ASSEMBLEA COSTITUENTE
X.
SEDUTA Di LUNEDÌ 22 LUGLIO 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT
indi
DEL VICEPRESIDENTE CONTI
INDICE
Congedi:
Presidente
Commemorazione:
Bibolotti
Presidente
Macrelli, Ministro senza portafoglio
Comunicazioni del Presidente:
Presidente
Convocazione del Gruppo parlamentare misto:
Presidente
Svolgimento di interrogazioni:
Presidente
Corsi, Sottosegretario di Stato per l’interno
Nasi
De Gasperi, Presidente del Consiglio, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri
Valiani
Corsi, Sottosegretario di stato per l’interno
Martino Gaetano
Gullo, Ministro di grazia e giustizia
Pertini
Togliatti
Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:
Presidente
Corbino, Ministro del tesoro
Bianchi Bianca
Grandi
Sardiello
Corsini
Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):
Presidente
Chieffi, Segretario
La sedata comincia alle 16.30.
CHIEFFI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Pignatari, Pella, Simonini e Castiglia.
(Sono concessi).
Commemorazione.
BIBOLOTTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BIBOLOTTI. Onorevoli colleghi, è ben triste per me prendere per la prima volta la parola in questa Aula, per tessere l’elogio funebre di Luigi Salvatori, già Deputato della Versilia, eletto nel 1919 nella circoscrizione Lucca – Massa Carrara, e spentosi a Pietrasanta il 20 luglio corrente.
Quando Luigi Salvatori venne eletto dalle masse lavoratrici della Versilia e della Lunigiana, nell’altro dopo guerra, assieme allo avvocato Francesco Betti, Sindaco di Massa, che decedette nel successivo 1920, una grande speranza albergava nel cuore dei lavoratori apuani e versiliesi, nei cuori di tanti italiani, protesi verso quel gruppo di 156 deputati socialisti che dovevano incarnare la volontà di rinnovare la vita nazionale italiana.
Allora quelle speranze andarono deluse anche per le insufficienze ideologiche e per la impreparazione organizzativa del grande partito della classe operaia.
Luigi Salvatori appartenne a quel piccolo nucleo dei nuovi eletti che subito avvertì quell’insufficienza e quella impreparazione, ed al congresso socialista di Livorno aderì al nuovo partito della classe operaia, al partito comunista, al partito di Gramsci e di Togliatti; ma fin d’allora Luigi Salvatori lottò per l’unità politica della classe operaia, per il partito unico dei lavoratori.
Anche nelle successive elezioni del 1921, Luigi Salvatori raccolse il suffragio dei lavoratori nella circoscrizione Pisa Livorno – Lucca e Massa Carrara. Ma il fascismo era da noi già tanto potente e prepotente da rendere formalmente non valida la sua elezione a Deputato.
Amato dalle masse, ma profondamente odiato dalla classe padronale, che ha nei baronetti del marmo una sottospecie particolarmente gretta e reazionaria, Luigi Salvatori fu fatto segno alle violenze ed alle persecuzioni del fascismo toscano.
Luigi Salvatori venne arrestato e deferito al Tribunale speciale nel processo al Comitato Centrale del partito comunista, coimputato di Gramsci, di Togliatti, di Scoccimarro, di Terracini e di tanti altri colleghi, ivi compreso chi vi parla. Carcerato prima, confinato poi, l’onorevole Luigi Salvatori doveva conoscere dolori e pene d’ogni genere, perché colpito anche nei suoi affetti familiari per la morte di uno dei suoi figli annegatosi in quella maliarda spiaggia viareggina, che raccolse anche le spoglie mortali del grande poeta inglese Shelley; un altro suo figlio non doveva far ritorno dalla Russia, dove il fascismo lo aveva spinto in armi con l’esercito fascista di aggressione.
Da alcuni mesi, Luigi Salvatori era costretto all’immobilità per grave paralisi, e non poteva così partecipare alla vita politica dell’Italia risorta. Tuttavia Luigi Salvatori aveva potuto precedentemente contribuire validamente alla guerra di liberazione confortando, col suo saggio ed ascoltato consiglio, quelle formazioni partigiane versiliesi ed apuane che resero impossibile la vita al nemico in quella che fu la testa tirrenica della linea gotica.
Il Comitato elettorale comunista della mia circoscrizione rinunciò con rincrescimento nel maggio scorso alla candidatura di Luigi Salvatori, la cui elezione era da ritenersi sicura. Si è che il partito comunista non volle sfruttare la immensa popolarità del Salvatori, sapendolo irrimediabilmente ammalato e destinato a prossima morte. Il contributo di Luigi Salvatori ai lavori della nostra Assemblea Costituente sarebbe stato certamente notevole, data la sua vasta cultura, i profondi legami con le masse e la sua non comune esperienza.
Luigi Salvatori era un penalista insigne, un letterato, un poeta, un oratore di classe. La sua compagnia, la sua conversazione, la sua prosa furon ricercate ed apprezzate da quanti ne ebbero conoscenza. In chiunque ebbe la ventura di avvicinarlo egli lasciò un ricordo incancellabile di uomo superiore.
Oggi le bandiere dei partiti della classe operaia, le bandiere di tutti i sodalizi dei lavoratori della Versilia, della Lunigiana e della Garfagnana sono abbrunate. Oggi in ogni casa di lavoratori, a Carrara come a Viareggio, a Massa come a Pietrasanta, a Forte dei Marmi come a Serravezza, ovunque vive un figlio del popolo di quelle contrade che sono tra le più duramente e crudelmente colpite dalla guerra, che sono oggi fra le più miserabili, esse che furono tanto ricche e che tanto dettero alla ricchezza nazionale durante decenni e decenni, oggi in quelle case senza tetto, senza masserizie e senza pane, si piange nuovamente e si pensa che Luigi Salvatori, vivo e forte, avrebbe tenacemente difeso gli interessi del popolo lavoratore.
Sia permesso a me suo conterraneo, suo allievo, suo fratello di lotta, succedutogli nel mandato parlamentare quale deputato comunista di quelle terre tanto belle quanto infelici, sia permesso a me che Luigi Salvatori seguii ed amai giovanetto, di esprimere anche a nome vostro, onorevoli colleghi, oltre che a nome dei deputati comunisti e socialisti, il cordoglio della prima Assemblea Costituente italiana.
Ai compagni comunisti e socialisti, alla famiglia, al popolo tutto della Versilia e della Lunigiana, il mio commosso reverente saluto da questa sovrana Assemblea depositaria della volontà repubblicana di tutto il popolo italiano. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. Sono certo di interpretare i sentimenti unanimi di questa Assemblea associandomi alle parole pronunciate dall’onorevole Bibolotti in memoria dell’onorevole Luigi Salvatori.
MACRELLI, Ministro senza portafoglio. Il Governo si associa.
Comunicazioni del Presidente.
PRESIDENTE. Comunico che, in risposta al telegramma, col quale la informavo dell’omaggio reso dall’Assemblea Costituente a Cesare Battisti, la vedova del Martire mi ha inviato da Trento la seguente lettera:
«L’omaggio reso alla memoria di Cesare Battisti è esaltazione dei principî soli per cui il mondo si riaffacci alla Giustizia e la Patria risorga a Libertà. Che l’omaggio sia reso nella prima Assemblea repubblicana italiana, a cui è affidato il compito di ridare struttura e spirito alla Patria; e che la rievocazione del Martire sia fatta dalla voce di un compagno di ideali sociali fra il plauso del Governo e il consenso unanime dei Deputati, appare solennità simbolica di speranza e di fede. La partecipazione ha invaso il mio animo di commozione profonda.
«Rendo le espressioni della più viva riconoscenza.
«Ernesta Ved. Battisti».
(Vivi applausi).
Convocazione del Gruppo parlamentare misto.
PRESIDENTE. Il Gruppo parlamentare misto che era stato convocato per questa mattina alle ore 10, non ha potuto procedere alla propria costituzione per l’assenza della quasi totalità dei suoi componenti.
Esso è, pertanto, convocato nuovamente per domani alle ore 10. Poiché tale costituzione deve permettere al Gruppo stesso di partecipare all’attività interna dell’Assemblea, prego gli onorevoli colleghi che ne fanno parte, di evitare che questa seconda convocazione vada deserta.
Svolgimento di interrogazioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Tonetti al Ministro dell’interno, «per conoscere quali urgenti provvedimenti intenda prendere per evitare il ripetersi dei gravi incidenti provocati da elementi fascisti giuliani e dalmatici, culminati nel proditorio attacco della sera del 25 giugno corrente anno al Centro Raccolta Profughi nel «Marco Foscarini» di Venezia, durante il quale il partigiano Filippo Monteleone, col distintivo di decorato al valore, con quattro anni di campagna, più volte ferito, fu sanguinosamente malmenato da elementi fascisti residenti nel medesimo Centro. Il Comitato Provinciale di Venezia dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia ha fatto presente che, ove non si provveda d’urgenza contro i responsabili, è fermamente deciso a por termine con qualsiasi mezzo a simili provocazioni. Ad evitare incresciosi disordini, che ridonderebbero a grave danno per il Paese, in genere, e per quella zona in ispecie, soprattutto in questo delicato momento della vita nazionale, l’interrogante invoca esemplare punizione dei colpevoli e misure adeguate per tutelare i combattenti per la libertà».
Non essendo presente l’onorevole Tonetti, l’interrogazione si intende decaduta.
Segue l’interrogazione dell’onorevole Nasi al Ministro dell’interno, «per sapere: a) se è vera la notizia, pubblicata dai giornali, che il Prefetto di Milano abbia disposto l’aumento a 300 grammi del pane per quella provincia; b) se ritenga tale decisione tempestiva mentre il Governo sta studiando la possibilità di aumentare il pane a 250 grammi per tutta l’Italia; c) se non ritenga, altresì, tale provvedimento inopportuno, traducendosi in una sperequazione di trattamento specialmente grave verso il Mezzogiorno; d) se non siano, infine, anche per ragioni politiche, da regolare i poteri dei Prefetti in tale materia».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
CORSI, Sottosegretario di Stato per lo interno. È esatto che il Prefetto di Milano qualche giorno prima di quello in cui il Governo decise di aumentare la razione del pane a 250 grammi, pressato da contingenze di particolare rilievo fu costretto ad aumentare la razione del pane a 300 grammi. Ma questa autorizzazione fu immediatamente revocata e attualmente a Milano il pane si distribuisce secondo la razione unica nazionale.
È stato già fatto presente ai Prefetti che iniziative del genere esulano dalla loro competenza e che devono conformarsi alle disposizioni che vigono in tutto lo Stato.
PRESIDENTE. L’onorevole Nasi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
NASI. Mi dichiaro in parte soddisfatto delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario di Stato, perché egli non ci ha detto per quale ragione il Prefetto di Milano fu costretto ad aumentare il pane, mentre il Governo stava studiando la razione eguale per tutti gli italiani, e mentre lo stesso Prefetto distribuiva oltre che 300 grammi di pane, zucchero e caffè alla popolazione.
La preoccupazione maggiore che mi ha indotto a presentare l’interrogazione era costituita dall’impressione deleteria che hanno questi provvedimenti presi parzialmente, specialmente verso le popolazioni del Mezzogiorno, le quali sono in uno stato d’animo speciale che la Camera conosce, e che non possono sopportare forme di provvedimenti, i quali, anche se giusti, debbono davanti a queste popolazioni apparire soprattutto giusti.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Valiani, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere la sua opinione sulle misure che si possono e si debbono prendere per rafforzare la compattezza politica democratica degli italiani di Trieste, i quali debbono esser messi in grado di poter sempre far prevalere il carattere italiano della loro terra».
L’onorevole Presidente del Consiglio ha facoltà di rispondere.
DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Ho fatto appello, nel discorso programmatico governativo, alla unità degli italiani a Trieste, perché dovevo supporre che di fronte a proposte concrete che dividono il territorio della Venezia Giulia in una parte ridata all’Italia, in un’altra parte riservata ad una soluzione internazionale ed in un’altra parte ancora riservata alla Jugoslavia, potessero sorgere discordie fra i rappresentanti di quella regione. Ho fatto appello a questa unità.
Si è risposto a questo appello, inviando delle delegazioni a Roma, con le quali ho potuto avere uno scambio di idee che mi ha dimostrato l’unità sostanziale dei rappresentanti, per quanto non eletti, designati dai partiti della Venezia Giulia.
La deputazione nominata attorno allo avvocato Puecher è rappresentata direttamente a Parigi nelle trattative. Altre delegazioni potranno far parte, e dovranno far parte, della delegazione definitiva per il trattato di pace.
Io credo che il Governo farà ogni sforzo per dare a tutte le correnti diverse una rappresentanza equa. In quanto agli organi che devono democraticamente ricostituire la compattezza degli italiani di Trieste, abbiamo avuto finora il Comitato di liberazione nazionale, il quale fa degli sforzi per conciliare tutte le correnti e avere anche contatti diretti con le forze del lavoro.
Io mi auguro che riesca ad avere una tale rappresentanza unitaria che possa veramente, di fronte all’estero e di fronte all’interno, al resto del Paese, rappresentare l’unità democratica della città.
Sarò, del resto, grato all’interrogante e ad altri suoi amici se vorranno, in proposito, darmi dei suggerimenti, secondo i quali il Governo possa favorire questa compattezza.
PRESIDENTE. L’onorevole Valiani ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
VALIANI. A nome dei giuliani, ringrazio l’onorevole De Gasperi per le sue dichiarazioni.
La situazione degli italiani della Venezia Giulia è grave, per le ragioni che conoscete. Ottimamente fa il Governo a sostenere, a difendere ad oltranza a Parigi la causa dell’italianità di Trieste e delle altre zone. Ma questa causa va difesa energicamente a Trieste stessa. È vero quello che l’onorevole De Gasperi dice, cioè che il Comitato di liberazione nazionale triestino, e il Comitato di liberazione nazionale delle altre città italiane della Venezia Giulia hanno fatto e fanno tutto quello che possono. Però si trovano in una situazione difficile. Desiderano un maggiore appoggio morale e materiale dal Governo italiano e dalla nazione italiana tutta intera. Non hanno i mezzi, finora non ne hanno avuti sufficienti per resistere alla propaganda jugoslava, che invece è fornita di mezzi infinitamente maggiori.
C’è il caso doloroso dei lavoratori di Trieste, e non soltanto di Trieste, ma anche di città che, anche secondo le inique decisioni di Parigi, restano all’Italia, come Monfalcone. Essi si sono trovati e si trovano privi dei salari per i 15 giorni dello sciopero che fu loro imposto, mentre coloro che fanno parte delle organizzazioni della Camera del lavoro, dominata e diretta dai Sindacati unici, hanno i sussidi per le mancate giornate di lavoro. I lavoratori italiani che fanno parte della Camera del lavoro italiana non hanno nessuno che paghi loro i salari per le giornate (sono 14, mi pare) perdute per uno sciopero che non era il loro. Ora, questi lavoratori chiedono un aiuto finanziario oltre che un aiuto morale. Sono molto sensibili all’aiuto morale che già viene loro e verrà loro dalla Confederazione del lavoro con la sospensione del lavoro decisa per il 29 luglio; desiderano però che questo aiuto venga esteso anche al campo finanziario e materiale. Questo per quanto concerne la classe operaia italiana di Trieste; ma non c’è soltanto la classe operaia, c’è anche la questione dei profughi che affluiscono in numero sensibile a Trieste e che chiedono aiuti e sussidi.
Onorevoli colleghi, noi siamo tutti decisi a combattere con tutte le armi della ragione per l’italianità di Trieste e della Venezia Giulia; però purtroppo bisogna dire che la sottoscrizione nazionale per la Venezia Giulia non ha dato finora, nemmeno lontanamente, i risultati che noi attendevamo. Io chiedo perciò (e ringrazio il Governo della sua buona intenzione) che si dia tutto l’aiuto materiale possibile, oltre che morale, agli italiani della Venezia Giulia e che il Governo si rivolga alla pubblica opinione affinché la sottoscrizione per la Venezia Giulia dia quei risultati che deve dare.
C’è poi il problema della unità politica: io so che il Comitato di liberazione nazionale della Venezia Giulia ha preso l’iniziativa per avere nel suo seno i rappresentanti di tutti gli interessi. I nostri compatrioti di Trieste si preoccupano di avere un fronte democratico larghissimo.
Spero che essi in questa loro azione troveranno ogni appoggio possibile. Vi sono molti problemi che noi dobbiamo tenere presenti. Una parte della classe operaia triestina è sensibilissima alla questione del problema sociale; essa sarà guadagnata alla causa dell’italianità in rapporto anche alle misure con le quali noi sapremo dimostrare che l’Italia democratica non ha più nulla di reazionario e che, anzi, tutti i lavoratori della Venezia Giulia saranno da noi tutelati meglio che da coloro che fanno loro tante promesse e che effettivamente non potranno realizzarle. (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Martino Gaetano al Ministro dell’interno «per conoscere quali provvedimenti eccezionali intenda adottare, al fine di combattere l’impressionante dilagare del banditismo in Sicilia».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
CORSI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il grave e doloroso problema del banditismo in Sicilia è stato oggetto di particolare considerazione da parte del Ministero dell’interno ed alla sua soluzione è stata dedicata ogni cura nei limiti dei mezzi disponibili.
Al fine di eliminare qualsiasi ritardo di natura burocratica ed ogni interferenza del genere, e per una rapida lotta, è stata promossa l’istituzione di un Ispettore generale di pubblica sicurezza per la Sicilia col compito di integrare ed affiancare l’azione della polizia e degli organi locali. I mezzi e le armi a disposizione delle forze dell’Isola fin dal gennaio di quest’anno rappresentavano il dislocamento massimo che era consentito nel quadro generale della situazione; e, comunque, erano già superiori di gran lunga alle forze di polizia destinate in altre regioni, le quali pure avevano esigenze non meno impellenti. L’azione di questo complesso di forze è stata abbastanza soddisfacente ed il largo numero degli arresti operati sta ad attestarlo; molti delinquenti pericolosissimi sono stati infatti assicurati alla giustizia.
D’altra parte non si può disconoscere una sensibile attuale recrudescenza di delitti nelle provincie siciliane e questo aggravarsi della situazione è forse conseguenza della distrazione delle forze di polizia che si è dovuta operare durante il periodo elettorale: dal marzo ai primi di giugno di questo anno è stato necessario distrarre notevoli reparti per quei servizi che hanno assicurato la regolarità delle operazioni elettorali. Ma, appena la situazione del Paese lo ha consentito, altre forze cospicue sono state destinate al fine di reprimere il banditismo in Sicilia e 3 mila carabinieri vi sono stati inviati.
Ora, con tali rilevanti apporti, è da augurarsi che una rapida e intensa azione di repressione possa essere compiuta. Essa sarà accompagnata da una energica opera preventiva, vale a dire da misure di sicurezza che la recente legislazione consente per eliminare individui pericolosi.
Voglio anche rilevare, a proposito della necessità di eccezionali provvedimenti, che, nei casi previsti dalla legge, le gravi forme di rapina di cui all’articolo 1° del decreto luogotenenziale 10 marzo 1945, n. 234, vanno giudicate dai tribunali militari straordinari, in maniera da assicurare una giustizia pronta ed esemplare.
PRESIDENTE. L’onorevole Martino Gaetano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
MARTINO GAETANO. Ringraziò l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno delle sue dichiarazioni e sono lieto che il Governo abbia considerato con tanta attenzione questo gravissimo problema nostro, problema che, in sostanza, è esistito sempre in Sicilia, ma non è mai esistito nella forma attuale.
La mia interrogazione parla di «provvedimenti eccezionali», perché io penso che la situazione sia davvero eccezionale.
Sono lieto che il Governo, con i mezzi a sua disposizione ed in base alla legislazione attuale, abbia pensato già a provvedere a questo gravissimo inconveniente. Vorrei tuttavia permettermi di suggerire di esaminare eventualmente l’opportunità dell’adozione di leggi speciali, di misure eccezionali analoghe – se necessario – a quelle che furono usate, per esempio, allo scopo di combattere la mafia all’epoca del prefetto Mori. (Commenti).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pertini al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri di grazia e giustizia e dell’interno, « per sapere se s’intende: 1°) prendere urgenti provvedimenti, onde impedire che il recente decreto di amnistia emanato il 22 giugno 1946, il quale per la sua assurda larghezza non ha precedenti nella storia né del nostro, né degli altri Paesi, sia dai competenti organi della Magistratura interpretato in modo così lato da rimettere in libertà e da reintegrare nei beni già confiscati anche i veri responsabili della presente tragica situazione, in cui versa il nostro Paese, offendendo in tal modo la sensibilità di quanti per la guerra e per il fascismo hanno tanto sofferto e suscitando, quindi, sdegni e risentimenti che non varranno a portare nel nostro popolo quella pacificazione, che dovrebbe essere lo scopo primo dell’amnistia in parola; 2°) provvedere perché venga veramente applicato il decreto 6 gennaio 1944, n. 9, affinché siano riassunti senza ritardo in servizio e reintegrati in tutti i loro diritti di carriera gli antifascisti, che sotto il fascismo e per motivi politici furono dispensati o licenziati dal servizio e che ancora oggi si trovano disoccupati, mentre si vedono fascisti resisi a suo tempo colpevoli di gravi infrazioni in danno della Nazione rioccupare i loro posti e riscuotere non solo gli arretrati per il servizio non prestato ma, cosa più assurda, anche il premio di liberazione; 3°) emanare provvedimenti legislativi atti a seriamente difendere la Repubblica contro tutti i suoi nemici».
Il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.
GULLO, Ministro di grazia e giustizia. Instaurata la Repubblica, non si volle venir meno alla tradizione di emanare un atto di clemenza e ciò pienamente giustifica l’amnistia quanto ai reati comuni. Quanto ai reati politici si pensò che la Repubblica, che era nata appunto dalla ferma volontà unitaria della maggioranza degli italiani, dovesse procedere ad un atto di pacificazione ed appunto a questo fine fu emanata l’amnistia del giugno.
Chiede l’interrogante che il Ministero voglia emanare delle norme interpretative perché, nell’applicazione dell’amnistia, non si cada in esagerazioni che possano suscitare legittime reazioni.
Non si contesta che nell’applicazione dell’amnistia si possa essere incorsi in errore da parte dei magistrati (Commenti); comunque non può il Governo emanare norme interpretative, in quanto l’ufficio di interpretare la legge è appunto demandato alla magistratura, ed il Governo esplicherebbe quindi una illecita ingerenza (Commenti).
È chiaro che l’atto di pacificazione doveva avere dei limiti, in quanto il fascismo e la complice monarchia hanno lasciato agli italiani in tragico retaggio uomini e crimini verso i quali, nonché il perdono, anche l’oblio costituirebbe indubbiamente un delitto di lesa patria, una offesa tremenda, nonché ai diritti dei singoli, a tutto il popolo italiano, che è appunto la vittima maggiore e del fascismo e dell’opera disgregatrice compiuta da esso e dalla monarchia.
Ma limiti ci sono, in quanto l’articolo 3 dice appunto che il beneficio non va concesso a coloro che comunque esercitarono elevate funzioni di direzione civile o politica o di comando militare. Questo per la qualità subiettiva di coloro che avrebbero dovuto beneficiare dell’amnistia e a me pare che, applicata questa eccezione, nessuno che avesse sul serio esercitalo sotto il fascismo funzioni di direzione, potrebbe usufruire dell’amnistia stessa. Quanto alla natura obiettiva dei reati è da osservare che l’articolo 3 appunto esclude dall’amnistia quei fatti in relazione dei quali si siano consumati omicidi, stragi, o che siano stati compiuti per ragioni di lucro.
È evidente che, con una interpretazione serena di queste norme, non si sarebbe dovuto affatto andare verso fatti che potessero suscitare giuste reazioni.
Vi possono essere stati errori; questi errori furono segnalati al Ministro della giustizia del tempo ed il Ministro della giustizia ritenne doveroso inviare ai procuratori generali delle circolari in proposito, perché veniva segnalato anche il fatto che, mentre con eccessiva facilità, si diceva, veniva concessa l’amnistia ai condannati o agli indiziati fascisti, invece si stentava a concederla ai condannati o agli indiziati dell’altra parte. Cosicché le circolari del Ministro della giustizia furono due: con la prima si invitavano appunto i magistrati a prendere subito in esame i fatti che potessero riguardare patrioti, partigiani, combattenti; con la seconda si richiamavano i magistrati alla retta osservanza dell’articolo 3, ossia alle cause di esclusione dal beneficio della amnistia. Ma l’onorevole interrogante fa anche cenno ai provvedimenti che dovrebbero essere presi perché tutti coloro che furono allontanati sotto il fascismo dai pubblici impieghi venissero subito riammessi. Disposizioni non mancano a questo proposito ed il Governo farà di tutto perché le varie amministrazioni ne accelerino la esecuzione. Si fa anche cenno ad un’altra questione; e per essa la interrogazione dell’onorevole Pertini va abbinata ad altre dello stesso genere dirette anche al Ministro della giustizia, ossia alle questioni degli indiziati o dei condannati che beneficiano dell’amnistia e che sono senz’altro riammessi all’ufficio che essi avevano abbandonato.
La legge dispone che soltanto coloro che siano sottoposti a procedimento penale vengano sospesi dall’ufficio o dall’impiego fino alla definizione del processo penale stesso. Evidentemente si può – ed io penso che il Governo ne abbia il proposito – disciplinare anche in maniera diversa questa materia, affinché si eviti appunto qualche riammissione in servizio che può, ripeto, suscitare delle legittime reazioni. Ma si ponga mente anche a questo, che si tratta cioè di amnistia, ossia di un beneficio di cui ha potuto avvantaggiarsi non soltanto il condannato, ma anche il semplice imputato, ossia colui che può uscire anche completamente indenne da un eventuale giudizio. Si tenga anche presente poi che per i condannati che beneficiano dell’amnistia vi è l’obbligo della denuncia degli stessi per il procedimento disciplinare. E quante volte nel procedimento disciplinare si accertano fatti su cui ha inciso l’amnistia, l’accertamento porta senz’altro all’allontanamento dell’impiegato o del funzionario dal pubblico ufficio. Si cercherà, in ogni modo, di accelerare questi procedimenti e ottenere che coloro che sono colpevoli ed hanno usufruito dell’amnistia vengano senz’altro allontanati dal pubblico impiego, in modo che non abbiano a ripetersi i fatti segnalati e lamentati dall’onorevole interrogante.
PRESIDENTE. L’onorevole Pertini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
PERTINI. Mi duole, ma non posso dichiararmi soddisfatto della risposta datami dall’onorevole Ministro della giustizia. Con mia grande sorpresa ho sentito dall’onorevole Ministro della giustizia che il Governo non può emanare norme interpretative di una legge. Il Governo non le può emanare in quanto potere esecutivo, ma siccome il Governo che ha emanato il decreto d’amnistia, come l’attuale Governo, aveva anche il potere legislativo, aveva la possibilità di emanare norme interpretative. Richiamo alla mente dell’onorevole Ministro della giustizia gli studi che egli ha fatto per diventare avvocato. (Si ride).
Egli ricorderà che, oltre all’interpretazione di carattere analogico e letterale, vi è anche una cosiddetta interpretazione di carattere autentico. Quando si ha, onorevole Ministro della giustizia, questa interpretazione autentica? Si ha quando il legislatore con un provvedimento di legge interpreta se stesso. Noi siamo contrari ad ogni intervento del potere esecutivo sul potere giudiziario; quindi siamo contrari all’emanazione di circolari da parte del Ministero della giustizia per interpretare la legge. (Applausi). Questo sì che è contro la legge! Questa è un’interferenza del potere esecutivo sul potere giudiziario. Invece il Governo, in quanto aveva il potere legislativo, quando si avvide (e noi sappiamo che si avvide in tempo) che l’articolo 3 veniva interpretato in modo troppo lato e, l’ha d’etto oggi l’onorevole Ministro, in modo anche errato, aveva il dovere di intervenire immediatamente con provvedimento legislativo interpretativo, onde ovviare a questi errori e ad interpretazioni di carattere troppo lato.
L’articolo 3 del decreto in parola dice: «È concessa amnistia per i delitti ecc., salvo che siano stati compiuti da persone rivestite di elevate funzioni e di direzione civile o politica o di comando militare, ovvero siano stati commessi fatti di stragi, sevizie particolarmente efferate ecc.».
Balza agli occhi di chiunque, onorevole Ministro della giustizia, che la distinzione fra chi ha rivestito cariche di elevata o non elevata funzione e chi ha commesso sevizie di particolare efferatezza, o non di particolare efferatezza, può variare da giudice a giudice, perché si presta ad un apprezzamento di carattere soggettivo, specialmente nella cosiddetta amnistia propria, cioè quando questa viene applicata prima ancora che il giudizio sia celebrato e sia stata pronunciata una vera e propria sentenza. Difatti, attraverso queste maglie del decreto di amnistia, noi abbiamo visto uscire non soltanto coloro che dell’amnistia erano meritevoli, cioè coloro che avevano commesso reati politici di lieve importanza, ma anche gerarchi: Sansanelli, Suvich, Pala; abbiamo visto uscire propagandisti e giornalisti, che si chiamano Giovanni Ansaldo, Spampanato, Amicucci, Concetto Pettinato, Gray. Costoro, per noi, sono più responsabili di quei giovani che, cresciuti e nati nel clima politico pestifero creato da questi propagandisti, si sono arruolati nelle brigate nere ed in lotta aperta hanno affrontato i partigiani e ne hanno anche uccisi. (Applausi).
Questi giornalisti e questi propagandisti che dalla radio e sui giornali hanno cercato di trasformare in fanatica convinzione nell’animo di questi giovani italiani tutte le determinazioni, tutti i provvedimenti pazzeschi e criminosi del fascismo, sono più responsabili di chi rivestiva un vero e proprio ufficiale incarico gerarchico. Attraverso queste maglie abbiamo visto uscire coloro che hanno incendiato villaggi con i tedeschi, che hanno violentato donne colpevoli solo di avere assistito dei partigiani.
Guai, onorevole Ministro della giustizia, se per confermare quello che dico, dovessi dare lettura di tutte le proteste che giungono dalla provincia! A Bassano del Grappa hanno visto rientrare coloro che avevano incendiato i paesi vicini. A Carrara hanno visto rientrare coloro che avevano incendiato Vinca e Bergiula. Altrettanto si dica per la Spezia, dove hanno visto rientrare coloro che avevano incendiato i paesi che circondano il Golfo della Spezia. Attraverso queste maglie, abbiamo visto uscire anche dei seviziatori. Il giudice che li ha scarcerati ha ritenuto, nel suo apprezzamento soggettivo, che non si trattasse di sevizie efferate; ma andatelo a chiedere a coloro che sono stati seviziati, se le sevizie patite erano o no efferate.
Abbiamo visto uscire una parte della banda Koch, la Marchi, la Rivera, Bernasconi. Onorevole Presidente di questa Assemblea, il nome di Bernasconi deve ricordarvi qualche cosa: il nostro arresto e la nostra consegna ai tedeschi, e se non siamo stati fucilati non è stato per volontà del Bernasconi, ma per intervento dei patrioti di Roma, che ci fecero evadere da Regina Coeli. Tutti sanno come ha operato questa banda a Roma, poi a Firenze e quindi a Milano. Io sono stato, durante il periodo cospirativo e durante l’insurrezione, a Firenze. Questa banda consumava i suoi reati e le sue sevizie a Villa Triste. Basta andare a Firenze e pronunciare questo nome per vedere il volto di centinaia di donne, spose, madri, coprirsi di orrore. Ebbene, in virtù dell’amnistia sono usciti una parte dei complici della banda Koch ed oggi sono in piena libertà.
Naturalmente, oltre all’uscita di tutti costoro, che per noi sono dei veri criminali e dei responsabili diretti dell’attuale situazione, abbiamo visto anche uscire molti fascisti i quali devono essere considerati dei complici necessari di quanto ha fatto il fascismo.
E vi è di più: l’articolo 3 dichiara amnistiati anche quei reati comuni, che sono connessi con reati di indole politica; di modo che si è verificata, come si verifica, questa incongruenza. Chi durante un rastrellamento ha compiuto un reato comune, solo perché è amnistiato per il rastrellamento, reato di indole politica, viene amnistiato anche per il reato comune.
Sicché, un partigiano, che subito dopo la guerra di liberazione ha commesso quello stesso reato comune – e l’ha commesso in quello stato d’animo che crea sempre la guerra ed ha creato anche la guerra di liberazione – egli rimane in carcere, perché il suo reato non viene amnistiato.
Quell’impiegato, che per vent’anni ha condotto vita onesta e non ha mai commesso atti di disonestà – ricordo la figura di Demetrio Pianelli – e che, trovandosi di fronte alla tragica situazione del Paese e della sua famiglia, si è visto costretto a vendere quanto di più caro aveva per non vedere morire di fame le sue creature ed ha commesso un reato di peculato; egli deve rimanere in carcere, mentre quel funzionario, che collaborando coi tedeschi e facendo il delatore ha commesso lo stesso reato, soltanto perché il reato principale è reato di indole politica ed il reato comune è stato commesso nell’occasione di questo, è scarcerato.
Evidentemente, tutto questo non vale, onorevole Ministro della giustizia, a portare la pacificazione nel nostro Paese. Così si è verificato quello che il Ministro della giustizia del tempo aveva previsto, quando scriveva questo nella sua relazione:
«Un disconoscimento di questa esigenza, anziché contribuire alla pacificazione, contribuirebbe a rinfocolare odi e rancori, con conseguenze certamente per tutti incresciose».
Ed è quello che si è precisamente verificato. Tanto più che costoro, onorevole Ministro della giustizia, non hanno considerato il decreto di amnistia come un atto di clemenza; cioè non hanno dimostrato comprensione verso questo nostro atto di perdono, ma l’hanno considerato e considerano come un atto di debolezza, come un atto di resipiscenza; essi pensano, onorevole Ministro della, giustizia – perché questa è la realtà, che è confermata nei reclami che abbiamo ricevuti – che noi antifascisti ci siamo ravveduti, che siamo noi ad avere commesso un errore e che essi sono nel vero.
Questi signori, rilasciati dalle carceri, rientrano nei loro paesi e vi rientrano arroganti, manifestando il loro antico animo e propositi di rivincita e di vendetta.
Mi scriveva un amico che in un paese vicino a Verona, due di costoro, che avevano a suo tempo cooperato all’incendio di villaggi vicini, sono rientrati arroganti, si sono fermati dinanzi ad una lapide che ricorda la caduta di partigiani, ed hanno sghignazzato.
Questo è l’animo che dimostrano costoro, che hanno beneficiato dell’atto di clemenza.
Vi è di più, onorevole Ministro. Costoro rientrano e rioccupano i posti, che avevano prima di andare in carcere; non solo, ma vogliono – ed hanno ragione, secondo il decreto di amnistia, perché l’amnistia estingue il reato e ne fa cessare tutte le conseguenze – vogliono incassare anche le indennità.
Vi è un caso in queste proteste: quello di un fascista, il quale vuole che gli siano liquidate – ed ha ragione secondo l’atto di clemenza – ben 200 mila lire.
Questo si verifica quando ancora vi sono degli antifascisti i quali non vedono accolta la loro domanda di riassunzione e di ricostruzione della loro carriera in base al decreto del 6 gennaio 1944.
È vero che si sono create delle commissioni paritetiche per i ferrovieri e per i postelegrafonici, commissioni che anzi dovrebbero essere create per tutti i settori dell’amministrazione statale, ma esse non funzionano, o per lo meno il loro procedere è molto lento, prima di venire a qualche decisione utile.
Sicché è ancora disoccupata una grande quantità di antifascisti, specialmente fra i postelegrafonici ed i ferrovieri. I ferrovieri, che sono stati all’avanguardia della lotta dell’antifascismo, hanno visto vuotare le loro file con la formula dello scarso rendimento: centinaia e centinaia di essi sono disoccupati.
Noi chiediamo quindi, e saremo qui a vigilare, che le promesse non rimangano allo stato di promessa, ma si concretino in fatti e che il decreto del 6 gennaio 1944 sia senza ritardo applicato nei confronti di tutti gli impiegati statali e parastatali. Bisogna tener presente la situazione di coloro che hanno partecipato agli scioperi del 1922 e del 1921. Quello del 1921 che si ebbe nel compartimento ferroviario di Firenze fu a scopo di protesta contro l’assassinio di Lavagnini, Segretario del Sindacato ferrovieri.
Né va dimenticata la sorte di quegli insegnanti che nel 1925 firmarono una dichiarazione di protesta per l’assassinio di Matteotti. Molti di costoro non erano allora in ruolo e non sono quindi stati riassunti; mentre i loro compagni, che quella dichiarazione non hanno firmato ed hanno fatto atto di sottomissione al fascismo, oggi rimangono ai loro posti.
Vi è anche la situazione di quegli ufficiali e impiegati che sotto il governo repubblichino hanno dato le dimissioni per non andare al Nord e non assoggettarsi al governo fascista. Costoro non possono essere riassunti, nonostante la domanda che all’uopo hanno presentata.
Tutto questo ci preoccupa. Ricordiamo che l’epurazione è mancata: si disse che si doveva colpire in alto e non in basso, ma praticamente non si è colpito né in alto, né in basso. Vediamo ora lo spettacolo di questa amnistia che raggiunge lo scopo contrario a quello per cui era stata emanata: pensiamo, quindi, che verrà giorno in cui dovremo vergognarci di aver combattuto contro il fascismo e costituirà colpa essere stati in carcere ed al confino per questo.
Non si è risposto alla terza parte della mia interrogazione, strettamente connessa alle altre due.
Osservo che sarebbe vano il recriminare se non traessimo un insegnamento dagli errori compiuti.
Avremmo dovuto servirci dell’istituto della grazia ed applicarlo caso per caso; avremmo dovuto stabilire la condizione che il beneficiario del condono, qualora compisse entro cinque anni un nuovo reato, dovrebbe non solo rispondere di questo, ma subire anche la revoca del beneficio ottenuto.
Comunque, dobbiamo trarre insegnamento dagli errori commessi per evitarli domani. Pertanto riteniamo che ogni provvedimento legislativo – come già è stato detto qui da un insigne giurista – non dovrebbe essere emanato dal potere esecutivo, ma essere soltanto l’espressione della volontà popolare. Al di sopra di questa non vi sono altri poteri e altre volontà.
Quindi ogni provvedimento legislativo deve essere vagliato, discusso, nell’Assemblea dei rappresentanti del popolo, e soltanto da questa Assemblea emanato. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Pertini.
PERTINI. Mi conceda ancora un minuto. Voglio accennare alla situazione di carattere obiettivo creata da questa amnistia. Con essa sono usciti dalle carceri dei veri criminali tetragoni ad ogni pentimento, e che hanno ancora l’animo che avevano sotto il fascismo.
Costoro sono per noi dei veri nemici della Repubblica. Sappiamo benissimo che la Repubblica non può e non deve imporsi con la violenza e coi tribunali speciali, come ha fatto il fascismo; ma la Repubblica si imporrà anche a coloro che hanno votato per la monarchia quando realizzerà se stessa, cioè quando darà vita a quelle riforme di carattere sociale ed economico che faranno apparire la Repubblica come l’espressione degli interessi e delle aspirazioni del popolo italiano. Ma perché la Repubblica possa dar vita a queste riforme bisogna che non sia insidiata nella sua esistenza. Noi vogliamo essere indulgenti verso tutti coloro che, nemici ieri, si dimostrano ravveduti oggi e vogliono operare nella legalità repubblicana, ma dobbiamo essere inesorabili e implacabili contro tutti coloro che tentassero di violare l’ordine repubblicano. (Vivi applausi a sinistra).
Noi non dobbiamo attendere che da questa situazione derivino conseguenze irreparabili, ma nostro dovere è quello di prevenire le cause che potrebbero dar vita a queste conseguenze.
Si crei quindi una legge che consenta al potere esecutivo di allontanare dalla società, per un determinato tempo, coloro che tentassero di violare la legalità repubblicana. Solo in questo modo noi potremo apprestarci ad assolvere il compito che ci è stato affidato dal popolo italiano; solo in questo modo noi potremo veramente dare solide fondamenta alla nascente Repubblica democratica italiana. (Vivissimi applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, a termini dell’articolo 80 del Regolamento, l’onorevole Togliatti. Ne ha facoltà.
TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, essendo stato Ministro Guardasigilli nel Governo che ha emanato il provvedimento di amnistia che è stato posto in discussione, ho avuto una parte di primo piano nella elaborazione, nella presentazione e nella approvazione di questo decreto. Ciò mi autorizza, credo, a intervenire nel dibattito che a proposito di esso è stato sollevato.
Condivido le espressioni di dolore e vorrei dire anche di sdegno, con le quali l’onorevole Pertini ha commentato alcuni aspetti dell’applicazione dell’amnistia, sottolineando determinati stati d’animo, suscitati nel popolo da questi aspetti.
Desidero, d’altra parte, ricordare alcune cose e la prima è che era unanime il desiderio di un atto di clemenza, di maggiore o minore larghezza, il quale intervenisse nel momento in cui si creava in Italia uno Stato repubblicano, nel momento in cui la Repubblica cominciava la propria esistenza come regime di tutti gli italiani. Questa esigenza era stata avanzata, credo, da tutti i partiti, non esclusi i partiti dell’estrema sinistra, e da tutti gli strati dell’opinione pubblica, con maggiore o minore insistenza.
Il Governo non poteva non aderire a questa richiesta, non poteva non far propria questa esigenza, e il fatto che il Governo l’abbia fatta propria, – l’onorevole Presidente del Consiglio mi permetterà di parlare in questo modo benché non faccia parte del Governo, ma allora ero Ministro – credo sia stata una manifestazione di forza e non di debolezza del regime repubblicano. Abbiamo guardato in faccia alla realtà; abbiamo compreso che vi era una grande parte dell’opinione pubblica, soprattutto degli strati medi della popolazione, la quale ci chiedeva un atto di clemenza, e lo abbiamo concesso, pur rendendoci conto che, per quanto bene formulassimo la legge di amnistia, mai avremmo potuto formularla in modo tale che aderisse perfettamente, come il regolo elastico di Aristotile, alla superficie scabra della realtà. Pur rendendoci conto di tutto questo, abbiamo pensato che la Repubblica era così forte, per la vittoria conquistata con la consultazione del 2 giugno, e così forte ormai il regime democratico nel cuore di tutti gli italiani, che si poteva fare quello che abbiamo fatto.
Tutti i partiti, del resto, furono d’accordo nel concedere questo atto di clemenza, pure essendovi state discussioni circa il modo come si dovesse formulare il relativo decreto.
Riguardo alle circolari interpretative, noi ci trovavamo di fronte alla necessità di dare un’amnistia non indifferenziata; dovevamo fare una distinzione tra alcuni delitti politici e gli altri. Trovammo una formula che è quella che è stata citata dall’onorevole Pertini, la quale esclude dall’amnistia prima di tutto coloro che hanno avuto elevate cariche di responsabilità civile e politica, o comandi militari e coloro i quali hanno commesso reati particolarmente gravi ed a scopo di lucro.
COSATTINI. Perché «particolarmente»?
MAZZONI. «Particolarmente» inoltre è soggettivismo: di fronte ad un «particolarmente» che cosa fa un disgraziato giudice?
TOGLIATTI. Mi permetta l’onorevole Mazzoni: i reati da noi considerati particolarmente gravi sono indicati nel testo di legge. Inoltre, la regola della connessione, che qui è stata citata dall’onorevole Pertini, è stata ricordata un quel decreto, non allo scopo di escludere dalla sanzione particolari delitti, ma allo scopo di includerli, cioè allo scopo di colpire… (Interruzione dell’onorevole Cosattini) …reati anche meno gravi commessi in connessione con i reati più gravi a cui l’amnistia non si applica. (Interruzioni).
D’altra parte, tutti i decreti di amnistia che abbiamo fatto finora – e ne abbiamo fatto due altri – di carattere politico, sono informati allo stesso criterio; anzi uno fu emanato da uno dei Governi che precedettero la liberazione di Roma. Anche in quel decreto, che è del 1944, si introduce un criterio di differenziazione politica generica; e altrettanto si può dire di un decreto successivo, fatto per discriminare gli atti commessi in violazione di determinate leggi dai partigiani. Se non si segue questa norma, che in tali casi diventa inevitabile, non si ha più un decreto di amnistia, ma una casistica; non si ha più, cioè, un provvedimento di carattere politico.
Questo rendeva necessario, – ho constatato che vi è stata in questo senso una pratica costante di tutti i Guardasigilli – da parte del Guardasigilli stesso di interpretare le disposizioni della legge, ciò che io feci in parte nella relazione e in parte con istruzioni inviate ai Procuratori generali della Repubblica, servendomi della facoltà di vigilanza sulle Procure generali che è prevista dalla legge.
Secondo le informazioni che possedevo nel momento in cui ho lasciato il Ministero di grazia e giustizia, su 13 mila procedure circa aperte o condanne, vi sono state circa 2500-3000 scarcerazioni.
Questi sono i fatti. Per concludere ritengo, nonostante vi siano stati quegli episodi dolorosi cui si è accennato, e verso i quali la mia posizione è analoga a quella dell’onorevole Pertini, che il decreto di amnistia doveva ad ogni modo essere emanato e difficile sarebbe stato a qualsiasi Governo fare un atto di amnistia che non desse luogo a determinati errori.
Quello in cui sono pienamente d’accordo con l’onorevole Pertini e su cui credo saremo d’accordo tutti in questa Assemblea, perché è nel comune intento di tutti noi, è lo spirito col quale abbiamo condotto la guerra di liberazione e creato la Repubblica; è la considerazione che se la Repubblica, sorgendo, ha voluto compiere un atto di clemenza, lo ha dato a degli uomini, ai quali ha perdonato, non lo ha dato al regime, non lo ha dato al fascismo, contro il quale dovremo continuare e continueremo a condurre un’azione politica e, se sarà necessario, anche legislativa, per impedire che possa in qualsiasi modo rinascere. Questa è la base del regime democratico, questa è la base della Repubblica nel nostro Paese. Se essa dovesse venir meno, né Repubblica né democrazia potrebbero sopravvivere. (Applausi all’estrema sinistra).
Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Prima di dar facoltà di parlare all’onorevole Ministro del tesoro, rivolgo viva raccomandazione agli onorevoli deputati, che sono tra gli iscritti e che non intendano rinunziare alla parola, di contenere i loro discorsi entro i più brevi limiti di tempo, affinché la discussione non sia troppo prolungata. (Approvazioni).
Avverto in proposito che, qualora sia chiesta, appoggiata e approvata la chiusura della discussione, nessun Deputato potrà più parlare, a meno che – come è previsto dagli articoli 77 e 88 del Regolamento – prima della chiusura stessa, abbia presentato, senza svolgerlo, un ordine del giorno, ovvero intenda fare una pura e succinta spiegazione del proprio voto.
Ha chiesto di parlare. l’onorevole Ministro del tesoro. Ne ha facoltà.
CORBINO, Ministro, del tesoro (Segni di viva attenzione). Onorevoli colleghi, il Presidente del Consiglio ha creduto opportuno che, interrompendo la serie degli oratori, io fornisca all’Assemblea quel minimo di dati sulla nostra situazione finanziaria che sono indispensabili per avere un quadro esatto delle possibilità di azione da parte del Governo e della capacità d’assistenza che a quest’azione può dare il complesso delle forze economiche del Paese.
Adempio al compito affidatomi dal Capo del Governo e lo farò nei più brevi limiti di tempo compatibili con il minimo di chiarezza e compiutezza di esposizione, e con la massima obiettività, se non addirittura con aridità.
Il bilancio del 1945-46, secondo i risultati provvisori finora accertati, si è chiuso con un disavanzo effettivo di 350 miliardi, ma non sarebbe agevole per l’avvenire prendere a base i dati di questo bilancio, perché esso è stato il risultato di numerosissime variazioni di stanziamenti dovute da una parte alla progressiva restituzione all’Amministrazione italiana delle varie province, dall’altra all’influenza che, specie nei riguardi della spesa, ha esercitato la situazione economica del Paese.
L’azione del Governo costituito nel dicembre del 1945 è stata a questo proposito molto intensa, con stanziamenti superiori alle possibilità iniziali, ed a confermarlo basteranno poche cifre.
Sono stati disposti stanziamenti straordinari per un complesso di 175 miliardi di lire così distribuiti: 68 miliardi per lavori pubblici; 15 miliardi per opere collegate ai miglioramenti agrari; 22 miliardi per aiuti alle industrie; 56 miliardi per provvidenze a favore delle Aziende autonome statali (ferrovie, poste, telegrafi, telefoni e tabacchi), oltre a stanziamenti minori.
Né minore è stato l’intervento governativo per il miglioramento delle condizioni di tutti i dipendenti degli Enti pubblici, poiché il complesso delle somme già stanziate o rispetto alle quali l’Amministrazione del Tesoro ha già dato il suo assenso dal 12 dicembre del 1945 fino al 20 luglio 1946, comportano oneri di bilancio ordinari e straordinari a carattere transitorio o permanente che per il periodo che va fino alla fine dell’anno finanziario in corso e senza comprendervi l’onere del premio della Repubblica, si avvicina, e forse la supera, alla somma di 80 miliardi di lire.
Come voi vedete, lo sforzo che la pubblica finanza ha sopportato per tenere all’impiedi tutto ciò che di sano e di fondamentale vi era nella economia del Paese raggiunge, nel breve giro di 7 mesi, la cifra rilevante di 250 miliardi, di cui una notevole parte è stata già pagata ed il resto graverà sull’esercizio testé iniziato e su qualcuno ancora dei prossimi.
Il dato più notevole di tutto ciò non è il fatto che a questo incremento di spesa si sia provveduto, quanto la circostanza fondamentale che i bisogni di cassa creati da questa mastodontica azione di finanza sono stati fronteggiati con i mezzi ordinari di tesoreria, senza ricorrere all’emissione di una sola lira di carta moneta in più di quella che esisteva in circolazione alla data del 12 dicembre del 1945. (Vivi applausi al centro e a destra).
Non solo, ma nello stesso periodo di tempo, e precisamente dal 15 marzo al 19 di questo mese, sono stati messi a disposizione del Comando Militare Alleato, per paghe truppe, dei biglietti della Banca d’Italia per un ammontare di 16.394 milioni di lire.
Come sia accaduto quello che, dentro certi limiti, si potrebbe considerare come un vero miracolo, è merito del Governo solo entro i limiti della sua azione generale che, avendo creato nel Paese quello stato d’animo di fiducia nell’azione governativa, ha fatto spontaneamente affluire al Tesoro i mezzi con i quali questo enorme sforzo ha potuto essere compiuto.
L’esperienza di questo periodo rende assolutamente inaccettabile il suggerimento dato da qualcuno di espandere un po’ la circolazione per far fronte alle immediate esigenze della tesoreria. Questo rimedio sarebbe pericoloso ed inutile: pericoloso perché aprirebbe la via della inflazione in un momento particolarmente delicato; inutile perché, per l’ondata di sfiducia che ne seguirebbe, il Tesoro perderebbe da una parte più di quanto non possa ricevere dall’altra.
La circolazione non sarà aumentata di una lira e i mezzi occorrenti si troveranno egualmente nella quantità compatibile con la situazione del mercato. Finora non vi è stato bisogno di rinnovare nessuna delle leve speciali attraverso le quali si può determinare un più copioso afflusso di fondi, ma ove ciò fosse necessario il Tesoro non esiterebbe a farvi ricorso.
Coloro che attendono una fase lucrosa di profitti di speculazione monetaria, è bene che si disilludano. Per ragioni monetarie i prezzi dovranno scendere e scenderanno fino ai limiti della parità dei poteri di acquisto sul mercato internazionale.
Senza fermarci ulteriormente sul passato, per quanto, come voi avete potuto vedere, sia estremamente suggestivo l’insegnamento che da esso si può ricavare, guardiamo un po’ all’avvenire.
Il bilancio in corso, cioè quello del 1946-47, tenendo conto di altri oneri che non sono stati inclusi nelle previsioni ufficiali, perché venuti dopo, prevede nella parte effettiva un disavanzo di 224 miliardi dovuto ad una previsione di spesa di 372 miliardi e ad una di entrate effettive di 148; ma dividendo questi dati negli elementi costitutivi relativi alla spesa ordinaria e straordinaria, si vede che per la parte ordinaria il disavanzo è relativamente modesto.
A fronte di una previsione di spesa normale di 223 miliardi, sta una previsione di entrata di 147 miliardi; ma spingendo lo sguardo al di là dei limiti che si ponevano tre mesi or sono, quando il bilancio in corso è stato preparato, si deve ammettere come certa la possibilità di un ulteriore incremento della spesa ordinaria, ma come ugualmente certa anche la espansione delle entrate normali di bilancio, poiché le previsioni di 147 miliardi sono il risultato di un prudente apprezzamento del probabile gettito dei tributi quale si poteva fare nel mese di marzo ultimo scorso, mentre il congegno delle imposte si va sempre più perfezionando e gli effetti sul gettito si cominciano già a rivelare al punto che oggi si possono aumentare le cifre di previsione di quel tanto che occorrerà per compensare e probabilmente anche superare il probabile incremento del bilancio.
Se il ritmo di attività economica del Paese non sarà turbato da notevoli sconvolgimenti interni o dai riflessi di gravi fatti esterni, solo per virtù del normale assetto dei tributi potremo considerare come meta raggiungibile il pareggio fra entrate e spese ordinarie forse per l’esercizio 1947-48, certo per l’esercizio 1948-49.
A tal fine si tenga presente che i bilanci militari oggi gravano per un onere normale di 92 miliardi e per uno straordinario di 34 miliardi; ma essi sono destinati a pesare gradualmente meno, non appena la smobilitazione degli organi bellici sarà stata effettuata, grazie alle disposizioni di sfollamento già approvate dal precedente Governo o in corso di approvazione.
Ma nell’esercizio in corso e ancora per qualche anno noi dovremo fronteggiare oneri straordinari ingenti. Le previsioni rispetto a questi oneri non sono possibili. Vi è un imperativo categorico che si riferisce alla spesa straordinaria, la quale dovrà essere quella massima consentita dalla situazione della pubblica finanza, per dare all’attività economica del Paese l’impulso più grande che sia in potere del Governo di dare (Approvazioni). Ora, dal momento che il limite massimo non può essere cercato nella spesa – dovendosi erogare tutto quello che sarà possibile – evidentemente il massimo dovrà esser dettato dalle disponibilità di cassa, ed allora il problema della ricerca del maximum si sposta dal terreno puro e semplice della spesa su quello molto più positivo e limitato dell’entrata, sia dei proventi di tributi straordinari, sia per movimenti di capitale collegati a prestiti interni ed esteri.
Si è parlato di un fondo di 3-400 miliardi da destinare a questo scopo. È bene che si sappia che il Governo non ha alcuno scrigno dal quale attingere una somma così ingente, e non può fissare alcun limite preventivo. Più che di un fondo si dovrebbe meglio parlare di un flusso di mezzi che nel giro di un anno potranno consentire quella spesa straordinaria.
Una voce. Troppo tempo!
GORBINO, Ministro del tesoro. È allora evidente la necessità di avere un’idea chiara delle disponibilità liquide del mercato, perché sul terreno del problema di cassa non basta pensare alle imposte straordinarie o ad un rincrudimento delle imposte ordinarie, se il ricorso ai nuovi tributi – perfettamente giustificabile e assolutamente indilazionabile sul piano di una maggiore giustizia sociale e di una diversa distribuzione dell’onere tributario – deve soltanto provocare una modificazione delle fonti a cui attinge la tesoreria e non un loro effettivo aumento.
Si tenga presente a questo proposito che le fonti dalle quali i mezzi possono affluire allo Stato sono esclusivamente due e cioè:
1°) i biglietti in circolazione effettiva, per la parte esuberante i bisogni minimi della circolazione per ogni cittadino;
2°) in via subordinata, le disponibilità collegate con i depositi bancari.
Di fatto oggi una parte della circolazione è tesaureggiata. Non sappiamo esattamente quanta sia questa parte, ma non è da ritenere che sia molto grande; in ogni caso essa è molto meno grande di quanto taluni pensano. Ma qualunque sia la cifra che corrisponde al tesaureggiamento, non c’è dubbio che non vi sia nessun vantaggio per lo Stato a scovarlo dai suoi nascondigli, se non con mezzi fiscali che ne consentano il trasferimento definitivo al tesoro. Quest’opera di ricerca è in corso con l’accertamento dei profitti di regime e di speculazione, e sarà intensificata fino al massimo consentito dalla struttura dell’amministrazione finanziaria. Per il resto della circolazione si tratta di far sviluppare gli ordinamenti bancari in maniera da ridurre relativamente a quantità sempre più piccole la massa dei biglietti che occorre per le ordinarie transazioni commerciali, facendo trasferire agli Enti bancari di ogni tipo i biglietti resi in tal modo disponibili. Ma è questa opera lenta e di cui i risultati non possono essere immediati: basta pensare che una riduzione media di 500 lire per abitante sulla massa che ciascuno di noi porta abitualmente in tasca provocherebbe un incremento di disponibilità bancarie di appena 23 miliardi e noi abbiamo bisogno di una somma 15 volte maggiore!
Per quello che concerne le disponibilità attuali dei depositi bancari, le possibilità di aumentare i mezzi della tesoreria o attraverso imposte o attraverso prestiti sono limitate, perché la grandissima parte dei proventi delle operazioni passive delle banche è già affluita al tesoro. Infatti sulla situazione di tesoreria gravano oggi i buoni ordinari per un ammontare che alla data del 20 luglio superava i 254 miliardi e le anticipazioni in conto corrente ordinario che alla data del 15 luglio ammontavano a 133 miliardi.
Ora è vero che non tutti i buoni del Tesoro sono sottoscritti dalle banche, ma non c’è dubbio che i 133 miliardi sono prelevati dai 500 miliardi di deposito esistenti presso i vari istituti di credito, istituti che nel loro portafoglio hanno altri titoli dello Stato e altri titoli a reddito fisso.
Per conseguenza, qualsiasi imposta straordinaria o ordinaria, qualsiasi provento darà poco di quello che si potrebbe chiamare capitale liquido di nuova formazione, ed in genere provocherà solo uno spostamento della fonte dei proventi della Tesoreria, perché colui il quale deve pagare l’imposta preleva le sue disponibilità liquide dai propri conti correnti bancari e le versa allo Stato. Se perciò da un lato crescono le entrate di Tesoreria per l’incremento delle imposte, dall’altro aumentano le uscite di Tesoreria per il prelievo dei conti correnti bancari. In altri termini oggi la Tesoreria ha nel mercato creditizio italiano una funzione curiosissima: è diventata una specie di banca delle banche e dei privati e gli spostamenti in più da una parte finiscono con l’essere compensati dagli spostamenti in meno dall’altra.
A questo punto si potrebbe dire che il problema si presenta quasi come un problema insolubile; ma per fortuna non è così, perché quello che importa dal punto di vista economico e finanziario non è tanto il giro fra le varie partite attive o passive della Tesoreria verso le banche e reciprocamente, quanto il complesso dei movimenti di capitali all’interno nelle loro successive trasformazioni tecniche da capitale circolante in capitale fisso, e nell’immediata surrogazione sotto forma di nuovo capitale circolante o con nuove produzioni o con apporto di beni provenienti dall’estero.
È qui che la Tesoreria può attingere come ad un flusso continuo di disponibilità; è nella migliore utilizzazione dei capitali circolanti, nella loro più rapida trasformazione in investimenti fissi a carattere produttivo e nella formazione di nuovi capitali monetari che sono il risultato del risparmio, che la Tesoreria può attingere per i suoi bisogni di carattere straordinario.
Dobbiamo quindi sforzarci di ridurre al minimo la massa dei capitali liquidi circolanti nel Paese sotto forma di beni di ogni genere, ma perché questo accada occorre che i beni reali disponibili sul mercato e facilmente trasmissibili non siano ricercati come forma di investimento monetario per la paura di successive svalutazioni.
Da impressioni tratte dalla mia permanenza al Tesoro io mi sono convinto che esistono oggi in Italia materie prime, semilavorate e prodotti finiti non strettamente necessari per il normale processo produttivo, per un valore non inferiore ai 150 miliardi di lire.
Sono questi i veri capitali inerti, che bisognerebbe disimboscare per farli passare al consumo o alle successive fasi produttive. Ma non c’è da illudersi che il Governo abbia il modo di trovarli, perché prima di noi non ci sono riusciti né i fascisti, né i tedeschi, né gli anglo-americani; questi beni sono nascosti per il timore di svalutazioni monetarie, e per questo timore i loro possessori perdono (a tener conto solo degli interessi) almeno 10 miliardi all’anno, e li continueranno a perdere fino a che il rischio perdurerà. Se noi daremo a costoro il senso della tranquillità politica e monetaria (Applausi al centro e a destra), una parte notevole di questi capitali rientrerà subito nella circolazione, ed allora o lo Stato potrà espandere il suo programma straordinario, o l’iniziativa privata assorbirà per proprio conto una parte notevole dei disoccupati. Data questa tranquillità, il Tesoro si propone di continuare a raccomandare alle banche che esse si astengano dal fare operazioni di finanziamento, quando siano dirette esclusivamente a consentire la conservazione di merci a carattere puramente speculativo. (Applausi a destra).
È per dare la tranquillità monetaria che il Governo, indipendentemente da qualsiasi considerazione di carattere tecnico che lo renderebbe impossibile per molto tempo, non intende ricorrere al cambio della moneta con intenti fiscali, riservandosi l’impiego di altre forme di accertamento per quelle imposizioni di carattere personale e straordinario, che sono state enunciate nelle dichiarazioni del Presidente del Consiglio. In tal modo il flusso del nuovo risparmio sarà sufficiente ad assicurare da solo mezzi cospicui; infatti nei primi sei mesi di quest’anno, l’incremento della emissione dei nuovi buoni del Tesoro ordinario è stato di 64 miliardi di lire, cioè in media di oltre 10 miliardi al mese.
Ciò non significa che talune modifiche tecniche della circolazione non debbano essere effettuate.
Già da tempo è stato autorizzato il ritiro dei biglietti di piccolo taglio e la loro sostituzione con monete metalliche, che saranno le prime a portare la dicitura della Repubblica Italiana. Si spera che, espletate le gare necessarie nella forma di legge, questo miglioramento nella circolazione degli spezzati possa essere presto realizzato.
Ma un’altra sostituzione relativa ai biglietti di taglio più grosso s’impone. Come è noto, dal 15 marzo di quest’anno i mezzi monetari occorrenti agli Alleati sono forniti dal Tesoro con biglietti della Banca d’Italia, e da allora si è arrestata la emissione delle Am-lire. Non c’è più nessuna ragione che possa giustificare il mantenimento ulteriore delle Am-lire in circolazione, anzi, data la loro estrema facilità di falsificazione, vi sono ragioni molto serie per eliminarle. Sono in corso le trattative con la Banca d’Italia per le operazioni necessarie alla sostituzione delle Am-lire con titoli equiparati, a tutti gli effetti, ai biglietti di banca di valore multiplo di mille lire e cioè: cinquemila e diecimila lire – e non venticinquemila come hanno pubblicato i giornali – con il che, oltre a togliere una moneta della quale, specialmente in alcune regioni del Nord, è piuttosto difficile la circolazione, si viene incontro al desiderio del mondo bancario e degli uomini di affari in genere di diminuire il gravosissimo lavoro per il controllo dei biglietti che passano per le loro mani.
Va da sé che le Am-lire conserveranno pieno valore legale, fino a quando non saranno stati presi accordi con gli Alleati per la loro totale sostituzione.
I nuovi titoli erano già predisposti per il famoso cambio della moneta e sono dunque pronti in quantità sufficiente per iniziare quel riordinamento della circolazione, che appare quanto mai indispensabile. Essi saranno emessi in sostituzione delle Am-lire, specie del taglio grosso, da cinquecento e mille lire, valore per valore, senza una lira di aumento della circolazione globale.
Vi sono delle ragioni serie per non rinviare oltre questa sostituzione. Spero un giorno di poterla comunicare. Ma, circa il metodo prescelto per farlo, desidero eliminare la falsa impressione inflazionista, che la notizia della introduzione di tagli superiori alle mille lire potrebbe avere determinata.
È bene a questo proposito ricordare che, anteriormente alla prima guerra mondiale, quando in qualche periodo la lira-carta faceva aggio sulla lira-oro, noi avevamo in circolazione, oltre alle monete d’argento da una e due lire di allora, dei biglietti di Stato da cinque e dieci lire per un ammontare di cinquecento milioni, in confronto di una circolazione di biglietti delle allora tre banche di emissione per un totale di 2.283 milioni al 31 dicembre 1913, formata da biglietti di taglio compreso tra le cinquanta e le mille lire di allora. Ora, ove si tenga conto del diminuito potere di acquisto della moneta, il titolo odierno da cinquemila lire corrisponde grosso modo al biglietto di cinquanta lire del 1913 e quello da 10 mila al biglietto da cento lire, mentre l’attuale biglietto da mille lire corrisponde al vecchio biglietto di Stato di 10 lire.
Avere finora rispettato il limite massimo di mille lire per il biglietto di banca, quando il potere d’acquisto della lira si è nel frattempo ridotto a meno di un centesimo, significa avere di fatto soppressa la vecchia circolazione di biglietti di banca sostituendola in valore per intero con biglietti da dieci lire, determinando un forte aumento del costo della circolazione, sia per lo Stato, che paga per la stampa dei biglietti, sia per i privati che devono continuamente maneggiarli.
Dobbiamo gradualmente avviarci ad un sistema più normale e sono sicuro che i nuovi tagli da 5 e 10 mila lire saranno accolti dal pubblico con soddisfazione – e prima di vederli in circolazione dovremo attendere perché ci sarà la tendenza a farli sparire – sia perché più comodi, sia perché meno esposti al rischio della falsificazione.
Con il che tutto non sarà finito e io lascio all’iniziativa dei futuri Ministri del tesoro lo studio delle possibilità e della convenienza d’introdurre un multiplo legale della lira, su cui potrebbe essere basata la futura riforma della circolazione monetaria con il ritorno alle monete d’argento, se e quando questo sarà possibile.
Anche senza tener conto delle anticipazioni, poiché i biglietti che costituiscono oggi la quasi totalità della circolazione non saranno mai rimborsati, ma potranno essere, trasferiti alla Banca d’Italia quando si risolverà a nostro favore la questione dell’oro asportato dai tedeschi, la situazione di tesoreria – con duecentocinquanta miliardi di buoni del tesoro e centotrentatrè miliardi di anticipazioni in conto corrente – è indubbiamente preoccupante, perché basterebbe un leggerissimo allarme nella situazione monetaria per gettare lo scompiglio nei rapporti fra il Tesoro e le Banche e i loro clienti.
Da ciò sorge la necessità di provvedere al consolidamento di una parte almeno di questo notevole debito fluttuante, mediante la emissione di un prestito consolidato già deliberato dal precedente Governo e di cui non restano da determinare che alcune caratteristiche tecnico-finanziarie importantissime e la data di emissione.
Posso fin da ora dire che il nuovo prestito sarà disposto in maniera tale che i sottoscrittori privati riceveranno direttamente all’atto del versamento i titoli definitivi, di cui la stampa è a buon punto, mentre per i grossi enti sottoscrittori, ove i titoli definitivi non fossero sufficienti, si provvederà con certificati provvisori al portatore già pronti e negoziabili in borsa.
Il Governo confida che questa grandiosa operazione finanziaria, per la quale a suo tempo verrà chiesta la collaborazione di tutti i membri dell’Assemblea e di tutte le forze politiche nazionali, darà anche un deciso apporto di disponibilità liquide che almeno in parte potranno consentire il finanziamento della politica diretta a combattere con tutti i mezzi la disoccupazione.
Fino a quella data l’afflusso ordinario dei mezzi consentirà alla Tesoreria di fronteggiare gli oneri straordinari che sono prevedibili in questo momento. Ciò è successo finora e non c’è nessuna ragione per credere che non debba continuare a succedere. I momenti di ansia sono passati e li ho divisi col Presidente del Consiglio, ma ormai possiamo essere tranquilli.
La curva di incremento dei buoni del tesoro ordinari, che aveva mostrato delle punte minime e talvolta anche negative nel periodo compreso fra il 15 giugno e il 2 luglio, ha ripreso dopo il suo ritmo normale e negli ultimi tempi ha toccato delle cifre che sono veramente significative.
In un giorno della seconda decade di luglio abbiamo avuto nuove sottoscrizioni per un miliardo e 76 milioni. Dopo pochi giorni nuove sottoscrizioni per un miliardo e 706 milioni solo in una giornata.
Ma l’apporto principale per il finanziamento della futura politica di ricostruzione non può essere dato da mezzi interni anche con la certezza della conservazione dell’ordine più assoluto e di una ripresa produttiva che consenta la piena utilizzazione di tutte le forze del paese.
L’Italia purtroppo non è oggi in condizioni di provvedere alle sue necessità immediate senza il ricorso a prestiti esteri. Questo ricorso ci è indispensabile per ragioni economiche e per ragioni finanziarie: per ragioni economiche, in quanto che noi non abbiamo ancora potuto attrezzare la nostra economia fino al punto da consentirci le esportazioni di merci per un valore sufficiente a controbilanciare la massa delle importazioni necessarie. Lo sforzo che il Paese va facendo in questa direzione è veramente formidabile e i risultati conseguiti sono superiori a qualsiasi aspettativa. Dopo l’entrata in vigore della concessione del 50 per cento di valuta libera agli esportatori, la massa delle merci esportate è sensibilmente aumentata da circa 11 milioni di dollari per il periodo 15 febbraio – 30 aprile; cioè per due mesi e mezzo, è passata a 16 milioni di dollari nel solo mese di maggio e forse si deve essere avvicinata ai venti milioni di dollari nel mese di giugno per il quale mancano ancora i dati completi. Ma i nostri bisogni di importazione superano di gran lunga le disponibilità valutarie provenienti dalle esportazioni ed esigono una larga integrazione attraverso il concorso del capitale straniero o di quello nazionale rifugiatosi od esistente all’estero.
Ma sia qui ben chiaro: noi non abbiamo bisogno dei capitali; abbiamo bisogno delle merci che quei capitali ci consentono di acquistare perché soltanto le merci giungendo nel territorio nazionale si possono trasformare in fonti di finanziamento diretto o indiretto dello Stato.
Ora per disponibilità in valute da trasformare in mezzi o in merci dirette noi possiamo contare:
1°) su quello che, entro i limiti della sua durata, ci verrà per la esecuzione del piano UNRRA 1946;
2°) sui proventi della vendita dei surplus americano e inglese che ci è stato già o ci verrà ceduto nei prossimi mesi e che ammonta a parecchie diecine di miliardi;
3°) sull’accreditamento nel fondo paga truppe da parte del Governo nord-americano, che per il mese di giugno ultimo scorso è stato di 18 milioni di dollari e complessivamente finora di 175 milioni di dollari;
4°) sulle rimesse degli emigranti e sul rientro in Italia di capitali precedentemente investiti all’estero e che rientreranno tanto più facilmente e più copiosamente quanto maggiore sarà il senso di sicurezza economica e politica che essi potranno trovare all’interno;
5°) sui proventi della marina mercantile, che però ancora per molto tempo saranno destinati per l’acquisto di altre navi o per l’ammortamento dei debiti contratti per le 50 Liberty ships;
6°) infine sui proventi del movimento turistico, che è ora appena all’inizio, ma che, con altre fonti da considerare come esportazioni invisibili, non manca già di esercitare una moderata influenza sulla nostra bilancia dei pagamenti.
Ma tutto ciò non basta, costituirà solo una frazione di quello di cui avremo bisogno ai fini del finanziamento degli acquisti di carbone, di petrolio, di grano e di tante altre cose, e che fino a tutto il 1947 si avvicinerà ad un miliardo di dollari. Ottenere prestiti esteri è dunque per noi condizione di vita o di morte, ed è da sperare che le ragioni di ordine politico che hanno pesato per far preparare nel campo territoriale una pace così dura per noi, quale quella di cui abbiamo avuto notizie, non eserciteranno più alcuna influenza, quando si tratterà di darci quell’assistenza economica della quale abbiamo bisogno.
Come, da quale Paese, a quali condizioni questa assistenza ci possa essere data con impegno di rimborsi a lunga scadenza, non si può in questo momento indicare. Se diamo uno sguardo al mercato monetario internazionale e alla possibilità di spostamento di capitali da un paese all’altro, ci si presenta uno spettacolo di estrema suggestione per la grande complessità e l’enorme varietà degli elementi che vi entrano in gioco.
Sono attualmente in corso nel mondo spostamenti immensi di masse auree, come risultato del ritiro di depositi precedenti e delle liquidazioni di debiti e crediti fra i vari Stati; movimenti nei prezzi interni di ogni Paese per le particolari condizioni dei rispettivi sistemi di circolazione; accaparramenti di mercati per creazioni di nuove posizioni finanziarie o per liquidazioni di antiche; prestiti per cifre astronomiche, destinati a conservare situazioni monetarie pericolanti ed a creare i presupposti di una più stretta solidarietà internazionale. In questa ridda di miliardi di dollari che si trasferiscono da un punto all’altro del mondo, determinando qui procedimenti di inflazione e altrove di rivalutazioni, come se si avesse paura dell’afflusso del metallo giallo, noi ci inseriamo con le nostre esigenze e cercheremo di farci strada.
Due punti dobbiamo tenere bene presenti: le possibilità di trovare crediti non sono illimitate nel tempo, perché nel giro di pochi anni i motivi che molti oggi hanno di esportare dei capitali verranno quasi completamente meno e se non riusciremo oggi ad avere i prestiti, a parte il loro grado di estrema urgenza, non li otterremo mai più, o li otterremmo a condizioni molto più onerose di quelle che oggi il mercato consente. Ciò perché, ed è questo il secondo punto, il mondo va incontro ad un sensibile rialzo del saggio dell’interesse e nessuna forza politica potrà impedirlo, nessun Governo avrà i mezzi per ostacolarlo. Ma se noi abbiamo bisogno di prestiti per importare e dobbiamo contrarli subito, è evidente che dobbiamo dare ai paesi stranieri, che potranno figurare fra i futuri creditori, la sensazione precisa che in Italia si vuole lavorare sul serio, si vogliono affrontare i problemi con consapevolezza della loro natura, si vogliono gettare le basi di una struttura economica del Paese veramente sana ed equilibrata. Solo a queste condizioni noi potremo insistere per essere accolti in quegli accordi monetari e bancari di Bretton Woods che sono destinati a guidare nel futuro i grandi movimenti internazionali di capitale, e ad assicurare al mondo un regime di relativa stabilità monetaria. Ma noi non potremo pretendere di andare a Bretton Woods, se nell’atto stesso in cui lo chiediamo, minacciamo di sconvolgere il nostro assetto monetario dando l’impressione di essere un Paese bisognoso di una tutela internazionale sul tipo di quella dell’Austria e dell’Ungheria dopo del 1919.
Non ci sarebbe nulla di umiliante se lo stato delle cose imponesse obiettivamente tale tutela. Ma poiché il nostro è un problema di volontà, il non risolverlo con decisioni coraggiose e con fermezza sarebbe veramente cosa che ci potrebbe mortificare.
Le indubbie prove di solidarietà e di affettuosa assistenza che sul terreno economico si sono già avute da parte degli Stati Uniti dell’America del Nord, quelle che sul terreno politico ci vengono oggi dalle Repubbliche Sud Americane, ci fanno fondatamente sperare che le nostre giuste richieste di collaborazione del capitale internazionale potranno essere accolte. Potremo così avere gli altri mezzi dei quali abbiamo bisogno per superare questo difficilissimo periodo di pochi mesi, trascorso il quale, come nel passaggio dalla notte al giorno, noi potremo prima intravedere le luci dell’alba e poi vedere sorgere il sole.
Onorevoli colleghi, consentitemi poche parole di carattere personale: desidero ringraziare gli oratori che mi hanno rivolto parole benevole, ed anche coloro che criticandomi mi hanno reso il grande servigio di rafforzare ancora di più, se ne avessi avuto bisogno, la mia convinzione.
A tutti desidero fare rilevare che dopo le elezioni mi sarebbe stato facile coprirmi dietro la disciplina di partito per sottrarmi alla responsabilità di partecipare al Governo e di andare a sedere nei banchi dell’opposizione nei quali si trovano i miei compagni di lista. Non volevo farlo e non l’ho fatto. Invitato dall’onorevole De Gasperi e dai colleghi degli altri partiti, che sono entrati nella combinazione ministeriale, a continuare a reggere il Dicastero del Tesoro, ho accettato, infrangendo la disciplina di partito, perché sentivo che era mio dovere, una volta che me ne era offerta la possibilità, di stare in momenti duri nello stesso posto in cui c’ero stato in momenti relativamente più facili. Sono qui quindi a fare il mio dovere, ad assumere tutte le odiosità che il posto porta come non lieto appannaggio, ad affrontare tutte le impopolarità, per dare quello che posso per il consolidamento della Repubblica. Lo darò col mio abituale ottimismo, cari colleghi, che il passato ha giustificato e che il futuro, spero, giustificherà. (Vivissimi prolungati applausi – Molte congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la onorevole Bianchi Bianca. Ne ha facoltà.
BIANCHI BIANCA. Onorevoli colleghi, un senso di elementare giustizia ci impegna oggi, nella nostra vita, a dare quanto più è possibile un volto ed una essenza umana al corpo del nostro Stato, ad adeguare istituzioni e costumi alle nostre vive esigenze di sana democrazia.
In questo senso trova giustificazione tutta la politica delle riforme sociali, di cui si tratta anche nelle dichiarazioni del Governo. Noi vorremmo sperare che questi provvedimenti, promessi a beneficio dell’umana dignità dei poveri e degli umili, fossero davvero messi in atto il più presto possibile. Vorremmo augurarci che queste sane leggi, a servizio delle classi più diseredate, più servili della servile economia odierna, potessero essere prese in seria considerazione. Non vorremmo che rimanessero ancora per lungo tempo promesse scritte sulla carta.
L’adeguamento delle pensioni al costo della vita: è un senso di giustizia che ci richiama a questa rivendicazione sociale; è un senso di giustizia che dà ai nostri uomini, che hanno speso tutta la vita nel lavoro a beneficio e a servizio della società in cui hanno vissuto, il medesimo diritto all’esistenza. Bisogna non aprire loro la porta dell’elemosina, della pietà delle istituzioni e dei singoli; bisogna dar loro il diritto elementare alla vita che è diritto di qualsiasi cittadino nella compagine dello Stato, e occorre al più presto rivedere tutto il sistema di assicurazioni che dia ai lavoratori – interamente impegnati nella vita attiva di questa nostra umana società – quella sicurezza concreta di uno Stato che si serve della loro opera ma, nello stesso tempo, li difende, li protegge negli infortuni e nelle avversità tutte.
E per questo senso della giustizia che dà ad ognuno quel che gli spetta in questo mondo suo e che ci conduce a considerare ogni problema dello Stato come un compito serio di noi stessi, io vorrei parlarvi di un altro problema sociale, un po’ dimenticato in verità. È un peccato che nelle dichiarazioni del Governo si sia parlato troppo poco del problema della scuola. L’accenno, messo lì a chiusura del discorso dell’onorevole De Gasperi su una questione tanto assillante della nostra coscienza contemporanea, ci giustifica certe nostre preoccupazioni o che si sia volontariamente sfuggito il problema e non si sia preso ancora sul serio, o che il silenzio di parole d’oggi voglia significare assenza di opere domani; ci giustifica anche la preoccupazione che si continui a seguire quella nostra inveterata abitudine di riporre la scuola, l’educazione tutta, all’ultimo degli ultimi interessi del vivere sociale.
Bisogna mettersi in mente che la scuola è una cosa seria; e tanto più seria oggi nella nostra coscienza; un’esigenza che tutti noi dobbiamo sentire, soprattutto noi italiani ai quali è affidato il compito di ricostruire moltissime cose.
Il nostro Paese, voi sapete, non ha soltanto da rifare la sua economia distrutta e non ha soltanto da ricostruire le sue case; deve far risorgere tante altre ricchezze, tanti altri vaioli negati o sepolti nella coscienza umana, deve ricreare l’onestà e la libertà nelle coscienze, deve educare questo nostro popolo che è sempre vissuto nella povertà dello spirito, alla ricchezza e alla forza della vita morale (Applausi).
Per questo, onorevoli Colleghi, se il problema della scuola è sentito oggi vivamente da tutte le nazioni civili, europee ed extraeuropee, io direi che ancor più fortemente deve essere sentito da noi, nella nostra Italia distrutta e nella carne e nell’anima; nella nostra Italia che ha troppe piaghe da dover curare, nel nostro Paese che ha tante cose da dover rifare.
Voi potete aver seguito gli studi di questi ultimi tempi ed esservi persuasi che anche le nazioni che hanno vinto la guerra, in Europa e fuori d’Europa, si interessano vivamente alla revisione di tutto il problema educativo e fanno un’opera di critica, oggi, di tutto il sistema della scuola. Inghilterra, Russia, Stati Uniti, a cui si può aggiungere la Svizzera, e i popoli del Nord si manifestano insoddisfatti della organizzazione scolastica dalle elementari sino all’università. Vogliono migliorare l’istruzione primaria, cercano di prolungare il termine di questi studi elementari, vogliono aprire scuole ad un numero sempre maggiore di alunni, cercano tutti i mezzi per istituire corsi post-scolastici atti a dare cultura a coloro che hanno speso e spendono la vita nel lavoro; studiano insomma i modi e le situazioni per poter dare un accento un po’ più moderno, e democratico a tutto il sistema.
E noi in Italia, con tutte le nostre anime distrutte, dopo tanti anni di assenteismo, di miseria morale, di violenze che ci hanno dato l’ipocrisia delle coscienze e la sfiducia in noi stessi; atrofizzati, come siamo, nei sentimenti e nelle idee più pure, sofferenti nella carne e nel cuore sentiamo il dovere di far qualcosa e di prendere una coraggiosa posizione a beneficio della scuola. Noi rimettiamo ancora la scuola, come hanno fatto i governi passati da 30 o 40 anni fino ad ora, all’ultimo degli ultimi posti. Ci sono altri interessi di immediata esigenza: ed è vero. La nostra casa brucia ancora di tutte le sofferenze; noi abbiamo viva negli occhi la visione di tanti lutti; il popolo soffre per la disoccupazione e per la miseria economica; ha sempre davanti a sé questa tristezza, questa disperazione, questo dolore che attanaglia la sua vita giorno per giorno. Ed è difficile liberarsi. Questi problemi sono di così immediata importanza che vanno risolti immediatamente, non si possono rimandare a domani. Il problema del pane, per esempio, e del lavoro non si può rinviare; non si può temporeggiare su di esso senza distruggere nel medesimo tempo la nostra possibilità di vita quotidiana.
Però, badate, fra i precetti degli uomini civili c’è quello di dare la mercede agli operai, ma ce n’è ancora un altro, giustissimo, maturato nel corso della storia dell’umanità, di tutte le epoche: dare il sapere liberatore agli spiriti, perché insieme ai valori del corpo ci sono i valori dell’anima che non si possono assolutamente dimenticare (Applausi), perché insieme alla nostra esistenza quotidiana c’è la vita dei valori dello spirito di cui noi dobbiamo essere i difensori.
Per ciò bisognerebbe prendere con serietà il problema della scuola. Dico con serietà, perché fino ad oggi tutti i Governi non l’hanno mai preso seriamente. Hanno dato delle riforme, sì, ma sono state semplici atti d’archivio, legate ai Governi che avevano interessi reclamistici in politica; hanno finito per asservire la scuola a determinati fini di partiti ed hanno ucciso quella che è l’opera stessa dell’educazione, il culto, la libertà al di là di tutte le organizzazioni politiche. La libertà deve esistere in sé e per sé, come fine a se stessa.
La scuola in Italia non è stata mai libera, è stata sempre asservita a qualche cosa o a qualcuno. E per aver sempre cercato il fine fuori di sé, nasconde ancora nel suo seno elementi conservatori e reazionari. Si presenta come una povera scuoletta che vivacchia, che tira avanti, vuota di contenuto, priva di anima, piena di parole, di frasi, di sapere enciclopedico che vi forma un uomo molto colto ed erudito, ma male educato. Perciò il nostro popolo è colto, erudito e sapiente; ma è uno dei popoli peggio educati della vita civile internazionale, perché noi non sappiamo formare la coscienza, né irrobustire il carattere, né dar vita all’intelligenza libera. Io non vorrei. offendere la suscettibilità di nessuno, se dico che noi formiamo la coscienza a base di catechismo. Purtroppo non facciamo il catechismo soltanto in religione; ne facciamo anche quando insegniamo filosofia, letteratura, aritmetica e gli altri rami del sapere, perché diamo formule vecchie e ripetute e non impegniamo l’alunno a discutere queste medesime formule. Io chiamo questa nostra scuola confessionale, perché non educhiamo l’alunno a criticare e a pensare e non gli diamo sufficiente fiducia in se stesso affinché da solo possa camminare, orientarsi e affrontare e risolvere ogni problema. (Applausi).
Ora, quando noi parliamo della laicità della scuola vogliamo intendere questa volontà seria che formi uomini dalle convinzioni serie e forti, come diceva Silvio Spaventa nel tardo Risorgimento. È un atteggiamento religioso di fronte alla vita e non è, come osserva lo stesso pensatore, negazione del divino, ma affermazione di esso; uccisione della lettera e affermazione dello spirito. Quando la lettera tiranneggia, lo spirito muore e quando è morto lo spirito è morta anche la forma religiosa. Cristallizzate pure la religione nel catechismo, fatene pure oggetto d’una particolare disciplina di competenza ecclesiastica; l’alunno vi ripete le formule, ma non si convince dell’idea, vi ridice la letteratura, ma non capisce niente dell’anima della poesia (Applausi), vi può ripetere tutti gli schemi, ma l’animo suo è privo del contenuto di ciò che ha imparato e ripetuto e finisce per non aver concluso nulla in tutti gli anni passati a scuola.
Questo senso di libertà è una cosa sola con la serietà delle istituzioni e degli intendimenti. La prova che abbiamo preso alla leggiera il nostro compito, la troviamo nei numerosi istituti privati che hanno ottenuto con tanta benevolenza la parificazione. Oggi abbiamo tante scuole, senza alcun controllo, che ogni anno vi mettono fuori in libera circolazione, diplomati atti, o inadatti, come sarebbe meglio dire, ad esercitare il loro compito: povera gente che non si orienta nel sapere e non sa trovare la forza della vita, perché non ha libertà, non sa agire per conto proprio e non sa discutere dei suoi problemi di esistenza. Ora noi dovremo rivedere tutto questo sistema educativo e porre un freno all’invasione di istituti privati, per rendere alla scuola la sua serietà. È necessario che la scuola sia purificata, come tutti noi abbiamo promesso al popolo, ed è necessario prima di tutto dar libertà agli insegnanti perché ne facciano un degno uso al servizio dei discepoli. A questi poveri insegnanti, che giuridicamente ed economicamente costituiscono un mondo irrequieto di servi, di ribelli nell’odio impotente della loro anima, verso tutto quel vecchio ordinamento che li soffoca in ogni atto, noi vorremmo fosse ripristinato lo stato giuridico che avevano conquistato nel 1902 ed hanno poi perduto in seguito alla politica del fascismo. Conseguenza di questa perdita è stato l’asservimento non solo ai fini di un particolare partito ma a tutte le regole e regolucce della scuola, a tutti i provvedimenti disciplinari. Se volete cercare una classe di servi, la potete trovare negli insegnanti, perché li abbiamo abituati così. Non importa se il loro cuore ha sofferto nella soggezione. Il fatto è che per paura della norma disciplinare, abbiamo ottenuto da loro sempre il sì, non abbiamo avuto se non raramente il loro no, indice di santa ribellione all’ingiustizia delle cose; dicono di sì perché hanno paura della sospensione, del trasferimento in località disagiata; obbediscono passivamente con un abito di fuori ed uno di dentro, lavorano come meglio possono, ma non rendono molto per la scuola.
E vorrei dire un’altra cosa in base a queste dichiarazioni. Bisogna liberare gli insegnanti anche economicamente. A questi poveri cittadini si è finito per chiedere troppo. Si è chiesto loro di essere apostoli, missionari di civiltà in terra nostra, e di dimenticare perciò tutto il resto e di rinunciare alle più comuni necessità di vita comune, molto spesso col pane quotidiano. Non bisogna mai mettere gli uomini in condizioni di essere disonesti, e noi stiamo mettendo la categoria degli insegnanti nella triste necessità di esercitare la disonestà in seno alla scuola e di non svolgere serenamente il loro compito nel migliore modo in cui lo dovrebbero svolgere. (Approvazioni). Noi possiamo chiedere fino da oggi che si prendano provvedimenti in tal senso e si adeguino gli stipendi al costo della vita, perché i maestri non siano necessitati a riempire la loro esistenza di lezioni private, ad asservirsi agli interessi privati, e possano avere la serenità opportuna per svolgere dignitosamente il loro dovere. Per questo lavoro, il Governo potrebbe trovare benissimo consensi e collaborazione in tutte le correnti sane della democrazia. A parte gli aspetti diversi di posizioni ideologiche, mi sembra che chi concepisce la democrazia debba nello stesso tempo concepire la scuola come prima formazione democratica delle coscienze. È assurdo richiedere ad un popolo di essere democratico prima di averlo educato ad essere tale. È ingenuo sperare di porre i fondamenti della democrazia, se non ci impegniamo a dare questo insegnamento in seno alla scuola. La rigenerazione ci deve venire dagli insegnanti e dagli alunni, da una purificazione completa, da un ripristino del senso di serietà e di giustizia in tutto l’ordinamento scolastico. Il Governo potrebbe intanto cominciare a far qualcosa: c’è da sostenere la lotta contro l’analfabetismo, troppo diffuso ancora in Italia, e contro l’ingiustizia sociale che considera sempre la cultura come un lusso e un privilegio di coloro che possiedono ricchezze, e non un diritto sacrosanto delle persone umane. Su questo piano di idee e di realizzazioni il Governo dimostrerebbe la sua forza e la sua altezza. Io credo che la scuola sia il banco di prova della intrinseca forza e ricchezza del nostro Stato democratico.
Sé fallisce la nostra opera qui, fallisce il problema della democrazia, perché non porremo le basi per avere domani una sana legislazione di libertà nella nostra vita italiana.
E credo anche che questo sia l’unico mezzo di difendere il nostro patrimonio di entità nazionale.
Il patrimonio territoriale ci viene spezzettato dalla compravendita dei mercati dei potenti Stati vincitori. C’è però una ricchezza, che nessuno può dividere, frazionare, comprare o vendere a suo piacimento: è questo patrimonio di cultura sana, di idee giuste, di verità e di libertà, di concreta storia che porta il timbro e l’anima della nostra gente. È un valore spirituale, che costituisce l’entità della nostra nazione, e ci unifica nelle reciproche differenze. Questa nostra opera di salvezza ci darà il modo di riconquistarci un diritto che sembra perduto: quello di appartenere al mondo della giustizia e di vivere una vita civile fra gente civile. (Vivissimi applausi – Molte congratulazioni).
Presidenza del Vicepresidente CONTI
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Grandi. Ne ha facoltà.
GRANDI. Onorevoli colleghi, vi parlo semplicemente nella mia qualità di Deputato, incaricato dal mio gruppo.
Vi parlo così, per quanto un senso di velata malinconia non mi consenta di arrogarmi qualunque rappresentanza ufficiale e ciò in riferimento a quanto è avvenuto in questi giorni.
Ma sento il dovere di coscienza di parlare anche come uno dei più anziani operai, organizzatori sindacali, all’Assemblea, al Governo e ai lavoratori italiani.
Le ampie dichiarazioni del Governo in materia economica finanziaria e di riforme sociali (non mi addentrerò nei dettagli), in generale, sono chiare e soddisfacenti.
L’onorevole De Gasperi non ne ha parlato con freddezza, se per essa non si vogliano intendere le doti del suo carattere e della sua terra, il suo scrupolo e la sua onestà, come uomo di Stato.
Chi lo conosce sa quale amore egli porti a tutti i lavoratori ed alla loro sicura ascesa.
Mi soffermo sui primi obiettivi del Governo. Gli obiettivi da tenersi presenti in materia di riforma sociale e ai quali dobbiamo tendere con tutte le nostre forze sono: intensificare la produzione; abbassare i costi e consentire la ripresa delle esportazioni; assicurare agli impiegati e salariati sufficienti mezzi di vita; difendere il potere di acquisto della lira avviando il bilancio dello Stato all’equilibrio e procurando con risorse ordinarie e straordinarie il finanziamento di un vasto programma di lavori pubblici.
Dalla prima liberazione dell’Italia insulare e meridionale sino alla liberazione totale d’Italia sono passati oltre due anni. Le condizioni più disagiate, le condizioni più miserabili, le condizioni più dolorose sono state quelle delle classi lavoratrici, particolarmente di quelle masse lavoratrici che hanno veduto gli stabilimenti in cui lavoravano, le officine in cui davano la loro attività, le loro case, tutti i mezzi di vita e di sussistenza distrutti o nell’impossibilità di funzionare.
Ora, o signori, bisogna considerare questo stato di cose, se si vuol comprendere lo stato d’animo dei lavoratori.
È facile oggi elevare voci di critica contro i lavoratori. E qualcuno si permette persino di ritenere che ci sia una questione sola da risolvere, quasi per salvare tutta l’economia del nostro Paese e i suoi mezzi di ricostruzione.
Ora io dico che se si considera quello che è avvenuto nel nostro e in altri paesi, ma soprattutto se si considera quello che è avvenuto anche in Italia dopo la guerra dal 1915 al 1918 – e fu guerra vittoriosa – noi dobbiamo dire che le agitazioni avvenute nel nostro Paese in questi due anni sono state minori, nella loro portata e nelle loro conseguenze economiche, persino di quelle che vi sono state quando avevamo vinto la guerra.
E perché? Perché ad una organizzazione coatta totalitaria, inscenata dal fascismo, si è contrapposta una forza costituita dalla Confederazione generale italiana del lavoro.
È chiaro che non è possibile andare sempre d’accordo, anzi che non è possibile far coincidere tutte le aspirazioni più o meno ardite di queste correnti. La colpa non è tanto di queste correnti, la colpa è che la Confederazione è sorta dichiarando apertamente di aprire la strada a tutte le altre correnti, dalla liberale fino alla repubblicana e a tutte quelle altre che avessero potuto manifestarsi. In pratica effettivamente la corrente anche più moderata della Confederazione non ha mai trovato nessun sostegno perché alle diverse correnti che stavano e stanno fuori della vita sindacale era facile criticare e non facile operare e condurre i loro sforzi in una organizzazione che avrebbe potuto essere l’espressione – e lo potrebbe essere ancora oggi – della grande maggioranza, se non della totalità dei lavoratori.
Quanto alle condizioni dei lavoratori, esse sono quelle che sono. Quanto si è potuto fare si è fatto. Le paghe sono state aumentate, anche gli stipendi, anche altri trattamenti, sempre attraverso lunghe e penose discussioni in cui la parte dirimpettaia ha trovato sempre il modo di resistere quasi senza nessuna differenza con quello che esisteva prima del fascismo. Malgrado tutto ciò, qualche cosa si è potuto raggiungere. Ma quale è stata la conclusione, signori? Ve lo ha già detto qualche altro collega. La capacità di acquisto della classe lavoratrice è oggi ridotta a meno della media del 50 per cento in confronto delle condizioni del 1938-1939. Quindi impossibilità di acquistare il minimo indispensabile – dato che i generi annonari sono stati male distribuiti, e non con quella regolarità con cui lo dovevano essere – impossibilità di acquistare vestiari, calzature e tutto il resto che occorre alla vita di qualunque, anche modesta, persona. E allora, quando tutto si è consumato, quando i nostri impiegati statali hanno le scarpe rotte e non hanno più il vestito da rivoltare, quando quelle che erano le scorte sono state esaurite, cosa si deve fare? È chiaro che non si può fare una critica alla classe lavoratrice, una critica seria, una critica fondata ad essa ed alla sua organizzazione. Si è gridato più che operato, ad alta voce talvolta, e ancora oggi si domanda che questo minimo di assicurazione per il mantenimento della vita sia concesso.
Ciò nonostante io ho affermato e ripeto che la politica del continuo aumento dei salari è una politica disastrosa per l’avvenire del nostro Paese; ed è una politica dannosa per gli interessi delle stesse classi lavoratrici. Ho detto che su questa strada noi andiamo alla svalutazione monetaria; e su questa strada c’è qualcuno che ci può seguire: sono le classi della Confederazione dell’industria e della Confida, le quali possono anche concedere non mille-duemila-tremila lire di premio o di anticipi o di acconti o di aumenti, ma anche di più, se vogliono. A loro non importa che la moneta vada a finire nel disastro; essi possiedono non capitali liquidi e circolanti; possiedono impianti più o meno efficienti. Questi impianti sono sostenuti da un’opera di finanziamento che essi vanno a chiedere soprattutto alle banche, e quindi alla Banca d’Italia e in definitiva allo Stato.
Quando sarà il momento dei provvedimenti finanziari, probabilmente il liquido che i Ministri delle finanze e del tesoro dovrebbero colpire saranno ben pochi: ci saranno degli impianti. Si possono prendere delle garanzie, è verissimo o signori, ma si può arrivare anche al punto in cui lo Stato debba assumere la gestione, non di determinate industrie-chiave, per cui è giusto che intervenga dal momento che paga già il 100 per cento o 1’80 per cento di sovvenzioni, ma di tutte le aziende, e quindi pagare per conto di tutti, lavoratori compresi, in quanto sono la grande massa e in maggior numero.
Questa è la tesi di principio sulla quale io mi sono scontrato, con me altri colleghi della mia corrente, in una discussione che ha onorato in questi giorni i lavoratori italiani; perché è durata cinque giorni e i dissensi si sono largamente manifestati e non sono successi inconvenienti, come talvolta succedono nella stessa Assemblea Costituente. Questa discussione ha segnato un contrasto: quello che vi ho descritto. Alcuni avrebbero voluto che noi andassimo alle ultime conseguenze, cioè che abbandonassimo la grande organizzazione dei lavoratori, che creassimo una scissione nell’ora della battaglia.
Signori, sono un modesto operaio, ma non sono mai abituato ad abbandonare i miei colleghi in mezzo alla lotta, alla battaglia. (Applausi al centro). Questa può essere accentuata da diverse origini, dal bisogno evidente dei lavoratori, perché lo sentono e ne vivono e naturalmente si agitano; forse anche da altre mire politiche o avveniristiche. Comunque, il Governo ha dato dimostrazione di andare incontro anche a queste agitazioni. Cito due agitazioni di carattere importantissimo: quella dei petrolieri, anzitutto, e qui si tratta di un pubblico servizio. Infatti, quando si tocca il pane, quando si toccano i gangli vitali della vita della Nazione, quando si tolgono i mezzi per cui essa deve potersi esplicare, ed affermarsi (lo dico cosi apertamente perché non sono stati solo i miei colleghi di sinistra a cercare di giustificare questo atteggiamento, ma è stato anche qualche amico della mia parte); quando ci troviamo di fronte a queste condizioni è chiaro che lo Stato, tanto più se è uno Stato democratico, non deve essere assalito né ricattato, e ha diritto di prendere quei provvedimenti che devono essere presi. Ma si è detto che questi provvedimenti li ha presi l’onorevole De Gasperi come Ministro dell’interno: ed è questa una bugia che si deve pubblicamente smentire. I provvedimenti furono presi dal Governo precedente, e precisamente dagli onorevoli Romita e Scoccimarro. Non li critico. Il Ministro dell’interno ne ha avuto notizia il giorno stesso in cui ha assunto il Ministero dell’interno; né si deve, per speculazione di partito, lasciar diffondere queste calunnie in mezzo alle classi lavoratrici. Il Governo ha fatto il suo dovere.
Io credo che questa agitazione, come altre, sarà risolta, ed a questo scopo non mancherà lo sforzo da parte della Confederazione del lavoro.
Devo dir poi che se è vero che noi dobbiamo fare uno sforzo per frenare la rincorsa a continui aumenti di paghe, altrettanto debbono fare le altre classi sociali. Non basta il prospettarci le condizioni dell’industria, non basta domandarci lo sblocco dei licenziamenti. Signori, il fatto è questo: negli stabilimenti, è vero, esiste una percentuale di operai che è esuberante al fabbisogno. Economicamente parlando, questa situazione non può continuare. Ma d’altra parte vi sono milioni di disoccupati e di reduci i quali anch’essi urgono alle porte; ed è pur questa una ragione per tenere conto di quanto prima ho esposto. È umano anche capire che quelli che sono negli stabilimenti e che sono esuberanti non lo fanno per loro gusto, ma per un senso umano di solidarietà, cioè non sempre come estremisti. In questo atto c’è un quindi un senso di fraternità verso i loro colleghi; ed allora bisogna che dei sacrifici siano fatti da tutte le parti, e contemporaneamente devono anche essi venire incontro nei limiti delle possibilità.
Sono stati invocati tanti provvedimenti: non li illustro, perché la stampa ne ha parlato, come ne ha parlato una nostra mozione sindacale in modo abbastanza sufficiente e chiaro. Bisogna, quindi, compiere uno sforzo per sostenere i nostri lavoratori, i quali versano in una condizione di estremo bisogno, dato che le attuali retribuzioni non consentono alle classi operaie e impiegatizie, e specialmente alle categorie degli statali, nemmeno un minimo di vita.
Di fronte a tutte queste necessità, bisogna che rispondano dei provvedimenti. Quali? I provvedimenti sono la compressione del costo della vita. Ebbene, il Governo ci ha presentato alcuni provvedimenti di immediata attuazione; non è possibile seguire dinanzi ai lavoratori la linea di condotta di trascurare, quasi, questo impegno. Bisogna constatare che un inizio di questi provvedimenti è in corso di attuazione. Occorre una politica di assorbimento dei disoccupati. È grave il problema, grave perché è soprattutto in funzione della politica dei lavori pubblici. Ebbene, in parte questa politica è in atto; in parte essa può essere applicata con mezzi che siano a disposizione del Governo; i mezzi straordinari si possono anche comprendere e il Governo potrà esaminarli in un secondo momento.
Anche questo fatto è stato accennato da qualche mio collega. Vi sono dei lavori pubblici e delle necessità, quali i mezzi di cui il nostro Paese avrà bisogno per la ricostruzione futura del Paese.
Tante volte, io dico, si potrà anche discutere se non sia il caso di assorbire una buona parte di disoccupati in questi lavori, lavorando e non sussidiando, dando lavoro anziché disperdere miliardi per sussidi ai disoccupati. È un problema vasto che non può essere immediatamente risolto e che, se dovesse essere immediatamente risolto, ci porterebbe certamente verso la svalutazione monetaria.
Perché mi preoccupo tanto di questa questione? Mi si è osservato che non è detto, che non è vero che l’aumento delle paghe determini sempre la svalutazione della moneta. Io sarò sempre lieto di conoscere la dimostrazione dell’asserto: non lo voglio negare né affermare. Però è chiarissimo che fino adesso, tutte le volte che si è parlato di aumenti di paghe e di salari, tutte le volte, prima ancora che questi aumenti si fossero verificati, c’è stato un aumento di tutti i prezzi di generi di prima necessità; quindi, è chiaro che una causa economica esiste ed allora dobbiamo limitarci a fare quello che possiamo: adeguare i salari al minimo necessario, reale, al costo della vita; completare i contratti collettivi di lavoro; cercare attraverso il movimento della scala mobile di determinare un elemento di stabilità per cui si sappia dove si deve arrivare.
Faccio osservare ai miei amici il pericolo di un’altra illusione, cioè che lo sforzo salariale, anche laddove è necessario e indispensabile, deve tendere ad elevare i salari più bassi al livello di quelli più alti. Ciò in parte è giusto, ma ciò fa sì che i nostri operai specializzati, a poco per volta, si convincano che la differenza che prima esisteva, ora è ridotta ai minimi termini. Così noi perdiamo la mano d’opera specializzata, la quale va avviandosi verso l’estero, e c’è oggi un mercato nero di mano d’opera specializzata. Ed allora con quali speranze noi rimarremo nel nostro Paese? Questa è una delle verità che debbo dire ai miei compagni lavoratori (Approvazioni); è una verità di cui devo assolutamente sgravare la mia coscienza anche di organizzatore. Io mi preoccupo anche per l’avvenire dei lavoratori stessi e del Paese. Non è giusto che degli operai; i quali sono venuti su da soli, si son fatti in un paese di lentissima preparazione tecnica e di scarsa preparazione professionale, con grandi sacrifici, siano considerati quasi come nemici. Noi dobbiamo invece incoraggiare, stimolare l’istruzione tecnica e professionale delle classi lavoratrici.
Queste non sono affermazioni propagandistiche; debbo dire alla mia coscienza che quello che ho fatto, che ho detto nella propaganda elettorale (chi ha ascoltato i miei discorsi in pubblico ed in privato può affermarlo) non è stato illusionistico. Ma in ogni modo in linea pratica che cosa succede? Che con il concorso e l’aiuto del Governo cerchiamo di realizzare il minimo indispensabile, e finiamo per diventare dei demagoghi.
Mi rincresce che i banchi della sinistra siano così deserti: ma io affermo questo principio, che l’azione sindacale è sempre un’azione gradualistica; è sempre, se vuol essere una cosa seria, un’azione riformista. Il sindacato organizza i lavoratori, li guida, li istruisce, li conduce a delle conquiste, sempre deve aver presente che suo dovere è quello di difendere i lavoratori. Oggi ottiene dieci, domani venti, poi trenta e così via, ma deve avere il coraggio, il giorno in cui non può più andare avanti, di tornare indietro. Questa è la scuola sindacalista, del sindacalismo democratico e libero, quel sindacalismo che c’era in Italia prima del fascismo, che c’era in Germania, che è nel Belgio, in Olanda, in Inghilterra, negli Stati Uniti. Questo sindacalismo è fatto così ed ha queste mete; non può averne delle altre; laddove c’è un altro sindacalismo, ci saranno anche diecine di milioni di organizzati, ma quello non è sindacalismo: è obbedienza ad una dittatura di Stato (Applausi). Io faccio appello ai vecchi organizzatori, che siedono nella Confederazione del lavoro, a d’Aragona, a Carmagnola, a Barbareschi. A tutti rammento la memoria di Bruno Buozzi. Le correnti sono due: la cristiana sociale e la socialista. Vi sono qui modestamente anch’io. Ci sono stati i nostri maestri, ci sono stati organizzatori come Gronchi, Quarello, Valente, ecc., ma quale è stata l’azione sindacale che abbiamo compiuta? È stata sempre un’azione gradualista.
Ci fu un caso nella prima Confederazione del lavoro, e ve lo cito perché serva il ricordo: nel 1919-20 si è avuta l’agitazione che ha condotto all’occupazione delle fabbriche. Presiedeva ed era segretario della F.I.O.M. Bruno Buozzi, che fu posto in minoranza dai lavoratori che pure lo avevano seguito da tanti anni. Orbene, l’agitazione si svolse con quei risultati che tutti conosciamo ed ebbe poi la tragica ripercussione nell’avvento del fascismo. I lavoratori stessi hanno poi richiamato Bruno Buozzi a dirigere la loro organizzazione.
Venne a Milano in quel tempo l’onorevole Miglioli, in un’adunanza di organizzatori operai bianchi, ad incoraggiarli nell’occupazione delle fabbriche. Ormai essi stavano aderendo tutti a questo invito, quando io intervenni e dissi: «Ma che cosa si domanda? L’occupazione delle fabbriche? Ma quali stabilimenti tu hai organizzati? Tu hai i contadini nelle cascine. Ma quelli le occupano tutto l’anno, dal 1° gennaio al 31 dicembre». È facile parlare di occupazione! Ed i nostri organizzatori bocciarono la proposta!
Io devo ai miei colleghi confederali, con animo leale, un onesto riconoscimento dell’esperienza fatta. Abbiamo lavorato due anni insieme, anche talvolta in dissenso. Devo quindi respingere gli attacchi polemici che sono stati fatti nella stampa contro taluno dei miei colleghi. Noi abbiamo lavorato nella Confederazione spesso oltre orario, senza nessuna retribuzione.
Anche attualmente il mio collega Lizzadri ed io non abbiamo retribuzione dalla Confederazione del lavoro. Io ho avuto la modesta indennità come liquidatore di una ex Confederazione. Non abbiamo domandato nulla; e qualche retribuzione che è in corso non supera la paga di un operaio specializzato. Questa è la verità.
Così; come io riconosco del resto sul terreno politico all’onorevole Giannini di non essere stato personalmente e nelle sue origini un fascista e sono disposto anche a riconoscere che egli non vuole attuare il fascismo in Italia e che ha cercato di offrire questa sua attività politica prima ad altri.
Il Governo affida la politica economica al Comitato di ricostruzione industriale, chiamando i rappresentanti di tutte le organizzazioni, di tutti gli interessi, per risolvere il problema che è il costo della vita, dei lavori pubblici e della disoccupazione. Io ne prendo atto, desidero che alla parte operaia sia data la più larga rappresentanza. Avrei desiderato, che risorgessero in Italia il Consiglio superiore del lavoro e il Comitato permanente del lavoro. Noi abbiamo avuto precedenti notevoli, che hanno condotto nello immediato dopo guerra (ci sono dei volumi in materia) a studiare tutta una serie di provvedimenti del dopoguerra ed hanno permesso di approvare la legislazione delle otto ore di lavoro, che non fu una conquista fascista, ma una conquista delle organizzazioni operaie.
Nel Belgio, recentemente, il Capo del Governo socialista, vecchio organizzatore, ha convocato questo grande Consiglio, che si è pure dedicato alla discussione dei problemi del lavoro e della industria. La convocazione di tutte le rappresentanze, delle organizzazioni operaie e delle altre organizzazioni industriali e dei tecnici ha condotto anche alla riduzione delle paghe, ma contemporaneamente il Governo ha imposto, la riduzione del costo della vita e l’obbligo di ribassare i prezzi.
È difficile perseguire il mercato nero, questo lo riconosco anch’io, ma se noi con coraggio ed energia ci permettessimo di mandare la forza pubblica nelle bische consentite o clandestine, sulle spiagge, nei luoghi di divertimento, dove si spendono migliaia e migliaia di lire, e sequestrassimo, noi avremmo anche per le finanze ed il tesoro un certo numero di milioni e comunque una fonte interessante di accertamento.
Politica finanziaria. Ho già detto il mio parere. Siate coraggiosi in questa materia. Il Ministro Corbino è un ottimista; egli ha espresse le sue idee; ma è chiaro che io non posso seguire il suo ragionamento. Su questo terreno, bisogna svolgere un’azione coraggiosa, immediata e sollecita, soprattutto pensando ai problemi della disoccupazione e dei reduci, e dei lavori pubblici.
Provvedimenti di carattere sociale, educativo, assistenziale: ma c’è il problema della riforma degli istituti assistenziali.
Ho sentito dire da un mio amico carissimo: aboliamo tutta questa roba, che comporta spese enormi; lasciamo che negli stabilimenti tutto si svolga in piena libertà.
Prima di tutto ci sono i due problemi: quando gli operai sono disoccupati, questi istituti o mutue aziendali non funzionano; gli industriali non pagherebbero.
Il problema dell’assistenza è anche, e soprattutto, problema di Stato. Assicurare il lavoratore, operaio o contadino, contro le malattie, gli infortuni sul lavoro, l’invalidità, la vecchiaia, la disoccupazione, ecc., è un dovere sociale dello Stato.
Qui bisogna vedere quello che avviene in altri Paesi.
In Paesi democratici, come l’Inghilterra e l’America, questi problemi, che prima venivano lasciati alle libere iniziative, adesso sono oggetto di discussione e di riforma da parte dello Stato.
Io penso che non si deve accentrare tutto nello Stato, ma l’assistenza sanitaria e previdenziale nel senso più largo e completo ai lavoratori italiani, implica il suo intervento.
Contributi unificati. Gli industriali e i proprietari di terre versano (e non tutti) il denaro alle casse di assicurazione, ma segnano la spesa in conto del costo di produzione. Prima si aveva un triplice contributo: quello del lavoratore, quello del datore di lavoro e quello dello Stato. I fascisti hanno abolito quello dello Stato.
Questo dell’assistenza ai lavoratori è un problema gravissimo che deve essere immediatamente affrontato.
Un altro problema è che questi enti non possono che in minima parte diminuire il personale, perché si devono collocare i reduci e gli epurati.
Sul problema dell’emigrazione io richiamo l’attenzione del Governo.
Vi è un’azione del Ministero del lavoro, appoggiata dalle organizzazioni, che tende ad assorbire anche le competenze particolari del Ministero degli esteri. È necessario delimitare le rispettive funzioni, evitando i contrasti con una precisa linea di accordo. Non dico che bisogna pensare alla ricostituzione del Commissariato dell’emigrazione, ma una intesa è comunque necessaria.
Uffici del lavoro. Questi uffici furono creati in Italia fin dal 1902: origine prettamente italiana nel campo sociale. Noi siamo stati i primi; poi, poco per volta, con l’avvento del fascismo tutto ciò è scomparso ed è sorta una congerie di istituzioni attraverso un falso corporativismo, per cui siamo giunti a questo punto: c’è un istituto di medicina sociale il quale ha ottenuto un decreto di erezione in ente morale. I Governi, compreso quello dell’esarchia, e il Ministero del lavoro hanno autorizzato l’aumento dei fondi, ed ora vengono a chiedere a me, quale Commissario dell’I.N.A.M., 800.000 lire per pagare un istituto che non fa niente o quasi. Siccome io ho risposto che non darò i danari, prima di tutto perché non li ho, mi hanno mandato una lettera quasi minatoria in cui dicono che ricorreranno!
Ora io devo dichiarare che sono del parere che una riforma debba attuarsi nel campo assicurativo e previdenziale.
Riconosco le funzioni sindacali del collocamento, ma debitamente controllato da apposite Commissioni miste. In quanto alle forme di assistenza, di carità e di patronato io sono per la libertà. Le faccia la Confederazione per quanto può: riconosco che è una delle sue funzioni. Ma non è possibile impedirle ad altri enti. Soprattutto che non si impediscano le iniziative che derivano dalla Chiesa, che ha dato una prova così grande di carità e di assistenza in tutto questo doloroso periodo, senza distinzione di parte o di razze, per cui non è possibile negare una delle funzioni che risponde allo stesso mandato divino, al quale la Chiesa non può rinunciare (Applausi al centro).
E vengo alla seconda parte del discorso dell’onorevole De Gasperi: riforma agraria e provvedimenti per il Mezzogiorno. Dichiaro che l’ampio programma del Governo in linea di massima è da me approvato e risponde a postulati della democrazia cristiana. Però riconosco giusta l’osservazione di coloro che provvedimenti di questa portata debbano essere studiati e tradotti in disegni di legge.
Alla presentazione di questi provvedimenti noi esprimeremo il nostro giudizio.
Ai miei amici che temono un Governo democratico forte, ricordo che in Germania nel 1918, per salvare la costituzione di Weimar, per salvare la Repubblica nascente, che era presieduta da un grande socialista, Ebert, un ministro socialista ebbe il coraggio di comprimere i moti rivoluzionari che erano stati determinati.
Una voce. Ed ha aperto la strada al fascismo.
GRANDI. Non è vero! È continuato per 14 anni un Governo democratico in Germania; e se i partiti democratici avessero sentito l’unità come un impegno di collaborazione consentanea, leale, la Germania si sarebbe salvata. (Applausi al centro).
E in Inghilterra, anche recentemente, uno sciopero dei lavoratori del mare provocò l’intervento del Governo laburista e la militarizzazione. Questo non vuol dire che sia diventato meno democratico il Governo; vuol dire che il Governo ha provveduto agli interessi generali della Nazione e che non può farsi togliere la mano da nessuno quando si tratta di tali responsabilità.
Del resto questi esempi ci sono non soltanto negli Stati Uniti, ma anche, o amici, in Russia. Potremmo portare documenti formidabili per dimostrare lo Stato forte in Russia; e ne dovremmo dedurre le conseguenze. Io non lo faccio, perché non voglio dividere i lavoratori italiani. (Applausi al centro).
Ripeto dunque: una politica di svalutazione monetaria condurrebbe alla svalutazione dello stesso metodo democratico e metterebbe in pericolo la Repubblica democratica, perché quando tutto va a precipizio, sorgono subito pochi uomini cosiddetti salvatori, a dire che possiedono la panacea per tutti i mali. Questi falsi salvatori conducono alle dittature; le quali si chiamano con diversi nomi, ma sono dittature. (Approvazioni).
Concludendo, badate, o amici, specialmente della democrazia cristiana: noi abbiamo un grande maestro, Luigi Sturzo. Voi sapete come anche in questi giorni, egli – che ha mantenuto la cittadinanza italiana in America e che esercita una influenza mondiale – difenda gli interessi del nostro Paese e come abbia il coraggio di parlare agli stessi popoli.
Egli ci ha indicato una linea democratica in cui ci ha esortato a fare quello che ha fatto De Gasperi finora: uno sforzo per la coalizione dei partiti di massa. Ha esortato a difendere la Repubblica, cercando di riunire le grandi correnti politiche. Ebbene, teniamo presente il suo insegnamento, perché il giorno in cui tutto fosse fallito, non rimarrebbero che due forze. Una di queste è la forza morale, che è quella della Chiesa, colla sua perenne opera di giustizia e di pace, di fratellanza, di amore, in tutto il mondo; e si può discutere finché si vuole, ma venti secoli stanno a dimostrare che il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo ha trionfato su tutte le avversità. (Applausi al centro).
Le forze del lavoro possono coalizzarsi in tutte le parti del mondo. I più interessati a non voler più la guerra (che forse non verrà subito) sono proprio i lavoratori, perché è sulle loro famiglie e sulle loro carni che si abbatte la guerra. Essi possono coalizzarsi e si coalizzeranno. Ai Governi che perdono la testa e che impazziscono, essi diranno: di guerre non ne vogliamo sentire parlare più. (Approvazioni al centro). Questo è lo sforzo che dobbiamo compiere, incoraggiare, in Italia e fuori d’Italia; il lavoro ha con sé l’avvenire e la sorte della civiltà umana. (Applausi).
Presidenza del Presidente SARAGAT
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sardiello. Ne ha facoltà.
SARDIELLO. Onorevoli colleghi, parlando intorno alle comunicazioni del Governo, il pensiero va anzitutto ai massimi problemi del momento, quelli che più urgono nella nostra coscienza e che agitano le nostre passioni: i nostri rapporti internazionali.
Non riesaminerò adesioni e critiche, le quali ultime mi pare sostanzialmente attengano più ai modi della esecuzione che all’indirizzo; il quale è condizionato e anzi necessitato dalla situazione del momento, dal fatto che i vincitori, obliosi delle promesse, cercano di riconfermare rinsaldare le loro egemonie.
In questa situazione di cose quella politica di equidistanza o di equilibrio fra i due blocchi, oltre ad un valore attuale, ne ha forse, anzi certamente, uno per l’avvenire: lasciare impregiudicato e più libero il nostro indirizzo di domani, quando potremo fare liberamente una politica estera nostra, dopo la firma del trattato di pace. Oggi l’Italia ha bisogno di due cose: persistere senza abbattimenti e senza esaltazioni (gli uni e le altre espressioni non sempre soltanto di patriottismo) nella difesa rigida, inflessibile, del suo diritto, nell’affermazione della giustizia che lo assiste e, se i quattro più forti persisteranno a violarlo, levare davanti al mondo la protesta in termini storici, perché vi sono delle ore in cui i popoli, i Governi che li rappresentano e ne interpretano il sentimento, lavorano, parlano per la storia di domani, quel domani in cui l’Europa avrà ancora bisogno di noi. Un’altra cosa, onorevoli colleghi, è necessaria in questo momento: rinnovare sempre più vivamente la consapevolezza di un monito che è nelle parole di un grande italiano, in tempi egualmente tristi della nostra storia: «rispettarci da noi perché, se altri ci opprime, almeno non ci disprezzi». E le parole del grande italiano hanno oggi questo significato e devono avere questa attuazione pratica: ricostruire la nostra vita, la vita del nostro Paese, coltivare questa rinata democrazia italiana, attraverso la quale, nella sua forma luminosa repubblicana, l’Italia può e deve ritrovare il senso della sua missione di civiltà nel mondo.
In questo senso di civiltà che noi dobbiamo sforzarci di ritrovare, in questa fatica di ricostruzione di tutta la nostra vita nazionale, io vedo ingigantire la portata dei problemi della politica interna. Noi abbiamo bisogno di rilevare sempre più alto e più chiaro il volto nuovo dell’Italia e questo si fa affrontando tutti i problemi della vita interna della Nazione, problemi che sono vari, molteplici, problemi pratici, concreti di realizzazione di opere, piccole e grandi; problemi, piccoli e grandi, di ordine ideale, morale.
Consentirete che io non li esamini, neppure accenni a tutti in quest’ora; consentirete che io porti soltanto qui, nel coro delle voci italiane, accanto a quelle di altre regioni, che si sono levate, la voce della mia terra di Calabria, che sente di avere qualche cosa da rivendicare in nome del suo diritto, della sua storia, dei suoi sacrifici di tutti i tempi, sempre generosamente affrontati per passione di Patria.
Il problema del Mezzogiorno ha avuto già troppi ad esaminarlo, a vivisezionarlo in questa aula. Io mi limito a prendere atto delle promesse che sono nelle parole dell’onorevole De Gasperi, nelle comunicazioni del Governo: «Il Governo è deciso ad affrontare i problemi del Mezzogiorno».
Intendo e valuto il sottile scetticismo dell’illustre onorevole Nitti: «Non fate promesse!». È vero; ne furono fatte tante nei tempi passati. Ma, allo scetticismo che viene da età che dobbiamo sentire distanziate, io oppongo, come mi suggerisce l’ansia di questa alba di nuova vita italiana, una parola di fede; e il grido si converte in questo: «Mantenete le promesse che fate!».
Questa è la nostra speranza, la speranza particolarmente della mia terra di Calabria, che ha un’esperienza particolare, di provvidenze legislative speciali, rimaste però sempre inefficaci all’opera che si pensava, che si disegnava quasi, della sua rinnovazione, della sua vita nuova. Perché? Perché questa inefficacia di tanti provvedimenti, che pure venivano da saviezza di legislatori ed erano ispirati da una passione di solidarietà nazionale? Perché avevano per obietto soltanto dei problemi esclusivi, particolari di un momento ed erano costretti nella linea, nell’indirizzo, nella struttura dello Stato accentrato. Ecco perché oggi la Calabria, che da quelle leggi non vide mai venire, oltre la soddisfazione (quando pur venne) ad un bisogno momentaneo, quella rinnovazione che aspettava. da lungi decenni, guarda con fede alla Costituente, che deve dal fondo impostare le nuove linee della vita nazionale, dare allo Stato una struttura elastica, dare a quella regione la possibilità di esplicare le attività proprie, le proprie energie, di costruire da sé il suo avvenire.
Oh, intendo; il problema del Mezzogiorno – e chi potrebbe mai dubitarne? – implica riforme profonde di ordine politico e costituzionale; implica riforme sociali importanti e serie da affrontare. Ma di questo parleremo quando quelle riforme verranno alla discussione dell’Assemblea.
Oggi, nell’ansia di sollecitare qualcosa che può esser fatta dal Governo sarebbe accademia la parola, se non si fermasse a qualcosa di concreto. Perciò io dico: guardate le linee di quella struttura nuova dello Stato che già si disegna nella mente; hanno un presupposto certo, ormai accettato da tutti, cioè la più ampia libertà dei comuni; hanno per presupposto l’autonomia regionale – e credo che la voce più viva della Calabria sia in questa mia espressione – in un senso che voglio chiarire, in un senso cioè che riconfermi, rinsaldi il sentimento dell’unità nazionale, che nella popolazione calabrese viene dal suo intuito storico dalla sua fede, come una realtà che supera tutte le illusioni e tutti i dolori. (Approvazioni).
Voi del Governo potete ora, con le leggi che ci sono, ma interpretandole con lo spirito nuovo che già l’Assemblea vi ispira, dare questo senso di libertà ai comuni, avviare a questa concezione dell’autonomia regionale, favorire tutte le iniziative che colà possono sorgere, e vi assicuro che, se sapranno di essere tutelate e lasciate alla loro libertà di esplicazione, non mancheranno.
Questo potete fare, voi del Governo, e vi chiedo che lo facciate da questo momento.
Come? In che modo? Vi dirò. Qualcosa di modesto (ma è un ritornello che avete udito attraverso la parola assai più autorevole di tanti altri oratori): lavori pubblici. Sì, lavori pubblici; ma, guardate, non torniamo ai vecchi sistemi coi lavori donati una volta tanto (un ponte, una strada, una ferrovia, un torrente sistemato e basta); lavori pubblici, direi, con un ritmo costante, secondo un piano organico, con una visione chiara delle necessità vere, dei bisogni più urgenti di quelle popolazioni.
So che fra giorni gli organi della Confederazione generale italiana del lavoro presenteranno un piano organico di lavori pubblici per le tre province della Calabria. Una preghiera, signori del Governo: non archiviate; eseguite quei lavori: è una cosa che potete fare al più presto.
La disoccupazione, come giustamente il collega Lombardo diceva, è il primo problema della vita italiana. Questo pensiero io lo condivido incondizionatamente.
Ma la disoccupazione, il ritardo dei traffici, la difficoltà dello sviluppo dei rapporti fra paese e paese, e la stessa riforma agraria che volete affrontare, che dovrà essere affrontata e realizzata, hanno in Calabria un presupposto: il problema delle comunicazioni. E sovrattutto guardate alle strade: vie ordinarie, vie ferroviarie delle quali miglioramenti si sono avuti in questo ultimo periodo, ma delle quali bisogna anche guardare, curare, migliorare assai i servizi perché è grande in quei paesi il bisogno di intendersi, trovarsi, di rafforzare tutti i rapporti di vita. A qualcuno può parere esagerato parlare di questo bisogno così vivo e così primordiale e vederlo additato all’assillo costante del Governo. Ho qui, ma non vi leggerò, una lettera che anche l’onorevole De Gasperi, Presidente del Consiglio, conosce, un appello di alcuni paesi della fiorente piana della Calabria. Sono circa 65 mila abitanti di pochi paesi vicini che chiedono pochi chilometri di ferrovia secondaria, che faciliterebbe lo sviluppo dei loro traffici, lo smercio delle loro produzioni, i rapporti fra paese e paese, con un’importanza decisiva per la loro vita. Non segnalo questa richiesta solamente per sé, perché ve ne potranno essere altre sullo stesso argomento; ma la segnalo perché va rilevato il tono con il quale è espressa. Dicono quei cittadini: «Provvedete con giustizia e con amore!». Questo è l’anelito di quelle popolazioni. Voi lo ascolterete.
I mezzi? Lo so… La relazione, vastissima ed acutissima dell’onorevole Corbino, nella seduta di oggi, non mi persuade veramente con l’indirizzo che egli ha per la ricerca di fondi per stanziamenti speciali. Potrò non avere afferrato interamente il suo pensiero.
Comunque c’è un fatto: se credo, come credo, alla sincerità della promessa, che oggi, in questo momento, è un impegno d’onore dell’onorevole Capo del Governo, di affrontare il problema del Mezzogiorno, io credo, per la serietà stessa e la dignità della cosa, che i mezzi siano già avvistati e vi chiedo – io che ho il senso del limite – in quanto può esser dato quello che può esser dato; ma vi dico che tutto quello che può essere dato dev’essere dato a quelle popolazioni nobilissime, che in ogni momento più grave della vita della Patria hanno risposto, e rispondono, con la più generosa dedizione.
Accanto a questo problema di ordine pratico noi ne avvertiamo qualcun altro d’ordine diverso, ma non meno vivo.
Noi abbiamo bisogno che la Repubblica dia la prova, direi tangibile, che nella vita italiana che si rinnuova, si rinnuova anche il costume politico.
L’onorevole Presidente del Consiglio accennava alla sua ferma volontà e di tutto il Governo di consolidare, di difendere la Repubblica. Ecco, uno dei mezzi più forti e più sicuri: rinnovare il costume politico. Laggiù ne abbiamo bisogno ed io non vi riferirò qui l’analisi di un fenomeno troppo noto attraverso le pagine degli studiosi, saputo da tutti, e vissuto. Vi dirò che, in sintesi, potrebbe ridursi a questo: che alle autentiche forze politiche sovrastano spesso le clientele personali, degenerazione della politica, le quali non seguono un criterio politico nella scelta e nell’impiego dei mezzi e conseguentemente non hanno limiti alla difesa dei loro diritti. A questa degenerazione politica, che ha riflessi in tutta la vita di quelle regioni e ripercussioni nella vita nazionale, è urgente provvedere. Come? Il problema è tale che si risolve dal basso e dall’alto. Io non invocherò un miracolo dal Governo della Repubblica. Si risolve dal basso con l’educazione, con l’opera delle organizzazioni, dei partiti, della stampa: opera di tutti e di ciascuno.
Ma c’è qualcosa da fare anche dall’alto: piccole cose, ma che avrebbero un grande significato. Un momento fa accennavo all’importanza dei problemi interni per dare alla Patria quel volto nuovo di cui ha bisogno: problemi di ordine materiale e di ordine morale. Quello di cui parlo adesso è di ordine morale, ma è sempre un problema politico della più grande importanza e in qualcosa il Governo può intervenire.
Ecco: date alle autorità, agli organi periferici, la sensazione precisa che l’Italia che si ricostruisce, che rinasce e rinnuova il suo volto, intende garantire la libertà per tutti ed una giustizia inflessibile per tutti. Date questa sensazione a quelle popolazioni. Fate intendere che i comuni non sono lasciati, come è vecchia opinione, alla mercé del potere centrale attraverso le influenze manovrate delle Prefetture.
Fate anche un’altra cosa. Ma bisogna proprio esemplificare, ricorrendo a considerazioni di situazioni cosi modeste? È una piccola cosa; ma guardate, onorevole Presidente del Consiglio, io vado laggiù, trovo l’eco di un bisogno, l’ansia di un rinnovamento; scendo nell’ultimo casolare, ve ne porto la voce: liberate anche gli organi più modesti della polizia, gli uffici delle questure, le piccole caserme dei carabinieri dalle stratificazioni della vecchia politica, dalle pressioni delle clientele. Insomma, sentite che quelle popolazioni, per il fermento della loro storia, delle loro tradizioni, sono portate a valutare anche le situazioni politiche alla stregua di criteri morali, soprattutto la libertà, l’onestà, la giustizia in ogni manifestazione della vita. E se avrete colto il senso di una tale esigenza, avrete guadagnato definitivamente alla nuova vita italiana l’anima di quelle popolazioni. (Applausi).
Ed ora un’ultima considerazione, che mi è venuta dopo aver ascoltato la parola della collega Bianchi: guardate alla scuola!
Non ripeterò le esperte dissertazioni della egregia collega; vi additerò qualche necessità pratica, urgente.
Guardate alla scuola! Laggiù abbiamo bisogno di scuole, scuole, scuole; quelle che potete, quante potete, non palazzi scolastici, non grandi edifici, ma luoghi dove si possano raccogliere i maestri con i loro scolaretti. Per la Calabria sarebbe questo il premio migliore della Repubblica.
Se non potete istituire nuove scuole, ravvivate quelle esistenti.
Vi addito un fenomeno, segnalatomi dagli insegnanti: lo spopolamento della scuola elementare.
Provvedete ad aiutare la popolazione scolastica. Soprattutto nelle scuole di ogni ordine, particolarmente nell’inferiore e nella media, riportate, rinnovate, rafforzate un senso di dignità interiore ed esteriore, nella disciplina della popolazione scolastica, nella funzione dell’insegnante, nei libri di testo.
A questo proposito vorrei dire: Perché ancora non torna nelle scuole – con diritto di cittadinanza piena – uno di quei libri coi quali, come ha detto un illustre rappresentante della scuola italiana, che è anche nostro valoroso collega, l’Italia può ancora parlare al mondo? perché non torna il libro dei Doveri dell’uomo di Giuseppe Mazzini? Non penso che possa riscontrarsi qui una di quelle «zone di non coincidenza ideologica» delle quali parlava il Presidente del Consiglio. Siamo nel 1946; siamo soprattutto in Repubblica!
Rendiamo dunque ai giovani, dei quali oggi l’onorevole Pertini rilevava con note vive e profonde la tragedia spirituale, le dolorose vicende, il senso di comprensione, che hanno diritto di richiederci quelle pagine, che possono suscitare una ventata di idealità, ispiratrice del dovere; del dovere, onorevoli colleghi, non entro gli scenari di cartapesta della potenza o nelle infatuazioni nazionaliste, sia pure delle rivincite, ma nell’umile e grande realtà della vita quotidiana.
Se voi, signori del Governo, espressione del popolo, questa volta finalmente, in nome della Repubblica, ascolterete queste esigenze, che vi vengono espresse modestamente, sì, ma che hanno una forza d’impulso per il senso di giustizia che le assiste, ed obbedirete a queste necessità di ordine pratico concreto e di ordine morale, voi potrete dire che la vostra promessa, che, ripeto, è impegno di onore, di guardare al problema del Mezzogiorno, avrà soddisfatto non pure a quelle terre lontane, ma ad un bisogno dell’Italia, che umile ma diritta, percossa ma in piedi, ha da stare oggi davanti al mondo con la forza della sua civiltà, che le deriva dalla sua storia e dal suo genio, ma anche col senso profondo della giustizia uguale per tutti i suoi figli. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Corsini. Ne ha facoltà.
CORSINI. Onorevoli colleghi, mi dispiace molto di dovervi tediare dopo quattro ore che siete in quest’aula. Cercherò di riassumere le cose che volevo dirvi. Ma non è facile, perché già avevo cercato di comprimere le idee al massimo.
Altri più competente di me ha già messo in luce come l’attuale Governo abbia la facoltà di alterare lo stato di fatto e di diritto anticipando le decisioni di questa Assemblea. Quindi spero che non vorrà metterci di fronte al fatto compiuto, per esempio, per quel che riguarda il campo agricolo.
È questa una materia di grande importanza, di cui vi intratterrò brevemente nella mia qualità di tecnico agricolo. Devo osservare che la parte che riguarda la nostra agricoltura risente di preoccupazioni di carattere politico e trascura i problemi pratici, tecnici e produttivi, che hanno invece carattere preminente.
L’intenzione, appena accennata, di istituire degli agronomi condotti, lascia perplessi, in quanto questa figura è già stata discussa, e non favorevolmente, in seno ad assemblee di tecnici agricoli.
Si teme che questa massa di giovani non provenienti dall’agricoltura possano essere impari al grave compito tecnico che dovrebbero svolgere.
Io raccomando al Governo di cercare quanto più è possibile sollecitamente di sopprimere i tanti enti, i tanti uffici di complicazione degli affari semplici, come furono spiritosamente definiti qualche anno fa, che rendono penosa la vita degli agricoltori.
Si parla ora di misure di emergenza. Quali? È lecita la domanda?
La nostra agricoltura, dalla Sicilia alle Alpi, mostra confortanti sintomi di ripresa nonostante le difficoltà. Ora due sono le preoccupazioni: la necessità di produrre il più possibile, dar lavoro ai contadini. Possono questi provvedimenti ottenersi con la dovuta sollecitudine? A me sembra di no.
Per conseguire la maggiore produzione possibile occorre che si provveda ad incoraggiare tutta la massa dei produttori agricoli di tutto il territorio nazionale. Sembra quasi, a volte, che si dimentichi che vi sono 45 milioni di persone da sfamare e che se il raccolto del grano quest’anno è stato ottimo, pure in condizioni difficili quali, fra l’altro, la mancanza di concime, verranno presto a cessare i soccorsi dell’U.N.R.R.A. e ogni importazione di grano dovrà essere pagata o compensata altrimenti.
Perciò speravamo che il Governo si fosse preoccupato di stimolare con tutti i mezzi a sua disposizione, dal prezzo alle sanzioni contro i retrogradi, con la propaganda generica e spicciola del Ministero e di tutti i suoi organi periferici, l’interesse e la capacità degli agricoltori piccoli e grandi, in modo di spingerli al massimo sforzo produttivo con beneficio di loro stessi e con vantaggio dei consumatori.
Invece vediamo agitare lo spauracchio della riforma fondiaria e tra l’altro spingere istintivamente i produttori a sfruttare la terra, anziché a utilizzarla nel modo più razionale.
Bisogna tener presente che tutte le statistiche indicano che le aziende che più contribuiscono agli ammassi e alla produzione per il mercato di consumo sono quelle medie e grandi. Quindi, anziché parlare di espropri e simili angherie a carico di una categoria di cittadini che nulla ha da rimproverarsi e che forse è tra le più sacrificate dalle bardature fasciste, sarebbe stato più opportuno introdurre, magari provvisoriamente, il concetto dell’obbligo di annuale rinvestimento nel fondo di una parte del reddito lordo o netto a scelta, onde tendere al risultato doppio di accrescere la produzione e dare lavoro ai disoccupati.
Oltre alle molteplici difficoltà derivate direttamente o indirettamente dalla guerra, gli agricoltori si sono trovati ostacolati nel loro essenziale lavoro di produzione e ricostruzione anche dal clima, quanto mai contrario in questi due anni. Nonostante ciò, hanno saputo e voluto fare del loro meglio e il raccolto di quest’anno lo conferma. Per di più hanno largamente contribuito a dar lavoro a chi non ne aveva.
Incidentalmente osservo che se qui fosse presente qualcuno della Camera del lavoro di Firenze potrebbe essere testimonio degli sforzi che sono stati fatti per persuadere, e con notevole successo, gli agricoltori di quella provincia a dar lavoro presso le singole aziende.
Perciò mi pare che avrebbe potuto essere risparmiato a questa categoria il continuo ingiustificato stato di disordine e agitazione, coi suoi riflessi nell’organizzazione produttiva, nel quale, per motivi non chiari, si è voluto tenere una classe che era tra le meno bisognose di quante ce ne siano in Italia e che di sua spontanea volontà non avrebbe mai sognato di creare confusione e di mettersi nella illegalità: intendo alludere ai coloni mezzadri. Come giustamente ha accennato l’onorevole Pellizzari, sarebbe stato utile che nel programma governativo fosse stata compresa una categorica assicurazione che – non fosse altro per evitare danni di riflesso sulla produzione e distribuzione delle derrate – la legge e l’ordine sarebbero stati fatti rispettare anche nelle campagne.
Per dare corpo alle cosiddette misure di emergenza ci si è ridotti a riesumare concetti, metodi, istituti ed enti di non lieta memoria che si speravano in via di liquidazione al seguito del regime che li aveva creati e che hanno dato luogo in passato a non poche critiche sul loro operato. Si parla di indennità di esproprio non regolarmente pagate, di lavori fatti dove era meno utile, ma più vistosa, l’opera di espropriazioni di terreni già coltivati, mentre altri in peggiori condizioni non furono presi in esame, ecc. Non dubitiamo che nella diversa atmosfera di oggi la libera critica potrebbe aver ragione di tanti inconvenienti. Ma a che prezzo, ci dobbiamo domandare? Il costo fu esorbitante; per di più le immense somme spese furono per forza concentrate su comprensori di poche migliaia di ettari e i risultati rimasero ivi limitati. Invece le stesse cifre assegnate all’iniziativa privata e nel vasto campo del territorio nazionale avrebbero senza ombra di dubbio dati risultati produttivi di gran lunga maggiori. Ed è questo che ci interessa. La stessa argomentazione vale oggi, sia per quanto riguarda opere di miglioramento fondiario e di trasformazione fondiaria, sia per quanto si riferisce all’assorbimento di mano d’opera. Questa infatti si trova disoccupata in modo abbastanza diffuso. Per fare un esempio, se si cominciassero a fare dei lavori a Radicofani, non si risolverebbe la disoccupazione né nella provincia di Roma né nella provincia di Firenze.
Oggi in Italia ci troviamo nella più nera miseria: abbiamo scarsezza di capitali, e urge ricostruire, produrre, dare lavoro a chi lo va cercando, dar da mangiare agli affamati; non mantenere in vita enti di mediocre utilità nel campo produttivo, oggi arrugginiti e sempre costosi e burocratici nel loro funzionamento.
Nella odierna situazione occorre avere cura che ogni foglio da mille – una volta si sarebbe detto ogni soldo – disponibile per l’agricoltura vada dove fa scaturire a più breve scadenza occupazione e produzione. È quindi grave errore – tremenda responsabilità verso il Paese – parlare di costruzione ex novo di case, di colossali investimenti finanziari a tassi d’interesse inverosimilmente bassi, come la riesumazione di quegli enti fa pensare.
Quel genere di trasformazioni fondiarie presenta infatti inconvenienti che si debbono oggi evitare a tutti i costi, e sono:
1°) elevatissimo costo;
2°) lungo periodo fra l’investimento e l’effetto produttivo (diversi anni);
3°) effetto produttivo che si limita comunque a poche migliaia di ettari;
4°) assorbimento solo locale della mano d’opera;
5°) forte assorbimento finanziario-burocratico, quando chi opera sono Enti.
Ma c’è di peggio: ci si propone di dare a tali Enti contributi statali e istruzioni per procedere il più rapidamente alla esecuzione delle opere.
Ciò vuol dire non solo aumentare le spese, non guardare a qualche milioncino in più o in meno, ma vuol dire, come nelle epoche in cui si facevano le inaugurazioni il 21 aprile o il 28 ottobre, che i lavori devono essere fatti in modo affrettato, senza sufficiente meditazione, spesso improvvisati e con errori moltiplicati dalla furia. Se si fa uno sbaglio nel progettare una casa e se ne costruiscono 100 tutte insieme, ognuna soffrirà per quella svista. E l’arte dei campi non tollera «fretta, che l’onestade ad ogni atto dismaga», ma vuole che si lavori con lenta sicurezza come in tutte le cose di natura.
Nel particolare periodo attuale occorre che ogni capitale dia il massimo risultato, e rientri al più presto per poter dar vita ad un altro ciclo produttivo. Confondo qui volutamente capitale di investimento e capitale circolante, perché in agricoltura questa confusione avviene spesso e bisogna tenerne conto.
Attualmente bisogna valutare accuratamente l’effetto di ogni investimento che si faccia in agricoltura.
Una casa nuova costa oggi parecchio più di un milione di lire, e un milione al chilometro costa una strada poderale massicciata in terreni argillosi; peraltro l’effetto immediato sulla produzione di tali opere è molto scarso. Per contro, con la stessa somma, si possono fare diversi silos da foraggio e vari chilometri di medie affossature da acqua, dove mancano affatto o dove la rete è difettosa. E poiché i sili e le sistemazioni idrauliche hanno effetto subito, occorre dedicarsi a queste opere.
In Italia è già disgraziatamente abitudine di tutte le categorie di agricoltori di trasformare il loro denaro in pietra, calce e mattoni; si tratta molto spesso di capitale circolante che viene così congelato, mentre è notoria la deficienza cronica di circolante che affligge la nostra agricoltura.
Occorre che il Governo, per il tramite del Ministero dell’agricoltura – organo tecnico per eccellenza – diffonda questi concetti semplici per mezzo della sua organizzazione periferica, faccia propaganda, consigli, imponga, se occorre, agli agricoltori piccoli e grandi, senza distinzione di sorta, di concentrare la loro attività sulle opere che siano per dare a più breve scadenza, possibilmente fin dal prossimo raccolto, un vantaggio alla produzione.
Una campagna in questo senso, ben condotta, sortirà maggior effetto di quanto non possa offrire il lavoro di tutti gli enti escogitati dal passato regime.
Abbiamo in Italia plaghe a coltura intensissima, e poi tutta una graduatoria fino a giungere a zone dove la terra è utilizzata in modo estensivo sommario, apparentemente affatto irrazionale. Perché avviene ciò? Molto spesso la ragione è fuori dalla volontà o capacità umana, risiede in fondamentali difetti di carattere climatico e pedologico che rendono la produttività di quelle terre incostante ed aleatoria. In tali condizioni la grande azienda accorpata riesce a tirare avanti perché ha la possibilità economica di sopravvivere, nelle annate cattive o pessime, in attesa di più favorevoli circostanze di stagione. Forme di conduzione tramontate, e quindi più deboli economicamente, si troverebbero in paurose difficoltà a così brevi intervalli da lasciar dubbi sulla loro possibilità di mantenersi in vita.
Le risorse della tecnica, della buona volontà, del risparmio, sono infinite ed è pensabile che in un domani si possa trovare la maniera di affrontare e superare anche le difficoltà di queste zone infelici Ma non è ora, poiché siamo poveri e affamati, che possiamo rischiare di profondere i capitali che ci mancano in tali opere di dubbio esito.
Limitatamente, per carità, a suggerire – e se occorre ad imporre – anche per tali zone miglioramenti colturali di poco costo e di sicura efficacia (piccole e medie sistemazioni idrauliche, sistemazione superficiale, introduzione di macchine e concimi adatti, ecc.), che potranno avere, agli effetti della produzione che va al consumo, effetti da non disprezzarsi.
In tali zone infelici si provvede in modo agile ed economico, a fornire agli agricoltori i finanziamenti occorrenti, col contributo dello Stato qualora si rientri nelle condizioni previste dalle vigenti leggi.
Per quanto la piccola proprietà contadina pecchi molto spesso dal lato tecnico e tenda (eccezion fatta per i poderi ortivi, a vigna o simili) a far più un’agricoltura familiare che una produzione di mercato per i consumatori, pure sono da guardarsi con favore i provvedimenti che il Governo si propone di adottare per facilitare l’acquisto di terre da parte dei coloni. Questa categoria dispone oggi di larghissimi mezzi, e le progettate agevolazioni fiscali verranno indubbiamente a favorire trapassi di proprietà che si sono già iniziati e che rappresentano indubbiamente il principio di un vasto movimento di terre analogo a quello imponentissimo che ebbe luogo dopo la prima guerra mondiale.
Se non erro, allora cambiarono mano a un dipresso un milione di ettari, e poiché attualmente i contadini sono, proporzionalmente, molto, molto più ricchi di allora, c’è da aspettarsi che i trasferimenti spontanei saranno anche maggiori.
A tal fine mi permetterei, conoscendo bene la mentalità degli interessati, di dare un suggerimento: si studi e si diffonda presso i notari incaricati un contratto tipo, da adottare per simili trapassi, in cui sia lecito non far parola del prezzo pagato. Ai contadini secca molto far sapere al pubblico quanti soldi hanno.
Sarebbe però opportuno che i fondi che verranno così trasferiti fossero tutelati dal lato tecnico. Occorrerebbe pertanto che gli acquirenti beneficiari delle provvidenze governative si dovessero impegnare per un congruo periodo, per esempio 10 anni, a sottostare ad un controllo tecnico da parte dell’ispettorato agrario provinciale onde garantire la collettività – a cui spese sono stati concessi i vantaggi e le facilitazioni – che i fondi in oggetto saranno portati a una maggior produzione globale rispetto al passato, arricchiti e migliorati, anziché barbaramente sfruttati. Gli inadempienti dovrebbero perdere ogni beneficio per il seguito ed essere costretti a rimborsare quanto risparmiarono per effetto delle provvidenze e facilitazioni godute.
In merito alle affittanze collettive, concessioni di terre a braccianti e simili, si dovrà andare con la massima cautela; già vi sono state occupazioni assolutamente ingiustificate, sistemate provvisoriamente in modo assai criticabile, nelle quali gli occupanti hanno dimostrato la più palese incapacità a coltivare e gestire il fondo. Occorre assolutamente, nell’interesse della produzione e quindi del consumatore, e agli effetti della conservazione stessa del suolo, che gli interessati siano in grado di dimostrare di essere bona fide gente della terra e di avere un’organizzazione economico-tecnica, tale da garantire che faranno meglio di chi, prima di loro, gestiva il fondo.
Troppe volte infatti è avvenuto ed avviene che questi gruppi, che si qualificano in vari modi per ottenere l’uso di fondi, siano composti di barbieri, ciabattini, macellai, ecc., assolutamente inadatti a fare gli agricoltori.
In tali casi spesso non si è provveduto a rispettare i patti convenuti, non si sono pagati i modesti affitti, la terra è stata anche subaffittata a scopo di pascolo. Altre volte fondi caduti in simili mani sono stati rapidamente sfruttati (la terra non si deve mai sfruttare, ma utilizzare) rapinati di ogni fertilità, ridotti in condizioni pietose per il dilavamento superficiale. Orbene, tutto ciò non è ammissibile, l’Italia non può permettere che si scialacqui la già scarsa fertilità delle sue terre.
Onorevoli colleghi, molto vi sarebbe ancora da dire su quello che il programma non dice: vi è il problema della istruzione agraria di tutti i gradi, che è fondamentale; vi è l’altro, vitale più di quanto non si creda, delle stazioni sperimentali e di quelle fitopatologiche, che sono prive, o quasi, di fondi…
Ma sento di aver abusato anche troppo della vostra pazienza con un’argomentazione arida e noiosa per chi non s’interessa di agricoltura.
Ma una cosa mi resta da dire: nel campo agricolo, come in tutti gli altri di questo nostro povero Paese, occorre, come oratori precedenti hanno già detto, ridestare la fiducia; e fiducia significa tranquillità nel lavoro, significa essere disposti a rischiare nella speranza di ottenere un premio da questo rischio che si chiama «utile».
Poiché la terra è il più immobile fra tutti i beni immobili, la fiducia in essa deve essere assoluta. Una tale sicurezza deve essere basata su incrollabili fondamenti, o manca affatto. Per crearla occorre ben poco: basta dare a tutti gli agricoltori, grandi e piccoli, poveri e ricchi, la precisa sensazione che, se essi faranno o continueranno a fare il loro dovere, saranno rispettati i loro diritti.
I doveri si potranno e si dovranno chiarire: sono passati i tempi del «Jus utendi et abutendi» e tutti sentono ormai che, oltre a pagare le tasse, occorre che ciascuno si dedichi toto corde ad aumentare la fertilità della terra di cui dispone onde trarne, per tutti gli italiani, il massimo di prodotti compatibile con le condizioni di ambiente. La terra, come tutte le cose vive, deve essere amata, e con amore trattata perché dia tutto quanto è possibile.
Ma a coloro che abbiano compiuto il loro dovere verso la terra e verso la collettività compete il diritto, per sacrosanta giustizia, di godere e disporre liberamente di ciò che possiedono. E ciò senza timori o preoccupazioni per l’avvenire, che facciano diminuire l’attività e l’affetto per la terra, che hanno portato e continueranno a portare, nel tempo, a quei reinvestimenti di risparmio, per i quali si è compiuto il miracolo di permettere a 45 milioni d’italiani di vivere, o quasi, sul nostro territorio ristretto. (Applausi).
A nome dei numerosi agricoltori, dirigenti e tecnici agricoli, che mi onoro di rappresentare, presento la seguente dichiarazione in cui si riassumono e fissano, in brevi e schematici punti programmatici, le aspirazioni di quanti mirano, al tempo stesso, al potenziamento della produzione agricola nazionale ed all’effettivo conseguimento dei fini sociali cui il Governo si ispira:
- A) Ogni e qualsiasi riforma agricola intrapresa dal Governo dovrà essere preceduta dalla più ampia e libera discussione dei suoi fondamenti politici, sociali, giuridici ed economici. A tale discussione è altresì da subordinarsi l’adozione di tutti i provvedimenti relativi a riforme strutturali e funzionali dell’economia agricola.
- B) La discussione dovrà aprirsi, massimamente, sui seguenti problemi, di manifesto, supremo interesse per la vita economica e politica del Paese:
1°) riorganizzazione delle scuole agrarie di ogni grado;
2°) riordinamento delle istituzioni agrarie preposte all’incremento ed al controllo delle produzioni agricole;
3°) potenziamento degli istituti sperimentali per l’agricoltura;
4°) incremento e disciplina dei mezzi strumentali indispensabili all’agricoltura;
5°) riforma dei criteri informativi dei contributi associativi ed assicurativi;
6°) agevolazioni ed obblighi di trasformazione fondiaria ed agraria;
7°) riordinamento degli istituti finanziatori e bancari istituzione e perfezionamento di enti creditizi specializzati in operazioni di mutuo agricolo, opportunamente garantite dallo Stato, in analogia a quanto è stato già praticato, con proficui risultati, nel settore industriale;
8°) tutela dei costi di produzione dei prodotti agricoli;
9°) miglioramento delle condizioni sociali ed economiche del bracciantato agricolo e dei piccoli proprietari terrieri. (Applausi).
PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.
Interrogazioni e interpellanze.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.
CHIEFFI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quando il Governo intenda di realizzare il collegamento elettrico con la Sicilia – presupposto di ogni miglioramento delle deplorevoli condizioni economiche dell’Isola – e se sia vera l’informazione pubblicata dalla stampa che al progetto siano stati posti o siano ancora posti ostacoli, – e nel caso che ciò sia rispondente al vero – se intenda comunicare all’Assemblea Costituente i documenti che occorrono per dimostrare che qualunque difficoltà di ordine tecnico o politico sia stata prospettata, è insussistente e non può che mascherare interessi contrastanti con lo sviluppo industriale della Sicilia, che è problema non regionale, ma italiano, di alta giustizia, ed è necessità indilazionabile per la ricostruzione nazionale.
«Basile».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere come e quando il Governo intenda venire in aiuto della città di Messina, risolvendo anzitutto la questione vitale della sistemazione del porto in cui occorre provvedere alla rapida ricostruzione delle banchine e degli ormeggi, allo sgombro dei relitti di piroscafi affondati, che ostruiscono ancora l’approdo delle navi, paralizzando ogni ripresa della vita portuale e della rinascita di Messina.
«Basile».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se non ritenga di interessare il Governo degli Stati Uniti d’America per la restituzione del Consolato a Messina, centro dell’emigrazione calabro-sicula.
«Basile».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non reputi necessità urgente assegnare – sia pure in via temporanea – ai comuni capoluogo di provincia i patrimoni (edifici e ville) già appartenenti alla disciolta G.I.L., onde sia lecito a tali comuni proseguire l’opera di difesa e di assistenza ai fanciulli bisognosi, opera interrotta per i danni recati dalla guerra ai loro stabilimenti. Si ritiene questa concentrazione di attività nei comuni più rispondente alla pochezza dei mezzi attuali e più conforme alla magnifica attività da essi dispiegata nel passato.
«Longhena, Bianchi Bianca».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, se non ritenga conveniente alla serietà della scuola, nel prossimo movimento del personale, trasferire quei capi d’istituto che, con la loro condotta di soverchia condiscendenza verso il fascismo, non possono oggi – evidentemente – con dignità e con fermezza ristabilire nella scuola severità di disciplina e dirittura di comportamento.
«Longhena, Bianchi Bianca».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga di intervenire efficacemente e prontamente per assicurare il ripristino a Messina della Scuola allievi ufficiali della guardia di finanza, inviando sul posto un ispettore generale e sospendendo il provvedimento della direzione generale del demanio che con ministeriale 10 corrente n. 93969 – senza attendere l’esito delle pratiche già in corso col Comando generale della guardia di finanza, ha destinato il palazzo della Libertà – ex littorio – (che doveva accogliere la scuola) a sede dell’ufficio tecnico erariale che può trovare ampi locali nell’ex G.I.L., attualmente inutilizzati e non adatti e insufficienti come sede della Scuola nautica.
«Basile».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se intenda abolire l’ammasso dell’olio, iniziando così la smobilitazione di tutte le dannose e costose bardature di guerra.
«Persico».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere:
1°) se non ritenga assurda la sopravvivenza del ruolo degli amministratori giudiziari compilato durante il regime fascista, quando – come è noto – requisito indispensabile per esservi iscritti era l’appartenenza al partito fascista e le cosiddette benemerenze fasciste costituivano il principale criterio di graduatoria;
2°) se, dato che la sopravvivenza del vecchio ruolo è offensiva e dannosa per quanti professionisti seppero mantenere durante l’abbattuto regime la propria. dignità ed indipendenza, il Governo non ritenga opportuno disporre che il predetto ruolo venga considerato non più esistente e che, in attesa di uno nuovo, gli incarichi vengano dati a coloro che ne siano oggettivamente più meritevoli.
«Cappi».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se sono a sua conoscenza gli atti di banditismo, che quotidianamente sono commessi da evasi dal carcere nella provincia di Reggio Calabria con rapine a mano armata e continue grassazioni; e quali provvedimenti intende prendere al fine di ovviare alla situazione di terrore determinatasi nella popolazione, specialmente nella piana di Rosarno. Se è a sua conoscenza che tali bande sono al servizio dei monarchici della provincia suddetta allo scopo di far diminuire agli occhi della popolazione il prestigio della repubblica, come di fatto sta avvenendo, senza che le autorità tutorie intervengano efficacemente contro tale opera sobillatrice.
«Musolino».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere:
se, allo scopo di lenire con urgenza la dilagante disoccupazione ed in previsione dell’impiego per importanti lavori pubblici di mezzi provenienti da misure finanziarie di emergenza, non ritenga opportuno disporre che intanto vengano utilizzati gli attuali stanziamenti di bilancio, concentrandoli nel corrente semestre, onde ottenere il duplice risultato di dare un forte impulso a dette opere ed impostare i lavori prima della stagione invernale;
se, in connessione con tale provvedimento, non ritenga indispensabile mobilitare tutti gli apparati tecnici ed amministrativi delle provincie e dei comuni che abbiano la necessaria efficienza, incaricando gli stessi della progettazione degli appalti e dell’esecuzione, e concedendo i relativi finanziamenti, salvo la riserva al Genio civile dei collaudi e della definitiva liquidazione.
«Tale provvedimento, già annunciato nel programma dell’attuale Governo e ritenuto utile dai precedenti, come da circolare 25 gennaio 1945, n. 309, diretta ai prefetti e con decreto legislativo luogotenenziale 12 ottobre 1945, n. 690, articolo 4, dovrebbe concretizzarsi con provvedimento legislativo e conseguente regolamento, per consentire agli Enti locali di farsi parte diligente per dette progettazioni ed impegnare la personale responsabilità dei funzionari del Genio civile e dei Provveditorati alle opere pubbliche per la evasione in termini stabiliti di ciò che loro compete.
«Si ritiene che questo provvedimento concorrerebbe a risolvere le difficoltà burocratiche inerenti all’inizio ed esecuzione dei lavori pubblici, difficoltà sentite e lamentate da tutti gli amministratori degli Enti locali.
«Ruggeri, Molinelli».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, perché dica se non ritiene necessario deplorare il prefetto di Chieti, il quale, arrogandosi poteri che non gli spettano e piegando l’autorità dello Stato a servizio di parte, ha indirizzato 1’11 luglio una nota di riprovazione e di aperta deplorazione al sindaco di Lanciano per le parole da questo pronunciate nel suo discorso dell’11 giugno, in celebrazione della Repubblica, contro l’azione elettorale del clero e specialmente contro il manifesto pastorale emanato, la vigilia delle elezioni politiche, dai titolari delle cattedre vescovili ed arcivescovili di Abruzzo a coartazione della libera scelta degli elettori – manifesto condannato, sia pure con ragionato ritardo, persino dalle supreme autorità ecclesiastiche romane.
«L’atto del prefetto di Chieti (lesivo dei diritti elementari dei cittadini ed offensivo delle libertà comunali appena riconquistate, delle quali il sindaco è espressione e portavoce) fa supporre che in questo funzionario persistano atteggiamenti mentali e metodi di amministrazione che, propri del fascismo, non sono più tollerabili nel nuovo Stato repubblicano e democratico, e per i quali si esige un’aperta condanna da parte di chi è oggi investito del compito geloso di tutelare e rassodare le libertà appena riconquistate.
«Terracini».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se ritiene giusto il provvedimento del premio assegnato ai consegnatari del grano agli ammassi in funzione dei periodi di consegna.
«Il provvedimento, che viene a favorire coloro i quali ebbero a seminare i grani precoci prima della promulgazione del provvedimento stesso, quelli che si trovano in pianura ed i grossi agricoltori attrezzati per una rapida trebbiatura, viene invece ad escludere i piccoli agricoltori dipendenti dal turno imposto dalle trebbiatrici a noleggio, nonché gli agricoltori della media e alta collina.
«Si prospetta la necessità di eliminare ingiustificate sperequazioni e di corrispondere a tutti gli agricoltori il premio in unica misura, purché la consegna non vada oltre una data fissa, che potrebbe essere quella del 31 agosto.
«Miccolis, Trulli, Rodi».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, sulla necessità di prendere gli opportuni accordi con la Società delle ferrovie del Sud-Est per il ripristino di un’altra coppia di treni sulla linea Lecce-Gallipoli (come già nel periodo pre-bellico).
«Quelli attualmente esistenti sono assolutamente insufficienti ai bisogni delle popolazioni locali. Tali treni potrebbero svolgere servizio per viaggiatori e merci. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«De Maria, Gabrieli».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della guerra, dell’agricoltura e delle foreste e dei lavori pubblici, per sapere le ragioni per le quali con tanta lentezza si è finora proceduto allo sminamento dei campi minati.
«Si chiede particolarmente quali piani siano in corso e quali mezzi siano in opera per una immediata liberazione dalle mine che infestano e sottraggono alla produzione tanti terreni della zona emiliano-romagnola, con tanto danno della ricchezza pubblica e privata. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Braschi, Zaccagnini».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni che ancora ritardano l’abrogazione del vigente Codice fascista di procedura civile, che ha paralizzato quasi totalmente l’attività giudiziaria, abrogazione attesa vivamente da tutte le Curie d’Italia e dalla stessa Magistratura.
«Si impone l’immediato ritorno al vecchio Codice ed alle norme del procedimento sommario, cui in seguito potranno apportarsi opportune modifiche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Paolucci».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere a quale punto siano le trattative con la Svizzera per l’auspicata costruzione dell’idrovia Locarno-Venezia, alla quale è direttamente e vivamente interessata anche la provincia di Brescia, e quali siano i propositi del Governo al riguardo. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bulloni, Bazoli, Ghislandi».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se e quali accordi il Governo italiano ha stabilito con le autorità jugoslave circa la possibilità e il permesso ai cittadini italiani già residenti nell’Istria e nel Fiumano di trasportare i beni mobili di loro proprietà e circa le garanzie a quelli proprietari di immobili per il godimento e l’eventuale realizzazione dei loro beni, (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bulloni, Bazoli».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e del tesoro, per sapere se, con i provvedimenti annunciati dal Governo a favore dei pensionati, s’intenda eliminare l’ingiusta sperequazione esistente fra i pensionati dello Stato e quelli a carico di Istituti amministrati dalla Cassa depositi e prestiti (Cassa di previdenza sanitari, Cassa di previdenza impiegati enti locali, Cassa di previdenza salariati enti locali, Cassa di previdenza ufficiali giudiziari), concedendo a tutti indistintamente i pensionati piena parità di trattamento di fronte all’identità dei bisogni e intervenendo quindi con mezzi a carico dello Stato alle necessarie integrazioni degli assegni dei pensionati a carico degli Istituti di previdenza amministrati dalla Cassa depositi e prestiti, le cui condizioni finanziarie sono attualmente tali da non consentirle di corrispondere ai pensionati dipendenti gli aumenti che lo Stato dispone a favore dei propri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Zaccagnini».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per sapere i motivi che hanno potuto consigliare la soppressione in Catanzaro dell’ospedale militare, che conta novant’anni di vita e ha un movimento mensile di duemila entrati e duemila usciti. Tale provvedimento, oltre a colpire gravemente gli interessi di una città, vittima di continue spoliazioni di sedi di enti ed uffici pubblici, toglie a due regioni d’Italia, la Calabria e la Lucania (le sole della Penisola, che resterebbero prive di Ospedale militare), una importante istituzione, a tutto danno dell’assistenza sanitaria, con i pregiudizievoli inconvenienti, che sono stati così individuati in una recente deliberazione della Giunta municipale di Catanzaro:
- a) l’afflusso dei militari distaccati nella Calabria, che già è difficoltoso per Catanzaro, data la notevole estensione del territorio di giurisdizione e la scarsezza dei mezzi di trasporto, diventerà addirittura gravoso ed oneroso per il nuovo centro ospedaliero (Napoli) cui i militari dovrebbero essere avviati e che da Catanzaro dista ben 500 chilometri;
- b) verranno meno le possibilità di intervento immediato per risolvere crisi di vita in imminente pericolo;
- c) aumenterà il contagio di certe malattie, quando gli infermi saranno costretti a raggiungere la sede di Napoli in treno, in scompartimenti misti e civili;
- d) risulteranno lente e tardive le determinazioni medico-legali e le definizioni della posizione dei cittadini chiamati alle armi, a causa della distanza, del tempo e della congestione che verrebbe a prodursi nell’Ospedale militare;
- e) egualmente per le stesse ragioni, lenti e tardivi il ricovero, l’assistenza e l’aiuto in tutti i casi di eventuali gravi emergenze.
«L’interrogante chiede di conoscere se l’onorevole Ministro della guerra, di fronte al giustificato allarme della città di Catanzaro, non ritenga necessaria ed urgente la revoca dell’indicato provvedimento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Caroleo».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non ritenga opportuno disporre il pagamento dei danni di guerra agli agricoltori della provincia di Messina od almeno la corresponsione sollecita di un acconto, (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Martino Gaetano».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro del tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno, al fine di facilitare la ricostruzione dell’abitato delle città fortemente danneggiate dalla guerra:
- a) elevare al 75 per cento il contributo dello Stato ed a lire 500.000 il limite di cui all’articolo 12, n. 1, ed all’articolo 16, lettera b), del decreto legislativo luogotenenziale 9 giugno 1945, n. 305, per i comuni già terremotati;
- b) adottare provvedimenti che assicurino il concorso di istituti finanziari per fronteggiare i mutui necessari con l’emissione di obbligazioni garantite dallo Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Martino Gaetano».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere – in relazione alla preoccupante situazione esistente nella provincia di Treviso, dove i disoccupati sono trentamila, molti i progetti della provincia, dei consorzi, dei comuni, ma pochi, limitati i finanziamenti, erogati dopo esaurita una troppo, tremendamente lunga procedura, tanto che spesse volte vanno deserte le aste – se e quali siano le somme, nel corrente esercizio finanziario, messe a disposizione del Provveditorato di Venezia.
«Se non ritenga necessario, in via assoluta, di aumentare quanto disposto, e se non creda di dare autorizzazione perché, se non tutta, almeno una parte della somma stanziata dal Provveditorato sia messa, con le dovute garanzie, a disposizione degli Enti interessati, onde facilitare l’appalto dei lavori e il pagamento degli stessi, evitando che le ditte restino esposte con forti capitali per mesi e mesi. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Ferrarese, Sartor».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se, in considerazione dell’aggravarsi dello stato di disagio in cui versano le popolazioni, non ritenga doveroso revocare le disposizioni impartite con telegramma circolare ai prefetti per la sospensione dei sussidi in danaro, erogati per il tramite degli enti comunali di assistenza, a favore dei bisognosi. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Vicentini, Cavalli».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, perché dica quali provvedimenti sono stati adottati o intende adottare per accelerare la ricostruzione e l’attivazione delle linee ferroviarie dell’Abruzzo. In particolare l’interruzione della linea Pescara-Roma dura da oltre due anni dalla liberazione, sicché praticamente l’Abruzzo si è trovato e si trova ancora tagliato fuori dalla Capitale. Anche per le altre linee ferroviarie d’Abruzzo, dello Stato e secondarie, si attende da tempo la ricostruzione, imprescindibile per dare incremento alla ricostruzione edilizia delle zone di quella regione devastate dalla guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Castelli Avolio».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, perché dica se ritiene opportuno, dato lo stato di isolamento in cui si trovano molti paesi della provincia di Chieti e della Vallata del Sangro, che più fortemente hanno subìto le distruzioni della guerra, di ripristinare con assoluta urgenza le comunicazioni telefoniche di quei paesi, delle quali è sentita la imprescindibile necessità in casi di soccorsi sanitari e per esigenze di ordine pubblico. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Castelli Avolio».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti sono stati presi o si intende prendere per stroncare l’ingente clandestino passaggio di generi alimentari oltre frontiera, rappresentati soprattutto, in questo periodo, da uova e grano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Roveda».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per sapere se non creda necessario revocare il provvedimento che scioglie il deposito 59° reggimento fanteria in Tempio.
«Tale provvedimento avrebbe per conseguenza il licenziamento della quasi totalità degli impiegati e dei salariati diurnisti (mutilati, invalidi, combattenti e reduci delle passate guerre e dell’ultima) e molte famiglie sarebbero messe sul lastrico. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Abozzi».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se per gli insegnanti titolari esonerati dal servizio per motivi politici o razziali e rientrati nei ruoli dopo la liberazione, verranno computati gli anni che furono fuori servizio tanto agli effetti degli scatti di stipendio quanto a quelli della pensione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Lozza, Mezzadra, Iotti Leonilde, Platone».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e delle finanze, per conoscere se non ritengano fondati i reclami dei mutuatari morosi dell’ex Istituto Vittorio Emanuele III pro danneggiati del terremoto 28 dicembre 1908 di Reggio Calabria, chiedenti, a cagione dei danni di guerra subìti:
1°) la riduzione del mutuo al danno effettivamente sofferto;
2°) l’abolizione degli interessi e delle provvigioni, che, per l’ammortamento in 50 anni, diventano onerosi rendendo in conseguenza necessario un nuovo ammortamento per il solo capitale;
3°) in subordinata, l’esonero del residuo mutuo per i proprietari dei fabbricati distrutti o gravissimamente danneggiati dai bombardamenti aerei. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Musolino».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno bandire un concorso speciale per titoli riservato agli insegnanti elementari che posseggono un minimo di 5 anni di servizio provvisorio con la qualifica di valente.
«Si tratta di una non grande aliquota di insegnanti, che non hanno potuto adire a concorsi negli anni scorsi, soprattutto a causa della guerra e dello stato di emergenza ad essa inerente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Taviani».
«II sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non intenda dare disposizioni o promuovere le misure necessarie affinché sia data validità in Italia, anche per l’accesso alle Università e scuole superiori, ai titoli di studio di scuole secondarie conseguiti all’estero da coloro le cui famiglie sono state costrette per motivi politici a emigrare e a rimanere lontano dalla Patria per lungo periodo di tempo con gravi sofferenze e privazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Pera».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quando e come intenda regolarizzare la posizione del corpo insegnante del conservatorio musicale «Gioacchino Rossini» di Pesaro, la cui assunzione fuori concorso, effettuata dal maestro Riccardo Zandonai nel 1940, è stata successivamente annullata senza discriminazione, in applicazione del decreto legislativo luogotenenziale 15 febbraio 1945. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Molinelli».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e delle finanze, per conoscere se non ritengano opportuno ed urgente disporre studi intesi ad attuare una riforma dell’ordinamento delle Casse di previdenza per gli impiegati degli enti locali, la quale, portando modifiche della legge 6 luglio 1939, numero 1035, del Regio decreto-legge 13 marzo 1938, n. 680, e delle leggi 11 giugno 1916, numero 720 e 25 luglio 1941, n. 934, elimini la disparità fra il trattamento di quiescenza fatto a tali impiegati in confronto a quello fatto agli impiegati dello Stato, nonché la snervante lentezza burocratica della procedura per la liquidazione delle pensioni, in modo che, per effetto di una diversa costituzione dei Consigli di amministrazione delle Casse (chiamando a farne parte esclusivamente rappresentanti degli enti locali ed iscritti), nonché di un largo ed oculato decentramento dei servizi (mediante la istituzione di uffici regionali o provinciali col compito di provvedere alla completa trattazione delle pratiche, dall’accertamento dei contributi alla liquidazione delle pensioni), e della semplificazione di tutta la procedura, sia possibile che il conferimento dell’assegno di riposo venga eseguito entro uno o due mesi al massimo dalla cessazione del servizio; e per conoscere altresì se frattanto, durante il periodo, inevitabilmente non breve, necessario per approntare tali studi, non credano di provvedere con la massima urgenza, attraverso rivalutazioni o assegnazioni di congrue indennità, a sollevare i pensionati ed i pensionandi degli enti locali dal gravissimo stato di indigenza in cui versano, conseguendosi in tal guisa anche l’intento che moltissimi vecchi dipendenti, che già abbiano raggiunto i limiti di età, resi tranquilli per la loro vecchiaia, sfollino gli uffici per lasciare i posti da essi occupati ad elementi più giovani e più validi: il che recherebbe anche un efficace contributo alla soluzione dell’arduo problema della disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Ponticelli».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, e il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se, in materia di epurazione, anche in armonia al proposito di pacificazione degli animi espresso nel proprio messaggio dal Capo dello Stato ed al suggerimento recentemente dato al Governo dal Consiglio di Stato, non ritengano giusto ed opportuno disporre un provvedimento che, eliminando la disparità di trattamento fra coloro che beneficiano delle disposizioni assai più miti sancite dal decreto legislativo luogotenenziale 9 novembre 1945, n. 702, e coloro che invece furono dispensati dal servizio, in ordine alle precedenti e assai più severe disposizioni, offra la possibilità a questi ultimi, di grado inferiore al 7°, di ottenere, o per iniziativa dell’Amministrazione da cui dipendono, o su loro domanda, la revisione della posizione loro per conseguire la riammissione in servizio sempre che non sussistano nei loro confronti manifestazioni di grave faziosità fascista o gli estremi previsti dall’articolo 2 del sopracitato decreto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Ponticelli».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga ingiusto, che ai piccoli agricoltori che per ragioni climatiche o per poco terreno posseduto non raggiungono la necessaria produzione familiare, sia rilasciato dagli uffici accertamenti solo il quantitativo di quintali 1,50 per persona, quantità assolutamente insufficiente per il nutrimento di dette famiglie rurali che si veggono anche menomate in confronto agli altri agricoltori, a cui vengono rilasciati quintali due per persona. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Scotti Alessandro».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno stabilire:
1°) che il premio fissato per chi consegna il grano entro il mese di luglio sia esteso indistintamente a tutti quegli agricoltori che consegnano il grano entro dieci giorni dalla trebbiatura;
2°) che il fabbisogno familiare per gli agricoltori dai dieci ai sessant’anni sia fissato in quintali tre annui;
3°) che sia provveduto in tempo il grano per la futura semina, il cui prezzo non dovrà superare di lire 500 il prezzo del grano pagato all’agricoltore;
4°) che sia stabilito un severo controllo sul prezzo e sulla equa distribuzione dei concimi, i quali devono essere dati a chi possiede la terra e non già a chi possiede la tessera sindacale;
5°) che il quantitativo di grano da seme, per le zone collinari e montane, venga elevato alla quota di quintali 2,5 per ettaro;
6°) che sia risolta con la massima urgenza e con un provvedimento definitivo la nota questione del prezzo del grano da valere per la corresponsione del canone d’affitto;
7°) che il quantitativo necessario all’approvvigionamento della popolazione non produttrice, residente nei comuni rurali, sia subito accantonato e non asportato. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Scotti Alessandro, Badini Confalonieri».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e dell’interno, per conoscere se siano state date istruzioni precise ai funzionari della magistratura giudiziaria e della pubblica sicurezza (a questi nella loro qualità di agenti della polizia giudiziaria), perché si proceda con la necessaria energia e tempestività contro le varie pubblicazioni periodiche che, con illustrazioni e scritti osceni, corrompono le coscienze e le intelligenze della popolazione italiana, specialmente degli adolescenti, e cooperano notevolmente alla decadenza morale del Paese. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«De Maria, Titomanlio Vittoria».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quando intende far ristabilire normali comunicazioni giornaliere, ascendenti e discendenti, sulla linea Milano-Gallarate-Luino delle ferrovie dello Stato, dando così una giusta soddisfazione a gran numero di lavoratori e favorendo lo sviluppo del turismo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Buffoni».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritenga opportuno di proporre un provvedimento legislativo che dia modo agli israeliti, vittime della politica razzista del fascismo, di rientrare in possesso dei beni mobili e immobili, degli appartamenti, dei fondi di commercio, dei quali furono spogliati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Buffoni».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per dare soddisfazione alle richieste di riordinamento e miglioramento dei servizi del tribunale di Busto Arsizio, che fin dal maggio scorso sono state presentate dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Busto Arsizio, d’accordo coi sindaci dei centri più importanti dell’Alto Milanese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Buffoni».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione; per sapere se non creda equo soprassedere al collocamento a riposo per limite di età di alcuni insegnanti di scuole elementari pei quali, nelle condizioni attuali del Monte pensioni, il provvedimento significherebbe passare dopo 45 anni di lavoro a una vita di fame.
«Si fa notare che un simile trattamento è stato già fatto ai professori delle Università. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Montemartini».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro ad interim dell’Africa italiana, per sapere quali provvedimenti si intenda adottare, per affrettare il rimpatrio di nostri connazionali, ex prigionieri, i quali attendono in Somalia da più di un anno, privi di ogni mezzo di sussistenza, un piroscafo italiano che li riconduca in patria. Il rimpatrio a proprie spese sembra sia impossibile per il costo del biglietto (lire 100.000). (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Moro».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere quali provvedimenti intenda prendere allo scopo:
1°) di adeguare i mezzi ed il personale degli uffici delle imposte alla molteplicità dei tributi diventati oggi così numerosi che gli uffici distrettuali sono impegnati per più di quattro mesi all’anno a compilare ruoli;
2°) di assicurare una relativa stabilità alle nuove leggi fiscali.
«In molti uffici delle imposte il personale di concetto è uguale ed anche inferiore a quello esistente nel 1920; gli uffici non sono dotati di telefono; la somma assegnata per cancelleria è quella fissata nel 1931; i lavori di riparazione agli immobili e mobili richiedono una lunga e spesso infruttuosa pratica presso il Ministero, ecc.
«Si rende, pertanto, necessario l’adeguamento del numero del personale e della relativa retribuzione; ed occorre, inoltre, che per l’emanazione delle nuove leggi tributarie siano preventivamente sentiti non soltanto i teorici di cattedra, ma i tecnici, cioè coloro i quali dovranno poi applicarle, evitando così che alcune leggi, subito dopo la loro promulgazione, per difficoltà di attuazione, debbano essere assoggettate a radicali riforme. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Del Curto».
«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere quale condotta egli intende seguire per dirimere il grave conflitto che pone di fronte contadini mezzadri e proprietari terrieri. In considerazione dell’irrigidimento della Confida, che respinge il lodo arbitrale, gli interpellanti chiedono se non ritenga opportuno, per un principio di equità e di giustizia, trasformare il lodo in decreto-legge, per dare soluzione ad un conflitto che si trascina nel tempo e che minaccia l’economia nazionale e l’ordine pubblico.
«Di Vittorio, Farini, Fedeli Armando, Dozza, Bardini, Barontini».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede risposta scritta.
Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 20.45.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 16:
- – Proposta di aggiunta al regolamento. (Doc. II, n. 3).
- – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.