Come nasce la Costituzione

MARTEDÌ 21 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

81.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 21 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Tosato – Mortati, Relatore – Einaudi – Perassi – Fuschini – Fabbri – Zuccarini – Nobile – Lussu – Laconi – Codacci Pisanelli – Grieco.

La seduta comincia alle 18,10.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

 

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo formulato in base agli elementi approvati dalla Sottocommissione nella seduta di ieri:

«Sarà indetto il referendum su una legge approvata dal Parlamento quando ne facciano richiesta 500 mila elettori e 7 Assemblee regionali.

«Il termine della promulgazione è sospeso se entro 15 giorni dalla pubblicazione provvisoria della legge approvata, 50 mila elettori e tre Assemblee regionali dichiarino di prendere l’iniziativa del referendum. Il completamento del numero delle firme e delle adesioni delle Assemblee regionali, richieste per farsi luogo al referendum ai sensi del primo comma, deve avvenire entro due mesi dalla stessa data di pubblicazione.

«Non potrà essere sottoposto a referendum un disegno di legge per il quale le due Camere a maggioranza assoluta abbiano dichiarato il carattere d’urgenza.

«Non possono essere oggetto di referendum le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e le leggi di bilancio».

TOSATO propone che – per usare una maggiore proprietà di linguaggio – invece di: «leggi di bilancio» si dica: «leggi di approvazione del bilancio».

MORTATI, Relatore, si domanda se non sia opportuno aggiungere nel penultimo comma all’espressione: «a maggioranza assoluta» le parole: «dei loro membri».

PRESIDENTE non ritiene necessaria l’aggiunta suggerita dall’onorevole Mortati, perché, essendo «le due Camere» il soggetto della proposizione, è chiaro che la maggioranza assoluta riguarda i loro membri.

Non ha invece nulla in contrario ad accogliere la modificazione formale proposta dall’onorevole Tosato.

Pone ai voti la formulazione dell’articolo con l’emendamento Tosato.

(È approvata).

Rileva che, una volta fissati i casi in cui il referendum si può o non si può richiedere, si deve ora esaminare la questione del diritto di partecipazione al referendum.

MORTATI, Relatore, osserva che la Sottocommissione dovrebbe ora prendere in considerazione l’articolo 3 del progetto da lui formulato, che è del seguente tenore:

«L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto, redatto in articoli, da parte di almeno 100 mila elettori.

«Ove tale progetto, che deve essere presentato subito dal Governo al Parlamento, non venga, nel termine di sei mesi dalla presentazione, preso in considerazione, o sia rigettato, o sottoposto ad emendamenti, si deve procedere al referendum su di esso, quando ciò sia stato stabilito originariamente o sia richiesto da almeno un ventesimo (o meglio da un decimo) degli elettori iscritti ed il progetto sia accompagnato dalla relazione di un comitato di tecnici della materia cui esso si riferisce.

«Si procede analogamente quando la richiesta degli elettori sia rivolta all’abrogazione di una legge già in vigore (o di singole parti di essa). L’abrogazione produce i suoi effetti dal momento in cui la deliberazione popolare che la dispone sia resa nota».

Illustrando la disposizione, osserva che, mentre l’articolo 2 del suo progetto ammette la richiesta del referendum da parte degli elettori su una legge approvata dal Parlamento, l’articolo 3 si riferisce al caso di una proposta che parta dal popolo e che non sia collegata ad una legge approvata dal Parlamento.

PRESIDENTE prospetta l’opportunità che anche per le leggi di iniziativa popolare si possa far funzionare il referendum nello stesso modo in cui funziona quando è stato provocato dalla deliberazione di una delle Camere, dal momento che, evidentemente, anche il progetto di legge di iniziativa popolare deve esser sempre sottoposto all’esame del Parlamento.

MORTATI, Relatore, fa presente che si può anche ritenere che sul referendum richiesto dagli elettori su un progetto di legge di iniziativa popolare si pronunci direttamente il popolo senza passare attraverso il Parlamento.

PRESIDENTE non ha nulla in contrario ad esaminare tale ipotesi, ma osserva che sarebbe assai difficile far approvare per referendum un progetto di legge, perché gli elettori si troverebbero impacciati ad accettare o respingere nel suo complesso un progetto formato di un certo numero di articoli.

MORTATI, Relatore, rileva che l’obiezione fatta dal Presidente si potrebbe sollevare anche nei riguardi del referendum su una legge approvata dal Parlamento.

PRESIDENTE risponde che la formulazione di una legge approvata dal Parlamento sarà evidentemente più chiara e più elaborata di quanto non possa esserlo un progetto di iniziativa popolare; e quindi l’espressione del parere della popolazione potrà essere nel primo caso più agevole che non nel secondo.

EINAUDI concorda col Presidente, e distingue la formulazione del principio che è a base della proposta di iniziativa popolare, dalle particolarità di attuazione del principio stesso che, a suo avviso, spettano al Parlamento.

MORTATI, Relatore, ricorda che anche in questo caso si richiede – e numerose Costituzioni lo esigono – che il progetto presentato attraverso l’iniziativa popolare sia redatto in articoli.

L’articolo 3 del suo progetto pone il seguente quesito: se su un progetto di iniziativa popolare, non preso in considerazione o rigettato dal Parlamento, si possa o meno procedere a referendum.

PRESIDENTE osserva che si tratta di risolvere due differenti ipotesi: la prima, secondo la quale un progetto di legge di iniziativa popolare viene direttamente e immediatamente sottoposto a referendum, dando così origine ad un procedimento di formazione della legge diverso da quello normale; la seconda, per cui può essere richiesto dagli elettori il referendum su un progetto di iniziativa popolare non preso in considerazione o rigettato dal Parlamento.

PERASSI non è favorevole alla prima ipotesi, perché ritiene che il progetto di legge proposto e redatto in articoli dal popolo debba essere anzitutto sottoposto all’organo rappresentativo, il quale o l’adotta o lo modifica o fa un controprogetto; e che soltanto in un secondo tempo si possa giungere al referendum.

FUSCHINI è anch’egli contrario alla prima ipotesi fatta dal Presidente.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che possa ammettersi la formazione di una legge direttamente per iniziativa popolare attraverso il referendum, senza ricorso all’esame del Parlamento.

(Non è approvato).

Considera ora la seconda ipotesi, che ha poc’anzi accennato, la quale risulta dall’articolo 3 del progetto Mortati.

FUSCHINI riterrebbe opportuno stabilire di quale natura ed importanza debbano essere le modificazioni apportate dal Parlamento al progetto di iniziativa popolare, per evitare che il referendum sia richiesto anche quando al provvedimento sono stati apportati emendamenti di carattere non sostanziale.

PRESIDENTE rileva che – dal momento che nell’articolo 3 proposto dall’onorevole Mortati il caso di approvazione con emendamenti è equiparato a quello del rigetto – il Parlamento o accoglierà o respingerà in blocco la proposta di iniziativa popolare; e – entrando in funzione il referendum – gli elettori si pronunceranno anch’essi sul progetto nel suo complesso, dando così origine ad una procedura analoga a quella che la Sottocommissione ha respinto con la precedente votazione.

TOSATO ritiene che il referendum – concepito come un correttivo, nel senso di ammettere il popolo a collaborare alla formazione delle leggi – debba ammettersi soltanto nel caso che il popolo si manifesti in senso contrario ad una legge approvata dal Parlamento. Non è quindi favorevole all’iniziativa popolare così come è concepita dall’articolo 3 del progetto Mortati. Aggiunge che quanto ha osservato ha valore limitatamente alle leggi dello Stato, e non per ciò che riguarda l’ordinamento regionale.

MORTATI, Relatore, non vede quale ragione logica, giuridica o politica induca a trattare in modo differente il caso di referendum richiesto su un progetto di legge approvato dal Parlamento da quello di referendum richiesto su un progetto di iniziativa popolare, al quale il Parlamento si sia manifestato contrario. I due casi, infatti, partono dal medesimo presupposto, cioè da una posizione di contrasto tra il Parlamento ed un determinato numero di elettori.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Tosato nel ritenere che, quando si è ammessa la richiesta di referendum su una legge approvata dal Parlamento, si intendeva implicitamente escludere che il referendum potesse essere indetto su una legge respinta dal Parlamento.

Ritiene poi – pur ammettendo che lo stimolo popolare sia necessario – che, per le ragioni a cui ha accennato in precedenza, non si possa giungere senz’altro alla conclusione che l’iniziativa popolare possa, attraverso il referendum, sboccare direttamente in una legge, senza l’intervento degli organi legislativi.

FABBRI osserva che non è storicamente esatto che al diritto di veto – in cui si risolve, a suo avviso, il referendum di iniziativa popolare in opposizione ad una legge approvata dal Parlamento – abbia sempre corrisposto un diritto positivo di fare. Si tratta di due casi diversi, storicamente e costituzionalmente; e ritiene quindi che dalla concessione ad un certo organo di un diritto di veto da esercitare in determinate situazioni non debba derivare come conseguenza imprescindibile il diritto da parte di quell’organo di fare una legge per conto proprio.

MORTATI, Relatore, fa presente che il caso ipotizzato dall’articolo 3 del suo progetto tende a stabilire la possibilità di richiedere – da parte degli elettori che hanno veduto non accolto dal Parlamento un progetto di iniziativa popolare – il referendum su tale progetto. Osserva in proposito che non può ritenersi materia grezza quella sulla quale dovrà esercitarsi la deliberazione popolare, perché si tratta di un progetto, redatto in articoli già elaborati, che, nel caso di esito favorevole del referendum, deve diventare legge.

Quanto alle considerazioni fatte dall’onorevole Fabbri, osserva che al popolo è stato attribuito non solo il diritto di veto, ma anche quello di iniziativa, che può trovare il suo sbocco anche quando manchi ad essa il consenso del Parlamento.

PRESIDENTE, premesso che la Sottocommissione ha già escluso il referendum per i progetti di legge di iniziativa parlamentare che siano stati respinti dal Parlamento, fa presente che ora si tratta di decidere se per i progetti di iniziativa popolare respinti o modificati dal Parlamento sia ammesso o meno il referendum.

FABBRI osserva che l’ipotesi di un progetto modificato dal Parlamento è diverso dall’ipotesi di un progetto respinto dal Parlamento. Il primo caso rientrerebbe in quello di una legge approvata, cioè nella norma generale riguardante il diritto di referendum sulle leggi approvate dal Parlamento.

PRESIDENTE prospetta l’opportunità di intendere compresi nella formula approvata nell’ultima seduta tanto i progetti di legge di iniziativa parlamentare quanto quelli di iniziativa popolare, i quali (sia gli uni che gli altri) abbiano subìto emendamenti nel corso delle discussioni innanzi al Parlamento.

Pone quindi ai voti il principio che sia ammesso il referendum sui progetti di legge di iniziativa popolare respinti dal Parlamento.

(Non è approvato).

Fa presente che ora deve risolversi la questione di principio – di cui all’ultimo comma dell’articolo 3 del progetto Mortati – circa l’ammissione o meno del referendum per chiedere l’abrogazione delle leggi in vigore.

MORTATI, Relatore, osserva che, secondo il suo progetto, l’iniziativa popolare per la richiesta di abrogazione di una legge in vigore dovrebbe essere sottoposta al Parlamento; si dovrebbe ricorrere al referendum se tale richiesta non fosse accettata entro sei mesi.

PRESIDENTE non vede la necessità del vaglio parlamentare, dal momento che si tratta di abrogare una legge già in vigore.

FUSCHINI, ammesso il concetto che il referendum si possa domandare anche per l’abrogazione di una legge in vigore, è favorevole al principio che la proposta di abrogazione sia sottoposta all’esame del Parlamento, il che costituisce una notevole garanzia. Rileva poi i gravissimi inconvenienti a cui si andrebbe incontro, se si facesse a meno di tale garanzia e si stabilisse che, proposto il referendum, gli elettori debbano senz’altro votare sull’abrogazione della legge.

Fa presente che l’iniziativa popolare può esplicarsi sia con la richiesta di un nuovo progetto di legge, che con quella di abrogazione di una legge vigente. Nella prima ipotesi sono implicitamente previsti i due casi di presentazione di un nuovo progetto su materia nuova o su materia già elaborata; nella seconda si prevede poi sia il caso in cui l’abrogazione non comporti la necessità di una nuova legge che sostituisca la vecchia, che quello in cui vi sia tale necessità. Ritiene che tali ipotesi possano esser regolate diversamente, ma è, a suo parere, necessario che quando l’iniziativa popolare ravvisi la necessità di una nuova legge, il Parlamento debba interessarsene.

PERASSI nulla ha da obiettare circa il fatto che l’iniziativa, di cui al primo comma dell’articolo 3, possa esplicarsi sia nel senso della presentazione di un progetto redatto in articoli, sia nel senso della richiesta di abrogazione di una legge esistente. Fa invece le sue riserve circa la possibilità di abrogare una legge unicamente per voto del popolo, perché quasi sempre l’abrogazione di una legge porta con sé problemi di diritto transitorio che – se non previsti nel progetto presentato per iniziativa popolare – possono dar luogo a difficoltà pratiche notevoli. Esprime perciò l’avviso che nel primo comma dell’articolo 3 si debba stabilire che il diritto di iniziativa popolare consiste non solo nella presentazione di un disegno di legge, ma anche nella richiesta di abrogazione di una legge esistente.

TOSATO concorda con l’onorevole Perassi. Pone in rilievo la particolare importanza della domanda di abrogazione di norme giuridiche esistenti, la quale dovrebbe esser considerata a parte, in quanto implica sostanzialmente abrogazione di limiti posti dallo Stato all’attività dei singoli.

Rileva inoltre che, come si è ammessa la possibilità da parte del popolo di opporsi ad una nuova legge già approvata dal Parlamento, presentando un nuovo progetto da sottoporre a referendum, così si deve ammettere il diritto da parte del popolo di opporsi ad una legge già esistente.

MORTATI, Relatore, dopo aver rilevato la diversa portata pratica che ha l’ipotesi di abrogazione di una legge già in vigore rispetto a quella del veto posto alla promulgazione di una legge, fa presente che una delle principali obiezioni che si sollevano contro il referendum consiste nell’affermazione che esso introduce una disarmonia e disturba l’attività del potere legislativo, il che ha ancora più peso nel caso di eliminazione di una legge in vigore, in quanto il Parlamento dovrà provvedere a colmare la lacuna legislativa originata dall’abrogazione. Osserva che tale rilievo può essere superato, una volta ammesso che il popolo ha il diritto di intervenire nella linea di condotta politica del Parlamento, facendola, all’occorrenza, deviare.

Aggiunge infine che come correttivo della norma approvata nella seduta di ieri, per cui «non potrà esser sottoposto a referendum un disegno di legge per il quale le due Camere a maggioranza assoluta abbiano dichiarato il carattere d’urgenza» (norma della quale il Parlamento potrebbe essere indotto ad abusare), può essere opportuno concedere all’iniziativa popolare la possibilità di abrogare una legge entrata in vigore.

PERASSI, premesso che il problema dell’abrogazione di una legge è sostanzialmente diverso da quello dell’introduzione di una legge nuova, e presenta quindi una particolarità sua propria, osserva che il primo quesito da risolvere è se l’iniziativa popolare debba esser sottoposta all’esame del Parlamento o comporti invece l’immediata effettuazione del referendum e l’attribuzione di un valore decisivo al risultato di esso. Poiché ritiene inammissibile la seconda soluzione, considera quale potrà essere il comportamento del Parlamento di fronte alla proposta, osservando che, ove quest’ultimo respinga la richiesta di abrogazione, si ricadrà nell’ipotesi – già esclusa dalla Sottocommissione – della possibilità di sottoporre a referendum un disegno di legge respinto dal Parlamento.

Riterrebbe quindi opportuno, per coerenza al concetto politico che è alla base del problema, stabilire che il referendum è possibile nel caso che il Parlamento respinga un disegno di legge di abrogazione, fissando determinate cautele, al fine di non rendere inutile l’esperimento del referendum, ed ammettendo che il Parlamento possa in qualche modo raccomandare al popolo la soluzione del quesito che gli viene sottoposto.

TOSATO osserva che sarà compito naturale del Parlamento quello di rimediare agli inconvenienti che potrebbero sorgere dall’abrogazione di una legge in vigore, uniformandosi alla volontà del popolo, il quale, attraverso il suo voto, abbia chiaramente palesato il proprio avviso sulla questione.

ZUCCARINI, dal momento che il referendum costituisce un appello rivolto al popolo, non vede come possa ammettersi che questo appello sia rimesso alla decisione del Parlamento.

PRESIDENTE ritiene che non vi sia alcun dubbio sul principio dell’iniziativa popolare rivolta all’abrogazione di una legge. Fa presente però che in pratica non è possibile non subordinare la richiesta di abrogazione ad un organo diverso da quello che ha espresso tale desiderio.

NOBILE, tenendo presente l’articolo già approvato circa l’iniziativa popolare, osserva che sarà sempre possibile a 500 mila elettori ottenere l’abrogazione di una legge con la presentazione di un disegno di legge tendente appunto a tale scopo.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che si possa procedere direttamente (cioè senza l’intervento del Parlamento) al referendum, per ottenere l’abrogazione di una legge.

(È approvato).

FUSCHINI prospetta l’opportunità di indicare le leggi nei confronti delle quali – in considerazione della materia che regolano – non sarà possibile richiedere un referendum che tenda alla loro abrogazione.

EINAUDI è del parere che si debbano stabilire i medesimi limiti previsti per il referendum diretto ad ottenere la non applicazione di una legge approvata, ma non promulgata.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Einaudi sull’opportunità di non sottoporre a referendum abrogativo le leggi concernenti l’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e le leggi di approvazione del bilancio; ma rileva che tali materie saranno certamente comprese nell’elenco che l’onorevole Fuschini ha proposto di compilare per indicare con chiarezza le leggi nei riguardi delle quali – in considerazione della materia – sarà esclusa la possibilità di richiedere un referendum abrogativo.

FABBRI osserva all’onorevole Fuschini che non è praticamente possibile fare un elenco delle leggi che escludono il referendum diretto ad ottenerne l’abrogazione.

Dichiara poi essere, a suo avviso, inconcepibile che la proposta di abrogazione non debba passare per il tramite degli organi legislativi. Fa quindi la proposta concreta che la Sottocommissione riveda la deliberazione presa poco fa, la quale stabilisce che si può procedere al referendum direttamente per ottenere l’abrogazione di una legge.

PRESIDENTE pone ai voti questa proposta dell’onorevole Fabbri.

(Non è approvata).

Riconosce che la proposta dell’onorevole Fuschini ha serio fondamento; ed invita gli onorevoli Einaudi, Fuschini e Mortati a concretare una formula nella quale siano indicate le materie che comportano l’esclusione della richiesta di un referendum abrogativo.

NOBILE dà lettura della seguente proposta:

«Il referendum per l’iniziativa popolare può essere richiesto anche contro un decreto legislativo emanato dal Governo.

«Per l’esercizio di tale facoltà valgono le medesime norme stabilite negli articoli precedenti. Pertanto la promulgazione di un decreto legislativo non può avere luogo prima di due mesi dalla data della sua pubblicazione».

Spiega che tale proposta mira a dare al popolo il diritto di chiedere l’abrogazione anche di un decreto legislativo emanato dal Governo in seguito a delega ricevuta dal Parlamento. Aggiunge che non è concepibile che il Governo possa liberamente emanare tutti i provvedimenti che crede, indipendentemente dalla volontà popolare, quando si è ammesso che il popolo possa intervenire in ogni atto del Parlamento.

PRESIDENTE ritiene fondate le ragioni che hanno spinto l’onorevole Nobile a proporre l’emendamento, il cui concetto informatore potrebbe trovar posto in una disposizione già approvata nella passata seduta; si potrebbe cioè dire che «sarà indetto il referendum su una legge approvata dal Parlamento o su un decreto legislativo emanato dal Governo, quando ne facciano richiesta 500 mila elettori o sette assemblee regionali».

FABBRI è favorevole alla proposta Nobile, la quale permetterebbe di realizzare il vantaggio che nei casi di vera urgenza il Governo non richieda la delega per l’emanazione di un decreto legislativo (la cui entrata in vigore non potrebbe aver luogo prima di due mesi dalla data della sua pubblicazione), ma presenti un progetto di legge facendo dichiarare l’urgenza e sottraendo così il provvedimento alle more del referendum.

LUSSU riconosce che il referendum costituisce un correttivo a tanti abusi che si sono constatati nel passato, ma dichiara che, a suo avviso, è antidemocratico quanto ora si vuole stabilire, consentendo l’attuazione del referendum anche nei riguardi di atti fondamentali di Governo determinati da esigenze eccezionali.

PRESIDENTE ricorda a tale proposito gli articoli, approvati dalla Sottocommissione, concernenti la delega del potere legislativo al Governo.

PERASSI ritiene praticamente inconcepibile che una legislazione delegata – alla quale si ricorre in momenti particolarmente delicati – debba esser sottoposta alla procedura del referendum che, per quanto abbreviata, implica sempre una notevole perdita di tempo.

TOSATO riconosce che la proposta dell’onorevole Nobile risponde ad un’effettiva esigenza logica, ma non può accoglierla in pieno. Dichiara di essere favorevole all’estensione della facoltà di referendum abrogativo, già ammesso per le leggi, ai decreti legislativi esistenti, tanto più quando si pensi che la massima parte della nostra legislazione si è avuta nella forma del decreto legislativo e non in quella della legge. Sarebbe invece riluttante ad ammettere il referendum nei riguardi di decreti non ancora emanati, deferiti alla competenza del potere esecutivo per mezzo di una legge del Parlamento, non solo per le grandi difficoltà di ordine tecnico che sorgerebbero circa la promulgazione o meno del provvedimento, ma anche perché i decreti legislativi, creati per alleggerire la già cospicua attività del Parlamento, pur vertendo su materie molto complesse, sono di carattere prevalentemente tecnico, mentre i grandi principî di politica legislativa, particolarmente delicati per la politica generale del Governo, resteranno sempre di competenza del potere legislativo e costituiranno quindi l’oggetto di leggi e non di decreti legislativi.

Aggiunge a tale proposito che un emendamento dell’onorevole Mortati, accolto dal Comitato di redazione, stabilisce che ogni singola delegazione da parte del potere legislativo dovrà contenere i principî relativi a cui il Governo sarà tenuto ad uniformarsi nell’esercizio del potere legislativo delegato.

Fa presente infine che, se vi fosse opposizione a questa delegazione, per quanto riguarda sia la natura che il contenuto dei principî direttivi fissati nella legge di delegazione, sarà sempre possibile domandare il referendum contro la legge, approvata dal Parlamento, della quale si attenda la pubblicazione.

Conclude dichiarando di essere favorevole alla proposta fatta dall’onorevole Nobile, intesa in questo senso e con queste limitazioni.

LACONI, concordando in sostanza con quanto ha osservato l’onorevole Tosato, non vede la necessità di ricorrere al referendum abrogativo dei decreti legislativi, dal momento che si potrà raggiungere lo stesso scopo facendo abrogare la legge con la quale il Parlamento ha delegato al Governo l’attività legislativa.

PRESIDENTE rileva che non è affatto pacifico che, abrogando la legge di delega, cadano anche i provvedimenti emanati in forza di questa.

CODACCI PISANELLI non vede la necessità dell’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Nobile, dal momento che i decreti legislativi emanati prima della Costituzione che si sta elaborando cesseranno di aver vigore un determinato numero di mesi dopo la firma del trattato di pace, mentre i decreti legislativi, emanati dal Governo, in forza di una legge di delega, i quali sono, a suo avviso, da considerarsi alla stessa stregua di leggi vere e proprie, saranno, per tale motivo, soggetti al referendum, anche senza un’apposita dichiarazione nella Costituzione.

PRESIDENTE fa presente l’opportunità di decidere se – una volta ammessa la possibilità di un referendum nei confronti dei decreti legislativi – tale sistema si possa attuare soltanto per abrogare un decreto legislativo già in atto od anche per sospendere l’applicazione di un decreto legislativo emanato dal Governo.

Ricorda che la Sottocommissione ha ammesso il referendum abrogativo nei riguardi delle leggi; si tratterebbe ora di estenderlo anche ai decreti legislativi, tenendo presente che naturalmente saranno esclusi da tale sistema tanto le leggi quanto i decreti legislativi concernenti materie che il Comitato, composto dagli onorevoli Einaudi, Fuschini e Mortati, riterrà opportuno di elencare.

MORTATI, Relatore, si associa alle osservazioni dell’onorevole Codacci Pisanelli; ritiene cioè che l’estensione del referendum abrogativo ai decreti legislativi sia implicito nei principî accolti nella Costituzione.

PERASSI dichiara di essere favorevole alla proposta.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che il referendum abrogativo possa essere chiesto anche nei riguardi dei decreti legislativi.

(È approvato).

FABBRI domanda che si inetta ai voti la seconda parte del quesito, cioè se sia da ammettersi anche il referendum sospensivo nei riguardi dei decreti legislativi.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che il referendum sospensivo si possa applicare nei confronti dei decreti legislativi.

(Non è approvato).

Apre ora la discussione sull’articolo 6 del progetto Mortati, così formulato:

«Il diritto di partecipare al referendum compete a tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei Deputati.

«La proposta sottoposta a referendum s’intende approvata quando abbia raccolto la maggioranza dei voti espressi.

«Una legge determinerà le altre modalità di attuazione del referendum».

MORTATI, Relatore, circa il primo comma, fa presente di aver indicato la Camera dei Deputati, in quanto per il Senato potrebbero esser poste delle condizioni particolari, ed anche perché il diritto di eleggere i deputati è quello che abbraccia la maggioranza dei cittadini.

PRESIDENTE pone ai voti il primo comma dell’articolo.

(È approvato).

FABBRI a proposito del secondo comma, prospetta la necessità di non stabilire genericamente che la proposta s’intende approvata quando abbia raccolto la maggioranza dei voti espressi, ma di fissare, analogamente a quanto dispongono le legislazioni che ammettono il referendum, un quorum di elettori, allo scopo di dare al referendum stesso una rilevanza giuridica.

FUSCHINI si associa alle considerazioni dell’onorevole Fabbri, e propone di fissare il quorum in due quinti degli elettori stessi.

NOBILE concorda anch’egli con l’onorevole Fabbri.

GRIECO non è favorevole alla proposta Fabbri, perché, essendo contrario al principio di fissare un quorum nelle elezioni, è anche contrario al principio di stabilire un quorum per la validità del referendum.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che sia da stabilire un quorum di votanti per la validità del referendum.

(È approvato).

Mette quindi in votazione la misura del quorum nei due quinti degli aventi diritto.

(È approvato).

PERASSI prospetta l’opportunità di dire espressamente che non si tiene conto delle schede nulle e di quelle bianche, giacché tra le une e le altre vi è una differenza. Aggiunge che tale sua considerazione ha valore per stabilire la maggioranza.

FABBRI ritiene che ci si possa limitare a dire «voti validi espressi».

PRESIDENTE formulerebbe il secondo comma nel modo seguente:

«La proposta sottoposta a referendum si intende approvata quando abbia raccolto la maggioranza dei voti validi espressi, purché abbiano partecipato alla votazione i due quinti degli aventi diritto».

Lo pone ai voti.

(È approvato).

Pone ai voti il terzo comma.

(È approvato).

PRESIDENTE avverte che il primo punto posto all’ordine del giorno per la seduta di domani della Commissione plenaria riguarda la formazione della seconda Camera.

Ricorda che in proposito la Sottocommissione aveva preso delle deliberazioni che però in un secondo tempo si era deciso di riesaminare e di discutere nuovamente allo scopo di trovare una soluzione migliore. A questo fine era stato dato incarico ad un piccolo Comitato di redazione di studiare l’argomento e di presentare proposte concrete alla Sottocommissione. Se non che, il termine improrogabile, posto alla presentazione del progetto definitivo della Costituzione, ostacola questo piano di riesame. Ritiene quindi che la Commissione plenaria possa a buon diritto prendere come base di discussione le decisioni che a suo tempo furono prese dalla Sottocommissione circa la formazione della seconda Camera, a meno che la Sottocommissione stessa non sia di opinione diversa e non preferisca domandare al Presidente della Commissione plenaria di cancellare questo argomento dall’ordine del giorno di domani, salvo a riportarlo quando sarà stato nuovamente deciso dalla Sottocommissione circa il modo di formazione della seconda Camera.

PERASSI propone formalmente che il Presidente sia incaricato di domandare la cancellazione dall’ordine del giorno di domani dell’argomento della formazione della seconda Camera, il quale – secondo una dichiarazione fatta in una precedente seduta dal Presidente della Sottocommissione – deve rimanere riservato, in attesa di un riesame, in sede di Sottocommissione. Comunica a tale proposito che il Sottocomitato, istituito al fine di agevolare questo riesame e di presentare delle proposte concrete, si è già riunito e, riconosciuto con unanime parere l’opportunità di abbandonare la formula già adottata, ha manifestato l’opinione prevalente di proporre che i due terzi della seconda Camera siano eletti da delegati, nominati a suffragio universale, con un sistema analogo a quello recentemente adottato e sperimentato in Francia, lasciando alla legge elettorale di regolare i dettagli della materia.

PRESIDENTE dichiara di non essere affatto contrario all’accoglimento della proposta dell’onorevole Perassi, la quale porta però come conseguenza l’impegno da parte di tutti i Commissari di procedere al più presto al riesame dell’argomento, per poter ultimare i lavori della Sottocommissione nel termine stabilito.

Pone in votazione la proposta dell’onorevole Perassi di chiedere, dall’ordine del giorno di domani della Commissione, lo stralcio dell’argomento riguardante la formazione della seconda Camera.

(È approvata).

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Ambrosini, Bozzi, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Assenti: Bocconi, Bordon, Calamandrei, Cannizzo, Cappi, Di Giovanni, Lami Starnuti, Mannironi, Porzio, Rossi Paolo.

MARTEDÌ 21 GENNAIO 1947 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

20.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 21 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

 

INDICE

Suprema Corte costituzionale (Seguito della discussione)

Presidente – Leone Giovanni, Relatore – Cappi – Bulloni – Bozzi – Farini – Laconi – Ambrosini.

La seduta comincia alle 17.15.

Seguito della discussione sulla Suprema Corte costituzionale.

PRESIDENTE ricorda che nella precedente riunione, su richiesta dell’onorevole Laconi, la Sezione ha deliberato in merito alla composizione della Suprema Corte costituzionale nel senso che tutti i componenti siano eletti dall’Assemblea Nazionale, che siano per metà magistrati, per un quarto avvocati e professori universitari e per un quarto elettori politici, aventi almeno quarant’anni.

Senza entrare nei dettagli, proporrebbe di prendere in esame gli articoli 3 del progetto Leone e 34 del progetto Calamandrei per giudicare sulla opportunità di votare come principio qualche norma procedurale relativa alla organizzazione della Suprema Corte.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene che si dovrebbe stabilire il modo di elezione del Presidente, vale a dire se debba essere eletto nel seno della Corte, oppure in sede di elezione dei giudici.

CAPPI, per quanto riguarda il Presidente, proporrebbe che la Corte lo eleggesse nel suo seno.

BULLONI preferirebbe che il Presidente fosse scelto dal Capo dello Stato.

LEONE GIOVANNI, Relatore, crede che la nomina del Presidente da parte del Presidente della Repubblica non si concilierebbe col sistema di elezione della Corte medesima. Come ha già detto, le ipotesi possono essere solo due: o è eletto dall’Assemblea Nazionale, oppure dalla Corte nel suo seno.

Personalmente sarebbe per la seconda soluzione.

BOZZI è anch’egli del parere che l’elezione avvenga nel seno della Corte, perché altrimenti, in caso di nomina da parte dell’Assemblea Nazionale, si potrebbe verificare l’inconveniente che venisse designato un magistrato di grado inferiore a quello di altri membri della Suprema Corte, per i quali, se non erra, sarà richiesto che abbiano almeno il grado di consigliere di cassazione. Per il prestigio ed il funzionamento dell’organo, sarebbe consigliabile che non si verificasse un simile inconveniente.

FARINI domanda perché la nomina del Presidente non possa essere demandata al Parlamento che certamente designerebbe l’elemento più rappresentativo. Se si è demandata al Parlamento la nomina dei membri di questo altissimo consesso, non vede per quale ragione non si debba affidare allo stesso organo anche l’elezione del Presidente, quasi che non si avesse fiducia nel Parlamento per questa nomina.

LEONE GIOVANNI, Relatore, per quanto nel suo articolo 3 avesse proposto che anche il Presidente della Suprema Corte fosse nominato dal Parlamento, essendo la questione di carattere secondario, crede che possa venirsi facilmente ad un accordo.

Considera, invece, più importante la questione che i magistrati e professori universitari eletti membri dellà Corte cessino definitivamente dalle funzioni e dall’impiego che avevano. Poiché le nomine sono a tempo, a suo avviso, è necessario mettere i giudici in condizioni di assoluta indipendenza morale ed economica, anche per il tempo successivo alla loro cessazione dall’incarico, in modo che non debbano preoccuparsi del futuro quando riprenderanno le loro precedenti mansioni. In caso contrario le preoccupazioni del magistrato per la carriera o del professore universitario per l’assegnazione di una sede importante potrebbero incidere sulla indipendenza di questo altissimo organo. Conserverebbe, pertanto, a vita, a tutti i membri della Suprema Corte lo stipendio e le indennità di cui godono durante l’esercizio delle loro funzioni.

LACONI condivide il punto di vista dell’onorevole Leone. In sostanza, trattandosi della Magistratura più alta del Paese, considera opportuno rivestirla di un prestigio e di una autorità indiscutibile.

LEONE GIOVANNI, Relatore, riterrebbe opportuno abbinare questo problema a quello della durata in carica dei membri della Corte, che, a suo giudizio, dovrebbe essere di dieci anni, e comunque non inferiore a sette.

Oltre il fatto che si tratta di un limitatissimo numero di persone, bisognerebbe tenere presente che, poiché normalmente i componenti della Corte, se magistrati o professori universitari, avranno all’incirca 50 anni, quando cesseranno dalle loro funzioni avranno dai 57 ai 60 anni. Niente di eccezionale, quindi, se si assicura a vita l’indipendenza economica di funzionari che, dopo una esistenza di lavoro, siano stati prescelti per così elevate funzioni.

Se i membri della Corte, durante l’esplicazione delle loro funzioni, dovessero preoccuparsi della situazione in cui si troveranno quando cesseranno dalla carica, potrebbero essere soggetti a inframmettenze di carattere personale o politico, tali da far temere della loro indipendenza. Secondo quanto invece è previsto nel suo progetto, si creerebbe nel giudice della Corte costituzionale anche l’indifferenza ad essere rieletto, costituendosi così un altro motivo di indipendenza.

CAPPI si rende conto degli inconvenienti cui ha accennato l’onorevole Leone, ma non li ritiene di tale importanza da giustificare un’eccezione che è nuova nel diritto italiano ed anche in quello di altri Paesi. Oltre la soddisfazione morale di essere nominati a così alta carica, gli sembra la pensione a vita dopo 7 anni, costituisca una condizione di privilegio eccezionale. Non vede quali particolari preoccupazioni per l’avvenire possano avere i magistrati e i professori universitari, tenendo conto che conserveranno l’anzianità di servizio e godranno di una indennità superiore per la carica ricoperta.

BULLONI crede che, nominandosi a vita il Presidente, si darebbe all’organo una maggiore indipendenza.

BOZZI non lo ritiene necessario, dato che il Presidente non avrà funzioni proprie, ma sarà sempre il collegio a decidere.

PRESIDENTE è d’accordo con l’onorevole Bozzi.

BOZZI richiama poi l’attenzione sul fatto che la prima Sezione ha votato, sopra sua proposta, un principio per cui i funzionari dello Stato, che abbiano mandato parlamentare, non possono essere promossi durante l’esercizio del mandato, se non per sola anzianità. Questo principio potrebbe naturalmente estendersi anche ai magistrati della Suprema Corte. Dichiara poi di non condividere le osservazioni dell’onorevole Leone, perché, trattandosi di altissimi funzionari, ben difficilmente avranno preoccupazioni di carriera in quanto già pervenuti al massimo delle loro aspirazioni.

PRESIDENTE è convinto anch’egli che, trattandosi di altissimi funzionari e di preclare persone, non si preoccuperanno del loro avvenire.

AMBROSINI è contrario alla proposta dell’onorevole Leone, perché ritiene che molti professori universitari non accetterebbero questo altissimo ufficio se fossero obbligati a troncare il loro ministero. Considera la funzione del professore universitario come una missione, a cui difficilmente si rinunzia, fino a quando si hanno le forze necessarie per svolgerla. Può citare l’esempio di tanti colleghi, suoi antichi maestri, i quali, pur avendo gli onori e le cariche più alte, nutrivano sempre l’aspirazione di tornare alla scuola. Insiste sul suo punto di vista ed invita l’onorevole Leone a tenerne conto addivenendo alla modifica dell’avanzata proposta.

LEONE GIOVANNI, Relatore, si dichiara convinto dalle osservazioni dell’onorevole Ambrosini per quanto concerne i professori universitari, ma fa rilevare in quale situazione si troverebbe un magistrato che, dopo avere giudicato per sette o dieci anni anche di atti del Capo dello Stato e di Ministri, al momento della cessazione dell’incarico dovesse tornare ad esercitare le sue vecchie funzioni che sono, senza dubbio, inferiori.

PRESIDENTE fa notare all’onorevole Leone che, come è previsto nel suo progetto, i membri della Suprema Corte sono rieleggibili. Ora, se il giudice sarà stato ottimo, sarà rieletto; se sarà stato scadente, nulla di male che torni alle sue funzioni di consigliere di Corte di cassazione. Per quanto concerne i professori universitari si dichiara d’accordo con l’onorevole Ambrosini.

LACONI proporrebbe la seguente formula:

«Gli eletti alla Corte costituzionale, durante il periodo in cui esercitano questa loro funzione, non possono rivestire alcun incarico né esercitare alcuna professione. La legge provvederà ad assicurare la loro completa indipendenza economica».

AMBROSINI si dichiara non favorevole all’accoglimento integrale della proposta dell’onorevole Laconi, e si sofferma sulla posizione dei professori universitari, ribadendo la considerazione che non esiste incompatibilità tra l’insegnamento e le loro funzioni presso la Corte costituzionale.

FARINI sarebbe d’avviso di porre una eccezione per i professori, circa la cessazione delle funzioni.

PRESIDENTE crede che possa venirsi ad una conclusione, in quanto che per i magistrati si provvederà a collocarli fuori ruolo; per i professori universitari può accedersi all’opinione dell’onorevole Ambrosini e per gli avvocati è fuori dubbio che non possono esercitare la professione. Mette intanto ai voti il principio che «La Corte elegge nel suo seno il Presidente».

(È approvato).

Ritiene poi che dovrebbe prendersi in esame la seguente formula, che ha desunto dall’articolo 3 dell’onorevole Leone:

«Per i giudici della Corte di giustizia costituzionale non vigono i limiti di età».

AMBROSINI manifesta qualche dubbio sull’opportunità di una tale norma che infrangerebbe il principio del limite di età, fondamentale nella pubblica Amministrazione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, osserva che per espletare un’altissima funzione che sta all’apice della organizzazione dello Stato, non bisogna tener conto del limite di età. Non crede, infatti, che per uomini di grande capacità amministrativa e giuridica e di larga esperienza, dovrebbe aver peso la questione dell’età.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che: «Per i giudici della Corte costituzionale non vigono limiti di età».

(È approvato).

Pone quindi ai voti la seguente formula:

«Il Presidente ed i giudici durano in carica sette anni e sono rieleggibili».

(È approvata).

Circa l’ultima parte dell’articolo 3 dell’onorevole Leone, relativa alla dispensa in caso di malattia che comprometta l’esercizio della funzione, crede che la Sezione possa considerare superflua la norma, in quanto vi provvederà la legge.

(Così rimane stabilito).

Osserva che occorre, infine, decidere se tutti i nominati a far parte della Suprema Corte cessino dalle funzioni e dall’impiego che avevano.

AMBROSINI crede che si potrebbe affermare il principio che i membri della Corte costituzionale non possono esplicare alcuna altra professione, ad eccezione dell’insegnamento universitario.

LACONI non farebbe una esplicita riserva per i soli professori universitari. Piuttosto metterebbe il divieto per i magistrati e gli avvocati.

PRESIDENTE concorda. Mette ai voti la seguente formula:

«I giudici, magistrati e avvocati, non potranno esercitare le loro funzioni durante l’esercizio del loro ufficio presso la Corte di giustizia. Le altre incompatibilità saranno previste dalla legge».

(È approvata).

La seduta termina alle 18.10.

Erano presenti: Ambrosini, Bozzi, Bulloni, Cappi, Conti, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Ravagnan e Uberti.

Assenti: Bocconi, Calamandrei, Castiglia, Di Giovanni, Mannironi, Porzio e Targetti.

 

LUNEDI 20 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

80.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 20 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Targetti – Nobile – Piccioni – Fabbri – Laconi – Perassi – Cappi – Mortati, Relatore – Lussu – Tosato – Einaudi – Grieco – Uberti – Bulloni – Fuschini.

La seduta comincia alle 18.

Seguito della discussione sulla organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE comunica che la formula riassuntiva proposta dall’onorevole Mortati, dei principî approvati, con riserva di ulteriore esame, in materia di referendum nella riunione precedente, è la seguente:

«Dovrà essere indetto il referendum su una legge approvata dal Parlamento, quando ne facciano richiesta 500.000 elettori o 9 Assemblee regionali, nel termine di due mesi dalla sua pubblicazione provvisoria».

«Analoga facoltà compete, alle stesse condizioni, nel caso di rigetto di una legge.

«Il referendum non potrà essere indetto, se il disegno di legge sia stato approvato con la maggioranza dei tre quinti dei componenti delle due Camere».

TARGETTI è del parere che occorra mettere in debito risalto la necessità che siano pubblicati i disegni di legge non approvati dal Parlamento, appunto perché su di essi può essere richiesto il referendum secondo le decisioni approvate nell’ultima riunione della Sottocommissione.

Osserva poi che, entro il termine di due mesi dalla pubblicazione di un disegno di legge, non è facile raccogliere le 500.000 firme di elettori necessarie per indire il referendum e che occorre, quindi, prolungarlo, se effettivamente si vuol dare all’istituto del referendum la possibilità di pratica attuazione.

NOBILE non è d’accordo con l’onorevole Targetti, perché è convinto che un partito bene organizzato possa raccogliere in un tempo assai più breve di due mesi le 500.000 firme di elettori richieste per poter indire il referendum.

PICCIONI non ritiene necessaria la formalità di una speciale comunicazione al pubblico nel caso di un disegno di legge respinto dal Parlamento. Difatti, coloro che nelle due Camere erano favorevoli all’approvazione hanno sempre il modo di promuovere su di esso il referendum. Gli sembra eccessivo che un’opposizione al rigetto di un disegno di legge possa sorgere al di fuori del Parlamento. Piuttosto sarebbe necessario stabilire il momento in cui dovrà cominciare a decorrere il termine di due mesi richiesto per poter promuovere il referendum; e crede possa essere quello in cui il rigetto è stato deliberato dal Parlamento.

FABBRI osserva che per il rigetto di un disegno di legge basta il voto contrario di una delle due Camere. Ciò considerato e tenendo anche presente il fatto che le notizie relative all’attività del Parlamento possono essere date dalla stampa in modo poco preciso, ritiene che debba essere prescritto un sistema di pubblicità, tanto per il caso di rigetto, quanto per quello di approvazione dei disegni di legge. Soprattutto della mancata approvazione di un disegno di legge si potrebbe dare notizia nella Gazzetta Ufficiale, pubblicando di questo un breve sunto.

Non è del parere, poi, che il termine di due mesi richiesto per potere indire il referendum debba essere prolungato, perché con ciò sarebbe ulteriormente prorogato il termine per la promulgazione delle leggi approvate dal Parlamento, ciò che costituirebbe una remora troppo grave al funzionamento del potere legislativo.

LACONI ricorda che, nella riunione precedente, la Sottocommissione decise di approvare con riserva di ulteriore esame i principî che hanno dato luogo alla formulazione proposta dall’onorevole Mortati, di cui il Presidente ha dato lettura. A ciò si addivenne perché la Sottocommissione, all’ultimo momento, si accorse che, per dare possibilità di ricorrere all’istituto del referendum, si dovrebbe lasciare in sospeso per due mesi ogni legge approvata dal Parlamento, ciò che costituirebbe un troppo grave ostacolo alla attività legislativa. Da questa considerazione, a suo avviso, dovrebbe muovere il riesame delle deliberazioni prese nella riunione precedente.

PERASSI fa presente che nella riunione antecedente fu prospettata l’opportunità di escludere il procedimento del referendum per i disegni di legge aventi carattere di urgenza. Si domanda se non sia il caso di risolvere nella riunione odierna questo problema, specialmente in considerazione delle osservazioni ora fatte dall’onorevole Laconi. A tal fine ricorda che era stato proposto di non sottoporre al referendum i disegni di legge il cui carattere di urgenza fosse stato approvato dalle due Camere con una data maggioranza.

CAPPI crede che sarebbe grave ammettere il principio secondo cui un disegno di legge non dovrebbe essere sottoposto a referendum perché dichiarato urgente, sia pure a maggioranza qualificata. Il criterio dell’urgenza, infatti, è sempre abbastanza elastico: potrebbe così verificarsi il caso di un disegno di legge dichiarato urgente dalla maggioranza parlamentare soltanto per evitare che su di esso fosse indetto il referendum. D’altro lato, può darsi il caso di disegni di legge effettivamente urgenti, indipendentemente da una dichiarazione analoga del Parlamento. Ciò considerato, suggerisce di ridurre a un mese il termine per poter promuovere il referendum: in tal modo sarebbe notevolmente abbreviato il periodo della vacatio legis, a cui ha fatto riferimento l’onorevole Laconi.

MORTATI, Relatore, ritiene che si potrebbe modificare l’ultimo comma della formulazione in esame nel senso di escludere che siano sottoposti a referendum soltanto i disegni di legge dichiarati urgenti da una maggioranza qualificata dei componenti le due Camere. Verrebbe a cadere così la disposizione secondo cui il referendum non potrebbe essere indetto per quei disegni di legge che fossero stati approvati con la maggioranza dei tre quinti dei componenti di ciascuna Camera. Il referendum si basa sul presupposto che il sentimento popolare possa divergere da quello del Parlamento; e tale contrasto può sussistere anche se un disegno di legge sia approvato da una maggioranza di tre quinti dei componenti le due Camere, maggioranza che può essere sorta in seguito a compromessi e ad espedienti parlamentari. Precludere la possibilità di un referendum in tal caso sarebbe veramente fuori luogo, perché, proprio in simile situazione di effettivo contrasto tra volontà popolare e Parlamento, occorrerebbe ricorrere all’appello al popolo. Sarebbe bene pertanto lasciare che, ad escludere tale appello, fosse il Parlamento ad assumere, di fronte al Paese, la responsabilità di dichiarare urgente un dato disegno di legge. Sarebbe in realtà un espediente poco decoroso per il Parlamento quello di dichiarare urgente un disegno di legge quando in realtà esso non fosse tale, ed è da ritenere che le Camere non vi ricorrerebbero molto facilmente.

LUSSU osserva che da parte di taluno si è manifestata qualche perplessità sulle decisioni approvate nell’ultima riunione in materia di referendum. Egli stesso sente la necessità di rivedere il proprio atteggiamento.

Innanzi tutto, non è favorevole a che possa essere indetto immediatamente il referendum su un disegno di legge respinto dal Parlamento, perché con ciò potrebbe originarsi un contrasto tra il popolo e i suoi rappresentanti. Non può neanche ammettere che una legge approvata dal Parlamento possa decadere per effetto della volontà contraria manifestata dal popolo mediante referendum. Inoltre è d’avviso che la volontà espressa da coloro che abbiano preso parte a un referendum non dovrebbe aver alcun peso nel caso di un largo numero di astenuti dal referendum stesso. Il referendum deve costituire un mezzo di espressione di volontà democratica, da usarsi non tanto nell’ambito del territorio nazionale, quanto in quello più ristretto delle Regioni e dei Comuni. Sarebbe meglio quindi non ammettere il referendum nazionale. Ricorda che nella recente Costituzione francese l’uso del referendum è stato limitato alle materie di carattere costituzionale.

TOSATO fa presente che l’articolo 5 del progetto proposto dall’onorevole Mortati sul referendum stabilisce che non possono essere oggetto di referendum le leggi finanziarie, quelle di autorizzazione alla stipulazione dei trattati internazionali e le leggi di ratifica. Con quell’articolo, in altri termini, si dispone che non possano essere sottoposti a referendum disegni di legge aventi carattere di urgenza. Si domanda se non sia il caso di allargare la disposizione nel senso di prevedere altri disegni di legge che, in riferimento a determinate materie, possano avere egualmente un carattere di urgenza. Con simile accorgimento si potrebbe evitare la proclamazione dell’urgenza da parte delle Camere, cosa che porterebbe di fatto all’abolizione del referendum, in quanto esso praticamente potrebbe aver luogo soltanto in caso di iniziativa popolare. Dichiara anche di essere contrario a che siano sottoposti a referendum i disegni di legge respinti dal Parlamento.

LACONI ritiene che dovrebbe essere ammesso il referendum soltanto in caso di iniziativa popolare per nuove leggi e per quelle respinte dal Parlamento e in caso di richiesta da parte di un determinato numero di deputati. Con ciò non si renderebbe più necessario il termine di due mesi per poter promuovere il referendum, che rende troppo lungo il processo formativo delle leggi.

PRESIDENTE osserva che potrebbe essere adottato il principio di promulgare subito le leggi approvate dal Parlamento e di sospendere l’efficacia soltanto di quelle su cui sia stato richiesto il referendum, e ciò perché sicuramente il referendum non sarà richiesto che per un numero assai ristretto di disegni di legge approvati dalle due Camere.

CAPPI ritiene che occorra stabilire un termine per promuovere il referendum, ma che si debba anche evitare che l’efficacia di una legge possa rimanere in sospeso per un troppo lungo tempo. Questi due scopi potrebbero essere raggiunti riducendo a 45 giorni o anche ad un mese il termine per promuovere il referendum e contemporaneamente stabilendo che la richiesta del referendum debba essere fatta soltanto da un dato numero di Assemblee regionali o di Consigli comunali rappresentanti un determinato numero di elettori. Tale sistema presenterebbe due vantaggi: di rendere più agevole il ricorso al referendum, perché eliminerebbe la difficoltà della raccolta delle firme di 500.000 elettori, e di evitare ogni contestazione sull’autenticità delle firme anzidette.

EINAUDI crede che il modo più semplice per risolvere la questione relativa all’ammissibilità o alla non ammissibilità del referendum per i disegni di legge respinti dal Parlamento consista nello stabilire che per essi possa aversi soltanto l’iniziativa popolare.

Quanto ai disegni di legge approvati dal Parlamento, occorre dire francamente se per essi si voglia o no ammettere il referendum. Se si ha l’effettiva volontà di farvi ricorso, bisogna convincersi che esso presenta qualche difficoltà nella sua attuazione. D’altra parte, stabilendo molteplici e complesse condizioni perché un referendum possa essere indetto, se ne renderebbe praticamente impossibile l’attuazione.

Non è favorevole poi alla proposta dell’onorevole Cappi, perché con il referendum si vuole dare il modo alla volontà popolare di manifestarsi direttamente, il che non avverrebbe invece, ove la richiesta dovesse essere fatta dai Consigli comunali.

Egualmente non crede che possa essere presa in considerazione la proposta del Presidente, che favorirebbe il sorgere di gravi questioni giuridiche. Ammettendo, infatti, la promulgazione immediata delle leggi approvate dal Parlamento e la sospensione dell’efficacia giuridica soltanto per quelle da sottoporre a referendum, si avrebbero praticamente vari tipi di legge: leggi che esercitano subito la loro efficacia perché per esse non si richiede il referendum; leggi la cui efficacia viene sospesa perché si richiede siano sottoposte a referendum; queste ultime poi potrebbero essere respinte o approvate dalla volontà popolare. Si può comprendere facilmente come tutti questi casi possano dare luogo a un’infinità di questioni giuridiche assai ardue a risolversi.

Ciò considerato, ritiene che possa essere approvato il termine di due mesi fissato nella riunione precedente per poter indire il referendum. All’inconveniente, che in ultima analisi non è troppo grave, della sospensione per un periodo di due mesi dell’efficacia giuridica di una legge approvata dal Parlamento, potrà porsi riparo ammettendo la possibilità della dichiarazione di urgenza da parte del Parlamento stesso.

FABBRI ritiene che con il referendum si debba dare il modo alla volontà popolare di esprimersi direttamente, non già quindi attraverso la volontà delle Assemblee regionali o dei Consigli comunali. Ciò anche in considerazione del fatto che per la rappresentanza alla seconda Camera è stato deciso di ricorrere al sistema della elezione di secondo grado. L’uso quindi della rappresentanza di secondo grado sarà largamente ammesso nel nuovo Stato italiano. La proposta, poi, di accordare alle Assemblee regionali o ai Consigli comunali la facoltà di richiedere il referendum pone la questione se tali organismi siano qualificati a farlo più del Parlamento, e la risposta a tale domanda non può essere dubbia.

Ritiene infine che il termine di due mesi debba essere ridotto, e che soprattutto debba essere notevolmente diminuito il numero di 500.000 firme richiesto per poter promuovere il referendum. Si tratta, in verità, di un numero enorme. Per convincersene basti pensare che in Svizzera il referendum può indirsi dietro richiesta soltanto di 30.000 elettori. Ora, facendo il debito rapporto fra la popolazione dell’Italia e quella della Svizzera, e tenendo conto del diverso grado di educazione democratica esistente fra i due Paesi, si deve ammettere che in Italia per poter promuovere il referendum possano bastare le firme di 300.000 elettori. Con ciò si sarebbe indubbiamente assai indulgenti verso coloro i quali desiderano che il referendum sia richiesto da un largo numero di elettori, perché, a rigor di termini, facendo il debito rapporto fra le diverse condizioni culturali e di educazione democratica esistenti in Italia e nella Svizzera, bisognerebbe moltiplicare il numero di 30.000 al massimo per cinque o per sei, ammettendo che siano sufficienti in Italia 180.000 elettori.

GRIECO ritiene che potrebbe essere accolta la proposta dell’onorevole Laconi, secondo la quale dovrebbe essere ammesso ii referendum di iniziativa popolare per i disegni di legge respinti dal Parlamento. Del progetto presentato dall’onorevole Mortati potrebbe essere approvata soltanto la disposizione che si riferisce all’iniziativa popolare per un referendum con cui si chieda l’abrogazione di una legge già in vigore.

LUSSU ritiene opportuno, per le considerazioni già da lui esposte, proporre la seguente formulazione di principî:

«1°) Il referendum è possibile solo per i Comuni e le Regioni.

«2°) L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto redatto in articoli da parte di almeno 100.000 elettori.

«Tale progetto deve essere subito presentato al Parlamento e per divenire legge segue la procedura normale.

MORTATI, Relatore, desidera fare alcune dichiarazioni, visto che l’onorevole Lussu, con la sua proposta, ha messo nuovamente in discussione l’istituto del referendum nel suo complesso.

Fa presente che nella riunione odierna è stato proposto di limitare il referendum al solo caso dell’iniziativa popolare, tanto per l’emanazione di una legge nuova, quanto per l’abrogazione di una legge già in vigore. Su tale soluzione occorre ben riflettere. L’onorevole Lussu, nel presentare la sua proposta, che in parte risponde alla soluzione anzidetta, ha invocato l’esempio della Francia. Ora la Francia è il Paese tipico del regime parlamentare puro, o assembleare; anche la sua recente Costituzione è improntata a tale sistema; e il quesito che occorre proporsi è se convenga oppur no instaurare in Italia un regime di puro parlamentarismo, senza, cioè, che sia accordata alcuna possibilità al popolo di invalidare la volontà del Parlamento. Per suo conto ritiene che la possibilità di un veto popolare non solo possa essere utile ai fini dell’interesse generale, ma possa anche servire benissimo a rafforzare l’autorità del Parlamento. Il Parlamento può anche errare e pertanto non riflettere esattamente la volontà popolare. Può, quindi, essere opportuno ammettere il referendum come forma di veto popolare, tanto più che non è stato accolto il principio del referendum su iniziativa del Governo. Ora, o si ammette che la sovranità risiede nella volontà del popolo, e allora si dovrà anche ammettere il veto popolare mediante referendum; o non si ammette quel principio, e in tal caso si può giustificare la richiesta di coloro che non vogliono il referendum come forma di voto popolare. Ammettere un simile correttivo dell’azione spiegata dal Parlamento da parte dell’opinione pubblica potrà essere utile al Parlamento stesso. Il Parlamento, infatti, sapendo in precedenza che un dato disegno di legge da esso approvato potrà non incontrare il favore dell’opinione pubblica, sarà più cauto e scrupoloso nelle deliberazioni che dovrà adottare. Ciò verrà, in ultima analisi, a limitare i casi di applicazione del referendum.

Si tenga anche presente che, mediante il referendum, si rende possibile fare interessare maggiormente il popolo a questioni che possono essere di vitale importanza per il Paese. Con il referendum, quindi, si potrà conseguire una maggiore educazione politica delle masse popolari, cosa da tutti auspicata, e lo sviluppo di una sana democrazia in Italia.

Non è favorevole alla proposta dell’onorevole Cappi. Non sarebbe opportuno, infatti, indire il referendum su richiesta dei Consigli comunali, perché questi sono organi amministrativi, non politici, e le loro funzioni verrebbero a snaturarsi, se essi assumessero la facoltà di richiedere il referendum; il che implica sempre una valutazione di carattere politico che non può desumersi dal mandato loro conferito dagli elettori.

Non condivide l’avviso di coloro che hanno osservato che il termine di due mesi per indire il referendum è troppo lungo. In ogni modo, se si vuole evitare che l’efficacia di ogni legge debba restare in sospeso per tutto questo termine, si potrebbe accogliere una proposta formulata dall’onorevole Fuschini, secondo la quale basterebbe il preannuncio di richiesta di referendum da parte di un certo numero di elettori, entro un termine di 15 giorni dalla pubblicazione provvisoria della legge, per sospendere l’efficacia della legge stessa per il periodo di due mesi. Se tale preannuncio non vi fosse, allo scadere del termine dei 15 giorni la legge avrebbe immediatamente corso.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Lussu, come la più radicale, in quanto mira ad ammettere l’istituto del referendum soltanto nell’ambito dei Comuni e delle Regioni.

UBERTI dichiara di votare contro, perché il referendum, anche se debba essere usato con parsimonia, costituisce un mezzo assai utile nei casi in cui sia necessario avere una manifestazione diretta della volontà popolare.

(Non è approvata).

PRESIDENTE pone ora in discussione la proposta dell’onorevole Laconi di escludere il referendum per i disegni di legge respinti dal Parlamento, tanto più che con il diritto di iniziativa popolare tali disegni di legge possono essere riproposti.

NOBILE osserva che, con l’eventuale accoglimento della proposta dell’onorevole Laconi, può avvenire che un disegno di legge respinto dal Parlamento sia riproposto con facilità maggiore di quella che vale per la richiesta del referendum. Difatti, per richiedere il referendum occorrono, secondo il progetto dell’onorevole Mortati, 500.000 firme di elettori, mentre si può dar luogo alla iniziativa popolare con soltanto 100.000 firme.

LACONI osserva, innanzitutto, che per promuovere l’iniziativa popolare non è detto che debba essere richiesto il numero di firme proposto dall’onorevole Mortati: la Sottocommissione, infatti, potrebbe stabilire che l’iniziativa popolare sia promossa da un numero di elettori superiore ai 100.000. In secondo luogo, con l’iniziativa popolare si ripropone alle Camere un disegno di legge, ma ciò non implica che le Camere debbano approvarlo.

PRESIDENTE fa presente che la proposta dell’onorevole Laconi è sostanzialmente diversa da quella dell’onorevole Mortati, relativa al caso di iniziativa popolare. Difatti, secondo il progetto Mortati, l’iniziativa popolare viene esercitata mediante la presentazione di un progetto, redatto in articoli, da parte di almeno 100.000 elettori. Ove tale progetto presentato al Parlamento non venga, nel termine di sei mesi dalla presentazione, preso in considerazione, o sia rigettato, o sottoposto ad emendamenti, si deve procedere a referendum su di esso. L’onorevole Laconi invece ha sostanzialmente proposto che un disegno di legge respinto dal Parlamento possa essere ripresentato al Parlamento stesso per iniziativa popolare, ma che su di esso non possa aver più luogo il referendum nel caso in cui non sia stato, in seguito alla riproposizione, approvato dalle Camere.

PERASSI rileva che l’osservazione dell’onorevole Nobile proviene forse da un equivoco. Il progetto dell’onorevole Mortati prevede, relativamente al caso dell’iniziativa popolare, due numeri di elettori: il numero di centomila elettori è richiesto soltanto per l’iniziativa della presentazione di un progetto al Parlamento. Ove le Camere respingano il progetto presentato per iniziativa popolare, avrà luogo su di esso il referendum soltanto se, inizialmente o successivamente, sia stato richiesto da 500.000 elettori.

PRESIDENTE avverte che la proposta dell’onorevole Laconi mirava unicamente ad escludere il referendum per i disegni di legge respinti dal Parlamento.

Mette in votazione questa proposta.

(È approvata).

Avverte che ora è in discussione la proposta dell’onorevole Grieco, per la quale le leggi approvate dal Parlamento dovrebbero senz’altro essere promulgate e la richiesta di referendum su di esse potrebbe essere fatta in qualsiasi momento da parte di un dato numero di elettori. In base a tale proposta, non si verrebbe a stabilire alcun termine per poter promuovere il referendum, ma il referendum stesso potrebbe essere richiesto in qualsiasi momento, quando cioè le leggi approvate dal Parlamento sarebbero già entrate in esecuzione. Inoltre le leggi per le quali fosse richiesto il referendum continuerebbero ad avere la loro efficacia sino all’esito della consultazione popolare; in altri termini, la richiesta di referendum non ne sospenderebbe l’applicazione.

CAPPI dichiara di essere contrario alla proposta dell’onorevole Grieco, perché con essa si potrebbe giungere all’abrogazione di una legge già entrata in esecuzione, ciò che potrebbe dar luogo a gravi inconvenienti, in quanto ogni legge che entri in applicazione crea sempre uno stato giuridico. È assai preferibile, in vista dell’eventualità di una richiesta di referendum, mantenere in sospeso l’efficacia di una legge approvata dal Parlamento per un dato periodo di tempo, che potrebbe anche essere più breve di quello di due mesi approvato nella riunione precedente.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Grieco.

(Non è approvata).

Avverte che ora è in discussione la proposta dell’onorevole Fuschini, secondo la quale si dovrebbe stabilire la possibilità di un preannunzio della richiesta di referendum da parte di un più ristretto numero di elettori entro il termine di 15 giorni dalla pubblicazione provvisoria della legge approvata dal Parlamento. Naturalmente il completamento del numero delle firme richieste per farsi luogo al referendum dovrebbe avvenire entro il termine di due mesi dalla data della pubblicazione anzidetta.

BULLONI osserva che il preannunzio di un referendum potrebbe a volte essere causato da una volontà ostruzionistica delle minoranze. Difatti, con tale preannunzio la esecuzione della legge resterebbe in sospeso. In seguito il completamento del numero delle firme per poter indire il referendum potrebbe non raggiungersi, ma si sarebbe conseguito il risultato di sospendere l’efficacia della legge, sia pure per due mesi.

FUSCHINI fa presente che potrebbero essere stabilite determinate penalità per chi propone artificiosamente un referendum. In ogni modo, potrebbe essere adottalo il criterio di richiedere, nel momento in cui si dia il preannunzio del referendum, una cauzione in denaro.

PERASSI ritiene utile la proposta dell’onorevole Fuschini, perché con essa si avrebbe il vantaggio di sapere, dopo quindici giorni dalla pubblicazione di una legge, se la legge stessa dovrà, oppur no, essere sottoposta a referendum.

EINAUDI osserva che si potrebbe stabilire che, ove entro 15 giorni non sia stato presentato il preannuncio di richiesta di referendum, la prima pubblicazione della legge abbia anche il valore di promulgazione.

MORTATI, Relatore, ritiene che sarebbe meglio mantenere il termine di un mese necessario per la promulgazione. Pertanto, se allo scadere del termine anzidetto non fosse stata preannunciata alcuna richiesta di referendum, la legge entrerebbe subito in vigore.

PERASSI rileva che la proposta dell’onorevole Einaudi muoveva da un altro concetto: che la legge, cioè, dovesse essere subito promulgata, ma che la sua entrata in vigore fosse subordinata al mancato preannuncio della richiesta di referendum. Ora, nella prassi costituzionale italiana più volte si sono promulgate leggi contenenti determinate condizioni per la loro entrata in vigore, condizioni che possono anche non verificarsi. Basti ricordare a tale proposito le leggi di esecuzione dei trattati internazionali, nelle quali si ha sempre una disposizione con cui si stabilisce l’entrata in vigore delle leggi stesse in conformità alle clausole dei trattati. Se i trattati non entrano in vigore, le leggi relative all’esecuzione dei trattati stessi decadono.

Piuttosto, per ciò che si riferisce a tale questione in materia di referendum, si può fare un’obiezione di carattere giuridico. Secondo l’opinione prevalente il referendum, una volta richiesto, diventa un elemento necessario per la formazione della legge e pertanto la promulgazione della legge non può avvenire se non quando la legge stessa è perfezionata nel suo procedimento.

BULLONI ritiene non soddisfacente la proposta di sottoporre a cauzione in denaro il preannuncio di referendum, perché, se il deposito cauzionale è contenuto in limiti modesti, la cauzione diventa irrisoria; se invece è stabilito in misura notevole, ha carattere antipopolare e in contrasto con la ragione stessa del referendum.

È meglio quindi ammettere un termine di vacatio legis, affinché possa essere promosso il referendum, senza troppo preoccuparsi del ritardo della promulgazione delle leggi.

LACONI è contrario alla proposta di imporre una cauzione in denaro, affinché possa essere preannunciata la richiesta di un referendum. Nell’esercizio di un diritto democratico non è possibile porre una condizione inaccettabile da parte delle masse popolari. Può darsi inoltre che una persona, in perfetta buona fede, raccolga il numero delle firme necessarie per il preannuncio del referendum e poi non riesca a completare il numero delle firme richieste affinché il referendum stesso possa essere indetto. In tal caso non si comprende perché quella persona dovrebbe perdere la cauzione.

FUSCHINI richiama il precedente della legge elettorale inglese, in cui è stabilito che per presentarsi come candidato nelle elezioni occorre versare una cauzione in denaro, che viene incamerata se il candidato non risulta eletto.

PRESIDENTE fa presente che, per mettere in votazione la proposta dell’onorevole Fuschini, occorre stabilire il numero più ristretto di firme necessarie per presentare il preannuncio della richiesta di referendum.

TOSATO propone che sia stabilito un numero di 25.000 firme.

BULLONI è favorevole alla proposta dell’onorevole Fuschini, alla condizione però che il numero degli elettori necessario per presentare il preannuncio della richiesta di referendum sia almeno di 50.000, e che tale numero sia computato in quello complessivo degli elettori stabilito perché possa essere indetto il referendum entro il termine di due mesi.

NOBILE propone che sia stabilito un numero di 100.000 elettori.

PRESIDENTE mette prima in votazione la proposta dell’onorevole Fuschini, indipendentemente dalla determinazione del numero degli elettori da richiedersi per la presentazione del preannuncio del referendum.

(È approvata).

Mette in votazione la proposta di fissare in 100.000 il numero degli elettori necessario per la presentazione del preannuncio di referendum.

(Non è approvata).

Mette in votazione la proposta di fissare in 50.000 il numero degli elettori necessario per la presentazione del preannuncio di referendum.

(È approvata).

Mette in votazione la proposta dell’onorevole Fabbri di ridurre da 500.000 a 300.000 il numero degli elettori necessario perché possa essere indetto il referendum su una legge approvata dal Parlamento, entro il termine di due mesi dalla pubblicazione provvisoria della legge stessa.

(Non è approvata).

Avverte che, poiché non sono state presentate altre proposte e quella dell’onorevole Fabbri è stata respinta, il numero degli elettori necessario perché possa essere in detto il referendum resta stabilito in 500.000, secondo quanto era stato approvato nella riunione precedente.

Mette in discussione la questione se la richiesta di referendum possa essere avanzata su qualunque disegno di legge approvato dal Parlamento, oppure se essa debba essere esclusa per i disegni di legge approvati dalle due Camere con la maggioranza di tre quinti dei rispettivi componenti, secondo quanto era stato deliberato nella riunione precedente.

NOBILE ricorda che nella riunione precedente aveva proposto di escludere la possibilità del referendum per i disegni di legge approvati dalle due Camere, non già con la maggioranza di tre quinti dei rispettivi componenti, ma a maggioranza assoluta. Ritiene opportuno ripresentare la sua proposta, dato che nella riunione odierna sono state riprese in esame e modificate le deliberazioni adottate nella riunione antecedente.

MORTATI, Relatore, riferendosi alle dichiarazioni già fatte in un precedente suo intervento, chiede che sia messa in votazione la seguente proposta:

«Non potrà essere sottoposto a referendum un disegno di legge per il quale le due Camere, a maggioranza assoluta, abbiano dichiarato il carattere di urgenza».

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Nobile, secondo la quale non dovrebbero essere sottoposti a referendum i disegni di legge approvati dal Parlamento a maggioranza assoluta.

(Non è approvata).

Mette in votazione la proposta dell’onorevole Mortati, secondo cui non potrà essere sottoposto a referendum un disegno di legge per il quale le due Camere, a maggioranza assoluta, abbiano dichiarato il carattere di urgenza.

(È approvata).

Avverte che, con l’approvazione di questa proposta dell’onorevole Mortati, si intende decaduta la deliberazione presa nella riunione precedente, secondo la quale non avrebbero potuto essere sottoposti a referendum i disegni di legge approvati dalle due Camere con la maggioranza di tre quinti dei rispettivi componenti.

Mette in votazione la deliberazione già approvata nella riunione precedente, per la quale la richiesta di referendum può essere presentata anche da nove Assemblee regionali, avvertendo che egli voterà contro per le considerazioni già esposte in precedenza.

(Con 9 voti favorevoli e 9 contrari, non è approvata).

PICCIONI osserva che, vista la deliberazione approvata nella riunione precedente, concernente la possibilità di richiesta di referendum anche da parte delle Assemblee regionali, sarebbe stata necessaria, nella riunione odierna, per annullare quella la deliberazione, una votazione con esito positivo: con la parità dei voti contrari e favorevoli si può respingere una proposta, non già annullare una deliberazione precedentemente approvata.

PRESIDENTE trova giusta l’osservazione dell’onorevole Piccioni e dichiara che, a seguito dell’esito di questa votazione, resta confermata la deliberazione per la quale la richiesta di referendum può essere presentata anche da parte di nove Assemblee regionali.

TOSATO propone di tornare sulla deliberazione, decidendo che il numero delle Assemblee regionali sia ridotto da nove a sette.

PRESIDENTE non ha difficoltà ad aderire, se la Sottocommissione lo consente. Avverte inoltre che occorre anche fissare il numero delle Assemblee regionali per la presentazione del preannuncio del referendum: a tal fine potrebbero essere sufficienti tre Regioni. Mette in votazione la proposta che il numero delle Assemblee regionali per potere indire il referendum sia ridotto da nove a sette, e che la presentazione del preannuncio del referendum possa essere presentata anche da tre Assemblee regionali.

(È approvata).

Avverte che, secondo le deliberazioni testé approvate, potrebbe essere adottata la seguente formulazione complessiva:

«Sarà indetto il referendum su una legge approvata dal Parlamento, quando ne facciano richiesta 500.000 elettori o sette Assemblee regionali. Il termine della promulgazione è sospeso se, entro 15 giorni dalla pubblicazione provvisoria della legge approvata, 50.000 elettori o tre Assemblee regionali dichiarino di prendere l’iniziativa del referendum. Il completamento del numero delle firme richieste o delle adesioni delle Assemblee regionali per farsi luogo al referendum, ai sensi del primo comma, deve avvenire entro due mesi dalla stessa data di pubblicazione.

«Non potrà essere sottoposto a referendum un disegno di legge per il quale le due Camere, a maggioranza assoluta, abbiano dichiarato il carattere di urgenza».

Mette in votazione questa formulazione.

(È approvata).

Mette in discussione il quesito posto dall’onorevole Mortati con l’articolo 5 del progetto da lui presentato, secondo cui non dovrebbero formare oggetto di referendum le leggi finanziarie, di autorizzazione alla stipulazione dei trattati internazionali e le leggi di ratifica.

EINAUDI propone che dalla formulazione suggerita dall’onorevole Mortati siano tolte le leggi finanziarie, perché, a suo avviso, tali leggi possono benissimo formare oggetto di referendum. Se d’altra parte sembrasse opportuno escludere per una data legge finanziaria la possibilità del referendum, il Parlamento potrebbe dichiararne il carattere di urgenza.

PERASSI è d’accordo con l’onorevole Einaudi nel ritenere che le leggi finanziarie possano essere sottoposte a referendum. Chiede poi all’onorevole Mortati perché ha distinto le leggi di autorizzazione alla stipulazione dei trattati internazionali da quelle di ratifica.

MORTATI, Relatore, dichiara che con l’espressione «leggi di ratifica» ha inteso riferirsi a quelle che non hanno carattere sostanziale di legge.

FABBRI osserva che l’onorevole Mortati intendeva evidentemente riferirsi alle cosiddette leggi formali.

MORTATI, Relatore, conferma il chiarimento dell’onorevole Fabbri, ed aggiunge che anche una legge di bilancio è una legge formale.

PERASSI rileva che nella formulazione proposta dall’onorevole Mortati sarebbe stato meglio parlare di leggi tributarie, anziché finanziarie, appunto per distinguerle dalle leggi di bilancio.

EINAUDI propone che all’espressione «leggi finanziarie» sia sostituita quella di «leggi di bilancio». Così facendo, le leggi tributarie potrebbero essere sottoposte a referendum.

MORTATI, Relatore, insiste perché sia mantenuta l’esclusione dal referendum di ogni legge riguardante i tributi, contrariamente alla tesi esposta ora dall’on. Einaudi. Propone poi che all’espressione: «leggi di ratifica» sia sostituita l’altra: «leggi di approvazione».

FABBRI osserva che l’espressione «leggi finanziarie» è troppo vaga, perché ogni legge può avere un carattere finanziario. È perciò favorevole alla proposta dell’onorevole Einaudi.

FUSCHINI non ritiene che, ammettendo la possibilità di sottoporre a referendum le leggi tributarie, si faccia l’interesse del Paese. Data l’odierna situazione italiana, per la quale il popolo dovrà essere assoggettato a gravi oneri tributari, sarà molto difficile che una legge tributaria, sottoposta a referendum, possa essere approvata.

PERASSI propone la seguente formulazione:

«Non possono essere oggetto di referendum le leggi di autorizzazione alla ratifica idei trattali internazionali, le leggi di bilancio e quelle di approvazione».

MORTATI, Relatore, insiste perché sia estesa l’esclusione a tutte le leggi tributarie, per le ragioni esposte dall’onorevole Fuschini. È meglio affidare in ogni caso il compito di deliberare su problemi di carattere tributario a un organo più selezionato, quale il Parlamento, in cui i vari interessi possono essere esaminati e coordinati con maggior ponderazione ed imparzialità.

CAPPI dichiara, per le ragioni testé addotte dall’onorevole Fuschini, di essere contrario a che le leggi tributarie possano essere sottoposte a referendum.

TOSATO propone che, invece di: «quelle di approvazione», si dica: «e le altre leggi di approvazione».

EINAUDI domanda che cosa s’intenda con l’espressione «leggi di approvazione».

TOSATO chiarisce che una legge di approvazione è quella, ad esempio, con cui si stabilisce l’ammontare degli assegni per il Presidente della Repubblica. In altri termini una legge di approvazione non ha contenuto giuridico, ma solo amministrativo.

FABBRI fa presente che con l’espressione «leggi di approvazione» debbono intendersi quelle leggi che non hanno contenuto normativo per la generalità dei cittadini e che pertanto nel diritto costituzionale sono considerate leggi formali.

NOBILE domanda se nella categoria delle leggi di approvazione possa rientrare una legge di approvazione del regolamento sul traffico.

PERASSI risponde negativamente, facendo presente che una legge di approvazione, ad esempio, è quella con cui si viene a concedere una pensione straordinaria alla vedova di una personalità.

PRESIDENTE dichiara, data l’esemplificazione fatta dall’onorevole Perassi, che sarebbe molto esitante a dare il suo voto favorevole alla proposta di escludere dal referendum le leggi di approvazione. Può accadere infatti che il Governo voglia concedere una pensione straordinaria alla vedova di un personaggio non degno: in tal caso si domanda per quale ragione la legge relativa non dovrebbe essere sottoposta a referendum.

EINAUDI propone che la formulazione suggerita dall’onorevole Perassi sia votata per divisione.

PRESIDENTE mette in votazione la prima parte della formulazione proposta:

«Non possono essere oggetto di referendum le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali».

(È approvata).

Mette in votazione la successiva espressione: «le leggi di bilancio».

(È approvata).

Mette in votazione l’ultima parte: «e le altre leggi di approvazione».

(Non è approvata).

Fa presente che, secondo l’esito delle votazioni testé avvenute, il testo dell’articolo approvato è il seguente:

«Non possono essere oggetto di referendum le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e le leggi di bilancio».

La seduta termina alle 20.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bozzi, Bulloni, Cappi, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti.

Assenti: Bocconi, Bordon, Calamandrei, Cannizzo, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Lami Starnuti, Leone Giovanni, Mannironi, Porzio, Rossi Paolo, Vanoni e Zuccarini.

 

SABATO 18 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

79.

RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI SABATO 18 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL DEPUTATO PERASSI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Uberti – Presidente – Fabbri – La Rocca – Ambrosini – Cappi – Nobile – Laconi – Bulloni – Mortati, Relatore – Lami Starnuti – Einaudi – Fuschini – Tosato – Farini.

La seduta comincia alle 18.

(In assenza del Presidente onorevole Terracini, la Sottocommissione invita l’onorevole Perassi ad assumere la Presidenza).

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

UBERTI prospetta l’opportunità di far risultare nella Carta costituzionale la deliberazione presa dalla Sottocommissione, relativamente al divieto fatto al Governo di emanare decreti legge.

PRESIDENTE risponde che a ciò potrà provvedere il Comitato di coordinamento.

UBERTI prende atto dell’assicurazione del Presidente e si augura che i membri di quel Comitato vorranno tener presente la sua raccomandazione.

PRESIDENTE, riprendendo l’esame del referendum, su cui già si è svolta un’esauriente discussione nella riunione precedente, osserva che nessuna obiezione sostanziale è stata sollevata dai Commissari in merito all’adozione di tale istituto. Può, quindi, procedersi senz’altro all’esame degli articoli stilati dall’onorevole Mortati, il primo dei quali è del seguente tenore:

«Oltre che nel caso previsto dall’articolo 38, il Capo dello Stato ha facoltà di indire il referendum su una legge a lui sottoposta per la promulgazione, nel termine prescritto per procedere a questa.

«Analoga facoltà compete al Capo dello Stato per disegni di legge rigettati dal Parlamento. Egli può usarne nel termine di un mese dalla deliberazione di rigetto».

Apre la discussione su questo articolo.

FABBRI dichiara di essere favorevole, in linea di massima, all’istituto del referendum anche sul piano nazionale, purché la sua rilevanza giuridica sia condizionata alla partecipazione di almeno due quinti degli elettori. Pertanto, voterà contro o si asterrà dal votare tutte quelle proposte che non corrispondano al suo punto di vista, in quanto non può ammettere che da una modestissima aliquota di elettori possa essere modificata una decisione del Parlamento, il quale rappresenta la volontà di una percentuale notevole di cittadini.

LA ROCCA riafferma la sua contrarietà all’articolo, per le ragioni già esposte nella seduta precedente.

AMBROSINI è favorevole alla disposizione in esame, perché ritiene che ogni qualvolta si ricorra a questo supremo appello alla Nazione nessun organo dello Stato possa sentirsi diminuito dal pronunziato del popolo, dal quale derivano, in ultima analisi, tutti i poteri dello Stato.

CAPPI aderisce alla formula Mortati, purché sia modificata nel senso di precisare che il referendum può essere indetto soltanto sui progetti di legge che siano stati approvati con una maggioranza inferiore ai due terzi dei membri delle Camere.

NOBILE suggerisce di porre anzitutto ai voti il quesito se si vuole ammettere, in via di massima, questa facoltà del Presidente della Repubblica, salvo ad esaminarne in seguito le eventuali limitazioni.

LACONI fa osservare all’onorevole Cappi che una procedura analoga a quella da lui consigliata si è già prevista per la revisione della Costituzione, e non sarebbe opportuno porre una qualsiasi legge sullo stesso piano della Carta costituzionale. Si dichiara comunque contrario al conferimento di un così largo potere al Presidente della Repubblica.

BULLONI esprime parere contrario a quest’articolo, rilevando che la possibilità per il popolo di far sentire la sua voce è consacrata nell’articolo successivo dello schema dell’onorevole Mortati, ed è inopportuno conferire al Presidente della Repubblica il potere di promuovere una tale manifestazione di volontà.

Quanto all’emendamento Cappi, nota che esso tradisce la preoccupazione che un disegno di legge sia approvato a leggera maggioranza; ma l’entità della maggioranza non deve interessare, purché si sia espressa.

CAPPI modifica la sua proposta nel senso di non ammettere il referendum sui disegni di legge approvati a maggioranza assoluta dei componenti le Camere.

PRESIDENTE, aderendo alla proposta dell’onorevole Nobile, pone ai voti il principio che al Presidente della Repubblica si debba conferire la facoltà di sottoporre a referendum popolare una legge votata dal Parlamento, con riserva di esaminare successivamente le eventuali limitazioni di tale potestà.

(Non è approvato).

MORTATI, Relatore, avverte che si potrebbe tuttavia considerare un’ipotesi diversa, e cioè che un disegno di legge sia approvato da un ramo del Parlamento e respinto dall’altro. A questo proposito ricorda che si è già trattato in altra occasione della possibilità da parte del Presidente della Repubblica di sottoporre a referendum il progetto su cui verte il dissidio, o di sciogliere le due Camere. Propone, quindi, il seguente articolo:

«Il Capo dello Stato ha facoltà di indire il referendum su un disegno di legge sul quale vi sia dissenso tra i due rami del Parlamento.

«Analoga facoltà compete nel caso di legge rigettata da entrambi i rami».

LAMI STARNUTI trova che l’ipotesi di intervento del Capo dello Stato nel conflitto tra le due Camere è ancora più grave della precedente. A maggior ragione perciò vi è contrario.

CAPPI subordina il suo parere favorevole al nuovo articolo alla condizione che sia emendato come aveva proposto di emendare l’articolo su cui si è votato.

UBERTI riconosce un valore assoluto alla volontà popolare e ritiene che chi ha sentimenti veramente democratici non debba preoccuparsi di questo appello al popolo e della sua maggiore partecipazione alla vita politica. Aderisce, pertanto, alla proposta dell’onorevole Mortati, la quale, a suo avviso, non può considerarsi lesiva dell’istituto parlamentare.

EINAUDI, poiché nell’ipotesi in esame è già la presunzione che una legge sia cattiva (in quanto respinta da un ramo del Parlamento), cosicché non deve sentirsi la necessità di interpellare il popolo, è contrario al nuovo articolo, pur avendo votato in favore del precedente.

PRESIDENTE pone ai voti la nuova formula proposta dall’onorevole Mortati.

(Non è approvata).

Mette in discussione l’articolo 2 del progetto Mortati:

«Nel termine prescritto per la promulgazione, un ventesimo degli elettori iscritti potrà richiedere che sia indetto un referendum su una legge approvata dal Parlamento».

Rileva che il termine prescritto per la promulgazione è di un mese. Ora, se si ammette il referendum facoltativo sulle leggi votate dal Parlamento, bisogna concedere per la raccolta delle firme un termine adeguato, che dovrebbe decorrere da una pubblicazione della legge fatta esclusivamente allo scopo di portarla a conoscenza dei cittadini per porli in condizione, se credano, di richiedere un referendum. Il termine dunque dovrebbe essere elevato ad almeno tre mesi.

FUSCHINI non trova ammissibile che una legge resti in sospeso per tanto tempo.

PRESIDENTE informa che in Svizzera esistono due pubblicazioni ufficiali: La Feuille fédérale e Le Recueil des lois fédérales. Quando l’Assemblea federale approva le leggi che, a norma della Costituzione, possono essere sottoposte a referendum facoltativo, esse vengono pubblicate su La Feuille fédérale con l’indicazione del termine entro il quale può essere presentata la richiesta di referendum con il numero di firme necessario. La pubblicazione su Le Recueil des lois fédérales avviene solo dopo la scadenza del termine o l’esito favorevole del referendum.

FABBRI rileva che ciò è possibile in Svizzera, in quanto vi si emana un numero limitato di leggi.

NOBILE, per mozione d’ordine, propone che anzitutto si voti sul principio che una legge approvata dal Parlamento possa essere sottoposta a referendum su richiesta di un certo numero di cittadini.

EINAUDI nota che l’adozione di un sistema analogo a quello svizzero rappresenterebbe un progresso nella nostra tecnica legislativa, perché impedirebbe l’emanazione di molte leggi che potrebbero essere dannose al Paese.

LACONI rileva che il referendum, su richiesta di una percentuale degli elettori, dovrebbe ammettersi non soltanto rispetto ad una legge approvata dal Parlamento, ma anche nell’ipotesi di legge respinta.

MORTATI, Relatore, replica che un progetto di legge, una volta respinto, non esiste più.

PRESIDENTE pone per il momento ai voti il principio di ammettere su una legge approvata dal Parlamento un’istanza di referendum con le relative conseguenze, di cui si vedrà in seguito.

(È approvato).

MORTATI, Relatore, premesso che l’articolo 19, nella sua formula definitiva elaborata dal Comitato di redazione, prevede una sospensiva della promulgazione della legge sulla quale sia indetto il referendum popolare, osserva che – giuste le considerazioni del Presidente – è necessaria una pubblicazione preventiva della legge stessa, che potrebbe farsi subito dopo la sua approvazione da parte della Camera che l’ha esaminata per ultima. Ricorda che un precedente del genere si ha già nell’ordinamento regionale, ove si è prevista una pubblicazione provvisoria della legge, che vale unicamente come una forma di pubblicità per rendere possibile l’eventuale opposizione da parte del Governo o delle altre Regioni. Per quanto concerne il termine, personalmente ritiene che lo si potrebbe fissare in due mesi.

LAMI STARNUTI riprende l’osservazione dell’onorevole Laconi, che mirava a consentire il referendum anche nel caso di legge respinta dal Parlamento, facendo rilevare che il progetto di legge respinto potrebbe anche essere ripresentato al Parlamento ad iniziativa popolare. Non v’è, quindi, motivo di negare la possibilità di ricorrere al referendum, evitando così di costringere il Parlamento a ripetere nuovamente un esame che già ha espletato.

MORTATI, Relatore, obietta che per la richiesta di referendum è necessaria la firma di un ventesimo degli elettori.

CAPPI concorda con l’onorevole Laconi e propone la seguente formula:

«Entro un mese dall’approvazione o dal rigetto di un disegno di legge, da parte del Parlamento, con una maggioranza inferiore ai tre quinti dei suoi membri, un quarantesimo degli elettori o la maggioranza assoluta di quattro Assemblee regionali può chiedere che sia indetto il referendum. Fino all’esito del referendum la legge resta sospesa».

NOBILE espone la sua perplessità in merito all’adozione del referendum, anche nel caso di progetto di legge respinto dal Parlamento. Fa osservare che il progetto rigettato potrebbe essere stato già esso di iniziativa popolare. La cosa starebbe a significare che i centomila elettori che hanno presentato un progetto di legge, dopo che questo è stato respinto dal Parlamento, avrebbero ancora la possibilità – trovando altri aderenti – di chiedere sullo stesso un referendum popolare.

EINAUDI richiama l’attenzione sul fatto che la richiesta di referendum su un disegno di legge respinto dovrà partire da un corpo di elettori diversi da quello che aveva preso l’iniziativa di presentarlo; non sarà più il modesto numero di centomila elettori, ma uno molto maggiore che verrà stabilito nell’articolo in esame. Piuttosto bisogna tener presente che, nella mora dei due o tre mesi, l’opinione pubblica può essere mutata e, quindi, può essere giustificata la ripresentazione di un disegno di legge respinto.

BULLONI si dichiara contrario al referendum nel caso di rigetto di progetto di legge, per le considerazioni già svolte da alcuni colleghi e soprattutto per quanto ha detto l’onorevole Mortati in una felice interruzione: che, cioè, il disegno di legge non approvato non esiste più.

LACONI replica che l’ammissione del referendum nel caso in parola, per quanto apparentemente possa sembrare un indulgere al principio della sovranità popolare, in realtà non lo è, appunto perché nulla vieta all’iniziativa popolare di far suo un progetto respinto e presentarlo come fosse un progetto nuovo. Senonché, per la presentazione di un progetto ad iniziativa popolare sono sufficienti centomila firme, mentre per la richiesta di referendum ne occorrono molte di più.

LAMI STARNUTI concorda con l’onorevole Laconi, avvertendo che la sua intenzione è unicamente quella di impedire che venga nuovamente presentato al Parlamento un progetto che questo ha già respinto.

AMBROSINI obietta che, se si vuole raggiungere questo scopo, è necessaria una esplicita norma costituzionale.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di ammettere il referendum anche rispetto ai disegni di legge respinti dalle due Camere o da una di esse.

(È approvato).

Osserva che, una volta deciso che l’istanza di referendum è ammessa sia nei riguardi di un disegno di legge approvato dal Parlamento, che in quelli di un disegno di legge respinto, restano da esaminare le eventuali limitazioni dell’istituto. Personalmente propone che il referendum sui progetti di legge approvati possa essere indetto soltanto quando questi abbiano ottenuto in ciascuna Camera una maggioranza inferiore ai tre quinti.

NOBILE propone di escludere dal referendum i progetti di legge che siano stati approvati o respinti dalle due Camere a maggioranza assoluta, e quelli che dal Governo o da una delle Camere siano stati dichiarati urgenti.

MORTATI, Relatore, suggerisce di abbinare le due ipotesi, nel senso di stabilire che il referendum non è ammesso quando il disegno di legge sia dichiarato urgente da parte di una maggioranza qualificata (ad esempio, i tre quinti) delle due Camere.

PRESIDENTE esprime l’avviso che le due ipotesi possano coesistere, ossia che si possa escludere il referendum tanto nel caso di progetto approvato con la maggioranza dei tre quinti, quanto in quello di un progetto dichiarato urgente da una maggioranza qualificata.

EINAUDI si dichiara contrario in ogni caso, per le ragioni che ha già lumeggiato, e soprattutto perché, a suo parere, neanche l’unanimità dei pareri delle Camere può costituire una prova che il provvedimento sia conforme ai desideri del popolo.

LAMI STARNUTI è favorevole alle proposte limitative illustrate dal Presidente, purché vengano completate da un’ulteriore limitazione, tendente a stabilire un termine alla immutabilità delle leggi; trascorso il quale, tutte le leggi approvate dal Parlamento, con qualsivoglia maggioranza, possono essere rivedute.

MORTATI, Relatore, insiste sulla sua proposta, facendo, fra l’altro, presente che sarebbe opportuno far assumere alle Camere la responsabilità di dichiarare l’urgenza di una legge, allo scopo di escludere il referendum su di essa.

CAPPI è favorevole alla limitazione rappresentata dall’approvazione della legge con una maggioranza qualificata e contrario a quella rappresentata dalla dichiarazione dell’urgenza.

LAMI STARNUTI aderisce invece al punto di vista dell’onorevole Mortati, che ritiene utile ad impedire che il Parlamento eluda le disposizioni di legge sul referendum.

NOBILE trova eccessivo richiedere la maggioranza dei tre quinti sia nell’un caso che nell’altro, e crede che un limite ragionevole si abbia già nella maggioranza assoluta. Ricorda, quindi, che si imporrà una modificazione dell’articolo già approvato, a norma del quale le leggi debbono essere promulgate entro un mese dalla loro approvazione.

UBERTI pone in evidenza che, in pratica, la maggior parte delle leggi vengono approvate con una maggioranza notevole, e soltanto quelle che hanno rilevanza politica suscitano forti contrasti e raccolgono un limitato numero di adesioni.

BULLONI, premesso che bisogna avere fiducia nei futuri legislatori e ritenere superfluo ricorrere ad una consultazione popolare quando sia stata dichiarata l’urgenza di un provvedimento con una maggioranza qualificata, dichiara di aderire alla proposta dell’onorevole Mortati.

PRESIDENTE, riepilogando, constata che sono state presentate tre diverse proposte, miranti rispettivamente ad escludere il referendum: 1°) nei riguardi di un provvedimento legislativo votato dalle due Camere a maggioranza assoluta; 2°) nei riguardi di un provvedimento approvato dalle Camere a maggioranza dei tre quinti o dichiarato urgente a maggioranza assoluta; 3°) nei riguardi dì un provvedimento dichiarato urgente dalle Camere con una maggioranza dei tre quinti.

Pone ai voti la prima delle tre proposte.

(Non è approvata).

Mette in votazione il principio che il referendum non sia ammesso su una legge votata a maggioranza dei tre quinti delle Camere, prescindendo, per il momento, dalla eventuale dichiarazione di urgenza.

(È approvato).

Rileva che l’esito della votazione fa decadere la prima proposta con l’approvazione della seconda (nei limiti in cui egli l’ha indicata mettendola in votazione), mentre resta ancora da esaminare l’ipotesi di leggi dichiarate urgenti da entrambe le Camere (a maggioranza assoluta di voti o con una maggioranza qualificata).

LAMI STARNUTI ritiene che il criterio di escludere la consultazione popolare per le leggi dichiarate urgenti, a maggioranza assoluta, potrebbe essere utile per rendere più difficile il verificarsi di una richiesta di referendum su una legge di carattere finanziario. Ma, poiché le leggi di tal natura, per l’articolo 5 del progetto Mortati, non possono in nessun caso essere oggetto di referendum, si dichiara contrario alla proposta in esame.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che non sia ammesso il referendum sulle leggi dichiarate urgenti a maggioranza assoluta delle due Camere.

(Non è approvato).

Avverte che con ciò è assorbita l’altra proposta relativa alla dichiarazione d’urgenza con maggioranza qualificata.

LAMI STARNUTI esprime l’avviso che con quest’ultima votazione non possa ritenersi esaurita la casistica, perché può anche verificarsi l’ipotesi che una legge, pur essendo stata approvata soltanto a maggioranza assoluta, sia dichiarata urgente da una maggioranza dei tre quinti di membri del Parlamento. Dovrebbe, quindi, ancora mettersi ai voti il principio di sottrarre al referendum anche le leggi approvate a maggioranza assoluta e la cui urgenza sia stata riconosciuta da ciascuna delle Camere a maggioranza dei tre quinti.

NOBILE non trova fondata l’osservazione dell’onorevole Lami Starnuti, in quanto, se una notevole minoranza delle Camere è contraria ad una legge, tanto meno ne potrà volere l’urgenza. In altri termini, quel decimo che rappresenta la differenza fra la maggioranza assoluta ed i tre quinti, dopo aver contribuito al tentativo di respingere il disegno di legge, dovrebbe essere favorevole ad una dichiarazione di urgenza.

LAMI STARNUTI replica che spesso il contrasto non verte tanto sulla materia da disciplinare quanto sulle modalità della disciplina. Una volta formatasi la maggioranza su un determinato ordine di idee, tutto il Parlamento potrebbe riconoscere l’opportunità che la legge venga applicata con urgenza.

FABBRI obietta che in pratica la dichiarazione dell’urgenza sarà contenuta in un articolo della legge e, quindi, coloro che votassero la legge nel suo complesso ne voterebbero anche l’urgenza.

EINAUDI ritiene che l’ipotesi non sia irreale, per quanto difficile a verificarsi, perché la questione dell’urgenza potrebbe sorgere anche dopo l’approvazione della legge.

LAMI STARNUTI ricorre ad una esemplificazione per chiarire il suo punto di vista. Ammesso che il nuovo ordinamento regionale fosse sottoposto per l’approvazione al Parlamento, alcuni deputati, fautori di una più limitata potestà legislativa delle Regioni, potrebbero combattere qualche articolo della legge e votare contro la legge stessa; senonché, una volta approvata nel suo complesso e richiestane l’urgenza dal Governo, potrebbero votare in favore dell’urgenza nella considerazione che la creazione del Senato è legata all’entrata in vigore della legge e, nell’interesse supremo dello Stato, è necessario mettere il nuovo Parlamento in condizione di funzionare al più presto.

LACONI, aderendo al punto di vista dell’onorevole Lami Starnuti, cita un altro esempio. Su di una legge urgentissima, con cui si approvano degli stanziamenti in favore di una Regione che ha subìto un disastro, potrebbe esserci dissenso sull’entità della cifra – e quindi voto contrario di un certo numero di deputati – ma accordo unanime sull’urgenza.

FABBRI ripete che la legge si vota nel suo complesso.

MORTATI, Relatore, si associa, ribadendo il concetto che la dichiarazione d’urgenza non può essere avulsa dalla legge. Quando si vota una legge, si sa già se ha o meno un carattere d’urgenza. L’approvazione e la dichiarazione d’urgenza sono dunque due momenti che fanno parte di uno stesso processo volitivo.

TOSATO aggiunge che per l’articolo 19 del Comitato di redazione, le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro 30 giorni dall’approvazione. Pertanto, una legge ritenuta urgente dovrà necessariamente contenere un articolo in cui si determini un termine diverso dal normale.

LAMI STARNUTI non insiste.

PRESIDENTE, per quanto concerne il numero dei cittadini che deve sottoscrivere l’istanza di referendum, ricorda che si è proposto un ventesimo degli elettori iscritti, il che significa circa 1 milione e 400 mila elettori. Personalmente ritiene la cifra troppo elevata.

CAPPI fa presente che nella sua formula si parla di un quarantesimo.

FARINI sostiene che, se si stabilisce una cifra bassa, si corre il rischio di avere un referendum ad ogni piè sospinto, in quanto la raccolta delle firme non è cosa difficile in un Paese in cui esistono forti partiti organizzati. Fisserebbe, quindi, la percentuale di un decimo, o, al massimo, di un ventesimo degli elettori.

UBERTI si oppone, nella considerazione che, così facendo, si escluderebbe in pratica l’istituto del referendum, data la difficoltà di mettere assieme un numero rilevante di firme.

BULLONI condivide la preoccupazione che il fissare un numero basso di elettori per la richiesta di referendum possa prestarsi ad azioni sabotatrici da parte di gruppi organizzati.

PRESIDENTE ricorda che in Svizzera – con una popolazione di circa 4 milioni e mezzo di abitanti – la richiesta di referendum può essere presentata da 30 mila cittadini. In Italia potrebbe mantenersi la stessa proporzione.

MORTATI, Relatore, fa presente che per la richiesta di revisione della Costituzione si è deliberata la cifra di 500.000 elettori. Sarebbe, quindi, opportuno anche in questo caso stabilire la stessa cifra fissa, anziché una percentuale.

PRESIDENTE concorda e mette ai voti la proposta.

(È approvata).

Ricorda che l’onorevole Cappi ha suggerito di concedere l’iniziativa della istanza di referendum anche a un certo numero (precisamente quattro) di Assemblee regionali, purché la decisione sia stata da queste adottata a maggioranza assoluta.

Pone quindi ai voti il principio che debba essere ammessa la richiesta di referendum da parte di Assemblee regionali.

(È approvata).

LAMI STARNUTI propone di elevare il numero delle Assemblee regionali che possono avanzare la richiesta a nove, rinunciando però alla limitazione della maggioranza assoluta.

PRESIDENTE pone ai voti quest’ultima proposta.

(È approvata).

Ricorda che resta da deliberare il termine entro il quale può essere presentata la domanda di referendum.

MORTATI, Relatore, ritiene che il limite di due mesi dalla pubblicazione provvisoria, fatta subito dopo l’approvazione delle due Camere, dovrebbe essere sufficiente, dati gli attuali mezzi di comunicazione.

LACONI propone il termine di tre mesi per uniformità con quanto è fissato per la revisione della Costituzione.

NOBILE suggerisce il termine di un mese.

FUSCHINI osserva che, per evitare una troppo lunga sospensione della legge, si potrebbe stabilire che per ottenere l’effetto sospensivo basta la domanda firmata da un numero di cittadini inferiore ai 500.000, salvo poi a completare la raccolta delle firme; in questo modo potrebbe anche adottarsi un decorso di tempo relativamente breve.

AMBROSINI trova che la considerazione dell’onorevole Fuschini è degna di rilievo, ma osserva che, se non si concede un termine abbastanza lungo per la raccolta delle firme, si rischia di creare un istituto di impossibile attuazione.

MORTATI, Relatore, insiste nella sua proposta, aggiungendo, alle ragioni già esposte, la considerazione che i referendum saranno indetti da partiti organizzati.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di fissare il termine entro il quale può essere richiesto il referendum a due mesi dalla pubblicazione provvisoria del provvedimento legislativo.

(È approvata).

LAMI STARNUTI ricorda la sua proposta di stabilire che, trascorso un certo lasso di tempo, può essere assoggettata a referendum anche una legge che sia stata approvata dalle Camere con una maggioranza dei tre quinti.

LACONI ritiene che la deliberazione testé approvata sia di una gravità eccessiva, in quanto lascerebbe in sospeso le leggi per due mesi. Propone, pertanto, di considerare tutte le decisioni adottate nella seduta odierna come provvisorie, per consentirne un eventuale riesame in una prossima riunione.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 20.10.

Erano presenti: Ambrosini, Bozzi, Bulloni, Cappi, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Tosato e Uberti.

Assenti: Bocconi, Bordon, Calamandrei, Cannizzo, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Grieco, Leone Giovanni, Mannironi, Piccioni, Porzio, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Vanoni e Zuccarini.

 

VENERDÌ 17 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

78.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 17 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Mortati, Relatore – Fabbri – Laconi – Einaudi – Uberti – Ambrosini – Nobile – Perassi – Lami Starnuti – Ravagnan – Bulloni – Mannironi – Cappi – Lussu – La Rocca – Fuschini – Grieco – Tosato.

La seduta comincia alle 17.35.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

 

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Mortati ha presentato un progetto di articolazione sopra il referendum.

MORTATI, Relatore, illustra il suo progetto, avvertendo di aver previsto due ipotesi di referendum: su iniziativa del Governo e su iniziativa del popolo.

I casi previsti per l’iniziativa del Governo sono due: per sospendere una legge approvata dalle Camere e viceversa per dar corso ad un disegno di legge respinto dal Parlamento. Non essendosi ritenuto di creare un regime di tipo assembleare, si è preveduta l’ipotesi di un dissidio non grave tra Parlamento e Governo relativo a singole misure legislative, che non conduce necessariamente ad una crisi di Governo, ed in relazione a situazioni simili è apparso opportuno dare al Governo la possibilità di opporsi a leggi che il Parlamento abbia approvate o di introdurre leggi che abbiano incontrato resistenza nel Parlamento. In questi casi il dissenso tra Parlamento e Governo non può risolversi altro che attraverso il responso popolare, ed a ciò risponde l’articolo 1 del suo progetto. Osserva che però esso contiene un riferimento all’articolo 38, il quale è ora inesatto, poiché quest’articolo non è stato approvato per la parte che si riferiva alla richiesta di referendum in caso di dissidio tra le due Camere. Si potrebbe correggere nel senso di aggiungere al secondo comma un inciso di questo genere: «Analoga facoltà compete per il rigetto di un disegno di legge dall’uno all’altro ramo del Parlamento». Fa presente che nel testo del progetto si conferisce al Capo dello Stato il potere formale di indire il referendum, in quanto è stato già stabilito che tutti gli atti del Capo dello Stato devono essere controfirmati dal Capo del Governo.

Anche i casi previsti per il referendum di iniziativa popolare sono due: da una parte, iniziativa popolare che tende ad arrestare un procedimento legislativo già esaurito o ad abrogare una legge già entrata in vigore; dall’altra, iniziativa che tende ad introdurre nell’apparato legislativo modificazioni, che non siano state promosse dal Parlamento. Ricorda a questo proposito che era già stato approvato un articolo relativo all’iniziativa popolare, e si era previsto che essa si arrestasse al momento in cui l’iniziativa stessa veniva sottoposta al Parlamento, stabilendo che non dovesse più aver corso, se il Parlamento non l’avesse approvata. Era stato anche previsto che occorressero le firme di 100.000 elettori affinché l’iniziativa dovesse esser presa in considerazione. L’articolo 3 del progetto completa quella disposizione già approvata, nel senso di prevedere l’ipotesi di rigetto dell’iniziativa popolare, prescrivendo che debba avere ugualmente corso se ad essa si aggiunga una nuova iniziativa con un numero maggiore di aderenti.

Spiega quindi che gli altri articoli del progetto tendono a regolare le modalità del referendum. L’articolo 4 stabilisce che una legge disapprovata dal voto popolare non possa essere ripresentata, se non siano trascorsi due anni dal rigetto; l’articolo 5 determina le leggi che non possono essere oggetto di referendum (leggi finanziarie, leggi di autorizzazione alla stipulazione di trattati internazionali, e quelle di ratifica); l’articolo 6 stabilisce che i cittadini che possono partecipare al referendum sono gli elettori alla prima Camera. In questo si fa anche rinvio alle leggi speciali per le altre modalità.

Per le Regioni è previsto il referendum non solo per la materia legislativa, ma anche per singoli provvedimenti di carattere propriamente amministrativo. Si è creduto opportuno indicare alcuni atti per i quali il referendum è obbligatorio (assunzione diretta dei pubblici servizi; contrazione di prestiti, non destinati alla conversione di debiti precedenti, superiori ad una cifra che sarà stabilita; erogazione di spese tali da impegnare il bilancio dell’ente per oltre cinque anni in misura superiore al decimo delle entrate annuali ordinarie).

Accenna quindi agli argomenti che sono stati volontariamente tralasciati. È stata esclusa l’ipotesi del referendum obbligatorio, salvo per la revisione costituzionale, per la quale la Sottocommissione ha già preso una deliberazione a parte: ogni ricorso al referendum è facoltativo, così per il Governo, come per il popolo. È stato anche escluso qualsiasi caso di referendum consultivo per la ragione, già altre volte da lui esposta, che il popolo non è un organo consultivo. Egualmente si è omessa l’ipotesi di un referendum preventivo all’emissione di una legge: ammettere che il Parlamento possa richiedere esso stesso l’avviso popolare su una determinata legge è sembrato cosa tale da indebolire il senso di responsabilità del Parlamento stesso. Così si è creduto di escludere qualsiasi previsione circa le conseguenze, positive o negative, del pronunciamento popolare nei riguardi degli organi che l’hanno provocato. Non è sembrato opportuno far conseguire la revoca del Capo dello Stato, che ha chiesto il referendum, al risultato di questo contrario alla revisione per cui lo ha indetto; e ciò per rendere più libera l’iniziativa popolare, facendo esulare ogni significato di voto di fiducia dal referendum.

Si è anche creduto opportuno di escludere ogni sorta di referendum su questioni diverse dalle leggi, salvo i casi che sono stati già accennati relativi all’ordinamento regionale. Similmente non si è ammesso il referendum per la revoca del Capo dello Stato o per la revoca del Parlamento, ritenendosi il popolo non sufficientemente maturo per questo tipo di referendum che potrebbe portare quindi profondi turbamenti nella vita politica del Paese. In sostanza, si è ammesso soltanto il referendum legislativo, salvo per gli atti amministrativi di competenza delle Regioni.

Conclude facendo presente che qualche punto del progetto dovrà essere perfezionato in sede di discussione, e che dovrà essere rivisto, ad esempio, il termine stabilito nell’articolo 2 per l’iniziativa popolare.

FABBRI propone che, nella discussione del progetto in esame, sia data la precedenza alla disposizione, contenuta nel secondo comma dell’articolo 6, concernente una questione che, secondo lui, riveste un carattere pregiudiziale.

In quest’articolo si stabilisce che la proposta sottoposta a referendum si intende approvata quando abbia raccolta la maggioranza dei voti espressi, ed egli osserva che in uno stato democratico il problema principale, per avere un orientamento relativamente all’ammissione o al rigetto dell’istituto del referendum, è quello di sapere quale sia il peso, che nella proposta dell’onorevole Mortati è completamente negativo, dato a coloro che si astengono dalla votazione.

Se si ammette che un referendum, al quale abbia partecipato uno scarso numero di elettori, abbia la possibilità, con la maggioranza di coloro che vi hanno partecipato, di sconvolgere l’espressione stessa della sovranità nazionale quale emana dal Parlamento, che si può supporre eletto da venti o venticinque milioni di elettori, si ammette un principio che può essere gravido di conseguenze molto importanti e pericolosissime.

LACONI esprime l’avviso che sette articoli sulla questione del referendum nell’economia della Costituzione siano eccessivi, e che si debba giungere ad una formulazione più ristretta. Rileva quindi che le osservazioni dell’onorevole Fabbri sono degne di considerazione, perché mostrano i pericoli che può presentare il referendum come esso è disciplinato nel progetto in esame.

Osserva che questo istituto, preso da Paesi che hanno un’altra tradizione democratica, potrebbe presentare gravi inconvenienti in Italia, dove le masse popolari sono riluttanti a recarsi alle urne, e si stancherebbero ove il Capo dello Stato ricorresse con frequenza al referendum rimesso alla sua iniziativa. Il referendum è un istituto comprensibile in un Comune o in una Regione, ove si tratta di problemi locali che interessano direttamente i cittadini, ma non è altrettanto concepibile nell’ambito nazionale di quasi cinquanta milioni di abitanti, ove si tratta di mobilitare milioni di elettori.

Rileva la gravità della disposizione contenuta nell’articolo 1 del progetto Mortati, che dà unicamente al Capo dello Stato, e senza alcuna modalità, la facoltà di indire un referendum su disegni di legge rigettati dal Parlamento e su leggi a lui sottoposte per la promulgazione. Osserva che è enorme dare ad una sola delle due parti in causa la facoltà di indire il referendum e che questo potrebbe dare i più strani risultati, se non fosse preparato da una adeguata agitazione del problema in seno alle masse degli elettori.

Conclude dichiarandosi favorevole al referendum nell’ambito dei Comuni e delle Regioni, ma osservando che esso presenta molti pericoli quando sia attuato su scala nazionale, a meno che non si prevedano restrizioni e modalità tali da rendere molto grave e raro il ricorso a questo istituto.

EINAUDI rileva l’importanza delle osservazioni dell’onorevole Fabbri, e osserva a sua volta che non esistono Paesi nei quali il referendum, pure essendovi praticato da molto tempo, non abbia dato luogo alle stesse osservazioni. Anche in Svizzera, dove il referendum è applicato con frequenza, i suoi risultati non sono stati sempre soddisfacenti, perché molto spesso gli elettori hanno mostrato di non interessarsi alle questioni che venivano loro proposte. Il problema principale è quello di distinguere tra gli argomenti che meritano di essere sottoposti a referendum e quelli che non lo meritano; ma questo non può essere risolto che dagli elettori nell’atto stesso in cui si recano alle urne.

Inoltre, nel progetto dell’onorevole Mortati è contemplato soltanto il caso di referendum sulle leggi, le quali sono composte quasi sempre di più articoli, mentre un referendum significativo deve essere raccolto su una domanda chiara ed univoca, alla quale si possa rispondere solamente con un «sì» o con un «no».

UBERTI si dichiara favorevole all’istituto del referendum, perché esso ha il suo fondamento nella democrazia che appunto si sta attuando. Ritiene che il referendum a carattere nazionale debba avere alcune limitazioni, ed è comunque convinto che sarà applicato solo per questioni di grande importanza.

Propone che nell’articolo 7 del progetto, dove si dice che gli Statuti regionali potranno disporre per la formazione delle leggi regionali l’uso del referendum, sia estesa la possibilità di impiegare il referendum anche ai Comuni per le deliberazioni comunali. Fa presente a tale proposito che la facoltà concessa al popolo di esprimere il suo pensiero su determinati problemi amministrativi è di importanza radicale, specialmente da che è stato abolito il controllo di merito, controllo che sarebbe fatto dalle popolazioni stesse attraverso il referendum, indetto dall’amministrazione o richiesto da un ventesimo degli abitanti.

Insiste ancora sull’opportunità di affermare nella maniera più ampia possibile il referendum comunale, stabilendo che quando una deliberazione dell’Amministrazione superi un limite determinato di spesa, si debba, in sostituzione del controllo di merito, ricorrere al referendum. Vorrebbe inoltre che l’impiego del referendum nei riguardi degli Statuti regionali, oltre che ai casi contemplati nell’ultima parte dell’articolo 7, fosse esteso ad altre questioni, quali l’assunzione diretta dei pubblici servizi, la contrazione di prestiti non destinati alla conversione di debiti precedenti, l’esecuzione di una grande opera pubblica, la costituzione di un consorzio comunale, ecc. Non escluderebbe inoltre il referendum per le leggi riguardanti i Comuni, perché in materia di finanza locale sarebbe utile ricorrere a questo istituto come forma di controllo diretto da parte della popolazione.

AMBROSINI si dichiara favorevole all’adozione del sistema proposto, pur rendendosi conto delle obiezioni che esso ha sollevato, le quali sono giustificate da un punto di vista astratto, ma potranno essere facilmente superate nella soluzione concreta dei vari problemi.

Osserva che i regimi costituzionali non sono così razionalizzati da escludere dal proprio complesso elementi di altri regimi, e che, come nel regime parlamentare può essere introdotto qualche elemento del regime presidenziale, così vi può essere accolto qualche elemento del sistema della democrazia diretta, quale è appunto il referendum.

Circa le difficoltà di attuazione pratica cui è stato accennato, rileva che, per quanto riguarda l’ampiezza del territorio dello Stato, non è da escludere che il referendum possa funzionare anche in grandi Stati per quei problemi che interessano tutta la popolazione; e, per quanto riguarda la materia, il referendum potrà essere agevole anche per le leggi, nei cui riguardi il popolo sarà chiamato a pronunciarsi non sulle singole disposizioni, ma soltanto sul loro spirito animatore.

NOBILE dichiara di non voler entrare in merito alle ragioni politiche del progetto in esame, ma di essere rimasto impressionato dalle osservazioni dell’onorevole Einaudi, ritenendo anch’egli che possano essere sottoposte a referendum popolare soltanto questioni ben determinate, come potrebbe essere, ad esempio, quella se si debba introdurre o no il divorzio. Trova poi assai grave che si lasci all’arbitrio del Capo dello Stato la facoltà di sottoporre un progetto di legge già approvato dal Parlamento al giudizio popolare, quando la volontà del popolo ha già nel Parlamento la sua espressione.

Rileva nel progetto in esame incongruenze di carattere tecnico. Per esempio, all’articolo 1 viene data facoltà al Capo dello Stato di indire il referendum senza alcuna distinzione né sulla materia della legge, né sul modo con cui questa è stata approvata, cosicché il Capo dello Stato potrebbe sottoporre a referendum una legge approvata con enorme maggioranza dal Parlamento, e questa legge riceverebbe il voto di una minoranza della popolazione, quando la maggioranza di questa si assentasse dalle urne. Ritiene che non si possano concedere poteri così larghi al Capo dello Stato, tanto più che questi non è tenuto a consultarsi con nessuno all’infuori del Capo del Governo.

All’articolo 2, dove è detto che un ventesimo degli elettori iscritti potrà richiedere il referendum su una legge approvata dal Parlamento, fa osservare che la disposizione è inutile, perché quel ventesimo degli elettori può sempre incaricare i propri rappresentanti in Parlamento di muovere obiezioni al disegno di legge mentre esso viene discusso; e che in ogni modo la quota di un ventesimo è troppo esigua, perché corrisponde solo al cinque per cento dei deputati. Rileva inoltre che nel progetto non si dice che cosa avverrebbe se il voto del referendum fosse contrario ad una determinata legge, mentre si dovrebbe stabilire quale effetto ciò produrrebbe.

MORTATI, Relatore, dichiara di essersi astenuto intenzionalmente dal prevedere questa ipotesi.

NOBILE osserva che l’articolo 3 dice che l’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto redatto in articoli da parte di almeno centomila elettori.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Nobile che la disposizione dell’articolo 3 è stata approvata, ma non ha a che vedere con la questione del referendum.

NOBILE rileva un’incongruenza anche nell’articolo 4, dove si dice che una proposta disapprovata dal voto popolare non può essere ripresentata, se non siano trascorsi almeno due anni dal rigetto, mentre potrebbe trattarsi di una legge votata dal Parlamento a maggioranza schiacciante, e respinta in sede di referendum da una esigua minoranza degli elettori.

PERASSI dichiara di concordare con l’onorevole Laconi circa l’opportunità di estendere il referendum ai Comuni. Nella Costituzione dovrebbe essere indicato che la legge che disciplinerà i Comuni stabilirà quali sono le deliberazioni che dovranno essere sottoposte al referendum, sia obbligatoriamente, sia su richiesta di un certo numero di elettori. Per le Regioni si dovrebbe indicare che la materia sarà disciplinata dallo Statuto regionale.

Passa quindi a considerare il referendum nazionale, nella sua forma più accettabile, che è quella del referendum facoltativo su richiesta di un certo numero di elettori, ed osserva che la quota di un ventesimo degli elettori fissata nell’articolo 2 è sufficientemente elevata, perché il referendum possa avere una base seria. Ritiene opportuno introdurre qualche limitazione, escludendo il ricorso al referendum quando la legge sia dichiarata vigente con un’esplicita dichiarazione delle Camere che l’hanno votato e quando la legge sia stata votata dal Parlamento con maggioranza elevata.

Esprime i suoi dubbi sull’opportunità della disposizione contenuta nella seconda parte dell’articolo 3 per la quale, se un progetto di legge presentato al Parlamento da un determinato numero di elettori non è preso da quello in considerazione, o è modificato, o respinto, il progetto stesso deve essere sottoposto alla votazione popolare. Rileva a questo riguardo che, per esempio, nella Svizzera, dove è in vigore il sistema del referendum, non è prevista l’iniziativa popolare con questo effetto in materia di legislazione ordinaria, ma soltanto in materia di legge costituzionale.

Si dichiara anche perplesso circa la dizione del secondo comma, nel quale è detto che il Capo dello Stato ha facoltà di sottoporre a referendum i disegni di legge respinti dal Parlamento, e la stessa perplessità manifesta per la prima parte dell’articolo riguardante la facoltà del Capo dello Stato di indire il referendum su una legge già votata dal Parlamento ed a lui presentata per la promulgazione. Ritiene che questa facoltà dovrebbe esser limitata al caso in cui la legge fosse stata votata dal Parlamento con maggioranza non molto elevata.

Con questi rilievi dichiara di poter aderire al progetto presentato dall’onorevole Mortati.

LAMI STARNUTI dichiara di non poter essere contrario al progetto, perché il referendum è una forma di democrazia diretta; ma di ritenere che la partecipazione popolare all’attività legislativa debba essere contenuta entro giusti limiti. A tale scopo giudica opportune le restrizioni proposte dall’onorevole Perassi per il caso di leggi dichiarate urgenti o votate a maggioranza qualificata. Ricorda che la prima Sezione ha votato una disposizione analoga sulla revisione della Costituzione, ed osserva che a maggior ragione quello stesso criterio deve essere introdotto nel progetto dell’onorevole Mortati.

Circa la questione sollevata dall’onorevole Fabbri, si dichiara personalmente del parere che le astensioni non debbano essere tenute in conto: chi non vota non può pesare sulle deliberazioni del corpo elettorale. È vero che l’assenza di una grande parte del corpo elettorale dal referendum toglie a questo molto del suo valore; ma a tale inconveniente si rimedia col fissare una quota elevata di elettori per la richiesta del referendum, come è appunto quella di un ventesimo proposto dall’onorevole Mortati, la quale garantisce che si tratta di un problema che ha veramente agitato la coscienza popolare.

Si dichiara invece nettamente contrario all’articolo 1 del progetto, non trovando né giusto né conveniente che il Capo dello Stato possa sottoporre a referendum una legge che egli dovrebbe promulgare, perché è opportuno che egli non entri nel merito di questioni politiche che è bene rimangano nel recinto del Parlamento, e perché non deve fare una politica personale. È vero che il provvedimento del Capo dello Stato porterebbe la controfirma del Capo del Governo, e che probabilmente senza l’assenso e l’adesione del Capo del Governo il Capo dello Stato non ricorrerebbe al referendum; ma se la legge favorevole al Governo è stata approvata dal Parlamento, il Capo del Governo non darà mai volontariamente il suo assenso alla richiesta di referendum; ché se, invece, il Governo è stato contrario al progetto di legge e non ha creduto di porre su di esso la questione di fiducia, sarebbe veramente strano il suo atteggiamento favorevole al ricorso al referendum su una legge che esso ha reputato di un valore ed una importanza secondario, tanto che non ha posto sopra di essa la questione di fiducia. Affinché, quindi, si abbia un referendum per iniziativa o per decreto del Capo dello Stato, bisogna presupporre una volontà del Capo dello Stato determinante la volontà del Governo.

D’altra parte, il coinvolgere il Capo dello Stato nelle competizioni politiche del Paese è rendere un cattivo servigio all’istituzione e quindi alla Repubblica, poiché nel caso che il risultato del referendum fosse favorevole alla legge approvata dal Parlamento, il Capo dello Stato dovrebbe rassegnare le dimissioni. Il referendum facoltativo dovrebbe quindi essere limitato ai casi di iniziativa popolare.

Circa i tre casi previsti dal progetto Mortati per il referendum facoltativo, per i primi due si riferisce alle favorevoli osservazioni già fatte dall’onorevole Perassi; per il terzo, riguardante l’abrogazione di una legge già in vigore, si richiama egualmente al principio affermato dall’onorevole Perassi. Con queste restrizioni, dichiara di accettare di massima il progetto sul referendum, riservandosi di esaminare specificatamente, in sede di discussione dell’articolo 7, la questione del referendum nelle Regioni e nei Comuni, a cui è favorevole con alcune correzioni che gli sembrano necessarie.

RAVAGNAN fa rilevare la gravità delle disposizioni contenute nell’articolo 1 del progetto, il quale dà in sostanza facoltà al Capo dello Stato di entrare in conflitto permanente col Parlamento, e di risolvere questo conflitto a suo favore con un appello diretto a sollevare il Paese contro quel Parlamento che il Paese stesso ha eletto. Ritiene che con questo articolo si introduca nella Costituzione una modificazione sostanziale del regime costituzionale a cui si ispira il progetto, che è quello di una Repubblica parlamentare, trasformandolo in un regime presidenziale. La concessione indiscriminata della facoltà di chiedere al Paese di rigettare una legge approvata dal Parlamento farebbe degenerare la lotta intorno a questa legge in una lotta pro e contro il Capo dello Stato che, in caso di decisione sfavorevole, dovrebbe dare le sue dimissioni. Propone perciò che l’articolo 1 venga soppresso.

BULLONI si dichiara contrario al referendum su iniziativa del Capo dello Stato, perché contrastante con la natura stessa dell’istituto, e fonte di contrasti pregiudizievoli per il prestigio del Capo dello Stato e delle due Camere. È invece favorevole al referendum richiesto dagli elettori con le limitazioni indicate dall’onorevole Perassi nel numero di 250.000, ritenendo eccessivo il ventesimo degli elettori iscritti, proposto dall’onorevole Mortati.

MANNIRONI si dichiara favorevole in linea di massima al progetto dell’onorevole Mortati, associandosi alle considerazioni fatte in proposito dagli onorevoli Uberti e Ambrosini.

Accetta le modificazioni proposte dall’onorevole Perassi, miranti ad escludere il referendum di iniziativa popolare nei casi di leggi dichiarate urgenti o approvate dal Parlamento con forte maggioranza, proponendo però a sua volta che i casi di urgenza siano riconosciuti da una maggioranza qualificata delle due Camere e non dichiarate tali d’arbitrio dal Capo dello Stato o dal Capo del Governo o dalle stesse Camere a maggioranza semplice.

È invece contrario alla tesi dell’onorevole Bulloni, poiché ritiene che non possa essere negato al Capo dello Stato il diritto di intervenire per provocare un referendum. Osserva a questo proposito che si parla con eccessiva diffidenza della posizione del Capo dello Stato. In sostanza, occorre tener presente che col referendum è sempre il popolo che decide se una legge debba essere o no approvata, mentre il Capo dello Stato interviene soltanto come supremo regolatore della vita della Nazione per proporre un giudizio. Questo giudizio è rimesso alla sovranità popolare, la quale può anche mettersi in contrasto, su una determinata questione, col Parlamento che essa stessa ha eletto, senza che per questo l’ordinamento dello Stato ne sia sovvertito. Se non si vuole che il Capo dello Stato sia un semplice passacarte, gli si deve riconoscere anche questo diritto di intervenire almeno per provocare un referendum che rimetta al popolo il giudizio finale su una determinata legge.

Conclude dichiarando che voterà a favore del progetto Mortati, compreso l’articolo 1, salvo qualche leggera modifica che si riserva di proporre a mano a mano che saranno presi in esame i singoli articoli.

CAPPI si dichiara favorevole all’articolo 1 del progetto Mortati, perché il negare la possibilità di un conflitto tra Parlamento e popolo gli sembra contrario a quel dinamismo a cui tanto si tiene. Nei cinque anni che dura una legislatura può benissimo manifestarsi una frattura tra le esigenze del popolo e la volontà del Parlamento, e in questo caso impedire che il popolo possa esprimere la sua volontà non sarebbe conforme ai principî della democrazia. È però favorevole all’emendamento suggerito dall’onorevole Perassi circa la limitazione del referendum ai casi di leggi approvate o respinte dal Parlamento con lieve maggioranza, ed è invece contrario all’altro emendamento riguardante l’esclusione delle leggi dichiarate urgenti, perché la maggioranza potrebbe dichiarare urgente una legge a suo arbitrio. Per l’articolo 7 ritiene che basterebbe dire nella Costituzione che gli Statuti regionali disciplineranno l’istituto del referendum e per le Regioni e per gli altri enti minori.

Osserva infine, nei riguardi del referendum di iniziativa popolare, che, essendo stato approvato il principio dell’iniziativa parlamentare, vi sarà sempre nel Parlamento un rappresentante di quella corrente dell’opinione pubblica che ritenesse di dover proporre una determinata legge, il quale potrebbe proporla direttamente al Parlamento. Solo nel caso in cui questa legge fosse approvata o respinta con un numero di voti minore di una certa maggioranza da indicare, il referendum potrebbe essere chiesto.

LUSSU dichiara di concordare con gli onorevoli Perassi, Lami Starnuti e Ravagnan circa l’opportunità che l’istituto del referendum sia limitato a casi eccezionali, come è anche nella Costituzione francese, e sulla convenienza che l’istituto stesso sia esteso alle Regioni e ai Comuni. È anche d’accordo sulla necessità di non far intervenire il Capo dello Stato nelle lotte politiche e quindi sulla soppressione dell’articolo 1.

Ritiene che il referendum popolare debba essere ammesso soltanto per le leggi approvate dalle due Camere con maggioranza molto limitata; e che nei riguardi dell’articolo 3, la iniziativa debba essere limitata al caso contemplato nel secondo comma: «ove tale progetto, che deve essere presentato subito dal Governo al Parlamento, non venga nel termine di sei mesi dalla presentazione preso in considerazione, o sia rigettato, o sottoposto a emendamenti, si deve procedere a referendum». Non ammetterebbe il caso finale: «quando la richiesta degli elettori sia rivolta all’abrogazione di una legge già in vigore».

Per quanto riguarda la maggioranza valevole per il referendum, dichiara di accettare quanto ha proposto l’onorevole Mortati, che cioè basta la maggioranza dei voti espressi.

LA ROCCA osserva che l’articolo 1 del progetto attribuisce al Capo dello Stato un vero e proprio diritto di veto, con la facoltà di sospendere una legge approvata e sottoporla all’approvazione di tutta la Nazione. Più grave, poi, la facoltà di indire il referendum su una legge rigettata. In tal modo si rende il Capo dello Stato arbitro di tutta l’attività legislativa.

Circa il resto del progetto si rimette a quanto hanno detto i Commissari del suo gruppo.

FUSCHINI si dichiara contrario all’articolo 1 che concede al Capo dello Stato poteri suscettibili di creare situazioni oltremodo imbarazzanti. Il riportare davanti agli elettori un disegno di legge rigettato dal Parlamento costituisce un fatto molto grave, perché crea con una legge costituzionale un urto tra Parlamento e popolo. Ove il popolo approvasse un disegno di legge rigettato dal Parlamento, le due Camere dovrebbero essere sciolte, non potendo un Parlamento restare in carica dopo la manifestazione di sfiducia fattagli dal popolo. Con ciò si svaluta l’istituto della rappresentanza parlamentare, perché il rappresentante deve presumere sempre di avere la fiducia del suo rappresentato. La facoltà, poi, del Capo dello Stato di indire il referendum su leggi approvate metterebbe il Capo dello Stato in urto col Parlamento e in qualche caso anche col popolo. Si dichiara pertanto contrario all’articolo 1, anche con gli emendamenti proposti dall’onorevole Perassi.

Circa l’articolo 6, ove si parla dei voti espressi, osserva che occorre richiedere la partecipazione al referendum di non meno di due quinti degli elettori iscritti, per evitare che una piccola minoranza possa modificare la situazione politica esistente.

EINAUDI non è rimasto persuaso delle due riserve fatte dall’onorevole Perassi che, in sostanza, si riducono ad una sola, poiché non ritiene che si possa escludere il referendum soltanto perché vi sia una dichiarazione d’urgenza fatta a maggioranza semplice.

Si tratta di vedere se una legge approvata a maggioranza qualificata possa o non possa essere sottoposta a referendum. Il dubbio gli viene dalla considerazione relativa alla situazione attuale di parecchi Parlamenti composti di molti gruppi politici, in cui le leggi sono spesso il frutto di compromessi ed accordi. In queste condizioni, disegni di legge che rappresentino soltanto la volontà di piccole minoranze di elettori possono essere approvati da una grande maggioranza del Parlamento.

Ritiene che questo sia un caso in cui è più che mai necessario ricorrere al referendum e che non abbia perciò una grande importanza la questione dell’entità della maggioranza che ha approvato la legge.

Dichiara che in linea di principio il referendum deve essere ammesso, perché è un correttivo del sistema della rappresentanza con un elemento della democrazia diretta. Ciò che potrà dargli successo è la formulazione dei quesiti che si sottoporranno al popolo. Perciò ritiene opportuno fissare la discussione su questo punto: quale è il quesito da sottoporre al popolo.

GRIECO è contrario all’articolo 1 del progetto Mortati, poiché altera il sistema rappresentativo, conferendo al Capo dello Stato una facoltà molto pericolosa. Il Capo dello Stato deve essere il regolatore supremo della vita del Paese, e la funzione di cui all’articolo 1 lo mette in condizione di determinare dei contrasti anche là dove non ne esistono.

D’altra parte, si deve tener presente che il Capo dello Stato ha ricevuto i suoi poteri dalle due Camere riunite. Facendo appello direttamente al popolo, egli le scavalcherebbe. Ritiene che neanche nei regimi presidenziali esista una tale facoltà, in cui è qualche elemento da colpo di Stato assai pericoloso.

Inoltre, un abuso del referendum appesantirebbe il sistema. Ora, se il progetto Mortati offre garanzie contro questo abuso per la parte che si riferisce al referendum nazionale, rimane da esaminare a suo tempo se non si debba trovare una remora anche all’abuso del referendum negli enti locali, sebbene in questo campo il pericolo sia meno grave.

Ricorda che è già stato approvato il referendum obbligatorio per la revisione della Costituzione. Le altre forme di referendum, nel progetto dell’onorevole Mortati, sono facoltative. La parte più viva ed interessante del progetto è quella relativa all’iniziativa popolare, la quale deve essere mantenuta; si può discutere se la formulazione Mortati soddisfi tutti i Commissari; ma è certo che l’iniziativa popolare è quella che giustifica in modo più solenne il ricorso a questo strumento della democrazia.

L’onorevole Cappi ha obiettato che vi sarà sempre almeno un deputato che potrà rendersi interprete di una corrente esistente nel Paese e presentare un disegno di legge, evitando di mettere in moto il meccanismo del referendum. È da augurarsi che vi sia sempre un deputato che senta la corrente del Paese e se ne renda interprete, perché ciò renderà non necessario un referendum; ma l’affermazione nella Costituzione del diritto di un certo numero di cittadini di chiedere il referendum deve rimanere.

Ritiene che il numero di elettori necessario per presentare la richiesta del referendum non dovrebbe essere molto basso.

L’onorevole Fabbri ha posto un problema che ha dichiarato pregiudiziale a tutta la discussione, quello del quorum dei votanti necessari alla validità della votazione. L’onorevole Fuschini è andato incontro a questo desiderio esprimendo una opinione concreta: personalmente dichiara di essere molto incerto se si possa rispondere al quesito posto dall’onorevole Fabbri.

È evidente che l’astensione di un notevole gruppo di elettori, se non ha valore per il computo dei voti, ha tuttavia un valore politico ed un Governo che rifletta deve tener conto delle astensioni. Un referendum che non trovasse rispondenza nel popolo costituirebbe un problema da esaminare in sede parlamentare.

Ma la fissazione di un quorum per la validità del referendum può aprire delle controversie in sede di legge elettorale; perché, fissando un quorum per il referendum, bisognerebbe fissarlo anche per le leggi elettorali. È perciò contrario alla fissazione di un quorum.

Il problema può essere risolto solo attraverso la messa in moto di tutta la macchina politica del Paese e attraverso l’esercizio della democrazia. Sarebbe bene, a questo proposito, che l’istituto del referendum fosse anzitutto esperimentato dagli enti locali.

TOSATO si dichiara favorevole al potere concesso con l’articolo 1 al Capo dello Stato. Le difficoltà che sono state sollevate contro questo articolo servono a chiarire e a stabilire le diverse posizioni sulla figura del Capo dello Stato. Si è detto che egli scavalcherebbe le Camere stesse da cui proviene; ma allora non si comprenderebbe quale sarebbe la sua funzione, cioè se invece di essere Capo dello Stato, non diverrebbe capo dell’Assemblea Nazionale. Se si concepisce il Capo dello Stato come rappresentante dell’Assemblea Nazionale, evidentemente egli deve conformarsi al volere delle due Camere senza alcun potere di carattere sostanziale, per quanto limitato; ma se, viceversa, ha una sua funzione, egli necessariamente deve avere anche la possibilità di opinioni in qualche caso, sia pure rarissimo, diverse da quelle delle Camere.

Si è già attribuito al Capo dello Stato il potere di sciogliere anticipatamente le Camere, partendo dalla considerazione che il periodo di cinque anni di durata normale di quelle è molto lungo e che modificazioni possono determinarsi nel frattempo nell’atteggiamento del corpo elettorale. Ora, per quanto riguarda in particolare la materia legislativa, si deve tener presente che il Capo dello Stato non vi partecipa, avendo egli solo un potere esecutivo, e la vera ipotesi per la quale può servire il potere concesso dall’articolo 1 è quella prospettata dall’onorevole Lami Starnuti, cioè che Governo e Parlamento si trovino d’accordo in un determinato progetto di legge, a cui invece il Capo dello Stato sia contrario. Concedendo al Capo dello Stato la facoltà di sottoporre il progetto approvato dalle due Camere a un referendum non gli si concede un potere dittatoriale, perché egli non farà che rimettere la decisione alla volontà popolare. Ove il popolo approvasse quello che è stato approvato dalle Camere, il Capo dello Stato dovrebbe dimettersi. Nessun pericolo, dunque; ed è bene mantenere la possibilità che, in determinate situazioni particolarmente gravi, una persona assuma su di sé l’estrema responsabilità di opporsi alla volontà delle Camere, ricorrendo direttamente al responso della volontà popolare.

PRESIDENTE dichiara di vedere nell’istituto del referendum una forma del controllo popolare, e di ritenere che, come tale, esso debba essere introdotto nella Costituzione. All’obiezione che questo controllo si esercita anche con le elezioni, risponde che il controllo sull’attività svolta dai rappresentanti che hanno ricevuto il mandato non può esercitarsi se non per mezzo del referendum. Ma questo deve esser limitato al caso dell’iniziativa popolare.

Osserva che la facoltà concessa al Capo dello Stato dall’articolo 1 del progetto Mortati non fa che ripresentare sotto altra forma quel diritto di sanzione che già è stato negato al Capo dello Stato, e non comprende perché, avendo negato questo diritto quando si trattava delle funzioni del Capo dello Stato, si debba concederlo ora a proposito di una questione non legata in modo specifico alle funzioni del Capo dello Stato stesso. Pertanto ritiene che la disposizione dell’articolo 1 non possa essere accolta.

Il Parlamento può essere soggetto ad errare; ma si deve tener presente che i suoi errori si manifestano quando vi è una discrepanza interna nel sistema, oppure quando v’è contrasto tra le due Camere. Se questo contrasto non esiste, si deve partire dal presupposto che non vi sia ragione di alcun intervento, perché il Parlamento rappresenta la volontà popolare. Se invece il contrasto tra Parlamento e Governo si manifesta in modo evidente, allora interviene il Capo dello Stato come colui che cerca di conciliarlo o ne affida la soluzione alla volontà del popolo.

Fa presente che tutto il sistema che si è costituito è formato in modo da escludere che nella vita dello Stato una persona sola possa avere un potere determinante. Ricorda che, discutendosi la questione della responsabilità del Consiglio dei Ministri, la maggioranza della prima Sezione ha espresso il parere che la responsabilità della politica generale del Governo sia del Consiglio dei Ministri e non del Presidente del Consiglio, proprio perché ha trovato preoccupante e pericoloso un particolare ed esclusivo potere affidato al Capo del Governo. Il caso in esame è analogo: si tratterebbe di un potere di carattere personale molto più grave, e pertanto ritiene che non possa essere concesso.

Si associa alle considerazioni svolte dall’onorevole Grieco a proposito della questione degli astenuti, facendo presente che, se si considera il quorum nel referendum, non si potrebbe non considerarlo nelle elezioni. Non si comprende perché un deputato eletto col voto del trenta per cento degli elettori debba essere riconosciuto come capace di esprimere la volontà di un determinato raggruppamento della popolazione, mentre poi quando il trenta per cento di quel gruppo popolare esprime direttamente la sua volontà, questa non dovrebbe avere valore. Non è pertanto d’accordo con l’onorevole Fabbri a questo proposito.

MORTATI, Relatore, si associa alle considerazioni fatte dal Presidente circa la questione del quorum che, se adottato, dovrebbe valere anche per le elezioni. Dichiara di essere favorevole al quorum solo a patto che si introduca il voto obbligatorio. Per quanto riguarda la questione dei votanti, cioè dei voti espressi, dichiara di essere favorevole a comprendere gli astenuti allo scopo di elevare la percentuale dei voti necessari per l’approvazione.

Circa l’articolo 1, pur aderendo a quanto ha detto l’onorevole Tosato, ritiene che non sia quella che egli ha formulato l’ipotesi più rilevante ai fini che lo hanno ispirato nel proporre questo articolo.

Quanto si è detto dagli avversari che questo articolo capovolge tutto il sistema che si è costruito, non si è tenuto esatto conto di tutti i vari elementi di questo congegno. Infatti, uno degli articoli approvati stabilisce che, se anche il Governo non è obbligato a dimettersi quando si abbia un voto contrario a una sua proposta, esso è obbligato a dimettersi quando vi sia un voto di sfiducia o di censura. Ora qual è l’ipotesi che si può formulare per rendere realizzabile l’articolo 1? È evidente che, se su un disegno di legge si è manifestato un dissenso radicale, questo dissenso deve portare a un voto di sfiducia che sarà provocato, se il Governo non ha la sensibilità di chiederlo, dalla maggioranza parlamentare. Ma in questo caso evidentemente il referendum non è possibile. L’ipotesi normale per l’applicazione dell’articolo 1 è quella in cui l’iniziativa del referendum sia presa non dal Capo dello Stato, ma dal Capo del Governo in dissidio con le due Camere, dissidio che non sia sboccato in un voto di sfiducia. In questo caso è utile, ai fini della stabilità della politica governativa, dare al Governo la possibilità di sentire il parere del popolo su questo dissidio.

Ritiene quindi infondata la preoccupazione suscitata dall’articolo 1 circa un potere personale del Capo dello Stato, perché il Capo dello Stato non potrebbe agire se non sotto la responsabilità del Capo del Governo, il quale non potrebbe dare un’adesione di pura compiacenza, perché assumerebbe con ciò una responsabilità ben grave, che potrebbe culminare in una eventuale accusa; e neppure la disposizione è pericolosa sotto l’aspetto dell’iniziativa presa dal Capo del Governo, il quale può prenderla sotto la sua responsabilità, giovando in tal modo alla stabilità della politica governativa.

Per quanto riguarda l’iniziativa parlamentare, dissente dal parere espresso dall’onorevole Cappi che un certo numero di elettori troveranno sempre un deputato disposto a proporre un determinato disegno di legge. Fa osservare a questo proposito che l’autorità dell’iniziativa di un solo deputato è ben diversa dall’autorità dell’iniziativa popolare. Quindi non è esatto che l’iniziativa parlamentare sostituisca quella popolare: centomila elettori hanno un peso politico ben superiore a quello di un gruppo di deputati. È quindi giusto che si apra la via a una iniziativa che ha un prestigio e una influenza politica molto superiore a quella dei singoli deputati.

A proposito dell’iniziativa popolare, non ritiene siano da accogliere le obiezioni dell’onorevole Lami Starnuti, il quale ha osservato che l’iniziativa del referendum, la quale potrebbe dar luogo all’annullamento di una legge approvata dal Parlamento a forte maggioranza, dovrebbe essere ammessa soltanto se decorso un certo limite di tempo dal momento dell’approvazione della legge stessa.

LAMI STARNUTI spiega di aver detto una cosa diversa, cioè che la richiesta di annullamento di una legge già in vigore non possa farsi quando la legge abbia ottenuto quella maggioranza qualificata di cui parlava l’onorevole Perassi; ma che, nonostante la legge abbia ottenuto al momento della sua approvazione la maggioranza qualificata, la richiesta di referendum possa essere avanzata, quando sia decorso un determinato numero di anni.

MORTATI, Relatore, osserva che in tal caso vi è un nesso tra le proposte degli onorevoli Lami Starnuti e Perassi e le osservazioni dell’onorevole Einaudi, le quali, a suo avviso, contrastano con una esigenza politica che può presentarsi nell’attuale situazione parlamentare.

Una maggioranza qualificata nel Parlamento potrebbe non corrispondere a una maggioranza nel Paese, e quindi il precludere in tal caso la possibilità di una iniziativa popolare sarebbe inopportuno. Circa poi l’ipotesi che il voto qualificato si riferisca alla dichiarazione dell’urgenza di un disegno di legge, ritiene che proprio in questo caso non dovrebbero porsi limiti di tempo alla richiesta di annullamento, perché la dichiarazione di urgenza potrebbe essere frutto di una manovra del Parlamento e non corrispondere alla natura della legge stessa.

Un punto molto importante, su cui è stata richiamata l’attenzione dall’onorevole Einaudi, è quello del modo con cui il popolo si deve pronunciare. Per questo punto il suo progetto rinvia alla legge, ma egli è stato in dubbio se convenisse aggiungere nella Costituzione due direttive per il futuro legislatore, una riguardante il congegno necessario per l’autenticità delle firme e l’altra riguardante le modalità del referendum. Ritiene che il popolo debba essere messo in grado di votare sapendo quello che vota, e che si dovrebbe addirittura dargli la possibilità di esprimere emendamenti su un progetto e quindi di rinunciare al segreto del voto.

Conclude dichiarando che, se la Sottocommissione sarà d’accordo sull’opportunità di fissare qualche linea direttiva destinata ad ispirare la futura legge sul referendum, egli sarà lieto di dare il suo contributo a questa formulazione.

BULLONI osserva che il venti per cento degli elettori corrisponde ad 1.600.000 elettori, e che l’istituto del referendum si renderebbe praticamente non sperimentabile, se si dovessero chiedere 1.600.000 firme. Il numero deve essere notevolmente ridotto, ed gli propone che sia ridotto a 500.000.

PRESIDENTE chiude la discussione generale.

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Tosato, Uberti, Terracini.

Assenti: Bordon, Cannizzo, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Leone Giovanni, Porzio, Vanoni, Zuccarini.

 

GIOVEDÌ 16 GENNAIO 1947 (prima sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(PRIMA SEZIONE)

17.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 16 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Revisione della Costituzione (Seguito della discussione)

Presidente – Nobile – Perassi – Lussu – Rossi Paolo, Relatore – Fuschini – Einaudi – Fabbri – Tosato – Mortati – Grieco – Piccioni – Lami Starnuti.

La sedata comincia alle 18.

Seguito della discussione sulla revisione della Costituzione.

 

PRESIDENTE riassume la discussione avvenuta nella seduta precedente, in cui si è stabilito che la revisione della Costituzione possa aver luogo ad iniziativa del Governo o del Parlamento, che nel procedimento di revisione debbano farsi intervenire le due Camere separatamente e non l’Assemblea Nazionale e che inoltre debba farsi ricorso anche alla espressione della volontà popolare.

Rammenta poi come sia stato ammesso il principio che, dopo la prima decisione, si debba procedere allo scioglimento delle Camere e come sia sorta la questione se debbano aversi due decisioni – una per la presa in considerazione e una seconda nel merito – ovvero se la decisione debba essere una sola e se questa debba avere il carattere di una presa in considerazione o investire il merito; in quest’ultima ipotesi non vi sarebbe possibilità per gli elettori di intervenire, provocando qualche modificazione alla decisione già presa.

Poiché rileva una certa contradizione fra l’appello agii elettori e il divieto di una qualsiasi modifica della decisione già presa, si domanda se vi sia un modo per mettere d’accordo questi due aspetti del problema.

NOBILE non ritiene che abbia ragione di essere lo scioglimento delle Camere in caso di risultato del referendum favorevole alla proposta di revisione da esse approvata; sarebbe invece opportuno, se il referendum desse un risultato in contrasto col loro voto favorevole, alla revisione.

PERASSI teme che la decisione presa ieri dalla Sottocommissione non sia stata sufficientemente meditata e sarebbe lieto se si convenisse di riesaminarla, sembrandogli strano che si possa ammettere il referendum per le leggi ordinarie e si debba invece escluderlo per la revisione della Costituzione. A suo avviso i due criteri si potrebbero conciliare, attribuendo un peso notevole alla deliberazione delle Camere: prevedendo, cioè, che la revisione costituzionale sia fatta dalle Camere col sistema della doppia lettura, a notevole intervallo di tempo l’una dall’altra e che il referendum sia escluso, se la proposta di revisione è votata da una maggioranza qualificata che si potrà determinare, ed ammesso, se questa maggioranza non sia raggiunta, su richiesta di un certo numero di cittadini.

PRESIDENTE domanda come ci si regolerebbe se il risultato del referendum fosse contrario alla volontà manifestata dalle Camere.

PERASSI fa osservare che questo è un problema diverso. Effettivamente in molti casi i risultati dei referendum sono contrari al voto delle Camere. Tenendo però presente l’esempio della Svizzera, non avrebbe difficoltà ad ammettere che, nonostante ciò, le Camere restassero in carica; ma si potrebbe anche stabilire che, in tale ipotesi, le due Camere fossero sciolte di diritto.

LUSSU dichiara che inizialmente era contrario al referendum, perché, non essendo sottoposta al referendum la Costituzione che si sta ora elaborando, trovava strano che dovessero esserlo le sue revisioni; ma, una volta assicurato che non si farà luogo a revisioni affrettate, stabilendo le garanzie di una maggioranza qualificata e di un notevole intervallo di tempo tra la prima e la seconda lettura (che, a conferirle maggiore solennità, pensava potesse esser fatta in seno all’Assemblea Nazionale), considera che il ricorso al referendum si avrebbe, su richiesta del corpo elettorale, soltanto se la decisione del Parlamento non fosse convincente.

Non vede la praticità del sistema proposto dall’onorevole Rossi che, a suo parere, potrebbe creare intralci e confusione; ed aderisce alla soluzione prospettata dall’onorevole Perassi.

ROSSI PAOLO, Relatore, si preoccupa soprattutto del valore politico del referendum e non ritiene che, in caso di risultato contrario, potrebbe in Italia accadere quanto accade in Svizzera. Non crede che anche una maggioranza di due terzi o di tre quinti possa significare che la Camera ha veramente interpretato la volontà del Paese, e che di conseguenza non vi sia ragione di procedere al referendum.

FUSCHINI osserva che il problema della revisione della Costituzione è di grande delicatezza e responsabilità e bisogna preoccuparsi di proporre un sistema che ne renda la soluzione né troppo facile né troppo difficile.

Distingue le riforme di importanza fondamentale da quelle secondarie, le quali possono riferirsi a norme – come ad esempio quelle riguardanti l’ordinamento regionale – delle quali, per la loro novità, non si può prevedere oggi con sicurezza il risultato pratico. Non ritiene quindi adatto né utile prescrivere, per la revisione della Costituzione, lo scioglimento delle Camere, che a suo parere non ha niente a che vedere con la situazione politica e che non troverebbe ragione di essere neppure di fronte ad una eventuale risposta negativa di un referendum.

Aderisce pertanto alle considerazioni esposte dall’onorevole Perassi nel senso che, prima di arrivare al referendum, si debba vedere se il congegno interno del Parlamento possa dare garanzia sufficiente di esame prudente ed avveduto. La presa in considerazione sboccherà normalmente nella nomina di una Commissione per l’esame approfondito della proposta, che potrà essere decisa col sistema di due o tre letture fatte a distanza di tempo, durante il quale intervallo la volontà del Paese avrà avuto modo di manifestarsi attraverso la stampa ed altre manifestazioni. Al referendum si dovrebbe arrivare solo per le modificazioni più importanti, su proposta anche di una sola Camera, ma approvata con una maggioranza da stabilirsi: l’iniziativa popolare, a suo giudizio, creerebbe agitazione nel Paese prima ancora dell’attuazione del referendum.

EINAUDI, poiché ritiene che agli elettori si debba presentare una proposta precisa, a cui essi debbano rispondere con un o con un no, non crede che la nuova Camera possa votare una riforma diversa da quella approvata dalla Camera precedente e sulla quale gli elettori si saranno pronunciati con le elezioni. Non vede poi chiaramente la differenza tra riforme principali e riforme secondarie; comunque, ritiene che queste ultime sia meglio non farle, perché si attuano automaticamente: col tempo, infatti, una disposizione viene diversamente interpretata per l’adattamento che se ne fa progressivamente alla mutata situazione. Ma, se si tratterà di una modificazione importante, crede si dovrà andare fino in fondo, fino allo scioglimento delle Camere ed al referendum. Il progetto dell’onorevole Rossi, che potrà essere modificato nei dettagli, rappresenta a suo avviso il meglio di quanto finora sia stato proposto.

FABBRI ritiene che l’automatico scioglimento delle Camere, previste dall’onorevole Rossi, non abbia molta rilevanza, e che invece il punto fondamentale di tale sistema consista nel voto assolutamente conforme della Camera che si scioglie e di quella nuova.

Siccome però, nell’intervallo fra le due legislature, nell’agitarsi dei diversi programmi dei partiti durante la campagna elettorale, gli elettori partecipano in certo modo alla discussione, si può dire che l’elemento della volontà popolare, relativa alla proposta revisione, sia decisivo nell’elezione della Camera nuova. Né, a suo giudizio, ha valore l’obiezione di una riforma molto urgente per la quale non sarebbe opportuno aspettare una seconda legislatura, perché in tal caso lo scioglimento delle Camere dipenderebbe da chi di ragione e l’automatismo non giocherebbe. Crede perciò che, anche eliminato l’automatico scioglimento delle Camere, il sistema proposto dall’onorevole Rossi sarebbe salvo nella sua sostanza, mentre verrebbe eliminato il ricorso al referendum, che ritiene possa prestarsi ad errate interpretazioni e quindi non rispondere allo scopo.

ROSSI PAOLO, Relatore, ha l’impressione che, senza l’automatico scioglimento delle Camere, la riforma costituzionale perderebbe il suo sapore di attualità con il rinvio alla successiva legislatura.

PRESIDENTE non comprende la preoccupazione dell’onorevole Einaudi che la nuova Camera possa eventualmente non modificare la decisione adottata dalla precedente. Ritiene che, in un primo periodo, la nuova Camera abbia il carattere di un’Assemblea costituente (per trasformarsi poi in Assemblea legislativa), e come tale non possa essere vincolata ad una formulazione precisa, tanto più che il problema prospettato dalla precedente Camera sarà stato già dibattuto avanti agli elettori durante i comizi elettorali.

Approva quindi il sistema congegnato dall’onorevole Rossi, il quale, mentre ammette il ricorso agli elettori per la formazione di una nuova Camera, non adotta il referendum, che, anche a suo giudizio, sarebbe inopportuno, in quanto non è previsto per l’approvazione della Costituzione che si sta elaborando.

NOBILE riterrebbe giustificato il sistema prospettato dall’onorevole Rossi del ricorso allo scioglimento delle Camere, solo quando si trattasse di una riforma fondamentale della Costituzione; ma se si tratta invece di piccole modificazioni di norme di dettaglio, di importanza relativa, trova eccessivo il ricorso agli elettori, i quali tra l’altro non avrebbero forse la competenza necessaria per decidere sulla questione loro prospettata. Ritiene assurdo che una Camera, competente a decidere su leggi che possono sconvolgere economicamente l’intero assetto del Paese, non abbia poi la facoltà di approvare – con una maggioranza qualificata – una piccola modificazione, ad esempio, dell’ordinamento regionale, il quale, congegnato forse senza un approfondito esame, potrebbe in pratica non rispondere allo scopo prefissosi. Ritiene poi che, durante il periodo della sua normale durata, la Camera non possa mai dirsi invecchiata, e ciò è anche dimostrato dal fatto che, praticamente, tutti concordano nel ritenere che lo scioglimento non avverrà se non negli ultimi mesi della legislatura. Pensa che al referendum si potrebbe invece arrivare qualora si trattasse di modificazioni su materie non essenzialmente politiche, come ad esempio sull’assetto della famiglia, ma sempre dopo l’approvazione della proposta da parte del Parlamento. Conclude affermando che ritiene la proposta Perassi la migliore di quelle presentate.

TOSATO ritiene che la proposta Rossi sia inscindibile tanto dallo scioglimento automatico delle Camere, che tende a concentrare l’attenzione del corpo elettorale su una determinata questione, quanto dal divieto di modificazioni della decisione presa dalla vecchia Camera; perché altrimenti molti elettori sarebbero posti nella difficile situazione di dover giudicare se una determinata questione rientri nell’indirizzo generale del partito a cui appartengono. Riterrebbe perciò miglior sistema quello del referendum.

Crede tuttavia che una decisione matura non possa prendersi altro che quando si sia visto quale maggioranza otterrà la Costituzione che si sta elaborando. Se fosse approvata con larga maggioranza, il problema della revisione si potrebbe risolvere richiedendo una maggioranza qualificata molto rilevante, ad esempio quella dei due terzi.

PRESIDENTE fa notare che non si può attendere l’approvazione della Costituzione da parte dell’Assemblea plenaria, per votare sulla questione della revisione.

MORTATI osserva che il sistema proposto dall’onorevole Rossi è congegnato sul modello della Costituzione belga del 1921 e di quella spagnola del 1931, le quali presuppongono la duplice legislatura e lo scioglimento automatico, ma ammettono però, a differenza della proposta dell’onorevole Rossi, la possibilità di emendamenti alla proposta di revisione: la prima Camera si limita ad una dichiarazione di revisione e si scioglie, e la nuova Camera statuisce senza limiti sul punto sottoposto a revisione. Se si accetta il presupposto che in sede di comizi elettorali si possa manifestare con particolare orientamento circa la riforma proposta, bisogna lasciare alla nuova Camera libertà di esame in base alle discussioni avvenute durante le elezioni. Ciò risponde del resto al postulato democratico dell’intervento popolare; altrimenti si porrebbe agli elettori un vincolo rappresentato dalla decisione della prima Camera. Converrebbe perciò adottare il sistema belga nella sua interezza. Ciò ha ritenuto opportuno precisare, a parziale modifica di quanto ebbe a dire nella seduta precedente.

GRIECO è d’accordo nell’idea di svincolare la nuova Camera dalle decisioni della Camera precedente.

PICCIONI, come non comprende perché un Parlamento si debba sciogliere soltanto in base alla delibazione di una riforma costituzionale, così ritiene artificiosa la tesi secondo la quale la nuova Camera avrebbe potere di costituente solo limitatamente a quella determinata proposta e poi soltanto veste legislativa. L’esempio della Costituzione francese non gli sembra citato a proposito, perché quella Costituzione è stata seguita dal referendum. È d’avviso che in pratica, nella fase di formazione di un’Assemblea che sarà costituente e legislativa, l’attenzione della pubblica opinione sarà orientata solo astrattamente verso il problema della riforma di una parte della Costituzione, mentre si indirizzerà soprattutto verso la funzione legislativa del nuovo Parlamento. Ad ogni modo si tratta, a suo giudizio, di impostazioni estremamente complicate e non aderenti alla realtà o alla funzione degli istituti democratici come sono da lui concepiti, per cui la via più giusta per giungere ad una riforma costituzionale ritiene sia quella del referendum, il quale potrebbe essere anche preventivo, diretto, cioè, ad accertare se la volontà popolare sia o no orientata verso la riforma proposta.

PRESIDENTE crede che ciò sia molto audace e nota che in Svizzera avviene l’inverso: il referendum vi è indetto per ratificare i deliberati dell’Assemblea.

PICCIONI nota che ogni Costituente è il risultato di un rivolgimento dell’opinione pubblica e non troverebbe nulla di strano che per la riforma di una parte della Costituzione si seguisse il criterio di dare la possibilità di esprimersi alla volontà popolare.

MORTATI ricorda che l’attuale Costituente è stata eletta ad hoc e già nel periodo della sua formazione si è sondata l’opinione pubblica ed i vari partiti hanno presentato i loro programmi circa il modo di elaborare la nuova Costituzione. Una Camera avvenire si suppone eletta per un compito normale di legislazione sicché, ove, nel corso della sua vita, si presentasse l’esigenza di una riforma costituzionale, si renderebbe necessaria una nuova consultazione dell’opinione del Paese.

PRESIDENTE osserva che le nuove elezioni dirimono a priori quella contraddizione eventuale che può sorgere dal referendum; altrimenti si giungerebbe al risultato di avere elezioni e referendum. Nota ad ogni modo che tutta la discussione fatta ha carattere di riesame del problema già ieri affrontato ed in parte risolto. Se vuole tornare sopra alle decisioni già prese, la Sottocommissione può farlo; ma è necessario presentare proposte concrete.

Osserva che ieri era stato deciso che nel procedimento di revisione dovesse farsi ricorso anche alla decisione della volontà popolare, ma che essa non dovesse manifestarsi nella forma del referendum.

Ripone in votazione il principio che il ricorso alla volontà popolare debba farsi con l’indire il referendum.

(Con 8 voti favorevoli e 6 contrari, è approvato).

Ricorda le formulazioni ieri proposte dagli onorevoli Tosato e Mortati.

PERASSI ha formulato anche lui una proposta del seguente tenore:

«L’iniziativa delle leggi costituzionali appartiene al Governo ed alle Camere.

«Le revisioni costituzionali devono essere adottate da ciascuna delle Camere in due letture, con un intervallo non minore di sei mesi. Per il voto finale in seconda lettura è richiesta la maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera.

«Una legge costituzionale, salvo che sia stata adottata in seconda lettura da ciascuna delle Camere con una maggioranza di due terzi dei suoi membri, è sottoposta al referendum popolare se ne è fatta domanda da 500.000 cittadini aventi diritto di voto».

LUSSU dichiara di approvare questa proposta.

FUSCHINI ritiene che la proposta dell’onorevole Perassi si possa accettare. Nota soltanto che, se la riforma è veramente necessaria, l’intervallo di sei mesi previsto fra le due letture diventa eccessivo, perché non si può lasciare per un così lungo periodo un carattere di provvisorietà ad una norma che può intaccare magari certe forme di libertà o la costituzione di importanti organismi. Propone quindi di ridurre l’intervallo a tre mesi o al massimo a quattro.

Quanto alla richiesta del referendum, non vorrebbe che si disturbassero gli elettori prima con la raccolta delle firme e poi con la votazione, e propone che sia senz’altro stabilito quando deve esser fatto.

PICCIONI propone di stabilire che debba farsi il referendum quando non sia raggiunta la maggioranza dei tre quarti dei membri di ciascuna Camera nell’approvazione della legge costituzionale.

NOBILE proporrebbe di ridurre questa maggioranza ai due terzi.

LAMI STARNUTI ritiene che per una proposta di revisione di scarsa importanza nessuno pretenderebbe il referendum, anche se la decisione non avesse conseguito l’approvazione dei due terzi o dei tre quinti: per questo preferirebbe il referendum facoltativo, che si farebbe solo quando la questione presentasse veramente un grande interesse.

PRESIDENTE rileva che si deve anche stabilire su richiesta di chi debba farsi il referendum, qualora la proposta non sia approvata con i due terzi, ovvero se, non raggiungendosi tale maggioranza, il referendum sia senz’altro obbligatorio. Nota che la richiesta può esser fatta o da una parte del Parlamento o da un certo numero di elettori.

NOBILE proporrebbe che la richiesta fosse fatta dai quattro decimi del Parlamento o dal Presidente della Repubblica.

FABBRI ritiene eccessiva questa quota: proporrebbe un quinto.

ROSSI PAOLO, Relatore, in via subordinata, preferirebbe che il referendum dovesse essere richiesto dal 10 al 20 per cento dell’Assemblea o da un gruppo di elettori.

PICCIONI e FABBRI rilevano che bisognerà anche stabilire il termine entro il quale il referendum dovrà essere richiesto.

PRESIDENTE osserva che a ciò potrà provvedere il regolamento; ad ogni modo si potrà dire: «se ne è fatta domanda entro tre mesi».

Pone pertanto ai voti la proposta dell’onorevole Perassi che, tenendo conto delle modificazioni proposte, è stata così definitivamente formulata:

«L’iniziativa delle revisioni costituzionali appartiene al Governo ed alle Camere.

«Le revisioni costituzionali devono essere adottate da ciascuna delle Camere in due letture con un intervallo non minore di tre mesi. Per il voto finale in seconda lettura è richiesta la maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera.

«Una legge di revisione costituzionale, salvo che sia stata adottata in seconda lettura da ciascuna delle due Camere con una maggioranza dei due terzi dei suoi membri, è sottoposta al referendum popolare se ne è fatta domanda entro tre mesi da un quinto dei membri di una Camera o da 500 mila cittadini aventi diritto di voto».

LAMI STARNUTI dichiara di astenersi dal voto in conseguenza del voto contrario espresso prima.

(È approvata).

NOBILE fa notare che, mentre si esige il 20 per cento dei membri delle Camere, si richiede soltanto il due per cento degli elettori, cioè 500 mila: propone che il numero di questi elettori sia portato ad un milione.

PRESIDENTE, per quanto si tratti di tornare su una decisione presa, non opponendosi alcuno, pone ai voti questa proposta.

(Non è approvata).

NOBILE propone allora un’aggiunta alla norma approvata, nel senso che il referendum sia ammesso anche se è richiesto da un quinto delle Assemblee regionali.

PERASSI si associa alla proposta dell’onorevole Nobile, perché le Regioni possono avere diretto interesse in una riforma che tocca il loro ordinamento.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Nobile che la richiesta del referendum possa esser fatta da un quinto delle Assemblee regionali.

(Non è approvata).

Fa notare che si è così completata la discussione sulla revisione della Costituzione.

La seduta termina alle 19.30.

Erano presenti: De Michele, Einaudi, Fabbri, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Rossi Paolo, Terracini, Tosato.

Assenti: Bordon, Cannizzo, Codacci Pisanelli, Finocchiaro Aprile, Vanoni, Zuccarini.

MERCOLEDÌ 15 GENNAIO 1947 (prima sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(PRIMA SEZIONE)

16.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 15 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Potere esecutivo (Seguito della discussione)

Nobile – Presidente – Einaudi – Grieco.

Revisione della Costituzione (Discussione)

Rossi Paolo, Relatore – Nobile – Presidente – Einaudi – Fabbri – Tosato – Perassi – Mortati – Vanoni – Lussu – Piccioni.

La seduta comincia alle 18.

Seguito della discussione sul potere esecutivo.

NOBILE, tornando sulle deliberazioni adottate nella precedente seduta in materia di ordinamento «amministrativo, fa presente un problema che ha una certa attinenza con quello del quale si è occupato l’onorevole Mortati, della corruzione dilagante tra i dipendenti dello Stato. È noto infatti che funzionari dello Stato, e in particolar modo ufficiali delle Forze armate, lasciato il servizio, formano delle ditte o si pongono alle dipendenze di aziende e, entrando in rapporti di affari con le Amministrazioni dello Stato, si giovano delle conoscenze e delle aderenze presso i Ministeri e gli Uffici ai quali appartenevano per ottenere forniture e ordinativi.

Al fine di evitare questo, che è uno dei casi più comuni di corruzione, propone di aggiungere agli articoli approvati nella precedente seduta, la seguente disposizione che, anche se in seguito non sarà, dal Comitato di coordinamento o dalla Commissione, ritenuta necessaria per una Costituzione, sarà utile per indicare quale è il pensiero della Sezione a tale riguardo:

«I funzionari dello Stato e gli ufficiali delle Forze armate che abbiano lasciato il servizio non possono aver rapporti di affari con le Amministrazioni alle quali appartenevano».

PRESIDENTE ricorda che l’onorevole Mortati ha ritirato la proposta che aveva presentato in proposito, poiché la Sezione ha ritenuto che la sua approvazione sarebbe equivalsa ad una condanna del comportamento dei funzionari dello Stato, la cui condotta non autorizza a sollevare alcun sospetto.

EINAUDI osserva che analogo problema si è già presentato frequentemente nell’Amministrazione delle finanze, dove alcuni funzionari hanno domandato di esser posti in quiescenza e poi, giovandosi in parte delle proprie amicizie, ma specialmente della notevole esperienza acquistata al servizio dello Stato, si sono trasformati in professionisti, dedicandosi alla difesa delle ditte private che prima avevano combattuto come procuratori delle imposte.

Dopo aver rilevato che ciò dipende, nella maggior parte dei casi, dal cattivo trattamento economico che lo Stato fa ai suoi dipendenti, pone il quesito se si debba impedire che funzionari di valore utilizzino in modo più remunerativo le proprie attitudini e le proprie cognizioni, anche se acquisito al servizio dello Stato.

NOBILE rileva che non intendeva riferirsi, con la sua proposta, al caso di funzionari che, trasformatisi in professionisti, si giovano dell’esperienza precedentemente acquisita al servizio dello Stato, il che può anche ammettersi, ma a quello più grave, di funzionari e di ufficiali delle Forze armate, i quali, divenuti rappresentanti di ditte fornitrici dello Stato, esercitano una vera e propria corruzione al fine di ottenere commissioni per le ditte che rappresentano.

GRIECO è del parere che la Sezione possa far propria la proposta dell’onorevole Nobile sotto forma di raccomandazione.

PRESIDENTE ritiene che, in ogni caso, sia opportuno limitare il divieto, contenuto nella proposta, ad un determinato periodo di tempo, trascorso il quale evidentemente tali collusioni divengono quasi impossibili, anche in seguito agli spostamenti dei funzionari che ricoprono le varie cariche nei Ministeri.

NOBILE ribadisce il concetto già esposto, cioè che la formula da lui proposta – che non ha alcuna difficoltà a modificare nel senso indicato dal Presidente – ha lo scopo di evitare che ex-dipendenti dello Stato entrino in rapporti di affari con le Amministrazioni dalle quali prima dipendevano e, mercé le loro aderenze, ottengano, a favore di ditte private, ordinazioni da parte dello Stato. Dichiara inoltre di essere disposto a trasformare la sua proposta in raccomandazione.

PRESIDENTE pone ai voti la raccomandazione proposta dall’onorevole Nobile, nei seguenti termini:

«La prima Sezione della seconda Sottocommissione esprime l’avviso che le future leggi sullo stato giuridico degli impiegati pubblici dispongano che i funzionari dello Stato e gli ufficiali delle Forze armate che abbiano abbandonato il servizio non possano per un termine congruo aver rapporti di affari con le Amministrazioni alle quali appartenevano».

(È approvata).

Discussione sulla revisione della Costituzione.

ROSSI PAOLO, Relatore, rileva che una Costituzione rigida – come quella che si sta elaborando – non può essere derogata con una legge ordinaria, ma solo attraverso una riforma da sottoporre, o alla votazione per referendum, o alla approvazione da parte di una maggioranza qualificata, o infine al parere favorevole dell’Assemblea Nazionale.

Considera particolarmente i tre sistemi accennati, osservando che nessuno di essi è scevro di difetti. Infatti, il semplice referendum, svolgendosi nello spazio di poche settimane, può non rispondere a sicure esigenze politico-sociali, rappresentando il prodotto di una concitazione momentanea piuttosto che l’epilogo del meditato esame di una necessità politica. Anche il sistema dell’approvazione da parte di una maggioranza qualificata di tre quinti o di due terzi, adottato da varie Costituzioni, non è né democratico né razionale, in quanto la richiesta di una maggioranza largamente qualificata renderà possibile alla minoranza di ostacolare sistematicamente una riforma della Costituzione, che sia sentita dalla maggioranza della popolazione, ponendo il Paese in una gravissima situazione. Infine anche il terzo sistema, quello cioè di deferire la riforma della Costituzione all’Assemblea Nazionale, non è soddisfacente, perché il carattere reale ed intrinseco di organo costituente manca ad una Assemblea formata dall’occasionale riunione delle due Camere.

Dato ciò, è del parere che una notevole garanzia possa essere costituita dalla procedura indicata nel seguente articolo che sottopone al parere dei colleghi:

«Ogni proposta di modificazione della Costituzione può essere introdotta dal Governo, o per iniziativa parlamentare, secondo l’ordinaria procedura dei progetti di legge, ma deve ottenere, in entrambe le Camere, una maggioranza pari almeno alla metà più uno dei membri che organicamente le compongono.

«La proclamazione stessa del risultato affermativo determina lo scioglimento del Parlamento.

«Entro novanta giorni saranno convocati i comizi elettorali e le nuove Camere dovranno entro un mese dalla loro rispettiva convocazione porre ai voti, senza emendamenti, il progetto già approvato dal disciolto Parlamento. Ove il progetto risulti confermato, a normale maggioranza, esso diventa legge costituzionale.

«Dopo il voto il Parlamento continua la sua ordinaria attività legislativa».

NOBILE dichiara di ritenere il sistema proposto illogico ed inopportuno, sia perché, nel caso che si ritenga necessario interpellare il popolo, è preferibile fare ricorso al referendum, sia perché non è, a suo avviso, concepibile che una Assemblea, nell’atto stesso di riconoscere la necessità di apportare modificazioni alla Costituzione, decida il proprio scioglimento.

PRESIDENTE rileva che il sistema suggerito dall’onorevole Rossi si avvicina ad una proposta fatta nella Commissione istituita presso il Ministero per la Costituente, in seno alla quale si ritenne che ogni modificazione costituzionale dovesse ottenere la ratifica popolare per mezzo delle elezioni, che naturalmente si farebbero in funzione di quella determinata riforma costituzionale, certamente riguardante qualche importante problema.

Quanto all’obiezione mossa dall’onorevole Nobile, secondo il quale nessuna Assemblea deciderà il proprio scioglimento, osserva che essa può valere nei riguardi della normale vita politica del Paese; ma se la riforma costituzionale riguarderà una questione che appassioni le masse popolari, difficilmente un’Assemblea eletta dal popolo riuscirà a sottrarsi alle pressioni esercitate dal Paese. Ritiene anzi che questo sistema possa costituire una garanzia dal pericolo che si addivenga troppo facilmente o rapidamente ad una modifica della Costituzione, perché l’Assemblea, prima di procedere al proprio scioglimento, non mancherà di esaminare a fondo il problema.

ROSSI PAOLO, Relatore, aggiunge che, nel caso in cui la soluzione dei problemi proposti non sia urgente, sarà sempre possibile all’Assemblea di temporeggiare e di decidere su di essi negli ultimi giorni della propria vita normale, in modo da limitare ad un breve periodo di tempo l’anticipazione dello scioglimento.

EINAUDI ritiene non determinante l’osservazione dell’onorevole Nobile, perché, a suo avviso, un ritardo nel decidere su tali questioni e quindi sullo scioglimento delle Assemblee può essere opportuno, in quanto può servire a saggiare l’importanza ed il valore della riforma che è stata richiesta.

NOBILE insiste nel ritenere non opportuna la proposta fatta dall’onorevole Rossi, la quale rende estremamente difficile la revisione della Costituzione, che invece, anche in considerazione delle molte innovazioni introdotte, dovrebbe essere facilitata.

Osserva, infatti, che la necessità di una riforma potrà presentarsi urgentemente pochi mesi dopo l’elezione delle nuove Camere, le quali, se non vorranno decretare subito il proprio scioglimento, produrranno con il loro comportamento un senso di avversione del Paese nei loro confronti.

Ritiene poi che, senza ricorrere al sistema di indire nuove elezioni, il tempo necessario per avere una conferma dell’importanza della questione costituzionale sollevata e per riflettervi sopra possa aversi anche col sistema della seconda lettura, che si può stabilire debba aver luogo a distanza di pochi mesi.

FABBRI è favorevole al sistema proposto dall’onorevole Rossi, il quale ammette la pronuncia del corpo elettorale che nominerà le nuove Camere sulla piattaforma di quella determinata questione su cui le due precedenti avranno espresso il loro parere, con giudizio conforme e separatamente l’una dall’altra.

TOSATO ritiene che non sia né opportuno né conveniente rimettere alla volontà del popolo la questione della riforma della Costituzione nel modo indicato dall’onorevole Rossi, poiché il popolo non potrà pronunciarsi specificatamente sul problema fondamentale della revisione, il quale non costituirà altro che uno dei punti che saranno discussi durante la campagna elettorale, dal momento che le Camere così elette continueranno, dopo essersi pronunciate sulla questione, a svolgere il loro normale compito parlamentare.

Rileva poi che tale sistema, oltre a ritardare la possibilità di una modifica della Costituzione con l’imposizione di una consultazione elettorale, racchiude anche l’altro inconveniente di stabilire che l’approvazione del progetto da parte delle nuove Camere debba aver luogo a maggioranza semplice, quella cioè richiesta per le leggi ordinarie. Con tale sistema si viene a perdere quella garanzia che la Costituzione, per la funzione specifica che ha, deve offrire alle minoranze, la cui manifestazione di volontà deve essere tenuta presente particolarmente in tali occasioni.

Per questi motivi, il procedimento della revisione costituzionale dovrebbe essere, a suo avviso, basato sui seguenti principî: richiesta di revisione dall’una o dall’altra Camera; decisione a maggioranza qualificata di due terzi o almeno di tre quinti dell’Assemblea Nazionale; sottoposizione della Costituzione con le modificazioni approvate dall’Assemblea Nazionale al referendum popolare.

ROSSI PAOLO, Relatore, osserva che, mentre l’onorevole Nobile trova il sistema da lui proposto eccessivamente rigido, l’onorevole Tosato richiederebbe invece un maggior rigore, e fa presente che le elezioni sono indette appunto sulla base della proposta di revisione costituzionale già approvata dalle Camere, e quindi non è necessario richiedere una votazione a maggioranza qualificata che può esporre al rischio di vedere una minoranza opporsi ad una modificazione insistentemente richiesta dalla maggioranza.

PERASSI riconosce l’opportunità di porre il parere delle due Camere a base della revisione costituzionale, ma ritiene che, per salvaguardare questo procedimento delicato, sia opportuno adottare, in luogo dei vari sistemi suggeriti, quello della doppia lettura, e lasciando un opportuno periodo di riflessione tra una votazione e l’altra.

Sarebbe poi d’avviso, per quanto riguarda il referendum, di non stabilirlo obbligatoriamente in ogni caso, ma di richiederlo soltanto quando la modificazione costituzionale non fosse approvata da una maggioranza notevolmente elevata.

NOBILE presenta la seguente proposta:

«La revisione della Costituzione deve essere decisa con una deliberazione a maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea Nazionale.

«Approvata la modificazione proposta dall’Assemblea Nazionale, essa, a distanza di tre mesi, viene di nuovo portata alla discussione dell’Assemblea Nazionale per una seconda approvazione a maggioranza relativa.

«Dopo di ciò, la proposta modificazione viene sottoposta a referendum popolare, a meno che nella seconda lettura la proposta sia stata approvata dall’Assemblea con la maggioranza di due terzi».

FABBRI ripete di associarsi alla proposta e alle considerazioni contenute nella relazione dell’onorevole Rossi e dichiara di dissentire dall’onorevole Tosato circa l’opportunità di richiedere per la revisione della Costituzione una maggioranza qualificata.

TOSATO replica che la richiesta di una maggioranza qualificata risponde al principio della stabilità.

MORTATI constata che finora è stato da tutti dato per ammesso il principio che la Costituzione debba essere rigida, e rileva che, circa il metodo della revisione della Costituzione, si dovrebbe partire da due criteri direttivi: quello di diluire nel tempo il procedimento di revisione – al fine di accertare la rispondenza della proposta di revisione ad esigenze veramente sentite e stabili – e l’altro di ammettere in una forma o in una altra l’intervento del popolo nel procedimento di revisione – poiché altrimenti una Costituzione non potrebbe considerarsi veramente democratica.

Osserva poi che l’iniziativa, oltre che al Governo e alle Camere, dovrebbe essere concessa anche al popolo, sia perché ciò costituirebbe una più completa attuazione del principio democratico, sia perché in tal modo si ovvierebbe all’inconveniente cui darebbe origine il sistema suggerito dall’onorevole Rossi che, collegando la richiesta di revisione da parte delle Camere allo scioglimento del Parlamento, renderebbe quest’ultimo più restio a procedere alla riforma.

Ritiene opportuno che si scinda la fase dell’iniziativa in due momenti che, tenendo presenti i principî dianzi esposti, separerebbe con un congruo intervallo di tempo: il primo, che si concluderebbe con un voto circa la presa in considerazione della proposta di revisione; il secondo, che terminerebbe con un voto di approvazione del progetto di revisione, che potrebbe essere dato dall’Assemblea Nazionale o, separatamente, dalle due Camere.

Al quesito se sia preferibile che l’intervento popolare debba manifestarsi nella forma del referendum o in quella delle nuove elezioni conseguenti allo scioglimento delle Camere, risponde che ciò è in relazione alla situazione politica del Paese. Data la situazione dell’Italia, dove lo schieramento politico è tutt’altro che deciso e tale da non fornire indicazioni sufficientemente precise, è del parere che sia preferibile il ricorso ad un referendum – naturalmente a maggioranza semplice – che dovrebbe seguire l’approvazione da parte delle Camere. Rimarrebbe infine da decidere – nel caso che il referendum desse esito affermativo – la sorte delle Camere che hanno proposto ed approvato la revisione costituzionale; ed a questo proposito osserva che sarebbe forse preferibile evitare lo scioglimento delle Camere, al fine di rendere il procedimento meno macchinoso e più adeguato alle esigenze esposte dai vari oratori.

PRESIDENTE, tenendo presenti le osservazioni fatte dall’onorevole Mortati, esprime l’avviso che la Sezione debba anzitutto pronunciarsi sul quesito se la Costituzione debba o meno considerarsi rigida (poiché il tacito consenso della maggioranza dei Commissari potrebbe in futuro dar luogo a contestazioni), decidendo in subordine se la rigidità debba essere notevole o soltanto tale da salvaguardare da eventuali colpi di testa.

Esprime a tale proposito il parere personale che la difficoltà del meccanismo di revisione non debba essere tale da rendere difficilissima una revisione; e poiché tutti i sistemi che abbinano la deliberazione delle Assemblee con il referendum sono molto complessi, pensa che si debba scegliere tra l’una o l’altra forma.

Osserva che il referendum ha già di per sé un carattere decisivo; ed aggiunge che per esso non si richiede, di solito, la maggioranza qualificata, bensì quella semplice. Ad ogni modo, anche su ciò la Sezione potrà esprimere il proprio parere.

Riterrebbe però più opportuno affidare la revisione costituzionale alle Assemblee rappresentative, le quali danno maggiore garanzia di ponderatezza e, anche se elette in una atmosfera ardente, danno la certezza che l’esame della questione sarà compiuto in un clima più moderato.

Concorda poi sull’opportunità che il giudizio delle due Assemblee o della stessa Assemblea abbia luogo in due momenti diversi; e ritiene preferibile la proposta dell’onorevole Rossi, che dà, sia al corpo elettorale che all’organo parlamentare nel suo complesso, la possibilità di riesaminare il proprio atteggiamento.

Si domanda poi se non sia sufficiente limitare la prima deliberazione dell’Assemblea in carica alla presa in considerazione della revisione – decidendo cioè se quel determinato problema costituzionale sia sentito nel Paese in modo tale da meritare di essere esaminato – anche perché il peso dell’appello al popolo per mezzo delle elezioni sarà relativo, se non si darà a questo la possibilità di apportare emendamenti alla proposta approvata dal Parlamento disciolto, il cui punto di vista potrà considerarsi superato nei confronti della più recente manifestazione di volontà fatta dalle masse elettorali.

Conclude, dichiarando di essere d’accordo con l’onorevole Mortati circa l’opportunità di ammettere che l’iniziativa della revisione possa partire anche dal popolo.

MORTATI propone che la seduta sia sospesa per qualche minuto, al fine di agevolare il coordinamento dei vari punti di vista.

PRESIDENTE aderisce alla proposta dell’onorevole Mortati.

(La riunione, sospesa alle 19, è ripresa alle 19.15).

PRESIDENTE, riassumendo la discussione, fa presente che, oltre alla proposta del Relatore, vi sono quella dell’onorevole Nobile (parzialmente modificata ed a cui ha aderito l’on. Perassi) e due, ora presentate, dell’onorevole Mortati e dell’onorevole Tosato.

Proposta Nobile-Perassi:

«La revisione della Costituzione deve essere decisa con una deliberazione a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna delle due Camere.

«Approvata la modificazione proposta, essa, a distanza di X mesi, viene di nuovo portata alla discussione delle Camere per una seconda approvazione a maggioranza assoluta.

«Dopo di ciò, la proposta modificazione viene sottoposta a referendum popolare, a meno che nella seconda lettura la proposta sia stata approvata a maggioranza di due terzi».

Proposta Tosato:

«La presente Costituzione potrà essere modificata solo su proposta del Governo o di una delle due Camere e deliberata da tre quinti dei membri dell’Assemblea nazionale. Le modificazioni così deliberate dovranno essere approvate da un referendum popolare».

Proposta Mortati:

«Alla revisione delle leggi costituzionali si procede su iniziativa del Governo, del Parlamento o di 500 mila elettori, e con presentazione di un progetto redatto in articoli.

«Se le due Camere si pronunciano favorevolmente sulla presa in considerazione della proposta, questa, dopo sei mesi dalla deliberazione, è sottoposta all’esame delle due Camere.

«Il progetto approvato è sottoposto a votazione popolare».

Data la complessità del meccanismo e l’impossibilità di conciliare le quattro diverse formulazioni, ritiene opportuno sottoporre al parere della Sezione le diverse questioni di principio che formulerebbe nel modo seguente:

1°) da chi deve partire l’iniziativa di proposta di modifica;

2°) se sia necessario l’intervento delle due Camere separatamente o dell’Assemblea nazionale, ovvero quello delle Camere e dell’Assemblea nazionale;

3°) se si deve adottare il sistema della doppia lettura per l’approvazione da parte delle Camere o dell’Assemblea nazionale e, in caso affermativo, quale intervallo di tempo debba intercorrere tra la prima e la seconda lettura;

4°) quale tipo di maggioranza si debba fissare;

5°) se al voto delle Camere debba abbinarsi il referendum; se il referendum debba essere obbligatorio o debba effettuarsi soltanto in certi casi; e infine se debba aver luogo su richiesta popolare.

MORTATI prospetta l’opportunità di distinguere la revisione totale della Costituzione dalla revisione parziale, facendo presente che in quest’ultimo caso – così come è previsto in altre Costituzioni – si possono richiedere procedimenti meno complessi di quelli che si dovrebbero esigere in caso in cui la modificazione interessi l’assetto fondamentale dello Stato.

PRESIDENTE è del parere che ci si debba limitare all’ipotesi di una revisione parziale.

VANONI, circa l’ordine dei quesiti esposto dal Presidente, rileva che sarebbe preferibile decidere, dopo quello riguardante l’intervento delle Camere o dell’Assemblea Nazionale, quello concernente il referendum, perché la procedura dinanzi allo Camere sarà necessariamente più rigida se non vi sarà la possibilità di un referendum, e più semplice se tale possibilità sarà ammessa.

LUSSU è contrario al referendum, perché trova strano che si stabilisca di sottoporre al referendum modificazioni parziali di una Costituzione che all’atto della sua approvazione non vorrà sottoposta al giudizio del popolo.

Stabilirebbe poi forti garanzie per evitare che la Costituzione sia modificata con leggerezza; richiederebbe cioè l’approvazione da parte delle Camere con forte maggioranza e stabilirebbe che la seconda lettura debba esser fatta dopo due mesi dalla prima e nella Assemblea Nazionale in seduta plenaria.

MORTATI, tenendo anche conto delle proposte dell’onorevole Lussu, ritiene che si debba scegliere anzitutto tra il sistema che prevede l’intervento del popolo e quello che non lo prevede.

PRESIDENTE avverte che, aderendo alla proposta dell’onorevole Vanoni, subito dopo risolto il quesito circa l’iniziativa, sottoporrà alla Sezione la questione dell’intervento o meno del popolo, sia sotto forma di referendum che sotto forma di nuove elezioni delle Camere.

MORTATI fa presente, a titolo informativo, che vi sono Costituzioni che ammettono il referendum per le leggi semplici, ma lo escludono per quanto riguarda la revisione costituzionale.

ROSSI PAOLO, Relatore, è favorevole all’esclusione dell’iniziativa popolare, perché non vede il motivo per cui, come propone l’onorevole Mortati, in una riforma costituzionale, nella quale non sono in giuoco interessi particolari, si debba ammettere che la proposta di revisione possa partire da 500 mila elettori, quando con l’altro sistema proposto la procedura può avere inizio anche su richiesta di un solo deputato in ogni Camera.

PRESIDENTE risponde che è più facile far muovere un deputato che non raccogliere 500 mila firme per una questione che non sia veramente importante. A somiglianza di quanto avviene per la presentazione di una proposta di legge, richiederebbe, se mai, che non un solo deputato, ma un determinato numero di deputati potesse chiedere la modificazione della Costituzione.

Osserva poi che le Camere hanno il diritto di non approvare la proposta di revisione, ma non possono ignorare la volontà di 500 mila elettori. Ritiene perciò che in questo caso non si possa contestare l’iniziativa popolare.

NOBILE stima pericoloso disporre che le Camere siano obbligate a prendere in considerazione una proposta di iniziativa popolare. Aggiunge che gli elettori avranno sempre la possibilità di far prendere tale iniziativa in seno alle Camere dai loro rappresentanti.

PRESIDENTE ripete che le Camere potranno respingere le proposte di iniziativa popolare.

ROSSI PAOLO, Relatore, fa presente che una minoranza faziosa di 500 mila elettori potrebbe proporre delle riforme solo per mettere in agitazione il Paese.

PICCIONI concorda con l’onorevole Rossi.

TOSATO, premesso che in materia costituzionale si deve pervenire alla revisione solo quando la questione sia già entrata nella sensibilità di larghi strati della popolazione, rileva che i maggiori esponenti di tale sensibilità sono il Governo e le Camere, e non il popolo, che deve quindi intervenire per approvare ma non per prendere l’iniziativa.

MORTATI insiste nella sua proposta che debba esser tenuta presente anche l’iniziativa popolare, perché non crede alla sufficiente sensibilità politica delle Camere e del Governo, né ritiene che i partiti siano sufficientemente rappresentativi di tutta la massa dei cittadini. Pensa che, data la situazione politica italiana, sia opportuno lasciare ad una certa percentuale della popolazione la possibilità di trovare uno sbocco a richieste e proposte le quali non trovino sufficiente espressione nei partiti.

PICCIONI osserva che al Governo, che rappresenta il potere esecutivo e non riflette le esigenze del Paese, non dovrebbe spettare l’iniziativa per la riforma della Costituzione, la quale dovrebbe essere riservata alle Assemblee parlamentari.

PRESIDENTE ricorda che, in occasione della discussione sulla facoltà del Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere, l’onorevole Piccioni affermò che il Governo poteva avere maggiore sensibilità delle Camere circa le situazioni che possono verificarsi nel Paese, ciò che gli dava la possibilità di intervenire ogni qualvolta si sviluppasse una situazione di squilibrio tra Camera e Paese.

Mette ai voti il principio che la revisione della Costituzione possa aver luogo su iniziativa del Governo.

(È approvato).

Pone ai voti il principio che la revisione costituzionale possa aver luogo su iniziativa del Parlamento.

(È approvato).

Mette infine in votazione il principio che tale revisione possa aver luogo su iniziativa popolare.

(Non è approvato).

Fa presente che ora si tratta di decidere se debbano essere investite dell’esame della proposta di revisione costituzionale le Camere, o l’Assemblea Nazionale, ovvero lo Camere e l’Assemblea Nazionale.

Mette ai voti il principio che nel procedimento di revisione debbano farsi intervenire le Camere.

(È approvato).

Aderendo alla richiesta dell’onorevole Vanoni, invita la Sezione a decidere se, oltre all’intervento delle Camere, debba farsi ricorso alla volontà popolare.

NOBILE osserva che, se si ammette una maggioranza qualificata, secondo la proposta che egli ha presentato d’accordo con l’onorevole Parassi, sarebbe necessario indire il referendum.

PRESIDENTE chiarisce che l’approvazione del principio dell’intervento della volontà popolare apre l’adito a due soluzioni alternative: il referendum o le elezioni.

Mette ai voti il principio che debba comunque farsi luogo all’iniziativa popolare nel procedimento di revisione della Costituzione, salvo a definirne i modi e i limiti.

(È approvato).

Pone ora in votazione la prima soluzione, cioè che la volontà popolare debba manifestarsi attraverso il referendum.

(Con 6 voti favorevoli ed 8 contrari, non è approvata).

Constata quindi che la manifestazione della volontà popolare dovrà aversi sotto la forma di nuove elezioni che, come propone l’onorevole Rossi, seguiranno la deliberazione di revisione della Costituzione.

Mette ai voti il principio che, dopo la prima approvazione del progetto di revisione, le Assemblee legislative debbano essere disciolte.

(È approvato).

Fa presente che si tratta ora di esaminare la questione della votazione che deve aver luogo nelle due Camere per l’approvazione della riforma della Costituzione. Osserva in proposito che, essendo stato approvato il ricorso alle elezioni, dovrebbe essere implicito il sistema della doppia lettura per la presentazione del progetto alle due Camere che si succedono. Resta invece da stabilire se la Camera che esamina per prima il progetto debba votare, come propone l’onorevole Rossi, sul merito, impegnando così la Camera successiva a non modificarlo, o debba limitarsi, secondo la proposta dell’onorevole Mortati (la quale però dà luogo ad un’altra procedura) alla presa in considerazione; ipotesi, questa, alla quale, per le ragioni esposte precedentemente, è favorevole.

MORTATI non vede in qual modo le masse popolari possano manifestare il loro dissenso dal progetto votato dalla prima Camera, dal momento che gli elettori votano per singoli candidati, i quali dovranno manifestare le proprie opinioni sul progetto di revisione.

PRESIDENTE osserva che il dissenso risulterà dal mandato, il quale, a sua volta, risulterà dalle posizioni e dai programmi dei vari partiti politici. Del resto, soggiunge, è ovvio che le elezioni avranno luogo sulla piattaforma di quel determinato progetto di revisione della Costituzione.

ROSSI PAOLO, Relatore, spiega che, secondo il suo concetto, il Parlamento preciserà in che cosa consista il progetto di riforma costituzionale; ed i partiti, alla loro volta, non mancheranno di palesare l’atteggiamento che assumeranno in ordine a tale revisione. In questo modo ritiene che la sovranità popolare sarà rispettata.

PICCIONI rileva che, allora, la consultazione popolare non sarebbe che un referendum larvato, e quindi sarebbe stato meglio approvare il criterio del referendum. Concorda poi col Presidente nel ritenere vincolata l’attività del nuovo Parlamento, il quale – pur avendo una investitura nuova e quindi più aderente alla volontà del Paese – si dovrebbe limitare ad approvare o respingere la proposta, senza possibilità di modificarla. Ritiene quindi che il sistema proposto dall’onorevole Rossi non risponda ad un’adeguata valutazione della volontà popolare.

PRESIDENTE rileva che se, per altre ragioni, si riterrà esaurito il compito della vecchia Assemblea, si provvederà a scioglierla per altra via; ma non vede perché si debba approfittare di una riforma costituzionale per sciogliere un’Assemblea che può non avere ancora esaurito il suo compito. Prospetta perciò l’opportunità di ricorrere al referendum, dal momento che ogni elettore saprà che il primo compito della nuova Camera sarà quello di esaminare la proposta di revisione costituzionale.

PICCIONI aggiunge che, se il secondo Parlamento respingesse la proposta di modificazione della Costituzione, il primo Parlamento si sarebbe sacrificato senza alcuno scopo.

ROSSI PAOLO, Relatore, osserva che, in tal caso, lo scioglimento del primo Parlamento sarebbe stato opportuno, perché la non approvazione della modificazione costituzionale da parte delle nuove Assemblee starebbe a dimostrare che le precedenti non erano più in accordo col corpo elettorale.

MORTATI rileva anzitutto che, non essendovi un mandato imperativo, non si può sapere se i deputati saranno obbligati ad osservare il mandato implicito popolare.

In secondo luogo, non avendo i partiti, nel congegno elettorale attuale, alcun obbligo di formulare programmi precisi, potrà accadere che gli elettori non siano sufficientemente orientati in proposito.

Ritiene quindi che – a meno che non si voglia modificare il congegno elettorale, approvando il principio del mandato imperativo – occorra o rinunziare alle elezioni delle Camere o ricorrere al referendum.

PRESIDENTE, premesso che nell’attuale momento politico non è possibile che le elezioni abbiano luogo senza che i partiti si pronuncino sui problemi più importanti, osserva che lo scopo della nuova consultazione popolare è appunto quello di agitare largamente nel Paese il problema e di creare un Parlamento che meglio interpreti i pensieri e la volontà della popolazione.

EINAUDI ritiene che tale sistema avrà fortuna solo nel caso che le Camere propongano una sola riforma alla volta ed in maniera chiara, in modo che gli elettori si rendano conto di quello che sono chiamati a votare.

PRESIDENTE crede che si dovrebbe riuscire ad introdurre nella vita politica italiana il principio che le elezioni avvengono su una piattaforma caratterizzata da una importante questione, vitale per il Paese.

NOBILE osserva che, col sistema proposto dall’onorevole Rossi, avverrà che modificazioni di secondaria importanza, le quali hanno pure il loro valore, non saranno mai fatte, perché non sarà possibile trovare un Parlamento disposto a decretare il proprio scioglimento per effettuare una riforma del genere. E, d’altra parte, rimandando tali questioni alla fine della legislatura, si darà l’impressione che la Camera non si sia sciolta a causa della proposta di revisione costituzionale, ma per il normale termine del mandato parlamentare.

PRESIDENTE replica che la preoccupazione di un Parlamento può essere quella di perdere qualche anno di vita, e non qualche mese o semplicemente qualche giorno. Del resto, il Parlamento può avere l’abilità di fare in modo che il suo voto di riforma sia espresso l’ultimo giorno della legislatura e, in tal caso, morirà sia di morte naturale, sia di morte provocata dalla proposta di revisione costituzionale.

Ricorda poi il quesito che si sta esaminando, se cioè la manifestazione di volontà del primo Parlamento debba limitarsi ad una presa in considerazione o debba estendersi anche al merito.

FABBRI, dal momento che per approvare la revisione della Costituzione sono richiesti due voti conformi degli organi legislativi di due legislature successive, pensa che questa somma garanzia sia tale da rendere non necessarie tutte quelle altre cautele intermedie che si vogliono introdurre.

PRESIDENTE fa presente che esiste una proposta in base alla quale la Camera che per prima affronta la questione deve procedere ad una prima votazione per decidere sulla presa in considerazione del progetto e, decorso un certo lasso di tempo, ad una seconda votazione sul merito.

EINAUDI domanda che cosa si intenda per «presa in considerazione di un progetto di legge».

PRESIDENTE ritiene si tratti del riconoscimento della necessità di modificare un determinato passo della Costituzione.

EINAUDI riterrebbe necessaria una discussione sul merito anche in prima lettura.

PRESIDENTE fa presente che l’Assemblea deve avere la sensazione che si tratta di un problema maturo per la sua soluzione, e che appunto questo deve essere il significato dell’espressione «presa in considerazione». La Camera non indicherà ancora la soluzione, ma si limiterà a dire che le norme in vigore non rispondono più alle esigenze del momento; naturalmente farà anche intendere in qual senso debba effettuarsi la modificazione.

MORTATI è del parere che si debba modificare il progetto proposto dall’onorevole Rossi, nel senso di ammettere nella prima legislatura la presa in considerazione, l’esame sul merito e l’approvazione del progetto, conservando poi le altre disposizioni, che prevedono per la seconda legislatura una semplice funzione di ratifica, senza possibilità di apportare emendamenti al progetto stesso.

LUSSU concorda sul punto di vista espresso dal Presidente, perché è anch’egli del parere che non sia possibile ottenere subito un progetto di revisione costituzionale specificato in ogni dettaglio.

NOBILE insiste nel ritenere necessario concedere alle Camere – le quali, approvando il progetto di revisione, decidono automaticamente il proprio scioglimento – la possibilità di discutere e di concretare il progetto di revisione costituzionale.

La seduta termina alle 20.30.

Erano presenti: Einaudi, Fabbri, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Rossi Paolo, Terracini, Tosato e Vanoni.

Assenti: Bordon, Cannizzo, Codacci Pisanelli, De Michele, Finocchiaro Aprile, Zuccarini.

 

MERCOLEDÌ 15 GENNAIO 1947 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

19.

RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 15 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Suprema Corte costituzionale (Seguito della discussione)

Presidente – Calamandrei, Relatore – Laconi – Cappi – Mannironi – Targetti – Bozzi – Ravagnan – Leone Giovanni, Relatore – Ambrosini – Bulloni – Uberti – Farini.

La seduta comincia alle 16.30.

Seguito della discussione sulla Suprema Corte costituzionale.

 

PRESIDENTE prega il Relatore onorevole Calamandrei di riferire in merito alle questioni attinenti al controllo costituzionale.

CALAMANDREI, Relatore, nella ipotesi che si adotti il sistema di una Costituzione rigida, ritiene che in materia di controllo costituzionale possano presentarsi i seguenti problemi:

  1. – Se il controllo sulla costituzionalità delle leggi si debba istituire:
  2. a) soltanto in via incidentale (cioè nel giudizio in cui si tratti di applicare la legge a un caso concreto);
  3. b) soltanto in via principale (cioè in un apposito giudizio, in cui si tratti di decidere come unico oggetto se una legge è o non è in contrasto colla Costituzione);
  4. c) oppure insieme in via incidentale e in via principale.
  5. – Se si ammette il controllo in via incidentale, si deve stabilire:
  6. a) se al giudice si debba dare il potere di decidere la questione di incostituzionalità;
  7. b) se si debba dare invece al giudice soltanto il potere di sospendere la decisione del merito, in attesa che sia decisa la questione di incostituzionalità;
  8. c) quale debba essere, in tal caso, l’organo a cui si rinvia la decisione della questione di incostituzionalità;
  9. d) a chi spetti il potere di sollevare la questione: se alle parti, o anche al giudice, di ufficio, o al Pubblico Ministero;
  10. e) quale sia l’efficacia sulla decisione della questione di incostituzionalità sollevata in via incidentale;
  11. f) quale sia l’organo a cui deve andare in ultima istanza la decisione su questa questione: se la Corte di cassazione o la Corte Suprema costituzionale.
  12. – Se si ammette il controllo di costituzionalità in via principale occorre stabilire:
  13. a) chi possa chiedere questo controllo;
  14. b) quale sia l’organo competente a decidere (Corte Suprema);
  15. c) quale sia l’efficacia della decisione (cioè se la legge dichiarata incostituzionale perda senz’altro la sua efficacia);
  16. d) come la Corte Suprema debba essere composta;
  17. e) se alla Corte Suprema debbano essere affidate altre funzioni.

Illustra, quindi, la differenza che passa tra controllo in via incidentale e quello in via principale.

Il controllo in via incidentale si ha quando, venuta in questione davanti al giudice, civile o penale, l’applicazione di una legge che sembri contraria a qualche principio contenuto nella Costituzione, la parte interessata o il giudice stesso, o il Pubblico Ministero, sollevi l’eccezione di incostituzionalità della legge, così che, prima di decidere se quella legge debba essere o meno applicata, occorra decidere se è conforme alla Costituzione. In questo caso due possono essere le soluzioni: o stabilire che il giudice ha la facoltà di applicare o non applicare la legge a seconda che la ritenga, o no, costituzionale; ovvero stabilire che il giudice deve sospendere la definizione della questione, rinviando la risoluzione del problema della costituzionalità della legge all’organo competente a decidere. Un sistema intermedio, che è quello da lui proposto, consiste nel lasciare al giudice di stabilire, caso per caso, se preferisca di decidere la questione o ritenga invece opportuno di farla decidere dall’organo competente.

Il controllo in via principale invece si ha quando si stabilisca un apposito meccanismo, per cui un qualsiasi cittadino, o un ente stabilito dalla legge, possa, indipendentemente dal venire in questione l’applicabilità di una legge ad un caso concreto, provocare direttamente e immediatamente il giudizio di un organo apposito sulla costituzionalità di una legge. Questo controllo chiamasi in via principale, perché non viene come incidens in una questione di merito, ma costituisce l’unico oggetto di un giudizio.

Nel sistema che egli ha proposto si fondono i due tipi di controllo. Il controllo in via incidentale appartiene a tutti i giudici, con efficacia limitata al caso singolo incidenter tantum e con facoltà di decidere o sospendere; in ultimo grado spetta ad una sezione della Corte Suprema e non, come altri ha sostenuto, alla Corte di cassazione. Il controllo principale spetta esclusivamente alla Corte Suprema costituzionale, avanti alla quale un cittadino, o il Pubblico Ministero, può portare la questione della incostituzionalità di una legge. La pronuncia della Corte in via principale non toglie immediatamente vigore alla legge, ma pone gli organi legislativi di fronte alla necessità o di aderire al giudizio, abrogando la legge in questione, oppure di mettere in moto la procedura occorrente per modificare la Costituzione.

Precisa che lo stesso sistema è seguito negli Stati Uniti d’America e in Argentina, dove il giudice dichiara che la legge è incostituzionale e si rifiuta di applicarla. Del resto, anche attualmente, i giudici possono non applicare le norme contenute nei regolamenti, quando riconoscano che sono in contrasto con una legge.

LACONI, poiché, secondo il progetto Calamandrei, il giudice ha la possibilità non di dichiarare incostituzionale la legge, ma solo di applicarla o disapplicarla, prospetta l’eventualità di giudicati disformi nel caso di giudici che abbiano, nei riguardi della legge in questione, un differente parere.

CALAMANDREI, Relatore, nota che la eventuale disformità di giudicati è un fenomeno che si è sempre verificato ed è derivante dalla facoltà di interpretazione data al giudice.

CAPPI concorda con l’onorevole Calamandrei circa l’opportunità di ammettere sia il ricorso in via principale, che quello in via incidentale. Considera il ricorso in via principale necessario per la certezza del diritto, affinché si possa, anche prima che sorgano dei casi concreti, far decidere dalla Corte Suprema se la legge è, o meno, costituzionale; ma non riterrebbe opportuno che anche un qualsiasi cittadino potesse avere la facoltà di mettere in moto il procedimento della Corte Suprema. Stabilirebbe perciò, per l’impugnazione in via principale della legge per incostituzionalità, almeno la richiesta di un certo numero di cittadini.

Per il ricorso in via incidentale, considera, invece, logico che il titolare di un diritto possa avere la facoltà di far decidere se la legge è, o no, costituzionale. Sarebbe, però, del parere che il giudice, al quale fosse proposta la questione della costituzionalità, fosse obbligato a decidere e che l’eventuale ricorso contro tale decisione non avesse valore sospensivo, a meno che non fosse la stessa Corte Suprema ad ordinare la sospensione del giudicato impugnato.

MANNIRONI ha la sensazione che si voglia fare della Suprema Corte costituzionale più che altro un organo di interesse privatistico, il quale si dovrebbe preoccupare soltanto di decidere, o in via incidentale o in via principale, sulla costituzionalità di leggi, in seguito a richiesta di privati cittadini.

Si rende conto dell’importanza di questa esigenza, ma ritiene che si dovrebbe dare alla Suprema Corte una funzione e una competenza più alta e solenne, come inizialmente si era preveduto, nel senso, cioè, che potrà pronunziare sulla costituzionalità di una legge più che altro nei riflessi del pubblico interesse, in relazione specialmente a questioni che potessero essere sollevate dalle Regioni rispetto a leggi dello Stato, e viceversa. Anche l’interesse ad agire, a suo avviso, dovrebbe essere ristretto soltanto a pochissimi organi, per impedire che la Suprema Corte diventasse una specie di Corte di cassazione, obbligata ad occuparsi quotidianamente dei ricorsi dei privati.

Fatta questa premessa, dichiara di non poter prescindere dagli argomenti sollevati dall’onorevole Calamandrei, con il quale si dichiara d’accordo per quanto riguarda l’impugnativa in via principale e in via incidentale. Preoccupandosi, però, del pericolo di creare per i litiganti una nuova possibilità di mandare per le lunghe la definizione di una vertenza, regolerebbe in una forma piuttosto rigorosa la facoltà per privati cittadini di sollevare le questioni di incostituzionalità. Per evitare ogni abuso limiterebbe il potere di ricorso ad una delle due Camere, alle Camere regionali, al Governo, e, infine, a un gruppo di cittadini di una certa entità numerica. Nei giudizi ordinari di natura privata, la proponibilità della eccezione di incostituzionalità di una legge dovrebbe essere regolata un po’ dal giudice, al quale si potrebbe concedere il potere di respingere almeno le eccezioni manifestamente infondate e dilatorie.

PRESIDENTE ricorda che all’articolo 2 del progetto Leone si prevede che il privato cittadino, per esercitare il diritto di ricorso alla Corte Suprema costituzionale, debba avere interesse alla dichiarazione di nullità.

MANNIRONI, completando il suo pensiero, aggiunge di non essere del parere che possa essere concesso o riconosciuto al giudico il diritto di giudicare sulla costituzionalità di una legge, in quanto gli sembrerebbe eccessivo affidargli il diritto di esprimere un giudizio che è anche di natura politica. Tutto al più – come ha già detto – il giudice, nel caso che si sollevi in sede di giudizio l’incidente sulla costituzionalità di una legge, dovrebbe essere in grado di decidere se l’eccezione sia seria e meriti d’essere portata al giudizio dell’Alta Corte.

TARGETTI darebbe alla sola Corte costituzionale il diritto di decidere sulla incostituzionalità di una legge, limitando, però, l’effetto della dichiarazione, secondo quanto proposto dall’onorevole Calamandrei, a mettere in moto il meccanismo prestabilito per la revisione della Costituzione.

Concorda con l’onorevole Mannironi sulla inopportunità e impossibilità di affidare ad un giudice, che potrebbe anche essere un qualsiasi vice pretore onorario, di poter esprimere un apprezzamento che non solo è tecnico e giuridico, ma che, in molti casi, è squisitamente politico.

BOZZI è favorevole al sistema delineato dall’onorevole Calamandrei. Come è già stato osservato, anche oggi il giudice può decidere se applicare, o no, un regolamento, e, se ritiene che contrasti con la legge o ecceda i limiti assegnati alla potestà regolamentare, non lo applica.

Ritiene che il sistema Calamandrei, il quale ammette non solo il controllo in via incidentale, ma anche quello in via principale, sia utile, perché con esso si crea una specie di giurisprudenza sulla validità o invalidità di una norma di legge ordinaria, vincolandosi così, giuridicamente e moralmente, il potere legislativo a valutare l’opportunità o la necessità di abrogare o modificare una norma di legge che i giudici in più circostanze non hanno ritenuto di applicare.

Questo sistema, che è conforme a quello in uso in America e altri Stati, ha un valore non soltanto giuridico, ma anche politico, nel senso che evita la sovrapposizione di un organo giurisdizionale alla volontà del legislatore, in quanto la modificazione o abrogazione della norma verrà da parte dello stesso organo che le ha dato vita.

Naturalmente, quando il giudice si troverà di fronte ad una questione complessa, che può involgere un giudizio di carattere politico, la rimetterà al giudice supremo della costituzionalità. Ma per piccole questioni, la cui efficacia può limitarsi al caso dedotto in giudizio, trova che il sistema Calamandrei sia più cauto e non sconvolga profondamente i principî fondamentali del rispetto della volontà espressa dall’organo legislativo.

RAVAGNAN ritiene anzitutto che la facoltà di stabilire se una norma sia costituzionale, o no, debba spettare in primo luogo agli organi del potere esecutivo e, in secondo luogo, anche agli organi regionali, per le questioni che possono intercedere fra il potere centrale e le Regioni.

Si dichiara, poi, contrario ad attribuire al giudice la facoltà di decidere in via principale, in quanto, da un lato, tale facoltà significherebbe il controllo a priori di un potere sopra il potere legislativo e, dall’altro, se tutte le leggi dovessero essere sottoposte al controllo costituzionale, se ne tarderebbe tanto l’attuazione da farle divenire intempestive. Ammetterebbe, pertanto, che solo in via incidentale il giudice potesse avere la facoltà di mettere in moto il potere di decisione della Suprema Corte.

LEONE GIOVANNI, Relatore, fa presente all’onorevole Bozzi che il controllo di legittimità che viene oggi esplicato dal giudice nei riguardi del regolamento si spiega in quanto, essendo questo un atto del potere esecutivo, il controllo non si riferisce al potere legislativo, nei riguardi del quale non esiste attualmente alcun sistema di controllo, ma al potere esecutivo, per stabilire se si è mantenuto nei limiti della facoltà di emanazione di norme regolamentari.

Circa l’osservazione, prospettata ieri dall’onorevole Calamandrei, sul buon risultato che avrebbe dato questo sistema in America, dove sulla costituzionalità delle leggi si forma, via via, una giurisprudenza, la quale, se si consolida, incide sull’orientamento del potere legislativo, fa rilevare che, in relazione alla mentalità pratica che è propria di quel Paese, la consuetudine giudiziaria e la giurisprudenza hanno colà un valore che non hanno nei Paesi latini, dove si assegna maggior valore alla legge. Si dichiara convinto che in Italia un’affermazione giurisprudenziale ben difficilmente potrebbe indurre il potere legislativo a modificare una legge, con la conseguenza di un irrigidimento dalle due parti, ed un evidente danno per il prestigio della legge e per il carattere vincolante che essa deve avere di fronte alla coscienza dei cittadini.

Circa l’affermazione dello stesso onorevole Bozzi, che col sistema della pronuncia incidentale del magistrato sulla costituzionalità della legge, il potere legislativo non sarebbe sopraffatto, perché la dichiarazione di incostituzionalità si limiterebbe al caso concreto, fa notare che, per quanto limitata, si avrebbe sempre una sopraffazione o, per meglio dire, una sovrapposizione del potere giudiziario sul potere legislativo: cosa che non può assolutamente ammettere. Per questo motivo, competente a giudicare della costituzionalità delle leggi dovrebbe essere un organo che fosse al di fuori e al di sopra dei vari poteri.

Riconosce che nell’esame della costituzionalità della legge, per quanto trattisi di un’indagine prevalentemente tecnica, rientra anche un profilo politico, relativo alla interpretazione della norma costituzionale. Sotto questo aspetto, secondo quanto è previsto nel progetto Calamandrei e come è stato prospettato dall’onorevole Bozzi, il giudice, quando si trovi di fronte ad una norma che implichi anche un giudizio politico, può deferire la definizione della questione alla Suprema Corte costituzionale. Ma, essendo questo un potere discrezionale del giudice, rimesso cioè all’arbitrio boni viri, ritiene che si possa deferire al magistrato di stabilire se questo esame politico lo possa fare personalmente e lo debba rimettere alla Corte costituzionale.

Alla preoccupazione, che sta alla base del progetto Calamandrei, di impedire che vi sia un eccesso di ricorsi alla Corte costituzionale, ovvierebbe anzitutto con un limite temporale, che è previsto anche nel progetto Calamandrei, e stabilendo in secondo luogo, come è nel suo progetto, che il ricorso, se viene proposto da un cittadino, sia condizionato all’interesse del cittadino stesso.

Resta, però, sempre nel sistema Calamandrei la possibilità di un eventuale conflitto tra il giudicato del magistrato e quello successivo della Suprema Corte, a cui si può arrivare attraverso il congegno dei gravami. A questo proposito, profila anche la possibilità di una difformità di trattamento tra il controllo incidentale e quello principale, per quanto attiene all’efficacia, nel caso che, per il mancato esercizio del gravame, la Corte costituzionale non sia intervenuta nella questione incidentale con una sua sentenza. Nel suo progetto invece gli effetti sono disciplinati in maniera rigorosa, in quanto l’annullamento incide sulla legge e la dichiara invalida persino con effetto retroattivo. Se si accettasse un sistema diverso dal suo, come quello prospettato dall’onorevole Calamandrei, la dichiarazione di incostituzionalità, lungi dall’avere l’effetto di annullamento della norma, importerebbe solo una segnalazione al potere legislativo o per rivedere la legge, o per mettere in moto il procedimento di revisione della Costituzione. Con il suo sistema, invece, un cittadino che impugni in giudizio una legge per incostituzionalità, se la sua domanda sarà accolta, vedrà risolta la propria questione come se la legge in discussione non fosse stata mai emanata, appunto perché questa sarebbe dichiarata invalida. In questa situazione il privato troverebbe piena tutela anche in un procedimento incidentale.

Come ha segnalato, la possibilità di un conflitto dal punto di vista sistematico conduce ad inconvenienti anche dal punto di vista pratico. In pratica, infatti, la possibile difformità di giudicati avrebbe l’effetto di deviare l’orientamento del cittadino, nel senso che ognuno cercherà di proporre la questione di incostituzionalità in sede incidentale e mai in sede principale. A tale scopo, tenterà di istaurare sulla sua questione un giudizio, ricorrendo all’azione dichiarativa, della quale la dottrina cerca di ampliare la sfera. Attraverso una simile azione farebbe valere l’incostituzionalità della legge, e la sua richiesta, se fosse accolta, avrebbe effetti che non potrebbe avere se proposta in via principale.

Per questi motivi, afferma la sua fede nella necessità di un sistema unitario, che, lungi dall’impedire l’insorgenza della questione in sede incidentale, disciplini sullo stesso piano ambedue i casi, richiedendo per l’uno e per l’altro l’intervento della Corte costituzionale, con eguale procedura e con eguali effetti.

AMBROSINI ritiene che, prima di ogni altra questione, debba risolversi una questione pregiudiziale, se cioè si voglia fare o meno una Costituzione rigida.

Se si vuole adottare una Costituzione rigida, bisogna naturalmente subirne tutte le conseguenze, nel senso che bisogna necessariamente ammettere un sindacato sulle norme di legge emanate dal legislatore ordinario, perché altrimenti la Costituzione non sarebbe più rigida, ma flessibile, come quella inglese.

Naturalmente, quando la Costituente decidesse di adottare questo sistema, non potrebbe parlarsi di una violazione della volontà popolare o della diminuzione del prestigio dell’Assemblea, perché sarebbe stato il popolo italiano stesso che, per mezzo della Costituzione, avrebbe adottato un tale sistema. Perciò, una volta ammessa la Costituzione rigida, non può farsi a meno di accettare il sindacato sulle norme che emanerà il potere legislativo.

Circa l’organo a cui dovrebbe spettare l’esercizio di questo sindacato, riterrebbe logico adottare la soluzione più semplice, che è quella proposta dall’onorevole Calamandrei, vale a dire di investire il giudice della questione, come avviene attualmente per i regolamenti. Si verrebbe così ad aumentare i gradi di gerarchia delle norme giuridiche: in primo piano ci sarebbero le norme contenute nella Costituzione, in secondo piano quelle delle leggi cosiddette ordinarie, in terzo piano quelle contenute nei regolamenti emanati dal potere esecutivo. Essendo compito del giudice di interpretare le leggi, quando venisse investito della questione di incostituzionalità di una legge, egli dovrebbe decidere con lo stesso criterio con cui oggi procede quando è investito della questione di incostituzionalità di un regolamento, vedere, cioè se le norme della legge contrastino o meno con le norme della Costituzione.

Per non ammettere nel giudice una simile facoltà di controllo sulle leggi ordinarie, si è detto che egli sarebbe costretto a fare una indagine che potrebbe essere di carattere politico. Dissente da tale opinione, giacché il giudice deve fare sempre e soltanto una valutazione di natura giuridica, mettendo in rapporto una norma di grado inferiore con una di grado superiore, e vedendo se vi è fra di esse una discordanza. Una simile valutazione non può considerarsi di carattere politico, ma puramente giuridico, benché in tutti i giudizi vi sia naturalmente un minimum di valutazione subiettiva. Una indagine politica può riscontrarsi a proposito della legislazione regionale, allorché si tratti di vedere se una norma emanata dall’Assemblea regionale interferisca con l’interesse di una altra Regione o con l’interesse nazionale, ma non nei casi di cui si è parlato.

Stabilito che la valutazione del giudice è strettamente di carattere giuridico, è evidente che egli, per decidere la questione di incostituzionalità della legge, dovrà seguire gli ordinari criteri di interpretazione delle norme giuridiche, in conformità alla natura della sua funzione. Concludendo, ribadisce le ragioni per cui, adottato il sistema della Costituzione rigida, occorre stabilire il controllo sulle leggi ordinarie; controllo che può bene affidarsi ai giudici ordinari senza snaturare affatto la loro funzione.

LACONI osserva che dalla discussione sono emersi tre problemi: chi sia legittimato a proporre l’impugnazione davanti alla Suprema Corte; chi debba decidere; quale sia l’effetto da attribuire alla decisione.

A proposito del primo quesito, non crede che possa essere accettata la lunga elencazione dei possibili promotori del procedimento, prevista dall’articolo 2 del progetto Leone, ma sarebbe favorevole a riservare ogni iniziativa a ciascuna delle due Camere.

Sul secondo quesito, pensa che debba essere ammessa la possibilità del controllo in via incidentale, senza, però, dare al giudice la facoltà di decidere la incostituzionalità della legge. Il giudice, quindi, se respinge l’eccezione proposta, applicherà la legge, mentre, se la ritiene fondata, dovrà limitarsi a rimettere le questioni alla Corte costituzionale. In altri termini, qualunque decisione dovrebbe essere riservata unicamente alla Suprema Corte.

Circa gli effetti da attribuire alla decisione, ritiene che i pronunciati della Corte, per non provocare eventuali conflitti, dovrebbero avere solo un valore indicativo, con la possibilità, quindi, del rinvio della legge agli organi legislativi per un riesame. Si eviterebbe così che la Corte costituzionale, nella sua funzione di controllo, venisse a sostituirsi agli organi legislativi, che devono rimanere i soli competenti.

CAPPI teme che si vogliano inserire nella Carta costituzionale norme riguardanti argomenti che dovrebbero piuttosto formare oggetto di una legge processuale. Allo scopo di eliminare questo inconveniente, e per venire incontro alle preoccupazioni dell’onorevole Leone, propone i seguenti articoli:

«L’impugnativa contro la costituzionalità di una legge dello Stato o della Regione è ammissibile tanto in via incidentale avanti al giudice ordinario, quanto in via principale avanti la Corte Suprema, con le modalità che verranno stabilite dalla legge processuale. L’impugnativa non è più ammissibile dopo un anno dalla promulgazione della legge».

«In caso di dichiarazione di incostituzionalità emessa da un magistrato, la sentenza deve essere comunicata alla Corte Suprema, la quale, anche in difetto di ricorso di parte, deciderà la questione con efficacia generale».

Osserva che si tratterebbe, in sostanza, dell’antico istituto del ricorso nell’interesse della legge, che non è stato quasi mai applicato, davanti la Corte di cassazione. Il giudice ordinario, quando riconoscesse la incostituzionalità della legge, dovrebbe comunicare la decisione alla Corte Suprema, la quale di ufficio, anche senza il ricorso delle parti, emetterebbe la propria decisione, da valere erga omnes.

LACONI osserva che, se il parere della Suprema Corte fosse contrario a quello del giudice, la sentenza del giudice verrebbe implicitamente annullata.

CAPPI ritiene che la sentenza del giudice possa essere annullata solo nel caso che la parte abbia ricorso. Se invece la parte si è acquietata alla pronuncia del giudice, la sentenza continuerà ad avere valore. Ad ogni modo, nel caso in cui la dichiarazione di incostituzionalità fosse confermata dalla Suprema Corte, si applicherebbero gli articoli 30 e 35 del progetto Calamandrei, nel senso che la legge continuerebbe ad avere vigore, ma sarebbe messo in moto il potere legislativo, affinché la abrogasse o modificasse.

Conclude, affermando che la materia potrebbe essere contenuta in 3 o 4 articoli, rimandando ad una legge processuale tutte le modalità. Come già esiste una legge processuale per la Corte di cassazione, analogamente potrebbe prevedersene un’altra per la Suprema Corte costituzionale.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ricorda che la Sezione aveva stabilito di approvare dei principî generali, prima di passare all’esame di singoli articoli. Dovrebbero, poi, avere la precedenza gli articoli proposti dai due Relatori.

Il congegno proposto dall’onorevole Cappi, che è intermedio fra quelli dei due Relatori, gli appare essenzialmente artificioso, in quanto che, se la Suprema Corte conferma la sentenza del giudice, questa sentenza estende i suoi effetti erga omnes, ma non risolve la difformità degli effetti. In altri termini, mentre la sentenza del giudice annulla la validità della legge nel caso concreto, la sentenza della Corte Suprema non l’annulla, ma serve solo a richiamare l’intervento del Parlamento. In sede di primo grado, quindi, la sentenza avrebbe un effetto più limitato quanto alle parti e più ampio quanto all’efficacia. Nel giudizio di impugnazione la sentenza avrebbe un effetto più largo quanto alle parti (erga omnes), più ristretto quanto all’efficacia.

Quando invece la sentenza non fosse confermata dalla Corte Suprema, essendo la pronuncia una specie di ricorso nell’interesse della legge – se il sistema proposto dall’onorevole Cappi fosse coerente – il giudicato non dovrebbe annullare la sentenza di primo grado. E allora la sentenza di primo grado conserverebbe la sua efficacia, mentre quella difforme della Corte Suprema avrebbe valore per gli altri, ma non per le parti: il che sarebbe gravissimo.

Per questi motivi si dichiara contrario al sistema proposto dall’onorevole Cappi.

LACONI è, invece, favorevole alla proposta dell’onorevole Cappi, la cui articolazione ritiene possa facilitare l’accordo su di una formula concreta.

Non comprende però per quale ragione l’onorevole Cappi non ammetta che il giudice, invece di emanare la sentenza, possa semplicemente sospenderla, senza correre il rischio di vedersela annullata dalla decisione della Suprema Corte. Proporrebbe, quindi, che il giudice applicasse la legge quando la ritenesse costituzionale; sospendesse il giudizio e rinviasse la questione alla Corte costituzionale in caso contrario.

TARGETTI ritiene che la questione da risolvere sia quella di stabilire se il giudice sia investito del giudizio sulla costituzionalità della legge.

CAPPI fa presente che, con la sua proposta, intendeva di rimandare alla legge processuale tutte le modalità relative all’impugnativa.

MANNIRONI osserva che anche quando il giudice dà un parere positivo, riconoscendo che la legge è costituzionale, già esprime un giudizio.

CALAMANDREI, Relatore, richiama l’attenzione sul suo progetto che, se fosse stato attentamente esaminato, avrebbe potuto evitare molte discussioni. Nel suo articolo 36 è previsto, appunto, che l’ordinamento della Suprema Corte costituzionale e il procedimento da seguire dinanzi ad essa siano regolati da una apposita legge, modificabile soltanto nelle forme e con le garanzie stabilite per le modificazioni della Costituzione. Sarebbe favorevole a rimandare a questa legge tutte le norme procedurali che si ritenga superfluo inserire nella Costituzione.

Ricorda che in materia di economia regionale, su proposta dell’onorevole Rossi, è stato approvato un articolo nel quale sono regolati i conflitti di legislazione tra le Regioni e lo Stato, e sono previste le persone e gli organi legittimati a proporre il ricorso alla Suprema Corte.

Richiama, quindi, l’attenzione dell’onorevole Laconi sull’articolo 31 del suo progetto, relativo alle persone che sono legittimate a proporre l’impugnazione davanti alla Corte Suprema costituzionale, su cui dichiara di non insistere, perché si rende conto che sarebbe bene demandare il ricorso in via principale soltanto ad un organo pubblico, potendo essere pericoloso lasciare aperta la via dell’azione ad ogni singolo elettore. Al posto del Procuratore generale Commissario della giustizia, metterebbe un organo emanante dal Consiglio Superiore della Magistratura, oppure una delegazione delle Camere.

Vorrebbe ancora richiamare l’attenzione sulla diversità esistente fra gli articoli 30 e 33 del suo progetto, relativi alla posizione degli organi legislativi, nel caso in cui la pronunzia di incostituzionalità da parte della Corte Suprema sia avvenuta in via incidentale o in via principale. Per l’articolo 30, se la pronuncia è avvenuta in via incidentale, la decisione della Suprema Corte, una volta comunicata alle Camere, mette gli organi legislativi o il Governo nella posizione di considerare l’opportunità, senza che vi siano obbligati, di prendere l’iniziativa per l’abrogazione o modificazione della legge dichiarata incostituzionale. Viceversa, per l’articolo 33, quando si tratti di dichiarazione di incostituzionalità fatta in via principale, il Governo appena informato, deve prendere l’iniziativa di proporre alle Assemblee legislative, con procedura di urgenza, una legge abrogativa o modificativa della legge dichiarata incostituzionale. Nel primo caso, insomma, vi è soltanto la facoltà di prendere l’iniziativa, nel secondo caso l’obbligo.

Circa le preoccupazioni dell’onorevole Leone sulla possibilità di giudicati difformi e relativi effetti, fa rilevare che anche nel sistema attuale avviene facilmente che in due giudizi differenti, ma aventi come oggetto la medesima questione di diritto, a seconda che le parti ricorrano o meno, si abbia come conseguenza che la Corte di cassazione decida in modo difforme da come ha deciso il giudice, la cui sentenza non impugnata rimane ferma, essendo passata in giudicato. Può anche accadere che, in caso di legge di dubbia interpretazione, successivamente venga emanata una legge interpretativa la quale, per quanto abbia effetto retroattivo per i casi non ancora decisi, non tocca però i giudicati che nel frattempo si siano avuti in senso contrario a quello della legge interpretativa.

Per concludere, si dichiara disposto ad aderire a due proposte emerse dalla discussione e che gli sembrano opportune: una è dell’onorevole Cappi, e cerca di semplificare l’articolazione nel senso di limitarsi ad ammettere il controllo in via incidentale e principale, ed a fissare i principî fondamentali, rimettendo ad un’apposita legge tutte le questioni procedurali; la seconda proposta è quella dell’onorevole Laconi, secondo la quale, in materia di controllo incidentale, il giudice avrebbe la facoltà di decidere solo quando ritenesse che la legge sia costituzionale, respingendo cioè l’eccezione. Quando invece il giudice ritenesse fondata l’eccezione di incostituzionalità, non potrebbe accoglierla, ma dovrebbe rimandarla alla Corte Suprema.

Per rendere, però, questa proposta più accettabile, dato che non si può lasciare al giudice la possibilità di decidere negativamente e non quella di decidere positivamente, la modificherebbe nel senso che tutte le volte in cui davanti al giudice ordinario venga sollevata una eccezione di incostituzionalità, il giudice dovrà sospendere il processo e rimandare la decisione alla Corte Suprema, a meno che non gli risulti prima facie evidente che l’eccezione è infondata.

LEONE GIOVANNI, Relatore, considera implicito che, quando il giudice consideri la questione non influente o sfornita del fumus boni juris, non abbia l’obbligo di sospendere il processo. Tuttavia, dal punto di vista dell’esigenza di impedire eventuali eccessi nei ricorsi – a parte la difficoltà della formulazione – dichiara di aderire alla possibilità di giudizio prima facie.

MANNIRONI, circa l’affermazione che la questione dei rapporti fra Stato e Regioni è già stata risolta mediante un apposito articolo, desidera precisare che in sede di Sottocommissione si è ammessa la possibilità del ricorso del Governo contro le leggi delle Regioni, ma si è rinviato a questa Sezione di decidere del diritto delle Regioni di ricorrere contro le leggi dello Stato. Fa poi presente che, accedendo all’ultima proposta dell’onorevole Calamandrei, bisognerebbe dare, nel caso, alla parte la possibilità di impugnare, sia pure in ultima sede, la decisione discrezionale del giudice.

LEONE GIOVANNI, Relatore, è d’accordo.

AMBROSINI si dichiara favorevole al sistema primitivo dell’articolo 27 del progetto Calamandrei, perché, a suo avviso, il giudice, quando venga sollevata l’eccezione di incostituzionalità, deve avere la possibilità di decidere.

LACONI solleva una questione pregiudiziale, nel senso che da parte sua e del suo gruppo non si ritiene possibile votare sull’argomento in discussione, se prima non si è deliberato sulla composizione dell’organo.

PRESIDENTE non ha nulla in contrario ad esaminare subito la questione della composizione della Suprema Corte. Dà lettura dell’articolo 34 del progetto Calamandrei:

«Composizione della Suprema Corte costituzionale. – La Suprema Corte costituzionale ha sede in …, ed è composta di 24 giudici, di 3 Presidenti di Sezione e di un Primo Presidente; è divisa in 3 Sezioni, a ciascuna delle quali sono assegnati 8 giudici, ed un Presidente di Sezione.

«Le Sezioni siedono costituite in collegio di 7 componenti, compreso il Presidente della Sezione; le Sezioni unite siedono costituite in collegio di 19 componenti, compreso il Primo Presidente e i tre Presidenti di Sezione.

«L’ufficio di Pubblico Ministero presso la Suprema Corte costituzionale è tenuto dal Procuratore generale Commissario della giustizia, coadiuvato da un numero sufficiente di sostituti.

«I giudici della Suprema Corte costituzionale sono scelti per metà tra i magistrati di grado non inferiore a quello di consigliere di Cassazione, eletti dalla stessa Magistratura; per metà tra i professori ordinari di materie giuridiche nelle Università e tra gli avvocati esercenti da più di 20 anni, eletti, su elenchi proposti dalle Università o dai Consigli dell’Ordine, dalla Camera dei Deputati. Il Primo Presidente e i Presidenti di Sezione sono scelti dal Presidente della Repubblica in una delle suddette categorie.

«La nomina dei giudici e dei presidenti è fatta con decreto del Presidente della Repubblica; essi durano in carica 5 anni e alla scadenza sono rieleggibili»;

e dell’articolo 3 del progetto Leone:

«La Corte di giustizia costituzionale è composta di:

un presidente;

otto membri ordinari;

quattro supplenti.

«La Corte giudica con la composizione di 9 membri.

«Tre dei membri devono essere scelti tra i magistrati con funzioni non inferiori a consiglieri di Cassazione equiparati, escluso il Primo Presidente della Cassazione.

«Due membri della Corte di giustizia costituzionale devono essere scelti tra i professori ordinari di materia giuridica delle Università che abbiano non meno di 10 anni di insegnamento di ordinario.

«I magistrati ed i professori universitari cessano dalle funzioni e dall’impiego.

«Gli altri membri devono possedere i requisiti di eleggibilità a deputato.

«Il Presidente ed i membri ordinari e supplenti sono eletti dai due rami del Parlamento e dai Capi delle Deputazioni regionali, riuniti in Assemblea Nazionale, col sistema della votazione segreta e con la maggioranza dei due terzi. In caso di tre votazioni, da tenersi ciascuna a distanza di due giorni, che non raggiungano la predetta maggioranza, si procede ad una quarta votazione segreta con maggioranza semplice.

«Per i giudici della Corte di giustizia costituzionale non vigono limiti di età.

«Il Presidente ed i giudici durano in carica 10 anni e sono rieleggibili. Possono, tuttavia, venir dispensati dalle funzioni in caso di malattia che ne comprometta il libero esercizio, su richiesta del Capo dello Stato o del Governo o di un quarto dei deputati o dei senatori. La dispensa viene pronunciata dalla medesima Corte di giustizia costituzionale».

LEONE GIOVANNI, Relatore, data la vastità dei compiti della Corte costituzionale, aderisce alla divisione in sezioni proposta dall’onorevole Calamandrei, aumentando il numero dei componenti.

PRESIDENTE precisa che bisogna risolvere tre fondamentali questioni di principio, cioè: 1°) chi devono essere gli elettori; 2°) le categorie degli eleggibili; 3°) la proporzione tra di esse. Pone in discussione la prima questione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, poiché la Suprema Corte dovrà occuparsi, forse precipuamente, anche della costituzionalità degli atti delle Regioni, tra gli elettori prevederebbe anche i capi dello Deputazioni regionali.

RAVAGNAN è contrario a questa proposta.

LACONI fa presente che le Regioni sono già rappresentate dal Senato.

LEONE GIOVANNI, Relatore, non insiste.

AMBROSINI dichiara di attenersi completamente al sistema dell’onorevole Calamandrei. La metà almeno dei giudici della Corte costituzionale dovrebbe essere formata da magistrati, eletti dalla stessa Magistratura, e non dal Parlamento.

LEONE GIOVANNI, Relatore, come è previsto nel suo sistema, ritiene che la Suprema Corte non dovrebbe essere formata esclusivamente di magistrati e professori universitari. Trattandosi, infatti, di un organo avente carattere tecnico e politico, bisogna che esso rispecchi anche nella sua composizione questa duplicità di carattere. Crede, perciò, che tutti possano essere d’accordo che i membri della Suprema Corte, salvo stabilire le proporzioni, siano tecnici (ossia magistrati, professori universitari, avvocati) e non tecnici (ossia elementi tratti da un ambiente non qualificato tecnicamente), il che, peraltro, non significa che tali elementi debbano essere scelti senza alcun criterio direttivo, dovendo trattarsi di persone le quali, benché sfornite di particolare qualificazione tecnica, siano tuttavia fornite di larga esperienza e di capacità di giudicare le importanti questioni sottoposte alla Corte.

Per quanto riguarda la questione del corpo elettorale, si dichiara disposto ad accedere al principio che l’elezione dei professori universitari ed avvocati venga riservata alle due Camere, con il limite della designazione dei corpi, per evitare che si nomini il professore universitario meno preparato o l’avvocato meno qualificato per competenza. Per quanto concerne invece i magistrati, esiste tra il suo progetto e quello dell’onorevole Calamandrei un parziale dissenso, se, cioè debbano essere eletti dall’Assemblea Nazionale o dalla stessa Magistratura. Ora, mentre si rifiuta categoricamente di comporre la Corte Suprema di membri del Parlamento, ritiene che possa essere accettato il principio che i suoi componenti, anche se magistrati, siano nominati dal Parlamento.

AMBROSINI non è d’accordo sul sistema di deferire l’elezione di tutti i membri della Corte costituzionale alla Camera dei Deputati o all’Assemblea Nazionale. Insiste perché venga accettato il progetto Calamandrei, che si dichiara pronto a far suo. Poiché la Corte costituzionale deve essere investita di una funzione di controllo sulle leggi votate dal Parlamento, non gli sembra opportuno che tutti i suoi componenti vengano eletti dallo stesso organo che deve essere controllato. Insiste nel mettere in rilievo che la metà almeno dei componenti della Suprema Corte costituzionale dovrebbe essere costituita da magistrati eletti da tutto il corpo giudiziario.

CALAMANDREI, Relatore, ritiene che il controllo sulla costituzionalità delle leggi, pur essendo prevalentemente giuridico, abbia però degli aspetti politici che hanno maggiore importanza in una Costituzione in cui, come l’attuale, sono contenute direttive politiche. Nel suo progetto crede, però, di avere ovviato anche a qualsiasi preoccupazione di carattere politico, perché, contrariamente a quello che avviene per la Suprema Corte costituzionale degli Stati Uniti – la quale, essendo composta di magistrati nominati a vita, costituisce un ostacolo di carattere conservatore contro talune leggi cosiddette di carattere progressivo – ha previsto che i componenti della Corte siano solo per la metà di provenienza dalla Magistratura e durino in carica solo per cinque anni. Si tratta, quindi, di un organo che si rinnuova continuamente ed i cui membri, aspirando ad essere rieletti, probabilmente non avranno quella rigidezza conservatrice che si manifesta negli Stati Uniti, dove sono nominati a vita.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che elettori dei magistrati che faranno parte dell’Alta Corte costituzionale debbano essere i magistrati stessi.

(Non è approvato).

Pone allora ai voti il principio che tutti i componenti della Corte costituzionale debbano essere eletti dall’Assemblea Nazionale.

(È approvato).

LEONE GIOVANNI, Relatore, per quanto concerne la proporzione degli eleggibili, desidererebbe che per un terzo i membri della Corte fossero nominati tra i professori universitari, dando la possibilità di scegliere anche tra uomini di pensiero.

TARGETTI proporrebbe: un terzo magistrati, un terzo avvocati ed un terzo non tecnici, che abbiano i requisiti per la nomina a deputato.

BULLONI propone che le nomine da parte dell’Assemblea avvengano in tre categorie; magistrati, designati dal Consiglio Superiore della Magistratura; avvocati, indicati dal Consiglio Superiore forense; professori universitari, indicati dai Consigli accademici; tutti designati, si intende, in numero maggiore degli eleggibili, in modo che vi sia la possibilità di una scelta.

RAVAGNAN, a nome del suo partito, dichiara di essere contrario alle designazioni; pertanto, oltre i magistrati, anche i non magistrati dovrebbero essere nominati dall’Assemblea Nazionale, senza che fossero fissate le categorie in cui i membri dovranno essere scelti. Circa la proporzione, propone che la Suprema Corta sia formata per un terzo di magistrati e per due terzi di non magistrati, senza determinazione di categorie.

UBERTI non includerebbe nella Suprema Corte elementi non tecnici, perché, trattandosi essenzialmente di valutazioni giuridiche, è necessario che tutti siano persone competenti.

AMBROSINI integrerebbe la proposta dell’onorevole Calamandrei, aggiungendo ai professori e agli avvocati, le «persone specialmente qualificate por i loro studi».

CALAMANDREI, Relatore, direbbe «cultori insigni di materie giuridiche».

AMBROSINI preciserebbe di «materie giuridiche e politiche».

BOZZI teme che, limitando troppo le categorie, si tolga valore alla elettività. Prevederebbe le seguenti categorie: magistrati, professori universitari, avvocati e cultori di scienze giuridiche; e aggiungerebbe la categoria dei politici.

BULLONI completa la sua proposta in questo senso: professori universitari e cultori di scienze giuridiche, indicati dal Consiglio Superiore della pubblica istruzione. La designazione costituirebbe una garanzia di selezione.

FARINI si associa all’onorevole Bozzi, nel senso di dare la massima latitudine possibile all’Assemblea Nazionale nella scelta degli elementi adatti per questa altissima funzione. È indiscutibile che essa sceglierà uomini competenti in materie giuridiche.

Ritiene, quindi, che la formula proposta dall’onorevole Ravagnan sia la più giusta: «magistrati e non magistrati», lasciando al Parlamento la più ampia libertà di scelta. Demandare agli organi professionali la designazione gli sembra che sia già una limitazione della facoltà di scelta del Parlamento.

LACONI crede anch’egli che predeterminare rigorosamente le categorie significhi immiserire un organo che si sta concependo come il massimo del Paese. L’indicazione delle categorie dovrebbe essere perciò ampia e solenne, in modo da corrispondere alla dignità di questo organo, come per esempio «magistrati e cultori di materie giuridiche».

LEONE GIOVANNI, Relatore, escluderebbe la categoria degli insigni cultori di diritto, per evitare che, in momenti di disfacimento della dignità dei corpi elettorali, avvenisse quello che è avvenuto col fascismo nei riguardi dei professori nominati per chiara fama e delle lauree ad honorem. Ribadisce, quindi, la necessità di tre categorie: magistrati, professori universitari, entro certi limiti di anzianità, e avvocati; una terza categoria indiscriminata, della quale potrebbero far parte uomini che, se non sono insigni dal punto di vista della preparazione giuridica, possono però portare alla Corte costituzionale un profondo contributo, come, per esempio, vecchi uomini politici, o ex capi dello Stato.

Proporrebbe, pertanto, le seguenti categorie e proporzioni: «metà, magistrati, un quarto professori universitari ed avvocati, un quarto cittadini che abbiano l’eleggibilità a deputati».

BOZZI, invece della eleggibilità a deputato, prevederebbe quella a senatore, in relazione alla quale è previsto un limite di età di 35 anni.

CAPPI, per la terza categoria, parlerebbe soltanto di elettori politici.

MANNIRONI dichiara di aderire alla proposta dell’onorevole Leone; ma desidererebbe che nella dizione «magistrati» fossero compresi anche gli ex-magistrati.

PRESIDENTE per la terza categoria prevederebbe un minimo di quaranta anni di età. Crede che la Suprema Corte possa essere composta per la metà di magistrati; per un quarto di avvocati e professori universitari e per un quarto di elettori politici aventi almeno 40 anni.

BOZZI domanda se fra gli elettori politici debbano comprendersi anche le donne.

PRESIDENTE risponde affermativamente. Pone ai voti l’espressione: «metà magistrati».

(È approvata).

Pone ai voti: «un quarto avvocati e professori universitari».

(È approvata).

Pone ai voti: «e un quarto elettori politici aventi almeno 40 anni».

(È approvata).

La seduta termina alle 19.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti e Uberti.

Assenti: Castiglia, Di Giovanni e Porzio.

 

MARTEDÌ 14 GENNAIO 1947 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

18.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 14 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Suprema Corte costituzionale (Seguito della discussione)

Presidente – Leone Giovanni, Relatore – Bulloni – Calamandrei, Relatore – Uberti – Targetti – Mannironi – Laconi – Ambrosini.

La seduta comincia alle 16.51.

Seguito della discussione sulla Suprema Corte costituzionale.

 

PRESIDENTE invita la Commissione a pronunciarsi sulla pregiudiziale se sia opportuno o meno l’istituto della Corte costituzionale. Personalmente, ritiene che, in via di massima, si possa essere favorevoli alla sua creazione, salvo a disciplinarne adeguatamente il funzionamento.

LEONE GIOVANNI, Relatore, conviene col Presidente nell’impostazione della pregiudiziale, poiché si tratta di un istituto nuovo, sul quale i colleghi comunisti, nella seduta precedente, hanno prospettato le loro riserve.

Come ha già spiegato nella sua relazione, ritiene indispensabile la creazione della Corte di garanzia costituzionale, qualora si parta dal presupposto della formazione di una Costituzione rigida. Lo Statuto albertino, che non aveva la necessaria rigidità, era stato oggetto di così frequenti violazioni che, dal punto di vista formale costituzionale, potevano considerarsi legittime perfino le leggi fasciste.

La rigidità della Costituzione offre già una barriera, ma occorre predisporre un organo che abbia la possibilità di farla valere. Questo compito può essere assolto dalla Costituente, alla quale è assegnata la funzione altissima ed esclusiva di preparare la Costituzione e che non ha nei suoi compiti nemmeno l’attività legislativa. Da essa si attende non una legge ordinaria, bensì una legge fondamentale, sia perché attinente alla base stessa della vita del Paese, sia per il vincolo che porrà nei confronti del futuro legislatore. Il tessuto della Costituzione deve costituire la diga oltre la quale il futuro legislatore non dovrà andare. Si può chiedere se questo limite, questo vincolo, deve solo essere di carattere morale e politico, se cioè, possa affidarsi al senso di responsabilità delle future Assemblee legislative il rispetto della Costituzione, o debba prevedersi l’ipotesi che questo vincolo non sia sempre rispettato.

La principale obiezione degli oppositori è che la creazione di questa Corte di garanzia costituirebbe una limitazione della sovranità popolare. Non nega questa limitazione, ma fa considerare il pericolo che l’espressione della volontà popolare possa, in taluni singolari momenti della vita del Paese, con la formazione artificiosa di una maggioranza, essere interpretata in maniera difforme alla sua stessa essenza, o in opposizione a quanto la Costituzione ha codificato. Proprio l’esistenza dell’Assemblea costituente e le particolari funzioni ad essa affidate conducono decisamente al principio della rigidità della Costituzione. È chiaro che il popolo, eleggendo i suoi rappresentanti alla Costituente, ha loro conferito il mandato di creare una Costituzione che ne rispecchi la volontà e che sia la base della vita futura del Paese.

La sovranità popolare potrà solo apportarvi dei mutamenti attraverso quella revisione della Costituzione che forma uno dei temi allo studio.

L’aver posto una Costituzione rigida non impedisce alla sovranità popolare di evolversi attraverso la sua revisione; si impedisce bensì che con una legge ordinaria si possa violare il tessuto organico della Costituzione, e allora, più che parlare di limitazione, si deve parlare di interpretazione della volontà popolare.

Costituzione rigida vuol dire mutabile con particolari procedimenti. Aggiunge che, anche per problemi di carattere secondario, v’è stata la preoccupazione in tutta la Costituzione di stabilire per l’approvazione di leggi speciali forme di maggioranza qualificata; preoccupazione che è stata sentita anche dalla Sottocommissione, per richiamare l’attenzione del Paese su talune leggi, e fissarne l’importanza con una particolare manifestazione della sovranità popolare. Afferma essere inesatto che la rigidità svaluti a priori il valore di difesa della democrazia che ha la Costituzione. Il far sì che alcune leggi siano soggetto ad un controllo da parte di un organo superiore darà la possibilità di ricorrere a questa estrema barriera, qualora vi fosse un tentativo di distruggere l’essenza della democrazia.

Con la impostazione dell’onorevole Laconi si presenta una seconda domanda, cioè a chi spetti il controllo della costituzionalità delle leggi. Risponde che dall’esame del diritto costituzionale comparato si possono trarre varie possibilità di questa natura. Una prima ipotesi è che la costituzionalità della legge non sia soggetta ad alcun sindacato; questo è il sistema vigente in Italia.

BULLONI osserva che il sindacato è esercitato dall’autorità giudiziaria.

LEONE GIOVANNI, Relatore, spiega che l’autorità giudiziaria può solo esercitare un controllo formale, stabilire se la legge è stata votata dalle Camere, promulgata e pubblicata, un controllo cioè sulla parte meno rilevante della costituzionalità, ma non può giudicare della costituzionalità intrinseca; non vi è un organo che possa decidere se la legge risponda ai principî fissati nella Costituzione.

Alcune Costituzioni affidano questo compito al potere giudiziario; si potrebbe anche pensare di affidarlo al potere legislativo, ma allora si farebbero confluire nello stesso organo le qualità di giudice e parte. Può questo organo essere creato dal Parlamento, ma non costituito con i suoi membri.

Si presenta anche una terza possibilità, che è sostenuta dalla Magistratura: quella di affidare il controllo alla Corte di cassazione; ma, a suo avviso, nemmeno questa soluzione è accettabile, perché significherebbe assegnare a questo supremo organo giudiziario una funzione che ne snaturerebbe la vera essenza. Esso infatti è un organo di controllo sugli atti giurisdizionali, non sulla potestà legislativa.

Vi è infine una quarta ipotesi, quella di creare la Corte costituzionale, che sia al di fuori dei tre poteri tradizionali dello Stato – legislativo, esecutivo, giudiziario – ma rispecchi nella sua composizione una duplice esigenza: da una parte che sia l’espressione, sia pure indiretta e di secondo grado, della volontà popolare – e nel suo progetto si era reso conto di questa esigenza che affiora anche nel pensiero dei colleghi comunisti –; dall’altra che abbia il massimo della giurisdizionalità, non trattandosi solo di conflitti fra cittadino e Stato, ma di conflitto fra una legge ed un’altra, fra un regolamento e una legge, fra il diritto del cittadino ed una legge. La Corte costituzionale deve avere anche il massimo dell’indipendenza e dell’obiettività. Se la sua scelta avvenisse nel seno dell’Assemblea Nazionale, la Corte rispecchierebbe il fluttuare delle correnti politiche e non sarebbe più in condizione di esercitare quell’alto controllo costituzionale che le è demandato.

Per dare a quest’organo dello Stato l’altissimo prestigio e l’autonomia che deve avere, bisognerà attuare un’accurata selezione nella scelta dei componenti, provvedere ad una adeguata retribuzione e allo sganciamento da qualsiasi carriera statale. Secondo il suo parere, la Corte costituzionale potrebbe assumere il giudizio anche sulla responsabilità politica e penale dello stesso Capo dello Stato e dei membri del Governo.

Concludendo, afferma che non si deve prendere una posizione netta contro la istituzione della Corte e ritiene che anche i comunisti, pur attraverso apprezzabili riserve, non si opporranno in definitiva allo studio dell’istituto.

Propone, infine, che si passi all’esame del progetto da lui tracciato che, tra l’altro, prevede l’elezione della Corte costituzionale da parte dell’Assemblea Nazionale.

CALAMANDREI, Relatore, ritiene che, prima di decidere sulla istituzione della Corte di garanzia costituzionale, occorrerebbe conoscere il pensiero della Commissione plenaria circa la rigidità o meno della Costituzione.

PRESIDENTE propone di chiedere alla Commissione plenaria che nella prossima seduta sia data la precedenza alla discussione su tale argomento.

(Così rimane stabilito).

CALAMANDREI, Relatore, pensa che il problema della rigidità della Costituzione abbia carattere pregiudiziale. Risolto affermativamente questo problema, occorrerà stabilire l’organo che controlli la costituzionalità delle leggi.

Ricorda che nella precedente seduta è riaffiorata, per parte dei deputati comunisti, quella che si potrebbe chiamare, col Croce, la polemica contro la realtà delle leggi. La questione è questa: le leggi in tanto valgono in quanto i cittadini siano disposti a riconoscerne la validità e ad osservarle; se non le vogliono osservare è inutile farle, così come è inutile emanar leggi nel caso contrario, perché l’osservanza dei cittadini è dovuta non tanto all’esistenza della norma scritta, quanto alla convinzione giuridica della validità della norma in se stessa. Ma lo stesso Croce, dopo aver fatto la polemica contro la realtà delle leggi, concludeva che, dal punto di vista pratico, è meglio che le leggi ci siano, in quanto hanno una certa efficacia dogmatica. Quest’ultimo argomento vale anche nei riguardi della rigidità della Costituzione. Comunque, si dichiara d’accordo con i colleghi comunisti nell’ammettere che, se durante il periodo in cui il fascismo diede l’assalto allo Stato italiano fosse esistita una Costituzione rigida, il fascismo avrebbe egualmente conquistato il potere dando l’assalto, anziché alle Camere legislative, alla Corte di garanzia.

La Costituzioni, però, non vanno esaminate e giudicate dalla loro capacità di resistenza ai periodi rivoluzionari, in quanto le rivoluzioni mirano proprio a mettere a soqquadro e ad abolire un determinato ordinamento; si tratta piuttosto di vedere se in periodo normale sia giovevole avere una Costituzione con determinate garanzie, nel senso che le norme costituzionali, pur essendo modificabili, lo siano con una certa difficoltà, attraverso procedimenti che impongano una maggiore meditazione. In altre parole, si tratta di sapere se sia opportuno in tempi normali avere leggi più resistenti e leggi meno resistenti alla modificazione. Sembra che si intenda stabilire nella Costituzione che vi saranno leggi più resistenti delle altre; così per la creazione di giurisdizioni speciali è richiesta per l’approvazione delle leggi relative una maggioranza qualificata. Sono stati predisposti anche articoli con i quali si vieta, sub specie aeternitatis, il ristabilimento della Monarchia e la ricostituzione del partito fascista; in altri termini, si prevedono delle norme, non soltanto più resistenti, ma addirittura perenni. Tutto questo può essere anche ingenuo, ma ha una sua efficacia politica e didattica: è bene sapere che, fino a quando il funzionamento dello Stato si svolge in modo normale, vi sono leggi più solenni delle altre.

Stabilito questo principio, sorge il problema della necessità del controllo del giudice sulla costituzionalità delle leggi, problema che non si presenta in un ordinamento giuridico in cui vige il principio tradizionale che la legge successiva modifica la precedente: in un ordinamento così fatto il giudice non si trova mai di fronte ad un conflitto di leggi, in quanto quella più recente è la sola valida; mentre in un ordinamento rigido, in cui esistono leggi più resistenti, modificabili soltanto attraverso una procedura più complicata, è evidente che il giudice, quando si trova di fronte ad un conflitto tra due leggi, deve avere la possibilità di conoscere quale sia la prevalente per maggiore resistenza e, quindi, di scegliere tra le due e considerare come non scritta la meno resistente, anche se successiva.

Questo è quello che si chiama il controllo di costituzionalità. Questo controllo però deve essere regolato; e si tratta di stabilire quali sono gli organi ai quali affidare il compito di decidere nei conflitti tra legge ordinaria e legge costituzionale.

Se si adottasse il principio della Costituzione elastica, che può anche presentare i suoi vantaggi, occorrerebbe cancellare dalla Costituzione tutte le norme che presuppongono una speciale maggioranza qualificata e il divieto di ristabilire la forma monarchica o il partito fascista.

UBERTI osserva che è insita in tutto il lavoro di elaborazione finora compiuto la rigidità della Costituzione.

LACONI spiega che, con i colleghi del suo gruppo, non ha inteso opporsi al controllo della costituzionalità delle leggi, ma solo di riservare la loro decisione a quando sarà stabilito quale organo sia democraticamente investito di tale controllo.

A suo avviso, il controllo sulla costituzionalità delle leggi dovrebbe spettare all’Assemblea costituente, la quale, tuttavia, non potrà esercitarlo in quanto il suo mandato scadrà con la formazione della Costituzione, ma che potrebbe delegarlo ad un organo della medesima origine e dignità, cioè costituito con quelle cautele con le quali saranno prevedute nella Costituzione le modifiche alla Costituzione stessa.

Alle varie ipotesi prospettate dall’onorevole Leone si dovrebbe aggiungere l’altra, che la Corte sia direttamente eletta dal popolo.

CALAMANDREI, Relatore, ricorda all’onorevole Laconi che questa diffidenza degli organi legislativi verso i giudici si manifestò già nella prima Costituzione seguita alla Rivoluzione francese. Si volle vietare ai giudici di interpretare la legge, non soltanto in via generale ed astratta, ma anche in relazione al caso concreto, e si prescrisse che ogni qual volta un magistrato, nel giudicare su un caso concreto si trovasse di fronte ad un articolo di legge di senso non abbastanza chiaro, dovesse sospendere la decisione e deferire immediatamente il suo dubbio all’Assemblea legislativa, la quale doveva essere sola ad interpretare le proprie leggi. Ma bastarono pochi mesi per constatare che in questo modo si arrestava il funzionamento della giustizia; ed allora si stabilì il principio che al giudice, in relazione al caso pratico, è possibile interpretare il significalo della legge.

Qualche cosa di simile si produrrà anche in relazione alla costituzionalità delle leggi, se sarà adottata la Costituzione rigida; se il giudice si troverà di fronte ad una legge in contrasto con la legge costituzionale, a quale dovrà dare la prevalenza? Sarà lasciata questa scelta al giudice, o gli si ordinerà di rimettere il suo dubbio all’Assemblea legislativa? Questa avrà tempo e voglia di risolvere caso per caso queste controversie?

Non si dissimula i dubbi e le incertezze di carattere politico avanzate dai Commissari comunisti, perché questo controllo di costituzionalità che il giudice potrà esercitare sulle leggi sarà spesso di carattere politico e non giuridico. Quindi, si rende conto del fatto che, adottato il principio della rigidità della Costituzione, occorre sia regolato il controllo sulla costituzionalità delle leggi da parte dei giudici; ma si rende conto altresì di un altro fatto, cioè che questo controllo non sarà soltanto giuridico, ma diventerà anche politico, specialmente di fronte ad una Costituzione come quella allo studio, in cui molti articoli sono, non vere e proprie norme giuridiche, ma direttive politiche proiettate verso l’avvenire.

Di qui la necessità di vedere come togliere o attenuare il carattere politico del controllo, come smorzare questa eccessiva ingerenza politica del giudice, che potrebbe trasformare anche la democrazia italiana in governo di giudici, come quello degli Stati Uniti.

Aveva ritenuto di poter attenuare questo pericolo, affidando il controllo in via incidentale, in occasione dei singoli giudizi, al magistrato, il quale non dovrebbe fare altro che sospendere o disapplicare la legge ritenuta incostituzionale, senza che questo costituisse un giudizio di carattere generale e astratto sulla validità o incostituzionalità della legge, ed affidando invece questo giudizio alla Corte di garanzia costituzionale. Si trattava di stabilire se questa dovesse essere composta di magistrati o di politici. La sua proposta equilibrava i due elementi scegliendoli per metà fra i magistrati e per metà fra uomini politici. Tuttavia dichiara di non insistervi, ed aderirebbe volentieri ad una composizione omogenea di elementi tutti di espressione politica.

Fa poi considerare che, per mantenere riservato agli organi legislativi il potere di abrogare eventualmente le leggi dichiarate incostituzionali, gli articoli 32 e 33 del suo progetto stabilirebbero questa procedura:

«La decisione della Suprema Corte costituzionale a Sezioni unite, che accoglie l’impugnazione ha efficacia meramente dichiarativa della incostituzionalità della legge, ma non può abrogarne né sospenderne l’efficacia.

«Il Governo, appena informato della dichiarazione di incostituzionalità, prende l’iniziativa di proporre alle Assemblee legislative con procedura di urgenza una legge abrogativa o modificativa della legge dichiarata incostituzionale; la stessa iniziativa può essere presa direttamente dalle Assemblee.

«Qualora tale proposta non sia approvata, le stesse Assemblee legislative dichiarano sospesa l’efficacia della legge dichiarata incostituzionale, la quale da quel momento ha lo stesso valore di una proposta di modificazione della Costituzione, da sottoporsi in via di urgenza al procedimento stabilito per l’approvazione di tali proposte».

In sostanza, in questi conflitti tra la Suprema Corte costituzionale e l’organo legislativo, l’ultima parola rimane sempre a quest’ultimo, cioè al popolo sovrano.

TARGETTI ritiene ormai superata la pregiudiziale. Affrontando il problema della creazione di questo nuovo istituto, verranno chiariti i vari punti di vista e rese meno lontane le varie concezioni.

MANNIRONI ritiene che sarebbe opportuno discutere separatamente della funzione assegnata all’Alta Corte, del modo di costituzione e della sua legittimazione.

LACONI non è del parere che la pregiudiziale sia superata, perché essa è strettamente connessa con la fisionomia che si vuol dare all’organo nel suo complesso.

TARGETTI non ritiene di avere errato nell’affermare che la pregiudiziale era superata, perché quando l’onorevole Laconi dice che approverà o meno quest’organo a seconda della sua costituzione, con ciò ha già rinunciato alla sua pregiudiziale.

PRESIDENTE ritiene che, per giungere ad una conclusione, occorra prima esaminare le linee concrete del progetto. Dà, quindi, lettura dell’articolo 1° del progetto Leone:

«La Corte di giustizia costituzionale garantisce la costituzionalità delle leggi, dei regolamenti e degli atti amministrativi emanati dagli organi centrali o regionali»;

e dell’articolo 27 del progetto Calamandrei:

«Il controllo sulla costituzionalità delle leggi in via incidentale e con efficacia limitata al caso deciso spetta ai giudici ordinari e in ultima istanza alla prima Sezione della Suprema Corte costituzionale; in via principale e con efficacia generale ed astratta spetta soltanto alla Suprema Corte costituzionale a Sezioni unite».

LEONE GIOVANNI, Relatore, spiega che, a suo parere, il controllo di costituzionalità, anche se interviene in sede incidentale in un giudizio che si svolge dinanzi ad un organo giudiziario, spetta sempre alla Corte di garanzia costituzionale. E questo per evitare ciò che avverrebbe col progetto Calamandrei, che una legge sia dichiarata non costituzionale dal giudice, soltanto per un caso concreto, e sia poi impugnata davanti alla Corte, dando luogo ad un giudicato in conflitto con quello del giudico ordinario; conflitto la cui soluzione non si presenterebbe facile.

Quindi, pur ritenendo apprezzabile questo congegno, soprattutto per l’esigenza di sveltire il funzionamento dell’organo che si vuol creare, non lo può accettare, perché una legge deve essere dichiarata incostituzionale sotto qualunque profilo sia riguardata.

AMBROSINI ritiene superabile l’inconveniente prospettato dall’onorevole Leone, ed osserva d’altra parte che i conflitti di giudicati si hanno anche per casi diversi da quello in esame. Nota che il sistema di limitare la decisione al caso concreto vige negli Stati Uniti d’America, dove la Corte Suprema non annulla la legge, ma la dichiara semplicemente inefficace per il caso concreto. Questo sistema forse si avvicinerebbe all’esigenza della quale si è fatto propugnatore l’onorevole Laconi.

CALAMANDREI, Relatore, afferma che, adottato il sistema della rigidità della Costituzione, la legge ordinaria contraria alla Costituzione è una legge invalidata. Quando ciò sia stabilito, l’eccezione di incostituzionalità di una legge diverrà un’arma che adopereranno tutti gli avvocati in tutti i processi, quando vorranno arrestare l’azione della giustizia.

Di fronte a questa eccezione, due possono essere le vie da seguire: una è quella adottata con la prima Costituzione della Rivoluzione francese, secondo cui il giudice doveva interrogare l’Assemblea Nazionale, e con ciò si paralizzava la giustizia; l’altra è quella di dare al giudice la competenza di esaminare la fondatezza della eccezione. Secondo il suo progetto, si lascerebbe il giudice arbitro di decidere tutte le volte che ritenesse di poter risolvere la questione nell’uno o nell’altro senso. Di fronte però alla difficoltà eventuale di un caso, dovrebbe rimettere la decisione all’organo competente a risolvere in ultima istanza la questione della incostituzionalità di una legge. Quindi, necessità di distinguere tra un controllo incidentale, che si riferisce sempre al solo caso concreto, e un controllo di carattere generale ed astratto affidato alla Corte costituzionale.

Chiede all’onorevole Leone perché voglia limitarsi solo a questo secondo controllo generale ed astratto, trascurando le necessità concrete.

LEONE GIOVANNI, Relatore, risponde di essersi occupato incidentalmente di questo caso al n. 7 dell’articolo 2, dove è detto:

«La Corte di giustizia costituzionale decide su domanda: – di un organo del potere giudiziario, quando si tratti di questione pregiudiziale di un procedimento di cognizione del medesimo».

In questo caso il rinvio alla Corte è obbligatorio.

Le osservazioni dell’onorevole Calamandrei per giustificare il suo sistema sono acute, ma non decisive. Quando dice che l’arma della incostituzionalità sarà un’arma alla quale di frequente i litiganti faranno ricorso, si può osservare che, col suo sistema, questa arma non viene infranta, perché, riconosciuto il diritto alle parti di ricorrere in ultima istanza alla Corte, si verificherà, per una forte percentuale almeno dei giudizi, l’interruzione del corso della giustizia.

Fa rilevare inoltre che, nel suo progetto, egli si è anche occupato del problema della res judicata. Infatti, nell’ultimo capoverso dell’articolo 8, si dispone che una domanda rigettata non può essere riproposta neppure da altro soggetto, tranne che per un diverso motivo di nullità. Accadrà così che, quando un provvedimento legislativo sia stato precedentemente convalidato attraverso il rigetto di un ricorso, le parti non avranno più la possibilità di riproporre l’azione alla Corte costituzionale.

Infine osserva che resta sempre ferma la sua obiezione, alla quale non ha risposto l’onorevole Calamandrei e solo vagamente l’onorevole Ambrosini, del conflitto tra il giudicato del giudice ordinario e quello della Corte.

CALAMANDREI, Relatore, fa presente che il sistema del controllo sulla costituzionalità delle leggi – come funziona da un tempo ultrasecolare negli Stati Uniti – è basato puramente sulla via incidentale. Ogni giudice può dichiarare una legge incostituzionale e rifiutarsi di applicarla. Di appello in appello si arriva alla Corte Suprema, la quale si può pronunciare nei soli confronti del caso che è stato deciso. Senonché, in seguito ai ripetuti annullamenti di una legge in via incidentale, gli organi legislativi si rendono conto che la legge è in contrasto con la Costituzione, e la sensibilità politica suggerisce loro di emendarla.

Nel suo progetto egli ha aggiunto, a complemento, anche un’impugnazione ideale ed astratta, mentre nel progetto dell’onorevole Leone vi è solo questa impugnazione ideale ed astratta; ma allora si dovrebbe aggiungere una disposizione che vietasse ai giudici di esaminare la costituzionalità delle leggi, ciò che non gioverebbe certo ad elevare il prestigio della Magistratura.

PRESIDENTE ricorda come sia stato compiuto un lavoro utile sul problema del potere giudiziario, dopo che sono stati invitati i Relatori a presentare, d’accordo, un certo numero di articoli che costituissero la base della discussione. Ritiene, quindi, necessario pregare i Relatori di predisporre un progetto che sia la sintesi dei vari articoli da loro proposti, per rendere più snella e più concreta la discussione.

MANNIRONI crede che questa discussione di carattere generale non sia stata inutile.

LEONE GIOVANNI, Relatore, si dichiara pronto per questo lavoro, ma ritiene opportuno ch’esso sia preceduto dall’esame di tre o quattro punti centrali dell’argomento; dopo di che i Relatori, insieme con qualche rappresentante degli altri gruppi, potrebbero portare alla discussione una formulazione più facilmente accettabile.

PRESIDENTE, accedendo al desiderio dell’onorevole Leone, avverte che nella prossima riunione si continuerà nella discussione generale dei punti fondamentali. I criteri che ne risulteranno saranno poi fissati in pochi e brevi articoli, i quali dovranno stabilire in primo luogo che cosa è la Corte costituzionale, e poi quali siano la sua funzione, la sua competenza e le questioni che deve risolvere.

LEONE GIOVANNI, Relatore, fa rilevare che un’altra questione fondamentale è quella degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità.

PRESIDENTE risponde che la Commissione, nel suo studio, deve partire dal presupposto che si tratta di preparare una Costituzione rigida.

I Relatori potrebbero preparare ciascuno una serie di quesiti, sui quali portare la discussione nella successiva seduta.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 18.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Di Giovanni, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Erano assenti: Castiglia, Porzio.

 

MARTEDÌ 14 GENNAIO 1947 (prima sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(PRIMA SEZIONE)

15.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 14 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Potere esecutivo (Seguito della discussione)

Presidente – Nobile – Lami Starnuti – Perassi – Lussu – Mortati – La Rocca, Relatore – Piccioni – Grieco – Einaudi.

Rapporti di pubblico impiego

Presidente – Mortati, Relatore – Nobile – Grieco – Einaudi – Lussu – Fabbri – Fuschini – Tosato – Rossi Paolo – Perassi.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sul potere esecutivo.

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Nobile ha presentato la proposta di un articolo aggiuntivo al progetto sul potere esecutivo, che è del seguente tenore:

«Il decreto presidenziale che scioglie la seconda Camera scioglierà altresì i Consigli comunali e le Assemblee regionali».

NOBILE dichiara che la sua proposta tende a porre riparo ad uno degli inconvenienti più gravi che potrebbero derivare dall’applicazione delle decisioni approvate dalla Sottocommissione relativamente al sistema di elezione di secondo grado per la formazione della seconda Camera. È stato stabilito, infatti, che la seconda Camera abbia gli stessi poteri della prima pur non venendo a costituire la diretta rappresentanza delle forze politiche del Paese quali si presentano al momento delle sue elezioni, in quanto due terzi dei nuovi membri saranno eletti dai Consigli comunali già eletti in epoca precedente. Ora, a causa dell’odierna situazione politica italiana, anche nel periodo di tempo relativamente breve di un anno, si possono verificare sensibili mutamenti nell’opinione pubblica. Basti pensare a tale proposito che su circa 25 milioni di votanti gli iscritti ai partiti politici non superano forse i quattro milioni: i restanti ventuno milioni costituiscono una massa fluttuante, le cui vedute politiche possono sensibilmente modificarsi anche nel giro di pochi mesi.

Per fare un esempio, si supponga che una determinata coalizione di partiti rappresenti, nel momento in cui si eleggono i consigli comunali, il 60 per cento delle forze politiche totali del Paese e che, a distanza di un anno, essa non abbia più il favore dell’opinione pubblica nella misura suddetta, ma abbia subito una diminuzione del 15 per cento, venendo così a rappresentare il 45 per cento delle forze politiche totali del Paese. Se le elezioni politiche dovessero aver luogo al termine dell’anno anzidetto, alla seconda Camera quella coalizione di partiti costituirebbe la maggioranza, anche se lieve, perché due terzi dei suoi componenti sarebbero eletti dai Consigli comunali già eletti quando cioè essa rappresentava il 60 per cento della totalità delle forze politiche nazionali; alla prima Camera, invece, la stessa coalizione costituirebbe la minoranza, perché i suoi membri sarebbero eletti direttamente dal popolo favorevole ad essa ormai solo nella misura del 45 per cento. Si avrebbe così un permanente dissidio fra le due Camere, perché la prima sarebbe realmente l’espressione del rapporto delle forze politiche del Paese esistente in un determinato momento, mentre la seconda costituirebbe una rappresentanza di rapporti di forze quali si avevano in un periodo precedente.

Lo scioglimento, quindi, dell’una e dell’altra Camera non può sanare l’inconveniente lumeggiato, se nello stesso tempo non si addiviene allo scioglimento dei Consigli comunali e delle Assemblee regionali, sempre che da tali organismi la seconda Camera debba trarre la sua origine.

Si potrà obiettare che, in questo modo, i cittadini sarebbero chiamati troppe volte alle urne; e ciò indubbiamente risponde a verità; ma è l’inevitabile conseguenza del principio dell’elezione di secondo grado adottato dalla Sottocommissione per la formazione della seconda Camera. L’obiezione, se mai, serve ancora una volta a condannare il sistema bicamerale.

LAMI STARNUTI, pur condividendo pienamente le ragioni che hanno indotto l’onorevole Nobile a presentare la sua proposta, non può aderire al principio secondo cui, in caso di scioglimento della seconda Camera, si dovrebbe procedere anche allo scioglimento dei Consigli comunali e delle Assemblee regionali. Ciò, infatti, renderebbe ancora più faticoso e pesante il sistema di formazione della seconda Camera, sul quale per altro, dati i gravi inconvenienti a cui esso può dare origine, così acutamente lumeggiati dall’onorevole Nobile, si riserva di riproporre i suoi dubbi in sede di Commissione plenaria.

Dichiara frattanto, per le considerazioni anzidette, che si asterrà dal votare la proposta dell’onorevole Nobile.

PERASSI osserva che le considerazioni svolte dall’onorevole Nobile stanno a provare, più che altro, la necessità di riesaminare il sistema delle elezioni della seconda Camera. La Sottocommissione ha, in via di principio, adottato il criterio che i due terzi dei componenti la seconda Camera debbano essere eletti dai Consigli comunali: la proposta però, per quanto accolta, è stata considerata tale da dover essere approfondita per ciò che concerne la sua applicazione. Ora, le osservazioni fatte dall’onorevole Nobile portano alla conclusione che quel criterio non è praticamente attuabile, anche se dovesse essere adottato l’accorgimento, già previsto a suo tempo, del voto plurimo da accordare ai consiglieri comunali.

Varie proposte sono state fatte relativamente al sistema di eleggere i rappresentanti della seconda Camera. È stata infatti prospettata l’opportunità che i due terzi dei membri della seconda Camera siano eletti con il sistema del secondo grado, anziché dai consiglieri comunali, da delegati appositamente nominati a tale scopo. Con l’accoglimento di questa proposta si eviterebbero gli inconvenienti lamentati dall’onorevole Nobile perché, dopo lo scioglimento della seconda Camera, si procederebbe all’immediata elezione dei delegati che alla loro volta dovrebbero eleggere i membri della seconda Camera. Si potrebbe anche adottare per i due terzi dei membri della seconda Camera il sistema dell’elezione diretta a suffragio universale. Ciò servirebbe ad attenuare la differenza che potrebbe invece sussistere, con il definitivo accoglimento delle proposte approvate dalla Sottocommissione, tra la prima o la seconda Camera.

Propone frattanto che il riesame del sistema di elezione dei componenti la seconda Camera abbia luogo presso la seconda Sottocommissione o la prima Sezione di questa, e non già presso la Commissione plenaria, perché in quest’ultima sede è assai più difficile arrivare in breve a conclusioni concrete. Per il riesame del problema potrebbe anche essere ricostituito il Comitato, della cui opera proficuamente già si è valsa la Sottocommissione, il quale presenterebbe le sue conclusioni alla Commissione.

LUSSU, pur condividendo in via di principio le ragioni che hanno indotto l’onorevole Nobile a presentare la sua proposta, dichiara che voterà contro di essa. Ogni istituto, anche se può sembrare il più utile e più rispondente a determinate esigenze, assai difficilmente raggiunge la perfezione da tutti auspicata. Il vecchio Senato francese, ad esempio, era rinnovabile in parte ogni due anni, il che costituiva un’assurdità, perché i nuovi eletti venivano a rappresentare le mutate o le nuove esigenze politiche della Nazione, mentre i vecchi costituivano una rappresentanza di interessi politici forse non più esistenti; e tuttavia quel sistema sembrò il più razionale al popolo francese per un lungo periodo di tempo.

Per un’altra considerazione, poi, la proposta dell’onorevole Nobile non può essere accolta: i Consigli comunali non sarebbero più organi amministrativi e assumerebbero il carattere di organi essenzialmente politici; il che sarebbe veramente inopportuno. È da considerare infine che, se si dovesse addivenire, con lo scioglimento della seconda Camera, al contemporaneo scioglimento dei Consigli comunali, dovrebbero essere sciolti anche i Consigli comunali delle quattro Regioni aventi una particolare autonomia: la Sardegna, la Sicilia, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, e questo sarebbe contrario alle speciali forme di autonomia riconosciute a quelle Regioni.

MORTATI rileva che le osservazioni dell’onorevole Nobile non sono nuove: già fu prospettata, infatti, la possibilità di uno sfasamento tra la composizione dei Consigli comunali e quella che dovrebbe essere la composizione della seconda Camera in un dato momento. Tale inconveniente si verificherebbe anche nei casi normali, ossia indipendentemente dal caso di scioglimento della seconda Camera, perché la data di elezione dei Consigli comunali può ad un certo momento trovarsi a non coincidere più con quella dell’elezione della seconda Camera stessa. L’inconveniente, quindi, non sarebbe eliminato nemmeno se fosse accolta la proposta dell’onorevole Nobile.

Senza dubbio il sistema escogitato per la composizione della seconda Camera può dar luogo a giuste critiche, ma con l’adozione del criterio proposto dall’onorevole Nobile, esso verrebbe a subire una radicale trasformazione. Il principio, infatti, che si è voluto adottare non è già quello di creare speciali organismi a cui affidare l’elezione dei membri della seconda Camera, bensì quello di utilizzare a tale scopo determinati corpi già esistenti. È per questo che si è pensato ai Consigli comunali. Questo principio, una volta approvato, occorre accettarlo in tutte le sue conseguenze.

D’altra parte, la proposta dell’onorevole Nobile non può essere accolta anche per la giusta considerazione fatta dall’onorevole Lussu, che con essa si aggraverebbe l’inconveniente, già lamentato, di dare un contenuto politico alle elezioni amministrative e di alterare le funzioni che i Consigli comunali sono chiamati a svolgere. Tanto varrebbe allora adottare il criterio di eleggere un corpo di elettori ad hoc per l’elezione dei membri della seconda Camera nel momento in cui si debba procedere a questa.

A suo avviso, sarebbe meglio accogliere la proposta fatta dall’onorevole Perassi di riesaminare il problema in discussione, tanto più che è rimasta in sospeso la questione relativa all’applicazione del criterio, già approvato dalla Sottocommissione, secondo cui i due terzi dei componenti la seconda Camera debbono essere eletti dai Consigli comunali.

LA ROCCA, Relatore, trova giuste le osservazioni fatte dai precedenti oratori relativamente alla proposta dell’onorevole Nobile; essa però ha avuto il merito di mettere chiaramente in luce le gravi manchevolezze del sistema che si vorrebbe instaurare per l’elezione dei membri della seconda Camera. Ciò considerato, si domanda se non sia il caso di sottoporre a un nuovo esame le deliberazioni già prese, per far sì che la seconda Camera possa essere meglio costituita. Da altra parte, se con lo scioglimento delle Camere si vuol raggiungere lo scopo di consultare nuovamente la volontà popolare, tale scopo sarebbe raggiunto soltanto a metà con l’adozione definitiva del principio, già approvato dalla Sottocommissione, secondo cui i due terzi dei membri della seconda Camera debbono essere eletti dai Consigli comunali; perché, come giustamente ha rilevato l’onorevole Nobile, soltanto la prima Camera, non già la seconda, verrebbe ad essere l’espressione diretta della volontà popolare quale è al momento delle elezioni. Ciò sarebbe assai grave, perché in ultima analisi renderebbe inutile il provvedimento di scioglimento delle Camere.

PRESIDENTE fa presente che il risultato dei lavori della Sottocommissione è stato già trasmesso al Comitato di coordinamento, che non ha avvertito le manchevolezze del sistema approvato per l’elezione dei membri della seconda Camera, acutamente indicate dall’onorevole Nobile.

Il Comitato di coordinamento, inoltre, ha già riveduto il testo delle deliberazioni approvate dalla Sottocommissione. Ciò considerato, resta esclusa la possibilità che la Sottocommissione possa tornare ad esaminare il problema posto dall’onorevole Nobile per adottare nuove deliberazioni relativamente a quel problema. Inoltre, anche ammettendo di poter superare la questione di carattere procedurale relativa alla possibilità di un nuovo esame del problema, è da tener presente il fatto che la Sottocommissione entro 6 giorni dovrà concludere i suoi lavori e pertanto non avrebbe più un sufficiente tempo a sua disposizione per riprendere in esame le decisioni già prese. Non resta quindi altra possibilità che sollevare il problema posto dall’onorevole Nobile in sede di Commissione plenaria o di Assemblea Costituente, per proporre un’eventuale modificazione del sistema dell’elezione dei membri della seconda Camera, già approvato dalla Sottocommissione.

NOBILE ritiene, secondo quanto ha giustamente osservato l’onorevole Perassi, che occorra assai minor tempo per giungere a risultati concreti circa la soluzione del problema della formazione della seconda Camera in sede di Sottocommissione, che non in Commissione plenaria, anche perché la Sottocommissione ha già discusso a lungo questa materia.

PERASSI è del parere, contrariamente al diverso avviso espresso in proposito dal Presidente, che la Sottocommissione abbia ancora la facoltà di riesaminare il problema dell’elezione dei due terzi dei membri della seconda Camera da parte dei Consigli comunali, perché per l’applicazione di quella deliberazione non fu adottata alcuna precisa disposizione. In altri termini, l’unica deliberazione approvata in proposito dalla Sottocommissione è stata quella secondo cui i membri del Senato dovrebbero essere eletti per un terzo dalle Assemblee regionali e per il resto dai Consigli comunali. Non si addivenne però ad una precisa articolazione per l’applicazione della deliberazione suddetta, perché questa fu considerata tale da dover essere ulteriormente approfondita. Esistono quindi ragioni obiettive perché la Sottocommissione stessa possa riesaminare il problema in discussione, nonostante il testo delle deliberazioni concernenti la costituzione della seconda Camera sia stato inviato alla Commissione plenaria.

PRESIDENTE replica che la proposta dell’onorevole Nobile non si limita a richiamare l’attenzione della Sottocommissione sulla necessità di esaminare ulteriormente il problema dell’applicazione della disposizione relativa all’elezione dei due terzi dei membri della seconda Camera da parte dei Consigli comunali, ma mira a porre nuovamente in questione il sistema di formazione della seconda Camera stessa nel suo complesso.

NOBILE presenta il seguente ordine del giorno:

«La prima Sezione della seconda Sottocommissione ritiene che si debba esaminare in seduta plenaria della Sottocommissione stessa il problema della formazione della seconda Camera».

PICCIONI ritiene che la Sottocommissione dovrebbe completare il suo lavoro nel senso di risolvere il problema dell’applicazione della deliberazione già presa, relativa alla elezione dei due terzi dei membri della seconda Camera da parte dei Consigli comunali. Solo se, discutendo quel problema, ci si dovesse accorgere di non poter addivenire a una soluzione soddisfacente, la Sottocommissione potrebbe decidere di modificare il sistema, da essa già approvato, della formazione della seconda Camera.

Non è possibile, quindi, sin da questo momento, ammettere la necessità di una radicale trasformazione del sistema concernente l’elezione dei membri della seconda Camera, e ciò in contrasto con le decisioni già prese. Per tali considerazioni è contrario, tanto all’ordine del giorno presentato, quanto alla proposta di articolo aggiuntivo dell’onorevole Nobile.

GRIECO esprime i suoi dubbi sull’opportunità di mettere in votazione l’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Nobile, perché, se fosse approvato, contrasterebbe con le decisioni già prese dalla Sottocommissione relativamente al sistema della formazione della seconda Camera.

Si associa pertanto alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Lami Starnuti e dichiara che si asterrà dal votare l’articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Nobile.

NOBILE ritira l’articolo aggiuntivo. Insiste però affinché il suo ordine del giorno sia messo in votazione.

GRIECO voterà contro l’ordine del giorno dell’onorevole Nobile, intendendo con tale voto significare che il problema della formazione della seconda Camera debba essere riesaminato, non dalla seconda Sottocommissione, perché per far ciò mancherebbe ormai il tempo, bensì dalla Commissione plenaria e dall’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE mette in votazione l’ordine del giorno dell’onorevole Nobile.

(Non è approvato).

PRESIDENTE ricorda che, secondo la proposta fatta dall’onorevole Perassi, la prima Sezione dovrebbe incaricare il Comitato, della cui opera la Sottocommissione già proficuamente si avvalse, di articolare la disposizione relativa all’applicazione della deliberazione, già approvata dalla Sottocommissione stessa, per la quale i due terzi dei membri della seconda Camera debbono essere eletti dai Consigli comunali.

PERASSI domanda se il Comitato possa avere la facoltà di proporre modificazioni sostanziali relativamente al sistema di elezione dei due terzi dei membri della seconda Camera da parte dei Consigli comunali, ove si accorga della difficoltà o inopportunità di applicare quello deciso.

EINAUDI ritiene che il Comitato non possa proporre la modificazione del sistema, perché questo è stato approvato per dare al Senato il carattere di un’Assemblea nazionale rappresentante le Regioni.

PERASSI rileva che il carattere regionale della seconda Camera sarebbe sempre assicurato con il terzo dei suoi membri eletti dalle Assemblee regionali.

EINAUDI replica che, se i due terzi dei membri del Senato non dovessero essere più eletti dai Consigli comunali, il principio regionalistico sarebbe gravemente infirmato. Ciò considerato, ritiene che l’incarico da affidare al Comitato debba limitarsi alla formulazione concernente l’applicazione del principio, già approvato dalla Sottocommissione, secondo cui i due terzi dei membri del Senato debbono essere eletti dai Consigli comunali.

PICCIONI fa presente che la difficoltà che dovrà essere risolta dal Comitato relativamente all’applicazione del sistema di elezione dei due terzi dei membri della seconda Camera da parte dei Consigli comunali riguarda più che altro il peso diverso che in quel sistema dovrà essere attribuito ai Consigli comunali dei minori Comuni nei confronti di quelli dei Comuni maggiori.

PRESIDENTE è del parere che non possa essere risolto il problema del funzionamento parziale del sistema relativo alla formazione della seconda Camera, se contemporaneamente non sia esaminato il sistema nel suo complesso. In ogni modo, prescindendo da tale osservazione, crede si possa rimanere d’intesa nel senso che il Comitato è incaricato di studiare soltanto la possibilità di applicazione della deliberazione, già approvata dalla Sottocommissione, per la quale i due terzi dei membri della seconda Camera debbono essere eletti dai Consigli comunali e di redigere un apposito articolo al riguardo.

(Così rimane stabilito).

Discussione sui rapporti di pubblico impiego.

PRESIDENTE avverte che ora si passa alla discussione di alcune norme riguardanti i rapporti di pubblico impiego. Tali norme, proposte dall’onorevole Bozzi, che non è potuto intervenire alla riunione odierna, sono le seguenti:

1°) «Ai pubblici impieghi si accede per concorso. La legge determina i casi in cui la nomina può cadere su cittadini eletti dal popolo o liberamente scelti dalla Pubblica amministrazione».

2°) «I ruoli organico-giuridici degli impiegati statali sono regolati per legge».

3°) «Gli impiegati dello Stato, delle Regioni e degli altri enti pubblici, salve le eccezioni stabilite dalla legge, possono appartenere a partiti politici e ad associazioni sindacali (ma è fatto loro divieto di sciopero)».

4°) «I pubblici impiegati non possono essere sottoposti a procedimenti disciplinari, né in altro modo essere chiamati responsabili dalla Pubblica amministrazione a causa delle opinioni politiche, sociali o religiose da essi manifestate, salvo che ciò comprometta l’esercizio della funzione o del servizio o leda la dignità e il prestigio dell’ufficio.

«I pubblici impiegati, che siano membri del Parlamento, non possono, durante il mandato, conseguire promozioni, se non per anzianità».

MORTATI, Relatore, osserva che la prima disposizione proposta dall’onorevole Bozzi, concernente l’ammissione ai pubblici impieghi, non riguarda una materia di carattere costituzionale. Ciò premesso, ritiene che sarebbe meglio prima discutere da un punto di vista generale sui rapporti di pubblico impiego e poi procedere all’esame delle singole norme.

A suo avviso, la necessità di includere nella Costituzione alcune norme riguardanti la Pubblica amministrazione sorge per due esigenze. Una prima è quella di assicurare ai funzionari alcune garanzie per sottrarli alle influenze dei partiti politici. Lo sforzo di una Costituzione democratica, oggi che al potere si alternano i partiti, deve tendere a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello Stato, per avere un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei partiti. A tale proposito la Costituzione di Weimar stabiliva che i funzionari erano a servizio della collettività e non dei singoli partiti.

La seconda esigenza riguarda la responsabilità dei pubblici funzionari. A tale proposito la prima Sottocommissione ha approvato il principio che i pubblici impiegati siano responsabili dei danni che per dolo o colpa cagionino ai terzi nell’esercizio delle funzioni o del loro servizio, e che lo Stato e gli altri enti pubblici siano responsabili in via sussidiaria. Questo principio è stato approvato, ma rimane il problema di creare un’organizzazione che giovi a precisare le responsabilità dei pubblici impiegati. Attualmente non si sa mai su chi deve ricadere la responsabilità di determinati atti, perché il principio della responsabilità dei funzionari è affermato teoricamente, ma in pratica è di assai difficile attuazione. Si potrebbe in proposito pensare di costituire un ordinamento amministrativo, per il quale la responsabilità, in determinati settori della Pubblica amministrazione, sia affidata a dati funzionari e capi servizio.

Sono queste le due esigenze che, a suo avviso, potrebbero costituire materia per norme di carattere costituzionale.

NOBILE ritiene che le norme proposte dall’onorevole Bozzi non riguardino materia di carattere costituzionale e siano pertanto superflue. Nel primo articolo non vi è di sostanziale che la disposizione in cui si stabilisce che ai pubblici impieghi si accede per concorso. II resto è un rinvio alla legge, che può benissimo essere omesso.

Il secondo articolo, con cui si dispone che i ruoli organico-giuridici degli impiegati statali sono regolati per legge, non stabilisce nulla di nuovo e non v’è alcuna necessità di inserirlo nella Costituzione.

Circa il principio posto nell’articolo 4, secondo cui i pubblici impiegati non possono essere sottoposti a procedimento disciplinare né essere chiamati responsabili a causa delle loro opinioni politiche, sociali o religiose, osserva che, se mai, dovrebbe essere esteso anche agli impiegati parastatali e privati.

Riguardo poi al principio, approvato dalla prima Sottocommissione, secondo cui i pubblici impiegati sono responsabili dei danni che per dolo o colpa cagionino ai terzi nell’esercizio delle funzioni o del servizio, osserva che il fatto doloso o colposo è sempre perseguibile e non v’è bisogno di una norma che lo stabilisca espressamente.

GRIECO ritiene che tre principî dovrebbero essere affermati nella Costituzione relativamente ai rapporti di pubblico impiego. Il primo riguarda l’obbligo di fedeltà dei funzionari alla Repubblica; ma questo è già stato stabilito in altra parte del progetto della Costituzione. Il secondo è quello con cui si riconosce che i funzionari sono al servizio della collettività, così come era affermato nella Costituzione di Weimar. Il terzo principio riguarda la responsabilità dei funzionari; ed a questo proposito è da osservare che il criterio adottato dalla prima Sottocommissione, per cui i pubblici impiegati dovrebbero essere responsabili dei danni che, per dolo o colpa, cagionino ai terzi nell’esercizio delle loro funzioni o del servizio, è un criterio troppo lato: si tratta, in altre parole, di una responsabilità che i pubblici funzionari hanno in comune con tutti i cittadini, mentre si deve stabilire quale sia la responsabilità specifica attinente alle funzioni dei pubblici impiegati.

EINAUDI dichiara di essere assai dubbioso sull’opportunità di inserire nella Costituzione il primo articolo proposto dall’onorevole Bozzi, con cui in sostanza si stabilisce che si può accedere ai pubblici impieghi soltanto per concorso o per elezione del popolo o per libera scelta della Pubblica amministrazione, e ciò perché possono aversi anche altre forme di accesso alle cariche pubbliche. Così, per quanto riguarda l’insegnamento universitario, la chiamata diretta da parte della Facoltà non è un concorso, né un’elezione, né una libera scelta della Pubblica amministrazione. Non v’è ragione, inoltre, perché a certi gradi della Magistratura non si possa consentire l’accesso per vie diverse da quelle previste nell’articolo proposto dall’onorevole Bozzi: ad esempio, i magistrati di un certo grado potrebbero benissimo essere scelti tra avvocati che abbiano dato ottima prova della loro capacità. Tutta la magistratura inglese è scelta con questo sistema ed ha sempre dato prova di un notevole spirito di indipendenza, il che deriva anche dal fatto che i magistrati inglesi non hanno una carriera. Comunque, il progresso finora conseguito in Inghilterra nel campo della magistratura e dell’insegnamento superiore è dipeso proprio dal fatto che ai ministri è stata tolta ogni facoltà di nominare magistrati e professori universitari.

LUSSU si associa a quanto ha esposto l’onorevole Grieco, ritenendo che dovrebbero essere formulati in apposite norme da inserire nel testo della Costituzione i principî da lui indicati.

MORTATI, Relatore, fa presente che vi è un’altra questione su cui ha presa una decisione nell’ultima sua riunione la Commissione plenaria: quella relativa al divieto di sciopero, di cui si parla nell’articolo 3 proposto dall’onorevole Bozzi. Nella deliberazione della Commissione plenaria, in via generale, è stato ammesso il diritto di sciopero: si tratta ora di vedere se per i pubblici funzionari sia da riconoscere in modo condizionato o pieno tale diritto.

PRESIDENTE ritiene che, dopo la decisione presa dalla Commissione plenaria in materia di diritto di sciopero, non sia più possibile tornare a discutere al riguardo.

MORTATI, Relatore, obietta che nella discussione in seno alla Commissione plenaria si è parlato di pubblici impiegati. Ora v’è differenza tra pubblico impiegato e pubblico funzionario, in quanto il pubblico funzionario, diversamente dal pubblico impiegato, compie sempre un atto di volontà in nome dello Stato.

PRESIDENTE ritiene che la decisione presa dalla Commissione plenaria, per cui a tutti i lavoratori spetta il diritto di sciopero, tolga ogni dubbio circa la questione sollevata dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, domanda se si possa ritenere compatibile con le esigenze della Pubblica amministrazione lo sciopero dei pubblici funzionari.

LUSSU ricorda che, nell’ultima riunione della Commissione plenaria, in materia di diritto di sciopero egli fece uno specifico accenno ai pubblici funzionari, perché è del parere che lo Stato debba intervenire nel caso in cui essi abbiano a scioperare.

L’intervento dello Stato, però, in caso di sciopero dei pubblici funzionari, fu escluso e rinviato ad una legge speciale. Ritiene in ogni modo che dopo la decisione presa dalla Commissione plenaria sulla questione in esame non sia possibile un’ulteriore discussione.

FABBRI dichiara di essere contrario in linea di massima alla formulazione di principî generali, che poi nella loro applicazione hanno bisogno di una serie di eccezioni e di apposite regolamentazioni. Senza dubbio è giusto, come ha osservato il Presidente, che dopo la decisione adottata nell’ultima riunione dalla Commissione plenaria non sia più possibile discutere sul diritto di sciopero relativamente ai pubblici funzionari. È stato però un grave errore quello che ha compiuto la Commissione plenaria, approvando una formulazione generale in cui si ammette incondizionatamente il diritto di sciopero. Ritiene che su questo problema la Costituzione dovrebbe mantenere il silenzio, per lasciare allo svolgimento della vita sociale la possibilità di risolvere, a seconda delle esigenze economiche e politiche, il problema dello sciopero. Trova poi assai strano che l’onorevole Lussu abbia votato a favore di quella formulazione generale, approvata dalla Commissione plenaria, in cui si riconosce incondizionatamente il diritto di sciopero, pure avendo dichiarato che lo Stato debba avere il potere di intervenire in caso di sciopero di pubblici funzionari.

Circa le norme riguardanti il pubblico impiego da inserire nella Costituzione, ritiene che esse abbiano la loro sede normale nella legge sullo stato giuridico degli impiegati.

Osserva poi non essere esatto che non vi sia nulla di nuovo, secondo quanto ha affermato l’onorevole Nobile, nel principio per il quale i funzionari dovrebbero rispondere dei danni cagionati per dolo o colpa a terzi nell’esercizio delle loro funzioni. La giurisprudenza infatti ha sempre ammesso la responsabilità dei funzionari nell’esercizio delle loro funzioni nei confronti dei terzi soltanto per dolo.

FUSCHINI fa presente all’onorevole Fabbri che, nel progetto approvato dal Comitato di redazione, l’articolo 11 stabilisce che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, ai sensi della legge penale e civile, per gli atti da essi compiuti in violazione dei diritti dei cittadini, e che lo Stato e gli enti pubblici garantiscono il risarcimento dei danni arrecati dai loro funzionari e dipendenti.

Comunica che gli esponenti del suo gruppo si propongono di risollevare la questione relativa al diritto di sciopero dei pubblici impiegati in sede di Assemblea costituente, affinché si addivenga a una deliberazione definitiva in materia e siano chiarite le rispettive posizioni dei vari gruppi politici nei confronti della questione.

È del parere inoltre che la Costituzione debba contenere soltanto principî di carattere generale sullo stato giuridico degli impiegati: è al legislatore ordinario poi che deve essere affidato il compito di sviluppare tali principî. È inutile, quindi, fissare norme di carattere costituzionale, per stabilire se ai pubblici impieghi si possa accedere per concorso o chiamata diretta o elezione: vi possono essere, infatti, altri modi per reclutare gli impiegati, come ad esempio quello mediante contratto. Sarebbe inopportuno fissare nella Costituzione i sistemi di reclutamento dei pubblici impiegati, perché ciò riguarda il processo di organizzazione dello Stato a seconda delle varie esigenze del momento.

Ritiene anche che si debba dire che i funzionari sono al servizio dello Stato e non già della collettività, perché la collettività è un concetto generico, mentre lo Stato rappresenta sempre qualcosa di concreto.

Rileva infine che nel progetto della Costituzione sono stati introdotti in numero eccessivo principî, norme, specificazioni o affermazioni di carattere morale. Ciò è stato causato dal timore che certi principî basilari, politici o morali, possano non essere rispettati nell’avvenire o che il futuro Parlamento debba andare al di là di certi limiti che sono sempre rispettati in ogni Nazione civile. Per suo conto dichiara che ha piena fiducia nell’avvenire del Paese e nell’opera che svolgerà il Parlamento, per cui è del parere che nella Costituzione debbano essere introdotte soltanto quelle norme che siano da ritenersi indispensabili alla vita dello Stato.

TOSATO fa presente che la prima Sottocommissione e il Comitato di redazione hanno approvato un articolo in cui si stabilisce che tutti i cittadini, in base al principio dell’eguaglianza, possono essere ammessi ai pubblici impieghi. La prima Sottocommissione, poi, aveva anche redatto un articolo in cui si fissava, in via di principio, l’obbligatorietà del concorso per l’ammissione ai pubblici uffici. Nel Comitato di redazione però si è affermato che sarebbe stato meglio inserire questo articolo nella parte della Costituzione che riguarda i rapporti di pubblico impiego.

Ora, affinché potesse essere garantito il rispetto del principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini, per la parte della Costituzione relativa ai rapporti di pubblico impiego, sarebbe necessario adottare una norma costituzionale, in cui fosse affermato che ai pubblici uffici non si può accedere che per concorso, salvo i casi in cui la legge non disponga altrimenti.

V’è poi la questione, generalmente vista con una certa diffidenza, della possibilità di inquadrare il rapporto di pubblico impiego secondo il tipo del contratto. Potrebbe essere utile che certi uffici pubblici fossero affidati non soltanto a funzionari veri e propri, ma anche a persone assunte con contratto a tempo.

Per le considerazioni esposte propone che nella Costituzione siano affermati i seguenti due principî: «Ai pubblici impieghi si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge» e «Il rapporto di pubblico impiego è regolato per legge o per contratto».

PRESIDENTE è d’accordo con l’onorevole Tosato sulla opportunità di affermare nella Costituzione che ai pubblici impieghi si debba accedere per concorso. Un’affermazione di tal genere starebbe a precisare in forma solenne che non si può entrare a far parte di una Pubblica amministrazione per tramite di favoritismi.

È del parere pure che debbano essere affermati i tre principî indicati dall’onorevole Grieco, di cui il primo e il terzo hanno già trovato la loro formulazione in altra parte del progetto, mentre rimane ancora da decidere sul secondo: quello dell’impegno, da parte del pubblico impiegato, di compiere le sue funzioni al servizio della collettività. Con questa affermazione giustamente si intende precisare che i pubblici impiegati sono subordinati a un determinato impegno, a differenza di coloro che si dedicano al commercio, alle professioni liberali e in genere a qualsiasi altro lavoro; ed è appunto l’impegno di compiere la propria opera al servizio della collettività che giustifica poi l’idea di non riconoscere il diritto di sciopero a questa categoria di lavoratori, cosa che invece a nessuno mai è venuto in mente di contestare agli impiegati privati.

MORTATI, Relatore, propone le seguenti formulazioni:

1°) «Ogni Ministro dirige l’amministrazione ad esso affidata. Nell’ambito delle sue direttive, i funzionari dirigenti dei vari servizi assumono la diretta responsabilità per gli atti inerenti ai medesimi».

2°) «I pubblici impiegati sono al servizio della Nazione ed è garantita la loro piena indipendenza da influenze politiche».

3°) «I pubblici impiegati che siano membri del Parlamento non possono, durante il mandato, conseguire promozioni, se non per anzianità. Essi devono fornire, a richiesta dell’Amministrazione della quale fanno parte, le giustificazioni degli accrescimenti patrimoniali conseguiti durante la permanenza in servizio».

Dichiara di ritenere opportuno che sia inserita nella Costituzione la terza formulazione da lui proposta, perché una Costituzione deve sempre rispondere alle esigenze sentite nel determinato momento in cui si forma. Ora una delle esigenze più profondamente sentite nel momento presente è quella di attuare un’opera moralizzatrice specialmente nel campo della vita pubblica. Se la prima Sezione non ritenesse opportuno di inserire nella Costituzione questa formulazione, si potrebbe farne oggetto di un ordine del giorno o di una raccomandazione al futuro legislatore, secondo una procedura già seguita in altre occasioni.

FUSCHINI è contrario alla terza formulazione proposta dall’onorevole Mortati, perché con essa i pubblici impiegati sarebbero messi in una condizione di inferiorità di fronte agli altri cittadini.

ROSSI PAOLO vi è pure contrario, perché con essa implicitamente si verrebbe a gettare il discredito sulla Pubblica amministrazione del Paese.

Per quegli impiegati che, nell’esercizio delle loro funzioni, compiano atti non giustificabili di fronte alla legge e alle regole del buon costume, e per i quali le Amministrazioni potranno sempre adottare i provvedimenti del caso, non si può in una Costituzione introdurre una norma che sarebbe oltremodo offensiva per tutta la Pubblica amministrazione.

EINAUDI osserva che con l’ultima formulazione proposta dall’onorevole Mortati si verrebbe, per la prima volta, a chiedere ai funzionari di provare l’onestà con cui esplicano le loro funzioni.

MORTATI, Relatore, ritira per ragioni di opportunità la parte della terza formulazione da lui proposta, relativa all’obbligo dei funzionari di fornire giustificazioni degli incrementi patrimoniali conseguiti durante la permanenza in servizio, pur ritenendo che essa non riesca lesiva della dignità dei funzionari, i quali, per la natura dei compiti loro affidati, sono soggetti ad obblighi diversi dagli altri cittadini, estensibili anche alla loro vita privata. Osserva che solo una concezione troppo ottimistica della realtà presente può indurre ad escludere la necessità di interventi diretti a moralizzare la Pubblica amministrazione.

PRESIDENTE ritiene opportuno mettere prima in votazione la proposta dell’onorevole Tosato, relativa all’obbligatorietà del concorso per l’accesso ai pubblici impieghi.

FABBRI dichiara di essere in via di principio favorevole alla proposta dell’onorevole Tosato; ma voterà contro di essa per considerazioni di carattere pratico. Attualmente, infatti, lo Stato si avvale dell’opera di persone tecnicamente preparate per assolvere determinati compiti spesso limitati nel tempo. Per l’assunzione di tali elementi tecnici sarebbe fuori luogo ricorrere al sistema dei concorsi.

NOBILE ritiene opportuno che agli impieghi pubblici presso i Ministeri si debba accedere per concorso; ma fa presente che, per certi servizi tecnici, come ad esempio nel campo dell’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato, si rende necessario che lo Stato possa assumere persone fornite di speciali capacità mediante contratto diretto.

EINAUDI osserva che, con l’eventuale accoglimento della proposta dell’onorevole Tosato, certe Amministrazioni sarebbero messe nell’impossibilità di funzionare. A tale proposito basti ricordare le Banche di Stato, i cui impiegati, pur essendo impiegati statali, non vengono assunti mediante concorso. Ricorda che i professori universitari prima del 1922 riuscirono a strappare all’arbitrio dei Ministri la nomina dei professori ordinari presso le Università e in seguito anche quella dei professori straordinari, e conclude che, per quanto favorevole in via di principio al sistema dei concorsi, voterà contro la proposta dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Tosato, che è così concepita:

«Ai pubblici impieghi si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».

(È approvata).

Mette in votazione la seconda proposta dell’onorevole Tosato, del seguente tenore:

«Il rapporto di pubblico impiego è regolato per legge o per contratto». Dichiara che tale proposta gli sembra superflua. Infatti è ovvio che il rapporto di pubblico impiego possa essere regolato per legge o per contratto, giacché non esiste un altro modo con cui esso lo possa essere.

(Con 5 voti favorevoli e 5 contrari, non è approvata).

Avverte che è ora in discussione la prima proposta dell’onorevole Mortati, con cui si mira a stabilire la responsabilità dei funzionari dirigenti dei vari servizi per gli atti a questi inerenti nell’ambito delle direttive impartite dai Ministri. Dichiara di essere personalmente contrario a tale proposta, perché già i Direttori generali dei Ministeri ritengono di essere i veri dirigenti della Nazione. È questo un inconveniente troppe volte lamentato e sarebbe veramente fuori luogo che esso dovesse formare oggetto di una apposita norma costituzionale.

MORTATI, Relatore, ritira la prima proposta da lui presentata, riservandosi di formularla in modo più adatto a significare l’intento in essa racchiuso, di consentire l’individuazione delle responsabilità, che con il sistema attuale tendono a volatilizzarsi.

PRESIDENTE mette in discussione la seconda proposta dell’onorevole Mortati:

«I pubblici impiegati sono al servizio della Nazione ed è garantita la loro piena indipendenza da influenze politiche».

Rispetto all’idea di garantire agli impiegati l’indipendenza da influenze politiche, osserva che essa è già affermata in altra parte del progetto della Costituzione, in cui è espressamente stabilito che tutti i cittadini sono ammessi ai pubblici impieghi senza distinzione di sesso, di razza, di religione o di fede politica. La fede politica degli impiegati quindi non può essere ragione di un loro allontanamento dal pubblico impiego o di misure di carattere disciplinare.

PERASSI propone che nella formula suggerita dall’onorevole Mortati, alle parole: «ed è garantita la loro piena indipendenza da influenze politiche», siano sostituite le seguenti: «e non devono ricevere istruzioni se non dalle autorità da cui dipendono»; ciò per meglio affermare il principio che il pubblico funzionario non deve ricevere istruzioni da elementi estranei alla Amministrazione a cui egli appartenga.

NOBILE ritiene superflua la precisazione proposta dall’onorevole Perassi. Se un funzionario deve esplicare la sua attività nell’interesse dello Stato, non si può ammettere che egli possa accettare istruzioni da persone estranee all’Amministrazione da cui dipende. È assai più comprensibile invece la formula proposta dall’onorevole Mortati, con cui si mira a garantire l’indipendenza del funzionario da influenze politiche, perché, ad esempio, è sempre possibile il caso di un Ministro che voglia perseguitare un funzionario per le sue idee politiche.

MORTATI, Relatore, dichiara che la formula da lui proposta tende a completare la disposizione contenuta in altra parte del progetto della Costituzione, con cui si stabilisce che tutti i cittadini sono ammessi ai pubblici impieghi senza distinzione di fede politica. Difatti, anche durante lo svolgimento della carriera, l’impiegato dev’essere garantito da influenze politiche.

FABBRI osserva che la formula proposta dall’onorevole Perassi potrebbe essere aggiunta a quella suggerita dall’onorevole Mortati.

PRESIDENTE mette in votazione la formula dell’onorevole Mortati con aggiunta quella dell’onorevole Perassi, nei seguenti termini:

«I pubblici impiegati sono al servizio della Nazione. È garantita la loro piena indipendenza da influenze politiche e non devono ricevere istruzioni se non dalle autorità da cui dipendono».

(È approvata).

Avverte che ora è in discussione la terza proposta dell’onorevole Mortati:

«I pubblici impiegati che siano membri del Parlamento non possono, durante il mandato, conseguire promozioni se non per anzianità».

NOBILE propone di aggiungere a questa formula le seguenti parole: «né fare passaggio ad altre Amministrazioni statali o parastatali, né prendere parte a concorsi».

EINAUDI è contrario alle formule proposte, non perché non sia persuaso della loro bontà, ma perché non crede opportuno inserirle nel testo della Costituzione. Si tratta di norme secondarie, che possono benissimo trovare la loro sede in una legge: se mai potrebbero formare oggetto di una raccomandazione.

PRESIDENTE ritiene che la formula proposta possa essere approvata, salvo poi a chiedere in sede di Assemblea costituente che sia stralciata dalla Costituzione e resti solo come raccomandazione per il futuro legislatore. Così alla formula proposta potrebbe essere data maggiore importanza e pubblicità, il che non avverrebbe se fosse votata soltanto come ordine del giorno nella riunione odierna.

FUSCHINI osserva che, se la proposta in discussione dovesse essere inserita nel progetto della Costituzione, si avrebbero poi molte difficoltà ad eliminarla, perché in sede di Assemblea Costituente non è possibile discutere con la stessa ampiezza con cui si discute in seno alle Commissioni.

PRESIDENTE fa presente che se l’Assemblea costituente non ritenesse opportuno di stralciare la formula in discussione dal progetto della Costituzione, ciò starebbe a significare la bontà della formula stessa. In ogni modo, mette in votazione la proposta dell’onorevole Mortati con l’aggiunta delle parole suggerite dall’onorevole Nobile, nei seguenti termini:

«I pubblici impiegati, che siano membri del Parlamento, non possono, durante il mandato, conseguire promozioni se non per anzianità, né fare passaggio ad altre Amministrazioni statali o parastatali, né prendere parte a concorsi».

(È approvata).

La seduta termina alle 18.45.

Erano presenti: Bordon, Codacci Pisanelli, Einaudi, Fabbri, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Perassi, Piccioni, Rossi Paolo, Terracini e Tosato.

Assenti: Cannizzo, De Michele, Finocchiaro Aprile, Vanoni e Zuccarini.