Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

21.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà (Seguito della discussione)

Taviani, Relatore – Noce Teresa – Fanfani – Togni – Canevari – Federici Maria – Presidente – Dominedò – Marinaro – Assennato – Corbi.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sulla proprietà.

TAVIANI, Relatore, facendo seguito a quanto ha detto nella seduta antimeridiana, dichiara di non essere contrario ad alcune affermazioni contenute nella proposta Ghidini-Fanfani. Tuttavia non userebbe l’espressione «favorisce il concentramento di quelle eccessivamente parcellate», perché non si addice ad alcune regioni, ad esempio la Liguria; non userebbe nemmeno le parole «espropria il latifondo e le terre incolte», perché occorrerebbe un quarantennio per questo esproprio.

Nella Costituzione va inserito un articolo il quale, in sede di discussione sul diritto di proprietà, apra esplicitamente la via alla possibilità di attuare la riforma agraria.

Riconosce la validità dell’obiezione del Presidente, che alla riforma agraria si potrebbe giungere senza fare un apposito articolo, ma preferisce che vi sia un articolo che renda agevole applicare alla proprietà terriera le disposizioni prese per la proprietà in generale. Perciò rimane su questo articolo:

«La Repubblica persegue la razionale valorizzazione del territorio nazionale nell’interesse di tutto il popolo e alte scopo di promuovere l’elevazione materiale e morale dei lavoratori.

«In vista di tali finalità e per stabilire più equi rapporti sociali, essa, con precise disposizioni di leggi, potrà imporre obblighi e vincoli alla proprietà terriera e impedirà l’esistenza e la formazione delle grandi proprietà terriere private».

Naturalmente, quando in esso si dice territorio, ci si vuol riferire non al solo terreno, ma a tutte le risorse del suolo, miniere, turismo e persino pesca.

Sull’ultima espressione «grandi proprietà terriere private» dichiara di accettare una migliore dizione se sarà proposta.

NOCE TERESA chiede all’onorevole Fanfani se intenda mantenere il suo articolo in opposizione a quello presentato dall’onorevole Taviani, ovvero come articolo integrativo di questo.

FANFANI non intende contrapporlo all’altro, ma solo di inglobarne lo esigenze e svilupparle in quelle determinazioni che l’onorevole Taviani, forse, avrà giudicato eccessive.

TOGNI, per mozione d’ordine, crede che sia ormai tempo di passare alla votazione degli articoli proposti. Poiché il primo articolo è quello dell’onorevole Taviani, propone di discuterlo per primo e metterlo in votazione comma per comma.

CANEVARI ricorda che c’è anche la sua proposta, e ripropone il suo articolo così modificato:

«L’impresa agricola deve mirare al benessere della collettività ed a una più alta possibilità di civile esistenza dei lavoratori della terra.

«La legge promuoverà un movimento di trasformazione che, sviluppandosi nel tempo, determini nel lavoratore, nella economia e nel diritto, le condizioni favorevoli per conseguire un’agricoltura in via di continuo progresso, condotta anche dal lavoro associato, per il maggior benessere dei singoli e della collettività».

Ha aggiunto «condotta anche dal lavoro associato» perché vi possono essere in agricoltura progressi ottenuti anche dal lavoro non associato.

La sua proposta presenta differenze sostanziali dalle altre che non tengono presente che la riforma agraria non deve essere esaminata soltanto nei riguardi del risultato che si può conseguire dai provvedimenti che oggi si prevedono. La trasformazione agraria deve consentire un continuo ulteriore sviluppo e miglioramento dell’agricoltura. Il miglioramento agricolo è ininterrotto; raggiunte certe determinate finalità non può fermarsi. Le trasformazioni agrarie sono anche determinate dai risultati di ricerche scientifiche, e che il loro sviluppo sia indefinito va fissato nella Carta costituzionale.

Inoltre, nelle altre proposte non vi è traccia della conduzione associata. Come socialista tiene a questo concetto per il suo contenuto di ordine sociale.

TOGNI riconosce che l’onorevole Canevari, con la sua proposta, tende a sottolineare la dinamica del progresso agrario, ma gli sembra che questo sia già precisato e contenuto nella frase iniziale dell’articolo Taviani.

Anche la parte relativa alla conduzione collettiva gli sembra compresa nella seconda parte dell’articolo Taviani, a prescindere dal fatto che si può sempre far ricorso all’articolo sulla proprietà in generale già approvato.

Per quanto riguarda l’intervento dello Stato al fine di evitare il formarsi di proprietà terriere che non rispondano né alle esigenze produttive, né a quelle sociali, si chiede quale possa essere il termine da usare per evitare una formula empirica che dia luogo ad incertezze di interpretazione. Tutto è relativo, a seconda della natura del suolo, delle culture, ecc.; perciò, più che parlare di «grandi», termine che dà l’idea di una misura, preferirebbe, nella formula Taviani, dire «eccessive».

Anche questo è un termine poco felice, ma chiarisce meglio il concetto.

Per queste ragioni prega i colleghi di esaminare con particolare serietà l’articolo dell’onorevole Taviani che, a suo avviso, risponde a tutte le esigenze.

FEDERICI MARIA rileva che la seconda parte dell’articolo Taviani potrebbe essere modificata tenendo conto di quanto è stato formulato dalla Commissione del Ministero della Costituente, che ha affrontato questi stessi problemi. Ha avuto l’impressione che quella formulazione rivestisse notevole importanza.

Presenta pertanto un articolo formulato anche con elementi presi dall’articolo Taviani che le pare rimanga, comunque, la base della discussione, formulato nel modo seguente:

«Lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione e trasformazione del territorio nazionale nell’interesse di tutto il popolo e per promuovere l’elevazione dei lavoratori.

«A questi scopi la legge impedisce la formazione di proprietà che eccedano un limite di ampiezza tale da costituire impedimento alla migliore loro utilizzazione ed ostacolo allo sviluppo di più equi rapporti sociali».

PRESIDENTE fa rilevare che non è sempre vero che la grande azienda impedisca il miglior rendimento della terra.

CANEVARI modifica la sua formulazione; invece di: «condotta anche con» direbbe: «condotta preferibilmente col lavoro associato».

Ripete che in agricoltura le trasformazioni culturali potranno anche avere un’efficacia lunga, ma sempre limitata nel tempo, perché saranno superate da altre trasformazioni; ed è questo evolversi delle trasformazioni che va favorito.

NOCE TERESA concorda sulla sostanza dell’articolo proposto dall’onorevole Canevari, ma dubita che esso liberi veramente il terreno da ogni ostacolo alle più vaste riforme. Per queste ragioni è favorevole alla formula proposta dall’onorevole Taviani, la quale, del resto, risponde anche alle esigenze fatte presenti dall’onorevole Canevari.

La modificazione proposta dalla onorevole Federici presenta gli stessi difetti di quella dell’onorevole Canevari; è vaga e può lasciare troppa latitudine di interpretazione.

FEDERICI MARIA dichiara di essere anche disposta a rinunciarvi, se dovesse dar luogo a interpretazioni meno chiare di quello che si rilevano dalla proposta Taviani.

DOMINEDÒ propone che la seduta sia sospesa per qualche minuto, onde consentire che siano concordati gli emendamenti all’articolo proposto dal Relatore.

(Rimane così stabilito).

(La seduta, sospesa alle 18.40, è ripresa alle 18.45).

CANEVARI, per mozione d’ordine, chiede che il Presidente dichiari chiusa la discussione.

(La proposta, messa ai voti, è approvata).

NOCE TERESA fa una dichiarazione di voto: non voterà contro la proposta Fanfani, perché condivide le sue preoccupazioni sul problema in discussione, ma siccome è favorevole alla proposta dell’onorevole Taviani che, a suo avviso, precisa la materia in discussione, si asterrà dalla votazione della proposta Fanfani.

PRESIDENTE porrà ai voti prima la proposta dell’onorevole Taviani. Se sarà approvata ritiene inutile passare alla votazione delle altre.

FANFANI ritiene, invece, che debba essere posta in votazione prima la proposta più radicale, quella più vasta, quindi o quella Canevari o la sua.

Del resto pensa che la discussione non possa considerarsi esaurita.

MARINARO dichiara che voterà l’articolo proposto dall’onorevole Canevari che ritiene assicuri sin d’ora, per evidenti finalità sociali, il miglioramento della proprietà fondiaria e lasci nel contempo libera la strada alla più modesta, come alla più radicale riforma agraria.

Inoltre gli sembra chiaro che lo spirito informatore di detto articolo tenda, senza pericolosi turbamenti, a realizzare, in questo essenziale settore della produzione, una reale solidarietà nazionale, da tutti indistintamente auspicata.

PRESIDENTE afferma che si tratta di stabilire quale proposta debba essere messa per prima in votazione.

NOCE TERESA osserva che, per consuetudine, si vota per prima la proposta che si allontana di più dalla primitiva.

PRESIDENTE ritiene che la sua si allontani di più, ma siccome non intende proporre un voto sopra un ordine del giorno, non può metterla in votazione. Effettivamente è stata respinta da una dichiarazione di maggioranza, senza essere messa ai voli.

Nel mettere in votazione gli articoli proposti dichiara che non voterà l’articolo Taviani né quello Fanfani; voterà quello Canevari. Aggiunge che questi articoli gli sembrano inutili, perché la materia in discussione è già compresa nell’articolo sulla proprietà che è stato approvato, col vizio, specialmente nell’articolo Taviani, di specificazioni che contrastano con le esigenze della Carta costituzionale.

Si sarebbe limitato, allo scopo di togliere ogni dubbio in merito all’auspicata riforma agraria, ad una semplice aggiunta al secondo così formulato:

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato. La legge ne determina i modi di acquisto e di godimento e i limiti, allo scopo di farle assumere funzione sociale e di renderla accessibile a tutti». Aggiungerebbe: «e di costituire le premesse della riforma strutturale agraria».

TAVIANI, Relatore, dichiara che l’articolo da lui proposto, e successivamente emendato, non voleva, né vuole essere un articolo sul problema dell’agricoltura. Come articolo su questo problema, in linea di massima, è favorevole all’ultima stesura dell’articolo Fanfani. Il suo lo concepisce come articolo riguardante espressamente l’istituto della proprietà. È d’accordo con il Presidente e con l’onorevole Fanfani che nell’articolo sulla proprietà già approvato è implicita, nella espressione «funzione sociale», la premessa necessaria per attuare la riforma agraria.

ASSENNATO dichiara che voterà contro la proposta Canevari, proprio per le precise ragioni addotte dall’onorevole Marinaro.

DOMINEDÒ dichiara che, pur essendo consenziente con i concetti ispiratori del primo comma dell’articolo Taviani, ha motivo di nutrire delle perplessità sul secondo comma, come ha già espresso ieri proponendo che, fra l’altro, si sostituisse il concetto della trasformazione agraria a quello della ripartizione. Parlare in un articolo costituzionale, che deve aprire la via alla riforma agraria, del frazionamento del latifondo o dell’impedimento alla formazione della grande proprietà terriera, come soli mezzi per raggiungere tale finalità, non risolve il problema. A parte l’insufficienza di ogni criterio meramente quantitativo, non vengono così considerati i problemi della piccola o della media proprietà, ed è discutibile la stessa utilità economica della norma. Sente socialmente e moralmente l’esigenza di affrontare il problema del latifondo incolto, ma concepisce questa esigenza nel quadro ben più vasto di una trasformazione agraria, rispondente a un complesso di finalità tecniche, sociali ed economiche. Perciò dichiara che, avendo il collega Fanfani accettato alcuni suoi emendamenti nella formulazione dell’articolo, voterà in favore di questo.

FANFANI torna a dichiarare che circa lo spezzettamento del latifondo e le limitazioni della proprietà fondiaria, criteri direttivi di massima sono stati già enunciati nel secondo e terzo comma dell’articolo relativo alla proprietà. Ma, poiché ritiene che un articolo esplicitamente dedicato al problema agrario italiano nel suo complesso vada inserito nella Costituzione, propone un articolo che investa in pieno, in tutti i suoi aspetti attuali e prospettici, il problema agrario italiano. Questo si presenta come un problema di deficiente trasformazione fondiaria, di inadeguata distribuzione della proprietà.

Un secondo aspetto del problema agrario italiano è la deficienza di istituzioni ausiliarie – cooperative, consorzi, credito – a sussidio della media e della piccola proprietà.

Terzo punto: poiché non è prevedibile se tutta la proprietà italiana potrà èssere trasformata, si preoccupa – sia proprietario un privato, un ente pubblico od una associazione – che lo Stato sappia affrontare ed incoraggiare la risoluzione o la revisione dei patti agrari, che ancora per un pezzo regoleranno gran parte del lavoro degli addetti all’agricoltura.

Infine, tutte queste trasformazioni, per essere realizzate, vanno accompagnate da un’intensificazione dell’opera di bonifica, intesa non esclusivamente al prosciugamento di paludi, ma alla dotazione di strade, di case coloniche, di concimaie razionali, cioè di tutta quella attrezzatura senza la quale la valorizzazione del fondo è impossibile.

Sviluppando un concetto già accennato dall’onorevole Canevari, ritiene poi, che a questa opera debba accompagnarsi l’opera di bonifica degli uomini, cioè di rinnovamento anche radicale della cultura in materia agraria, se non si vuol fare opera vana.

Per questi motivi propone il seguente articolo:

«Lo Stato, per la migliore valorizzazione della terra, nell’interesse sociale e dei coltivatori, promuove le trasformazioni fondiarie necessarie, favorisce le istituzioni ausiliarie della media e piccola proprietà, dispone l’aggiornamento dei patti agrari, completa la bonifica, agevola la diffusione dell’istruzione agraria».

CORBI dichiara di votare contro l’articolo proposto dall’onorevole Canevari, perché esso, a suo avviso, pecca di generalità e si presta alle più varie interpretazioni che al legislatore piacerà dare.

Non voterà l’articolo Fanfani, perché ritiene che la materia in esso contenuta sia oggetto di sede diversa da quella costituzionale. È favorevole all’articolo Taviani, perché più rispondente ai compiti di una Carta costituzionale e più preciso nei principî fissati.

CANEVARI chiede all’onorevole Corbi se non ravvisa nella sua proposta la possibilità di una più larga e ampia riforma agraria.

CORBI consente; però trova che si presta ad essere interpretato in maniera anche contraria a quelli che sono gli intendimenti dell’onorevole Canevari; quindi non offre la necessaria garanzia.

TOGNI dichiara di votare in favore dell’articolo Taviani, perché risponde alle esigenze di una particolare considerazione del problema agrario nella nuova Carta costituzionale, con tutti i suoi riflessi di evidente ordine politico e sociale. E ciò senza superfluità, senza ripetizioni, mentre gli articoli Canevari e Fanfani, che pure apprezza nelle loro intenzioni, prevedono dettagli e principî già compresi in articoli approvati o in altri successivi.

FEDERICI MARIA dichiara che voterà l’articolo Taviani, pur ritenendo che l’articolo proposto dall’onorevole Fanfani apra ampie prospettive alla riforma agraria e che quello proposto dall’onorevole Canevari sia apprezzabilissimo, in armonia alle soggettive e personali vedute del proponente.

PRESIDENTE indice la votazione nominale sui tre articoli.

Articolo Canevari:

«L’impresa agricola deve mirare al benessere della collettività e ad una più alta

possibilità di civile esistenza dei lavoratori della terra.

«La legge promuoverà un movimento di trasformazione, che sviluppandosi nel tempo, determini nel lavoratore, nell’economia e nel diritto, le condizioni favorevoli per conseguire un’agricoltura in via di continuo progresso, condotta preferibilmente dal lavoro associato, per il maggiore benessere dei singoli e della collettività».

Voti favorevoli: 3 (Canevari, Ghidini, Marinaro).

Voti contrari: 4 (Taviani, Togni, Corbi, Assennato).

Astenuti: 4 (Fanfani, Dominedò, Federici Maria, Noce Teresa).

(L’articolo non è approvato).

Articolo Fanfani:

«Lo Stato, per la migliore valorizzazione della terra, nell’interesse sociale e dei coltivatori, promuove le trasformazioni fondiarie necessarie, favorisce le istituzioni ausiliarie della media e piccola proprietà, dispone l’aggiornamento dei patti agrari, completa la bonifica, agevola la diffusione dell’istruzione agraria».

Voti favorevoli: 2 (Fanfani, Dominedò).

Astenuti: 9 (Assennato, Canevari, Corbi, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Taviani, Togni).

(Non è approvato).

Articolo Taviani:

«La Repubblica persegue la razionale valorizzazione del territorio nazionale nell’interesse di tutto il popolo, allo scopo di promuovere l’elevazione morale e materiale dei lavoratori.

«In vista di tali finalità e per stabilire più equi rapporti sociali, essa, con precise disposizioni di legge, potrà imporre obblighi e vincoli alla proprietà terriera e impedirà l’esistenza e la formazione delle grandi proprietà terriere private».

Voti favorevoli: 6 (Taviani, Federici Maria, Togni, Noce Teresa, Corbi, Assennato).

Astenuti: 5 (Ghidini, Canevari, Marinaro, Dominedò, Fanfani).

(È approvato).

La seduta termina alle 19.30.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Rapelli, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Colitto, Merlin Angelina, Molè.

Assenti: Giua, Lombardo, Paratore.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

20.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà (Seguito della discussione)

Presidente – Taviani – Fanfani – Noce Teresa – Dominedò – Colitto – Corbi – Marinaro – Togni – Canevari – Assennato – Federici Maria.

La seduta comincia alle 10.15.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà.

PRESIDENTE ritiene che nessuno degli articoli presentati nella riunione di ieri possa essere approvato, anche in considerazione che, a suo avviso, è dubbio se nella Carta Costituzionale si possa, sia pure a grandi linee, regolamentare la riforma agraria.

Dato che la Sottocommissione ha già in precedenza espresso il convincimento che la piccola e media proprietà industriale ed agraria devono essere tutelate, ritiene che non vi sia altro da aggiungere ai due articoli, già approvati, sul diritto di proprietà. Infatti il terzo comma del primo articolo dice: «Per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell’attività economica, la legge può attribuire agli enti pubblici e alle comunità di lavoratori e di utenti la proprietà di singoli beni, ecc.». Con ciò è consacrato il diritto dello Stato di espropriare beni singoli e complessi produttivi e quindi sono già poste le basi di quella che è la riforma agraria, in quanto l’espropriazione di beni non può avere altro esito, se non la riforma stessa. Altrettanto si deve dire per quello che riguarda la riforma industriale, in quanto l’ultimo comma dell’articolo sulle imprese sancisce che: «Allo scopo del bene comune, quando l’impresa per riferirsi a servizi pubblici essenziali, o a situazioni di privilegio o di monopolio, o a fonti di energia, assume carattere di preminenti interessi generali, la legge può autorizzare l’espropriazione mediante indennizzo, devolvendone proprietà ed esercizio diretto o indiretto allo Stato o ad altri enti pubblici o a comunità di lavoratori e di utenti». Ora è chiaro che questa espropriazione, questa utilizzazione di una grande proprietà industriale da parte dello Stato o di un altro ente pubblico non può avere altro esito se non quella riforma industriale della quale si è tanto parlato e che rappresenta una delle aspirazioni comuni ed una delle necessità del divenire sociale del popolo italiano. Ritiene quindi che tutto ciò che riguarda il presupposto della riforma industriale ed agraria sia consacrato nei due articoli.

Osserva però che, oltre alla riforma strutturale ve n’è un’altra: quella cioè che si persegue mediante il controllo e l’incrementazione dell’agricoltura da un lato e dell’industria dall’altro, per cui ritiene sia necessario aggiungere i due seguenti articoli:

1°) «Lo Stato, al fine di potenziare il rendimento nell’interesse sociale, ha il diritto di controllare le aziende private industriali ed agrarie».

2°) «Lo Stato, al fine di potenziarne il rendimento nell’interesse sociale e dei singoli, predispone, promuove od integra istituzioni dirette a garantire il credito e l’approvvigionamento dei necessari mezzi di produzione a favore delle piccole e medie aziende industriali ed agrarie».

TAVIANI si dichiara d’accordo sull’impostazione che ha fatto il Presidente; ma, per quanto riguarda i due articoli proposti, ritiene che essi debbano essere rinviati alla discussione sul controllo dell’economia da parte dello Stato.

È d’accordo con l’impostazione del Presidente, perché effettivamente nei due articoli già deliberati sulla proprietà e sull’impresa ci sono tutte le premesse per poter giungere alla riforma agraria, la quale, secondo il pensiero dell’onorevole Fanfani, si manifesta sotto cinque aspetti, ossia: problema fondiario, agrario, di credito agrario, di contratti agrari e istruzione degli uomini.

Non è in questa sede che si deve fare la riforma agraria; ci si deve soltanto preoccupare che essa venga attuata mediante una legge, che gli articoli della Costituzione devono accontentarsi di permettere con le loro statuizioni.

Il dilemma è a suo avviso: o rinunciare a trattare completamente l’argomento, limitandosi ai due articoli già deliberati e rimandando alla discussione del controllo sull’economia gli articoli proposti dal Presidente; o fare un articolo sul problema della proprietà terriera, che lasci aperta la possibilità verso la riforma agraria.

Avendo preso visione, per suggerimento del Presidente onorevole Ruini, di una sintesi del lavoro compiuto in materia dalla Commissione presso il Ministero della Costituente, ha ritenuto, tenendo conto di quelle risultanze e delle esigenze emerse nella discussione del giorno precedente, di formulare su tale base un tipo di articolo, che non è però indispensabile, perché, a rigore, i concetti sono contenuti in articoli precedenti:

«Lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio nazionale, conservandone e potenziandone l’efficienza produttiva nell’interesse di tutto il popolo, ed a promuovere l’elevazione materiale e morale dei lavoratori, specie nelle regioni più arretrate, più povere e minacciate.

«A questi scopi, nonché al fine di stabilire più equi rapporti sociali, esso potrà imporre con precise disposizioni di legge obblighi, limiti e vincoli alla proprietà terriera».

Dichiara che, se si ritenesse che sia detto troppo poco a proposito dei contratti agrari, accetterebbe – quando si tratterà dei contratti di lavoro – di aggiungere una formulazione analoga a quella proposta nel volume della Commissione presso il Ministero della Costituente.

FANFANI, dichiarando di non entrare per ora nel merito della discussione, cioè nella formulazione dell’articolo, fa osservare che la proposta del Presidente di dedicare uno o più articoli al problema del controllo pubblico dello sfruttamento agricolo, anticipa gli argomenti che dovranno essere trattati sul problema del controllo sociale in genere, per quanto riguarda tutte le forme di attività. Prega quindi il Presidente di accantonare la proposta, in attesa che la Sottocommissione abbia affrontato il problema generale, per scendere poi a quello particolare delle imprese agricole.

Per quanto riguarda l’altro aspetto delle proposte dell’onorevole Presidente, concorda nel ritenere che probabilmente la Sottocommissione dovrà fermare nuovamente la sua attenzione sugli articoli dedicati alla proprietà e alla impresa, per vedere se sia possibile l’inclusione di altri termini, che, oltre a rendere più comprensibili gli stessi articoli, estendano la loro efficacia anche al settore dell’agricoltura.

Non nasconde tuttavia la sua perplessità sull’opportunità di non includere nella Costituzione almeno un articolo, sia pur breve, dedicato particolarmente alla questione agraria. La cosa sarebbe forse opportuna da un punto di vista strettamente giuridico, ma sarebbe un errore da quello psicologico e politico. Non si tratta di fare della demagogia, ma bisogna tener presente che la Costituzione non va soltanto in mano a dei giuristi, ma alle più svariate categorie dei cittadini. Una buona metà del popolo italiano cercherà nella Costituzione non qualche inciso sibillino che faccia pensare ad una trasformazione agraria, ma almeno un articolo che parli chiaramente della terra.

PRESIDENTE domanda l’opinione dell’onorevole Fanfani sull’opportunità di fare un accenno alla piccola e media proprietà.

FANFANI ritiene che se ne potrà parlare quando vi sarà un testo completo sul quale discutere.

NOCE TERESA si dichiara d’accordo, in linea di massima, con l’onorevole Fanfani. La Costituzione che si sta elaborando passerà alla storia come la Costituzione del 1946; e siccome attualmente il problema agrario è uno dei più sentiti, non è possibile non dedicare ad esso un apposito articolo, senza il quale la Costituzione sarebbe manchevole anche dal punto di vista politico. Quanto agli eventuali pleonasmi, essi potranno essere eliminati in seguito; per ora la preoccupazione principale deve consistere soprattutto nell’indicare le linee generali che il legislatore dovrà seguire in avvenire.

Osserva che mentre l’articolo già approvato sulla riforma industriale è chiaro, quello sul diritto di proprietà non è altrettanto comprensibile, in quanto occorre essere dei giuristi per capirlo.

PRESIDENTE non condivide questa ultima osservazione, ritenendo che non occorra essere dei giuristi per capire che l’espropriazione del latifondo deve essere fatta in vista del conseguimento di determinate finalità sociali.

DOMINEDÒ, proprio come giurista, avrebbe dovuto formalizzarsi sulla base del testo proposto dal Presidente, che in verità contiene il germe per giungere alle conclusioni desiderate. Conviene tuttavia nel riconoscere che la possibilità di fare discendere dagli articoli proposti tutte le conseguenze alle quali si mira, potrebbe anche essere incerta. Tali finalità sono anzitutto l’incremento della trasformazione agraria nell’interesse della produzione e l’elevazione dei lavoratori della terra. Le disposizioni potrebbero quindi apparire fredde o incomplete, se da esse le suddette finalità dovessero venire faticosamente estratte.

Si associa pertanto alla proposta di un’apposita norma che dimostri l’intendimento di compiere in sede costituzionale il primo passo sulla via della riforma agraria. Quanto alla formulazione, essa potrebbe essere elaborata anche sul testo proposto dall’onorevole Taviani, purché comprensivo delle varie esigenze affiorate nella discussione sia della presente che della precedente seduta.

COLITTO osserva che, come ebbe ieri a rivelare e come ha riconosciuto lo stesso Relatore, le desiderate riforme agrarie e industriali trovano la loro disciplina, in grandi linee, negli articoli già approvati. Le ripetizioni, che si debbono evitare nelle leggi, sono assolutamente da bandire nella Costituzione, che è la legge delle leggi. Ritiene infine che siano da approvarsi i due articoli proposti dal Presidente in materia di controllo, in quanto esprimono concetti esattissimi, già consacrati in altre norme.

CORBI si associa alle considerazioni fatte dagli onorevoli. Fanfani, Dominedò e Noce sulla necessità di parlare nella Costituzione in termini più intelligibili a tutti del problema della terra, fondamentale nella vita economica e politica del nostro Paese. Ritiene soprattutto che ciò sia necessario per le considerazioni fatte dall’onorevole Colitto. Non è un fatto nuovo per nessuno che le sue posizioni divergono sostanzialmente e profondamente da quelle dell’onorevole Colitto in materia di proprietà. Il fatto quindi che l’onorevole Colitto ritenga già sufficientemente trattato, nell’articolo statuito, il problema della terra e quello della proprietà, deve porre in sospetto. È quindi d’avviso che una precisazione sia non solo utile ma necessaria, al fine di non lasciare possibilità di equivoci in avvenire.

Concorda nell’affermare che nell’articolo approvato sulla proprietà è detto tutto; c’è forse troppo e il troppo può significare, in certi casi, anche il poco nella sostanza. Si parla, è vero, di limiti; ma non si stabilisce affatto, ad esempio – come era stabilito in un articolo precedentemente proposto dall’onorevole Taviani – che la Repubblica deve impedire l’esistenza della formazione di grandi proprietà terriere private. Si parla anche delle esigenze e dell’utilità collettiva, ma non si accenna al problema fondamentale di assicurare una migliore esistenza ai lavoratori della terra.

Ritiene quindi che gli articoli già approvati sulla proprietà non siano sufficienti, perché il problema della riforma agraria e quello della terra sono problemi di ordine economico e politico, dalla cui soluzione dipendono le sorti della democrazia italiana.

COLITTO chiede la parola per fatto personale per manifestare la sua profonda meraviglia per quanto ha affermato nei suoi confronti l’onorevole Corbi, il quale evidentemente non ha tenuto conto, nei suoi sospetti del tutto infondati, del fatto che la proposta non era stata presentata da lui ma bensì dal Presidente, al quale egli si era soltanto associato.

MARINARO, premesso che la materia in esame va trattata specialmente dal punto di vista del potenziamento della produzione e non da quello del trattamento ai lavoratori della terra, la cui tutela e la cui elevazione morale sono state previste e stabilite in altra sede e saranno ancora oggetto di esame quando si parlerà dei rapporti sindacali, osserva che le disposizioni statutarie riguardanti l’agricoltura devono avere carattere specifico ed essere formulate con speciale riferimento ai beni fondiari rustici. Esse devono garantire in modo particolare sia la consacrazione della proprietà fondiaria, indispensabile ai fini della realizzazione del migliore bene comune, sia le più larghe possibilità di innovazione, segnando, tuttavia, limiti precisi alla legislazione futura.

A suo avviso, pertanto, i principî da fissare potrebbero essere i seguenti: primo, garanzia ai limiti della proprietà terriere: secondo, valorizzazione della proprietà fondiaria, con speciale riguardo alle regioni più arretrate e più povere.

TOGNI parla per mozione d’ordine. Nella discussione svoltasi, si è chiarito che la grande maggioranza è d’accordo sul fatto che la Costituzione deve contenere un articolo relativo alla parte agraria. Ritiene quindi che, superata questa questione di principio, non resti che passare alla discussione: in pratica, sulla proposta dell’onorevole Taviani che sembra raccogliere, salvo eventuali emendamenti e modifiche, una certa unanimità di adesioni.

PRESIDENTE, dato che, in sostanza, tutti riconoscono che nei due articoli già approvati sulla proprietà sono implicite le premesse di una riforma agraria e industriale, non vede la necessità di inserire un nuovo articolo nella Costituzione. Unico scopo attendibile sarebbe che, siccome non tutti le possono comprendere, si debba mettere in luce questa conseguente finalità. Dichiara che se tale è lo scopo, non ha nulla da opporre. Ma al fine di non creare duplicati, ritiene che si possa raggiungere lo scopo formulando il terzo comma dell’articolo già approvato sulla proprietà nel modo seguente:

«Per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell’attività economica e di costituire le premesse della riforma strutturale nel campo agrario, la legge può attribuire agli enti pubblici e alle comunità dei lavoratori la proprietà della terra».

Ritiene inoltre che si debba aggiungere una frase per quanto riguarda l’incremento, il potenziamento, l’incoraggiamento e la tutela della piccola proprietà e della piccola industria, secondo le promesse che sono state fatte.

CANEVARI, per le considerazioni svolte da diversi colleghi, ritiene indispensabile che la Carta costituzionale contenga affermazioni direttive e impegni per la riforma agraria, attesa da tutto il Paese, e che tali affermazioni possano essere riassunte nella proposta da lui fatta e sulla quale insiste. Ove tale proposta non fosse accettata dalla maggioranza, dichiara di associarsi a quella dell’onorevole Taviani.

TAVIANI dichiara che, se si passa alla discussione dell’articolo proposto sulla base delle risultanze degli studi del Ministero della Costituente, può consentire, a priori, di omettere la frase «conservandone e potenziandone l’efficienza produttiva», in quanto il concetto è compreso nelle parole «valorizzazione del territorio nazionale»; e di tralasciare i due aggettivi «materiale e morale», come pure l’espressione «più arretrate».

COLITTO chiede il significato della frase «nelle regioni più minacciate» contenuta nella proposta dell’onorevole Taviani.

TAVIANI fa presente che l’espressione è usata nel volume compilato dalla Commissione del Ministero per la Costituente e si riferisce soprattutto ai fenomeni metereologici.

CANEVARI si dichiara contrario a considerare tale eventualità.

FANFANI ritiene che al terzo comma dell’articolo sulla proprietà, dove più che ad una ripartizione delle terre si può pensare ad un concentramento, occorrerebbe aggiungere un concetto atto a far intendere che, oltre alla attività concentrativa, ce ne può essere una inversa, ripartitrice.

TOGNI torna ad insistere sulla sua mozione d’ordine.

FANFANI osserva che la mozione d’ordine dell’onorevole Togni non può essere ritenuta contraria ad un tentativo di completamento degli articoli precedentemente approvati, in quanto si è parlato e discusso sulla opportunità di stabilire un articolo unico relativo al problema agrario, previa estensione degli articoli precedenti sulla proprietà e sulla impresa. Ritiene quindi che, prima di passare alla discussione dell’articolo proposto, occorra esaminare l’opportunità di completare i suddetti articoli.

DOMINEDÒ prega l’onorevole Togni di non insistere, solo per ragioni di principio, nel suo atteggiamento, e di ascoltare le argomentazioni dell’onorevole Fanfani, il quale, a suo avviso, pare voglia riprendere in esame anche il criterio della ripartizione.

TOGNI dichiara di non insistere.

FANFANI insiste sulla sua precedente proposta di aggiungere all’articolo sulla proprietà un quarto comma che corregga parzialmente la lettera ed anche lo spirito del terzo. Tale comma aggiuntivo dovrebbe sancire che, per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell’attività economica, le terre non sufficientemente sfruttate possono essere ripartite fra i coltivatori diretti. Aggiunge che a questo proposito esiste già la legge Gullo, modificata dal Ministro Segni, legge provvisoria che la nuova Costituzione non può trascurare. A grandi linee il nuovo comma potrebbe essere così formulato:

«Per le stesse ragioni e negli stessi modi, la legge può ripartire tra i coltivatori le terre non sufficientemente sfruttate».

ASSENNATO direbbe piuttosto: «Al proprietario fondiario è fatto obbligo di coltivare i suoi beni, pena l’esproprio».

FANFANI rileva che una tale formulazione darebbe la possibilità ad un latifondista di mantenere la sua proprietà passando dalla coltura estensiva a quella intensiva con l’impiego di migliaia di lavoratori.

TOGNI ha l’impressione che la precisazione avanzata dall’onorevole Fanfani tenda a diminuire l’importanza e il significato del terzo comma, in quanto, sottolineando la questione relativa all’esproprio delle proprietà terriere, sorge il problema della grande proprietà immobiliare che qui non viene considerata, ma che oggi rappresenta un problema gravissimo.

FANFANI crede che a tale scopo si potrebbe formulare un quinto comma.

TAVIANI. Le esigenze prospettate dall’onorevole Fanfani sono giuste, ma non crede sia questo il momento opportuno di prospettarle.

L’articolo sulla terra deve soltanto aprire la possibilità alla legge di fare la riforma agraria. Tenuto presente ciò che è stato detto sul diritto di proprietà, questo articolo deve essere un’applicazione, nel campo terriero, del principio dei limiti della proprietà.

FANFANI richiama l’attenzione dell’onorevole Taviani sul suo punto di vista, in quanto non ritiene che questa non sia la sede adatta per una tale discussione, dato che è stato accettato il concetto dei «singoli beni e dei complessi produttivi», fra i quali va inclusa anche la terra coltivata. Occorre evitare che sorga il dubbio che l’articolo crei il fatto compiuto e si trovi in conflitto con un altro articolo: ecco la necessità di una precisazione.

DOMINEDÒ, pur prendendo in considerazione la proposta Fanfani, tendente a inserire il concetto in discussione nel corpo dell’articolo già approvato sulla proprietà, dichiara di dissentire dall’opinione da lui espressa, secondo cui lo spirito e la lettera di quell’articolo mirerebbe essenzialmente ad una concentrazione di beni, nel mentre il conferimento può aver luogo nei confronti dei singoli, di organismi cooperativistici, di comunità, senza portar seco una necessaria concentrazione, in antitesi alla idea della ripartizione. La formula ha una latitudine così vasta, da non essere legittimati ad introdurre una tale restrizione interpretativa. Se tuttavia restasse qualche dubbio su questa portata, che nessun interprete è autorizzato a restringere, si potrebbe ad abundantiam eliminare la parola «singoli» e ritornare alla dizione lata che più tranquillizza. Dichiara di non aver inoltre nessuna difficoltà che vicino ai «beni» si parli di «complessi», anche perché questo è un concetto giuridicamente rilevante, cui è connesso quello di azienda e di avviamento.

Ritiene inoltre che si debba tener presente la portata generale dell’articolo, per cui non è opportuno inserirvi una norma particolare, in quanto esso abbraccia tutta una materia e sarebbe strano che nel corpo di urta norma generale, indifferenziata rispetto ai particolari settori tecnici, si contemplasse poi un determinato settore e non altri.

FANFANI dichiara che l’onorevole Dominedò si è soffermato a considerare la parte dell’articolo in materia di beni o complessi produttivi; ma se avesse attentamente esaminate le parole precedenti si sarebbe accorto come la destinazione stessa a determinati enti o collettività crei il presupposto della concentrazione. Quindi, tenendo presenti tali ragioni, richiama ancora una volta l’attenzione dei colleghi sul fatto che una specificazione relativamente alla ripartizione non correggerebbe nulla.

DOMINEDÒ replica che, anche tenendo conto della prima parte dell’articolo, resta ferma la sua non esclusiva riferibilità all’ipotesi di concentrazione dal momento che, ad esempio, la devoluzione dei beni alle comunità di lavoratori e di utenti, o alle società cooperative, risponde precisamente ad un’ipotesi di frazionamento in materia agraria.

Conferma in secondo luogo che, per armonia legislativa, non è opportuno differenziare un articolo di carattere generale mediante riferimenti ad un dato settore produttivo (agricoltura) e non anche agli altri (industria).

TAVIANI ritiene che sia molto importante precisare e mettere a fuoco l’esigenza posta in rilievo dall’onorevole Fanfani. Che il terzo comma dell’articolo sulla proprietà riguardi piuttosto la concentrazione che la ripartizione risulta effettivamente dall’espressione «attribuire agli enti pubblici ed alle comunità di lavoratori e di utenti», ed è vero che in tale dizione sono comprese le cooperative; ma sta di fatto che viene esclusa la possibilità dell’attribuzione di proprietà di beni a famiglie o a privati. Quindi il problema della ripartizione non è risolto da questo terzo comma.

Prendendo atto che l’onorevole Fanfani è favorevole a trattare della ripartizione, dichiara di sentire profondamente la seconda esigenza prospettata dall’onorevole Dominedò, cioè il fatto che in un articolo riguardante i beni economici si venga a trattare specificamente soltanto della terza. Ritiene perciò che della ripartizione si debba parlare soltanto in sede di proprietà terriera, oppure (ed è forse la soluzione migliore) che si debba aggiungere un quarto comma all’articolo sulla proprietà, parlando della proprietà fondiaria ed usando le espressioni più generiche.

FANFANI dichiara di essere favorevole alla proposta dell’onorevole Taviani di riferirsi a tutte le forme di proprietà fondiaria. Osserva però che la dizione «proprietà fondiaria», nonostante tutta la buona volontà dei giuristi, può prestarsi ad equivoci. Quindi, nel caso specifico, riterrebbe più opportuno parlare di terre o di case, ovvero trovare una dizione più appropriata. Il comma potrebbe essere, grosso modo, così formulato;

«Per le stesse ragioni e nello stesso modo la legge può anche dividere fra i singoli coltivatori ed utenti terre e case».

NOCE TERESA ritiene che, per quanto riguarda le proposte fatte, si possa accettare il principio della terra, ma non quello delle case. Infatti il coltivatore che coltiva la terra può avere un diritto di proprietà sulla terra stessa, mentre l’utente che abita la casa, non è necessario che abbia lo stesso diritto. La terra non è soltanto un uso, ma uno strumento, un bene. Anche la proprietà urbana può essere divisa, ma si tratta di tutt’altro problema, e non ritiene che la Costituzione se ne debba occupare in modo specifico.

MARINARO ritiene utile, ai fini della discussione, ricordare l’articolo formulato dal Comitato di studio del Ministero della Costituente, nel quale sono precisati con criteri veramente ammirevoli i concetti della limitazione di proprietà fondiaria, di espropriazione nel pubblico interesse, di maggiore produttività e di un migliore stabilimento di rapporti sociali. L’articolo dice:

«La Costituzione garantisce in particolare la proprietà della terra. Qualora tuttavia essa ecceda un limite di ampiezza tale da essere di impedimento alla migliore sua utilizzazione e allo stabilimento di sani rapporti sociali o qualora essa non sia gestita in modo da assicurarle la più alta valorizzazione, può essere oggetto di esproprio per pubblica utilità nei modi e nei limiti che le leggi stabiliscono o stabiliranno».

DOMINEDÒ comprende che il Relatore si è proposto, con il comma aggiunto, di non frazionare la disciplina della proprietà, circoscrivendo la norma alla sola proprietà terriera. Ciò è logico, e giuridicamente accettabile, ma non si può ad un tempo ignorare che la riforma agraria è il problema del giorno. Insiste pertanto, per considerazioni di opportunità politica, affinché il problema della proprietà terriera sia affrontato in un articolo a parte.

CORBI si associa, in quanto voler comprendere la questione agraria in un articolo di portata generale significa diminuire l’importanza della norma.

Ritiene pertanto che la Sottocommissione debba riportare la sua attenzione sull’articolo proposto dal Relatore. Preso infatti come base di discussione l’articolo dell’onorevole Taviani, si potrà eventualmente migliorarne la dizione, tenendo soprattutto presente che la Costituzione deve limitarsi ad aprire le porte alla riforma agraria, senza specificare i modi con i quali essa dovrà essere realizzata: compito, quest’ultimo, che sarà assolto dal futuro legislatore.

COLITTO osserva che il Relatore è stato indotto a presentare una nuova formulazione dell’articolo in esame per accedere a giuste considerazioni espresso ieri in seno alla Sottocommissione.

Per parte sua, non trova difficoltà ad accettare tale articolo, salvo la sostituzione ed eliminazione di alcune parole che gli sembrano di significato poco intelligibile o di dubbia utilità pratica.

Propone, ad esempio, di sostituire le parole «conservandone l’efficienza produttiva» con le altre «potenziandone l’efficienza produttiva»; di eliminare l’espressione «nell’interesse di tutto il popolo»; e di togliere infine le parole «più arretrate e minacciate» per dire più semplicemente «nelle regioni più povere».

FEDERICI MARIA dichiara di accettare questa nuova formulazione dell’articolo, in quanto non esclude il concetto già espresso dall’onorevole Corbi di promuovere l’elevazione materiale e morale dei lavoratori. Nella riforma agraria c’è il concetto economico, prevalente, della maggiore e migliore utilizzazione del suolo; vi è però anche un concetto di carattere etico che, praticamente, è alla radice della riforma, e cioè quello che porta alla considerazione che la classe dei lavoratori ha particolare bisogno di vedere, attraverso questa riforma, finalmente risolto il problema della sua elevazione morale. Non si potrà mai pensare ad una elevazione dei ceti contadini, specie nell’Italia centrale e meridionale, se non attraverso questa riforma che dovrà prendere in considerazione non solo la ripartizione terriera, ma, per esempio, anche le abitazioni, le scuole rurali, ecc.

TOGNI si associa alla collega Federici, in quanto effettivamente, sia nella forma che nella sostanza, l’articolo secondo la formulazione odierna dell’onorevole Taviani è più completo proprio per le considerazioni fatte dall’onorevole Corbi.

Pur ritenendo che il secondo comma sia sufficientemente chiaro perché, quando si parla di limiti alla proprietà è evidente che questi riguardano l’eccesso della proprietà, tuttavia, volendo ricorrere ad una maggiore precisazione, sarebbe dell’opinione di aggiungere il controllo da parte dello Stato affinché non sorgano eccessive proprietà terriere, che sono antisociali e contrarie all’interesse della produzione nazionale. D’altra parte tale riferimento è già incluso nella nuova formulazione. A suo avviso, quindi, non è necessario attardarsi in ricerche o in riesumazioni di articoli già approvati, ma è meglio esaminare la formula definitiva proposta dal collega Taviani.

Per quanto riguarda le modifiche proposte dallo stesso onorevole Taviani, è d’accordo nel togliere l’espressione «conservandone e potenziandone l’efficienza produttiva», che è pleonastica; è evidente che, quando si afferma che lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio nazionale, ciò significa conservare e potenziare l’efficienza produttiva, cioè eccitare e convogliare verso le finalità del suolo l’interessamento dello Stato. Però tale interessamento deve avere come fine primario di perseguire principalmente il bene comune, il bene di tutto il popolo. Per quanto riguarda la frase «promuove l’elevazione dei lavoratori» è d’accordo nell’eliminare i nuovi due aggettivi «materiale e morale», che sono pleonastici da un lato e limitativi dall’altro: si deve intendere elevazione completa, anche culturale e spirituale, del lavoratore. È infine d’accordo per togliere le parole «più arretrate» che, se nella sostanza possono essere giuste, nella forma possono dar luogo ad equivoci.

TAVIANI, ritenendo che nella maggioranza tutti siano d’accordo per quanto riguarda il primo comma, dichiara di avere lui stesso dei dubbi sul secondo, che dovrebbe essere meglio precisato. Propone pertanto di mettere in votazione il primo comma e di cercare poi di dare una espressione più robusta al secondo, in modo da venire incontro alle esigenze esposte dall’onorevole Togni sull’eccessiva proprietà terriera.

NOCE TERESA proporrebbe alcune modifiche sul primo comma, tendenti ad includervi taluni concetti mancanti, quale quello della utilizzazione o ripartizione. Il comma dovrebbe quindi essere così formulato: «Lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione e utilizzazione (o ripartizione) ecc.».

Per quel che riguarda l’elevazione, proporrebbe «elevazione morale e miglioramento materiale», allo scopo di meglio specificare e distinguere i due concetti.

TOGNI preferirebbe la dizione «mettere i lavoratori in condizioni materiali e morali da elevarsi».

TAVIANI ritiene che la collega Noce tema che nell’elevazione si veda soltanto l’elemento morale.

DOMINEDÒ osserva che anche il miglioramento materiale è strumento di elevazione morale.

NOCE TERESA dichiara di preferire, in ogni caso, la precisazione.

DOMINEDÒ fa presente che il concetto della ripartizione viene nel secondo comma.

NOCE TERESA ritiene allora che sia necessario porre in discussione l’articolo per intero.

Nella seconda parte, lasciando nel primo comma la dizione «ripartizione», farebbe la seguente modifica: «A questo scopo, nonché al fine di stabilire più equi rapporti sociali, la Repubblica impedirà l’esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere».

TOGNI sostanzialmente è d’accordo per includere nell’articolo il concetto della ripartizione, ma non nel primo comma, in quanto lo scopo primario dello Stato non deve essere quello della ripartizione della terra, ma bensì della sua valorizzazione e utilizzazione. La «ripartizione» è un mezzo col quale si giunge a realizzare una migliore valorizzazione e utilizzazione. È evidente che anche come logica, si premettano gli scopi e poi si precisino i mezzi con cui essi debbono essere raggiunti. Scopo primo da parte dello Stato deve essere quello di valorizzare al massimo il suolo nazionale e di ottenere una migliore giustizia sociale e una migliore situazione economica, sociale e morale dei lavoratori. A tal fine lo Stato dovrà eliminare tutte le possibilità che possono ostacolare questa valorizzazione ed elevazione, tra cui appunto quella di una eccessiva proprietà terriera. Ma lo Stato non deve avere, come fine principale e immediato, la ripartizione della terra.

TAVIANI chiede all’onorevole Noce se accetta di lasciare nel primo comma la locuzione «si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio nazionale nell’interesse di tutto il popolo ed a promuovere l’elevazione materiale e morale dei lavoratori».

NOCE TERESA preferirebbe la seguente formulazione: «Lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio, mediante il controllo della ripartizione nell’interesse di tutto il popolo», osservando che in luogo di «ripartizione» si potrebbe anche dire «distribuzione».

TAVIANI propone che la seconda parte dell’articolo sia così formulata: «In vista di questo scopo, nonché al fine di stabilire più equi rapporti sociali, esso impedirà la formazione e l’esistenza di grandi proprietà terriere private».

DOMINEDÒ, pur riconoscendo che le esigenze prospettate dalla onorevole Noce rispondono ad un problema essenziale, preferirebbe che non si adottasse una formula rigida di opposizione alla grande proprietà fondiaria, anche se industrializzata o industrializzabile: l’adozione di un tale criterio quantitativo è, oltre tutto, troppo empirica nei riguardi di una linea di demarcazione fra grande, media e piccola proprietà. Propone che, al fine di eliminare tale empirismo, si tenga presente la possibilità di adottare un criterio qualitativo oltre che quantitativo.

FEDERICI MARIA, tenuti presenti sia l’articolo dell’onorevole Taviani che le formulazioni fatte in sede di studio dalla Commissione del Ministero della Costituente, propone che il secondo comma sia così formulato:

«A questo scopo, e per stabilire più equi rapporti sociali, esso potrà, con disposizioni di legge, impedire la formazione di proprietà che eccedano limiti di ampiezza tale da essere di impedimento alla migliore sua utilizzazione».

FANFANI dichiara di non essere d’accordo sulla dizione «valorizzazione del territorio nazionale», che è troppo vasta e può addirittura comprendere l’industria turistica. La locuzione «territorio nazionale» dovrebbe essere sostituita dalla parola «terra», poiché evidentemente in tale articolo si ha di mira solo la terra coltivata o coltivabile. Riguardo al concetto dell’elevazione materiale e morale dei lavoratori, osserva che è necessario andar cauti per non suscitare l’impressione negli altri lavoratori che si fanno condizioni di privilegio soltanto a quelli della terra; sarebbe quindi del parere di limitarsi ad affermare che «lo Stato incoraggia la razionale utilizzazione della terra nel rispetto dei diritti e del benessere dei coltivatori».

Per quanto riguarda la seconda parte dell’articolo, osserva che in essa si tiene conto dei problemi relativi al riordinamento dell’agricoltura italiana solo in termini di riforma fondiaria. Si richiama pertanto a quanto ha affermato nella seduta di ieri, ribadendo che non può condividere tale punto di vista. Pur ritenendo che non si possa in una Costituzione affrontare e risolvere tutti i problemi dell’agricoltura, rileva che bisogna dare comunque una guida al futuro legislatore per avviare tali problemi a soluzione. Gli attuali problemi non sono soltanto di divisione, ma anche di concentrazione, ed osserva in proposito che in Liguria, ad esempio, l’86 per cento del territorio è ripartito in 298.000 particelle con reddito annuo inferiore a 1700 lire. Situazioni analoghe si trovano in molte altre zone d’Italia; ciò dimostra che in molti casi si dovrebbe pensare a favorire la concentrazione piuttosto che la divisione. Chiede pertanto che in questa sede si parli sia dell’uno che dell’altro fenomeno e che si tenga conto dell’altro gravissimo problema riguardante l’ignoranza tecnica dei coltivatori, che non può essere risolto né con le scuole elementari, né con un eventuale risorgere delle cattedre ambulanti di agricoltura.

Prospetta quindi l’esigenza, non meno sentita, della bonifica intensiva, perché non si verifichi ciò che già è avvenuto in qualche zona d’Italia dove, ripartite le terre per iniziativa degli stessi grandi proprietari, dopo cinque anni i coltivatori avevano già rivenduto la loro quota per mancanza di strumenti di lavoro e di credito. Si affaccia, così, anche il problema del credito agrario nonché dei consorzi come strumenti determinanti, in vista della trasformazione e del progresso delle colture.

Allo scopo di tener presenti tutte queste esigenze, propone che il secondo comma dell’articolo sia così formulato:

«A questo scopo, diffusa l’istruzione agraria e completata la bonifica, la legge predisporrà la divisione del latifondo e delle terre incolte ed il concentramento di quelle eccessivamente parcellate, e promuoverà il credito agrario cooperativo ed i consorzi per il potenziamento dell’attività dei coltivatori diretti, specie in vista della trasformazione e del progresso delle colture».

CORBI ritiene che la proposta dell’onorevole Fanfani possa essere oggetto di studio. Per quanto riguarda le osservazioni degli onorevoli Togni e Federici osserva che non è esatto che lo Stato abbia solo il compito di favorire e potenziare la produzione e che non debba occuparsi di altri aspetti del problema. Lo Stato ha anche l’obbligo di garantire la libertà economica di tutti i cittadini e di difenderne le libertà politiche. È perfettamente noto che i grandi proprietari hanno creato il fascismo in Italia ed anche oggi essi costituiscono le forze più retrive della Nazione. Ecco perché è necessario limitare l’ampiezza della proprietà terriera e non ritiene che ciò possa eludere una maggiore produzione, poiché i limiti saranno stabiliti dai legislatori, confortati dai tecnici. La Sottocommissione deve soltanto preoccuparsi del fatto che la proprietà terriera non costituisca ancora, come per il passato, una prepotenza ed una potenza politica che si sovrapponga allo Stato e ad una grande massa di lavoratori italiani che rappresentano il 50 per cento della popolazione. Conclude affermando che l’articolo proposto dall’onorevole Taviani risponde meglio ai fini da perseguire e insiste perché in tale articolo sia chiaramente detto che la Repubblica deve impedire la formazione e l’esistenza di grandi proprietà terriere private.

TOGNI deve precisare all’onorevole Corbi che, in merito all’articolo proposto dall’onorevole Taviani, ha parlato di fine primario e non esclusivo dello Stato, nel senso che se lo Stato vuole difendere quella libertà economica, che è conquista della democrazia, deve preoccuparsi di aumentare il più possibile il benessere sociale e generale di tutto il popolo italiano. In questo compito rientra la giusta ripartizione della terra. Ecco perché ha insistito che nel primo comma si parli di valorizzazione e di elevazione sociale e nel secondo di limitazioni alla proprietà della terra.

Fa poi osservare all’onorevole Fanfani che una norma costituzionale deve essere necessariamente sintetica. A ragion veduta, quindi, il Relatore ha usato la dizione «territorio nazionale» e non la parola «terra», in quanto il problema terriero non si esaurisce nella migliore coltivazione dei campi, ma riguarda anche le acque interne, le acque demaniali, le fonti idriche che sono connesse allo sfruttamento della terra.

Quanto al concetto relativo alla elevazione dei lavoratori della terra, ritiene che sarebbe inopportuno, sia dal punto di vista politico che da quello giuridico, voler stabilire in una Carta Costituzionale, che deve contenere affermazioni nel senso più generale ed estensivo, una citazione particolare ad una determinata categoria di lavoratori. Non è inoltre favorevole ad includere il concetto della concentrazione della proprietà terriera, perché considerazioni di ordine sociale ed economico sconsigliano l’intervento dello Stato nella ripartizione, nei limiti inferiori, della proprietà terriera. E invece d’accordo sulla limitazione della eccessiva proprietà terriera, sempre che alla parola «eccessiva» sia data una interpretazione non soggettiva ma oggettiva, nel senso di un riferimento alle grandi proprietà che eccedano le normali possibilità utili di coltivazione. Infatti le grandi proprietà terriere possono consistere in migliaia di ettari di terreno incolto, in determinate zone dell’Italia meridionale, mentre in altre regioni, specie nell’Italia settentrionale, si considera già grande una proprietà di 50 ettari di terreno fertilissimo e ben coltivato. Si dichiara quindi convinto che, salvo qualche perfezionamento formale nel senso di una ulteriore precisazione, l’articolo proposto dall’onorevole Taviani possa essere accolto nella sua prima parte; quanto alla seconda essa potrà venire conciliata con le proposte delle onorevoli Federici e Noce.

PRESIDENTE ritiene che la discussione si sia eccessivamente spezzettata così da far perdere di vista il criterio centrale. E difficile votare contro la proposta dell’onorevole Taviani, in quanto taluni concetti in essa espressi sono accettabilissimi. Tuttavia non può aderire al concetto di includere nella Carta Costituzionale il principio che la Repubblica dovrà impedire l’esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere private, in quanto non sempre la grande proprietà è dannosa ma anzi, alle volte, è utile.

Ripete che, a suo avviso, l’articolo già approvato sulla proprietà è comprensivo, in grandi linee, di tutti i concetti che dovrebbero essere inclusi in un nuovo articolo. Infatti, essendosi sancito che «la proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato, che la legge ne determina i modi di acquisto e di godimento e i limiti, allo scopo di farle assumere funzione sociale e di renderla accessibile a tutti», si è già dato al legislatore il modo di contenere entro determinati limiti la proprietà, e si assegna anzi, a questa limitazione, lo scopo preciso di fare obbedire la proprietà alla sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

CORBI fa presente che nessuno ha sostenuto lo spezzettamento delle terre, che è notoriamente antieconomico.

PRESIDENTE chiede allora che cosa si voglia intendere con la parola «ripartizione».

CORBI risponde che si vuole intendere una migliore distribuzione.

PRESIDENTE fa osservare che la dizione è estremamente pericolosa, in quanto può essere interpretata in modi diversi, a seconda di chi detiene il potere.

COLITTO dichiara di essere d’accordo nel sostenere la necessità di una riforma agraria in Italia, al duplice fine di potenziare la produzione e di stabilire più sani rapporti sociali; ma ritiene che le proprietà terriere non debbano essere toccate in qualsiasi caso eccedano determinati limiti di ampiezza, ma bensì quando la loro ampiezza sia tale o siano gestite in guisa da impedire quella migliore valorizzazione della terra che, diversamente, sarebbe possibile.

FANFANI, d’accordo con il Presidente, propone il seguente articolo:

«Lo Stato, per accrescere il rendimento della terra, nell’interesse sociale e dei coltivatori – diffusa l’istruzione agraria e completata la bonifica – espropria il latifondo e le terre incolte; favorisce il concentramento di quelle eccessivamente parcellate; promuove ed integra istituzioni dirette a garantire il credito e l’utilizzazione di mezzi di produzione a favore della piccola e media proprietà; incoraggia la stipulazione di patti agrari secondo giustizia».

TAVIANI osserva che l’esposizione fatta dal collega Fanfani mette in evidenza che egli intende giungere ad un articolo che tratti della riforma agraria in tutto il suo complesso. Non essendo di tale avviso, dichiara che preferirebbe allora la proposta del Presidente di non aggiungere nuove norme, ma di limitarsi agli articoli sulla proprietà già approvati.

PRESIDENTE avverte che il seguito della discussione avrà luogo nel pomeriggio alle ore 17.30.

La seduta termina alle 13.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Colitto, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Rapelli, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Merlin Angelina, Molè,

Assenti: Giua, Lombardo, Paratore.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

19.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà e intrapresa economica (Seguito della discussione)

Presidente – Taviani, Relatore – Canevari – Assennato – Corbi – Colitto – Dominedò – Togni – Fanfani.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sai diritto di proprietà e sull’intrapresa economica.

PRESIDENTE rende noto che l’onorevole Taviani ha dichiarato di mantenere per il suo articolo la seguente formulazione: «Lo Stato ha il diritto di controllare la ripartizione e l’utilizzazione del suolo, intervenendo al fine di svilupparne e potenziarne il rendimento nell’interesse di tutto il popolo.

«In vista di questi scopi lo Stato impedirà l’esistenza e la formazione delle grandi proprietà terriere private».

TAVIANI, Relatore, fa presente che non trattasi punto di una formulazione precisa, volendo prima sentire l’opinione dei colleghi sui due singoli punti.

CANEVARI, desiderando fare anche un’affermazione relativamente alle imprese agricole, ripropone il seguente testo:

«L’impresa agricola deve avere di mira il benessere della collettività nazionale ed una più alta possibilità di civile esistenza per i lavoratori della terra.

«La legge dovrà promuovere un movimento di trasformazione che, sviluppandosi nel tempo, determini negli uomini, nella politica e nella economia del Paese le condizioni più favorevoli per conseguire come risultato finale un’agricoltura in via di continuo progresso, condotta dal lavoro associato per il maggiore benessere dei singoli e della collettività».

TAVIANI, Relatore, accetta la proposta dell’onorevole Canevari quale concetto da inserire nella relazione, come illustrazione dell’articolo sulla proprietà terriera.

PRESIDENTE, salvo il riferimento alle imprese agricole, che potrebbe trovare posto in altra sede, gli sembra che le due formulazioni si equivalgono.

ASSENNATO, premesso che la Costituzione deve contenere anche quelle dichiarazioni che servano ad imprimere un moto propulsivo alla società, propone il seguente testo:

«Allo scopo di assicurare il benessere della collettività ed una più alta possibilità di civile esistenza per i lavoratori della terra, la Repubblica controllerà la ripartizione e l’utilizzazione del suolo, favorendo la trasformazione agraria ed impedendo l’esistenza e la formazione di grandi proprietà fondiarie».

CORBI propone a sua volta la formula seguente, che gli pare più concreta e sintetica di quella proposta dall’onorevole Canevari, abbracciando nel medesimo tempo sia i concetti dell’onorevole Canevari stesso che quelli dell’onorevole Taviani:

«Nell’interesse della collettività e per assicurare una migliore esistenza ai lavoratori della terra, la Repubblica ha il diritto di controllare la ripartizione e l’utilizzazione del suolo.

«La Repubblica impedirà l’esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere private».

Precisa che nella espressione: «interesse della collettività», si deve intendere anche implicitamente il concetto di una maggiore produttività.

PRESIDENTE sarebbe contrario a porre troppo in evidenza il concetto esposto dall’onorevole Corbi, esprimendo il timore di eventuali opposizioni che renderebbero meno agevole l’approvazione dell’articolo. È del parere invece che la formula dell’onorevole Taviani sia semplice e completa, andando nel medesimo tempo incontro alle comuni aspirazioni. Sopprimerebbe però la parola: «ripartizione».

CORBI non condivide il pensiero del Presidente, né sopprimerebbe la parola: «ripartizione», poiché in essa è implicito il concetto di riforma.

PRESIDENTE ritiene che la parola «ripartizione» non esprima il concetto della riforma agraria come egli la intende e che si attuerebbe in due modi: il primo mediante il controllo della produzione, e il secondo mediante lo sfruttamento della terra da parte di organi della comunità.

CORBI insiste sulla necessità del controllo da parte dello Stato della ripartizione del suolo. Esprime poi l’avviso che un articolo che tratta della proprietà terriera deve particolarmente menzionare chi della terra vive e la lavora. Per questo motivo ritiene necessario insistere nel proprio punto di vista, onde evitare di ricadere negli errori del passato, allorché le esigenze dei lavoratori della terra erano totalmente misconosciute.

CANEVARI afferma di non preoccuparsi della grande proprietà terriera che, anzi, preferisce alla piccola, ma della riforma agraria, la quale deve trovare la sua effettiva attuazione in altri provvedimenti, diversi da quelli proposti, come la trasformazione delle colture, la vigilanza dello Stato, l’incremento delle aziende agricole condotte da lavoratori associati, le facilitazioni per l’associazione della piccola proprietà e l’abbinamento all’agricoltura delle industrie ad essa attinenti. Questi dovrebbero essere i criteri base in relazione al problema della riforma agraria.

COLITTO ritiene opportuno, anzi necessario, che si parli nella Costituzione di intervento dello Stato diretto a controllare l’utilizzazione del suolo. Non ritiene, invece, che si debba approvare l’articolo per quanto si riferisce al controllo circa la ripartizione del suolo. Se tale controllo non è semplicemente platonico, ma tende ad una espropriazione, è inutile ripetere quello che s’è già detto in altro articolo. A parte il rilievo che è assurdo parlare ad ogni piè sospinto di espropriazione, egualmente ritiene che non meriti approvazione l’ultima parte dell’articolo, sia perché vi si parla di proprietà terriera e non anche di proprietà urbanistica e non si comprende la ragione del trattamento di favore fatto a quest’ultima nei confronti della prima, sia perché è molto generica la dizione, essendo difficile distinguere la grande dalla media e dalla piccola proprietà, sia infine perché in tanto resistenza o il formarsi della grande proprietà sono da impedire, in quanto ciò rechi pregiudizio alla collettività. Propone, quindi, che almeno di tale rilievo si tenga conto nel comma proposto.

DOMINEDÒ dà lettura della seguente formulazione da lui proposta come base di discussione per una possibile intesa:

«Allo scopo di assicurare il benessere della collettività e di favorire l’elevazione dei lavoratori della terra, lo Stato può controllare l’utilizzazione del suolo nell’interesse nazionale, promovendo la trasformazione agraria a vantaggio della produzione».

Rileva che con questa formulazione, la quale prende come punto di partenza l’articolo formulato dall’onorevole Taviani, si introduce, in relazione alla proposta dell’onorevole Assennato, l’accenno a quella tutela particolare del lavoratore che costituisce una nota dominante rispetto alla tutela dell’interesse generale, mentre si tiene altresì conto dell’accenno fatto dall’onorevole Canevari circa la trasformazione agraria, la quale costituisce un’esigenza sovrastante il singolo problema del latifondo improduttivo.

COLITTO non vede come possa estrinsecarsi un controllo sulla ripartizione.

TOGNI, riprendendo a grandi linee le osservazioni dell’onorevole Colitto riguardanti le grandi proprietà terriere, senza entrare nel merito, osserva che gli interessi che muovono attualmente la Sottocommissione nel volere l’intervento dello Stato sono di far sì chele grandi proprietà non arrivino ad essere, ad un certo punto, per la loro potenza, un pericolo per l’organizzazione dello Stato, e, in secondo luogo, che le grandi proprietà non siano messe in condizioni da non poter essere sfruttate adeguatamente, ma che diano il maggior benessere possibile nell’interesse generale.

Partendo da queste considerazioni, riterrebbe opportuno parlare di questo argomento nella parte che riguarda i monopoli industriali.

TAVIANI, Relatore, non concorda, trattandosi di due differenti questioni.

TOGNI condivide l’esigenza a cui si ispira la Sottocommissione, ma non può fare a meno di domandare perché non dovrebbero essere considerate anche le grandi proprietà edilizie. Ritiene, a suo avviso, altrettanto dannoso all’interesse sociale una proprietà di 700 o 1000 appartamenti che una proprietà di 2000 ettari di terra.

COLITTO, circa l’articolo proposto dal Relatore, sopprimerebbe la parola: «ripartizione» e aggiungerebbe il concetto che la Repubblica impedirà l’esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere, solo se siano di danno alla collettività.

TAVIANI, Relatore, dichiara che, se come Relatore dovesse esprimere il suo parere definitivo sulle proposte presentate, non approverebbe neppure la sua.

Non ritiene che abbia valore l’obiezione del Presidente circa il termine: «ripartizione», perché, evidentemente, «controllo e intervento nella ripartizione» non vuol dire soltanto divisione di grandi proprietà in piccole, ma può voler dire anche, per esempio, attribuzione di una proprietà privata ad enti pubblici. Non sarebbe contrario, comunque, a sostituire tale parola con un’altra più chiara, come il termine: «distribuzione»; circa poi l’obiezione sollevata dagli onorevoli Colitto, Canevari ed altri, nel senso che lo Stato non dovrebbe controllare la «ripartizione», ma limitarsi al controllo della utilizzazione, fa presente che, dovendosi formulare un articolo che apra la strada alla riforma agraria, si deve controllare la ripartizione anche fino a giungere alla possibilità di espropriazione. Non si sente, quindi, di rinunziare al termine: «ripartizione» o «distribuzione».

Per quanto riguarda la proposta Canevari, è d’accordo in linea di principio, ma non ravvisa la necessità di inserirla nella Costituzione, nella quale è sufficiente un articolo che valga a precisare quale sarà il comportamento dello Stato nel campo della proprietà terriera. Perciò, pur essendo d’accordo sulla necessità della riforma agraria, considera che la formulazione del collega Canevari possa servire piuttosto come base per la relativa legge.

In relazione, poi, alle proposte dei colleghi Corbi, Assennato, Dominedò e Noce, rileva la quasi identità della espressione: «Nell’interesse della collettività», con la sua: «Nell’interesse di tutto il popolo». Invece la dizione: «per assicurare una migliore esistenza ai lavoratori della terra», pur comprendendone l’importanza e la giustezza, tanto che non sarebbe contrario ad un’affermazione del genere, gli fa sorgere il dubbio che non si possa in un articolo della Costituzione parlare isolatamente dei contadini, senza poi, in quelli successivi, fare un identico accenno alle altre categorie.

Né, a questo proposito, può ritenere valida l’obiezione che i contadini sono in tristi condizioni, mentre gli operai e gli impiegati hanno un tenore di vita più elevato, perché questa, per alcune zone, è la situazione di oggi, mentre la Costituzione deve guardare anche all’avvenire. Nella Costituzione quindi non metterebbe una simile specificazione, ma inserirebbe un’espressione che, in relazione alle esigenze messe in luce dall’onorevole Corbi, precisasse che il controllo dello Stato deve avere di mira il benessere non soltanto della collettività, ma anche di coloro che lavorano la terra.

È d’accordo con l’onorevole Togni che anche la eccessiva proprietà immobiliare urbana non è morale, ma osserva che una limitazione di essa può trovare la sua sede più opportuna nella interpretazione degli articoli sulla proprietà in genere e sull’impresa.

Quanto alla formulazione proposta dall’onorevole Canevari, ritiene che essa troverebbe più adeguata sede in una legge di riforma agraria, anziché nella Carta Costituzionale.

Circa il pericolo di un grave danno che deriverebbe all’agricoltura da una complessa riforma della distribuzione della proprietà fondiaria, non nasconde la sua preoccupazione, ma d’altra parte deve ricordare che qualsiasi progresso sociale implica un costo economico. A tale proposito si domanda se si debba oggi precludere la possibilità di un progresso sociale nell’agricoltura, per il solo fatto di volere eliminare il costo che esso comporterebbe.

Ricorda che quando fu attuato lo spezzettamento del latifondo in Bessarabia, la produzione subì una forte diminuzione e occorsero più di dieci anni per riportarla alle primitive proporzioni. Tuttavia i risultati sociali furono ottimi. I contadini della Bessarabia, prima in continue agitazioni, divennero i migliori cittadini dello Stato rumeno. Dubita infine che il mantenimento della grande proprietà fondiaria sia necessario agli effetti della produzione.

ASSENNATO non ritiene conforme alla struttura economica del Paese la riserva dell’onorevole Taviani circa l’inclusione nella Costituzione di una dichiarazione impegnativa per la elevazione dei lavoratori della terra, le condizioni economiche dei quali esigono invece che si faccia un preciso accenno per il loro miglioramento.

Prende atto che l’onorevole Taviani si dichiara convinto di questa necessità, ma un riconoscimento non espresso e non impegnativo avrebbe un valore puramente platonico. Prega quindi l’onorevole Taviani, quale Relatore, di considerare l’opportunità di una simile dichiarazione statutaria.

La circostanza che in qualche regione la vita del lavoratore della terra è già ad un livello civile tale da non richiedere un’esplicita dichiarazione nella Costituzione, non è sufficiente per sconsigliarla, poiché essa va formulata in vista delle condizioni della generalità della società nazionale. Né d’altra parte può ritenersi che il concetto del miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori della terra possa essere sottinteso nella semplice espressione relativa all’interesse della collettività.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Colitto propone, per la prima parte dell’articolo, la seguente formulazione:

«Lo Stato, al fine di potenziare la produzione, ha il diritto di controllare la utilizzazione della proprietà terriera».

CANEVARI ritiene che l’onorevole Taviani non abbia interpretato in senso esatto quello che egli ha voluto dire nei riguardi della grande proprietà. Le osservazioni storiche da lui ricordate non hanno alcun riferimento con la situazione attuale, perché la riforma agraria, in qualunque tempo verrà effettuata, determinerà sempre gravi problemi, rendendo pensosi sulla opportunità di spezzettare o di mantenere unita la proprietà. In alta Italia vi sono grandi proprietà fondiarie condotte industrialmente in modo tale che onorano il Paese. Ricorda il fenomeno avvenuto dopo l’altra guerra, quando speculatori arricchiti, acquistate grandi proprietà, le rivendettero spezzettate, causando un enorme danno all’agricoltura.

Nella provincia di Pavia, ad esempio, esistevano grandi aziende agricole cooperative perfettamente organizzate, con rotazione delle culture e direttori preparati tecnicamente e praticamente per conseguire i migliori risultati, affiancate da tutta una serie di attività attinenti all’agricoltura, come latterie e caseifici, che alimentavano le cooperative dei lavoratori. Tale organizzazione – e questo è il concetto sociale – permetteva che su quei fondi vivesse una popolazione superiore del 30 o 40 per cento di quella che vi vive attualmente.

Quelle aziende cooperative sono state sciolte dal fascismo ed i terreni sono stati venduti a speculatori, e smembrati. Non è vero quindi che sempre la piccola proprietà possa sostituire la grande proprietà.

Dichiara, perciò, di non poter accedere alle proposte degli onorevoli Corbi, Assennato, Noce e Dominedò, perché tutte concordano sullo stesso concetto, del controllo dello Stato sulla ripartizione e utilizzazione del suolo, concetto che non è sufficiente per aprire le porte alla riforma agraria. La riforma agraria deve, invece, essere effettuata lavorando e preparando gli uomini. Ecco la necessità di scuole per poter guidare i contadini ad assumere la responsabilità di utilizzare la terra nel modo migliore.

Lo Stato, a suo avviso, non può intervenire efficacemente, perché l’agricoltura è la cosa più locale che si possa immaginare. Lo Stato può fissare delle linee e delle direttive generali, ma saranno gli organi creati localmente che dovranno interessarsi dei problemi della terra e dettare le norme necessarie per la loro soluzione. Personalmente si dichiara favorevole alla costituzione di comunità provinciali o regionali che rappresentino gli interessi dei lavoratori e dei consumatori. Necessità, quindi, di organi competenti che dovranno occuparsi anche di creare o di favorire il sorgere di industrie particolarmente attinenti all’agricoltura come caseifici, oleifici sociali, enopoli, ecc., iniziative queste che potranno essere assunte direttamente da organi locali appositamente creati, che conoscano i bisogni e le necessità del posto.

Come ha affermato nella sua formulazione, la Costituzione dovrebbe anche contenere il principio che la legge deve promuovere un movimento di trasformazione atto a determinare le condizioni più favorevoli per conseguire come risultato finale un’agricoltura in via di continuo progresso. L’agricoltura, infatti, non si ferma; ma è e sarà in continua trasformazione e nessuno oggi può dire dove avrà fine tale trasformazione agraria per conseguire una sempre maggiore e migliore produzione.

Nella sua proposta vi è poi un’altra affermazione, che non trova nelle altre, relativa ad una agricoltura «condotta dal lavoro associato» che ritiene non possa non essere fatta, perché, se si vogliono dare direttive per una radicale riforma agraria, bisogna dire fin da ora quali fini essa si deve proporre indicandone altresì i mezzi preminenti che fin da ora si ravvisano.

TOGNI, in relazione alla dichiarazione dell’onorevole Assennato, tiene a dichiarare che pur essendo favorevole al riconoscimento della necessità di accennare al miglioramento dei lavoratori in genere, non intende che tale riconoscimento sia per essi né limitativo, nel senso di considerare solo una determinata categoria, né offensivo, nei riguardi dei lavoratori di determinate parti d’Italia.

TAVIANI, Relatore, si associa alle dichiarazioni del collega Togni.

ASSENNATO desidera proporre una modifica alla sua formulazione, sostituendo alle parole «favorendo la trasformazione», le altre «provvedendo alla trasformazione agraria». Infatti, quando si parla del problema della riforma agraria, si sente da tutti rispondere che è un problema che riguarda la Costituente. È indispensabile, quindi, che in sede di Costituzione si stabilisca almeno il fondamento per la riforma. Per questo motivo aderisce ai principio che informa la proposta dell’onorevole Canevari, invitando a studiare una formula che sia comprensiva dei concetti da lui esposti.

PRESIDENTE è perfettamente d’accordo sulla necessità della riforma agraria, ma ripete la sua contrarietà al controllo dello Stato nella ripartizione in cui è inclusa l’esigenza di frazionare la grande proprietà, mentre, come ha già detto, è favorevole allo spezzettamento solo in certi particolari casi.

FANFANI osserva che la Commissione ha tralasciato di considerare le condizioni attuali dell’agricoltura italiana, che non è in grado di garantire la maggior possibile produzione e le migliori condizioni di vita ai produttori e coltivatori.

Dall’esame degli articoli presentati, ad eccezione di quello dell’onorevole Canevari, si potrebbe avere l’impressione che le cause dell’attuale malessere dell’agricoltura siano dovute esclusivamente alla cattiva ripartizione delle terre e alla loro irrazionale utilizzazione, per cui più che di riforma agraria, si dovrebbe parlare di riforma fondiaria. Ma la riforma fondiaria non è sufficiente, a suo avviso, a risolvere né il problema di un maggior benessere dei coltivatori, né a garantire all’agricoltura quello sviluppo che le coedizioni naturali e di territorio e quelle della tecnica, italiana e mondiale, le consentono. Afferma quindi che, più che sulla riforma fondiaria, il problema agricolo italiano si basa attualmente sulla trasformazione agraria. A tale proposito non si nasconde l’immensità dei problemi; basti pensare alla riforma dei patti agrari, a quella del credito agrario e fondiario e – problema importantissimo – alla diffusione dell’istruzione dei coltivatori.

Tutti questi problemi, egregiamente illustrati nel volume edito dal Ministero della Costituente, si presentano in modo così diverso da regione a regione, da provincia a provincia e anche nell’ambito delle singole province, da far rimanere perplessi allorché si pensi di considerarli in un articolo della Costituzione. Le infinite divisioni e sottodistinzioni delle zone italiane (zone alpine, appenniniche, a cultura intensiva o estensiva, appoderate, ecc.) sono tali e tante che indubbiamente non si può pensare di risolvere il problema della trasformazione agraria parlando di controllo sulla ripartizione del suolo e quindi solo di limiti della proprietà. Queste argomentazioni, anziché essere fuori tema, come alcuno potrebbe ritenere, tendono invece a far presenti le estreme difficoltà che si incontrano nella risoluzione del complicatissimo problema ed a segnalare l’imprudenza con la quale la Sottocommissione affronta la questione parlando di ripartizione – cioè di limiti – senza aver dato incarico all’ente regione, o ad altro istituto, di scendere alla determinazione, zona per zona, delle riforme che in ciascuna di esse è necessario attuare. Afferma perciò che una riforma agraria uguale per tutta l’Italia non è concepibile; ed anzi una riforma fondiaria ed agraria, considerate come un tutt’uno – senza tener presenti le esigenze delle singole zone – sarebbero la premessa di una rovina generale. Parimenti ritiene che un controllo dello Stato sulla utilizzazione del suolo potrebbe provocare la paralisi totale dell’agricoltura italiana, perché ogni contadino, prima di procedere a qualche semina, dovrebbe ricorrere all’Ispettorato agrario per conoscere se l’azione che si propone di fare rientri nei criteri generali.

Rileva, tuttavia, che se queste sue considerazioni sono volutamente esagerate per spirito polemico, il suo intendimento è quello di richiamare l’attenzione di tutti sulla necessità di arrivare ad una articolazione che eviti, per quanto possibile, gli inconvenienti delle frasi generiche, e che sia armonizzata con l’affermazione del terzo comma dell’articolo sulla proprietà.

Dopo aver affermato che le esigenze fondamentali sono quelle della massima produzione ai minimi costi e del massimo benessere possibile per tutti coloro che attendono alle trasformazioni nel campo agricolo, conclude proponendo che l’onorevole Taviani, alla luce di tali richieste, affacci la soluzione per le varie questioni, tenendo presente che si tratta di un problema complesso e grave – il più grave di tutti i problemi economici italiani – in quanto il 50 per cento della popolazione italiana vive sulla terra.

PRESIDENTE ritiene che una statuizione si possa fare anche con una formulazione generica, che apra però la strada alla riforma agraria.

TAVIANI, Relatore, riconosce la giustezza delle affermazioni del collega Fanfani. Ritiene implicito che qualsiasi riforma agraria, come qualsiasi limite o vincolo da porsi nel campo dell’agricoltura, debbano avere carattere regionale e tener conto delle diversità della natura dei terreni e delle colture. Ciò risulta già chiaramente dalla sua originaria relazione sul tema ora in discussione. Afferma tuttavia che una Costituzione non può addentrarsi nei particolari della riforma agraria. Ritiene quindi che la Sottocommissione o si dovrà accontentare dell’articolo relativo alla proprietà, che lascia già la possibilità di una qualsiasi riforma agraria, oppure, se vuole formulare un articolo speciale per la proprietà terriera, non potrà entrare in eccessive specificazioni.

DOMINEDÒ rileva che le osservazioni critiche dell’onorevole Fanfani rispondono a esigenze che sono vivamente sentite. Bisognerebbe pertanto che si fondessero insieme le varie esigenze in giuoco, per arrivare ad una formulazione il più possibile sintetica e comprensiva; del che ha inteso dare un primo esempio sostituendo il concetto generale di trasformazione agraria a quello particolaristico di divisione del latifondo.

PRESIDENTE è d’accordo.

La seduta termina alle 20.05.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Colitto, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici, Ghidini, Marinaro, Noce, Taviani, Togni.

Erano assenti: Giua, Lombardo, Paratore, Rapelli.

In congedo: Merlin Angelina, Molè.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

18.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà e intrapresa economica (Seguito della discussione)

Presidente – Taviani – Corbi – Noce Teresa – Dominedò – Marinaro – Fanfani – Canevari – Colitto – Assennato.

La seduta comincia alle 10.45.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà e sulla intrapresa economica.

PRESIDENTE, premesso che la discussione verterà oggi sul problema dell’indennizzo, rileva che, come già ebbe a precisare altra volta, questo problema non va posto nei riguardi dell’impresa, per la quale, trattandosi di un processo produttivo, non si può prevedere un caso di abbandono. È anche molto difficile non solo a verificarsi, ma specialmente ad accertarsi, il caso di una impresa acquistata con mezzi illeciti. Il problema invece si pone nei confronti della proprietà, per la quale, però, dovrà considerarsi il caso – e qui si potrà arrivare ad una precisazione – in cui l’indennizzo non sia assolutamente dovuto.

TAVIANI conferma quanto ha detto in proposito nella seduta di ieri. Concorda col Presidente che la questione dell’indennizzo deve porsi soltanto in sede di proprietà statica. Rileva a questo proposito che l’esproprio può eseguirsi soltanto nei confronti di una proprietà e non di una iniziativa; si espropria, cioè, un bene. Si dichiara favorevole alla forma dell’esproprio mediante indennizzo ed ha aderito a togliere l’aggettivo «equo» onde evitare il pericolo di contestazioni da parte di privati sulla entità dello indennizzo stesso. Non concorda però col Presidente per quanto riguarda l’esproprio senza indennizzo delle proprietà male acquistate; in questi casi non si ha tanto un esproprio quanto un mancato riconoscimento della formazione della proprietà. Se la proprietà è formata dalla cattiva speculazione, la società non deve espropriarla, ma addirittura non riconoscerla. Può sorgere la obiezione sul modo come accertare queste condizioni di fatto, ma a questo proposito osserva che, se non si hanno i mezzi per non riconoscere la proprietà, tanto meno si potranno avere per espropriarla senza indennizzo. Il problema consiste nel dare la possibilità allo Stato di intervenire nella sorveglianza della formazione della proprietà; una volta però che la proprietà è formata e quindi riconosciuta, l’esproprio deve avvenire dietro indennizzo.

Si obietta pure che una tale concezione dell’esproprio possa avere conseguenze gravi nei riguardi della riforma agraria, specie per quanto riguarda le grandi proprietà formatesi almeno da tre o quattro secoli e per le quali non è possibile stabilire se la loro formazione sia avvenuta giustamente o ingiustamente. Volendo dare un indennizzo a questi proprietari in caso di esproprio, si verrebbe a frustrare la stessa riforma agraria. Risponde anche a questa obiezione osservando che, anzitutto, soccorrono i mezzi fiscali, primo fra tutti l’imposta straordinaria sul patrimonio; in secondo luogo, in questo caso il termine indennizzo, senza l’aggettivo «equo», ha un senso preciso che si riallaccia a quanto venne praticato, nelle riforme agrarie dell’altro dopo guerra, calcolando il valore dei terreni nella moneta prebellica, senza tener conto della svalutazione. Questa non è affatto una finzione, ma l’applicazione di un principio di giustizia, in quanto si viene a colpire la rendita fondiaria – profondamente ingiusta – e non l’interesse che, contrariamente a quanto afferma il Proudhon, è perfettamente giustificato e legittimo. In altre parole, ingiusto non è l’affitto ma quel soprappiù, la rendita, che i proprietari percepiscono senza aver nulla fatto, avvantaggiandosi soltanto – ecco l’ingiustizia – delle congiunture, della carestia e delle vicende monetarie, le quali aumentano fino a proporzioni elevatissime il valore della terra. È proprio questo valore che lo Stato non deve considerare, calcolando la proprietà terriera al valore di cinque o sei anni fa; così facendo, si potrà benissimo dare l’indennizzo.

Per tali considerazioni propone che rimanga l’espressione: «esproprio contro indennizzo».

PRESIDENTE rileva che occorrerà sempre aggiungere: «salvo i casi tassativamente disposti dalla legge».

CORBI osserva che nulla ha da aggiungere a quanto sull’argomento ha detto in altra occasione; si associa alle considerazioni del Presidente, proponendo che l’articolo sull’esproprio tenga conto dell’indennizzo, salvo i casi tassativamente fissati dalla legge. Considera giuste le osservazioni dell’onorevole Taviani, almeno da un punto di vista teorico; ma praticamente non sono applicabili, in quanto sarebbe molto difficile considerare il modo di formazione della proprietà e comunque si impiegherebbe tanto tempo da frustrare e le legittime aspettative del Paese e gli stessi interessi economici della Nazione.

NOCE TERESA non concorda con le osservazioni dell’onorevole Taviani per quanto riguarda il non riconoscimento della proprietà male acquistata. Che cos’è in altre parole questo non riconoscimento se non un esproprio? Porta l’esempio dei beni male acquistati dai fascisti durante il ventennio: in questo caso lo Stato confisca, cioè si ha un’equiparazione fra espropriazione e non riconoscimento del diritto.

Osserva che l’indennizzo deve essere riconosciuto per quei casi in cui la proprietà ripeta le sue origini da un titolo illegittimo e conclude associandosi alle proposte del Presidente.

DOMINEDÒ vorrebbe eliminare tali preoccupazioni, che pure appaiono legittime anche dal punto di vista etico, osservando che, a suo avviso, l’ordinamento giuridico già fornisce i mezzi per contemplare le eventualità che giustamente toccano l’animo della collega Noce, come quello di tutti.

Due sono le ipotesi: o la proprietà è stata acquistata ed usata in correlazione alle norme che l’ordinamento giuridico prevede ed alle finalità sociali cui essa deve ispirarsi, quivi compresa quella funzione che è stata inserita nella Carta costituzionale come elemento costitutivo del diritto, ed allora, nel caso in cui la proprietà privata debba essere colpita per esigenze di pubblico interesse, spetta sempre l’indennizzo pieno; o viceversa, manca questo presupposto, come nei casi di acquisizione indebita, ed allora la stessa Carta costituzionale già offre l’arma per colpire, perché, mancando il presupposto enunciato come elemento costitutivo, è venuto meno, con la socialità del diritto di proprietà, lo stesso titolo della sua piena protezione, che non può non influire sulla misura dell’indennizzo o forse sullo stesso diritto all’indennizzo.

Peraltro, le formazioni illecite di cui si fa da altri parola, possono essere colpite e sono già state colpite con norme speciali, che attengono ad un concetto giuridicamente diverso, quale quello della confisca.

Cosicché, le ipotesi eccezionali trovano sempre possibilità di essere contemplate nell’ordinamento giuridico, il quale, dalla sede fiscale, ordinaria o straordinaria, fino all’ipotesi massima della confisca, può offrire gli strumenti, secondo i principî generali, per colpire ogni illiceità. Si preoccupa soprattutto di preservare la proprietà sana. Ora, il principio per cui la Carta deferirebbe alla legge la determinazione dei casi in cui l’indennizzo spetti o non, ferirebbe, proprio in linea di principio, quell’esigenza di difesa della proprietà normale, che qui si tiene presente. Quindi si avrebbe il danno senza il vantaggio.

Ecco il pericolo inerente alla proposta di abdicare alla disciplina in sede costituzionale, rinviando alla legge un principio che è connesso inscindibilmente alla tutela del diritto di proprietà, inteso nella sua completezza etica e giuridica.

Desidera, sì, venire incontro alle esigenze espresse dalla collega Noce, ma esprime la convinzione che l’ordinamento giuridico offra i mezzi sufficienti al fine; mentre, deferendo alla legge la concessione o meno dell’indennizzo, si potrebbe incrinare l’istituto della proprietà in sede normale.

PRESIDENTE non ritiene che la dizione «salvo i casi tassativamente espressi» incrini il principio della proprietà, quando essa è legittima. Anzi, direbbe che è il contrario, per il fatto stesso che, se si crea un’eccezione, si conferma la regola, non la si indebolisce.

Sull’osservazione dell’onorevole Dominedò che l’ordinamento giuridico soccorre ugualmente, indipendentemente da una dichiarazione che venga fatta nella Carta costituzionale, non crede che esista in proposito una disposizione generale. Se l’onorevole Dominedò si riferisce alla confisca, questa nel nostro ordinamento ha caratteri nettamente delimitati. Dovremmo concepire questo istituto diversamente di come è configurato nella nostra legislazione. Oggi la confisca, com’è regolata dalla legge, non consente di arrivare all’espropriazione senza indennizzo nei casi enunciati. Oggi si arriva alla confisca in base all’articolo 240 del Codice penale od in base a leggi speciali: c’è la confisca, per esempio, in materia di contrabbando ed in casi consimili. L’istituto giuridico della confisca è solo disciplinato, salvo errore, nel Codice penale, il quale dice che la confisca è un accessorio della condanna penale, salvo che si tratti di cose che non possono essere né acquistate, né alienate, né detenute, ecc.

In sostanza non trova nella nostra legislazione la possibilità di addivenire all’esproprio senza indennizzo, se non in quanto lo si dica; ed il dirlo non ferisce il principio, che è di giustizia, che, una volta riconosciuta legittima la proprietà privata, la sua espropriazione debba avere per corrispettivo un indennizzo, anzi un giusto indennizzo.

L’aggiunta che propone, riferibile alla proprietà statica, conferma la regola e risponde al sentimento comune, perché tutti sono di questo ordine di idee.

DOMINEDÒ rileva che qui è in giuoco un problema più largo della mera ipotesi di confisca. Comunque la figura della confisca senza condanna è precisamente contemplata dalla legge per l’avocazione dei profitti di regime.

PRESIDENTE osserva che ciò avviene per legge speciale, ma che non c’è una legge generale.

DOMINEDÒ rileva che evidentemente le leggi speciali possono essere emanate in correlazione ad un principio generale.

MARINARO osserva che è sempre una sanzione, anche in quel caso. La legge ha carattere punitivo.

DOMINEDÒ aggiunge che occorre tener presenti alcuni precedenti esteri, quale quello della riforma agraria lituana, la quale ha determinato l’ammontare dell’indennizzo decurtando il valore della rendita ricardiana.

FANFANI richiama l’attenzione sul fatto che il discorso avviato dal Presidente porta a questo interrogativo: per caso si ritiene che la proprietà soltanto in alcuni casi debba essere riconosciuta come legittima ed in altri casi occorra fare tutto un lungo processo per accertare la legittimità o meno della sua accumulazione?

Si domanda se, per caso, questo si debba fissare nella Costituzione, e cioè dire che da oggi si determina una revisione generale delle proprietà. Per quelle che riceveranno il brevetto di legittimità, si procede secondo l’esproprio con indennizzo: le altre cadono.

MARINARO osserva che è inconcepibile che l’autorità amministrativa debba, di volta in volta, quando procede all’espropriazione, indagare sulla legittimità o meno della proprietà.

CANEVARI rileva che il Presidente nella sua proposta ha accennato ai fatti che potrebbero indurre a non corrispondere nessun indennizzo. Se non si accenna, sia pure sommariamente, alla natura di questi fatti, si lascia nell’animo il dubbio che l’indennizzo possa essere anche non corrisposto per altre ragioni. Questo è il dubbio sollevato dai colleghi. E perché allora non si cerca di chiarire questo punto?

A questo scopo proporrebbe la dizione: «salvo contrarie disposizioni di legge per i casi di inadempienza alle finalità prescritte e acquisti o arricchimenti ingiustificati», che fisserebbe fin da ora i casi nei quali la legge deve intervenire, per non corrispondere quell’indennizzo, o perché la proprietà non corrisponde alla sua finalità o perché si tratta di arricchimento ingiustificato.

PRESIDENTE, dichiarandosi d’accordo riguardo alla proprietà male acquistata, chiede quali sarebbero i casi di inadempienza.

CANEVARI cita, per esempio, la terra non coltivata, che non risponde alla sua finalità.

PRESIDENTE fa rilevare che il Codice civile prevede il caso dell’abbandono, per il quale è comminato l’esproprio; però mantiene l’indennizzo, il che è contradditorio. Quindi, l’inadempienza è prevista.

CANEVARI trova giustificata la disposizione dell’attuale Codice, perché anche quando un podere è abbandonato, espropriandolo si porta via una ricchezza e l’indennizzo sarà limitato. Ma che quella proprietà rappresenti un bene, dal quale il proprietario non trae profitto e profitto invece ne può trarre la collettività, non induce la collettività a non pagare niente. Ammette anche che non si debba corrispondere l’indennizzo, come castigo al proprietario, il quale non fa fruttare la sua terra in relazione ai bisogni della collettività, in quanto non accettando tale principio difficilmente si potrebbe contestare il diritto del proprietario, che abbandona la sua terra, ad avere l’indennizzo, sia pure limitato.

Se si considera che un terreno rappresenta un mezzo di produzione di altra ricchezza, per cui debba essere corrisposto un indennizzo limitato, in questo caso il diritto non può essere negato. Può essere negato soltanto quando si ammette che intervengono considerazioni di ordine sociale.

COLITTO esprime l’avviso che, ove si proceda ad espropriazione di beni, quale ne sia la natura, occorre dare un equo indennizzo. Ritiene che all’indennizzo occorra far cenno sia nell’articolo che si occupa della proprietà, sia nell’articolo che si occupa dell’impresa, giacché, parlandosi anche in tale secondo articolo di beni singoli e di complessi produttivi, potrebbe sorgere il dubbio, ove non si parlasse anche in esso di indennizzo, che potrebbe senza indennizzo aver luogo quella devoluzione di beni di cui si parla in detto secondo articolo.

Non ritiene, poi, che si possano fare eccezioni. L’autorità amministrativa, infatti, non può ricercare la provenienza di beni che, in difetto di sentenze di magistrati o di altri organi all’uopo dalla legge incaricati, non potrebbero non essere considerati legittimi. Si aprirebbe evidentemente la via a possibili arbitri. Se non è l’autorità amministrativa che interviene e chi invoca l’indennizzo è il titolare del diritto di proprietà, le parole «salvo i casi», che il Presidente vorrebbe aggiungere, sarebbero, a suo avviso, del tutto inutili.

MARINARO si associa pienamente alle considerazioni fatte dall’onorevole Colitto, ed osserva che, fra la formula suggerita dal Presidente Ghidini e quella proposta dall’onorevole Canevari, riterrebbe preferibile, in ogni caso, la seconda, poiché mentre la formula Ghidini darebbe la possibilità ai più larghi arbitrî, specialmente dal punto di vista politico, quella Canevari delimiterebbe e preciserebbe in certo qual modo il campo di applicazione della facoltà di non indennizzare l’espropriato; salvo naturalmente ad indicare con precisione i casi di non indennizzo.

Indipendentemente dalle considerazioni che precedono, propone che rimanga fermo l’articolo sulla proprietà così come è stato votato, e che, per quanto riguarda la socializzazione dell’impresa, sia esplicitamente prevista la corresponsione di un equo indennizzo, anche sotto il profilo dell’avviamento commerciale ed industriale dell’impresa stessa.

PRESIDENTE ritiene che l’indennizzo per quanto riguarda l’impresa si possa sempre aggiungere.

ASSENNATO desidera far notare che sul preambolo della relazione dell’onorevole Taviani, ossia sull’origine della proprietà come «frutto del lavoro e del risparmio», tutti erano d’accordo per eliminarlo allo scopo di evitarne le conseguenze, e cioè dei processi diabolici sull’origine della proprietà. Questo però non toglie che vi possano essere ragioni di espropriazione senza indennizzo dello Stato.

Un esempio di ciò può essere offerto dal testo di pubblica sicurezza e da analoghe disposizioni anche di legislazioni straniere. Lo Stato in ogni momento, quando vede che un individuo ha un certo tenore di vita senza svolgere alcuna attività giustificata, può chiedere conto o sull’origine delle sue proprietà o sul lavoro che compie. Questo è uno dei casi in cui potrà essere disposta l’espropriazione senza indennizzo. È sempre un esproprio anche se manca originariamente la legittimazione della proprietà. Altra ragione per la quale ha aderito alla liquidazione di quel preambolo, è perché vi sono attività illecite, che lo Stato riconosce, come ad esempio quella del tenutario di una casa di piacere o di una casa da giuoco. Negare ai titolari il diritto di proprietà è atto assai ingenuo, essendo agevole eludere il divieto: perciò quello che interessa è di lasciare la possibilità allo Stato di espropriare, quando il cittadino non giustifichi dove abbia attinto le sue ricchezze o il suo modo di vivere. Ritiene quindi che non si possa, in sede di Costituzione, stabilire un disposto da testo di pubblica sicurezza e che si debba lasciare alla legge di stabilire i singoli casi, come ha proposto il Presidente.

MARINARO osserva che c’è la legge sulla pubblica sicurezza, la legge sui beni demaniali, sugli usi civici, ecc., che già prevedono e regolano tutti i singoli casi. Perché si deve allora includere una così grave limitazione in una materia così delicata?

ASSENNATO, circa l’aggiunta dell’aggettivo «equo» alla parola «indennizzo», osserva che basta ricorrere alla legge di Napoli di espropriazione per espropriare senza l’equo indennizzo. In realtà l’orientamento della società moderna è di espropriare con indennizzo lievissimo, anche non adeguato, spesso simbolico. In Italia lo Stato, quando vede che l’indennizzo può essere molto pesante dice: «Applico la legge di Napoli anche se ora esproprio a Torino». Quindi è vano impegnarsi con un «equo» che poi non risponde e non deve rispondere.

FANFANI, lasciando impregiudicato per il momento il problema della corresponsione dell’indennizzo in tutti i casi o soltanto in casi determinati, ritiene che, dato che si è parlato di indennizzo nell’articolo relativo alla proprietà, non si possa non parlarne anche in quello relativo all’impresa; tanto più che il quarto comma dell’articolo sull’impresa, a suo modo di vedere, presenta qualche imperfezione. Sembrerebbe infatti da questo articolo che la legge devolva allo Stato solo l’esercizio. E la proprietà a chi resta? Così come è formulato l’articolo, la proprietà resterebbe all’originale detentore; però se l’impresa venisse messa sotto tutela ed un ente pubblico la esercitasse a suo arbitrio, si avrebbe il curioso effetto che il rischio dell’errore commesso dall’ente ricadrebbe sul proprietario.

Così stando le cose, c’è da domandarsi se l’articolo precedente sulla proprietà non debba essere coordinato con questo, in quanto si sta disciplinando lo stesso oggetto in due articoli diversi, perché nell’articolo precedente, terzo comma, si era parlato di complessi produttivi. Dato che precedentemente era stato formulato l’articolo sulle imprese, proprio in vista di un coordinamento, è opportuno che in sede di revisione di questo articolo si tenga presente che forse dovrà dirsi che la legge deve o può espropriare mediante indennizzo, devolvendo la proprietà e l’esercizio, o fare un’altra precisazione in proposito circa la proprietà e l’esercizio.

Ad ogni modo, forse l’articolo è un po’ troppo sintetico per poter comprendere tutti i casi che l’esperienza e la pratica dell’ultimo decennio ha profilati. Evidentemente, nell’esercizio diretto ed indiretto, vi è un’allusione molto imperfetta al sistema delle società miste. Ritiene quindi che, nell’ipotesi che in una forma o nell’altra, migliorando l’articolo e studiando meglio il comma, si arrivi ad includere l’espressione «mediante indennizzo», anche in tal caso riaffiori il problema posto dal Presidente per l’articolo precedente. Pensa che una prima conclusione della discussione porti uniformemente tutti a concludere che, nel caso che la proprietà sia legittimamente acquisita (cioè secondo le norme di legge), l’indennizzo debba essere pagato. Sorge allora l’altra ipotesi della proprietà detenuta contro la legge.

DOMINEDÒ osserva che in tal caso non si tratta di diritto di proprietà.

FANFANI, facendo l’ipotesi che la Costituzione fosse all’origine del nostro ordinamento giuridico e che gli italiani per la prima volta si fossero consociati per stabilire la regolamentazione della proprietà, pensa che avrebbero detto: «In caso di proprietà che si ritiene illegittimamente detenuta non si ha l’indennizzo». È vero o non è vero che una Costituzione, nascendo in un determinato ambiente giuridico, tende a riconsiderare tutto l’ambiente giuridico? In questa ipotesi è male che nella Costituzione vi sia un comma il quale preveda che l’indennizzo resti stabilito e commisurato al valore economico in tutti i casi in cui non c’è discussione circa la detenzione legittima di questi beni? Concludendo la sua ipotesi – imperfetta dal punto di vista giuridico – propone di inserire, dopo l’articolo precedente sulle imprese e dopo l’antecedente sulla proprietà, un articolo così formulato:

«Per quanto disposto nei precedenti articoli in merito all’indennizzo in caso di esproprio, resta stabilito che l’indennizzo, salvo la provata, illegittima origine del bene espropriato, è determinato dalla legge in misura proporzionata al valore economico del bene al momento dell’esproprio».

DOMINEDÒ deve nuovamente far notare che non è probante sollevare eccezione per il caso di illegittima origine del bene, perché, a rigore, non è concepibile una proprietà che sorga contro la legge.

MARINARO desidererebbe che l’onorevole Taviani precisasse il suo pensiero, perché ieri ha avuto l’impressione che egli non fosse, in linea di principio, contrario all’indennizzo anche per quanto riguarda le imprese. Se ben ricorda, l’onorevole Taviani aveva sostenuto che siccome l’indennizzo è stato previsto in tema di proprietà, e poiché si tratta, più che altro, di espropriare sostanzialmente la proprietà, è superfluo parlare anche in questa sede di indennizzo; al che egli aveva osservato che il fatto di non parlare in questa sede di indennizzo potrebbe creare un equivoco, nel senso che l’interprete della legge potrebbe ritenere che, siccome in tema di proprietà è stato previsto l’indennizzo ed in tema di imprese no, si sia voluto di proposito escluderlo per l’impresa. Di guisa che riteneva che non parlarne in questa sede significasse aggravare la situazione e soprattutto creare un pericoloso equivoco. Ma se tutti sono d’accordo sulla sostanza, sul principio cioè che l’indennizzo sia dovuto, non comprende perché non si debba stabilire esplicitamente che l’espropriazione delle imprese può aver luogo soltanto contro indennizzo.

TAVIANI precisa che era contrario a parlare dell’indennizzo nell’articolo sulle imprese, in quanto in esso non si parla di espropriazione, mentre è favorevole a parlarne nell’articolo sulla proprietà, dove si parla di espropriazione. Se con l’aggiunta proposta dall’onorevole Fanfani, di cui comprende l’importanza ed il valore, si parla di espropriazione anche in questa sede, allora si dichiara d’accordo sulla parola «indennizzo», che va aggiunta ogni volta che si parla di espropriazione.

Venendo all’articolo proposto dall’onorevole Fanfani, gli sembra strano che sia stato accolto con tanto favore. È d’accordo sulla dizione: «salvo la provata illegittima origine del bene espropriato», nel qual caso non spetta l’indennizzo. È invece contrario alla frase: «l’indennizzo deve essere determinato dalla legge in misura proporzionata al valore economico del bene al momento dell’esproprio», in quanto impedirebbe di fare la riforma agraria; perché, come più sopra ha già spiegato, se si vuole fare tale riforma, si deve indennizzare la terra non in base al valore che essa ha in questo momento.

COLITTO afferma che non gli sembra il caso di formulare un articolo apposito per l’indennizzo (la Costituente ridurrà al minimo questi articoli e certamente non accoglierà un articolo specifico per l’indennizzo) e pertanto ritiene che sia opportuno inserire detto concetto nell’articolo in cui si parla delle imprese ed in quello che parla della proprietà, con la semplice aggiunta: «salvo indennizzo», o «contro indennizzo».

PRESIDENTE dato che vi è una corrente che vuole la formula con l’indennizzo puramente e semplicemente, riservando alla legislazione ordinaria di determinare i criteri in base ai quali si dovrà indennizzare il bene espropriato, e che ve ne è un’altra, la quale, pur ritenendo che come regola si debba lasciare alla legislazione ordinaria di determinare i criteri in base ai quali si darà l’indennizzo, pensa che si debbano contemplare anche le eccezioni che dovranno essere genericamente o rigorosamente enunciate, pone ai voti i due progetti: il primo riguardante la formulazione generica e il secondo la formulazione completata con l’eccezione.

(Votano favorevolmente la prima formula gli onorevoli Taviani, Dominedò, Federici Maria, Rapelli, Marinaro, Colitto; votano per la seconda formula gli onorevoli Ghidini, Corbi, Assennato, Noce Teresa, Canevari. Astenuto l’onorevole Fanfani).

(È approvata la prima formula proposta).

FANFANI dichiara di essersi astenuto ritenendo che la formula «contro indennizzo» possa essere suscettibile vantaggiosamente di qualificazioni.

Propone poi che nel quarto comma dell’articolo sulla impresa, ieri approvato, dopo le parole «la legge» vengano inserite le altre «o può espropriarla mediante indennizzo, devolvendone la proprietà e l’esercizio allo Stato».

DOMINEDÒ fa presente che, effettivamente, si tratta di devolvere la titolarità della impresa; d’altra parte, in corrispondenza con la relazione Pesenti, si parlava di esercizio diretto o indiretto, intendendosi con questa espressione di comprendere tutte le ipotesi intermedie, evitandone una ulteriore specificazione.

Si chiede se, con la formula del puro e semplice esproprio di ciò che è di pertinenza altrui, resti esclusa l’ipotesi già preveduta nell’articolo sulla proprietà, vale a dire della requisizione per riserva o per titolo originario. Ecco perché si era usata la formula generale del «devolvere».

FANFANI pensa che la formula «esercizio diretto o indiretto» non dica molto o dica troppo e che comunque non sia felice. Ad ogni modo non insiste per la soppressione di queste parole.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta di modificare come segue la seconda parte del quarto comma dell’articolo sull’impresa, già approvato: «…la legge può autorizzare l’espropriazione mediante indennizzo, devolvendone proprietà ed esercizio, diretto o indiretto, allo Stato o ad altri enti pubblici o a comunità di lavoratori e di utenti».

(È approvata).

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo proposto dal relatore Taviani sulla proprietà fondiaria.

«La Repubblica ha il diritto di controllare la ripartizione e l’utilizzazione del suolo, intervenendo al fine di svilupparne e potenziarne il rendimento nell’interesse di tutto il popolo; al fine di assicurare ad ogni famiglia una abitazione sana e indipendente; al fine di garantire ad ognuno – che ne abbia la capacità e i mezzi.– la possibilità di accedere alla proprietà della terra che coltiva. A questi scopi la Repubblica impedirà l’esistenza e la formazione di grandi proprietà fondiarie. Il limite massimo della proprietà fondiaria privata sarà fissato dalla legge».

COLITTO fa presente che nella seduta precedente egli fece una proposta relativamente all’articolo sulla proprietà: propose, cioè, che dove si parla di comunità «di lavoratori», si aggiungesse anche comunità «di datori di lavoro».

FANFANI osserva che quando si parla della comunità di datori di lavoro, si arriva a parlare del Sindacato industriale obbligatorio.

COLITTO dichiara che egli non comprende ancora che cosa si intenda per «comunità», perché per lui non esistono che enti legalmente riconosciuti; ma, poiché si è approvato che nell’articolo si debba parlare di «comunità», egli ritiene che a fianco delle comunità di lavoratori si possano porre le comunità di datori di lavoro. Non comprende come la devoluzione o attribuzione di beni si debba effettuare soltanto a favore delle prime e non anche a favore delle seconde. Propone, pertanto, di modificare l’articolo con una precisazione al riguardo.

FANFANI si dichiara d’accordo con quello che ha detto ieri in proposito l’onorevole Corbi e osserva che la proposta dell’onorevole Colitto snatura completamente il terzo comma e verrebbe a porre un altro problema. Cioè, l’onorevole Colitto domanda indirettamente se, ai fini della utilità collettiva e del coordinamento dell’attività economica, non sia da profilarsi la possibilità che si riserbi ad un determinato gruppo di imprenditori o di proprietari lo sfruttamento.

Sostiene in proposito che la preoccupazione della Sottocommissione su questo comma non era quella di studiare i problemi della razionalizzazione della vita economica attraverso la concentrazione industriale, ma di impedire che gli interessi dei singoli imprenditori prendessero il sopravvento sul criterio di produttività. Ad evitare questo, era stato detto che la sostituzione coattiva di una impresa privata o della libera iniziativa dei singoli produttori privati con la proprietà e la gestione da parte di enti pubblici o di comunità di lavoratori o di utenti, può portare ad un rispetto maggiore di quelle esigenze nel coordinamento dell’attività economica, di quanto si otterrebbe con le forme attualmente invalse.

Quindi, dati i fini che l’articolo si propone, è necessario separatamente richiamare l’attenzione di tutti sulla convenienza di studiare anche il problema del coordinamento attraverso il fenomeno della concentrazione industriale, cioè, dei sindacati industriali obbligatori. Il problema esiste e potrebbe domani presentarsi la necessità di fare qualche cosa del genere in questo campo. Invita pertanto l’onorevole Colitto ad affrontare il problema cercando di esaurirlo in un senso o nell’altro.

ASSENNATO ritiene che il problema sia stato già risoluto con la formulazione approvata, la quale esclude l’oggetto della richiesta dell’onorevole Colitto. D’altra parte si associa al parere espresso già ieri dall’onorevole Corbi.

COLITTO insiste per il completamento dell’articolo ed esprime la sua meraviglia per quello che da altri colleghi si è affermato, quasi che i datori di lavoro debbano essere posti al di fuori dell’attività produttiva della Nazione.

FANFANI non sa se l’onorevole Colitto, con le ultime parole, si riferisse alla sua interpretazione, ma in tale ipotesi sente il dovere di chiarire che non intendeva minimamente mettere al di fuori della comunità nazionale i datori di lavoro, ma affermare che in tutta la formulazione dell’articolo sulla proprietà era stato seguito il principio che l’interesse privato non controllato possa, in determinati momenti, agire anche in senso antisociale.

Si tratta di evitare che gli individui, abbandonati a se stessi, mentre sono fino ad un certo punto artefici del bene sociale, oltrepassandolo possano diventare danneggiatori dello stesso; ed è in questa ipotesi che si devono chiamare a raccolta le forze sociali perché si sostituiscano all’iniziativa privata, e, al momento in cui vi siano inconvenienti, cerchino di ripararvi, sostituendo all’iniziativa di singoli imprenditori privati o a quella del gruppo di imprenditori privati, l’iniziativa pubblica.

COLITTO rileva che artefici del bene sociale sono anche i datori di lavoro, e, poiché nell’articolo si dice che la legge attribuisce i beni ed i complessi produttivi a comunità di lavoratori e di utenti, egli insiste perché nell’articolo si parli anche di «comunità di datori di lavoro».

FANFANI ritiene che nel terzo comma nulla si possa inserire senza snaturarlo.

L’onorevole Colitto può quindi fare un articolo aggiuntivo.

COLITTO afferma che la proposta è stata da lui fatta. Spetta ora ai Commissari di dire sì o no.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Colitto di aggiungere all’articolo sulla proprietà, già approvato, le parole: «comunità di datori di lavoro».

TAVIANI dichiara di votare contro tale proposta, perché non trova che essa abbia sede nell’attuale norma, nel mentre potrà essere esaminato e approfondito nella dovuta sede il tema dei sindacati industriali insieme con gli altri problemi connessi.

(La proposta non è approvata).

PRESIDENTE osserva che rimane da esaminare il terzo articolo sul diritto di proprietà proposto dall’onorevole Taviani nella sua relazione.

TAVIANI, dato che dalla presentazione della sua relazione è passato molto tempo ed è stata fatta in materia un’ampia discussione, ritiene che il testo dell’articolo risulti ormai così ridotto:

«Lo Stato ha il diritto di controllare la ripartizione e l’utilizzazione del suolo, intervenendo al fine di svilupparne e potenziarne il rendimento nell’interesse di tutto il popolo.

«In vista di questi scopi, lo Stato impedirà l’esistenza e la formazione delle grandi proprietà terriere private».

CANEVARI parla per mozione d’ordine. Ritiene che non si possa mettere in discussione la proposta Taviani prima di aver discusso il problema agrario nelle sue grandi linee, in quanto, a suo avviso, è necessario che nella Carta costituzionale siano fatte affermazioni che diano poi luogo ad ulteriore sviluppo nel campo legislativo e portino alla riforma agraria. Propone quindi il seguente articolo:

«L’impresa agricola deve avere di mira il benessere della collettività nazionale e una più alta possibilità di civile esistenza per i lavoratori della terra.

«La legge dovrà promuovere un movimento di trasformazione che, sviluppandosi nel tempo, determini negli uomini, nella politica e nella economia del Paese, le condizioni più favorevoli per conseguire come risultato finale un’agricoltura in via di continuo, progresso, condotta dal lavoro associato per il maggiore benessere dei singoli e della collettività».

PRESIDENTE, data l’ora tarda e l’importanza dell’argomento proposto dall’onorevole Canevari, sospende la seduta, avvertendo che la discussione sarà ripresa nel pomeriggio.

La seduta termina alle 12.35.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Colitto, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Rapelli, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Merlin Angelina, Molè.

Assenti: Giua, Lombardo, Paratore.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

17.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Intrapresa economica (Seguito della discussione)

Marinaro – Taviani – Colitto – Merlin Angelina – Corbi, Relatore – Canevari – Presidente – Dominedò, Correlatore – Assennato – Noce Teresa.

Diritto di proprietà (Seguito della discussione)

Taviani, Relatore – Dominedò – Federici Maria – Rapelli – Presidente – Colitto – Assennato – Corbi.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sull’intrapresa economica.

MARINARO ricorda di avere insistito nella seduta antimeridiana sulla necessità che sia bene specificata l’esigenza che deve determinare il provvedimento legislativo, accennando a esigenze di servizi pubblici e all’opportunità di ovviare a situazioni monopolistiche dannose alla collettività. Ora insiste sulla necessità che sia contemplata l’ipotesi dell’indennizzo, in seguito a quanto ha dichiarato l’onorevole Taviani. Questi ha fatto presente che l’indennizzo, essendo stato previsto nell’articolo relativo alla proprietà, si intende previsto anche in questo caso; invece egli ritiene che l’averlo previsto a proposito della proprietà e non in questo caso, potrebbe dar luogo ad equivoci e al dubbio che il legislatore non abbia voluto prevedere l’indennizzo, mentre dal principio concordemente affermato che la proprietà è riconosciuta e garantita dallo Stato, deriva che, anche nel caso della impresa, l’indennizzo non può essere dimenticato.

Non ha difficoltà ad adoperare l’espressione «equo indennizzo».

Infine, dichiara di avere, insieme con l’onorevole Colitto, formulato il seguente articolo, che tiene conto delle osservazioni fatte dai colleghi Dominedò, Corbi e Taviani:

«Per imprescindibili esigenze di servizi pubblici, o per la necessità di eliminare situazioni di privilegio o di monopolio dannose alla collettività, lo Stato e gli enti locali possono con legge essere autorizzati ad assumere l’impresa o a parteciparvi, salvo indennizzo.

«La gestione dell’impresa, in tal caso, ha luogo in forma industrializzata ed è sottoposta a controllo».

TAVIANI propone di discutere l’articolo, ma di riservare ad un secondo tempo la questione dell’indennizzo. La formula Marinaro-Colitto non gli dispiace, ma preferirebbe dire:

«Le imprese economiche possono essere private, cooperativistiche e collettive.

«L’iniziativa privata è libera. L’impresa privata non può essere esercitata in contrasto, ecc.».

COLITTO trova eccessiva la casistica.

TAVIANI risponde che nella discussione sulla proprietà non si è specificato, ma in questa sede c’è il problema dei salari, il problema dei rapporti di lavoro, e occorre fare una specificazione; parlare solo di «bene comune» è troppo vago.

MERLIN ANGELINA afferma che stamani, quando è stato letto l’articolo, era rimasta colpita da quella disarmonia che ha poi notato l’onorevole Taviani, e si associa a quanto egli ha detto. Però osserva che questa dichiarazione di imprese, che possono essere individuali, cooperativistiche e collettive le sembra inutile, in primo luogo perché è sempre contraria a queste definizioni, ma poi perché negli altri commi si parla di impresa individuale, impresa cooperativa, ecc. Quindi ritiene implicita l’esistenza di queste imprese senza bisogno di inutili definizioni.

TAVIANI fa notare che questo è un problema di secondo ordine: bisogna essere d’accordo sul concetto. Ricorda la votazione dell’articolo sulla proprietà, di cui l’articolo in esame vuole essere il parallelo e l’eco che ha avuto nella stampa, per cui non ritiene inutile parlare di impresa cooperativistica.

Occorre una formulazione giuridica per questi tre tipi di impresa, che possa servire di base al futuro legislatore.

L’onorevole Colitto trova superfluo specificare tanto; ma, se trattando della proprietà ci si è limitati alla espressione «funzione sociale», qui, nella parte dinamica della vita economica, è necessario specificare.

CORBI, Relatore, fa una mozione d’ordine. Quando si iniziò la discussione sulla relazione Taviani, espresse il parere che sarebbe stato opportuno esaminare insieme la relazione Taviani e la relazione Pesenti, perché si integrano a vicenda. Poiché nello spirito vi è l’accordo, nel rivedere la formulazione degli articoli pensa che si potrebbe intanto procedere ad una fusione.

TAVIANI osserva che l’articolo in discussione troverà un collocamento molto lontano da quello della «proprietà» nella Costituzione.

PRESIDENTE non nega che si possa fare anche un articolo solo. Intanto metterà ai voti i primi tre commi.

CANEVARI anziché «l’impresa gestita in forma cooperativa» propone «l’impresa cooperativa».

PRESIDENTE mette ai voti i primi tre commi nel seguente nuovo testo:

«Le imprese economiche possono essere private, cooperativistiche, collettive.

«L’iniziativa privata è libera. L’impresa privata non può essere in contrasto con l’utilità sociale in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

«L’impresa cooperativa deve rispondere alla funzione della mutualità ed è sottoposta alla vigilanza stabilita per legge. Lo Stato ne favorisce l’incremento con i mezzi più idonei».

(Sono approvati).

MERLIN ANGELINA ha approvato i tre commi, ma fa una riserva per quanto riguarda quella specificazione di «privtle, cooperativistiche e collettive».

PRESIDENTE dà lettura del 4° comma, proposto dagli onorevoli Dominedò e Corbi:

«Quando le esigenze del bene comune lo impongano, la legge devolve l’impresa, in forma diretta o indiretta, in favore dello Stato o di enti pubblici».

Avverte che gli onorevoli Marinaro e Colitto propongono la formula seguente:

«Per imprescindibili esigenze di servizi pubblici o per la necessità di eliminare situazioni di privilegio o di monopolio dannose alla collettività, lo Stato e gli enti locali possono con legge essere autorizzati ad assumere l’impresa o a parteciparvi, salvo indennizzo.

«La gestione dell’impresa ha in tal caso luogo in forma industrializzata ed è sottoposta a controllo».

CORBI, Relatore, rileva che il 4° comma, proposto insieme con l’onorevole Dominedò, è un po’ generico.

Bisognerebbe specificare che cosa si intenda per bene comune, soprattutto perché si tratta di materia nuova, e prendere provvedimenti che prevedano il futuro e servano come indirizzo al legislatore.

Lo trova anche incompleto, in quanto non specifica le varie forme in cui lo Stato potrebbe esercitare questo suo potere.

La proposta dell’onorevole Marinaro presenta il vantaggio di entrare di più in argomento e non è in contrasto con la formulazione dell’articolo 5 dell’onorevole Pesenti; questa è però più analitica e nello stesso tempo anche abbastanza sintetica. L’articolo Pesenti ha soprattutto il vantaggio di indicare alcuni aspetti che non sono contemplati in quello dell’onorevole Marinaro. L’articolo Pesenti, infatti, premette le finalità e dice:

«Ogni proprietà che nel suo sviluppo ha acquistato o acquista, sia per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di monopolio o a fonti di energia, o a dimensioni relativamente rilevanti, caratteri tali da assumere un aspetto di preminente interesse nazionale, deve diventare proprietà della collettività nazionale o essere posta sotto il diretto controllo della Nazione».

Osserva che la parola «imprescindibili» nella dizione Marinaro ha un valore molto restrittivo del concetto.

Chiede, poi, all’onorevole Marinaro le ragioni per le quali non crede di potere accettare la formulazione proposta dall’onorevole Pesenti.

MARINARO risponde che la ragione è quella accennata dall’onorevole Corbi; l’articolo è troppo analitico.

CORBI, Relatore, è perfettamente d’accordo sul concetto che un testo costituzionale non debba scendere ai particolari; tuttavia, nel caso specifico, trattandosi di provvedimenti che hanno un carattere di assoluta novità, ritiene che sia opportuno fare qualche precisazione. Una frase come «le esigenze del bene comune» è, a suo parere, troppo generica.

DOMINEDÒ, Correlatore, crede che si possano conciliare le due esigenze, col mantenere da un lato il concetto sintetico accolto nella seduta antimeridiana anche dall’onorevole Taviani, e con l’introdurre successivamente alcune specificazioni, aderendo in questo all’esigenza espressa dal Relatore Corbi sulla opportunità di fissare dei dettagli rispondenti ad una materia nuova: e ciò anche allo scopo di ottenere così una ulteriore delimitazione, in sede costituzionale, delle ipotesi in cui si rende indispensabile il passaggio da forme di economia privata ad economia pubblica. Nel merito non ha difficoltà ad esaminare le ipotesi che involgano un giudizio qualitativo, escludendo quelle che si riducano invece ad una mera valutazione quantitativa (dimensioni dell’impresa), empirica e indeterminabile giuridicamente.

PRESIDENTE preferisce la formulazione dell’onorevole Pesenti, in quanto non limita l’intervento dello Stato ai soli casi del «danno» potenziale o in atto.

MARINARO non ritiene di poter accettare la concezione dell’onorevole Pesenti, il quale prevede l’intervento dello Stato tutte le volte che un’impresa assuma carattere nazionale. A suo avviso, l’intervento dello Stato deve verificarsi solo quando l’impresa privata, assunto carattere nazionale, diventi dannosa alla collettività.

PRESIDENTE fa presente che un tale giudizio è estremamente pericoloso e difficile. Come dimostrare che una impresa sia dannosa? Insiste sul suo punto di vista, inteso a provocare l’intervento statale tutte le volte che sia in giuoco un preminente interesse nazionale.

ASSENNATO afferma che la bontà del progetto Pesenti, a suo avviso, consiste nel considerare non il danno nel momento della sua consumazione – e quindi la necessità dell’intervento dello Stato per riparare – ma anche un pericolo di danno. Quando l’impresa privata, per lo sviluppo assunto, minaccia di contrastare gli interessi nazionali, determina una situazione di pericolo alla quale bisogna porre riparo. Il problema, quindi, deve essere affrontato dal punto di vista dell’opportunità di tener presente – nel testo costituzionale – la situazione di pericolo e la possibilità di prevenzione del danno. In altri termini, un’azienda che è già pervenuta ad una situazione di monopolio, per il fatto stesso di essere in mano ad un privato, costituisce già un danno potenziale.

PRESIDENTE è d’avviso che il concetto dell’onorevole Pesenti non sia questo, ma che voglia riferirsi esclusivamente al preminente interesse nazionale, indipendentemente dal danno o dal pericolo. Ritiene pregiudizievole accettare il punto di vista dell’onorevole Assennato, in quanto, nella pratica attuazione, sarà estremamente difficile dimostrare che un’impresa presenti un pericolo di danno.

NOCE TERESA concorda col punto di vista del Presidente sulla necessità di considerare esclusivamente l’interesse nazionale e crede che sia proprio questo il pensiero dell’onorevole Pesenti. Quando l’impresa privata ha assunto certe forme che nell’interesse nazionale vanno circoscritte, lo Stato deve essere autorizzato ad assumere l’impresa. Questo concetto va affermato nella Carta costituzionale.

CANEVARI richiama l’attenzione della Sottocommissione sulla legislazione attuale e ricorda che sull’affermazione degli scopi del bene comune tante discussioni si sono fatte alla Camera – sia nelle Commissioni che in Assemblea plenaria – fin dal 1921 in occasione dell’esame del disegno di legge proposto dal Governo sulla trasformazione del latifondo e sulla colonizzazione interna. Si arrivò allora ad una semplice e chiara dizione, cioè: «Per scopi di pubblica utilità e per ragioni di ordine sociale». Propone pertanto che l’ultimo comma proposto dall’onorevole Dominedò venga così modificato:

«Per scopi di pubblica utilità e per ragioni di ordine sociale la legge determina l’esercizio diretto o indiretto dell’impresa da parte dello Stato, di enti pubblici o di comunità di lavoratori e di utenti».

Si vedrà poi l’opportunità di aggiungere: «dietro pagamento di equo indennizzo, salvo diverse disposizioni».

COLITTO non crede che possa essere approvata la formula Pesenti, perché contempla solo l’impresa che nel suo sviluppo acquista carattere tale da diventare di preminente carattere nazionale e quindi non tiene conto delle esigenze e dei pericoli che sono sottolineati nella formula da lui stesso proposta d’accordo con l’onorevole Marinaro.

TAVIANI ritiene che un accordo si possa considerare raggiunto per quanto riguarda la parte analitica del comma Pesenti, cioè per i riferimenti ai servizi pubblici essenziali, alle situazioni di monopolio ed alle fonti di energia. Aggiunge di essere favorevole a considerare quest’ultima espressione «fonti di energia» e di ritenere superfluo con l’onorevole Dominedò accennare al concetto di «dimensioni rilevanti». Il punto di divergenza, a suo avviso, consiste nello stabilire il momento e nel valutare le condizioni obiettive che richiedono l’intervento dello Stato. Basta, cioè, un atto esecutorio della norma costituzionale, oppure è necessaria una legge? Ritiene che sia necessaria una legge, lasciando alla Costituzione il compito della dichiarazione di principio, anche abbastanza analitica e particolareggiata, soprattutto perché trattasi di materia nuova.

Osserva inoltre che il comma proposto dall’onorevole Canevari non ha un senso specifico, dato che si dice «la legge devolve». La legge determina sempre; occorrerebbe dire «può devolvere», ma in questo caso si avrebbe una disposizione molto blanda. Pertanto propone la seguente formulazione:

«Quando le esigenze del bene comune lo impongano, perché l’impresa assume un aspetto di preminente interesse nazionale, sia per riferirsi a servizi pubblici essenziali, sia a situazioni di monopolio, sia a fonti di energia, la legge può devolvere l’esercizio diretto o indiretto dell’impresa stessa da parte dello Stato o di altri enti pubblici».

PRESIDENTE non concorda sull’espressione: «bene comune». A suo avviso, la formulazione potrebbe essere la seguente:

«Quando l’impresa abbia o acquisii nel suo sviluppo, sia per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di monopolio o a fonti di energia, carattere tale da assumere un aspetto di preminente interesse nazionale, la legge devolve, ecc…».

DOMINEDÒ, Correlatore, conferma che la menzione della esigenza sintetica e la specificazione della ipotesi analitica possono abbinarsi perfettamente.

L’esigenza sintetica di carattere generale costituisce un passo avanti rispetto alla concezione che può emergere dalla formula Pesenti, perché include una visione attiva del problema. Occorre che positivamente vi sia la rispondenza ad un concetto sovrastante, preciso e comprensivo ad un tempo, e non basta limitarsi a formulazioni negative.

Propone, pertanto, questa formula:

«Quando le esigenze del bene comune lo impongano, perché l’impresa assume carattere di preminente interesse nazionale, per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di monopolio o a fonti di energia, la legge devolve l’impresa, in forma diretta o indiretta, allo Stato o ad altri enti pubblici».

CORBI, Relatore, direbbe «…o ne devolve l’esercizio diretto o indiretto, o la sottopone a controllo…».

NOCE TERESA chiede di modificare, al principio, e dire:

«Quando le esigenze del bene comune… o quando l’impresa, ecc.».

Con la particella «o» si distinguono i due concetti.

DOMINEDÒ, Correlatore, si oppone perché ritiene che il primo comma rappresenti il concetto generale, mentre i successivi incisi costituiscono le specificazioni concrete di tale concetto.

NOCE TERESA teme che il legislatore possa non tener conto del concetto che è implicito e, se si attiene alla parola della Costituzione, possa applicarlo solo quando lo richiedono le esigenze del bene comune; mettendo una «o» i due concetti risultano più evidenti.

DOMINEDÒ, Correlatore, replica che nessuna legge può prescindere dalla circostanza che nella Costituzione sia specificato un ordine di ipotesi concrete: il «perché» snoda il concetto generale nelle ipotizzazioni particolari.

CANEVARI fa osservare che da tutte queste dizioni esula completamente ogni considerazione di ordine sociale; si hanno presenti gli scopi palesi da raggiungere: il servizio pubblico, la maggiore produzione, l’affermazione che provvedimenti di questa natura possono essere assunti per altre ragioni, ma non si parla di fini di ordine sociale.

TAVIANI risponde che questi rientrano nel «bene comune».

PRESIDENTE fa presente che quando si parla di preminente interesse nazionale, si dice tutto: vi è compreso l’ordine sociale, il bene comune ecc.

Quindi, per suo conto, trova più sobria, più precisa, più chiara e più comprensiva la formula in questi termini:

«Quando l’impresa abbia o acquisti, nel suo sviluppo, per riferirsi a servizi pubblici o a situazioni di monopolio o a fonti di energia, carattere tale da assumere un aspetto di preminente interesse nazionale, la legge ne devolve l’esercizio, diretto o indiretto, allo Stato o ad altri enti pubblici».

ASSENNATO eliminerebbe nella proposta Dominedò il termine «impongano» che ha carattere estremamente restrittivo, e direbbe: «allo scopo del bene comune».

CORBI, Relatore, concorda con la formulazione proposta dal Presidente; vi manca però un inciso, che ha molta importanza: «dimensioni relativamente rilevanti». Richiama la sua attenzione su questa espressione, con la quale si limiterebbero i poteri dei grandi proprietari, dei grandissimi industriali e si considererebbero anche gli aspetti negativi del grande capitalismo. È un’espressione che ha valore sociale e politico più che produttivo e tende ad evitare che si creino grandi complessi, che possano turbare la vita politica e i rapporti sociali.

MARINARO domanda all’onorevole Dominedò se basta, per lui, che un’impresa assuma carattere di preminente interesse nazionale, perché si possa giungere alla socializzazione.

DOMINEDÒ, Correlatore, risponde affermativamente, sempre che la socializzazione risponda a irreprensibili esigenze di bene comune.

MARINARO chiede se l’impresa che abbia assunto carattere di preminente interesse nazionale, ma non contrasti con esigenze di pubblici servizi e non costituisca situazioni di fatto di monopolio dannose alla collettività, debba egualmente essere socializzata.

Cita ad esempio la Montecatini; non c’è dubbio che abbia carattere di interesse nazionale, ma se questa grande impresa non danneggia la collettività, anzi con la sua attività e col perfezionamento della sua industria si risolve in bene nazionale, chiede perché bisognerebbe socializzarla.

Comprende il principio del collega Corbi; giunte ad un certo punto, per finalità politiche, le imprese devono essere socializzate; ma non comprende quello dell’onorevole Dominedò.

DOMINEDÒ, Correlatore, risponde di non aver mai pensato di scindere ciò che nell’articolo è collegato logicamente e letteralmente: cioè il fatto dell’assumere preminente interesse nazionale con le circostanze determinanti del riferirsi a pubblici servizi o a situazioni di monopolio. Pensa che, almeno tendenzialmente, quando si venga a determinare in un’impresa economica il carattere di preminente interesse nazionale, si venga quasi automaticamente a prospettare l’eventualità di uno Stato nello Stato, di una potenza nella potenza collettiva. È il pericolo in atto della forma monopolistica. Ma l’esigenza di colpire questo accentramento supercapitalistico, monopolistico, plutocratico, è specificata con chiarezza nella seconda parte dell’inciso. Quindi l’eventualità che l’impresa assuma carattere di preminente interesse nazionale resta collegata ad ipotesi concrete, in correlazione al fatto che un’impresa si riferisca a servizi pubblici essenziali o quando costituisca un intollerabile monopolio privato.

TAVIANI si rende conto della incomprensione dell’onorevole Marinaro. Egli parte da un’ipotesi di economia liberistica e quindi è chiaro che capisca la posizione dell’onorevole Corbi, che dice: Noi vogliamo superare il capitalismo arrivando al collettivismo; mentre non capisce la posizione di altri, la quale, come per lui, supera il capitalismo senza giungere al collettivismo.

Il suo gruppo condivide con quello di Corbi l’esigenza di superare la posizione capitalistica e ciò non per esigenze meramente produttive, ma anche per esigenze sociali.

Per il bene della collettività bisogna evitare il pericolo di certe forze capitalistiche che indubbiamente vengono ad essere vere forze politiche nella Nazione. Dal punto di vista pratico, non crede che l’Italia si debba porre sulla strada della grande industria.

Mettere o no la frase «o a dimensioni relativamente rilevanti» non ha importanza; è un’espressione ambigua che non si adatta a tutti i settori dell’industria.

COLITTO si associa a quanto ha affermato l’onorevole Marinaro. Sottolinea che, a suo giudizio, si recherebbe danno enorme alla produzione, ove le imprese sapessero in partenza che quanto maggiore è il loro sviluppo, tanto più forte è il pericolo di essere gestite dallo Stato, o da altri enti pubblici. Quindi insiste nella formulazione dell’articolo così come è stato proposto da lui e dall’onorevole Marinaro.

CANEVARI insiste nella proposta che ha fatto, perché sia considerato l’aspetto sociale del problema. Inoltre, secondo le proposte fatte, l’intervento è reso possibile soltanto davanti al fatto che l’impresa abbia assunto carattere di preminente interesse nazionale. Ma se si giungesse ad un’autonomia regionale, provinciale o comunale, con questa disposizione non sarebbe possibile l’intervento per un interesse limitato a quell’ente comunale, regionale, provinciale.

Con questa disposizione sarebbe impossibile risolvere il problema agrario.

DOMINEDÒ, Correlatore, pensa che invece di «nazionale» si potrebbe forse dire «collettivo». Se si considera l’articolo nel suo complesso, si trova che al primo comma, quello relativo all’iniziativa privata, è menzionato appunto un concetto che corrisponde alla proposta dell’onorevole Canevari. L’intervento è previsto quando l’impresa privata non risponda all’utilità pubblica; ma vanno quivi compresi tutti gli aspetti, compreso quello dell’utilità sociale.

Quindi invece di «nazionale» proporrebbe eventualmente «generale» o «collettivo».

CANEVARI osserva che non lo interessa tutta quell’elencazione; potranno sorgere altre ragioni che giustifichino l’intervento.

Lo scopo da affermare quale quello della pubblica utilità o dell’ordine sociale; poi, a seconda degli uomini e del tempo, la legge interverrà per vedere se vi siano ragioni di pubblica utilità o scopi d’ordine sociale che giustifichino il provvedimento.

ASSENNATO propone la formula seguente: «Allo scopo del bene comune, quando l’impresa, per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di privilegio o di monopolio o a fonti di energia, assuma carattere di preminente interesse generale, la legge ne devolve l’esercizio diretto o indiretto allo Stato o ad altri enti pubblici». Così sarebbe tolta la frase «o a dimensioni relativamente rilevanti», come ha proposto l’onorevole Marinaro.

CANEVARI insisterebbe sulla formulazione già da lui proposta: «Per scopi di utilità pubblica o per ragioni di ordine sociale, la legge determina l’esercizio diretto o indiretto dell’impresa da parte dello Stato, di enti pubblici o di comunità di lavoratori e di utenti, dietro pagamento di equo indennizzo, salvo diverse disposizioni».

PRESIDENTE osserva che questa formulazione è più sintetica, mentre l’altra è più analitica. La seconda parte è alquanto diversa, perché viene aggiunta la frase «comunità di lavoratori e di utenti».

TAVIANI, cogliendo un punto della proposta Canevari, osserva che si potrebbe completare nel seguente modo: «Allo scopo del bene comune, quando l’impresa per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di privilegio o di monopolio o a fonti di energia, abbia caratteri tali da assumere un aspetto di preminente interesse generale, la legge ne devolve l’esercizio diretto o indiretto allo Stato o ad altri enti pubblici o a comunità di lavoratori e utenti».

DOMINEDÒ, Correlatore, propone di sostituire le parole: «assume un aspetto di preminente interesse» con le parole: «assume carattere di preminente interesse generale».

PRESIDENTE mette ai voti il comma proposto dagli onorevoli Colitto e Marinaro:

«Per imprescindibili esigenze di servizi pubblici o per necessità di eliminare situazioni di privilegio o di monopolio dannose alla collettività, lo Stato e gli enti locali possono con legge essere autorizzati ad assumere l’impresa o a parteciparvi, salvo indennizzo.

«La gestione dell’impresa ha in tal caso luogo in forma industrializzata ed è sottoposta a controllo».

(Non è approvato).

Mette ai voti il comma proposto dagli onorevoli Taviani e Dominedò:

«Allo scopo del bene comune, quando l’impresa per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di privilegio o di monopolio o a fonti di energia, assume carattere di preminente interesse generale, la legge devolve l’impresa, in forma diretta o indiretta, allo Stato o ad altri enti pubblici o a comunità di lavoratori ed utenti»

(È approvato).

TAVIANI dichiara che resta inteso che si rimanda alla discussione della relazione Fanfani l’eventuale aggiunta della frase «sotto il controllo dello Stato».

Seguito della discussione sul diritto di proprietà.

TAVIANI, Relatore, innanzi tutto intende che sia ben chiaro che l’adesione all’articolo approvato non è affatto adesione ad una formula di compromesso, come qualche giornale ha rilevato e come gli sembra sia stato detto da qualcuno in questa adunanza, perché non c’è da parte sua e dei colleghi del suo gruppo l’intenzione di fare compromessi su questioni particolarmente delicate di principio. È una formula che ha trovato l’adesione di colleghi di altri gruppi e che rappresenta quella che è effettivamente la migliore soluzione nell’attuale momento storico; a meno che per compromesso non si voglia intendere una formula conciliativa fra il termine individuo ed il termine società, compromesso che si è verificato in questo caso in tutti i sistemi economici dalle origini ad oggi.

Prega inoltre che sia verbalizzata questa seconda dichiarazione. Siccome alcuni giornali hanno parlato di proposte di carattere ideologico da lui fatte e respinte dalla totalità dei commissari, precisa che la espressione «allo scopo di garantire la libertà e l’affermazione della persona umana, viene garantita e riconosciuta la proprietà privata» è stata effettivamente da lui proposta e quindi abbandonata; ma che la rinunzia a chiedere una votazione su questa espressione, che quasi certamente non sarebbe stata accolta in sede di Sottocommissione, ma che probabilmente potrebbe venire accolta dall’Assemblea plenaria è stata da lui fatta per giungere ad una formula di accordo con commissari di altri gruppi, dei quali ha ammirato lo spirito di comprensione e di conciliazione, specialmente laddove essi hanno aderito alla formula per cui il diritto di proprietà privata è riconosciuto e garantito dallo Stato.

DOMINEDÒ, FEDERICI MARIA e RAPELLI si associano alla dichiarazione dell’onorevole Taviani.

PRESIDENTE prende atto delle dichiarazioni dell’onorevole Taviani, ma osserva che le posizioni dei vari commissari risultano già chiaramente dai verbali delle precedenti discussioni.

Comunica alla Sottocommissione che nella riunione di ieri, che si tenne senza aver raggiunto il numero legale e quindi senza prendere deliberazioni, fu oggetto di un nuovo particolareggiato esame la formulazione dell’articolo sulla proprietà. Gli emendamenti accettati dai presenti e che ora sottopone all’approvazione della Sottocommissione con votazione separate sono i seguenti:

Nel secondo comma dell’articolo già approvato sostituire le parole: «i limiti e le forme», con le altre: «i modi di acquisto c di godimento e i limiti».

Pone ai voti questo emendamento.

(È approvato).

Nel terzo comma si propone di sostituire le parole: «agli enti pubblici e alle comunità di lavoratori e di utenti», con le altre: «agli enti pubblici, alle società cooperative o ad altre comunità di lavoratori e di utenti legalmente riconosciute»; ed inoltre di sostituire le parole: «mediante riserva originaria», con le altre: «a titolo originario».

Sempre a proposito del terzo comma avverte che l’onorevole Colitto, per ragioni del tutto inerenti al perfezionamento della forma, e non per ragioni di sostanza, propone di modificare la formula «le proprietà di beni e di complessi produttivi», in quanto anche i complessi produttivi sono dei beni.

COLITTO si permette di aggiungere altre considerazioni. In luogo di «utilità collettiva» propone di dire «utilità pubblica», in quanto è evidente che la parola «collettiva» ha il significato di «pubblica». Laddove poi si parla di «coordinamento dell’attività economica», osserva che si deve parlare di attività «economiche», perché si coordinano almeno due cose, ma una cosa sola si può solo disciplinare e non coordinare, sicché la forma singolare è usata impropriamente.

Non comprende poi il significato delle parole «comunità di lavoratori» e chiede se ci si riferisca sempre alle cooperative, oppure ad altre società legalmente riconosciute o anche ad associazioni di fatto.

TAVIANI, Relatore, osserva che dal punto di vista strettamente giuridico le considerazioni dell’onorevole Colitto sono fondate, ma che le dizioni usate nell’articolo approvato non possono considerarsi imperfette dal punto di vista della terminologia economica.

Non ha tuttavia nulla in contrario a sostituire la parola «collettività» con «pubblica», per quanto con la prima espressione egli intenda, ad esempio, anche imprese giuridicamente rientranti nel diritto privato, come, ad esempio, l’Ansaldo, la quale, economicamente parlando, è una proprietà collettiva, dato che la maggioranza delle azioni è posseduta dallo Stato, mentre da un punto di vista giuridico è una proprietà privata.

COLITTO osserva che quando grande parte delle azioni è posseduta dallo Stato, ci si trova di fronte ad una forma di controllo da parte dello Stato. Qui si introducono delle innovazioni, ma si dimenticano i punti di partenza; occorre cominciare col dire che cosa si intende per proprietà.

TAVIANI, Relatore, spiega che proprietà è la facoltà di disporre, di usare e godere dei beni.

COLITTO risponde che una proprietà privata può bene essere utilizzata a fini pubblici. Direbbe quindi: «per esigenze di utilità pubblica e di coordinamento delle attività economiche».

PRESIDENTE osserva che può stare anche il singolare, trattandosi di un complesso che ha significato collettivo.

L’onorevole Colitto aveva inoltre proposto di dire «pubblica» anziché «collettiva». Su questo si può essere anche d’accordo.

Inoltre l’onorevole Colitto modificherebbe la frase «beni o complessi produttivi»; però la Carta costituzionale va redatta non solo in modo da poter essere letta dai professori, ma che sia alla portata di tutti. Comprende che si parli di beni singoli in contrapposto di complessi produttivi, e si dica: «di singoli beni e di complessi produttivi».

TAVIANI, Relatore, è per la formula: «proprietà collettiva», anziché «pubblica».

ASSENNATO ritiene più restrittivo il termine «pubblico».

PRESIDENTE, a suo avviso, c’è più ampiezza nella dizione «pubblica che in quella di «collettiva».

COLITTO è d’accordo col Presidente a questo riguardo.

ASSENNATO osserva che potrebbe trattarsi di una società privata, per esempio, in cui il dossier di azioni sia in mano allo Stato: avere una forma privata ed una sostanza pubblica.

TAVIANI, Relatore, ricorda che circa le modifiche di forma da apportare all’articolo, l’onorevole Colitto ha proposto di dire «utilità pubblica», invece di «utilità collettiva». La maggioranza non è d’accordo; quindi ritiene che si debba lasciare «collettiva».

Anche la proposta di dire «cooperative» invece di «comunità di lavoratori» non è accettata dalla maggioranza.

Accetterebbe la varianti: «la proprietà di singoli beni o di complessi produttivi, sia a titolo originario, sia mediante esproprio».

Quanto all’indennizzo, la questione sarà trattata in seguito.

PRESIDENTE pone ai voti la formula: «la proprietà dei singoli beni o di complessi produttivi, sia a titolo originario, sia mediante esproprio contro indennizzo».

(È approvata).

COLITTO ricorda di avere proposto anche la formula: «comunità di lavoratori e di datori di lavoro, le une e le altre legalmente riconosciute».

TAVIANI, Relatore, osserva che questa è una modifica sostanziale; che non può essere apportata ad un articolo già approvato.

COLITTO obietta che, se possono mettersi in votazione le modifiche di forma, non vede perché non si possa modificare anche la sostanza.

CORSI ritiene opportuno rivedere anche la sostanza, particolarmente per quanto riguarda l’indennizzo.

COLITTO afferma che non è possibile procedere alla votazione distinguendo la forma dalla sostanza. O l’articolo resta fermo con le sue dichiarazioni postume, o, se si modifica, non c’è ragione di soffermarsi alla forma, obliando la sostanza.

TAVIANI, Relatore, dà atto che si debba ancora trattare il problema dell’indennizzo, perché già se ne è fatta riserva in verbale, ma non accetta che si debba rimettere in discussione tutta la materia. Cambiare la forma è cosa diversa dal mutare la sostanza. Alla stessa stregua si dovrebbero rivedere tutti gli articoli.

Il lavoro della Sottocommissione è un lavoro preparatorio: tutti gli articoli devono poi passare in sede di Commissione plenaria e saranno allora riveduti definitivamente.

COLITTO non vede la ragione per la quale una Commissione di studio, che va alla ricerca di una formula che si augura sia sempre la migliore, non possa ritornare su un argomento già valutato, nella ipotesi in cui la stessa Commissione si accorga che vi è un errore Errare humanum est, diabolicum perseverare.

PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione alla seduta antimeridiana del giorno successivo.

La seduta termina alle 19.45.

Erano presenti: Assennato; Canevari, Colitto, Corbi, Dominedò, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Merlin Angelina, Noce Teresa, Rapelli, Taviani.

Assente giustificato: Molè.

Assenti: Fanfani, Giua, Lombardo, Paratore, Togni.

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

16.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Intrapresa economica (Discussione)

Corbi, Relatore – Presidente – Dominedò, Correlatore – Canevari – Colitto – Marinaro – Taviani – Lombardo.

La seduta comincia alle 10.30.

Discussione sull’intrapresa economica.

CORBI, Relatore, premette che ha integrato la sua relazione con elementi di quella già presentata dall’onorevole Pesenti, il quale, essendo impedito di intervenire alle sedute, è stato da lui sostituito nella Sottocommissione. Passando ad esaminare l’argomento all’ordine del giorno, osserva che, avendo la relazione Taviani esaminato l’istituto della proprietà nel suo aspetto statico, spetta ora a lui di esaminarlo nella sua dinamicità, nel momento cioè in cui la proprietà cessa di essere un bene di per se stessa, puro e semplice, per divenire elemento operante nel campo della produzione, stabilendo quei rapporti che costituiscono i motivi essenziali di ogni società che si fonda sul lavoro produttivo.

Rileva che ormai la Sottocommissione è d’accordo nel riconoscere alla proprietà privata, nell’attuale momento storico, una sua ragione d’essere, che consiste nell’avere ancora funzione economicamente utile e necessaria, e che tutti convengono che la vecchia formulazione del diritto romano non può essere accettata, perché in troppo stridente contrasto con la realtà e con le esigenze nuove; l’una va superando quel vecchio concetto della proprietà privata, le altre esigono che ad essa siano imposte limitazioni non solo per ragioni etiche e politiche, ma anche per motivi economici produttivistici e di interesse nazionale.

Le Carte costituzionali moderne, non solo quella sovietica, ma anche quella di Weimar, quella jugoslava, quella francese, riconoscono l’istituto della proprietà privata solo in quanto essa adempie ad una funzione sociale e non contrasta, quindi, con gli interessi della collettività e dell’economia sociale. In Italia questo principio è acutamente sentito e già in parte opera nella realtà economica di tutti i giorni; per cui la nuova Carta costituzionale non ha che a fissarlo giuridicamente e con ampia prospettiva di sviluppo. Perché, se è vero che i fatti precedono le norme, è altrettanto vero che queste li ostacolano o li favoriscono nel loro tendenziale sviluppo.

Le norme, adunque, che la nuova Carta costituzionale deve contenere, debbono, facendo tesoro dell’esperienza, impedire, per quanto è possibile, l’evolversi negativo dei fatti economici ed aprire la strada a quello positivo di essi. In altri termini, la Carta costituzionale deve rendere impossibile ai vecchi principî privilegiati, responsabili della catastrofe nazionale, di riprendere il sopravvento a danno di tutto il popolo e garantire invece la possibilità di operare nel Paese una profonda trasformazione economica e sociale, alla quale è indispensabile il concorso dello Stato.

Osserva che taluno si inalbera e protesta ogni qual volta sente parlare di ordine, di coordinamento, di controllo, di pianificazione economica, ancora sollecito nell’esaltare la concezione individualistica del liberismo economico; il che in ultima analisi altro non è che un tentativo di giustificare e difendere, con formule dottrinarie, l’egoismo dei privilegiati. Ma ciò non può distogliere il legislatore dall’esame obiettivo dei fatti, i quali lo convincono che solo un’azione decisiva ed accorta, capace di valorizzare tutte le energie e di scoprirne delle nuove e di unificare e guidare tutte le risorse nazionali, può dare inizio ad un nuovo corso economico per la ricostruzione e la rinascita del Paese.

Altri negano ai lavoratori (tecnici, operai, impiegati) il diritto di partecipare alla direzione dell’impresa, adducendo che ciò costituisce una violazione, oltre tutto, anche dei sani principii economici. Ma anche in questo campo l’esperienza dimostra il contrario, che, cioè, è necessario favorire, promuovere e creare consigli di azienda – non solo in quello private – per incrementare ed esercitare il controllo sulla produzione e sulla distribuzione dei beni, nell’interesse di tutta la collettività.

Rileva che la Sottocommissione, concordemente, ha affermato che la proprietà deve assolvere una funzione sociale e ha riconosciuto che sino ad oggi questa funzione non sempre essa ha adempiuto, in conseguenza di un cattivo ordinamento economico; è evidente perciò che, in omaggio a quel principio, sarà pure condiviso il parere che allo Stato debba competere non solo il diritto, ma il dovere di avocare a sé, sotto diverse forme – statizzazione, nazionalizzazione, controllo – quelle forme di impresa che, per dimensioni o funzioni adempiute, costituiscono un pericolo per la società ed assumono un aspetto di preminente interesse nazionale.

Ciò per garantire, non solo a parole, la sicurezza, l’indipendenza, la libertà, la dignità ed il desiderio di pace dei cittadini; e per assicurare, almeno nell’avvenire, migliori condizioni di vita al popolo, favorendo lo sviluppo delle forze produttive che la proprietà privata – per il passato mezzo potente ed efficace di progresso economico – oggi il più delle volte ostacola.

Ritiene, infine, che non debbano essere dimenticate dalla tutela dello Stato le cooperative, le piccole e medie imprese industriali, agricole ed artigiane, che nel quadro dell’economia italiana assolvono una funzione di grande importanza.

Passando ad esaminare gli articoli formulati nella relazione dell’onorevole Pesenti, osserva che taluni di essi sono superati da quelli già approvati dalla Sottocommissione sul diritto di proprietà; ve ne sono invece altri che conservano tutto il loro valore e che dovranno essere presi in esame.

Dà quindi lettura degli articoli:

1°) la proprietà è il diritto inviolabile di usare, di godere, di disporre dei beni garantiti a ciascuno dalla legge;

2°) lo Stato riconosce e garantisce e tutela la proprietà privata e l’iniziativa economica privata. Lo Stato e tutti i cittadini hanno il dovere di difendere la proprietà statale demaniale, la proprietà delle collettività pubbliche, la proprietà degli enti pubblici e delle imprese statali e nazionalizzate;

3°) la proprietà privata non può essere espropriata che per legge o mediante indennizzo;

4°) il diritto di proprietà non potrà essere esercitato in contrasto con l’utilità sociale, con le direttive ed i programmi economici stabiliti dallo Stato od in modo da arrecare pregiudizio alla proprietà altrui, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, col deprimere il livello di esistenza al disotto del minimo stabilito dai bisogni umani essenziali;

5°) ogni proprietà che nel suo sviluppo ha acquistato o acquista, sia per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di monopolio o a fonti di energia, o a dimensioni relativamente rilevanti, caratteri tali da assumere un aspetto di preminente interesse nazionale, deve diventare proprietà della collettività nazionale od essere posta sotto il diretto controllo della Nazione;

6°) per garantire lo sviluppo economico del Paese e per assicurare nell’interesse nazionale l’esercizio del diritto e delle forme di proprietà previste dalla legge, lo Stato assicura al lavoratore il diritto di partecipare alle funzioni di direzione dell’impresa, siano esse aziende private, pubbliche o sotto il controllo della Nazione;

7°) lo Stato riconosce la funzione sociale:

delle imprese gestite direttamente o indirettamente dalla Nazione;

delle imprese cooperative;

delle imprese private direttamente gestite dal proprietario.

Nell’interesse della Nazione ne assicura lo sviluppo e la protezione».

Esaminando singolarmente gli articoli, osserva che il 1o è superato da quanto è stato sancito nell’articolo sul diritto di proprietà; anche del 2° è già stato affermato il principio, ma vi è un punto sul quale desidera richiamare l’attenzione della Sottocommissione, e cioè: «Lo Stato e tutti i cittadini hanno il dovere di difendere la proprietà statale o demaniale, la proprietà delle collettività pubbliche, la proprietà di enti pubblici e delle imprese statali e nazionalizzate». Qualcuno potrebbe affermare che il concetto è ovvio, ma, conoscendo la cattiva abitudine del popolo italiano di considerare il patrimonio dello Stato e degli enti locali come la cosa di tutti, di cui è lecito qualsiasi abuso, ritiene che sia utile richiamare l’attenzione del legislatore o dell’autorità su questo particolare aspetto.

Osserva che l’articolo 3, pur essendone già stati approvati i concetti in precedenza, si discosta fondamentalmente dallo spirito dell’articolo esaminato e votato nella precedente seduta, nella parte che riguarda l’indennizzo, per il quale è stato stabilito che deve essere corrisposto, senz’altro, in tutti i casi. Ritiene invece, che l’indennizzo «possa» essere dato, ma non «debba» essere necessariamente dato, in considerazione del fatto che, volendo operare vaste riforme in agricoltura, nell’industria ed in tutti i settori della vita economica italiana, tale principio potrebbe costituire un grave ostacolo a tali riforme.

Ritiene anche che l’articolo 4 sia superato, perché i concetti sono contenuti in quello sulla proprietà, già precedentemente approvato e che, se mai, potrà essere rivisto.

Con gli articoli 5, 6 e 7 si entra invece nel vivo della questione.

PRESIDENTE, sull’articolo 1, si dichiara d’accordo con l’onorevole Corbi nel ritenerlo superato, tanto più che si tratta di una definizione. Ritiene anche superflua la seconda parte dell’articolo 2 là dove è detto: «lo Stato e tutti cittadini hanno il dovere di difendere la proprietà statale, demaniale, ecc.», in quanto in essa si parla di dovere e non di obbligo giuridico, mentre, in una Carta costituzionale, è bene sancire più che altro degli obblighi. Inoltre non è necessario richiamare i cittadini al dovere di difendere la proprietà statale e demaniale, dato che rientra nei loro comuni doveri di rispettare quello che è di tutti, senza bisogno di specificazioni.

Osserva poi che è questo un obbligo giuridico già largamente affermato dalle nostre leggi. Nel Codice penale sono contenute disposizioni a proposito, per esempio, del danneggiamento, reato che diventa perseguibile d’ufficio quando si commette sopra cose appartenenti ad enti pubblici o che abbiano finalità di pubblico interesse. Sono inoltre previsti reati contro la pubblica incolumità, reati di danneggiamento di linee ferroviarie, di ponti, di strade, di navi. In sostanza la proprietà pubblica è difesa dalla legge; non solo, ma vi sono anche le contravvenzioni a tutela del patrimonio artistico, storico ed archeologico della Nazione.

Concorda invece pienamente sulla disposizione contenuta nell’articolo 4.

Finora nei confronti della proprietà sono stati sanciti e consacrati i diritti ed i doveri dello Stato, ma non i doveri e gli obblighi del cittadino; questa è la parte che manca nella relazione dell’onorevole Taviani, nella quale si parla dei doveri che il cittadino ha nei riguardi della proprietà, ma soltanto in senso negativo.

Un testo analogo è compreso nell’articolazione fatta dall’onorevole Lombardo, con solo lievi modificazioni di forma; difatti esso dice: «Il diritto di proprietà non può essere esercitato contrariamente alla utilità sociale ed in modo da arrecare pregiudizio alla libertà ed ai diritti altrui». Anche l’onorevole Togliatti ha presentato, alla prima Sottocommissione, un articolo in materia così formulato: «Il diritto di proprietà non potrà essere esercitato in modo contrario all’interesse sociale, né in modo che rechi danno all’altrui diritto».

Dato che le tre disposizioni citate mirano al medesimo scopo, ritiene che sarebbe necessario aggiungere nell’articolo in esame l’elemento positivo dell’esercizio del dovere da parte del cittadino; e pensa che la formulazione proposta dal l’onorevole Pesenti sia più dettagliata, mentre quella dell’onorevole Lombardo è più sintetica, come del resto quella dell’onorevole Togliatti.

Nella formulazione dell’onorevole Pesenti si dice che il diritto di proprietà «non potrà essere esercitato in contrasto con l’utilità sociale, con le direttive ed i programmi economici stabiliti dallo Stato o in modo da arrecare pregiudizio alla proprietà altrui, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, col deprimere il livello di esistenza al disotto del minimo stabilito dai bisogni umani essenziali». È stato chiesto che cosa vuol dire la parola «sicurezza». Spiega che vi sono modi di esercitare la proprietà che minacciano la sicurezza dei cittadini: un proprietario che affitti una casa, il cui pavimento sia pericolante; questo è un esercizio della proprietà pericoloso per la sicurezza, ma possono esserci molti altri casi.

Sopprimerebbe però l’ultima parte dell’articolo «col deprimere il livello di esistenza», ecc., perché la dignità umana non si esprime solo attraverso le condizioni economiche. Dichiara che non sarebbe contrario a questa disposizione, ma ritiene più comprensiva quella dell’onorevole Lombardo. Il 3° comma di quello Taviani prende l’abbrivo dall’utilità sociale e fa alcune specificazioni che non sarebbe male fossero richiamate. Forse sarebbe il caso di fare un articolo a parte per integrare, in sede di coordinamento, l’articolo dell’onorevole Taviani.

Anche sui consigli di gestione vi è accordo; tutti ritengono necessario l’intervento dei lavoratori nel processo produttivo.

L’articolo 7 parla delle diverse imprese e pensa che possa essere formulato in modo più conciso.

Riguardo al concetto espresso nell’articolo 3, ha già manifestato la sua opinione ed ha fatto mettere a verbale che, in linea generale, debba essere dato un indennizzo; regola alla quale forse non potrebbe farsi eccezione nemmeno nel caso in cui l’esproprio si rendesse utile per procedere a quelle profonde riforme strutturali di cui tutti riconoscono la necessità. Ma in certi casi, come quando ad esempio il proprietario non coltiva affatto le proprie terre, non si dovrebbe dare l’indennizzo.

Propone quindi: «La proprietà privata può essere espropriata, mediante indennizzo, salvo che la legge disponga altrimenti».

DOMINEDÒ, Correlatore, premesso che la Carta costituzionale deve avere un significato storicistico, interpretando la realtà attuale in tutte le sue manifestazioni in corso di sviluppo, ritiene che in questo articolo relativo all’impresa si debba – evitando di fare doppioni rispetto al momento statico già esaminato nei riguardi della proprietà – disciplinare il momento dinamico e vedere quali norme la Carta costituzionale debba contenere in relazione a tale fase. L’opera di selezione, in relazione alle norme proposte, è infatti notevole, in quanto molte di esse si riferiscono direttamente o indirettamente al momento della proprietà.

Considerando quindi l’aspetto dinamico dell’impresa, ritiene che la Carta costituzionale dovrebbe tener presente un trinomio, analogamente a quanto è stato fatto per la proprietà, cioè: 1°) l’impresa individualistica, riconosciuta come regola in quanto operi in funzione sociale; 2°) l’impresa collettivistica, che va da quella statizzata a quella municipalizzata, la quale deve essere riconosciuta dallo Stato come forma necessaria, quando il bene comune lo imponga, in quanto le esigenze della pubblica utilità non siano realizzabili dall’impresa individualistica; 3°) l’impresa cooperativistica, distinta da quella individualistica, che ha per fine caratteristico il lucro, e da quella collettivistica, che ha per fine il pubblico interesse, mentre la forma cooperativa si distacca dalla finalità lucrativa e si avvicina ad una funzione di pubblico interesse, procurando ad una comunità di lavoratori o di utenti l’acquisizione di beni o di mezzi di lavoro a prezzo di costo.

Pensa quindi che dovrebbero essere fissate delle norme relative ad ognuno delle tre ipotesi, prendendo come punto di partenza l’articolo 7 proposto dall’onorevole Pesenti.

Per quanto riguarda l’impresa individualistica, andrebbe ribadito il concetto che la sua funzionalità deve essere connessa con l’utilità sociale. L’impresa privata costituisce la regola, in quanto non leda l’interesse pubblico: su questo piano deve essere costituzionalmente garantita la libertà d’iniziativa economica. Rispetto alla formula adottata all’articolo 4, pensa che il concetto andrebbe inserito nel 3° comma dell’articolo 7, ma preferirebbe una formulazione di carattere sintetica sul tipo di quella proposta dall’onorevole Lombardo.

Per quanto riguarda l’impresa cooperativistica, affermerebbe un concetto che non gli pare incluso nella formula Pesenti, e si ricollegherebbe alla relazione Canevari, innestando la forma in parola nel secondo comma dell’articolo 7 e svincolandola dalla più stretta disciplina dell’impresa privatistica: occorre a tal fine tener presente da un lato l’esigenza del pubblico interesse e dall’altro il controllo nei riguardi della cooperazione. Si dovrà a questo proposito studiare se questo debba essere affidato al potere esecutivo, ovvero se, almeno nei riguardi del controllo di merito, esso non debba, in base all’esperienza e alle esigenze di libertà del cooperativismo, spettare ad organi collegiali, rappresentatvi della categoria: sembra opportuno che la Costituzione deferisca il problema alla legge.

Le imprese pubblicistiche, ovvero colletivistiche, vanno contemplate tenendo conto delle esigenze analiticamente enunciate nell’articolo 7 della relazione Pesenti, salva tuttavia l’opportunità di fare capo ad un concetto sovrastante e sintetico come quello del bene comune, elemento idoneo per la sua stessa comprensività a giustificare l’eccezionale trasformazione dell’impresa da individuale in collettiva. Quanto all’articolo 5, ciò che esso dice è già stato considerato nel momento statico, allorché fu stabilito quando una proprietà privata deve divenire collettiva. Quindi conviene una formula sintetica, per evitare il doppione, analogamente a quanto ha già proposto l’onorevole Lombardo.

Disciplinate così le tre ipotesi, resterebbe un ulteriore punto da menzionare: cioè la posizione fatta dallo Stato al lavoratore, contemplata nell’articolo 6. È un problema delicato, che potrebbe essere eventualmente tenuto presente in un comma a parte, oppure in un distinto articolo.

Il problema della partecipazione del lavoratore è comune alle imprese private ed alle pubbliche. Si può parlare di un partecipazionismo del lavoratore sotto diversi aspetti, trattandosi di fenomeno complesso; se ne può parlare in relazione alla titolarità dell’impresa e già se ne vedono alcune forme determinate nell’agricoltura e nell’industria, con gli istituti del riscatto e dell’azionariato. Ma questa partecipazione alla titolarità dell’impresa è l’ipotesi massima. La ipotesi media riguarda invece la partecipazione non alla comproprietà dell’impresa, ma alla sua gestione o alla direzione. Sente tale esigenza, ma la vorrebbe contemperata con quella di dare, non al proprietario, bensì all’imprenditore, che è il dominus dell’impresa, i poteri che gli spettano in conseguenza della propria responsabilità. Per esempio, i consigli di gestione possono essere concepiti come organi di consulenza tecnica, come avviene per i comitati misti di produzione nell’ordinamento anglo-americano. Anche nell’ordinamento russo, con la modifica apportata nel 1934, i consigli di gestione sono stati, per quanto gli consta, o eliminati o circoscritti. Ritiene quindi che tali problemi particolari, oggetto di futura disciplina legislativa, andrebbero approfonditi prima che si pensi ad alcuna inserzione del principio in una norma costituzionale.

PRESIDENTE osserva che nella relazione Di Vittorio vi è il richiamo all’intervento dei lavoratori nel processo produttivo dell’impresa. Nell’articolo 6 è ammessa la partecipazione dei lavoratori mediante i consigli di gestione in tutte le aziende che abbiano almeno cinquanta dipendenti; ma questa partecipazione è ammessa genericamente, riservando alla legge di stabilire i particolari. Ritiene che effettivamente occorra limitarsi all’impostazione generica del principio; stabilire senz’altro le norme particolari presenterebbe gravi difficoltà.

CANEVARI ritiene che in questa sede sia opportuno tener presente la sua relazione, già discussa e approvata, riguardante la cooperazione, in quanto, esaminando le proposte dell’onorevole Pesenti, ha constatato che una parte di esse è già assorbita da precedenti decisioni.

Ritenendo, d’accordo con il Presidente, superfluo il primo articolo, osserva sul secondo che, per quanto riguarda il dovere imposto dal cittadino di difendere la proprietà statale, si tratta soprattutto di una questione di educazione, che purtroppo in Italia manca e che quindi, più che di disposizioni legislative, si tratti di una mentalità da rifare e che questo sia un dovere indipendente dalle norme della Carta costituzionale e dalle disposizioni di legge.

Il concetto espresso nell’articolo 3, che cioè la proprietà privata non può essere espropriata che per legge, è già stato sancito.

Conviene con l’onorevole Dominedò sulla opportunità di iniziare l’articolazione dall’ultimo articolo proposto dall’onorevole Pesenti. Tuttavia, sulla dizione di tale articolo: «lo Stato riconosce la funzione sociale delle imprese gestite direttamente o indirettamente dalla Nazione», osserva che vi sono imprese non gestite dalla Nazione, ma dai comuni, dagli enti pubblici, che non hanno una relazione diretta con la Nazione stessa. Propone quindi di aggiungere le parole «o da enti pubblici». Inoltre, nello stesso articolo, quando si parla dell’interesse della Nazione, preferirebbe che fosse detto «interesse generale», in quanto vi sono imprese che interessano determinati settori e non tutta la Nazione, come, per esempio, gli enti comunali per la costruzione di case popolari, che rappresentano interessi particolari dei comuni e delle provincie.

Il secondo articolo dovrebbe essere sostituito dal quarto e in esso si dovrebbe affermare che il diritto di proprietà non può essere esercitato in contrasto con l’interesse comune.

Si dichiara infine d’accordo sull’articolo 5, salvo alcuni ritocchi di dettaglio che si potranno vedere in appresso.

È d’avviso che ai tre articoli riguardanti la proprietà privata nei rapporti delle imprese statali o collettive, si debba aggiungere quello che è stato affermato per la cooperazione in sede di discussione dei Relatori, cioè che lo Stato favorisce con i mezzi più idonei lo sviluppo delle cooperative e ne vigila il funzionamento.

Concludendo, afferma che, a suo parere, la discussione dovrebbe essere limitata alla formulazione dell’ultimo articolo, che dovrebbe diventare il primo, seguito dagli articoli 4, 5, 6, abbandonando tutte le altre affermazioni che sono già incluse nella precedente articolazione.

COLITTO si associa a quanto ha affermato il Presidente sulla superfluità del secondo articolo proposto, in quanto, una volta affermato che lo Stato riconosce e garantisce la proprietà privata e quella pubblica o demaniale, è evidente che ogni cittadino ha l’obbligo, non solo morale, ma giuridico, di rispettarla. Ugualmente superflui ritiene gli articoli successivi. Infatti, a suo avviso, gli articoli 3 e 4 sono inutili, in quanto è già stato detto, in sede di discussione sul diritto di proprietà, che questa deve avere una funzione sociale. Ad ogni modo, non è sufficiente parlare solo di divieto dell’esercizio del diritto di proprietà con pregiudizio della proprietà altrui, non rientrando in tale formula gli atti così detti di emulazione, che, anche con la legislazione vigente, sono vietati. Se si vuole, quindi, mantenere l’articolo, sarebbe opportuno integrarlo, tenendo conto di tale osservazione.

Anche l’articolo 5 è inutile, in quanto non è che la ripetizione, in altre parole, della norma, già discussa e approvata, che consente la espropriazione dei beni di proprietà privata in caso di utilità pubblica. Comunque, ritiene necessario sostituire la parola «Stato» alle parole «collettività nazionale» e «nazione», perché lo Stato è appunto la collettività nazionale giuridicamente organizzata.

Anche inutile gli appare il sesto articolo in quanto, costituendo il diritto del lavoratore di partecipare alle funzioni di gestione o di direzione dell’impresa, o dell’una e dell’altra insieme, un limite al diritto di proprietà del datore di lavoro, già è stato stabilito che le leggi particolari determineranno i limiti della proprietà privata. Ad ogni modo l’articolo potrebbe essere formulato, ove si riconoscesse l’opportunità di inserirlo nella Costituzione, nel modo seguente:

«Il lavoratore, salvo che la legge disponga diversamente, ha il diritto di partecipare alle funzioni di gestione dell’impresa in conformità delle disposizioni che saranno dettate dalla legge».

Si eviterebbe così l’inutile enunciazione dei fini, cui si tende con il riconoscimento di tale diritto. La Costituzione deve affermare il diritto, senza indicare le finalità cui si mira affermandolo.

CORBI, Relatore, dichiara di accettare le osservazioni dei vari colleghi, e particolarmente quelle degli onorevoli Ghidini, Dominedò, Canevari, poiché ritiene che in sostanza non si tratti che di trovare un’articolazione più precisa e più snella; appunto per questo si è astenuto dal proporne una, in quanto prevedeva che dalla discussione si sarebbe arrivati più facilmente ad un’articolazione che non ripetesse quella già fatta, presentando il vantaggio di una maggiore sinteticità. Per quanto riguarda la seconda parte dell’articolo 2 – sulla quale si sono soffermati gli onorevoli Ghidini e Colitto – si dichiara d’accordo per ometterla.

Ritiene opportuna la proposta fatta dall’onorevole Dominedò di prendere per primo in esame l’articolo 7; e ritiene che sia utile seguire il suggerimento dell’onorevole Canevari di trattare anche delle iniziative economiche degli enti pubblici; in quanto, parlando delle imprese gestite direttamente o indirettamente dalla Nazione, parrebbe che ci si riferisse soltanto allo Stato, mentre vi sono anche quelle dei Comuni delle regioni, che hanno una funzione di primo piano e che devono essere tutelate.

Per quanto riguarda l’altra proposta dell’onorevole Canevari, di introdurre cioè un articolo specifico che riguardi la cooperativa, si dichiara d’accordo, affinché lo Stato vigili proprio sulla natura della cooperativa.

Circa le osservazioni dell’onorevole Colitto, dichiara che parte di esse lo trovano consenziente, mentre altre saranno oggetto di discussione come, ad esempio, l’articolo da lui proposto: «Il lavoratore ha il diritto di partecipare alla direzione, ecc.», in cui si vuole non menzionare le finalità della partecipazione del lavoratore all’azienda. Ma, appunto per garantire l’opera, la funzione, il carattere di tale partecipazione, e perché non avvenga che essa snaturi completamente il suo significato o che si risolva in una turlupinatura (perché potrebbe avvenire che l’industriale o il datore di lavoro ricorressero a forme tali per cui forse sarebbe salvo il principio in riferimento alla Carta costituzionale, ma non sarebbe invece più salvo il principio dal punto di vista sostanziale), ritiene che, in definitiva, sia utile specificare le finalità della partecipazione dei lavoratori alla direzione dell’azienda. L’onorevole Colitto ha inoltre proposto che in luogo di «collettività nazionale» e di «nazione», si sostituita la parola «Stato», giustificando la sostituzione anche dal punto di vista strettamente giuridico. Pur accettando il principio che l’osservazione sia calzante ed abbia una ragion d’essere dal punto di vista giuridico, crede che risponda meglio allo scopo la dizione: «collettività nazionale», in quanto vi possono essere collettività nazionali che non sono tutto lo Stato, come i sindacati che, pur potendo svolgere funzioni anche economiche, sono una collettività nazionale, ma non tutto lo Stato. Ecco perché ritiene che la dizione «collettività nazionale» risponda meglio allo scopo.

Per quanto riguarda l’indennizzo, si associa pienamente a quanto ha detto il Presidente, ritenendo che, in linea di massima, l’indennizzo debba essere corrisposto e che solo in linea eccezionale possa non esserlo. Nei casi citati dal Presidente, come quello del proprietario che non coltiva la sua terra o di un bene che sia stato acquistato in maniera illecita e che offende anche la collettività, non si può parlare di indennizzo, ma si tratta soltanto di colpire delle proprietà male acquisite o mal condotte. Quindi, a suo avviso, l’indennizzo deve essere corrisposto, salvo i casi previsti dalla legge.

DOMINEDÒ, Correlatore, ritiene che, considerando i vari punti della relazione Pesenti e tenendo conto dei criteri emersi dalla discussione, si potrebbe proporre un articolo così formulato: «Le imprese economiche possono essere individuali, cooperativistiche, collettive. L’impresa individuale non può essere esercitata in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. L’impresa gestita cooperativamente deve rispondere alla funzione della mutualità ed è sottoposta alla vigilanza stabilita dalla legge. Quando le esigenze del bene comune lo impongano, la legge devolve l’impresa, in forma diretta o indiretta, allo Stato o ad altri enti pubblici

Osserva che si tratterà poi di vedere se fare un eventuale articolo a parte, o un ulteriore comma, per quanto riguarda il problema della partecipazione dei lavoratori.

MARINARO propone la seguente formulazione: «L’iniziativa e l’impresa privata sono libere. Lo Stato interviene per impedire la formazione di privilegi e di monopoli o per coordinare e dirigere le attività economiche ad un aumento di produzione e di benessere sociale. Quando ciò sia necessario per imprescindibili esigenze di servizi pubblici e per ovviare a situazioni di fatto di monopoli privati dannosi alla collettività, lo Stato e gli enti locali sono autorizzati, con disposizione di legge, salvo indennizzi, ad assumere le imprese od a parteciparvi. La gestione di tali imprese ha luogo in forma industrializzata ed è sottoposta a controllo finanziario».

Rileva che il punto sostanziale di questa formulazione sta nel fatto che lo Stato e gli enti locali sono autorizzati ad intervenire con disposizioni di legge; in altri termini è necessaria un’apposita legge che autorizzi l’intervento dello Stato nell’interesse dell’economia generale del Paese.

COLITTO insiste nel rilevare che non è necessario, una volta affermato il diritto, indicare le ragioni che ne hanno consigliato l’affermazione, anche perché l’enunciazione dello stesso potrebbe, nella sua necessaria genericità, costituire un limite al diritto stesso. Ciò appare molto chiaro, proprio nella specie, in cui si afferma che «il lavoratore ha il diritto di accedere, ecc., per garantire lo sviluppo economico del Paese e per assicurare nell’interesse nazionale l’esercizio del diritto e delle forme di proprietà, previste dalla legge», con la quale frase, in sostanza, si sminuisce e certamente si limita il diritto dei lavoratori.

PRESIDENTE dà lettura di un articolo concordato fra gli onorevoli Dominedò e Corbi, così formulato:

«L’iniziativa e l’impresa privata sono libere. Le imprese economiche possono essere individuali, cooperativistiche, collettive.

«L’impresa individuale non può essere esercitata in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

«L’impresa gestita in forma cooperativa deve rispondere alla funzione della mutualità ed è sottoposta alla vigilanza stabilita dalla legge. Lo Stato ne favorisce l’incremento con i mezzi più idonei.

«Quando le esigenze del bene comune lo impongano, la legge devolve l’impresa, in forma diretta o indiretta, in favore dello Stato o di enti pubblici».

Chiede all’onorevole Dominedò di chiarire la ragione per la quale nell’articolo non si parli dell’esproprio.

DOMINEDÒ, Correlatore, Ritiene che l’argomento trovi sede più opportuna nell’articolo sulla proprietà.

MARINARO chiede che all’articolo proposto sia aggiunto il seguente comma: «La gestione di tali imprese ha luogo in forma industrializzata ed è sottoposta a controlli finanziari».

COLITTO si associa alla proposta dell’onorevole Marinaro ed a sua volta propone che il secondo comma dell’articolo sia, unicamente per ragioni di euritmia legislativa, così semplificato:

«L’impresa individuale non può essere esercitata in modo da recare pregiudizio al bene comune. L’impresa cooperativa deve essere esercitata in modo da rispondere alla funzione della mutualità.».

Chiede, inoltre, che nel terzo comma dello stesso articolo siano inserite, al punto opportuno, le parole: «salvo indennizzo».

Ripete, infine, la richiesta di approvazione del seguente articolo:

«Il lavoratore, salvo che la legge disponga diversamente, ha il diritto di partecipare alle funzioni di gestione dell’impresa, in conformità delle disposizioni che saranno dettate dalla legge».

TAVIANI, per mozione d’ordine, ritiene che l’ultimo articolo proposto dall’onorevole Colitto debba essere esaminato separatamente, dopo esaurita la discussione sull’impresa.

Passando ad esaminare il desto dell’articolo concordato, fa rilevare che dapprima si richiama l’attenzione sull’impresa privata, poi si passa ad esaminare tutte le imprese economiche per poi tornare alla privata. Si dice che le imprese possono essere individuali, cooperativistiche e collettive; non vede la ragione per cui si parli di individuali, invece che di private; forse perché era stato sancito di andare verso la forma cooperativistica, ma evidentemente altro è un’impresa composta di due o tre soci e altro è una vera e propria azienda cooperativistica. Ritiene quindi che si dovrebbe parlare semplicemente di imprese private, cooperativistiche e collettive.

Per quanto riguarda l’indennizzo, è d’accordo con l’onorevole Dominedò nel dire che di esso si debba parlare in sede di proprietà.

PRESIDENTE propone di accantonare, momentaneamente, il problema dell’indennizzo, per decidere sull’articolo in esame. Ricorda in proposito che vi è anche un’aggiunta proposta dall’onorevole Marinaro.

MARINARO ritiene che il servizio debba essere organizzato sotto forma industriale in modo da non risolversi in sicura perdita per l’ente che lo esercita.

LOMBARDO, pur ritenendo giusto il concetto dell’onorevole Marinaro, crede che sia di difficile applicazione.

TAVIANI ritiene che l’espressione non renda il concetto espresso. A suo avviso, l’idea dell’onorevole Marinaro è che tale impresa debba avere bilancio proprio, finalità proprie, organizzazione propria, ecc.

PRESIDENTE osserva che realmente nei servizi pubblici esercìti, ad esempio, dai Comuni anche direttamente, vi è la tendenza ad industrializzarne la gestione.

TAVIANI dichiara che sol piano concettuale è d’accordo con l’onorevole Marinaro, nel senso che la socializzazione va decentrata, ed in maniera che il gestore abbia una diretta responsabilità anche dal punto di vista economico; osserva che quando oggi si parla di socializzare non si intende certo la stessa cosa di quella che si pensava quaranta anni fa. Comunque, dichiara di essere contrario ad inserire la dizione nella Carta costituzionale.

MARINARO fa presente che fino ad oggi si è avuta questa organizzazione in forma industriale e che i grandi comuni, come Roma e Milano, hanno applicato questo sistema; non vorrebbe che l’innovazione si risolvesse in una perdita per il comune. Bisognerebbe dunque, a suo avviso, organizzare il servizio in maniera tale da conseguire possibilmente redditi che vadano a vantaggio del bilancio comunale.

DOMINEDÒ, Correlatore, ritiene che in tal caso bisognerebbe pensare ad una forma di gestione autonoma, ad un’ipotesi di decentramento economico; ma non pensa che una tale definizione si possa inserire nella Carta costituzionale.

PRESIDENTE è d’avviso che tuttavia sia necessario sancire il principio del controllo finanziario.

MARINARO propone la dizione «la gestione di tali imprese è sottoposta a controllo amministrativo e finanziario».

TAVIANI dichiara di ammettere soltanto il controllo finanziario e non quello amministrativo, che è contrario all’autonomia dell’azienda.

MARINARO aderisce alla dizione: «La gestione di tali imprese è sottoposta al controllo finanziario». Sul quarto comma che dice: «Quando le esigenze del bene comune lo impongano, ecc.», osserva che la dizione è troppo indeterminata e lascia un campo troppo vasto all’arbitrio dell’autorità. Ricorda che la formula da lui proposta precisava invece i casi di intervento da parte dello Stato e diceva: «Quando sia necessario, per imprescindibili esigenze di servizi pubblici, ecc.», considerando innanzi tutto il caso più comune, cioè quello dei servizi pubblici che riguarda specialmente le municipalizzazioni.

La formula troppo generica che invoca le esigenze del bene comune annulla in pratica lo scopo dell’intervento statale, che deve avvenire per legge. Sul principio generale di tale intervento tutti sono d’accordo: dove l’interesse della collettività è minacciato, lo Stato deve intervenire; ma è necessario precisare i casi in cui questo interesse è minacciato. La prima ipotesi, quella dei servizi pubblici, è fuori discussione; del resto la materia è ormai generalmente regolata in questo modo: quando un servizio pubblico non funziona regolarmente o quando, sotto la gestione dei privati, è fonte di speculazioni, lo Stato interviene e municipalizza.

TAVIANI propone la dizione: «Quando lo impongano le esigenze del bene comune, al fine di evitare situazioni di privilegio o di monopolio privato e di ottenere una più equa e conveniente prestazione dei servizi e distribuzione dei prodotti».

MARINARO dichiara di accettare tale formulazione.

CANEVARI prega l’onorevole Dominedò di modificare il terzo comma là dove si parla di imprese gestite in forma cooperativa, dicendo semplicemente «cooperative». Quanto al 4° comma osserva che è già stato deliberato, parlando della proprietà, l’intervento per legge relativo ad espropriazioni a favore dello Stato, di enti pubblici e di comunità.

DOMINEDÒ, Correlatore, consente.

PRESIDENTE avverte che la discussione sarà proseguita nel pomeriggio alle ore 17.

La seduta termina alle 13.10.

Erano presenti: Canevari, Colitto, Corbi, Dominedò, Federici Maria, Ghidini, Lombardo, Marinaro, Merlin Angelina, Noce Teresa, Taviani.

Assenti giustificati: Molé.

Assenti: Assennato, Fanfani, Giua, Paratore, Rapelli, Togni.

LUNEDÌ 30 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

15.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 30 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà (Seguito della discussione)

Colitto – Presidente – Dominedò – Canevari – Corbi – Federici Maria – Merlin Angelina.

La seduta comincia alle 18.30.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà.

COLITTO dichiara che, se fosse stato presente alla precedente seduta, non avrebbe dato la sua approvazione ai due articoli relativi alla proprietà, così come sono stati approvati. Prega, ad ogni modo, la Sottocommissione di voler ritornare sull’argomento e di modificare gli articoli nel senso che, invece di parlare di proprietà privata, si parli di proprietà individuale, per meglio distinguere questa dalle altre due forme di proprietà, che, a suo avviso, sono sempre forme di proprietà privata. Desidererebbe, inoltre, che fosse precisato in che cosa consistano le «forme» della proprietà individuale, che la legge dovrebbe determinare, e in che cosa consistano le «comunità di lavoratori e di utenti», cui la legge potrebbe attribuire la proprietà di beni o li complessi produttivi. Propone, infine, di eliminare le parole «sia mediante riserva originaria», di cui non è facilmente comprensibile il significato, e di modificare nel secondo articolo le parole «i diritti della collettività», perché ritiene che nella Costituzione, che è un documento giuridico, si debbano usare parole giuridiche.

PRESIDENTE chiarisce che la Sottocommissione, pur avendo tenuto presente che la proprietà cooperativistica è formalmente proprietà privata, si è anche resa conto, come risulta dall’ampia discussione svolta sull’argomento, che la proprietà cooperativistica si differenzia dalla proprietà privata, secondo la comune accezione di questa espressione, soprattutto in virtù delle finalità di interesse collettivo, non speculativo, che la cooperazione persegue. Ritiene che la dizione «proprietà individuale» sia meno comprensiva di quella di «proprietà privata».

Venendo al secondo comma dell’articolo, esprime l’opinione che debba essere modificato nel senso di sostituire alle parole «le forme» la frase «i modi di acquisto e di godimento»; in proposito osserva che l’espressione «le forme» rappresenta, per così dire, il troncone di una frase più ampia riferita ai modi di acquisto e di uso che fu in parte inavvertitamente omessa.

Sempre al fine di meglio chiarire il pensiero della Sottocommissione, ritiene che il terzo comma dell’articolo possa essere formulato più perspicuamente nel modo seguente: «Per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell’attività economica, la legge può attribuire agli enti pubblici e alle società cooperative la proprietà di beni e complessi produttivi, sia a titolo originario che mediante esproprio contro indennizzo».

Chiede agli onorevoli Commissari se con la formulazione proposta abbia, come ritiene, esattamente interpretato il pensiero già espresso dalla Sottocommissione.

DOMINEDÒ, premesso che tutto il problema dell’eventuale revisione dell’articolo dovrà evidentemente essere sottoposto all’esame dei Commissari nella prossima seduta, osserva specificatamente che per quanto riguarda il mutamento di terminologia da «proprietà privata» in «proprietà individuale», preferirebbe la prima espressione, comprensiva sia della proprietà individuale che di quella sociale, apparendo tale espressione più accettabile sia dal punto di vista formale che da quello intrinseco, in relazione al superamento della visione individualistica del concetto di proprietà: ma ciò a patto di adottare il termine simbolico di proprietà «pubblica» invece che collettiva. Diversamente, starebbe per «individuale» e «collettiva».

Per quanto riguarda il secondo comma, è d’accordo che la dizione «le forme» mal rende il concetto prevalso nella Sottocommissione e sta a rappresentare quasi un relitto risultante dalle diverse formulazioni originariamente proposte, dal momento che la frase, nel suo testo completo, era stata in un primo tempo così concepita: «modi di acquisto e di godimento».

In merito al terzo comma, non ha difficoltà a che, per una ragione di tecnicismo giuridico, in relazione all’attuale stato di cose, si faccia esplicita menzione delle «società cooperative», come nel primo comma, mantenendo eventualmente la ulteriore menzione delle «comunità di lavoratori e di utenti legalmente riconosciute». Conviene infine nell’opportunità di sostituire, sempre al terzo comma, per maggiore tecnicismo, l’espressione «a titolo originario» all’altra: «riserva originaria».

CANEVARI aderisce alle considerazioni dell’onorevole Dominedò e particolarmente alla proposta di aggiungere alla parola «cooperative» le altre «o le comunità di lavoratori e di utenti». Insiste perché sia detto «o» invece che «e», a significare che si presuppone uno sviluppo che la cooperazione potrà avere nel tempo.

COLITTO rileva che, dove, nel terzo comma del primo articolo, si intenda parlare, oltre che di società cooperative, anche genericamente di comunità, dovrebbero essere menzionate non solo le comunità di lavoratori, ma anche quelle di datori di lavoro, le une e le altre legalmente riconosciute.

Insiste, poi, nel rilevare che le parole «i diritti della collettività», di cui al secondo articolo, sono, oltre che giuridicamente inesatte, anche inutili, perché, dovendo la legge stabilire le norme e i limiti della successione legittima e di quella testamentaria, dovrà la legge stessa stabilire anche i diritti di quella che, sia pure impropriamente, si chiama collettività.

DOMINEDÒ si associa alla proposta di rivedere la formula «i diritti della collettività» dell’articolo 2, qualora la Sottocommissione ritenesse di riprendere in esame la disposizione.

CORBI ritiene che, qualora la Sottocommissione decidesse di rivedere la formulazione dei due articoli, sarebbe opportuno riesaminarne anche alcuni aspetti sostanziali, quale ad esempio quello che si riferisce agli espropri; poiché, come ebbe già ad affermare nella seduta precedente, l’indennità non deve essere consentita in ogni caso.

Per quanto riguarda la proposta dell’onorevole Colitto, di estendere ai datori di lavoro i benefici che verrebbero concessi a comunità di lavoratori, ad enti cooperativistici, ecc., dichiara di non ritenerla accettabile, in quanto tale proposta verrebbe ad infirmare tutto lo spirito dell’articolo, che ha lo scopo fondamentale di favorire il lavoro degli autentici lavoratori, e non altre categorie. L’estensione di questo beneficio ai datori di lavoro potrebbe rappresentare un serio pericolo per tutta la collettività. Potendo infatti lo Stato cadere esclusivamente nelle mani di forze capitalistiche, egoistiche, queste potrebbero trovare in tale articolo un’arma ed un mezzo potentissimi di accaparramento di mezzi economici a danno della collettività; arma e mezzo potentissimi, mai concessi ai datori di lavoro in altre costituzioni.

FEDERICI MARIA si associa alle considerazioni dell’onorevole Dominedò e riconosce esatte le modificazioni proposte dal Presidente rispetto ai concetti accettati dalla Sottocommissione nella precedente seduta.

MERLIN ANGELINA ritiene che, prima di addivenire ad una decisione qualsiasi in materia, si dovrebbe sentire il parere di tutti coloro che hanno votato l’articolo. In merito alle osservazioni fatte, e specialmente a quella concernente i datori di lavoro, si associa pienamente a quanto ha detto l’onorevole Corbi e riconosce che le dichiarazioni del Presidente rispondono al pensiero già manifestato dalla Sottocommissione nella precedente seduta.

PRESIDENTE, non essendosi raggiunto il numero legale per poter prendere qualsiasi decisione in merito alla discussione, rinvia la seduta al giorno successivo, martedì 1° ottobre 1946, alle ore 10.

La seduta termina alle 19.15.

Erano presenti: Canevari, Colitto, Corbi, Dominedò, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Merlin Angelina.

Assenti giustificati: Moro, Noce Teresa.

Assenti: Assennato, Fanfani, Giua, Lombardo, Paratore, Rapelli, Taviani, Togni.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

14.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà (Seguito della discussione)

Presidente – Dominedò – Merlin Angelina – Taviani, Relatore – Canevari – Corbi – Lombardo – Fanfani – Giua – Marinaro.

La seduta comincia alle 17.15.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà.

PRESIDENTE comunica che alla fine della seduta antimeridiana, alcuni membri della Sottocommissione si sono riuniti per concordare un testo di articolo che, tenendo conto delle varie opinioni, riassumesse i concetti espressi dal Relatore e dai singoli oratori.

Dà quindi lettura dell’articolo concordato, formulato nei seguenti termini, avvertendo che le frasi fra parentesi sono quelle sulle quali non è stato ancora raggiunto accordo:

«I beni economici possono essere oggetto di diritto di proprietà da parte dei privati, delle comunità (dei lavoratori e degli utenti) e della collettività.

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato. La legge ne determina i limiti e le forme allo scopo di farle assumere funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

«Per esigenze di utilità collettiva, di coordinamento dell’attività economica (e di giustizia sociale) la legge può rivendicare agli enti pubblici e alla comunità (dei lavoratori e degli utenti) la proprietà di beni mobili e immobili (di beni singoli o di determinati settori economici) sia mediante riserva originaria, sia mediante esproprio contro indennizzo (salvo i casi previsti dalla legge)».

Desidera fare innanzi tutto un’osservazione, cioè che al 1° comma si dovrebbe dire: «oggetto di proprietà», invece di: «oggetto di diritto di proprietà».

DOMINEDÒ si associa alla proposta del Presidente.

MERLIN ANGELINA è d’avviso che tutto il 1° comma dell’articolo sia superfluo.

TAVIANI, Relatore, fa notare che esso è il frutto di una lunga discussione che non è certo il caso di affrontare una seconda volta.

MERLIN ANGELINA chiede che allora l’articolo sia votato per divisione, in modo che sia possibile astenersi o votare contro.

PRESIDENTE propone che intanto si discuta se si debba lasciare o meno dopo la frase: «delle comunità», la specificazione: «dei lavoratori e degli utenti».

CANEVARI si dichiara favorevole all’aggiunta.

CORBI propone che invece di: «comunità dei lavoratori e degli utenti», si dica: «cooperativistica».

PRESIDENTE osserva che nell’articolazione proposta dall’onorevole Pesenti la formulazione è ancora più esatta, in quanto dice: «La proprietà dei mezzi di produzione e di scambio può essere privata, di cooperativa e di Stato».

CANEVARI si associa alla proposta dell’onorevoli Corbi, anche perché non c’è solo la proprietà di Stato, ma anche quella dei comuni, delle province, delle regioni, ecc.

PRESIDENTE ritiene che allora si potrebbe dire: «Possono essere oggetto di proprietà privata, cooperativistica e collettiva».

LOMBARDO è d’avviso che, se si accetta il 2° comma, la prima parte dell’articolo diventi inutile, essendo superfluo specificare che cosa possa essere la proprietà.

FANFANI rileva che l’articolo è a carattere storico.

LOMBARDO ripete che, a suo avviso, la prima parte è superflua e non ha ragion d’essere. Quando si enuncia che i beni economici possono essere oggetto di diritto di proprietà privata, di comunità, ecc. si deve anzitutto cominciare a sceverare di quali comunità si tratta. Se questo articolo fosse stato formulato un anno fa, quando non si parlava della regione, ci sarebbe stata una lacuna.

PRESIDENTE fa presente che la difficoltà è stata risolta con la parola: «collettiva».

TAVIANI, Relatore, osserva che i vari Commissari hanno rivissuto in tre giorni tutto il tormento della sua relazione che ha richiesto un mese di lavoro e che cominciava inizialmente con le parole: «La proprietà può essere privata o collettiva». Gli onorevoli Colitto, Marinaro e Merlin, durante uno scambio di idee non ufficiale fra i Relatori, si erano ribellati proprio all’aggettivo: «collettiva».

GIUA propone di dire: «collettivistica».

PRESIDENTE preferirebbe la dizione: «delle cooperative e della collettività».

GIUA propone di tralasciare per ora questa parte, riservando di parlarne in sede di coordinamento.

PRESIDENTE non ritenendo opportuna la proposta dell’onorevole Giua, propone la dizione: «di proprietà privata, delle cooperative e collettiva».

FANFANI osserva che in tal modo si limita troppo la dizione, in quanto si viene a permettere che una collettività di lavoratori possa ottenere domani la proprietà di uno stabilimento, anche non nella tradizionale forma classica della cooperativa.

CANEVARI osserva che, se è un sindacato, la proprietà divenga collettiva.

DOMINEDÒ ribadisce che sarebbe probabilmente proprietà collettivistica.

GIUA ritiene che, oltre alle tre forme elencate, non ve ne siano altre possibili.

FANFANI non trova molto chiara la definizione di: «collettivistica», ritenendo che si tratti sempre di proprietà private associate.

DOMINEDÒ, pur riconoscendo quanto v’è di vero nel rilievo che la cooperativa è formalmente una specie di società privata, osserva che, anche a prescindere dalle future riforme del diritto speciale, la differenza è oggi sociale piuttosto che giuridica: socialmente c’è il fatto della gestione comune, parallela alla gestione collettivistica.

PRESIDENTE ritiene che nella definizione: «delle comunità dei lavoratori e degli utenti» sia compreso tutto.

LOMBARDO non la ritiene sufficiente.

FANFANI osserva che se si fa una elencazione, è necessario farla completa.

LOMBARDO propone di togliere il primo comma che aveva soltanto lo scopo di inserire nell’articolo l’aggettivo: «privata»; ma siccome si è poi chiarito che non vi era nessuna intenzione di ledere il sacrosanto principio della proprietà privata, ritiene che ora sia superfluo lasciarlo.

PRESIDENTE, dato che queste comunità o sono enti privati, come le cooperative, o sono enti pubblici, crede che basterebbe sopprimere la parola: «comunità» e dire: «oggetto di proprietà da parte dei privati e della collettività».

CANEVARI osserva che non bisogna dimenticare che la cooperativa deve essere considerata come un ente privato, ma con scopi sociali, e quindi soggetto a vigilanza.

GIUA ritiene che non si possa escludere la possibilità che si formino cooperative a carattere sociale. Insiste nel proporre di discutere questa parte in sede di coordinamento.

Sull’inutilità del primo comma, sostenuta dall’onorevole Lombardo, pur essendo dubbio se delle affermazioni dottrinarie siano o meno necessarie nella Costituzione, osserva che tutte le Costituzioni ne hanno; ritiene quindi che anche nella nostra non possono essere omesse del tutto.

TAVIANI, Relatore, propone di porre in votazione il secondo e terzo comma, rimettendo successivamente alla discussione dell’intiera Commissione l’opportunità o meno di inserire il primo, che nella sostanza è accettato da tutti: si tratta di una questione formale che si vota per quello che dice nella sostanza. Ritiene che la proposta dell’onorevole Giua vada completata in questo senso: che si debba essere tutti d’accordo sulla sostanza del primo comma, di modo che il fatto di lasciarlo o meno sia un giudizio puramente formale; si potrà sempre mettere a verbale che i pareri sono divisi circa l’opportunità di inserirlo, dato che taluni lo ritengono superfluo.

PRESIDENTE ritiene che in tal modo la questione venga protratta, ma non risolta.

TAVIANI, Relatore, fa presente che se la Sottocommissione vota oggi questo comma, cioè che la proprietà può essere privata, cooperativistica e collettiva, e poi nella Commissione plenaria viene proposto un emendamento per toglierlo, tale progetto di emendamento verrebbe ad assumere un significato sostanziale. Ad evitare tale possibilità, propone che la Sottocommissione si metta d’accordo sulla sostanza, precisando bene la questione delle cooperative, delle comunità, ecc.; una volta precisato questo, si potrà dire che il comma ha un valore di pura definizione teorica.

PRESIDENTE è d’avviso di lasciare: «proprietà privata e collettiva».

GIUA osserva che si è in periodo di transizione e quindi nella necessità di affermare questa forma di proprietà cooperativistica, che è intermedia tra la proprietà privata e quella collettiva e che ha dei legami con quella che è la proprietà del singolo e la proprietà pubblica. Pure accettando la distinzione pura e semplice di proprietà privata e collettiva, vorrebbe che fosse inserita la specificazione: «cooperativistica», per stabilire che le cooperative non sono intese nel senso ordinario di proprietà privata, ma nel senso intermedio tra proprietà privata e pubblica.

DOMINEDÒ si associa a quanto ha detto l’onorevole Giua, considerando che bisogna tener presente il passaggio dal momento statico della proprietà al momento dinamico dell’impresa.

PRESIDENTE ritiene che la formulazione dovrebbe essere allora la seguente: «oggetto di proprietà privata, cooperativistica e collettiva».

LOMBARDO insiste per l’abolizione del primo comma. In caso di mantenimento, dichiara di non essere contrario al termine: «cooperativistica».

TAVIANI, Relatore, tiene a precisare il suo pensiero nel senso che egli è favorevole a che si voti la sostanza del primo comma; ma se un comma dichiarativo di questo genere deve essere premesso all’articolo, allora il comma dovrà essere quello proposto e non altro. Sarà poi rimessa alla Commissione plenaria la decisione circa l’utilità o superfluità del comma stesso.

PRESIDENTE non è di questo avviso in quanto o il comma è inutile e allora non si vota, o è utile e allora bisogna votarlo. Ritiene che si possa passare quindi alla votazione del primo comma.

TAVIANI, Relatore, per dichiarazione di voto afferma che voterà contro, non perché sia contrario alla sostanza, ma in quanto ritiene il comma superfluo.

LOMBARDO per dichiarazione di voto si associa a quanto ha affermato l’onorevole Taviani.

PRESIDENTE mette ai voti il primo comma, di cui dà lettura: «I beni economici possono essere oggetto di proprietà privata, cooperativistica e collettiva».

(È approvato).

Pone in discussione il secondo comma, così concepito: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato. La legge ne determina i limiti e le forme, allo scopo di farle assumere funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».

Propone, innanzi tutto, di dire: «le forme e i limiti» e non viceversa.

MERLIN ANGELINA ritiene che il comma possa essere formulato nel modo seguente: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato: la legge ne determina le forme e i limiti. La proprietà deve assumere funzione sociale e deve essere accessibile a tutti».

LOMBARDO si associa alla proposta della onorevole Merlin.

CORBI, dato che tutti sono d’accordo sulla sostanza, ritiene che non si debba arrivare affrettatamente alla votazione, ma trovare un punto di incontro per la forma.

PRESIDENTE non crede che le differenze siano soltanto formali.

FANFANI è del parere che il testo primitivo sia tale da tranquillizzare. In altri termini si vuole che il proprietario non dimentichi che la proprietà ha una funzione sociale; sarà poi compito del legislatore di correggere gli spropositi e gli eccessi di libertà.

MERLIN ANGELINA replica che la sua preoccupazione sta proprio nel fatto che possa mancare l’intervento del legislatore.

FANFANI ritiene, allora, che il testo proposto dalla onorevole Merlin non sia il più indicato ad evitare l’inconveniente.

LOMBARDO si dichiara convinto delle obiezioni dell’onorevole Fanfani.

MERLIN ANGELINA dichiara di non insistere nella sua proposta.

PRESIDENTE mette ai voti il secondo comma, con la sola inversione delle parole: «le forme e i limiti».

(È approvato all’unanimità).

Apre la discussione sul terzo comma, così concepito: «Per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell’attività economica, la legge può rivendicare agli enti pubblici e alle comunità di lavoratori e di utenti la proprietà di beni mobili ed immobili o di complessi produttivi, sia mediante riserva originaria, sia mediante esproprio contro indennizzo».

Fa presente che taluni Commissari vorrebbero che alla fine del comma fosse specificato: «salvo i casi fissati dalla legge».

FANFANI ritiene che in questo terzo comma sia bene lasciare la dizione: «comunità di lavoratori e di utenti» e non cambiarla in: «cooperativistica».

DOMINEDÒ invece di: «rivendicare», direbbe più rigorosamente: «conferire», oppure: «attribuire».

CORBI dichiara di preferire il termine: «rivendicare».

PRESIDENTE preferisce: «attribuire». Inoltre al posto delle parole: «complessi produttivi», metterebbe le altre: «imprese e aziende».

TAVIANI, Relatore, volendo fare una specificazione, preferirebbe che si tornasse alla primitiva dizione: «di beni singoli e di determinati settori economici».

FANFANI osserva che l’espressione: «beni singoli» non ha senso.

LOMBARDO propone di parlare soltanto di: «determinati settori economici».

DOMINEDÒ dichiara che l’espressione: «beni mobili ed immobili» sia comprensiva di tutto.

FANFANI propone quindi in tal caso di abolire l’espressione: «complessi produttivi».

LOMBARDO rileva che l’avviamento, ad esempio, non è compreso nella dizione: «beni mobili ed immobili».

DOMINEDO osserva che l’avviamento è un bene incorporale, o una qualità dell’azienda. Inoltre, riferendosi alla proposta del Presidente, parlerebbe di: «aziende» e non di: «imprese».

FANFANI rileva che l’espressione: «complesso produttivo» risponde ad un’esigenza moderna e serve a determinare un complesso di aziende ed una concatenazione di imprese. È una terminologia non accettata volentieri dai giuristi, ma della quale non si può fare a meno.

 

TAVIANI, Relatore, propone di dire semplicemente: «beni e complessi produttivi».

DOMINEDÒ e CANEVARI concordano.

LOMBARDO si dichiara contrario ad aggiungere alla fine del comma la limitazione: «salvo i casi fissati dalla legge».

PRESIDENTE fa presente che secondo dottrina e anche giurisprudenza l’indennizzo di una lira è considerato come rinunzia al rifacimento dei danni.

Il concetto di «indennizzo» implica l’altro di adeguatezza e a suo parere nessun indennizzo è dovuto, eccezionalmente, nel caso, ad esempio, del proprietario che abbandona completamente la coltivazione del suo potere.

CANEVARI ritiene che la legge debba essere libera di stabilire anche l’esproprio senza indennizzo.

LOMBARDO a tal fine propone di dire: «con riserva di indennizzo».

FANFANI preferirebbe: «sia mediante esproprio contro indennizzo, salvo contraria disposizione».

DOMINEDÒ osserva che, se si riconosce il diritto di proprietà, si deve essere conseguenti nello stabilire come regola precisa e generale il diritto all’indennizzo. L’ipotesi eccezionale prospettata dal Presidente può trovare eccezionali soluzioni, che non spetta alla Carta costituzionale contemplare. L’ordinamento giuridico non è insensibile a queste esigenze.

PRESIDENTE rileva che l’ipotesi da lui fatta trova riscontro in una disposizione del Codice civile: cioè nel caso dell’abbandono del proprio fondo, nel quale è ammesso l’esproprio.

LOMBARDO ritiene che vi siano due sole soluzioni, cioè o la riserva di indennizzo, o contro indennizzo.

FANFANI osserva che il caso positivo è quello dell’indennizzo; il caso negativo quello senza indennizzo.

«Riserva di indennizzo» vuol dire che la regola è «senza indennizzo» Non si può dire che il legislatore si riserva di determinare l’indennizzo, in quanto bisogna essere coerenti rispetto al comma secondo, come ha detto l’onorevole Dominedò.

CANEVARI ritiene che la proposta del Presidente sia intermedia, in quanto lascia alla legge la facoltà di stabilire secondo i casi.

PRESIDENTE dato che, una volta riconosciuto il diritto di proprietà, è giusto prevedere l’indennizzo, propende per la dizione «mediante esproprio contro indennizzo, salvo i casi fissati dalla legge».

TAVIANI, Relatore, dichiarandosi d’accordo sulla necessità che si debbano espropriare senza indennizzo le proprietà dagli speculatori, osserva che in questo caso non si effettua l’esproprio per pubblica utilità, ma bensì la confisca, in quanto la proprietà è ingiustamente formata. Anzi non esiste in questo caso la proprietà.

Ma quando la proprietà è legittimamente costituita, allora il giusto indennizzo deve essere riconosciuto. Ricorda che nell’articolo da lui inizialmente proposto era detto: «contro giusto indennizzo». Dato che l’onorevole Corbi ha sostenuto che dall’espressione «giusto» poteva derivare la possibilità o meno di fare la riforma agraria, per spirito di conciliazione ha rinunziato a quell’espressione che, dal punto di vista logico, riteneva esatta. Prega però che nell’articolo sia almeno lasciato il termine «indennizzo».

PRESIDENTE non comprende come sia possibile espropriare senza indennizzo una proprietà formata attraverso la speculazione o un terreno non coltivato, senza mutare profondamente l’istituto della confisca, il quale è attualmente subordinato alla condanna o a casi di vietata detenzione, alienazione, ecc.

TAVIANI, Relatore, dichiara che sentiva tanto questa esigenza, da aver proposto la formula della «proprietà frutto del lavoro e del risparmio». Ma osserva che si tratta di due problemi diversi: uno è quello dell’esproprio di proprietà legittima, che però deve essere espropriata per motivi di utilità pubblica o di coordinamento delle attività economiche; l’altro è il problema della proprietà mal formata e mal usata.

MARINARO ritiene che l’indennizzo sia la logica necessaria conseguenza del principio affermato nella prima parte dell’articolo: una volta riconosciuto e garantito il diritto di proprietà privata, non si può giungere che a quella conseguenza. Lo Stato può espropriare per ragioni di carattere generale, ma non può lasciare il proprietario senza indennizzo; altrimenti violerebbe il principio fondamentale del diritto di proprietà già riconosciuto.

FANFANI ricorda che sebbene nella Costituzione non vi sia un articolo che si occupa del furto, ciò nonostante i codici hanno proibito il furto.

Osserva che la proprietà si può considerare da tre punti di vista: 1°) proprietà illegittimamente formata, per la quale non si può parlare di esproprio, ma vi saranno leggi speciali che la elimineranno; 2°) proprietà legittimamente formata e male usata, e tal caso sarà preso in considerazione nella parte riguardante il diritto di impresa; 3°) proprietà legittimamente formata e utilizzata appieno, ma che, per esigenza di utilità collettiva o di coordinamento delle attività economiche, conviene riservare a determinati enti (e questo è il caso che riguarda la terza Sottocommissione) e allora vi è il diritto all’indennizzo.

PRESIDENTE dichiara di accettare la distinzione e, con l’intesa che se ne ridiscuterà in sede di esame dell’impresa, rinuncia all’inciso: «salvo i casi fissati dalla legge».

Mette ai voti l’ultimo comma dell’articolo nella seguente formulazione:

«Per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell’attività economica, la legge può attribuire agli enti pubblici e alle comunità di lavoratori e di utenti la proprietà di beni o di complessi produttivi, sia mediante riserva originaria, sia mediante esproprio contro indennizzo».

(È approvato all’unanimità).

TAVIANI, Relatore, dà lettura dell’articolo sull’eredità da lui proposto nella relazione:

«Il diritto di trasmissione ereditaria è garantito. Spetta alla legge stabilirne le norme e i limiti sia della successione nell’ambito della famiglia, sia di quella testamentaria.

«Spetta pure alla legge determinare la parte che lo Stato preleva sulla eredità».

Ritiene che la formulazione sia sufficientemente chiara; desidera soltanto mettere in evidenza che il prelievo da parte dello Stato non ha soltanto scopo fiscale, ma scopo sociale, di ridistribuzione.

FANFANI ritiene che il contenuto di questo articolo sia già compreso in quello precedentemente votato, là dove è detto: «La legge determina le forme e i limiti della proprietà». Con questo, evidentemente, lo Stato, riconoscendo la proprietà, deve anche riconoscerne il trasferimento. A suo avviso, il nuovo articolo è quindi superfluo.

Osserva inoltre che, per quanto riguarda il prelievo, se è a scopo fiscale, non è questa la sede per parlarne; se è a scopo sociale, è già stato contemplato nel precedente articolo.

TAVIANI, Relatore, fa presente che nelle varie Costituzioni è contemplato questo concetto, derivante dal fatto che l’eredità è una proiezione della proprietà.

PRESIDENTE propone la dizione: «Il diritto di trasmissione ereditaria è garantito.

Spetta alla legge stabilire le norme e i limiti sia della successione legittima, sia di quella testamentaria».

DOMINEDÒ non ritiene che l’articolo sia un pleonasma, perché si potrebbero concepire delle ipotesi di proprietà non proiettate in tutto o in parte nel tempo.

FANFANI chiede se tale prelievo sull’eredità non possa essere destinato ad enti minori dello Stato.

CANEVARI è d’avviso di completare il primo articolo sulla proprietà inserendovi questi concetti.

DOMINEDÒ propone di depennare la seconda parte dell’articolo, dove è detto: «Spetta pure alla legge, ecc.».

FANFANI, concordando con l’onorevole Dominedò, rileva che il tempo e la entità del prelievo della ricchezza da parte dello Stato saranno determinati dal legislatore ordinario.

PRESIDENTE, siccome la tassa di successione intacca profondamente il diritto di proprietà, ritiene che non sia anticostituzionale fissare il principio nella Costituzione, anche in considerazione che altre ne parlano. Non si tratta di stabilire il quantum, ma solo il diritto alla tassazione, vedendo anche se non sia il caso di tener presente il carico familiare.

FANFANI propone di aggiungere al 2° comma: «come pure le quote riservate alla collettività».

MARINARO preferirebbe la dizione «come pure i diritti riservati alla collettività».

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo così formulato: «Il diritto di trasmissione ereditaria è garantito. Spetta alla legge stabilire le norme e i limiti della successione legittima, di quella testamentaria e i diritti della collettività».

(È approvato).

La sedata termina alle 19.25.

Erano presenti: Canevari, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Lombardo, Marinaro, Merlin Angelina, Rapelli e Taviani.

Assenti giustificati: Colitto, Molè, Noce Teresa.

Assenti: Assennato, Paratore, Togni.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

13.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà (Seguito della discussione)

Presidente – Federici Maria – Taviani, Relatore – Giua – Dominedò – Fanfani – Assennato – Marinaro – Lombardo – Corbi.

La seduta comincia alle 9.20.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà.

PRESIDENTE dà lettura dei seguenti articoli, risultanti dalla discussione della precedente riunione.

Articolo proposto dall’onorevole Taviani:

«La Repubblica riconosce e garantisce il diritto di proprietà privata. Ciascuno deve potervi accedere col lavoro e col risparmio.

«La legge determinerà le norme che ne regolano l’acquisto e il trasferimento, i limiti e le modalità di godimento, allo scopo di assicurare che la proprietà privata risponda, oltre che ad una funzione personale, alla sua funzione sociale. In conformità agli interessi della produzione, la legge favorirà lo sviluppo della proprietà cooperativa e della piccola proprietà».

Articolo proposto dall’onorevole Corbi:

«La Repubblica riconosce e garantisce il diritto di proprietà privata.

«La legge determinerà le norme che ne regolano i limiti, l’acquisto, il trasferimento, le modalità di godimento, allo scopo di impedire che essa arrechi pregiudizio alla proprietà altrui e contrasti con gli interessi del lavoro e della collettività, per favorire invece la proprietà cooperativa e la piccola proprietà nell’interesse della produzione».

Articolo proposto dall’onorevole Fanfani:

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato.

«La legge ne determinerà i limiti di estensione, i modi di acquisto, di uso e di trasferimento, anche a titolo ereditario, allo scopo di farla adempiere alla sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».

Articolo proposto dall’onorevole Lombardo (modificato dall’onorevole Ghidini):

La proprietà è riconosciuta e garantita dallo Stato nelle forme e nei limiti stabiliti dalla legge.

«Il diritto di proprietà non può essere esercitato contrariamente alla utilità sociale o in modo da arrecare pregiudizio alla libertà e ai diritti altrui, ma dovrà esserlo in conformità all’interesse della collettività».

Tiene a precisare di aver modificato quest’ultimo articolo, in seguito al rilievo fatto dall’onorevole Taviani che in esso erano contenute affermazioni soltanto negative, mentre lo Stato deve intervenire in forma positiva, allo scopo che la proprietà venga esercitata in conformità agli interessi della collettività.

FEDERICI MARIA propone di cominciare l’esame dalla formulazione proposta dal Relatore.

TAVIANI, Relatore, rende noto che, tenendo conto delle esigenze sue e degli onorevoli Corbi e Fanfani, nonché avendo rinunziato ciascuno ad una parte delle proprie posizioni, l’articolo potrebbe anche formularsi così:

«La Repubblica riconosce e garantisce il diritto di proprietà privata.

«La legge determinerà le norme che ne regolano i limiti, l’acquisto, il trasferimento è le modalità di godimento, allo scopo di farla adempiere ad una funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, favorendo la proprietà cooperativa e la piccola proprietà.

«L’esercizio del diritto di proprietà privata non potrà essere in contrasto con gli interessi del lavoro ed i programmi economici dello Stato (o della collettività), in modo da arrecare pregiudizio alla proprietà altrui, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana col deprimere il livello di esistenza al disotto del minimo determinato dai bisogni umani essenziali».

PRESIDENTE, circa il 1° e il 2° comma, gli sembra che la formulazione sia incompleta, in quanto mancante di qualsiasi riferimento alla proprietà collettiva. Per quanto riguarda la 3a parte, non ha osservazioni da fare. Se non era, è interamente tratta dalla relazione Pesenti.

TAVIANI, Relatore, risponde al Presidente che per la proprietà collettiva potrà farsi un apposito articolo. Nel 2° comma sono state concordate le esigenze della funzione sociale e della accessibilità di tutti alla proprietà, mediante le cooperative e la piccola proprietà. Nel 3° comma è stata analiticamente spiegata l’espressione «funzione sociale». Il contenuto di questo comma avrebbe dovuto essere inserito nel secondo, ma per ragioni di forma si è preferito farne un comma a parte.

GIUA rileva che l’articolo proposto presenta tutti gli inconvenienti che sono propri di una formulazione concordata. Avrebbe potuto ammettere una formulazione sintetica che comprendesse tutti i vari concetti, ma l’aver preso una parte da ogni articolo che rappresenta una diversa tendenza, ha portato a creare una formulazione che non può soddisfare né, in particolare, il suo punto di vista, né, in generale, quello giuridico. Quando infatti si dice che lo Stato deve favorire la piccola proprietà e la proprietà cooperativa, si afferma un concetto che domani potrebbe essere in opposizione con l’evoluzione sociale ed attualmente potrebbe dar luogo a contrasti che faranno sentire la loro eco anche in Parlamento.

Come ha affermato nella precedente riunione, non spetta alla Commissione di svolgere idee programmatiche, come sarebbe avvenuto se il suo partito avesse avuto la maggioranza, ma, data la situazione di transizione che attraversa l’Italia, crede che sia invece necessario dare al popolo l’impressione che la Costituzione si basi su principî ben netti che non contrastino gli uni con gli altri. In realtà lo Stato non può favorire contemporaneamente la piccola proprietà e quella cooperativa, che sono due cose antitetiche. Non sarebbe tuttavia alieno dal lasciare ambedue i termini, perché da un lato la piccola proprietà già esiste di fatto e dall’altro, se si arriverà a favorire effettivamente la proprietà cooperativa, sorgeranno tante forme di vere e false cooperative che quella che oggi è l’eccezione, domani diventerà la norma generale.

Preferirebbe perciò adottare la formula proposta dall’onorevole Lombardo, nella dizione modificata dall’onorevole Ghidini, che, per quanto non lo soddisfi interamente, è tuttavia la più sintetica, pur abbracciando tutti i principî che sono emersi negli altri articoli preposti. Può anche errare, ma ritiene che non vi siano differenze sostanziali tra la formula Lombardo e quella di cui ha dato lettura l’onorevole Taviani, la quale, specialmente nell’ultima parte, è troppo estesa e caotica.

Nella dizione dell’onorevole Lombardo vede però malvolentieri l’espressione «è riconosciuta» che è troppo impegnativa e aggiungerebbe alla parola «proprietà» la specificazione «privata».

PRESIDENTE è contrario a parlare specificatamente di proprietà privata. Gli sembra che in sostanza si verrebbe a formulare tutto l’articolo basandolo esclusivamente sulla proprietà privata e cooperativa, trascurando invece la proprietà collettiva.

GIUA fa rilevare all’onorevole Ghidini che di fatto in Italia si ha solo la proprietà privata (anche la proprietà cooperativa è in fondo privata), perché quella dello Stato, delle provincie e dei comuni non può certamente considerarsi collettiva. Si avrebbe quindi nella Costituzione un termine di cui non si conosce il valore.

TAVIANI, Relatore, non avrebbe nulla in contrario ad iniziare l’articolo con la seguente affermazione: «La proprietà può essere privata o pubblica».

DQMINEDÒ per venire incontro al desiderio dell’onorevole Ghidini, farebbe precedere all’articolo la seguente dizione: «La proprietà può essere individuale, cooperativa e collettiva», ovvero: «La proprietà può essere privata, cooperativa, pubblica».

TAVIANI, Relatore, ricorda che egli in precedenza aveva proposto di dire: «La proprietà può essere privala e collettiva», ma tale dizione non fu accettata, perché si affermò che il concetto di proprietà collettiva non era ancora giuridicamente riconosciuto.

GIUA fa rilevare al Presidente che in regime borghese non può parlarsi di proprietà collettiva nel senso socialista, in quanto anche la proprietà statale o demaniale non può essere considerata collettiva. A tale tipo di proprietà non si potrà giungere fin quando non saranno radicalmente mutate le norme giuridiche che attualmente regolano i rapporti tra produzione e consumo.

PRESIDENTE, come ha già detto, ritiene che la Costituzione non debba consacrare i soli istituti esistenti, ma anche provvedere per quelli che saranno nel futuro. Una Costituzione la quale non facesse che consacrare e difendere quello che è ora in atto, senza preoccuparsi anche di quelle che possono essere le esigenze future, non raggiungerebbe, a suo modo di vedere, il suo vero scopo.

Comprende un tipo di Costituzione che consacri, come quella russa, un regime vigente, in quanto tutti gli ordinamenti hanno subito profonde e radicali trasformazioni; ma in un periodo di transizione, di mutamenti di istituti sociali, giuridici ed economici come è quello attuale, la Costituzione non può e non deve soltanto consacrare lo stato presente, ma deve intravedere quello che ci sarà nel domani, senza negare la libertà alla volontà popolare del futuro.

Per questi motivi ama parlare di proprietà collettiva, non come qualche cosa che attualmente esiste, ma nel senso invece di una possibilità a venire. D’altra parte non si sente nemmeno disposto a legarsi in modo assoluto al concetto di difesa e incremento della piccola proprietà a suo giudizio spesso antieconomica alla quale in vista di una finalità futura preferirebbe la grande proprietà industrializzata e socializzata. Se si accedesse al suo punto di vista, parlerebbe solo di proprietà, senza specificare se privata, cooperativa o collettiva. Se invece si inseriscono le specificazioni di proprietà privata e cooperativa, dovrebbe essere anche fatto cenno a quella collettiva, perché il primo tipo di proprietà rappresenta l’oggi, il secondo il domani, il terzo il dopodomani.

GIUA ripete che attualmente, in un articolo della Costituzione, non si può parlare di proprietà collettiva. L’onorevole Ghidini crede e questo è il dissidio in famiglia che formulando una Costituzione elastica si possa giungere, attraverso gradì successivi, alla società socialista. Nega recisamente che attraverso tale elasticità si possa raggiungere questo risultato, anche perfezionando la Costituzione, perché il passaggio tra lo stato presente e la società socialista del domani avverrà solo attraversò un salto brusco, o conato rivoluzionario che porterà ad una Costituzione completamente nuova.

PRESIDENTE ritiene che sarebbe preferibile, se fosse possibile, evitare i salti bruschi.

DOMINEDÒ pensa che la preoccupazione dell’onorevole Ghidini trovi risposta negli intendimenti originari della relazione Taviani, la quale snoda tre ipotesi della proprietà: individuale, cooperativa e collettiva.

Desidera chiarire che quando si parla di proprietà collettiva, si intende alludere a qualche cosa di ben diverso dalla proprietà demaniale o sociale. La prima, fra l’altro, si differenzia dalla proprietà collettiva per il fatto di essere formalmente imprescrittibile e inalienabile; la seconda è anch’essa individuale in quanto fa capo ad un ente a cui è riconosciuta una personalità giuridica. La proprietà collettiva deve invece rispondere all’avvento di quel mondo nuovo cui mirano anche l’oratore e il suo gruppo. Non avrebbe quindi alcuna difficoltà ad un’enunciazione con la quale si affermasse che la proprietà può essere individuale, cooperativa e collettiva, intendendosi però che quando si parla di funzione sociale, ci si vuole riferire alla sola proprietà individuale, per la quale appunto sorge il particolare problema di contemperare individualità e socialità.

Chiariti questi concetti fondamentali, ritiene che la Sottocommissione si trovi di fronte a due ipotesi: o premettere esplicitamente la indicazione dei tre tipi di proprietà, ovvero limitarsi ad una enunciazione di principio e poi, nello snodarsi dei singoli articoli, con senso storicistico, vedere quali delle tre ipotesi debbano essere tradotte in norme della Carta costituzionale, in modo da evitare la possibilità di salti bruschi per il futuro.

FANFANI chiede ai colleghi di spiegare che cosa si intende per proprietà privata, cooperativistica e collettiva.

DOMINEDÒ spiega che la proprietà collettiva è diversa dalla proprietà demaniale. Si tratta di qualche cosa di nuovo e di diverso rispetto alla tradizionale proprietà di diritto pubblico e alla proprietà demaniale strettamente intesa. Le proprietà demaniali si concretano per loro natura nella destinazione inalienabile di determinati beni dello Stato o dei comuni; per quelle collettive invece non v’è un uguale concetto della inalienabilità. È possibile passare dalla gestione individuale alla collettiva o da quella collettiva a forme miste o addirittura individuali, ad esempio in tema di trasporti, perché in tale caso manca un rigoroso presupposto di inalienabilità; questo è il fatto giuridico differenziale, e occorre trovare una formula rispondente a questo concetto.

FANFANI non è d’accordo: la proprietà collettiva è riservata alla intera collettività e non è alienabile.

PRESIDENTE osserva che una piazza è una proprietà inalienabile; ma se se ne modifica la destinazione può diventare alienabile. Il concetto di inalienabilità è vero solo in quanto glielo attribuisce lo Stato; quindi è valido fino ad un certo momento, ma non lo è in senso assoluto e perpetuo.

DOMINEDÒ ha dato un primo concetto della demanialità, ma si avvede che l’idea va approfondita. Non v’è dubbio che la demanialità comporti la non alienabilità e la non trasformabilità fino a che duri la stessa destinazione; ma l’essenziale è che questa operi per legge naturale, mentre, parlando di proprietà collettiva, le cose stanno diversamente. Un impianto potrebbe essere ridotto, aumentato o trasformato, e potrebbe avvenire il passaggio dalla gestione collettiva ad un’altra forma, diretta o indiretta; non esiste più il concetto rigoroso della inalienabilità o intrasformabilità; subentra una discrezionalità e una latitudine di manovra ben diversa. Chiede se ci possa essere una maggiore precisazione del concetto. Ritiene che questo sia compito del domani, occorrendo porre l’accento piuttosto sull’aspetto dinamico che su quello statico, essendo l’impresa collettiva quella che meglio esprime il significato di una gestione il cui fine è rivolto nell’interesse diretto della generalità. Si intende forse che questa proprietà collettiva non vada allo Stato? Ritiene evidente che debba andare allo Stato.

MARINARO prega i colleghi di precisare dove si trova determinato il concetto della proprietà collettiva al quale si è accennato.

DOMINEDÒ risponde che nel sistema vigente non esiste questa determinazione.

MARINARO afferma che per il momento si conosce la proprietà demaniale e quella di diritto pubblico. Qui si parla di proprietà collettiva, come se se ne facesse menzione nei codici o nelle leggi, mentre non è così. Ed allora ritiene innanzitutto necessario precisare il concetto di tale proprietà sino ad oggi inesistente.

PRESIDENTE risponde che il concetto di demanialità si differenzia dagli altri e un elemento per differenziarlo è quello accennato della inalienabilità. La differenza potrebbe essere in questo: che la proprietà demaniale ha una funzionalità in rapporto al servizio al quale è destinata, mentre la collettiva ha una funzionalità più che altro economica e produttiva.

Il fatto che non ci sia ancora non vuol dire che non possa esservi in avvenire; ed allora occorre prevedere il domani, se non si vuol fare una Costituzione che si chiuda in quello che vi è già.

Se si stabilisce che la Costituzione deve considerare solo quello che già esiste, è disposto a votare l’articolo proposto dall’onorevole Taviani; ma se si vuole proiettare nel futuro l’efficienza della Costituzione, si può parlare anche della proprietà collettiva.

TAVIANI, Relatore, fa una dichiarazione pregiudiziale. Rifiuta l’affermazione del Presidente che accetterebbe l’articolo nel caso che si volesse sanzionare solo il passato. Afferma che la sua formulazione è innovatrice. Ricorda che la sua prima formulazione, discussa in una adunanza dei Relatori, cominciava con le parole: «La proprietà può essere privata e collettiva». Gli onorevoli Colitto e Marinaro fecero allora le stesse osservazioni che oggi ha ripetuto l’onorevole Marinaro, cioè che non esiste nella legislazione il concetto di proprietà collettiva, ma solo quello di proprietà privata e demaniale. Quindi o si resta alla vecchia formulazione giuridica, e si può benissimo cominciare dicendo: la proprietà può essere privata o pubblica; o si vuole aprire la strada a qualche cosa di nuovo, cioè a questo istituto di una proprietà che non è demaniale, chiamandola proprietà collettiva; ma allora occorre distinguere la proprietà cooperativa da quella collettiva; e a questo non ha nulla in contrario. Si tratterà di intendersi sulla formulazione specifica e precisare che per collettiva si intende quella proprietà che, appartenendo alla società, si prefigge uno scopo sociale.

Ripete che, sia che si parli di proprietà cooperativa e collettiva, sia che si formuli un comma dedicato esclusivamente alla proprietà collettiva, egli, l’onorevole Dominedò e altri sono intransigenti su una proposizione in cui si riconosca e garantisca il diritto di proprietà privata, perché, se così non fosse, si determinerebbe la deprecata divisione della Commissione.

PRESIDENTE nota che la divergenza è sulla premessa, perché sulle altre deduzioni vi sarebbe l’accordo.

LOMBARDO si dichiara disposto ad accettare la premessa togliendo la parola «privata».

Passando ad esaminare l’articolo nella nuova formulazione proposta dal Relatore, punto per punto, trova superfluo dire: «La legge determinerà le norme che ne regolano i limiti, l’acquisto, il trasferimento e le modalità di godimento», perché tutto questo si riferisce alla proprietà privata.

In seguito si dice: «allo scopo di farla adempiere ad una funzione sociale (questa è una limitazione) e di renderla accessibile a tutti», e trova che qui si tratta di cosa che già esiste, e che non occorre ripetere per non accordare, con questa dizione, troppo favore alla piccola proprietà e a quella cooperativa, in quanto nel futuro possono venir modificati i concetti di proprietà da qualche rivolgimento di carattere scientifico.

Personalmente poi, se deve ispirarsi alla sua ideologia, non direbbe «favorendo la proprietà cooperativa e la piccola proprietà»; preferirebbe non specificare, perché il concetto di proprietà si può evolvere attraverso il tempo.

Osserva che invece dell’espressione «in contrasto con gli interessi del lavoro, ecc.». si limiterebbe a dire che la proprietà non può essere in contrasto con l’utilità sociale; così sarebbe detto tutto, perché gli interessi del lavoro rientrano nell’ambito della utilità sociale e, se vengono delimitati con indicazioni precise, possono diventare, ad un certo momento, una beffa, perché l’interesse del lavoro di oggi può essere negato o superato domani.

Poi si dice: «in modo da recare pregiudizio alla proprietà altrui, alla sicurezza»; chiede se si vuol parlare della sicurezza individuale o di quella della proprietà.

Si parla poi di libertà e di dignità umana, ma ritiene che il concetto di dignità umana sia assorbito dal concetto di libertà: non c’è dignità umana, se non c’è libertà.

Infine trova elastica l’espressione «bisogni umani essenziali» perché, se ci si riporta al 1917, ad esempio, 700 grammi di pane al giorno potevano essere sufficienti per pagare un individuo che dovesse provvedere ai suoi bisogni umani essenziali, ma è molto differente se si considerano i bisogni di oggi e quelli assai più vasti di domani.

Quindi gli sembra che l’articolo sia limitativo: la formulazione deve avere il carattere più ampio possibile e permettere di porre a fuoco la situazione di oggi e quella che sarà domani, di procedere verso quelle finalità sociali alle quali il cammino è aperto.

Tornerebbe alla formula del Presidente che gli sembra possa includere con sufficiente latitudine tutti gli aspetti di quella che è l’interpretazione odierna della proprietà e di quella che sarà nel futuro.

ASSENNATO si dichiara d’accordo con l’onorevole Lombardo. Accetta, per la prima parte dell’articolo, la formula: «La Repubblica riconosce e garantisce il diritto di proprietà».

Crede che i colleghi saranno d’accordo nel riconoscere l’opportunità di non porre una premessa che definisca la vecchia forma di proprietà.

Seguiterebbe poi la formulazione nei seguenti termini:

«La legge determinerà le norme che ne regolano i limiti, le forme e le modalità allo scopo di farla adempiere ad una funzione sociale e renderla accessibile a tutti, attraverso le varie forme.

«L’esercizio del diritto di proprietà privata non dovrà essere in contrasto con gli interessi del lavoro e i programmi sociali ed economici dello Stato, né recare pregiudizio alla proprietà altrui, alla sicurezza, alla libertà e dignità umana».

MARINARO limiterebbe il secondo comma alle parole: «regolerà i limiti, le forme e le modalità allo scopo di farla adempiere ad una funzione sociale».

Certo, lo Stato deve determinare la funzione sociale e ha la facoltà di intervenire per stabilire le norme, acciocché la proprietà adempia a questa funzione sociale, e lo può fare per raggiungere tutti gli scopi previsti nella seconda parte dell’articolo. Ne risulterebbe un articolo più snello che non lega le mani del legislatore, il quale potrebbe intervenire in ogni momento.

PRESIDENTE osserva che l’onorevole Assennato elimina la parola «privata» dalla prima parte, per non escludere la proprietà collettiva. E questo sta bene, perché riconoscere solo il diritto di proprietà privata potrebbe interpretarsi come un’esclusione di altre forme di proprietà.

In seguito però dice: «la legge determinerà le norme che ne regolano i limiti, le forme e le modalità» e si chiede se potrà la legge ordinaria raggiungere la finalità alla quale si aspira, qualora nella Costituzione non venga riconosciuta anche la proprietà collettiva. Un futuro interprete potrebbe dire che per il fatto di non essere riconosciuta dalla Costituzione, non è ammissibile. Per queste ragioni chiede che nella Costituzione se ne faccia un cenno; questo potrebbe trovar luogo là dove si parla di funzione sociale.

FANFANI rileva di non aver ricevuto risposta alla sua domanda, eppure è indispensabile, ai fini di quel cappello al primo articolo, di sapere quale contenuto si dà alle espressioni: «proprietà privata, collettiva, cooperativa». Pensava che dai colleghi che da tre giorni usano queste parole sarebbe potuta venire qualche specificazione chiarificatrice.

Pensa che dire proprietà privata e collettiva abbia un senso molto preciso solo se si tiene presente la finalità per la quale la proprietà privata e quella collettiva vengono attuate, e basterà sfiorare un po’ la Costituzione russa per rendersene conto.

La proprietà privata è il contrapposto di quella collettiva non quanto all’estensione o alla appropriazione di beni, ma alla modalità; non a fini produttivi, se mai a fini distributivi; la proprietà privata è un modo di riservare i frutti della produzione ad un privato gestore possessore di beni; la collettiva invece si propone o di non ricavare un profitto, o se profitto ci deve essere per la differenzia fra il costo e il ricavo, di non riservarlo a beneficio del gestore, ma di distribuirlo ai singoli partecipanti al processo produttivo.

Detto questo, e se in questo vi è l’accordo, riconosce la necessità di premettere un articolo in cui si specifichi che i beni economici possono essere oggetto di appropriamento da parte di persone private, di comunità di lavoro, della collettività. Ma, dato che nella Costituzione italiana, negli istituti italiani e nel diritto italiano questi concetti non sono precisati, anziché con parole che presuppongono una definizione che oggi non c’è e dire «proprietà privata e collettiva», converrebbe adottare una espressione un po’ più generica che richiami al fatto della proprietà da parte di questi tre tipi diversi: «I beni economici possono essere oggetto di diritto di proprietà da parte di privati, di comunità di lavoro della collettività».

Questo primo articolo sgombrerebbe il terreno, e molte delle discussioni fatte sarebbero state evitate, se si fosse partiti da una simile premessa.

Fatto questo articolo, se ne dovrebbero formulare due o più altri diretti a precisare quando e perché vengano ammesse le varie forme. Un articolo va dedicato alla proprietà privata per stabilire che è riconosciuta, ma riconosciuta in vista di determinati scopi e entro certi limiti.

Diceva l’onorevole Lombardo nella sua critica che parlando di limiti e di modalità si veniva a circoscrivere e forse a ridurre a ben poco il diritto di proprietà privata.

Questo sarebbe vero se non si uscisse da un sistema di vita in cui quella forma ha avuto un contenuto pressoché illimitato. Quindi per far risaltare che si esce da questo sistema di vita in cui il proprietario ha avuto libertà di poter fare quello che vuole, è indispensabile precisare che, dopo essere stato riconosciuto il diritto di proprietà privata, esso viene limitato con scopi specifici, per inserirlo come una delle tante forme in questo sistema sociale nuovo che si vuol costruire per far sì che non sia il privilegio di un abile o di un fortunato, ma che l’accesso alla proprietà possa essere aperto a tutti.

A questo punto si dichiara nettamente contrario a parlare di piccola proprietà, perché così si limiterebbero le possibilità di sviluppo tecnico, mentre limitazioni non dovrebbero trovar posto nella Costituzione; e anche perché potrebbe sorgere l’idea che l’accessibilità si possa concretizzare solo in una porzione di terreno, mentre si deve non solo pensare alla proprietà del suolo o della casa, ma a tutto quello che può rappresentare un bene economico.

Per questo motivo, nessun accenno all’idea della piccola proprietà. Naturalmente subito dopo bisogna formulare un altro articolo relativo alle altre due possibilità prospettate con l’articolo primo: proprietà cooperativa e proprietà della collettività; e stabilire i motivi per cui si passa a queste altre forme, motivi di utilità collettiva, motivi di giustizia sociale; e stabilire che per questi motivi la legge può rivendicare a tutti gli enti pubblici, territoriali o alle comunità di lavoro la proprietà di alcune energie naturali, di porzione di territorio, di determinati compiessi produttivi. In qual modo? In due soli modi: o con una riserva originaria, o, dopo avvenuto appropriamento, attraverso un esproprio contro indennizzo.

A conclusione propone alla discussione i seguenti tre articoli:

Art. 1.

I beni economici possono essere oggetto di diritto di proprietà da parte dei privati, delle comunità di lavoro, della collettività.

Art. 2.

La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato (pensa che si possa anche omettere la parola «garantita»).

La legge ne determinerà i limiti, l’estensione, i modi di acquisto, di uso e di trasferimento, anche a titolo ereditario, allo scopo di farla adempiere alla sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

Art. 3.

Per esigenze di utilità collettiva, di coordinamento della attività economica e di giustizia sociale, la legge può rivendicare agli enti pubblici territoriali e alle comunità di lavoro la proprietà di alcune energie naturali, di porzioni di territorio, di determinati complessi produttivi, sia mediante riserva originaria, sia mediante esproprio dei privati contro indennizzo.

ASSENNATO fa notare che dopo quattro giorni la discussione viene completamente spostata.

FANFANI ritiene di avere riassunto la discussione.

ASSENNATO per mozione d’ordine, pur ringraziando il collega Fanfani del contributo che dà alla discussione con il suo schema, non può fare a meno di notare che dopo quattro giorni di discussioni tale schema rischia di mandare a monte tutto il lavoro svolto precedentemente, spostando completamente i termini della questione.

DOMINEDÒ crede invece che lo schema proposto sia il frutto dello sviluppo della discussione, alla quale l’onorevole Fanfani non ha fatto altro che aggiungere un anello della catena, tanto è vero che egli si è ricollegato alle tre ipotesi fondamentali, indugiando sulla definizione delle finalità economiche inerenti alla proprietà e all’impresa collettiva, nello stesso modo in cui l’oratore si era soffermato prevalentemente sulla definizione dei caratteri giuridici, sottolineando l’esigenza di approfondire la nuova ipotesi. Non ritiene pertanto fondata la mozione Assennato.

CORBI ha seguito con molta attenzione l’interessantissima e complessa discussione; però tiene a mettere in evidenza che si discute da più di tre giorni e, se si continua in tal modo, difficilmente si arriverà a concludere i lavori nel termine fissato, tenendo conto del numero di articoli che la Sottocommissione deve ancora esaminare. Crede che la colpa sia del sistema seguito, nel senso che la discussione sta scivolando nel bizantinismo, da cui difficilmente si potrà uscire se non dando ai lavori un’impostazione diversa. Propone pertanto che il Presidente scelga un articolo che possa servire come base di discussione per apportarvi tutte le modifiche che saranno ritenute necessarie. Il presentare ad ogni momento un articolo nuovo allontana sempre di più da una conclusione.

Si permette poi richiamare il Presidente sulla necessità di una maggiore autoritarietà sia nel dirigere la discussione, in modo che non vada fuori tema, sia nel mettere in evidenza tutti gli aspetti che possano far confluire verso un punto di convergenza, per arrivare così ad una soluzione più rapida.

PRESIDENTE risponde all’onorevole Corbi che è difficile poter forzare il proprio temperamento, e del resto non crede che vi sia bisogno di richiami nei confronti di colleghi così sapienti e cortesi. Pertanto più che sulla sua fermezza, farà conto sulla buona volontà di tutti i membri della Sottocommissione.

FANFANI desidera chiarire all’onorevole Assennato che se non ha presentato prima il suo schema è solo perché non rientra nelle sue abitudini di venire alle riunioni con una ricetta pronta in tasca; ma stando a sentire attentamente, cerca di rendersi conto della comune opinione e ne trae le conseguenze.

Non può infine accettare il velato rimprovero rivoltogli dall’onorevole Corbi, in quanto non desidera che i suoi articoli siano discussi nel loro insieme, ma solo dimostrare l’interdipendenza delle tre diverse ipotesi.

ASSENNATO insiste nell’affermare che la formulazione proposta dall’onorevole Fanfani può essere causa di profondo sconvolgimento di tutto il lavoro in precedenza svolto. A tale proposito fa notare che la nomina del Relatore ha lo scopo di affidare ad uno dei componenti il lavoro più pesante, di porre le basi della discussione, proponendo una formulazione sulla quale devono convergere tutte le osservazioni per apportarvi le necessarie modifiche. Se ognuno presenta nuove formulazioni, la nomina del Relatore risulta inutile.

PRESIDENTE, venendo incontro al desiderio espresso dall’onorevole Corbi, desidera mettere in luce i punti di divergenza e convergenza nelle proposte dell’onorevole Fanfani.

Sull’articolo 1 non trova nulla da eccepire, e crede che sulla sua formulazione possano essere tutti d’accordo. Lo stesso concetto afferma per l’articolo 2, anche per quanto concerne la precisazione relativa ai trasferimenti a titolo ereditario, perché se lo Stato riconosce e garantisce la proprietà privata, deve anche correlativamente assicurare la possibilità di poterla acquistare mortis causa.

Sul 3° articolo riconosce invece che possano sorgere divergenze. Si dichiara innanzi tutto favorevole al verbo «può», benché in altre Costituzioni, come in quella francese, sia usato invece il verbo «deve». Soffermandosi poi sulla frase: «la proprietà di alcune energie naturali, di porzioni di territorio, di determinati complessi produttivi», esprime l’avviso che la dizione usata sia troppo indeterminata.

Domanda se tutti siano d’accordo nel riconoscere queste tre forme di proprietà, e che alla proprietà privata possano essere segnati limiti di uso.

ASSENNATO trova strano che proprio a lui, comunista, tocchi di rivendicare il diritto di proprietà delle società, che non è compreso nella formulazione del primo articolo.

TAVIANI, Relatore, a suo avviso, le società sono anch’esse da considerarsi come private.

ASSENNATO ritiene che allora anche le comunità di lavoro dovrebbero considerarsi alla stessa stregua e perciò sarebbe inutile per esse il riferimento dell’articolo 1.

Premesso poi che gli sembra ambiguo il termine «collettivo», fa presente che la parola «territorio» ha una speciale significazione come parte della estensione del suolo nazionale. Si domanda allora perché si debba escludere dalla espropriazione la proprietà immobiliare costituita da stabili. Nel complesso la formulazione proposta, oltre ad essere incerta e lacunosa, mette in condizioni di non poter più discutere.

Propone di sospendere per qualche minuto la riunione, per cercare di trovare, in una conversazione amichevole, una via di accomodamento.

GIUA non è d’accordo con l’onorevole Corbi di limitare le discussioni, ma è anzi d’avviso che debbano estendersi quanto più è possibile, se da esse possa ricavarsi qualche concreta utilità.

In particolare paragona la posizione dei suoi colleghi Corbi e Assennato a quella di Proudhon e Marx, il quale, in opposizione al primo, nel suo libro La miseria della filosofia affermava: «Il voler dare una definizione della proprietà come di un rapporto indipendente di una categoria a parte, come un’idea astratta o eterna, non può essere che una illusione di metafisica e di giurisprudenza».

Si dichiara poi favorevole alla formulazione proposta dall’onorevole Fanfani, sia perché personalmente nega che in regime borghese possa affermarsi una proprietà collettiva in senso socialista, sia perché la dizione usata porta una maggiore estensione non solo al concetto di proprietà privata e cooperativa, ma anche a quello di proprietà collettiva che è assai diverso da ciò che i socialisti intendono.

TAVIANI, Relatore, per una volta tanto, si dichiara d’accordo col Presidente e lo ringrazia per aver fatto un ulteriore passo verso le posizioni del suo gruppo. Salvo ad integrare l’articolo 3 in modo che siano meglio precisati i beni che possono essere oggetto di espropriazione a favore di enti pubblici territoriali o di comunità di lavoro, gli sembra che tutti siano d’accordo sul principio del riconoscimento della proprietà privata. Del resto anche le formulazioni degli onorevoli Corbi e Lombardo non divergono nettamente e sarà facile giungere ad una intesa. Nel timore però che successivamente, in sede di votazione, sorgano dei contrasti, desidera riaffermare ancora una volta la assoluta necessità che nella Carta costituzionale sia sancito ben chiaro il principio che lo Stato riconosce e garantisce la proprietà privata. Questo principio rappresenta per il suo gruppo un’esigenza imprescindibile, dalla quale è impossibile derogare. Su questo argomento considera quindi inutile continuare la discussione, dichiarandosi disposto, in caso contrario, a presentarsi all’Assemblea con una separata relazione.

Desidera anche precisare che la formulazione ultima che ha proposto era il frutto di un accordo a cui si era pervenuti dopo un’amichevole conversazione svoltasi tra l’oratore e gli onorevoli Corbi e Assennato.

PRESIDENTE, circa l’ultima parte dell’articolo 3, formulato dall’onorevole Fanfani, fa presente che è pervenuta la proposta di sostituire alle parole «contro indennizzo» le altre «con riserva di indennizzo».

LOMBARDO ha già detto che a suo giudizio l’aggettivo «privata» era una superfetazione, perché la sostanza del dibattito sulla proprietà verte in sede ideologico-filosofica sul concetto della proprietà privata. Dichiara di riconoscere in pieno la proprietà privata, ma nella formulazione accennata dal Relatore gli sembrava che «privata» significasse che fino ad oggi c’era stata un’altra forma di proprietà e che fosse venuto il momento di riconoscere quella privata. Invece questa esiste ed ha costituito l’oggetto di ampi dibattiti attraverso i secoli.

Dicendo soltanto «proprietà» si considera qualunque tipo di proprietà, quella personale, quella di carattere pubblico e quella collettiva.

Oggi c’è la proprietà privata e, per limitarne gli abusi, si debbono assegnare alcune finalità. Quindi non vi è dissenso per quanto riguarda la enunciazione del diritto di proprietà privata; solo non vorrebbe limitare il concetto a quella privata unicamente e non indurre in errore chi leggesse questo testo, che potrebbe immaginare che la Commissione si stia occupando di una cosa che non esiste.

La riunione termina alle 11.40.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Lombardo, Marinaro, Merlin Angelina, Rapelli, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Colitto, Molè, Noce Teresa.

Assente: Paratore.

GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

12.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà (Seguito della discussione)

Taviani, Relatore – Presidente – Assennato – Canevari – Marinaro – Dominedò – Giua – Corbi – Fanfani.

La seduta comincia alle 10.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà.

TAVIANI, Relatore, ha già risposto ieri alle due obiezioni formulate dall’onorevole Assennato.

L’onorevole Giua ha ritenuto troppo generico il primo comma e ha detto che è impossibile definire quando la proprietà sia frutto del lavoro e del risparmio. Lo stesso hanno osservato gli onorevoli Colitto, Dominedò e Lombardo.

Trova giuste le osservazioni e consente ad eliminare questa espressione.

L’onorevole Colitto ha insistito nell’affermare che non è necessaria la dichiarazione delle finalità e del riconoscimento del diritto di proprietà e delle norme con cui la legge ne deve stabilire i limiti e la consistenza; su questo punto non è d’accordo. Concorda invece con le osservazioni fatte dagli onorevoli Dominedò e Fanfani e prende atto della dichiarazione dell’onorevole Assennato di non chiedere l’eliminazione del riconoscimento della proprietà privata. L’onorevole Corbi era più o meno d’accordo con l’onorevole Assennato.

Al termine della discussione di ieri non sembrava possibile giungere rapidamente ad un accordo e si profilava l’eventualità che la Sottocommissione potesse dividersi e presentare una relazione di maggioranza e una di minoranza; ma ora, riflettendo alle osservazioni fatte, e dopo aver riletta la relazione Pesenti, non vede più questa eventualità. Ritiene superfluo discutere sulla questione della premessa etico-filosofica al riconoscimento del diritto di proprietà privata. Su questo punto sarà difficile raggiungere un accordo con l’onorevole Assennato. A malincuore dovrà rinunciare a questa esigenza, e così l’accordo potrà forse essere raggiunto.

Ci sono secondo lui due esigenze: la prima è che la proprietà privata debba essere riconosciuta non dalla legge, ma dalla Costituzione: è detto anche nelle relazioni Togliatti e Pesenti; il disaccordo è derivato dalle osservazioni del Presidente e dal primo accenno dell’onorevole Lombardo al suo articolo che, poi, nella stesura definitiva è stato così mutato: «La proprietà è riconosciuta e garantita dallo Stato nei limiti e nelle forme stabiliti dalla legge».

Gli sembra che l’onorevole Lombardo abbia receduto da questa posizione di ricondurre alla legge il riconoscimento.

ASSENNATO chiede perché il Relatore attribuisce tanta importanza a questa distinzione fra legge e Costituzione.

TAVIANI, Relatore, risponde che la legge può essere modificata e in tal modo la garanzia della proprietà privata può venir tolta, mentre, se è riconosciuta dalla Costituzione, per abolirla occorrerebbe fare un’altra Costituzione.

ASSENNATO obietta che, se la Costituzione stabilisce che è la legge che deve garantire la proprietà, la legge, anche modificata, non potrà mai sopprimere l’oggetto la cui tutela è stata ad essa affidata.

DOMINEDÒ pur rilevando l’acutezza del concetto espresso dall’onorevole Assennato, ritiene che il riconoscimento dei diritti fondamentali costituisca compito precipuo di una Carta costituzionale.

TAVIANI, Relatore, ricorda che nella relazione dell’onorevole Pesenti si dice: «Lo Stato riconosce, garantisce, tutela la proprietà ecc.».

Sulla seconda esigenza è più acuto il dissenso fra gli onorevoli Pesenti, Dominedò e Fanfani da una parte, Lombardo e Colitto dall’altra, mentre c’è possibilità di accordo con l’onorevole Corbi e l’onorevole Assennato. Si tratta della necessità che la legge, nel fissare i modi, tenga presenti alcuni scopi. Che la legge debba fissare i modi è una necessità che tutti riconoscono; ma, come già nella questione del diritto al lavoro e in quella dell’assistenza e previdenza sono stati fissati gli orientamenti e gli scopi ai quali la legge deve tendere, così anche in questo campo nel fissare le norme specifiche chiede che siano fissati questi scopi.

Primo punto: la proprietà privata non ha solo una funzione personale, ma anche sociale, che si esplica non solo in senso negativo ma anche in senso positivo; essa deve essere esercitata conformemente all’utilità sociale e al bene comune; e questo lo dice anche la relazione Pesenti. Ciò vuol dire che la proprietà privata deve essere inquadrata in una visione organica della vita economica dello Stato.

Secondo punto: la Repubblica è tenuta a difendere e diffondere la piccola proprietà; questo è affermato dall’onorevole Colitto e dall’onorevole Pesenti. Qui sorge una divergenza con gli onorevoli Assennato e Corbi, i quali dicono che, invece della piccola proprietà, al fine di favorire i cittadini, si dovrebbe parlare della proprietà cooperativa. Riconosce giusta soltanto in parte l’osservazione. I lavoratori possono essere sottratti allo sfruttamento diffondendo la piccola proprietà, ma anche attraverso la proprietà cooperativistica. Pertanto ritiene che l’accordo possa essere raggiunto su di un articolo di questo tipo:

«Lo Stato riconosce e garantisce il diritto di proprietà privata. Ciascuno deve potervi accedere col lavoro e col risparmio.

«La legge determinerà le norme che ne regolano l’acquisto e il trasferimento, i limiti, le modalità di godimento allo scopo di assicurare che la proprietà privata risponda, oltre che ad una funzione personale, alla sua funzione sociale, nonché allo scopo di difendere e diffondere la piccola proprietà e la proprietà cooperativa».

Ripete che è d’accordo nella sostanza dell’articolo proposto dall’onorevole Giua e che rinuncia, benché a malincuore, alle ragioni etico-filosofiche del riconoscimento; ma quello che non accetta è di eliminare gli scopi che la legge deve tener presenti nel determinare le norme del diritto di proprietà.

Dichiara di accettare in pieno la proposta dell’onorevole Dominedò e di essere disposto ad accettare il primo comma proposto dall’onorevole Lombardo: «La proprietà è riconosciuta e garantita dallo Stato nelle forme e nei limiti stabiliti dalla legge», purché ci sia accanto al termine «proprietà» l’aggettivo «privata».

Sul secondo comma dell’onorevole Lombardo rileva che sta bene dire che «il diritto di proprietà non può essere esercitato contrariamente ecc.», ma manca la parte positiva, e c’è solo quella negativa. È pienamente d’accordo circa il primo comma proposto dall’onorevole Corbi; sul secondo trova discutibile la parola «eventuale»; inoltre fra il primo e il secondo comma manca una parte intermedia.

ASSENNATO prega il relatore di sostituire questa dizione: «La Repubblica riconosce e garantisce il diritto di proprietà privata, purché l’uso di questa non contrasti gli interessi del lavoro e della collettività». Ritiene che a questa richiesta non sarà fatta opposizione.

CANEVARI osserva che nel secondo comma del testo proposto dal relatore sono indicati due scopi: «La legge determinerà le norme che ne regolano l’acquisto e il trasferimento, i limiti, le modalità di godimento allo scopo di assicurare che la proprietà privata risponda, oltre che ad una funzione personale, alla sua funzione sociale, e allo scopo di difendere e diffondere la piccola proprietà e la proprietà cooperativa».

Secondo questa dizione, la difesa deve essere assicurata per raggiungere lo scopo di assicurare che la proprietà privata risponda ad una funzione personale e ad una funzione sociale; ma parrebbe che la piccola proprietà e quella cooperativa non rispondano a questa finalità e quindi non debbano essere difese.

Afferma invece che la legge deve proporsi anche questa difesa, in quanto la piccola proprietà e la proprietà cooperativa possono essere le forme che meglio rispondono a quel determinato fine.

MARINARO è d’avviso che, specialmente dal punto di vista formale, l’emendamento sminuisca il principio del riconoscimento del diritto di proprietà. Ritiene infatti che riconoscimento di tale diritto debba esser fatto in modo reciso e pieno, salvo poi fissare le limitazioni della proprietà per finalità sociali. Invece un riconoscimento condizionato, nel senso che l’uso non sia contrario agli interessi del lavoro e della collettività, costituisce, a suo avviso, un’affermazione vaga, imprecisa e indeterminata: all’atto pratico sarebbe ben difficile stabilire i casi di pieno riconoscimento del diritto di proprietà.

TAVIANI, Relatore, ritiene che la formulazione dell’onorevole Pesenti sia ancora più forte della sua. Infatti nel comma b) si legge che lo Stato riconosce e garantisce la proprietà privata e le iniziative private e che il diritto di proprietà non potrà essere esercitato in contrasto con gli interessi del lavoro.

PRESIDENTE, essendo giunto l’onorevole Giua, prega l’onorevole Taviani di voler ripetere le osservazioni che egli fa alla formulazione da lui proposta.

TAVIANI, Relatore, dichiara di accettare la prima parte dell’articolo proposto dall’onorevole Giua, disposto anche a rinunciare, sebbene a malincuore, alle parole «Ciascuno deve potervi accedere col lavoro e col risparmio». Parimenti a malincuore è disposto a rinunciare alle ragioni etiche e filosofiche del riconoscimento del diritto di proprietà, ma non può accettare la seconda parte del suddetto articolo, in quanto non vengono fissati gli scopi che la legge dovrebbe tener presenti nel determinare le norme che regolano l’acquisto, il trasferimento, i limiti di estensione e le modalità di godimento del diritto di proprietà. Tali scopi sono invece espressi nell’affermazione che la proprietà privata deve rispondere, oltre che ad una funzione personale, alla sua funzione sociale.

PRESIDENTE desidera mettere in rilievo che l’articolo formulato dall’onorevole Pesenti non gli sembra conforme alle dizioni proposte dagli onorevoli Giua e Taviani. Nell’articolo dell’onorevole Pesenti si afferma, infatti, alla lettera A) che «la proprietà è il diritto inviolabile di usare, di godere, di disporre dei beni garantiti a ciascuno dalla legge» ripetendo, in sostanza, l’articolo della Costituzione francese che è stata recentemente respinta. Pertanto l’espressione cui ha fatto prima cenno l’onorevole Taviani, cioè che lo Stato riconosce e garantisce la proprietà privata, è condizionata alla prima parte della formula, nel senso quindi che lo Stato garantisce soltanto i beni che sono consentiti a ciascuno dalla legge. Pertanto l’articolo dell’onorevole Pesenti è piuttosto invocabile per la sua tesi che non per quella dell’onorevole Taviani.

DOMINEDÒ ricorda che, in relazione al comma, vi è anche la proposta dell’onorevole Assennato di aggiungere alla statuizione di principio una causa mediata di limitazione del diritto, nel senso di circoscrivere la proprietà in vista dei fini sociali che essa si deve proporre di raggiungere.

Non vorrebbe ad ogni modo che la Sottocommissione si irrigidisse in questioni formali. Basti pensare che nel caso in cui si eliminasse la seconda parte del l° comma e cioè «Ciascuno deve potervi accedere col lavoro e col risparmio», dopo la statuizione si avrebbe subito la determinazione del fine sociale, avvicinandosi così allo scopo che si prefiggeva l’onorevole Assennato.

In realtà, dal punto di vista logico gli sembra anche corretto che prima si ponga la statuizione ed immediatamente dopo segua la finalità in vista della quale la statuizione è stata fatta.

Poiché gli sembra che tutti possano essere d’accordo su questo concetto, nel 2° comma, dove si specifica la finalità sociale, si potrebbe, a suo avviso, maggiormente svolgere il concetto che l’onorevole Taviani ha formulato forse in forma troppo ristretta, inserendo l’aggiunta proposta dall’onorevole Assennato, opportunamente ritoccata nel senso di parlare piuttosto che di «uso» di «godimento», espressione più comprensiva e comunque più esatta trattandosi qui del diritto e non del suo oggetto. Parimenti nel 2° comma, come sono unite dalla congiunzione «e» le parole «l’acquisto e il trasferimento», così collocherebbe con la stessa congiunzione le parole «i limiti e le modalità», per accentuare il distacco esistente tra i due concetti.

Dichiara poi di condividere le osservazioni dell’onorevole Canevari, perché altro è la determinazione dello scopo immediato del riconoscimento del diritto di proprietà, altro è l’enunciazione di uno scopo mediato, di una finalità, cioè, che si prospetta in un secondo tempo. Trattasi di due elementi che non possono essere posti sullo stesso piano di omogeneità, perché l’uno rappresenta un fine attuale, l’altro una eventualità futura.

A proposito dell’ultima parte del 2° comma, rileva che il termine «difesa» è un concetto comune a tutte le forme di proprietà. Per le particolari forme di proprietà ivi contemplate, preferirebbe non parlare di «difesa», perché in tal modo si potrebbe dare l’impressione di una mancanza di difesa nei confronti delle altre forme di proprietà. Si limiterebbe, per tanto, a parlare di «diffusione», termine assai più ampio che presuppone anche quello più circoscritto di «difesa». Formulerebbe quindi l’ultima parte nella seguente maniera: «A tal fine sarà diffusa la piccola proprietà e la proprietà cooperativa».

Per quanto concerne le osservazioni svolte dall’onorevole Ghidini, si permette insistere sul concetto che il diritto di proprietà in sé e per sé deve essere riconosciuto e garantito dalla Carta costituzionale, mentre è logico che al Codice spetti di attuare nella sua concretezza la disciplina dell’istituto garantito costituzionalmente. Non gli sembra d’altra parte che tale tesi contrasti con la formulazione Pesenti, la quale nell’articolo 1 parla di garanzia, non tanto in relazione al diritto di proprietà, quanto ai singoli beni che possono essere oggetto del diritto stesso: e ciò è tanto vero che la stessa relazione accede quindi nel successivo articolo 2 a questo concetto con una formulazione più rigorosa: «Lo Stato riconosce e garantisce la proprietà privata».

GIUA fa innanzi tutto rilevare che se la Repubblica garantisce il diritto di proprietà privata, nella garanzia è implicito anche il riconoscimento. L’espressione «riconosce» usata nel 1° comma gli sembra pertanto un’affermazione di principio che non lo soddisfa dal suo punto di vista. Anche l’espressione usata alla fine del 2° comma: «allo scopo di difendere e diffondere» non ritiene che sia tale da essere inserita in una Carta costituzionale, specialmente per quanto concerne la funzione che lo Stato avrebbe di diffondere la piccola proprietà e la proprietà cooperativa. In tutte le Costituzioni, infatti, forse tranne che per la russa, lo Stato non ha mai avuto e non ha questa particolare funzione. Crede che nemmeno lo Stato sorto in seguito alla Rivoluzione francese si sia mai prefissa la funzione di diffondere la piccola proprietà. Si tratterebbe, in sostanza, di un concetto che non è più giuridico, ma etico-sociale. In un periodo di transizione come quello che attraversa l’Italia in questo momento, un’affermazione simile egli non ritiene, almeno dal suo punto di vista, che possa essere accettata. È infatti ipotizzabile che in un domani, in seguito ad una riforma agraria, si voglia diffondere al massimo la proprietà cooperativistica e quindi si venga in tal modo ad affermare un principio che sarebbe contrario alla piccola proprietà. Ma se nella Carta costituzionale si stabilisce che lo Stato deve difendere sia la piccola proprietà che la proprietà cooperativa, sorgerà un contrasto di funzioni che avrà senza dubbio sensibili ripercussioni nel Parlamento da parte dei rappresentanti dei piccoli proprietari, che si faranno forti della dizione usata nella Carta costituzionale.

Per questi motivi sopprimerebbe il verbo» diffondere», il quale implica una funzione che non si può attribuire allo Stato, a meno di non voler creare un dualismo, con possibilità di antitesi e lotte di gruppi contrastanti.

MARINARO esprime l’avviso che la prima parte del 2° comma contenga un concetto così vasto da comprendere anche le finalità successive. Pertanto il 1° comma potrebbe terminare alle parole: «alla sua funzione sociale»: nel concetto di funzione sociale il legislatore troverebbe senza dubbio l’appiglio per disciplinare sia la difesa che la diffusione della piccola proprietà e della proprietà cooperativa.

ASSENNATO, per mozione d’ordine, prega di discutere innanzi tutto le modificazioni da apportare alla prima parte dell’articolo.

TAVIANI, Relatore, gli sembra che l’articolo costituisca tutto un complesso organico, le cui parti non possono essere scisse.

ASSENNATO propone di modificare il secondo comma nella seguente maniera: «La legge determinerà le norme che ne regolano l’acquisto, il trasferimento, i limiti e le modalità di godimento in modo tale che l’uso della proprietà risponda alla funzione sociale. Allo scopo di favorire la produzione sarà favorita la proprietà cooperativa e la piccola proprietà».

TAVIANI, Relatore, rispondendo alla obiezione dell’onorevole Giua che lo Stato non ha mai avuto la funzione di diffondere la piccola proprietà, ricorda che spesso lo Stato effettuò lo spezzettamento del latifondo. Gli sembra inoltre strano che sia proprio l’onorevole Gina a non accettare questa funzione dello Stato, dal momento che ha accettato tutte le precedenti posizioni ed orientamenti. Ad ogni modo, per evitare i dubbi ai quali potrebbe dar luogo, a seconda dell’onorevole Giua, l’espressione: «difendere e diffondere», modificherebbe l’ultima parte del secondo comma nel modo seguente: «A tal fine favorirà lo sviluppo della piccola proprietà e della proprietà cooperativa».

L’articolo, non da lui proposto, ma da lui indicato come base di accordo, risulterebbe così formulato: «La Repubblica riconosce e garantisce il diritto di proprietà privata. (Ciascuno deve potervi accedere col lavoro e il risparmio).

«La legge determinerà le norme che ne regolano l’acquisto e il trasferimento, i limiti e le modalità di godimento allo scopo di assicurare che la proprietà privata risponda oltre che ad una funzione personale, alla sua funzione sociale e di favorire lo sviluppo della piccola proprietà e della proprietà cooperativa».

GIUA preferirebbe che alla fine si dicesse: «A tal fine favorirà lo sviluppo della proprietà cooperativa e della piccola proprietà».

CORBI aggiungerebbe al primo comma la seguente espressione: «Purché non contrasti con l’interesse della collettività e del lavoro».

TAVIANI, Relatore, gli sembra che l’aggiunta proposta dall’onorevole Corbi annulli il riconoscimento del diritto di proprietà. La proprietà infatti deve considerarsi come il diritto di godere delle cose entro i limiti ammessi dalla legge. Fin quando l’individuo non esce da quella sfera, deve avere la possibilità di poter fare tutto quello che vuole. È logico che la legge determini le norme di acquisto, di trasferimento e di godimento secondo determinati scopi, ma ciò non vuol dire che la proprietà debba essere riconosciuta soltanto se non contrasti con l’interesse della collettività e del lavoro. In tal maniera si darebbe la facoltà al potere esecutivo di fissare se la proprietà è usata o meno nel senso suddetto, conferendogli così in definitiva il diritto di abolire la proprietà.

DOMINEDÒ ritiene che l’onorevole Assennato sia d’accordo nel concetto che la specificazione della funzione sociale che delimita il riconoscimento del diritto di proprietà possa portar seco la tutela degli interessi del lavoro e della collettività. Quindi proporrebbe di inserire dopo le parole: «funzione sociale», le altre: «rispondente agli interessi del lavoro e della collettività». Si darebbe così un’esplicazione ulteriore del contenuto della funzione sociale.

PRESIDENTE osserva che c’è differenza fra la proposta di Assennato e il concetto dell’onorevole Dominedò.

ASSENNATO ricorda che nel progetto originario non si accennava affatto alla garanzia dello Stato. Si diceva: «La Repubblica riconosce» e non che il diritto di proprietà è garantito dallo Stato. Quindi con la sua ultima proposta ha inteso fare una concessione.

DOMINEDÒ osserva che la concessione sul piano del presupposto etico è la più forte.

ASSENNATO risponde che il rafforzamento si ha quando si dice che il diritto è garantito dallo Stato. In sostanza, nel tempo in cui si vive, un contrasto sociale può trovare la sua composizione nel fatto che la proprietà sia compatibile con gli interessi del lavoro e della collettività; ed allora si può aderire a trasferire nella Carta costituzionale questo dato di fatto, che l’uso della proprietà sia sempre compatibile con l’interesse del lavoro e della collettività. Aderisce anche a togliere la parola: «purché», ma una statuizione va fatta. Porre la parola: «rispondente», dopo: «funzione sociale» vuol dire fare una subordinata della funzione sociale. «Funzione sociale» è una espressione troppo elastica; per questo chiede la precisazione che l’uso della proprietà deve essere sempre compatibile con l’interesse del lavoro e della collettività. Del resto, questo è già nella coscienza di tutti; non si tratta che di trovare il modo di esprimerlo.

FANFANI chiede che cosa egli intenda con la frase che l’uso della proprietà sia compatibile con gli interessi del lavoro.

ASSENNATO risponde facendo un esempio. Si può metter su una fabbrica per produrre calzature a buon prezzo, ma trattando i dipendenti da negriero. Questo non è compatibile con gli interessi del lavoro. Non è stato detto che la legge stabilirà i limiti della proprietà; si è detto che lo Stato riconosce la proprietà.

PRESIDENTE afferma che dallo svolgimento della discussione si ha la prova di un disaccordo sostanziale. Preferisce pertanto esporre esplicitamente il suo pensiero e le sue finalità. Ha già detto quale sia la sua opinione che non è di marca nettamente individualistica, come ha commentato un giornale del mattino. Per suo conto ritiene opportuno che la Carta Costituzionale lasci la più ampia libertà al legislatore del domani.

Non nega il diritto di proprietà privata; ritiene che la proprietà privata finché c’è, e ci sarà per molti anni, debba essere considerata non solo come interesse personale, ma come un interesse sociale e che perciò lo Stato debba disciplinarla e controllarla. Lo Stato deve intervenire non solo in forma negativa, ma anche in forma positiva disciplinandola e controllandola nell’interesse personale del proprietario e nell’interesse della Società.

Si rappresenta anche la possibilità più o meno prossima che la proprietà assuma delle forme diverse: la proprietà privata non sarà mai cancellata completamente, ma domani potranno consolidarsi nella legislazione e nella prassi forme di proprietà sostanzialmente diverse da quelle di oggi, il cui concetto è nella dizione: «proprietà privata».

In vista di questa possibilità, obbedendo ad un sentimento democratico e liberale, esprime l’opinione che la Costituzione debba consentire ai futuri legislatori di applicare quella che sarà la volontà del popolo, senza che sia necessario modificare la Carta costituzionale o superarla con atto rivoluzionario.

Facendo delle affermazioni in contrasto con quella che potrà essere la volontà popolare, fra dieci anni il lavoro della Commissione sarà stato inutile, perché il popolo lo supererà con un gesto di forza e quindi bisogna preoccuparsi di lasciare al futuro la possibilità di affermarsi con quegli istituti che si riterranno più opportuni.

Pertanto non si può parlare di proprietà privata, come fanno gli onorevoli Colitto, Giua e Dominedò, senza specificazione, come di un istituto il quale, anche nella forma attuale, debba avere un carattere di immanenza e di perpetuità. Per proprietà privata si deve intendere solo la proprietà dei mezzi di produzione, e la frase: «garantire la libertà e la personalità» indica una funzione della proprietà dei mezzi di produzione, e anche gli altri commi si. riferiscono precipuamente alla proprietà dei mezzi di produzione. Non intende negare il diritto della proprietà dei mezzi individuali, ma non vorrebbe che si ipotecasse l’avvenire.

Alla stregua di questo concetto democratico, non crede di poter accettare né l’articolo Giua, che dice che la Repubblica garantisce la proprietà privata acquisita nell’ambito della legge, e tanto meno quello dell’onorevole Colitto, col quale si riconosce e si garantisce la proprietà privata. Altrettanto dichiara per quello dell’onorevole Dominedò, che più si avvicina alle proposte del relatore. Considera poi le due proposte degli onorevoli Corbi e Lombardo e vi trova una notevole somiglianza, tanto che non sarebbe alieno dal votare l’una e l’altra.

Riferendosi all’articolo proposto dall’onorevole Lombardo, che dice: «La proprietà è riconosciuta e garantita dallo Stato nei limiti e nelle forme stabiliti dalla legge», aggiunge che questa formula non è conforme allo Statuto Albertino, come ha affermato il Relatore, perché lo Statuto Albertino dice: «Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili»; è invece quasi la copia di una disposizione del progetto francese che è stato poi bocciato, dove si dice: «La proprietà è il diritto di godere e di disporre dei beni garantiti a ciascuno dalla legge». Quanto poi alla frase: «nei limiti e nelle forme», direbbe piuttosto: «nelle forme e nei limiti». Questa formulazione è accettabile, perché lascia libero l’affermarsi di ogni possibilità, quindi è liberale e democratica.

La proposta poi degli onorevoli Corbi e Assennato dice: «La Repubblica garantisce e riconosce il diritto di proprietà privata, purché l’uso di questa non sia contrastante con gli interessi del lavoro e della collettività». Evidentemente questo secondo inciso è condizionato al riconoscimento della proprietà privata, ma lascia libertà di stabilire una forma diversa della proprietà con limiti diversi da quelli di oggi. Per queste ragioni aderisce alle due proposte, come aderirà a tutte le proposte in virtù delle quali si impedisca alla proprietà di venire usata in contrasto con gli interessi legittimi altrui. Occorre attuare oggi, vigendo il sistema della società capitalistica, quelle provvidenze che ne tolgano le asperità, e riservare alle generazioni future il diritto di affermare quanto riterranno opportuno.

CORBI comprende la preoccupazione dell’onorevole Marinaro che venga leso il principio della proprietà; ma non la crede giustificata, in quanto qui non si tratta che di regolare un diritto che esiste, perché venga esercitato nell’interesse della collettività. Occorre guardare all’avvenire per evitare il pericolo di cadere nelle aberrazioni del passato. Perciò ritiene che nella Carta Costituzionale si debbano stabilire non solo il diritto della proprietà, ma anche i fini ai quali deve corrispondere.

Gli onorevoli Dominedò e Taviani hanno mostrato delle preoccupazioni, e il Relatore ha affermato che a malincuore rinuncia a certe premesse di carattere ideologico. Ritiene che queste preoccupazioni non abbiano ragione di essere, quando in maniera più chiara e più precisa si esprima lo stesso pensiero, affermandosi che il diritto di proprietà non deve essere in contrasto con l’interesse del lavoro e della collettività. Si risponde in questo modo a quei fini etici che sono stati indicati dai due colleghi.

Dichiara che accetta la parte formulata dal Relatore e quella dall’onorevole Lombardo; ma, mentre quella proposta dall’onorevole Lombardo l’accetta così come è, vuole meglio specificare quella proposta dal Relatore.

Propone pertanto la seguente specificazione:

«Allo scopo di impedire che essa arrechi pregiudizio alla proprietà altrui e contrasti con gli interessi del lavoro e della collettività, per favorire invece la proprietà cooperativa e la piccola proprietà nell’interesse della produzione».

E così sarebbe stata accolta anche la frase suggerita dagli onorevoli Giua e Canevari.

TAVIANI, Relatore, dichiara che le parole dell’onorevole Corbi gli fanno sperare di trovare un piano di intesa, che gli sembrava precluso dalle parole del Presidente.

Nel ringraziare il Presidente per la lealtà e la sincerità della sua esposizione, riconosce che effettivamente, come egli ha messo in chiaro, si era rivelato nella precedente riunione un punto di divergenza tra l’oratore e l’onorevole Corbi.

Si augura, però, che tale punto di divergenza possa essere superato. Se invece si vuole rimanere fermi su una posizione come quella dell’onorevole Ghidini, la quale logicamente deriva dal pensiero di Carlo Marx, unitamente al suo gruppo affermerà a sua volta il pensiero cristiano e la Sottocommissione si presenterà in aula con due relazioni differenti.

L’onorevole Ghidini, nel timore di un’eventuale rivoluzione popolare di domani, desidererebbe lasciare la più ampia libertà al legislatore futuro, mentre l’intendimento del relatore è invece quello di evitare una rivoluzione nel momento presente, come potrebbe aversi se soltanto si lasciasse l’impressione di non riconoscere efficacemente il diritto di proprietà privata. Per quanto riguarda il futuro, se si verificheranno (ma non crede che si verificheranno mai) le condizioni a cui ha fatto cenno l’onorevole Ghidini, vale a dire tali che non sussista più alcuna proprietà privata, a maggior ragione vi sarà la possibilità di modificare la Costituzione senza ricorrere ad una rivoluzione. Infatti, un mutamento simile sarebbe di tale importanza che non inciderebbe solo nel campo della proprietà privata, ma su tutti gli altri istituti e sulla natura stessa dell’uomo che sarebbe improvvisamente diventato perfetto.

Su di un punto ammette possibile la discussione, cioè sulla interpretazione individualistica della posizione del Presidente. Se i colleghi della Sottocommissione lo desiderano, si dichiara lieto di entrare in argomento. Fa però osservare all’onorevole Ghidini che non gli sembra possibile passare da una proprietà individuale ad una proprietà collettiva, senza la fase intermedia della proprietà organizzata nell’ambito sociale.

Conclude ripetendo che se si insiste a mantenersi ognuno sul proprio piano, senza sforzarsi di trovare un punto comune, non rimarrà altro che chiarire le posizioni rispettive e prenderne atto.

GIUA dichiara di accettare la proposta dell’onorevole Corbi, con le modificazioni di forma dell’onorevole Taviani, anche perché si stabilisce il criterio che deve seguire di guida in questa Costituzione, vale a dire il criterio storicista, nel senso di non fare una Carta costituzionale astratta, ma in relazione alle condizioni sociali attualmente esistenti in Italia.

Però, poiché il Presidente lo ha messo in uno con l’onorevole Taviani, desidera spiegare la sua posizione che lo ha portato fin dall’inizio a non fare affermazioni sue personali di principio che non avrebbero potuto essere accolte dalla maggioranza dei componenti della Commissione. Se il suo partito avesse avuto la preponderanza nella Costituente, ben diverso sarebbe stato il suo atteggiamento; ma, data la situazione attuale, fare dichiarazioni di principio costituirebbe un lavoro perfettamente inutile. È suo desiderio, invece, far sì che dalla Costituente venga fuori una Carta costituzionale che possa essere accettata da tutti, in modo che il lavoro di ricostruzione del popolo italiano sia facilitato nell’ambito di questo comune accordo.

Vuole, infine, fare una dichiarazione, in famiglia, al Presidente, in relazione all’affermazione che col lasciare libertà al legislatore, si possa arrivare, attraverso successivi adattamenti, fino al raggiungimento dell’ideale socialista. Personalmente invece si trova nella stessa posizione in cui si trovava nel ’56 Carlo Marx che, nella sua opera «La miseria della filosofia», combattendo Proudhon, che si trovava quasi sullo stesso piano dell’onorevole Ghidini, affermava che per passare dal concetto di proprietà individuale a quella collettiva doveva essere necessario un conato rivoluzionario; ciò vuol dire che per attuare il trapasso dalla proprietà individuale a quella collettiva sarà necessario un atto di forza. Non può quindi credere all’evolversi della proprietà attraverso successive graduazioni; e pertanto, volendo da un lato rimanere nella storia e dall’altro fare una Costituzione per il popolo italiano, dichiara di accettare, come democratico, il concetto contenuto nella formulazione degli onorevoli Corbi e Taviani.

ASSENNATO aderisce e fa sua la proposta dell’onorevole Corbi.

PRESIDENTE dichiara che non ha inteso con le sue osservazioni affermare il principio della proprietà statizzata e socialista, ma ha inteso, puramente e semplicemente, di lasciare libertà a tutti di trasfondere negli istituti la volontà non solo presente, ma anche quella che sarà nel futuro. La Carta costituzionale, a suo avviso, ha un duplice scopo: in primo luogo di sbarrare la strada ad un ritorno del passato ed essere la consacrazione di tutte le conquiste fatte fino ad oggi; in secondo luogo di provvedere nel tempo stesso per l’avvenire, non nel senso di determinare particolari forme od istituti, ma nel senso di non pregiudicare in nessun modo la volontà futura del legislatore. Per questo motivo non ha proposto un articolo in cui si sancisse che la proprietà privata dovrà cessare ed essere sostituita dalla proprietà collettiva, ma si è limitato ad aderire al seguente concetto dell’onorevole Lombardo: «La proprietà è riconosciuta dallo Stato nella forma e nei limiti stabiliti dalla legge», che in sostanza riproduce la formula che è stata consacrata nell’ultimo progetto di Costituzione francese.

Nel pregare che non gli si attribuiscano proposte e intenzioni che non ha manifestate, si dichiara convinto di non essere fuori del presente, ma anzi di rimanere nella storia attuale, pur non tralasciando il futuro.

FANFANI ha sentito fare cenno ad articoli di giornali relativi a problemi in discussione. Poiché non è la prima volta che si approfitta della stampa per turbare la serenità esistente tra i membri della Sottocommissione, si permette di pregare i colleghi, a qualunque opinione o gruppo appartengano, di avere la pazienza di commentare gli articoli soltanto dopo che siano stati approvati, senza interferire sui lavori in corso con apprezzamenti che potrebbero essere antipatici.

PRESIDENTE è perfettamente d’accordo con l’onorevole Fanfani, tanto più trattandosi di opinioni che sono suscettibili di modificazioni.

FANFANI, premesso che aderisce all’idea che gli articoli della Costituzione non debbano scendere in troppi particolari, desidera fare una proposta non di carattere sostanziale, ma formale, nel senso, cioè, di trovare per l’articolo una forma più stringata.

Essendo convinto che alcune espressioni non siano più proprie né dell’una, né dell’altra teoria, ma abbiano acquistato diritto di cittadinanza nel comune linguaggio e possano perciò ritenersi sufficientemente significative, anche per sgombrare il campo nel senso accennato dal Presidente, propone la seguente formula:

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato».

«La legge ne determinerà i limiti di estensione, i modi di acquisto, di uso e di trasferimento, anche a titolo ereditario, allo scopo di farla adempiere alla sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».

Insiste in modo particolare sulla espressione: «anche a titolo ereditario», rinviando ad altro articolo quanto concerne la facoltà di esproprio.

PRESIDENTE non ritenendo possibile ultimare l’argomento nella mattinata, propone di rinviare la contraddizione della discussione al giorno successivo alle ore 9.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 12.30.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Rapelli, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Colitto, Lombardo, Molè, Noce Teresa.

Assente: Paratore.