Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 18 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 18 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Fuschini – Cappi – ravagnan – Uberti – Lussu – Mannironi – Nobile – Tosato – Fabbri – Codacci Pisanelli – Bulloni – Grieco – Conti – Laconi – Lami Starnuti – Mortati – Porzio – Piccioni.

La seduta comincia alle 10.40.

Seguito della discussione sulle autonomie regionali.

PRESIDENTE avverte che la discussione odierna verte sulla costituzione della Regione del Friuli.

FUSCHINI dichiara che le ragioni della richiesta, avanzata dagli enti che fanno capo alla Camera di commercio di Udine, relativamente alla costituzione in Regione del Friuli, sono di carattere storico, economico e politico.

Senza andare lontano nella storia, ci si può limitare ad affermare che il Friuli fu una Regione a sé stante sin dai primi secoli dopo Cristo. Fu verso la fine di questo periodo, ossia nel 568, che sotto i Longobardi fu fondata la più antica città friulana: Cividale. Successivamente, tra l’ottavo e il nono secolo, si ebbe la costituzione del Patriarcato di Aquileia con un Parlamento fornito di speciali poteri, garantiti da appositi Statuti che assicuravano una adeguata autonomia al Friuli. Fu annesso alla Repubblica Veneta: gli Statuti, però, della Regione furono lasciati in vigore, e così essa continuò a godere della sua autonomia. Col 1797, anno della prima invasione napoleonica, si iniziò per il Friuli un periodo assai triste, a causa delle continue invasioni da parte di eserciti stranieri; ma esso resisté validamente ad ogni tentativo di assimilazione, finché nel 1866 fu annesso alla Patria italiana, e con ciò perdette la sua autonomia, a causa del sistema accentrato del nostro ordinamento statale, forse storicamente necessario per assicurare l’unità d’Italia.

Dal punto di vista economico rileva che, a seconda del carattere del territorio, si ha nel Friuli un’agricoltura di montagna, di collina e di pianura. L’agricoltura di montagna nella provincia di Udine si esercita su un’estensione di 335.000 ettari; quella di collina su un’estensione di 153.000 ettari che comprende anche il territorio goriziano e quella di pianura su un’estensione di 244.000 ettari per la provincia di Udine e di 10.000 ettari per la restante parte della zona territoriale goriziana. Nella zona montana si hanno estesi pascoli ed è anche assai sviluppata la produzione boschiva e forestale. Nei terreni di collina la popolazione è dedita prevalentemente all’allevamento del bestiame bovino, alla coltivazione dei cereali e alla bachicoltura, una delle attività agrarie a carattere industriale fra le più importanti d’Italia. In questa zona, assai ricca di acque, potrebbero essere promosse vaste opere di bonifica agraria e idraulica; ma l’irrigazione dei terreni è già largamente usata attraverso due grandi consorzi. Negli ultimi anni è sorta anche l’industria della produzione dell’energia elettrica.

È anche notevole nel Friuli l’attività industriale. Fra i grandi centri industriali sono da annoverarsi Udine, con le industrie tessili, meccaniche del legname, e Pordenone, con i cotonifici, le cartiere, le fabbriche di concimi chimici e le fornaci per laterizi. Si hanno pure acciaierie, fabbriche di mobili, zuccherifici, come quello di San Vito, cave di marmo, come ad esempio a Cividale. Per quanto già notevole, l’attività industriale nel Friuli ha larghe possibilità di essere ulteriormente intensificata.

Il Friuli è una terra di confine, quindi di passaggio e di traffico e, affinché la popolazione possa trarre più ampi benefìci da una simile situazione, si rende indispensabile un miglioramento della rete stradale. I Friulani sono convinti che, se il loro paese fosse costituito in Regione, il sistema delle comunicazioni stradali migliorerebbe.

È da ritenere che il Friuli abbia l’autosufficienza finanziaria; in ogni modo, se non l’ha ancora, certamente la raggiungerà, giacché si tratta di una terra in cui le attività lavorative sono sempre in maggiore incremento e anche sviluppate vi sono alcune iniziative di carattere sociale, specialmente nel campo cooperativistico. Fra queste iniziative, una merita particolare attenzione perché non ancora è stata adeguatamente curata, ed è quella che riguarda l’emigrazione. Com’è noto, il Friuli è uno dei paesi più prolifici d’Italia e molti sono i friulani che si recano all’estero in cerca di lavoro. Bisognerà creare scuole professionali e artigiane per formare una mano d’opera specializzata e assisterla affinché possa essere meglio impiegata in terra straniera.

Dal punto di vista politico, ricorda che il Friuli, zona di confine, ha sempre esercitato una funzione di acclimatamento nei confronti della popolazione slava. Ora, se altre terre di confine, quali la Valle d’Aosta e il Trentino, hanno meritato una particolare attenzione da parte del Governo italiano, lo stesso dovrebbe accadere per il Friuli. È inoltre da tener presente che, se il Trattato di pace nei riguardi del nostro Paese dovesse essere concluso secondo le modalità annunciate dalla stampa, della Venezia Giulia resterebbero all’Italia soltanto nove Comuni con una popolazione di circa 45.000 abitanti prevalentemente italiani, che parlano il dialetto friulano. Resterebbero anche undici Comuni della provincia di Gorizia, con una popolazione, anch’essa prevalentemente di origine italiana, di circa 80.000 abitanti. Nella memoria presentata dalla Camera di commercio di Udine si prospetta l’opportunità di aggregare al Friuli la zona territoriale comprendente gli undici Comuni della Provincia di Gorizia e i Comuni della Provincia di Trieste che dovrebbero rimanere all’Italia. Nello stesso tempo si fa un’altra proposta, cioè che alla nuova Regione del Friuli sia aggregato anche il mandamento di Portogruaro, che fa parte della provincia di Venezia e comprende ben undici Comuni; ma egli non crede che ciò sia necessario per la costituzione della Regione del Friuli e, d’altra parte, aggregando il mandamento di Portogruaro alla nuova Regione friulana, si toglierebbe alla Provincia di Venezia un notevole tratto del suo territorio, assai sviluppato dal punto di vista industriale e agricolo, i cui abitanti non hanno mai manifestato, da quanto risulta, il desiderio di entrare a far parte della popolazione della nuova Regione friulana.

Ciò considerato, premessa pure la opportunità che le popolazioni interessate esprimano la loro volontà per mezzo di un referendum, secondo il principio contenuto nell’ordine del giorno presentato dall’onorevole Conti nella passata riunione, ritiene che la Sottocommissione possa aderire alla richiesta della Camera di commercio della provincia di Udine, di costituire il Friuli in Regione, comprendendo in essa Gorizia e i Comuni di tale Provincia, nonché i Comuni della Provincia di Trieste che resteranno all’Italia in seguito al Trattato di pace. A tale Regione però non dovrebbe essere aggregato il mandamento di Portogruaro.

CAPPI osserva che oltre a quanto ha esposto sinteticamente l’onorevole Fuschini, si debbono aggiungere altri due elementi assai importanti, che possono ancor più giustificare la costituzione del Friuli in Regione, cioè l’elemento linguistico e quello somatico. È notorio, infatti, che il Friuli non ha un dialetto, ma una vera e propria lingua che, secondo l’unanime parere dei glottologi, è un ramo di quella ladina. Dal punto di vista somatico poi, esiste una grande differenza tra la gente friulana e quella dei paesi finitimi.

RAVAGNAN osserva che indubbiamente è vero che il Friuli costituisce un paese con propria individualità per la lingua che vi si parla e per i caratteri somatici dei suoi abitanti; ma questo, a suo avviso, non basta a giustificare la costituzione di una Regione friulana, mentre un altro elemento, assai importante, quello economico, ne esclude ogni possibilità, almeno per il momento. Difatti il Friuli non è autosufficiente dal punto di vista finanziario, come è provato dal fatto che parecchie migliaia di persone emigrano ogni anno dal territorio friulano, così che in alcuni villaggi del Friuli non vi sono che donne, vecchi e bambini. Se i friulani avessero di che vivere nel loro paese non emigrerebbero in cerca di lavoro.

Per un altro motivo, poi, non è opportuno addivenire alla costituzione di una Regione friulana. Il Friuli è una terra di frontiera e, se fosse costituito in Regione autonoma, questo fatto potrebbe sembrare voluto per ragioni di politica internazionale. In altri termini la Regione autonoma del Friuli potrebbe apparire come una specie di antemurale eretto contro la marea slava che starebbe per invadere il nostro Paese. Ciò sarebbe in contrasto con quella politica di pace e di amicizia che l’Italia ha assoluto bisogno di stabilire con la Jugoslavia.

L’onorevole Fuschini ha accennato alla proposta fatta dalla Camera di commercio della Provincia di Udine, che siano aggregati alla Regione friulana i Comuni che resteranno all’Italia della Provincia di Gorizia e di Trieste e ne sia escluso il mandamento di Portogruaro. Quanto al territorio di Trieste è da osservare che esso è mistilingue, per cui, se, come è augurabile, dovrà restare all’Italia, sarebbe bene che fosse autonomo e che quindi non aggregato al Friuli. Ciò non solo corrisponderebbe alle necessità attuali della nostra politica, ma starebbe anche a dimostrare che l’Italia non intende più seguire, nei confronti delle popolazioni allogene, sia della Venezia Giulia che dell’Alto Adige, i sistemi usati già prima del fascismo e che il fascismo continuò ad adottare con mezzi violenti.

Circa infine il mandamento di Portogruaro si associa a quanto ha osservato l’onorevole Fuschini.

UBERTI dichiara, pur essendo veneto, di essere favorevole alla costituzione di una Regione friulana, che indubbiamente ha una sua configurazione speciale, più che altro per una ragione di carattere politico. Difatti per unire ancora più saldamente all’Italia quella parte della Venezia Giulia che con il Trattato di pace sarà forse lasciata al nostro Paese, sarebbe opportuno collegarla con il Friuli costituito in Regione. Questa Regione, a suo avviso, dovrebbe assumere il nome di Friuli-Venezia Giulia e come capoluogo dovrebbe avere non già Udine, bensì Trieste, sempre che tale città, come ogni italiano si augura, resti all’Italia. 1 friulani stessi affermano di essere pronti ad accettare la città di Trieste come capoluogo della loro Regione. Nel frattempo, prima che sia definita la questione triestina, il capoluogo provvisorio della nuova Regione friulana naturalmente dovrebbe essere Udine.

LUSSU osserva che l’elemento fondamentale per addivenire alla costituzione di nuove Regioni non può essere dato che dalla manifestazione della volontà delle popolazioni interessate: di fronte a tale elemento ogni altra ragione di carattere storico, culturale, linguistico, finanziario passa in secondo ordine. Egli è convinto della necessità che il Friuli si costituisca in Regione a sé stante, ma desidererebbe sapere che cosa pensa al riguardo la popolazione friulana, perché l’esposizione dell’onorevole Fuschini, su questo aspetto del problema in esame, non è stata in verità esauriente.

Quando visitò il Friuli, egli ebbe l’impressione di trovarsi di fronte alla miseria e alla arretratezza di alcuni comuni della Sardegna. Notò anche come la Chiesa cattolica non fosse riuscita, cosa del resto che si verifica anche in Sardegna, a ingentilire l’animo della popolazione locale, e ciò per i suoi interventi più diretti alla divulgazione del dogmatismo religioso che non alla divulgazione pratica della morale cristiana. In ogni modo, riconosce l’opportunità di costituire il Friuli in Regione – con esclusione, però, del mandamento di-Portogruaro – perché con l’autonomia regionale indubbiamente si può favorire la ripresa morale e materiale anche delle popolazioni più indigenti e meno progredite.

MANNIR0N1 dichiara che le impressioni dell’onorevole Lussu circa la religiosità della Sardegna sono erronee. Se in Sardegna si ha ancora un’attività antisociale, ciò non è dovuto a una insufficienza di penetrazione religiosa, ma ad altre cause che sarebbe fuori luogo, in sede di discussione odierna, enunciare. Del resto, un’attività antisociale non si ha solo in Sardegna, ma anche in altre Regioni d’Italia.

NOBILE è contrario alla costituzione del Friuli in Regione autonoma. È vero che la popolazione friulana ha caratteristiche somatiche proprie e un dialetto che assurge a valore di lingua, ma è appunto per questo che il Friuli non dovrebbe essere costituito in Regione. Difatti, se ciò avvenisse, queste caratteristiche potrebbero ancora più accentuarsi e il collegamento del Friuli con le altre Regioni d’Italia venir meno. Non si dimentichi che il Friuli è una terra di confine e che quindi, per un evidente interesse nazionale, bisogna badare a che esso abbia sempre più stretti rapporti con il resto del Paese.

TOSATO ritiene che la costituzione del Friuli in Regione autonoma possa dar luogo a una notevole intensificazione di rapporti economici con i paesi finitimi posti al di là del confine. L’economia unisce assai più della politica, e in vista appunto dell’opportunità di far sorgere rapporti di buona amicizia fra gli italiani e le popolazioni d’oltre frontiera, è consigliabile che il Friuli sia costituito in Regione.

FABBRI dichiara che si asterrà dalla votazione, perché non è abbastanza informato sull’effettiva volontà della popolazione friulana di conseguire l’autonomia regionale e perché ancora nulla si sa di preciso circa la risoluzione del problema del nostro confine orientale. Certo, se parte della Venezia Giulia dovesse restare all’Italia, poiché si tratta di zona territoriale mistilingue, potrebbe essere presa in considerazione l’opportunità di concedere a questa zona territoriale una forma e condizione particolare di autonomia con uno statuto speciale, analogamente a quello che è stato fatto per l’Alto Adige e la Valle d’Aosta.

CODACC1 PISANELLI richiama l’attenzione della Sottocommissione su due questioni che sono state prospettate nel corso della discussione: la necessità dell’autosufficienza economica delle zone territoriali che aspirino a costituirsi in Regione e il modo in cui dovrebbe manifestarsi la volontà delle popolazioni interessate.

Circa il primo punto, ritiene che l’autosufficienza economica sia senza dubbio un elemento da prendere in considerazione, ma non come una condizione essenziale per la concessione dell’autonomia. Tutto il nostro Paese non è sufficiente dal punto di vista economico; la stessa situazione quindi è riscontrabile in ogni singola Regione.

Circa il secondo punto, è opinione generale che debbano essere i Consigli comunali a manifestare la volontà delle popolazioni interessate; ma, a suo avviso, tale opinione non è giusta. Non bisogna infatti dimenticare che con le ultime elezioni politiche non è stata eletta una semplice Camera dei Deputati, bensì un’Assemblea costituente. Ora, se i deputati eletti alla Costituente in una determinata zona propongono a maggioranza di costituire in Regione autonoma quella data zona di cui rappresentano la volontà popolare, la loro proposta non può essere misconosciuta, perché sta a manifestare in un modo perfettamente regolare dal punto di vista giuridico la volontà delle popolazioni interessate: i deputati eletti alla Costituente hanno i più ampi poteri e non può essere messa in dubbio la loro potestà di esprimere la volontà delle popolazioni da essi rappresentate in merito alla costituzione di nuove Regioni.

BULLONI non ritiene giuste le osservazioni fatte dall’onorevole Lussu circa la situazione di arretratezza spirituale in cui si troverebbe la popolazione friulana. Chi ha vissuto, come egli ha fatto, per vari anni nel Friuli, si sarà subito accorto che la gente friulana, di fronte a quella delle altre Regioni, non è affatto arretrata dal punto di vista spirituale, religioso e culturale. I friulani, inoltre, hanno vivissimo il sentimento della appartenenza alla nostra patria: le loro benemerenze patriottiche nella guerra del 1915-18 sono a tutti note. Essi poi emigrano per lo più in gruppi omogenei, mantenendo intatta la loro italianità.

PRESIDENTE osserva che nella discussione finora svoltasi spesso si sono confusi due concetti: quello dell’autosufficienza economica e l’altro dell’autosufficienza finanziaria.

Per quanto riguarda il primo, è stato affermato che la popolazione friulana ha un regime di vita assai modesto, il che è dovuto al fatto che la Regione è scarsamente produttiva. Ma un’autosufficienza economica commisurata alle modeste abitudini di vita di una data popolazione vivente in un ambiente ricco è un’autosufficienza forzata che non può dare l’esatta indicazione di quella che può essere la forza produttiva ascendente di una determinata Regione.

Per addivenire alla costituzione di una nuova Regione, occorre più che altro badare alla sua autosufficienza finanziaria; vedere, cioè, se una determinata zona territoriale abbia i mezzi di bilancio sufficienti a che essa non sia costretta a restare sempre allo stesso livello di vita. Da questo punto di vista, gli sembra che le informazioni, per ciò che concerne la Regione friulana, non siano state esaurienti, appunto per la mancanza di dati che senza dubbio sarebbero stati i più importanti.

Dopo tale premessa, dichiara di non essere favorevole alla proposta di costituire il Friuli in Regione e che il suo voto sfavorevole alla proposta anzidetta deve essere interpretato nel senso che egli è contrario, non già al principio della costituzione di nuove Regioni, bensì al modo con cui nell’attuale momento si prendono decisioni del genere.

UBERTI avverte che esiste una pregevole opera del professore Pietri sulla potenzialità economica della provincia di Udine, da cui si può desumere come la nuova Regione friulana abbia notevoli possibilità di sviluppo nel campo economico.

FUSCHINI osserva, per quanto riguarda il concetto espresso dall’onorevole Ravagnan, ossia che dalla disoccupazione si possa desumere l’insufficienza finanziaria di una data Regione, che ciò non gli sembra esatto. Infatti, il fenomeno della disoccupazione non si verifica soltanto nel Friuli, ma anche in altre Regioni, di cui a priori si dovrebbe ammettere, se fosse vera l’affermazione fatta dall’onorevole Ravagnan, l’insufficienza finanziaria. Ed anche per un altro fatto l’elemento della disoccupazione non può servire a provare l’insufficienza finanziaria di una zona territoriale: è sempre possibile, infatti, migliorando il sistema di produzione, trasformare l’insufficienza finanziaria in sufficienza. Da questo punto di vista si può dire che nel Friuli non sono state ancora adeguatamente sfruttate le risorse idriche ai fini di una più targa produzione di energia elettrica. Quando ciò sarà stato fatto, la produzione in altri settori subirà senza dubbio un notevole miglioramento, determinando nello stesso tempo con tutta probabilità una contrazione del fenomeno della disoccupazione.

Dai documenti fornitigli si può desumere come la Provincia di Udine, rispetto alla capacità tributaria, non sia una delle ultime del nostro Paese. Essa, infatti, nei confronti delle altre, tiene il quarantanovesimo posto quanto al gettito complessivo delle imposte e delle tasse, e in particolare il cinquantanovesimo posto per le tasse di cessioni, ventiseiesimo posto per le tasse scambi e il quarantacinquesimo posto per le tasse di bollo. È da presumere pertanto che la Regione friulana abbia una sufficienza finanziaria.

Per quanto riguarda la questione relativa alla manifestazione della volontà delle popolazioni interessate, osserva che, se è giusto il rilievo fatto dall’onorevole Fabbri, egualmente giusto è quello prospettato dall’onorevole Codacci Pisanelli: la maggiore espressione della volontà popolare è rappresentata dall’Assemblea costituente e il parere manifestato dai deputati in merito alla proposta di costituire in Regione una data zona territoriale di cui essi sono i legittimi rappresentanti non può non avere una notevole importanza. Naturalmente tale espressione di volontà può anche accompagnarsi ad altre manifestazioni della volontà popolare, quali si possono avere, ad esempio, per mezzo di referendum comunali, secondo quanto giustamente ha proposto con il suo ordine del giorno l’onorevole Conti nella passata riunione.

Dal punto di vista politico, merita particolare attenzione la proposta fatta dall’onorevole Uberti, che, cioè, la nuova Regione friulana venga ad assumere il nome di Friuli-Venezia Giulia ed abbia come capoluogo provvisorio la città di Udine, nella speranza che quello definitivo possa essere un giorno la città di Trieste.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di costituire la Regione friulana, che dovrebbe comprendere la zona territoriale del Friuli più le terre della Venezia Giulia che, a norma del futuro trattato di pace, resteranno allo Stato italiano, con esclusione del mandamento di Portogruaro.

(È approvata).

Avverte che ora è in discussione l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Conti nella passata riunione e che è così concepito:

«La seconda Sottocommissione ritiene che sulla decisione relativa alla creazione delle Regioni Molisana, Salentina, Emiliana-Lunese, Friulana, debba raccogliersi per mezzo di referendum comunali il voto favorevole o contrario delle popolazioni».

GRIECO osserva che il voto dovrebbe essere richiesto non solo agli abitanti delle zone territoriali che dovrebbero essere costituite in Regioni, ma anche agli abitanti delle Regioni che resterebbero mutilate di quelle parti di territorio da costituire in Regione o da aggregare ad altre.

CONTI ritiene che sia sufficiente interpellare le popolazioni che verrebbero ad essere comprese nell’ambito delle nuove circoscrizioni regionali. A tal fine propone di aggiungere nell’ordine del giorno da lui proposto, alla parola: «popolazioni» le seguenti: «che verrebbero comprese nelle proposte circoscrizioni».

LACONI fa presente che l’aggiunta proposta dall’onorevole Conti all’ordine del giorno in discussione non risolve, a suo avviso, il più importante problema, quello cioè della valutazione che dovrà essere fatta dai referendum comunali da indirsi eventualmente in occasione della costituzione di nuove Regioni. A tale proposito ci si può domandare, infatti, se si dovrà dare valore ai voti nel loro complesso, cioè a quelli espressi nell’ambito territoriale della nuova Regione da costituire, oppure se i voti di ogni Comune dovranno avere valore a sé. In tal caso, se un dato Comune si pronunciasse contro la costituzione della nuova Regione, potrebbe essere escluso dal farne parte, consentendolo la situazione geografica, secondo la volontà da esso manifestata.

LAMI STARNUTI dichiara di essere favorevole a che siano interrogate le popolazioni interessate per ogni mutamento di circoscrizioni regionali: in via di principio, quindi, è completamente d’accordo con l’onorevole Conti. Osserva però che l’ordine del giorno da lui proposto può far sorgere gravi questioni, dal punto di vista giuridico assai difficili a risolversi.

Ciò considerato, ritiene più opportuno che la Sottocommissione, relativamente al problema in esame, approvi un altro ordine del Giorno così concepito:

«La seconda Sottocommissione demanda alla sua Presidenza l’incarico di chiedere alle amministrazioni comunali e provinciali il loro parere sulla progettata creazione di nuove Regioni (Molise, Salento, Emilia e Lunigiana, Friuli) per sottoporre siffatti pareri alla Commissione plenaria e all’Assemblea costituente come elementi di giudizio per le decisioni definitive sui progetti anzidetti».

NOBILE propone di aggiungere all’ordine del giorno dell’onorevole Conti la seguente formulazione:

«La seconda Sottocommissione ritiene che si debbano altresì raccogliere per referendum i voti dei Consigli comunali e provinciali delle Regioni dalle quali le zone delle Regioni da costituirsi verrebbero staccate».

BULLONI osserva che sarebbe opportuno raccogliere per referendum anche i voti delle Camere di commercio e pertanto propone che fra la parola «provinciali» e le parole «delle Regioni», nella formulazione presentata dall’onorevole Nobile siano incluse le parole «e delle Camere di commercio».

RAVAGNAN rileva che il referendum, così come è concepito nell’ordine del giorno proposto dall’onorevole Conti, è in sostanza un plebiscito: le popolazioni, in altri termini, sarebbero chiamate a rispondere su qualcosa di già precostituito. Le popolazioni invece dovrebbero essere lasciate libere di esprimere la loro effettiva volontà relativamente alla costituzione di nuove Regioni.

LACONI propone il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, esanimate le proposte pervenute per la costituzione di circoscrizioni regionali diverse da quelle storiche, ritiene:

1°) che è necessario consultare su tali proposte le popolazioni interessate;

2°) che non è possibile procedere a tale consultazione sulla base delle circoscrizioni proposte, senza con ciò violare la libera scelta delle popolazioni stesse.

«Decide quindi di rinviare la costituzione di circoscrizioni regionali diverse da quelle storiche alla libera iniziativa delle popolazioni interessate da esprimersi nel modo e nelle forme previste dall’articolo 23».

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Laconi che con il suo ordine del giorno si verrebbe ad annullare ciò che la Sottocommissione ha già deciso in merito a particolari richieste dì costituzione di nuove Regioni.

NOBILE osserva che le proposte di costituire nuove Regioni di solito non sono promosse dalle popolazioni interessate: esse per lo più provengono da esperti in varie materie. In ogni modo, non vede la ragione del contendere intorno all’ordine del giorno presentato dall’onorevole Conti, che è molto chiaro ed esplicito. Si tratta in fondo di un referendum consultivo richiesto alle popolazioni interessate.,

CONTI dichiara di essere disposto, per evitare ogni dubbia interpretazione, ad includere nel suo ordine del giorno, fra la parola «referendum», e quella «comunali», la seguente: «consultivo».

CODACCI PISANELLI propone la seguente aggiunta all’ordine del giorno dell’onorevole Conti: «a meno che la volontà delle popolazioni comprese nella nuova Regione da erigere risulti inequivocabilmente espressa dalla maggioranza dei deputati all’Assemblea costituente eletti dalle stesse popolazioni».

MORTATI osserva che, a norma dell’articolo 23, le popolazioni interessate non avrebbero alcuna veste per intervenire direttamente in caso di costituzione di nuove Regioni. In ogni modo, per ragioni di carattere politico può essere opportuno fissare il principio che il parere delle popolazioni interessate debba costituire l’elemento decisivo per creare nuove Regioni. Tale principio però dovrebbe essere stabilito con un’apposita legge da parte dell’Assemblea costituente.

CAPPI propone il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione esprime il voto che le sue delibere relative alla costituzione di nuove Regioni in aggiunta a quelle elencate nell’articolo 22 vengano comunicate ai Comuni delle Regioni nelle quali le Regioni costituende sono attualmente comprese, perché, volendo, esprimano su tali delibere il loro voto».

PORZIO ritiene che il parere delle popolazioni interessate non possa costituire una condizione esclusiva per la creazione di nuove Regioni che, dal punto di vista giuridico, può essere demandata soltanto all’Assemblea costituente. La seconda Sottocommissione senza dubbio avrebbe potuto soprassedere sulle sue decisioni relativamente alle richieste di costituzione di nuove Regioni, allo scopo di informarsi con dati più esaurienti sulle diverse situazioni locali per la delimitazione delle nuove circoscrizioni regionali. Ma ciò non può significare che l’Assemblea costituente debba spogliarsi di ogni suo potere nel campo del nuovo ordinamento regionale. Se si deve quindi addivenire a un referendum delle popolazioni interessate, tale referendum dovrebbe soltanto implicare una manifestazione di parere. Inoltre non sarebbe opportuno che la Sottocommissione ritornasse sulle sue decisioni in materia di autonomia regionale. Se le popolazioni interessate vorranno far conoscere le loro ragioni, potranno comunicarle all’Assemblea costituente prima che questa adotti disposizioni definitive per la creazione di nuove Regioni.

UBERTI è contrario all’ordine del giorno dell’onorevole Conti perché, se le popolazioni interessate dovessero essere interrogate, il loro parere, a suo avviso, dovrebbe senz’altro essere vincolante. Ciò considerato, prega l’onorevole Conti di volerlo ritirare.

CONTI, accedendo alla richiesta dell’onorevole Uberti, ritira il suo ordine del giorno.

NOBILE ritira la sua proposta aggiuntiva all’ordine del giorno dell’onorevole Conti e si associa all’ordine del giorno dell’onorevole Lami Starnuti.

LACONI ritira il suo ordine del giorno e si associa a quello dell’onorevole Lami Starnuti.

CODACCI PISANELL1 ritira la sua proposta aggiuntiva all’ordine del giorno dell’onorevole Conti.

PRESIDENTE mette in votazione l’ordine del giorno dell’onorevole Lami Starnuti.

PORZIO dichiara di votare contro.

PICCIONI dichiara di votare contro l’ordine del giorno dell’onorevole Lami Starnuti e che voterà a favore dell’ordine del giorno dell’onorevole Cappi.

(Con 13 voti favorevoli e 13 contrari, non è approvato).

BULLONI propone che nel testo dell’ordine del giorno dell’onorevole Cappi si faccia menzione anche delle Camere di commercio.

PRESIDENTE avverte che nel testo dell’ordine del giorno dell’onorevole Cappi sarebbe opportuno includere, oltre alle Camere di commercio, anche le Deputazioni provinciali. Propone quindi che quest’ordine del giorno sia così definitivamente formulato:

«La seconda Sottocommissione esprime il voto che le sue delibere relative alla costituzione di nuove Regioni in aggiunta a quelle elencate nell’articolo 22 vengano comunicate ai Comuni, alle Deputazioni provinciali ed alle Camere di commercio delle Regioni nelle quali le Regioni costituende sono attualmente comprese, perché, volendo, esprimano su tali delibere il loro voto».

Lo mette ai voti.

(È approvato).

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bulloni, Cannizzo, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti e Vanoni.

Assenti: Bozzi, Calamandrei, Castiglia, Perassi, Rossi Paolo e Zuccarini.

MERCOLEDÌ 18 DICEMBRE 1946 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

7.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 18 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Potere giudiziario (Seguito della discussione)

Presidente – Bozzi – Leone Giovanni, Relatore – Calamandrei, Relatore – Di Giovanni – Vanoni – Targetti.

La seduta comincia alle 16.20.

Seguito della discussione sul potere giudiziario.

PRESIDENTE riapre la discussione sull’articolo 12 che era stato lasciato in sospeso nella precedente riunione.

BOZZI, riallacciandosi a quanto detto dall’onorevole Calamandrei nella seduta precedente, rileva che problema pregiudiziale da risolvere è se si debba o meno affermare nella Costituente il principio della unicità della giurisdizione.

Premette che il fenomeno delle giurisdizioni speciali non è nuovo in Italia, dove fin dal 1939 avevano raggiunto il numero di circa 300. Tale fenomeno esisteva già prima del fascismo e, per quanto sia ora grandemente diminuito, ancora oggi si creano giurisdizioni speciali, come l’attuale Commissariato per gli alloggi. Ciò, a suo avviso, sta a dimostrare che in ogni tempo vi è stata l’esigenza di giudici speciali.

Riassume il pensiero dell’onorevole Calamandrei, secondo il quale l’unicità di giurisdizione è in stretta connessione con l’indipendenza dei giudici e non dovrebbero più essere ammesse magistrature speciali, le quali, solo per particolari materie, potrebbero essere sostituite da sezioni speciali dell’organo giudiziario ordinario, come le attuali sezioni del lavoro, degli usi civici, o per gli infortuni sul lavoro. A suo modo di vedere, però, più che contro le giurisdizioni speciali, occorre reagire contro il loro espandersi, che, se non sufficientemente vigilato, potrebbe trascendere nella creazione di giudici speciali per fini politici contingenti. Non crede poi che le giurisdizioni speciali possano intaccare l’indipendenza della Magistratura, come è stato affermato dall’onorevole Calamandrei, perché, se così fosse, lo stesso risultato sarebbe raggiunto dalle sezioni speciali, in quanto di esse fanno parte, come esperti, elementi non appartenenti alla Magistratura ordinaria. Riconosce che un fattore di maggiore coesione tra i cittadini deve essere la certezza del diritto, ma non ritiene che sostituendo alle magistrature speciali le sezioni speciali, la certezza del diritto sia del tutto salvaguardata, essendo convinto che nascerebbero egualmente conflitti di competenza.

Dopo avere definito come giudice ordinario, contrariamente al criterio empirico usato dal Relatore, quello che nella sua giurisdizione abbraccia la generalità delle persone, pone in evidenza come la principale differenza tra il giudice ordinario e quello speciale consista nel fatto che contro le sentenze di quest’ultimo non è ammesso il ricorso alla Cassazione per i normali motivi di legittimità, ma solo il ricorso alle Sezioni unite per incompetenza o eccesso di potere. A questo inconveniente potrebbe, a suo giudizio, ovviarsi, sostituendo alle Sezioni unite della Corte di cassazione una sezione della Suprema Corte Costituzionale, attribuendole, però, anche la competenza dei ricorsi per motivi di legittimità.

Ritiene che il principio della unicità della giurisdizione dovrebbe essere affermato, se si creasse una organizzazione tale da attribuire la competenza in ogni campo soltanto al giudice ordinario; ma, una volta ammesso che per alcune materie è necessaria una composizione speciale del collegio giudicante, non ritiene opportuno imbrigliare l’avvenire inserendo nella Costituzione un divieto assoluto delle giurisdizioni speciali, che alle volte possono anche rivelarsi utili per attuare procedure più svelte e più snelle in particolari settori, come potrebbe essere attualmente quello degli alloggi, per il quale sarebbe forse più consigliabile un giudice speciale, piuttosto che una sezione speciale presso il Tribunale. È proprio per la grande ammirazione che ha della Magistratura ordinaria, che non vedrebbe di buon occhio un tribunale con molte appendici di sezioni specializzate, con giudici dalle diverse attribuzioni, e con procedure le più difformi, anche in campi in cui la specialità risponde più che altro a necessità di carattere transitorio.

È del parere, pertanto, che non si possa fissare nella Costituzione il principio del divieto assoluto delle giurisdizioni speciali. A favore di tale principiò si è dichiarato un Comitato di magistrati nominato dal Ministro, mentre la Corte di cassazione si è dimostrata molto più cauta, riconoscendo che il principio della giurisdizione speciale vada riveduto, contenuto e limitato, ma che non per questo tutte le giurisdizioni speciali esistenti debbano essere eliminate.

Si limiterebbe, perciò, ad esprimere soltanto un orientamento, affermando nella Costituzione la tendenza verso la giurisdizione unica, nel senso di consentire l’eventuale costituzione di giudici speciali solo con l’adozione di particolari cautele. Proporrebbe, quindi, la seguente formula: «Non si possono istituire giudici speciali, se non con legge costituzionale».

Alla obiezione che la legge costituzionale può sempre derogare alla Costituzione, senza bisogno di dirlo, risponde che anche in altre parti della Costituzione è stata usata una simile affermazione, la quale ha in particolare, in questo caso, un valore di orientamento sia per l’avvenire, sia per la valutazione delle giurisdizioni speciali esistenti.

Desidera, infine, porre in evidenza che, mentre in passato le giurisdizioni speciali non davano alcuna garanzia, anche per la possibilità di modificare la Costituzione con legge ordinaria, per l’avvenire esse potranno essere circondate dalle maggiori cautele e non potranno più ripetersi gli inconvenienti che si sono precedentemente verificati, in quanto ogni giudice, sia ordinario che speciale, dovrà uniformarsi a dei principî fondamentali, che, almeno in parte, hanno già trovato posto nella Costituzione, come l’obbligo del contradittorio, la possibilità della impugnazione di tutte le sentenze (cosicché si abbia per lo meno un doppio grado di giurisdizione) e l’obbligo della motivazione delle sentenze. Seguendo, poi, il consiglio accennato dall’onorevole Leone, se nella composizione di queste giurisdizioni speciali si stabilirà la partecipazione obbligatoria di magistrati togati (per lo meno di un magistrato presidente), potranno completarsi i capisaldi fondamentali per una sana e concreta garanzia in questo campo.

Concludendo, si dichiara contrario alla pluralità delle giurisdizioni speciali, che sarà compito del legislatore ordinario di ridurre il più possibile, ma non inserirebbe nella Costituzione il divieto assoluto di esse, permettendone invece la costituzione sulla base di principî fondamentali che servano a garantire nel medesimo tempo il regolare svolgimento dei giudizi e la difesa dei diritti dei cittadini.

LEONE GIOVANNI, Relatore, dichiara di essere in posizione di perfetta antitesi all’impostazione data alla questione dall’onorevole Bozzi, al quale fa innanzi tutto rilevare che le sezioni specializzate potrebbero costituire una menomazione del principio dell’indipendenza della magistratura, se la loro composizione fosse lasciata all’arbitrio del legislatore e non vincolata dalla Costituzione. Evidentemente una sezione speciale, in cui il giudice togato resti isolato, non potrebbe essere tale da garantire l’indipendenza del giudizio; onde la necessità di un limite alla partecipazione dei giudici estranei, in modo che il loro numero sia proporzionato a quello dei giudici ordinari.

Circa l’affermazione dell’onorevole Bozzi di non essere favorevole ad un tribunale con più sezioni specializzate, osserva che meno favorevoli ancora si può essere alla pluralità di giurisdizioni speciali, la quale costringerebbe il cittadino, in caso di dubbio, a studiare dei trattati di legislazione per sapere a quale giurisdizione rivolgersi. Quando si abbia, invece, la giurisdizione unica, automaticamente esso adirà il giudice competente.

Per quanto riguarda, infine, la creazione di giurisdizioni speciali solo mediante leggi costituzionali, obietta che, se un partito raggiungerà nel potere legislativo una tale maggioranza che gli permetta di istituire giurisdizioni speciali con legge costituzionale, allo stesso modo potrà successivamente variarne il carattere e la composizione.

Ricorda che lo Stato italiano, da autoritario quale era in origine, si andava evolvendo in stato democratico, ma nel corso della sua evoluzione è sorto il fascismo, che lo ha riportato indietro, moltiplicando ed asservendo le giurisdizioni speciali. Oggi, d’altra parte, non vi è nemmeno la possibilità di riallacciarsi alla legislazione prefascista, perché anche per quel periodo non può parlarsi di indipendenza del giudice, dato che non era raro il caso di un ministro che avesse il potere di decidere in materia di conflitti tra la sua amministrazione e il cittadino. A questo proposito riterrebbe opportuno che la Sottocommissione prendesse posizione, esprimendo in modo chiaro il proprio pensiero sul mantenimento, o meno, di quelle giurisdizioni amministrative, nelle quali il giudice è anche parte.

Se si riconosco la necessità di dichiarare che bisogna impedire, almeno in linea generale, la formazione di tribunali speciali, attraverso i quali può distruggersi il principio dell’indipendenza del giudice, in quanto possono aversi giudici parziali, o capi delle amministrazioni che siano giudici e parti nella controversia, si deve inserirò nella Costituzione una formula precisa, che non serva soltanto ad aggirare la posizione, ma stabilisca permanentemente il principio che le giurisdizioni speciali sono assolutamente vietate. Se invece si dicesse che tali giurisdizioni si possono formare solo con legge costituzionale, attraverso una simile formula, sarebbe non solo attenuato, ma anche grandemente diminuito il valore solenne che si vuole dare al principio.

Secondo il suo punto di vista, fra gli organi ordinari della giustizia includerebbe anche quelli della giurisdizione amministrativa in senso proprio, cioè la Corte dei conti, il Consiglio di Stato e la Giunta provinciale amministrativa: fissando altresì il principio che le sezioni specializzate possono formarsi anche con elementi estranei all’ordinamento giudiziario in misura non superiore ad un terzo.

Nei riguardi, però, della giurisdizione amministrativa tributaria, osserva che vi è tutta una vasta rete di attribuzioni che riguarda in particolare la giurisdizione sopra elementi di fatto contingenti che richiedono una determinata capacità e conoscenze pratiche da parte del giudice (come, ad esempio, per l’accertamento dei redditi) che non può essere assorbita dall’ordinamento giudiziario. Per questa parte lascerebbe aperto nella Costituzione il varco alla formazione di una giurisdizione tributaria specializzata, preferibilmente con giudici privati, consentendo sempre più la possibilità di ricorso al magistrato ordinario.

Propone perciò che gli articoli 12, 13 e 14 siano così formulati:

«Art. 12 – L’esercizio del potere giudiziario appartiene esclusivamente ai giudici ordinari, a norma delle disposizioni che seguono:

«In materia civile la giurisdizione è esercitata dal Conciliatore, dal Pretore, dal Tribunale, dalla Corte d’appello e dalla Corte suprema di cassazione.

«In materia penale la giurisdizione è esercitala dal Pretore, dal Tribunale, dalla Corte d’appello e dalla Corte suprema di cassazione.

«In materia amministrativa, la giurisdizione è esercitata dalla Giunta provinciale amministrativa, dalla Corte dei conti e dal Consiglio di Stato.

«Tali organi, escluso il Conciliatore e il Pretore, sono collegiali».

«Art. 13 – Non possono istituirsi giudici speciali. Possono tuttavia istituirsi con legge, per determinate materie, sezioni speciali presso i giudici ordinari con partecipazione di giudici specializzati ovvero di cittadini esperti, temporaneamente investiti di funzioni giudiziarie. In quest’ultimo caso il numero degli esperti non può essere superiore al terzo della composizione del collegio».

«Art. 14 – In materia tributaria possono istituirsi giurisdizioni speciali. Al contribuente è tuttavia riconosciuto il diritto di ricorrere alle giurisdizioni ordinarie per motivi di legittimità e di diritto».

Con questa formulazione ritiene che possano essere superate tutte le preoccupazioni affacciate; cioè: evitare l’istituzione di giudici speciali; mantenere gli organi della giurisdizione amministrativa (Corte dei conti, Consiglio di Stato e Giunta provinciale); riconoscere, infine, con una norma generale, senza scendere nei particolari, la possibilità di creazione di una giurisdizione in materia tributaria, salvo ricorso alla magistratura ordinaria.

CALAMANDREI, Relatore, osserva che, mentre egli è partito da una premessa generale di abolizione di tutte le giurisdizioni speciali, ivi comprese di conseguenza anche le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, l’onorevole Bozzi, ritenendo che tale organo debba essere mantenuto in tutte le sue funzioni, da questa situazione particolare è risalito ad un principio generale di difesa delle giurisdizioni speciali, a differenza dei tre Relatori, che sono stati unanimi nel proporne la soppressione.

Ora, a suo avviso, il problema fondamentale non è quello di abolire le giurisdizioni speciali, ma quello di vedere se sia opportuno sostituirle con sezioni specializzate della Magistratura ordinaria, sull’esempio di quelle già esistenti, che hanno dato ottima prova.

Richiama l’attenzione dei colleghi sui rischi che correrebbe l’indipendenza della Magistratura, ove si lasciasse al legislatore la possibilità di creare giurisdizioni speciali, sul tipo del Tribunale speciale per la difesa dello Stato.

Desidera inoltre far rilevare, come ebbe già occasione di dire in altra seduta, che il lasciar aperto il varco alla creazione di giurisdizioni speciali permette al legislatore di togliere, a poco a poco, alla Magistratura una parte delle sue funzioni, per demandarla a giudici speciali non indipendenti, distruggendo così il principio della unicità della giustizia e l’indipendenza della Magistratura stessa.

Circa il pericolo che anche lo sezioni specializzate potrebbero rappresentare, agli effetti dell’indipendenza della Magistratura, rileva che in tali sezioni, pur essendo composte in parte di tecnici e di periti che non possono dare sufficiente certezza di indipendenza, la garanzia è data dalla presenza di magistrati ordinari.

Infine, sulla proposta dell’onorevole Leone di considerare come ordinarie alcune delle giurisdizioni amministrative attualmente esistenti (Corte dei conti, Consiglio di Stato e Giunta provinciale amministrativa), fa osservare che il far parte della Magistratura ordinaria non dipende solo dall’averne la qualificazione, bensì, dall’essere inclusi, coordinati e inquadrati in quel sistema di garanzie che si vuol stabilire per mantenere l’indipendenza e l’autogoverno della Magistratura. Infatti, se l’autogoverno della Magistratura significa che i giudici debbono essere nominati dal corpo dei magistrati e che le mancanze disciplinari debbono parimente essere sottoposte alla loro competenza, è perfettamente inutile affermare che sono giudici ordinari anche i giudici speciali, se non viene loro concessa la stessa garanzia di nomina e di giurisdizione disciplinare. A suo avviso, quindi, il mantenere delle giurisdizioni speciali significherebbe ammettere l’esistenza di organi che, pur amministrando la giustizia, sarebbero privi però delle garanzie essenziali dei giudici ordinari. Per questi motivi, anche essendo disposto a discutere la permanenza in vita del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, come giurisdizioni speciali eccezionalmente mantenute, è nettamente contrario a girare la questione, chiamando «ordinari» degli organi che continuerebbero ad essere speciali.

BOZZI desidera chiarire che, sostenendo la non opportunità di sancire nella Costituzione il divieto assoluto della creazione di giurisdizioni speciali, non ha voluto certamente difenderle, avendo anzi affermato la necessità della loro riduzione. Ricorda inoltre di aver detto che, ammettendo il principio della istituzione eccezionale di giudici speciali, si dovrà stabilire che ne faccia parte per lo meno un magistrato presidente e che tutti i giudici speciali dovranno sottostare alle garanzie del giudice ordinario.

DI GIOVANNI fa presente che, mentre nel progetto della Commissione nominata dal Ministro Guardasigilli il principio della unicità della giurisdizione è affermato in modo categorico, in quello della Corte di cassazione è ammesso «in via di massima», con il rilievo che in alcuni casi le magistrature speciali rispondono alla necessità di una maggiore specializzazione e non l’ammissione della conservazione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e di altre magistrature amministrative.

Personalmente ritiene che soltanto in materia penale debba essere rigidamente affermato il principio della unicità della giurisdizione; cioè che non si possa in tale materia ricorrere, in nessun caso, a tribunali speciali. Quindi, in questo campo dovrebbero esistere soltanto la Magistratura ordinaria e giudici precostituiti, salva l’eccezione dei Tribunali militari in tempo di guerra, in quanto determinati da esigenze eccezionali. In materia amministrativa dovrebbe invece ammettersi la conservazione delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, della Giunta provinciale amministrativa e delle Commissioni tributarie. Oltre a queste giurisdizioni speciali, conserverebbe anche quelle Commissioni speciali e quei Collegi arbitrali, che sorgono in relazione alla costante evoluzione del diritto del lavoro e che hanno dato ottime prove per la risoluzione delle controversie.

VANONI ha chiesto di partecipare ai lavori della Sezione per richiamare l’attenzione dei colleghi sulla relazione fatta dal Ministero della Costituente nella parte riguardante la difesa dei cittadini nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, in cui sono riassunti i risultati di un’inchiesta espletata da tecnici e pratici in materia di contenzioso tributario.

Da tale inchiesta è emersa innanzi tutto l’esigenza di dare all’ordinamento del contenzioso tributario un’impronta meno arbitraria di quella che ha attualmente. Bisogna tenere presente in proposito che vi sono oggi leggi tributarie che escludono la possibilità di ricorrere al giudice ordinario dopo che sia stata adita la Commissione amministrativa; leggi che concedono un solo grado di giurisdizione, escludendo comunque il ricorso alla autorità giudiziaria, e ancora leggi che ammettono addirittura sei gradi di giurisdizione, come nel caso dei ricorsi relativi all’imposta di ricchezza mobile, in cui si hanno tre gradi in sede amministrativa e tre in sede di Magistratura ordinaria. Si passa quindi da un eccesso assoluto di contenzioso, che può portare alla perdita di anni per la definizione di questioni in materia tributaria, a casi in cui è dato un solo grado di giurisdizione. Da questo stato di cose consegue il fondato timore che i diritti e gli interessi dei cittadini non siano opportunamente difesi nei confronti dell’Amministrazione.

Altro rilievo fatto all’attuale ordinamento del contenzioso tributario è quello del giudice tributario nominato dal Ministero o dall’Intendenza di finanza, che comunemente appare come una parte. Nell’opinione pubblica è infatti molto diffuso il timore che il giudice nominato dall’esponente amministrativo della parte contraria – se «parte» si può chiamare lo Stato in un procedimento – non sia un giudice completamente imparziale. Di questo timore, del resto, si è avuta un’eco anche in una delle ultime discussioni in Assemblea plenaria.

D’altra parte, in materia tributaria è necessario tener presente, innanzi tutto, una esigenza di carattere pratico, cioè che il procedimento deve essere rapido, in quanto la rapidità dell’accertamento è una delle condizioni indispensabili per il funzionamento dell’ordinamento tributario, e, in secondo luogo, l’esigenza che il giudice sia, da un lato, fornito di sufficiente competenza giuridica per valutare l’aspetto di diritto della controversia, e abbia dall’altro adeguate cognizioni tecniche attinenti alla particolarità del procedimento, che non è un puro giudizio di diritto, ma è spesso un giudizio di equità, soprattutto quando si tratta di stimare un fatto nella sua giusta portata.

Di fronte a tutte queste esigenze, così opposte, ed in relazione allo stato attuale della legislazione italiana, bisogna dunque considerare la necessità di una profonda, sostanziale innovazione del procedimento tributario.

Desidera sottoporre ai colleghi le soluzioni che sono state proposte da teorici e pratici, affinché siano esaminate e vagliate con particolare attenzione, tenuto conto soprattutto dell’importanza del fatto, in quanto, secondo quello che gli è stato segnalato da alcuni studiosi di statistiche giudiziarie, risulta che davanti alla Corte di cassazione, per un lungo periodo di tempo, oltre il 50 per cento dei giudizi civili era di natura tributaria.

Le proposte fatte riguardano, innanzi tutto, il riconoscimento della competenza esclusiva del giudice ordinario anche in materia tributaria, con la creazione di sezioni speciali, composte prevalentemente da giudici togati, assistiti da esperti per la valutazione dei fatti; in secondo luogo, un grande tribunale amministrativo competente in tutte le materie amministrative, compresa anche la materia tributaria; in terzo luogo, una organizzazione giudiziaria specifica in materia tributaria, a somiglianza della Corte suprema tributaria istituita in Germania dopo la Costituzione di Weimar.

Pone in evidenza come in nessuna di tali proposte ritorni il concetto dominante nell’attuale contenzioso tributario, di organismi prevalentemente o esclusivamente composti di giudici non togati, poiché da tutte è richiesta la presenza del giudice ordinario. Ciò deriva, a suo avviso, dal fatto che con l’organizzarsi di un sistema giuridico degli istituti tributari, l’interpretazione del diritto e l’applicazione delle norme giuridiche diventa sempre più importante; onde la necessità della presenza di un giudice che sia capace di indirizzare gli altri nella interpretazione e valutazione della legge. D’altra parte non può negarsi l’esigenza che siano presenti anche persone che abbiano particolare competenza in materia tributaria, per la obiettiva valutazione dei fatti, che, avendo un controllo di valore monetario, richiede altitudini e cognizioni del tulto particolari.

Per concludere, volendo esprimere la sua personale valutazione, di pratico e di studioso, dichiara di ritenere legittima, in materia di contenzioso tributario, la richiesta di una giurisdizione speciale. A suo avviso, forse, nella situazione attuale sarebbe preferibile una Corte tributaria che non il Consiglio di Stato in funzione giurisdizionale, in quanto tale organo richiede semplicemente una specializzazione, che non è maggiore di quella che si riscontra tra i giudici penali e i giudici civili, mentre nel campo tributario è realmente necessario un tribunale composto in un modo diverso e che abbia una giurisdizione separata. Non sa se il problema possa essere risolto con risoluzione di sezioni speciali, ma pensa che si debba studiare la possibilità di risolvere tale angosciosa questione, per dare all’Italia un sistema di contenzioso tributario non contradittorio, semplice e soprattutto rapido; perché, se si insistesse nel sistema attuale soprattutto in un periodo di democrazia in cui le forme di contenzioso abbreviate saranno via via ridotte, teme fortemente che la forma normale di contenzioso rimarrebbe quella delle imposte dirette, cioè una forma di contenzioso che, da un lato, sarebbe estremamente costosa, e dall’altro si presterebbe piuttosto a ritardare il pagamento delle imposte, che non a garantire una retta interpretazione delle leggi tributarie.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone che l’onorevole Vanoni prepari in proposito un progetto, che potrebbe formare oggetto di studio per la Sezione.

VANONI ritiene che sia sufficiente che i colleghi, nel formulare i principî, tengano presente la possibilità di prevedere un organo speciale di giurisdizione per il contenzioso tributario.

CALAMANDREI, Relatore, pensa che la questione da risolvere sia se il contenzioso tributario debba essere incorporalo nella giurisdizione ordinaria in forma di sezioni speciali, oppure se lo si debba mantenere come giurisdizione speciale.

TARGETTI, per rimanere il più possibile aderenti al lavoro da svolgere, ritiene sia opportuno tenere presente che negli articoli 12 e 13 nel progetto Calamandrei, 14, 14-bis, 15, 21 del progetto Leone, 7 e 20 del progetto Patricolo, vengono risolte, in modi diversi, le questioni riguardanti l’unicità della giurisdizione, le giurisdizioni speciali, i tribunali straordinari e gli organi con cui si esercita il potere giudiziario. Di conseguenza, a suo avviso, più che discutere intorno alle parole dei vari articoli, è necessario stabilire dei principî in merito a ciascuna delle varie questioni.

Sul principio della unicità della giurisdizione osserva che, affermandolo, si verrebbe a stabilire un divieto insormontabile alla creazione di giurisdizioni speciali e ritiene che l’onorevole Calamandrei abbia, dal suo punto di vista, ragione nel sostenere che i giudici speciali contrastano il principio dell’autogoverno della Magistratura. Pur riconoscendo l’elevatezza dell’ideale dell’unicità della Magistratura, pensa che, salvo nel campo penale, non sia possibile affermarlo in modo inderogabile, in quanto dovrà sempre essere ammessa l’esistenza di un contenzioso amministrativo o tributario.

Dichiara infine di non essere favorevole alla proposta dell’onorevole Leone di inserire nella Costituzione un’elencazione degli organi del potere giudiziario, in quanto, oltre tutto, sarebbe necessario risolvere prima il problema della Corte d’assise, dato che la legge sull’ordinamento giudiziario non ha mai fatto parola né dei giurati, né degli assessori.

PRESIDENTE fa presente che della Corte di assise si parlerà quando si prenderà in esame l’articolo 21 della relazione Calamandrei.

La seduta termina alle 18.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cannizzo, Cappi, Conti, Di Giovanni, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti e Uberti.

Intervenuto, autorizzato, l’onorevole Vanoni.

Assente: Porzio.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 17 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

71.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 17 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito delia discussione)

Presidente – Lami Starnuti – Lussu – Bulloni – Vanoni – Ambrosini, Relatore – Ravagnan – Mortati – Nobile – Mannironi – Targetti – Bordon – Conti – Uberti – Fuschini – Rossi Paolo – Fabbri – Laconi – Piccioni.

La seduta comincia alle 17.05.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE legge una lettera pervenutagli, a firma degli onorevoli Zanardi, Merighi e Longhena:

«I sottoscritti, deputati di circoscrizioni emiliane, avendo appreso che si intende scindere in due l’Emilia e fare di essa due Regioni, pregano la Sottocommissione di voler soprassedere alla decisione e interpellare prima enti ed istituti interessati. Non ravvisano in tale intenzione alcuno di quei gravi motivi che consigliano una divisione e perciò insistono perché si rifletta prima di prendere una deliberazione».

LAMI STARNUTI presenta alla Presidenza della Sottocommissione una deliberazione della Deputazione provinciale di Massa Carrara, la quale conforta le opinioni che egli ha espresse nella riunione del mattino. La Deputazione dichiara infatti che, allo stato degli atti, non è in grado di esprimersi e di decidere sul progetto di costituzione della Regione Emiliana-Lunese.

LUSSU riconosce giusta l’osservazione già fatta dall’onorevole Fuschini che nel progetto del Comitato non si è fatto cenno, tra le Regioni, alla Romagna, che ha effettivamente una sua particolare caratteristica regionale.

Anche prima del fascismo si era già manifestato il desiderio di gran parte della Romagna di diventare una Regione autonoma, e se il collega Fuschini avesse presentato la questione come era nell’animo degli uomini politici della generazione dell’altro dopoguerra, egli sarebbe stato senz’altro favorevole. Ma se alla Romagna tradizionale, cioè alle Province di Forlì, Ravenna e Rimini, si aggiungono quelle di Bologna e di Ferrara, non gli pare possibile esprimere un giudizio in merito, senza conoscere il pensiero di queste due Province che dovrebbero essere assorbite. Se non si ha la matematica certezza della concorde volontà di tali Province, crede che in coscienza non si possa dare un parere favorevole.

Anche per quanto concerne la Regione dell’Emilia appenninica, bisognerebbe sapere che cosa ne pensano le Province interessate.

Non può nascondere poi che circa Modena, Reggio, Parma, Piacenza e La Spezia, sebbene per impulso naturale sarebbe portato ad aderire alla opinione degli onorevoli Fuschini e Micheli, è rimasto un po’ colpito dalle argomentazioni del Presidente Terracini e dell’onorevole Lami Starnuti, così che non si sente autorizzato ancora ad esprimere un parere favorevole. Ha l’impressione che nell’insieme il progetto, da un punto di vista tecnico, potrebbe anche essere approvato, ma non crede sufficiente la sola concezione tecnica per poter dare un giudizio definitivo, dovendo concorrere molti altri elementi. Non vorrebbe, inoltre che il criterio topografico fosse il prevalente nel condurre ad un giudizio definitivo, per non correre il rischio di una soluzione topografico-politica, ispirata ad una scienza non perfettamente esatta, che ha preso il nome di geopolitica.

Per tutte queste considerazioni esprime le sue riserve, in attesa di più ampie delucidazioni.

BULLONI crede che la Sottocommissione dovrebbe esprimere il suo parere sul problema della costituzione della Regione Emiliana-Lunese (Modena, Reggio, Parma, Piacenza e La Spezia), prescindendo dalle ripercussioni che la sua attuazione potrebbe avere nei riflessi di altre Province, purché sia dimostrato che tale costituzione è in armonia col principio generale informatore dell’ente Regione, quello cioè della difesa e della propulsione delle forze vive locali al servizio dell’interesse generale. A suo avviso, la Sottocommissione ha già elementi sufficienti per esprimere un giudizio favorevole, vale a dire il carattere etnico uniforme e l’autosufficienza.

Se vi è poi un interesse particolare che deve essere salvaguardato, questo è senza dubbio costituito dell’avvenire del porto di La Spezia, che, se ha prosperato fino ad ora in funzione di porto militare, per l’avvenire dovrà volgere la sua attività verso il traffico commerciale. A tale proposito fa osservare al Presidente, il quale ha affermato che il retroterra di La Spezia è l’Italia, che l’Italia è anche l’hinterland del porto di Napoli e di tutti gli altri porti italiani, e non si può trascurare il fatto che i traffici si dirigeranno verso l’uno o l’altro in relazione ai minori costi, determinati dalla vicinanza e dalla facilità dei mezzi di comunicazione. Pertanto, se un complesso di Province, per la loro ubicazione, si può servire direttamente e quasi naturalmente del porto di La Spezia, crede che sia questo un elemento degno di essere preso in considerazione, in quanto si darebbe a questo porto, altrimenti destinato a soccombere, la possibilità di vivere e di fiorire nell’interesse dei traffici nazionali.

D’altra parte, esiste già un dato di fatto che milita a favore di questa soluzione, cioè la rete ferroviaria già costituita, che naturalmente convoglierebbe i traffici di quelle Province verso il porto di La Spezia. Devesi inoltre tenere nel dovuto conto che è proprio questa città che, consapevole delle sue necessità e del suo avvenire, reclama la costituzione della nuova Regione.

È sicuro che Genova protesterà; ma non crede che costituirà un detrimento considerevole per essa l’alleggerirsi di una modesta parte dei suoi traffici in favore del porto di La Spezia. Come ha già detto, se la Sottocommissione si convince che trattasi di un interesse non particolare, ma generale, perché in questa maniera si risvegliano nuove possibilità di traffici e nuove iniziative, in obbedienza al principio informatore, cui ha fatto prima cenno, non può negare la sua adesione.

Desidera infine affermare che Piacenza, Parma, Modena e Reggio non hanno nulla a che vedere con Bologna, Rimini, Forlì e Ravenna, i cui rispettivi abitanti per costumi, pensiero e modo di vedere si considerano reciprocamente estranei. Questa scissione, che si è già creata nell’interno delle popolazioni dell’attuale Emilia, deve, a suo avviso, trovare il suo riconoscimento anche nel campo amministrativo, consentendo alle popolazioni una attività certamente più proficua di quella che non abbiano potuto svolgere finora.

VANONI condivide il pensiero dell’onorevole Lussu circa la necessità di elementi concreti per poter giudicare della costituzione di una Regione, ma è sorpreso nel constatare che da parte di lui vengano sollevate obiezioni proprio nei riguardi della proposta che, tra le varie presentate, è quella che si presenta con la maggiore elaborazione. Infatti, la relazione che è stata distribuita ai Commissari è sufficientemente completa non solo dal punto di vista storico, ma anche e soprattutto dal punto di vista economico, che secondo il suo criterio è quello che deve avere la prevalenza.

Ricorda a tale proposito che nella riunione del 14 settembre l’onorevole Mortati presentò un ordine del giorno, col quale proponeva di compiere una vera e propria inchiesta per identificare tutti gli elementi che fossero necessari per decidere intorno alla configurazione delle varie Regioni. Il nucleo di questa proposta, che fu respinta dalla maggioranza sotto il profilo che una inchiesta sarebbe stata troppo laboriosa e lunga, venne mantenuto però in un ordine del giorno del collega Tosato, che rilegge: «La seconda Sottocommissione, discusso l’ordine del giorno Mortati, relativo alla necessità di indagini geografiche, economiche, finanziarie e sociali sugli enti regionali, da condursi anche al di fuori dei normali organi burocratici, accoglie il principio e dà mandato al Comitato di redazione dell’ordinamento regionale di procedere, col metodo indicato, a tutte le ricerche ed elaborazioni necessarie per chiarire gli elementi occorrenti alla determinazione concreta, indispensabile per un immediato funzionamento dell’ente Regione». Ora, in relazione a questo ordine del giorno, la Sottocommissione o attende, per decidere, i dati definitivi dal Comitato di redazione, cosa che non ha fatto, ovvero deve dare necessariamente alle sue decisioni, sia prese che da prendere, un largo carattere di approssimazione e di prima delibazione, che lasci impregiudicata una decisione definitiva.

Per questo motivo egli si è sempre astenuto da tutte le votazioni, appunto per riservarsi una successiva libertà di giudizio, in base agli elementi del Comitato di redazione ed a quelli che l’ufficio di Presidenza sta raccogliendo. Ritiene infatti che, se in Assemblea plenaria si dovessero prendere delle decisioni sulla istituzione, o meno, di Regioni con gli stessi criteri prevalentemente sentimentali che si sono seguiti finora, si farebbe un pessimo lavoro, come costituenti e come legislatori. A suo avviso, è indispensabile invece che negli atti parlamentari vi siano delle relazioni obiettive e complete redatte da un organismo critico, contenenti tutti gli elementi che possano pesare sulle decisioni da adottare.

Chiede quindi al Relatore Ambrosini se ritenga che il Comitato continui ad essere investito del compito che gli è stato affidato con l’ordine del giorno Tosato, o se, con l’approvazione di questo Statuto regionale, creda di aver assolto completamente al proprio compito.

La ragione immediata di questo suo intervento è nel fatto che si sono sollevate delle obiezioni circa la costituzione della Regione Emiliana-Lunese sulla quale si ha una documentazione maggiore delle altre, mentre nelle precedenti decisioni non si è mai chiesto che venisse in qualche modo espressa l’opinione delle singole Province, né si è compiuta una inchiesta per ascoltare la volontà ed i desideri delle rispettive popolazioni.

Quindi, in questo caso crede di potere onestamente rinunciare alla posizione di agnosticismo che aveva mantenuta finora rispetto alle altre proposte, che, a suo avviso, non erano neanche embrionalmente istruite, mentre la richiesta in discussione ha una sufficiente quantità di elementi per far ritenere che, comunque si costituisca questa Regione, con l’aggiunta o meno della Provincia di La Spezia, si avrà sempre una unità economica consistente.

Pertanto, dando al suo voto il contenuto di pura prima delibazione, voterà in favore di questa proposta che appare la meglio istruita tra tutte quelle esaminate.

AMBROSINI, Relatore, fa presente all’onorevole Vanoni che il Comitato, esaminato l’ordine del giorno dell’onorevole Tosato, constatò l’impossibilità materiale di attuarlo direttamente, perché non aveva né i mezzi, né il tempo necessario. Non sentendosi autorizzato a rispondere a nome di tutto il Comitato, esprime la sua opinione personale che le indagini proposte dall’onorevole Vanoni saranno utilissime, ma tali da richiedere un lunghissimo tempo, essendo necessarie la collaborazione di tecnici e l’accesso sui luoghi.

Se il Comitato debba assumersi questo nuovo compito, sta alla Sottocommissione decidere; personalmente, e a nome del Comitato, dichiara di essere disposto ad assumere qualsiasi incarico che sia compatibile con le possibilità.

PRESIDENTE dà lettura del seguente ordine del giorno degli onorevoli Mortati e Vanoni:

«La seconda Sottocommissione, con riferimento alla decisione da essa adottata nella seduta del 14 settembre, delibera di affidare ad un gruppo suo o a membri particolarmente idonei, il compito di proseguire le indagini rivolte nel senso della suddetta decisione, con lo scopo di presentare all’Assemblea, insieme al progetto, gli elementi di giudizio necessari per determinare la configurazione delle future Regioni».

LUSSU crede che questa proposta non solo non risolva la questione, ma costituisca un sistema dilatorio e manifesta il suo stupore per il modo con cui l’onorevole Vanoni ha voluto giustificare la sua contraddittorietà con l’atteggiamento precedentemente assunto.

L’autosufficienza finanziaria, per quanto importante, non è il solo elemento determinante per costituire una Regione, tanto più che le Regioni del centro e dell’alta Italia, anche se suddivise, dato il loro maggiore sviluppo rispetto a quelle del Sud, hanno sempre una qualche autosufficienza finanziaria. Uno degli elementi più indispensabili per costituire una Regione è la volontà concorde degli interessati, come si è già fatto presente per la Romagna e per il Sannio.

Circa l’ordine del giorno chiede quale utilità possa derivare alla Sottocommissione da questo compito che si vuole affidare al Comitato di redazione, che non potrebbe fare certamente un lavoro superiore a quello che è nelle possibilità dei Relatori, con i dati che hanno a loro disposizione. Riconosce che è assai difficile dare un giudizio perfetto, data la difficoltà di avere gli elementi necessari, persino dalle Regioni già esistenti: più volte egli stesso ha dovuto riferire sull’impossibilità in cui si è trovato di avere dati dalle singole Regioni e spesso dagli stessi Ministeri, perché gli organi competenti si rifiutavano di fornirli. Nessuno può quindi pensare che i Relatori, o il Comitato per l’autonomia, o qualsiasi altra organizzazione, possano trovare il tempo e i mezzi per presentare all’Assemblea Costituente un insieme di dati che sia tecnicamente e scientificamente definitivo. La Sottocommissione deve perciò limitarsi ad esprimere alla Commissione un giudizio sommario e sarà compito poi dell’Assemblea Costituente decidere definitivamente.

Prega, pertanto, di non esagerare assegnando al Comitato o alla Commissione un lavoro superiore alle loro forze.

RAVAGNAN è d’accordo con l’onorevole Lussu; ma voterà contro la proposta di scindere l’Emilia in due parti, perché, per quanto riconosca alla Romagna una certa individualità, non può ammettere che le si aggreghi una Provincia che non le appartiene.

Per quanto riguarda l’ordine del giorno degli onorevoli Vanoni e Mortati, pensa che la documentazione che dovrebbe essere presentata all’Assemblea Costituente, dovendo essere raccolta in brevi limiti di tempo, non potrebbe essere esauriente.

Conclude che è favorevole a non chiudere la porta ad eventuali creazioni future di nuove Regioni, in relazione ad una fondata richiesta delle popolazioni, e per questo motivo formulerebbe l’articolo 23 in modo da ammettere questa possibilità, ma non ritiene che si possano approvare proposte che sembrano addirittura cervellotiche e che non corrispondono né ad una elaborazione locale, né alla volontà delle popolazioni. Non gli risulta infatti che vi sia stato un movimento di masse o dell’opinione pubblica; si è avuto solo un movimento ristretto a piccoli cenacoli di letterati ed eruditi. I riferimenti al passato, a cui si fa allusione nella relazione, sono senza dubbio interessantissimi, ma non possono costituire il fondamento per la creazione di un ente, che non ha solo funzioni amministrative, ma anche legislative ed esecutive.

MORTATI dichiara di esser disposto a votare favorevolmente alla proposta di creazione della Regione Emiliana-Lunese, considerando questo voto non impegnativo per le successive deliberazioni, come, del resto, dovrebbe presumersi dallo stesso ordine del giorno votato nella riunione del 14 settembre, nel senso che si debba attendere, prima di prendere decisioni definitive, la trasmissione di quei dati che ancora non sono stati elaborati.

Per quanto riguarda l’ordine del giorno, fa osservare che esso non ha valore sospensivo, ma rappresenta, come ha detto, il logico svolgimento della decisione presa nella seduta del 14 settembre, in base alla quale sono state proseguite le ricerche che erano state iniziate. Ora si tratta di non perdere il lavoro compiuto negli scorsi tre mesi e di incaricare alcuni membri del Comitato o della Sottocommissione di ampliare le ricerche usufruendo magari di elementi specializzati estranei, in modo che nel tempo più breve possibile si possa allegare allo schema del progetto qualche cosa di più preciso. L’ordine del giorno perciò, essendo lo svolgimento logico di una deliberazione che non è stata annullata, non è suscettibile di una discussione sul merito, ma tutto al più sul modo più opportuno per giungere ai risultati a cui tende.

PRESIDENTE pone in evidenza che ogni iniziativa, anche la più modesta, esige tempo e mezzi. Ricorda che l’onorevole Einaudi, per fornire alla Sottocommissione tabelle di circa 60 o 70 numeri, relativi ad un particolare fattore economico delle Regioni, di importanza notevole, ma non essenziale o assorbente, dichiarò di aver dovuto impegnare in questo lavoro sei funzionari per alcuni mesi. Proprio perché ognuno sa che cosa significhi una indagine fatta con cura, l’ordine del giorno rappresenta solo l’espressione di un desiderio; ma tutti sono convinti che né il Comitato di redazione, né la Sottocommissione, né alcuno dei suoi membri potrebbe assolvere a questo compito. Anche se alcuni dei membri della Sottocommissione si prestassero per assolverlo, questo loro atto costituirebbe solo una dimostrazione di spirito di sacrificio, che non servirebbe allo scopo che si vorrebbe raggiungere. Infatti, se anche si potesse presentare all’Assemblea Costituente qualche tabella di cifre sopra la produttività, il numero degli abitanti, l’estensione del territorio, le importazioni e le esportazioni e i depositi bancari, tutto questo non sarebbe sufficiente per determinare una decisione veramente responsabile e consapevole, per la quale sarebbero invece necessari larghi mezzi e moltissimo tempo a disposizione. Tuttavia porrà in votazione l’ordine del giorno, salvo poi a trovare i colleghi che si assumano la responsabilità di portare l’iniziativa a buoni risultati.

NOBILE crede che non vi sia motivo di non accogliere la proposta fatta dagli onorevoli Mortati e Vanoni. Comprende la difficoltà di procurare tutti i dati necessari in tempo utile; tuttavia pensa che anche quel poco che sarà possibile raccogliere sarà sempre meglio che niente. D’altra parte, ritiene che farebbe un’ottima impressione sul Paese sapere che in fondo non sono considerati come definitivi i pareri finora espressi circa la divisione delle Regioni, in quanto si sente il bisogno di ricorrere a nuovi elementi. Propone che i proponenti onorevoli Vanoni e Mortati, siano incaricati di portare a termine le ricerche.

LUSSU conferma di essere contrario all’ordine del giorno, essendo convinto che la Sottocommissione possa decidere con i dati di cui è in possesso; altrimenti rischierebbe di non portare mai a termine il suo compito. La Sottocommissione deve, perciò, continuare a procedere con lo stesso sistema in base agli elementi di cui è in possesso, i quali, anche se non sono molti, possono permettere di esprimere un giudizio di prima istanza. Nega che la Sottocommissione debba assumersi il compito di esperire nuove indagini, dovendo essere le popolazioni interessate a farsi parte diligente per fornire i dati necessari per giudicare. Ad ogni modo, in seno all’Assemblea costituente, per mezzo dei loro rappresentanti, le Regioni potranno sempre far valere le loro ragioni.

MANNIRONI ricorda che, a proposito del riconoscimento dell’autonomia regionale del Molise, ritenendo che la maggioranza della Sottocommissione non fosse d’accordo, aveva presentato un ordine del giorno nel senso che, senza pregiudicare la questione, si dovessero fornire all’Assemblea gli elementi necessari per un più ampio e sicuro giudizio. Non essendo stato approvato allora quell’ordine del giorno, la Sottocommissione si metterebbe oggi in netta contradizione con se stessa approvando questo che ora si discute. D’altra parte, l’ordine del giorno Mortati-Vanoni reclama un più approfondito esame che non può essere negato, perché funzione principale della Sottocommissione è quella di predisporre tutto il materiale possibile da sottoporre all’esame dell’Assemblea.

A suo avviso, anche se il progetto di Costituzione dovrà essere presentato entro il 20 gennaio, la Commissione che sarà nominata potrà completare tutte le indagini e fornire gli elementi per un sicuro giudizio mentre l’Assemblea discuterà sugli altri articoli. Dichiara perciò che voterà favorevolmente all’ordine del giorno Mortati-Vanoni.

TARGETTI presenta il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione delibera che, prima di procedere alla decisione sul progetto di costituzione della nuova Regione Emiliana-Lunese, siano interpellate le organizzazioni comunali e provinciali delle zone interessate».

Ritiene che l’argomento abbia una notevole gravità e importanza superiore ad analoghe deliberazioni, come quelle prese per la divisione del Salento dalla Puglia, o per la costituzione del Molise, staccandolo dall’Abruzzo. Infatti, per la prima volta si presenta l’ipotesi di una nuova Regione formata di tre parti di tre Regioni diverse, per cui un’intera Provincia e 100 mila abitanti della Toscana dovrebbero d’improvviso diventare mezzi liguri e mezzi emiliani. Gli sembra che sia una deliberazione tale da richiedere un’indagine molto più approfondita.

PRESIDENTE desidererebbe che si decidesse prima sull’ordine del giorno Vanoni-Mortati.

BORDON teme che l’ordine del giorno Vanoni-Mortati possa raggiungere degli intenti che forse non sono nemmeno nel pensiero degli stessi proponenti. In sostanza è d’accordo che si possa compiere un’indagine, ma estenderla a tutte le Regioni sarebbe, a suo avviso, porre nel nulla il lavoro effettuato in questo campo dalla Sottocommissione. Di tutte le osservazioni che ha ascoltato, l’elemento che ha maggior risalto è senza dubbio la necessità di sentire le popolazioni che sono le prime interessate ad un cambiamento. Ora, si domanda in quale ginepraio si metterebbe la Sottocommissione, se dovesse ascoltare le popolazioni di tutte le Regioni. Un tale lavoro dovrebbe essere fatto solo per quelle Regioni per le quali se ne manifestasse la necessità. Perciò l’ordine del giorno dovrebbe essere per lo meno modificato nel senso di non estendere le indagini alle nuove Regioni la cui costituzione sia già stata delibata e a quelle previste nel secondo comma dell’articolo 2.

PRESIDENTE teme che, approvandosi l’ordine del giorno Mortati-Vanoni, si dovrebbe avere come logica conseguenza la sospensione dei lavori, perché se l’Assemblea avrà bisogno di maggiori elementi di giudizio, anche la Sottocommissione per poter decidere si trova nelle medesime condizioni.

VANONI crede che, se l’Assemblea plenaria dovesse decidere la costituzione di nuove Regioni in base agli elementi tenuti presenti finora, essa compirebbe un lavoro che certamente non tornerebbe a suo onore. A suo giudizio, infatti, si è votato su valutazioni soggettive, raccolte con il massimo scrupolo, ma non mai in base a relazioni che offrissero tutti gli elementi necessari. È d’accordo che è difficile in due o tre mesi fare una serie di monografie per le varie Regioni; ma ritiene che si possano raccogliere ed opportunamente vagliare i dati offerti dagli interessati.

Spiega che la portata della proposta che ha sottoscritta è quella di costituire fin d’ora una o diverse Commissioni che riferiscano all’Assemblea generale su quelle costituzioni di Regioni in relazione alle quali la Sottocommissione, con una sommaria deliberazione, ha ritenuto che possano essere prese in considerazione, sussistendo quello che i giuristi chiamano il fumus boni juris.

Fa poi osservare all’onorevole Lussu che la Sottocommissione, ove si limitasse ad attendere la comunicazione dei dati necessari da parte degli interessati, rinuncerebbe alla sua precipua funzione.

Pertanto per il caso che l’ordine del giorno proposto sia approvato, pregherebbe il Presidente di prendere accordi, nella fase esecutiva, col Presidente della Commissione per formare una Commissione costituita da membri della Costituente meno impegnati. A tale proposito rende noto che per suo conto l’Ufficio di Presidenza ha già raccolto una serie di elementi riguardanti le singole Regioni, che potrebbero anche dimostrarsi sufficienti. Gli sembra ad ogni modo indispensabile che risulti dagli atti parlamentari che l’Assemblea ha preso le sue decisioni dopo avere vagliato rutti gli elementi possibili.

Tiene infine a mettere in evidenza che l’ordine del giorno non può avere valore sospensivo, perché le votazioni della Sottocommissione in questo campo devono considerarsi assolutamente preliminari, nel senso di escludere senz’altro le proposte che sembrano inconsistenti, ed ammettendo invece ad un ulteriore dibattito ed accertamento quelle che presentano un minimo di attendibilità in base agli elementi di valutazione in suo possesso. Quindi, se nelle proposte che vengono presentate v’è un minimo di attendibilità, la Sottocommissione ha il dovere di prenderle in esame.

MORTATI definisce inesatto quanto ha detto l’onorevole Lussu, che la Sottocommissione non debba farsi parte diligente, in quanto lo Stato, attraverso la Costituente, deve cercare con tutti i mezzi necessari che le decisioni corrispondano alle finalità per cui sono state prese. D’altra parte non comprende come l’onorevole Lussu possa qualificare l’ordine del giorno come inutile e dilatorio, senza avere gli elementi di fatto per definirlo tale.

PRESIDENTE pone ai voti l’ordine del giorno Mortati-Vanoni e dichiara che voterà a favore con lo stesso animo con cui ha votato proposte similari, sapendo cioè di esprimere un desiderio che evidentemente non riuscirà a raggiungere il risultato a cui tende. Darà comunicazione dell’esito della votazione al Presidente della Commissione, ma si dichiara convinto che questi addurrà che la Commissione non ha i mezzi necessari per le indagini.

(È approvato).

Prega i colleghi, che vogliano assumersi il gravoso incarico, di voler comunicare i loro nomi, affinché li possa trasmettere al Presidente della Commissione insieme all’ordine del giorno.

Pone quindi in discussione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Bordon, secondo il quale le ricerche che dovrà effettuare la Commissione che si costituirà, non dovrebbero essere fatte per le Regioni sulle quali si è già deliberato e su quelle enunciate nel comma 2° dell’articolo 2.

VANONI propone di votare l’emendamento per divisione.

PRESIDENTE pone ai voti la prima parte dell’emendamento Bordon, che è contrario allo svolgimento di indagini sulle Regioni sulle quali la seconda Sottocommissione ha già votato.

CONTI dichiara che voterà contro.

(Non è approvato).

Mette ai voti la seconda parte dell’emendamento, secondo il quale per le quattro Regioni, aventi uno statuto speciale, non si deve svolgere alcuna nuova indagine.

(È approvato).

Precisa che, secondo quanto è stato affermato, la decisione adottata non ha carattere sospensivo né sulle deliberazioni già prese, né sulle altre che dovranno essere prese.

Dà quindi lettura di un ordine del giorno dell’onorevole Conti, che potrà essere posto in votazione quando sarà deciso su tutte le Regioni in esso enunciate:

«La seconda Sottocommissione ritiene che la decisione relativa alla creazione delle Regioni Molisana, Salentina, Romagnola, Emiliana-Lunese e Friulana, debba raccogliersi per mezzo di referendum comunale che rispecchi il voto favorevole o contrario delle popolazioni».

Riapre quindi la discussione sulle proposte di formazione delle due Regioni Emiliana-Romagnola e Emiliana-Appenninica.

UBERTI non entra nel merito delle ragioni storiche e commerciali prospettate dal Relatore, quanto, invece, sulla manifestazione della volontà popolare. Per le quattro province occidentali dell’Emilia ha sentito dire che la maggioranza della Costituente sarebbe favorevole alla costituzione di una Regione, ma per quanto riguarda La Spezia non crede che il solo voto del capoluogo possa essere sufficiente per decidere, perché ogni capoluogo cercherà di avere la più larga estensione possibile, anche contrariamente al volere di Province che tendano a costituirsi in Regioni autonome. Prega, pertanto, l’onorevole Fuschini di voler rinunciare alla Spezia, essendo insufficientemente dimostrata la volontà popolare di quel tratto di Regione. D’altra parte, se nell’avvenire la Lunigiana o La Spezia lo desiderassero, potranno, in base all’articolo 23, chiedere il distacco dall’attuale Regione e l’aggregazione ad un’altra.

PRESIDENTE domanda quali espressioni della volontà popolare si siano avute per la costituzione della Regione romagnola di Ravenna, Forlì e Bologna, dato che né le Deputazioni provinciali, né i Consigli comunali dei principali capoluoghi di Provincia si sono espressi e nemmeno i deputati di quelle Province hanno fatto pervenire una manifestazione della loro volontà. Aggiunge anzi che, avendo richiesto informazioni in proposito alla organizzazione del Partito comunista, la Federazione provinciale di Ravenna gli ha risposto di non aver mai avuto sentore di un simile problema, e la Federazione provinciale di Forlì gli ha risposto che vi erano alcuni piccoli gruppi isolati in certi Comuni della Provincia fra i quali la questione formava argomento di discussioni, ma che questa non era mai stata posta in maniera ufficiale.

Inoltre le amministrazioni comunali di Ravenna e Forlì, non solo ignoravano il problema, ma al momento in cui lo hanno conosciuto si sono dichiarate contrarie. Gli sembra perciò che manchi la base prima per la formazione della Regione Romagnola.

Quanto poi alla Regione Emiliano-Appenninica, per quanto la relazione contenente la richiesta sia interessante, pone in evidenza che gli undici deputati che l’hanno presentata non costituiscono certamente la maggioranza dei deputati di tutte quelle Province. Nella lettera di trasmissione, oltre tali deputati, sono citate essenzialmente tre Deputazioni provinciali, il cui valore però è inficiato proprio dal fatto che, non essendo ancora organismi eletti, non costituiscono l’espressione della volontà popolare.

Per queste ragioni, ritenendo che non si possa decidere sul merito della questione, fa una proposta, avanzata in una precedente riunione da altri colleghi, nel senso di prendere atto della richiesta salvo a giudicare in seguito con maggiori elementi di conoscenza, fra i quali la volontà delle popolazioni.

FUSCHINI insiste sulla presa in considerazione della divisione in due della Regione così detta Emiliana.

Ha già notato con rincrescimento che il Comitato – a differenza di quanto ha fatto per il Molise – ha dimenticato di citare nell’elenco delle Regioni la Romagna, sebbene storicamente, geograficamente, economicamente e linguisticamente meritasse di essere presa in considerazione. Fra le notizie storiche che dimostrano come la Romagna sia stata distinta anche in passato dall’Emilia occidentale, si limita a ricordare che prima del 1859 la Regione chiamata Emilia si divideva in Romagna, costituita dalle Legazioni Pontificie di Ferrara, Bologna, Ravenna e Forlì, e nei Ducati di Modena e Parma.

Riconosce che nel caso in esame mancano le espressioni di volontà degli organi popolari elettivi, ma ritiene che gli elementi in possesso della Sottocommissione (espressioni di volontà di rappresentanze e di deputati) siano sufficienti per poter esprimere un giudizio favorevole, come si è verificato in altri casi simili a quello in discussione. Naturalmente, costituita la Regione emiliano-appenninica, ne viene di conseguenza – indipendentemente dalla coincidenza di desideri – che anche alla rimanente parte dell’Emilia dovrà essere data la qualifica di Regione.

Concorda che in base all’articolo 23 le popolazioni, attraverso le deliberazioni dei Consigli comunali, potranno chiedere il distacco da una Regione e l’aggregazione ad un’altra; ma ritiene che nel caso in discussione, in cui le manifestazioni della volontà popolare non sono numerose, una determinazione iniziale della Sottocommissione, nei riguardi della Romagna, potrebbe eccitare gli organi popolari elettivi a far conoscere il loro punto di vista, sia in senso favorevole che contrario, all’Assemblea costituente, che deciderà poi in modo definitivo sulla questione.

TARGETTI osserva che sarebbe meglio conoscere prima la volontà delle popolazioni interessate.

FUSCHINI insiste nel concetto che i pareri manifestati da enti e personalità non devono essere trascurati, soltanto perché non hanno una contropartita di espressione nella volontà popolare. Ad ogni modo, non vi sarebbe ragione di usare due pesi e due misure, adottando per l’Emilia e per la Romagna procedure diverse da quelle usate per altre Regioni, come il Molise ed il Salento.

Considerando poi particolarmente la questione dell’Emilia appenninica, nei riguardi della Provincia di La Spezia, per quanto si siano pronunciati favorevolmente anche degli organi elettivi, dichiara di non aver alcuna intenzione di pregiudicare la cosa con un voto, ma di limitarsi a richiedere una semplice presa in considerazione.

Insiste invece sull’altro punto, quello cioè della suddivisione dell’Emilia in due Regioni, perché mentre la zona occidentale non sente di avere interessi confluenti verso la parte che fa capo a Bologna, la parte orientale non vede alcuna ragione di confondere i propri interessi amministrativi con quelli delle Province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia. Riconosce che un eventuale contrasto potrebbe riscontrarsi nel modenese che, essendo al confine con il bolognese, potrebbe avere ragioni di preferenza per Bologna; ma nel complesso non si può mettere in dubbio che queste quattro Province hanno una infinità di motivi di carattere economico che giustificano la loro aspirazione ad essere considerate distintamente dalla Romagna.

Così, mentre dichiara di rinunciare a che vi sia un consenso positivo per quanto riguarda la questione di La Spezia, insiste sul principio che la Regione Emiliana sia suddivisa in Emilia appenninica ed in Emilia e Romagna, con i capoluoghi rispettivamente di Bologna e di Parma.

ROSSI PAOLO rileva che nel caso in esame non si tratta soltanto della costituzione della Regione Emiliana occidentale, ma della Regione Emiliana Lunese, della quale dovrebbero far parte integrante anche la Provincia di La Spezia e la maggior parte della Provincia di Massa. Ciò premesso, quanto sostiene l’onorevole Fuschini, il quale vorrebbe limitare la decisione della Sottocommissione alla sola costituzione della Regione emiliano-appenninica, può costituire la proposta personale di un membro della Sottocommissione, ma non è la proposta proveniente dagli interessati, i quali, avanzando la richiesta di costituire la Regione Emiliano-Lunese, hanno considerato il nuovo ente nella sua organicità economica. Di qui la necessità di approvare o respingere integralmente la proposta di costituzione della Regione Emiliano-Lunese e di non limitarsi ad approvarla per tre quarti.

FABBRI dichiara di essere contrario alla scissione dell’Emilia in due Regioni, perché oltre gli inconvenienti che potrebbero derivarne, considera che l’Emilia, nella sua consistenza attuale, ha tutte le caratteristiche per costituire una Regione e Bologna tutti i requisiti per esserne il capoluogo.

Per quanto si riferisce all’Emilia orientale, fa presente che la Romagna – che l’onorevole Fuschini vorrebbe ricostituire – non comprende, come tutti sanno, né Bologna né Ferrara, perché va esattamente da Cattolica ad Imola. Perciò, se i romagnoli sono lietissimi, non ricostituendosi la Romagna come tale, di avere come capoluogo Bologna, il giorno in cui si ricostituisse la Regione con la denominazione di Romagna avrebbero molti dubbi e molte perplessità a riconoscere tale città come loro capoluogo.

Relativamente all’Emilia occidentale, oltre la ragione di principio, cui ha fatto prima cenno, fa notare che–  così come era pervenuta inizialmente – la proposta implicava uno smembramento di parte delle Regioni Toscana e Ligure, senza l’accordo completo della Lunigiana.

PRESIDENTE fa presente l’opportunità di votare a questo punto l’ordine del giorno Targetti, al quale si sono associati gli onorevoli Bocconi, Di Giovanni, Rossi e Lami Starnuti, di cui dà nuovamente lettura:

«La seconda Sottocommissione delibera che, prima di procedere ad una decisione sul progetto di costituzione di una nuova Regione Emiliana-Lunese, siano interpellate in merito le amministrazioni comunali e provinciali delle zone interessate».

VANONI dichiara di votare contro, non perché sia contrario a che siano interpellate le amministrazioni comunali e provinciali, concetto che è già contenuto nella proposta Conti, che si ripromette di appoggiare quando verrà posta in votazione, ma perché ritiene illogico e inaccettabile il sistema di usare due pesi e due misure nella trattazione di problemi analoghi. Osserva infatti che questa proposta si sarebbe dovuta fare in limine per tutte le situazioni da esaminare, e non rispetto ad un’unica proposta, con evidente carattere sospensivo.

AMBROSINI, Relatore, dichiara di condividere le osservazioni dell’onorevole Vanoni.

CONTI si associa anch’egli all’onorevole Vanoni.

LACONI domanda che la votazione sia fatta per appello nominale.

PRESIDENTE pone ai voti per appello nominale l’ordine del giorno dell’onorevole Targetti, di cui ha testé dato lettura.

Rispondono sì: Bocconi, Bordon, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini.

Rispondono no: Ambrosini, Bulloni, Cannizzo, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fuschini, Leone Giovanni, Mannironi, Mortati, Piccioni, Tosato, Uberti, Vanoni.

(Con 14 voti favorevoli e 15 contrari, non è approvato).

Pone quindi in votazione la proposta della costituzione della Regione Emiliana-Lunese, formata dalle attuali province di Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza e in parte La Spezia e Massa.

FUSCHINI propone che sia messa in votazione semplicemente la divisione della odierna Regione Emiliana in Emilia-appenninica e in Emilia e Romagna.

PRESIDENTE obietta che l’onorevole Fuschini è stato incaricato di riferire sulla domanda ufficialmente presentata e quindi dovrebbe limitarsi esclusivamente a tale compito.

MORTATI osserva che, nel caso sia respinta la proposta ufficialmente presentata, nulla vieta che venga presa in considerazione la proposta dell’onorevole Fuschini.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di costituzione della Regione Emiliana-Lunese.

(È approvata).

LUSSU dichiara di ritenere assolutamente incoerente il sistema di porre all’ordine del giorno dei progetti non sostenuti dalla dichiarazione di volontà degli interessati.

PRESIDENTE replica che l’onorevole Lussu avrebbe dovuto sollevare questa eccezione al momento in cui le varie proposte sono state affidate, per il relativo esame, ai singoli Relatori.

FUSCHINI rileva che ora si dovrebbe considerare l’altra sua proposta, quella cioè di denominare «Emilia e Romagna» l’Emilia orientale.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Fuschini che la richiesta, sulla quale è stato incaricato di riferire, si intitolava semplicemente: «Per la costituzione della Regione Emiliana-Lunese».

PICCIONI rileva che, dal momento che la Sottocommissione non ha stabilito alcuna procedura particolare per la presentazione delle varie proposte, queste possono essere presente non solo dall’esterno, ma anche su iniziativa di un componente della Sottocommissione.

PRESIDENTE fa notare che la Sottocommissione ha implicitamente ammesso che non dovessero essere i membri della Sottocommissione a presentare le proposte, ma che questi si dovessero limitare a prendere in esame i documenti provenienti dall’esterno. Infatti il giorno in cui fu affrontato l’articolo 22, la Sottocommissione si limitò a prendere visione delle richieste pervenute alla Segreteria ed affidarle ad alcuni colleghi con l’incarico di riferire su di esse, ma nessun Commissario fece proposte concrete sull’argomento. Non esclude però che, se proposte del genere fossero state avanzate, la Sottocommissione le avrebbe prese in considerazione perché probabilmente avrebbe riconosciuto ad ogni Commissario la veste di promotore.

AMBROSINI, Relatore, rileva che, se dal punto di vista strettamente formale può ammettersi che il Presidente sia nel giusto, dal punto di vista della sostanza appare fuori dubbio che tutti i colleghi, votando, hanno tenuto presente il presupposto della divisione della odierna Regione Emiliana in Emilia appenninica ed in Emilia romagnola: e quindi, venendo a mancare questo presupposto, la votazione potrebbe essere, per maggiore chiarezza, ripetuta.

Se, come ha rilevato l’onorevole Fuschini, il Comitato ha omesso la menzione della Romagna nell’elenco delle Regioni, ritiene che a questa mancanza si potrà supplire, giacché la Sottocommissione è sovrana nelle proprie deliberazioni. Prega pertanto il Presidente di voler considerare la situazione da questo punto di vista.

PRESIDENTE teme possa costituire un eccesso di potere il fatto che la Sottocommissione si ritenga autorizzata a cambiare il nome della parte dell’Emilia residuata dopo l’approvazione della costituzione della Regione Emiliana-appenninica.

FUSCHINI domanda al Presidente come si potrebbero chiamare le quattro Province emiliane che rimangono dopo l’approvazione della Regione Emiliana-Lunese.

PRESIDENTE risponde che potranno continuare a chiamarsi Emilia, così come le province pugliesi, residuate dopo il distacco del Salentino, continueranno a chiamarsi Puglia.

VANONI distingue la questione di competenza da quella di sostanza. Sotto il primo punto di vista, ritiene indiscutibile che i componenti della Sottocommissione abbiano la competenza di proporre, come emendamento all’articolo 22 del progetto presentato dal Comitato, l’adozione di quella denominazione che si riterrà più conveniente e che la Sottocommissione potrà o meno accettare.

Considera poi la questione di sostanza, se cioè sia da ritenersi più appropriata la denominazione di Emilia e Romagna, o quella di Emilia orientale, o soltanto quella di Emilia; ed osserva che questa discussione potrà farsi se l’onorevole Fuschini riterrà di presentare un emendamento in tal senso all’articolo 22, là dove al sesto posto dell’elencazione è citata l’Emilia. Date queste premesse, ritiene che non si possa parlare di una preclusione e presentare emendamenti, perché la Sottocommissione si trova di fronte ad un articolo come tutti gli altri, in relazione al quale ogni membro della Sottocommissione ha la facoltà di presentare emendamenti.

LUSSU riconosce che la Sottocommissione ha facoltà di proporre emendamenti, sui quali la Commissione, o l’Assemblea costituente, deciderà in forma definitiva. Ma ritiene che la proposta di correggere l’elenco delle Regioni, così com’è indicato nell’articolo 22, dovrebbe partire da quelli che desiderano la conservazione dello statu quo e non da chi come l’onorevole Fuschini vuole cambiare totalmente l’attuale struttura della Regione.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Fuschini se avanza proposta concreta perché la parte residua dell’attuale Emilia prenda il nome di «Emilia e Romagna».

FUSCHINI dichiara di insistere nella sua proposta.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Fuschini che la parte residua dell’Emilia, comprendente le province di Bologna, Ferrara, Ravenna, Rimini e Forlì, si chiami d’ora in poi nel testo del progetto delle autonomie regionali «Emilia e Romagna».

(È  approvata).

La seduta termina alle 20.05.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cannizzo, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti e Vanoni.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Castiglia, Grieco, Perassi, Porzio, Zuccarini.

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 17 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

70.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 17 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Fuschini – Lussu – Cannizzo – Codacci Pisanelli – Porzio – Nobile – Uberti – Fabbri – La Rocca – Lami Starnuti – Conti.

La seduta comincia alle 11.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE avverte che nella riunione odierna la Sottocommissione dovrà decidere sulla proposta di costituzione di due nuove Regioni: la Daunia e il Salento.

Fa presente poi ai colleghi l’opportunità che non siano informati i giornali sulle decisioni relative alla costituzione di nuove Regioni, perché tali decisioni non sono definitive e, se fossero rese note, potrebbero dar luogo a perturbamenti nelle zone interessate.

FUSCHINI condivide pienamente il pensiero espresso dal Presidente e propone che la Sottocommissione sulle richieste di formazione di nuove Regioni non prenda deliberazioni, anche se non definitive, ma si limiti a emettere soltanto pareri.

LUSSU è contrario alla proposta dell’onorevole Fuschini, tanto più che nella passata riunione è stato approvato il criterio di adottare decisioni, anche se di carattere non definitivo.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Fuschini.

(Non è approvata).

CANNIZZO osserva che nel progetto sulle autonomie locali, se è stata contemplata l’ipotesi della costituzione di nuove Regioni, non è stata però prevista la possibilità che le zone territoriali delle nuove circoscrizioni regionali, in un secondo momento, tornino ad unirsi alle vecchie Regioni da cui si erano distaccate. Il principio della possibilità di ricostituire le Regioni dovrebbe essere stabilito in un apposito articolo, che dovrebbe precedere quello sulla costituzione delle Regioni.

PRESIDENTE osserva che la questione accennata dall’onorevole Cannizzo è senza dubbio assai importante. Ritiene però che debba esser presa in esame quando la Sottocommissione sarà chiamata a discutere sull’articolo 23.

CODACCI PISANELLI aggiunge alcune considerazioni a quelle fatte nella precedente seduta.

La richiesta della Capitanata o Daunia di costituirsi in Regione può ritenersi senz’altro fondata, giacché si tratta di una terra di oltre 7000 chilometri quadrati di superficie con 580.000 abitanti. Il numero degli abitanti, senza dubbio notevole se considerato in se stesso, non è più tale se viene considerato in rapporto all’estensione di questa zona territoriale e alla densità della popolazione nel restante territorio della Puglia. Difatti nella Capitanata si hanno 76 abitanti per chilometro quadrato, mentre nelle altre zone territoriali pugliesi la densità della popolazione è di oltre 130 abitanti per chilometro quadrato. La Capitanata però si presta ad essere intensamente popolata, specialmente se vi si potrà addivenire ad una radicale riforma del sistema di coltivazione dei terreni. Nella zona, infatti, esistono grandi latifondi, coltivati estensivamente, che sarà necessario appoderare con costruzione di numerose case coloniche. Le poche che fino ad oggi vi sono state costruite hanno già consentito di raggiungere una produzione cerealicola assai più abbondante di quella che normalmente si ottiene in altri terreni privi di abitazioni rurali.

Dal punto di vista economico la Daunia si distingue nettamente dalle altre zone pugliesi sia per la coltura agraria destinata quasi prevalentemente alla produzione del grano, sia per una notevole parte dei terreni tenuti a pascolo, che consentono l’allevamento del bestiame ovino. La coltura legnosa specializzata vi ha scarsissima importanza. La Daunia ha anche alcuni porti, come quello di Manfredonia, per cui le potrebbe essere garantita una sufficiente autonomia.

La Daunia ha chiesto di essere staccata dalla terra di Bari, a cui dovrebbe essere conservato il nome di Puglia. La zona territoriale barese, a differenza di quella della Daunia, non è già pianeggiante ma collinosa, e in essa si ha la prevalenza della coltura dell’ulivo e del mandorlo. Sul litorale, ricco di città costiere e in cui quindi sono assai sviluppati il traffico marittimo e la pesca, è anche molto estesa la coltura della vite e degli ortaggi.

Di assai diversa natura è la zona del Salento, che scarseggia di terre fertili, in quanto in gran parte composta di rocce affioranti. La proprietà terriera, a differenza di ciò che si ha nella Daunia, vi è estremamente frazionata. La popolazione, assi numerosa – la densità è 156 abitanti per chilometro quadrato – ha vissuto sino dall’inizio del secolo in condizioni assai misere, che però oggi sono notevolmente migliorate, perché appunto all’inizio del secolo nella zona in questione fu introdotta la coltura del tabacco, la quale non solo consente di ricavare dai terreni un maggior reddito, ma permette anche di dare lavoro a un rilevante numero di persone durante la stagione invernale. La coltura del tabacco, specie per il lungo periodo di oltre un anno necessario affinché le foglie di questa pianta possano essere sottoposte al processo di fermentazione, richiede infatti l’impiego di numerosi operai specializzati. Ciò ha determinato una profonda trasformazione sociale nella zona del Salento.

Un’altra caratteristica di tale zona è data dal fatto che la popolazione vi è distribuita in piccoli centri assai vicini gli uni dagli altri, talché deve percorrere un breve cammino per recarsi a lavorare sui campi. Ciò consente alla popolazione locale di non perdere molto tempo e di darsi con maggior lena ai lavori agricoli: il contrario, dunque, di quanto avviene nelle altre zone della Puglia, ove la popolazione agricola, vivendo in grandi paesi assai distanti fra loro, è costretta ogni giorno a percorrere lunghi tratti di cammino per recarsi a lavorare in campagna.

A Capo Santa Maria di Leuca sta ora sorgendo una vera e propria cittadina, che dovrà ospitare oltre 10.000 orfani dei dispersi di guerra, ai quali sarà data la possibilità non solo di istruirsi, ma anche di trovare un conveniente lavoro. Tale iniziativa consentirà un notevole impiego della mano d’opera locale e già ha fatto sorgere qualche industria, come, ad esempio, quella per la produzione del cemento, che prima mancava in questa zona. Si stanno pure compiendo i lavori necessari per la costruzione di un piccolo porto: così il carbone, indispensabile per la produzione del cemento, potrà arrivare direttamente a destinazione per via di mare. E inoltre da tener presente che gli istituti di istruzione per gli orfani dei dispersi in guerra fra un ventennio potranno essere utilizzati per i numerosi abitanti del Salento, i quali mostrano una particolare propensione per gli studi, come è provato dal fatto che l’analfabetismo fra essi, un tempo alquanto sviluppato, è oggi assai diminuito.

L’aspirazione del Salento a costituirsi come Regione autonoma è assai antica. Una richiesta in tal senso fu avanzata sin dal 1860, all’epoca, cioè, dell’unificazione d’Italia. Gli abitanti della zona hanno sempre tenuto a chiamarsi Salentini; «Salentine» furono chiamate le ferrovie costruite nella zona da una società all’inizio del secolo. L’aspirazione del Salento a costituirsi in Regione è stata sempre sostenuta senza chiasso o violente manifestazioni esteriori, ma con fermezza e decisione, perché la popolazione locale è stata sempre amante dell’ordine e ha un innato rispetto dell’autorità costituita. Gli abitanti del luogo sono convinti che la loro aspirazione non possa nuocere all’unità del Paese, raggiunta dopo tante fatiche e sanguinose lotte, a cui gli stessi Salentini hanno partecipato, e che essi quindi vogliono che ad ogni costo sia mantenuta.

PORZIO dichiara di non ritenere valide le ragioni addotte dall’onorevole Codacci Pisanelli in favore della costituzione delle nuove Regioni della Daunia e del Salento. La Regione è sempre un’entità geografica, tradizionale, politica, economica ed etnica, ed egli non crede possibile costituire nuove Regioni nella Puglia, che è stata sempre ed è una sola Regione.

In un’ora così grave per il Paese si è voluto dare allo Stato un ordinamento su base regionale; ma, affinché questo ordinamento possa dare quei risultati che tutti si augurano, occorre la costituzione di Regioni veramente vitali, ossia fornite di un’effettiva consistenza economica, politica, sociale. Ciò non è possibile raggiungere dividendo e suddividendo il territorio nazionale in circoscrizioni regionali sempre più numerose e ristrette, col che si rischia poi di frantumare l’unità italiana, che è costata tante lotte e tanti sacrifici.

Per queste considerazioni dichiara che voterà contro le proposte di costituzione delle nuove Regioni pugliesi.

NOBILE, pur essendo contrario alle autonomie regionali, sarebbe favorevole alla costituzione delle nuove Regioni pugliesi, perché riguardo al Mezzogiorno, che può considerarsi un’unica Regione in cui si parla sostanzialmente con poche varianti di accento un solo dialetto, il napoletano, ritiene che l’ordinamento dello Stato su base regionale sarà tanto meno pericoloso per l’unità nazionale quanto più numerose e piccole saranno le nuove Regioni. Sarebbe davvero un grave pericolo per il Paese se, con poche Regioni assai estese, si venisse di fatto a ricostituire il Regno di Napoli sotto l’apparenza di un ordinamento regionale autonomo.

CODACCI PISANELLI ritiene di aver dimostrato adeguatamente come nella Capitanata, nella terra di Bari e nel Salento esistano notevoli differenze di struttura economica e aggiunge che in queste tre zone si hanno varie tonalità nel dialetto, il che sta a provare una diversa origine etnica delle popolazioni locali.

Quanto al fatto accennato dall’onorevole Porzio, che la costituzione di nuove Regioni nell’ambito dell’attuale circoscrizione regionale pugliese possa riuscire dannosa all’unità italiana, tiene a dichiarare che quelle popolazioni hanno un tale concetto del principio unitario del Paese che non amano nemmeno sentir parlare dei problemi del Mezzogiorno come problemi a sé stanti e li considerano soltanto come problemi italiani.

PRESIDENTE osserva che, per sostenere la richiesta di autonomia di una data zona territoriale, si usa porre in evidenza come essa sia diversa, per le sue caratteristiche economiche, dai territori adiacenti da cui dovrebbe essere distaccata; il che fa proprio pensare che stia acquistando un particolare valore il concetto della uniformità della struttura economica che una Regione dovrebbe avere. Ma questo concetto è errato, perché l’autosufficienza, e quindi l’autonomia, di un determinato territorio non può aversi se non con la molteplicità delle sue caratteristiche economiche: sono sempre le terre in cui siano possibili diverse attività quelle che possono costituire dei veri e propri organismi da un punto di vista politico e sociale. È proprio per la caratteristica che ne è stata posta in evidenza che, a suo avviso, non dovrebbe essere accolta la richiesta della Daunia di costituirsi in Regione: una zona territoriale esclusivamente agricola, priva di ogni attività industriale, non potrà mai essere autonoma proprio perché non può avere che una produzione di carattere uniforme.

Circa l’intervento dell’onorevole Nobile, osserva che esso è in contrasto con quanto, in altre occasioni, lo stesso onorevole Nobile ha affermato a proposito delle varie disposizioni contenute nel progetto sulle autonomie locali.

LUSSU desidererebbe sapere da parte di quali organismi rappresentativi dell’attuale provincia di Foggia sia stata avanzata la richiesta di costituire la Daunia in Regione.

CODACCI PISANELLI risponde che la richiesta è stata fatta dalla Deputazione provinciale di Foggia e da due deputati della circoscrizione elettorale di Bari e di Foggia.

UBERTI dichiara di essere contrario alla costituzione della Daunia in Regione, perché non è suffragata da una sufficiente espressione della volontà popolare.

LUSSU per la stessa ragione fa identica dichiarazione.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta di costituzione della Daunia in Regione.

(Non è approvata).

Invita la Sottocommissione a pronunciarsi sulla richiesta di costituzione della Regione del Salento.

UBERTI vi è favorevole, perché per addivenire a tale costituzione si hanno sufficienti ragioni: l’estensione territoriale della zona che comprende tre Province, le speciali condizioni economiche e soprattutto la decisa volontà della popolazione, espressa dalla maggioranza delle rappresentanze politiche.

FABBRI vi è invece contrario, perché la separazione di una zona territoriale, che possa anche essere autosufficiente, da una data Regione può riuscire dannosa alla restante parte della Regione stessa. Nel caso specifico si pensa ad avvantaggiare il Salento, ma non ci si preoccupa dei danni che potranno essere causati al resto della Puglia. Ciò è contrario al criterio adottato per giustificare il nuovo ordinamento dello Stato su base regionale: si è detto sempre, infatti, che l’autonomia alle Regioni non può essere concessa che là dove una data estensione territoriale presenti una complementarità di caratteristiche tale da rendere le nuove Regioni veramente vitali ed efficienti.

LUSSU è favorevole alla costituzione della Regione del Salento, perché la consigliano tre elementi: la volontà della popolazione locale, l’autosufficienza economico-finanziaria e la situazione geografica della zona interessata.

CODACCI PISANELLI rileva che in passato le condizioni della Puglia erano effettivamente tali da rendere indispensabile che essa fosse costituita in una sola Regione: difatti lo scarso sfruttamento dei terreni non avrebbe consentito per ragioni economico-finanziarie la costituzione di diverse Regioni in quell’ambito territoriale. Ma oggi la situazione è cambiata, nel senso che non conviene più mantenere la presente unità regionale della Puglia. In ogni modo, fra i diversi motivi che consigliano di addivenire alla costituzione della Regione del Salento non bisogna dimenticare questo che, con il distacco di tale zona dal resto della Puglia, non si avrebbe più una sola Regione di così eccessiva lunghezza com’è l’attuale Regione pugliese. Né va dimenticato che, se la città di Brindisi dovesse continuare a far parte di una stessa Regione con centro la città di Bari, il porto di Brindisi, che è uno dei più sicuri sul litorale adriatico, sicuramente non verrebbe sfruttato.

Per queste ragioni è favorevole alla costituzione della Regione del Salento, che fra l’altro è stata richiesta non solo da lui, ma anche da altri deputati di vari partiti, della circoscrizione elettorale di Lecce, Brindisi e Taranto e, specificatamente, dagli onorevoli Cicerone, Grassi, Stampacchia, De Maria, Vallone.

PRESIDENTE osserva che i due ultimi argomenti prospettati dall’onorevole Codacci Pisanelli non suffragano la sua tesi. L’estensione della Puglia poteva essere nel passato un motivo per indurre a costituire più Regioni nell’ambito dell’attuale circoscrizione regionale pugliese; non più oggi, col grande sviluppo dei mezzi di comunicazione. Circa il traffico dei porti, poi, rileva che sarebbe oltremodo dannoso allo sviluppo economico della Nazione se le Regioni tentassero con proprie disposizioni interne di deviare le correnti del traffico dalle loro vie normali. Non è già per migliorare soltanto le condizioni economiche delle Regioni, ma anche e soprattutto per avvantaggiare l’economia unitaria del Paese che oggi si vuole instaurare un ordinamento dello Stato su base regionale. Ciò, a suo avviso, non dovrebbe mai essere dimenticato.

CODACCI PISANELLI fa osservare al Presidente che, con il suo accenno alla lunghezza del territorio pugliese, egli mirava soltanto a dare un’idea della profonda diversità esistente non solo nel carattere delle popolazioni, ma anche nell’economia delle varie zone territoriali comprese nell’attuale circoscrizione regionale della Puglia.

Quanto alle correnti del traffico, è d’accordo col Presidente che esse non debbano essere distolte dalle loro vie naturali; ma la via naturale del traffico nel caso attuale non è quella che conduce a Bari, bensì quella di Brindisi, che è stato sempre il porto più sicuro e frequentato sul litorale adriatico, sin dai tempi dell’antica Roma. Solo durante la dittatura fascista fu costruito il porto artificiale di Bari, per far deviare verso di esso la corrente del traffico che naturalmente convergeva al porto di Brindisi. Sarebbe opportuno che ciò oggi non si ripetesse più, tanto più che il porto di Bari in gran parte è state distrutto durante gli ultimi avvenimenti bellici.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta di costituire la Regione del Salento.

NOBILE dichiara di astenersi dalla votazione.

(È approvata).

PRESIDENTE avverte che ora è in discussione la proposta di costituire la Regione della Romagna e la Regione emiliano-appenninica.

FUSCHINI osserva innanzi tutto che nell’articolo 22 del progetto sulle autonomie locali, in cui si stabilisce che le Regioni sono costituite secondo la tradizionale ripartizione geografica dell’Italia, sarebbe stato opportuno indicare accanto all’Emilia anche la Romagna, e ciò perché ritiene che in un documento di tanta importanza quale sarà quello della nuova costituzione dello Stato, non possa farsi a meno di menzionare la Romagna come una Regione a sé stante, visto che effettivamente ha una sua tradizione, una sua storia e alcune sue proprie caratteristiche inconfondibili.

Ciò premesso, conviene ricordare che l’esistenza della Regione emiliana si è affermata non senza gravi discussioni e contrasti. Essa risale al 1859, quando, cioè, Luigi Carlo Farini, nominato dittatore delle province di Modena e di Parma, col nome di Emilia volle indicare la Regione che era posta sotto il suo comando. In ogni modo, lo stesso Farini, quando ebbe l’incarico di amministrare, insieme alle Province anzidette, anche la Romagna, fece sempre distinzione tra questa e l’Emilia.

Ma non sono tanto le ragioni storiche a giustificare la richiesta da parte della Romagna di costituirsi in Regione a sé stante. Difatti, secondo il principio più volte affermato nel corso della discussione sul progetto delle autonomie locali, affinché una Regione possa essere costituita occorrono ragioni principalmente amministrative, politiche ed economiche. Ora, se si consideri la Romagna intesa nel senso più lato, ossia quel territorio comprendente la Romagna propriamente detta, cioè le Province di Ravenna, di Forlì e il circondario di Imola, nonché le Province di Bologna, di Ferrara e di Rimini, si vedrà subito che essa costituisce un’unità organica sia dal punto di vista economico, sia da quello amministrativo e politico.

Si tratta infatti di un territorio notevolmente esteso; in cui si è raggiunto un grande sviluppo agrario ed è in corso un’importante attività industriale. È una zona in cui la popolazione è riuscita a conseguire un alto grado di floridità economica. Il sistema agrario della Romagna è prevalentemente mezzadrile. La mezzadria romagnola, però, non deve essere confusa con le forme di conduzione agraria esistenti nel parmense, nel piacentino e nel reggiano, perché esse si applicano per proprietà terriere che in tali località hanno una grande estensione, mentre la mezzadria romagnola riguarda il podere di media grandezza che in Romagna appunto costituisce la normale proprietà fondiaria e che è il più intensamente produttivo.

Le industrie della zona, dato il suo carattere prevalentemente agrario, non hanno raggiunto un grande sviluppo: in ogni modo quelle attualmente esistenti hanno per lo più attinenza con l’agricoltura.

In merito all’altra richiesta riguardante la costituzione di una Regione emiliana appenninica, osserva che, mentre le Province di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì gravitano verso l’Adriatico, lo stesso non si può dire per quelle di Modena, Parma, Reggio e Piacenza, i cui traffici, com’è noto, sono orientati verso il Tirreno. Appunto per questo è stata fatta presente la necessità di unire la Lunigiana, con il porto di La Spezia, alle Province di Modena, Reggio, Parma e Piacenza. Del resto, anche nei tempi passati i lunigiani hanno sempre cercato di avere rapporti commerciali, attraverso l’Appennino, con le Province di Modena e di Parma e in genere con la Valle Padana. La Spezia oggi desidera che il suo magnifico porto possa anche servire a scopi mercantili. La popolazione lunigiana ritiene che nell’ambito di un hinterland che vada dal litorale costiero al Po, la via più breve e più comoda per giungere sino al mar Tirreno sia quella che conduce alla Spezia. In ogni modo la richiesta della Provincia della Spezia di essere aggregata alla Regione emiliano-appenninica è stata avanzata dalla Deputazione provinciale e dal Comune della Spezia, dall’associazione degli agricoltori dell’alta Lunigiana e dal circondario di Pontremoli. Si può dire che quasi tutta la popolazione del posto abbia manifestato chiaramente nei modi più vari la stessa aspirazione.

Qualche resistenza al riguardo è stata fatta soltanto da parte di alcuni Comuni della Provincia di Massa e Carrara. È da notare, infine, che con la costituzione di una Regione emiliano-appenninica nessun danno verrebbe agli interessi della Romagna, i cui traffici commerciali sono orientati verso l’Adriatico. Quanto alla Regione ligure, essa, per la sua attività commerciale, industriale, economica, non può temere alcuna concorrenza.

LA ROCCA dichiara, secondo notizie che gli sono pervenute da Genova, che con l’accoglimento della proposta dell’onorevole Fuschini relativa all’unione della Provincia della Spezia con la zona territoriale emiliano-appenninica, la Regione ligure sarebbe indotta a richiedere l’annessione della provincia di Alessandria. Il criterio secondo cui si dovrebbe addivenire alla costituzione della Regione emiliano-appenninica è dunque uno dei più pericolosi, perché potrebbe indurre altre Regioni a chiedere un allargamento dei propri confini con inevitabile danno di altre.

PRESIDENTE osserva che l’onorevole Fuschini ha iniziato la sua esposizione relativamente alla proposta di costituire una Regione romagnola basandosi sul fatto della storicità di tale Regione, comprendente soltanto le Province di Ravenna e Forlì e il circondario di Imola, ma in seguito ha auspicato la costituzione di una Regione che, pur dovendo assumere il nome di Romagna, non ha mai avuto nulla a che fare, da un punto di vista storico, con la Romagna propriamente detta. Era inutile, quindi, fare riferimento a una tradizione storica per appoggiare la tesi della costituzione di una Regione romagnola che, nel passato, non è stata mai tanto estesa da comprendere anche le Province di Bologna, di Ferrara e di Rimini.

Circa poi la proposta relativa alla costituzione di una Regione emiliano-appenninica è da rilevare che l’onorevole Fuschini, sia pure in forma spontanea, ha usato una parola che può riuscire assai pericolosa nel momento presente in cui, gettando le basi del nuovo ordinamento regionale dello Stato, più vivi si fanno i timori o le speranze delle varie popolazioni interessate. Difatti, l’onorevole Fuschini ha ha parlato di un hinterland, di cui il comune della Spezia avrebbe assoluta necessità. Tale parola appartiene alla fraseologia usata per i conflitti internazionali e davvero non è opportuno riesumarla per la costituzione di nuove Regioni. Non si può inoltre giustificare la creazione di una nuova Regione col fatto che una data città portuale abbia bisogno di un vasto retroterra. Se ciò fosse vero, la Regione ligure dovrebbe chiedere l’annessione della Svizzera perché appunto, com’è noto, la Svizzera rappresenta una delle basi principali da cui muove la corrente dei traffici commerciali che fa capo al porto di Genova.

Infine, la possibilità oggi di costituire un hinterland non dipende più, come nel passato, dalla costituzione soltanto delle strade, ma anche di un’apposita rete ferroviaria. Ora, secondo quanto è già stato deciso dalla Sottocommissione e sicuramente sarà approvato dalla Assemblea Costituente, ogni decisione in materia di costruzione di strade ferrate sarà demandata – e ciò è giusto – allo Stato, non già alle Regioni. Per parlare quindi di un hinterland a proposito del porto della Spezia si dovrebbe prevedere l’ipotesi della costruzione di una vasta rete ferroviaria nella zona territoriale emiliano-appenninica. Ma per fare ciò occorrerebbero ingenti spese che soltanto lo Stato potrebbe sostenere. Inoltre, il criterio secondo cui si dovrebbe addivenire alla formazione della Regione emiliano-appenninica per costituire un hinterland a favore della città della Spezia è quanto mai pericoloso, come giustamente ha osservato l’onorevole La Rocca, anche perché potrebbe indurre altre città portuali a chiedere di diventare centro di nuove Regioni, con inevitabile danno delle Regioni finitime. Anche Savona, sull’esempio della Spezia, ha in un primo tempo chiesto che si costituisse una Regione che avrebbe dovuto comprendere le Province di Cuneo e di Alessandria. Per fortuna tale richiesta, evidentemente assurda, non ha avuto seguito. In materia di costituzione di nuove Regioni non bisogna guardare soltanto agli interessi particolari, ma anche, e soprattutto, a quelli di ordine generale.

LAMI STARNUTI dichiara, quale rappresentante politico della provincia di Massa e Carrara, che le osservazioni fatte dal Presidente contro le proposte e le argomentazioni dell’onorevole Fuschini lo trovano completamente consenziente e gli risparmiano di esaminare il problema dal punto di vista dal quale lo ha esaminato l’onorevole Terracini. Farà quindi delle osservazioni diverse, che riguardano particolarmente una Regione che lo interessa più da vicino: la Lunigiana, cioè la Provincia di Massa e Carrara, nella quale ha trascorso tutta la sua vita politica e della quale egli è ora il rappresentante all’Assemblea costituente.

Osserva che il progetto dell’onorevole Micheli porterebbe alla Provincia di Massa e Carrara un gravissimo nocumento, perché alla divisione potrebbe seguire la distruzione della Provincia medesima. Se da Massa e Carrara fosse tolta tutta l’Alta Lunigiana, la Provincia sarebbe ridotta a quattro Comuni di appena 110-115 mila abitanti e quindi potrebbe non avere più ragione di essere. La Provincia di Massa e Carrara, costituita fin dalle origini dello Stato italiano, comprendeva, prima, anche la intiera Garfagnana, che le fu sottratta nel 1923, per essere aggregata alla Provincia di Lucca. Il Governo di allora disse che la Provincia di Massa e Carrara sarebbe stata compensata dell’amputazione con l’aggregazione di quella parte della Provincia di Lucca che è vicina e che ha con Massa c Carrara la maggiore affinità perché anche essa è una zona marmifera – l’oratore intende parlare della Versilia – ma vi fu chi pose il veto a questa trasposizione e così Massa e Carrara fu amputata di oltre un terzo del suo territorio, senza avere alcun compenso. Con la proposta presentata dall’onorevole Fuschini si vuol procedere ora a un’altra grave amputazione? La Provincia di Massa e Carrara è destinata quindi a sparire? o si potrà compensarla con l’aggregazione della Versilia? Si risponderà probabilmente che la Sottocommissione ha deciso di sopprimere le Province come persone giuridiche; ma egli replica che la Provincia rimane in ogni caso come circoscrizione amministrativa e che la circoscrizione provinciale sarà non soltanto una circoscrizione amministrativa regionale, ma anche una circoscrizione amministrativa dello Stato, così come è ora. Di conseguenza, se il territorio della circoscrizione di Massa e Carrara dovesse ridursi di tanto, le due città correrebbero il pericolo di perdere l’Intendenza di finanza, l’Ufficio delle ipoteche, la Camera di industria e commercio, il Provveditorato agli studi e fors’anche il Tribunale.

Accenna a questi pericoli, non perché li ritenga certi e inevitabili, ma per ripetere quanto già disse; cioè che questi rimaneggiamenti dovrebbero essere rimandati a un secondo tempo, affinché le Regioni possano fissare le circoscrizioni minori tenendo presenti le eventualità di distacchi e di aggregazioni.

In ogni caso, gli sembra che non si possano creare situazioni non scevre di pericoli senza una preventiva accurata istruttoria e senza una preventiva manifestazione di volontà da parte delle popolazioni interessate.

A Massa e a Carrara il problema non è mai stato ampiamente trattato, come riconosce del resto lo stesso onorevole Micheli. La medesima osservazione può farsi, secondo consta all’oratore, per l’Emilia e per Genova.

L’oratore non sa quali siano le manifestazioni della volontà della popolazione di La Spezia; ma non ha difficoltà ad ammettere che in strati più o meno larghi di quelle popolazioni vi sia la tendenza ad una unione regionale con l’Emilia, nella speranza che, distrutta la marina da guerra, la Spezia possa diventare un grande porto mercantile per effetto di questa sua congiunzione amministrativa con l’Emilia, come se questa congiunzione fosse veramente necessaria e utile allo scopo, come se non fossero vere le osservazioni del Presidente, come se davvero le merci provenienti da Modena, Parma, Piacenza, Reggio non potessero giungere a La Spezia anche in caso di diversa circoscrizione amministrativa e avessero, invece, bisogno di scavalcare dogane per toccare il loro sbocco naturale. La circoscrizione regionale amministrativa non avrà alcuna influenza sull’incremento mercantile del porto di La Spezia, tanto più che i porti rimarranno, anche con la riforma, intieramente allo Stato.

Per quanto si riferisce all’Alta Lunigiana, è certo che le manifestazioni di Pontremoli a favore del progetto Micheli sono manifestazioni concrete; ma egli le interpreta a buon diritto più come un desiderio di legame con Parma, Modena, Piacenza e Reggio. Aggiunge che, se vi sono a Pontremoli delle manifestazioni ufficiali rappresentative come quella costituita dal telegramma del sindaco socialista della città, non vi sono state manifestazioni ufficiali del resto dell’Alta Lunigiana, la quale non è soltanto Pontremoli ma è anche Fivizzano, Aulla, Tresana, Villafranca, Licciana, Podenzana, Mulazzo, Filattiera, Zeri e Cornano. Tutte queste popolazioni non si sono ancora pronunciate; e se è da riconoscersi che larghe correnti sono sfavorevoli al nuovo progetto, manca una precisa formale manifestazione che esprima veramente la volontà della maggioranza di quelle popolazioni. Bisogna sollecitare questa manifestazione.

Comunica di avere portato il problema in un convegno di parte socialista nell’ottobre di questo anno, ma la questione non poté essere discussa a fondo in tutti i suoi aspetti, perché il tempo dedicato a quel convegno fu assorbito da altri argomenti. Si propone di riprendere la discussione di questo problema nelle vacanze natalizie, quando egli ritornerà nella zona. Egli desidera che le popolazioni conoscano in tutti i suoi aspetti questo problema amministrativo ed esprimano il loro pensiero a ragion veduta: egli sente il dovere, come loro rappresentante politico, di soddisfare, nei limiti delle possibilità e della giustizia, quelli che saranno i loro desideri; ma devono essere desideri veramente manifestati dalla generalità o dalla maggioranza delle popolazioni interessate e non interpretazioni o reminiscenze storiche di qualche gruppo di studiosi o di qualche piccolo cenacolo.

Dichiara di parlare in questo modo per dare alla Sottocommissione l’impressione della pericolosità del problema nei termini ora posti dall’onorevole Micheli e soprattutto per richiamarla, anche se il richiamo è superfluo, a quel senso del dovere che tutti hanno di rispettare la volontà delle popolazioni.

Qui manca una seria, una profonda istruttoria ed è necessario farla. Dichiara di non avere avversioni preconcette contro la Regione emiliano-lunense, se non quella tale pregiudiziale che egli ha posta contro ogni modificazione attuale e immediata delle Regioni tradizionali, ritenendo egli – e lo ha detto ampiamente in una precedente seduta – che le modificazioni e le variazioni dovrebbero essere studiate in un tempo successivo, come è previsto dall’articolo 23 del progetto.

Respinta dalla Sottocommissione quella pregiudiziale, egli rifiuta ora il suo voto, perché il problema non è sufficientemente istruito.

Se la funzione del deputato ha un’autorità, la ha in quanto traduce ed esprime i sentimenti e i desideri delle popolazioni che il deputato rappresenta. Anche in obbedienza a questo principio fondamentale si chieda alle popolazioni, di cui si vuole modificare i confini amministrativi, quello che esse pensano al riguardo. Quando la maggioranza degli interessati si sarà dichiarata favorevole alla creazione della Regione emiliana-lunense, egli darà la sua opera e il suo voto al soddisfacimento di questo desiderio.

CONTI ritiene che i fautori del concetto unitario dell’ordinamento statale non abbiano ancora considerato nel suo aspetto essenziale il problema dell’autonomia regionale, e attribuiscano perciò a coloro che propugnano la costituzione dell’Ente regione pensieri e propositi e spropositi che non debbono esser loro attribuiti. Vi è una quantità di malintesi e di osservazioni false o errate. Per intendersi bene, bisogna ricordare che l’affermazione dell’unità italiana è del partito repubblicano. Tuttavia i repubblicani sono stati sempre fautori di un ordinamento dello Stato su base federalistica, o almeno di Regioni autonome.

Per evitare errori di valutazione del pensiero autonomista, è opportuno affermare ancora una volta che il concetto fondamentale dell’autonomia è essenzialmente e anzitutto quello della divisione del lavoro. Si tratta poi di vedere come popolazioni delle Regioni che hanno interessi loro propri possano davvero e finalmente curarli; il che non è avvenuto nel passato, a causa dell’accentramento statale sotto la monarchia sabauda. Bisogna dare agli stessi interessati la possibilità di far fronte alle proprie esigenze. È questo il punto di partenza da cui occorre muoversi per arrivare alla soluzione del problema autonomistico.

I discorsi che si fanno sulle delimitazioni territoriali sono fuori posto. Il territorio regionale ha importanza secondaria: ne ha una primaria la competenza a fare. Così, quando si parla di un hinterland per il porto della Spezia, non bisogna equivocare. Il problema da risolvere è in questi termini: si tratta di vedere se con la costituzione di una nuova Regione certi interessi agricoli, commerciali, industriali e di comunicazioni, di trasporti possano essere soddisfatti meglio di quanto possa avvenire senza tale costituzione.

Quanto alla questione dell’autonomia della Regione romagnola, della quale in questo momento si discute, dice che essa può essere trattata rifacendosi anche alla tradizione storica. Il distacco della Romagna dall’Emilia è giustissimo e si impone anche perché si tratta di riparare ai torti che questa Regione subì ad opera del dittatore Luigi Carlo Farini. Se quell’uomo non avesse agito con vera prepotenza in Romagna, questa Regione probabilmente avrebbe mantenuto le sue tradizionali caratteristiche storiche e avrebbe continuato ad avere i suoi rapporti con Ferrara e con Bologna, come li aveva avuti per aver fatto parte dello Stato Pontificio.

La questione posta in decisione può dunque essere risolta con deliberazione favorevole per le ragioni esposte. Ma fra le diverse osservazioni, che egli non condivide, fatte dall’onorevole Lami Starnuti, ve ne è una che lo trova completamente consenziente, ossia quella relativa alla necessità di interpellare le popolazioni interessate.

È questo un principio che deve essere osservato sempre, in caso di costituzione di nuove Regioni. Esso risponde a una fondamentale esigenza democratica. L’Assemblea costituente, prima di stabilire definitivamente quali dovranno essere le nuove Regioni italiane, dovrebbe conoscere l’effettiva volontà delle varie popolazioni locali. È questa l’unica via per giungere ad una consistente e salda autonomia delle Regioni.

Concludendo, ripete: soltanto quando ogni Regione potrà curare i propri interessi, soddisfare le proprie esigenze, vivere in libertà come ogni privata persona, sarà possibile parlare veramente di unità nazionale.

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bordon, Bulloni, Cannizzo, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Porzio, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti e Vanoni.

In congedo: Einaudi.

Erano assenti: Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Castiglia, Leone Giovanni, Perassi, Piccioni, Rossi Paolo, Zuccarini.

MARTEDÌ 17 DICEMBRE 1946 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

6.

RESOCONTO SOMMARIO

DELIA SEDUTA DI MARTEDÌ 17 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Potere giudiziario (Seguito della discussione)

Presidente – Calamandrei, Relatore – Leone Giovanni, Relatore – Uberti – Targetti – Cappi – Mannironi – Di Giovanni.

La seduta comincia alle 16.10.

Seguito della discussione sul potere giudiziario.

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 12 del progetto Calamandrei:

«Unicità della giurisdizione».

«L’esercizio del potere giudiziario in materia civile, penale e amministrativa, appartiene esclusivamente ai giudizi ordinari, cioè ai giudici singoli (conciliatori e pretori), ai Tribunali e alle Corti, istituiti e regolati dalla legge sull’ordinamento giudiziario.

«Al vertice dell’ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, siede in la Corte di cassazione istituita per mantenere l’unità del diritto nazionale attraverso la uniformità della interpretazione giurisprudenziale e per regolare le competenze fra i giudici».

CALAMANDREI, Relatore, crede necessaria una precisazione dei vari punti del problema.

Innanzi tutto, quando si parla di «unicità della giurisdizione», si intende dire che l’amministrazione della giustizia, in qualsiasi materia (civile, penale e amministrativa), deve essere affidata esclusivamente ad organi previsti e disciplinati dalla legge sull’ordinamento giudiziario, cioè ai giudici ordinari. All’infuori di questi giudici ordinari non debbono esservene altri; se ve ne fossero, non potrebbero che chiamarsi giudici speciali.

Per definire quali sono i giudici ordinari e quali sono gli speciali, occorre seguire un criterio empirico, chiamare, cioè, ordinari soltanto quelli regolati dalla legge sull’ordinamento giudiziario; onde la necessità di fare nella Costituzione un riferimento a quegli organi che si chiamano ordinari. A questo criterio ed al principio della unicità della giurisdizione è informato l’articolo 12 da lui proposto.

Dall’affermazione di questo principio discende il divieto di istituzione di nuovi organi giurisdizionali, diversi da quelli ordinari.

Viene poi il problema di ciò che si deve fare degli organi speciali attualmente esistenti. Si devono abolire tutti, oppure qualcuno di essi deve essere conservato? Ed ecco il problema del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, dei Tribunali militari e del Contenzioso tributario, problema che sarà trattato in seguito.

Potrebbe però manifestarsi la necessità, per determinate materie, che al giudice si accompagnasse l’elemento tecnico, e questa esigenza potrebbe, a suo avviso, essere soddisfatta creando non già delle giurisdizioni speciali, ma delle sezioni specializzate da inserirsi nell’ordinamento della Magistratura ordinaria, e questo è appunto preveduto dall’articolo 13 del suo progetto, così formulato:

«Divieto di istituire organi speciali di giurisdizione: abolizione
di quelli esistenti
».

«Non potranno essere creati neanche per legge organi speciali di giurisdizione. Qualora per determinate materie (esclusa in ogni caso quella penale) si ritenga opportuno che i giudici siano forniti di speciali cognizioni tecniche, saranno istituite presso gli organi giudiziari ordinari apposite sezioni specializzate, con la partecipazione di magistrati forniti di una preparazione approfondita nelle materie stesse, ovvero con la partecipazione di cittadini esperti temporaneamente investiti di funzioni giudiziarie.

«Gli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti saranno aboliti o trasformati in sezioni specializzate nel termine di … In seguito all’abolizione delle funzioni giurisdizionali delle Giunte provinciali amministrative e delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, saranno istituite presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate nelle quali sarà concentrata la competenza a decidere tutte le controversie tra i cittadini e la pubblica amministrazione, a norma dell’articolo seguente.

«(Eccezioni al divieto? Corte dei conti? Contenzioso tributario? Tribunali militari?.

PRESIDENTE fa notare che l’articolo 13 del progetto Calamandrei trova riscontro nell’articolo 14 di quello Leone:

«Non possono essere creati tribunali straordinari o speciali.

«Possono istituirsi con legge per determinate materie sezioni speciali presso i Tribunali ordinari con partecipazione di estranei al potere giudiziario in misura non superiore ad un terzo.

«I Tribunali militari possono essere istituiti solo in tempo di guerra.

«Sono soppresse tutte le giurisdizioni straordinarie e speciali esistenti».

LEONE GIOVANNI, Relatore, si dichiara d’accordo con l’onorevole Calamandrei nella impostazione del problema; nella ricerca di un criterio, più o meno empirico, per definire gli organi ordinari del potere giudiziario, in confronto di quelli speciali ed infine nella determinazione di un modo per impedire al legislatore di creare organi speciali, rendendo però possibile l’adattamento della giurisdizione ordinaria a casi particolari.

Ritiene non possa esservi dissenso circa la unicità della giurisdizione, problema di carattere tecnico, politico e di prestigio del potere giudiziario. Infatti, mentre con l’attuale frazionamento del potere giudiziario riesce talvolta difficile per gli stessi tecnici determinare con precisione la sfera di giurisdizione o di competenza di ciascuno di essi, deve constatarsi che, soprattutto in materia penale, il potere giudiziario ordinario finisce per avere competenza soltanto per i reati di minor gravità, sui quali meno si appunta la pubblica opinione. Non v’è dubbio, quindi, che nella Costituzione deve trovar posto l’affermazione del principio che per l’avvenire non saranno ammessi organi giudiziari speciali.

Conviene con l’onorevole Calamandrei che, mancando un criterio ontologico per distinguere i giudici ordinari da quelli speciali, occorre far capo ad un criterio empirico al quale, del resto, lo stesso Codice ricorre in molti altri casi. Nessuna difficoltà, quindi, per quanto riguarda l’affermazione che sono organi giudiziari ordinari solo quelli regolati dalla legge sull’ordinamento giudiziario. Osserva peraltro che sarebbe opportuno indicare nella Costituzione le linee programmatiche della legge sull’ordinamento giudiziario. In altri termini, si dovrebbero specificare nella Costituzione gli organi giudiziari che dovranno trovare disciplina e regolamento nella legge sull’ordinamento giudiziario; cosa tanto più necessaria, in quanto questa legge come in genere tutte le leggi può essere suscettibile di modificazioni più o meno frequenti.

Circa il problema degli organi speciali, non gli par dubbio che, decisa la conservazione di taluni di essi, non resti che farli diventare organi della giurisdizione ordinaria. E questo ritiene possa farsi per quelli della giurisdizione amministrativa, che rappresentano il lato più grosso del problema. Comunque deve innanzi tutto decidersi quali di questi organi speciali dovranno essere mantenuti.

Considera infine la delicata questione della necessità di una certa flessibilità della organizzazione della giustizia, per rendere la giurisdizione ordinaria più aderente a talune insopprimibili esigenze: mentre da un lato si impedisce, attraverso una solenne affermazione della Costituzione, la formazione di giurisdizioni speciali, dall’altra occorre fin da ora preoccuparsi di adattare, con norma il più possibile esplicita e tassativa, la giurisdizione ordinaria a quelle particolari esigenze. Dichiara quindi di essere d’accordo sul principio a cui si ispira il primo comma dell’articolo 13 del progetto Calamandrei; ma vorrebbe estendere la norma in esso consacrata a tutte le forme di giurisdizione. In altri termini, si dovrebbe, a suo avviso, adottare una formulazione che rispondesse a questa triplice esigenza: rendere possibili, per certe materie, che leggi particolari determinino organi specializzati di giurisdizione; renderlo possibile mediante l’inserzione in questi organi di giudici specializzati o anche di elementi estranei alla Magistratura, fissando, tuttavia, un limite numerico, per impedire che si possa esautorare il principio della unicità della giurisdizione, immettendo una troppo larga massa di estranei nel potere giudiziario.

UBERTI è nettamente contrario al principio della unicità della giurisdizione, per vari motivi. Se un organo specializzato è sorto, ciò dimostra che esso rispondeva ad una necessità. Può aver funzionato bene o male; ma, specialmente se ha funzionato bene, perché sostituirlo per seguire uno schema teorico che non corrisponde alla realtà? Egli teme, insomma, il pericolo di una Costituzione avulsa dalla realtà. Nelle questioni del Contenzioso tributario, ad esempio, la Magistratura ordinaria non può avere la necessaria competenza. Non è possibile applicare una norma costante a situazioni che hanno carattere contingente ed assumono aspetti diversi. La Magistratura ordinaria di fronte a taluni problemi si dimostra eccessivamente pesante, estremamente conservatrice ed in contrasto con tutto ciò che rappresenta necessità di progresso sociale.

Affermato nella Costituzione il principio della unicità di giurisdizione, il potere legislativo sarebbe nella impossibilità di costituire Magistrature speciali per risolvere problemi urgenti e contingenti. Se poi si vuol concedere alla Magistratura un’assoluta indipendenza, il pericolo risulterà ancora maggiore, perché, dato il carattere conservatore della Magistratura stessa, potrà talvolta determinarsi un contrasto insanabile tra i poteri dello Stato. Né va trascurato che, attraverso le giurisdizioni straordinarie, più sensibili alla pressione dei fatti sociali, è possibile evitare la cristallizzazione della giurisprudenza.

TARGETTI ritiene che il problema della unicità della giurisdizione debba essere considerato alla stregua del concetto generale cui dovrebbero ispirarsi anche le norme relative al potere giudiziario. Più che contrario al principio della unicità, il suo pensiero è in contrasto con quello dell’onorevole Leone, che vorrebbe trasferire nella Costituzione norme proprie dell’ordinamento giudiziario.

LEONE GIOVANNI, Relatore, precisa che egli desidera soltanto che nella Costituzione siano indicati gli organi del potere giudiziario.

TARGETTI obietta che, a suo avviso, la Carta costituzionale deve limitarsi a poche norme fondamentali, in cui sia affermato con chiarezza e con precisione ciò che si vuole e ciò che non si vuole che venga disposto. Posta la questione in questi termini, è risolto anche il problema dei limiti entro i quali è opportuno occuparsi del potere giudiziario nella Costituzione. Ricorda, in proposito, che la Carta costituzionale francese si occupa del potere giudiziario in due soli articoli.

Comunque, non gli sembra che la Costituzione debba risolvere il problema della conservazione o del divieto delle giurisdizioni speciali. In questa particolare materia, ogni affermazione deve essere ben ponderata e non bisogna lasciarsi trascinare dal pessimo ricordo che dei Tribunali speciali ha lasciato il fascismo. Nell’attuale momento egli non considera un errore la sopravvivenza della giurisdizione amministrativa e nemmeno sarebbe favorevole alla soppressione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti o a mutamenti sostanziali nelle loro funzioni tradizionali.

CAPPI dichiara di dissentire dall’onorevole Uberti. Non crede esatto che l’unicità di giurisdizione risponda ad una architettura teorica; risponde invece ad una esigenza logica. Se, in senso largo, unica è la materia, unico deve essere anche l’organo. Per altro, dato che il campo della giustizia amministrativa è sufficientemente differenziato, si può anche essere favorevoli alla sua conservazione: ma non si può condividere l’opinione che i giudici togati non abbiano la capacità per decidere su certe materie. È possibile che i giudici specializzati non abbiano competenza in materie diverse dalla loro specializzazione; ma in linea di principio non può ammettersi che, nel giudicare in queste materie, un cittadino qualsiasi possa essere ritenuto più capace di un magistrato che ha una cultura, un’esperienza ed un abito giuridico indubbiamente superiori.

Può, fino ad un certo limite, concordare sul pericolo avvertito dall’onorevole Uberti dello strapotere della Magistratura, e il suo autogoverno assoluto, quale è sostenuto dall’onorevole Calamandrei, lo lascia perplesso. Preferirebbe il sistema della Costituzione francese, che ammette l’intervento del potere legislativo nella formazione del Consiglio superiore della magistratura, ma non si dissimula il pericolo indubbiamente più grave che ad un certo momento il potere legislativo possa sottrarre certe materie alla competenza del potere giudiziario.

Conclude riaffermando di essere favorevole al principio della unicità della giurisdizione.

MANNIRONI, senza entrare nella questione della giurisdizione amministrativa, poiché aderisce alla sospensiva proposta dall’onorevole Bozzi, basandosi sull’esperienza derivata dalla sua pratica professionale, dichiara di approvare il concetto della unicità della giurisdizione della Magistratura ordinaria. Quindi è d’accordo che tale principio sia affermato nella Costituzione e che sia in questa ribadito il divieto delle giurisdizioni speciali. Anche la giurisdizione militare dovrebbe essere abolita, consentendola soltanto per i periodi di guerra.

Pur mantenendo fermo il predominio della Magistratura ordinaria, riconosce tuttavia che nei giudizi in cui si richiedono speciali cognizioni tecniche dovrebbe ammettersi, caso per caso, che esperti non magistrati portassero il contributo della propria competenza in sede giurisdizionale. Concorda però nel ritenere che debba stabilirsi una limitazione del numero di questi elementi estranei, per evitare che essi possano sopraffare il giudizio del magistrato ordinario e quindi la decisione.

È pertanto del parere che l’articolo 13 del progetto Calamandrei possa essere mantenuto, sia pure con qualche alleggerimento e con l’aggiunta delle limitazioni di cui al secondo comma dell’articolo 14 del progetto Leone. Sarà anche opportuno tener conto, nella formulazione definitiva, di quanto è detto nel secondo capoverso dell’articolo 14 del progetto Leone a proposito dei Tribunali militari.

CALAMANDREI, Relatore, rispondendo agli onorevoli Uberti e Targetti, prega i colleghi di non creare confusione, sollevando in questa discussione che è essenzialmente di principio questioni attinenti alla conservazione o meno di giurisdizioni speciali oggi esistenti. Ricorda in proposito di avere già avvertito che tale questione deve essere accantonata e che il problema del potere giudiziario va studiato come se si facesse un ordinamento giudiziario nuovo.

Afferma che il principio della unicità della giurisdizione deve essere inserito nella Costituzione, perché esso è, a suo avviso, inscindibile da quello della indipendenza della Magistratura. Se si vuole che i giudici siano indipendenti, bisogna dare all’amministrazione della giustizia una organizzazione che garantisca tale indipendenza. Orbene, mentre è giusto riconoscere l’indipendenza ai magistrati ordinari, in quanto essi offrono ogni garanzia, si deve pure ammettere che ove si consentisse la creazione di organi speciali improvvisati, i componenti di questi non presenterebbero le stesse garanzie ed allora il principio della indipendenza della Magistratura verrebbe ad essere vulnerato. Il principio della unicità è quindi un corollario necessario di quello della indipendenza. Si può anche essere contrari al principio della indipendenza della Magistratura, ma allora bisogna avere il coraggio di dirlo, non solo in seno alla Commissione, ma anche nelle pubbliche sedute dell’Assemblea costituente.

Si potrebbe anche sostenere che il potere dello Stato è uno solo e che i giudici non devono fare altro che dare esecuzione alle direttive politiche di chi ha l’autorità, e che quindi essi sono dipendenti del Governo. Potrebbe anche ritenersi che questo fosse un sistema migliore; ma, se si ammette la divisione dei poteri, bisogna giungere alla conseguenza della indipendenza della Magistratura.

Di fronte all’osservazione dell’onorevole Targetti, che si debba cercar di alleggerire il più possibile le norme relative al potere giudiziario da inserire nella Costituzione, ripete che molti degli articoli contenuti nel suo progetto hanno lo scopo di rendere più comprensibili i principî affermati. Ad ogni modo il principio della unicità è uno di quelli che debbono essere consacrati nella Costituzione e, affermando questo principio, si deve specificare anche quali sono gli organi attraverso i quali esso si estrinseca.

LEONE GIOVANNI, Relatore, condivide l’opinione che le formulazioni proposte debbano essere alleggerite, ma ritiene che non si possa arrivare al sintetismo della Costituzione francese.

Si dichiara d’accordo su quello che l’onorevole Calamandrei ha detto in risposta agli onorevoli Uberti e Targetti, sulla inscindibilità del principio della unicità della giurisdizione da quello della indipendenza della Magistratura.

Quando si afferma che il potere giudiziario è indipendente, occorre anche stabilire i limiti di tale indipendenza. Essendo d’accordo nel voler rendere indipendente il potere giudiziario dagli altri poteri, riconosce esatta l’affermazione dell’onorevole Calamandrei che questa indipendenza è inscindibile dalla unicità di giurisdizione. Altrimenti potrebbe in seguito avvenire, ad esempio, che il potere legislativo e l’esecutivo stabilissero per legge che la Commissione incaricata di risolvere le questioni in materia di affitti sia composta di due proprietari di case, di due inquilini e di un magistrato, o quella che deve pronunciarsi in materia di salari sia composta di due rappresentanti della Camera del lavoro, di due della Confederazione dell’industria e di un magistrato, ed è evidente che in tali casi la indipendenza del magistrato verrebbe meno. Analogamente, se in materia di occupazione di terre (che è una questione di importanza giuridica, oltre che politica) la legge stabilisse che l’organo giudicante deve essere composto di due ispettori agrari e di un magistrato, poiché i due ispettori dipendono dal Ministero dell’agricoltura, l’indipendenza del Magistrato non avrebbe la possibilità di affermarsi.

CALAMANDREI, Relatore, osserva che tale era il caso appunto del Tribunale speciale per la difesa dello Stato.

LEONE GIOVANNI, Relatore, lo conferma, soggiungendo che il Tribunale per la difesa dello Stato non era un organo straordinario, ma un organo speciale di giurisdizione.

All’onorevole Uberti, che ha parlato di sensibilità della giustizia ai problemi sociali, di cristallizzazione della giurisprudenza, di conservatorismo del giudice, risponde che i regimi dittatoriali, come il fascismo, sentono sempre la necessità di presentare alla pubblica opinione queste giurisdizioni speciali sotto l’etichetta di un organo giudiziario permanente, salvo poi ad inserire in esso tanti elementi estranei da sabotare il magistrato.

Nessuno può rimanere insensibile ai fatti sociali; ma non bisogna temere la cristallizzazione del giudice; occorre invece assolutamente evitare la cristallizzazione della legge. Il giudice non deve essere altro che l’interprete della legge, nel senso più rigoroso e ortodosso. Le esigenze sociali, il palpito delle riforme sono fenomeni che debbono trovare la loro ripercussione entro la formula della legge; onde la necessità di fare leggi nuove che, rispondendo a queste esigenze, adottino formule di maggiore o minore elasticità.

Quando si dice che il giudice decide secondo il suo criterio, soltanto allora gli si può chiedere una sensibilità ai problemi sociali; ma bisogna sempre evitare un allargamento del potere giudiziario, che sarebbe pericoloso. Ricorda che in Germania, proprio con la dittatura nazista, si pretese di interpretare la sana coscienza popolare e si sostenne che il diritto non è scritto nel Codice, ma è nella coscienza del popolo: tale coscienza però era interpretata dal Führer e i suoi accoliti. È quindi necessario che il magistrato rimanga conservatore, non nel senso di essere refrattario all’imponente massa dei problemi sociali che si presentano, perché tali problemi devono essere tradotti in nuove leggi, ma nel senso di interpretare rigidamente la legge esistente.

Di conservatorismo si può parlare in duplice senso: in quello di difesa di un determinato sistema politico ed economico vigente e in quello di difesa del sistema giuridico. Il giudice deve essere servitore soltanto della legge e di conseguenza conservatore in tal senso: interpretare, cioè, la legge secondo i fini per i quali è stata emanata. Se ad un dato momento la formula e lo spirito della legge sono in contrasto col movimento sociale in atto, il giudice deve tuttavia applicare la vecchia legge fino a che il legislatore non l’abbia modificata. Per l’ordine giuridico di un Paese sarebbe sommamente pericoloso che il giudice avesse la possibilità di adattare la legge a nuovi orientamenti sociali. Condivide le preoccupazioni dell’onorevole Uberti per certe determinate forme di conservatorismo, ma egli le porta sul piano del diritto sostanziale e non su quello del diritto processuale o formale. Non si può, in altre parole, ammettere il cosiddetto diritto libero, dando al giudice la facoltà di sovrapporre la sua coscienza politica in senso lato alla interpretazione della legge, che più non si presta alle nuove esigenze.

Conclude affermando di rimanere fedele ai vecchi principî liberali della interpretazione della legge da parte del magistrato.

UBERTI si richiama al periodo precedente al fascismo, e cioè agli anni 1919-22, allorché la Magistratura apparve colpevolmente legata alle classi conservatrici, ricordando che, se fu possibile creare una giurisprudenza speciale, sia in materia di patti di lavoro, sia in materia di sfratti, ciò fu dovuto al fatto che il legislatore riuscì a creare delle giurisdizioni speciali. E fu un bene, in quanto si sarebbe altrimenti determinato un urto sociale ancor più grave di quello verificatosi.

Domanda all’onorevole Calamandrei se col sistema proposto sarebbe, ad esempio, possibile creare una Commissione per gli equi affitti con una rappresentanza dei proprietari e degli affittuari, presieduta da un giudice.

Ricorda che le scuole storica e giuridica, nate ben prima del nazismo, non hanno fatto altro che adattare la legislazione alle nuove esigenze attraverso l’interpretazione. A suo avviso, non è giusto legare l’attività del giudice ad un duro criterio di rigida interpretazione, in quanto, se un giorno si rivelasse una immediata ed urgente necessità sociale, si avrebbe un contrasto con il giudice il quale dovrebbe rigidamente interpretare la vecchia legge.

TARGETTI è sempre stato e sempre sarà favorevole all’indipendenza del giudice, ma non vede alcun legame fra questa indipendenza e la creazione di Magistrature che abbiano competenza specifica in determinate materie tecniche. Dichiara tuttavia di non volere che l’indipendenza della Magistratura porti gli altri poteri, legislativo ed esecutivo, e l’intera Nazione, a dipendere da un potere incontrollato.

DI GIOVANNI concorda pienamente sul concetto della indipendenza della Magistratura che riconosce basilare ritenendolo tuttavia non contrastante con il riconoscimento di magistrature speciali, fornite di competenza tecnica particolare. Non ritiene giustificata la preoccupazione dell’onorevole Leone, secondo cui il giudice, nelle giurisdizioni speciali, rischia di essere sopraffatto dagli elementi tecnici non appartenenti alla Magistratura, perché in questi casi non è negata l’indipendenza del giudice, ma si possono avere soltanto delle discordanze di vedute tra i tecnici e il magistrato. Non consente neppure con quanto da taluno è stato sostenuto, nel senso che l’interpretazione della legge contribuirebbe all’evoluzione del diritto, perché in tal caso si riprodurrebbe la posizione del pretore romano che aveva la potestà «corrigendi vel supplendi»; in altri termini, si darebbe al magistrato una potestà legislativa sotto forma di interpretazione della legge. Saranno le esigenze sociali ad imporre una evoluzione del diritto e saranno sempre gli organi competenti a ravvisare queste necessità e a legiferare in conseguenza, senza concedere al magistrato la facoltà di supplire alla legge attraverso la sua interpretazione.

CALAMANDREI, Relatore, all’onorevole Uberti, che ha domandato come ci si dovrebbe comportare qualora fosse inserito nella Costituzione il divieto della giurisdizione speciale, allorché si presentasse l’opportunità politica di costituire un collegio in cui fossero rappresentate due categorie economiche in conflitto, risponde che, qualora per determinate materie si ritenesse opportuno che i giudici fossero forniti di speciali cognizioni tecniche, potrebbero istituirsi presso il giudice ordinario apposite sezioni sotto la presidenza del pretore. Praticamente saranno chiamati di volta in volta determinati competenti in materia; interessante è che si tratti di sezioni speciali, incuneate nella gerarchia giudiziaria.

All’onorevole Targetti fa osservare che il principio della indipendenza della Magistratura viene affermato, non per favorire i magistrati, bensì per garantire ai cittadini la tutela dei loro diritti e soprattutto per mantenere fermo quel grande vantaggio che è rappresentato dalla certezza relativa del diritto, cioè la possibilità di trovare, con un certo calcolo approssimativo di probabilità, una tutela nel giudice quando si crede di aver ragione. Lasciando al Governo la potestà di creare organi speciali di giurisdizione, la Magistratura potrebbe in effetti rimanere indipendente, ma con l’andar del tempo tutta la materia ad essa demandata potrebbe essere via via affidata a Tribunali speciali ed i cittadini perderebbero così la garanzia della tutela dei loro diritti.

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Leone ha presentato la seguente proposta:

«Possono istituirsi con legge, per determinate materie, sezioni speciali presso i Tribunali ordinari con partecipazione di giudici specializzati ovvero di cittadini esperti, temporaneamente investiti di funzioni giudiziarie. In quest’ultimo caso il numero degli esperti non può superare il terzo della composizione del collegio».

La seduta termina alle 17.45.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Di Giovanni, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Assenti: Patricolo, Porzio.

POMERIDIANA DI LUNEDÌ 16 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

69.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI LUNEDÌ 16 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Lussu – Nobile – Laconi – Piccioni – Porzio – Cappi – Cannizzo – Mortati – De Michele – Tosato – vanoni – Codacci Pisanelli – Conti – Fabbri – Mannironi – Perassi – Ambrosini, Relatore – Fuschiini – Lami Starnuti – Ravagnan – Bozzi.

La seduta comincia alle 17.45.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE avverte che nella seduta odierna deve iniziarsi l’esame delle richieste di costituzione di nuove Regioni. L’incarico di riferire in merito è stato affidato agli onorevoli Lussu, Codacci Pisanelli e Fuschini.

Invita quindi l’onorevole Lussu ad iniziare la sua esposizione.

LUSSU informa che la sua relazione riguarderà le richieste per la formazione delle seguenti nuove Regioni: Umbro-Sabina, Sannio e Molise.

Inizia riassumendo brevemente il contenuto dei documenti concernenti la Regione Umbro-Sabina. Si tratta, in sostanza, di creare attorno alla città di Terni una Regione costituita razionalmente, secondo i criteri più moderni, con carattere spiccatamente industriale, che consenta di rendere la zona infinitamente più efficiente di quello che non sia. Il progetto, che per la sua concezione moderna parrebbe dovuto ad un ingegnere americano, comporta l’assorbimento quasi totale della Provincia di Rieti (compresa la città) e di alcune parti delle Provincie di Macerata, Perugia e Viterbo. La prima perderebbe tutta la zona montana di Visso; la seconda la zona montana attorno a Sillano, Cascia e Norcia, la pianura attorno a Spoleto e il territorio che va da Todi a Gualdo Cattaneo; la terza perderebbe soltanto la città di Orte (che verrebbe considerata come un’avanguardia della stazione di Terni) e il territorio circostante. Per le difficoltà che si frapporrebbero all’assorbimento dei Comuni della provincia di Perugia si propone una variante come subordinata.

Tutte le riserve idrico-industriali del luogo verrebbero accentrate nella conca Ternana, in modo da creare un grande complesso industriale che creerebbe e assorbirebbe le maestranze specializzate. È prevista altresì la trasformazione del bracciantato agricolo in mano d’opera specializzata, dato che anche l’agricoltura verrebbe industrializzata.

Confessa che trova estremamente seducente il progetto; senonché, questo presenta il lato debole di essere proposto da una sola persona, il sindaco di Terni, mancando non solo del suffragio di altre autorità, enti, organizzazioni sindacali e politiche della zona, ma financo del parere delle popolazioni dei territori, chiamate a formare la futura Regione.

In conclusione, è un progetto molto interessante e geniale, ma personale.

Passa quindi a riferire sulla proposta di creare una nuova Regione – la Regione del Sannio – costituita dalle tre province di Campobasso, Benevento e Avellino, omettendo di riportare tutti i precedenti storici, tra cui il famoso episodio delle Forche Caudine. La proposta proviene dalla Camera di Commercio, dalla Deputazione provinciale e dai deputati di Benevento, i quali sostengono che etnicamente le tre Province discendono dalla grande tribù dei Samnnites e non v’è alcuna ragione perché il Sannio, che nella storia è stato sempre unito, sia oggi diviso: che tale riunione è consigliata dalle presenti condizioni amministrative, sociali ed economiche della zona di cui Benevento rappresenta il centro naturale. Da una apposita relazione allegata risulta l’affinità di interessi industriali, commerciali e soprattutto agricoli delle tre Province. In tutte la popolazione è prevalentemente agricola, raggiungendo il 72 per cento dell’intera popolazione nella provincia di Benevento, il 75,02 per cento in quella di Avellino e il 77 per cento in quella di Campobasso, contro la percentuale del 30 per cento della provincia di Napoli. A ciò si aggiunge che l’organizzazione ecclesiastica ha già riconosciuto questa unità, tanto che l’arcivescovado di Benevento comprende le Diocesi delle tre Province. Sostengono inoltre i preopinanti che alcuni uffici statali, con sede in Benevento (come l’Ispettorato del lavoro, l’Ufficio movimento e traffico delle Ferrovie dello Stato e l’Ufficio dell’anagrafe tributaria) hanno già una competenza regionale.

Se questi elementi possono deporre in favore, v’è tuttavia un argomento negativo di importanza non trascurabile: la costituzione di questa nuova Regione è sostenuta soltanto dalla Provincia di Benevento, ma non incontra il favore delle altre due, le quali anzi si oppongono esplicitamente, come risulta dai documenti allegati.

Il Molise – tra coloro che ne rivendicano l’autonomia ci sono anche due deputati democristiani – obietta tra l’altro che l’argomento dell’organizzazione ecclesiastica è irrilevante, perché della provincia di Campobasso solo nove Comuni dipendono dall’Arcivescovo di Benevento, mentre i restanti fanno capo a Benevento solo indirettamente, per i rapporti che intercorrono tra i Vescovi e l’Arcivescovo. Ed obietta che il Molise vuole essere Regione autonoma e non confondersi con altre Regioni.

D’altro canto, in senso contrario si sono manifestati tutti i partiti della Provincia di Avellino, dichiarando che il progetto di costituzione della Regione Sannita offenderebbe gli interessi della zona, la quale gravita naturalmente verso Napoli e non può essere assorbita da Benevento. L’onorevole Preziosi di Avellino, in una sua lettera, ha tenuto a segnalare la contrarietà di tutti i deputati della circoscrizione di Avellino.

Il progetto pertanto risulta caldeggiato solo dai rappresentanti della Provincia di Benevento, e non è suffragato dal parere favorevole delle altre due Province.

Iniziando la sua relazione sul Molise, premette che cercherà di essere obiettivo, per quanto non abbia mai fatto mistero della sua convinzione che sia opportuno costituire la Regione Molisana. Del resto, la stessa denominazione attuale – Abruzzi e Molise – sta ad indicare che di due Regioni se ne è fatta una sola.

Crede che chiunque conosca, anche superficialmente, la zona si renda immediatamente conto di quanto sia assurdo pretendere che Campobasso per tutti i problemi di interesse regionale debba far capo all’Aquila, quando per il solo viaggio occorrono due giorni, nella stagione buona.

Per questo motivo è sorto fin dall’altro dopo-guerra, nel Molise un movimento di rivendicazione, che annovera aderenti in tutti i ceti sociali, mirante a farne una Regione a sé. Infatti il Molise normalmente non ha alcun rapporto con l’Aquila né in genere con l’Abruzzo, e gravita piuttosto verso Napoli. La Corte d’appello è quella di Napoli, ed anche gli studenti affluiscono in maggioranza verso questa città. È, in sostanza, una zona geograficamente ben delimitata, che rimane alquanto isolata e non propende verso il Nord ma piuttosto verso la Campania e – per gli sbocchi industriali e commerciali – verso Foggia e Bari. Il movimento di rivendicazione quindi non si alimenta di motivi storici o sentimentali, ma si richiama alle difficoltà della situazione attuale, ed ha un tale carattere di serietà che ha culminato in un congresso regionale, tenutosi il mese scorso e conclusosi con delle precise richieste autonomistiche.

Cita quindi un episodio che dà un’idea dello stato d’animo delle popolazioni: quando nel 1923 fu creata la circoscrizione elettorale Benevento-Campobasso-Avellino, tutti i molisani si accordarono votando esclusivamente per i loro candidati.

Aggiunge che le correnti autonomistiche, che durante il periodo fascista non si erano più potute manifestare, si sono risvegliate subito dopo l’arrivo degli Alleati e il Comitato di liberazione molisano, nella sua prima riunione, ha riaffermato la volontà di battersi, nell’ambito della legalità, fino al riconoscimento da parte del potere centrale del diritto del Molise alla sua autonomia regionale.

La richiesta attualmente allo studio è inoltre confortata dall’opinione favorevole di tutti i partiti e dei deputati molisani.

Per quanto si sia favorevoli alla costituzione di questa nuova Regione, obiettivamente è da riconoscere che sarebbe piuttosto modesta: il Molise conta infatti circa 150 Comuni, con una popolazione di 413.000 abitanti su di un territorio di 4617 chilometri quadrati. Ma la sua economia, prevalentemente agricola, pone oggi la provincia di Campobasso fra le prime Province italiane nella produzione di frumento. Ha inoltre una cultura di vigneti per circa 20.000 ettari che dà normalmente un raccolto di oltre un milione di quintali di uva. La ristrettezza del territorio e la densità della popolazione hanno fatto sì che in passato l’emigrazione fosse notevole, ed i capitali che, in conseguenza, sono affluiti nel Molise hanno giovato appunto ad incrementare la cultura del grano e dell’uva.

La Regione è povera, come lo sono generalmente le Regioni del Mezzogiorno, ma la popolazione talmente laboriosa che la produzione si mantiene al di sopra della media. D’altro canto la zona presenta enormi possibilità di sfruttamento delle energie idriche.

Informa quindi che al Congresso regionale molisano è stata presentata una relazione sull’agricoltura ed un’altra sulle possibilità di autosufficienza economica della Regione. Di quest’ultima trova interessanti alcuni dati, ove si pone il movimento finanziario del Molise negli ultimi anni, ed il contributo da esso versato allo Stato, in relazione a quello di altre Regioni. Crede in sostanza che il Molise, per quanto territorialmente ristretto e con un numero esiguo di abitanti, possa considerarsi capace di vivere con i suoi mezzi.

Si domanda infine a quale Regione il Molise potrebbe unirsi, qualora non gli fosse consentito di costituirsi come Regione. Non certamente all’Abruzzo per le ragioni già esposte e neppure alla Campania, perché, per quanto abbia in comune con questa alcuni interessi commerciali e culturali, la parte preponderante dei suoi interessi è verso l’Adriatico.

Pertanto, per non porre il Molise in una difficile situazione, obbligandolo all’unione con una Regione per la quale non sente alcuna attrattiva, invita la Sottocommissione a pronunciarsi favorevolmente alla richiesta.

PRESIDENTE riassume le conclusioni a cui è pervenuto l’onorevole Lussu: 1°) per la Regione Umbro-Sabina trova un elemento negativo nel fatto che la proposta proviene da una sola persona; 2°) per la Regione Sannita giunge alle stesse conclusioni in vista del parere discordante di due delle tre Province interessate; 3°) per la Regione Molisana, invece, si dichiara favorevole all’accettazione della richiesta, sia per le possibilità concrete di vita autonoma della nuova Regione, sia per la impossibilità di una sua aggregazione ad altre Regioni.

Prega i colleghi di pronunciarsi sulla prima proposta.

NOBILE osserva che la prima richiesta ha un lato interessante in quanto si preoccupa di raggruppare vari complessi industriali, nel timore che questi col nuovo ordinamento regionale, e con la tendenza che si va manifestando sempre più chiaramente verso un’economia regionale, possano essere frazionati con detrimento della produzione.

LACONI propone di non entrare per il momento nel merito delle proposte e di votare pregiudizialmente sulla loro presa in considerazione.

PICCIONI concorda, soggiungendo che, qualora si entrasse nel merito, verrebbero in discussione problemi molto gravi, poiché il progetto non è conosciuto da tutta la Regione e talune zone della stessa hanno caratteristiche spiccatamente diverse da quelle della conca Ternana.

PRESIDENTE pone ai voti la presa in considerazione della richiesta di costituzione della Regione Umbro-Sabina.

(Non è approvata).

Apre la discussione sulla costituzione della Regione Sannita.

PORZIO rileva che la richiesta corrisponde ad un’aspirazione della provincia di Benevento, memore degli antichi fasti del Ducato, ma non è giustificata da alcun fondato motivo. D’altra parte la provincia di Avellino si oppone recisamente e probabilmente anche il cosiddetto Sannio alto (Campobasso) rifiuterebbe di essere aggregato al Sannio di Benevento, nonostante il suo desiderio di staccarsi dagli Abruzzi.

Pone in evidenza che non può farsi di ogni Provincia una Regione, perché il concetto di Regione è ben diverso e risponde a particolari esigenze geografiche, storiche, politiche ed economiche. Personalmente non saprebbe concepire il Mezzogiorno suddiviso altrimenti che nelle Regioni Campania, Abruzzi, Puglia e Calabria. Che se si volesse fare una Regione del Molise, questa sostanzialmente sarebbe costituita della Provincia di Campobasso, che pure ha legami culturali e storici con Napoli. Basti ricordare due grandi Molisani che hanno indissolubilmente legato il loro nome alla storia partenopea: il medico Antonio Cardarelli e il generale Gabriele Pepe. Non si può quindi costituire una Regione di questa sola Provincia, né distaccarla dalla Campania.

Al Relatore, che ha accennato alle possibilità di sfruttamento dei bacini montani di Campobasso, fa osservare che, se un tale sfruttamento si attuerà, lo sarà per merito di una società napoletana.

La Campania è da tempo composta delle Province di Napoli, Caserta, Salerno, Avellino, Benevento, Campobasso. Tutte queste Province, fin dal 1860, sono comprese nel distretto della Corte d’appello di Napoli e ancor prima, durante il Regno delle Due Sicilie, quelle zone facevano parte dei vari principati che gravitavano su Napoli.

Invita pertanto i colleghi a non prendere in considerazione la richiesta, soprattutto tenendo conto della volontà delle popolazioni che propendono – particolarmente quella della Provincia di Avellino – verso la grande capitale del Mezzogiorno: Napoli.

CAPPI fa presente che in questa materia deve avere un’influenza decisiva la volontà delle popolazioni, e nel caso in esame si ha una chiara manifestazione di volontà contraria da parte delle Province di Avellino e Campobasso.

CANNIZZO osserva che le Regioni possono suddividersi in due gruppi: quelle storiche e quelle che rappresenterebbero una creazione artificiale. Circa le prime esiste una presumptio iuris tantum che vi siano i presupposti per il loro riconoscimento; circa le seconde ci si deve preoccupare, oltre che della volontà delle popolazioni, anche della situazione economica di quelle parti di Province che, non entrando nel nuovo raggruppamento, resterebbero avulse da quello che finora è stato il loro centro.

PRESIDENTE esprime l’avviso che per la Regione Sannita occorra decidere sul merito della richiesta, inquantoché tutte le volte che v’è una manifestazione di volontà di un gruppo notevole di popolazioni (e nel caso in esame l’istanza è suffragata dal parere di tutta la Provincia di Benevento) non si può negare la presa in considerazione e rifiutarsi di entrare nel merito.

Comunque, pone pregiudizialmente ai voti la presa in considerazione della richiesta.

MORTATI dichiara che si asterrà da tutte le votazioni sulla erezione di nuove Regioni, ritenendo ingiustificato ed irrazionale il procedimento seguito di pronunziarsi sul merito delle richieste senza avere gli indispensabili elementi di giudizio che soltanto un complesso di indagini obiettive ed accurate avrebbe potuto fornire.

AMBROSINI, BOZZI, CAPPI, CONTI, DE MICHELE, PICCIONI e TOSATO dichiarano egualmente di astenersi dal voto.

(È approvata).

PRESIDENTE pone in votazione l’accettazione della richiesta presentata da numerose associazioni e gruppi politici della Provincia di Benevento, per la costituzione della Regione Sannita.

(Non è approvata).

Apre la discussione sulla presa in considerazione della richiesta di costituire la Regione del Molise.

VANONI rileva che, per quanto l’esposizione dell’onorevole Lussu sia stata molto interessante, mancano gli elementi necessari per decidere con tranquillità di spirito su un problema così grave come quello della costituzione di una nuova Regione.

Quanto alla relazione, di cui ha dato notizia l’onorevole Lussu, presentata al Congresso Molisano per dimostrare l’autosufficienza del Molise, fa presente che è redatta con criteri dilettantistici e superficiali, prendendo, cioè, la media del carico tributario di tutto il Paese per trarre dal fatto che il Molise è al disopra di tale media la conseguenza che esso è autosufficiente economicamente; laddove si sarebbe dovuto considerare il presumibile carico in funzione dell’autonomia regionale e dimostrare la capacità della Regione a sopportarlo.

Ciò che ritiene si debba porre in evidenza da parte degli interessati, attraverso ad uno studio accurato, è la situazione economica della Regione, i suoi rapporti economici con le Regioni vicine e le caratteristiche di indipendenza ed autonomia economica. Viceversa ha l’impressione che tutti i fautori della costituzione di nuove Regioni si preoccupino di raccontare episodi storici, come quello delle Forche Caudine, e trascurino di dimostrare l’esistenza di una entità territoriale che per ragioni di dialetto, di economia o di altra natura pratica, sia dotata delle caratteristiche particolari che possono giustificare la sua erezione in ente Regione. Ad esempio, l’argomento della difficoltà di comunicazioni tra Campobasso e l’Aquila può ritenersi sufficiente per non mettere neppure in discussione la possibilità di riunire il Molise all’Abruzzo.

A suo avviso, dunque bisogna basarsi su elementi concreti e non sentimentali, mentre nel fascicolo in possesso dell’onorevole Lussu ha trovato una sola cosa interessante, sotto questo aspetto: la relazione riguardante l’agricoltura, con l’indicazione dei prodotti e dei tipi di coltura del Molisano.

Teme che le decisioni sulla creazione di nuove Regioni possano essere prese in base ad influenze amichevoli o di partito, quando dovrebbero invece seguirsi i criteri accennati, sia per pronunziare un giudizio con tranquillità, sia per preparare ai membri dell’Assemblea costituente gli elementi su cui formare il loro convincimento.

Per queste ragioni ha insistito affinché fossero fatte inchieste e studi imparziali da parte di una Commissione parlamentare, per raccogliere gli elementi il più possibile vagliati, non solo sui precedenti storici, ma anche e soprattutto sulla produzione di frumento, sulla possibilità di sfruttamento idrico, sulle industrie, sulle locali condizioni finanziarie, sui movimenti delle popolazioni, sulle caratteristiche etniche e linguistiche, ecc.

Per queste ragioni dichiara che si asterrà dal voto.

NOBILE conviene con l’onorevole Vanoni.

PORZIO osserva che, se si prescindesse dalla manifestazione di volontà delle popolazioni, si dovrebbe senz’altro escludere la possibilità di creare la Regione molisana; ma a tale espressione di volontà, avutasi attraverso ai rappresentanti politici, non può darsi un valore eccessivo. È convinto, d’altra parte, che se le popolazioni locali fossero poste di fronte al dilemma di scegliere tra la costituzione di una Regione a sé e l’aggregazione ad altra Regione, la risposta unanime sarebbe per l’unione alla Campania.

Il dialetto molisano è simile al napoletano, come lo sono i dialetti di Avellino, Benevento e Salerno; l’amministrazione della giustizia unica; la cattedra di medicina unica, senza parlare dell’Università in genere. Concludendo dichiara che può con perfetta coscienza sostenersi l’opportunità di respingere la richiesta di creazione di una Regione molisana, continuando a mantenere il Molise aggregato alla Campania, come lo è da decenni.

CODACCI PISANELLI non disconosce la fondatezza delle considerazioni dell’onorevole Vanoni, facendo tuttavia rilevare che per le Regioni storiche si prescinde da una documentazione sulla loro situazione economica e non si pone in discussione il loro riconoscimento come Regione, nonostante che molte di esse non godano di una autonomia economica. Pertanto la mancanza di questo requisito non gli sembra sia di pregiudizio neppure al riconoscimento di nuove Regioni, quando si portino altri fondati motivi a conforto della richiesta.

PRESIDENTE risponde che – come ha già osservato nella precedente riunione l’onorevole Grieco – se nei confronti delle Regioni storiche non si pone questa pregiudiziale, è perché, dovendosi istituire l’ente Regione, non può non avvertirsi l’opportunità, per evitare maggiori perturbamenti, di attenersi alla suddivisione storica come punto di partenza, piuttosto di smembrare le Regioni tradizionali e mettere insieme gruppi di popolazioni che potrebbero non desiderarlo.

CONTI si richiama all’ordine del giorno che ha presentato nella seduta precedente, definendo arbitrario il sistema seguito dalla Sottocommissione. Afferma che, prima di prendere decisioni di una tale gravità, occorre ascoltare la voce delle popolazioni e, per quanto concerne il Molise, le manifestazioni locali che sono state contraddittorie, tanto che anche nel Congresso Molisano del novembre si registrarono due correnti, pro e contro la autonomia. Per quanto nel caso specifico non abbia niente in contrario alla costituzione di questa nuova Regione, non crede che si possa prendere una decisione al riguardo finché non si abbiano esaurienti elementi di giudizio.

Dichiara quindi che voterà per la presa in considerazione, ma si asterrà dal votare una immediata deliberazione nel merito, riservandosi di prendere un atteggiamento secondo coscienza non appena si avranno gli elementi per una ponderata decisione.

FABBRI è contrario alla presa in considerazione della richiesta, in quanto la nuova Regione non arriverebbe alla popolazione minima di 500.000 abitanti, prevista dall’articolo 23, che, a suo avviso, è anche troppo modesta.

MANNIRONI, sebbene non sia legato da alcun interesse alla Regione molisana, può assicurare, per avervi vissuto nel periodo della guerra, che tra le popolazioni locali c’è una netta coscienza regionale. Afferma quindi che la Sottocommissione non potrebbe, senza assumersi una grave responsabilità, respingere la presa in considerazione dell’istanza, né accedere alla tesi dell’onorevole Vanoni di soprassedere ad ogni decisione, in attesa di nuovi elementi.

PERASSI è favorevole alla presa in considerazione, nel senso di esaminare tutti gli aspetti della situazione molisana, perché, se vi è una richiesta di costituzione di Regione, v’è anche il problema della possibilità o meno, per il Molise, di rimanere aggregato all’Abruzzo. Ritiene quindi che, qualora venga respinta la costituzione di questa nuova Regione, occorrerà decidere se il Molise debba unirsi agli Abruzzi o alla Campania.

PRESIDENTE è contrario alla presa in considerazione proprio per un atteggiamento di simpatia verso il Molise, in quanto si rende conto che, se il risultato della deliberazione di merito fosse sfavorevole alla costituzione della Regione molisana, ciò potrebbe rappresentare un elemento negativo non trascurabile quando la questione dovesse essere ulteriormente esaminata. Trova che, per il momento, la questione non è sufficientemente istruita né possono bastare alcune settimane per l’istruzione e potrà a suo tempo essere ripresa in esame, a norma dell’articolo 23 del progetto.

LUSSU, nel riaffermare il suo parere favorevole alla presa in considerazione della richiesta, rileva una contradizione tra le ultime parole del Presidente e le idee che ha espresso poco prima, quando ha sostenuto che la presa in considerazione non poteva negarsi di fronte ad una richiesta proveniente da una notevole parte delle popolazioni locali. In questo caso la Sottocommissione potrà non ritenersi competente a deliberare per insufficienza di notizie, e rinviare la deliberazione ad altro momento, ma non rifiutarsi di prendere in considerazione la richiesta.

PRESIDENTE pone ai voti la presa in considerazione della proposta di costituzione della Regione molisana.

AMBROSINI e NOBILE dichiarano di votare a favore.

FUSCHINI dichiara di votare a favore, nella considerazione che le richieste pervenute da deputati, da Comitati ed enti locali, ovvero da Amministrazioni provinciali, non possono essere respinte a priori.

(È approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sul merito.

NOBILE, premesso che lo scopo principale della riforma dell’ordinamento degli enti locali è quello di consentire il maggiore sviluppo di talune Regioni che finora hanno condotto vita stentata, per la particolare loro ubicazione o per altre circostanze, osserva che se v’è una Regione che dalla riforma stessa potrebbe trarre dei benefici questa è appunto il Molise, questa piccola Regione isolata nell’Appennino e distante da ogni altro centro per la difficoltà delle comunicazioni.

Esprime, quindi, parere favorevole all’accoglimento della richiesta.

LUSSU, replicando ad alcune considerazioni sfavorevoli dei colleghi, osserva anzitutto all’onorevole Porzio che il dialetto molisano non è simile a quello partenopeo.

All’onorevole Fabbri risponde che effettivamente l’articolo 23 stabilisce il minimo di 500.000 abitanti per la costituzione di nuove Regioni, mentre il Molise ne ha 413.000; ma tale articolo, non essendo stato ancora approvato, non può costituire un impedimento, ed è da augurarsi che quel minimo venga ridotto.

Circa le osservazioni dell’onorevole Conti sulla scissione in due correnti del Congresso Molisano, riconosce che alcuni deputati in quella sede si sono espressi in senso contrario all’autonomia del Molise, essendo avversi generalmente al criterio dell’autonomia delle Regioni, ma ripete che dai documenti in suo possesso risulta un’opinione concordante di tutti i rappresentanti politici del Molise e di tutti e quattro i deputati della circoscrizione.

PORZIO nega l’esattezza di quanto ha sostenuto l’onorevole Lussu e si richiama alla autorità dell’illustre professore Francese D’Ovidio, il quale, nei suoi studi sull’origine dei dialetti, dimostra che la radice del dialetto Molisano (che è greco-spagnolo) corrisponde a quella del dialetto partenopeo. Aggiunge che anche la misura del terreno è identica nel Napoletano e nella provincia di Campobasso; si usa cioè il «moggio» in luogo dell’«ettaro».

CODACCI PISANELLI si dichiara favorevole al riconoscimento della Regione molisana, soprattutto in considerazione delle conseguenze di un rifiuto alla erezione di questa nuova Regione. Se si dovesse tener conto delle condizioni economiche, indubbiamente si sarebbe portati a negare l’assenso alla richiesta, perché il Molise non può considerarsi autosufficiente. Tuttavia, se si lasciasse dipendere questa Regione, che non ha possibilità di reggersi con le sue finanze, da un’altra dalla quale è separata naturalmente, le sue condizioni finirebbero per essere peggiori di quelle che essa riuscirebbe a realizzare se potesse occuparsi da sé dei propri interessi. Questo argomento, se può valere per tutte le Regioni, ha un valore particolare per quelle isolate, come il Molise.

Ritiene pertanto che il Molise, nonostante l’evidente mancanza del requisito dell’autonomia finanziaria, meriti per tutti i motivi già esposti di essere eretto a Regione. Né attribuirebbe una eccessiva importanza all’argomento della esiguità della popolazione, perché non si possono mettere sullo stesso piano le zone pianeggianti e quelle montuose. In una Regione di montagna 413.000 abitanti possono considerarsi numerosi.

PRESIDENTE fa presente che, votando sull’accettazione o meno della richiesta del Molise, non si pregiudica il problema della sua aggregazione ad altra Regione.

LAMI STARNUTI non può pronunciarsi per l’erezione del Molise in Regione autonoma, non ritenendo di avere elementi sufficienti per un sicuro giudizio; ma col suo voto contrario non intende di pregiudicare per l’avvenire il merito della questione.

AMBROSINI, Relatore, è favorevole alla costituzione della Regione molisana, in vista delle sue specialissime condizioni.

CANNIZZO dichiara di essere anch’esso favorevole, sia perché ritiene sufficientemente provato il bisogno delle popolazioni molisane di erigersi a Regione, sia perché il Molise può ritenersi una Regione storica, e negarle l’autonomia costituirebbe una decisione più grave che negarla ad altre nuove Regioni.

Aggiunge che il fatto che la popolazione sia inferiore ai 500.000 abitanti non osta, in quanto quel requisito riguarda soltanto le Regioni da costituirsi in un secondo momento; senza contare che nella Val d’Aosta si ha già un esempio di autonomia regionale concessa ad una entità territoriale costituita da una sola provincia.

MANNIRONI presenta il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, presa in esame la richiesta tendente ad ottenere il riconoscimento della Regione molisana; udita la relazione dell’onorevole Lussu, riconosce che la richiesta stessa è meritevole di essere presa in considerazione; allo stato sospende di pronunciarsi, rimettendo la decisione all’Assemblea costituente, avanti alla quale potranno approfondirsi le indagini e la raccolta di tutti gli elementi necessari per una definitiva decisione».

LACONI si dichiara in linea di massima d’accordo con l’onorevole Mannironi, ma ritiene. che il rinvio della decisione all’Assemblea costituente non sarebbe opportuno e propone di rinviarla alla Commissione plenaria.

MANNIRONI aderisce.

PRESIDENTE ripete che gli elementi di giudizio che potrà avere fra pochi giorni la Commissione plenaria e quelli che avrà tra circa un mese l’Assemblea costituente, sono quegli stessi attualmente in possesso della Sottocommissione. Ritiene quindi ingiustificato un rinvio del genere. Comunque, se la Sottocommissione non intende decidere essa stessa (e non sa fino a qual punto avrebbe una tale facoltà) la raccolta dei dati necessari, in modo da offrire un completo materiale di giudizio all’Assemblea, è bene che si pronunci sull’ordine del giorno Mannironi. Lo pone quindi ai voti.

(Non è approvato).

Pone ai voti la richiesta del Molise di essere eretto in Regione autonoma.

RAVAGNAN dichiara che si asterrà dalla votazione.

MANNIRONI, pur avendo presentato l’ordine del giorno per la sospensiva, voterà a favore del riconoscimento della Regione molisana. Precisa che la sua proposta aveva unicamente lo scopo di evitare – nel convincimento che la maggioranza della Sottocommissione fosse contraria alla richiesta – una decisione sfavorevole, che avrebbe potuto in seguito risultare pregiudizievole per la riproposizione della questione.

CONTI voterà a favore, nella speranza che i molisani, nel periodo che separa questa decisione dalla definitiva, presentino delle relazioni comprovanti la loro capacità di vivere come Regione autonoma, affinché l’Assemblea costituente possa senza alcuno scrupolo accogliere l’istanza.

LACONI dichiara di votare contro, associandosi alle dichiarazioni dell’onorevole Lami Starnuti.

BOZZI dichiara di astenersi dal voto.

(Con 13 voli favorevoli, 10 contrari e 6 astenuti, è approvata).

PRESIDENTE prega l’onorevole Codacci Pisanelli di iniziare la sua esposizione sulla costituzione di due nuove Regioni: la Capitanata e il Salento.

CODACCI PISANELLI premette che la Puglia (Apulia), fin dalla antichità, era suddivisa in tre piccole Regioni: la Daunia (zona di Foggia), la Pucezia (terra di Bari) e il Salento (terra d’Otranto). Essa ha una lunghezza di oltre 400 chilometri, dal Gargano, il cui limite superiore è costituito dal fiume Fortore (antico Frento), fino al Capo di Santa Maria di Leuca. Nella larghezza vi è una notevole differenza fra un punto e l’altro della Regione.

Gli antichi abitatori della parte più alta erano i Dauni, e successivamente, nel periodo bizantino, la zona assunse il nome di Capitanata. Essa è costituita in particolare dal cosiddetto Tavoliere delle Puglie ed ha caratteristiche completamente diverse da quelle della Puglia meridionale. Infatti, mentre la Daunia o Capitanata è essenzialmente pianura, nelle altre parti della Puglia si notano quasi ovunque colline. I suoi confini si possono all’incirca individuare tra il fiume Fortore e l’Ofanto; ad oriente si ha poi l’Adriatico e ad occidente gli Appennini.

Tutta la superficie della zona, che ha un’ampiezza notevole (7184 Kmq.), comprende una sola provincia, quella di Foggia. La popolazione è di 580.870 abitanti, divisa in 60 Comuni; ma la densità è bassa, perché si calcola in 73 abitanti per chilometro quadrato.

Nella Capitanata prevale la cultura estensiva: cioè, vi è ancora in gran parte il latifondo, mentre nelle altre due zone della Puglia si riscontra il fenomeno esattamente opposto: quello del microfondo, tanto che non si ha convenienza ad introdurvi le macchine agricole. I terreni sono per la maggior parte coltivati a semina ed a pascolo: all’inizio del secolo, i pascoli coprivano circa la metà della Daunia: oggi soltanto il 23 per cento. Si è esteso cioè il territorio a semina ed in conseguenza ne è derivata una riduzione dell’allevamento del bestiame; laddove allora si contavano circa 60.000 capi di bestiame ovino, oggi non se ne contano più di 40.000. È stata viceversa incrementata la produzione del frumento, e vi sono alcune culture legnose specializzate, quali il mandorlo e l’ulivo. Una parte del territorio (6 per cento) è tenuto a coltura boschiva ed il 3 per cento circa, rappresentato precisamente dal promontorio Garganico, che è roccioso, è incolto. Uno dei maggiori cespiti è dunque rappresentato dalla pastorizia e, se la lana della Daunia non può reggere il confronto con quella dell’Australia, è tuttavia rinomata, e nel periodo della guerra è stata oltremodo preziosa all’industria italiana. I continui scambi che avvengono tra la Puglia e gli Abruzzi per la massima parte riguardano appunto questa produzione. I greggi vivono d’inverno nella Capitanata, dove trovano pascoli abbondanti; di estate con la siccità i pascoli si inaridiscono ed allora si ha la transumanza, attraverso i tratturi.

Quanto alle industrie, non ve ne sono di sviluppate. Da circa un decennio vi è stata introdotta l’industria della carta, che rappresenta una caratteristica del luogo, in quanto si ricava la carta dalla paglia di frumento; ma i risultati, a dir vero, non sono molto soddisfacenti. Un’altra risorsa della Regione è costituita dal sale, che si ricava dalle saline di Margherita di Savoia, in ragione del 30 per cento della produzione nazionale. Naturalmente si utilizzano anche i sottoprodotti del sale.

Altra caratteristica della Daunia, che può influire sul suo avvenire, è l’importanza dei suoi aeroporti. È questa infatti una delle ragioni per cui gli Alleati, quando ci imposero l’armistizio, pretesero la libera disponibilità della zona per impiantarvi gli aeroporti, donde fecero poi partire le fortezze volanti. Vi si potranno dunque con facilità creare delle basi aeree commerciali, tanto più che molti degli aeroporti consegnatici dagli Alleati sono ancora in piena efficienza.

La Capitanata ha anche altre possibilità di sfruttamento, perché in questa vasta pianura in cui predomina il latifondo vi son grandi estensioni coltivate unicamente mediante aratura fatta con aratri che hanno un vomere piccolissimo, il quale smuove soltanto la parte superficiale del terreno. Nonostante ciò, la produzione di frumento è di 12 quintali per ettaro. Dove poi sono stati introdotti nuovi metodi, come quello Ferraguti, con aratura a motore, si sono avute rese ottime. Qualche cosa si era cominciato a fare per il progresso dell’agricoltura, ma la guerra ha interrotto ogni iniziativa.

È interessante rilevare la differenza fra la conduzione agraria della Capitanata e quella del resto della Puglia. Nella Capitanata si ha essenzialmente l’affittanza con braccianti che lavorano giorno per giorno e da questo sistema derivano gravi conseguenze, perché la mano d’opera viene ingaggiata soltanto quando occorre, onde la disoccupazione periodica che determina frequenti disordini. S’impone dunque una trasformazione agraria, tanto più che nella Pucezia e nel Salento vigono sistemi di conduzione agraria diversa.

La zona ha i porti di Manfredonia e di Margherita di Savoia, ma il suo traffico gravita verso quello di Barletta, che costituisce il suo naturale sbocco al mare.

Osserva ancora, per quanto riguarda l’economia, che si può supporre che la Daunia goda di autonomia finanziaria e, se non altro, ha certamente l’autonomia alimentare, tanto più che la sua popolazione è molto sobria. Viceversa, ripete, non vi sono risorse industriali, ove si eccettuino quelle delle saline e delle cartiere, le quali ultime, però, sono state distrutte dalla guerra. Purtroppo il Foggiano ha subito grandi distruzioni, e le vastissime piste di volo impiantate dagli Alleati hanno prodotto un certo danno all’agricoltura locale. Vi accade quindi l’opposto di ciò che accade altrove: i proprietari mettono le loro terre a disposizione delle cooperative e queste le rifiutano perché il loro dissodamento, dopo il passaggio dei compressori, richiederebbe un lavoro di anni.

Anche per quanto riguarda il dialetto c’è una differenza notevole tra la Capitanata e le restanti Regioni della Puglia: l’accento è molto più marcato nella Capitanata ed un barese e un foggiano difficilmente si comprendono.

Concludendo afferma che, per quanto lo riguarda, ritiene sufficientemente fondata la richiesta di autonomia della Capitanata, la quale, d’altro canto, non trova opposizione nella vicina Provincia di Bari. Che se poi la Sottocommissione non ritenesse di aderire alla costituzione di tale Regione si potrebbe prendere in considerazione l’altra ipotesi: di riunire, cioè, la Daunia e la Pucezia. A questo proposito però sente il dovere di avvertire che la terra di Bari ha caratteristiche diverse: vi predominano l’ulivo, la vite e il mandarlo, invece del grano, e non vi è latifondo. Bari ha un porto, non naturale, ma sviluppato specialmente negli ultimi anni a danno di Brindisi; è la città più popolata della Puglia (oltre 200.000 abitanti) e vanta un tale sviluppo industriale che anche la sua sola provincia potrebbe costituire una Regione a sé stante.

Passa quindi ad illustrare la richiesta di costituzione della regione Salentina, avvertendo che egli appartiene al Salento, ciò che non può non influire sul suo giudizio.

Il Salento, cioè il tallone di Italia, è costituito di tre Province: Taranto, Brindisi e Lecce. Il suo riconoscimento come Regione non toglierebbe brani di terra al resto della Puglia. Giova, del resto, tener presente che, mentre la Provincia di Bari mantiene un atteggiamento indifferente, la Capitanata e il Salento vorrebbero distaccarsene. Si potrebbe quindi soddisfare il desiderio degli uni senza contrariare gli altri.

Il Salento (terra d’Otranto), sin dai tempi più antichi è stato sempre considerato come un’entità territoriale a sé stante, tanto che nella suddivisione in Regioni del periodo di Augusto e nella nuova suddivisione operata sotto Adriano (125 dopo Cristo) fu sempre conservata la distinzione tra Apulia e Salento.

Dagli studi sul periodo Paleolitico risulta l’esistenza nella zona di una popolazione autoctona, di civiltà particolare: i Messapi, che avevano un alfabeto proprio di cui ancora non si conosce la chiave, nonostante si siano ritrovati molti scritti. I Messapi costituirono la prima popolazione e furono poi seguiti dai cosiddetti Salentini, i quali dettero molto filo da torcere ai Romani, finché questi ultimi, dopo aver vinto Pirro e essersi impadroniti di Taranto, fecero una spedizione contro di essi riuscendo a vincerli nel 268 avanti Cristo.

Si tratta di una zona ove si notano caratteristiche completamente diverse da quelle delle terre di Bari e di Foggia. In primo luogo, la popolazione ha caratteri somatici diversi; il suo dialetto è completamente differente dal barese e dal foggiano e ricorda in parte quello siciliano e in parte quello calabrese. Il Salento ha una letteratura dialettale non trascurabile: ma, a parte, ciò, in Lecce, Brindisi e Taranto lo sviluppo culturale è molto superiore a quello delle altre parti della Puglia. Lecce soprattutto ha delle velleità letterarie e si compiace nel sentirsi definire la Firenze delle Puglie, perché i leccesi riescono a perdere completamente l’accento e ritengono di parlare un italiano abbastanza buono.

Le risorse principali della zona sono l’olio, il vino e il tabacco.

Per quanto concerne l’olio cita un solo dato, per dare una idea della possibilità di autonomia finanziaria: per il contingentamento, l’anno scorso la zona salentina fu impegnata a consegnare 150.000 quintali di olio. Non è quindi azzardato supporre che ne producesse almeno il doppio.

Il vino ha doti particolari, che determinano frequenti scambi con la Lombardia. Si tratta di vini molto pesanti, che vengono poi tagliati e resi bevibili.

Solo recentemente si è introdotta nel Salento la coltura del tabacco. I primi tentativi di coltivazione del tabacco in Italia furono fatti appunto nella penisola salentina, ma si sono avuti dei successi soltanto dopo varie prove e fallimenti. Tale coltivazione dà alla zona vantaggi notevoli, perché l’essiccazione, la scelta e l’imballaggio delle foglie offre lavoro alle tabacchine per tutto l’inverno, risolvendo in parte il problema della disoccupazione invernale. Tanto maggiore è l’importanza di questa coltura, in quanto le terre che vi sono state destinate non erano adatte ad alcuna altra. Perciò oggi la zona sente incombere come una grave minaccia il tentativo da parte dell’Amministrazione dei monopoli di spostare la coltivazione del tabacco in altre zone più adatte.

Le città principali del Salento sono Taranto, Brindisi e Lecce. Quindi, oltre alle risorse citate, vi è quella costituita da Taranto, l’asse marittima dotata di un cantiere molto importante, di cui anche gli Alleati hanno potuto constatare l’efficienza durante l’ultimo periodo della guerra, facendovi riparare molte navi della loro flotta. Tale cantiere consente di offrire lavoro a moltissimi operai e, mentre prima questi vi affluivano dalla Liguria e da altre zone industriali, oggi le maestranze specializzate si trovano anche sul posto.

Brindisi offre il vantaggio di essere un porto commerciale naturale dei più sicuri. Recentemente è stato ingiustamente svalutato dal fatto che Bari, profittando di un Ministro dei lavori pubblici barese, si è fatto costruire un grandioso porto artificiale, non curando che a pochi chilometri di distanza esisteva il magnifico porto di Brindisi che avrebbe potuto, con minore spesa, essere utilizzato. Pertanto una delle ragioni per cui non solo Lecce, che era l’antica capitale della regione, ma anche Brindisi e Taranto tengono molto alla autonomia, è che sarebbe loro consentito di realizzare pienamente le loro risorse che finora sono state assorbite dalle spese eccessive fatte per Bari.

Sottopone alla Sottocommissione un’istanza firmata da sette deputati della zona, appartenenti a vari partiti, per ottenere il riconoscimento del Salento come Regione autonoma, accompagnandola con le sue raccomandazioni più vive. Aggiunge che nel Salento è molto alto il concetto dell’unità e la Regione è completamente estranea ai disordini che si sono verificati in Puglia. L’aspirazione all’autonomia trova una giustificazione anche nella popolazione, superiore ad un milione e centomila abitanti, e nella superficie di oltre 700 mila chilometri quadrati.

Concludendo, può assicurare i colleghi che non debbono temere questa suddivisione della Puglia, perché le popolazioni di Lecce, Bari e Foggia si sono sempre considerate come facenti parte di tre organizzazioni diverse. Del resto, è anche molto notevole la distanza che intercorre fra le tre città.

Ove la Sottocommissione non ritenesse di accogliere la richiesta della Capitanata, raccomanda, quanto meno, di distaccare il Salento dalla Puglia vera e propria, cioè dalle province di Foggia e Bari.

La seduta termina alle 20.40.

Erano presenti: Ambrosini, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cannizzo, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bocconi, Calamandrei, Castiglia, Grieco, Leone Giovanni, Rossi Paolo, Zuccarini.

ANTIMERIDIANA LUNEDÌ 16 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

68.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 16 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie focali (Seguito della discussione)

Presidente – Grieco – Tosato – Di Giovanni – Ambrosini, Relatore – Laconi – Finocchiaro Aprile – Cannizzo – Targetti – Fabbri – Mortati – Nobile – Conti – Vanoni – Uberti – Lussu – Bulloni – Lami Starnuti – Bordon – Ravagnan.

La seduta comincia alle 11.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE ricorda che l’onorevole Di Giovanni ha presentato la proposta alla quale si sono associati gli onorevoli Targetti, Lami Starnuti, Bordon e Lussu di un articolo aggiuntivo, così formulato:

«Nelle disposizioni delle leggi sulle materie riserbate alle Regioni, quando tali disposizioni incidano su rapporti di lavoro, o siano relative a norme protettive di tali rapporti, o comunque attengano a conquiste economiche e sociali dei lavoratori, non possono costituirsi per i lavoratori condizioni meno favorevoli di quelle garantite ad essi dalle leggi dello Stato».

GRIECO è d’accordo sul concetto informatore della proposta; si domanda, però, perché essa sia stata limitata ai problemi del lavoro e non estesa a tutti i campi.

TOSATO rileva che, a norma degli articoli già approvati dalla Sottocommissione, la materia dei rapporti di lavoro non è di competenza della Regione.

PRESIDENTE ha già rilevato quanto ora ha fatto presente l’onorevole Tosato; e ne ha tratto la conclusione della superfluità della disposizione proposta.

DI GIOVANNI, illustrando le ragioni che lo hanno spinto a presentare l’emendamento, ricorda che, in occasione dell’applicazione della legge 6 settembre 1946, relativa all’assegnazione delle terre incolte o mal coltivate ai contadini, nella riunione, promossa dall’Alto Commissario per la Sicilia, dei rappresentanti dei proprietari e di quelli della Federterra, fu sollevata da qualcuno l’eccezione – essendo l’agricoltura una materia riservata dallo Statuto siciliano alla Regione – dell’inapplicabilità del provvedimento alla Sicilia.

Appunto per evitare il ripetersi di simili contrasti e il fatto che la legislazione regionale possa stabilire per i lavoratori condizioni meno favorevoli di quelle loro garantite dalle leggi dello Stato, ritiene opportuno fissare in questa sede questa norma di ordine generale che, dal punto di vista formale, riconosce possa essere suscettibile di modificazioni.

AMBROSINI, Relatore, è d’accordo nella sostanza con l’onorevole Di Giovanni; ma, sia perché le disposizioni regionali non possono ledere i diritti dei lavoratori fissati da leggi dello Stato, sia perché la Regione non ha competenza in questa maceria, ritiene che una norma del genere di quella proposta dall’onorevole Di Giovanni possa considerarsi superflua.

LACONI osserva che l’esempio addotto dall’onorevole Di Giovanni milita a favore della tesi sostenuta dall’onorevole Grieco; che cioè tale articolo aggiuntivo sarebbe più accettabile se, invece di far riferimento ad una materia che non è di competenza della Regione, si riferisse genericamente a tutte le materie.

FINOCCHIARO APRILE si associa alle considerazioni svolte dall’onorevole Di Giovanni, anche perché la diversità di trattamento, alla quale si riferisce il proponente dell’emendamento, si è già avuta in qualche caso: ricorda ad esempio il trattamento fatto, per quanto riguarda la liquidazione delle indennità, agli impiegati ed ai salariati delle disciolte organizzazioni sindacali della Sicilia, diverso da quello fatto agli impiegati e salariati delle disciolte organizzazioni sindacali del continente.

CANNIZZO ritiene infondata la preoccupazione dell’onorevole Di Giovanni, e superflua l’introduzione di un tale articolo nella Carta costituzionale.

Quanto alle riserve sollevate sulla costituzionalità del decreto Segni in una riunione convocata dall’Alto Commissario per la Sicilia, fa presente che esse non si riferivano a condizioni da fare ai lavoratori locali, peggiori di quelle fatte in altre Regioni, bensì al quesito se il decreto Segni fosse o meno da considerarsi un anticipo della riforma agraria, nel qual caso il Ministro non avrebbe potuto provvedere con un decreto.

TARGETTI, poiché tutti sono d’accordo sulla sostanza e sulle finalità dell’emendamento proposto dall’onorevole Di Giovanni, prospetta l’opportunità di trasmettere tale proposta al Comitato di redazione, affinché veda se, anche modificandone la forma, non sia possibile includerla nel progetto sulle autonomie regionali.

FABBRI non è d’accordo con l’onorevole Targetti, perché ritiene che questa materia sia di competenza dello Stato e debba, quindi, essere il Parlamento a vedere quali sono le garanzie d’ordine generale che spettano ai lavoratori. Fa presente, a tale proposito, che l’escludere che in un rapporto di produzione vi possa essere un’eventuale diversità nelle retribuzioni dei vari elementi della produzione, in ordine alle condizioni locali, si risolve, a suo avviso, in un grave danno per le Regioni che industrialmente hanno una situazione eccentrica rispetto ai luoghi di destinazione dei prodotti, perché, ad esempio, stabilendo in tutta l’Italia un medesimo costo di produzione per una determinata industria, non vi sarà più convenienza ad avviare le merci prodotte nell’Italia meridionale verso l’Italia settentrionale, in quanto anche il solo costo dei trasporti renderà più care le merci prodotte nel sud; e quindi in pratica verrà meno ogni tornaconto di impiantare industrie od aziende in tali Regioni.

DI GIOVANNI introduce una lieve modificazione all’ultima parte del suo emendamento, che risulterebbe così formulato: «…non possono costituirsi per i lavoratori condizioni che, nel loro complesso, siano meno favorevoli di quelle garantite ad essi dalle leggi dello Stato».

PRESIDENTE, riassumendo la discussione, fa presente che due sono i quesiti sui quali la Sottocommissione deve dare il suo parere: il primo, costituito dall’emendamento Di Giovanni, che l’onorevole Targetti ha proposto di rimettere – una volta accettato il principio – al Comitato di redazione affinché studi la possibilità di inserirlo nello schema che si sta elaborando; il secondo costituito dalla proposta dell’onorevole Grieco, il quale ha fatto presente che tale norma non dovrebbe essere limitata al settore del lavoro, bensì estesa a tutte le materie di competenza della Regione.

Si dichiara personalmente favorevole alla proposta dell’onorevole Grieco, la quale potrebbe essere concretata in una formula simile alla seguente:

«Nelle deliberazioni delle Regioni su materie ad esse riserbate non possono costituirsi per i cittadini condizioni meno favorevoli di quelle loro garantite nella stessa materia dalle leggi dello Stato».

FABBRI fa le sue riserve sull’applicazione di una norma del genere; ed aggiunge di non vedere come sia possibile in pratica invocare una norma più favorevole esistente in un’altra Regione.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Fabbri che non si tratta di considerare le disposizioni emanate da una Regione rispetto a quelle stabilite da un’altra, ma di mettere a raffronto le norme regionali con quelle statali.

MORTATI osserva che tale emendamento è pleonastico, perché è implicito che le norme della legge dello Stato debbano essere rispettate.

NOBILE concorda con l’onorevole Mortati.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che sia necessario inserire nel testo una tale clausola di garanzia, salvo poi a decidere – se la votazione darà un esito positivo – se sia da mantenere la dizione più restrittiva o da accogliere quella più generica, suggerita dall’onorevole Grieco.

(Non è approvata).

Apre la discussione sull’articolo 22 del progetto:

«Le Regioni sono costituite secondo la tradizionale ripartizione geografica dell’Italia.

Esse sono:

Piemonte;

Lombardia;

Trentino-Alto Adige;

Veneto;

Liguria;

Emilia;

Toscana;

Umbria;

Marche;

Lazio;

Abruzzi e Molise;

Campania;

Puglia;

Lucania;

Calabria;

Sicilia;

Sardegna;

e in più la Valle d’Aosta».

CONTI presenta il seguente ordine del giorno:

«La Sottocommissione, mentre manda all’esame della Commissione generale l’articolo 22 del progetto sull’autonomia regionale, esprime il parere che le proposte di costituzioni di Regioni, circoscritte in modo diverso da quello tradizionale, debbano essere accompagnate da dimostrazioni concrete di capacità economica finanziaria della Regione, e da lineamenti indicativi nell’organizzazione dell’ente regionale».

Dichiara di essere favorevole alla costituzione di Regioni circoscritte in modo diverso da quello tradizionale, purché ciò corrisponda a necessità imprescindibili e alle aspirazioni ed ai sentimenti della popolazione locale. Spiega che tale sua affermazione deve intendersi nel senso che egli è favorevole sia alla scissione delle odierne Regioni, sia alla fusione totale o parziale di due Regioni in una.

Dichiara pure di non essere affatto contrario a che la volontà delle popolazioni sia assecondata, purché le Regioni che si vogliono costituire siano vitali, abbiano cioè l’autosufficienza.

Ritiene però che la Sottocommissione non sia competente a decidere su questa materia, né possa pregiudicare le decisioni avvenire, anche perché, divulgato in Italia il progetto di Costituzione, le aspirazioni generiche od appena accennate diventeranno più concrete ed in ogni Regione si formerà un’opinione pubblica più consistente e, quindi, più idonea a far conoscere i propri sentimenti di quanto oggi non sia. Per queste ragioni, è del parere che l’esame dell’articolo 22 possa senz’altro essere rinviato alla Commissione plenaria, in seno alla quale si ripromette di proporre che di tale questione si debba occupare direttamente l’Assemblea costituente.

LACONI prospetta all’onorevole Conti l’opportunità di stabilire chi ha il diritto di presentare la documentazione di cui parla l’ordine del giorno: ad esempio, i Comuni, i gruppi parlamentari, ecc.

CONTI riconosce giusta l’osservazione dell’onorevole Laconi; e pensa che, a tale scopo, si potrebbe aggiungere, in fine al suo ordine del giorno, la frase: «…a cura di Comitati eletti da Congressi di Sindaci e di altri Enti locali».

TARGETTI rileva che l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Conti deve essere esaminato in rapporto all’articolo 23 del progetto, che considera le norme che dovrebbero regolare eventuali modificazioni nelle circoscrizioni regionali esistenti o la formazione di nuove Regioni; e fa presente che tale articolo dovrebbe essere necessariamente modificato, so si entrasse nell’ordine di idee di accogliere la proposta dell’onorevole Conti.

VANONI concorda nell’ordine del giorno dell’onorevole Conti, con la specificazione suggerita dall’onorevole Laconi. Rileva però una differenza fra tale ordine del giorno e l’articolo 23 del progetto, perché questo, partendo dal concetto che le Regioni siano già costituite, consente, con una norma permanente, la richiesta dell’erezione di una nuova Regione, mentre ora si è nella fase organizzativa, nella quale le procedure devono essere meno formali di quanto è necessario che siano quando un ente già esiste ed una corrente della popolazione ne chiede lo smembramento.

Riconosce che le decisioni definitive sulla prima fase organizzativa delle Regioni spettano all’Assemblea Costituente, la quale, però, deve necessariamente essere investita di tutti gli elementi indispensabili per poter dare un giudizio con serena coscienza sulle varie questioni. Poiché la Sottocommissione finirebbe col ritardare eccessivamente i suoi ulteriori lavori, se si dovesse occupare della preparazione, della raccolta e della prima valutazione degli elementi inerenti all’organizzazione concreta delle singole Regioni, prospetta l’opportunità di affidare tale compito ad una Commissione composta di colleghi facenti parte delle Sottocommissioni che hanno già esaurito il loro lavoro, la quale potrebbe preparare una relazione da sottoporre all’Assemblea costituente sulle singole richieste.

UBERTI pone in evidenza l’omissione in cui è incorso il Comitato di redazione, che non ha considerato la Venezia Giulia nell’elenco delle Regioni; ciò è tanto più grave perché, ancor prima di conoscere il testo definitivo del trattato di pace, si verrebbe ad ammettere la cancellazione della Venezia Giulia dal novero delle Regioni italiane.

Fa presente che gli abitanti delle residue zone giuliane si sono messi in relazione con i friulani allo scopo di formare una Regione Friuli-Venezia Giulia, e conclude esprimendo il voto che la Sottocommissione trovi il modo di ricordare con una formula idonea anche questa Regione, che non deve scomparire dalla nostra storia e dalla nostra Costituzione; o, in caso contrario, si limiti a togliere dall’articolo 22 l’elencazione che è stata riportata nel testo del progetto.

MORTATI può essere favorevole alla proposta dell’onorevole Conti, a patto che non si faccia alcun accenno specifico circa la soluzione del problema; in altre parole, che si trasmetta alla Commissione plenaria il testo del progetto senza l’articolo 22.

Concorda con l’onorevole Vanoni sull’opportunità di affidare ad un gruppo di colleghi l’esame delle singole situazioni; ma è del parere che questi debbano essere scelti nell’ambito della seconda Sottocommissione, sia perché questa non può scaricarsi di un compito che è suo, sia perché le situazioni che ora si presentano devono essere esaminate con gli stessi criteri con i quali sono stati finora considerati i vari problemi sottoposti alla Sottocommissione.

Considerando particolarmente i criteri da seguire nella costituzione di nuove Regioni – ad alcuni dei quali ha anche accennato nel suo ordine del giorno l’onorevole Conti – rileva che non ci si può affidare puramente e semplicemente alla volontarietà della costituzione, perché le aspirazioni delle singole Regioni, come frequenti esempi dimostrano, possono essere ispirate soltanto a sentimenti di campanilismo.

Nulla ha da obiettare circa l’elemento della capacità economica e finanziaria, che va anch’esso tenuto presente; ma ritiene che debba essere considerato in modo particolare un altro fattore, a suo parere di notevole importanza, consistente nella preoccupazione da parte dei nuclei minori che i loro interessi possano essere assorbiti, con notevole danno, da quelli della parte più numerosa della popolazione; donde la tendenza del gruppo più piccolo a separarsi dal più grosso per eliminare il pericolo della sopraffazione. Cita, ad esempio, il caso del Molise rispetto alla Campania e quello di Savona rispetto a Genova.

Ritiene pericolosa questa tendenza, che se non contenuta potrebbe condurre le Regioni a riprodurre le vecchie Provincie, e che contrasterebbe col criterio ispiratore dell’ordinamento regionale, che presuppone un ordinamento organico di nuclei regionali abbastanza vasti, rappresentanti interessi omogenei in senso lato. Pensa che si potrebbe rimediare a tale inconveniente adottando il criterio opposto, di non frazionare le attuali unità regionali, ma di ampliarle in modo che le esigenze dei gruppi più accentrati o demograficamente più rilevanti fossero compensate e neutralizzate da quelle di altri gruppi.

LUSSU dichiara che sarebbe un grave errore sopprimere, come è stato proposto, l’articolo 22 del progetto; ritiene, al contrario, che la Sottocommissione debba presentare il proprio lavoro nel modo più completo possibile e che, invece di rimandare le decisioni a causa dei contrasti di opinioni, debba pronunciarsi su tutte le questioni arrivando eventualmente ad una conclusione di maggioranza.

Né crede sia da accogliere la proposta dell’onorevole Vanoni; ma pensa che le questioni sulle quali eventualmente la Sottocommissione non fosse in grado di pronunciarsi possano essere nuovamente affidate al Comitato sulle autonomie locali, il quale, dopo aver studiato l’argomento, potrà riferire alla Sottocommissione.

Conclude affermando la necessità che la Sottocommissione affronti questo problema, pur riconoscendo la complessità dei criteri ai quali è necessario ispirarsi quando si tratta di costituire una nuova Regione.

AMBROSINI, Relatore, rispondendo all’onorevole Uberti, spiega che il Comitato non è caduto in un’omissione quando non ha considerato nell’elenco la Venezia Giulia, ma ha inteso comprendere nella parola «Veneto» tutta la Regione dell’est.

Concorda con l’onorevole Vanoni nel ritenere che l’articolo 23 – il quale fissa il criterio col quale arrivare ad una eventuale modificazione di circoscrizioni esistenti o alla creazione di nuove Regioni – presupponga già una sistemazione definitiva di esse, stabilita precedentemente o dalla Commissione o dall’Assemblea costituente.

Ritiene che non sia pericoloso basare tali richieste sulla volontà delle popolazioni interessate, perché, se è vero che la popolazione ha il diritto di proporre modifiche delle circoscrizioni regionali, è anche vero – a norma dell’ultimo comma dell’articolo 23 – che queste «sono disposte con legge dello Stato, previo parere delle Assemblee Regionali interessate»; e, quindi, il potere legislativo dello Stato avrà tutti gli elementi necessari per procedere ad una deliberazione ponderata.

Quanto all’articolo 22, dichiara che il Comitato, di fronte alle numerose sollecitazioni e richieste provenienti da Enti e personalità qualificati, fu del parere di non essere sufficientemente istruito per prendere una deliberazione, ma, non intendendo sottrarsi al compito affidatogli, si attenne a quella che gli parve la soluzione meno pericolosa ed avventata.

Per queste ragioni, mentre insiste sulla formulazione dell’articolo 23, si rimette, per quanto riguarda l’articolo 22, al parere della Sottocommissione.

BULLONI è del parere che la seconda Sottocommissione debba deliberare la costituzione di un ristretto comitato interno per l’esame e lo studio delle proposte finora avanzate circa la costituzione di nuove Regioni, al fine di giungere ad una necessaria deliberazione sulle medesime e di presentare all’Assemblea costituente un materiale di discussione già congruamente elaborato in base ai criteri previsti dall’ordine del giorno Conti, con la precisazione proposta dall’onorevole Laconi.

LAMI STARNUTI, alle considerazioni dell’onorevole Ambrosini circa l’articolo 22, aggiunge che la maggioranza del Comitato fu del parere che, se ci si fosse allontanati dai criteri tradizionali rispetto alle Regioni, si sarebbe aperta la corsa ai contrasti più disparati e più pericolosi tra le popolazioni di una medesima zona. Del resto, se la riforma sarà approvata nel testo proposto, nulla impedirà che, in futuri periodi meno agitati, determinate popolazioni possano chiedere ed ottenere a norma dell’articolo 23 di passare ad altra Regione o di erigersi in Regione autonoma.

Per questi motivi, mentre insiste sull’opportunità che la Sottocommissione passi all’esame dell’articolo 22, si dichiara contrario sia all’ordine del giorno dell’onorevole Conti, sia alla proposta dell’onorevole Vanoni, perché tali soluzioni non farebbero altro che dare adito a contrasti e a richieste. Pur apprezzando le opinione e le buone intenzioni degli Enti e delle personalità qualificati, è del parere che la decisione sostanziale debba essere riservata alle popolazioni; e, quindi, poiché il testo proposto dal Comitato di redazione, consentendo ad ogni aspirazione legittima ed opportuna di concretizzarsi a breve scadenza, permette in questo momento di evitare ogni possibilità di immediati contrasti, propone l’approvazione degli articoli 22 e 23 del progetto stesso.

BORDON premette che la Commissione plenaria non mancherà di tenere nel debito conto, sia lo studio che su tale questione è stato preliminarmente compiuto dal Comitato, sia le relazioni che su particolari problemi saranno fatte dall’onorevole Lussu e da altri colleghi, sia infine il lavoro seriamente compiuto dalla Sottocommissione.

Quanto all’elenco delle Regioni, osserva che, mentre per talune non vi è motivo di discussione, per altre non può dirsi altrettanto; e pensa che tali casi controversi possano essere senz’altro affidati ad un ulteriore studio del Comitato di redazione.

Considerando particolarmente l’ordine del giorno Conti, rileva che l’espressione «Regioni circoscritte in modo diverso da quello tradizionale» non precisa nulla e si può prestare ad equivoci; così se, ad esempio, alla parola «tradizionale» si dà il significato di «storico», bisogna precisare da quando si deve cominciare tale esame; altrimenti, per quanto riguarda la Val d’Aosta, si dovrebbe cominciare dal momento in cui essa fu distaccata dalla Savoia ed incorporata nel Piemonte. Di qui l’opportunità di precisare che i ricorsi possono farsi a proposito di Regioni circoscritte in modo diverso da quello tradizionale o non comprese nell’articolo 2 del progetto.

Conclude dichiarandosi favorevole al testo del progetto o, in linea subordinata, all’ordine del giorno Conti, emendato nel senso testé accennato.

VANONI riconosce la gravità delle considerazioni dell’onorevole Lami Starnuti, ma fa presente che, essendosi ormai determinato in tutto il Paese un movimento tendente a discutere le circoscrizioni delle Regioni tradizionali, le attuali difficoltà potrebbero portare taluno alla conclusione che è meglio non parlare più di autonomia regionale.

Riconosciuto che il compito della Sottocommissione – che è quello di raccogliere ed esaminare tutti gli elementi idonei a determinare la delimitazione delle Regioni – è di notevole complessità e richiederebbe anche il compimento di inchieste sul luogo, insiste nella sua proposta, la quale, affidando tale ulteriore studio (che dal punto di vista della competenza rientra sicuramente nei limiti della Sottocommissione) ad altri colleghi, consentirebbe un notevole risparmio di tempo e darebbe modo alla seconda Sottocommissione – che ha compiuto fin qui un lavoro notevole per la mole e per l’importanza – di occuparsi degli altri problemi che ancora deve prendere in esame.

È disposto, in linea subordinata, a modificare la sua proposta, nel senso che il Comitato, quando avrà raccolto tutti gli elementi, dovrà fare delle proposte che saranno vagliate dalla Sottocommissione.

MORTATI rileva l’errore di impostazione in cui è caduto l’onorevole Lami Starnuti, secondo il quale si sfuggirebbe all’obbligo di sentire le popolazioni interessate se si conservassero le Regioni storiche tradizionali. Tale concetto non è esatto dal punto di vista giuridico, perché la Regione non costituisce un’entità giuridicamente esistente, ma una pura delimitazione geografica e non si può, quindi, parlare di un interesse delle popolazioni fondato su elementi geografici.

Conclude affermando che non v’è l’obbligo di sentire le popolazioni e che, se tale obbligo vi fosse, dovrebbe valere anche per le circoscrizioni regionali tradizionali.

GRIECO, premesso che le considerazioni dell’onorevole Lami Starnuti, anche se giuridicamente deboli, sono politicamente forti, chiede che si ponga anzitutto in votazione il mantenimento dell’articolo 22 del progetto. Poiché la Sottocommissione non si può esimere dal suo lavoro, pensa che nel caso che il mantenimento dell’articolo non sia approvato si possa superare l’argomento con l’intesa di ritornare su di esso quando gli onorevoli Lussu, Fuschini e Codacci Pisanelli saranno pronti a riferire sulle varie proposte pervenute: in tal modo sarà possibile arrivare ad una conclusione e prospettare alla Commissione l’opinione della Sottocommissione.

Quanto alla proposta dell’onorevole Vanoni, riconosce che essa è ispirata da profondi motivi di onestà, scientifica e politica; ma pensa che l’istituzione di Commissioni parlamentari con l’incarico di compiere inchieste sui luoghi non possa davvero contribuire ad accelerare i lavori.

BULLONI, poiché la Sottocommissione non può esimersi dal prendere in considerazione tale questione, propone di riprendere l’esame dell’articolo 22 quando il Comitato di redazione avrà concluso i suoi lavori.

LUSSU osserva che la proposta dell’onorevole Lami Starnuti, la quale tende a rinviare alla fine dei lavori della Costituente ogni variazione nelle circoscrizioni regionali, per voler essere troppo politica, rischia di diventare assolutamente impolitica, perché né la Sottocommissione, né l’Assemblea costituente possono ignorare il problema dell’istituzione di nuove Regioni, e quindi sia l’una che l’altra dovranno esprimere in proposito il loro pensiero.

Non ritiene poi necessario quanto propone l’onorevole Vanoni, e cioè che si istituiscano speciali Commissioni con l’incarico di assumere informazioni in loco. È invece del parere che siano sufficienti gli elementi in possesso della Sottocommissione; ma, ove non si ritengano tali, la Sottocommissione potrà dare sulla questione parere negativo, rinviando la decisione dei vari problemi dell’Assemblea costituente.

CONTI, contrariamente a quanto sostiene l’onorevole Lussu, è convinto che gli elementi a conoscenza della Sottocommissione non siano sufficienti per giudicare se le richieste avanzate siano o meno fondate. E poiché nemmeno la Commissione potrà avere tutte le notizie necessarie, insiste nella sua proposta di rinviare ogni decisione all’Assemblea plenaria, la quale – tra due o tre mesi – potrà essere in grado, mercé il maggior numero di dettagli e di documenti a sua disposizione, di decidere su questi argomenti.

AMBROSINI, Relatore, più che accettare subito la proposta dell’onorevole Conti di rimandare senz’altro il problema all’Assemblea plenaria, è del parere che – coerentemente con le precedenti deliberazioni – si invitino i tre colleghi incaricati di riferire sulle varie richieste a dire la loro opinione in proposito. Soltanto allora, se la Sottocommissione riterrà, per mancanza di elementi sufficienti, di non poter prendere una deliberazione, si potrà rimandare ogni decisione all’Assemblea costituente.

RAVAGNAN concorda con gli onorevoli Lami Starnuti e Grieco; e, d’altra parte, riconosce fondata l’osservazione dell’onorevole Conti circa l’insufficienza della documentazione. Poiché non è facile procurarsi elementi sufficienti, né d’altra parte queste richieste, nella quasi totalità, rappresentano l’espressione della volontà delle popolazioni, bensì opinioni di eruditi o di notabili, è anch’egli del parere che la Sottocommissione, dopo aver ascoltato le relazioni dei colleghi incaricati di esaminare tali richieste, possa prendere le proprie deliberazioni che saranno poi sottoposte all’Assemblea costituente.

PRESIDENTE osserva anzitutto che, a suo avviso, non dovrebbe essere accolta la richiesta dell’onorevole Bulloni di costituire un Comitalo interno, che è invece già in funzione (allude al Comitato per le autonomie locali) e non ha mancato di esaminare le numerose richieste di modificazione delle circoscrizioni regionali che, da tempo, sono pervenute.

Riconosce che – come sostengono gli onorevoli Conti e Vanoni – queste decisioni devono essere prese su una base seria; ma ritiene che, né il fatto di prolungare gli studi per un altro mese o due (e ricorda in proposito i lunghi lavori compiuti, senza conclusione concreta, in un passato molto remoto da Comitati e Commissioni), né quello di compiere indagini locali possano contribuire ad illuminare maggiormente la Sottocommissione.

È quindi del parere che il Comitato abbia seguito la via giusta, prendendo una decisione che non lo ha soddisfatto, ma che fra le molte soluzioni non soddisfacenti era ancora la migliore, quando si consideri che né la Sottocommissione, né la Commissione, né l’Assemblea costituente potranno compiere quel lavoro di preparazione, indagine, studio e sintesi, che sarebbe indispensabile per poter dare un giudizio con cognizione di causa.

Dichiara perciò di essere favorevole alla proposta che la Sottocommissione ascolti le relazioni dei tre colleghi e quindi prenda le proprie deliberazioni.

Aggiunge – poiché questi problemi formano una parte inscindibile di quello della struttura regionale – di non ritenere opportuno che la Sottocommissione, che non può limitarsi a studiare l’Ente regione in astratto, ma deve presentare la soluzione del problema con particolare riferimento alle singole Regioni, rinvii la materia in esame alla Commissione plenaria.

BULLONI dichiara di non insistere nella sua proposta, che aveva formulato ignorando che il Comitato per le autonomie regionali si fosse occupato anche di questo argomento.

La seduta termina alle 13.10.

Erano presenti: Ambrosini, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cannizzo, Cappi, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti e Vanoni.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bocconi, Calamandrei, Castiglia, Codacci Pisanelli, Fuschini, Leone Giovanni, Piccioni, Porzio, Rossi Paolo c Zuccarini.

DOMENICA 15 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

67.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI DOMENICA 15 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Commemorazione dell’onorevole Luigi Battisti

Presidente – Di Giovanni – La Rocca.

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Calamandrei – Fabbri – Tosato – Mortati – Ambrosini, Relatore – Uberti – Perassi – Bozzi – Mannironi – Grieco – Targetti – Laconi – Lami Starnuti – Fuschini – Lussu – Vanoni – Nobile – Conti – Bordon.

La seduta comincia alle 17.15.

Commemorazione dell’onorevole Luigi Battisti.

PRESIDENTE è sicuro di interpretare l’unanime sentimento dei colleghi rivolgendo un devoto, commosso pensiero alla memoria dell’onorevole Gigino Battisti, così immaturamente scomparso. Ricorda le sue alte virtù patriottiche e come egli degnamente portasse l’eredità del nome paterno, così profondamente venerato.

DI GIOVANNI, quale compagno di Cesare Battisti nella guerra del 1915-18, sente il dovere di rivolgere un pensiero e un saluto alla vedova dell’Eroe ed alla famiglia tutta del suo figliuolo scomparso.

LA ROCCA prega il Presidente di vedere se non sia il caso di adoperarsi di iniziativa dell’Assemblea in favore della famiglia del caro collega estinto.

PRESIDENTE assicura che si renderà interprete presso il Presidente dell’Assemblea di questa espressione di solidarietà manifestata dal collega La Rocca.

 

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

 

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 20:

«È istituita nella Regione una Corte di giustizia amministrativa le cui decisioni sono impugnabili dinnanzi al Consiglio di Stato.

«Potranno essere istituite Sezioni della Corte in sede diversa dal capoluogo della Regione».

CALAMANDREI ritiene prematuro l’esame di questo articolo. Osserva che presso la seconda Sezione della seconda Sottocommissione, che tratta del potere giudiziario, è in discussione tutto il problema della giustizia amministrativa, che non si sa ancora se sarà mantenuta a sé stante o se verrà considerata come un organo della giurisdizione unica; cioè se, in luogo delle attuali Giunte provinciali amministrative, si avrà presso la Regione un organo indipendente di giustizia amministrativa o se questi organi regionali saranno incardinati nell’ordinamento della giustizia ordinaria.

FABBRI rileva come sia possibile sostenere che la giustizia amministrativa emani dal potere esecutivo o dal potere giudiziario, e ritiene che il problema possa essere trattato qui, se non altro per affermare qualche principio che servirà di norma alla seconda Sezione. Afferma trattarsi di un problema di importanza fondamentale e ricorda le diverse opinioni espresse al riguardo sia dalla Cassazione che dalla Magistratura. Si rimette ad ogni modo al parere della Sottocommissione.

TOSATO è d’accordo con l’onorevole Calamandrei, perché la questione della giustizia amministrativa, più che riguardare l’organizzazione della Regione, riguarda l’ordinamento del potere giudiziario. Per il nesso che esiste fra giustizia amministrativa e potere giudiziario, non ritiene che si possa trattare questo argomento in sede di organizzazione della Regione: ed osserva che le Giunte provinciali amministrative, come sono oggi costituite, non offrono alcuna garanzia. È favorevole al rinvio dell’articolo 20 all’esame della seconda Sezione.

MORTATI vorrebbe che fosse chiarito se queste nuove Corti di giustizia amministrativa sarebbero organi regionali od organi statali: personalmente propende per questa seconda ipotesi.

AMBROSINI, Relatore, osserva che la giustizia amministrativa dovrebbe essere di competenza dello Stato. Ricorda i lavori del Comitato di redazione sulla questione, l’accordo raggiunto sulla creazione di una Corte di giustizia amministrativa e le divergenze sorte circa le modalità di attuazione. Personalmente ritiene che questa Corte debba essere costituita in prevalenza da tecnici e da magistrati ed integrata da elementi elettivi. Non si oppone a che la questione sia rinviata alla seconda Sezione, con l’intesa però che la giustizia amministrativa debba essere di competenza di un organo che ha sede nella Regione.

UBERTI è del parere che la questione possa essere rimessa alla seconda Sezione, salvo poi a ritornare all’esame della seconda Sottocommissione. Circa la composizione di questa Corte di giustizia amministrativa ricorda come in seno al Comitato si sia manifestata, tra le altre opinioni, quella che tale Corte fosse costituita in parte da elementi elettivi ed in parte da tecnici e da funzionari. Il Comitato si è orientato verso una rappresentanza elettiva, ma egli ha l’impressione che la seconda Sezione voglia adottare il criterio di una Corte di giustizia costituita da magistrati. Ad ogni modo, ritiene necessario sostituire un altro organo alle soppresse Giunte provinciali amministrative, per non lasciare una lacuna nell’organizzazione regionale.

PERASSI non trova difficoltà a che si rinvii il problema alla seconda Sezione, in quanto esso si riconnette al problema più generale dell’amministrazione della giustizia. Crede però che quello della giustizia amministrativa debba essere esaminato sotto l’aspetto dell’ordinamento regionale e cita l’esempio dell’ordinamento della Val d’Aosta, in cui si è creata una Giunta giurisdizionale amministrativa costituita con criteri che contemperano le diverse esigenze, poiché è composta da magistrati, da tecnici e da elementi designati dal Consiglio della Valle.

BOZZI non si oppone al rinvio del problema all’esame della seconda Sezione. Ricorda che l’onorevole Calamandrei ha presentato un progetto che riguarda anche gli organi della giustizia amministrativa centrale: la soluzione che a tale riguardo si adotterà riverbererà le sue conseguenze anche sul piano della giustizia amministrativa locale. Si dovrà tenere specialmente conto dei ricorsi che saranno ammessi contro le decisioni dell’organo regionale, per dare a questo una particolare struttura.

CALAMANDREI, affinché il lavoro della seconda Sezione sia fruttuoso, crede che la Sottocommissione potrebbe ora delibare la questione ed esprimere un suo parere circa la composizione di questi organi regionali di giustizia amministrativa e dare anche una indicazione di orientamento sulle due soluzioni che ha già prospettato e che la seconda Sezione dovrà discutere.

DI GIOVANNI ricorda quanto è previsto nello Statuto della Regione siciliana a proposito di questo problema, che ritiene connesso con quello del potere giudiziario.

MANNIRONI non è d’accordo con l’onorevole Calamandrei che si possa fin d’ora utilmente esaminare l’argomento: sarà meglio decidere prima se la Giustizia amministrativa dovrà sopravvivere autonomamente. È d’opinione di rinviare la discussione sull’articolo 20 a dopo che la seconda Sezione si sarà pronunciata nella questione.

PRESIDENTE, riassumendo la discussione, fa presenti le due proposte che sono state fatte circa il rinvio della questione di cui all’articolo 20 all’esame della seconda Sezione, con o senza una delibazione della Sottocommissione. Pone in votazione la proposta di rimettere la questione all’esame della seconda Sezione, senza alcuna preventiva delibazione:

(È approvata).

Dichiara che la discussione sull’articolo 20 è rinviata a dopo che la seconda Sezione avrà fatto conoscere alla Sottocommissione le sue decisioni al riguardo; con l’intesa che nelle sue conclusioni la seconda Sezione terrà conto del lavoro compiuto dal Comitato di redazione in ordine a questo argomento.

Mette in discussione l’articolo 21 del progetto del Comitato di redazione:

«Lo Statuto di ogni Regione sarà deliberato, in armonia ai principî informatori degli articoli precedenti, dalla rispettiva Assemblea regionale, e verrà sottoposto alla ratifica del Parlamento».

GRIECO è contrario a questo articolo e ne propone la soppressione per le ragioni già altra volta esposte. Sarebbe favorevole allo Statuto unico, ma suo parere ciò equivarrebbe – salvo per le quattro Regioni di cui si parla all’articolo 2 – a fare riferimento alla legge comunale e regionale.

MORTATI propone il seguente emendamento:

«Lo Statuto di ogni Regione sarà stabilito in armonia ai principî costituzionali con legge dell’Assemblea regionale deliberata alla presenza di almeno la metà dei membri e con la maggioranza dei due terzi dei voti».

TARGETTI chiede che cosa avverrebbe nel caso di mancata ratifica dello Statuto regionale da parte del Parlamento.

FABBRI aderisce ai concetti esposti dall’onorevole Grieco, ma non sarebbe per l’abolizione assoluta dell’articolo 21, in quanto con ciò si lascerebbe una lacuna nel progetto dell’autonomia regionale. Direbbe quindi: «Lo Statuto della Regione, in armonia ai principî della Costituzione, sarà deliberato in sede di legge comunale e regionale.

AMBROSINI, Relatore, esprime la sua opinione personale. Lo Statuto deve sostanzialmente contenere il regolamento di applicazione delle norme stabilite nella Costituzione: ma sarebbe formalmente una legge della Regione per la quale è prevista l’approvazione del Parlamento. Ritiene che soltanto la parola «Statuto» sia causa di apprensioni, ed egli non esiterebbe a riconnettere il congegno della sua formazione a quello previsto dall’articolo 12, cioè con possibilità di impugnativa da parte del Governo centrale. Con ciò spiega l’inciso dell’articolo 21: «verrà sottoposto a ratifica del Parlamento», che fu dal Comitato preferito all’altro: «sarà approvato dal Parlamento», per rendere più chiaro che ogni Regione ha il modo di attuare i principî stabiliti dalla Costituzione. Così, quando il Parlamento avrà detta l’ultima parola, nessuna controversia sarà più possibile.

Risponde all’onorevole Targetti che, in caso di mancata ratifica dello Statuto regionale da parte del Parlamento, si seguirebbe il principio generale che non può essere se non quello dell’articolo 12, e l’Assemblea regionale sarebbe nuovamente investita della questione.

MORTATI osserva all’onorevole Grieco che un potere di autorganizzazione è stato dato anche al Comune; non crede quindi che lo si possa negare alla Regione: la Regione lo esplicherà nell’ambito della competenza conferitale dalla legge speciale, cioè mediante emanazione del suo Statuto.

LACONI ha rilevato dalla discussione come si parli impropriamente di «Statuto» e quindi vorrebbe che si sostituisse questa parola, la quale non ha senso dopo la elaborazione fatta dalla Sottocommissione di ben 20 articoli i quali costituiscono, a suo parere, il vero Statuto della Regione. Non crede che l’ordinamento della Regione possa essere così fluttuante da seguire la mutevole sorte delle assemblee, e quindi è favorevole alla proposta dell’onorevole Grieco di affidare questa materia ad una legge che fissi l’inquadramento generale della Regione e del Comune, lasciando poi a ciascuna Regione, entro un ambito preciso, la facoltà di regolamentarsi da sé.

LA ROCCA ritiene anch’egli fuori luogo parlare di Statuti particolari delle Regioni e propone che, invece della parola «statuto», si dica «regolamento», come è suggerito da quanto ha detto il Relatore.

AMBROSINI, Relatore, fa presente che questa sarebbe una legge di integrazione e che, con la parola «Statuto», si deve intendere quel complesso di norme che ogni ente si dà all’atto della sua costituzione.

BOZZI non ritiene fondate le preoccupazioni di alcuni colleghi, perché la potestà di emanare lo Statuto spetterebbe sempre alla Regione come ente autonomo, anche se nell’articolo 21 non se ne facesse menzione; perché, in definitiva, tali Statuti non sono altro che regolamenti.

Più grave ritiene la questione se questi Statuti debbano essere sottoposti a ratifica del Parlamento o debbano seguire la procedura normale prevista dall’articolo 12, propria di ogni legge della Regione. Trova una certa contraddizione in quanto ha detto il Relatore, perché, mentre con la procedura dell’articolo 12 il Governo può rinviare o non rinviare al Parlamento o all’Alta Corte costituzionale, per questioni di legittimità o di merito, le deliberazioni delle Regioni, nel caso previsto dall’articolo 21 il Governo avrebbe un’attività vincolata, in quanto dovrebbe rinviare necessariamente lo Statuto che non avesse approvato.

Rileva poi la improprietà della parola «ratifica», poiché qui si è nel campo dell’«approvazione».

La garanzia di questa approvazione non sussisterebbe, se si sopprimesse l’articolo: perciò egli è del parere che lo si debba mantenere.

MANNIRONI propone la seguente formulazione:

«Ogni Regione potrà emanare un Regolamento per l’attuazione delle norme generali costituzionali; tale Regolamento sarà sottoposto all’approvazione prevista dall’articolo 12».

PRESIDENTE suggerisce un emendamento di forma: «sottoposto alla procedura prevista dall’articolo 12».

DI GIOVANNI osserva che il vero Statuto costitutivo della Regione è quello che la Sottocommissione sta ora discutendo, per cui la Regione avrebbe, se mai, il diritto di emanare norme di applicazione, diritto riconosciuto dall’articolo 4, con i temperamenti previsti dall’articolo 12. Riterrebbe quindi superflua una legge speciale intesa come legge regolamentare; ad ogni modo, questa non potrebbe essere uniforme per tutte le Regioni, dovendo adattarsi alle particolari condizioni di ciascuna.

PERASSI rileva la differenza tra il significato giuridico della parola «Statuto», adoperata nell’articolo 2 e nell’articolo 21: nel primo caso si tratta di una legge dello Stato, nel secondo di un atto quale è previsto nella legge istituzionale di un ente; ed in quest’ultimo significato è qui adoperata la parola «Statuto». Questo conterrà quindi tutti quei dettagli non vincolati o precisati dalla Costituzione o dalle leggi integrative: così, ad esempio, lo stabilire l’indennità dei membri dell’Assemblea Regionale, la eventuale suddivisione delle Province in circoscrizioni minori, ecc.

Quanto alla proposta Mortati, rileva che essa contiene una procedura un po’ più complicata di quella prevista dal Comitato, ma accetta il criterio della maggioranza qualificata. Tale proposta, poi, non fa parola dell’intervento dello Stato, mentre quella del Comitato parla di «ratifica» (parola giuridicamente impropria), analogamente a quanto avviene in Svizzera per le Costituzioni cantonali, che debbono essere approvate dall’Assemblea federale. Egli potrebbe accedere alla proposta Mortati nel senso che lo Statuto seguirebbe la sorte della legge ordinaria; ma, per avere maggiori garanzie, crede si potrebbe stabilire che gli Statuti regionali debbano essere sottoposti all’approvazione del Parlamento Nazionale.

GRIECO domanda quale margine potrà restare per lo Statuto regionale se come spesso si è ricordato vi sarà una legge regionale e comunale.

PERASSI ritiene che un margine vi sarà sempre, perché le varie leggi statali, a cui spesso è fatto riferimento nella Costituzione, non potranno regolare se non le materie ad esse dalla Costituzione stessa demandate.

LAMI STARNUTI dichiara che, se per «Statuto» deve intendersi un regolamento interno in senso stretto, ciò lo convince sempre più dell’inutilità dell’articolo 21: aderisce quindi alla proposta di soppressione fatta dall’onorevole Grieco.

FUSCHINI invita i colleghi ad esaminare quanto è stato elaborato finora nei riguardi della struttura speciale dell’ente Regione. Si è tracciata l’ossatura dello Statuto regionale: quello di cui ora si parla non può riguardare che dei modi di esecuzione di determinati principî già elaborati. Pensa quindi che possa esser sufficiente stabilire che l’Assemblea regionale, nella sua potestà regolamentare, fisserà questi modi di esecuzione, in maniera che vi sia una garanzia per tutti. Accetta quindi la proposta dell’onorevole Mortati, che dà questa garanzia imponendo una maggioranza qualificata per l’approvazione degli Statuti regionali.

NOBILE presenta una proposta sostitutiva del seguente tenore:

«Una legge dello Stato stabilirà le norme generali per l’applicazione dell’ordinamento regionale».

MANNIRONI dà ragione del suo emendamento sostitutivo, facendo presente che ha inteso riferirsi ad una attività legislativa della Regione che integri o attui, attraverso norme regolamentari, le norme generali che si stanno delineando nella Costituzione. Afferma che non è esatto dire che quanto si sta facendo in questa sede è lo Statuto definitivo della Regione, perché ciò non basta a far funzionare la Regione. Si richiama alle disposizioni dell’articolo 4-ter, per rilevare la necessità di dare nella Costituzione alle Regioni espresso mandato di esercitare questo potere regolamentare.

LUSSU rileva che la preoccupazione dei colleghi i quali hanno chiesto la soppressione dell’articolo 21 e la richiesta di una legge speciale, nasce forse dal timore di dare ad ogni Regione un carattere eccessivamente particolaristico, a danno della legislazione generale e del potere centrale. Tale preoccupazione, a suo parere, non è fondata, perché vi è sempre la legge costituzionale che detta i principî fondamentali regolatori dell’ente Regione, fuori dei quali vi sarebbe soltanto l’arbitrio. Ricorda che il Comitato, parlando di Statuto, ha inteso appunto parlare dell’organizzazione interna della Regione nei limiti consentiti dai principî fondamentali compresi nella Carta costituzionale. Ritiene che la parola «Statuto» possa far nascere degli equivoci, e che forse sarebbe stato bene adoperarla soltanto per le quattro Regioni a cui fa riferimento l’articolo 2; mentre qui si sarebbe dovuto parlare di «organizzazione interna». Ma osserva che l’essenziale è di consentire che la Regione si costruisca da sé questa organizzazione interna. Fa inoltre presente la garanzia stabilita dall’articolo 21 ed accetterebbe anche la condizione della maggioranza qualificata e della ratifica del Parlamento. Si dichiara perciò favorevole alla conservazione dell’articolo 21, accettando eventualmente una modificazione del termine «Statuto».

UBERTI ritiene che, se si fosse dovuto fare un vero Statuto della Regione, si sarebbero dovuti redigere ben più di 24 articoli, mentre ci si è limitati ai punti fondamentali e sostanziali, a fissare cioè i limiti entro i quali lo Statuto della Regione deve rimanere. Cita l’esempio della Deputazione regionale, per la quale è riservato appunto allo Statuto stabilire il modo di formazione e fissare il numero dei membri: così si dica per i bilanci, per le spese facoltative ecc. Tutta l’organizzazione interna della Regione resta, a suo parere, riservata allo Statuto regionale. Teme che, affidando ad una legge regionale e comunale la facoltà di stabilire questa organizzazione, possa verificarsi qualche intromissione della burocrazia centrale e togliersi così ogni possibilità di affermazione della Regione. Ancor oggi, infatti, in molti casi è l’Amministrazione statale quella che decide in luogo del Parlamento e del Governo. Si dichiara perciò contrario ad un regolamento generale sulle Regioni, che ne vulnererebbe gravemente l’autonomia.

Non fa questione di parole; l’importante è che siano affermati alcuni principî fondamentali, che verranno sviluppati poi diversamente nelle varie Regioni.

Ritiene che l’obbligo della ratifica, mentre impedisce qualsiasi infrazione alle norme fondamentali dello Stato, garantisca una collaborazione effettiva tra il Parlamento e le forze regionali, senza il pericolo di una predisposizione dal centro, fondamentalmente contraria all’autonomia regionale.

Ritiene perciò necessario mantenere l’articolo 21.

VANONI osserva che non si è tenuta abbastanza presente la chiarificazione tecnica data dall’onorevole Perassi, che cioè esiste un zona, una materia di competenza della Regione, che deve essere regolata. Afferma che, se la Regione non ha un suo Statuto, si attenua notevolmente il contenuto dell’autonomia regionale. Il fatto che si passa da uno Stato accentratore ad uno Stato organizzato su basi regionali non deve fuorviare nella valutazione della opportunità di uno Statuto, sulla quale non potrebbe sorgere dubbio se si fosse invece passati dal particolare all’unitario e al centrale.

A proposito delle Regioni già in possesso di un particolare Statuto, dichiara che non si può accettare il concetto di due diversi tipi di autonomia: esso è unico, ma può essere diverso il contenuto concreto delle singole autonomie. Non può aderire, perciò – e parla anche a nome del suo Partito – a quanto risulterebbe dalle affermazioni dell’onorevole Grieco, che solo quattro Regioni hanno l’autonomia e le altre un semplice decentramento amministrativo: vi è, invece, un ordinamento autonomo regionale per tutte le Regioni; ed egli vorrebbe salvato anche il nome di «Statuto», che disciplinerà una autonomia più o meno estesa.

Ritiene però che questa esigenza della regolamentazione delle singole autonomie debba essere realizzata nel quadro dell’unità dello Stato; ed appunto per evitare contrasti, soccorre la proposta di sottoporre gli Statuti regionali all’approvazione del Parlamento, che egli interpreta come un espediente tecnico per realizzare un controllo. Quanto alla esigenza di non permettere una eccessiva divergenza tra i singoli Statuti, crede che possa essere soddisfatta col sistema che vale per tutte le leggi regionali in caso di conflitto di interessi, previsto dall’articolo 12.

NOBILE aderisce alla proposta dell’onorevole Grieco. Non ritiene che si attenui il concetto di autonomia eliminando la parola «Statuto» e prevede gravi divergenze tra uno Statuto e l’altro, se si lascia ad ogni Regione la facoltà di darsene uno. Si preoccupa della esagerazione del concetto di autonomia, che lo porta a pensare alla creazione di dicasteri regionali. Trova giusto che si debba concedere ad ogni Regione la regolamentazione della sua struttura, ma crede sia sufficiente una legge generale di applicazione dell’ordinamento regionale.

Dichiara infine che, nel caso che il suo emendamento non fosse approvato, si assocerebbe alla proposta dell’onorevole Fabbri.

CONTI è d’accordo con l’onorevole Vanoni e ritiene che si debba mantenere il termine «Statuto». Bisogna affermare il diritto di tutte le Regioni di darsi l’ordinamento più confacente ai loro interessi e alla loro natura.

BORDON non ha nulla da obiettare a che si emanino «Statuti» o meglio «Regolamenti» per ogni Regione; ma osserva che non tutte le Regioni vanno poste su uno stesso piano, perché l’effetto giuridico della legge, rispetto all’autonomia, ha un carattere costituzionale speciale per le quattro Regioni di cui all’articolo 2, ed un carattere generale rispetto alle altre. Ricorda il tipo particolare di autonomia che si è dato alla Val d’Aosta.

TOSATO osserva che la questione presenta due aspetti: uno puramente verbale è l’altro sostanziale. Si domanda se deve parlarsi di «Statuto» o di «Regolamento» e risponde che, in quanto ogni ente ha un proprio assetto fondamentale che regola la sua organizzazione e la sua attività, in quanto cioè esso vive, esso ha un proprio «Statuto»: e la parola non deve destare preoccupazioni di sorta.

Ritiene che con questi articoli non si sia fatto lo Statuto della Regione: si sono soltanto date delle norme costituzionali che prevedono la creazione dell’Ente Regione, ma che non gli danno ancor vita, poiché vita gli verrà data solo da un atto concreto, dallo Statuto, il quale dovrà naturalmente rispettare le norme fondamentali già emanate, come limite della sua portata. Ritiene che questo Statuto potrà contenere moltissimo: dall’organizzazione della Deputazione regionale a quella sanitaria, dalla formazione dei diversi uffici all’organico degli impiegati. Pensa che una legge regionale generale per le Regioni darebbe un risultato perfettamente analogo a quello che ha dato la legge provinciale e comunale per i Comuni, ed avrebbe, oltre allo stesso difetto di plasmare tutte le Regioni in egual modo, anche l’altro più grave di limitare di fatto la loro autonomia. Ritiene che, dal momento che si è creata la Regione, è necessario darle una propria individualità e, sempre nell’àmbito della Costituzione, un margine di discrezionalità; e non soffocare l’esigenza fondamentale della sua autonomia.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che la controversia sia più di forma che di sostanza, perché è da tutti riconosciuta la necessità che la Regione perfezioni l’ordinamento stabilito dalla Costituzione. Una volta precisato il significato della parola «Statuto», esso non può suscitare preoccupazioni ed egli non avrebbe difficoltà a proporre che si concretasse non nei limiti di una semplice regolamentazione, ma in base al concetto informatore degli articoli 4 e 4-bis che dànno alla Regione una potestà legislativa ed un potere di integrazione.

Non gli sembra poi di essere caduto nella contradizione di cui ha parlato l’onorevole Bozzi, perché egli prospettò le due possibilità: o la procedura normale dell’articolo 12, come è anche voluta dall’onorevole Mortati o, trattandosi di una norma fondamentale che si differenzia da tutte le altre leggi regionali, quella dell’articolo 21; e il Comitato di redazione – pur obiettandosi da taluno che ciò costituiva una diminuzione dell’autonomia delle Regioni – decise di ricorrere a questa misura estrema dell’articolo 21 per togliere ogni possibilità di preoccupazione.

Quanto alla parola «ratifica», spiega come essa sia stata adottata dal Comitato, quasi a chiarire che non era ancora perfezionato l’atto deliberato dall’Assemblea regionale.

Dati questi chiarimenti, ritiene che si possa approvare senz’altro l’articolo 21 che, con l’obbligo della ratifica, non rende più necessaria, a suo parere, la richiesta di una maggioranza qualificata nella votazione dell’Assemblea regionale.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Vanoni e all’onorevole Mortati che il concetto di autonomia, come quello di forza, è limitato nella misura. Non crede si possano affidare a criteri di autonomia i problemi di organizzazione e di funzionamento delle Regioni e pensa che il popolo italiano, pur differenziato da Regione a Regione, sia per fortuna così unitario da poter condurre tali problemi ad analoghe soluzioni. L’autonomia consiste nel fatto che la Regione ha il potere di decidere su determinate materie, e, a suo parere, si manifesta nel risultato a cui si giungerà applicando la stessa organizzazione ad una materia diversa da Regione a Regione: questa autonomia sarà tradotta in pratica con lo stesso organo e lo stesso funzionamento, ma porterà a conclusioni diverse, non perché vi saranno differenze nell’ordinamento interno, ma perché diverso sarà il modo di pensare di chi sta a capo.

Obietta all’onorevole Tosato che l’atto il quale dà vita alla Regione non è lo Statuto regionale, ma la Carta costituzionale.

TOSATO interrompe per osservare che la Carta costituzionale permette la Regione, ma non le dà vita.

PRESIDENTE risponde che, se così fosse, l’ordinamento regionale sarebbe facoltativo. È anche d’opinione che le diversità tra le varie Provincie, molto meno forti di quelle tra Comune e Comune, non fanno temere che un regime unico possa livellarle in una irreggimentazione nociva.

È d’accordo con l’onorevole Ambrosini nel concetto che lo Statuto regionale non sarà che una integrazione dello Statuto fondamentale della Regione che si sta redigendo; e ritiene che basterebbe aggiungere, alla elencazione dell’articolo 4-bis, che spetta alla Regione anche il potere legislativo sulle norme speciali attinenti al regolamento regionale. Si avrebbero così anche quelle cautele previste dall’articolo 12.

Dichiara di essere personalmente favorevole all’emendamento Mannironi, che vorrebbe completato così: «Ogni Regione potrà emanare un regolamento per l’attuazione delle norme generali costituzionali e delle leggi speciali previste dalla Costituzione attinenti all’ordinamento regionale». In tale forma lo farà suo, qualora l’onorevole Mannironi ritirasse il proprio.

MANNIRONI chiarisce la portata del suo emendamento nel senso che non ha usato la parola «Statuto» unicamente per non far sorgere dubbi sul suo significato; e che, parlando di norme di attuazione, intendeva riferirsi ad un potere non solo regolamentare ma anche d’integrazione, nel senso usato dall’onorevole Tosato, al quale aderisce completamente. Per evitare equivoci ritira l’emendamento proposto.

TOSATO osserva che, se si stabilisse di far riferimento ad una legge regionale generale, la Costituzione e il funzionamento delle Regioni sarebbero rimandate molto a lungo, fino a quando cioè tale legge sarà emanata. Insiste nel suo concetto che la Carta costituzionale creerà la Regione come ente giuridico, ma sarà lo Statuto a darle vita.

LAMI STARNUTI osserva che la compilazione dello «Statuto» potrebbe ritardare il sorgere completo della Regione, e così pure che l’attesa della ratifica o in caso di controversia della decisione della Corte delle garanzie costituzionali, potrebbe paralizzare per lunghi mesi l’attività regionale. Ritiene che sia più semplice approntare una legge costituzionale particolare riguardante le Regioni e i Comuni; ma che, per poter dar vita immediata alla Regione, si potrebbe tener conto di una sua proposta la quale dovrebbe trovar posto nell’articolo 24, contenente norme transitorie per l’estensione alla Regione dell’attuale legge comunale e provinciale. Mantiene la sua adesione alla proposta dell’onorevole Grieco.

MORTATI osserva al Presidente che, se l’autonomia della Regione può esplicarsi nel campo funzionale e non organizzativo, ciò dovrebbe valere anche per le quattro Regioni di cui all’articolo 2. Ma ritiene che la questione sostanziale stia nel vedere se, oltre al regolamento regionale consacrato nello Statuto, e oltre alle leggi speciali citate in singoli articoli, vi sia un margine per una legge ordinaria per l’organizzazione uniforme delle Regioni. Questo punto, accennato dall’onorevole Grieco, non è stato chiarito.

PRESIDENTE fa notare che per le Regioni di cui all’articolo 2 la questione si pone diversamente, e distingue tra esse le Regioni mistilingui, per le quali è prevista nello Statuto la possibilità per le due parti di influire egualmente nella vita della Regione.

Quanto al quesito posto dall’onorevole Mortati, gli sembra che una risposta si sia data quando furono esaminati gli articoli 3, 4 e 4-bis e quando si parlò di legislazione primaria e di legislazione concorrente: una proposta circa la facoltà della Regione di potersi dare quella organizzazione non prevista dalle leggi fondamentali avrebbe dovuto farsi in quella sede.

PERASSI ricorda che allora si disse che questa materia regolamentare avrebbe dovuto essere esaminata a proposito dell’articolo 21; e che lo Statuto regionale non fu elencato tra le materie per le quali si dà alle Regioni il potere di integrazione, appunto perché esso rientrava nella disposizione dell’articolo 21.

GRIECO prega l’onorevole Vanoni di non voler vedere in quanto egli ha detto l’intenzione di attenuare l’autonomia regionale, sulla quale ha già dichiarato senza reticenze il suo pensiero.

Rispondendo all’onorevole Mortati, crede che vi sia un margine per una legge regionale e comunale ed, a tale proposito, modifica la sua precedente proposta di soppressione dell’articolo – aderendo in ciò a quanto ha detto l’onorevole Fabbri – nella seguente sostitutiva: «La legge regionale e comunale stabilirà le norme per l’applicazione dei principî indicati negli articoli precedenti».

VANONI ritiene che, se si approvasse la proposta dell’onorevole Grieco, si potrebbe considerare assolutamente inutile ai fini costituzionali tutto il lavoro finora svolto: il contenuto di una legge siffatta sarebbe non costituzionale, ma amministrativo, e non si creerebbe più un ordinamento delle Regioni autonome, ma un ordinamento di decentramento amministrativo. Se si vuole svuotare l’autonomia regionale di qualsiasi contenuto, lo si dica ben chiaro; se invece si vuol salvare l’autonomia, bisogna dire che essa si fonda sugli Statuti, nei limiti dei principî già elaborati.

FABBRI aderisce in sostanza a quanto ha detto l’onorevole Grieco. Non crede pensabile che lo Stato non debba emanare norme anche di carattere formale: si richiede quindi, per chi le deve applicare, un certo ordinamento uniforme. Crede perciò che anche negli Statuti regionali molte disposizioni, ad esempio quelle riguardanti i bilanci, dovranno essere uniformi, e per questo egli ha presentato il suo emendamento. Poiché nella Costituzione non si è detto nulla, è bene che sia previsto in una legge comunale e regionale, lasciando una certa facoltà di temperamento agli Statuti.

PRESIDENTE fa presente che le proposte degli onorevoli Grieco e Nobile, per affinità di conclusione, si potrebbero votare insieme. L’onorevole Grieco ha modificato la sua proposta così: «Una legge costituzionale stabilirà le norme di applicazione dei principî indicati negli articoli precedenti».

NOBILE dichiara di rinunciare alla sua proposta e di associarsi a quella dell’onorevole Grieco.

AMBROSINI, Relatore, poiché nella proposta dell’onorevole Grieco si parla di una legge di carattere costituzionale, fa notare che il legislatore costituente non ha bisogno dell’autorizzazione della Commissione per fare quello che vuole.

MORTATI ritiene sia grave stabilire con legge costituzionale delle modalità che erano state rinviate alla legge ordinaria; non crede nemmeno sia raccomandabile appesantire una Costituzione di tipo rigido come quella che si vuole creare.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Grieco alla quale si è associato l’onorevole Nobile.

(Non è approvata).

Mette ai voti l’emendamento sostitutivo proposto dall’onorevole Fabbri:

«Lo Statuto della Regione, in armonia ai principî della Costituzione, sarà deliberato in sede di legge comunale e regionale».

VANONI dichiara che voterà contro, perché è già prevista una legge per la materia finanziaria che regolerà tutti i casi. Osserva che gli interessi di carattere generale sono tenuti nel debito conto dai singoli Statuti, in una forma che non contraddice al principio di autonomia.

LUSSU e MORTATI dichiarano che voteranno contro.

(Non è approvata).

PRESIDENTE ricorda di aver fatto proprio l’emendamento aggiuntivo ritirato dall’onorevole Mannironi, nella seguente formulazione:

«Ogni Regione potrà emanare un regolamento per l’attuazione delle disposizioni generali costituzionali e delle leggi speciali previste dalla Costituzione attinenti all’ordinamento regionale. Tale regolamento sarà sottoposto alla procedura prevista dall’articolo 12».

MANNIRONI ritiene che, in luogo di «regolamento», si potrebbe dire «norme».

PRESIDENTE accetta e mette ai voti l’emendamento aggiuntivo così modificato.

VANONI voterà contro, in considerazione del valore che egli ha dichiarato di attribuire alla parola «Statuto».

LUSSU non avrebbe approvato la parola «regolamento» e non accetta neanche l’altra «norme», che non ha il significato di ordinamento interno del quale appunto si tratta. Voterà contro.

(Non è approvato).

Rilegge la formula proposta dall’onorevole Mortati:

«Lo Statuto di ogni Regione sarà stabilito in armonia ai principî costituzionali con legge dell’Assemblea nazionale deliberata alla presenza di almeno la metà dei membri e con la maggioranza di due terzi di voti».

CONTI propone il seguente emendamento aggiuntivo: «e da approvarsi con legge dello Stato». Questa frase sostituirebbe quella che si trova nel progetto del Comitato: «…e verrà sottoposto alla ratifica del Parlamento».

AMBROSINI, Relatore, accetta la prima parte della proposta Mortati, che concorda con quella del Comitato. Crede sarebbe opportuno, nella seconda parte, mantenere il sistema proposto dal Comitato, che viene a diradare molti equivoci ed accederebbe perciò all’emendamento presentato dall’onorevole Conti.

LUSSU propone di emendare la proposta Mortati dicendo, invece di «Statuto», «ordinamento interno», allo scopo di differenziare le quattro Regioni indicate nell’articolo 2.

VANONI si rivolge alla sensibilità politica dell’onorevole Lussu, come lui convinto autonomista, perché non comprende come egli voglia che alcune Regioni siano poste in condizioni di inferiorità, cioè in una diversa situazione giuridica rispetto ad altre. Se l’autonomia non deve essere eguale per tutte, si va incontro ad una forma di decentramento amministrativo.

PRESIDENTE mette ai voti la seguente formulazione proposta dall’onorevole Lussu:

«L’ordinamento interno di ogni Regione sarà stabilito in armonia ai principî costituzionali».

(Non è approvata).

Pone in votazione la prima parte della formulazione dell’onorevole Mortati:

«Lo Statuto di ogni Regione sarà stabilito in armonia ai principî costituzionali con legge dell’Assemblea regionale».

(Con 15 voti favorevoli e 12 contrari, è approvata)

Mette ai voti la seconda parte della proposta Mortati: «deliberata alla presenza di almeno la metà dei membri e con la maggioranza dei due terzi dei voti».

(Con 12 voti favorevoli e 8 contrari, è approvata).

Fa presente che a questo punto si inserisce l’emendamento dell’onorevole Conti così formulato: «e da approvarsi con legge dello Stato». Lo pone ai voti.

(È approvato).

Legge il testo definitivo dell’articolo 21:

«Lo Statuto di ogni Regione sarà stabilito in armonia ai principî costituzionali, con legge dell’Assemblea regionale deliberata alla presenza di almeno la metà dei membri e con la maggioranza dei due terzi dei voti e da approvarsi con legge dello Stato».

La seduta termina alle 20.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cannizzo, Cappi, Castiglia, Conti, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni.

Assenti: Bocconi, Codacci Pisanelli, De Michele, Einaudi, Leone Giovanni, Piccioni, Porzio, Rossi Paolo, Zuccarini.

SABATO 14 DICEMBRE 1946 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
(SECONDA SEZIONE)

5.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 14 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Potere giudiziario (Seguito della discussione)

Presidente – Leone Giovanni, Relatore – Calamandrei, Relatore – Targetti – Bulloni – Laconi – Bozzi – Mannironi – Cappi – Ravagnan – Di Giovanni.

La seduta comincia alle 9.

Seguito della discussione sul potere giudiziario.

PRESIDENTE avverte che prosegue l’esame dell’articolo 4 del progetto Calamandrei.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone che l’articolo sia così modificato: «La sentenza irrevocabile non può essere annullata o modificata, neppure con legge, eccetto il caso della legge penale abrogativa e delle impugnazioni straordinarie.

«L’esecuzione della sentenza irrevocabile non può essere sospesa, eccetto i casi espressamente previsti dalla legge».

CALAMANDREI, Relatore, osserva che l’espressione usata nella formula Leone è tautologica, perché, se la sentenza è irrevocabile, evidentemente non può essere annullata o modificata in nessun caso.

Avverte che qui si tratta di stabilire che la sentenza, esperiti tutti i rimedi ordinari e straordinari, non può essere annullata né modificata, neppure con l’intervento del potere legislativo. Propone quindi la seguente formulazione:

«La sentenza, non più impugnabile con rimedi giudiziari, non può essere annullata o modificata neanche con atti del potere legislativo, eccettuati i casi della legge penale abrogativa».

Fa rilevare che con tale formula si verrebbe ad escludere anche il caso della impugnazione straordinaria.

LEONE GIOVANNI, Relatore, chiarisce che, con il termine «irrevocabile», aveva voluto precisamente dire che contro le sentenze non sono sperimentabili i rimedi ordinari ammessi dalle leggi, nel senso inteso dall’onorevole Calamandrei. Fa notare che lo stesso termine è usato, con analogo significato, nell’articolo 576 del Codice di procedura penale, che dice: «Sono irrevocabili le sentenze contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione».

CALAMANDREI, Relatore, osserva che, mentre le sentenze che il Codice di procedura penale definisce irrevocabili sono sempre soggette al procedimento di impugnazione straordinaria, nel caso in esame si tratta di escludere la possibilità dell’impugnazione mediante atto di altro potere.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone allora di dire: «La sentenza non può essere soggetta ad impugnazione», esprimendo però il timore che, in sede di delibazione, si possa pensare che la Costituzione impedisca la disciplina dell’impugnazione straordinaria.

TARGETTI propone la dizione: «La sentenza, non più soggetta ad impugnazione giudiziaria di qualsiasi specie…».

LEONE GIOVANNI e CALAMANDREI, Relatori, si dichiarano d’accordo.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene inutile il capoverso dell’articolo proposto, rilevando che, nella parte riguardante il potere legislativo, si tratterà degli istituti dell’indulto e dell’amnistia, mentre la grazia rientrerà nelle prerogative del Capo dello Stato.

TARGETTI osserva che, se non se ne parlasse in questa sede, vi sarebbe contradizione tra il disposto del primo comma dell’articolo e le affermazioni su quei tre istituti, inserite in altre parti della Costituzione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ricorda che una legge si deve interpretare nel complesso delle sue norme, ed è evidente che, se in una parte della Costituzione si dice che l’amnistia estingue il reato e che la grazia è una prerogativa del Capo dello Stato, si ammette l’esistenza di tali istituti e non vi sarà contradizione con le disposizioni sull’immutabilità del giudicato. È tuttavia disposto a che sia inserita, per inciso, l’ammissione dei tre istituti nell’articolo in esame, facendo però rilevare che, con la frase «è fatta eccezione per il giudicato penale», sembra che si voglia svalutare una serie di giudicati.

BULLONI, riferendosi al primo comma dell’articolo, insiste affinché sia mantenuto il termino «immutabile».

LACONI fa presente che è principio accettato quello per cui nessuno può essere punito per un fatto che, per legge posteriore, costituisca reato, principio che risulterebbe in contraddizione, almeno formale, con l’articolo in esame.

BOZZI è contrario al termine «immutabile», che dà un tono quasi scolastico all’articolo, e ritiene che possa essere soppresso o che altrimenti debbano essere tolte le parole: «non può essere modificata o annullata».

LEONE GIOVANNI, Relatore, concorda con l’onorevole Bozzi, rilevando che il concetto del termine «immutabile» è implicito, quando si dice che «la sentenza non può essere modificata o annullata». Non ritiene invece che il dubbio espresso dall’onorevole Laconi abbia ragione di essere, pur riconoscendo che si dovrebbe trovare una formulazione più chiara dell’articolo riguardante la irretroattività. Propone a tal fine di adottare l’articolo 2 del Codice penale.

CALAMANDREI, Relatore, pensa che l’articolo potrebbe essere così formulato:

«La sentenza, non più soggetta ad impugnazione straordinaria di qualsiasi specie, è immutabile, né potranno esserne modificati gli effetti per atti del potere legislativo, ad eccezione dei soli casi di legge penale abrogativa e dell’esercizio del potere di amnistia, indulto e grazia secondo le norme della presente Costituzione».

LEONE GIOVANNI, Relatore, è d’accordo, in linea di massima, su questa formulazione Calamandrei, ma fa presente che gli effetti penali sono una parte limitata degli effetti veri e propri del giudicato penale, che la dottrina non è riuscita a individuare tutti con precisione. Ora, con la formulazione proposta, sembrerebbe che tutti gli effetti del giudicato penale possano essere modificati. A suo avviso, quindi, si deve trovare una formula, identica nel contenuto, ma meno pericolosa di quella proposta. Ricorda in proposito che, secondo il Codice penale del 1930, l’amnistia estingue il reato e perciò anche i suoi effetti.

LACONI avverte che il Comitato di redazione, esaminando in una delle sue sedute il problema della irretroattività della legge e della irrevocabilità del giudicato, ha messo in evidenza la necessità di non prevedere soltanto il caso di revoca per determinati reati, ma anche quello della diminuzione della pena. Fa osservare che nella proposta Calamandrei non è previsto il caso della disposizione più favorevole al reo.

LEONE GIOVANNI, Relatore, chiede se il Comitato di redazione sia d’avviso di mantenere l’attuale sistema legislativo, nel senso che la disposizione più favorevole giova al reo solo se è stata emanata prima del giudizio, o se voglia estenderlo anche al caso che sia stata emanata dopo il giudizio stesso. Con il Codice penale vigente vi sono due possibilità: o la legge abrogativa, o la lex mitior: la prima tocca il giudicato, mentre la seconda interviene solamente se ancora questo non si è formato. Quindi, se il Comitato di coordinamento intende mantenere l’attuale sistema, il rilievo non ha ragione d’essere.

LACONI risponde che il Comitato non è giunto a delle conclusioni, ma che la tendenza è di adottare il sistema più lato.

CALAMANDREI, Relatore, propone la seguente nuova formulazione:

«La sentenza, non più soggetta ad impugnazioni giudiziarie di qualsiasi specie, è immutabile. Non potrà esserne modificata o sospesa la efficacia neanche per atti del potere legislativo, all’infuori dei casi di legge penale abrogativa o più favorevole al reo, e dell’esercizio del potere di amnistia, indulto e grazia, secondo le norme della presente Costituzione».

BOZZI osserva che in tale formula sembra che la grazia sia un esercizio di potere e che si voglia costituire un’eccezione per il potere legislativo.

TARGETTI non ritiene esatto, dal punto di vista giuridico, dire che l’amnistia modifica e toglie efficacia al giudicato penale.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone allora di adottare la formula proposta nella relazione presentata dalla Corte di cassazione («La sentenza non più impugnabile non potrà essere annullata o modificata neppure per legge, eccetto i casi di legge penale abrogativa, di amnistia, di indulto e di grazia»), nella quale non si prende posizione sul problema di togliere o meno efficacia agli effetti del giudicato.

MANNIRONI chiede all’onorevole Calamandrei se, dicendo che le sentenze non sono più soggette a impugnazioni giudiziarie, intenda comprendere anche la revisione e la revoca.

CALAMANDREI, Relatore, risponde che con la frase «di qualsiasi specie» si comprendono tutti i casi.

Ritiene che si potrebbe anche dire: «La sentenza non più soggetta ad impugnazione giudiziaria di qualsiasi specie è immutabile e non può essere modificata né sospesa neanche per atto del potere legislativo all’infuori, ecc.».

LEONE GIOVANNI, Relatore, desidera che si eviti una casistica che non prevederebbe tutte le ipotesi. A suo parere bisognerebbe affermare nel primo comma dell’articolo che: «La sentenza non può essere annullata o modificata» (con le eccezioni previste) e nel capoverso che «l’esecuzione del giudicato irrevocabile non può essere sospesa eccetto i casi espressamente previsti dalla legge»; così da lasciare la possibilità della sospensione dell’esecuzione del giudicato penale che potrebbe anche essere prevista per taluni casi della materia civile.

BOZZI propone la seguente formula:

«La sentenza non più soggetta ad impugnazioni giudiziarie di qualsiasi specie è immutabile e non può essere annullata o modificata, neanche per atti del potere esecutivo o legislativo, tranne che nei casi di legge penale abrogativa, di amnistia, di indulto e di grazia.

«L’esecuzione della sentenza irrevocabile non può essere sospesa, se non nei casi espressamente previsti dalla legge».

PRESIDENTE fa osservare che, dal punto di vista della concordanza formale tra la prima e la seconda parte, l’accenno al potere legislativo dovrebbe precedere quello al potere esecutivo.

LACONI, dopo le parole «legge penale abrogativa», aggiungerebbe le altre: «o modificativa» ovvero «o più favorevole».

PRESIDENTE è d’accordo di inserire le parole «o più favorevole», ponendole tra parentesi e con un punto interrogativo, per richiamare l’attenzione del Comitato di redazione stilla questione.

Mette ai voti l’articolo così definitivamente formulato:

«La sentenza, non più soggetta ad impugnazione di qualsiasi specie, è immutabile; e non può essere annullata o modificata, neanche per atto del potere legislativo o esecutivo, salvo i casi di legge penale abrogativa (o più favorevole?), di amnistia, di indulto e di grazia.

«L’esecuzione della sentenza irrevocabile non può essere sospesa, se non nei casi espressamente previsti dalla legge».

LEONE GIOVANNI, Relatore, dichiara di votare a favore, con la riserva che, essendo egli contrario all’amnistia, riproporrà la questione in altra sede.

(È approvato).

PRESIDENTE, dopo aver ricordato che l’esame dell’articolo 10 del progetto Patricolo è rinviato in sede di discussione sulla Suprema Corte costituzionale, pone in discussione l’articolo 5 del progetto Calamandrei:

«Garanzia del giudice precostituito.

«Nessuno può essere sottratto alla competenza del giudice che già si trova precostituito per legge al momento in cui avviene il fatto da giudicare: non potranno perciò, neanche per legge, essere istituiti tribunali straordinari per giudicare su fatti già avvenuti».

CALAMANDREI, Relatore, fa notare che tale articolo non è altro che la traduzione in linguaggio tecnico della formula dello Statuto albertino: «Nessuno può essere sottratto ai suoi giudici naturali». Gli sembra che, anche formalmente, parlare di giudici «naturali» sia improprio, perché si potrebbe dubitare che esistano anche dei giudici… «artificiali».

LEONE GIOVANNI, Relatore, segnala l’opportunità di introdurre nelle norme transitorie della Costituzione un articolo che disciplini una particolare forma di impugnazione straordinaria avverso le sentenze dei Tribunali straordinari in vigore, in particolare i Tribunali militari straordinari per le rapine.

Inoltre, dato che la prima Sottocommissione ha già formulato un articolo analogo, propone che l’articolo, dopo attento esame, venga immediatamente inviato al Comitato di redazione.

BOZZI approva la formula dell’onorevole Calamandrei, salvo a sostituire le parole: «alla competenza del giudice che già si trova precostituito» con le altre: «al giudice precostituito».

TARGETTI invece dell’espressione: «al momento in cui avviene il fatto» direbbe «al momento del fatto».

CAPPI sopprimerebbe anche le parole «neanche per legge».

PRESIDENTE non sopprimerebbe tali parole, in quanto, a suo avviso, servono a rafforzare il concetto.

Sostituirebbe invece alla parola «neanche» l’altra «neppure».

LACONI fa presente che, dicendosi: «Tribunali straordinari per giudicare su fatti già avvenuti», si restringe il concetto.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ricorda all’onorevole Laconi che il principio della irretroattività della giurisdizione ordinaria è previsto in una successiva norma.

BOZZI crede che l’articolo potrebbe essere così formulalo:

«Nessuno può essere sottratto al giudice precostituito per legge al momento del fatto. Non potranno perciò essere istituiti, neppure per legge, tribunali straordinari per giudicare su fatti già avvenuti».

PRESIDENTE mette in votazione l’articolo 5 nella dizione di cui ha dato lettura l’onorevole Bozzi, con l’avvertenza che, se approvato, sarà immediatamente trasmesso al Comitato di redazione.

(È approvato).

Da lettura dell’articolo 6:

«Pubblicità delle udienze: principio del contradittorio.

«Le udienze sono pubbliche ed i dibattimenti si svolgono oralmente, in quanto la legge non disponga altrimenti nell’interesse della giustizia e dell’ordine pubblico.

«Nessuna causa può essere giudicata, se non dopo che sia stata data alle parti, secondo la legge, la possibilità di essere udite a propria difesa».

Apre la discussione sul primo comma.

CAPPI teme che quanto attiene alla moralità non possa ritenersi compreso nell’ordine pubblico. Fa poi rilevare che l’espressione «in quanto la legge non disponga altrimenti» non può riferirsi alla oralità del dibattimento, ma solo alla pubblicità delle udienze. Si dovrebbe perciò modificare convenientemente la forma del primo comma.

CALAMANDREI, Relatore, ritiene che la questione di forma potrebbe essere superata, sopprimendo l’accenno alla oralità del dibattimento.

Circa la questione della moralità, dopo le parole «ordine pubblico» aggiungerebbe le altre «e del buon costume».

TARGETTI, non ritenendo cosa facile lo specificare le eccezioni al principio della pubblicità delle udienze, farebbe riferimento solo ai divieti che potranno essere posti dalla legge procedurale. Formulerebbe, pertanto, così il comma:

«Le udienze sono pubbliche, in quanto la legge procedurale non disponga altrimenti».

BOZZI propone la soppressione di tutto il primo comma, non perché lo ritenga non importante, ma in quanto i principî contenuti sono talmente acquisiti nei codici che gli sembra inutile ripeterli nella Costituzione.

CALAMANDREI, Relatore, crede che principî che non possano essere violali, perché acquisiti nelle leggi o nei codici, non esistano, e se ne è avuta la prova nel ventennio fascista.

LEONE GIOVANNI, Relatore, fa rilevare che, se l’articolo si limita ad affermare solo che le udienze sono pubbliche, il legislatore non potrà in nessun caso stabilire delle eccezioni. D’altra parte, se si dicesse: «salvo i casi previsti dalla legge», si cadrebbe nell’eccesso opposto, in quanto si darebbe modo ad una fazione che, diventata maggioranza, andasse al potere, di stabilire che i processi per determinali reati, per esempio politici, si celebrino a porte chiuse.

Il problema, quindi, è di trovare una formula intermedia, che abbia la sinteticità di una legge costituzionale o disciplini nel modo più rigoroso possibile i casi di eccezione. Per questo motivo nella sua formulazione si era riferito all’articolo 423 del Codice di procedura penale, non certamente per inserire nella Costituzione il richiamo ad un articolo del Codice, ma per richiamare l’attenzione della Sottocommissione sulla casistica contenuta in tale articolo. Fa infine rilevare che, essendo l’esigenza della pubblicità richiesta maggiormente por le cause penali, sarebbe più esatto parlare di dibattimenti, invece che di udienze.

TARGETTI insiste sull’opportunità di non fare una casistica nella Costituzione.

BOZZI, per mettere in evidenza che normalmente le udienze devono essere pubbliche, salvo deroghe di carattere eccezionale, propone la seguente dizione:

«Le udienze giudiziarie sono pubbliche, salvo i casi eccezionali stabiliti dalla legge».

RAVAGNAN sarebbe favorevole alla formula adottata dal progetto della Corte di cassazione, che è analoga a quella proposta dal progetto dell’Associazione dei magistrati:

«Le udienze sono pubbliche, salvo esigenze di moralità o di ordine pubblico».

MANNIRONI nota che la proposta dell’onorevole Targetti è meno restrittiva, in quanto rimette al legislatore penale la fissazione delle eccezioni alla pubblicità delle udienze. Ad ogni modo, dichiara di essere favorevole alla formula della Cassazione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, teme che, adottando la formula della Cassazione, qualunque legge che limiti la pubblicità delle udienze, per motivi che non siano strettamente di moralità o di ordine pubblico, potrebbe essere dichiarata incostituzionale.

DI GIOVANNI desidera che sia conservato il principio della oralità dei dibattimenti, che è stato anche affermato in un recentissimo progetto del Guardasigilli.

BOZZI, d’accordo con l’onorevole Leone, propone la seguente dizione: «Le udienze giudiziarie sono pubbliche. Il giudice tuttavia può disporre la segretezza con provvedimento motivato, solo per casi di moralità e di ordine pubblico».

CALAMANDREI, Relatore, formulerebbe così il comma:

«I dibattimenti si svolgono oralmente. Le udienze giudiziarie sono pubbliche, in quanto la legge non disponga altrimenti, per ragioni di ordine pubblico e del buon costume».

MANNIRONI, invece delle parole «del buon costume», direbbe «di moralità». Sopprimerebbe poi la parola «giudiziarie» perché superflua.

BOZZI, più precisamente, da un punto di vista formale, modificherebbe così l’ultima parte «…in quanto la legge per ragioni di ordine pubblico o di moralità non disponga altrimenti».

PRESIDENTE crede che la formula definitiva del primo comma possa essere la seguente:

«I dibattimenti si svolgono oralmente; le udienze sono pubbliche in quanto la legge, per ragioni di ordino pubblico o di moralità non disponga altrimenti».

La mette ai voti.

(È approvata).

Apre la discussione sul secondo comma:

«Nessuna causa può essere giudicata, se non dopo che sia stata data alle parti, secondo la legge, la possibilità di essere udite a propria difesa».

LEONE GIOVANNI, Relatore, fa presente che nel corrispondente articolo 20 della sua relazione è stato, per errore tipografico, omesso un comma del seguente tenore:

«All’imputato deve essere riconosciuto il diritto all’assistenza difensiva anche durante l’istruzione».

LACONI rileva che il contenuto del capoverso in esame coincide con un articolo formulato dalla prima Sottocommissione, e già coordinato in sede di Comitato di redazione:

«Ogni cittadino può agire in giudizio per la tutela del proprio diritto. La difesa in ogni stadio e grado del procedimento è un diritto inviolabile».

Ritiene che con questa formula si comprenderebbe anche la fase istruttoria.

CALAMANDREI, Relatore, osserva che la formula da lui proposta non fa che riprendere quella del diritto romano: Nemo inauditus damnari potest. Dichiara di essere favorevole a tale formulazione, dato che in materia civile vi sono casi in cui il contradittorio è differito (procedimento monitorio o sequestro) e altri nei quali il giudice emana il provvedimento inaudita altera parte. Per ovviare a ciò, ha inserito l’espressione «secondo la legge», che sta a significare che la legge procedurale concederà alla parte la possibilità di difendersi, col mezzo dell’opposizione. Così nel campo penale vi è il decreto penale, col quale la parte può essere condannata prima di essere udita, salvo poi il diritto di fare opposizione.

LACONI ritiene che la formula della prima Sottocommissione sia comprensiva e soddisfi tutte le esigenze. Sarà il legislatore che, in concreto, concederà il diritto alla difesa, che potrà essere esercitata personalmente per quanto attiene alla materia penale, o per mezzo di un procuratore in materia civile. Ciò che interessa è fissare nella Costituzione il principio del diritto alla difesa in ogni grado e stadio del procedimento.

DI GIOVANNI osserva che il principio affermato dalla prima Sottocommissione costituisce un’affermazione astratta, quella cioè dell’inviolabilità del diritto alla difesa, mentre la formula Calamandrei si riferisce all’applicazione pratica del principio stesso.

PRESIDENTE è d’avviso che non si debba discutere sull’articolo approvato dalla prima Sottocommissione, ma che si possa soltanto dire che la Sezione vi aderisce, lasciando poi al Comitato di redazione il compito di provvedere al coordinamento, in sede più opportuna.

TARGETTI ritiene che sia proprio questa la sede più opportuna, in quanto, dopo aver sancito che il dibattito deve essere pubblico e orale, è bene dire che chi è interessato al dibattito stesso deve avere diritto alla difesa.

BULLONI, sulla formula proposta, osserva che si deve tener presente che il Codice di procedura militare non consente la difesa nel periodo istruttorio. Ritiene pertanto che bisognerebbe stabilire fin da ora che anche il Codice di procedura penale militare dovrà essere modificato.

PRESIDENTE risponde che, una volta emanata la Costituzione, evidentemente le leggi dovranno essere modificate e adattate ad essa.

LEONE GIOVANNI, Relatore, informa che si sta già predisponendo una legge affinché sia modificato il Codice di procedura penale militare.

CAPPI propone, allo scopo di togliere parole superflue, la seguente formulazione:

«Nessuno può essere giudicato, se non dopo aver avuto la possibilità di essere udito a propria difesa».

CALAMANDREI, Relatore, preferirebbe dire:

«Nessuno può essere giudicato, se non dopo avergli dato, secondo la legge, la possibilità di essere sentito».

BOZZI osserva che, con la formula proposta dall’onorevole Cappi, non potrebbe più emanarsi il decreto penale.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene accettabile la formula proposta dalla prima Sottocommissione. Crede che nella Costituzione non si debba scendere al dettaglio, ma soltanto riconoscere che è necessario assicurare la difesa in ogni grado e stadio del procedimento, avuto particolarmente riguardo alla materia penale e alla giurisdizione militare. Dichiara di avere tuttavia il timore che, con l’espressione «diritto alla difesa», si possa intendere la difesa personale ed escludere quindi quella tecnica.

BULLONI fa rilevare che dicendo: «la difesa in ogni stadio e grado del procedimento è un diritto inviolabile», si fa riferimento alla difesa tecnica e si sottintende che l’imputato può personalmente rendere il suo interrogatorio.

Si domanda però se, nella formulazione di tale principio, possa rientrare anche il diritto del difensore di assistere al primo interrogatorio dell’imputato da parte del magistrato, che è l’atto essenziale di ogni procedimento penale. Ricorda che in Francia ogni imputato ha diritto all’assistenza del difensore, anche durante questa prima fase.

BOZZI ritiene troppo vaga la formula adottata dalla prima Sottocommissione e anche pericolosa per quel che riguarda il procedimento monitorio civile e il decreto penale di condanna. Ritiene quindi che vi dovrebbe essere aggiunta l’espressione «le forme stabilite dalla legge».

PRESIDENTE pone in votazione la formula approvata dalla prima Sottocommissione, con l’aggiunta proposta dall’onorevole Bozzi:

«La difesa in ogni stadio o grado del procedimento, nelle forme stabilite dalla legge, è un diritto inviolabile».

Tale formula formerà il capoverso dell’articolo in discussione.

(È approvata).

Apre la discussione sull’articolo 7 del progetto Calamandrei:

«Motivazione delle sentenze.

«Le sentenze e gli altri provvedimenti dei giudici devono essere motivate»;

e sulla corrispondente formulazione proposta dall’onorevole Leone:

«Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati».

LEONE GIOVANNI, Relatore, comunica che l’onorevole Calamandrei ha accettato la formula da lui proposta, ritenuta meglio rispondente al principio da affermare, in considerazione dei provvedimenti del giudice riguardanti disposizioni regolamentari, i quali non richiedono la motivazione. Ricorda che, nell’attuale disciplina degli atti emanati dal giudice, vi sono tre forme: la sentenza, l’ordinanza e il decreto. La sentenza e l’ordinanza hanno un carattere giurisdizionale, mentre il decreto ha carattere amministrativo. La dottrina e la legislazione sono d’accordo nel richiedere la motivazione soltanto per i provvedimenti che abbiano carattere essenzialmente giurisdizionale, cioè per quei provvedimenti che risolvono un conflitto fra due parti; mentre il decreto, puramente amministrativo, non è mai stato motivato. Per queste considerazioni, la frase «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati» è più esatta, perché limitativa dell’obbligo della motivazione soltanto alla sentenza e all’ordinanza, che rivestono carattere giurisdizionale.

PRESIDENTE pone in votazione la formula proposta dall’onorevole Leone.

(È approvata).

La seduta termina alle 10.15.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Di Giovanni, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti.

Assenti: Patricolo, Porzio e Uberti.

SABATO 14 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

66.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 14 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Nobile – Fabbri – Fuschini – Uberti – Targetti – La Rocca – Lussu – Mortati – Lami Starnuti – Ambrosini, Relatore – Conti – Tosato – Perassi – Laconi.

La seduta comincia alle 11.10.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE ricorda che, in merito all’articolo 19, resta ancora da decidere se sugli atti dei Comuni e degli enti locali debba essere esercitato, oppur no, un controllo di merito, al che egli si dichiara personalmente contrario.

L’onorevole Lami Starnuti nella riunione precedente ha proposto la seguente formula, a cui l’onorevole Bozzi ha dichiarato di accedere:

«Per le deliberazioni amministrative indicate dalla legge, l’organo di vigilanza ha facoltà di chiedere all’autorità deliberante, con istanza motivata, il riesame nel merito della deliberazione».

NOBILE è d’accordo che ai Comuni debba essere lasciata la più larga autonomia nell’ambito delle leggi; tuttavia occorre badare a che essi non emanino provvedimenti in contrasto con l’interesse nazionale. Sarebbe quindi opportuno, limitatamente almeno agli atti dei Comuni che siano in contrasto con l’interesse nazionale, stabilire un controllo di merito. A chi, poi, più di lui è competente in materia dovrebbe spettare il compito di indicare quale sia l’organo destinato ad esercitare tale controllo.

FABBRI è del parere che, data la grande differenza di condizioni esistenti nei Comuni del nostro Paese, che fra l’altro sono assai numerosi, per gli atti che abbiano un rilevante contenuto economico sia assolutamente indispensabile stabilire un controllo di merito.

FUSCHINI condivide l’opinione espressa dall’onorevole Fabbri.

I Comuni oggi in Italia sono in una fase di ricostituzione, non soltanto giuridica, ma anche finanziaria. Può accadere, quindi, che un Comune, per esempio nel caso della contrattazione di un mutuo, sia costretto ad assumere obblighi di spese per un lungo periodo di tempo, impegnando il bilancio dell’ente per numerosi anni. Non trova giusto escludere su tale atto un controllo di merito, ed è quindi del parere che si debba far luogo al controllo, quando si tratti di deliberazioni che, non solo abbiano un rilevante contenuto economico, ma anche impegnino l’amministrazione comunale per un dato numero di anni.

Resta, poi, da decidere in qual modo debba essere costituito l’organo che dovrebbe esercitare tale controllo, ed a questo proposito osserva che, secondo quanto è stato già prospettato in seno alla Commissione per la riforma dell’amministrazione, l’esercizio del controllo di merito sugli atti dei Comuni potrebbe essere affidato ad un organo regionale, composto in parte di funzionari dello Stato e in parte di membri elettivi. È un criterio che la Sottocommissione farebbe bene a tenere presente.

UBERTI ritiene che la Sottocommissione possa approvare quanto è stabilito nel secondo, terzo e quarto comma dell’articolo 19. Difatti, a suo avviso, con le disposizioni ivi contenute, se da una parte si lascia, ai Comuni la più ampia autonomia, dall’altra si fissano alcune condizioni per impedire che le amministrazioni comunali nei Toro atti possano andare al di là di certi limiti.

TARGETTI è del parere che l’unica forma di intervento che possa essere esercitata nell’ambito dell’amministrazione comunale sia quella prevista nell’emendamento proposto dall’onorevole Lami Starnuti, se veramente non si vuole menomare l’autonomia dei Comuni. Difatti, non si tratta già di una tutela, bensì di una vigilanza per rendere sempre più efficace l’azione degli amministratori comunali. Si avrebbe, così, una specie di scuola di amministrazione, che è il modo migliore per correggere o non far sorgere eventuali errori.

LA ROCCA dichiara che, se il Comune, com’è giusto, dev’essere la cellula dell’autonomia regionale, esso però non deve compiere atti che siano in contrasto con gli interessi della popolazione. Bisogna impedire quindi che le amministrazioni comunali, nelle loro deliberazioni, possano andare al di là di certi limiti. Per tale ragione dichiara di essere favorevole a un controllo di merito sugli atti delle amministrazioni comunali, che, a suo avviso, dovrebbe essere esercitato da un organo regionale.

LUSSU ha qualche ragione per dubitare dell’opportunità della proposta di emendamento fatta dall’onorevole Lami Starnuti. Vi si parla di un organo di vigilanza; ma non si sa se esso debba risiedere oppur no nell’ambito della Regione. Nella seconda ipotesi il riesame della deliberazione avverrebbe in località assai lontana dalla sede interessata e ciò, non solo sarebbe causa di una grave per dita di tempo, ma sarebbe anche contrario al principio autonomistico. Si aggiunga anche che, poiché l’organo di vigilanza dovrebbe emettere pareri soltanto consultivi, l’amministrazione comunale finirebbe col non tenerne alcun conto.

A suo avviso, sarebbe meglio costituire un organo di controllo nominato dall’Assemblea regionale con il sistema della proporzionale. Quest’organo potrebbe, indicando le ragioni di dissenso, richiedere che il Comune riesaminasse le deliberazioni adottate. Ove poi il Comune persistesse nella sua linea di condotta, dovrebbe essere reso obbligatorio il referendum popolare sulla deliberazione, prima che questa potesse diventare esecutiva. Tale procedura, naturalmente, dovrebbe essere prescritta soltanto per atti di rilevante importanza.

MORTATI osserva che il problema in discussione è connesso con quello del grado di autonomia finanziaria che si vuol concedere ai Comuni. A tale proposito ricorda che è stato approvato il principio secondo cui anche l’autonomia finanziaria dei Comuni dev’essere coordinata con l’ordinamento tributano dello Stato. Non è possibile, quindi, dare completa libertà d’azione ai Comuni in materia tributaria. Il problema di un controllo di merito sulle deliberazioni comunali va quindi esaminato in relazione al fatto che i Comuni possono amministrare non solo i loro fondi, ma anche quelli ricevuti da enti esterni che hanno, così, il diritto di intervenire nella loro amministrazione. Resta da vedere se tale controllo debba essere esercitato dalla Regione o dallo Stato.

LAMI STARNUTI dichiara che gli sembra strano, dopo tante decisioni approvate dalla Sottocommissione in materia di autonomie locali, che nella riunione odierna siano state fatte dichiarazioni e proposte tendenti a limitare l’autonomia dei Comuni. Il criterio del controllo di merito sulle deliberazioni degli enti locali ormai è stato abbandonato anche dalla dottrina amministrativa e recentemente lo stesso Santi Romano vi si è dichiarato contrario. Nella passata riunione è stato approvato il principio del referendum popolare, che in sostanza è una forma indiretta di controllo. Tanto potrebbe bastare, perché, quando un Comune erra nella propria amministrazione, i cittadini interessati, se vengono interpellati, sono sempre i giudici migliori. Non si dimentichi che il controllo di merito sulle deliberazioni adottate, specie dai Comuni più piccoli, spesso si risolve in arbitri e pressioni ingiustificate, esercitate dagli organi di controllo. Ciò considerato, insiste nella sua proposta di emendamento, dichiarando altresì di ritenere il referendum popolare come la migliore forma di controllo.

AMBROSINI, Relatore, osserva che, se è stata prospettata la necessità di un controllo di merito, sia pure limitato, sulle deliberazioni adottate dai Comuni, ciò è stato fatto allo scopo non già di limitare le autonomie locali, bensì di garantire che nelle amministrazioni comunali siano tutelati gli interessi della popolazione. Indubbiamente le proposte dell’onorevole Lami Starnuti rispondono ad un astratto criterio logico, ma c’è da dubitare che rispondano alle condizioni attuali della nostra vita comunale.

Richiama l’esempio della Svizzera, notando però le ragioni per cui non può seguirsi completamente in Italia. Ove le popolazioni si stancassero dal votare con frequenza, l’istituto del referendum diverrebbe inefficiente con eventuale grave danno delle popolazioni. Occorre perciò che si ricorra ad altri modi normali di far funzionare il controllo di merito.

Rileva che in ogni caso potrebbe essere accolto il sistema proposto dal Comitato col secondo comma dell’articolo 19, in cui si dispone un controllo di merito su atti che impegnino il bilancio comunale oltre i cinque anni e in misura superiore al decimo delle entrate annuali ordinarie. Nel sistema proposto dal Comitato di redazione è prevista anche la possibilità del referendum popolare ad un dato numero di elettori. Ritiene che la proposta vada incontro alle varie esigenze e che meriti pertanto di essere accolta.

CONTI rileva che la questione dell’ammissibilità o meno di un controllo di merito sugli atti dei Comuni deve esser trattata in relazione non tanto ad errori che possano commettere gli amministratori locali, quanto all’azione svolta dagli organi di controllo, che per lo più, o è manchevole o è arbitraria.

Sono a tutti noti, ad esempio, i numerosi inconvenienti che sorgono a proposito di controlli delle deliberazioni comunali da parte delle Prefetture. Si è verificato anche un caso veramente scandaloso: quello del Comune di Torgiano in provincia di Perugia, che dal 1925 non presenta il suo bilancio per l’approvazione, onde è il caso di domandarsi quale controllo abbiano mai esercitato i vari Prefetti che dal 1925 in poi si sono susseguiti in quella Prefettura.

Il problema in esame non può essere risolto che nel senso indicato dall’onorevole Lami Starnuti. Per conseguire lo scopo di un’efficiente e scrupolosa amministrazione comunale e nello stesso tempo far sì che le popolazioni locali possano veramente interessarsi alla cosa pubblica, non v’è che un sol mezzo, quello del referendum popolare. Certo l’Italia esce da un lungo periodo, iniziatosi ottanta anni fa, di inabilitazione politica e, prima che il nostro popolo possa acquistare piena maturità e capacità politica, saranno indubbiamente necessarie, nel campo dell’amministrazione degli enti locali, forme transitorie di controllo stabilite con norme transitorie. Si potrà, quindi, stabilire l’istituzione di organi provvisori di controllo, per avviare le amministrazioni comunali sulla giusta via. Ma ciò non dovrà durare che per un breve periodo di tempo. In ogni modo, nella Costituzione non potrà essere affermato che il principio di un’assoluta autonomia comunale, perché solo attribuendo ai Comuni una completa libertà d’azione sarà possibile raggiungere un ordinamento veramente democratico del Paese.

FABBRI è del parere che non si possa fare a meno di un controllo di merito su atti di rilevante contenuto economico. A proposito di tali atti, ha inteso parlare di deliberazioni che possono impegnare, come nel caso della contrattazione di un mutuo, i futuri bilanci di un Comune. Possono aversi però anche deliberazioni di grande importanza economica aventi un’efficacia immediata: è il caso, ad esempio, della vendita di una proprietà comunale edilizia o fondiaria. Escludere su tali deliberazioni ogni possibilità di controllo sarebbe, a suo avviso, un grave errore. Accanto all’organo che dovrebbe esercitare il controllo di merito, si potrebbe pensare ad una Giunta nominata dalla Deputazione regionale in concorso col Commissario della Regione.

TOSATO è d’accordo con quanto hanno affermato gli onorevoli Lami Starnuti e Conti; fa presente pure che, circa il problema in esame, è necessario adottare soltanto una deliberazione di principio: occorre stabilire, in altri termini, se si vuole assicurare una certa autonomia ai Comuni così come si è fatto nelle Regioni. Se è necessario per taluni atti fissare adeguate garanzie, si istituiscano determinati controlli, con una procedura assai rigorosa. Comunque, ciò che più importa è stabilire che i Comuni debbano avere piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legge. Entro tali limiti dev’essere esclusa ogni possibilità di un controllo di merito, perché là dove esiste tale forma di controllo non si ha autonomia. Non si dimentichi che soltanto con un ordinamento autonomo si può formare l’educazione politica di un popolo.

PERASSI condivide pienamente l’opinione espressa da alcuni colleghi circa la necessità di accordare ai Comuni la massima autonomia possibile. È per questo che egli sarebbe indotto a non ammettere alcun controllo di merito sulle deliberazioni degli enti locali. Tuttavia, poiché qualche perplessità si è manifestata al riguardo, ritiene che sia più opportuno per la Sottocommissione non risolvere direttamente il problema in esame. In altri termini, secondo il suo avviso, la Sottocommissione dovrebbe limitarsi ad affermare che il controllo sugli atti dei Comuni debba essere regolato dalla legge, che dovrebbe quindi determinarne i limiti.

Naturalmente l’organo di controllo dovrebbe essere un organo regionale.

Sarebbe anche opportuno che la Sottocommissione affermasse un altro principio, cioè che alcuni atti dei Comuni debbano essere sottoposti al referendum. Anche in questo caso, però, è la legge che dovrebbe determinare per quali atti si debba richiedere l’espressione della volontà popolare.

Ciò considerato, propone due emendamenti all’articolo 19. Il primo si riferisce alla possibilità di un controllo sugli atti degli enti locali ed è così concepito: «I controlli sugli atti dei Comuni e degli enti locali sono espletati dalla Regione nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge dello Stato»; il secondo, relativo all’ammissibilità del referendum, è del seguente, tenore: «La legge determinerà le deliberazioni dei Comuni che devono essere sottoposte al referendum popolare».

MORTATI propone il seguente emendamento all’articolo 19:

«Non è ammesso controllo preventivo di merito sugli atti, ai quali i Comuni provvedono con mezzi ordinari di bilancio.

«Per gli atti di carattere straordinario, che saranno stabiliti dalla legge, il controllo stesso sarà effettuato da apposito organo regionale.

«Il divieto opposto da detto organo di controllo all’esecutorietà della deliberazione del Comune può essere superato quando essa sia approvata con referendum».

PRESIDENTE osserva che alcuni problemi oggi sono di tale attualità che non è possibile, per non deludere l’aspettativa del Paese, rinviarne la soluzione. Uno di tali problemi è appunto quello dell’autonomia comunale, che è connesso con la questione del controllo di merito sugli atti degli enti locali. Per questo necessita che siano stabiliti chiari principî nella futura Costituzione dello Stato. Da questo punto di vista, a suo avviso, non possono essere giudicate soddisfacenti le proposte formulate dall’onorevole Perassi: non si può, infatti, parlare genericamente di controlli, senza specificare se essi debbano essere di merito o di legittimità.

Ciò che lo stupisce è che alcuni colleghi, i quali hanno sostenuto decisamente il principio di escludere ogni controllo di merito sugli atti della Regione, si siano dimostrati nella riunione odierna i più fermi assertori di un controllo di merito sulle deliberazioni dei Comuni. In via di presunzione, riguardo al problema in esame, si dovrebbe partire dal concetto che soltanto la popolazione locale può conoscere esattamente gli interessi del proprio Comune.

Per tali ragioni, a modificazione parziale del concetto già da lui espresso all’inizio della riunione, dichiara di accedere alla proposta dell’onorevole Lami Starnuti.

LACONI osserva che non sempre le Giunte e i Consigli comunali rappresentano la volontà della popolazione. Ciò posto, v’è da domandarsi a quali mezzi si debba ricorrere per escludere, nell’ambito di una giusta e larga autonomia, la possibilità che l’amministrazione comunale abusi dei poteri da essa assunti, non per volontà vera e propria della popolazione, ma per semplice giuoco elettorale e così comprometta gli interessi della popolazione locale.

MORTATI desidera porre in rilievo che, con la proposta dell’onorevole Lami Starnuti, si mira ad istituire un controllo puramente sospensivo e consultivo, mentre con l’emendamento da lui proposto l’organo di controllo opporrebbe un vero e proprio divieto all’esecutorietà della deliberazione del Comune, divieto che potrebbe essere superato quando la deliberazione impugnata fosse approvata con referendum.

LUSSU propone il seguente emendamento:

«Quando le deliberazioni impegnino un bilancio dell’ente per oltre tre anni in misura superiore al decimo delle entrate annuali ordinarie o riguardino alienazioni di beni comunali di valore rilevante, il referendum popolare è obbligatorio».

NOBILE fa la seguente proposta di emendamento:

«La legge specificherà su quali atti delle amministrazioni comunali si dovrà esercitare un controllo di merito, e le modalità e l’organo al quale tale controllo sarà demandato».

PRESIDENTE crede opportuno mettere prima in votazione il principio dell’ammissibilità del controllo di merito sugli atti dei Comuni. Se tale principio non fosse approvato, si potrebbe passare alla votazione sulla questione del referendum.

UBERTI non ritiene opportuna la procedura di votazione indicata dal Presidente, perché per votare in senso non favorevole al principio del controllo di merito occorrerebbe essere già sicuri dell’accoglimento, da parte della Sottocommissione, di un qualche altro correttivo inteso ad impedire abusi nell’amministrazione degli enti locali.

PERASSI ritiene che la questione se debba, o pur no, essere ammesso un controllo di merito sarebbe più esattamente posta se fosse messo prima in votazione il principio, contenuto nel suo secondo emendamento, per cui la legge dovrebbe determinare le deliberazioni dei Comuni da sottoporre al referendum popolare.

PRESIDENTE è pronto ad accedere al suggerimento dell’onorevole Perassi, se ciò possa essere utile a togliere ogni incertezza.

Personalmente però dichiara di non essere favorevole al secondo emendamento proposto dall’onorevole Perassi, perché, se la legge dovrà determinare i casi in cui le deliberazioni dei Comuni debbano essere sottoposte al referendum, è da ritenere che questi non sarebbero rari. Si dovrebbe allora fare ricorso al referendum troppe volte, e questo in definitiva potrebbe non rispondere allo scopo che si vorrebbe raggiungere. In ogni modo mette in votazione il secondo emendamento proposto dall’onorevole Perassi.

(Non è approvato).

LUSSU fa presente che, con il non accoglimento del secondo emendamento dell’onorevole Perassi, resta sempre impregiudicata la questione dell’ammissibilità o no del referendum. Sarebbe bene mettere in votazione tale questione, prima di quella relativa al controllo di merito. Ricorda che egli ha presentato una proposta di emendamento circa l’obbligatorietà del referendum.

LAMI STARNUTI propone la seguente formulazione: «Gli atti amministrativi e regolamentari dei Comuni possono essere sottoposti a referendum popolare, quando ciò sia richiesto da un ventesimo degli elettori iscritti».

Osserva poi che, con l’emendamento proposto dall’onorevole Lussu, diventerebbero troppo frequenti i casi in cui si dovrebbe fare ricorso al referendum popolare. È per questo che ha ritenuto opportuno proporre l’emendamento anzidetto, in cui fra l’altro il referendum è facoltativo.

PRESIDENTE ritiene che l’esame della questione del referendum non debba aver luogo nella riunione odierna, visto che nella passata riunione la Sottocommissione ha deciso di rinviarne l’esame a un Comitato appositamente costituito.

(Così rimane stabilito).

Dichiara che il Comitato anzidetto terrà conto delle varie proposte formulate in merito all’ammissibilità del referendum; e invita la Sottocommissione a decidere sulla questione del controllo sugli atti dei Comuni.

Mette anzitutto in votazione il principio che tale controllo non debba avere carattere consultivo.

(Non è approvato).

Fa presente che, secondo la votazione testé avvenuta, il controllo su gli atti dei Comuni non dovrà avere carattere vincolante. Ciò considerato, ritiene che possa essere messa in votazione la formula proposta dall’onorevole Lami Starnuti, a cui l’onorevole Bozzi ha dichiarato di aderire, e che appunto prevede un controllo di carattere consultivo e che è così concepita:

«Per le deliberazioni amministrative indicate dalla legge, l’organo di vigilanza ha facoltà di chiedere all’autorità deliberante, con istanza motivata, il riesame nel merito della deliberazione».

La mette ai voti.

LUSSU dichiara di votare contro la proposta di emendamento dell’onorevole Lami Starnuti, perché ritiene che sia sufficiente il referendum a garantire gli interessi della popolazione locale.

(È approvata).

PRESIDENTE fa presente che resta ora da decidere l’organo che dovrà esercitare tale controllo non vincolante. In proposito, osserva che si potrebbe mettere in votazione il primo emendamento proposto dall’onorevole Perassi, a cui per altro ritiene che sarebbe opportuno apportare le seguenti lievi modifiche: alle parole «dalla Regione», sostituire le altre «da un organo regionale»; e includere, fra le parole «da un organo regionale» e le altre «nei modi», le seguenti: «in maggioranza elettivo».

PERASSI dichiara di accettare le modificazioni proposte dal Presidente al suo emendamento.

PRESIDENTE dà lettura del testo definitivo dell’emendamento dell’onorevole Perassi, che è del seguente tenore:

«I controlli sugli atti dei Comuni e degli enti locali sono espletati da un organo regionale in maggioranza elettivo nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge dello Stato».

Lo mette in votazione.

(È approvato).

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bordon, Bozzi, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato e Uberti.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bocconi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, De Michele, Mannironi, Patricolo, Piccioni, Porzio, Rossi Paolo, Vanoni e Zuccarini.