Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

18.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà e intrapresa economica (Seguito della discussione)

Presidente – Taviani – Corbi – Noce Teresa – Dominedò – Marinaro – Fanfani – Canevari – Colitto – Assennato.

La seduta comincia alle 10.45.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà e sulla intrapresa economica.

PRESIDENTE, premesso che la discussione verterà oggi sul problema dell’indennizzo, rileva che, come già ebbe a precisare altra volta, questo problema non va posto nei riguardi dell’impresa, per la quale, trattandosi di un processo produttivo, non si può prevedere un caso di abbandono. È anche molto difficile non solo a verificarsi, ma specialmente ad accertarsi, il caso di una impresa acquistata con mezzi illeciti. Il problema invece si pone nei confronti della proprietà, per la quale, però, dovrà considerarsi il caso – e qui si potrà arrivare ad una precisazione – in cui l’indennizzo non sia assolutamente dovuto.

TAVIANI conferma quanto ha detto in proposito nella seduta di ieri. Concorda col Presidente che la questione dell’indennizzo deve porsi soltanto in sede di proprietà statica. Rileva a questo proposito che l’esproprio può eseguirsi soltanto nei confronti di una proprietà e non di una iniziativa; si espropria, cioè, un bene. Si dichiara favorevole alla forma dell’esproprio mediante indennizzo ed ha aderito a togliere l’aggettivo «equo» onde evitare il pericolo di contestazioni da parte di privati sulla entità dello indennizzo stesso. Non concorda però col Presidente per quanto riguarda l’esproprio senza indennizzo delle proprietà male acquistate; in questi casi non si ha tanto un esproprio quanto un mancato riconoscimento della formazione della proprietà. Se la proprietà è formata dalla cattiva speculazione, la società non deve espropriarla, ma addirittura non riconoscerla. Può sorgere la obiezione sul modo come accertare queste condizioni di fatto, ma a questo proposito osserva che, se non si hanno i mezzi per non riconoscere la proprietà, tanto meno si potranno avere per espropriarla senza indennizzo. Il problema consiste nel dare la possibilità allo Stato di intervenire nella sorveglianza della formazione della proprietà; una volta però che la proprietà è formata e quindi riconosciuta, l’esproprio deve avvenire dietro indennizzo.

Si obietta pure che una tale concezione dell’esproprio possa avere conseguenze gravi nei riguardi della riforma agraria, specie per quanto riguarda le grandi proprietà formatesi almeno da tre o quattro secoli e per le quali non è possibile stabilire se la loro formazione sia avvenuta giustamente o ingiustamente. Volendo dare un indennizzo a questi proprietari in caso di esproprio, si verrebbe a frustrare la stessa riforma agraria. Risponde anche a questa obiezione osservando che, anzitutto, soccorrono i mezzi fiscali, primo fra tutti l’imposta straordinaria sul patrimonio; in secondo luogo, in questo caso il termine indennizzo, senza l’aggettivo «equo», ha un senso preciso che si riallaccia a quanto venne praticato, nelle riforme agrarie dell’altro dopo guerra, calcolando il valore dei terreni nella moneta prebellica, senza tener conto della svalutazione. Questa non è affatto una finzione, ma l’applicazione di un principio di giustizia, in quanto si viene a colpire la rendita fondiaria – profondamente ingiusta – e non l’interesse che, contrariamente a quanto afferma il Proudhon, è perfettamente giustificato e legittimo. In altre parole, ingiusto non è l’affitto ma quel soprappiù, la rendita, che i proprietari percepiscono senza aver nulla fatto, avvantaggiandosi soltanto – ecco l’ingiustizia – delle congiunture, della carestia e delle vicende monetarie, le quali aumentano fino a proporzioni elevatissime il valore della terra. È proprio questo valore che lo Stato non deve considerare, calcolando la proprietà terriera al valore di cinque o sei anni fa; così facendo, si potrà benissimo dare l’indennizzo.

Per tali considerazioni propone che rimanga l’espressione: «esproprio contro indennizzo».

PRESIDENTE rileva che occorrerà sempre aggiungere: «salvo i casi tassativamente disposti dalla legge».

CORBI osserva che nulla ha da aggiungere a quanto sull’argomento ha detto in altra occasione; si associa alle considerazioni del Presidente, proponendo che l’articolo sull’esproprio tenga conto dell’indennizzo, salvo i casi tassativamente fissati dalla legge. Considera giuste le osservazioni dell’onorevole Taviani, almeno da un punto di vista teorico; ma praticamente non sono applicabili, in quanto sarebbe molto difficile considerare il modo di formazione della proprietà e comunque si impiegherebbe tanto tempo da frustrare e le legittime aspettative del Paese e gli stessi interessi economici della Nazione.

NOCE TERESA non concorda con le osservazioni dell’onorevole Taviani per quanto riguarda il non riconoscimento della proprietà male acquistata. Che cos’è in altre parole questo non riconoscimento se non un esproprio? Porta l’esempio dei beni male acquistati dai fascisti durante il ventennio: in questo caso lo Stato confisca, cioè si ha un’equiparazione fra espropriazione e non riconoscimento del diritto.

Osserva che l’indennizzo deve essere riconosciuto per quei casi in cui la proprietà ripeta le sue origini da un titolo illegittimo e conclude associandosi alle proposte del Presidente.

DOMINEDÒ vorrebbe eliminare tali preoccupazioni, che pure appaiono legittime anche dal punto di vista etico, osservando che, a suo avviso, l’ordinamento giuridico già fornisce i mezzi per contemplare le eventualità che giustamente toccano l’animo della collega Noce, come quello di tutti.

Due sono le ipotesi: o la proprietà è stata acquistata ed usata in correlazione alle norme che l’ordinamento giuridico prevede ed alle finalità sociali cui essa deve ispirarsi, quivi compresa quella funzione che è stata inserita nella Carta costituzionale come elemento costitutivo del diritto, ed allora, nel caso in cui la proprietà privata debba essere colpita per esigenze di pubblico interesse, spetta sempre l’indennizzo pieno; o viceversa, manca questo presupposto, come nei casi di acquisizione indebita, ed allora la stessa Carta costituzionale già offre l’arma per colpire, perché, mancando il presupposto enunciato come elemento costitutivo, è venuto meno, con la socialità del diritto di proprietà, lo stesso titolo della sua piena protezione, che non può non influire sulla misura dell’indennizzo o forse sullo stesso diritto all’indennizzo.

Peraltro, le formazioni illecite di cui si fa da altri parola, possono essere colpite e sono già state colpite con norme speciali, che attengono ad un concetto giuridicamente diverso, quale quello della confisca.

Cosicché, le ipotesi eccezionali trovano sempre possibilità di essere contemplate nell’ordinamento giuridico, il quale, dalla sede fiscale, ordinaria o straordinaria, fino all’ipotesi massima della confisca, può offrire gli strumenti, secondo i principî generali, per colpire ogni illiceità. Si preoccupa soprattutto di preservare la proprietà sana. Ora, il principio per cui la Carta deferirebbe alla legge la determinazione dei casi in cui l’indennizzo spetti o non, ferirebbe, proprio in linea di principio, quell’esigenza di difesa della proprietà normale, che qui si tiene presente. Quindi si avrebbe il danno senza il vantaggio.

Ecco il pericolo inerente alla proposta di abdicare alla disciplina in sede costituzionale, rinviando alla legge un principio che è connesso inscindibilmente alla tutela del diritto di proprietà, inteso nella sua completezza etica e giuridica.

Desidera, sì, venire incontro alle esigenze espresse dalla collega Noce, ma esprime la convinzione che l’ordinamento giuridico offra i mezzi sufficienti al fine; mentre, deferendo alla legge la concessione o meno dell’indennizzo, si potrebbe incrinare l’istituto della proprietà in sede normale.

PRESIDENTE non ritiene che la dizione «salvo i casi tassativamente espressi» incrini il principio della proprietà, quando essa è legittima. Anzi, direbbe che è il contrario, per il fatto stesso che, se si crea un’eccezione, si conferma la regola, non la si indebolisce.

Sull’osservazione dell’onorevole Dominedò che l’ordinamento giuridico soccorre ugualmente, indipendentemente da una dichiarazione che venga fatta nella Carta costituzionale, non crede che esista in proposito una disposizione generale. Se l’onorevole Dominedò si riferisce alla confisca, questa nel nostro ordinamento ha caratteri nettamente delimitati. Dovremmo concepire questo istituto diversamente di come è configurato nella nostra legislazione. Oggi la confisca, com’è regolata dalla legge, non consente di arrivare all’espropriazione senza indennizzo nei casi enunciati. Oggi si arriva alla confisca in base all’articolo 240 del Codice penale od in base a leggi speciali: c’è la confisca, per esempio, in materia di contrabbando ed in casi consimili. L’istituto giuridico della confisca è solo disciplinato, salvo errore, nel Codice penale, il quale dice che la confisca è un accessorio della condanna penale, salvo che si tratti di cose che non possono essere né acquistate, né alienate, né detenute, ecc.

In sostanza non trova nella nostra legislazione la possibilità di addivenire all’esproprio senza indennizzo, se non in quanto lo si dica; ed il dirlo non ferisce il principio, che è di giustizia, che, una volta riconosciuta legittima la proprietà privata, la sua espropriazione debba avere per corrispettivo un indennizzo, anzi un giusto indennizzo.

L’aggiunta che propone, riferibile alla proprietà statica, conferma la regola e risponde al sentimento comune, perché tutti sono di questo ordine di idee.

DOMINEDÒ rileva che qui è in giuoco un problema più largo della mera ipotesi di confisca. Comunque la figura della confisca senza condanna è precisamente contemplata dalla legge per l’avocazione dei profitti di regime.

PRESIDENTE osserva che ciò avviene per legge speciale, ma che non c’è una legge generale.

DOMINEDÒ rileva che evidentemente le leggi speciali possono essere emanate in correlazione ad un principio generale.

MARINARO osserva che è sempre una sanzione, anche in quel caso. La legge ha carattere punitivo.

DOMINEDÒ aggiunge che occorre tener presenti alcuni precedenti esteri, quale quello della riforma agraria lituana, la quale ha determinato l’ammontare dell’indennizzo decurtando il valore della rendita ricardiana.

FANFANI richiama l’attenzione sul fatto che il discorso avviato dal Presidente porta a questo interrogativo: per caso si ritiene che la proprietà soltanto in alcuni casi debba essere riconosciuta come legittima ed in altri casi occorra fare tutto un lungo processo per accertare la legittimità o meno della sua accumulazione?

Si domanda se, per caso, questo si debba fissare nella Costituzione, e cioè dire che da oggi si determina una revisione generale delle proprietà. Per quelle che riceveranno il brevetto di legittimità, si procede secondo l’esproprio con indennizzo: le altre cadono.

MARINARO osserva che è inconcepibile che l’autorità amministrativa debba, di volta in volta, quando procede all’espropriazione, indagare sulla legittimità o meno della proprietà.

CANEVARI rileva che il Presidente nella sua proposta ha accennato ai fatti che potrebbero indurre a non corrispondere nessun indennizzo. Se non si accenna, sia pure sommariamente, alla natura di questi fatti, si lascia nell’animo il dubbio che l’indennizzo possa essere anche non corrisposto per altre ragioni. Questo è il dubbio sollevato dai colleghi. E perché allora non si cerca di chiarire questo punto?

A questo scopo proporrebbe la dizione: «salvo contrarie disposizioni di legge per i casi di inadempienza alle finalità prescritte e acquisti o arricchimenti ingiustificati», che fisserebbe fin da ora i casi nei quali la legge deve intervenire, per non corrispondere quell’indennizzo, o perché la proprietà non corrisponde alla sua finalità o perché si tratta di arricchimento ingiustificato.

PRESIDENTE, dichiarandosi d’accordo riguardo alla proprietà male acquistata, chiede quali sarebbero i casi di inadempienza.

CANEVARI cita, per esempio, la terra non coltivata, che non risponde alla sua finalità.

PRESIDENTE fa rilevare che il Codice civile prevede il caso dell’abbandono, per il quale è comminato l’esproprio; però mantiene l’indennizzo, il che è contradditorio. Quindi, l’inadempienza è prevista.

CANEVARI trova giustificata la disposizione dell’attuale Codice, perché anche quando un podere è abbandonato, espropriandolo si porta via una ricchezza e l’indennizzo sarà limitato. Ma che quella proprietà rappresenti un bene, dal quale il proprietario non trae profitto e profitto invece ne può trarre la collettività, non induce la collettività a non pagare niente. Ammette anche che non si debba corrispondere l’indennizzo, come castigo al proprietario, il quale non fa fruttare la sua terra in relazione ai bisogni della collettività, in quanto non accettando tale principio difficilmente si potrebbe contestare il diritto del proprietario, che abbandona la sua terra, ad avere l’indennizzo, sia pure limitato.

Se si considera che un terreno rappresenta un mezzo di produzione di altra ricchezza, per cui debba essere corrisposto un indennizzo limitato, in questo caso il diritto non può essere negato. Può essere negato soltanto quando si ammette che intervengono considerazioni di ordine sociale.

COLITTO esprime l’avviso che, ove si proceda ad espropriazione di beni, quale ne sia la natura, occorre dare un equo indennizzo. Ritiene che all’indennizzo occorra far cenno sia nell’articolo che si occupa della proprietà, sia nell’articolo che si occupa dell’impresa, giacché, parlandosi anche in tale secondo articolo di beni singoli e di complessi produttivi, potrebbe sorgere il dubbio, ove non si parlasse anche in esso di indennizzo, che potrebbe senza indennizzo aver luogo quella devoluzione di beni di cui si parla in detto secondo articolo.

Non ritiene, poi, che si possano fare eccezioni. L’autorità amministrativa, infatti, non può ricercare la provenienza di beni che, in difetto di sentenze di magistrati o di altri organi all’uopo dalla legge incaricati, non potrebbero non essere considerati legittimi. Si aprirebbe evidentemente la via a possibili arbitri. Se non è l’autorità amministrativa che interviene e chi invoca l’indennizzo è il titolare del diritto di proprietà, le parole «salvo i casi», che il Presidente vorrebbe aggiungere, sarebbero, a suo avviso, del tutto inutili.

MARINARO si associa pienamente alle considerazioni fatte dall’onorevole Colitto, ed osserva che, fra la formula suggerita dal Presidente Ghidini e quella proposta dall’onorevole Canevari, riterrebbe preferibile, in ogni caso, la seconda, poiché mentre la formula Ghidini darebbe la possibilità ai più larghi arbitrî, specialmente dal punto di vista politico, quella Canevari delimiterebbe e preciserebbe in certo qual modo il campo di applicazione della facoltà di non indennizzare l’espropriato; salvo naturalmente ad indicare con precisione i casi di non indennizzo.

Indipendentemente dalle considerazioni che precedono, propone che rimanga fermo l’articolo sulla proprietà così come è stato votato, e che, per quanto riguarda la socializzazione dell’impresa, sia esplicitamente prevista la corresponsione di un equo indennizzo, anche sotto il profilo dell’avviamento commerciale ed industriale dell’impresa stessa.

PRESIDENTE ritiene che l’indennizzo per quanto riguarda l’impresa si possa sempre aggiungere.

ASSENNATO desidera far notare che sul preambolo della relazione dell’onorevole Taviani, ossia sull’origine della proprietà come «frutto del lavoro e del risparmio», tutti erano d’accordo per eliminarlo allo scopo di evitarne le conseguenze, e cioè dei processi diabolici sull’origine della proprietà. Questo però non toglie che vi possano essere ragioni di espropriazione senza indennizzo dello Stato.

Un esempio di ciò può essere offerto dal testo di pubblica sicurezza e da analoghe disposizioni anche di legislazioni straniere. Lo Stato in ogni momento, quando vede che un individuo ha un certo tenore di vita senza svolgere alcuna attività giustificata, può chiedere conto o sull’origine delle sue proprietà o sul lavoro che compie. Questo è uno dei casi in cui potrà essere disposta l’espropriazione senza indennizzo. È sempre un esproprio anche se manca originariamente la legittimazione della proprietà. Altra ragione per la quale ha aderito alla liquidazione di quel preambolo, è perché vi sono attività illecite, che lo Stato riconosce, come ad esempio quella del tenutario di una casa di piacere o di una casa da giuoco. Negare ai titolari il diritto di proprietà è atto assai ingenuo, essendo agevole eludere il divieto: perciò quello che interessa è di lasciare la possibilità allo Stato di espropriare, quando il cittadino non giustifichi dove abbia attinto le sue ricchezze o il suo modo di vivere. Ritiene quindi che non si possa, in sede di Costituzione, stabilire un disposto da testo di pubblica sicurezza e che si debba lasciare alla legge di stabilire i singoli casi, come ha proposto il Presidente.

MARINARO osserva che c’è la legge sulla pubblica sicurezza, la legge sui beni demaniali, sugli usi civici, ecc., che già prevedono e regolano tutti i singoli casi. Perché si deve allora includere una così grave limitazione in una materia così delicata?

ASSENNATO, circa l’aggiunta dell’aggettivo «equo» alla parola «indennizzo», osserva che basta ricorrere alla legge di Napoli di espropriazione per espropriare senza l’equo indennizzo. In realtà l’orientamento della società moderna è di espropriare con indennizzo lievissimo, anche non adeguato, spesso simbolico. In Italia lo Stato, quando vede che l’indennizzo può essere molto pesante dice: «Applico la legge di Napoli anche se ora esproprio a Torino». Quindi è vano impegnarsi con un «equo» che poi non risponde e non deve rispondere.

FANFANI, lasciando impregiudicato per il momento il problema della corresponsione dell’indennizzo in tutti i casi o soltanto in casi determinati, ritiene che, dato che si è parlato di indennizzo nell’articolo relativo alla proprietà, non si possa non parlarne anche in quello relativo all’impresa; tanto più che il quarto comma dell’articolo sull’impresa, a suo modo di vedere, presenta qualche imperfezione. Sembrerebbe infatti da questo articolo che la legge devolva allo Stato solo l’esercizio. E la proprietà a chi resta? Così come è formulato l’articolo, la proprietà resterebbe all’originale detentore; però se l’impresa venisse messa sotto tutela ed un ente pubblico la esercitasse a suo arbitrio, si avrebbe il curioso effetto che il rischio dell’errore commesso dall’ente ricadrebbe sul proprietario.

Così stando le cose, c’è da domandarsi se l’articolo precedente sulla proprietà non debba essere coordinato con questo, in quanto si sta disciplinando lo stesso oggetto in due articoli diversi, perché nell’articolo precedente, terzo comma, si era parlato di complessi produttivi. Dato che precedentemente era stato formulato l’articolo sulle imprese, proprio in vista di un coordinamento, è opportuno che in sede di revisione di questo articolo si tenga presente che forse dovrà dirsi che la legge deve o può espropriare mediante indennizzo, devolvendo la proprietà e l’esercizio, o fare un’altra precisazione in proposito circa la proprietà e l’esercizio.

Ad ogni modo, forse l’articolo è un po’ troppo sintetico per poter comprendere tutti i casi che l’esperienza e la pratica dell’ultimo decennio ha profilati. Evidentemente, nell’esercizio diretto ed indiretto, vi è un’allusione molto imperfetta al sistema delle società miste. Ritiene quindi che, nell’ipotesi che in una forma o nell’altra, migliorando l’articolo e studiando meglio il comma, si arrivi ad includere l’espressione «mediante indennizzo», anche in tal caso riaffiori il problema posto dal Presidente per l’articolo precedente. Pensa che una prima conclusione della discussione porti uniformemente tutti a concludere che, nel caso che la proprietà sia legittimamente acquisita (cioè secondo le norme di legge), l’indennizzo debba essere pagato. Sorge allora l’altra ipotesi della proprietà detenuta contro la legge.

DOMINEDÒ osserva che in tal caso non si tratta di diritto di proprietà.

FANFANI, facendo l’ipotesi che la Costituzione fosse all’origine del nostro ordinamento giuridico e che gli italiani per la prima volta si fossero consociati per stabilire la regolamentazione della proprietà, pensa che avrebbero detto: «In caso di proprietà che si ritiene illegittimamente detenuta non si ha l’indennizzo». È vero o non è vero che una Costituzione, nascendo in un determinato ambiente giuridico, tende a riconsiderare tutto l’ambiente giuridico? In questa ipotesi è male che nella Costituzione vi sia un comma il quale preveda che l’indennizzo resti stabilito e commisurato al valore economico in tutti i casi in cui non c’è discussione circa la detenzione legittima di questi beni? Concludendo la sua ipotesi – imperfetta dal punto di vista giuridico – propone di inserire, dopo l’articolo precedente sulle imprese e dopo l’antecedente sulla proprietà, un articolo così formulato:

«Per quanto disposto nei precedenti articoli in merito all’indennizzo in caso di esproprio, resta stabilito che l’indennizzo, salvo la provata, illegittima origine del bene espropriato, è determinato dalla legge in misura proporzionata al valore economico del bene al momento dell’esproprio».

DOMINEDÒ deve nuovamente far notare che non è probante sollevare eccezione per il caso di illegittima origine del bene, perché, a rigore, non è concepibile una proprietà che sorga contro la legge.

MARINARO desidererebbe che l’onorevole Taviani precisasse il suo pensiero, perché ieri ha avuto l’impressione che egli non fosse, in linea di principio, contrario all’indennizzo anche per quanto riguarda le imprese. Se ben ricorda, l’onorevole Taviani aveva sostenuto che siccome l’indennizzo è stato previsto in tema di proprietà, e poiché si tratta, più che altro, di espropriare sostanzialmente la proprietà, è superfluo parlare anche in questa sede di indennizzo; al che egli aveva osservato che il fatto di non parlare in questa sede di indennizzo potrebbe creare un equivoco, nel senso che l’interprete della legge potrebbe ritenere che, siccome in tema di proprietà è stato previsto l’indennizzo ed in tema di imprese no, si sia voluto di proposito escluderlo per l’impresa. Di guisa che riteneva che non parlarne in questa sede significasse aggravare la situazione e soprattutto creare un pericoloso equivoco. Ma se tutti sono d’accordo sulla sostanza, sul principio cioè che l’indennizzo sia dovuto, non comprende perché non si debba stabilire esplicitamente che l’espropriazione delle imprese può aver luogo soltanto contro indennizzo.

TAVIANI precisa che era contrario a parlare dell’indennizzo nell’articolo sulle imprese, in quanto in esso non si parla di espropriazione, mentre è favorevole a parlarne nell’articolo sulla proprietà, dove si parla di espropriazione. Se con l’aggiunta proposta dall’onorevole Fanfani, di cui comprende l’importanza ed il valore, si parla di espropriazione anche in questa sede, allora si dichiara d’accordo sulla parola «indennizzo», che va aggiunta ogni volta che si parla di espropriazione.

Venendo all’articolo proposto dall’onorevole Fanfani, gli sembra strano che sia stato accolto con tanto favore. È d’accordo sulla dizione: «salvo la provata illegittima origine del bene espropriato», nel qual caso non spetta l’indennizzo. È invece contrario alla frase: «l’indennizzo deve essere determinato dalla legge in misura proporzionata al valore economico del bene al momento dell’esproprio», in quanto impedirebbe di fare la riforma agraria; perché, come più sopra ha già spiegato, se si vuole fare tale riforma, si deve indennizzare la terra non in base al valore che essa ha in questo momento.

COLITTO afferma che non gli sembra il caso di formulare un articolo apposito per l’indennizzo (la Costituente ridurrà al minimo questi articoli e certamente non accoglierà un articolo specifico per l’indennizzo) e pertanto ritiene che sia opportuno inserire detto concetto nell’articolo in cui si parla delle imprese ed in quello che parla della proprietà, con la semplice aggiunta: «salvo indennizzo», o «contro indennizzo».

PRESIDENTE dato che vi è una corrente che vuole la formula con l’indennizzo puramente e semplicemente, riservando alla legislazione ordinaria di determinare i criteri in base ai quali si dovrà indennizzare il bene espropriato, e che ve ne è un’altra, la quale, pur ritenendo che come regola si debba lasciare alla legislazione ordinaria di determinare i criteri in base ai quali si darà l’indennizzo, pensa che si debbano contemplare anche le eccezioni che dovranno essere genericamente o rigorosamente enunciate, pone ai voti i due progetti: il primo riguardante la formulazione generica e il secondo la formulazione completata con l’eccezione.

(Votano favorevolmente la prima formula gli onorevoli Taviani, Dominedò, Federici Maria, Rapelli, Marinaro, Colitto; votano per la seconda formula gli onorevoli Ghidini, Corbi, Assennato, Noce Teresa, Canevari. Astenuto l’onorevole Fanfani).

(È approvata la prima formula proposta).

FANFANI dichiara di essersi astenuto ritenendo che la formula «contro indennizzo» possa essere suscettibile vantaggiosamente di qualificazioni.

Propone poi che nel quarto comma dell’articolo sulla impresa, ieri approvato, dopo le parole «la legge» vengano inserite le altre «o può espropriarla mediante indennizzo, devolvendone la proprietà e l’esercizio allo Stato».

DOMINEDÒ fa presente che, effettivamente, si tratta di devolvere la titolarità della impresa; d’altra parte, in corrispondenza con la relazione Pesenti, si parlava di esercizio diretto o indiretto, intendendosi con questa espressione di comprendere tutte le ipotesi intermedie, evitandone una ulteriore specificazione.

Si chiede se, con la formula del puro e semplice esproprio di ciò che è di pertinenza altrui, resti esclusa l’ipotesi già preveduta nell’articolo sulla proprietà, vale a dire della requisizione per riserva o per titolo originario. Ecco perché si era usata la formula generale del «devolvere».

FANFANI pensa che la formula «esercizio diretto o indiretto» non dica molto o dica troppo e che comunque non sia felice. Ad ogni modo non insiste per la soppressione di queste parole.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta di modificare come segue la seconda parte del quarto comma dell’articolo sull’impresa, già approvato: «…la legge può autorizzare l’espropriazione mediante indennizzo, devolvendone proprietà ed esercizio, diretto o indiretto, allo Stato o ad altri enti pubblici o a comunità di lavoratori e di utenti».

(È approvata).

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo proposto dal relatore Taviani sulla proprietà fondiaria.

«La Repubblica ha il diritto di controllare la ripartizione e l’utilizzazione del suolo, intervenendo al fine di svilupparne e potenziarne il rendimento nell’interesse di tutto il popolo; al fine di assicurare ad ogni famiglia una abitazione sana e indipendente; al fine di garantire ad ognuno – che ne abbia la capacità e i mezzi.– la possibilità di accedere alla proprietà della terra che coltiva. A questi scopi la Repubblica impedirà l’esistenza e la formazione di grandi proprietà fondiarie. Il limite massimo della proprietà fondiaria privata sarà fissato dalla legge».

COLITTO fa presente che nella seduta precedente egli fece una proposta relativamente all’articolo sulla proprietà: propose, cioè, che dove si parla di comunità «di lavoratori», si aggiungesse anche comunità «di datori di lavoro».

FANFANI osserva che quando si parla della comunità di datori di lavoro, si arriva a parlare del Sindacato industriale obbligatorio.

COLITTO dichiara che egli non comprende ancora che cosa si intenda per «comunità», perché per lui non esistono che enti legalmente riconosciuti; ma, poiché si è approvato che nell’articolo si debba parlare di «comunità», egli ritiene che a fianco delle comunità di lavoratori si possano porre le comunità di datori di lavoro. Non comprende come la devoluzione o attribuzione di beni si debba effettuare soltanto a favore delle prime e non anche a favore delle seconde. Propone, pertanto, di modificare l’articolo con una precisazione al riguardo.

FANFANI si dichiara d’accordo con quello che ha detto ieri in proposito l’onorevole Corbi e osserva che la proposta dell’onorevole Colitto snatura completamente il terzo comma e verrebbe a porre un altro problema. Cioè, l’onorevole Colitto domanda indirettamente se, ai fini della utilità collettiva e del coordinamento dell’attività economica, non sia da profilarsi la possibilità che si riserbi ad un determinato gruppo di imprenditori o di proprietari lo sfruttamento.

Sostiene in proposito che la preoccupazione della Sottocommissione su questo comma non era quella di studiare i problemi della razionalizzazione della vita economica attraverso la concentrazione industriale, ma di impedire che gli interessi dei singoli imprenditori prendessero il sopravvento sul criterio di produttività. Ad evitare questo, era stato detto che la sostituzione coattiva di una impresa privata o della libera iniziativa dei singoli produttori privati con la proprietà e la gestione da parte di enti pubblici o di comunità di lavoratori o di utenti, può portare ad un rispetto maggiore di quelle esigenze nel coordinamento dell’attività economica, di quanto si otterrebbe con le forme attualmente invalse.

Quindi, dati i fini che l’articolo si propone, è necessario separatamente richiamare l’attenzione di tutti sulla convenienza di studiare anche il problema del coordinamento attraverso il fenomeno della concentrazione industriale, cioè, dei sindacati industriali obbligatori. Il problema esiste e potrebbe domani presentarsi la necessità di fare qualche cosa del genere in questo campo. Invita pertanto l’onorevole Colitto ad affrontare il problema cercando di esaurirlo in un senso o nell’altro.

ASSENNATO ritiene che il problema sia stato già risoluto con la formulazione approvata, la quale esclude l’oggetto della richiesta dell’onorevole Colitto. D’altra parte si associa al parere espresso già ieri dall’onorevole Corbi.

COLITTO insiste per il completamento dell’articolo ed esprime la sua meraviglia per quello che da altri colleghi si è affermato, quasi che i datori di lavoro debbano essere posti al di fuori dell’attività produttiva della Nazione.

FANFANI non sa se l’onorevole Colitto, con le ultime parole, si riferisse alla sua interpretazione, ma in tale ipotesi sente il dovere di chiarire che non intendeva minimamente mettere al di fuori della comunità nazionale i datori di lavoro, ma affermare che in tutta la formulazione dell’articolo sulla proprietà era stato seguito il principio che l’interesse privato non controllato possa, in determinati momenti, agire anche in senso antisociale.

Si tratta di evitare che gli individui, abbandonati a se stessi, mentre sono fino ad un certo punto artefici del bene sociale, oltrepassandolo possano diventare danneggiatori dello stesso; ed è in questa ipotesi che si devono chiamare a raccolta le forze sociali perché si sostituiscano all’iniziativa privata, e, al momento in cui vi siano inconvenienti, cerchino di ripararvi, sostituendo all’iniziativa di singoli imprenditori privati o a quella del gruppo di imprenditori privati, l’iniziativa pubblica.

COLITTO rileva che artefici del bene sociale sono anche i datori di lavoro, e, poiché nell’articolo si dice che la legge attribuisce i beni ed i complessi produttivi a comunità di lavoratori e di utenti, egli insiste perché nell’articolo si parli anche di «comunità di datori di lavoro».

FANFANI ritiene che nel terzo comma nulla si possa inserire senza snaturarlo.

L’onorevole Colitto può quindi fare un articolo aggiuntivo.

COLITTO afferma che la proposta è stata da lui fatta. Spetta ora ai Commissari di dire sì o no.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Colitto di aggiungere all’articolo sulla proprietà, già approvato, le parole: «comunità di datori di lavoro».

TAVIANI dichiara di votare contro tale proposta, perché non trova che essa abbia sede nell’attuale norma, nel mentre potrà essere esaminato e approfondito nella dovuta sede il tema dei sindacati industriali insieme con gli altri problemi connessi.

(La proposta non è approvata).

PRESIDENTE osserva che rimane da esaminare il terzo articolo sul diritto di proprietà proposto dall’onorevole Taviani nella sua relazione.

TAVIANI, dato che dalla presentazione della sua relazione è passato molto tempo ed è stata fatta in materia un’ampia discussione, ritiene che il testo dell’articolo risulti ormai così ridotto:

«Lo Stato ha il diritto di controllare la ripartizione e l’utilizzazione del suolo, intervenendo al fine di svilupparne e potenziarne il rendimento nell’interesse di tutto il popolo.

«In vista di questi scopi, lo Stato impedirà l’esistenza e la formazione delle grandi proprietà terriere private».

CANEVARI parla per mozione d’ordine. Ritiene che non si possa mettere in discussione la proposta Taviani prima di aver discusso il problema agrario nelle sue grandi linee, in quanto, a suo avviso, è necessario che nella Carta costituzionale siano fatte affermazioni che diano poi luogo ad ulteriore sviluppo nel campo legislativo e portino alla riforma agraria. Propone quindi il seguente articolo:

«L’impresa agricola deve avere di mira il benessere della collettività nazionale e una più alta possibilità di civile esistenza per i lavoratori della terra.

«La legge dovrà promuovere un movimento di trasformazione che, sviluppandosi nel tempo, determini negli uomini, nella politica e nella economia del Paese, le condizioni più favorevoli per conseguire come risultato finale un’agricoltura in via di continuo, progresso, condotta dal lavoro associato per il maggiore benessere dei singoli e della collettività».

PRESIDENTE, data l’ora tarda e l’importanza dell’argomento proposto dall’onorevole Canevari, sospende la seduta, avvertendo che la discussione sarà ripresa nel pomeriggio.

La seduta termina alle 12.35.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Colitto, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Rapelli, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Merlin Angelina, Molè.

Assenti: Giua, Lombardo, Paratore.