Come nasce la Costituzione

VENERDÌ 17 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

78.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 17 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Mortati, Relatore – Fabbri – Laconi – Einaudi – Uberti – Ambrosini – Nobile – Perassi – Lami Starnuti – Ravagnan – Bulloni – Mannironi – Cappi – Lussu – La Rocca – Fuschini – Grieco – Tosato.

La seduta comincia alle 17.35.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

 

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Mortati ha presentato un progetto di articolazione sopra il referendum.

MORTATI, Relatore, illustra il suo progetto, avvertendo di aver previsto due ipotesi di referendum: su iniziativa del Governo e su iniziativa del popolo.

I casi previsti per l’iniziativa del Governo sono due: per sospendere una legge approvata dalle Camere e viceversa per dar corso ad un disegno di legge respinto dal Parlamento. Non essendosi ritenuto di creare un regime di tipo assembleare, si è preveduta l’ipotesi di un dissidio non grave tra Parlamento e Governo relativo a singole misure legislative, che non conduce necessariamente ad una crisi di Governo, ed in relazione a situazioni simili è apparso opportuno dare al Governo la possibilità di opporsi a leggi che il Parlamento abbia approvate o di introdurre leggi che abbiano incontrato resistenza nel Parlamento. In questi casi il dissenso tra Parlamento e Governo non può risolversi altro che attraverso il responso popolare, ed a ciò risponde l’articolo 1 del suo progetto. Osserva che però esso contiene un riferimento all’articolo 38, il quale è ora inesatto, poiché quest’articolo non è stato approvato per la parte che si riferiva alla richiesta di referendum in caso di dissidio tra le due Camere. Si potrebbe correggere nel senso di aggiungere al secondo comma un inciso di questo genere: «Analoga facoltà compete per il rigetto di un disegno di legge dall’uno all’altro ramo del Parlamento». Fa presente che nel testo del progetto si conferisce al Capo dello Stato il potere formale di indire il referendum, in quanto è stato già stabilito che tutti gli atti del Capo dello Stato devono essere controfirmati dal Capo del Governo.

Anche i casi previsti per il referendum di iniziativa popolare sono due: da una parte, iniziativa popolare che tende ad arrestare un procedimento legislativo già esaurito o ad abrogare una legge già entrata in vigore; dall’altra, iniziativa che tende ad introdurre nell’apparato legislativo modificazioni, che non siano state promosse dal Parlamento. Ricorda a questo proposito che era già stato approvato un articolo relativo all’iniziativa popolare, e si era previsto che essa si arrestasse al momento in cui l’iniziativa stessa veniva sottoposta al Parlamento, stabilendo che non dovesse più aver corso, se il Parlamento non l’avesse approvata. Era stato anche previsto che occorressero le firme di 100.000 elettori affinché l’iniziativa dovesse esser presa in considerazione. L’articolo 3 del progetto completa quella disposizione già approvata, nel senso di prevedere l’ipotesi di rigetto dell’iniziativa popolare, prescrivendo che debba avere ugualmente corso se ad essa si aggiunga una nuova iniziativa con un numero maggiore di aderenti.

Spiega quindi che gli altri articoli del progetto tendono a regolare le modalità del referendum. L’articolo 4 stabilisce che una legge disapprovata dal voto popolare non possa essere ripresentata, se non siano trascorsi due anni dal rigetto; l’articolo 5 determina le leggi che non possono essere oggetto di referendum (leggi finanziarie, leggi di autorizzazione alla stipulazione di trattati internazionali, e quelle di ratifica); l’articolo 6 stabilisce che i cittadini che possono partecipare al referendum sono gli elettori alla prima Camera. In questo si fa anche rinvio alle leggi speciali per le altre modalità.

Per le Regioni è previsto il referendum non solo per la materia legislativa, ma anche per singoli provvedimenti di carattere propriamente amministrativo. Si è creduto opportuno indicare alcuni atti per i quali il referendum è obbligatorio (assunzione diretta dei pubblici servizi; contrazione di prestiti, non destinati alla conversione di debiti precedenti, superiori ad una cifra che sarà stabilita; erogazione di spese tali da impegnare il bilancio dell’ente per oltre cinque anni in misura superiore al decimo delle entrate annuali ordinarie).

Accenna quindi agli argomenti che sono stati volontariamente tralasciati. È stata esclusa l’ipotesi del referendum obbligatorio, salvo per la revisione costituzionale, per la quale la Sottocommissione ha già preso una deliberazione a parte: ogni ricorso al referendum è facoltativo, così per il Governo, come per il popolo. È stato anche escluso qualsiasi caso di referendum consultivo per la ragione, già altre volte da lui esposta, che il popolo non è un organo consultivo. Egualmente si è omessa l’ipotesi di un referendum preventivo all’emissione di una legge: ammettere che il Parlamento possa richiedere esso stesso l’avviso popolare su una determinata legge è sembrato cosa tale da indebolire il senso di responsabilità del Parlamento stesso. Così si è creduto di escludere qualsiasi previsione circa le conseguenze, positive o negative, del pronunciamento popolare nei riguardi degli organi che l’hanno provocato. Non è sembrato opportuno far conseguire la revoca del Capo dello Stato, che ha chiesto il referendum, al risultato di questo contrario alla revisione per cui lo ha indetto; e ciò per rendere più libera l’iniziativa popolare, facendo esulare ogni significato di voto di fiducia dal referendum.

Si è anche creduto opportuno di escludere ogni sorta di referendum su questioni diverse dalle leggi, salvo i casi che sono stati già accennati relativi all’ordinamento regionale. Similmente non si è ammesso il referendum per la revoca del Capo dello Stato o per la revoca del Parlamento, ritenendosi il popolo non sufficientemente maturo per questo tipo di referendum che potrebbe portare quindi profondi turbamenti nella vita politica del Paese. In sostanza, si è ammesso soltanto il referendum legislativo, salvo per gli atti amministrativi di competenza delle Regioni.

Conclude facendo presente che qualche punto del progetto dovrà essere perfezionato in sede di discussione, e che dovrà essere rivisto, ad esempio, il termine stabilito nell’articolo 2 per l’iniziativa popolare.

FABBRI propone che, nella discussione del progetto in esame, sia data la precedenza alla disposizione, contenuta nel secondo comma dell’articolo 6, concernente una questione che, secondo lui, riveste un carattere pregiudiziale.

In quest’articolo si stabilisce che la proposta sottoposta a referendum si intende approvata quando abbia raccolta la maggioranza dei voti espressi, ed egli osserva che in uno stato democratico il problema principale, per avere un orientamento relativamente all’ammissione o al rigetto dell’istituto del referendum, è quello di sapere quale sia il peso, che nella proposta dell’onorevole Mortati è completamente negativo, dato a coloro che si astengono dalla votazione.

Se si ammette che un referendum, al quale abbia partecipato uno scarso numero di elettori, abbia la possibilità, con la maggioranza di coloro che vi hanno partecipato, di sconvolgere l’espressione stessa della sovranità nazionale quale emana dal Parlamento, che si può supporre eletto da venti o venticinque milioni di elettori, si ammette un principio che può essere gravido di conseguenze molto importanti e pericolosissime.

LACONI esprime l’avviso che sette articoli sulla questione del referendum nell’economia della Costituzione siano eccessivi, e che si debba giungere ad una formulazione più ristretta. Rileva quindi che le osservazioni dell’onorevole Fabbri sono degne di considerazione, perché mostrano i pericoli che può presentare il referendum come esso è disciplinato nel progetto in esame.

Osserva che questo istituto, preso da Paesi che hanno un’altra tradizione democratica, potrebbe presentare gravi inconvenienti in Italia, dove le masse popolari sono riluttanti a recarsi alle urne, e si stancherebbero ove il Capo dello Stato ricorresse con frequenza al referendum rimesso alla sua iniziativa. Il referendum è un istituto comprensibile in un Comune o in una Regione, ove si tratta di problemi locali che interessano direttamente i cittadini, ma non è altrettanto concepibile nell’ambito nazionale di quasi cinquanta milioni di abitanti, ove si tratta di mobilitare milioni di elettori.

Rileva la gravità della disposizione contenuta nell’articolo 1 del progetto Mortati, che dà unicamente al Capo dello Stato, e senza alcuna modalità, la facoltà di indire un referendum su disegni di legge rigettati dal Parlamento e su leggi a lui sottoposte per la promulgazione. Osserva che è enorme dare ad una sola delle due parti in causa la facoltà di indire il referendum e che questo potrebbe dare i più strani risultati, se non fosse preparato da una adeguata agitazione del problema in seno alle masse degli elettori.

Conclude dichiarandosi favorevole al referendum nell’ambito dei Comuni e delle Regioni, ma osservando che esso presenta molti pericoli quando sia attuato su scala nazionale, a meno che non si prevedano restrizioni e modalità tali da rendere molto grave e raro il ricorso a questo istituto.

EINAUDI rileva l’importanza delle osservazioni dell’onorevole Fabbri, e osserva a sua volta che non esistono Paesi nei quali il referendum, pure essendovi praticato da molto tempo, non abbia dato luogo alle stesse osservazioni. Anche in Svizzera, dove il referendum è applicato con frequenza, i suoi risultati non sono stati sempre soddisfacenti, perché molto spesso gli elettori hanno mostrato di non interessarsi alle questioni che venivano loro proposte. Il problema principale è quello di distinguere tra gli argomenti che meritano di essere sottoposti a referendum e quelli che non lo meritano; ma questo non può essere risolto che dagli elettori nell’atto stesso in cui si recano alle urne.

Inoltre, nel progetto dell’onorevole Mortati è contemplato soltanto il caso di referendum sulle leggi, le quali sono composte quasi sempre di più articoli, mentre un referendum significativo deve essere raccolto su una domanda chiara ed univoca, alla quale si possa rispondere solamente con un «sì» o con un «no».

UBERTI si dichiara favorevole all’istituto del referendum, perché esso ha il suo fondamento nella democrazia che appunto si sta attuando. Ritiene che il referendum a carattere nazionale debba avere alcune limitazioni, ed è comunque convinto che sarà applicato solo per questioni di grande importanza.

Propone che nell’articolo 7 del progetto, dove si dice che gli Statuti regionali potranno disporre per la formazione delle leggi regionali l’uso del referendum, sia estesa la possibilità di impiegare il referendum anche ai Comuni per le deliberazioni comunali. Fa presente a tale proposito che la facoltà concessa al popolo di esprimere il suo pensiero su determinati problemi amministrativi è di importanza radicale, specialmente da che è stato abolito il controllo di merito, controllo che sarebbe fatto dalle popolazioni stesse attraverso il referendum, indetto dall’amministrazione o richiesto da un ventesimo degli abitanti.

Insiste ancora sull’opportunità di affermare nella maniera più ampia possibile il referendum comunale, stabilendo che quando una deliberazione dell’Amministrazione superi un limite determinato di spesa, si debba, in sostituzione del controllo di merito, ricorrere al referendum. Vorrebbe inoltre che l’impiego del referendum nei riguardi degli Statuti regionali, oltre che ai casi contemplati nell’ultima parte dell’articolo 7, fosse esteso ad altre questioni, quali l’assunzione diretta dei pubblici servizi, la contrazione di prestiti non destinati alla conversione di debiti precedenti, l’esecuzione di una grande opera pubblica, la costituzione di un consorzio comunale, ecc. Non escluderebbe inoltre il referendum per le leggi riguardanti i Comuni, perché in materia di finanza locale sarebbe utile ricorrere a questo istituto come forma di controllo diretto da parte della popolazione.

AMBROSINI si dichiara favorevole all’adozione del sistema proposto, pur rendendosi conto delle obiezioni che esso ha sollevato, le quali sono giustificate da un punto di vista astratto, ma potranno essere facilmente superate nella soluzione concreta dei vari problemi.

Osserva che i regimi costituzionali non sono così razionalizzati da escludere dal proprio complesso elementi di altri regimi, e che, come nel regime parlamentare può essere introdotto qualche elemento del regime presidenziale, così vi può essere accolto qualche elemento del sistema della democrazia diretta, quale è appunto il referendum.

Circa le difficoltà di attuazione pratica cui è stato accennato, rileva che, per quanto riguarda l’ampiezza del territorio dello Stato, non è da escludere che il referendum possa funzionare anche in grandi Stati per quei problemi che interessano tutta la popolazione; e, per quanto riguarda la materia, il referendum potrà essere agevole anche per le leggi, nei cui riguardi il popolo sarà chiamato a pronunciarsi non sulle singole disposizioni, ma soltanto sul loro spirito animatore.

NOBILE dichiara di non voler entrare in merito alle ragioni politiche del progetto in esame, ma di essere rimasto impressionato dalle osservazioni dell’onorevole Einaudi, ritenendo anch’egli che possano essere sottoposte a referendum popolare soltanto questioni ben determinate, come potrebbe essere, ad esempio, quella se si debba introdurre o no il divorzio. Trova poi assai grave che si lasci all’arbitrio del Capo dello Stato la facoltà di sottoporre un progetto di legge già approvato dal Parlamento al giudizio popolare, quando la volontà del popolo ha già nel Parlamento la sua espressione.

Rileva nel progetto in esame incongruenze di carattere tecnico. Per esempio, all’articolo 1 viene data facoltà al Capo dello Stato di indire il referendum senza alcuna distinzione né sulla materia della legge, né sul modo con cui questa è stata approvata, cosicché il Capo dello Stato potrebbe sottoporre a referendum una legge approvata con enorme maggioranza dal Parlamento, e questa legge riceverebbe il voto di una minoranza della popolazione, quando la maggioranza di questa si assentasse dalle urne. Ritiene che non si possano concedere poteri così larghi al Capo dello Stato, tanto più che questi non è tenuto a consultarsi con nessuno all’infuori del Capo del Governo.

All’articolo 2, dove è detto che un ventesimo degli elettori iscritti potrà richiedere il referendum su una legge approvata dal Parlamento, fa osservare che la disposizione è inutile, perché quel ventesimo degli elettori può sempre incaricare i propri rappresentanti in Parlamento di muovere obiezioni al disegno di legge mentre esso viene discusso; e che in ogni modo la quota di un ventesimo è troppo esigua, perché corrisponde solo al cinque per cento dei deputati. Rileva inoltre che nel progetto non si dice che cosa avverrebbe se il voto del referendum fosse contrario ad una determinata legge, mentre si dovrebbe stabilire quale effetto ciò produrrebbe.

MORTATI, Relatore, dichiara di essersi astenuto intenzionalmente dal prevedere questa ipotesi.

NOBILE osserva che l’articolo 3 dice che l’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto redatto in articoli da parte di almeno centomila elettori.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Nobile che la disposizione dell’articolo 3 è stata approvata, ma non ha a che vedere con la questione del referendum.

NOBILE rileva un’incongruenza anche nell’articolo 4, dove si dice che una proposta disapprovata dal voto popolare non può essere ripresentata, se non siano trascorsi almeno due anni dal rigetto, mentre potrebbe trattarsi di una legge votata dal Parlamento a maggioranza schiacciante, e respinta in sede di referendum da una esigua minoranza degli elettori.

PERASSI dichiara di concordare con l’onorevole Laconi circa l’opportunità di estendere il referendum ai Comuni. Nella Costituzione dovrebbe essere indicato che la legge che disciplinerà i Comuni stabilirà quali sono le deliberazioni che dovranno essere sottoposte al referendum, sia obbligatoriamente, sia su richiesta di un certo numero di elettori. Per le Regioni si dovrebbe indicare che la materia sarà disciplinata dallo Statuto regionale.

Passa quindi a considerare il referendum nazionale, nella sua forma più accettabile, che è quella del referendum facoltativo su richiesta di un certo numero di elettori, ed osserva che la quota di un ventesimo degli elettori fissata nell’articolo 2 è sufficientemente elevata, perché il referendum possa avere una base seria. Ritiene opportuno introdurre qualche limitazione, escludendo il ricorso al referendum quando la legge sia dichiarata vigente con un’esplicita dichiarazione delle Camere che l’hanno votato e quando la legge sia stata votata dal Parlamento con maggioranza elevata.

Esprime i suoi dubbi sull’opportunità della disposizione contenuta nella seconda parte dell’articolo 3 per la quale, se un progetto di legge presentato al Parlamento da un determinato numero di elettori non è preso da quello in considerazione, o è modificato, o respinto, il progetto stesso deve essere sottoposto alla votazione popolare. Rileva a questo riguardo che, per esempio, nella Svizzera, dove è in vigore il sistema del referendum, non è prevista l’iniziativa popolare con questo effetto in materia di legislazione ordinaria, ma soltanto in materia di legge costituzionale.

Si dichiara anche perplesso circa la dizione del secondo comma, nel quale è detto che il Capo dello Stato ha facoltà di sottoporre a referendum i disegni di legge respinti dal Parlamento, e la stessa perplessità manifesta per la prima parte dell’articolo riguardante la facoltà del Capo dello Stato di indire il referendum su una legge già votata dal Parlamento ed a lui presentata per la promulgazione. Ritiene che questa facoltà dovrebbe esser limitata al caso in cui la legge fosse stata votata dal Parlamento con maggioranza non molto elevata.

Con questi rilievi dichiara di poter aderire al progetto presentato dall’onorevole Mortati.

LAMI STARNUTI dichiara di non poter essere contrario al progetto, perché il referendum è una forma di democrazia diretta; ma di ritenere che la partecipazione popolare all’attività legislativa debba essere contenuta entro giusti limiti. A tale scopo giudica opportune le restrizioni proposte dall’onorevole Perassi per il caso di leggi dichiarate urgenti o votate a maggioranza qualificata. Ricorda che la prima Sezione ha votato una disposizione analoga sulla revisione della Costituzione, ed osserva che a maggior ragione quello stesso criterio deve essere introdotto nel progetto dell’onorevole Mortati.

Circa la questione sollevata dall’onorevole Fabbri, si dichiara personalmente del parere che le astensioni non debbano essere tenute in conto: chi non vota non può pesare sulle deliberazioni del corpo elettorale. È vero che l’assenza di una grande parte del corpo elettorale dal referendum toglie a questo molto del suo valore; ma a tale inconveniente si rimedia col fissare una quota elevata di elettori per la richiesta del referendum, come è appunto quella di un ventesimo proposto dall’onorevole Mortati, la quale garantisce che si tratta di un problema che ha veramente agitato la coscienza popolare.

Si dichiara invece nettamente contrario all’articolo 1 del progetto, non trovando né giusto né conveniente che il Capo dello Stato possa sottoporre a referendum una legge che egli dovrebbe promulgare, perché è opportuno che egli non entri nel merito di questioni politiche che è bene rimangano nel recinto del Parlamento, e perché non deve fare una politica personale. È vero che il provvedimento del Capo dello Stato porterebbe la controfirma del Capo del Governo, e che probabilmente senza l’assenso e l’adesione del Capo del Governo il Capo dello Stato non ricorrerebbe al referendum; ma se la legge favorevole al Governo è stata approvata dal Parlamento, il Capo del Governo non darà mai volontariamente il suo assenso alla richiesta di referendum; ché se, invece, il Governo è stato contrario al progetto di legge e non ha creduto di porre su di esso la questione di fiducia, sarebbe veramente strano il suo atteggiamento favorevole al ricorso al referendum su una legge che esso ha reputato di un valore ed una importanza secondario, tanto che non ha posto sopra di essa la questione di fiducia. Affinché, quindi, si abbia un referendum per iniziativa o per decreto del Capo dello Stato, bisogna presupporre una volontà del Capo dello Stato determinante la volontà del Governo.

D’altra parte, il coinvolgere il Capo dello Stato nelle competizioni politiche del Paese è rendere un cattivo servigio all’istituzione e quindi alla Repubblica, poiché nel caso che il risultato del referendum fosse favorevole alla legge approvata dal Parlamento, il Capo dello Stato dovrebbe rassegnare le dimissioni. Il referendum facoltativo dovrebbe quindi essere limitato ai casi di iniziativa popolare.

Circa i tre casi previsti dal progetto Mortati per il referendum facoltativo, per i primi due si riferisce alle favorevoli osservazioni già fatte dall’onorevole Perassi; per il terzo, riguardante l’abrogazione di una legge già in vigore, si richiama egualmente al principio affermato dall’onorevole Perassi. Con queste restrizioni, dichiara di accettare di massima il progetto sul referendum, riservandosi di esaminare specificatamente, in sede di discussione dell’articolo 7, la questione del referendum nelle Regioni e nei Comuni, a cui è favorevole con alcune correzioni che gli sembrano necessarie.

RAVAGNAN fa rilevare la gravità delle disposizioni contenute nell’articolo 1 del progetto, il quale dà in sostanza facoltà al Capo dello Stato di entrare in conflitto permanente col Parlamento, e di risolvere questo conflitto a suo favore con un appello diretto a sollevare il Paese contro quel Parlamento che il Paese stesso ha eletto. Ritiene che con questo articolo si introduca nella Costituzione una modificazione sostanziale del regime costituzionale a cui si ispira il progetto, che è quello di una Repubblica parlamentare, trasformandolo in un regime presidenziale. La concessione indiscriminata della facoltà di chiedere al Paese di rigettare una legge approvata dal Parlamento farebbe degenerare la lotta intorno a questa legge in una lotta pro e contro il Capo dello Stato che, in caso di decisione sfavorevole, dovrebbe dare le sue dimissioni. Propone perciò che l’articolo 1 venga soppresso.

BULLONI si dichiara contrario al referendum su iniziativa del Capo dello Stato, perché contrastante con la natura stessa dell’istituto, e fonte di contrasti pregiudizievoli per il prestigio del Capo dello Stato e delle due Camere. È invece favorevole al referendum richiesto dagli elettori con le limitazioni indicate dall’onorevole Perassi nel numero di 250.000, ritenendo eccessivo il ventesimo degli elettori iscritti, proposto dall’onorevole Mortati.

MANNIRONI si dichiara favorevole in linea di massima al progetto dell’onorevole Mortati, associandosi alle considerazioni fatte in proposito dagli onorevoli Uberti e Ambrosini.

Accetta le modificazioni proposte dall’onorevole Perassi, miranti ad escludere il referendum di iniziativa popolare nei casi di leggi dichiarate urgenti o approvate dal Parlamento con forte maggioranza, proponendo però a sua volta che i casi di urgenza siano riconosciuti da una maggioranza qualificata delle due Camere e non dichiarate tali d’arbitrio dal Capo dello Stato o dal Capo del Governo o dalle stesse Camere a maggioranza semplice.

È invece contrario alla tesi dell’onorevole Bulloni, poiché ritiene che non possa essere negato al Capo dello Stato il diritto di intervenire per provocare un referendum. Osserva a questo proposito che si parla con eccessiva diffidenza della posizione del Capo dello Stato. In sostanza, occorre tener presente che col referendum è sempre il popolo che decide se una legge debba essere o no approvata, mentre il Capo dello Stato interviene soltanto come supremo regolatore della vita della Nazione per proporre un giudizio. Questo giudizio è rimesso alla sovranità popolare, la quale può anche mettersi in contrasto, su una determinata questione, col Parlamento che essa stessa ha eletto, senza che per questo l’ordinamento dello Stato ne sia sovvertito. Se non si vuole che il Capo dello Stato sia un semplice passacarte, gli si deve riconoscere anche questo diritto di intervenire almeno per provocare un referendum che rimetta al popolo il giudizio finale su una determinata legge.

Conclude dichiarando che voterà a favore del progetto Mortati, compreso l’articolo 1, salvo qualche leggera modifica che si riserva di proporre a mano a mano che saranno presi in esame i singoli articoli.

CAPPI si dichiara favorevole all’articolo 1 del progetto Mortati, perché il negare la possibilità di un conflitto tra Parlamento e popolo gli sembra contrario a quel dinamismo a cui tanto si tiene. Nei cinque anni che dura una legislatura può benissimo manifestarsi una frattura tra le esigenze del popolo e la volontà del Parlamento, e in questo caso impedire che il popolo possa esprimere la sua volontà non sarebbe conforme ai principî della democrazia. È però favorevole all’emendamento suggerito dall’onorevole Perassi circa la limitazione del referendum ai casi di leggi approvate o respinte dal Parlamento con lieve maggioranza, ed è invece contrario all’altro emendamento riguardante l’esclusione delle leggi dichiarate urgenti, perché la maggioranza potrebbe dichiarare urgente una legge a suo arbitrio. Per l’articolo 7 ritiene che basterebbe dire nella Costituzione che gli Statuti regionali disciplineranno l’istituto del referendum e per le Regioni e per gli altri enti minori.

Osserva infine, nei riguardi del referendum di iniziativa popolare, che, essendo stato approvato il principio dell’iniziativa parlamentare, vi sarà sempre nel Parlamento un rappresentante di quella corrente dell’opinione pubblica che ritenesse di dover proporre una determinata legge, il quale potrebbe proporla direttamente al Parlamento. Solo nel caso in cui questa legge fosse approvata o respinta con un numero di voti minore di una certa maggioranza da indicare, il referendum potrebbe essere chiesto.

LUSSU dichiara di concordare con gli onorevoli Perassi, Lami Starnuti e Ravagnan circa l’opportunità che l’istituto del referendum sia limitato a casi eccezionali, come è anche nella Costituzione francese, e sulla convenienza che l’istituto stesso sia esteso alle Regioni e ai Comuni. È anche d’accordo sulla necessità di non far intervenire il Capo dello Stato nelle lotte politiche e quindi sulla soppressione dell’articolo 1.

Ritiene che il referendum popolare debba essere ammesso soltanto per le leggi approvate dalle due Camere con maggioranza molto limitata; e che nei riguardi dell’articolo 3, la iniziativa debba essere limitata al caso contemplato nel secondo comma: «ove tale progetto, che deve essere presentato subito dal Governo al Parlamento, non venga nel termine di sei mesi dalla presentazione preso in considerazione, o sia rigettato, o sottoposto a emendamenti, si deve procedere a referendum». Non ammetterebbe il caso finale: «quando la richiesta degli elettori sia rivolta all’abrogazione di una legge già in vigore».

Per quanto riguarda la maggioranza valevole per il referendum, dichiara di accettare quanto ha proposto l’onorevole Mortati, che cioè basta la maggioranza dei voti espressi.

LA ROCCA osserva che l’articolo 1 del progetto attribuisce al Capo dello Stato un vero e proprio diritto di veto, con la facoltà di sospendere una legge approvata e sottoporla all’approvazione di tutta la Nazione. Più grave, poi, la facoltà di indire il referendum su una legge rigettata. In tal modo si rende il Capo dello Stato arbitro di tutta l’attività legislativa.

Circa il resto del progetto si rimette a quanto hanno detto i Commissari del suo gruppo.

FUSCHINI si dichiara contrario all’articolo 1 che concede al Capo dello Stato poteri suscettibili di creare situazioni oltremodo imbarazzanti. Il riportare davanti agli elettori un disegno di legge rigettato dal Parlamento costituisce un fatto molto grave, perché crea con una legge costituzionale un urto tra Parlamento e popolo. Ove il popolo approvasse un disegno di legge rigettato dal Parlamento, le due Camere dovrebbero essere sciolte, non potendo un Parlamento restare in carica dopo la manifestazione di sfiducia fattagli dal popolo. Con ciò si svaluta l’istituto della rappresentanza parlamentare, perché il rappresentante deve presumere sempre di avere la fiducia del suo rappresentato. La facoltà, poi, del Capo dello Stato di indire il referendum su leggi approvate metterebbe il Capo dello Stato in urto col Parlamento e in qualche caso anche col popolo. Si dichiara pertanto contrario all’articolo 1, anche con gli emendamenti proposti dall’onorevole Perassi.

Circa l’articolo 6, ove si parla dei voti espressi, osserva che occorre richiedere la partecipazione al referendum di non meno di due quinti degli elettori iscritti, per evitare che una piccola minoranza possa modificare la situazione politica esistente.

EINAUDI non è rimasto persuaso delle due riserve fatte dall’onorevole Perassi che, in sostanza, si riducono ad una sola, poiché non ritiene che si possa escludere il referendum soltanto perché vi sia una dichiarazione d’urgenza fatta a maggioranza semplice.

Si tratta di vedere se una legge approvata a maggioranza qualificata possa o non possa essere sottoposta a referendum. Il dubbio gli viene dalla considerazione relativa alla situazione attuale di parecchi Parlamenti composti di molti gruppi politici, in cui le leggi sono spesso il frutto di compromessi ed accordi. In queste condizioni, disegni di legge che rappresentino soltanto la volontà di piccole minoranze di elettori possono essere approvati da una grande maggioranza del Parlamento.

Ritiene che questo sia un caso in cui è più che mai necessario ricorrere al referendum e che non abbia perciò una grande importanza la questione dell’entità della maggioranza che ha approvato la legge.

Dichiara che in linea di principio il referendum deve essere ammesso, perché è un correttivo del sistema della rappresentanza con un elemento della democrazia diretta. Ciò che potrà dargli successo è la formulazione dei quesiti che si sottoporranno al popolo. Perciò ritiene opportuno fissare la discussione su questo punto: quale è il quesito da sottoporre al popolo.

GRIECO è contrario all’articolo 1 del progetto Mortati, poiché altera il sistema rappresentativo, conferendo al Capo dello Stato una facoltà molto pericolosa. Il Capo dello Stato deve essere il regolatore supremo della vita del Paese, e la funzione di cui all’articolo 1 lo mette in condizione di determinare dei contrasti anche là dove non ne esistono.

D’altra parte, si deve tener presente che il Capo dello Stato ha ricevuto i suoi poteri dalle due Camere riunite. Facendo appello direttamente al popolo, egli le scavalcherebbe. Ritiene che neanche nei regimi presidenziali esista una tale facoltà, in cui è qualche elemento da colpo di Stato assai pericoloso.

Inoltre, un abuso del referendum appesantirebbe il sistema. Ora, se il progetto Mortati offre garanzie contro questo abuso per la parte che si riferisce al referendum nazionale, rimane da esaminare a suo tempo se non si debba trovare una remora anche all’abuso del referendum negli enti locali, sebbene in questo campo il pericolo sia meno grave.

Ricorda che è già stato approvato il referendum obbligatorio per la revisione della Costituzione. Le altre forme di referendum, nel progetto dell’onorevole Mortati, sono facoltative. La parte più viva ed interessante del progetto è quella relativa all’iniziativa popolare, la quale deve essere mantenuta; si può discutere se la formulazione Mortati soddisfi tutti i Commissari; ma è certo che l’iniziativa popolare è quella che giustifica in modo più solenne il ricorso a questo strumento della democrazia.

L’onorevole Cappi ha obiettato che vi sarà sempre almeno un deputato che potrà rendersi interprete di una corrente esistente nel Paese e presentare un disegno di legge, evitando di mettere in moto il meccanismo del referendum. È da augurarsi che vi sia sempre un deputato che senta la corrente del Paese e se ne renda interprete, perché ciò renderà non necessario un referendum; ma l’affermazione nella Costituzione del diritto di un certo numero di cittadini di chiedere il referendum deve rimanere.

Ritiene che il numero di elettori necessario per presentare la richiesta del referendum non dovrebbe essere molto basso.

L’onorevole Fabbri ha posto un problema che ha dichiarato pregiudiziale a tutta la discussione, quello del quorum dei votanti necessari alla validità della votazione. L’onorevole Fuschini è andato incontro a questo desiderio esprimendo una opinione concreta: personalmente dichiara di essere molto incerto se si possa rispondere al quesito posto dall’onorevole Fabbri.

È evidente che l’astensione di un notevole gruppo di elettori, se non ha valore per il computo dei voti, ha tuttavia un valore politico ed un Governo che rifletta deve tener conto delle astensioni. Un referendum che non trovasse rispondenza nel popolo costituirebbe un problema da esaminare in sede parlamentare.

Ma la fissazione di un quorum per la validità del referendum può aprire delle controversie in sede di legge elettorale; perché, fissando un quorum per il referendum, bisognerebbe fissarlo anche per le leggi elettorali. È perciò contrario alla fissazione di un quorum.

Il problema può essere risolto solo attraverso la messa in moto di tutta la macchina politica del Paese e attraverso l’esercizio della democrazia. Sarebbe bene, a questo proposito, che l’istituto del referendum fosse anzitutto esperimentato dagli enti locali.

TOSATO si dichiara favorevole al potere concesso con l’articolo 1 al Capo dello Stato. Le difficoltà che sono state sollevate contro questo articolo servono a chiarire e a stabilire le diverse posizioni sulla figura del Capo dello Stato. Si è detto che egli scavalcherebbe le Camere stesse da cui proviene; ma allora non si comprenderebbe quale sarebbe la sua funzione, cioè se invece di essere Capo dello Stato, non diverrebbe capo dell’Assemblea Nazionale. Se si concepisce il Capo dello Stato come rappresentante dell’Assemblea Nazionale, evidentemente egli deve conformarsi al volere delle due Camere senza alcun potere di carattere sostanziale, per quanto limitato; ma se, viceversa, ha una sua funzione, egli necessariamente deve avere anche la possibilità di opinioni in qualche caso, sia pure rarissimo, diverse da quelle delle Camere.

Si è già attribuito al Capo dello Stato il potere di sciogliere anticipatamente le Camere, partendo dalla considerazione che il periodo di cinque anni di durata normale di quelle è molto lungo e che modificazioni possono determinarsi nel frattempo nell’atteggiamento del corpo elettorale. Ora, per quanto riguarda in particolare la materia legislativa, si deve tener presente che il Capo dello Stato non vi partecipa, avendo egli solo un potere esecutivo, e la vera ipotesi per la quale può servire il potere concesso dall’articolo 1 è quella prospettata dall’onorevole Lami Starnuti, cioè che Governo e Parlamento si trovino d’accordo in un determinato progetto di legge, a cui invece il Capo dello Stato sia contrario. Concedendo al Capo dello Stato la facoltà di sottoporre il progetto approvato dalle due Camere a un referendum non gli si concede un potere dittatoriale, perché egli non farà che rimettere la decisione alla volontà popolare. Ove il popolo approvasse quello che è stato approvato dalle Camere, il Capo dello Stato dovrebbe dimettersi. Nessun pericolo, dunque; ed è bene mantenere la possibilità che, in determinate situazioni particolarmente gravi, una persona assuma su di sé l’estrema responsabilità di opporsi alla volontà delle Camere, ricorrendo direttamente al responso della volontà popolare.

PRESIDENTE dichiara di vedere nell’istituto del referendum una forma del controllo popolare, e di ritenere che, come tale, esso debba essere introdotto nella Costituzione. All’obiezione che questo controllo si esercita anche con le elezioni, risponde che il controllo sull’attività svolta dai rappresentanti che hanno ricevuto il mandato non può esercitarsi se non per mezzo del referendum. Ma questo deve esser limitato al caso dell’iniziativa popolare.

Osserva che la facoltà concessa al Capo dello Stato dall’articolo 1 del progetto Mortati non fa che ripresentare sotto altra forma quel diritto di sanzione che già è stato negato al Capo dello Stato, e non comprende perché, avendo negato questo diritto quando si trattava delle funzioni del Capo dello Stato, si debba concederlo ora a proposito di una questione non legata in modo specifico alle funzioni del Capo dello Stato stesso. Pertanto ritiene che la disposizione dell’articolo 1 non possa essere accolta.

Il Parlamento può essere soggetto ad errare; ma si deve tener presente che i suoi errori si manifestano quando vi è una discrepanza interna nel sistema, oppure quando v’è contrasto tra le due Camere. Se questo contrasto non esiste, si deve partire dal presupposto che non vi sia ragione di alcun intervento, perché il Parlamento rappresenta la volontà popolare. Se invece il contrasto tra Parlamento e Governo si manifesta in modo evidente, allora interviene il Capo dello Stato come colui che cerca di conciliarlo o ne affida la soluzione alla volontà del popolo.

Fa presente che tutto il sistema che si è costituito è formato in modo da escludere che nella vita dello Stato una persona sola possa avere un potere determinante. Ricorda che, discutendosi la questione della responsabilità del Consiglio dei Ministri, la maggioranza della prima Sezione ha espresso il parere che la responsabilità della politica generale del Governo sia del Consiglio dei Ministri e non del Presidente del Consiglio, proprio perché ha trovato preoccupante e pericoloso un particolare ed esclusivo potere affidato al Capo del Governo. Il caso in esame è analogo: si tratterebbe di un potere di carattere personale molto più grave, e pertanto ritiene che non possa essere concesso.

Si associa alle considerazioni svolte dall’onorevole Grieco a proposito della questione degli astenuti, facendo presente che, se si considera il quorum nel referendum, non si potrebbe non considerarlo nelle elezioni. Non si comprende perché un deputato eletto col voto del trenta per cento degli elettori debba essere riconosciuto come capace di esprimere la volontà di un determinato raggruppamento della popolazione, mentre poi quando il trenta per cento di quel gruppo popolare esprime direttamente la sua volontà, questa non dovrebbe avere valore. Non è pertanto d’accordo con l’onorevole Fabbri a questo proposito.

MORTATI, Relatore, si associa alle considerazioni fatte dal Presidente circa la questione del quorum che, se adottato, dovrebbe valere anche per le elezioni. Dichiara di essere favorevole al quorum solo a patto che si introduca il voto obbligatorio. Per quanto riguarda la questione dei votanti, cioè dei voti espressi, dichiara di essere favorevole a comprendere gli astenuti allo scopo di elevare la percentuale dei voti necessari per l’approvazione.

Circa l’articolo 1, pur aderendo a quanto ha detto l’onorevole Tosato, ritiene che non sia quella che egli ha formulato l’ipotesi più rilevante ai fini che lo hanno ispirato nel proporre questo articolo.

Quanto si è detto dagli avversari che questo articolo capovolge tutto il sistema che si è costruito, non si è tenuto esatto conto di tutti i vari elementi di questo congegno. Infatti, uno degli articoli approvati stabilisce che, se anche il Governo non è obbligato a dimettersi quando si abbia un voto contrario a una sua proposta, esso è obbligato a dimettersi quando vi sia un voto di sfiducia o di censura. Ora qual è l’ipotesi che si può formulare per rendere realizzabile l’articolo 1? È evidente che, se su un disegno di legge si è manifestato un dissenso radicale, questo dissenso deve portare a un voto di sfiducia che sarà provocato, se il Governo non ha la sensibilità di chiederlo, dalla maggioranza parlamentare. Ma in questo caso evidentemente il referendum non è possibile. L’ipotesi normale per l’applicazione dell’articolo 1 è quella in cui l’iniziativa del referendum sia presa non dal Capo dello Stato, ma dal Capo del Governo in dissidio con le due Camere, dissidio che non sia sboccato in un voto di sfiducia. In questo caso è utile, ai fini della stabilità della politica governativa, dare al Governo la possibilità di sentire il parere del popolo su questo dissidio.

Ritiene quindi infondata la preoccupazione suscitata dall’articolo 1 circa un potere personale del Capo dello Stato, perché il Capo dello Stato non potrebbe agire se non sotto la responsabilità del Capo del Governo, il quale non potrebbe dare un’adesione di pura compiacenza, perché assumerebbe con ciò una responsabilità ben grave, che potrebbe culminare in una eventuale accusa; e neppure la disposizione è pericolosa sotto l’aspetto dell’iniziativa presa dal Capo del Governo, il quale può prenderla sotto la sua responsabilità, giovando in tal modo alla stabilità della politica governativa.

Per quanto riguarda l’iniziativa parlamentare, dissente dal parere espresso dall’onorevole Cappi che un certo numero di elettori troveranno sempre un deputato disposto a proporre un determinato disegno di legge. Fa osservare a questo proposito che l’autorità dell’iniziativa di un solo deputato è ben diversa dall’autorità dell’iniziativa popolare. Quindi non è esatto che l’iniziativa parlamentare sostituisca quella popolare: centomila elettori hanno un peso politico ben superiore a quello di un gruppo di deputati. È quindi giusto che si apra la via a una iniziativa che ha un prestigio e una influenza politica molto superiore a quella dei singoli deputati.

A proposito dell’iniziativa popolare, non ritiene siano da accogliere le obiezioni dell’onorevole Lami Starnuti, il quale ha osservato che l’iniziativa del referendum, la quale potrebbe dar luogo all’annullamento di una legge approvata dal Parlamento a forte maggioranza, dovrebbe essere ammessa soltanto se decorso un certo limite di tempo dal momento dell’approvazione della legge stessa.

LAMI STARNUTI spiega di aver detto una cosa diversa, cioè che la richiesta di annullamento di una legge già in vigore non possa farsi quando la legge abbia ottenuto quella maggioranza qualificata di cui parlava l’onorevole Perassi; ma che, nonostante la legge abbia ottenuto al momento della sua approvazione la maggioranza qualificata, la richiesta di referendum possa essere avanzata, quando sia decorso un determinato numero di anni.

MORTATI, Relatore, osserva che in tal caso vi è un nesso tra le proposte degli onorevoli Lami Starnuti e Perassi e le osservazioni dell’onorevole Einaudi, le quali, a suo avviso, contrastano con una esigenza politica che può presentarsi nell’attuale situazione parlamentare.

Una maggioranza qualificata nel Parlamento potrebbe non corrispondere a una maggioranza nel Paese, e quindi il precludere in tal caso la possibilità di una iniziativa popolare sarebbe inopportuno. Circa poi l’ipotesi che il voto qualificato si riferisca alla dichiarazione dell’urgenza di un disegno di legge, ritiene che proprio in questo caso non dovrebbero porsi limiti di tempo alla richiesta di annullamento, perché la dichiarazione di urgenza potrebbe essere frutto di una manovra del Parlamento e non corrispondere alla natura della legge stessa.

Un punto molto importante, su cui è stata richiamata l’attenzione dall’onorevole Einaudi, è quello del modo con cui il popolo si deve pronunciare. Per questo punto il suo progetto rinvia alla legge, ma egli è stato in dubbio se convenisse aggiungere nella Costituzione due direttive per il futuro legislatore, una riguardante il congegno necessario per l’autenticità delle firme e l’altra riguardante le modalità del referendum. Ritiene che il popolo debba essere messo in grado di votare sapendo quello che vota, e che si dovrebbe addirittura dargli la possibilità di esprimere emendamenti su un progetto e quindi di rinunciare al segreto del voto.

Conclude dichiarando che, se la Sottocommissione sarà d’accordo sull’opportunità di fissare qualche linea direttiva destinata ad ispirare la futura legge sul referendum, egli sarà lieto di dare il suo contributo a questa formulazione.

BULLONI osserva che il venti per cento degli elettori corrisponde ad 1.600.000 elettori, e che l’istituto del referendum si renderebbe praticamente non sperimentabile, se si dovessero chiedere 1.600.000 firme. Il numero deve essere notevolmente ridotto, ed gli propone che sia ridotto a 500.000.

PRESIDENTE chiude la discussione generale.

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Tosato, Uberti, Terracini.

Assenti: Bordon, Cannizzo, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Leone Giovanni, Porzio, Vanoni, Zuccarini.