ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
(SECONDA SEZIONE)
19.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 15 GENNAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI
INDICE
Suprema Corte costituzionale (Seguito della discussione)
Presidente – Calamandrei, Relatore – Laconi – Cappi – Mannironi – Targetti – Bozzi – Ravagnan – Leone Giovanni, Relatore – Ambrosini – Bulloni – Uberti – Farini.
La seduta comincia alle 16.30.
Seguito della discussione sulla Suprema Corte costituzionale.
PRESIDENTE prega il Relatore onorevole Calamandrei di riferire in merito alle questioni attinenti al controllo costituzionale.
CALAMANDREI, Relatore, nella ipotesi che si adotti il sistema di una Costituzione rigida, ritiene che in materia di controllo costituzionale possano presentarsi i seguenti problemi:
- – Se il controllo sulla costituzionalità delle leggi si debba istituire:
- a) soltanto in via incidentale (cioè nel giudizio in cui si tratti di applicare la legge a un caso concreto);
- b) soltanto in via principale (cioè in un apposito giudizio, in cui si tratti di decidere come unico oggetto se una legge è o non è in contrasto colla Costituzione);
- c) oppure insieme in via incidentale e in via principale.
- – Se si ammette il controllo in via incidentale, si deve stabilire:
- a) se al giudice si debba dare il potere di decidere la questione di incostituzionalità;
- b) se si debba dare invece al giudice soltanto il potere di sospendere la decisione del merito, in attesa che sia decisa la questione di incostituzionalità;
- c) quale debba essere, in tal caso, l’organo a cui si rinvia la decisione della questione di incostituzionalità;
- d) a chi spetti il potere di sollevare la questione: se alle parti, o anche al giudice, di ufficio, o al Pubblico Ministero;
- e) quale sia l’efficacia sulla decisione della questione di incostituzionalità sollevata in via incidentale;
- f) quale sia l’organo a cui deve andare in ultima istanza la decisione su questa questione: se la Corte di cassazione o la Corte Suprema costituzionale.
- – Se si ammette il controllo di costituzionalità in via principale occorre stabilire:
- a) chi possa chiedere questo controllo;
- b) quale sia l’organo competente a decidere (Corte Suprema);
- c) quale sia l’efficacia della decisione (cioè se la legge dichiarata incostituzionale perda senz’altro la sua efficacia);
- d) come la Corte Suprema debba essere composta;
- e) se alla Corte Suprema debbano essere affidate altre funzioni.
Illustra, quindi, la differenza che passa tra controllo in via incidentale e quello in via principale.
Il controllo in via incidentale si ha quando, venuta in questione davanti al giudice, civile o penale, l’applicazione di una legge che sembri contraria a qualche principio contenuto nella Costituzione, la parte interessata o il giudice stesso, o il Pubblico Ministero, sollevi l’eccezione di incostituzionalità della legge, così che, prima di decidere se quella legge debba essere o meno applicata, occorra decidere se è conforme alla Costituzione. In questo caso due possono essere le soluzioni: o stabilire che il giudice ha la facoltà di applicare o non applicare la legge a seconda che la ritenga, o no, costituzionale; ovvero stabilire che il giudice deve sospendere la definizione della questione, rinviando la risoluzione del problema della costituzionalità della legge all’organo competente a decidere. Un sistema intermedio, che è quello da lui proposto, consiste nel lasciare al giudice di stabilire, caso per caso, se preferisca di decidere la questione o ritenga invece opportuno di farla decidere dall’organo competente.
Il controllo in via principale invece si ha quando si stabilisca un apposito meccanismo, per cui un qualsiasi cittadino, o un ente stabilito dalla legge, possa, indipendentemente dal venire in questione l’applicabilità di una legge ad un caso concreto, provocare direttamente e immediatamente il giudizio di un organo apposito sulla costituzionalità di una legge. Questo controllo chiamasi in via principale, perché non viene come incidens in una questione di merito, ma costituisce l’unico oggetto di un giudizio.
Nel sistema che egli ha proposto si fondono i due tipi di controllo. Il controllo in via incidentale appartiene a tutti i giudici, con efficacia limitata al caso singolo incidenter tantum e con facoltà di decidere o sospendere; in ultimo grado spetta ad una sezione della Corte Suprema e non, come altri ha sostenuto, alla Corte di cassazione. Il controllo principale spetta esclusivamente alla Corte Suprema costituzionale, avanti alla quale un cittadino, o il Pubblico Ministero, può portare la questione della incostituzionalità di una legge. La pronuncia della Corte in via principale non toglie immediatamente vigore alla legge, ma pone gli organi legislativi di fronte alla necessità o di aderire al giudizio, abrogando la legge in questione, oppure di mettere in moto la procedura occorrente per modificare la Costituzione.
Precisa che lo stesso sistema è seguito negli Stati Uniti d’America e in Argentina, dove il giudice dichiara che la legge è incostituzionale e si rifiuta di applicarla. Del resto, anche attualmente, i giudici possono non applicare le norme contenute nei regolamenti, quando riconoscano che sono in contrasto con una legge.
LACONI, poiché, secondo il progetto Calamandrei, il giudice ha la possibilità non di dichiarare incostituzionale la legge, ma solo di applicarla o disapplicarla, prospetta l’eventualità di giudicati disformi nel caso di giudici che abbiano, nei riguardi della legge in questione, un differente parere.
CALAMANDREI, Relatore, nota che la eventuale disformità di giudicati è un fenomeno che si è sempre verificato ed è derivante dalla facoltà di interpretazione data al giudice.
CAPPI concorda con l’onorevole Calamandrei circa l’opportunità di ammettere sia il ricorso in via principale, che quello in via incidentale. Considera il ricorso in via principale necessario per la certezza del diritto, affinché si possa, anche prima che sorgano dei casi concreti, far decidere dalla Corte Suprema se la legge è, o meno, costituzionale; ma non riterrebbe opportuno che anche un qualsiasi cittadino potesse avere la facoltà di mettere in moto il procedimento della Corte Suprema. Stabilirebbe perciò, per l’impugnazione in via principale della legge per incostituzionalità, almeno la richiesta di un certo numero di cittadini.
Per il ricorso in via incidentale, considera, invece, logico che il titolare di un diritto possa avere la facoltà di far decidere se la legge è, o no, costituzionale. Sarebbe, però, del parere che il giudice, al quale fosse proposta la questione della costituzionalità, fosse obbligato a decidere e che l’eventuale ricorso contro tale decisione non avesse valore sospensivo, a meno che non fosse la stessa Corte Suprema ad ordinare la sospensione del giudicato impugnato.
MANNIRONI ha la sensazione che si voglia fare della Suprema Corte costituzionale più che altro un organo di interesse privatistico, il quale si dovrebbe preoccupare soltanto di decidere, o in via incidentale o in via principale, sulla costituzionalità di leggi, in seguito a richiesta di privati cittadini.
Si rende conto dell’importanza di questa esigenza, ma ritiene che si dovrebbe dare alla Suprema Corte una funzione e una competenza più alta e solenne, come inizialmente si era preveduto, nel senso, cioè, che potrà pronunziare sulla costituzionalità di una legge più che altro nei riflessi del pubblico interesse, in relazione specialmente a questioni che potessero essere sollevate dalle Regioni rispetto a leggi dello Stato, e viceversa. Anche l’interesse ad agire, a suo avviso, dovrebbe essere ristretto soltanto a pochissimi organi, per impedire che la Suprema Corte diventasse una specie di Corte di cassazione, obbligata ad occuparsi quotidianamente dei ricorsi dei privati.
Fatta questa premessa, dichiara di non poter prescindere dagli argomenti sollevati dall’onorevole Calamandrei, con il quale si dichiara d’accordo per quanto riguarda l’impugnativa in via principale e in via incidentale. Preoccupandosi, però, del pericolo di creare per i litiganti una nuova possibilità di mandare per le lunghe la definizione di una vertenza, regolerebbe in una forma piuttosto rigorosa la facoltà per privati cittadini di sollevare le questioni di incostituzionalità. Per evitare ogni abuso limiterebbe il potere di ricorso ad una delle due Camere, alle Camere regionali, al Governo, e, infine, a un gruppo di cittadini di una certa entità numerica. Nei giudizi ordinari di natura privata, la proponibilità della eccezione di incostituzionalità di una legge dovrebbe essere regolata un po’ dal giudice, al quale si potrebbe concedere il potere di respingere almeno le eccezioni manifestamente infondate e dilatorie.
PRESIDENTE ricorda che all’articolo 2 del progetto Leone si prevede che il privato cittadino, per esercitare il diritto di ricorso alla Corte Suprema costituzionale, debba avere interesse alla dichiarazione di nullità.
MANNIRONI, completando il suo pensiero, aggiunge di non essere del parere che possa essere concesso o riconosciuto al giudico il diritto di giudicare sulla costituzionalità di una legge, in quanto gli sembrerebbe eccessivo affidargli il diritto di esprimere un giudizio che è anche di natura politica. Tutto al più – come ha già detto – il giudice, nel caso che si sollevi in sede di giudizio l’incidente sulla costituzionalità di una legge, dovrebbe essere in grado di decidere se l’eccezione sia seria e meriti d’essere portata al giudizio dell’Alta Corte.
TARGETTI darebbe alla sola Corte costituzionale il diritto di decidere sulla incostituzionalità di una legge, limitando, però, l’effetto della dichiarazione, secondo quanto proposto dall’onorevole Calamandrei, a mettere in moto il meccanismo prestabilito per la revisione della Costituzione.
Concorda con l’onorevole Mannironi sulla inopportunità e impossibilità di affidare ad un giudice, che potrebbe anche essere un qualsiasi vice pretore onorario, di poter esprimere un apprezzamento che non solo è tecnico e giuridico, ma che, in molti casi, è squisitamente politico.
BOZZI è favorevole al sistema delineato dall’onorevole Calamandrei. Come è già stato osservato, anche oggi il giudice può decidere se applicare, o no, un regolamento, e, se ritiene che contrasti con la legge o ecceda i limiti assegnati alla potestà regolamentare, non lo applica.
Ritiene che il sistema Calamandrei, il quale ammette non solo il controllo in via incidentale, ma anche quello in via principale, sia utile, perché con esso si crea una specie di giurisprudenza sulla validità o invalidità di una norma di legge ordinaria, vincolandosi così, giuridicamente e moralmente, il potere legislativo a valutare l’opportunità o la necessità di abrogare o modificare una norma di legge che i giudici in più circostanze non hanno ritenuto di applicare.
Questo sistema, che è conforme a quello in uso in America e altri Stati, ha un valore non soltanto giuridico, ma anche politico, nel senso che evita la sovrapposizione di un organo giurisdizionale alla volontà del legislatore, in quanto la modificazione o abrogazione della norma verrà da parte dello stesso organo che le ha dato vita.
Naturalmente, quando il giudice si troverà di fronte ad una questione complessa, che può involgere un giudizio di carattere politico, la rimetterà al giudice supremo della costituzionalità. Ma per piccole questioni, la cui efficacia può limitarsi al caso dedotto in giudizio, trova che il sistema Calamandrei sia più cauto e non sconvolga profondamente i principî fondamentali del rispetto della volontà espressa dall’organo legislativo.
RAVAGNAN ritiene anzitutto che la facoltà di stabilire se una norma sia costituzionale, o no, debba spettare in primo luogo agli organi del potere esecutivo e, in secondo luogo, anche agli organi regionali, per le questioni che possono intercedere fra il potere centrale e le Regioni.
Si dichiara, poi, contrario ad attribuire al giudice la facoltà di decidere in via principale, in quanto, da un lato, tale facoltà significherebbe il controllo a priori di un potere sopra il potere legislativo e, dall’altro, se tutte le leggi dovessero essere sottoposte al controllo costituzionale, se ne tarderebbe tanto l’attuazione da farle divenire intempestive. Ammetterebbe, pertanto, che solo in via incidentale il giudice potesse avere la facoltà di mettere in moto il potere di decisione della Suprema Corte.
LEONE GIOVANNI, Relatore, fa presente all’onorevole Bozzi che il controllo di legittimità che viene oggi esplicato dal giudice nei riguardi del regolamento si spiega in quanto, essendo questo un atto del potere esecutivo, il controllo non si riferisce al potere legislativo, nei riguardi del quale non esiste attualmente alcun sistema di controllo, ma al potere esecutivo, per stabilire se si è mantenuto nei limiti della facoltà di emanazione di norme regolamentari.
Circa l’osservazione, prospettata ieri dall’onorevole Calamandrei, sul buon risultato che avrebbe dato questo sistema in America, dove sulla costituzionalità delle leggi si forma, via via, una giurisprudenza, la quale, se si consolida, incide sull’orientamento del potere legislativo, fa rilevare che, in relazione alla mentalità pratica che è propria di quel Paese, la consuetudine giudiziaria e la giurisprudenza hanno colà un valore che non hanno nei Paesi latini, dove si assegna maggior valore alla legge. Si dichiara convinto che in Italia un’affermazione giurisprudenziale ben difficilmente potrebbe indurre il potere legislativo a modificare una legge, con la conseguenza di un irrigidimento dalle due parti, ed un evidente danno per il prestigio della legge e per il carattere vincolante che essa deve avere di fronte alla coscienza dei cittadini.
Circa l’affermazione dello stesso onorevole Bozzi, che col sistema della pronuncia incidentale del magistrato sulla costituzionalità della legge, il potere legislativo non sarebbe sopraffatto, perché la dichiarazione di incostituzionalità si limiterebbe al caso concreto, fa notare che, per quanto limitata, si avrebbe sempre una sopraffazione o, per meglio dire, una sovrapposizione del potere giudiziario sul potere legislativo: cosa che non può assolutamente ammettere. Per questo motivo, competente a giudicare della costituzionalità delle leggi dovrebbe essere un organo che fosse al di fuori e al di sopra dei vari poteri.
Riconosce che nell’esame della costituzionalità della legge, per quanto trattisi di un’indagine prevalentemente tecnica, rientra anche un profilo politico, relativo alla interpretazione della norma costituzionale. Sotto questo aspetto, secondo quanto è previsto nel progetto Calamandrei e come è stato prospettato dall’onorevole Bozzi, il giudice, quando si trovi di fronte ad una norma che implichi anche un giudizio politico, può deferire la definizione della questione alla Suprema Corte costituzionale. Ma, essendo questo un potere discrezionale del giudice, rimesso cioè all’arbitrio boni viri, ritiene che si possa deferire al magistrato di stabilire se questo esame politico lo possa fare personalmente e lo debba rimettere alla Corte costituzionale.
Alla preoccupazione, che sta alla base del progetto Calamandrei, di impedire che vi sia un eccesso di ricorsi alla Corte costituzionale, ovvierebbe anzitutto con un limite temporale, che è previsto anche nel progetto Calamandrei, e stabilendo in secondo luogo, come è nel suo progetto, che il ricorso, se viene proposto da un cittadino, sia condizionato all’interesse del cittadino stesso.
Resta, però, sempre nel sistema Calamandrei la possibilità di un eventuale conflitto tra il giudicato del magistrato e quello successivo della Suprema Corte, a cui si può arrivare attraverso il congegno dei gravami. A questo proposito, profila anche la possibilità di una difformità di trattamento tra il controllo incidentale e quello principale, per quanto attiene all’efficacia, nel caso che, per il mancato esercizio del gravame, la Corte costituzionale non sia intervenuta nella questione incidentale con una sua sentenza. Nel suo progetto invece gli effetti sono disciplinati in maniera rigorosa, in quanto l’annullamento incide sulla legge e la dichiara invalida persino con effetto retroattivo. Se si accettasse un sistema diverso dal suo, come quello prospettato dall’onorevole Calamandrei, la dichiarazione di incostituzionalità, lungi dall’avere l’effetto di annullamento della norma, importerebbe solo una segnalazione al potere legislativo o per rivedere la legge, o per mettere in moto il procedimento di revisione della Costituzione. Con il suo sistema, invece, un cittadino che impugni in giudizio una legge per incostituzionalità, se la sua domanda sarà accolta, vedrà risolta la propria questione come se la legge in discussione non fosse stata mai emanata, appunto perché questa sarebbe dichiarata invalida. In questa situazione il privato troverebbe piena tutela anche in un procedimento incidentale.
Come ha segnalato, la possibilità di un conflitto dal punto di vista sistematico conduce ad inconvenienti anche dal punto di vista pratico. In pratica, infatti, la possibile difformità di giudicati avrebbe l’effetto di deviare l’orientamento del cittadino, nel senso che ognuno cercherà di proporre la questione di incostituzionalità in sede incidentale e mai in sede principale. A tale scopo, tenterà di istaurare sulla sua questione un giudizio, ricorrendo all’azione dichiarativa, della quale la dottrina cerca di ampliare la sfera. Attraverso una simile azione farebbe valere l’incostituzionalità della legge, e la sua richiesta, se fosse accolta, avrebbe effetti che non potrebbe avere se proposta in via principale.
Per questi motivi, afferma la sua fede nella necessità di un sistema unitario, che, lungi dall’impedire l’insorgenza della questione in sede incidentale, disciplini sullo stesso piano ambedue i casi, richiedendo per l’uno e per l’altro l’intervento della Corte costituzionale, con eguale procedura e con eguali effetti.
AMBROSINI ritiene che, prima di ogni altra questione, debba risolversi una questione pregiudiziale, se cioè si voglia fare o meno una Costituzione rigida.
Se si vuole adottare una Costituzione rigida, bisogna naturalmente subirne tutte le conseguenze, nel senso che bisogna necessariamente ammettere un sindacato sulle norme di legge emanate dal legislatore ordinario, perché altrimenti la Costituzione non sarebbe più rigida, ma flessibile, come quella inglese.
Naturalmente, quando la Costituente decidesse di adottare questo sistema, non potrebbe parlarsi di una violazione della volontà popolare o della diminuzione del prestigio dell’Assemblea, perché sarebbe stato il popolo italiano stesso che, per mezzo della Costituzione, avrebbe adottato un tale sistema. Perciò, una volta ammessa la Costituzione rigida, non può farsi a meno di accettare il sindacato sulle norme che emanerà il potere legislativo.
Circa l’organo a cui dovrebbe spettare l’esercizio di questo sindacato, riterrebbe logico adottare la soluzione più semplice, che è quella proposta dall’onorevole Calamandrei, vale a dire di investire il giudice della questione, come avviene attualmente per i regolamenti. Si verrebbe così ad aumentare i gradi di gerarchia delle norme giuridiche: in primo piano ci sarebbero le norme contenute nella Costituzione, in secondo piano quelle delle leggi cosiddette ordinarie, in terzo piano quelle contenute nei regolamenti emanati dal potere esecutivo. Essendo compito del giudice di interpretare le leggi, quando venisse investito della questione di incostituzionalità di una legge, egli dovrebbe decidere con lo stesso criterio con cui oggi procede quando è investito della questione di incostituzionalità di un regolamento, vedere, cioè se le norme della legge contrastino o meno con le norme della Costituzione.
Per non ammettere nel giudice una simile facoltà di controllo sulle leggi ordinarie, si è detto che egli sarebbe costretto a fare una indagine che potrebbe essere di carattere politico. Dissente da tale opinione, giacché il giudice deve fare sempre e soltanto una valutazione di natura giuridica, mettendo in rapporto una norma di grado inferiore con una di grado superiore, e vedendo se vi è fra di esse una discordanza. Una simile valutazione non può considerarsi di carattere politico, ma puramente giuridico, benché in tutti i giudizi vi sia naturalmente un minimum di valutazione subiettiva. Una indagine politica può riscontrarsi a proposito della legislazione regionale, allorché si tratti di vedere se una norma emanata dall’Assemblea regionale interferisca con l’interesse di una altra Regione o con l’interesse nazionale, ma non nei casi di cui si è parlato.
Stabilito che la valutazione del giudice è strettamente di carattere giuridico, è evidente che egli, per decidere la questione di incostituzionalità della legge, dovrà seguire gli ordinari criteri di interpretazione delle norme giuridiche, in conformità alla natura della sua funzione. Concludendo, ribadisce le ragioni per cui, adottato il sistema della Costituzione rigida, occorre stabilire il controllo sulle leggi ordinarie; controllo che può bene affidarsi ai giudici ordinari senza snaturare affatto la loro funzione.
LACONI osserva che dalla discussione sono emersi tre problemi: chi sia legittimato a proporre l’impugnazione davanti alla Suprema Corte; chi debba decidere; quale sia l’effetto da attribuire alla decisione.
A proposito del primo quesito, non crede che possa essere accettata la lunga elencazione dei possibili promotori del procedimento, prevista dall’articolo 2 del progetto Leone, ma sarebbe favorevole a riservare ogni iniziativa a ciascuna delle due Camere.
Sul secondo quesito, pensa che debba essere ammessa la possibilità del controllo in via incidentale, senza, però, dare al giudice la facoltà di decidere la incostituzionalità della legge. Il giudice, quindi, se respinge l’eccezione proposta, applicherà la legge, mentre, se la ritiene fondata, dovrà limitarsi a rimettere le questioni alla Corte costituzionale. In altri termini, qualunque decisione dovrebbe essere riservata unicamente alla Suprema Corte.
Circa gli effetti da attribuire alla decisione, ritiene che i pronunciati della Corte, per non provocare eventuali conflitti, dovrebbero avere solo un valore indicativo, con la possibilità, quindi, del rinvio della legge agli organi legislativi per un riesame. Si eviterebbe così che la Corte costituzionale, nella sua funzione di controllo, venisse a sostituirsi agli organi legislativi, che devono rimanere i soli competenti.
CAPPI teme che si vogliano inserire nella Carta costituzionale norme riguardanti argomenti che dovrebbero piuttosto formare oggetto di una legge processuale. Allo scopo di eliminare questo inconveniente, e per venire incontro alle preoccupazioni dell’onorevole Leone, propone i seguenti articoli:
«L’impugnativa contro la costituzionalità di una legge dello Stato o della Regione è ammissibile tanto in via incidentale avanti al giudice ordinario, quanto in via principale avanti la Corte Suprema, con le modalità che verranno stabilite dalla legge processuale. L’impugnativa non è più ammissibile dopo un anno dalla promulgazione della legge».
«In caso di dichiarazione di incostituzionalità emessa da un magistrato, la sentenza deve essere comunicata alla Corte Suprema, la quale, anche in difetto di ricorso di parte, deciderà la questione con efficacia generale».
Osserva che si tratterebbe, in sostanza, dell’antico istituto del ricorso nell’interesse della legge, che non è stato quasi mai applicato, davanti la Corte di cassazione. Il giudice ordinario, quando riconoscesse la incostituzionalità della legge, dovrebbe comunicare la decisione alla Corte Suprema, la quale di ufficio, anche senza il ricorso delle parti, emetterebbe la propria decisione, da valere erga omnes.
LACONI osserva che, se il parere della Suprema Corte fosse contrario a quello del giudice, la sentenza del giudice verrebbe implicitamente annullata.
CAPPI ritiene che la sentenza del giudice possa essere annullata solo nel caso che la parte abbia ricorso. Se invece la parte si è acquietata alla pronuncia del giudice, la sentenza continuerà ad avere valore. Ad ogni modo, nel caso in cui la dichiarazione di incostituzionalità fosse confermata dalla Suprema Corte, si applicherebbero gli articoli 30 e 35 del progetto Calamandrei, nel senso che la legge continuerebbe ad avere vigore, ma sarebbe messo in moto il potere legislativo, affinché la abrogasse o modificasse.
Conclude, affermando che la materia potrebbe essere contenuta in 3 o 4 articoli, rimandando ad una legge processuale tutte le modalità. Come già esiste una legge processuale per la Corte di cassazione, analogamente potrebbe prevedersene un’altra per la Suprema Corte costituzionale.
LEONE GIOVANNI, Relatore, ricorda che la Sezione aveva stabilito di approvare dei principî generali, prima di passare all’esame di singoli articoli. Dovrebbero, poi, avere la precedenza gli articoli proposti dai due Relatori.
Il congegno proposto dall’onorevole Cappi, che è intermedio fra quelli dei due Relatori, gli appare essenzialmente artificioso, in quanto che, se la Suprema Corte conferma la sentenza del giudice, questa sentenza estende i suoi effetti erga omnes, ma non risolve la difformità degli effetti. In altri termini, mentre la sentenza del giudice annulla la validità della legge nel caso concreto, la sentenza della Corte Suprema non l’annulla, ma serve solo a richiamare l’intervento del Parlamento. In sede di primo grado, quindi, la sentenza avrebbe un effetto più limitato quanto alle parti e più ampio quanto all’efficacia. Nel giudizio di impugnazione la sentenza avrebbe un effetto più largo quanto alle parti (erga omnes), più ristretto quanto all’efficacia.
Quando invece la sentenza non fosse confermata dalla Corte Suprema, essendo la pronuncia una specie di ricorso nell’interesse della legge – se il sistema proposto dall’onorevole Cappi fosse coerente – il giudicato non dovrebbe annullare la sentenza di primo grado. E allora la sentenza di primo grado conserverebbe la sua efficacia, mentre quella difforme della Corte Suprema avrebbe valore per gli altri, ma non per le parti: il che sarebbe gravissimo.
Per questi motivi si dichiara contrario al sistema proposto dall’onorevole Cappi.
LACONI è, invece, favorevole alla proposta dell’onorevole Cappi, la cui articolazione ritiene possa facilitare l’accordo su di una formula concreta.
Non comprende però per quale ragione l’onorevole Cappi non ammetta che il giudice, invece di emanare la sentenza, possa semplicemente sospenderla, senza correre il rischio di vedersela annullata dalla decisione della Suprema Corte. Proporrebbe, quindi, che il giudice applicasse la legge quando la ritenesse costituzionale; sospendesse il giudizio e rinviasse la questione alla Corte costituzionale in caso contrario.
TARGETTI ritiene che la questione da risolvere sia quella di stabilire se il giudice sia investito del giudizio sulla costituzionalità della legge.
CAPPI fa presente che, con la sua proposta, intendeva di rimandare alla legge processuale tutte le modalità relative all’impugnativa.
MANNIRONI osserva che anche quando il giudice dà un parere positivo, riconoscendo che la legge è costituzionale, già esprime un giudizio.
CALAMANDREI, Relatore, richiama l’attenzione sul suo progetto che, se fosse stato attentamente esaminato, avrebbe potuto evitare molte discussioni. Nel suo articolo 36 è previsto, appunto, che l’ordinamento della Suprema Corte costituzionale e il procedimento da seguire dinanzi ad essa siano regolati da una apposita legge, modificabile soltanto nelle forme e con le garanzie stabilite per le modificazioni della Costituzione. Sarebbe favorevole a rimandare a questa legge tutte le norme procedurali che si ritenga superfluo inserire nella Costituzione.
Ricorda che in materia di economia regionale, su proposta dell’onorevole Rossi, è stato approvato un articolo nel quale sono regolati i conflitti di legislazione tra le Regioni e lo Stato, e sono previste le persone e gli organi legittimati a proporre il ricorso alla Suprema Corte.
Richiama, quindi, l’attenzione dell’onorevole Laconi sull’articolo 31 del suo progetto, relativo alle persone che sono legittimate a proporre l’impugnazione davanti alla Corte Suprema costituzionale, su cui dichiara di non insistere, perché si rende conto che sarebbe bene demandare il ricorso in via principale soltanto ad un organo pubblico, potendo essere pericoloso lasciare aperta la via dell’azione ad ogni singolo elettore. Al posto del Procuratore generale Commissario della giustizia, metterebbe un organo emanante dal Consiglio Superiore della Magistratura, oppure una delegazione delle Camere.
Vorrebbe ancora richiamare l’attenzione sulla diversità esistente fra gli articoli 30 e 33 del suo progetto, relativi alla posizione degli organi legislativi, nel caso in cui la pronunzia di incostituzionalità da parte della Corte Suprema sia avvenuta in via incidentale o in via principale. Per l’articolo 30, se la pronuncia è avvenuta in via incidentale, la decisione della Suprema Corte, una volta comunicata alle Camere, mette gli organi legislativi o il Governo nella posizione di considerare l’opportunità, senza che vi siano obbligati, di prendere l’iniziativa per l’abrogazione o modificazione della legge dichiarata incostituzionale. Viceversa, per l’articolo 33, quando si tratti di dichiarazione di incostituzionalità fatta in via principale, il Governo appena informato, deve prendere l’iniziativa di proporre alle Assemblee legislative, con procedura di urgenza, una legge abrogativa o modificativa della legge dichiarata incostituzionale. Nel primo caso, insomma, vi è soltanto la facoltà di prendere l’iniziativa, nel secondo caso l’obbligo.
Circa le preoccupazioni dell’onorevole Leone sulla possibilità di giudicati difformi e relativi effetti, fa rilevare che anche nel sistema attuale avviene facilmente che in due giudizi differenti, ma aventi come oggetto la medesima questione di diritto, a seconda che le parti ricorrano o meno, si abbia come conseguenza che la Corte di cassazione decida in modo difforme da come ha deciso il giudice, la cui sentenza non impugnata rimane ferma, essendo passata in giudicato. Può anche accadere che, in caso di legge di dubbia interpretazione, successivamente venga emanata una legge interpretativa la quale, per quanto abbia effetto retroattivo per i casi non ancora decisi, non tocca però i giudicati che nel frattempo si siano avuti in senso contrario a quello della legge interpretativa.
Per concludere, si dichiara disposto ad aderire a due proposte emerse dalla discussione e che gli sembrano opportune: una è dell’onorevole Cappi, e cerca di semplificare l’articolazione nel senso di limitarsi ad ammettere il controllo in via incidentale e principale, ed a fissare i principî fondamentali, rimettendo ad un’apposita legge tutte le questioni procedurali; la seconda proposta è quella dell’onorevole Laconi, secondo la quale, in materia di controllo incidentale, il giudice avrebbe la facoltà di decidere solo quando ritenesse che la legge sia costituzionale, respingendo cioè l’eccezione. Quando invece il giudice ritenesse fondata l’eccezione di incostituzionalità, non potrebbe accoglierla, ma dovrebbe rimandarla alla Corte Suprema.
Per rendere, però, questa proposta più accettabile, dato che non si può lasciare al giudice la possibilità di decidere negativamente e non quella di decidere positivamente, la modificherebbe nel senso che tutte le volte in cui davanti al giudice ordinario venga sollevata una eccezione di incostituzionalità, il giudice dovrà sospendere il processo e rimandare la decisione alla Corte Suprema, a meno che non gli risulti prima facie evidente che l’eccezione è infondata.
LEONE GIOVANNI, Relatore, considera implicito che, quando il giudice consideri la questione non influente o sfornita del fumus boni juris, non abbia l’obbligo di sospendere il processo. Tuttavia, dal punto di vista dell’esigenza di impedire eventuali eccessi nei ricorsi – a parte la difficoltà della formulazione – dichiara di aderire alla possibilità di giudizio prima facie.
MANNIRONI, circa l’affermazione che la questione dei rapporti fra Stato e Regioni è già stata risolta mediante un apposito articolo, desidera precisare che in sede di Sottocommissione si è ammessa la possibilità del ricorso del Governo contro le leggi delle Regioni, ma si è rinviato a questa Sezione di decidere del diritto delle Regioni di ricorrere contro le leggi dello Stato. Fa poi presente che, accedendo all’ultima proposta dell’onorevole Calamandrei, bisognerebbe dare, nel caso, alla parte la possibilità di impugnare, sia pure in ultima sede, la decisione discrezionale del giudice.
LEONE GIOVANNI, Relatore, è d’accordo.
AMBROSINI si dichiara favorevole al sistema primitivo dell’articolo 27 del progetto Calamandrei, perché, a suo avviso, il giudice, quando venga sollevata l’eccezione di incostituzionalità, deve avere la possibilità di decidere.
LACONI solleva una questione pregiudiziale, nel senso che da parte sua e del suo gruppo non si ritiene possibile votare sull’argomento in discussione, se prima non si è deliberato sulla composizione dell’organo.
PRESIDENTE non ha nulla in contrario ad esaminare subito la questione della composizione della Suprema Corte. Dà lettura dell’articolo 34 del progetto Calamandrei:
«Composizione della Suprema Corte costituzionale. – La Suprema Corte costituzionale ha sede in …, ed è composta di 24 giudici, di 3 Presidenti di Sezione e di un Primo Presidente; è divisa in 3 Sezioni, a ciascuna delle quali sono assegnati 8 giudici, ed un Presidente di Sezione.
«Le Sezioni siedono costituite in collegio di 7 componenti, compreso il Presidente della Sezione; le Sezioni unite siedono costituite in collegio di 19 componenti, compreso il Primo Presidente e i tre Presidenti di Sezione.
«L’ufficio di Pubblico Ministero presso la Suprema Corte costituzionale è tenuto dal Procuratore generale Commissario della giustizia, coadiuvato da un numero sufficiente di sostituti.
«I giudici della Suprema Corte costituzionale sono scelti per metà tra i magistrati di grado non inferiore a quello di consigliere di Cassazione, eletti dalla stessa Magistratura; per metà tra i professori ordinari di materie giuridiche nelle Università e tra gli avvocati esercenti da più di 20 anni, eletti, su elenchi proposti dalle Università o dai Consigli dell’Ordine, dalla Camera dei Deputati. Il Primo Presidente e i Presidenti di Sezione sono scelti dal Presidente della Repubblica in una delle suddette categorie.
«La nomina dei giudici e dei presidenti è fatta con decreto del Presidente della Repubblica; essi durano in carica 5 anni e alla scadenza sono rieleggibili»;
e dell’articolo 3 del progetto Leone:
«La Corte di giustizia costituzionale è composta di:
un presidente;
otto membri ordinari;
quattro supplenti.
«La Corte giudica con la composizione di 9 membri.
«Tre dei membri devono essere scelti tra i magistrati con funzioni non inferiori a consiglieri di Cassazione equiparati, escluso il Primo Presidente della Cassazione.
«Due membri della Corte di giustizia costituzionale devono essere scelti tra i professori ordinari di materia giuridica delle Università che abbiano non meno di 10 anni di insegnamento di ordinario.
«I magistrati ed i professori universitari cessano dalle funzioni e dall’impiego.
«Gli altri membri devono possedere i requisiti di eleggibilità a deputato.
«Il Presidente ed i membri ordinari e supplenti sono eletti dai due rami del Parlamento e dai Capi delle Deputazioni regionali, riuniti in Assemblea Nazionale, col sistema della votazione segreta e con la maggioranza dei due terzi. In caso di tre votazioni, da tenersi ciascuna a distanza di due giorni, che non raggiungano la predetta maggioranza, si procede ad una quarta votazione segreta con maggioranza semplice.
«Per i giudici della Corte di giustizia costituzionale non vigono limiti di età.
«Il Presidente ed i giudici durano in carica 10 anni e sono rieleggibili. Possono, tuttavia, venir dispensati dalle funzioni in caso di malattia che ne comprometta il libero esercizio, su richiesta del Capo dello Stato o del Governo o di un quarto dei deputati o dei senatori. La dispensa viene pronunciata dalla medesima Corte di giustizia costituzionale».
LEONE GIOVANNI, Relatore, data la vastità dei compiti della Corte costituzionale, aderisce alla divisione in sezioni proposta dall’onorevole Calamandrei, aumentando il numero dei componenti.
PRESIDENTE precisa che bisogna risolvere tre fondamentali questioni di principio, cioè: 1°) chi devono essere gli elettori; 2°) le categorie degli eleggibili; 3°) la proporzione tra di esse. Pone in discussione la prima questione.
LEONE GIOVANNI, Relatore, poiché la Suprema Corte dovrà occuparsi, forse precipuamente, anche della costituzionalità degli atti delle Regioni, tra gli elettori prevederebbe anche i capi dello Deputazioni regionali.
RAVAGNAN è contrario a questa proposta.
LACONI fa presente che le Regioni sono già rappresentate dal Senato.
LEONE GIOVANNI, Relatore, non insiste.
AMBROSINI dichiara di attenersi completamente al sistema dell’onorevole Calamandrei. La metà almeno dei giudici della Corte costituzionale dovrebbe essere formata da magistrati, eletti dalla stessa Magistratura, e non dal Parlamento.
LEONE GIOVANNI, Relatore, come è previsto nel suo sistema, ritiene che la Suprema Corte non dovrebbe essere formata esclusivamente di magistrati e professori universitari. Trattandosi, infatti, di un organo avente carattere tecnico e politico, bisogna che esso rispecchi anche nella sua composizione questa duplicità di carattere. Crede, perciò, che tutti possano essere d’accordo che i membri della Suprema Corte, salvo stabilire le proporzioni, siano tecnici (ossia magistrati, professori universitari, avvocati) e non tecnici (ossia elementi tratti da un ambiente non qualificato tecnicamente), il che, peraltro, non significa che tali elementi debbano essere scelti senza alcun criterio direttivo, dovendo trattarsi di persone le quali, benché sfornite di particolare qualificazione tecnica, siano tuttavia fornite di larga esperienza e di capacità di giudicare le importanti questioni sottoposte alla Corte.
Per quanto riguarda la questione del corpo elettorale, si dichiara disposto ad accedere al principio che l’elezione dei professori universitari ed avvocati venga riservata alle due Camere, con il limite della designazione dei corpi, per evitare che si nomini il professore universitario meno preparato o l’avvocato meno qualificato per competenza. Per quanto concerne invece i magistrati, esiste tra il suo progetto e quello dell’onorevole Calamandrei un parziale dissenso, se, cioè debbano essere eletti dall’Assemblea Nazionale o dalla stessa Magistratura. Ora, mentre si rifiuta categoricamente di comporre la Corte Suprema di membri del Parlamento, ritiene che possa essere accettato il principio che i suoi componenti, anche se magistrati, siano nominati dal Parlamento.
AMBROSINI non è d’accordo sul sistema di deferire l’elezione di tutti i membri della Corte costituzionale alla Camera dei Deputati o all’Assemblea Nazionale. Insiste perché venga accettato il progetto Calamandrei, che si dichiara pronto a far suo. Poiché la Corte costituzionale deve essere investita di una funzione di controllo sulle leggi votate dal Parlamento, non gli sembra opportuno che tutti i suoi componenti vengano eletti dallo stesso organo che deve essere controllato. Insiste nel mettere in rilievo che la metà almeno dei componenti della Suprema Corte costituzionale dovrebbe essere costituita da magistrati eletti da tutto il corpo giudiziario.
CALAMANDREI, Relatore, ritiene che il controllo sulla costituzionalità delle leggi, pur essendo prevalentemente giuridico, abbia però degli aspetti politici che hanno maggiore importanza in una Costituzione in cui, come l’attuale, sono contenute direttive politiche. Nel suo progetto crede, però, di avere ovviato anche a qualsiasi preoccupazione di carattere politico, perché, contrariamente a quello che avviene per la Suprema Corte costituzionale degli Stati Uniti – la quale, essendo composta di magistrati nominati a vita, costituisce un ostacolo di carattere conservatore contro talune leggi cosiddette di carattere progressivo – ha previsto che i componenti della Corte siano solo per la metà di provenienza dalla Magistratura e durino in carica solo per cinque anni. Si tratta, quindi, di un organo che si rinnuova continuamente ed i cui membri, aspirando ad essere rieletti, probabilmente non avranno quella rigidezza conservatrice che si manifesta negli Stati Uniti, dove sono nominati a vita.
PRESIDENTE pone ai voti il principio che elettori dei magistrati che faranno parte dell’Alta Corte costituzionale debbano essere i magistrati stessi.
(Non è approvato).
Pone allora ai voti il principio che tutti i componenti della Corte costituzionale debbano essere eletti dall’Assemblea Nazionale.
(È approvato).
LEONE GIOVANNI, Relatore, per quanto concerne la proporzione degli eleggibili, desidererebbe che per un terzo i membri della Corte fossero nominati tra i professori universitari, dando la possibilità di scegliere anche tra uomini di pensiero.
TARGETTI proporrebbe: un terzo magistrati, un terzo avvocati ed un terzo non tecnici, che abbiano i requisiti per la nomina a deputato.
BULLONI propone che le nomine da parte dell’Assemblea avvengano in tre categorie; magistrati, designati dal Consiglio Superiore della Magistratura; avvocati, indicati dal Consiglio Superiore forense; professori universitari, indicati dai Consigli accademici; tutti designati, si intende, in numero maggiore degli eleggibili, in modo che vi sia la possibilità di una scelta.
RAVAGNAN, a nome del suo partito, dichiara di essere contrario alle designazioni; pertanto, oltre i magistrati, anche i non magistrati dovrebbero essere nominati dall’Assemblea Nazionale, senza che fossero fissate le categorie in cui i membri dovranno essere scelti. Circa la proporzione, propone che la Suprema Corta sia formata per un terzo di magistrati e per due terzi di non magistrati, senza determinazione di categorie.
UBERTI non includerebbe nella Suprema Corte elementi non tecnici, perché, trattandosi essenzialmente di valutazioni giuridiche, è necessario che tutti siano persone competenti.
AMBROSINI integrerebbe la proposta dell’onorevole Calamandrei, aggiungendo ai professori e agli avvocati, le «persone specialmente qualificate por i loro studi».
CALAMANDREI, Relatore, direbbe «cultori insigni di materie giuridiche».
AMBROSINI preciserebbe di «materie giuridiche e politiche».
BOZZI teme che, limitando troppo le categorie, si tolga valore alla elettività. Prevederebbe le seguenti categorie: magistrati, professori universitari, avvocati e cultori di scienze giuridiche; e aggiungerebbe la categoria dei politici.
BULLONI completa la sua proposta in questo senso: professori universitari e cultori di scienze giuridiche, indicati dal Consiglio Superiore della pubblica istruzione. La designazione costituirebbe una garanzia di selezione.
FARINI si associa all’onorevole Bozzi, nel senso di dare la massima latitudine possibile all’Assemblea Nazionale nella scelta degli elementi adatti per questa altissima funzione. È indiscutibile che essa sceglierà uomini competenti in materie giuridiche.
Ritiene, quindi, che la formula proposta dall’onorevole Ravagnan sia la più giusta: «magistrati e non magistrati», lasciando al Parlamento la più ampia libertà di scelta. Demandare agli organi professionali la designazione gli sembra che sia già una limitazione della facoltà di scelta del Parlamento.
LACONI crede anch’egli che predeterminare rigorosamente le categorie significhi immiserire un organo che si sta concependo come il massimo del Paese. L’indicazione delle categorie dovrebbe essere perciò ampia e solenne, in modo da corrispondere alla dignità di questo organo, come per esempio «magistrati e cultori di materie giuridiche».
LEONE GIOVANNI, Relatore, escluderebbe la categoria degli insigni cultori di diritto, per evitare che, in momenti di disfacimento della dignità dei corpi elettorali, avvenisse quello che è avvenuto col fascismo nei riguardi dei professori nominati per chiara fama e delle lauree ad honorem. Ribadisce, quindi, la necessità di tre categorie: magistrati, professori universitari, entro certi limiti di anzianità, e avvocati; una terza categoria indiscriminata, della quale potrebbero far parte uomini che, se non sono insigni dal punto di vista della preparazione giuridica, possono però portare alla Corte costituzionale un profondo contributo, come, per esempio, vecchi uomini politici, o ex capi dello Stato.
Proporrebbe, pertanto, le seguenti categorie e proporzioni: «metà, magistrati, un quarto professori universitari ed avvocati, un quarto cittadini che abbiano l’eleggibilità a deputati».
BOZZI, invece della eleggibilità a deputato, prevederebbe quella a senatore, in relazione alla quale è previsto un limite di età di 35 anni.
CAPPI, per la terza categoria, parlerebbe soltanto di elettori politici.
MANNIRONI dichiara di aderire alla proposta dell’onorevole Leone; ma desidererebbe che nella dizione «magistrati» fossero compresi anche gli ex-magistrati.
PRESIDENTE per la terza categoria prevederebbe un minimo di quaranta anni di età. Crede che la Suprema Corte possa essere composta per la metà di magistrati; per un quarto di avvocati e professori universitari e per un quarto di elettori politici aventi almeno 40 anni.
BOZZI domanda se fra gli elettori politici debbano comprendersi anche le donne.
PRESIDENTE risponde affermativamente. Pone ai voti l’espressione: «metà magistrati».
(È approvata).
Pone ai voti: «un quarto avvocati e professori universitari».
(È approvata).
Pone ai voti: «e un quarto elettori politici aventi almeno 40 anni».
(È approvata).
La seduta termina alle 19.20.
Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti e Uberti.
Assenti: Castiglia, Di Giovanni e Porzio.