ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
TERZA SOTTOCOMMISSIONE
37.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 24 OTTOBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI
INDICE
Diritto di associazione e ordinamento sindacale (Seguito della discussione)
Presidente – Togni – Colitto – Marinaro – Giua – Dominedò – Di Vittorio, Relatore – Fanfani – Lombardo.
La seduta comincia alle 10.45.
Seguito della discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.
PRESIDENTE, dopo avere riassunto la discussione svoltasi nelle precedenti sedute sul tema dello sciopero, dichiara che, prima di dare la parola all’onorevole Di Vittorio, il quale ha chiesto di rispondere alle obiezioni sollevate dai vari oratori, esporrà anche il suo punto di vista, ove non vi siano altri colleghi che chiedano di parlare.
TOGNI ricorda che, alla fine della precedente seduta, aveva formulato una precisa proposta di non inserire nella Carta costituzionale alcun articolo riguardante lo sciopero e che tale proposta, che sembrava raccogliere l’adesione di quasi tutti i Commissari presenti, non era stata posta in votazione per un senso di riguardo verso il Relatore, il quale aveva chiesto di poter rispondere alle osservazioni mossegli. Rinnova quindi la sua proposta al Presidente, perché voglia, dopo aver udito il Relatore, porla ai voti.
COLITTO è d’opinione di non inserire nella Costituzione alcuna affermazione sul diritto di sciopero, essendo convinto che l’uso dell’arma dello sciopero e della serrata sia sempre di grave nocumento all’interesse collettivo. Manifesta inoltre il suo dubbio sull’esattezza dell’affermazione che viene generalmente fatta, che il divieto di sciopero sarebbe incompatibile, nel clima di libertà nel quale viviamo, con quella integrità della umana personalità che deve essere in ogni istante tutelata. Essendo stata riconosciuta la libertà sindacale ed essendovi, nell’ambito delle varie categorie, associazioni di datori di lavoro e di lavoratori che conoscono assai meglio dei singoli la situazione delle aziende e che rappresentano tutti gli appartenenti alle categorie, ritiene che tutte le controversie potrebbero essere definite in un clima di collaborazione dalle associazioni contrapposte, facendosi, ove occorra, ricorso ad arbitrati.
Rileva con soddisfazione che le sue preoccupazioni sono state intimamente sentite anche dalla prima Sottocommissione che ha ritenuto, nell’articolo relativo, di circondare di molte limitazioni l’affermato esercizio del diritto di sciopero (che va posto in ogni caso sullo stesso piano del diritto di serrata).
Nella fiducia che i tempi diventino tali da rendere possibile quella collaborazione di cui ha parlato, annullandosi le cause che potrebbero determinare lo sciopero e la serrata, si associa alla proposta di non parlare nella Costituzione di tali diritti, così come è fatto nelle altre Costituzioni.
PRESIDENTE premette che non tratterà dello sciopero politico e della serrata, ritenendo che la questione, tanto per l’uno che per l’altra, sia superata. Lo sciopero politico ha un contenuto rivoluzionario e la rivoluzione non si codifica.
Per quel che riguarda lo sciopero economico dichiara di essere contrario a che se ne parli nella Carta costituzionale, ma per ragioni diverse da quelle espresse dagli onorevoli Colitto, Molè e Dominedò.
L’onorevole Colitto ha infatti sostenuto che il diritto di sciopero non deve essere sancito nella Costituzione in quanto lo sciopero è, a suo avviso, sempre dannoso alla collettività. Dichiara di ritenere invece che lo sciopero rappresenta una necessità e che, come tale, non può essere dannoso. Non è neppure d’accordo con l’onorevole Dominedò, il quale, portando la questione nel campo giuridico ha sostenuto che lo sciopero è un atto violento col quale si spezza un vincolo giuridico, un contratto, e che pertanto, sotto questo profilo, sarebbe illegittimo. Osserva che tale argomentazione potrebbe aver valore se capitale e lavoro fossero sullo stesso piano di eguaglianza; ma, poiché non lo sono, la tesi, in linea di massima, non può essere accolta. L’onorevole Molè ha infine sostenuto, con riferimento agli impiegati statali, che è illogico consacrare nella Costituzione il diritto di sciopero perché ciò equivarrebbe a dire che lo Stato è o può essere nemico dei lavoratori, e perché il fatto di dipendenti statali, pubblici ufficiali e come tali depositari di una parte della sovranità dello Stato, che insorgano contro lo Stato, importerebbe la conseguenza che lo Stato insorgerebbe contro se stesso. Pur riconoscendo serie tali osservazioni, fa presente che domani potrebbe accadere che lo Stato, sia pure democratico, tralignasse o deviasse ponendo i lavoratori nella necessità di dover ricorrere allo sciopero.
Ritiene tuttavia che sia estremamente difficile inserire in una Carta costituzionale una disposizione che consacri il diritto di sciopero con delle limitazioni che si dovrebbero riferire ad alcune categorie di lavoratori, mentre tali categorie sono difficilmente determinabili. Infatti, se si parla di servizi accessori o essenziali, i due concetti di accessorietà e di essenzialità sono così soggettivi che non si possono includere in una Carta costituzionale, senza che pecchi di imprecisione. Non è neppure possibile parlare genericamente di dipendenti dello Stato, perché vi sono dei funzionari, depositari della sovranità statale, i quali non sono alle dipendenze dello Stato, né di altri enti pubblici, e perché vi sono dei dipendenti dello Stato che sono pubblici ufficiali e altri che tali non sono e che tuttavia adempiono a funzioni di una necessità superiore a quella dei primi, come gli infermieri, i pompieri, ecc.
Per quanto riguarda lo sciopero degli addetti ai lavori comuni, ritiene che una grande remora sarà costituita, oltre che dal senso di responsabilità dei lavoratori di cui ha parlato l’onorevole Di Vittorio, dall’istituzione dei consigli di gestione. Oggi infatti i lavoratori ricorrono molte volte allo sciopero ignorando le vere condizioni dell’azienda, senza sapere se l’azienda stessa sia in condizione di sopportare o meno i maggiori carichi che glie ne deriverebbero dall’elevazione dei salari; quando invece essi potranno conoscere e controllare le effettive possibilità della azienda, faranno o non faranno lo sciopero avendo anche presenti le sue possibilità. Per i servizi pubblici invece la remora sorge dalla stessa coscienza dei lavoratori; coscienza che si evolve e si eleva sempre di più, del che si ebbero anche recenti manifestazioni. Tuttavia la possibilità dello sciopero, astrattamente, esiste sempre.
La Costituzione che si sta elaborando, inspirata soprattutto alla difesa del lavoro, attribuisce allo Stato una quantità di funzioni importantissime per la vita pubblica e per i singoli cittadini. Data questa complessità di funzioni affidate allo Stato, ritiene che un grave pericolo sia rappresentato dalla possibilità di arresto del suo funzionamento. Tutto considerato, ritiene che non sia saggio fissare oggi dei limiti e che sia meglio lasciare al legislatore di domani il compito di dettare le norme in materia di sciopero.
Concludendo, ricorda che da taluni commissari è stato rilevato che nelle altre Costituzioni non si parla dello sciopero. A ciò l’onorevole Di Vittorio ha risposto facendo notare che da noi, a differenza degli altri Paesi del mondo dove lo sciopero è sempre esistito, c’è stato il fascismo, il quale non solo aveva negato il diritto di sciopero, ma l’aveva colpito anche con gravi sanzioni penali. L’osservazione è esatta e ne deriva che non si deve su di esso serbare il silenzio. A suo avviso la soluzione potrebbe consistere nell’affermazione dell’abrogazione del divieto di sciopero collocata nel preambolo, il quale fa parte integrante della Carta costituzionale e che serve alla sua più esatta interpretazione. Preferirebbe tale soluzione, con la quale si eviterebbe la formulazione di un articolo che, sancendo il diritto di sciopero, dovrebbe fissare dei limiti e delle condizioni insuperabili.
MARINARO osserva che con tale soluzione si avrebbe un’affermazione astratta nel campo concreto del diritto.
TOGNI, dichiarandosi d’accordo con la soluzione proposta dal Presidente di inserire nel preambolo un’affermazione di ordine generale, ritiene che sarà sufficiente, in quella sede, parlare di superamento e abrogazione di tutte le disposizioni e norme relative all’ordinamento sindacale e corporativo fascista.
GIUA accetta la proposta del Presidente, purché sia formulato nel preambolo un preciso articolo riguardante il diritto di sciopero. Non ritiene invece che sia sufficiente l’affermazione generica dell’abrogazione di tutto il sistema corporativo fascista – proposta dall’onorevole Togni – in quanto, a suo avviso, è necessario sancire nella Costituzione il diritto di sciopero, che i lavoratori hanno conquistato e che ha condotto all’inserimento nella vita politica della classe lavoratrice italiana.
Dichiara che, se la Sottocommissione deciderà di non fare alcuna dichiarazione sul diritto di sciopero, volendo con ciò intendere il riconoscimento dello stato di fatto che le organizzazioni sindacali avevano prima del fascismo, voterà a favore di tale decisione; ma che non potrebbe accettare alcuna formulazione in qualche modo contraria allo sciopero, perché ciò significherebbe impedire la completa ascesa della classe lavoratrice. Se invece si facesse un’affermazione sul diritto di sciopero anche per i servizi pubblici, non sarebbe contrario ad estenderlo alle grandi categorie di lavoratori, soprattutto a quelle dei ferrovieri e dei postelegrafonici. Ritiene invece che si dovrebbe tacere sul diritto di sciopero dei funzionari statali, in quanto, col decentramento, si dovrà rivedere tutta la loro organizzazione.
PRESIDENTE osserva che gli impiegati dello Stato, a differenza dei lavoratori delle aziende private, non contrattano le condizioni di lavoro, ma le accettano così come vengono loro imposte dagli enti pubblici; quindi, anche per questa classe di lavoratori si potrebbe verificare un’ingiustizia iniziale. Per non lasciarli completamente indifesi, lo Stato potrebbe disporre che le loro condizioni di lavoro fossero determinate d’accordo fra lo Stato stesso ed i sindacati; in tal modo vi sarebbe una maggiore garanzia e la questione dello sciopero potrebbe essere valutata in modo diverso. A tale proposito ritiene che forse sarebbe opportuno, prima di decidere sul diritto di sciopero, conoscere le decisioni della seconda Sottocommissione sulla disciplina dei rapporti tra lo Stato ed i suoi dipendenti.
TOGNI fa osservare che il fatto di non avere incluso nessun articolo sullo sciopero non toglie la possibilità di farlo in un secondo tempo, ove ciò apparisse necessario.
DOMINEDÒ, riferendosi a quanto ha osservato il Presidente circa una frase da lui pronunciata nella precedente seduta, deve chiarire che, considerando lo sciopero come la rottura di un rapporto preesistente, egli aveva aggiunto che la rottura di tale vincolo poteva essere legittima o illegittima. Per tale considerazione egli non ritiene opportuno sancire nella Costituzione il potere di sciopero, in quanto questo non potrebbe essere contemplato come istituto giuridico se non attraverso una serie di precisazioni e limitazioni che, in realtà, determinerebbero un empirismo in sede costituzionale o lascerebbero perplessi sulla sicurezza della linea di demarcazione fra il lecito e l’illecito.
Per quanto riguarda l’osservazione dell’onorevole Di Vittorio sul fatto che l’Italia è un Paese che esce da un regime il quale aveva proibito lo sciopero, ritiene che con la formula proposta dal Presidente, da inserire nel preambolo, si sancirebbe l’abrogazione del divieto, abrogazione che è del resto già in atto a seguito delle ordinanze alleate sull’ordinamento corporativo fascista, salva l’opportunità di riesaminare particolarmente il problema in sede legislativa e non costituzionale.
DI VITTORIO, Relatore, dichiara di difendere il diritto di sciopero, in quanto lo sciopero, malgrado le paure che sempre ne hanno avuto i ceti privilegiati della società, è stato nella storia di tutti i popoli civili una leva potentissima di progresso economico, sociale, civile. Il diritto di sciopero è intimamente legato al concetto pieno di democrazia, che è governo di popolo espresso liberamente dalla volontà del popolo. Negare un tale diritto significherebbe volersi garantire contro il suo libero esercizio con un mezzo coattivo.
Osserva che taluni hanno manifestato la loro preoccupazione per gli scioperi dei lavoratori dei pubblici servizi. Non comprende perché una società democratica, per garantire la continuità di tali servizi, dovrebbe ricorrere alla coazione e non fidare invece nella certezza di redimerti tutte le vertenze che potrebbero sorgere, per via pacifica. I lavoratori di oggi, e non soltanto in Italia, danno una prova così manifesta di coscienza sociale elevata da non giustificare la preoccupazione di non giungere a degli accordi in ogni caso. Ricorda, in proposito, che dalla liberazione dell’Italia non vi è stato un solo sciopero durante il quale i servizi pubblici essenziali non abbiano continuato a funzionare; ogni volta – come risulta dai comunicati pervenuti alla Confederazione generale del lavoro – è stato fatto l’elenco dei servizi che dovevano essere assicurati in ogni caso.
Fa osservare che nella formulazione da lui proposta non vi è alcun riferimento a scioperi politici, o a scioperi estesi ai funzionari, in quanto, a suo avviso, è sufficiente la sola affermazione del diritto di sciopero per tutti i lavoratori. L’esercizio di tale diritto sarà poi, come tutti gli altri, disciplinato da una legge che fisserà le eventuali limitazioni, alle quali tuttavia, in linea di principio, egli è contrario, in quanto difende la libertà assoluta di tutti i cittadini.
Non crede che sarebbe opportuno non parlare affatto nella Costituzione dello sciopero; poiché, data la particolare situazione del nostro Paese, una Costituzione che non affermasse specificatamente tale diritto non esprimerebbe il progresso sociale e politico voluto dalle masse lavoratrici. Non ritiene neppure accettabile la proposta dell’onorevole Marinaro di sancire il diritto di sciopero con delle limitazioni in quanto, a suo avviso, è assurdo circoscrivere nella Costituzione un diritto nel momento stesso in cui si afferma.
Dichiara di essere contrario al diritto di serrata, ritenendo che le due forze interessate allo sciopero non siano sullo stesso piano. Infatti le masse lavoratrici lottano per interessi di ordine collettivo, mentre gli interessi collegati alla serrata possono essere, in determinati casi, di natura egoistica ed anche in pieno contrasto con quelli generali della società.
Per quel che riguarda lo sciopero politico, del quale non aveva parlato nella sua relazione, ripete che egli non intende porre alcuna limitazione al diritto di sciopero in genere. Pur concordando che lo sciopero politico è un assurdo, in quanto le classi lavoratrici non si pongono oggi contro lo Stato, ma vogliono anzi esserne parte integrante e forza propulsiva, osserva che anche la democrazia fondata sulla nuova Costituzione potrebbe essere attaccata da forze reazionarie interne. In tal caso, esse dovrebbero essere combattute coi mezzi che sono nelle mani dei lavoratori, ai quali il Governo stesso dovrebbe ricorrere. Ricorda, in proposito, lo sciopero generale del 1922, che Turati definì «sciopero legalitario» perché aveva per fine la difesa della legalità democratica contro l’illegalismo della violenza fascista. I lavoratori di tutta Italia, riuniti nella famosa «Alleanza del lavoro» in cui si raccolsero tutti i sindacati operai e tutti i partiti dei lavoratori, decisero di insorgere contro lo squadrismo fascista che, in violazione di tutte le leggi dello Stato e dell’umanità, commetteva atti di violenza allo scopo di far cadere il Paese sotto il dominio di una dittatura. Disgraziatamente per l’Italia questo sciopero non riuscì ad impedire che pochi mesi dopo quelle stesse forze, contro le quali lo sciopero era diretto, prendessero il potere e portassero il Paese alla catastrofe alla quale oggi si è giunti.
Per una prevenzione, che non vuole definire, contro lo sciopero politico, ancora oggi vi sono commissioni governative dell’attuale Governo democratico per la revisione dei licenziamenti determinati da motivi politici, le quali hanno negato la riassunzione a ferrovieri ed a postelegrafonici che furono licenziati per avere aderito allo sciopero del 1922, semplicemente perché si trattava di uno sciopero politico, che dal Governo pseudodemocratico di allora fu ritenuto illegittimo.
PRESIDENTE fa osservare che non fu uno sciopero rivoluzionario, ma un atto di resistenza legittima contro l’illegalità e come tale merita ben diversa considerazione.
DI VITTORIO, Relatore, osserva che se si dovesse ripetere una situazione analoga a quella del 1922, i ferrovieri ed i postelegrafonici, ai quali si chiedesse di interrompere il lavoro per non fornire strumenti agli attacchi della reazione, sarebbero in diritto di rispondere negativamente, perché lo sciopero politico è proibito.
Concludendo, dichiara che potrebbe, a titolo di conciliazione, accettare la proposta del Presidente di rimandare la soluzione del problema al preambolo della Costituzione. Ritiene tuttavia che, in questa ipotesi, la Sottocommissione non dovrebbe sottrarsi ad approvare una precisa formulazione, al fine di accettare il punto di accordo, dato che qualche collega intende limitare la formulazione stessa all’abrogazione del divieto di sciopero, mentre altri vorrebbero affermare nel preambolo il diritto allo sciopero. Tuttavia, se la formulazione risultasse chiara, non vede perché essa non dovrebbe trovar posto tra gli articoli della Carta costituzionale. Propone pertanto che, senza fare alcun accenno allo sciopero dei servizi pubblici od allo sciopero politico, sia accettata la formulazione da lui proposta che dice semplicemente: «È riconosciuto il diritto di sciopero ai lavoratori».
TOGNI si dichiara d’accordo nel difendere il diritto di sciopero che nessuno ha mai contestato. I punti di divergenza riflettono i metodi, le possibilità e le forme nelle quali questo diritto va esercitato, in quanto non può esservi diritto che non abbia delle limitazioni.
DI VITTORIO, Relatore, dichiara di aver riconosciuto tutto ciò e di aver soltanto detto che la disciplina di queste forme e di questi limiti deve competere al legislatore ordinario.
TOGNI insiste nel confermare, nel modo più deciso, la sua opposizione a qualsiasi forma di sciopero politico, in quanto non è mai esistito uno Stato il quale abdichi alla sua sovranità con una forma del genere, che consenta attentati legali alla sua vita.
Con tutta schiettezza fa osservare allo onorevole Di Vittorio, il quale ha parlato soltanto di possibilità di attentati reazionari e quindi della necessità che le masse dei lavoratori possano intervenire con l’arma dello sciopero, che, nel regno delle possibilità e delle eventualità, potrebbe esservi quella che la stessa arma dello sciopero politico possa servire non per impedire, ma per volere un avvento di dittatura, la quale sarebbe un attentato alla vita dello Stato democratico.
DI VITTORIO, Relatore, fa notare che non esiste alcun precedente storico di una dittatura instaurata attraverso uno sciopero.
TOGNI rileva inoltre che la discussione svolta ha dimostrato che, affermando il diritto allo sciopero in modo esplicito, si debbono pur sempre porre delle limitazioni che comportano difficoltà di carattere giuridico, politico e sociale di tal natura da rendere molto difficile, se non impossibile, l’affermazione stessa. Conclude pertanto confermando la proposta fatta nella seduta precedente, che andrebbe però completata con quanto è emerso successivamente dalla discussione sulla necessità di garantire che non si verifichino ritorni ad una mentalità contraria allo sciopero. Accetta in conseguenza la proposta del Presidente perché sia inserita nel preambolo della Costituzione una frase, con la quale venga esplicitamente soppressa la concezione sindacale corporativa fascista.
DI VITTORIO Relatore, si dichiara contrario ad includere una frase del genere nel preambolo, in quanto la Costituzione deve contenere delle affermazioni e non delle negazioni.
TOGNI propone il seguente ordine del giorno: «La terza Sottocommissione, dopo ampia disamina del problema, riconosce che per ragioni di opportunità e di praticità non sia necessario stabilire nella Costituzione un articolo che contempli il diritto di sciopero ed eventualmente anche quello della serrata, in quanto il diritto stesso è ormai acquisito all’attuale realtà sociale. Riconosce però come necessario, di provvedere, in sede di compilazione del preambolo alla Costituzione, ad includere un’affermazione che confermi la completa ed assoluta abrogazione del precedente ordinamento sindacale corporativo che contemplava il divieto di sciopero».
FANFANI non ritiene di dover confutare le affermazioni dell’onorevole Di Vittorio, affermazioni che comunque definisce poco chiare e forse anche equivoche in merito alle funzioni della Costituzione, dello Stato e della posizione dei lavoratori nello Stato.
Rileva che è ormai pacifico che il ricorso allo sciopero rappresenta un mezzo necessario ed efficace per una migliore tutela dei diritti dei lavoratori; ma osserva altresì che, se non ci fosse stata la legislazione fascista, oggi non sarebbe forse neanche in discussione il problema di affermare il diritto nel testo costituzionale. A suo avviso, per risolvere la questione, si potrebbe approvare un ordine del giorno rivolto al Governo, del seguente tenore:
«La terza Sottocommissione per la Costituzione unanime riconosce che il diritto di sciopero è un mezzo ancor oggi necessario alla tutela dei diritti dei lavoratori; riconosce altresì la difficoltà e la non necessità di disciplinare la materia in sede costituzionale; invita pertanto il Governo, che attende allo studio di provvedimenti sullo sciopero dei funzionari, a presentare all’Assemblea Costituente di urgenza un progetto di legge che abolisca le proibizioni fasciste in materia, che riconosca esplicitamente il diritto dei lavoratori di ricorrere allo sciopero e che precisi le modalità di esercizio del diritto stesso».
DI VITTORIO, Relatore, pensa che l’ordine del giorno dell’onorevole Fanfani esuli dalla competenza della Sottocommissione, la quale non può rivolgere un voto al Governo.
FANFANI riconosce giusta per la forma l’osservazione dell’onorevole Di Vittorio e propone che l’invito sia rivolto al Presidente dell’Assemblea Costituente anziché al Governo. Ritiene peraltro che per quanto riguarda la sostanza la Sottocommissione sia competente a trattare una simile materia e che la Presidenza dell’Assemblea potrebbe avocare a sé il diritto dell’iniziativa.
MARINARO ritiene che la questione vada esaminata e risolta con un certo coraggio e sul terreno di sicura concretezza. Vi è uno stato di fatto generalizzato in tutti i Paesi del mondo, stato di fatto che consiste nella pratica dello sciopero. Contro tale pratica nessun governo democratico ha pensato o pensa di insorgere, cosicché si tratta di una pratica quasi implicitamente legalizzata che menoma il prestigio dell’autorità ed offende la sovranità di tutto il popolo. Non vi può essere uno sciopero legittimo ed uno illegittimo; tutt’al più giusto o ingiusto, ma sempre illegittimo, perché non conforme alla legge e come tale deve essere riconosciuto o negato; ma se non si può disconoscere lo stato di fatto e non si può con la negazione dello sciopero ritornare indietro di circa 60 anni, non rimane che uscire dall’equivoco e riconoscere il diritto di sciopero, disciplinandone però l’esercizio e coordinandolo con gli interessi prevalenti della collettività.
Con l’inclusione nella Carta Costituzionale del riconoscimento del diritto di sciopero si avvantaggerebbe l’autorità dello Stato, che oggi è costretta a subire gli scioperi anche quando essi assumono carattere di particolare violenza; si uscirebbe dallo incerto e dall’indeterminato e si conoscerebbe il campo di sviluppo e di estensione di tali movimenti che, in definitiva, si risolvono sempre in un danno per tutta la classe sociale; si fisserebbero infine nella sede, che reputa la sola competente, i principî ed i limiti cui dovrebbe uniformarsi il legislatore futuro nel disciplinare il diritto di sciopero che, come qualsiasi altro diritto della personalità umana, non può concepirsi in forma generica ed illimitata, ma deve essere ben precisato ed esercitato compatibilmente con i poteri sovrani e con gli interessi prevalenti della Nazione.
Con la proposta da lui presentata si sancirebbe che lo sciopero nei pubblici esercizi e nelle pubbliche amministrazioni è proibito e che le relative vertenze non sono neglette, ma demandate ad organi adeguati, ed in conseguenza resterebbe definitivamente acquisito alla legislazione un elemento di tranquillità generale.
Per quanto riguarda la proposta fatta dal Presidente, osserva che la materia non può essere inserita nel preambolo, ritenendo che di essa non si possa fare una semplice affermazione teorica. Il diritto di sciopero è un diritto concreto, sostanziale, che si riconosce o meno ma che, ove si riconosca, dove essere posto sotto determinate forme o condizioni.
LOMBARDO dichiara di essere favorevole alla proposta dell’onorevole Togni di non parlare affatto nella Costituzione del diritto di sciopero, appunto perché intende difendere tale diritto come un’arma che deve rimanere nella lotta di classe, fino a quando non si sia entrati nella società socialista. Non ritiene che si possa codificare il diritto di sciopero, in quanto non è pensabile che vi siano discriminazioni fra sciopero e sciopero, fra lavoratore e lavoratore. Si richiama, in proposito, ad un ricordo storico: per difendere la democrazia, quando il gruppo di generali che seguiva Von Kapp volle ad un certo momento fare il putsch in Germania, tale putsch venne stroncato dallo sciopero generale. Ciò dimostra che ad un dato momento l’arma dello sciopero, che è normalmente di difesa della categoria dei lavoratori, può diventare di difesa della legalità democratica. Per questo ritiene che il voler sancire in una articolazione una qualsiasi discriminazione di tale diritto sia assolutamente ingiusto, proprio per la difesa della democrazia stessa.
Concludendo osserva che, non avendo nessuno negato il diritto di sciopero, la discussione verte sulla possibilità o meno di limitarlo. A suo giudizio, proprio per non limitare in alcun modo il diritto di sciopero, è necessario non fare nella Carta costituzionale alcuna enunciazione in materia.
COLITTO, dopo le chiare parole dell’onorevole Lombardo, il quale opportunamente si è preoccupato delle distinzioni che avrebbero luogo e che non sarebbero opportune in regime democratico, osserva che, se il diritto di sciopero vuole davvero essere considerato espressione della personalità umana, dovrebbe essere affermato senza limitazioni di sorta. Senonché, anche l’onorevole Di Vittorio ritiene che sia da vietare lo sciopero politico.
DI VITTORIO, Relatore, dichiara di non aver mai fatto una simile affermazione e ricorda anzi di aver citato degli esempi per dimostrare che lo sciopero politico può essere un’arma efficacissima per difendere lo stato democratico.
COLITTO ribatte che in un secondo momento l’onorevole Di Vittorio aveva detto che lo sciopero politico non è possibile, in quanto le masse lavoratrici vivono nello Stato ed è assurdo che possano insorgere contro lo Stato.
DI VITTORIO, Relatore, ricorda di aver detto esattamente che non rivendicava lo sciopero politico in seno allo stato democratico di cui le masse lavoratrici stesse fanno parte. Ripete di non voler che sia esplicitamente sancito il diritto allo sciopero politico, ma di respingere qualsiasi limitazione a tale diritto.
COLITTO prende atto dei chiarimenti, che tuttavia ritiene contraddittori. Rileva che per lo meno l’onorevole Di Vittorio ha ammesso la possibilità che la legislazione disciplini, cioè limiti (ed i limiti potrebbero essere molto lati) l’esercizio del diritto di sciopero.
L’onorevole Di Vittorio ha inoltre affermato che negli scioperi che si sono avuti i pubblici servizi sono sempre stati assicurati (il che significa che anche egli si preoccupa dei danni che alla collettività potrebbero derivarne) e che vi potrebbero essere scioperi, come ad esempio quello dei magistrati, che starebbero ad indicare che lo Stato è in crisi.
Pertanto, pur riconoscendo che lo sciopero costituisce un mezzo anche oggi necessario per la tutela dei diritti del lavoratore, sente, anche attraverso le parole dello stesso onorevole Di Vittorio, come sia opportuno che di questo diritto di sciopero nella Costituzione non si parli.
PRESIDENTE, dato che si tratta, più che di fissare un precetto, di sopprimere un divieto con il conseguente riconoscimento ai lavoratori del diritto di sciopero, ritiene che sia sufficiente inserire nel preambolo una frase che potrebbe essere la seguente: «Il divieto di sciopero, consacrato nella legislazione fascista, è soppresso».
DOMINEDÒ dichiara di non opporsi, ma è d’avviso che sia necessario allora aggiungere anche l’abrogazione del divieto di serrata.
TOGNI, in considerazione che lo sciopero è una realtà insopprimibile e che si è deciso di non sancirne il diritto nella Carta costituzionale, in quanto impossibile fissarne i limiti, ritiene che la formula più semplice sia quella da lui proposta.
PRESIDENTE, pur essendo d’accordo con l’onorevole Togni, è d’avviso che, oltre all’enunciazione generica della soppressione di qualsiasi residuo del passato regime fascista, la Costituzione dovrebbe contenere anche la specifica affermazione dell’abrogazione del divieto di sciopero.
DI VITTORIO, Relatore, non ritiene opportuna la formulazione proposta dal Presidente, in quanto, a suo avviso, nella Costituzione si devono fissare dei principî e non stabilire dei divieti; è contrario inoltre alla proposta dell’onorevole Togni, perché, se si parlasse dell’abrogazione del divieto di sciopero, si dovrebbero considerare anche tutte le altre disposizioni del passato regime.
La Costituzione è un’enunciazione sintetica dei principî che devono essere alla base del nuovo diritto italiano; ciascun diritto sancito dovrà poi essere disciplinato per legge, in quanto è evidente che ogni diritto di determinate categorie di cittadini trova dei limiti nei diritti degli altri. Quindi, come s’è fatto per tutti gli altri principî, se si è d’accordo sul diritto di sciopero, ritiene che esso debba essere sancito nella Carta costituzionale: spetterà poi al legislatore disciplinarlo e fissarne i limiti.
La riluttanza a sancire il diritto di sciopero, diversamente da quello che si è fatto per le altre materie in esame, significa o che non lo si vuole riconoscere, o che si vuole ammetterlo in maniera confusa, circondato di garanzie che si ha paura di fissare e per le quali ci si rimette al legislatore.
TOGNI ripete che, a suo avviso, non è possibile fissare nella Carta costituzionale il diritto di sciopero, che non è contemplato in nessun’altra Costituzione. Quando la Sottocommissione sarà d’accordo sulla sostanza ed avrà proposto il rinvio della formulazione di un articolo nel preambolo, non si sarà emessa una sentenza inappellabile e si avrà sempre la possibilità di tornare sulla decisione presa. Ritiene tuttavia che per ora non sia possibile fissare in modo concreto l’articolo da inserire nel preambolo, in quanto ancora nulla si sa sul come il preambolo stesso sarà formulato.
GIUA osserva che una proposta concreta potrebbe essere sempre fatta: spetterà poi a coloro che avranno il compito di elaborare il preambolo di inserire, anche con altre parole, il concetto espresso dalla Sottocommissione.
FANFANI fa presente che se si è convinti che il diritto di sciopero sia per la prima volta acquisito, non vi è dubbio che esso debba essere solennemente sancito nella Costituzione e non limitato ad un accenno nel preambolo; se invece si è d’accordo nell’affermare che tale diritto esisteva in precedenza ed era stato poi soppresso, allora si deve ripristinare con una legge ordinaria e non con la Costituzione. Dichiara quindi di insistere sul suo ordine del giorno, presentato in precedenza, che ritiene conclusivo.
TOGNI dichiara che, in sostituzione di quello precedentemente presentato, propone il seguente ordine del giorno: «La terza Sottocommissione, ritenendo inopportuno di comprendere nella Carta costituzionale formulazioni riguardanti lo sciopero e la serrata, rinvia al preambolo della Costituzione o ad una legge speciale il superamento o l’abrogazione del precedente ordinamento sindacale corporativo, che prevedeva il divieto di sciopero e di serrata».
PRESIDENTE dichiara che non voterà tale proposta, ritenendo che il silenzio sul diritto di sciopero nella Carta costituzionale debba essere subordinato ad una precisa formulazione del pensiero della Sottocommissione sull’affermazione del diritto di sciopero nel preambolo.
LOMBARDO è contrario alla formulazione dell’onorevole Togni, alla quale preferisce quella da lui precedentemente presentata, anche perché non ritiene che nella Costituzione si debba parlare della serrata, che, sia pure da un punto di vista giuridico, potrebbe essere posta da qualcuno sullo stesso piano dello sciopero.
DI VITTORIO, Relatore, dichiara che voterà contro l’ordine del giorno dell’onorevole Togni e insiste sulla sua proposta di inserire nella Costituzione un articolo così formulato: «Il diritto di sciopero è riconosciuto ai lavoratori».
FANFANI propone il seguente ordine del giorno: «La terza Sottocommissione, ritenuto urgente ed indispensabile che una legge riconosca il diritto di sciopero dei lavoratori, abrogando i divieti fascisti in materia, non ritiene necessario che la materia sia regolata dalla Carta costituzionale».
COLITTO chiede che in tale ordine del giorno, oltre al diritto di sciopero, sia aggiunto il diritto di serrata.
DOMINEDÒ si associa, aggiungendo che voterà l’ordine del giorno, nell’intendimento che spetta alla legge speciale stabilire quei limiti di liceità del potere di sciopero, che non sarebbe conveniente ne possibile determinare in sede costituzionale.
PRESIDENTE pone in votazione l’articolo proposto dall’onorevole Di Vittorio così concepito:
«Il diritto di sciopero è riconosciuto ai lavoratori».
(Non è approvato).
Pone in votazione l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Marinaro:
«È riconosciuto, nell’ambito degli interessi economici e sindacali, il diritto di sciopero e di serrata, salvo le garanzie e le limitazioni stabilite dalla legge. Gli scioperi nei servizi pubblici e nelle pubbliche amministrazioni sono proibiti. Le vertenze relative verranno risolte da adeguati organi opportunamente predisposti».
(Non è approvato).
Pone in votazione l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Togni e così modificato:
«Riconosciuto urgente ed indispensabile che una legge abroghi i divieti fascisti relativi al diritto di sciopero, non si ritiene necessario che la materia sia regolata dalla Carta costituzionale».
(Non è approvato).
Pone in votazione l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Fanfani:
«La terza Sottocommissione, ritenuto urgente ed indispensabile che una legge riconosca il diritto di sciopero dei lavoratori, abrogando i divieti fascisti in materia, non ritiene necessario che la materia sia regolata dalla Carta costituzionale».
(È approvato).
Pone ai voti la proposta dell’onorevole Colitto che all’articolo approvato venga aggiunto il diritto di serrata.
(Non è approvato).
La seduta termina alle 14.
Erano presenti: Colitto, Di Vittorio, Dominedò, Fanfani, Giua, Ghidini, Lombardo, Marinaro, Rapelli, Togni.
Assenti giustificati: Canevari.
Assenti: Federici Maria, Merlin Angelina, Molè, Noce Teresa, Paratore, Pesenti, Taviani.