ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
TERZA SOTTOCOMMISSIONE
14.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI
INDICE
Diritto di proprietà (Seguito della discussione)
Presidente – Dominedò – Merlin Angelina – Taviani, Relatore – Canevari – Corbi – Lombardo – Fanfani – Giua – Marinaro.
La seduta comincia alle 17.15.
Seguito della discussione sul diritto di proprietà.
PRESIDENTE comunica che alla fine della seduta antimeridiana, alcuni membri della Sottocommissione si sono riuniti per concordare un testo di articolo che, tenendo conto delle varie opinioni, riassumesse i concetti espressi dal Relatore e dai singoli oratori.
Dà quindi lettura dell’articolo concordato, formulato nei seguenti termini, avvertendo che le frasi fra parentesi sono quelle sulle quali non è stato ancora raggiunto accordo:
«I beni economici possono essere oggetto di diritto di proprietà da parte dei privati, delle comunità (dei lavoratori e degli utenti) e della collettività.
«La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato. La legge ne determina i limiti e le forme allo scopo di farle assumere funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
«Per esigenze di utilità collettiva, di coordinamento dell’attività economica (e di giustizia sociale) la legge può rivendicare agli enti pubblici e alla comunità (dei lavoratori e degli utenti) la proprietà di beni mobili e immobili (di beni singoli o di determinati settori economici) sia mediante riserva originaria, sia mediante esproprio contro indennizzo (salvo i casi previsti dalla legge)».
Desidera fare innanzi tutto un’osservazione, cioè che al 1° comma si dovrebbe dire: «oggetto di proprietà», invece di: «oggetto di diritto di proprietà».
DOMINEDÒ si associa alla proposta del Presidente.
MERLIN ANGELINA è d’avviso che tutto il 1° comma dell’articolo sia superfluo.
TAVIANI, Relatore, fa notare che esso è il frutto di una lunga discussione che non è certo il caso di affrontare una seconda volta.
MERLIN ANGELINA chiede che allora l’articolo sia votato per divisione, in modo che sia possibile astenersi o votare contro.
PRESIDENTE propone che intanto si discuta se si debba lasciare o meno dopo la frase: «delle comunità», la specificazione: «dei lavoratori e degli utenti».
CANEVARI si dichiara favorevole all’aggiunta.
CORBI propone che invece di: «comunità dei lavoratori e degli utenti», si dica: «cooperativistica».
PRESIDENTE osserva che nell’articolazione proposta dall’onorevole Pesenti la formulazione è ancora più esatta, in quanto dice: «La proprietà dei mezzi di produzione e di scambio può essere privata, di cooperativa e di Stato».
CANEVARI si associa alla proposta dell’onorevoli Corbi, anche perché non c’è solo la proprietà di Stato, ma anche quella dei comuni, delle province, delle regioni, ecc.
PRESIDENTE ritiene che allora si potrebbe dire: «Possono essere oggetto di proprietà privata, cooperativistica e collettiva».
LOMBARDO è d’avviso che, se si accetta il 2° comma, la prima parte dell’articolo diventi inutile, essendo superfluo specificare che cosa possa essere la proprietà.
FANFANI rileva che l’articolo è a carattere storico.
LOMBARDO ripete che, a suo avviso, la prima parte è superflua e non ha ragion d’essere. Quando si enuncia che i beni economici possono essere oggetto di diritto di proprietà privata, di comunità, ecc. si deve anzitutto cominciare a sceverare di quali comunità si tratta. Se questo articolo fosse stato formulato un anno fa, quando non si parlava della regione, ci sarebbe stata una lacuna.
PRESIDENTE fa presente che la difficoltà è stata risolta con la parola: «collettiva».
TAVIANI, Relatore, osserva che i vari Commissari hanno rivissuto in tre giorni tutto il tormento della sua relazione che ha richiesto un mese di lavoro e che cominciava inizialmente con le parole: «La proprietà può essere privata o collettiva». Gli onorevoli Colitto, Marinaro e Merlin, durante uno scambio di idee non ufficiale fra i Relatori, si erano ribellati proprio all’aggettivo: «collettiva».
GIUA propone di dire: «collettivistica».
PRESIDENTE preferirebbe la dizione: «delle cooperative e della collettività».
GIUA propone di tralasciare per ora questa parte, riservando di parlarne in sede di coordinamento.
PRESIDENTE non ritenendo opportuna la proposta dell’onorevole Giua, propone la dizione: «di proprietà privata, delle cooperative e collettiva».
FANFANI osserva che in tal modo si limita troppo la dizione, in quanto si viene a permettere che una collettività di lavoratori possa ottenere domani la proprietà di uno stabilimento, anche non nella tradizionale forma classica della cooperativa.
CANEVARI osserva che, se è un sindacato, la proprietà divenga collettiva.
DOMINEDÒ ribadisce che sarebbe probabilmente proprietà collettivistica.
GIUA ritiene che, oltre alle tre forme elencate, non ve ne siano altre possibili.
FANFANI non trova molto chiara la definizione di: «collettivistica», ritenendo che si tratti sempre di proprietà private associate.
DOMINEDÒ, pur riconoscendo quanto v’è di vero nel rilievo che la cooperativa è formalmente una specie di società privata, osserva che, anche a prescindere dalle future riforme del diritto speciale, la differenza è oggi sociale piuttosto che giuridica: socialmente c’è il fatto della gestione comune, parallela alla gestione collettivistica.
PRESIDENTE ritiene che nella definizione: «delle comunità dei lavoratori e degli utenti» sia compreso tutto.
LOMBARDO non la ritiene sufficiente.
FANFANI osserva che se si fa una elencazione, è necessario farla completa.
LOMBARDO propone di togliere il primo comma che aveva soltanto lo scopo di inserire nell’articolo l’aggettivo: «privata»; ma siccome si è poi chiarito che non vi era nessuna intenzione di ledere il sacrosanto principio della proprietà privata, ritiene che ora sia superfluo lasciarlo.
PRESIDENTE, dato che queste comunità o sono enti privati, come le cooperative, o sono enti pubblici, crede che basterebbe sopprimere la parola: «comunità» e dire: «oggetto di proprietà da parte dei privati e della collettività».
CANEVARI osserva che non bisogna dimenticare che la cooperativa deve essere considerata come un ente privato, ma con scopi sociali, e quindi soggetto a vigilanza.
GIUA ritiene che non si possa escludere la possibilità che si formino cooperative a carattere sociale. Insiste nel proporre di discutere questa parte in sede di coordinamento.
Sull’inutilità del primo comma, sostenuta dall’onorevole Lombardo, pur essendo dubbio se delle affermazioni dottrinarie siano o meno necessarie nella Costituzione, osserva che tutte le Costituzioni ne hanno; ritiene quindi che anche nella nostra non possono essere omesse del tutto.
TAVIANI, Relatore, propone di porre in votazione il secondo e terzo comma, rimettendo successivamente alla discussione dell’intiera Commissione l’opportunità o meno di inserire il primo, che nella sostanza è accettato da tutti: si tratta di una questione formale che si vota per quello che dice nella sostanza. Ritiene che la proposta dell’onorevole Giua vada completata in questo senso: che si debba essere tutti d’accordo sulla sostanza del primo comma, di modo che il fatto di lasciarlo o meno sia un giudizio puramente formale; si potrà sempre mettere a verbale che i pareri sono divisi circa l’opportunità di inserirlo, dato che taluni lo ritengono superfluo.
PRESIDENTE ritiene che in tal modo la questione venga protratta, ma non risolta.
TAVIANI, Relatore, fa presente che se la Sottocommissione vota oggi questo comma, cioè che la proprietà può essere privata, cooperativistica e collettiva, e poi nella Commissione plenaria viene proposto un emendamento per toglierlo, tale progetto di emendamento verrebbe ad assumere un significato sostanziale. Ad evitare tale possibilità, propone che la Sottocommissione si metta d’accordo sulla sostanza, precisando bene la questione delle cooperative, delle comunità, ecc.; una volta precisato questo, si potrà dire che il comma ha un valore di pura definizione teorica.
PRESIDENTE è d’avviso di lasciare: «proprietà privata e collettiva».
GIUA osserva che si è in periodo di transizione e quindi nella necessità di affermare questa forma di proprietà cooperativistica, che è intermedia tra la proprietà privata e quella collettiva e che ha dei legami con quella che è la proprietà del singolo e la proprietà pubblica. Pure accettando la distinzione pura e semplice di proprietà privata e collettiva, vorrebbe che fosse inserita la specificazione: «cooperativistica», per stabilire che le cooperative non sono intese nel senso ordinario di proprietà privata, ma nel senso intermedio tra proprietà privata e pubblica.
DOMINEDÒ si associa a quanto ha detto l’onorevole Giua, considerando che bisogna tener presente il passaggio dal momento statico della proprietà al momento dinamico dell’impresa.
PRESIDENTE ritiene che la formulazione dovrebbe essere allora la seguente: «oggetto di proprietà privata, cooperativistica e collettiva».
LOMBARDO insiste per l’abolizione del primo comma. In caso di mantenimento, dichiara di non essere contrario al termine: «cooperativistica».
TAVIANI, Relatore, tiene a precisare il suo pensiero nel senso che egli è favorevole a che si voti la sostanza del primo comma; ma se un comma dichiarativo di questo genere deve essere premesso all’articolo, allora il comma dovrà essere quello proposto e non altro. Sarà poi rimessa alla Commissione plenaria la decisione circa l’utilità o superfluità del comma stesso.
PRESIDENTE non è di questo avviso in quanto o il comma è inutile e allora non si vota, o è utile e allora bisogna votarlo. Ritiene che si possa passare quindi alla votazione del primo comma.
TAVIANI, Relatore, per dichiarazione di voto afferma che voterà contro, non perché sia contrario alla sostanza, ma in quanto ritiene il comma superfluo.
LOMBARDO per dichiarazione di voto si associa a quanto ha affermato l’onorevole Taviani.
PRESIDENTE mette ai voti il primo comma, di cui dà lettura: «I beni economici possono essere oggetto di proprietà privata, cooperativistica e collettiva».
(È approvato).
Pone in discussione il secondo comma, così concepito: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato. La legge ne determina i limiti e le forme, allo scopo di farle assumere funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».
Propone, innanzi tutto, di dire: «le forme e i limiti» e non viceversa.
MERLIN ANGELINA ritiene che il comma possa essere formulato nel modo seguente: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato: la legge ne determina le forme e i limiti. La proprietà deve assumere funzione sociale e deve essere accessibile a tutti».
LOMBARDO si associa alla proposta della onorevole Merlin.
CORBI, dato che tutti sono d’accordo sulla sostanza, ritiene che non si debba arrivare affrettatamente alla votazione, ma trovare un punto di incontro per la forma.
PRESIDENTE non crede che le differenze siano soltanto formali.
FANFANI è del parere che il testo primitivo sia tale da tranquillizzare. In altri termini si vuole che il proprietario non dimentichi che la proprietà ha una funzione sociale; sarà poi compito del legislatore di correggere gli spropositi e gli eccessi di libertà.
MERLIN ANGELINA replica che la sua preoccupazione sta proprio nel fatto che possa mancare l’intervento del legislatore.
FANFANI ritiene, allora, che il testo proposto dalla onorevole Merlin non sia il più indicato ad evitare l’inconveniente.
LOMBARDO si dichiara convinto delle obiezioni dell’onorevole Fanfani.
MERLIN ANGELINA dichiara di non insistere nella sua proposta.
PRESIDENTE mette ai voti il secondo comma, con la sola inversione delle parole: «le forme e i limiti».
(È approvato all’unanimità).
Apre la discussione sul terzo comma, così concepito: «Per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell’attività economica, la legge può rivendicare agli enti pubblici e alle comunità di lavoratori e di utenti la proprietà di beni mobili ed immobili o di complessi produttivi, sia mediante riserva originaria, sia mediante esproprio contro indennizzo».
Fa presente che taluni Commissari vorrebbero che alla fine del comma fosse specificato: «salvo i casi fissati dalla legge».
FANFANI ritiene che in questo terzo comma sia bene lasciare la dizione: «comunità di lavoratori e di utenti» e non cambiarla in: «cooperativistica».
DOMINEDÒ invece di: «rivendicare», direbbe più rigorosamente: «conferire», oppure: «attribuire».
CORBI dichiara di preferire il termine: «rivendicare».
PRESIDENTE preferisce: «attribuire». Inoltre al posto delle parole: «complessi produttivi», metterebbe le altre: «imprese e aziende».
TAVIANI, Relatore, volendo fare una specificazione, preferirebbe che si tornasse alla primitiva dizione: «di beni singoli e di determinati settori economici».
FANFANI osserva che l’espressione: «beni singoli» non ha senso.
LOMBARDO propone di parlare soltanto di: «determinati settori economici».
DOMINEDÒ dichiara che l’espressione: «beni mobili ed immobili» sia comprensiva di tutto.
FANFANI propone quindi in tal caso di abolire l’espressione: «complessi produttivi».
LOMBARDO rileva che l’avviamento, ad esempio, non è compreso nella dizione: «beni mobili ed immobili».
DOMINEDO osserva che l’avviamento è un bene incorporale, o una qualità dell’azienda. Inoltre, riferendosi alla proposta del Presidente, parlerebbe di: «aziende» e non di: «imprese».
FANFANI rileva che l’espressione: «complesso produttivo» risponde ad un’esigenza moderna e serve a determinare un complesso di aziende ed una concatenazione di imprese. È una terminologia non accettata volentieri dai giuristi, ma della quale non si può fare a meno.
TAVIANI, Relatore, propone di dire semplicemente: «beni e complessi produttivi».
DOMINEDÒ e CANEVARI concordano.
LOMBARDO si dichiara contrario ad aggiungere alla fine del comma la limitazione: «salvo i casi fissati dalla legge».
PRESIDENTE fa presente che secondo dottrina e anche giurisprudenza l’indennizzo di una lira è considerato come rinunzia al rifacimento dei danni.
Il concetto di «indennizzo» implica l’altro di adeguatezza e a suo parere nessun indennizzo è dovuto, eccezionalmente, nel caso, ad esempio, del proprietario che abbandona completamente la coltivazione del suo potere.
CANEVARI ritiene che la legge debba essere libera di stabilire anche l’esproprio senza indennizzo.
LOMBARDO a tal fine propone di dire: «con riserva di indennizzo».
FANFANI preferirebbe: «sia mediante esproprio contro indennizzo, salvo contraria disposizione».
DOMINEDÒ osserva che, se si riconosce il diritto di proprietà, si deve essere conseguenti nello stabilire come regola precisa e generale il diritto all’indennizzo. L’ipotesi eccezionale prospettata dal Presidente può trovare eccezionali soluzioni, che non spetta alla Carta costituzionale contemplare. L’ordinamento giuridico non è insensibile a queste esigenze.
PRESIDENTE rileva che l’ipotesi da lui fatta trova riscontro in una disposizione del Codice civile: cioè nel caso dell’abbandono del proprio fondo, nel quale è ammesso l’esproprio.
LOMBARDO ritiene che vi siano due sole soluzioni, cioè o la riserva di indennizzo, o contro indennizzo.
FANFANI osserva che il caso positivo è quello dell’indennizzo; il caso negativo quello senza indennizzo.
«Riserva di indennizzo» vuol dire che la regola è «senza indennizzo» Non si può dire che il legislatore si riserva di determinare l’indennizzo, in quanto bisogna essere coerenti rispetto al comma secondo, come ha detto l’onorevole Dominedò.
CANEVARI ritiene che la proposta del Presidente sia intermedia, in quanto lascia alla legge la facoltà di stabilire secondo i casi.
PRESIDENTE dato che, una volta riconosciuto il diritto di proprietà, è giusto prevedere l’indennizzo, propende per la dizione «mediante esproprio contro indennizzo, salvo i casi fissati dalla legge».
TAVIANI, Relatore, dichiarandosi d’accordo sulla necessità che si debbano espropriare senza indennizzo le proprietà dagli speculatori, osserva che in questo caso non si effettua l’esproprio per pubblica utilità, ma bensì la confisca, in quanto la proprietà è ingiustamente formata. Anzi non esiste in questo caso la proprietà.
Ma quando la proprietà è legittimamente costituita, allora il giusto indennizzo deve essere riconosciuto. Ricorda che nell’articolo da lui inizialmente proposto era detto: «contro giusto indennizzo». Dato che l’onorevole Corbi ha sostenuto che dall’espressione «giusto» poteva derivare la possibilità o meno di fare la riforma agraria, per spirito di conciliazione ha rinunziato a quell’espressione che, dal punto di vista logico, riteneva esatta. Prega però che nell’articolo sia almeno lasciato il termine «indennizzo».
PRESIDENTE non comprende come sia possibile espropriare senza indennizzo una proprietà formata attraverso la speculazione o un terreno non coltivato, senza mutare profondamente l’istituto della confisca, il quale è attualmente subordinato alla condanna o a casi di vietata detenzione, alienazione, ecc.
TAVIANI, Relatore, dichiara che sentiva tanto questa esigenza, da aver proposto la formula della «proprietà frutto del lavoro e del risparmio». Ma osserva che si tratta di due problemi diversi: uno è quello dell’esproprio di proprietà legittima, che però deve essere espropriata per motivi di utilità pubblica o di coordinamento delle attività economiche; l’altro è il problema della proprietà mal formata e mal usata.
MARINARO ritiene che l’indennizzo sia la logica necessaria conseguenza del principio affermato nella prima parte dell’articolo: una volta riconosciuto e garantito il diritto di proprietà privata, non si può giungere che a quella conseguenza. Lo Stato può espropriare per ragioni di carattere generale, ma non può lasciare il proprietario senza indennizzo; altrimenti violerebbe il principio fondamentale del diritto di proprietà già riconosciuto.
FANFANI ricorda che sebbene nella Costituzione non vi sia un articolo che si occupa del furto, ciò nonostante i codici hanno proibito il furto.
Osserva che la proprietà si può considerare da tre punti di vista: 1°) proprietà illegittimamente formata, per la quale non si può parlare di esproprio, ma vi saranno leggi speciali che la elimineranno; 2°) proprietà legittimamente formata e male usata, e tal caso sarà preso in considerazione nella parte riguardante il diritto di impresa; 3°) proprietà legittimamente formata e utilizzata appieno, ma che, per esigenza di utilità collettiva o di coordinamento delle attività economiche, conviene riservare a determinati enti (e questo è il caso che riguarda la terza Sottocommissione) e allora vi è il diritto all’indennizzo.
PRESIDENTE dichiara di accettare la distinzione e, con l’intesa che se ne ridiscuterà in sede di esame dell’impresa, rinuncia all’inciso: «salvo i casi fissati dalla legge».
Mette ai voti l’ultimo comma dell’articolo nella seguente formulazione:
«Per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell’attività economica, la legge può attribuire agli enti pubblici e alle comunità di lavoratori e di utenti la proprietà di beni o di complessi produttivi, sia mediante riserva originaria, sia mediante esproprio contro indennizzo».
(È approvato all’unanimità).
TAVIANI, Relatore, dà lettura dell’articolo sull’eredità da lui proposto nella relazione:
«Il diritto di trasmissione ereditaria è garantito. Spetta alla legge stabilirne le norme e i limiti sia della successione nell’ambito della famiglia, sia di quella testamentaria.
«Spetta pure alla legge determinare la parte che lo Stato preleva sulla eredità».
Ritiene che la formulazione sia sufficientemente chiara; desidera soltanto mettere in evidenza che il prelievo da parte dello Stato non ha soltanto scopo fiscale, ma scopo sociale, di ridistribuzione.
FANFANI ritiene che il contenuto di questo articolo sia già compreso in quello precedentemente votato, là dove è detto: «La legge determina le forme e i limiti della proprietà». Con questo, evidentemente, lo Stato, riconoscendo la proprietà, deve anche riconoscerne il trasferimento. A suo avviso, il nuovo articolo è quindi superfluo.
Osserva inoltre che, per quanto riguarda il prelievo, se è a scopo fiscale, non è questa la sede per parlarne; se è a scopo sociale, è già stato contemplato nel precedente articolo.
TAVIANI, Relatore, fa presente che nelle varie Costituzioni è contemplato questo concetto, derivante dal fatto che l’eredità è una proiezione della proprietà.
PRESIDENTE propone la dizione: «Il diritto di trasmissione ereditaria è garantito.
Spetta alla legge stabilire le norme e i limiti sia della successione legittima, sia di quella testamentaria».
DOMINEDÒ non ritiene che l’articolo sia un pleonasma, perché si potrebbero concepire delle ipotesi di proprietà non proiettate in tutto o in parte nel tempo.
FANFANI chiede se tale prelievo sull’eredità non possa essere destinato ad enti minori dello Stato.
CANEVARI è d’avviso di completare il primo articolo sulla proprietà inserendovi questi concetti.
DOMINEDÒ propone di depennare la seconda parte dell’articolo, dove è detto: «Spetta pure alla legge, ecc.».
FANFANI, concordando con l’onorevole Dominedò, rileva che il tempo e la entità del prelievo della ricchezza da parte dello Stato saranno determinati dal legislatore ordinario.
PRESIDENTE, siccome la tassa di successione intacca profondamente il diritto di proprietà, ritiene che non sia anticostituzionale fissare il principio nella Costituzione, anche in considerazione che altre ne parlano. Non si tratta di stabilire il quantum, ma solo il diritto alla tassazione, vedendo anche se non sia il caso di tener presente il carico familiare.
FANFANI propone di aggiungere al 2° comma: «come pure le quote riservate alla collettività».
MARINARO preferirebbe la dizione «come pure i diritti riservati alla collettività».
PRESIDENTE mette ai voti l’articolo così formulato: «Il diritto di trasmissione ereditaria è garantito. Spetta alla legge stabilire le norme e i limiti della successione legittima, di quella testamentaria e i diritti della collettività».
(È approvato).
La sedata termina alle 19.25.
Erano presenti: Canevari, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Lombardo, Marinaro, Merlin Angelina, Rapelli e Taviani.
Assenti giustificati: Colitto, Molè, Noce Teresa.
Assenti: Assennato, Paratore, Togni.