Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI LUNEDÌ 16 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

69.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI LUNEDÌ 16 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Lussu – Nobile – Laconi – Piccioni – Porzio – Cappi – Cannizzo – Mortati – De Michele – Tosato – vanoni – Codacci Pisanelli – Conti – Fabbri – Mannironi – Perassi – Ambrosini, Relatore – Fuschiini – Lami Starnuti – Ravagnan – Bozzi.

La seduta comincia alle 17.45.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE avverte che nella seduta odierna deve iniziarsi l’esame delle richieste di costituzione di nuove Regioni. L’incarico di riferire in merito è stato affidato agli onorevoli Lussu, Codacci Pisanelli e Fuschini.

Invita quindi l’onorevole Lussu ad iniziare la sua esposizione.

LUSSU informa che la sua relazione riguarderà le richieste per la formazione delle seguenti nuove Regioni: Umbro-Sabina, Sannio e Molise.

Inizia riassumendo brevemente il contenuto dei documenti concernenti la Regione Umbro-Sabina. Si tratta, in sostanza, di creare attorno alla città di Terni una Regione costituita razionalmente, secondo i criteri più moderni, con carattere spiccatamente industriale, che consenta di rendere la zona infinitamente più efficiente di quello che non sia. Il progetto, che per la sua concezione moderna parrebbe dovuto ad un ingegnere americano, comporta l’assorbimento quasi totale della Provincia di Rieti (compresa la città) e di alcune parti delle Provincie di Macerata, Perugia e Viterbo. La prima perderebbe tutta la zona montana di Visso; la seconda la zona montana attorno a Sillano, Cascia e Norcia, la pianura attorno a Spoleto e il territorio che va da Todi a Gualdo Cattaneo; la terza perderebbe soltanto la città di Orte (che verrebbe considerata come un’avanguardia della stazione di Terni) e il territorio circostante. Per le difficoltà che si frapporrebbero all’assorbimento dei Comuni della provincia di Perugia si propone una variante come subordinata.

Tutte le riserve idrico-industriali del luogo verrebbero accentrate nella conca Ternana, in modo da creare un grande complesso industriale che creerebbe e assorbirebbe le maestranze specializzate. È prevista altresì la trasformazione del bracciantato agricolo in mano d’opera specializzata, dato che anche l’agricoltura verrebbe industrializzata.

Confessa che trova estremamente seducente il progetto; senonché, questo presenta il lato debole di essere proposto da una sola persona, il sindaco di Terni, mancando non solo del suffragio di altre autorità, enti, organizzazioni sindacali e politiche della zona, ma financo del parere delle popolazioni dei territori, chiamate a formare la futura Regione.

In conclusione, è un progetto molto interessante e geniale, ma personale.

Passa quindi a riferire sulla proposta di creare una nuova Regione – la Regione del Sannio – costituita dalle tre province di Campobasso, Benevento e Avellino, omettendo di riportare tutti i precedenti storici, tra cui il famoso episodio delle Forche Caudine. La proposta proviene dalla Camera di Commercio, dalla Deputazione provinciale e dai deputati di Benevento, i quali sostengono che etnicamente le tre Province discendono dalla grande tribù dei Samnnites e non v’è alcuna ragione perché il Sannio, che nella storia è stato sempre unito, sia oggi diviso: che tale riunione è consigliata dalle presenti condizioni amministrative, sociali ed economiche della zona di cui Benevento rappresenta il centro naturale. Da una apposita relazione allegata risulta l’affinità di interessi industriali, commerciali e soprattutto agricoli delle tre Province. In tutte la popolazione è prevalentemente agricola, raggiungendo il 72 per cento dell’intera popolazione nella provincia di Benevento, il 75,02 per cento in quella di Avellino e il 77 per cento in quella di Campobasso, contro la percentuale del 30 per cento della provincia di Napoli. A ciò si aggiunge che l’organizzazione ecclesiastica ha già riconosciuto questa unità, tanto che l’arcivescovado di Benevento comprende le Diocesi delle tre Province. Sostengono inoltre i preopinanti che alcuni uffici statali, con sede in Benevento (come l’Ispettorato del lavoro, l’Ufficio movimento e traffico delle Ferrovie dello Stato e l’Ufficio dell’anagrafe tributaria) hanno già una competenza regionale.

Se questi elementi possono deporre in favore, v’è tuttavia un argomento negativo di importanza non trascurabile: la costituzione di questa nuova Regione è sostenuta soltanto dalla Provincia di Benevento, ma non incontra il favore delle altre due, le quali anzi si oppongono esplicitamente, come risulta dai documenti allegati.

Il Molise – tra coloro che ne rivendicano l’autonomia ci sono anche due deputati democristiani – obietta tra l’altro che l’argomento dell’organizzazione ecclesiastica è irrilevante, perché della provincia di Campobasso solo nove Comuni dipendono dall’Arcivescovo di Benevento, mentre i restanti fanno capo a Benevento solo indirettamente, per i rapporti che intercorrono tra i Vescovi e l’Arcivescovo. Ed obietta che il Molise vuole essere Regione autonoma e non confondersi con altre Regioni.

D’altro canto, in senso contrario si sono manifestati tutti i partiti della Provincia di Avellino, dichiarando che il progetto di costituzione della Regione Sannita offenderebbe gli interessi della zona, la quale gravita naturalmente verso Napoli e non può essere assorbita da Benevento. L’onorevole Preziosi di Avellino, in una sua lettera, ha tenuto a segnalare la contrarietà di tutti i deputati della circoscrizione di Avellino.

Il progetto pertanto risulta caldeggiato solo dai rappresentanti della Provincia di Benevento, e non è suffragato dal parere favorevole delle altre due Province.

Iniziando la sua relazione sul Molise, premette che cercherà di essere obiettivo, per quanto non abbia mai fatto mistero della sua convinzione che sia opportuno costituire la Regione Molisana. Del resto, la stessa denominazione attuale – Abruzzi e Molise – sta ad indicare che di due Regioni se ne è fatta una sola.

Crede che chiunque conosca, anche superficialmente, la zona si renda immediatamente conto di quanto sia assurdo pretendere che Campobasso per tutti i problemi di interesse regionale debba far capo all’Aquila, quando per il solo viaggio occorrono due giorni, nella stagione buona.

Per questo motivo è sorto fin dall’altro dopo-guerra, nel Molise un movimento di rivendicazione, che annovera aderenti in tutti i ceti sociali, mirante a farne una Regione a sé. Infatti il Molise normalmente non ha alcun rapporto con l’Aquila né in genere con l’Abruzzo, e gravita piuttosto verso Napoli. La Corte d’appello è quella di Napoli, ed anche gli studenti affluiscono in maggioranza verso questa città. È, in sostanza, una zona geograficamente ben delimitata, che rimane alquanto isolata e non propende verso il Nord ma piuttosto verso la Campania e – per gli sbocchi industriali e commerciali – verso Foggia e Bari. Il movimento di rivendicazione quindi non si alimenta di motivi storici o sentimentali, ma si richiama alle difficoltà della situazione attuale, ed ha un tale carattere di serietà che ha culminato in un congresso regionale, tenutosi il mese scorso e conclusosi con delle precise richieste autonomistiche.

Cita quindi un episodio che dà un’idea dello stato d’animo delle popolazioni: quando nel 1923 fu creata la circoscrizione elettorale Benevento-Campobasso-Avellino, tutti i molisani si accordarono votando esclusivamente per i loro candidati.

Aggiunge che le correnti autonomistiche, che durante il periodo fascista non si erano più potute manifestare, si sono risvegliate subito dopo l’arrivo degli Alleati e il Comitato di liberazione molisano, nella sua prima riunione, ha riaffermato la volontà di battersi, nell’ambito della legalità, fino al riconoscimento da parte del potere centrale del diritto del Molise alla sua autonomia regionale.

La richiesta attualmente allo studio è inoltre confortata dall’opinione favorevole di tutti i partiti e dei deputati molisani.

Per quanto si sia favorevoli alla costituzione di questa nuova Regione, obiettivamente è da riconoscere che sarebbe piuttosto modesta: il Molise conta infatti circa 150 Comuni, con una popolazione di 413.000 abitanti su di un territorio di 4617 chilometri quadrati. Ma la sua economia, prevalentemente agricola, pone oggi la provincia di Campobasso fra le prime Province italiane nella produzione di frumento. Ha inoltre una cultura di vigneti per circa 20.000 ettari che dà normalmente un raccolto di oltre un milione di quintali di uva. La ristrettezza del territorio e la densità della popolazione hanno fatto sì che in passato l’emigrazione fosse notevole, ed i capitali che, in conseguenza, sono affluiti nel Molise hanno giovato appunto ad incrementare la cultura del grano e dell’uva.

La Regione è povera, come lo sono generalmente le Regioni del Mezzogiorno, ma la popolazione talmente laboriosa che la produzione si mantiene al di sopra della media. D’altro canto la zona presenta enormi possibilità di sfruttamento delle energie idriche.

Informa quindi che al Congresso regionale molisano è stata presentata una relazione sull’agricoltura ed un’altra sulle possibilità di autosufficienza economica della Regione. Di quest’ultima trova interessanti alcuni dati, ove si pone il movimento finanziario del Molise negli ultimi anni, ed il contributo da esso versato allo Stato, in relazione a quello di altre Regioni. Crede in sostanza che il Molise, per quanto territorialmente ristretto e con un numero esiguo di abitanti, possa considerarsi capace di vivere con i suoi mezzi.

Si domanda infine a quale Regione il Molise potrebbe unirsi, qualora non gli fosse consentito di costituirsi come Regione. Non certamente all’Abruzzo per le ragioni già esposte e neppure alla Campania, perché, per quanto abbia in comune con questa alcuni interessi commerciali e culturali, la parte preponderante dei suoi interessi è verso l’Adriatico.

Pertanto, per non porre il Molise in una difficile situazione, obbligandolo all’unione con una Regione per la quale non sente alcuna attrattiva, invita la Sottocommissione a pronunciarsi favorevolmente alla richiesta.

PRESIDENTE riassume le conclusioni a cui è pervenuto l’onorevole Lussu: 1°) per la Regione Umbro-Sabina trova un elemento negativo nel fatto che la proposta proviene da una sola persona; 2°) per la Regione Sannita giunge alle stesse conclusioni in vista del parere discordante di due delle tre Province interessate; 3°) per la Regione Molisana, invece, si dichiara favorevole all’accettazione della richiesta, sia per le possibilità concrete di vita autonoma della nuova Regione, sia per la impossibilità di una sua aggregazione ad altre Regioni.

Prega i colleghi di pronunciarsi sulla prima proposta.

NOBILE osserva che la prima richiesta ha un lato interessante in quanto si preoccupa di raggruppare vari complessi industriali, nel timore che questi col nuovo ordinamento regionale, e con la tendenza che si va manifestando sempre più chiaramente verso un’economia regionale, possano essere frazionati con detrimento della produzione.

LACONI propone di non entrare per il momento nel merito delle proposte e di votare pregiudizialmente sulla loro presa in considerazione.

PICCIONI concorda, soggiungendo che, qualora si entrasse nel merito, verrebbero in discussione problemi molto gravi, poiché il progetto non è conosciuto da tutta la Regione e talune zone della stessa hanno caratteristiche spiccatamente diverse da quelle della conca Ternana.

PRESIDENTE pone ai voti la presa in considerazione della richiesta di costituzione della Regione Umbro-Sabina.

(Non è approvata).

Apre la discussione sulla costituzione della Regione Sannita.

PORZIO rileva che la richiesta corrisponde ad un’aspirazione della provincia di Benevento, memore degli antichi fasti del Ducato, ma non è giustificata da alcun fondato motivo. D’altra parte la provincia di Avellino si oppone recisamente e probabilmente anche il cosiddetto Sannio alto (Campobasso) rifiuterebbe di essere aggregato al Sannio di Benevento, nonostante il suo desiderio di staccarsi dagli Abruzzi.

Pone in evidenza che non può farsi di ogni Provincia una Regione, perché il concetto di Regione è ben diverso e risponde a particolari esigenze geografiche, storiche, politiche ed economiche. Personalmente non saprebbe concepire il Mezzogiorno suddiviso altrimenti che nelle Regioni Campania, Abruzzi, Puglia e Calabria. Che se si volesse fare una Regione del Molise, questa sostanzialmente sarebbe costituita della Provincia di Campobasso, che pure ha legami culturali e storici con Napoli. Basti ricordare due grandi Molisani che hanno indissolubilmente legato il loro nome alla storia partenopea: il medico Antonio Cardarelli e il generale Gabriele Pepe. Non si può quindi costituire una Regione di questa sola Provincia, né distaccarla dalla Campania.

Al Relatore, che ha accennato alle possibilità di sfruttamento dei bacini montani di Campobasso, fa osservare che, se un tale sfruttamento si attuerà, lo sarà per merito di una società napoletana.

La Campania è da tempo composta delle Province di Napoli, Caserta, Salerno, Avellino, Benevento, Campobasso. Tutte queste Province, fin dal 1860, sono comprese nel distretto della Corte d’appello di Napoli e ancor prima, durante il Regno delle Due Sicilie, quelle zone facevano parte dei vari principati che gravitavano su Napoli.

Invita pertanto i colleghi a non prendere in considerazione la richiesta, soprattutto tenendo conto della volontà delle popolazioni che propendono – particolarmente quella della Provincia di Avellino – verso la grande capitale del Mezzogiorno: Napoli.

CAPPI fa presente che in questa materia deve avere un’influenza decisiva la volontà delle popolazioni, e nel caso in esame si ha una chiara manifestazione di volontà contraria da parte delle Province di Avellino e Campobasso.

CANNIZZO osserva che le Regioni possono suddividersi in due gruppi: quelle storiche e quelle che rappresenterebbero una creazione artificiale. Circa le prime esiste una presumptio iuris tantum che vi siano i presupposti per il loro riconoscimento; circa le seconde ci si deve preoccupare, oltre che della volontà delle popolazioni, anche della situazione economica di quelle parti di Province che, non entrando nel nuovo raggruppamento, resterebbero avulse da quello che finora è stato il loro centro.

PRESIDENTE esprime l’avviso che per la Regione Sannita occorra decidere sul merito della richiesta, inquantoché tutte le volte che v’è una manifestazione di volontà di un gruppo notevole di popolazioni (e nel caso in esame l’istanza è suffragata dal parere di tutta la Provincia di Benevento) non si può negare la presa in considerazione e rifiutarsi di entrare nel merito.

Comunque, pone pregiudizialmente ai voti la presa in considerazione della richiesta.

MORTATI dichiara che si asterrà da tutte le votazioni sulla erezione di nuove Regioni, ritenendo ingiustificato ed irrazionale il procedimento seguito di pronunziarsi sul merito delle richieste senza avere gli indispensabili elementi di giudizio che soltanto un complesso di indagini obiettive ed accurate avrebbe potuto fornire.

AMBROSINI, BOZZI, CAPPI, CONTI, DE MICHELE, PICCIONI e TOSATO dichiarano egualmente di astenersi dal voto.

(È approvata).

PRESIDENTE pone in votazione l’accettazione della richiesta presentata da numerose associazioni e gruppi politici della Provincia di Benevento, per la costituzione della Regione Sannita.

(Non è approvata).

Apre la discussione sulla presa in considerazione della richiesta di costituire la Regione del Molise.

VANONI rileva che, per quanto l’esposizione dell’onorevole Lussu sia stata molto interessante, mancano gli elementi necessari per decidere con tranquillità di spirito su un problema così grave come quello della costituzione di una nuova Regione.

Quanto alla relazione, di cui ha dato notizia l’onorevole Lussu, presentata al Congresso Molisano per dimostrare l’autosufficienza del Molise, fa presente che è redatta con criteri dilettantistici e superficiali, prendendo, cioè, la media del carico tributario di tutto il Paese per trarre dal fatto che il Molise è al disopra di tale media la conseguenza che esso è autosufficiente economicamente; laddove si sarebbe dovuto considerare il presumibile carico in funzione dell’autonomia regionale e dimostrare la capacità della Regione a sopportarlo.

Ciò che ritiene si debba porre in evidenza da parte degli interessati, attraverso ad uno studio accurato, è la situazione economica della Regione, i suoi rapporti economici con le Regioni vicine e le caratteristiche di indipendenza ed autonomia economica. Viceversa ha l’impressione che tutti i fautori della costituzione di nuove Regioni si preoccupino di raccontare episodi storici, come quello delle Forche Caudine, e trascurino di dimostrare l’esistenza di una entità territoriale che per ragioni di dialetto, di economia o di altra natura pratica, sia dotata delle caratteristiche particolari che possono giustificare la sua erezione in ente Regione. Ad esempio, l’argomento della difficoltà di comunicazioni tra Campobasso e l’Aquila può ritenersi sufficiente per non mettere neppure in discussione la possibilità di riunire il Molise all’Abruzzo.

A suo avviso, dunque bisogna basarsi su elementi concreti e non sentimentali, mentre nel fascicolo in possesso dell’onorevole Lussu ha trovato una sola cosa interessante, sotto questo aspetto: la relazione riguardante l’agricoltura, con l’indicazione dei prodotti e dei tipi di coltura del Molisano.

Teme che le decisioni sulla creazione di nuove Regioni possano essere prese in base ad influenze amichevoli o di partito, quando dovrebbero invece seguirsi i criteri accennati, sia per pronunziare un giudizio con tranquillità, sia per preparare ai membri dell’Assemblea costituente gli elementi su cui formare il loro convincimento.

Per queste ragioni ha insistito affinché fossero fatte inchieste e studi imparziali da parte di una Commissione parlamentare, per raccogliere gli elementi il più possibile vagliati, non solo sui precedenti storici, ma anche e soprattutto sulla produzione di frumento, sulla possibilità di sfruttamento idrico, sulle industrie, sulle locali condizioni finanziarie, sui movimenti delle popolazioni, sulle caratteristiche etniche e linguistiche, ecc.

Per queste ragioni dichiara che si asterrà dal voto.

NOBILE conviene con l’onorevole Vanoni.

PORZIO osserva che, se si prescindesse dalla manifestazione di volontà delle popolazioni, si dovrebbe senz’altro escludere la possibilità di creare la Regione molisana; ma a tale espressione di volontà, avutasi attraverso ai rappresentanti politici, non può darsi un valore eccessivo. È convinto, d’altra parte, che se le popolazioni locali fossero poste di fronte al dilemma di scegliere tra la costituzione di una Regione a sé e l’aggregazione ad altra Regione, la risposta unanime sarebbe per l’unione alla Campania.

Il dialetto molisano è simile al napoletano, come lo sono i dialetti di Avellino, Benevento e Salerno; l’amministrazione della giustizia unica; la cattedra di medicina unica, senza parlare dell’Università in genere. Concludendo dichiara che può con perfetta coscienza sostenersi l’opportunità di respingere la richiesta di creazione di una Regione molisana, continuando a mantenere il Molise aggregato alla Campania, come lo è da decenni.

CODACCI PISANELLI non disconosce la fondatezza delle considerazioni dell’onorevole Vanoni, facendo tuttavia rilevare che per le Regioni storiche si prescinde da una documentazione sulla loro situazione economica e non si pone in discussione il loro riconoscimento come Regione, nonostante che molte di esse non godano di una autonomia economica. Pertanto la mancanza di questo requisito non gli sembra sia di pregiudizio neppure al riconoscimento di nuove Regioni, quando si portino altri fondati motivi a conforto della richiesta.

PRESIDENTE risponde che – come ha già osservato nella precedente riunione l’onorevole Grieco – se nei confronti delle Regioni storiche non si pone questa pregiudiziale, è perché, dovendosi istituire l’ente Regione, non può non avvertirsi l’opportunità, per evitare maggiori perturbamenti, di attenersi alla suddivisione storica come punto di partenza, piuttosto di smembrare le Regioni tradizionali e mettere insieme gruppi di popolazioni che potrebbero non desiderarlo.

CONTI si richiama all’ordine del giorno che ha presentato nella seduta precedente, definendo arbitrario il sistema seguito dalla Sottocommissione. Afferma che, prima di prendere decisioni di una tale gravità, occorre ascoltare la voce delle popolazioni e, per quanto concerne il Molise, le manifestazioni locali che sono state contraddittorie, tanto che anche nel Congresso Molisano del novembre si registrarono due correnti, pro e contro la autonomia. Per quanto nel caso specifico non abbia niente in contrario alla costituzione di questa nuova Regione, non crede che si possa prendere una decisione al riguardo finché non si abbiano esaurienti elementi di giudizio.

Dichiara quindi che voterà per la presa in considerazione, ma si asterrà dal votare una immediata deliberazione nel merito, riservandosi di prendere un atteggiamento secondo coscienza non appena si avranno gli elementi per una ponderata decisione.

FABBRI è contrario alla presa in considerazione della richiesta, in quanto la nuova Regione non arriverebbe alla popolazione minima di 500.000 abitanti, prevista dall’articolo 23, che, a suo avviso, è anche troppo modesta.

MANNIRONI, sebbene non sia legato da alcun interesse alla Regione molisana, può assicurare, per avervi vissuto nel periodo della guerra, che tra le popolazioni locali c’è una netta coscienza regionale. Afferma quindi che la Sottocommissione non potrebbe, senza assumersi una grave responsabilità, respingere la presa in considerazione dell’istanza, né accedere alla tesi dell’onorevole Vanoni di soprassedere ad ogni decisione, in attesa di nuovi elementi.

PERASSI è favorevole alla presa in considerazione, nel senso di esaminare tutti gli aspetti della situazione molisana, perché, se vi è una richiesta di costituzione di Regione, v’è anche il problema della possibilità o meno, per il Molise, di rimanere aggregato all’Abruzzo. Ritiene quindi che, qualora venga respinta la costituzione di questa nuova Regione, occorrerà decidere se il Molise debba unirsi agli Abruzzi o alla Campania.

PRESIDENTE è contrario alla presa in considerazione proprio per un atteggiamento di simpatia verso il Molise, in quanto si rende conto che, se il risultato della deliberazione di merito fosse sfavorevole alla costituzione della Regione molisana, ciò potrebbe rappresentare un elemento negativo non trascurabile quando la questione dovesse essere ulteriormente esaminata. Trova che, per il momento, la questione non è sufficientemente istruita né possono bastare alcune settimane per l’istruzione e potrà a suo tempo essere ripresa in esame, a norma dell’articolo 23 del progetto.

LUSSU, nel riaffermare il suo parere favorevole alla presa in considerazione della richiesta, rileva una contradizione tra le ultime parole del Presidente e le idee che ha espresso poco prima, quando ha sostenuto che la presa in considerazione non poteva negarsi di fronte ad una richiesta proveniente da una notevole parte delle popolazioni locali. In questo caso la Sottocommissione potrà non ritenersi competente a deliberare per insufficienza di notizie, e rinviare la deliberazione ad altro momento, ma non rifiutarsi di prendere in considerazione la richiesta.

PRESIDENTE pone ai voti la presa in considerazione della proposta di costituzione della Regione molisana.

AMBROSINI e NOBILE dichiarano di votare a favore.

FUSCHINI dichiara di votare a favore, nella considerazione che le richieste pervenute da deputati, da Comitati ed enti locali, ovvero da Amministrazioni provinciali, non possono essere respinte a priori.

(È approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sul merito.

NOBILE, premesso che lo scopo principale della riforma dell’ordinamento degli enti locali è quello di consentire il maggiore sviluppo di talune Regioni che finora hanno condotto vita stentata, per la particolare loro ubicazione o per altre circostanze, osserva che se v’è una Regione che dalla riforma stessa potrebbe trarre dei benefici questa è appunto il Molise, questa piccola Regione isolata nell’Appennino e distante da ogni altro centro per la difficoltà delle comunicazioni.

Esprime, quindi, parere favorevole all’accoglimento della richiesta.

LUSSU, replicando ad alcune considerazioni sfavorevoli dei colleghi, osserva anzitutto all’onorevole Porzio che il dialetto molisano non è simile a quello partenopeo.

All’onorevole Fabbri risponde che effettivamente l’articolo 23 stabilisce il minimo di 500.000 abitanti per la costituzione di nuove Regioni, mentre il Molise ne ha 413.000; ma tale articolo, non essendo stato ancora approvato, non può costituire un impedimento, ed è da augurarsi che quel minimo venga ridotto.

Circa le osservazioni dell’onorevole Conti sulla scissione in due correnti del Congresso Molisano, riconosce che alcuni deputati in quella sede si sono espressi in senso contrario all’autonomia del Molise, essendo avversi generalmente al criterio dell’autonomia delle Regioni, ma ripete che dai documenti in suo possesso risulta un’opinione concordante di tutti i rappresentanti politici del Molise e di tutti e quattro i deputati della circoscrizione.

PORZIO nega l’esattezza di quanto ha sostenuto l’onorevole Lussu e si richiama alla autorità dell’illustre professore Francese D’Ovidio, il quale, nei suoi studi sull’origine dei dialetti, dimostra che la radice del dialetto Molisano (che è greco-spagnolo) corrisponde a quella del dialetto partenopeo. Aggiunge che anche la misura del terreno è identica nel Napoletano e nella provincia di Campobasso; si usa cioè il «moggio» in luogo dell’«ettaro».

CODACCI PISANELLI si dichiara favorevole al riconoscimento della Regione molisana, soprattutto in considerazione delle conseguenze di un rifiuto alla erezione di questa nuova Regione. Se si dovesse tener conto delle condizioni economiche, indubbiamente si sarebbe portati a negare l’assenso alla richiesta, perché il Molise non può considerarsi autosufficiente. Tuttavia, se si lasciasse dipendere questa Regione, che non ha possibilità di reggersi con le sue finanze, da un’altra dalla quale è separata naturalmente, le sue condizioni finirebbero per essere peggiori di quelle che essa riuscirebbe a realizzare se potesse occuparsi da sé dei propri interessi. Questo argomento, se può valere per tutte le Regioni, ha un valore particolare per quelle isolate, come il Molise.

Ritiene pertanto che il Molise, nonostante l’evidente mancanza del requisito dell’autonomia finanziaria, meriti per tutti i motivi già esposti di essere eretto a Regione. Né attribuirebbe una eccessiva importanza all’argomento della esiguità della popolazione, perché non si possono mettere sullo stesso piano le zone pianeggianti e quelle montuose. In una Regione di montagna 413.000 abitanti possono considerarsi numerosi.

PRESIDENTE fa presente che, votando sull’accettazione o meno della richiesta del Molise, non si pregiudica il problema della sua aggregazione ad altra Regione.

LAMI STARNUTI non può pronunciarsi per l’erezione del Molise in Regione autonoma, non ritenendo di avere elementi sufficienti per un sicuro giudizio; ma col suo voto contrario non intende di pregiudicare per l’avvenire il merito della questione.

AMBROSINI, Relatore, è favorevole alla costituzione della Regione molisana, in vista delle sue specialissime condizioni.

CANNIZZO dichiara di essere anch’esso favorevole, sia perché ritiene sufficientemente provato il bisogno delle popolazioni molisane di erigersi a Regione, sia perché il Molise può ritenersi una Regione storica, e negarle l’autonomia costituirebbe una decisione più grave che negarla ad altre nuove Regioni.

Aggiunge che il fatto che la popolazione sia inferiore ai 500.000 abitanti non osta, in quanto quel requisito riguarda soltanto le Regioni da costituirsi in un secondo momento; senza contare che nella Val d’Aosta si ha già un esempio di autonomia regionale concessa ad una entità territoriale costituita da una sola provincia.

MANNIRONI presenta il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, presa in esame la richiesta tendente ad ottenere il riconoscimento della Regione molisana; udita la relazione dell’onorevole Lussu, riconosce che la richiesta stessa è meritevole di essere presa in considerazione; allo stato sospende di pronunciarsi, rimettendo la decisione all’Assemblea costituente, avanti alla quale potranno approfondirsi le indagini e la raccolta di tutti gli elementi necessari per una definitiva decisione».

LACONI si dichiara in linea di massima d’accordo con l’onorevole Mannironi, ma ritiene. che il rinvio della decisione all’Assemblea costituente non sarebbe opportuno e propone di rinviarla alla Commissione plenaria.

MANNIRONI aderisce.

PRESIDENTE ripete che gli elementi di giudizio che potrà avere fra pochi giorni la Commissione plenaria e quelli che avrà tra circa un mese l’Assemblea costituente, sono quegli stessi attualmente in possesso della Sottocommissione. Ritiene quindi ingiustificato un rinvio del genere. Comunque, se la Sottocommissione non intende decidere essa stessa (e non sa fino a qual punto avrebbe una tale facoltà) la raccolta dei dati necessari, in modo da offrire un completo materiale di giudizio all’Assemblea, è bene che si pronunci sull’ordine del giorno Mannironi. Lo pone quindi ai voti.

(Non è approvato).

Pone ai voti la richiesta del Molise di essere eretto in Regione autonoma.

RAVAGNAN dichiara che si asterrà dalla votazione.

MANNIRONI, pur avendo presentato l’ordine del giorno per la sospensiva, voterà a favore del riconoscimento della Regione molisana. Precisa che la sua proposta aveva unicamente lo scopo di evitare – nel convincimento che la maggioranza della Sottocommissione fosse contraria alla richiesta – una decisione sfavorevole, che avrebbe potuto in seguito risultare pregiudizievole per la riproposizione della questione.

CONTI voterà a favore, nella speranza che i molisani, nel periodo che separa questa decisione dalla definitiva, presentino delle relazioni comprovanti la loro capacità di vivere come Regione autonoma, affinché l’Assemblea costituente possa senza alcuno scrupolo accogliere l’istanza.

LACONI dichiara di votare contro, associandosi alle dichiarazioni dell’onorevole Lami Starnuti.

BOZZI dichiara di astenersi dal voto.

(Con 13 voli favorevoli, 10 contrari e 6 astenuti, è approvata).

PRESIDENTE prega l’onorevole Codacci Pisanelli di iniziare la sua esposizione sulla costituzione di due nuove Regioni: la Capitanata e il Salento.

CODACCI PISANELLI premette che la Puglia (Apulia), fin dalla antichità, era suddivisa in tre piccole Regioni: la Daunia (zona di Foggia), la Pucezia (terra di Bari) e il Salento (terra d’Otranto). Essa ha una lunghezza di oltre 400 chilometri, dal Gargano, il cui limite superiore è costituito dal fiume Fortore (antico Frento), fino al Capo di Santa Maria di Leuca. Nella larghezza vi è una notevole differenza fra un punto e l’altro della Regione.

Gli antichi abitatori della parte più alta erano i Dauni, e successivamente, nel periodo bizantino, la zona assunse il nome di Capitanata. Essa è costituita in particolare dal cosiddetto Tavoliere delle Puglie ed ha caratteristiche completamente diverse da quelle della Puglia meridionale. Infatti, mentre la Daunia o Capitanata è essenzialmente pianura, nelle altre parti della Puglia si notano quasi ovunque colline. I suoi confini si possono all’incirca individuare tra il fiume Fortore e l’Ofanto; ad oriente si ha poi l’Adriatico e ad occidente gli Appennini.

Tutta la superficie della zona, che ha un’ampiezza notevole (7184 Kmq.), comprende una sola provincia, quella di Foggia. La popolazione è di 580.870 abitanti, divisa in 60 Comuni; ma la densità è bassa, perché si calcola in 73 abitanti per chilometro quadrato.

Nella Capitanata prevale la cultura estensiva: cioè, vi è ancora in gran parte il latifondo, mentre nelle altre due zone della Puglia si riscontra il fenomeno esattamente opposto: quello del microfondo, tanto che non si ha convenienza ad introdurvi le macchine agricole. I terreni sono per la maggior parte coltivati a semina ed a pascolo: all’inizio del secolo, i pascoli coprivano circa la metà della Daunia: oggi soltanto il 23 per cento. Si è esteso cioè il territorio a semina ed in conseguenza ne è derivata una riduzione dell’allevamento del bestiame; laddove allora si contavano circa 60.000 capi di bestiame ovino, oggi non se ne contano più di 40.000. È stata viceversa incrementata la produzione del frumento, e vi sono alcune culture legnose specializzate, quali il mandorlo e l’ulivo. Una parte del territorio (6 per cento) è tenuto a coltura boschiva ed il 3 per cento circa, rappresentato precisamente dal promontorio Garganico, che è roccioso, è incolto. Uno dei maggiori cespiti è dunque rappresentato dalla pastorizia e, se la lana della Daunia non può reggere il confronto con quella dell’Australia, è tuttavia rinomata, e nel periodo della guerra è stata oltremodo preziosa all’industria italiana. I continui scambi che avvengono tra la Puglia e gli Abruzzi per la massima parte riguardano appunto questa produzione. I greggi vivono d’inverno nella Capitanata, dove trovano pascoli abbondanti; di estate con la siccità i pascoli si inaridiscono ed allora si ha la transumanza, attraverso i tratturi.

Quanto alle industrie, non ve ne sono di sviluppate. Da circa un decennio vi è stata introdotta l’industria della carta, che rappresenta una caratteristica del luogo, in quanto si ricava la carta dalla paglia di frumento; ma i risultati, a dir vero, non sono molto soddisfacenti. Un’altra risorsa della Regione è costituita dal sale, che si ricava dalle saline di Margherita di Savoia, in ragione del 30 per cento della produzione nazionale. Naturalmente si utilizzano anche i sottoprodotti del sale.

Altra caratteristica della Daunia, che può influire sul suo avvenire, è l’importanza dei suoi aeroporti. È questa infatti una delle ragioni per cui gli Alleati, quando ci imposero l’armistizio, pretesero la libera disponibilità della zona per impiantarvi gli aeroporti, donde fecero poi partire le fortezze volanti. Vi si potranno dunque con facilità creare delle basi aeree commerciali, tanto più che molti degli aeroporti consegnatici dagli Alleati sono ancora in piena efficienza.

La Capitanata ha anche altre possibilità di sfruttamento, perché in questa vasta pianura in cui predomina il latifondo vi son grandi estensioni coltivate unicamente mediante aratura fatta con aratri che hanno un vomere piccolissimo, il quale smuove soltanto la parte superficiale del terreno. Nonostante ciò, la produzione di frumento è di 12 quintali per ettaro. Dove poi sono stati introdotti nuovi metodi, come quello Ferraguti, con aratura a motore, si sono avute rese ottime. Qualche cosa si era cominciato a fare per il progresso dell’agricoltura, ma la guerra ha interrotto ogni iniziativa.

È interessante rilevare la differenza fra la conduzione agraria della Capitanata e quella del resto della Puglia. Nella Capitanata si ha essenzialmente l’affittanza con braccianti che lavorano giorno per giorno e da questo sistema derivano gravi conseguenze, perché la mano d’opera viene ingaggiata soltanto quando occorre, onde la disoccupazione periodica che determina frequenti disordini. S’impone dunque una trasformazione agraria, tanto più che nella Pucezia e nel Salento vigono sistemi di conduzione agraria diversa.

La zona ha i porti di Manfredonia e di Margherita di Savoia, ma il suo traffico gravita verso quello di Barletta, che costituisce il suo naturale sbocco al mare.

Osserva ancora, per quanto riguarda l’economia, che si può supporre che la Daunia goda di autonomia finanziaria e, se non altro, ha certamente l’autonomia alimentare, tanto più che la sua popolazione è molto sobria. Viceversa, ripete, non vi sono risorse industriali, ove si eccettuino quelle delle saline e delle cartiere, le quali ultime, però, sono state distrutte dalla guerra. Purtroppo il Foggiano ha subito grandi distruzioni, e le vastissime piste di volo impiantate dagli Alleati hanno prodotto un certo danno all’agricoltura locale. Vi accade quindi l’opposto di ciò che accade altrove: i proprietari mettono le loro terre a disposizione delle cooperative e queste le rifiutano perché il loro dissodamento, dopo il passaggio dei compressori, richiederebbe un lavoro di anni.

Anche per quanto riguarda il dialetto c’è una differenza notevole tra la Capitanata e le restanti Regioni della Puglia: l’accento è molto più marcato nella Capitanata ed un barese e un foggiano difficilmente si comprendono.

Concludendo afferma che, per quanto lo riguarda, ritiene sufficientemente fondata la richiesta di autonomia della Capitanata, la quale, d’altro canto, non trova opposizione nella vicina Provincia di Bari. Che se poi la Sottocommissione non ritenesse di aderire alla costituzione di tale Regione si potrebbe prendere in considerazione l’altra ipotesi: di riunire, cioè, la Daunia e la Pucezia. A questo proposito però sente il dovere di avvertire che la terra di Bari ha caratteristiche diverse: vi predominano l’ulivo, la vite e il mandarlo, invece del grano, e non vi è latifondo. Bari ha un porto, non naturale, ma sviluppato specialmente negli ultimi anni a danno di Brindisi; è la città più popolata della Puglia (oltre 200.000 abitanti) e vanta un tale sviluppo industriale che anche la sua sola provincia potrebbe costituire una Regione a sé stante.

Passa quindi ad illustrare la richiesta di costituzione della regione Salentina, avvertendo che egli appartiene al Salento, ciò che non può non influire sul suo giudizio.

Il Salento, cioè il tallone di Italia, è costituito di tre Province: Taranto, Brindisi e Lecce. Il suo riconoscimento come Regione non toglierebbe brani di terra al resto della Puglia. Giova, del resto, tener presente che, mentre la Provincia di Bari mantiene un atteggiamento indifferente, la Capitanata e il Salento vorrebbero distaccarsene. Si potrebbe quindi soddisfare il desiderio degli uni senza contrariare gli altri.

Il Salento (terra d’Otranto), sin dai tempi più antichi è stato sempre considerato come un’entità territoriale a sé stante, tanto che nella suddivisione in Regioni del periodo di Augusto e nella nuova suddivisione operata sotto Adriano (125 dopo Cristo) fu sempre conservata la distinzione tra Apulia e Salento.

Dagli studi sul periodo Paleolitico risulta l’esistenza nella zona di una popolazione autoctona, di civiltà particolare: i Messapi, che avevano un alfabeto proprio di cui ancora non si conosce la chiave, nonostante si siano ritrovati molti scritti. I Messapi costituirono la prima popolazione e furono poi seguiti dai cosiddetti Salentini, i quali dettero molto filo da torcere ai Romani, finché questi ultimi, dopo aver vinto Pirro e essersi impadroniti di Taranto, fecero una spedizione contro di essi riuscendo a vincerli nel 268 avanti Cristo.

Si tratta di una zona ove si notano caratteristiche completamente diverse da quelle delle terre di Bari e di Foggia. In primo luogo, la popolazione ha caratteri somatici diversi; il suo dialetto è completamente differente dal barese e dal foggiano e ricorda in parte quello siciliano e in parte quello calabrese. Il Salento ha una letteratura dialettale non trascurabile: ma, a parte, ciò, in Lecce, Brindisi e Taranto lo sviluppo culturale è molto superiore a quello delle altre parti della Puglia. Lecce soprattutto ha delle velleità letterarie e si compiace nel sentirsi definire la Firenze delle Puglie, perché i leccesi riescono a perdere completamente l’accento e ritengono di parlare un italiano abbastanza buono.

Le risorse principali della zona sono l’olio, il vino e il tabacco.

Per quanto concerne l’olio cita un solo dato, per dare una idea della possibilità di autonomia finanziaria: per il contingentamento, l’anno scorso la zona salentina fu impegnata a consegnare 150.000 quintali di olio. Non è quindi azzardato supporre che ne producesse almeno il doppio.

Il vino ha doti particolari, che determinano frequenti scambi con la Lombardia. Si tratta di vini molto pesanti, che vengono poi tagliati e resi bevibili.

Solo recentemente si è introdotta nel Salento la coltura del tabacco. I primi tentativi di coltivazione del tabacco in Italia furono fatti appunto nella penisola salentina, ma si sono avuti dei successi soltanto dopo varie prove e fallimenti. Tale coltivazione dà alla zona vantaggi notevoli, perché l’essiccazione, la scelta e l’imballaggio delle foglie offre lavoro alle tabacchine per tutto l’inverno, risolvendo in parte il problema della disoccupazione invernale. Tanto maggiore è l’importanza di questa coltura, in quanto le terre che vi sono state destinate non erano adatte ad alcuna altra. Perciò oggi la zona sente incombere come una grave minaccia il tentativo da parte dell’Amministrazione dei monopoli di spostare la coltivazione del tabacco in altre zone più adatte.

Le città principali del Salento sono Taranto, Brindisi e Lecce. Quindi, oltre alle risorse citate, vi è quella costituita da Taranto, l’asse marittima dotata di un cantiere molto importante, di cui anche gli Alleati hanno potuto constatare l’efficienza durante l’ultimo periodo della guerra, facendovi riparare molte navi della loro flotta. Tale cantiere consente di offrire lavoro a moltissimi operai e, mentre prima questi vi affluivano dalla Liguria e da altre zone industriali, oggi le maestranze specializzate si trovano anche sul posto.

Brindisi offre il vantaggio di essere un porto commerciale naturale dei più sicuri. Recentemente è stato ingiustamente svalutato dal fatto che Bari, profittando di un Ministro dei lavori pubblici barese, si è fatto costruire un grandioso porto artificiale, non curando che a pochi chilometri di distanza esisteva il magnifico porto di Brindisi che avrebbe potuto, con minore spesa, essere utilizzato. Pertanto una delle ragioni per cui non solo Lecce, che era l’antica capitale della regione, ma anche Brindisi e Taranto tengono molto alla autonomia, è che sarebbe loro consentito di realizzare pienamente le loro risorse che finora sono state assorbite dalle spese eccessive fatte per Bari.

Sottopone alla Sottocommissione un’istanza firmata da sette deputati della zona, appartenenti a vari partiti, per ottenere il riconoscimento del Salento come Regione autonoma, accompagnandola con le sue raccomandazioni più vive. Aggiunge che nel Salento è molto alto il concetto dell’unità e la Regione è completamente estranea ai disordini che si sono verificati in Puglia. L’aspirazione all’autonomia trova una giustificazione anche nella popolazione, superiore ad un milione e centomila abitanti, e nella superficie di oltre 700 mila chilometri quadrati.

Concludendo, può assicurare i colleghi che non debbono temere questa suddivisione della Puglia, perché le popolazioni di Lecce, Bari e Foggia si sono sempre considerate come facenti parte di tre organizzazioni diverse. Del resto, è anche molto notevole la distanza che intercorre fra le tre città.

Ove la Sottocommissione non ritenesse di accogliere la richiesta della Capitanata, raccomanda, quanto meno, di distaccare il Salento dalla Puglia vera e propria, cioè dalle province di Foggia e Bari.

La seduta termina alle 20.40.

Erano presenti: Ambrosini, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cannizzo, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bocconi, Calamandrei, Castiglia, Grieco, Leone Giovanni, Rossi Paolo, Zuccarini.