrizione della libertà personale, senza l’intervento dell’autorità giudiziaria, a casi tassativamente indicati dalla legge.

Come è noto, l’arresto senza ordine o mandato dell’autorità giudiziaria ha luogo solamente nei casi di flagranza del reato. E a tali casi conviene si limiti l’attenzione del legislatore. Il fermo, così come è stato previsto dall’articolo 238 del Codice di procedura penale e dalla legge di pubblica sicurezza, va abolito. Esso, nel ventennio fascista, servì a legittimare lunghi periodi di detenzione in carcere di innocenti, vittime dei sospetti e delle apprensioni della polizia. Né vale il dire che le misure provvisorie debbono essere convalidate dal giudice nelle 48 ore. Chi ha pratica degli affari giudiziari sa quanto siano scarsamente rispettati tali termini e come spesso le misurò provvisorie si convertano in misure permanenti.

Il comma 3° non può essere perciò approvato; la sua redazione non sodisfa le esigenze di una legislazione informata all’assoluto rispetto della libertà personale, né le esigenze di una precisa terminologia giuridica.

I casi di necessità e di urgenza richiamati nel comma rispondono a concetti vaghi ed indeterminati, praticamente affidati all’arbitrio di chi deve applicarli. I soli casi di necessità e di urgenza, in un Codice ispirato a criteri di libertà, sono quelli determinati dalla flagranza del reato; ed in presenza di essi può essere autorizzato l’immediato intervento della polizia.

L’espressione poi «misure provvisorie» ci lascia ancor più perplessi, in quanto si tratta di un termine generico, che non ha, nella dottrina e nella pratica del diritto, un significato preciso ed un contenuto determinato. La formulazione del comma è anche imperfetta, perché prevede l’ipotesi che la limitazione della libertà personale è eseguita solo dalla pubblica sicurezza, mentre, come è noto, l’articolo 242 del Codice di procedura penale prevede la limitazione della libertà personale, ed aggiunge che può essere compiuta anche dal privato in caso di flagranza di reato perseguibile d’ufficio.

Per questa ragione chiedo che il mio emendamento venga a sostituire il 3° comma dell’articolo 8.

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha presentato il seguente emendamento.

«Al terzo comma, alle parole: misure provvisorie, premettere: prestabilite; inserire la parola: immediatamente, tra le parole: sono e revocate; sopprimere le parole: e restano prive di ogni effetto».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Il mio emendamento si fonda sul presupposto che resti ferma la formulazione del progetto di cui stiamo discutendo, e si rivolge a premettere alle parole «misure provvisorie», per cui si lascerebbe un certo potere discrezionale all’Autorità di pubblica sicurezza, la parola «prestabilite», perché quello che preme in questa materia è soprattutto di disciplinare l’eccezione alla regola generale. È un luogo comune, onorevoli colleghi, che la eccezione confermi la regola, e questo principio è esatto; però, ad una condizione, che l’eccezione sia tassativamente e rigorosamente disciplinata. Nello statuto albertino noi avevamo una formulazione rigorosa, pressoché identica nella prima parte a quella del nostro progetto di Costituzione: «La libertà personale è garantita. Nessuno può essere arrestato o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge e nelle forme che essa prescrive».

Però noi sappiamo che cosa di questo principio si è fatto durante il regime fascista, attraverso quella legge di pubblica sicurezza vigente, che dall’articolo 1, in cui si autorizza l’Autorità di pubblica sicurezza ad ingerirsi anche nelle materie di diritto privato dei cittadini, va ai pieni poteri dell’articolo 5, che stabilisce una sanzione di arresto contro chi non adempia all’invito di comparizione, fino ad un articolo 170, nel quale si concedono i pieni poteri ad una Commissione di ammonizione, e ad un articolo 173, in cui quei pieni poteri non si limitano neppure nel caso di un errore al fatto della Commissione stessa. Quindi, dove si parla di misure provvisorie, poiché abbiamo dei precedenti, che non si devono dimenticare, è bene premettere la parola «prestabilite».

In altri termini, devono cessare i poteri dispotici degli organi di polizia ed anche del Pubblico Ministero, cui dovranno segnarsi dei limiti anche per l’emissione di quei mandati, per i quali non può consentirsi un potere discrezionale, non può ammettersi il così detto mandato di cattura facoltativo, di cui si abusa nella pratica di tutti i giorni.

Un’altra aggiunta va fatta fra le parole «sono» e «revocate», inserendovi l’avverbio «immediatamente».

Penso che ciò sarebbe opportuno per evitare il verificarsi dei soliti palleggiamenti burocratici. Chi dovrà provvedere per la revoca? Quando si dovrà provvedere? In altri termini, quell’«immediatamente» serve a stabilire che ci sarà una decadenza di diritto e di fatto immediata, se la convalida di quella tale misura provvisoria prestabilita non interverrà nei termini fissati dalla legge.

E da ultimo, mi pare che non sia utile mantenere le parole «restano prive di ogni effetto», perché quando le misure provvisorie, che possono essere una perquisizione, un’ispezione o un arresto, si sono tradotte praticamente nella realtà, non c’è nessuno che le possa togliere ed il dire «restano senza effetto» potrebbe significare ciò che la nostra Costituzione non vuole e che non vuole l’ultimo capoverso dello stesso articolo, cioè un esonero o una limitazione della responsabilità della pubblica sicurezza per tutto quello che si traduce in una violazione dei diritti del cittadino.

Perciò io mi auguro che l’onorevole Commissione voglia accettare questo mio emendamento, e l’Assemblea ne voglia confermare l’accettazione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Murgia, Avanzini e Benvenuti hanno proposto di aggiungere alla fine dell’articolo 8:

«La legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva».

L’onorevole Murgia ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MURGIA. La ragione del mio emendamento è quasi ovvia. Non esiste, infatti né nella Costituzione, né nel Codice di procedura penale alcun principio o norma che fissi un limite all’attesa dell’imputato detenuto. La ragione unica e sola della privazione della libertà di un cittadino è quella di una presunzione di colpevolezza. E qui due sono i casi: o tale presunzione ha a sostegno una prova sicura di responsabilità dell’imputato, e in tal caso esso deve essere rinviato a giudizio senza ritardo, o tale prova difetta o vi sono soltanto degli indizi che non assurgono a serietà di prova e in tal caso l’imputato deve essere scarcerato per assoluzione, o quanto meno deve essergli concessa la libertà provvisoria, la quale non è assoluzione; libertà provvisoria che è legittimata dalla vaghezza degli indizi e sancita dalle più grandi Costituzioni, da quella degli Stati Uniti a quella inglese.

Nella formulazione originaria del mio emendamento avevo, anzi, stabilito in 90 giorni il limite massimo della custodia preventiva per i reati di competenza del Tribunale; ciò in considerazione che la legge del 1944 fissa in sei mesi tale limite e in otto per alcuni reati di competenza della Corte di assise; termini troppo lunghi, se si pensa che essi segnano non la data della scarcerazione o della fissazione del dibattimento, ma quella della chiusura dell’istruttoria, dal quale termine decorrono, come si sa, dei mesi e talvolta anche, per reati di Corte di assise, qualche anno, prima che sia effettivamente celebrato il dibattimento.

Quindi, poiché, come ho detto, solo la prova di colpevolezza e quindi la previsione della condanna può giustificare la carcerazione preventiva, ragioni di giustizia e di umanità comandano che sia fissato un limite insuperabile, entro il quale devono essere raccolte le prove e chiusa l’istruttoria, o, in difetto, concessa la libertà provvisoria.

Ritengo, quindi, che per queste ragioni, che non illustro ulteriormente per aderire all’invito dell’onorevole Presidente che ci ha raccomandato il massimo della brevità e concisione, la Commissione debba riconoscere opportuno l’emendamento.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Lucifero, Russo Perez, Corbino, Condorelli, Colonna, Bellavista, Quintieri Quinto, Perrone Capano, Cortese e Badini Confalonieri hanno presentato il seguente emendamento all’articolo 8-bis proposto dall’onorevole Bulloni ed altri:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi di legge o per ordine dell’Autorità giudiziaria, salvo quanto previsto dalla legge per esigenze di sanità o di pubblica incolumità.

«Solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’Autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie che debbono essere comunicate entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria. Per la convalida valgono le disposizioni dell’articolo precedente.

«Gli ufficiali della pubblica sicurezza potranno introdursi nel luogo o nei luoghi, diversi dall’abitazione, ove la persona esplichi la sua attività, per i soli accertamenti previsti dalla legge in materia economica e fiscale».

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Onorevoli colleghi, l’onorevole Lucifero mi consenta di prendere la parola prima di lui per una mozione d’ordine. Viene proposto un articolo 8-bis a titolo di sdoppiamento dell’articolo 8 e al fine di dare un rilievo speciale alla libertà del domicilio.

La Commissione è favorevole a questo emendamento e se del pari vi consentirà l’Assemblea, l’articolo 8-bis potrà diventare l’articolo 9 della Costituzione.

Se l’onorevole Presidente consente, potrei, a questo punto, rispondere a tutti coloro che hanno parlato sull’articolo 8, eccettuata la questione riguardante il domicilio.

PRESIDENTE. Onorevole Tupini, alcuni presentatori di emendamenti hanno già trattato di questo particolare problema. Ora l’onorevole Lucifero presenta un suo emendamento in materia. Il primo emendamento, quello dell’onorevole Bulloni, è già stato svolto, e quindi, il parere che ella potrebbe pronunciare in merito a nome della Commissione sarebbe tardivo.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Vi è la proposta di un articolo 8-bis anche da parte dell’onorevole Basso e altri.

PRESIDENTE. Questa proposta mi è pervenuta adesso. Ad ogni modo penso che siccome la proposta di redigere separatamente un articolo 8-bis è sorta nell’esame dell’articolo 8, si possono esaminare insieme i due articoli che disciplinano la stessa materia.

L’onorevole Lucifero ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

LUCIFERO. Volevo dire la stessa cosa. Il mio emendamento, come quelli dell’onorevole Bulloni e dell’onorevole Basso, si riferisce all’articolo 8. Esso consiste innanzitutto nella proposta di sdoppiare nell’articolo 8 quello che riguarda la libertà personale da quanto riguarda la libertà domiciliare; e in secondo luogo nel contenuto dell’emendamento stesso.

Non mi soffermo sull’opportunità dello sdoppiamento, perché già è stata illustrata.

La libertà di domicilio era già stata accennata di striscio in una parola «o domiciliare», mentre invece noi troviamo che il domicilio è una cosa talmente sacra e così integrante della persona umana che non possiamo non garantirlo in modo particolare ed evidente.

Non m’intratterrò nemmeno sui primi tre commi del mio emendamento, i quali più o meno corrispondono a quelli presentati da altri colleghi.

Ho tenuto solamente a chiarire che non costituisce violazione di domicilio la penetrazione in esso, quando si faccia in applicazione di leggi dettate per esigenze di incolumità o sanità pubblica.

È evidente che, se ufficiali sanitari, in caso di epidemia, fanno visite domiciliari, per constatare l’esistenza di ammalati o di condizioni sanitarie adeguate, questo non può considerarsi violazione di domicilio.

Io richiamo l’attenzione dell’Assemblea sull’ultimo comma del mio emendamento:

«Gli ufficiali di pubblica sicurezza potranno introdursi nel luogo o nei luoghi diversi dall’abitazione, ove la persona esplichi le sue attività, per i soli accertamenti previsti dalla legge in materia economica e fiscale».

Io mi riporto ad una frase detta dal relatore onorevole Basso, cioè: Vi sono degli urti, certe volte, tra le formule tradizionali e le realtà nuove.

Ora, l’inviolabilità del domicilio ha qualcosa di sacro, di religioso nelle sue origini. Ma la vita moderna, ha sempre dovuto porre a questo asilo, che è la casa dell’uomo, nuovi limiti, per le necessità della vita sociale e collettiva.

Oggi siamo arrivati ad un punto, in cui veramente la casa e l’ufficio non sono più la stessa cosa per il cittadino. Ed allora, di fronte a questa nuova realtà, dobbiamo anche avere il coraggio, non solo di pensare in termini nuovi, ma di parlare in termini nuovi. Cioè: visto che questa realtà c’è, che casa ed ufficio non sono più la stessa cosa, visto che l’uomo svolge una quantità di attività nel suo ufficio, sulle quali lo Stato deve esercitare sorveglianza e controllo per ragioni fiscali e per l’applicazione di leggi economiche, è evidente che dobbiamo garantire questa distinzione fra casa ed ufficio.

E noi possiamo garantire la inviolabilità del domicilio, che è il tetto del cittadino e della sua famiglia, soltanto quando avremo chiarito che per questo non valgono le stesse norme che valgono per il suo ufficio, dove egli tiene le sue carte.

Né si dica che, alla fine, questa differenziazione potrebbe facilitare l’evasione del cittadino a determinati obblighi, trasportando dall’ufficio a casa quello che non vuole sia visto; perché, anzi, accadrà proprio il contrario. Quando il cittadino saprà che, se nel suo ufficio la «tributaria» non trova quel tale registro, non solo gli appioppa una multa, ma viene a frugargli dentro casa, il registro sarà tenuto in ufficio.

Sarà un incentivo per obbligare il cittadino a fare il suo dovere.

D’altra parte io, conservatore, sono del parere che dobbiamo avere il coraggio di adattare ai tempi alcune formule tradizionali.

Oggi i tempi sono quelli che sono e l’evoluzione ha portato a questo: che il domicilio comprende la casa e l’ufficio; la casa privata del cittadino ed anche l’ufficio dell’ente e delle società.

Se vogliamo garantire la casa, dobbiamo distinguerla dall’ufficio. È una cosa nuova che introduciamo nella Costituzione.

D’altra parte, le Costituzioni si fanno per introdurre novità; e delle novità quando sono sagge, non bisogna aver paura.

Noi, conservatori, amiamo certe novità, perché esse rinverdiscono e garantiscono gli istituti.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Basso, Laconi, Mortati e Perassi hanno presentato la seguente formulazione dell’articolo 8-bis, che rinunciano ad illustrare:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni o perquisizioni o sequestri, senza ordine motivato dall’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

«Per i casi eccezionali di necessità e di urgenza valgono le disposizioni dell’articolo precedente a tutela della libertà della persona.

«Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità, di incolumità pubblica o per scopi economici e fiscali sono regolati da leggi speciali».

Sono stati così svolti tutti gli emendamenti relativi agli articoli 8 e 8-bis. Dobbiamo ora passare alla votazione sugli emendamenti stessi.

Alcuni di essi si contrappongono comma per comma, altri in una maniera non così precisa.

Vi è anzitutto l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, che tende a sostituire l’articolo 8 col seguente:

«Sostituire col seguente:

«La persona umana è inviolabile».

Non essendo presente l’onorevole Mastino Pietro, l’emendamento si intende decaduto.

Chiedo alla Commissione di esprimere il suo avviso sugli emendamenti.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Faccio notare prima di tutto all’onorevole Bulloni che, come già si è detto in precedenza, la Commissione è stata favorevole ad accogliere, non già il testo dell’emendamento che riguarda la inviolabilità del domicilio, ma l’idea che per quanto attiene al domicilio si debba fare un articolo a parte. Questo emendamento è stato già proposto da vari oratori e l’onorevole Lucifero ha proposto a sua volta un emendamento all’emendamento, ma di questo parleremo dopo.

Per ora io mi limiterei a proporre alla Assemblea, per la regolarità della discussione dei vari emendamenti, che, poiché si è deciso di accettare l’idea dello sdoppiamento dell’articolo 8 per fare un posto speciale alla questione della libertà e della inviolabilità del domicilio, l’articolo così come è presentato dalla Commissione rimanesse integro, meno l’inciso «o domiciliare» alla terza riga del primo capoverso.

Riprendendo quindi in esame l’emendamento dell’onorevole Bulloni, mi affretto a dire al collega che le idee in esso contenute non ci trovano sostanzialmente avversi; ma noi riteniamo che il concetto espresso nel suo emendamento sia meglio formulato nell’articolo del progetto dove, quando si dice che non è ammessa alcuna forma di detenzione o qualsiasi altra restrizione della libertà personale, intendiamo riferirci anche a quel fermo di polizia, o arresto di polizia, che non vorremmo nemmeno vedere onorato di menzione in un articolo di Costituzione, in quanto che ci basta, con termine più tecnico e più appropriato, comprendervi anche il fermo, quando diciamo «detenzione o qualsiasi altra restrizione».

Quanto poi al resto dell’emendamento, faccio osservare all’onorevole Bulloni che, in fondo, la preoccupazione di che è saturo tutto l’articolo del progetto è quella che io ho avuto l’onore di svolgere poc’anzi e cioè di fissare dei punti fermi di garanzia della libertà del cittadino. Ed è perciò che l’articolo del progetto fa continuo riferimento alla legge e all’autorità del magistrato.

Crediamo, con questa formula, di avere esaurito e di avere anche accolto tutte le preoccupazioni di cui si è fatto eloquente interprete l’onorevole Bulloni allorquando ha svolto il suo emendamento; per cui io, arrivato a questo punto, mi permetto di pregare l’onorevole Bulloni di non insistere nella sua proposta e l’Assemblea di votare l’articolo così come è stato da noi presentato.

Segue nell’ordine l’emendamento dell’onorevole Costantini. Valgono per questo, a me sembra, le considerazioni che ho avuto l’onore di svolgere a proposito dell’emendamento dell’onorevole Bulloni. Solo faccio osservare all’onorevole Costantini che la sua preoccupazione di stringatezza, che rappresenta il criterio direttivo del suo emendamento, potrebbe essere pericolosa, dato che si parla soltanto della flagranza e non si precisa, così come noi abbiamo creduto – sia pure in limiti il più possibile concisi – questa esigenza razionale di tutela della libertà personale. Noi crediamo che queste esigenze siano meglio sodisfatte dalla nostra formula, anche se all’onorevole Costantini sembra troppo ridondante. L’onorevole Costantini sa che sono affiorate nella discussione generale delle preoccupazioni di carattere opposto: che fossimo stati, cioè, troppo stringati; e noi abbiamo detto le ragioni per cui crediamo che si possano vedere esaudite e sodisfatte tanto le esigenze di coloro che vorrebbero dire di meno, quanto le esigenze di coloro che vorrebbero dire di più.

Analoga considerazione devo fare all’onorevole Bettiol. In fondo, egli riproduce, quasi negli stessi termini, quello che l’onorevole Bulloni ha compreso nel suo emendamento. Valgano anche per lei, onorevole Bettiol, le considerazioni da me svolte a sostegno della formulazione presentata dalla Commissione.

Circa l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Crispo in ordine al sequestro di cose o atti, faccio osservare che la Commissione è disposta ad accettarlo, ma con riserva di proporne il collocamento nel comma dell’articolo 8-bis relativo alla libertà del domicilio.

L’emendamento dell’onorevole Gabrieli si esprime in termini così concisi e stringati da superare quelli stessi dell’onorevole Costantini. Devo osservare all’onorevole Gabrieli che a voler essere troppo brevi si rischia di diventare oscuri, e perciò lo invito a non insistere per le stesse ragioni che mi hanno indotto a respingere l’emendamento dell’onorevole Costantini, tanto più che la formula del progetto può sodisfare, a mio avviso, le nobili preoccupazioni dell’onorevole Gabrieli.

All’onorevole Caroleo osservo, a proposito del suo emendamento, col quale propone di premettere alle parole «misure provvisorie» l’altra «prestabilite», che ove la nostra formula fa riferimento alla legge, il concetto di prestabilito o di previsto è implicito. Si tratta quindi di un’aggiunta superflua o pleonastica e perciò lo preghiamo di non insistervi. Quanto poi all’emendamento dello stesso onorevole Caroleo, col quale si propone la soppressione delle parole «e restano prive di ogni effetto», osservo che la formula del progetto contempla due ordini di casi: il caso di privazione della libertà personale ed il caso di perquisizione di carattere personale.

Ella comprende, onorevole Caroleo, che se togliamo le parole «restano prive di ogni effetto», rimane senza senso la conservazione dell’ipotesi di perquisizione che, quando è avvenuta, almeno nella sua materialità, non può rimanere priva di effetto. Non si può revocare ciò che è irrevocabile. La perquisizione quando è fatta è fatta. Il più che possiamo dire è che le misure provvisorie restano prive di ogni effetto giuridico. Ed è per questa ragione, proprio in relazione al valore che questa formulazione ha ed al concetto a cui si riferisce, che noi preghiamo l’onorevole Caroleo di non insistere nel suo emendamento. E così pure di ritirare il terzo emendamento diretto ad aggiungere «immediatamente» alla parola «revocate». Evidentemente nella parola «revocate» è implicito il concetto dell’immediatezza. Ogni aggiunta inutile è superflua e perciò confido nel consentimento dell’onorevole Caroleo.

CAROLEO. È per chiarire: immediatamente se non avviene la convalida.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Questo lo dice la legge: quindi «immediatamente» può effettivamente essere anche qui un termine pleonastico, perché è automatico che vengano revocate di diritto. Se mai potremmo dire «di diritto». Proponga, se crede, onorevole Caroleo, un emendamento in questo senso.

CAROLEO. Lo propongo senz’altro.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. All’onorevole Crispo rivolgo la preghiera di voler ritirare il suo emendamento che sostituisce «autorità di polizia» ad «autorità di pubblica sicurezza». Noi abbiamo sempre parlato in tutti questi articoli di autorità di pubblica sicurezza che riteniamo sia più proprio. Questa è veramente una questione che potrebbe rientrare in quelle di stile e che hanno quindi un valore formale e non sostanziale. Comunque, onorevole Crispo, per noi «autorità di pubblica sicurezza» è preferibile all’altra «autorità di polizia» da lei proposta.

CRISPO. L’autorità di pubblica sicurezza è un corpo determinato, e ciò potrebbe dar luogo ad equivoci. Potrebbe far pensare che non comprende anche i carabinieri.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. No, è più estesa, perché l’autorità di pubblica sicurezza comprende tutta la forza pubblica.

CRISPO. Il mio concetto è che questa dizione potrebbe dare luogo ad equivoco.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. L’onorevole Grilli propone la soppressione dell’ultima parte dell’articolo 8. Altrettanto vorrebbe l’onorevole Costantini. Altri colleghi hanno sostenuto il pensiero opposto. Noi siamo con questi ultimi, non soltanto per le ragioni già dette, ma anche per un’altra ragione, cioè per il senso di umanità che vi si afferma e che rappresenta un titolo d’onore, un sigillo speciale di questa nostra Costituzione. Spero che l’onorevole Grilli vorrà condividere questo apprezzamento, nel quale la Commissione è stata e si mantiene unanime.

L’onorevole Patricolo vorrà consentire di rinviare la sua proposta di trasferimento di questo articolo a quando dovremo prendere in esame i suoi precedenti emendamenti che riguardano l’intero capitolo.

L’onorevole Murgia desidera stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva. A ciò, io penso, dovrà provvedere la legge. In sede costituzionale mi sembra sufficiente il costante riferimento del progetto alla legge e all’autorità giudiziaria. Noi diamo le direttive generali, dalle quali il legislatore non potrà né dovrà mai allontanarsi. Domando perciò all’onorevole Murgia di non insistere nel suo emendamento, la cui esigenza mi sembra sodisfatta dalla nostra formula.

L’onorevole Veroni ha proposto un emendamento che vorrei chiamare formale, non sostanziale. Esso riguarda l’ultima parte dell’articolo 8, perché alle parole: «È punita» si premetta «repressa» e precisamente: «È repressa e punita».

Onorevole Veroni, nell’affermazione di punizione, mi pare sia implicito il concetto di repressione. Se è punita, è evidentemente repressa. Noi crediamo che il suo emendamento sia pleonastico e preferiamo perciò la nostra formula.

Preferiamo del pari questa formula anche nei confronti di coloro che hanno domandato nei loro emendamenti di sostituirla con l’altra: «è vietata». Noi abbiamo fatto oggetto, in sede di Commissione, di attento esame anche questo emendamento ed abbiamo ritenuto che fosse più fortemente espresso il concetto nel verbo: «è punita», cioè è repressa con punizione.

Credo così di avere risposto a tutti coloro che sono intervenuti nella discussione, o che hanno presentato emendamenti.

PREZIOSI, Non ha risposto al mio.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Scusi, onorevole Preziosi, non l’avevo veduta.

L’onorevole Preziosi ha proposto di sostituire l’ultimo periodo del terzo comma col seguente:

«La quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esso entro le successive quarant’otto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto».

Lei, onorevole Preziosi, ha pratica forense, forse anche più di me, perché esercita la professione legale con maggiore intensità di quello che non faccia io, almeno in questi momenti: lei sa quanto sia difficile in un termine così breve, tassativamente stabilito – nientemeno! – dalla Costituzione, di poter fare tutti quegli accertamenti che possono portare ratione cognita, o cognita causa, a un provvedimento successivo dell’autorità giudiziaria. Abbiamo esaminato con molta attenzione questa sua proposta in sede di Commissione, e ci siamo resi conto della difficoltà di dover fissare nella Costituzione un termine così perentorio, soprattutto per questo ordine di considerazioni: se questo termine è possibile mantenerlo, sarebbe facile anche accoglierlo; ma, come noi siamo convinti che non è possibile esaurire in così breve termine l’intervento dell’autorità giudiziaria, allora possono derivarne due conseguenze opposte: o che il termine cada in desuetudine, o che occorra prorogarlo mediante una modifica della Costituzione. L’onorevole Preziosi vorrà quindi rendersi conto della gravità delle conseguenze, ad evitare le quali non c’è che da tener ferma la formula del progetto. Naturalmente il legislatore futuro non potrà non attenersi a termini brevi in omaggio alle considerazioni espresse dall’onorevole Preziosi, e che sono da noi tutti condivise, ma volerli fissare fin da ora mi sembra imprudente e pericoloso. Lo stesso onorevole Veroni, nel richiamare i provvedimenti legislativi da me a suo tempo adottati come Ministro di grazia e giustizia, ha voluto associarsi alle stesse mie preoccupazioni. Del che lo ringrazio, mentre prego l’onorevole Preziosi di non voler insistere nel suo emendamento.

L’onorevole Crispo, a sua volta, ha presentato il seguente emendamento: «All’ultimo comma, aggiungere: È assolutamente vietato privare della libertà personale chiunque sia estraneo al fatto pel quale l’autorità di polizia procede».

Rispondo che l’esigenza manifestata dall’onorevole Crispo può essere sodisfatta dal primo comma dell’articolo 21. Se mai, potremo meglio chiarire, nel senso da lui indicato, la portata di questo comma.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Desidero dare solo un chiarimento. L’articolo 21 si riferisce ad un concetto di diritto penale. L’articolo 8, col comma che io proponevo di aggiungere, si riferisce, invece, ad un provvedimento di polizia, e precisamente a quel caso frequentissimo di persone di famiglia che vengono fermate allo scopo di indurre gli indiziati a presentarsi. È noto che ciò avviene ogni giorno: si ferma il padre, si ferma il fratello, si fermano i familiari del prevenuto.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Onorevole Crispo, le rispondo subito. Quando lei tiene fermo il concetto fondamentale che la responsabilità è personale, è evidente che la legge non potrà se non adottare criteri idonei al fine da lei desiderato, e ciò anche in relazione ai procedimenti di polizia.

Giunti a questo punto, credo di avere esaurito le mie risposte ai vari emendamenti, e perciò potremo, dopo la votazione di questo articolo, passare all’esame del successivo.

PRESIDENTE. Credo che, per prima cosa, dobbiamo decidere se il testo dell’articolo 8, così come è stato inizialmente proposto dalla Commissione, debba essere sdoppiato o no, dato che la Commissione ha dichiarato di aderire al concetto dello sdoppiamento.

Pongo pertanto in votazione il principio della separazione della materia dell’articolo 8 in due articoli, che per adesso chiameremo 8 e 8-bis, salvo poi a mutare la numerazione, tenendo presente che la Commissione ha aderito al principio dello sdoppiamento.

(È approvato).

BULLONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BULLONI. Convengo con l’onorevole Tupini che, in sostanza, l’emendamento da me formulato trova corrispondenza nell’articolo proposto dall’onorevole Commissione. È però su una questione di tecnica giuridica che mi permetto richiamare l’attenzione dell’onorevole Commissione e la benevolenza degli onorevoli colleghi. Non è ammessa alcuna restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria. Ma noi dobbiamo avere presente il caso di flagranza del reato. Pretendere la motivazione dell’Autorità giudiziaria per limitare la libertà personale nel caso di flagranza è un assurdo. (Commenti).

Si dice che l’arresto in flagranza potrebbe rientrare nei casi eccezionali di necessità e di urgenza e quindi tassativamente indicati dalla legge. Ed ecco la questione di tecnica giuridica che io ho fatto, perché l’arresto in flagranza non è un caso eccezionale, di necessità e di urgenza: è un caso normale che legittima la limitazione della libertà personale; per cui ritengo che l’articolo proposto dalla Commissione possa essere accettato, purché si aggiungano, alla fine del secondo comma, le parole: «salvo il caso di flagranza di reato».

È la tecnica giuridica che vuole questa aggiunta, onde chiarire meglio il concetto. Il caso di flagranza non è un caso eccezionale, che richieda misure provvisorie.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Non possiamo accedere alla proposta dell’onorevole Bulloni, perché la sua esigenza è sodisfatta dalla formulazione contenuta nel secondo capoverso dell’articolo. Tutt’al più, per quelle esigenze di tecnica giuridica alle quali tanto tiene l’onorevole Bulloni, potremmo consentire di togliere la parola «eccezionali» e lasciare solo «in casi di necessità e di urgenza», che contemplino anche il caso di flagranza. Se questo sodisfa meglio lo squisito senso di tecnica giuridica al quale si riferisce l’onorevole Bulloni, noi saremmo disposti a togliere la parola «eccezionali».

PRESIDENTE. Allora s’intende tolta la parola eccezionale.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. D’accordo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Ritengo invece che la parola «eccezionali» sia necessaria e ne spiego le ragioni.

Essa era nel testo. La Commissione della quale faccio parte l’ha ritirata. Credo di dover illustrare qui brevissimamente le ragioni per le quali ritengo di mantenerla, perché in questo capoverso, che è inspirato proprio da quei sentimenti di reazione legislativa ai fatti che si sono svolti precedentemente, l’accento era proprio sulla parola «eccezionali», e noi adesso verremmo a togliere la parola che intendevamo porre in evidenza. Quindi sono del parere che la soppressione di questa parola muti profondamente il significato di quel capoverso. Ecco la ragione per la quale sostengo che la parola «eccezionali» debba restare.

Il caso di flagranza è un caso di legge, non è un caso eccezionale. Quindi noi parliamo di casi eccezionali: cioè, questa facoltà che noi, obtorto collo, abbiamo dato alla polizia di provvedere al fermo, la consentiamo solo in casi eccezionali. La parola «eccezionali» è la parola sulla quale tutto il capoverso regge.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Mi consenta l’onorevole Presidente di rispondere brevemente all’onorevole Lucifero, il quale ha compreso che solo per condiscendenza verso l’onorevole Bulloni la Commissione era disposta a sopprimere la parola «eccezionali». Se l’onorevole Lucifero, al contrario, v’insiste e l’Assemblea è del suo parere, noi non ce ne dorremo.

Mi permetto di ricordare la fine del secondo capoverso, dopo la modifica accolta dalla Commissione, verrebbe modificata così: «restano prive di effetti giuridici» invece di «prive di ogni effetto».

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, ella insiste sull’emendamento?

CAROLEO. Io, dopo quanto ha spiegato e in parte ammesso il Presidente della Sottocommissione, non insisto. Però vorrei domandare all’onorevole Tupini un chiarimento, che egli non mi ha dato, a proposito delle conseguenze della frase: «Restano prive di ogni effetto» che è divenuta ora «prive di effetti giuridici», in relazione a quel sospetto, che potrebbe sorgere, di esonero di responsabilità dell’agente resosi colpevole di violazione di diritti, in contrasto con quanto è detto nell’articolo 22. La mia preoccupazione è suggerita principalmente dal fatto che nel vigente testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, all’articolo 7, è stabilito l’esonero completo. Vi sono stati casi molto gravi, finiti con la liberazione totale dei funzionari e dello Stato.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Questo si riferisce soltanto alla persona per la quale si fosse addivenuti a misure di prevenzione, ma l’articolo 22 resta fermo. Siamo perfettamente d’accordo.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Dopo lo sdoppiamento dell’articolo 8 sono venute in gran parte meno le ragioni che mi avevano portato a formulare il mio articolo; per cui ritiro il mio emendamento, insistendo soltanto sulla formula: «È vietata ogni violenza fisica o morale», perché dal punto di vista costituzionale è il termine più appropriato. Qui non siamo in sede di Codice penale, ma siamo in sede costituzionale, dove deve essere posta la norma fondamentale che poi, in sede penale, deve trovare la sua specificazione.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione mantiene la parola «punita» perché contiene anche il concetto del divieto.

PRESIDENTE. L’onorevole Costantini mantiene il suo emendamento?

COSTANTINI. Si, lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo rimette il suo primo emendamento all’articolo 8-bis. Però l’altro suo emendamento lo mantiene o lo ritira?

CRISPO. Lo mantengo, perché ritengo sia un concetto del tutto diverso da quello espresso nell’articolo 21.

PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli mantiene il suo emendamento?

GABRIELI. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Tupini, non insisto e ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Preziosi mantiene il suo emendamento?

PREZIOSI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Grilli mantiene la sua proposta?

GRILLI. Io avevo presentato la mia proposta, non perché fossi contrario al principio contenuto nel capoverso dell’articolo 8, ma perché la norma è già contenuta nel Codice penale e mi sembra inutile. Comunque rinuncio all’emendamento, augurandomi che la nuova parola della Costituzione sia più efficace della vecchia parola del Codice penale.

PRESIDENTE. Onorevole Veroni, ella insiste nel suo emendamento?

VERONI. Non insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Murgia, ella insiste nel suo emendamento?

MURGIA. Io voglio precisare che se il mio emendamento fosse respinto nessun limite vi sarebbe alla carcerazione preventiva degli imputati. Il 20 per cento dei detenuti sono assolti in istruttoria dopo lunghissima carcerazione, talvolta anche di anni; escono dal carcere semidistrutti nel fisico e nello spirito e molte volte anche economicamente rovinati, senza che nessuna seria prova abbia legittimato tale lunga carcerazione. E ciò per qual motivo? Per il fatto che nessuna norma di legge né principio costituzionale imponevano al giudice, fino alla legge, inadeguata però, del 1944, un limite alla carcerazione preventiva. La Commissione pare – da ciò che ha affermato l’onorevole Presidente – che non ritenga materia costituzionale, ma di legislazione ordinaria il mio emendamento. Ma se ciò è, cito a sostegno della mia tesi la Costituzione degli Stati Uniti d’America e l’Habeas Corpus inglese, che impongono tassativamente non solo dei limiti alla custodia preventiva, ma sanciscono l’obbligo della concessione della libertà provvisoria ad eccezione di reati gravissimi come l’omicidio e qualche altro. Questo principio, che è insieme una garanzia fondamentale dell’imputato e un’alta esigenza di umanità, deve essere sancito nella Costituzione per far trovare al giudice il tempo onde chiudere entro il più breve termine l’istruttoria. Sono dunque costretto a mantenere il mio emendamento e sottoporlo al voto dell’Assemblea. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Onorevole Bulloni, ella mantiene il suo emendamento?

BULLONI. Rinunzio, alla condizione che si aggiungano, come ho già detto, alla fine del secondo comma, le parole: «salvo il caso di flagranza di reato».

PRESIDENTE. Poiché la Commissione ha dichiarato che non accetta questa sua aggiunta, ella insiste soltanto su di essa o su tutto l’emendamento?

BULLONI. Soltanto sull’aggiunta.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Domando un chiarimento per evitare forse una votazione. L’onorevole Tupini mantiene al terzo comma l’espressione: «in casi eccezionali»?

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La mantengo.

LUCIFERO. Allora non ho bisogno di insistere.

PRESIDENTE. Tutti gli emendamenti presentati mantengono la dizione del primo comma, e pertanto metto in votazione il primo comma dell’articolo:

«La libertà personale è inviolabile».

(È approvato).

Nell’emendamento proposto dall’onorevole Costantini si unisce il primo al secondo comma. Si tratta di vedere se l’Assemblea accetta questo criterio.

Pongo pertanto ai voti la proposta di fusione dei primi due commi dell’articolo.

(Non è approvata).

Si passa, quindi alla votazione del secondo comma.

L’onorevole Costantini intende che il secondo comma assuma la formula sintetica: «Le limitazioni sono tassativamente fissate dalla legge»?

COSTANTINI. Essendosi già fatta la votazione, ritengo sia inutile.

PRESIDENTE. Desidero chiarire che la votazione fatta non influisce assolutamente sulla formula da lei proposta, che potrà esser messa in votazione. Ritiene che la votazione già fatta assorba il suo emendamento?

COSTANTINI. Per me, sì.

PRESIDENTE. Resta, dunque, la formulazione nel testo della Commissione, salvo a votare successivamente la proposta Bulloni.

Pongo ai voti il secondo comma nel testo della Commissione, salvo la soppressione delle parole «o domiciliare»:

«Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge».

(È approvato).

Dobbiamo ora votare l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Bulloni:

«salvo il caso di flagranza di reato».

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Onorevole Bulloni, noi potremmo accogliere il suo emendamento e metterlo in testa al secondo capoverso, senza togliere quella euritmia dell’articolo, che noi vogliamo conservare, e ciò anche al fine di una maggiore garanzia.

VERONI. Ma la flagranza è un caso di legge…

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Noi siamo disposti ad accettare l’emendamento Bulloni, che riguarda i casi di flagranza di reato e inserirlo nel primo rigo del secondo capoverso dell’articolo, dicendo perciò: «In casi eccezionali di necessità ed urgenza, ed in casi di flagranza di reato».

BULLONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BULLONI. Si tratta di una misura provvisoria. L’esigenza del rispetto della tecnica giuridica non è però soddisfatta. L’arresto in flagranza è un caso normale. È poi una incongruenza dire che nel caso di arresto in flagranza si possono prendere delle misure provvisorie. Un’altra osservazione è questa: all’arresto in flagranza non deve seguire la segnalazione all’autorità giudiziaria, ma deve seguire la denuncia. Io mi domando: a che scopo portare nella prima parte del terzo comma ciò che logicamente si fa a chiusura del secondo comma?

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La ragione è evidente: perché nel primo caso abbiamo soltanto contemplata la ipotesi di competenza dell’autorità giudiziaria. Le misure provvisorie si riferiscono solo ai casi di flagranza. Comunque la Commissione mantiene il testo proposto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Bulloni di aggiungere alla fine del secondo comma le parole: «salvo il caso di flagranza di reato».

(Non è approvata).

Passiamo alla votazione del 3° comma. Gli emendamenti degli onorevoli Gabrieli e Caroleo sono stati ritirati.

Restano i seguenti emendamenti:

Al terzo comma, sostituire le parole: autorità di pubblica sicurezza, con le seguenti: autorità di polizia.

Crispo.

Al terzo comma, sopprimere l’ultimo periodo: Se questa non le convalida nei termini di legge, sono revocate e restano prive di ogni effetto, sostituendolo col seguente: La quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esse entro le successive quarantotto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto.

Preziosi.

Pongo in votazione il primo periodo del terzo comma nel testo della Commissione:

«In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie, che devono essere comunicate entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria».

(È approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Crispo:

«Al terzo comma, sostituire le parole: autorità di pubblica sicurezza, con le seguenti: autorità di polizia».

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Ritengo che sia opportuno aderire alla richiesta avanzata dall’onorevole Crispo, perché non si tratta di una questione di forma, ma di sostanza.

L’onorevole Tupini, a mio parere, non ha dato chiarimenti sufficienti: ha solo affermato che la Commissione era attaccata a quella forma.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Ho detto che l’espressione «autorità di pubblica sicurezza» comprende sia la polizia che ogni altro ramo o settore dì forza pubblica.

CIFALDI. A mio avviso, sembra che si faccia più che altro riferimento a quel corpo speciale che si chiama Corpo di pubblica sicurezza. Quando, invece, si vuol dire che tutte le autorità hanno questa facoltà, bisogna usare una frase più lata, diversamente andremmo a provocare delle interpretazioni che potrebbero lasciare gravi dubbiezze.

In effetti, i carabinieri possono essere autorità di polizia, così come, nei casi specifici, la «Celere» o qualunque altra forma di Corpo di polizia costituito.

E allora, quali possono essere le autorità che hanno questa facoltà? La forma più lata di «autorità di polizia» renderebbe indiscutibilmente più chiara la dizione.

Dichiaro quindi che voterò a favore della proposta Crispo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Crispo.

(È approvato).

Passiamo ora alla votazione della seconda parte del terzo comma. Vi è a questo proposito l’emendamento Preziosi che tende a sostituire l’ultimo periodo col seguente: «La quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esse entro le successive quarantotto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto». La diversità sostanziale dell’emendamento Preziosi sta nello stabilire un limite entro il quale deve avvenire la convalida da parte dell’autorità giudiziaria.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Voteremo a favore dell’emendamento Preziosi, perché se non stabiliamo un termine, daremo la possibilità al legislatore o di non stabilirne nessuno o di stabilire quello che vuole. La passata esperienza ci impone di stabilire dei limiti alla detenzione dell’individuo il quale non sia colpevole di un fatto specifico, ma sia tenuto, per semplice sospetto, in carcere.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Preziosi.

(Dopo prova e controprova è approvato).

Vi è la proposta dell’onorevole Caroleo – cui la Commissione ha dichiarato di accedere – di aggiungere al terzo comma, dopo le parole: «sono revocate» le altre: «di diritto».

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. È pleonastico mettere «di diritto», perché, quando non si impone nessuna motivazione al provvedimento, si intende ché esso è di diritto. Non ripetiamo parole inutili.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo «di diritto».

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Vi è poi la formula proposta dalla Commissione, di sostituire nel terzo comma all’espressione «prive di ogni effetto» l’altra «prive di effetti giuridici». L’emendamento è stato accettato dalla Commissione.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. A me sembra più ampia la dizione «prive di ogni effetto», piuttosto che la dizione «prive di effetti giuridici». Mi pare che questa ultima formula sia limitata e circoscritta al solo campo legale o giuridico. Io proporrei quindi che si lasciasse il testo attuale: «prive di ogni effetto», nel quale è incluso anche l’effetto giuridico.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione non insiste in questa formulazione.

PRESIDENTE. Allora la proposta decade. Il terzo comma resta pertanto così formulato:

«In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di polizia può prendere misure provvisorie, che devono essere comunicato entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria, la quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esse entro le successive quarantotto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto».

Vi è poi l’ultimo comma dell’articolo:

«È punita ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà».

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Penso che sia opportuno che l’Assemblea si pronunci sulla questione se il comma stesso debba o non rimanere.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Costantini, di dirle che v’era una proposta di soppressione dell’onorevole Grilli, la quale è stata ritirata. Non so quindi su quale base si possa mettere ai voti la soppressione.

COSTANTINI. Anche nel mio emendamento vi è in sostanza la proposta di soppressione dell’ultimo comma, in quanto si domanda di sostituire l’articolo 8, come è formulato dalla Commissione, con un altro articolo che non contiene la disposizione dell’ultimo comma. Senza dirlo espressamente quindi, se ne domanda la soppressione.

PRESIDENTE. Onorevole Costantini, si può anche accedere alla sua interpretazione, ma lei aveva presentato il testo di un articolo completo ed è evidente che è soltanto su quello che si vota. In ogni modo, avendo l’onorevole Grilli ritirato la sua proposta di soppressione, lei può farla sua.

COSTANTINI. Allora faccio mia la proposta dell’onorevole Grilli per la soppressione dell’ultimo comma dell’articolo 8.

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento soppressivo dell’onorevole Costantini.

(Non è approvato).

Vi è ora da porre ai voti la proposta dell’onorevole Bettiol e altri tendente a sostituire alle parole: «È punita» le altre: «È vietata».

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Noi voteremo a favore della proposta dell’onorevole Bettiol, perché pensiamo che «vietata» sia una dizione tecnicamente più esatta.

TONELLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Mi pare che sia bene lasciare la dizione «È punita», in quanto in essa è implicito anche il divieto.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Ritengo che si debba dire «È vietata», nella Costituzione; la pena poi sarà stabilita dalla legge.

PRESIDENTE. Metto ai voti la proposta dell’onorevole Bettiol, di sostituire: nell’ultimo comma dell’articolo 8 alle parole: «È punita» le altre: «È vietata».

(È approvata).

Pongo ai voti l’ultimo comma così modificato: «È vietata ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».

(È approvato).

Dobbiamo ora procedere alla votazione dell’emendamento presentato dall’onorevole Crispo:

«All’ultimo comma aggiungere: È assolutamente vietato privare della libertà personale chiunque sia estraneo al fatto per il quale l’autorità di polizia procede».

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Ritengo che sia opportuno votare l’emendamento dell’onorevole Crispo per la seguente considerazione: Noi abbiamo adesso approvato una limitazione all’autorità di polizia. L’emendamento dell’onorevole Crispo costituisce altra opportuna limitazione ad eventuali arbitrî della polizia. Chiunque abbia esperienza di prassi giudiziaria sa che talora la polizia, non trovando l’inquisito, arresta i familiari nella speranza che l’inquisito si presenti. Questo si vuole vietare con l’emendamento dell’onorevole Crispo.

Mi pare che l’osservazione fatta dal Relatore della Commissione, cioè che l’articolo 21 stabilisce che la responsabilità penale è personale, sia un fuor di luogo, perché l’articolo 21 è una norma di carattere penale, mentre nella fattispecie ci troviamo di fronte – ripeto – ad una limitazione ed inibizione contro possibili arbitrî della polizia.

PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Crispo.

(È approvato).

Vi è ora l’emendamento proposto dagli onorevoli Murgia, Avanzini, Benvenuti:

Aggiungere in fine:

«La legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva».

LACONI. Chiedo di parlare por dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dichiaro che voteremo contro questo emendamento, per quanto ci rendiamo perfettamente conto dell’esigenza contenuta nella proposta. L’esigenza è giusta, però l’emendamento non dice nulla; è così vago e generico che il suo contenuto può ritenersi già implicito. Ed è una questione, soprattutto, che deve essere trattata dal Codice di procedura penale, non dalla Costituzione. Per tutte queste ragioni noi voteremo contro.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Personalmente voterò l’emendamento, perché è difficile che la Costituzione prestabilisca i termini della carcerazione preventiva. Ma se la Costituzione non li stabilisce, il Codice di procedura penale può stabilirli a sua volta. Una delle cose veramente gravi della riforma penale fu precisamente l’abolizione dei termini della carcerazione preventiva. Se noi, pertanto, non stabiliamo indiscutibilmente questo principio nella Costituzione, può darsi che il legislatore lo dimentichi. È per questo che io voterò a favore.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Noi voteremo a favore della proposta di emendamento presentata dall’onorevole Murgia. È necessario, infatti, che un limite sia stabilito: tutti gli emendamenti che stiamo votando sono nello stesso spirito; un limite ci deve essere, così che noi non apprenderemo più che degli innocenti vengano assolti dopo 16 o 20 mesi di detenzione.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Vorrei ricordare che in alcuni nostri Codici, come in quello anteriore alla legge del 1913, i limiti della carcerazione preventiva non esistevano; ed accadeva così che un individuo facesse mesi ed anche anni di carcerazione preventiva per poi sentirsi dichiarare innocente.

Se, quindi, nella Carta costituzionale non venga stabilito che i limiti della carcerazione preventiva debbono essere fissati dalla legge, il Codice di procedura penale potrebbe farne a meno.

BETTIOL. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Il Codice di procedura penale stabilisce i termini delle istruttorie, che vengono calpestati, per garantire la libertà individuale. Credo sia opportuno di fissare limiti precisi di là dai quali non si possa andare. Dichiaro pertanto di votare a favore.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Murgia: «La legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva».

(È approvato).

Con ciò è stato approvato tutto il testo dell’articolo 8, di cui do lettura nella sua formulazione complessiva:

«La libertà personale è inviolabile.

«Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

«In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di polizia può prendere misure provvisorie, che devono essere comunicate entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria, la quale ha l’obbligo di provvedere alla convalida di esse entro le successive quarantotto ore, altrimenti si intendono revocate e prive di ogni effetto.

«È vietata ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

«È assolutamente vietato privare della libertà personale chiunque sia estraneo al fatto per il quale l’Autorità di polizia procede.

«La legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva».

Vi è ora da esaminare l’articolo 8-bis, per il quale la Commissione accetta il testo proposto dall’onorevole Basso e da altri che è del seguente tenore:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni o perquisizioni o sequestri, senza ordine motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

«Per i casi eccezionali di necessità ed urgenza valgono le disposizioni dell’articolo precedente a tutela della libertà della persona.

«Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità, di incolumità pubblica, o per scopi economici e fiscali sono regolati da leggi speciali».

Vi è poi il testo proposto dagli onorevoli Bulloni, Avanzini, Bettiol, Benvenuti, Leone Giovanni:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre senza ordine dell’autorità giudiziaria. Solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, la forza pubblica può disporre sequestri di cose, ispezioni o perquisizioni personali o domiciliari. Tali provvedimenti devono essere comunicati entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria».

Chiedo all’onorevole Bulloni se lo mantiene.

BULLONI. Rinunzio.

PRESIDENTE. Vi è, infine, il testo proposto dagli onorevoli Lucifero, Russo Perez, Corbino, Condorelli, Colonna, Bellavista, Quintieri Quinto, Perrone Capano, Cortese e Badini Confalonieri:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni o perquisizioni o sequestri se non nei casi di legge o per ordine dell’Autorità giudiziaria, salvo quanto previsto dalla legge per esigenze di sanità o di pubblica incolumità.

«Solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’Autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie che debbono essere comunicate entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria. Per la convalida valgono le disposizioni dell’articolo precedente.

«Gli ufficiali della pubblica sicurezza potranno introdursi nel luogo o nei luoghi, diversi dall’abitazione, ove la persona esplichi la sua attività per i soli accertamenti previsti dalla legge in materia economica o fiscale».

Chiedo all’onorevole Lucifero se lo mantiene.

LUCIFERO. Mantengo il mio emendamento per due ragioni: innanzi tutto, perché nella formulazione Basso non si parla delle leggi sanitarie.

PRESIDENTE. Se ne parla all’ultimo comma.

LUCIFERO. In secondo luogo trovo che è troppo generico rimandare alla legge per avere la bella cosa che, quello che abbiamo vietato ai carabinieri, si consente alle guardie di finanza.

PRESIDENTE. Abbiamo, quindi, un testo proposto dall’onorevole Basso, ed accettato dalla Commissione, ed un testo dell’onorevole Lucifero che, sostanzialmente, è un emendamento al testo proposto dall’onorevole Basso.

Le due proposte sono costituite da quattro commi i quali trattano approssimativamente la stessa materia. Il primo comma è comune ed è del seguente tenore: «Il domicilio è inviolabile».

Lo metto ai voti.

(È approvato).

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione ha già esaminato questa mattina, sia il testo Basso-Mortati che l’aggiunta dell’onorevole Lucifero, e si è pronunziata, in via di massima, favorevole al testo Basso-Mortati per la ragione che vedeva in esso sodisfatte, non solo le esigenze della inviolabilità del domicilio, ma anche quelle di cui si è reso interprete con la sua proposta l’onorevole Lucifero. Questi, infatti, si preoccupa di salvaguardare. gli studi dei liberi professionisti, le sedi delle società legali, limitandovi le possibilità di accesso degli ufficiali di pubblica sicurezza ai soli casi di accertamenti finanziari o fiscali.

Il testo dell’emendamento dell’onorevole Lucifero è, infatti, il seguente: «Gli ufficiali di pubblica sicurezza potranno introdursi nel luogo o nei luoghi diversi dall’abitazione dove la persona esplichi la sua attività per i soli accertamenti previsti dalla legge in materia economica e fiscale». Io comprendo la ragione di questa formula e la condivido, ma penso che ove fosse adottata ne deriverebbero conseguenze diverse o addirittura contrarie a quelle volute dall’onorevole Lucifero. Infatti, questi vorrebbe declassare i domicili legali e professionali in confronto di quelli personali e familiari. Ma il risultato si risolverebbe in un privilegio a favore dei primi.

Per queste ragioni noi ci dichiariamo contrari all’emendamento Lucifero, mentre accettiamo la formula Basso-Mortati. In base a quest’ultima il legislatore avrà una sicura direttiva, perché gli accertamenti domiciliari saranno condizionati dal fine che essi si propongono, e speciali corpi di polizia saranno utilizzati a seconda che si tratti di indagini fiscali, edilizie, sanitarie o di qualsiasi altra natura.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. L’onorevole Tupini mi ha già esposto questa sua strana teoria questa mattina. Confesso che non l’ho capita, stamane e che ancor meno la capisco ora. Io creo un privilegio per la casa di abitazione per la semplicissima ragione che mentre resta uguale per tutti i domicili (cioè tanto per il domicilio di abitazione, quanto per il domicilio di affari) il principio dell’inviolabilità, e solo nei termini stabiliti dal terzo comma l’uno e l’altro possono essere visitati dalla polizia, per le case invece di abitazione si crea effettivamente un privilegio in quanto, mentre l’Autorità di polizia tributaria (e veda, onorevole Tupini, che io parlo di ufficiali e non di agenti, il che stabilisce che per queste operazioni devono essere scelti corpi e persone che diano determinate garanzie), mentre quest’Autorità, dicevo, potrà senz’altra particolare autorizzazione visitare gli uffici o le sedi di società o le sedi di affari o i magazzini ove possono essere nascosti materiali ammassati, ecc.; per fare eguale verifica in una abitazione privata dovrà chiedere l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, cioè bisogna che ci sia un fondato sospetto. Quindi, è vero che si costituisce un privilegio; ma si costituisce proprio per le case di abitazione.

Devo poi rilevare che l’onorevole Tupini ha proprio ragionato e parlato in quei termini tradizionali che in questa sede dobbiamo abbandonare. Io ho cercato di parlare in termini nuovi, come si è espresso l’onorevole Basso, e noi dobbiamo trarre da ciò le conseguenze, perché la situazione nella vita moderna è questa, che le case e gli uffici hanno un carattere diverso e, quindi, la legge le deve tutelare in modo diverso; Noi non possiamo restare nell’800 mentre siamo in pieno 1947.

PRESIDENTE. Io penso che forse introducendo alcune parole si chiarirebbe il concetto dell’ultimo comma, perché le confesso, onorevole Lucifero, che io stesso, alla prima lettura, avevo avuto l’impressione che con questo suo emendamento si creasse una situazione di privilegio nei confronti di luoghi diversi dall’abitazione.

LUCIFERO. Sono ben lieto se si potrà chiarire il concetto.

PRESIDENTE. Credo che si potrebbe dire così: «Gli ufficiali di pubblica sicurezza potranno, senza l’autorizzazione di cui al primo comma, introdursi nei luoghi diversi dall’abitazione, ove la persona esplichi la sua attività, ma solo per gli accertamenti previsti dalla legge in materia economica e fiscale.

LUCIFERO. Accetto questa formula.

CRISPO. Chiedo di parlare;

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. A proposito dell’ultimo comma, che demanda a leggi speciali di regolare le perquisizioni e le visite domiciliari per accertamenti fiscali, riterrei opportuno, per evitare che l’arbitrio fosse domani consacrato nelle leggi speciali – perché la Costituzione non dà alcuna norma al legislatore per disciplinare questa eventuale misura – che si aggiungesse che la legge speciale, stabilirà apposite sanzioni per i casi arbitrari.

BASSO. V’è un articolo in proposito nella Costituzione.

CRISPO. Bisogna evitare che sia preso a pretesto il caso di un qualunque malato per dar luogo a perquisizioni domiciliari, perché altrimenti rientrerebbe dalla finestra l’arbitrio che si è voluto cacciare dalla porta.

E sarebbe un arbitrio sconfinato se mancasse una precisa direttiva al legislatore per regolare la materia.

Dichiaro che se l’ultima parte resta così com’è, io voterò contro.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Desidero chiedere alla cortesia del Presidente di voler interpellare gli onorevoli proponenti se non convenga sostituire alle parole «ufficiali di pubblica sicurezza» l’espressione «ufficiali di polizia», in conformità, del resto, a ciò che già è stato approvato dalla maggioranza dell’Assemblea pochi istanti fa.

MAFFI Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Osservo che quello che diceva prima l’onorevole Lucifero, a proposito del privilegio che deve garantirsi all’abitazione privata, potrebbe diventare un pericolo in certi casi. Ricordo che nel 1911, in provincia di Bergamo, vi fu un lavoro di occultamento degli ammalati di colera per un pregiudizio che era diffuso nella popolazione. Questo naturalmente rappresenta un gravissimo pericolo.

Io lascio agli uomini di legge il compito di trovare la formulazione adatta per evitare abusi, ma certo non bisogna limitare gli accertamenti sanitari. Occorre che questi siano regolati in modo che non si presenti un privilegio dell’abitazione familiare ad impedire verifiche di importanza sociale.

PRESIDENTE. Onorevole Maffi, sia nel testo proposto dall’onorevole Basso, sia in quello proposto dall’onorevole Lucifero, le sue preoccupazioni trovano un preciso riflesso. Si stabilisce, infatti, la possibilità di norme speciali fissate per legge allo scopo di visite dovute a ragioni sanitarie. Pertanto la disposizione restrittiva del primo comma non vale per i motivi che ella ha fatto presenti.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dichiaro che voteremo contro la proposta dell’onorevole Lucifero, perché, per quanto la modifica proposta dal Presidente ed accettata dal proponente giovi ad attenuare l’equivoco rilevato dall’onorevole Tupini, rimane un’altra difficoltà sostanziale, che ci impedisce di aderire. La difficoltà consiste in questo: che nella realtà non è possibile stabilire una distinzione in questo articolo, a seconda dei luoghi nei quali le ispezioni o le perquisizioni dovrebbero essere fatte, in quanto vi è tutta una serie di aziende, la cui sede è fusa col domicilio familiare; parlo delle aziende artigiane, di talune aziende agricole, degli studi professionali. Unica distinzione che possa utilmente farsi è quella che si fonda sugli scopi che persegue una determinata indagine, ed è appunto la distinzione che ricorre nell’emendamento accettato dalla Commissione.

Per queste ragioni e perché credo che, in pratica, sia irrealizzabile, in quanto verrebbe a sottrarre alla sorveglianza ed alle ispezioni della pubblica autorità una grandissima parte delle aziende, ritengo non si possa accedere alla proposta Lucifero e dichiaro di votare contro.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISÀNELLI. Sarebbe opportuno tener conto della differenza fra residenza e domicilio, allo scopo di evitare antinomie col Codice civile.

Qui si parla di domicilio; ma, in pratica, parliamo di residenza.

Sottopongo alla Commissione l’opportunità di evitare confusioni.

TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Quella è un’altra questione.

PRESIDENTE. Rilevo che sia nel testo Basso, sia in quello Lucifero si svolge, al secondo comma, lo stesso concetto, salvo che nel testo Lucifero viene preso in considerazione l’elemento delle esigenze di sanità, di pubblica incolumità, che nella proposta dell’onorevole Basso sono rinviate all’ultimo comma, insieme alle esigenze di carattere economico e fiscale. V’è quindi una parte della proposta dell’onorevole Lucifero che coincide completamente con la proposta dell’onorevole Basso.

Pongo, quindi, in votazione la prima parte del secondo comma nella formulazione dell’onorevole Lucifero.

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi di legge e per ordine dell’Autorità giudiziaria.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma nella formulazione dell’onorevole Basso:

«Nessuno vi si può introdurre o eseguirvi ispezioni, perquisizioni o sequestri, senza ordine motivato dell’Autorità giudiziaria nei soli casi e modi previsti dalla legge».

(È approvato).

La seconda parte del comma dell’onorevole Lucifero è così formulata: «salvo quanto previsto dalla legge per esigenze di sanità o di pubblica incolumità».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei far notare che intenzionalmente ho diviso i due casi, perché già il fatto di voler confondere insieme l’accertamento fiscale e l’indagine o l’intervento per pubblica incolumità, per epidemie od altro, dimostra il pericolo contenuto nella frase dell’onorevole Basso, cioè una estensione che va al di là delle intenzioni stesse dell’onorevole Basso; questo è un articolo che dà la possibilità ad una qualunque maggioranza di fare il comodo proprio, facendo la legge come vuole ed intervenendo come vuole.

La funzione limite della Costituzione, che è la sua funzione fondamentale, con quell’articolo e con quella formulazione verrebbe a cessare. Ritengo quindi che i due casi debbano essere tenuti distinti.

BASSO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE Ne ha facoltà.

BASSO. Posso rispondere facendo presente che la differenza fra l’articolo che ho proposto insieme con gli onorevoli Mortati, Laconi e Perassi, e l’articolo proposto dall’onorevole Lucifero, non sta in questo. Il concetto nostro è stato già illustrato dall’onorevole Laconi ed è il seguente: che la diversità di garanzia si riferisce alla diversità di materia. Noi ereditiamo delle antiche tradizioni, ed abbiamo degli articoli e delle formulazioni che sono state fatte per difendere il privato cittadino dall’arbitrio poliziesco, in un’epoca in cui vi erano altre esigenze.

Noi non possiamo impedire, per esempio, al fisco di andare a fare degli accertamenti, non possiamo impedire all’autorità di fare accertamenti di natura sanitaria, come quelli ricordati dall’onorevole Maffi.

Ora, noi riteniamo che in questi casi la garanzia debba essere ricercata nella finalità specifica, per cui queste ispezioni sono ammesse e, naturalmente, nella tutela che deriva dal fatto che sono ammesse solo da una legge. Quindi, riconosciamo al legislatore il diritto di fare leggi che permettano all’autorità di far funzionare la vita civile, la quale può funzionare solo con quelle autorizzazioni previste da una legge e limitate a quegli scopi che abbiamo richiamati.

Non c’è nessuna ragione, per questi motivi, di accettare la distinzione tra casa privata ed ufficio: il collega Laconi ricordava già che questo potrebbe dar luogo a confusioni; ma io vorrei aggiungere che, per quanto riguarda gli accertamenti fiscali, se si accettasse la proposta dell’onorevole Lucifero, noi favoriremmo le frodi fiscali, perché basterebbe portare i registri a casa per impedire gli accertamenti.

Ora, ricordo ai colleghi che in un paese che è geloso delle tradizioni di libertà e di difesa della persona, dove queste disposizioni sono nate molti secoli fa, in Inghilterra, il funzionario del fisco – e questo non si ritiene affatto una violazione di nessun diritto riguardante la libertà del cittadino – si installa nella casa del contribuente e va a fare i bilanci, e va a vedere i registri: e questa è una manifestazione di civiltà.

Non dobbiamo ammettere che, sotto il coperto di difendere il domicilio, si favoriscano frodi al fisco.

Ritengo quindi che la formulazione che la Commissione ha approvato questa mattina sia quella che risponda e che contemperi la necessaria difesa dell’individuo e la difesa non solo della sua abitazione, ma anche di tutti i locali che esso occupa a titolo privato. Non dobbiamo difendere soltanto l’abitazione, ma anche, per esempio, l’azienda, la sede di un partito o di un’associazione, da arbitrî polizieschi. Per ragioni di polizia non si può entrare, se non con l’ordine della autorità giudiziaria; ma per ragioni di sanità, di incolumità pubblica, ecc., si deve poter entrare in tutte le case. Naturalmente, la garanzia ai cittadini è data dal fatto che l’ingresso nei domicili privati è in questi casi consentito solo per gli scopi specifici previsti dalle singole leggi.

Per questo insistiamo nel mantenere la nostra formulazione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione questa formulazione aggiuntiva dell’emendamento Lucifero al secondo comma:

«salvo quanto previsto dalla legge per esigenze di sanità o di pubblica incolumità».

(Non è approvata).

Passiamo al terzo comma.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Per quanto riguarda il terzo comma, accetto la formulazione Basso.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il terzo comma, nella formulazione proposta dall’onorevole Basso:

«Per i casi eccezionali di necessità e urgenza valgono le disposizioni dell’articolo precedente a tutela della libertà personale».

(È approvata).

Dobbiamo ora procedere alla votazione dell’ultimo comma proposto dall’onorevole Lucifero:

«Gli ufficiali di polizia potranno, senza l’autorizzazione di cui al primo comma, introdursi nel luogo o nei luoghi diversi dall’abitazione ove la persona esplichi la sua attività, ma solo per gli accertamenti previsti dalla legge in materia economica e fiscale».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei dare ancora un chiarimento, anche se abuso della vostra tolleranza.

Si tratta di una cosa alla quale annetto grande importanza: sarebbe effettivamente una parola nuova e moderna nella nostra Costituzione. E, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Basso, la mia proposta acquista ancora maggiore importanza: l’onorevole Basso ritiene che sia prova di civiltà il fatto che la polizia tributaria possa frugare nei conti di cucina di ogni famiglia; io ritengo che daremo, invece, prova di civiltà il giorno in cui potremo credere alle dichiarazioni del contribuente italiano e non avremo bisogno di mandargli nessuno in casa.

Questa è la differenza fondamentale che ci divide gli uni e gli altri. Io sono del parere che sia giusto che l’ispezione ci sia quando c’è un fondato sospetto; ma non è necessario che sia consentito l’arbitrio, con la scusa dell’accertamento fiscale di entrare, in qualunque momento, nella casa privata del cittadino. Ecco perché, ancora più dopo le dichiarazioni di Basso, sono costretto a richiamare l’attenzione sull’importanza di questa materia.

PRESIDENTE. Pongo ai voti il terzo comma nella formulazione dell’onorevole Lucifero.

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Pongo in votazione il terzo comma nella formulazione dell’onorevole Basso.

«Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità, di incolumità pubblica, o per scopi economici e fiscali sono regolati da leggi speciali».

(È approvato).

La formulazione dell’articolo 8-bis resta pertanto la seguente:

«Il domicilio è inviolabile.

«Nessuno vi si può introdurre eseguendo ispezioni o perquisizioni o sequestri, senza ordine motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi previsti dalla legge.

«Per i casi eccezionali di necessità e urgenza valgono le disposizioni dell’articolo precedente a tutela della libertà della persona.

«Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità, di incolumità pubblica o per scopi economici e fiscali sono regolati da leggi speciali».

Il seguito della discussione è rinviato a domani alle ore 10. Avverto che saranno prima svolte le interrogazioni.

La seduta pomeridiana avrà inizio alle 16.

Sui lavori dell’Assemblea.

BARBARESCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BARBARESCHI. In seguito alle agitazioni di numerose categorie di dipendenti dello Stato, agitazioni aggravatesi nei giorni precedenti le festività di Pasqua, il Gruppo parlamentare, al quale appartengo, aveva chiesto l’anticipata convocazione dell’Assemblea per discutere della situazione economico-finanziaria e delle agitazioni dei dipendenti dello Stato.

L’intervento tempestivo della Segreteria della Confederazione del lavoro, ha ottenuto una sospensiva delle agitazioni e, quindi, è mancata la ragione della convocazione urgentissima dell’Assemblea. Tuttavia, data la gravità della situazione, facemmo passi presso la Presidenza dell’Assemblea per chiedere che questa discussione fosse fatta subito dopo le vacanze pasquali. Ottenemmo dalla Presidenza dell’Assemblea, in accordo con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che la discussione avesse luogo nei primi giorni della riapertura dell’Assemblea Costituente. In questi giorni sono stati emanati dal Consiglio dei Ministri provvedimenti per fronteggiare la situazione. Questi provvedimenti noi desideriamo discuterli. A nome del Gruppo parlamentare al quale appartengo, chiedo che questa discussione sia fissata nel più breve termine.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Naturalmente il mio Gruppo si associa alla proposta dell’onorevole Barbareschi. Ho detto naturalmente, perché noi, ancora prima che l’Assemblea deliberasse la chiusura di propri lavori pasquali, avevamo chiesto che l’Assemblea fosse invitata a discutere i problemi economico-finanziari del Paese. Sono quindi lieto di quanto l’onorevole Barbareschi ha detto a nome del suo Gruppo, aderendo alla proposta che avevamo presentato nell’ultima discussione. Mi associo quindi alla proposta dell’onorevole Barbareschi, anche perché ritengo che se questa discussione fosse stata fatta in precedenza, probabilmente avremmo evitato qualche agitazione nel Paese, e nell’associarmi voglio augurarmi che la proposta sia accettata.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Nell’ultima seduta ero stato il proponente di una discussione immediata e quindi non posso che aderire oggi alla proposta del collega Barbareschi perché la situazione economica e finanziaria sia considerata con la massima urgenza dall’Assemblea. Non credo che ciò si possa rimettere al giorno in cui verrà di fronte all’Assemblea il progetto di imposta sul patrimonio, perché dovremo discutere di molte altre cose che con l’imposta sul patrimonio non hanno niente a che fare e quindi vorrei pregare la Presidenza dell’Assemblea e il Governo di fissare con la data più prossima, possibilmente di sabato, l’inizio della discussione generale sulla situazione economica e finanziaria.

TUPINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUPINI. Non credo che sia una novità apprendere che anche il nostro Gruppo è dell’ordine di idee che questa questione debba essere discussa e portata dinanzi all’Assemblea con la massima rapidità. Tanto è esatto questo, onorevole Lucifero, che fummo proprio noi l’altro giorno a prendere questa iniziativa… (Interruzioni Commenti).

Una voce. E poi la lasciaste cadere.

TUPINI …la quale se non ebbe seguito, fu per gli ostacoli che furono posti proprio da parte di coloro che poi si sono fatti zelanti per reclamare questa discussione al più presto possibile. E poiché noi siamo coerenti al nostro atteggiamento, diciamo che da parte nostra non solo non abbiamo nulla in contrario, ma intendiamo rivendicare la priorità dell’iniziativa, così come è stata da noi presa nella passata adunanza. (Applausi al centro Commenti).

GALATI. Sottosegretario di Stato per le poste e telecomunicazioni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GALATI, Sottosegretario di Stato per le poste e telecomunicazioni. Il Governo si riserva di rispondere in proposito nella seduta di domani mattina.

La seduta termina alle 20.15.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.