Come nasce la Costituzione

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SABATO 20 LUGLIO 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

IX.

SEDUTA DI SABATO 20 LUGLIO 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

indi

DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Aldisio, Ministro della marina mercantile                                                           

Finocchiaro Aprile                                                                                         

Presidente                                                                                                        

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                          

Corsi, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                        

Miccolis                                                                                                           

Recca                                                                                                                

Restagno, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici                                      

Preziosi                                                                                                            

Gonella, Ministro della pubblica istruzione                                                          

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Preziosi                                                                                                            

Alberganti                                                                                                      

Valiani                                                                                                             

Condorelli                                                                                                      

Coppa                                                                                                                

Bruni                                                                                                                  

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Schiratti, Segretario                                                                                         

La seduta comincia alle 16.30.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

Sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Aldisio. Ne ha facoltà.

ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Onorevoli Colleghi, durante la seduta di ieri l’onorevole Finocchiaro Aprile ha fatto esplicito accenno ad una sua dichiarazione pubblicata su due giornali romani, e contenente affermazioni di carattere calunnioso nei miei riguardi. A suo tempo, sporsi querela con ampia facoltà di prova contro lo onorevole Finocchiaro e contro i giornali che avevano ospitato la sua prosa. Lo invito formalmente ad usare della facoltà stabilita nel decreto all’articolo 5, di rinunziare alla amnistia in modo che il procedimento possa avere regolare svolgimento.

Per quanto riguarda le affermazioni di natura politica, sono certo che al momento opportuno gli sarà data la dovuta risposta. Desidero solo rilevare che l’ingiuria rivoltami con la frase «traditore della Sicilia» non mi tocca e non mi turba. Essa riecheggia l’altra fatta scrivere sui muri della città di Palermo: «Morte ad Aldisio, venduto all’Italia!».

Orar per chi non lo sapesse, io devo fieramente affermare qui che, durante i diciotto mesi di Alto Commissariato, vissuti in un ambiente reso estremamente difficile dalla azione criminosamente sobillatrice dei dirigenti del movimento separatista, io tenni a garantire costantemente e gelosamente gli interessi dell’Isola, ma tenni a difendere al tempo stesso l’italianità della Sicilia (Applausi al centro) e l’unità della Patria, alla quale i siciliani, nella loro totalità, si sentono indissolubilmente legati. (Vivissimi applausi al centro).

Essi sono estranei al famigerato ordine del giorno che, primo firmatario Finocchiaro Aprile, fu presentato al Colonnello Carlo Poletti per intimargli, sotto minaccia di gravi rivolte, di non consegnare, nel febbraio del 1944, l’amministrazione civile dell’isola al Governo italiano.

E sono estranei ai cosiddetti memoriali che Finocchiaro Aprile si vantò di aver fatto pervenire a San Francisco ed a Londra ai rappresentanti delle Nazioni Unite, memoriali coi quali si chiedeva l’intervento delle nazioni straniere, Jugoslavia compresa, per la elevazione a Stato sovrano indipendente della Sicilia.

In questa ed in altre numerose circostanze, io mi sono comportato – e lo hanno riconosciuto tutti i governi, da Bonomi a De Gasperi – come doveva comportarsi un italiano degno di questo nome. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Finocchiaro Aprile. Ne ha facoltà.

FINOCCHIARO APRILE. Signori Deputati, io confermo in pieno tutte le accuse cui si è riferito testé l’onorevole Aldisio, e da me mossegli durante il mio internamento a Ponza e prima; accuse contenute nel giornale Il Risveglio e, se non erro, anche nella Voce Repubblicana, giornali entrambi pubblicati a Roma.

Non è mistero per alcuno. Basta camminare per le strade di Palermo per sapere che cosa fu l’Alto Commissariato Aldisio. Una inchiesta s’impone.

Egli mi invita oggi a dichiarare, a norma di legge, di rinunziare all’amnistia. Ma c’è dubbio in proposito? Però, dobbiamo ristabilire l’uguaglianza fra di noi di fronte al magistrato, come dichiarai al giudice istruttore. Quando Giovanni Bettolo, Ministro della marina, querelò l’onorevole Enrico Ferri, il primo dovere che intese fu quello di rassegnare le sue dimissioni da ministro. Senta questo dovere l’onorevole Aldisio. Quando egli lo avrà adempiuto, io farò il mio. Prima no. (Commenti).

Una voce. Molto comodo!

FINOCCHIARO APRILE. Per quanto riguarda la comunicazione fatta da noi indipendentisti al Colonnello Poletti, si tratta di dichiarazioni che oggi io ripeterei. Io protestai con gli alleati, e particolarmente col Colonnello Poletti, perché non volevamo che la Sicilia fosse riconsegnata alla traditrice monarchia sabauda. (Interruzioni – Rumori).

Per quel che si riferisce ai memoriali alla Conferenza di San Francisco ed alla Conferenza di Londra, questi memoriali furono approvati dal Comitato nazionale del Movimento per l’indipendenza della Sicilia.

Perché questi appelli furono inviati? Lo dissi già molte volte e lo ripetei ieri: non già per chiedere aiuto agli alleati. Noi dichiarammo sempre che l’indipendenza il popolo siciliano dovrà sapersela conquistare da sé e la conquisterà.

Noi ci rivolgemmo agli alleati nel momento in cui il Governo chiedeva che la cobelligeranza fosse trasformata in alleanza. Ci rivolgemmo non a nemici, ma ad amici, a coloro che avevano l’effettiva sovranità in Italia, per denunziare il Governo italiano, emanazione del Comitato di liberazione, una delle cose più ignobili che… (Interruzioni – Rumori vivissimi).

PRESIDENTE. La richiamo all’ordine!

FINOCCHIARO APRILE. Sta bene. Ci rivolgemmo agli alleati, dopo avere inutilmente fatto appello al Governo italiano, per denunziare – dicevo – che vi erano cittadini in Italia ai quali era negata ogni più elementare libertà, che non avevano né libertà di stampa, né di parola, né di riunione; e l’onorevole Aldisio sa bene ciò, perché fu precisamente lui a non volere che queste libertà fossero concesse a noi suoi conterranei e suoi perseguitati. Non mi occupo degli altri rilievi dell’onorevole Aldisio che non mi riguardano.

GRONCHI. Perché non si è svegliato indipendentista sotto Mussolini?

FINOCCHIARO APRILE. Prima di tutto, quando ci rivolgemmo la prima volta agli alleati, si era appunto sotto il regime fascista ed in piena guerra guerreggiata; e noi sapevamo che fare gli indipendentisti sotto Mussolini era correre serio pericolo, pericolo che voi non correste affatto quando c’era Mussolini al potere. (Rumori – Interruzioni – Commenti animati).

PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i Deputati Angelini, Martinelli, Sforza.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che stamane si è riunita la Commissione per la Costituzione, la quale ha proceduto alla nomina del Presidente, di tre Vicepresidenti e di tre Segretari. Ecco il risultato delle votazioni:

Per la nomina del Presidente: votanti 61. Hanno ottenuto voti i Deputati: Ruini 47, Mastrojanni 7, Tupini 1, Calamandrei 1, Zuccarini 1. Schede bianche 4.

Risulta eletto il Deputato Ruini.

Per la nomina di tre Vicepresidenti: votanti 61. Hanno ottenuto voti i Deputati: Tupini 27, Ghidini 21, Terracini 18, Lucifero 7, Calamandrei 6, Penna Ottavia 6, Einaudi 3, Zuccarini 2, Ambrosini 1, Bocconi 1, Lussu 1, Perassi 1.

Risultano eletti i Deputati: Tupini, Ghidini, Terracini.

Per la nomina di tre Segretari: votanti 60. Hanno ottenuto voti i Deputati: Perassi 50, Molè 12, Marinaro 10, La Rocca 9, Colitto 7, Pertini 2, Bozzi 1, La Pira 1, Ambrosini 1, Zuccarini 1, Pesenti 1.

Risultano eletti i Deputati: Perassi, Molè e Marinaro.

Avendo l’onorevole Molè rinunziato, si è proceduto ad una seconda votazione, col seguente risultato: votanti 53. Hanno ottenuto voti i Deputati: Grassi 31, La Rocca 9, Colitto 6, Ambrosini 1, Bozzi 1. Schede bianche 5.

Risulta eletto il Deputato Grassi.

Anche la Commissione per i Trattati internazionali ha proceduto alla nomina del Presidente, di due Vicepresidenti e di due Segretari. Ecco il risultato delle votazioni:

Per la nomina del Presidente: votanti 27. Hanno ottenuto voti i Deputati: Bonomi Ivanoe 18, Sforza 6, Orlando 2. Schede bianche 1. .

Risulta eletto il Deputato Bonomi Ivanoe.

Per la nomina di due Vicepresidenti: votanti 27. Hanno ottenuto voti i Deputati: Togliatti 13, Gronchi 13, Cianca 1.

Risultano eletti i Deputati Togliatti e Gronchi.

Per la nomina di due Segretari: votanti 27. Hanno ottenuto voti i Deputati: Treves 21, Persico 5, Matteotti Matteo 1.

Risultano eletti i Deputati: Treves e Persico.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni.

Poiché è assente l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’agricoltura, lo svolgimento dell’interrogazione dell’onorevole Preziosi al Ministro dell’agricoltura è rinviato ad altra seduta.

La prima interrogazione è quella degli onorevoli Miccolis, Trulli, Rodi, Patrissi, Ayroldi, Lagravinese Pasquale, al Ministro dell’interno, «per conoscere se e quali provvedimenti intenda prendere in seguito al ripetersi dei tumulti provocati in San Severo (Foggia) da elementi armati, dopo esplicita minaccia dei dirigenti della locale Camera del Lavoro rivolta all’indirizzo dei rappresentanti del Fronte dell’Uomo Qualunque, nella mattinata di lunedì 15 luglio nell’Ufficio comunale del lavoro. Siffatti episodi di cruenta sopraffazione civile – divenuti frequenti e che sembra rispondano ad un piano preordinato – contrastano in modo patente con i propositi platonicamente espressi dal Governo e sottolineano lo stato di voluta impotenza nel quale versano gli organi costituiti a presidio delle pubbliche libertà. Gli interroganti chiedono che provvedimenti della maggiore severità siano presi tempestivamente contro i responsabili, non tanto a difesa dei cittadini quanto a salvaguardia dell’autorità dello Stato, che da questi fatti si appalesa sminuita, se non addirittura annientata».

Sullo stesso argomento è stata presentata l’interrogazione dell’onorevole Recca, al Ministro dell’interno, «sulle misure che intende adottare perché non si ripetano in San Severo (Foggia) incidenti simili a quelli che il 16 luglio hanno portato il lutto in tante famiglie di quell’importante centro agricolo».

Le due interrogazioni vengono abbinate nello svolgimento per identità di materia.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CORSI. Sottosegretario di Stato per l’interno. I fatti ai quali si riferiscono le due interrogazioni dei nostri onorevoli colleghi si sono svolti la sera del 15 luglio in San Severo.

Il 15 luglio, in seguito alla costituzione in San Severo di Foggia di un libero sindacato dell’Uomo Qualunque, le organizzazioni preesistenti, a mezzo di manifestini, riunivano la popolazione operaia e artigiana del luogo per proclamare lo sciopero generale in segno di protesta. Lo sciopero generale doveva esser messo in esecuzione il giorno successivo 16, ma la sera, alle ore 21, un forte gruppo di persone proveniente da varie direzioni, si concentrava davanti alla sezione dell’Uomo Qualunque, nella piazza del Municipio, inscenando una manifestazione durante la quale purtroppo restarono ferite 5 persone, delle quali una gravemente.

La forza pubblica, intervenuta prontamente, impediva l’invasione dei locali dell’Uomo Qualunque, faceva sgombrare la piazza ed effettuava anche delle scariche in aria di mitra a scopo di intimidazione. Successivamente, il comitato ordinatore dello sciopero interveniva perché fossero assicurati nel paese alcuni servizi essenziali; e la forza pubblica, a sua volta, immediatamente rinforzata, impediva altri tentativi di aggressioni isolate e di invasione di edifici pubblici e privati.

Questi sono i fatti obiettivamente esposti. Ora gli onorevoli interroganti domandano al Governo quali provvedimenti immediati ed efficaci si intendono adottare perché i fatti così deplorati non abbiano a ripetersi. Il Governo deve dichiarare che, dopo i provvedimenti già adottati, perché i presidii della forza pubblica del paese siano in grado di reprimere ogni ulteriore e deplorevole agitazione di questo genere, provvederà a far denunciare all’autorità giudiziaria competente gli autori dei fatti e manterrà la forza pubblica necessaria perché gli incidenti incresciosi non abbiano a ripetersi. Questi sono i propositi e i provvedimenti del Governo.

La libertà sindacale – pensa il Governo – deve esser ad ogni costo garantita. Una libera e seria democrazia è fondata precisamente su questa possibilità: sulla libertà di organizzazione, poiché l’unità sindacale, che risponde alle esigenze e al desiderio della totalità della classe lavoratrice italiana, trova come suo essenziale presupposto e come legittimazione morale e giuridica soltanto la libertà di tutti i cittadini di costituire, ove lo credano, libere organizzazioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Miccolis ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

MICCOLIS. A nome dei firmatari dell’interrogazione, mi dichiaro soddisfatto nella speranza che effettivamente si possa ristabilire l’ordine, in quanto che l’incidente di cui nell’interrogazione è uno dei tanti episodi che si stanno verificando in provincia di Foggia.

PRESIDENTE. L’onorevole Recca ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

RECCA. Non solo sono stati minacciati e feriti alcuni qualunquisti, ma si trovano anche all’ospedale, come mi risulta da certa relazione che ho in tasca, dei democristiani, contusi e feriti.

La forza pubblica dovrebbe avere in San Severo funzioni preventive e non repressive. L’intervento della forza pubblica esistente si impone; ed è necessario che il numero degli agenti cosi incrementato resti sul posto. Intanto, da che cosa è stato provocato lo sciopero? Esso è stato provocato non da richieste di aumenti di salari, ma dalla disoccupazione più nera che noi abbiamo in quel di San Severo. A San Severo vi sono 45 mila abitanti per la maggior parte braccianti. Ora, è la disoccupazione che è più sentita, specialmente nei mesi di luglio e agosto, ossia subito dopo i lavori di trebbiatura, e specialmente nei mesi di gennaio e di febbraio, subito dopo la raccolta delle olive, è proprio questa disoccupazione che genera uno stato d’animo veramente tempestoso.

Per ovviare a questa disoccupazione, tenendo presente quel grave problema del Mezzogiorno, che tanto noi desideriamo venga risoluto, vedendo in quel di San Severo certi tuguri abitati da famiglie numerose, e anzi da più famiglie, si dovrebbe provvedere una volta per sempre alla costruzione delle case popolari. Noi assistiamo poi in San Severo ad una minaccia che impressiona da parecchio tempo: alla minaccia della falda freatica. Noi possiamo da un momento all’altro, così come poteva avvenire pochi anni fa in quel di Corato, avere il crollo di tutte le case di San Severo. Esiste un progetto per evitare il pericolo; perché questo progetto non viene analizzato, studiato e messo in esecuzione? Ecco le opere pubbliche che si chiedono, atte anche ad eliminare questa disoccupazione. Cosi operando, indubbiamente nella mia pacifica San Severo si eviteranno altri incidenti simili a quelli avvenuti e che minacciano sempre di verificarsi in eternità. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Valiani, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «sulla situazione a Trieste».

L’onorevole Presidente del Consiglio ha chiesto di poter rispondere lunedì. Lo svolgimento dell’interrogazione è quindi rinviato alla seduta di lunedì.

VALIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VALIANI. Ho chiesto la parola, onorevole Presidente, per motivare la mia interrogazione. Non l’ho motivata, perché quando l’ho presentata, la situazione a Trieste era più grave.

PRESIDENTE. Presenti la motivazione questa sera. Il Presidente del Consiglio le risponderà lunedì.

Segue un’interrogazione dell’onorevole Preziosi, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere come e quando intendano portare su un piano iniziale di soluzione l’assillante problema del Mezzogiorno, che è sul momento un problema di lavori pubblici e quindi anche di ricostruzione delle industrie, andate in gran parte perdute a causa degli eventi bellici, e se non credano indispensabile di far deliberare dal Consiglio dei Ministri, in una delle sue prime riunioni, lo stanziamento straordinario di somme tali da permettere la risoluzione concreta, almeno in parte, dello stato di enorme miseria in cui si trovano le popolazioni meridionali, che, avendo subito le maggiori distruzioni della guerra, reclamano effettiva assistenza da parte dello Stato».

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Il problema del Mezzogiorno che, come è noto, attende la sua soluzione dall’epoca della costituzione dell’unità italiana, è indubbiamente uno dei più gravosi fardelli assunti in eredità dalla nascente Repubblica Italiana. Ma è indubbiamente un problema che non può essere affrontato in sede di interrogazione.

È ovvio che il problema stesso, i cui termini furono abbondantemente sfruttati durante la recente campagna elettorale, dovrà formare oggetto di attento studio e di radicali quanto sollecite decisioni da parte del Governo e della Costituente. D’altro canto, l’onorevole interrogante vorrà considerare che il nuovo Governo si è insediato da appena qualche giorno, e che la vastità e la complessività dei problemi connessi con la questione del Mezzogiorno richiedono un piano organico di provvedimenti adeguati alle particolari esigenze e caratteristiche delle singole regioni, e non tutti rientrano nella specifica competenza del Ministero dei lavori pubblici; il cui studio, già iniziato, non potrà necessariamente esaurirsi in un breve ciclo di tempo, considerato anche che dovranno essere stabilite opportune intese con tutte le Amministrazioni interessate.

Posso comunque assicurare l’onorevole interrogante che la risoluzione del problema della rinascita e della valorizzazione dell’Italia meridionale costituisce e costituirà una delle principali cure del Governo, anche per gli evidenti riflessi di ordine morale, materiale e psicologico che la risoluzione stessa è destinata ad avere sull’unità e sul progresso del Paese.

PRESIDENTE. L’onorevole Preziosi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

PREZIOSI. Non sono del tutto soddisfatto delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario di Stato ai lavori pubblici, e mi riservo di spiegarne le ragioni in sede di risposta alle dichiarazioni del Capo del Governo.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione del l’onorevole Pertini al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri di grazia e giustizia e dell’interno «per sapere se s’intende: 1°) prendere urgenti provvedimenti, onde impedire che il recente decreto di amnistia emanato il 22 giugno 1946, il quale per la sua assurda larghezza non ha precedenti nella storia né del nostro, né degli altri Paesi, sia dai competenti organi della Magistratura interpretato in modo così lato da rimettere in libertà e da reintegrare nei beni già confiscati anche i veri responsabili della presente tragica situazione in cui versa il nostro Paese, offendendo in tal modo la sensibilità di quanti per la guerra e per il fascismo hanno tanto sofferto e suscitando, quindi, sdegni e risentimenti che non varranno a portare nel nostro popolo quella pacificazione, che dovrebbe essere lo scopo primo dell’amnistia in parola; 2°) provvedere perché venga veramente applicato il decreto 6 gennaio 1944, n. 9, affinché siano riassunti senza ritardo in servizio e reintegrati in tutti i loro diritti di carriera gli antifascisti che sotto il fascismo e per motivi politici furono dispensati o licenziati dal servizio e che ancora oggi si trovano disoccupati, mentre si vedono fascisti resisi a suo tempo colpevoli di gravi infrazioni in danno della Nazione rioccupare i loro posti e riscuotere non solo gli arretrati per il servizio non prestato ma, cosa più assurda, anche il premio di liberazione; 3°) emanare provvedimenti legislativi atti a seriamente difendere la Repubblica contro tutti i suoi nemici».

Lo svolgimento dell’interrogazione è rinviato alla seduta di lunedì.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Pellizzari al Ministro della pubblica istruzione «se non ritenga opportuno indire al più presto una sessione di esami speciale per l’abilitazione alla libera docenza di coloro i quali, essendo stati già dichiarati idonei alla prova orale dalle rispettive Commissioni, furono poi, per vicende belliche, impediti dal sostenerla. Si tratta, per alcuni, di vicende che risalgono agli anni dal 1941 al 1943, e sembra giusto che non si aggravino con ulteriori ritardi i gravi danni che essi hanno già subiti per avere onoratamente servito il loro Paese».      

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. È allo studio un provvedimento che verrà incontro al desiderio espresso dall’onorevole Pellizzari.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri. È iscritto a parlare l’onorevole Preziosi. Ne ha facoltà.

PREZIOSI. Onorevoli colleghi, non è senza ragione che molti di noi si sono iscritti a parlare sulle dichiarazioni del Capo del Governo. Non certo per fare della vana accademia, ma perché si sente il dovere di farsi portavoce di tutti coloro dei quali si è rappresentanti in seno all’Assemblea Costituente, in un momento così duro per la storia della Patria. Il Paese ha necessità di sentire come si discutono e si dibattono i problemi della sua esistenza e vuole soprattutto sapere la verità, e non intende in alcun modo che la libera Assemblea dei suoi rappresentanti, dei suoi eletti, si trasformi in un qualunque codicillo delle direzioni dei vari partiti.

Il Capo del Governo, nelle sue dichiarazioni, ha dato il primo posto, come era giusto, alla politica estera. In sostanza egli ci ha ripetuto, con altra forma, quello che aveva già detto nelle sue dichiarazioni alla Consulta: «Non ho, o non abbiamo, nessuna carta nelle mani da portare sul tappeto internazionale». Invero, nessuno di noi si era più illuso. In questi ultimi tempi l’Italia è una povera merce di scambio, una pedina nel giuoco degli interessi internazionali. Siamo stati ingannati: ecco quello che duramente bisogna riconoscere, e una nuova, più crudele Versaglia risorge, e premesse per un’altra, più terribile guerra si vanno formando.

Giustizia, libertà e fratellanza dei popoli sono parole ormai cancellate dal vocabolario internazionale, perché gli egoismi nazionalistici sorgono più prepotenti a danno dei popoli inermi, soprattutto del nostro eroico e sfortunato Paese, dannato alla miseria per decenni, mentre le sue popolazioni fuggono dinanzi al terrore slavo, avendo esse perduto tutto, tranne l’amore smisurato ed inestinguibile verso la madre Patria.

Dinanzi a tanto scempio non ci rimane che essere dignitosi e fieri nel nostro dolore, affermare tenacemente, anche se non vi è una speranza di comprensione, il nostro buon diritto: poiché una Italia compatta etnicamente, nella sua massa di 45 milioni di abitanti, non può essere cancellata dalla carta geografica, né può essere distrutta, col suo enorme molo proteso nel mare.

Fanno sorridere amaramente il popolo italiano, dopo tanto scempio, le richieste di riparazioni; come se non contassero la perdita di Briga e di Tenda e dell’Istria, con la sistemazione del così detto «stato libero» di Trieste.

Tutti sappiamo, per esempio, che la perdita di Trieste e di Pola, con i loro cantieri navali che producono rispettivamente 14 ed 8 motonavi l’anno, significa per noi una perdita del 50 per cento del fabbisogno italiano di tonnellaggio. Tutti sappiamo. – ed è riportato anche da alcuni nostri giornali – che l’Italia perderebbe 150 mila tonnellate di ghisa l’anno, 60 mila tonnellate di acciaio, 620 mila tonnellate di olii minerali, cioè l’intera produzione delle raffinerie di Trieste e di Pola, pari al 30 per cento dell’intera produzione nazionale; 118 mila tonnellate di olii vegetali; 1 milione e 600 mila tonnellate di carbone, cioè il 30 per cento del nostro fabbisogno nazionale. Insomma, enormi perdite, ed è inutile dire quello che perdiamo con la consegna di Briga e di Tenda alla Francia: basta pensare che l’energia elettrica prodotta in quella zona rappresenta il 30 per cento del fabbisogno di tutta la zona piemontese è ligure.

Ma lasciamo andare per un momento tutte le umiliazioni che stiamo sopportando, non ultima quella di concedere un termine perentorio ai nostri esperti per presentarsi dinanzi alla Commissione nominata dai quattro grandi, senza quasi la possibilità di difendersi, lasciamo andare questo e diciamo una dura verità per la nostra politica estera: sin dagli inizi, sin dal giorno in cui gli alleati hanno dato all’Italia una parvenza di personalità internazionale sì da farle credere, quasi, che avrebbe potuto affermare e sostenere le proprie ragioni, vi è stato un difetto di origine nella nostra politica estera. Vi è stato cioè uno stato d’animo ed un atteggiamento psicologico assai strani, che un acuto scrittore di politica estera ha definito «volontaria offerta di espiazione», un desiderio vivo di svolgere una politica di riparazioni ultra petita verso le nazioni alle quali il fascismo aveva fatto dei torti.

Credete voi, onorevoli colleghi, che ci abbia forse giovato questo offrire riparazioni e rinuncie, questo continuo umiliarci e presentarci sotto veste di accusati pronti a pagare qualunque debito pur di riscattare l’onta del passato?

La verità, è che nello stesso momento in cui si recitava un esagerato mea culpa, che non spetta al popolo italiano o che gli spetta in minima parte, si dimenticavano tutti i sacrifici sofferti, dopo avere ingenuamente creduto alla propaganda radiofonica degli alleati e ai cosiddetti sacri principî della Carta atlantica; si dimenticavano le nostre distruzioni, i nostri morti gloriosi, i quali si erano sacrificati per la nuova Italia democratica e per la libertà del mondo da ogni ignominia e dittatura, i nostri morti che più tardi dovevano essere traditi in un salone del Lussemburgo.

Firmare una pace la quale ci possa gravemente mutilare? Che ci ponga al rango di colonia? Ecco l’interrogativo. Volontariamente, non dovremmo firmare, perché si tradirebbe il proprio paese. Obbligati con la forza, forse sì, poiché nessun viandante fermato da rapinatori lungo la strada, inerme, al grido di «o la borsa o la vita», può rifiutare di consegnare il suo portafoglio.

Ci sono state però anche voci amiche. Peccato però che esse siano sterili presso i quattro grandi.

Noi sentiamo il dovere di rivolgere il nostro pensiero ai popoli dell’America latina, figlia meravigliosa della nostra civiltà, a coloro che ci difendono, a Léon Blum, che ha avuto il coraggio di affermare che Briga e Tenda sono italiane, agli amici americani come Poletti, come Antonini, come La Guardia, i quali difendono ancora tenacemente e coraggiosamente gli interessi italiani.

Strana ironia della sorte! Credevamo, e lo credeva sovrattutto l’onorevole De Gasperi, che lo ha ripetuto ancora una volta nel suo discorso, che non facendo parte di blocchi, dando una leale, aperta, sincera collaborazione nel campo internazionale, ci avrebbe ciò aiutato presso i quattro grandi. Ed invece, mentre noi dichiaravamo di essere contro la politica di blocchi, gli altri si sono messi d’accordo a nostre spese.

Cavour visse momenti assai duri: si trovò dinanzi all’alternativa del blocco austriaco o del blocco francese. Seppe scegliere in tempo e fu così che si iniziò, sia pure faticosamente, l’unità d’Italia.

Dichiarazioni di politica interna: in queste sue dichiarazioni l’onorevole De Gasperi ci ha detto, per sommi capi, quale è il programma del Governo. Forse è stato troppo generico nei principî esposti. Siamo sicuri però che quando si tratterà di passare alla realizzazione dei principî stessi, la nostra Assemblea non rimarrà estranea, poiché è suo diritto intervenire nella discussione per approvare o meno certe leggi che potrebbero trasformare da cima a fondo la nostra economia.

Riforma industriale, riforma agraria: note dolenti nella vita del nostro Paese. Problemi che investono il nostro avvenire, nella cui risoluzione bisogna andare assai cauti, senza improntitudine soprattutto, poiché una volta decise ed iniziate le relative soluzioni, difficilmente si torna indietro.

Le avventure, a qualunque campo appartengono, possono ritardare il processo di normalizzazione tanto necessario al nostra Paese

Oggi, nello stato di disastro in cui siamo, bisogna per primi affrontare un problema, il più concreto ed il più difficile: quello del nostro vivere quotidiano, nel quale sono coinvolte tutte le classi lavoratrici del nostro Paese, dal professionista all’operaio; ed è questo un problema che si può suddividere e trattare in quattro punti: far vivere meglio i lavoratori di tutte le classi, specialmente quelli a reddito fisso; non rovinare la lira con nuove svalutazioni; dare lavoro ai disoccupati; colmare il disavanzo del bilancio dello Stato.

Queste quattro cose vanno di pari passo. Tutto quello che oggi si guadagna viene speso in derrate alimentari, che quasi sempre non bastano, mentre si rimandano le altre compere, anch’esse necessarie, ad epoca migliore. Ed è ciò che fa aumentare la disoccupazione; poiché, se non si consuma, non si produce, non si pagano le imposte e il bilancio dello Stato va a rotoli. Nessuno può dubitare della giustezza di certe richieste di aumento di salario e di stipendio, poiché, mentre colui che guadagna due o tre mila lire il giorno può fare altri acquisti oltre quelli alimentari, colui che ne guadagna 300 o 400 non riesce a campare. Ma, d’altro canto, se tutti guadagnassero 3.000 lire il giorno, in un attimo le aumentate paghe si rivelerebbero inconsistenti per l’aumentato prezzo dei generi. Ed è a questo punto che il Governo deve intervenire nella maniera più energica. Il problema assillante, che investe soprattutto le classi umili a reddito fisso, si risolve solo col fare una politica alimentare e di generi di abbigliamento di prima necessità. Se si potesse arrivare a dare una parte del salario e dello stipendio sotto forma di generi in natura a prezzi normali, una iniziale tranquillità sorgerebbe nelle famiglie dei lavoratori.

È di questi giorni la notizia che in alcune grandi o piccole città del Mezzogiorno l’aumento della razione del pane, per quanto modesto, ha fatto diminuire il costo del pane in borsa nera da lire 140 a 90 lire il chilogrammo.

Dare lavoro ai disoccupati e ai reduci: ecco la nota più sentita della nostra situazione odierna. Tutto ha contribuito a rendere più grave questo problema. Non si produce oggi in Italia per la mancanza di materie prime e le nostre industrie, salvatesi dalle distruzioni della guerra, in gran parte sono inattive. Ma non basta preparare un vasto e concreto programma di lavori pubblici, perché purtroppo lo Stato, nonostante ogni sua buona volontà, non può stanziare somme oltre una certa cifra del suo bilancio. D’altro canto tutti sappiamo che il più povero degli imprenditori è oggi lo Stato. Al contrario ci sono enormi capitali nascosti, che, se venissero alla luce, risolverebbero molti dei nostri bisogni. Piuttosto che pagare allo Stato 10 si preferisce – è doloroso il dirlo – pagare 100 sotto forma di imposta straordinaria alle migliaia di speculatori esistenti, acquistando valuta estera a prezzi iperbolici, che poi va a finire in vari nascondigli. Diecine di migliaia di detentori di capitale hanno paura che lo Stato li colpisca e diventano evasori del fisco con grave danno dell’economia nazionale, ed i loro capitali rimangono improduttivi. Bisogna far di tutto perché questo folle timore per lo Stato venga meno.

Soltanto così l’iniziativa privata in Italia risorgerà ed i molti che sono più ricchi dello Stato potranno contribuire alla rinascita del Paese. Bisogna dare ad essi fiducia. È necessario far loro comprendere che le varie iniziative saranno appoggiate dallo Stato con facilitazioni varie, che le case nuove che saranno costruite non saranno in alcun modo soggette a requisizione. Insomma, bisogna dire a questi possessori di ricchezze nascoste che è nell’interesse reciproco uscire dall’ombra e contribuire alle necessità comuni e che anch’essi, se saranno tutelati nell’esercizio dei loro diritti e nelle loro varie iniziative, non possono negare allo Stato un onesto gettito di imposta che è la controprestazione di quanto ad essi viene dato dallo Stato stesso.

Soltanto così gli ignorati detentori di capitale si persuaderanno, una buona volta per sempre, a rendere produttivi i loro beni.

  1. Governo non dimentichi poi che non va trascurato il problema turistico, del quale non si parla in alcun modo, dimenticando che per il passato una delle maggiori risorse nazionali era l’affluenza degli stranieri in Italia.

L’industria turistica, oggi quasi completamente abbandonata a se stessa, va incoraggiata in tutte le forme e con tutti i mezzi.

E passiamo a discutere brevemente il problema del Mezzogiorno. Ne hanno un po’ discusso tutti gli oratori e la risposta data dall’onorevole Sottosegretario di Stato ai lavori pubblici alla mia interrogazione mi dimostra che il problema è sempre più vivo sul tappeto e che il Governo non fa che ripetere le promesse di ieri, le promesse di sempre. Ed il Mezzogiorno dovrebbe nutrire fiducia soltanto in queste promesse! Badate che il Mezzogiorno è la terra più legata alla Patria, è la terra che, nonostante tutti i sacrifici sopportati, nonostante insomma tutti i dinieghi avuti, è legata indissolubilmente alla Patria. Il Mezzogiorno non è una Vandea; lo diventerebbe se si vedesse trascurato e ciò sarebbe solo per colpa del Governo, se il Governo non provvedesse alle sue necessità. Perché, intendiamoci, del problema del Mezzogiorno si discute tanto da Giustino Fortunato a tutti gli studiosi, a tutti i meridionalisti; ma se ne discute soltanto. Il problema del Mezzogiorno è problema di civiltà nel senso che non solo è problema di lavori pubblici, ma è anche problema elementare di igiene. La nostra terra non è conosciuta da molti degli onorevoli componenti del Governo e dallo stesso onorevole De Gasperi, che pure, diceva l’onorevole Persico, si dovrebbe sentire come un rappresentante del popolo meridionale, se è vero, come è vero, che ne ha avuto il maggior numero di preferenze nella sua lista democristiana. L’onorevole Presidente del Consiglio, dunque, dovrebbe sentire il dovere di conoscere meglio il Mezzogiorno, soprattutto perché esso lo ha nominato suo rappresentante. Conoscere meglio i problemi del Mezzogiorno significa apprenderne tutte le necessità, le quali sono le più elementari che si possano immaginare; ma sono necessità di cui non si può in alcun modo fare a meno. Pensate, ad esempio che, ci sono centinaia e centinaia di paesi che non soltanto non hanno acquedotti, non soltanto non hanno acqua, ma dove in molte famiglie si usa quello che voi, amici della sinistra e voi amici del centro e della destra, avete conosciuto nella dura sofferenza subita nel più infame carcere dell’Italia e del mondo, Regina Coeli, col nome di bugliolo. Basterebbe questa parola per bollare d’infamia un Governo che non si interessasse a risolvere sul serio i problemi del Mezzogiorno.

Ora, perché bisogna abbandonare questa nostra terra, quando io potrei dare esempi, che scottano a noi, ma anche a voi, che siete uomini, i quali hanno sofferto per la civiltà e per la libertà d’Italia?

Una volta ebbi la macabra possibilità di assistere al trasporto di un povero morto portato a spalla da un piccolo paese, Valle Seccarda, al suo cimitero; ebbene, per il seppellimento della salma dovevano essere percorsi molti chilometri a piedi, quanti ne occorrono, per arrivare all’altitudine di 1.100 metri, poiché in quel paese non esisteva cimitero. A questo punto molti di voi potrebbero domandarmi: ma è possibile che nella nostra nazione esistano paesi senza cimitero? Purtroppo è vero!

E che direte se vi affermo che vi sono province d’Italia, che mancano d’acqua e qualche volta di luce elettrica, come la mia, l’Irpinia, la quale è assetata? Ebbene, questa mia provincia, ove si trovano le sorgenti del Sele e quelle del Serino, che danno acqua a tutta la Puglia e a tutta Napoli, non ha acquedotti; vi sono 60 paesi, a poche centinaia di metri o a pochi chilometri dalle sorgenti meravigliose, le cui popolazioni vedono zampillare l’acqua dalle loro montagne e provano la triste ironia e l’amarezza di sapere che quelle acque sono convogliate per dissetare altri paesi lontani e non per dissetare le proprie famiglie e i propri cittadini.

E cosa direste ancora, se vi dicessi che mi è arrivato in questi giorni un giornaletto locale, contenente una corrispondenza, la quale dimostra ancora di più come il Mezzogiorno sia stato una terra abbandonata, e come tuttavia esso sia rimasto eroicamente legato alla Patria, nonostante tale abbandono? Se leggessi questo brano di giornale, rimarreste tutti fortemente impressionati per le sofferenze delle nostre popolazioni: poiché vi si parla di un piccolo paese della zona di Montoro, ove la popolazione, costretta a prendere l’acqua da un pozzo non spurgato, ha visto i suoi figli colpiti da un morbo provocato dall’acqua sporca. E la gente va in cerca dell’acqua disperatamente, come se fosse in un deserto.

Se ci sono zone senza acquedotti, paesi senza cimiteri e senza farmacie, il problema del Mezzogiorno è un problema che s’impone all’attenzione del Governo. Non provvedendo alla soluzione di questo problema, si commetterebbe un grave atto di inciviltà e ci si macchierebbe sempre più di onta incancellabile.

Io sono sicuro che tutti siete compresi di questa situazione, anche voi, uomini del settentrione, ai quali noi ci siamo sentiti uniti ieri nella lotta contro la tirannia, poi nella lotta clandestina, oggi in questa lotta per l’unità, che deve essere salda, invincibile, infrangibile, nell’interesse della nazione e del nostro popolo.

Ed io concludo amici, per dirvi che un grande dovere – è un uomo del Mezzogiorno che ve lo dice – esiste per noi: essere uniti in un blocco di volontà e di cuore, blocco compatto da sinistra a destra.

Si può dissentire quanto si vuole nei programmi, nelle idee; ma non è il momento questo per dividersi, per scavare solchi di odio tra parte e parte del nostro popolo.

È l’ora suprema in cui una sola voce dev’essere da noi ascoltata: quella della Patria, di questa nostra madre sventurata, ma eroica, alla quale ci sentiamo fanaticamente avvinti contro tutte le avversità, per difenderla col nostro inestinguibile amore e perché prima viva e poi risorga dalle sue macerie e dalle sue rovine. (Applausi).

Presidenza del Vicepresidente TERRACINI

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare, l’onorevole Alberganti.

ALBERGANTI. Onorevoli Colleghi, vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea e del Governo su un aspetto fondamentale della vita della nostra Nazione.

Nel suo discorso l’onorevole De Gasperi ha fatto molto bene a mettere in rilievo la questione economica nazionale. Ma questo problema non è stato da lui sottolineato con tutta la forza e l’importanza che merita, sia per il poco posto che ha avuto nell’economia del discorso stesso, sia per il suo contenuto.

Ascoltando questa parte del discorso del Presidente del Consiglio, ho avuto la netta impressione che il Governo non ha una visuale chiara della situazione in cui vivono le masse lavoratrici, e soprattutto non ho rilevato una chiara prospettiva per uscire dalla situazione in cui ci troviamo e per migliorare le condizioni delle masse medesime

Vediamo per esempio il problema della disoccupazione. L’onorevole De Gasperi ne ha parlato; ma così, come se ci trovassimo di fronte ad una disoccupazione, direi, di tipo normale, stagionale, e come se il problema si riducesse solo a quello di occupare un maggior numero di disoccupati.

Io penso che il problema della disoccupazione debba essere affrontato con una visuale più larga, perché tale ne è l’importanza, da potersi affermare che alla sua soluzione è legata quella di alcuni problemi nazionali e fondamentali del nostro Paese.

Ecco perché di fronte ai milioni di disoccupati che non domandano altro che di lavorare, non possiamo preoccuparci solo di dar loro da mangiare, ma anche di vedere come utilizzare (e penso che questo sia il compito dello Stato) queste immense forze del lavoro per poter risolvere in modo decisivo il problema fondamentale del nostro Paese: la Ricostruzione. E ciò richiede un grande sforzo della società nazionale.

Ecco perché il problema di utilizzare questa grande forza del lavoro inoperosa deve essere anche legato al problema della terra, dalla quale, col nostro lavoro, con la nostra tecnica, con la nostra scienza, dovremo ricavare tutto quello che è possibile per garantire al nostro popolo un livello superiore di vita materiale e culturale degno di un popolo veramente civile.

Si pone a noi oggi lo stesso problema, che si è posto in altri momenti della storia del nostro Paese e che si tentò di risolvere utilizzando mezzi e metodi che noi condanniamo e respingiamo con tutte le nostre forze. Vi è un dato di fatto ed è che noi siamo un popolo numeroso e siamo relativamente poveri di terra. Nell’ultimo decennio del secolo scorso le classi reazionarie che dominavano il nostro Paese e dalle quali presero origine il nazionalismo, l’imperialismo e quindi il fascismo, hanno cercato di risolvere questo problema non nell’interesse del popolo, ma nel loro interesse particolare, attraverso una politica di guerra e di conquista di territori altrui e l’oppressione di altri popoli. Questa via ha portato alla catastrofe il nostro Paese; e oggi il popolo, e particolarmente la classe lavoratrice, sentono tutto il peso di questa situazione che incide ferocemente nelle carni vive delle masse lavoratrici. Ecco perché noi respingiamo questa via e dobbiamo trovare in altre la soluzione dei problemi nazionali. Di vie da scegliere effettivamente non ce ne sono molte, anzi ce ne rimane una sola ed è quella di riuscire a condurre una battaglia, oggi più grande e più importante della lotta per la guerra di liberazione, che abbiamo condotta e abbiamo vinta, battaglia civile ed umana, ma dalla vittoria della quale dipendono le sorti dei lavoratori e l’avvenire del nostro popolo.

Vediamo alcuni esempi: cosa abbiamo noi oggi? Avete sentito prima di me un oratore che vi ha descritto le condizioni particolari del Mezzogiorno. Io, come rappresentante dei lavoratori del Nord, prima di tutto penso che il problema del Mezzogiorno deve avere, sotto molti aspetti, la precedenza di fronte a determinati problemi del Nord. (Vivi applausi).

Noi lavoratori del Nord sentiamo una grande simpatia verso i lavoratori e le masse popolari del Mezzogiorno, e la sentiamo soprattutto perché se oggi noi viviamo in una situazione dura, quando facciamo un confronto con certe situazioni che esistono nel Mezzogiorno, ancora peggiori, non possiamo non sentire una solidarietà con quelli che vivono nella miseria e che sono nel Mezzogiorno. (Applausi a sinistra).

Ecco perché agli esempi che sono stati qui citati per il Mezzogiorno, vorrei aggiungerne qualche altro per trarne alcune conclusioni che forse non sono eguali a quelle dell’oratore che mi ha preceduto.

Nel Mezzogiorno vi sono esempi che dimostrano come centinaia e centinaia di ettari di terreno non possono essere sfruttati e lavorati, perché alcuni fiumi durante i periodi piovosi allagano vaste zone dove l’acqua rimane stagnante e apportatrice di malaria per le popolazioni.

In queste condizioni, la terra non si può lavorare; ma facendo dei canali di bonifica ci sarebbe la possibilità di sfruttarla e di rimunerare in breve tempo il capitale investito. Questi canali non vengono fatti perché attorno alle zone allagate cresce dell’erba che serve solo per il pascolo delle mandrie dei grandi proprietari. E per l’interesse di questi pochi, pochissimi, grandi proprietari si impedisce l’attuazione di quei lavori di bonifica così indispensabili per l’economia e la salute del paese.

Ma non occorre andare nel Mezzogiorno per trovare esempi di necessità di bonifiche e di lavori: anche prendendo l’Italia del Nord, e direi le province più sviluppate dal punto di vista agricolo e industriale, noi troviamo tali esempi, come nelle province di Novara e di Pavia. Per esempio, il congiungimento del Ticino col Canale Cavour darebbe la possibilità di rendere vaste zone fertili al punto tale da raddoppiare la produzione del riso. E voi sapete oggi che cosa vuol dire la produzione del riso, per i bisogni che abbiamo dal punto di vista alimentare, e anche, se volete, di esportazione, per importare ciò di cui abbiamo bisogno dagli altri paesi.

Ebbene, questi lavori non si fanno. A Milano da molto tempo si parla di un Canale Milano-Cremona-Po, che dovrebbe legare tutta la parte occidentale della provincia milanese su fino al Lago Maggiore, e in gran parte sviluppare i traffici, essendo utile anche alle industrie che sono nella Valle Olona, ecc. Eppure non si fa. Perché? Noi abbiamo insistito molto perché si iniziassero questi lavori; ma non si è ottenuto, per i particolari interessi di alcuni agrari che non volevano che il Canale passasse sulle loro terre, perché avrebbe diviso i loro poderi. Si sono dovuti cosi mantenere centinaia migliaia di reduci, di partigiani, che avevano già comperato gli attrezzi per assumere in cooperativa piccoli lotti di questi lavori; si sono dovuti condannare alla fame e alla miseria, perché alcuni agrari impedivano che il Canale passasse sulle loro terre.

Sono queste le cose che bisogna vedere, che bisogna avere il coraggio di eliminare, perché si tratta di interessi particolari di gruppi di privilegiati: interessi antinazionali, contrari ai bisogni del popolo e delle masse lavoratrici.

Lavori pubblici, si dice. I lavori pubblici non possono essere fatti così a casaccio, solo per dar da mangiare ai disoccupati. Si sono avuti dei casi anche qui a Roma di determinati lavori pubblici, per cui si prende la terra da un posto e la si porta in un altro; e poi altri la riportano al medesimo posto, e tutto ciò solo per dar da mangiare ai disoccupati. Non sono questi i lavori pubblici che ci vogliono. Ci vuole un piano di ricostruzione edilizia concreto che esamini gli aspetti fondamentali della ricostruzione delle strade, dei ponti, soprattutto dei villaggi, delle case coloniche distrutte dalla guerra; la ricostruzione delle nostre città. Mentre questo piano darebbe pane e lavoro ai disoccupati, offrirebbe anche la possibilità di risolvere un problema di carattere nazionale: per le scuole, per gli ospedali, per le case agl’italiani. È una questione fondamentale, poiché è legata a quella di ridare una vita civile al nostro popolo, di finirla una volta per sempre di abitare in sette od otto persone in un solo vano, e soprattutto per mettere un freno alla tubercolosi e alla mortalità infantile, che dilagano continuamente e spaventosamente.

Perché non si dà inizio e non si sviluppano questi lavori? Perché vi sono alcuni esponenti di coloro che detengono i mezzi per potere iniziare questi lavori, ed hanno delle strane teorie, di questo genere: che oggi i capitali non s’investono, perché non trovano la rimunerazione, perché non è vantaggioso l’investimento.

E noi dovremo aspettare che la situazione maturi e che i capitali abbiano il loro tornaconto e possano essere investiti. Questo è un modo di ragionare col paraocchi: si vedono soltanto cifre, si fanno solo dei calcoli aridi e non si tiene conto delle condizioni in cui vivono milioni di lavoratori che non possono aspettare. Perciò è necessario che si intervenga subito e lo Stato ha il dovere di intervenire stimolando, organizzando, mobilitando l’iniziativa privata. Lo Stato deve trovare i miliardi necessari. A noi occorrono oggi non meno di trecento miliardi per far fronte al piano di ricostruzione e trarre il Paese dalla situazione catastrofica in cui si trova. Dove trovare questi miliardi? Bisogna decidersi ad iniziare veramente una politica fiscale energica. Troppi milionari sfuggono oggi al fisco; solo i lavoratori, gli impiegati e gli operai che vivono nella miseria sono costretti a pagare la ricchezza mobile, la complementare ecc., mentre chi ha i milioni non paga nulla. Il nostro Paese penso che sia il solo dove la speculazione non ha nessun freno, dove non vi è ritegno, e questo è un insulto alla miseria. Noi vediamo nel nostro Paese giornalmente chi, con speculazione od altri mezzi illeciti, fa una vita gaudente, ed altri che debbono stendere la mano per non morire di fame. I denari per la ricostruzione bisogna trovarli presso i responsabili della catastrofe del nostro Paese. Sono essi che hanno i miliardi e debbono contribuire fortemente alla ricostruzione, perché la Nazione possa uscire dalla situazione in cui si trova. Ciò facendo, non faranno altro che dare a Cesare quello che è di Cesare, riparare in parte al mal tolto, aiutando il popolo a migliorare le sue condizioni di vita. Noi vediamo però (e noi lavoratori siamo molto preoccupati di questo) uomini che sono ancora al Governo, come per esempio il Ministro del tesoro Corbino, creatore e sostenitore di un piano che, se fosse stato applicato, avrebbe voluto dire la miseria generale per tutti i lavoratori d’Italia.

Ed io qui, in qualità di membro del Comitato direttivo della Confederazione. Generale del Lavoro, esprimo il voto non solo di preoccupazione, ma anche di ostilità dei lavoratori italiani verso il Ministro del tesoro, perché se quel piano fosse realizzato avrebbe un solo scopo: scaricare sulle spalle dei lavoratori tutte le spese della ricostruzione, ed esentare i responsabili della catastrofe dai sacrifici che invece debbono fare, essendo essi in condizioni e in dovere di fare tali sacrifici. Può darsi che quel piano, se fosse stato realizzato, avrebbe anche potuto raggiungere l’obiettivo economico che l’onorevole Corbino si prefiggeva, ma la strada per raggiungere questo obiettivo sarebbe stata seminata di morti di lavoratori, dei loro bambini, e noi non possiamo accettare un piano simile.

Ecco perché raccomandiamo al Governo e allo stesso Ministro del tesoro non solo di vedere strettamente dal lato delle cifre, ma di considerare quale è la reale situazione delle masse lavoratrici, del popolo, per potere – tenendo conto dell’una e dell’altra questione – trovare la via migliore per dare la possibilità al nostro Paese di marciare contemporaneamente nel campo economico e sociale verso un avvenire migliore.

Vi è un altro problema che preoccupa in modo particolare noi lavoratori dei centri industriali: quello dello sblocco dei licenziamenti. Io penso che tale questione, legata alla disoccupazione dei centri industriali, va anch’essa osservata da un punto di vista nazionale: la sua soluzione deve avere carattere nazionale. Per noi, il blocco dei licenziamenti non è da mantenersi eternamente: pensiamo però di eliminarlo sviluppando la produzione. Come possiamo oggi parlare di sblocco dei licenziamenti, quando nelle città industriali del Nord decine e decine di migliaia di disoccupati attendono di andare a lavorare (a Milano sono 65 mila), quando sappiamo che si ha bisogno di tutto: di locomotive, di carri ferroviari, di navi mercantili, di aviazione civile, di trattori, di macchine agricole? Di tutto ha bisogno il nostro Paese e chi ce lo può dare, se non le nostre industrie?

Ecco perché noi vediamo questo problema non in senso di regresso, ma nel senso di sviluppare di più la produzione.

D’altra parte, vi sono esempi che dimostrano come noi siamo nel giusto, quando sosteniamo il blocco dei licenziamenti. A Brescia, appena dopo la liberazione, gli Alleati hanno imposto lo sblocco dei licenziamenti e i datori di lavoro hanno licenziato il 50 per cento dei lavoratori. Noi stessi, nel mese di dicembre dell’anno scorso, siamo venuti nella determinazione di ammettere uno sblocco dei licenziamenti che è arrivato fino al 13 per cento. Cosa dimostra l’esperienza? Che con questo sblocco abbiamo avuto la riorganizzazione delle aziende e la ripresa del lavoro? Niente affatto: abbiamo visto invece il contrario. A Brescia, col 50 per cento di lavoratori licenziati, si potevano riorganizzare le aziende: invece, sei mesi dopo i datori di lavoro e gli industriali venivano da noi per domandare altri licenziamenti. Ma allora, signori, che cosa volete? Volete veramente riorganizzare le aziende, mettere queste in condizioni di produrre, o volete raggiungere qualche altro scopo? Poiché per noi è chiaro che per circa un anno e mezzo grandi aziende che avevano la possibilità di riorganizzarsi e di organizzare il loro lavoro, non solo non l’hanno fatto; ma per motivi politici hanno sabotato la ripresa del lavoro e lo sviluppo della produzione.

E se oggi vi sono aziende le quali si trovano in condizioni precarie – soprattutto le piccole e medie aziende – pensiamo che il Governo debba andare loro incontro aiutandole, soprattutto dando ordinazioni di lavori di cui lo Stato ha molto bisogno: e aiutare anche le grandi aziende, non col metodo fascista, regalando dei miliardi, ma aiutandole e spronandole ed anche prendendo le precauzioni e le garanzie necessarie.

In modo particolare bisogna cominciare a porre il problema dell’inizio della nazionalizzazione di alcune industrie chiave del nostro Paese, poiché il progresso e l’avvenire della Nazione non possono dipendere da gruppi di uomini che per interessi particolari sacrificano l’interesse nazionale e collettivo. (Applausi a sinistra).

Ecco perché noi non possiamo, signori, accettare lo sblocco dei licenziamenti, quando abbiamo milioni di disoccupati e possibilità di sviluppo nella nostra industria. Lo sblocco dei licenziamenti significherebbe retrocedere dalle nostre posizioni, mentre noi vogliamo marciare avanti con tutta la nostra industria, con tutto il nostro Paese, con tutto il nostro popolo.

Un altro problema assillante di questi giorni è quello dell’adeguamento di salari, degli stipendi e delle pensioni. Come membro del gruppo comunista, deploro che gli altri partiti di massa non abbiano fatte loro le proposte concrete che il nostro partito ha presentato nel suo programma di emergenza, base su cui il Governo doveva orientare il suo programma. Il problema degli aumenti di salario e degli stipendi, posto come lo abbiamo posto noi, corrisponde ad una esigenza non solo di difesa degli interessi dei lavoratori, ma anche ad una esigenza nazionale e direi democratica, poiché non si può permettere che milioni e milioni di lavoratori vivano nell’indigenza e nella miseria, il che vorrebbe dire mettere la classe lavorativa alla mercé di quelle che sono le caste privilegiate, le quali non attendono altro che poter riportare ancora una volta il nostro Paese alla schiavitù del fascismo. Come lo abbiamo posto noi, l’adeguamento dei salari, inquadrato nei limiti delle possibilità della situazione del nostro Paese, può e deve dirsi giustamente posto.

Né è vero che l’adeguamento dei salari provochi automaticamente un aumento del costo della vita, un aumento del costo di produzione. Il costo di produzione di un prodotto non è dato solo dal salario. Oltre agli altri coefficienti generali ed alle materie prime, ecc., il salario contribuisce certamente a determinare il costo di produzione, ma vi sono altri due elementi fondamentali che troppo sovente si dimenticano e che contribuiscono direttamente alla sua determinazione: il tasso del profitto e la produttività. Ora nel nostro paese vi sono branche industriali che lavorano in pieno, come quelle dei tessili, dei chimici, della produzione della gomma, del vetro, della ceramica, nella stessa metallurgia. Le aziende che producono materiale elettrico lavorano in pieno, e questo è un sintomo importante poiché queste aziende sono state sempre il termometro della situazione industriale. Il fatto è che molti industriali contano sulla ripresa, ottengono delle ordinazioni, ma non danno subito loro corso, le tengono di riserva, perché vogliono raggiungere prima lo sblocco dei licenziamenti, vogliono avere un esercito di gente disoccupata e affamata che domandi di lavorare a metà salario o stipendio. Ora noi vogliamo che a questo adeguamento dei salari corrisponda una diminuzione del tasso del profitto, perché in tal modo si eviterà che l’aumento delle mercedi provochi un aumento dei costi di produzione.

D’altra parte, anche il rendimento, la produttività del lavoratore, è legato strettamente al costo dei prodotti. Se riusciamo oggi ad aumentare la produttività individuale dei lavoratori (che arriva sì e no al 60 per cento), è evidente che ciò ha subito un’influenza sul costo del prodotto. Ma per poter arrivare a sviluppare la produttività dei lavoratori, è indispensabile dar loro più da mangiare. Un lavoratore che è sul posto di lavoro solo con il corpo, che ha il pensiero a casa, preoccupato dal dubbio se i bambini mangeranno a mezzogiorno, se avrà il necessario per comperare il vestitino al suo bambino, non può sentire l’attaccamento al lavoro e quindi non è nemmeno in grado di poter lavorare con pieno rendimento. Ecco perché un adeguato aumento dei salari non deve portare automaticamente ad un aumento del costo della vita. Anzi, avremmo dato la possibilità con questo adeguato aumento di comperare qualche paio di scarpe, rimettendo così in moto il piccolo e medio commercio anch’esso arenato a causa dell’insufficiente capacità di acquisto delle masse lavoratrici. Ed è anche falso che l’aumento dei salari debba portare all’inflazione, come molti sostengono. Molti sono in buona fede quando temono che l’adeguamento dei salari possa portare all’inflazione, ma molti non sono in buona fede. Vi è una categoria di manigoldi nel nostro Paese (mi limito a dire manigoldi per il rispetto che ho di questa Assemblea), i quali tutte le volte che noi lavoratori abbiamo fatto dei grandi sacrifici (per esempio come nella lotta partigiana, negli scioperi, per salvare il salvabile del nostro Paese) hanno subito tentato di screditarci facendoci passare per banditi e per delinquenti. Ora, domandiamo un tenue aumento dei salari per migliorare le nostre condizioni di vita, per raggiungere un minimo biologico al disotto del quale c’è il pericolo di morire di fame. Ebbene, ci si vuole tacciare quali responsabili di una futura inflazione. In questo caso, signori, noi vi diciamo subito che se tenterete di porre sulle nostre spalle la responsabilità della situazione in cui avete gettato il Paese, i lavoratori non abboccheranno. Noi siamo contro l’inflazione, poiché saremmo noi e i ceti medi a farne le spese; e faremo di tutto per evitarla e assicurare un minimo di garanzia al diritto alla vita, che è sacro soprattutto per i lavoratori, ricchezza fondamentale della nostra Nazione, base della nostra ricostruzione e garanzia di un solido avvenire per il nostro Paese. (Applausi).

Noi apprezziamo il Governo per il suo primo atto. Il primo Governo della Repubblica ha dato un premio di 3.000, lire. Noi lo abbiamo accettato e abbiamo detto alle masse lavoratrici: ecco una prima dimostrazione che il Governo si interessa delle condizioni dei lavoratori. Però questo premio dà a noi solo un breve respiro. Noi domandiamo che il premio sia dato a tutti i lavoratori dell’industria, del commercio e soprattutto ai lavoratori della terra, poiché la «Confida» non ci sente da questo orecchio; e da parte dello Stato sia dato a tutti gli impiegati statali, compresi gli agenti ed i carabinieri, i quali sono in condizioni economiche tali da non poter compiere il loro dovere come lo esige la situazione, per garantire l’ordine pubblico e far rispettare le leggi, essendo anch’essi preoccupati dai bisogni dei loro bambini e delle loro famiglie. (Applausi a sinistra).

Una parola sui pensionati.

Si parla da molto tempo della necessità di aumentare le pensioni. Io vorrei citare un esempio solo. È venuta da me una vecchietta di circa 65 anni, una insegnante pensionata che, nonostante la sua miseria, era rattoppata nei vestiti puliti, la quale mi diceva: «Io sono un’insegnante pensionata. Pochi anni fa ho avuto la pensione e potevo con essa comprarmi mezzo etto di prosciutto a mezzogiorno, e alla sera, con un quarto di caffè e latte vivevo. Il mio stomaco è piccolo; ciò era sufficiente per me. Oggi, con questi denari, riesco appena appena a comprare la minestra alla mensa collettiva, ma il mio stomaco non la digerisce. Sarò costretta a morire!». Io vorrei che ognuno di noi, qui, e il Ministro del tesoro soprattutto, sentissero quello che ho sentito io in quel momento: grande simpatia, e commozione, perché attraverso quella vecchietta vedevo la situazione dei nostri pensionati.

Ma perché nel nostro Paese, accanto a gente senza scrupoli che quotidianamente fa i milioni speculando sulla miseria del nostro popolo, vi debbano essere coloro che hanno dato 30, 40 anni della loro esistenza, sia con il loro lavoro manuale, sia attraverso un lavoro intellettuale, come sono gli insegnanti, i professori, gl’impiegati, i tecnici, gl’ingegneri, i pensionati, che dopo aver dato tanto per arricchire materialmente e spiritualmente la Nazione arrivano alla vecchiaia senza avere la possibilità di comprare una fetta di prosciutto per vivere? Ma questo non è solo un problema economico sociale o politico, è anche un problema civile ed umano che noi dobbiamo risolvere.

Onorevoli colleghi, concludo. Penso che, da una situazione così eccezionale, come la nostra si possa uscire solo con mezzi eccezionali. Io apprezzo alcune misure che il Governo ha preso o sta prendendo, ma penso altresì che se questo piano concreto di misure necessarie per uscire da una situazione così tragica non venisse iniziato subito e realizzato in breve tempo, non si potrebbe comprendere come dei rappresentanti dei partiti di massa, soprattutto rappresentanti dei lavoratori, potrebbero rimanere in questo Governo. Il Governo, prima di tutto, deve sentirsi all’altezza della situazione, poiché se vi sono (come vi sono) ingiustizie che ci vengono inflitte da parte dei vincitori e che noi vogliamo con tutte le nostre forze impedire e riparare, vi sono altresì ingiustizie non meno gravi all’interno del nostro Paese e che le masse popolari e lavoratrici non vogliono più tollerare.

Noi pensiamo che il nostro Paese, che ha bisogno dell’amicizia e dell’aiuto di tutti i popoli, e che da essi ha molto da imparare, debba avere un Governo all’altezza della situazione, che gli dia la possibilità di potere a sua volta insegnare agli altri popoli. (Applausi).

Presidenza del Presidente SARAGAT

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Valiani. Ne ha facoltà.

VALIANI. Onorevoli colleghi, cercherò di fare un esame critico della situazione politica internazionale e della politica estera che dobbiamo svolgere.

Permettetemi, innanzi tutto, di rivolgere un saluto agli uomini politici che sono partiti stamane per l’estero, per rappresentare, in Europa l’uno e nell’America del Sud l’altro, gli interessi dell’Italia, per portarvi la voce dell’Italia; di rivolgere un saluto, dico, a Pietro Nenni e a Carlo Sforza.

Se posso permettermi di rivolgere loro una raccomandazione, è quella di parlare alto e forte, come rappresentanti di un Paese, che potrà essere, secondo le convenzioni giuridiche, che sono finzioni, un Paese vinto, ma che non si rassegnerà alla sconfitta ed al trattamento che gli si vuole infliggere.

Quando si viene a parlare, nella prima Assemblea elettiva che l’Italia si è data, dopo vent’anni di dittatura e cinque anni di guerra, della politica estera del nostro Governo, è comprensibile ed inevitabile che si parli dell’eredità del fascismo. Il fascismo fu conseguenza della situazione internazionale creatasi a Versaglia e soprattutto della incapacità dei movimenti democratici di reagire in modo positivo a quella situazione.

Oggi ci troviamo in una situazione peggiore, ma di ciò è responsabile il fascismo.

Ora, che residui del fascismo sostengano ancora la politica estera condotta per vent’anni, è pur comprensibile e, in certo senso, fa onore alla loro coerenza. Ma è strano che, in seno all’antifascismo, si accettino qualche volta gli argomenti del fascismo, che possono anche avere qualche valore, in quanto sostenuti da quelli che desideravano la vittoria della Germania, non da coloro che erano dall’altra parte. Eppure vediamo che la maggior parte delle critiche che si fanno alla politica estera dell’attuale Governo e dei Governi dei Comitati di liberazione nazionale in generale, sono critiche che avrebbero una ragion d’essere ed una coerenza, se il presupposto fosse stato quello fascista, cioè di vincere la guerra a fianco della Germania; mentre, invece, il nostro presupposto era un altro: quello di vincere la guerra contro la Germania, al fianco delle Nazioni Unite, anche se queste non ci hanno trattato come dovevano, anche se contro di esse dobbiamo condurre oggi un’azione di resistenza politica per modificare la situazione.

Chiunque creda alla realtà della nuova Italia democratica, per giudicare esattamente, equamente la politica estera del Governo, deve misurare il cammino che abbiamo percorso da tre anni: l’abisso dal quale siamo risaliti. Nel 1943, dopo l’armistizio, non potevamo fare alcuna politica estera. Oggi qualcosa si può fare; perché, pur con le nostre forze modeste e coi nostri modesti mezzi, l’Italia ha riacquistato parte, se pure non sufficiente, della sua indipendenza politica; bisogna oggi riacquistare il resto.

Dobbiamo renderci conto della nuova situazione internazionale, creatasi in quest’ultimi mesi, direi settimane, perché solo la comprensione di essa ci permette di fare d’ora in poi quello che in passato non abbiamo potuto fare, non per mancanza di capacità nei governanti, ma perché la situazione non lo consentiva; cioè, una politica estera attiva.

L’onorevole De Gasperi avrà commesso errori, anche numerosi, specialmente nel campo della propaganda, dove noi siamo stati battuti dalla propaganda jugoslava, non solo all’estero, ma presso gli stessi ambienti internazionali di Roma. Potremmo anche lamentare molta incoerenza nella esecuzione di quella politica estera. I nostri rappresentanti all’estero, specialmente i minori, molto spesso agiscono ciascuno per conto proprio, senza alcuna direttiva unitaria. Ma questi sono errori di dettaglio: nelle sue linee generali la politica estera è stata svolta com’era possibile.

Non si poteva infatti svolgerla in altro modo sino a quando non si conoscevano le intenzioni delle grandi potenze vincitrici, fino a quando gli stessi vincitori non conoscevano le proprie intenzioni.

Coloro che a priori erano convinti delle malvagie intenzioni degli alleati contro di noi, così come gli altri che a priori erano fiduciosi e ottimisti, confondevano entrambi la realtà coi propri sentimenti soggettivi.

Le potenze vincitrici finora non hanno mai pensato all’Italia, né per nuocerle né per giovarle. Ma vi hanno pensato come un terreno di prova, per saggiare reciprocamente le loro intenzioni di fronte ai problemi della nuova sistemazione mondiale; vi hanno pensato per accertare se vi era un pericolo di conflitto fra loro, oppure se esisteva la possibilità di delimitare le reciproche sfere d’influenza. Questo tastare il terreno era una specie di scaramuccia, una specie di guerra dei nervi: guerra che è stata perduta dagli anglo-americani. Perché essi, per qualche tempo, hanno creduto che la Russia nutrisse intenzioni aggressive, hanno montato, rese inquiete, e talvolta isteriche le proprie pubbliche opinioni: ricordiamo il discorso di Churchill. E poi hanno dovuto constatare che la Russia non ha intenzioni aggressive, ma che vuole opporre resistenza passiva ad una pace formale, finché non abbia raggiunto le sue mire.

Gli anglo-americani, avendo eccitato le proprie opinioni pubbliche, avendo dichiarato che se non si otteneva una pace formale indivisibile sarebbe stato imminente il pericolo di una nuova guerra, si sono trovati disarmati dinanzi all’atteggiamento della Russia, che non vuole la guerra, ma vuol tirare le trattative in lungo per ottenere maggiori vantaggi.

Così le potenze anglo-americane hanno capitolato sulla questione della Venezia Giulia, perché, dopo aver drammatizzato la necessità di un accordo con la Russia, non hanno avuto il coraggio di non farle delle concessioni dal momento che essa aveva l’aria di farne qualcuna.

Che le cose siano andate in tal modo io potrei documentare.

Da questa analisi scaturisce la possibilità di precisare in quale direzione dobbiamo orientarci, ed il senso nel quale dobbiamo rinnovare la nostra politica estera.

Noi dobbiamo metterci in condizioni di provare all’opinione pubblica anglo-americana, la quale è ora più o meno convinta che con la internazionalizzazione di Trieste ha evitato un conflitto con la Russia, che da un lato Trieste italiana non può esser causa di alcun conflitto perché noi siamo in grado di entrare in trattative dirette con la Russia, e, di farle delle concessioni commerciali; e dall’altro lato dobbiamo provare che i soldati anglo-americani e i soldati russi coesistono oggi su un terreno che può considerarsi una polveriera, senza che si possa avere il benché minimo sospetto che siamo noi a trasformarlo in polveriera.

La Jugoslavia non può essere considerata alla stessa stregua della Russia, perché mentre la Russia è saggia, prudente ed avveduta, la Jugoslavia ha un Governo giovane e veemente; perché mentre la Russia sta attenta a non bruciarsi e giuoca sempre a colpo sicuro, la Jugoslavia finora ha provato di scherzare col fuoco. Ecco dunque il primo passo positivo da compiere: deve aver l’obbiettivo di separare il problema delle nostre relazioni con la Russia dal problema delle nostre relazioni con la Jugoslavia.

In secondo luogo, occorre condurre una azione energica sull’opinione pubblica anglo-americana per spiegare gli errori dei Governi di Londra e di Washington.

In terzo luogo, occorre fare un appello diretto al Governo di Mosca, perché valuti l’utilità che può per esso rappresentare la nostra amicizia e la nostra cooperazione. Se dobbiamo rifiutare la nostra firma alla pace, quale oggi ci si presenta, è questo un problema che dovremo discutere con senso di responsabilità e anche con fermezza; perché non è possibile che in un problema del genere si vada da un eccesso all’altro. Se dobbiamo rifiutare, dobbiamo accompagnare questo rifiuto da un rinnovamento della nostra azione diplomatica, perché altrimenti, se ci limitassimo soltanto agli argomenti passionali e sentimentali che sono sacrosanti, ma che possono commuovere solo il popolo all’interno e non l’opinione pubblica estera, faremmo dei gesti che poi non saremmo capaci di sostenere con i fatti. Se gesti dobbiamo fare, dobbiamo farli soltanto quando ci siamo messi in grado e quando abbiamo la ferma volontà di sostenerli con i fatti. Per fatti intendo naturalmente la resistenza civile. Va da sé che ogni idea bellicosa esula dalla nostra mentalità. Se resistenza ci deve essere, essa deve essere infrangibile.

Onorevoli colleghi, è impossibile ottenere che delle potenze vincitrici siano senz’altro nostre amiche. Lo saranno quando avranno bisogno di noi. Forse avremmo potuto consolidare qualche iniziale rapporto di alleanza, finché durava la guerra. Èstata una debolezza non averlo fatto nel 1943 e nel 1944, finché durava la guerra partigiana; è quello che noi del Nord, quando combattevamo, abbiamo chiesto agli uomini che erano allora al Governo a Salerno e a Roma: valorizzare la guerra di liberazione, la guerra partigiana, ottenere qualche cosa, finché questa durava, perché quando la guerra è finita, tutto si dimentica.

Diciamo senz’altro che per il momento non possiamo sperare di avere amiche tutte le potenze vincitrici. Se non possiamo avere amiche neanche alcune di queste potenze, possiamo però avere le simpatie di almeno una parte dell’opinione pubblica, di una parte degli uomini politici responsabili. È meglio proporsi degli obiettivi più limitati in fatto di politica estera e andare fino in fondo, per ottenere qualche cosa, piuttosto che avere il desiderio di conquistare contemporaneamente le amicizie di tutti, di Churchill e dei suoi oppositori e via dicendo in tutti gli altri Paesi. Le grandi speranze sono illusorie e sono esattamente quelle che ci impediscono di consolidare alcune più limitate amicizie.

Guardate che una parte dell’opinione pubblica americana e degli uomini politici responsabili, degli uomini di Governo che non hanno partecipato alla montatura del pericolo di conflitto con la Russia ed è rimasta fredda davanti a tale montatura, oggi non ha fretta di vedere i trattati firmati, ma preferisce un rinvio della loro firma pur di lavorare in tal modo ad una pace veramente solida e ad un accordo con la Russia che non sia improvvisato e perciò fragile come quello concluso l’altro giorno a Parigi: che sia invece un accordo veramente solido e meditato e tale da non poter essere domani incrinato da nuove montature giornalistiche. Questa parte dell’opinione pubblica e degli uomini politici responsabili esiste in America e fu quella che a suo tempo ci consigliò di non insistere per una rapida redazione e una rapida firma dei trattati di pace e di chiedere invece un modus vivendi che rimandasse di qualche tempo, di due o tre anni, il problema delle nostre frontiere, un modus vivendi che ci permettesse di vivere in indipendenza politica ed economica fino a quando un chiarimento generale non sia intervenuto nella situazione europea; un chiarimento tale che permetta una pace più equa.

Forse non abbiamo fatto tutto il possibile per poggiare su questa parte dell’opinione estera. Forse ci siamo lasciati ingannare da coloro invece che ci spingevano a chiedere la più rapida possibile redazione dei trattati di pace. Io credo che a questo errore – errore che non è del Ministro degli esteri, ma del Governo nel suo insieme, anche se non vi sono mai state discussioni collegiali di politica estera, perché questi non sono problemi di dettaglio della diplomazia, ma sono problemi di impostazione generale – non sia ancora tardi per rimediare, perché non è ancora sicuro che le potenze vincitrici stesse siano in grado di effettivamente redigere e firmare quel trattato di pace. Forse prima ancora che si ponga a noi il problema se firmare o meno la pace, si porrà loro il problema se siano invece capaci di redigere questi e altri trattati connessi. E io credo che noi dobbiamo svolgere un’azione diplomatica, un’azione di Governo intesa a rimandare la firma e ad ottenere intanto questo famoso «modus vivendi»; non nella forma coloniale che pare esso abbia secondo le indiscrezioni della stampa, ma in una forma che ci assicuri indipendenza politica ed economica.

Questa è l’unica politica estera che in questo momento è davanti a noi. Il resto è dato da bellissime parole, alti e nobili propositi; ma non è qualche cosa che sia politica, perché politica è scelta fra due ipotesi, scelta fra due mezzi, due strumenti, due soluzioni che bisogna prospettarsi. Non basta dire: noi protestiamo, occorre dire che protestiamo, e scegliamo: o vogliamo il trattato di pace il più presto possibile, o vogliamo ritardarlo.

Credo che dobbiamo fare uno sforzo anche ora, anche in extremis per riuscire a far rimandare la stipulazione del trattato di pace, di quel trattato di pace che in questo momento può essere soltanto cattivo, perché non c’è stato ancora quel chiarimento generale che avverrà più tardi. Dobbiamo a tal fine collegarci con coloro che in America, in Inghilterra, in Francia e probabilmente anche in Russia e altrove, hanno la stessa opinione. È vero che viviamo in un’epoca di esasperazioni imperialistiche delle quali noi italiani, che siamo sempre stati, anche sotto il fascismo, i meno imperialisti di tutti, facciamo oggi le spese; ma è anche vero che esistono dappertutto forze che comprendono che l’esasperazione imperialistica indica solo che si approssima la fine dell’epoca imperialistica stessa, e che si preoccupano di abbreviare i dolori della morte della vecchia epoca e del parto della nuova. A queste forze che si preoccupano del domani noi dobbiamo parlare come quel paese che in realtà è uno dei più civili del mondo, dei più pacifici, dei meno nazionalisti, ma anche dei più decisi a non rassegnarsi all’oppressione, a resistere all’ingiustizia. Dobbiamo parlare a quelle forze, dovunque si trovino, in nome dell’Italia e non solo dell’Italia, ma in nome di quasi tutta l’Europa, in nome di quei 200 o 300 milioni di europei che non fanno parte di alcun blocco di grandi potenze, ma che un giorno si fonderanno in unità, saranno una nazione europea e conteranno qualche cosa.

Se questo coraggio noi l’avremo, la battaglia politica internazionale che dobbiamo condurre per salvarci, noi la guadagneremo, non in un giorno, non in un anno, ma entro la vita della nostra generazione. Ma dobbiamo renderci conto che non si tratta soltanto di protestare; si tratta anche di una vera e propria battaglia politica e diplomatica. E questa battaglia va condotta con tutte le armi politiche e diplomatiche e non soltanto con quelle della protesta sentimentale e morale.

Permettetemi di fare anche alcune considerazioni sulla politica economica del Governo. Precisamente desidererei chiedere al Governo alcuni chiarimenti sulla politica tributaria che intende condurre. Vorrei sapere se si intende fare o meno una riforma tributaria degna di questo nome. È chiaro che il Governo non può fare molte grandi riforme, ma alcune può farle e quella tributaria è la più urgente. Desidererei a questo riguardo, sapere come si pensa di arrivare a quel famoso grande prestito, a cui, si è detto, il Governo intende arrivare. Sarebbe interessante sapere a quali condizioni il Governo intende lanciarlo. Il Governo ha a questo riguardo pieni poteri, in virtù dell’articolo 3 che istituisce la Costituente. Perciò io chiedo che su questo capitolo finanziario il Governo, prima di farsi dare la fiducia dell’Assemblea, dia qualche chiarimento maggiore.

Si è sentito poi parlare di imposta straordinaria sul patrimonio. Ora, io ho l’impressione che otterremo il solo effetto di spaventare i capitali e il Governo non avrà la volontà e gli strumenti tecnici sufficienti per colpirli effettivamente. Le imposte si pagano sul reddito e non sul capitale. Io sono favorevole alle confische, perché non è giusto che ci sia gente che possa godersi gli illeciti acquisti fatti con la guerra o con la borsa nera. Bisogna agire con le confische. Diciamo quindi francamente quali sono le confische che si possono operare e non confondiamo le confische con le imposte.

Lo stesso vale per la riforma agraria: non dirò nulla sulla riforma stessa, perché il mio collega Lombardi ha già detto tutto il necessario; debbo soltanto osservare che ci troviamo in mezzo a una battaglia agraria. È una battaglia in atto. Anche qui, mi domando se il Governo ha l’energia di realizzare gli scopi che si prefigge. Sarà opportuno che ci si renda conto di questo; perché anche qui è necessario che ci siano i mezzi ed io credo che il Governo possa trovarli. Dopo il lodo sulla mezzadria, bisogna arrivare ad una riforma di tutti i patti agrari, colonici e delle affittanze. Bisogna sviluppare il ceto dei coltivatori diretti della terra. Questi sono i problemi più urgenti e soltanto attraverso queste soluzioni si potrà arrivare ad una vasta riforma agraria.

C’è infine la questione salariale, sollevata dal collega Alberganti. Io avrei preferito che il Segretario della Camera del Lavoro di Milano, che ha partecipato alle discussioni della Confederazione del Lavoro, avesse portato qui i problemi già approntati e le mozioni adottate. Non mi pare conveniente, per il credito e il prestigio di questa Assemblea, che essa sappia soltanto di straforo dai giornali quali sono le deliberazioni che in questo momento si prendono.

PAJETTA. Voi avete i vostri rappresentanti nella Confederazione.

VALIANI. Purtroppo, nessuno di essi è deputato. Quindi gradirei che i rappresentanti della Confederazione del Lavoro esponessero qui i termini del problema. Io ho visto sulla «Voce Repubblicana» alcune frasi della mozione approvata che mi paiono degne del massimo interesse; una frase parla di perequazione dei salari meno elevati. Il problema è questo; ma dobbiamo sapere che cosa è stato deciso. Si tratta soltanto di aumentare i salari degli operai che sono pagati di meno, di coloro che soffrono la fame? È giusto e bisogna farlo; è nell’interesse della produzione stessa, perché una delle ragioni del basso rendimento è il denutrimento dei lavoratori. Ma ci sono altre industrie che non possono concedere aumenti, se non si effettua lo sblocco dei licenziamenti o se non si introducono dei perfezionamenti nei sistemi di produzione.

Bisogna che su questo problema ci sia chiarezza. Si svolgono delle agitazioni nel Paese. Noi dobbiamo la Repubblica alla classe operaia italiana: questa è una verità storica che rimarrà ad onore della classe operaia italiana…

PAJETTA. Però anche con la Repubblica siete disposti a fare i licenziamenti!

VALIANI. Ma è altrettanto vero che l’interesse della Repubblica è questo: che le classi lavoratrici e proletarie si immedesimino esse stesse della difesa della Repubblica; e la Repubblica non si può difendere se il Governo e l’Assemblea Costituente non sono in grado di avere una visione unitaria della lotta salariale e degli scioperi.

Credo sarebbe opportuno che i Segretari della Confederazione del Lavoro esponessero qui il programma da loro approvato, in modo che l’Assemblea stessa potesse pronunziarsi. È passato il periodo in cui l’azione sindacale poteva essere distinta dall’azione politica. Io credo che ci sarà una maggioranza che approverà il criterio di elevare i salari più bassi: io stesso voterei in favore di una proposta di questo genere. Questa approvazione obbligherebbe maggiormente gli industriali a soddisfare la richiesta. Però, se ci fosse anche qualche cosa che non quadrasse con la politica economica e finanziaria del Governo, sarebbe il caso di discutere con i dirigenti della Confederazione del Lavoro. Guardate che il Paese non ammette questa distinzione tra Costituente e Governo…

ALBERGANTI. Ma c’è la libertà sindacale.

VALIANI. Libertà sindacale, non significa che la classe operaia risolve i suoi problemi esclusivamente attraverso le sue organizzazioni: la classe operaia sente il bisogno di portare questi problemi anche qui alla Costituente.

Io chiedo, prima di chiudere la discussione e di dare il nostro voto di fiducia, che il Governo dica qualche cosa sulla risoluzione dei problemi salariali più urgenti che agitano in questo momento il Paese.

Penso che la soluzione che uscirà di qui dovrà essere intonata a simpatia e solidarietà verso la classe operaia, specialmente per quella parte di essa che è meno pagata. Però non è possibile che si abbia una soluzione sul terreno puramente sindacale ed una soluzione completamente diversa, quasi opposta, sul terreno della politica economica e finanziaria del Governo. Se le due soluzioni fanno a pugni, noi possiamo correre il rischio di non realizzare niente.

Solo in questo modo la classe operaia sarà in grado non solo di rafforzare, ma di portare avanti questa Repubblica fino al punto in cui essa potrà veramente essere una Repubblica democratica dei lavoratori. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Condorelli.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, prendo la parola perché sento che è necessario, dopo il discorso dell’onorevole Finocchiaro Aprile, che una voce siciliana si levi in questa Assemblea a riaffermare la inesausta passione italica dei siciliani, i quali non sono soltanto un popolo di lingua italiana, come con reticenza assai significativa ama dire l’onorevole Finocchiaro Aprile, ma sono parte cospicua ed essenziale del popolo d’Italia che non richiede altra giustizia che quella di essere considerata tale. (Approvazioni).

Noi siciliani ci pregiamo del nostro mare glauco, delle nostre dolci campagne feconde, delle nostre glorie, della nostra storia, della nostra civiltà, trimillenaria, dei prodigi dell’arte che raggiungono da noi i fastigi del divino, ma sentiamo soprattutto di avere un titolo di nobiltà irrinunciabile: il titolo della primogenitura italica, perché noi siamo gli antichi Siculi che vennero proprio dal Lazio a portare una civiltà essenzialmente italica in quell’isola a cui diedero il nome. Da noi ebbe le prime manifestazioni dell’arte quel «volgare» che doveva divenire la lingua di Dante; da noi nacque l’unità d’Italia, dai monti di Salemi, dove al. grido di «Italia e Vittorio Emanuele» si mise dietro il condottiero del popolo italiano tutto il popolo di Sicilia: e là veramente fu formata l’unità d’Italia. (Approvazioni).

Noi perciò respingiamo ogni espressione che a nome del popolo siciliano si possa dire per mettere in dubbio la sua profonda italianità. Noi siciliani, educati da tremila anni di vivere civile, dalla convivenza per oltre mill’anni sotto uno Stato unitario monarchico, noi che mai conoscemmo gli odii di parte che insanguinarono altre zone d’Italia e d’Europa, noi sentiamo, o signori, e sentiamo profondamente, che quegli che osò, come ieri ha qui confessato, intrecciare maneggi con popoli nemici durante le ostilità e prima dell’armistizio per chiedere la loro protezione contro l’Italia, quegli ha fatto onta alla Sicilia. E il popolo siciliano, che ha l’animo generoso e cavalleresco, non potrà mai dimenticare che uno della sua stirpe chiami altri siciliani a lanciarsi contro il corpo della Madre ferita a morte. (Vive approvazioni).

Anche se questo movimento dovesse avere fortuna, non pensi l’onorevole Finocchiaro Aprile di poter essere ascritto fra gli uomini rappresentativi della Sicilia. Questi rimarranno sempre Rosolino Pilo, Francesco Grispi, Cascino, Vittorio Emanuele Orlando, gli eroi dell’unità d’Italia e del patriottismo italico! (Applausi al centro).

La sola funzione positiva che può essere riconosciuta a questo movimentò è quella di aver portato alla ribalta dell’opinione pubblica italiana e mondiale un problema che, bisogna riconoscere, è stato negletto. Ma è giunta l’ora in cui questo problema dev’essere esaminato ed urgentemente risolto.

I siciliani hanno respinto ormai in modo irrevocabile questo indipendentismo, che prima è stato separatismo ed ora è confederalismo, poiché essi sanno che il popolo siciliano non può avere giustizia che dal popolo italiano, cioè da sé stesso. Questo i siciliani lo hanno detto nella maniera più perentoria.

La maggioranza, la stragrande maggioranza di voti addensati il 2 giugno sulla monarchia, fu prima di tutto affermazione del sentimento unitario, perché in quella monarchia il popolo italiano vedeva il simbolo e l’espressione dell’unità d’Italia. E peraltro questa ferma volontà unitaria il popolo siciliano l’ha riaffermata inequivocabilmente facendo addensare tutti i suoi voti sui partiti più fermamente unitari. Gli indipendentisti, che assumevano di aver con loro la maggioranza del popolo siciliano, hanno avuto il torto di lasciarsi contare. Erano molto rumorosi, ma erano pochi: quattro soltanto sono venuti in questa Assemblea ed i voti dati a loro non sono, credetelo, affermazione indipendentista, sono espressioni generose verso questi uomini ai quali una politica non sempre oculata del Governo accendeva attorno l’aureola del martirio.

Si consentì da principio, non sappiamo se a ragion veduta o per debolezza o per necessità, che si facesse una propaganda che era palesemente delittuosa, perché tendente alla disgregazione territoriale dello Stato. E poi, quando questa propaganda diede fuoco alle polveri, così che si era già formato un esercito per l’indipendenza siciliana (l’E.V.I.S. purtroppo ha mietuto le sue vittime), fu necessaria la repressione, che è, come sempre, l’effetto di una pietà crudele.

Bisognava stroncare da principio questo movimento inammissibile perché disgregatore dello Stato. E le conseguenze di questa debolezza furono amare.

Comunque, il problema era posto, è stato sottolineato, e l’Italia ha il dovere di affrontarlo.

Il problema siciliano, o Signori, non è un problema diverso sostanzialmente dal problema meridionale.

È il problema del Mezzogiorno d’Italia, forse arricchito da qualche mutamento che discende da questa circostanza: che la Sicilia è l’unica regione d’Italia che ha la fortuna di una bilancia commerciale, delle importazioni ed esportazioni, nettamente e fortemente favorevole.

Ora il problema non è soltanto, come generalmente si ripete, per la Sicilia e per il Mezzogiorno d’Italia, un problema di lavori pubblici. Sì, sono necessari, indispensabili in Sicilia, strade, ponti, scuole, canali, bonifiche, la lotta contro il banditismo, ma non è questo il problema. Il problema è soprattutto problema di bilancia economica interna ed estera.

Come ieri ebbe a dirvi l’onorevole Romano, il Mezzogiorno d’Italia, e la Sicilia in ispecie, hanno subìto delle asportazioni di denaro massive dopo la unificazione di Italia, da principio con la liquidazione dell’asse ecclesiastico che fece sì che gran parte del denaro siciliano emigrasse e giovasse ai bisogni del nascente Stato italiano, soprattutto alle necessità del Nord. Poi la guerra del 1915-18, le spese di quella guerra che si fecero quasi esclusivamente nel Nord, infine questa guerra, non escluso il fatto ultimo del prestito del 1945 che, come è noto, servì a sussidiare la lotta parmigiana. Ma accanto a questa emigrazione massiva del denaro e del risparmio meridionale, vi è un processo di impoverimento lento e continuo che deriva essenzialmente da varie cause dipendenti dal sistema tributario e dalla politica economica.

Il sistema tributario è imperniato da noi essenzialmente sul sistema reale, che colpisce principalmente la ricchezza immobiliare e quella ricchezza mobiliare che non può sfuggire, quale la ricchezza mobile degli impiegati, professionisti e commercianti, ma non colpisce quel volume di ricchezza che certamente è il più cospicuo, la ricchezza in numerario, in crediti commerciali, in titoli di credito ed azionari, in preziosi, che è incomparabilmente maggiore e prevalente nella economia del Nord. Ora ciò crea palesemente una sperequazione tributaria. Noi del Mezzogiorno d’Italia subiamo una pressione tributaria proporzionalmente, infinitamente più grande. E poi si aggiunge la politica di protezione dell’industria, che finisce coll’essere pagata proporzionalmente di più dal Mezzogiorno d’Italia, che è il principale acquirente dei manufatti del Nord.

Ora non si nega che lo Stato possa perseguire dei fini di benessere che lo inducano alla protezione dell’industria, ma è pure necessario creare qualche partita di compenso. Ma a questo, a dire la verità, non si è pensato mai.

È avvenuto che la nostra Trieste, proprio per effetto dell’unificazione, perdesse la quasi totalità del trafficò del suo porto; ma l’Italia, come madre amorosa, si preoccupò dell’economia triestina ed al traffico marittimo seppe sostituire la ricchezza proveniente dallo sfruttamento delle industrie e delle miniere, si crearono grandi istituti di cultura, e l’economia di Trieste non soltanto rimase invariata, ma si accrebbe.

Niente di simile si è pensato di fare per il Mezzogiorno. Si è lasciato che questo processo di lento ma inesorabile depauperamento continuasse naturalmente, senza che gli uomini si preoccupassero minimamente di arrestarlo o di diminuirlo. Anche da noi si dovrebbe fare un’intensa politica di lavori pubblici, che compensasse la ricchezza che noi mandiamo al Nord. La Sicilia e il Mezzogiorno dovrebbero, per esempio, essere arricchite di grandi istituti di cultura, che sfruttassero e mettessero al servizio dell’Italia la disposizione dei meridionali per gli studi e per la scienza. Tutto questo non si è fatto. Anzi, le nostre università sono decadute ed hanno potuto molto faticosamente, soprattutto per opera di uomini e non per aiuto di mezzi, seguire l’ascensione della scienza italiana.

Ora, è tempo che tutto ciò sia riparato. L’Italia, purtroppo, malgrado i programmi, non è nella possibilità di affrontare oggi in pieno tutti questi problemi. Però, qualcosa si può cominciare a fare.

Si parla di larghi lavori pubblici, soprattutto per soccorrere le necessità della mano d’opera. Bene! Si può cominciare dall’Italia meridionale, non con precedenza o con preferenza, ma con quasi esclusività, perché, se, per iattura comune, tutti abbiamo perduto, Sud e Nord, c’è da pensare che il Nord abbia perduto una parte di ciò che costituiva privilegiò in rapporto a noi, mentre noi abbiamo perduto quasi tutto quello che era essenzialmente indispensabile.

La solidarietà nazionale, la buona volontà di riparare cominci a manifestarsi subito!

Da questo mese si può cominciare a dare la prova di questa concreta e seria volontà.

Hic Rhodus, hic salta!…

Noi, signori del Governo, vi attendiamo finalmente alla prova. È questa la risposta che voi dovete dare all’onorevole Finocchiaro Aprile, il quale vi ha detto che vuole una Confederazione italiana, unicamente perché non crede di poter avere più fiducia nello Stato italiano.

Si cominci da oggi a provare il contrario.

E soprattutto, fratelli del Nord, fratelli d’Italia, non diamo altri colpi all’unità morale del popolo italiano.

Un colpo fiero è stato dato con la proposizione della questione istituzionale. Si sapeva che il Sud era prevalentemente e appassionatamente monarchico.

Non vi era ragione di proporla, questa questione istituzionale, perché se da parte vostra si faceva questione di risentimento, e voi eravate mossi dal risentimento e dall’odio, noi eravamo mossi soltanto dall’amore per un’idea, che era l’idea e il simbolo dell’unità d’Italia. (Commenti).

Questo essenzialmente è stato il significato del nostro schieramento monarchico passivo. Io vi voglio dire che i risultati del referendum hanno profondamente scosso il popolo meridionale. Noi abbiamo una profonda coscienza giuridica che ci proviene dalle nostre trimillenarie tradizioni di viver civile, e non siamo tranquilli sulla promulgazione di quella legge che pose la questione in quel senso e in quel senso la volle risolvere. Perché ci sembra incomprensibile come una questione di tanta importanza si possa risolvere con un referendum introdotto per decreto reale, mentre il referendum è un istituto sconosciuto all’ordinamento giuridico italiano. Non siamo altresì tranquilli su quella legge (Commenti), perché non costituiva le necessarie garanzie: prima di tutto una maggioranza qualificata quale era indispensabile allorché si trattava di modificare la costituzione.

Anche nel diritto privato le più importanti disposizioni collettive sono prese non a semplice maggioranza. Così in materia di condominio, quando si tratta di atti di disponibilità, e così dicasi per altre materie, via via discendendo da una maggioranza costituita con proporzioni numeriche maggiori, sino alla maggioranza della metà più uno.

Comunque nulla era disposto in quella legge per accertare e reprimere gli eventuali brogli elettorali, che, purtroppo, seguono come ombra necessaria tutte le votazioni. E pur qualcosa bisognava predisporre in modo che non vi fossero dubbi sulla genuinità dei risultati della votazione. Questi rappresentano ancora una questione insoluta, ed è necessario soprattutto per la Repubblica chiarire il suo atto di nascita.

Una voce. L’ha chiarito la Corte di Cassazione.

CONDORELLI. I poteri dati in questa materia alla Corte di Cassazione non erano tali. La Cassazione si è limitata alla verifica dell’esattezza di un computo numerico.

La Repubblica ha il maggiore interesse a chiarire il suo atto di nascita. Vi ha interesse più di noi.

Ma noi in questo momento non solleviamo la questione, (Interruzioni – Commenti) perché la nostra mente è rivolta ad altri pensieri. È la Patria in pericolo che impegna oggi tutto il nostro spirito. Ma alla questione non abbiamo rinunziato, né essa è stata accantonata. Verrà a suo tempo, quando l’Italia uscirà da questa situazione. Luce deve esser fatta, e intera, nell’interesse comune.

Signori, io avrei ancora alcune cose da dire in rapporto alle dichiarazioni del Governo, e dicendole so di prestare la mia porzioncina di collaborazione al Governo del mio Paese.

Noi abbiamo sentito le censure che da tutti i lati sono state mosse circa la formazione di questo Governo.

Non ne vogliamo aggiungere altre, perché comprendiamo la situazione estremamente delicata in cui si trova il Governo nazionale in questo momento e noi vorremmo fare quanto è in noi per rafforzarlo. Ma un’obiezione soltanto faccio, non a questo Governo ma a tutti i governi che potranno succedersi in Italia in tempo più o meno lontano, cioè un maggior rispetto delle competenze. È vero che i Ministri, come membri del Governo, hanno una funzione politica, ma sono anche capi di amministrazione e come tali debbono essere competenti. Questa seconda parte, a mio giudizio, è la parte più importante, perché la politica senza l’amministrazione diviene una qualche cosa che Socrate chiamava kalekeia, espressione che non voglio tradurre in italiano. Soprattutto questo difetto ci ha colpito per quanto riguarda i Ministeri militari. In essi sono tutti borghesi, che provengono da attività diametralmente opposte ai Ministeri di cui debbono occuparsi.

Capisco che ciò potrebbe avere un significato politico, che cioè noi vogliamo smilitarizzarci anche prima che altri ce lo imponga; ma quando un popolo è costretto, per esigenze esterne o interne, a ridurre i propri armamenti, deve cercare di supplire quanto è più possibile alla quantità con la qualità e proprio in quei momenti il bisogno di tecnici diventa più urgente. E l’Italia aveva dei tecnici da chiamare a quei posti. Comunque che Iddio vi aiuti nell’opera vostra per il bene dell’Italia!

Noi avremmo ancora alcune osservazioni da fare circa la politica economica e tributaria del Governo.

Ci annunciate il ripristino del prezzo politico del pane. È una necessità. Però io mi sono sempre posto questo problema: è proprio impossibile fare una discriminazione? Èproprio necessario dare il pane a prezzo politico a tutti gli Italiani? Si potrebbe dare a prezzo politico ai bisognosi, ai meno abbienti e forse facendo questa discriminazione si potrebbe risparmiare un miliardo o mezzo miliardo al mese e ce ne sarebbe tanto bisogno. Esamini il Governo questa possibilità. Se la cosa dovesse durare ancora, varrebbe la pena di fare le spese necessarie per impiantare gli appositi uffici per fare questa discriminazione.

Altro problema: si parla di una politica tributaria, che dovrebbe consistere essenzialmente nel potenziamento degli attuali mezzi di accertamento e di imposizione. Cioè gli ordinamenti dovrebbero restare immutati, cercando di stringere ancora, per quanto è possibile, il torchio. Credo che ciò non sarebbe secondo giustizia, perché si accentuerebbero quelle tali sperequazioni di cui ho avuto occasione di intrattenermi parlando del problema del Mezzogiorno. È necessario provvedere in modo che paghino anche le categorie oggi non accertabili e non tassabili, presso le quali forse è riunito il principale volume della ricchezza nazionale: i borsari neri; quel commercio che si eleva un po’ dalla borsa nera, ma che ha con essa tanta affinità, e che indubbiamente si è arricchito sulla sciagura comune. E poi ci sono altre categorie: gli affittuari, i mezzadri. Ora, secondo gli attuali ordinamenti tributari, questa gente è pressoché immune.

Questo è il problema principale di cui vi dovete occupare, perché ormai in Italia si è creata questa situazione paradossale: pagano sempre le persone che hanno pagato, sempre le stesse: basta avere una casetta, un palmo di terra, uno studiolo aperto, un buchetto di negozio, perché si sia tartassati. Le nuove attività, prosperate nel disordine economico che ci ha aggredito, quelle sono assolutamente intatte e intangibili. Ma davvero, la scienza finanziaria italiana si deve arrendere e dichiarare la propria impotenza di fronte a questo spettacolo scandaloso che fa pagare i lavoratori, i produttori e lascia totalmente indenni i parassiti? (Applausi a destra).

È proprio indispensabile che voi mobilitiate uffici e università e scienza per risolvere questo problema?

Un altro argomento che bisogna brevemente toccare è quello del prestito interno che vi proponete di fare. È una necessità indiscutibile. Però è anche una necessità indiscutibile cercare di aiutarne, di prepararne il successo nel miglior modo possibile.

Ora, mi sembra che nel vostro programma si dicano tante cose che non sono certamente utili a preparare il successo e che diventano tanto più inutili in quanto probabilmente non potrete fare tutte le cose che vi proponete, specialmente nel breve giro di tempo che è accordato al vostro Ministero. Si parla di una imposta patrimoniale, che potrebbe spaventare la gente, che potrebbe essere una confisca. Orbene, di fronte allo spettro di questa imposta, voi troverete certamente uno stato di resistenza nei risparmiatori, i quali non si disfaranno del loro denaro perché non sanno quanto potrà loro abbisognare per far fronte a questa imposizione straordinaria.

Si parla di trasformazioni coattive dei poderi; e anche qui, creando la prospettiva di dover spendere ingenti somme per evitare la perdita delle proprietà, metterete gli agrari in uno stato di resistenza e di allarme per il che non saranno disposti a sottoscrivere al prestito nazionale.

Si teme ancora il cambio della moneta. Probabilmente non cadrete in questo errore che ormai sarebbe duplice, perché non si raggiungerebbero le finalità che una volta si sarebbero potute raggiungere e perché si creerebbero enormi sperequazioni: voi raggiungereste l’effetto di colpire i poveri gonzi, probabilmente i nostri ingenui contadini che conservano il denaro. Non colpireste nessun altro, perché nessuno che sappia maneggiare il denaro se lo tiene a casa, nelle tasche, nei cassetti, sotto le mattonelle. Il denaro si investe. Se doveste accertare il denaro per svalutarlo, dovreste accertare scrupolosamente anche tutta la ricchezza mobiliare: crediti, preziosi, titoli di credito ed azionari ecc. E voi non lo potreste fare ed otterreste il solito effetto di colpire i più ingenui. Bisogna chiarire al popolo italiano che questo pericolo non c’è; e soprattutto usate delle cautele, perché questo risparmiatore, ormai giustamente allarmato, sia sicuro dell’assoluta segretezza della sottoscrizione a questo prestito.

Desidero dire qualche cosa sulla riforma agraria. Nelle dichiarazioni del Governo abbiamo inteso che esso si impegna a non modificare lo stato giuridico, dicono le dichiarazioni, l’ordinamento giuridico, direbbero i giuristi, altro che nei punti in cui concorre la volontà dei gruppi al governo.

Scusate, questo è profondamente antidemocratico: non basta che siano d’accordo i partiti al potere; è necessario, in regime democratico, sentire anche le minoranze, a meno che non si voglia sostenere che le vostre leggi siano esclusivamente degli atti di volontà. Le minoranze devono essere intese perché, allorquando si modifica una situazione legislativa non basta il concorso ed il consenso dei partiti che stanno al potere.

Queste raccomandazioni io le faccio nell’interesse della rinascente democrazia italiana.

In rapporto a questo problema agrario io debbo anche dirvi che nelle vostre dichiarazioni c’è qualche cosa che potrebbe preoccupare: dichiariamo che anche da questi banchi siamo perfettamente d’accordo sul principio «la terra agli agricoltori», che però non vuol dire «la terra ai contadini»; significa la terra anche ai contadini, ed a tutti quelli che si occupano veramente della terra, a coloro che sanno veramente di adempiere ad una funzione sociale.

Anche questo bisogna che sia fatto democraticamente.

Ora, nella vostra dichiarazione si dice che sarà ripresa, intensificata, l’espropriazione a favore dell’Opera nazionale combattenti, dall’Ente per il latifondo siciliano, ecc. Perché, se si trattasse di modificare le antiche leggi, vi diciamo e ripetiamo l’istanza che abbiamo già fatta, e cioè: interessate la Costituente, perché è un punto che deve interessare probabilmente la costituzione, ed è necessario che ciò non sia operato facendo trovare la Costituente di fronte a dei fatti compiuti che poi si dovrebbero disfare. Bisogna anche su questo punto mettersi d’accordo.

Una lieve critica debbo fare in rapporto al progetto di imporre delle trasformazioni coattive con la eventuale perdita della proprietà in caso di mancato adempimento, nel qual caso si darebbe la terra a coltivatori diretti che verrebbero sussidiati. Questa mi sembrerebbe una ingiustizia. Prima di tutto il sussidio, se nessuna condizione si oppone, bisogna darlo a chi possiede la terra, a meno che non si tratti di latifondo; ma se si tratta di una proprietà normale compatibile col nuovo ordinamento terriero che deve avere l’Italia, non vedrei la ragione di espropriare chi l’ha per darla ad altri, che verrebbe poi sussidiato per utilizzarla. L’offerta deve essere fatta prima di tutto a chi è attualmente possessore.

Io confesso alla Costituente che, con un certo sforzo, mi sono intrattenuto su questi problemi, che per altro non richiedono idee peregrine. Il sentimento di noi italiani e, consentitemelo, di noi siciliani in ispecie, in questo momento, è rivolto al nostro problema internazionale.

Tutta l’anima della Patria è oggi a Trieste, che è la capitale d’Italia! E noi siciliani abbiamo l’orgoglio di non sentirci secondi a nessuno in questo vivo e lancinante sentimento. Noi riaffermiamo che Trieste e l’Istria sono italiane, perché lo dice la natura e la storia; sono italiane, perché abitate da italiani che vogliono vivere nella comunità nazionale italiana; sonò italiane perché la loro italianità è gridata dalle pietre e dalle tombe; sono italiane perché la loro italianità è stata riconsacrata da un secolo di passione patriottica e da 600 mila morti; sono italiane perché l’ha riconosciuto il mondo nei congressi internazionali che hanno chiuso l’altra guerra. E anche oggi nelle riunioni di esperti che si sono tenute durante queste lunghe e defatiganti conversazioni e trattative, nessuno ha potuto negare – neanche quelli che avevano un partito preso – che Trieste e parte dell’Istria siano anche etnicamente e tipicamente italiane.

Ma vi era una potenza ansiosa di introdurre il suo prestigio nel Mediterraneo che ci ha conteso queste terre per darle ad una sua ancella. Il piano non è riuscito.

Non sappiamo perché questo sinedrio internazionale si sia orientato verso una soluzione di internazionalizzazione di quelle terre italiane.

Il perché rimane ancora occulto, giacché questa dell’internazionalizzazione non può essere una soluzione che soddisfi colei che ci aveva contrastato. Forse dipende da una perdita di credito presso gli Alleati che ci avevano sostenuto fino a ieri. Comunque, lo scempio si vuole fare; si vuol farlo senza ricordare che così, anche con la internazionalizzazione, si viene a ledere il diritto nazionale italiano, si viene a ferire insanabilmente il principio di nazionalità, che è la sola base di un ordinamento internazionale stabile, si viene a dare la prova palmare della frode ordita a danno del popolo italiano che si è fatto combattere per una guerra che doveva essere di liberazione, ma che poi si vuol concludere con l’asservimento dell’Italia allo straniero, con la lacerazione delle carni d’Italia, con la espropriazione delle nostre Colonie, frutto meraviglioso del nostro onesto lavoro, con l’espropriazione della flotta, che pure sino a ieri è stata riconosciuta come uno strumento prezioso della vittoria alleata.

Noi protestiamo per il diritto leso e per la frode consumata. Ci si è gridato duramente sul volto: «Guai ai vinti!». Ma noi rispondiamo: «Guai agli stolti!».

Guai agli stolti, perché è stolto chi si oppone ai disegni di Dio. Guai agli stolti, perché è stolto colui che vuole cambiare l’ordine che la volontà che Dio e la natura hanno impresso nelle cose. Trieste e l’Istria sono italiane, per storia e per natura, e italiane resteranno o torneranno. (Applausi). L’Italia è un ponte lanciato dall’Europa verso l’Africa, e le flotte italiane torneranno a lanciarsi sul mare verso l’Africa.

Una voce. Questo è imperialismo!

CONDORELLI. Non è imperialismo. Anche Mazzini pensava così. Quella sponda che ci è di fronte è sponda storicamente affidata all’Italia, sponda nella quale l’Italia è sempre stata esaltata come madre benefica di civiltà e di umanità, e che è ormai irrevocabilmente nostra.

Così come altri già in questa Assemblea hanno fatto, io ammonisco il Governo che una simile pace si può subire come dettato dei vincitori ai vinti, giammai accettare come libero patto. (Applausi). E ammonisco tutti i governi del mondo che è errore, supremo errore, violare i diritti del popolo italiano, perché lo Stato italiano è prostrato ed inerme. Il popolo italiano scuoterà le macerie che su di lui sono state accumulate, si ergerà, e saprà ottenere la giustizia che oggi gli si nega.

Io chiudo facendo alla Costituente una osservazione e una proposta. Col decreto del 16 marzo 1946, nel convocare i comizi elettorali in Italia, fu sospesa, rinviandola ad altri tempi, la convocazione dei comizi elettorali nella Venezia Giulia e nell’Alto Adige. Probabilmente tale convocazione di comizi elettorali non sarà possibile, anche nella migliore delle ipotesi, prima che questa Assemblea termini i suoi lavori. Ed allora, non sente la Costituente la necessità di integrarsi coi rappresentanti di quella che ormai è la parte principale ed essenziale d’Italia?

Una voce. In che modo?

CONDORELLI. Si autointegri la Costituente nella sua sovranità. I modi possono essere studiati. Si può dare un voto plurimo a quei rappresentanti che già si trovano in questa Assemblea e che sono nativi di quella regione: si possono anche chiamare di autorità dalla Costituente alcuni dei Giuliani che si trovano nel regno (Commenti)…

Una voce. Nella Repubblica!

CONDORELLI… e che purtroppo sono molti. Ma è necessario che mentre si forma questa Costituzione, che deve essere il nuovo patto di unità dell’Italia, quella, che è la melior pars d’Italia, non sia assente. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Coppa.

COPPA. Onorevoli colleghi, il gruppo parlamentare a cui appartengo ha già espresso, attraverso i suoi autorevoli rappresentanti, le ragioni che lo inducono a non appoggiare incondizionatamente il programma del Governo, e ritornarvi su sarebbe per lo meno ozioso.

Pertanto io mi limiterò solo a fare alcuni rilievi, per richiamare soprattutto l’attenzione del Governo su argomenti di particolare gravità, sui quali la relazione del Presidente del Consiglio tace o si è soffermata appena di sfuggita.

E poiché la mia non vuole essere critica, ma, ripeto, solo segnalazione, anche e soprattutto perché – è bene si intenda da tutti – noi non concepiamo l’opposizione fine a se stessa, io mi limiterò ad enunciare quanto in ordine alla politica interna riteniamo abbia particolare carattere di urgenza e richieda l’opera pronta ed energica del Governo.

Non occorrono particolari rilievi statistici per dar colore all’affermazione, che la delinquenza dilaga sotto tutte le sue forme. Basta scorrere i quotidiani. Altri oratori hanno già trattato l’argomento. Ma noi sentiamo il bisogno di insistervi. È proprio vero che l’autentica civiltà di un popolo non si misura soltanto dalla quantità di sapone che consuma o dalla percentuale di analfabeti, ma anche dalla maggiore o minore sicurezza con cui si percorrono le sue strade. Quindi è assolutamente necessario che questa sicurezza ritorni con l’impero della legge, magari ricorrendo a misure repressive di particolare energia, come proponeva, se non erro, l’onorevole Persico. E l’impero della legge non può aversi se non attraverso un potenziamento dei corpi di polizia, il cui personale non solo deve essere trattato economicamente bene, ma deve anche essere accuratamente selezionato. Non bastano le benemerenze patriottiche per trasformare un valoroso combattente in un abile agente o in un solerte carabiniere. Se c’è un settore che non può e non deve essere il refugium dei disoccupati, siano pur reduci, questo è proprio quello dei corpi a cui è affidata la tutela dei beni e della vita dei cittadini. E, secondo me, si dovrebbe ritornare alle buone tradizioni di una volta, quando per la scelta di un agente era condizione essenziale l’appartenere ad una famiglia (collaterali compresi) che non avesse avuto mai familiarità col Codice penale. Gli arruolamenti in massa possono costituire solo un rimedio del momento, che non può esimere il Governo dall’attuare man mano un’accurata selezione tra gli agenti così arruolati, e non resi certo inappuntabili e perfetti da alcuni mesi di scuola e di una disciplina che dovrebbe essere rigida.

E credo cada a proposito considerare che sarebbe ora che i corpi di polizia, quelli dipendenti direttamente dalla questura, non fossero manovrati per servire questa o quella corrente politica, ma fossero restituiti allo scopo preciso cui devono servire, di garantire cioè la libertà e la sicurezza di tutti i cittadini, in tutte le ore del giorno e della notte. Accanto alla delinquenza che possiamo definire volgare, esiste un’altra forma di violenza contro la libertà e la vita dei cittadini, ed è quella a carattere politico. La violenza, l’assassinio non possono mai trovare nella passione politica una scusante che ne dissimuli il carattere criminoso. Anzi io penso che il movente politico aggravi maggiormente la criminalità dell’atto, perché, mentre nei confronti del delinquente volgare può talora levarsi la voce dello scienziato, che verrà a parlarvi di ereditarietà e di costituzione, o quella del sociologo, che ricercherà più nella miseria che nel vizio le radici remote o prossime del delitto; nei confronti del delitto politico, quando già questa etichetta non serva di comoda quinta per una vendetta personale, il più delle volte agiscono il calcolo, il proposito, la premeditazione, ed è quindi, l’organizzazione dell’agguato e dell’intimidazione, espressione suprema di ferocia e di viltà. Non può esistere delitto politico che si sottragga a questo duplice marchio. Nessuno può pretendere di servire un’idea, aggredendo un avversario inerme col vantaggio del numero e della sorpresa. Il sangue delle vittime è il miglior fertilizzante dell’idea che si vuol sopprimere con l’uomo. E le idee non si uccidono!

Nel nostro paese, purtroppo, continuano queste aggressioni a sfondo, diciamo, politico. E chi sa se colui o coloro che le commettono non facciano un preventivo assegnamento su di un’amnistia, quando già non facciano più sicuro affidamento sull’oscurità della notte, in cui, con la vita dell’assassinato, si perdono anche le tracce dell’assassino? Io sono sicuro che il Governo non sia disposto a tollerare che si protragga un simile stato di cose che getta una luce sinistra sul nostro Paese e sulla nostra civiltà.

Accanto a questo tragico fenomeno ve ne sono altri altrettanto dolorosi: l’infanzia abbandonata, la delinquenza minorile, fenomeni questi collegati fra loro, ed il dilagare della corruzione delle adolescenti. Non c’è guerra, specie quando questa guerra investe tutta una nazione, che non travolga, con i valori materiali, anche quelli dello spirito. È il doloroso bilancio che pesa più di qualsiasi distruzione materiale. Perché a questa si pone riparo, in un tempo più o meno, lungo; le devastazioni morali invece diventano irreparabili, se non soccorre una tempestiva, vasta, minuziosa opera di risanamento spirituale e di rieducazione, che non può esplicarsi senza il concorso degli appositi istituti di ricovero, in cui i fanciulli e le fanciulle devono apprendere ad amare l’onestà e il lavoro. Il lavorò costituisce certo la migliore profilassi della delinquenza.

E veniamo ad un altro problema che, se fosse altrettanto grave nella realtà così come lo è nella sua enunciazione, io riterrei prossimo il giorno in cui noi riperderemmo il bene, l’unico bene, che in questo tormentato dopoguerra abbiamo creduto di aver raggiunto, cioè la libertà.

Si sente dire un po’ dovunque, e di tanto in tanto i giornali ne danno notizie concrete, che nel paese esistono grandi quantità di armi. Leggemmo tempo fa che a Chioggia ed a Bari si sbarcavano armi di imprecisata provenienza. Ogni tanto leggiamo che la polizia ha scoperto un deposito di armi e munizioni di tutti i tipi in questo o quel sito.

Si ha la sensazione di assistere al lento, fatale avvicinarsi di un uragano, di cui si vede in lontananza soltanto il rado lampeggiare.

Perché tante armi nascoste?

Innanzi tutto il Ministero degli interni è al corrente di questa situazione? I fatti corrispondono alle voci? I carabinieri e la polizia sono facilitati nel loro compito dai prefetti e questori, o non piuttosto c’è chi ne ostacoli l’opera?

Queste armi certamente sono a disposizione di forze incontrollate.

Noi non pensiamo neppure per un istante che esse, distribuite, così come si sente dire, un po’ dappertutto, siano espressione di una organizzazione politica, che dovrebbe trovarsele a portata di mano al momento opportuno.

Io penso che nessuno dei partiti politici, che hanno i loro rappresentanti qui dentro, possa essere sospettato di una anche minima corresponsabilità, perché, se così fosse, quel partito sarebbe per ciò stesso fuori legge, essendo evidente lo scopo di una simile organizzazione, quella cioè di sovvertire, armata manu, l’ordine dello Stato.

E allora?

Se le voci raccolte fossero false, nessuno più felice di noi. Ma nel timore che dovessero trovar riscontro nella realtà, noi richiamiamo l’attenzione del Governo sulla gravità del problema, e però ne invochiamo la più energica azione di indagine e rastrellamento, una più stretta vigilanza delle nostre coste, dove può aver luogo il contrabbando delle armi, le più severe sanzioni per i trasgressori della legge.

E per finire su questo aspetto della politica interna, chiedo ai Governo se non aia finalmente il caso di modificare opportunamente le leggi di polizia del 1926, in quel che di esse si è reso incompatibile non solo con il clima democratico, che vuol rinnovare la vita della nazione, ma col presupposto fondamentale del programma di quasi tutti i partiti, che durante la campagna elettorale hanno affermato a gran voce che a base della vera democrazia è il rispetto assoluto della personalità umana; quelle leggi, sotto certi aspetti, sono la negazione di questo principio; e voi, onorevole De Gasperi che siete a capo di un Governo che si afferma democratico, dovete sentire non l’anacronismo, ma l’assurdo di poterne disporre.

Corollario logico di questo rilievo deve essere l’abolizione definitiva dei prefetti e questori politici.

Ma c’è un punto della relazione del Presidente del Consiglio che ha richiamato la mia attenzione ed io intendo esporre le impressioni del mio gruppo.

Il Presidente del Consiglio, nella nobile chiusa del suo discordo, ha fatto appello alla santità dei trattati ed al dovere di reciproca lealtà nella nostra politica interna, che deve ispirarsi alle ormai classiche quattro libertà.

Per chi furono dette quelle gravi parole? Pacta sunt servanda! Ma a quali patti si riferisce l’onorevole De Gasperi? Credo che la risposta al mio interrogativo sia contenuta nelle seguenti parole del Capo del Governo: «Questo Governo, come i precedenti, non intende spostare, come che sia, lo stato giuridico e di fatto esistente nelle zone ove non si ha coincidenza ideologica fra le varie correnti rappresentate nel Governo. Esso si contiene entro i limiti segnati dalle leggi fondamentali e dai vigenti Patti Lateranensi».

È nei confronti dei Patti Lateranensi, onorevole Presidente del Consiglio, che voi avete fatto appello alla santità dei trattati? Naturalmente questo appello non può essere rivolto che alle correnti rappresentate nel vostro Governo e che non coincidono ideologicamente con la vostra.

Io mi auguro di ingannarmi nella interpretazione del vostro pensiero espresso, forse volutamente, in forma alquanto involuta. Ma se la interpretazione fosse esatta, mi permetterei di esprimervi non solo la sorpresa del nostro gruppo parlamentare, ma anche quella di larghissimi strati di elettori non nostri. Questa non coincidenza ideologica è una sorpresa di Governo. Ma nei Comizi elettorali abbiamo, dico abbiamo personalmente ascoltato, non una ma varie volte, discorsi in cui la più aperta professione di fede e di rispetto per la fede e per la Chiesa era fatta da oratori che strenuamente si difendevano dall’accusa di essere rappresentanti di partiti, le cui idee non erano conformi agli insegnamenti della Chiesa. Ed io ho visto manifesti con sacre immagini e mottetti evangelici che non erano del vostro partito, onorevole De Gasperi, e neppure del nostro.

Molti popolani si sono sentiti dire, onorevole Sereni – che non vedo qui presente – che il rosso di un certo simbolo era il rosso del manto del Cristo, che la stella era quella dei Magi, che il martello era quello di Giuseppe, e finalmente la falce era simbolo degli apostoli contadini; ma c’era un piccolo errore: ci voleva la rete perché gli apostoli erano pescatori.

Questo, onorevole Sereni – speriamo che vi sia stato riferito – si dice che abbiate detto voi a Caivano, ove io ho avuto l’onore di succedervi mezz’ora dopo e naturalmente di smentirvi.

Ed ora il Presidente del Consiglio sente il bisogno ed il dovere di rassicurarci, che, nonostante tutto, i Patti Lateranensi non sono in discussione.

I Patti Lateranensi – che, come pochi sanno, sono oggetto di un particolare, meticoloso, studio da parte di un gruppetto di giuristi, studio che si dice sia a buon punto ormai, per vedere se e come essi siano giuridicamente attaccabili – i Patti Lateranensi sono patrimonio del popolo italiano, sono parte intrinseca del patrimonio spirituale del nostro popolo, perché corrisposero e corrispondono al bisogno profondo di poter servire Iddio ed amare la Patria senza restrizioni e senza contradizioni.

Non è questa la sede per impiantare una discussione giuridica che non solo ha importanza dal punto di vista internazionale, ma anche vastissima ripercussione nel campo della politica interna.

Ma non possiamo fare a meno di riaffermare, che il nostro gruppo parlamentare non solo ritiene intangibili i Patti Lateranensi, ma non ammette che possano venire neppure in discussione, a meno che ciò non avvenga col consenso e nei limiti concordati d’ambo le parti interessate.

Può forse negarsi che la stragrande maggioranza del popolo italiano professi la religione cattolica? E se questo è un dato di fatto indiscutibile, quale legislatore oserebbe manomettere ciò che ha soddisfatto alle esigenze di milioni e milioni di cittadini?

Bisognerebbe solo poter affermare il contrario per discutere i Patti Lateranensi in ciò che hanno di sostanziale. Ma tale contraria affermazione dovrebbe derivare soltanto da una consultazione popolare, il cui esito non sarebbe difficile prevedere.

Perché, se per il problema istituzionale si è ritenuto necessario il referendum, con quanta maggior ragione e diritto il popolo italiano potrebbe pretendere di essere interpellato, se si volesse attentare alla garanzia giuridica di quanto esso ha di più alto, di più sacro, di più santo: la sua fede?

E in quest’aula già si rilevano le prime avvisaglie di una lotta che io immagino da tempo meditata e preparata. Ma l’Italia, il popolo italiano, che ascrive a suo sommo onore ed immensa fortuna di avere nel suo seno la Cattedra di Pietro, il popolo italiano che sa che se dolori e lutti gli sono stati in parte risparmiati, lo deve alla Santa Sede, il popolo italiano, che sa che molti di coloro che oggi sono disposti a lottare contro la Chiesa furono e sono salvi, e di essi alcuni sono presenti qui dentro, perché Pio XII li accolse e protesse senza domandar loro se fossero amici o nemici, il popolo italiano, di fronte a un tentativo di denunziare unilateralmente il Concordato, insorgerebbe e griderebbe all’inganno e noi uomini qualunque denunzieremmo al paese il tradimento che i suoi rappresentanti volessero consumare ai suoi danni dopo tante e ripetute dichiarazioni, in periodo elettorale, di ossequio verso la Chiesa e di rispetto del sentimento religioso dei popolo.

Qui non si ha il diritto di parlare contro la Chiesa e la religione, quando fuori di qui, fino al 2 giugno, ci si è sforzati di far bene intendere che le questioni economiche e politiche non avevano nulla a che vedere con la religione.

Ebbene, è il caso di scoprire il giuoco. I Patti Lateranensi sono una barriera ben più salda di qualsiasi forma istituzionale: hanno una base granitica.

Chi tocca i Patti Lateranensi è contro la religione e la Chiesa.

Il Concordato non può essere ritoccato se non di comune accordo, ed in quanto si riconosca da entrambe le parti l’utilità o la necessità di provvedervi. Oltre questo punto non c’è che la lotta alla religione, ed il popolo italiano lo deve sapere chiaro e tondo.

Perché c’è poco da illudersi: il mondo non è agitato se non alla superficie per le apparenti questioni economiche. Il sostrato profondo della lotta è tra due opposti mondi di idee, tra il mondo dello spirito ed il mondo della materia, tra una civiltà cristiana e una civiltà anti cristiana. (Applausi al Centro e a destra). Quest’Assemblea Costituente, che inizia i suoi lavori di costruzione dell’edificio costituzionale del Paese, può e deve porre come pietra angolare della nostra Costituzione i Patti Lateranensi, espressione e sintesi dei valori eterni dello spirito e del carattere cristiano che sono la base della civiltà italica.

Perché, è bene riaffermarlo, la frattura che separa i due mondi in conflitto è insanabile, il baratro che li divide è abissale. L’uomo qualunque è sulla sponda ove son coloro che credono nei supremi valori dello spirito, e questa sua fede erge a vessillo per la lotta di oggi e per quelle di domani. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Bruni.

BRUNI. Sul programma del Governo ha ormai interloquito un numero così grande e vario di oratori, che a me resta ben poco da dire utilmente.

Con la massima concisione toccherò tuttavia un aspetto della nostra questione della pace, un aspetto della nostra questione economica, ed infine aggiungerò una postilla relativa al problema della convivenza, in questa nostra Repubblica, delle diverse famiglie spirituali che la compongono, problema al quale l’onorevole Presidente del Consiglio ha fatto un rapido, ma significativo accenno nel suo discorso.

Questione della pace. L’onorevole De Gasperi, nelle sue dichiarazioni, ha voluto particolarmente sottolineare, a mio giudizio, il problema della Venezia Giulia.

Non v’è dubbio che attorno a questo problema graviti una massa notevole dei nostri interessi, non soltanto di ordine materiale, ma dirò soprattutto di ordine spirituale e sentimentale.

Bisogna proprio riconoscere, con profondo rammarico, che la sistemazione escogitata per i nostri confini orientali offende gravemente la giustizia; e la offende non per ragioni di puro prestigio della nostra Nazione o del nostro Stato, ma in quanto si vuol decidere delle sorti di quelle popolazioni, senza tener conto delle loro aspirazioni.

Applicare, pertanto, il principio dell’autodecisione dei popoli nei loro confronti ed ordinarne quindi il risultato al carattere internazionale che senza dubbio possiede il porto di Trieste, ecco, a mio parere, la via dell’onestà da seguire.

L’onorevole Lombardi ha fatto cenno alla possibilità di allargare i confini del piccolo Stato che ora si vorrebbe creare attorno a Trieste. Anche questa non è una soluzione da scartare.

L’anno scorso mi giungeva un ordine del giorno votato dalla Federazione provinciale di Treviso del Partito cristiano sociale, di cui in questa Assemblea sono l’unico rappresentante, in cui si auspicava da quei miei compagni, che pure devono vivere la passione, come ora si dice, dei confini, la creazione di uno Stato Giuliano che dovesse arrivare fino al Quarnaro, Fiume compresa.

L’onorevole Lombardi mi ha fatto ricordare quest’ordine del giorno, e ritengo che, in considerazione dello svolgersi degli avvenimenti, questa proposta e questo auspicio debba essere preso in considerazione dal Governo, almeno come il minor male per la salvaguardia dei nostri interessi nazionali, per la libertà ed il benessere delle popolazioni in causa e per avviare i rapporti italo-jugoslavi verso una amichevole composizione.

Preoccupante ed anch’essa lesiva della giustizia, benché avente carattere provvisorio, è la sistemazione escogitata per le nostre colonie; ma temerei di offendere la verità se non dichiarassi particolarmente inintelligente l’assetto che si vorrebbe dare ai nostri confini occidentali, sui quali nessun problema poteva essere ragionevolmente sollevato.

E ora due brevi osservazioni attorno alla polemica sorta in questi ultimi giorni sulle condizioni di pace che ci vogliono imporre.

Quasi tutti hanno voluto rimarcare, per sostenere la nostra giusta causa e gridare contro l’ingiustizia altrui, il contributo – senza alcun dubbio notevole – di uomini e cose, da noi dato alla causa comune.

A questo proposito tengo a dichiarare che il nostro contributo, anche se fosse stato immensamente più grande, non ci avrebbe dato alcun diritto – in una revisione generale dell’assetto mondiale – a perpetuare delle condizioni d’ingiustizia, qualora fossero esistite, e nella misura che fossero esistite, nelle nostre colonie e sui nostri confini.

E non credo sia neppure il caso di menar vanto delle dimostrazioni di buona volontà date dal nostro Ministro degli esteri alla causa della pace e della concordia internazionale, perché, come molti hanno voluto osservare, non essendo state quelle dimostrazioni negoziate, non avendo avuto esse delle contropartite, hanno forse costituito un atto dì troppo fine diplomazia per poter essere intese ed apprezzate.

Ma non sono queste piccole cose che preferisco sottolineare. Sento invece il dovere di richiamare soprattutto l’attenzione dell’Assemblea sopra un problema assai più vasto di quello stesso dei nostri confini, delle nostre colonie, della nostra flotta e delle riparazioni che ci vorrebbero far pagare; problema che incide sul nostro benessere nazionale assai più di tutti gli altri problemi; e questo è il problema della pace in generale, e del futuro assetto giuridico, politico ed economico-sociale del mondo.

In occasione del nostro dolore e dei nostri giusti risentimenti sarebbe ingiusto che questa Assemblea non sapesse trovare una espressione di solidarietà e di simpatia verso tutte le altre Nazioni sorelle che i vincitori hanno sistematicamente depauperato ed assoggettato politicamente ed economicamente.

Riparazioni iperboliche; deportazioni di popoli interi; linee di demarcazione; zone di influenza; spazi vitali. Siamo ancora, più di prima, in pieno caos internazionale; siamo ancora alla trincea, alla vita della jungla. In un mondo così fatto, quale potrà essere l’avvenire della nostra Nazione? C’incombe l’obbligo, per noi e per gli altri, di lavorare per mutarlo. Ciò che presiede alle relazioni tra i popoli non è un diritto oggettivo, una norma di universale valore – e perciò in grado di affratellare tutti, vinti e vincitori – ma la regola disgregatrice del proprio «particulare».

Tutti sono in affannosa ricerca della propria sicurezza, della propria pace, quando addirittura non coltivano sogni folli di egemonia e non si accorgono – o mostrano di non accorgersi – che l’una e l’altra si trovano in strettissima funzione della pace e della sicurezza di tutti e del rispetto dei diritti inalienabili della persona umana, non importa a quale famiglia razziale, nazionale, sociale, religiosa essa appartenga.

È certo malinconico constatare come da tutti siano stati traditi – in così grave misura – i principî ei valori della civiltà cristiana – e con ciò la stessa causa dell’uomo – in un momento così solenne della storia dell’umanità, dopo il terribile disastro della guerra e mentre si annuncia un’era pericolosa a causa della scoperta di terribili energie fisiche distruttive, che non fanno che aggravare le condizioni della vita del mondo, in difetto delle superiori energie dello spirito.

Raccomando perciò al Governo, se pure gli verrà dato di interloquire in qualche modo nella pace, o se anche questa opportunità gli venisse ingiustamente negata, di fare tutto il possibile, servendosi all’uopo di tutti i mezzi diplomatici e di propaganda a sua disposizione, per promuovere un nuovo assetto internazionale in cui i nostri e gli altrui interessi ed aspirazioni di pace e di progresso troverebbero certamente la migliore delle garanzie. La battaglia per i confini non si combatte utilmente che col cercare di superarli.

E passo alla questione economica.

L’onorevole Presidente del Consiglio ha presentato un programma economico tracciato a così grandi linee, da non permettermi né un giudizio sicuro, in alcune sue parti, né tanto meno favorevole nel suo assieme.

Può essere una semplice impressione, ma a me pare che sia stato tracciato con la preoccupazione che non prestasse il fianco a seri attacchi della critica formale, più che con la fiducia di poterlo realizzare.

E se si guarda bene, non poteva questo programma destare la fiducia neppure agli stessi suoi autori. Perché in questo programma è promesso ciò che purtroppo non potrà essere realizzato nella breve vita di un Gabinetto – ossia un livello umano di esistenza per tutti – e non è contenuto quel tanto che invece poteva essere mantenuto.

Bisogna riconoscere che promettere il ribasso dei prezzi di produzione, e quindi un salario e un pane a tutti sufficiente, non è davvero poco a questi lumi di luna.

A tal proposito mi permetterò di incoraggiare il Governo, non solo ad adeguare i salari, gli stipendi e le pensioni; ma soprattutto a far sì che tutti i disoccupati possano lavorare e tutti, come si sia, abbiano un salario o uno stipendio. Veramente questo è l’obbligo di onore che il Governo dove assumersi, prima di ogni altra cosa. Far sussistere le cause sociali della miseria rappresenta un peccato gravissimo della comunità, che questa non può né deve tollerare. Ogni provvedimento di emergenza, come ora si dice, deve essere messo in opera per cancellare questa vergogna dalla faccia della nostra società.

Il Governo presenti pure a questa Assemblea leggi di eccezione ed essa, nel suo alto senso di responsabilità umana, non mancherà di approvarle.

Tutti questi provvedimenti per dare un pane a chi non l’ha rivestono dunque un carattere della massima urgenza. Ma bisogna tuttavia confessare che non sono sufficienti. Con essi la situazione umana dei lavoratori viene ben poco a mutare.

L’uomo non vive di solo pane; e la nuda promessa del pane non giova neppure perché gli uomini mettano tutto in opera per procacciarselo.

In questo programma economico di dopo fascismo, di dopo guerra, di pieno periodo rivoluzionario in atto di tutti gli ordinamenti sociali, manca un’anima; e vanamente riuscirete a scorgervi, onorevoli colleghi, il fermento di quella nuova vita, la promessa di quei nuovi ordinamenti per l’avvento dei quali molti di voi per tanti anni si sono sobbarcati alla miseria, hanno subito persecuzioni ed hanno affrontato l’esilio e la prigione.

Non di solo pane vive l’uomo; ma anche, e soprattutto, di libertà e di giustizia.

Nel programma economico del Governo vedo pertanto frustrate le più nobili aspettative del popolo lavoratore.

Mentre cerchiamo affannosamente il nostro pane quotidiano, non meno affannosamente cerchiamo riforme di struttura, che finalmente sciolgano l’uomo da ogni servitù.

È il problema della libertà e della dignità umana nel campo degli ordinamenti economici che vedo trascurato nel programma del Governo. E in ciò sta il suo difetto, senza dubbio più grave.

Chiedo pertanto al Governo – la cui responsabilità di direzione cade soprattutto sugli attuali tre partiti di massa – di calmare l’apprensione popolare, di colmare la grave lacuna lamentata, e di dare una dimostrazione – sia pure iniziale e parziale, ma chiara – che in Italia si vogliono abbandonare le vecchie vie e seguire le nuove; che si vuole uscire dalla mediocrità sociale in cui ci dibattiamo da troppo tempo, sotto il cui peso geme l’anima cristiana, e che non è affatto adatta a contribuire efficacemente ad accelerare lo stesso ritmo produttivo, perché, in un ordinamento economico dove l’uomo non possa vivere da par suo, mancherà a lui lo slancio per conquistare anche il mondo della materia.

Il Governo mostri d’essere più coraggioso nella promessa espropriazione del latifondo e non circondi questa annosa questione e questa urgentissima operazione di formule anodine. Questa riforma, condotta onestamente a termine nel più breve tempo possibile, aprirà la via ad operazioni di ben più vasta portata, le quali dovranno dare la terra, tutta la terra, a coloro che – in un modo o in altro – concorrono personalmente a renderla produttiva.

L’onorevole Giannini non veda in ciò un’offesa al sacro principio della proprietà privata; noi, e parlo a nome degli amici cristiano-sociali, non vogliamo abolire la proprietà, ma darla esclusivamente a tutti coloro che ne fanno il posto del proprio lavoro e la ordinano al bene comune.

Il Governo presenti, inoltre, precise proposte di legge per la nazionalizzazione integrale degli istituti di credito, delle assicurazioni, delle industrie idroelettriche.

Queste operazioni sarebbero fondamentalmente urgenti e sommamente indicative.

Ci dia l’impressione che si intende combattere in forma radicale i privilegi; ci faccia nascere la fiducia in una prossima fine dell’attuale disordine stabilito. Includa questi modesti propositi nel suo programma. È il meno che potrebbe fare.

Non si limiti a scalfire reverenzialmente il regime capitalistico, ma incominci a colpirlo a morte.

II programma del primo Governo della Repubblica italiana ci ridia la fiducia negli uomini.

Gli amici socialisti, comunisti e democristiani mi perdonino il rilievo; ma io non arrivo a comprendere come dei cristiani e dei marxisti abbiano potuto accordarsi sopra un programma di Governo così incredibilmente timido sotto alcuni aspetti.

Un’altra questione – non meno importante di quella della nostra pace e della nostra economia – è la questione della convivenza, in questa nostra Repubblica, delle diverse correnti, come ora si dice, ideologiche.

A questo proposito l’onorevole Presidente del Consiglio ha voluto fare appello alla santità dei trattati, e in particolare al rispetto dei Patti Lateranensi.

Ma perché l’onorevole De Gasperi ha sentito il bisogno di fare questo esplicito richiamo ai Patti Lateranensi? Crede forse che questi Patti siano in istato di crisi? Nutre forse dei timori? Spero, ad ogni modo, che i suoi timori non riflettano il Trattato: io credo che nessun italiano, che sia cosciente degli interessi del proprio Paese, abbia intenzione di rimettere in discussione il Trattato e riaprire, in tal modo, la «questione romana». Ma sul Concordato invece – e qui bisogna riconoscere che i timori dell’onorevole De Gasperi, se mai ne nutra, non sarebbero infondati – non esiste la stessa unanimità di giudizio.

Infatti, alcuni lo vedrebbero volentieri abolito e volentieri vedrebbero instaurato in Italia un regime di separazione.

Ora io penso che non si possa instaurare in Italia un tale regime, che poi dovremmo vedere necessariamente smentito nella pratica di Governo, senza dire che potrebbe risultare gravemente lesivo della giustizia.

Moltissimi, al contrario, optando per lo Stato aconfessionale ma non areligioso, desiderebbero sostituire l’attuale Concordato con altro strumento, oppure modificare il vecchio in alcuni suoi articoli, in modo da renderlo più conforme alla missione della Chiesa Cattolica in un regime di libertà e di democrazia, quale noi ci prepariamo ad inaugurare.

Costoro giudicano il vigente Concordato come un documento peculiare dello Stato totalitario fascista e lo vorrebbero mondare dalle tracce di regalismo e di giurisdizionalismo ch’esso presenta.

Perciò chiedono che dal Concordato siano fatti scomparire tutti gli anacronistici resti di ingiustificata ingerenza dello Stato negli affari ecclesiastici e vengano cancellati quegli articoli con i quali si tentò di aggiogare al carro fascista la missione spirituale della Chiesa.

Osservano costoro che chi ancora nutrisse eventualmente qualche nostalgia per gli exequatur o i placet di regia memoria, o per il beneplacito preventivo di mussoliniana memoria, somiglierebbe assai a quel tale Governo piemontese di appena cent’anni fa, che tra le sue prerogative in materia ecclesiastica si riservava, tra l’altro, la facoltà di autorizzare gli ecclesiastici ad assentarsi dalla propria parrocchia, di benedire i paramenti sacri, e di portare la parrucca.

Vogliono dunque costoro che la Chiesa Cattolica sia lasciata libera nella nomina dei suoi vescovi e dei suoi parroci o in tutto il suo regime interno; come vogliono che siano altresì libere le chiese protestanti nella nomina dei loro ministri e pastori e nel loro regime interno; e libera la chiesa israelitica nella nomina dei suoi rabbini e nella sua interna amministrazione.

Ma qui io non voglio anticipare le discussioni in questa materia, che certamente sarà ampiamente trattata in altra occasione, e concludo il mio discorso con due osservazioni, sempre sullo stesso argomento.

Prima osservazione: sino a che il Concordato del Laterano non potrà essere modificato con il consenso delle due parti contraenti, la giustizia vuole e la pacificazione sociale richiede che esso sia rispettato scrupolosamente.

Per questo accetto l’appello dell’onorevole Presidente del Consiglio alla santità dei trattati.

Seconda osservazione: non si può risolvere secondo equità il problema della pacificazione degli italiani, della civile convivenza fra le diverse famiglie religiose e metafisiche, del mutuo rispetto e della tanto necessaria amicizia politica fra loro, se non garantendo a ciascuna di esse le condizioni esterne di sviluppo conformemente alla natura di ognuna, sulla base comune del rispetto della morale e dei diritti naturali, sacri ad ogni uomo, i quali non permettono che il criterio religioso e metafisico possa essere chiamato in causa per eventuali discriminazioni di carattere politico e sociale. (Applausi).

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro ad interim degli affari esteri, per conoscere i motivi che hanno fatto sospendere dall’agosto 1945 il rimpatrio di prigionieri dall’Australia.

«Mazza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, sui provvedimenti urgenti che intendono prendere per lenire la grave disoccupazione che colpisce la grande massa dei lavoratori agricoli della Puglia; disoccupazione che tenta di utilizzare la reazione agraria, provocando fatti luttuosi come quelli recenti di Sansevero (Foggia).

«Di Vittorio».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere:

1°) se debba, nei suoi propositi, prolungarsi in concreto ancora per molto il problema dei reggenti Presidi e Provveditori, i quali nominati a suo tempo in via provvisoria dagli Alleati, spesso su designazione dei C.L.N. in funzione esclusivamente politica, rimangono troppo spesso ancora a quei posti, i quali viceversa dovrebbero essere rioccupati dai funzionari tecnici di ruolo, ora pienamente assolti dai procedimenti di epurazione, e che, malgrado ciò restano – sebbene pagati – inoperosi;

2°) se ritenga consentaneo, nell’interesse della Scuola italiana che, a capo di uffici centrali da cui dipendono grandi settori della istruzione pubblica (personale del Ministero, i Provveditorati agli studi ecc.) siano conservati funzionari di grado e di esperienza inferiore al grado e all’esperienza di coloro che dovrebbero essere guidati;

3°) se non consideri necessario porre finalmente termine alla contraddittorietà e intempestività di molti ordini e direttive ministeriali, mentre per la serietà degli studi è oggi più che mai necessario procedere con metodo e ponderazione sia al centro che alla periferia.

«Tumminelli».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per risanare la gravissima situazione in cui si trovano le Università italiane, in molte delle quali è praticamente sospesa per mancanza di dotazioni ogni attività scientifica e didattica, le collezioni e i musei continuano ad andare rapidamente in rovina per mancanza di materiali di disinfezione e di mezzi di restauro, e al pagamento del personale insegnante e amministrativo si deve provvedere con prestiti bancari ad alto interesse, che aggravano sempre più il pauroso dissesto dei bilanci universitari.

«Calamandrei, Codignola».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per definire la sorte delle Facoltà di scienze politiche, la cui esistenza rimane tuttora in sospeso, con grave disagio di docenti e di studenti, dei quali da più di due anni nessuno sa quale sia esattamente la situazione giuridica; ed in special modo come intenda provvedere alla ricostituzione dell’Istituto di scienze sociali e politiche «Cesare Alfieri» di Firenze, in ossequio alle alte tradizioni liberali di questo Istituto, il cui patrimonio autonomo fu assorbito nel bilancio dell’università di Firenze: ricostituzione che già trovò il parere favorevole della Consulta e del Consiglio superiore della P.I.

«Calamandrei, Codignola».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e dell’assistenza postbellica, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare per continuare nel prossimo anno accademico 1946-47 l’assistenza agli studenti reduci e per ovviare ai gravissimi inconvenienti causati nel decorso anno dalla mancata coordinazione tra i provvedimenti del Ministro della pubblica istruzione, che hanno istituito i corsi di integrazione divisi in due semestri per ogni anno, e i provvedimenti del Ministro dell’assistenza postbellica, che hanno limitato ad un solo semestre le erogazioni destinate a provvedere al mantenimento degli studenti iscritti a tali corsi, coll’assurda conseguenza che alle Università che hanno fin dall’inizio del primo semestre provveduto con loro mezzi ad anticipare agli studenti reduci il vitto e l’alloggio, affidandosi alle istruzioni contenute nelle circolari ministeriali, il Ministero dell’assistenza postbellica nega il rimborso delle spese anticipate.

«Calamandrei, Codignola».

«Le sottoscritte chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro delle finanze, per sapere se non ritengano necessario, mentre il Governo si dispone ad affrontare il gravissimo problema del finanziamento del programma di lavori pubblici e di assistenza sociale, che solo giustifica la sua formazione ed anima la fiducia che lo sostiene, di avocare senza ritardo alle casse dello Stato i beni che già furono della corona, per devolverli, con tassativa disposizione di legge, all’azione di assistenza immediata dell’infanzia e della adolescenza, minacciate tragicamente nell’attuale dissoluzione della vita economica e sociale del Paese cui ancora non si è saputo porre argini, nella loro fisica e morale esistenza.

«Rossi Maria Maddalena, Montagnana Rita, Minella Angiola, Pollastrini Elettra, Noce Teresa, Iotti Leonilde, Gallico Nadia, Merlin Lina, Bianchi Bianca».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Governo, per sapere quali provvedimenti intenda adottare per l’urgente bonifica dei campi minati che tuttora rendono improduttivi (nella sola provincia di Ravenna oltre 4000 ettari), terreni già fertilissimi con grave danno dell’economia locale e nazionale, tenendo presente che un ritardo oltre il mese di novembre significa la perdita dei prodotti per un’altra annata; e per sapere se non ritenga equo abrogare il decreto legge luogotenenziale 12 aprile 1946, n. 320, mediante in quale si intende porre a carico dei proprietari, già tanto duramente colpiti (salvando, però, a spese della propria distruzione, le ricche regioni agricole e industriali dell’Italia settentrionale), una quota che varia dal 50 al 60 per cento della spesa di sminatura, mentre parrebbe veramente giusto, che in un equo concetto di solidarietà nazionale, tale spesa dovesse far carico a tutta la Nazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se – stante l’urgente necessità di riattivare il turismo, indispensabile più che mai all’economia nazionale, e in considerazione che molti alberghi lesionati per la guerra sono tuttora inabitabili, perché i rispettivi proprietari non mettono mano alle riparazioni – voglia autorizzare i comuni a requisire gli alberghi stessi per curarne le riparazioni e poi gestirli o affittarli ad albergatori, ricuperando colla pigione le somme spese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canepa».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della marina, dei trasporti e dell’agricoltura (Alto Commissario per l’alimentazione), per sapere perché lo scarico del grano e del carbone viene fatto in Sicilia solo nei porti di Palermo, Messina, Catania e Siracusa trascurando quello di Trapani, che è da tempo in condizioni di ricevere piroscafi di oltre ottomila tonnellate; se non creda urgente riparare a tale omissione e perché Trapani città martire, ha e deve avere gli stessi diritti delle altre città e per decongestionare il traffico ferroviario insufficientissimo per mancanza di carbone e per dare lavoro alle categorie dei lavoratori di Trapani che da tempo sono disoccupati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nasi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica), sulla urgente necessità di provvedere in provincia di Rovigo ad una pronta assistenza ai reduci tubercolotici. Il numero dei posti letto a disposizione è insufficiente nei vari ospedali, mentre dal punto di vista igienico-sanitario la promiscuità degli ammalati tubercolotici con altri malati è pericolosa. L’ufficio dell’assistenza postbellica di Rovigo ha proposto l’adattamento a sanatorio di un fabbricato in comune di Crespino (Rovigo).

«L’interrogante chiede di conoscere le decisioni del Ministro sui possibili aiuti per la iniziativa meritevole di pronta attuazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Merlin Umberto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere quando gli operai infortunati in Germania, e rispettivamente le loro famiglie, potranno avere il pagamento delle loro pensioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere, se, ai fini dell’assorbimento della disoccupazione, non creda conveniente procedere all’allargamento e completamento della strada Trento-Fricca-Vicenza, che costituisce il più breve allacciamento della Venezia Tridentina colla pianura veneta, essendo tale arteria di grande interesse interregionale e nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle poste e telecomunicazioni e delle finanze, per sapere se è a conoscenza del Governo che gli uffici del registro impongono alle sezioni dei partiti politici il pagamento del contributo obbligatorio di abbonamento alle radioaudizioni circolari, di cui agli articoli 14 e 15 del Regio decreto-legge 17 novembre 1927, n. 2207, modificato col decreto-legge 1° dicembre 1945, n. 834; il che è manifestamente illegittimo non potendo essere considerati «associazioni» i partiti politici, i quali comunque debbono considerarsi come aventi scopi culturali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Michele».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’assistenza post-bellica, per conoscere se e quali provvedimenti intenda adottare a favore delle famiglie di caduti nei campi di prigionia, dei mutilati e invalidi provenienti dagli stessi campi; se non creda di dare disposizioni perché sia rimborsato al reduce quanto speso per le svariate cure di cui ebbe bisogno al suo rientro in patria, mancando tempestive disposizioni o non trovando la dovuta assistenza; e se non creda di estendere ai reduci i provvedimenti già adottati a favore dei partigiani. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali motivi impediscono che venga estesa all’Amministrazione delle ferrovie dello Stato la applicazione del decreto legislativo luogotenenziale 26 marzo 1946, n. 138, che reca le «norme integrative per la riassunzione e l’assunzione obbligatoria dei reduci nelle pubbliche Amministrazioni. (Gli interroganti chiedono la risposta, scritta).

«Cappelletti, Rumor, Valmarana, Segala, Faccio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della guerra, per conoscere i motivi per i quali gli indennizzi di occupazione e quelli derivanti dalle esplosioni avvenute nel 1944-1945, nel deposito esplosivi in Tormini di Brescia, già liquidati dalla competente sezione del genio militare di Brescia, non siano ancora ad oggi pagati agli interessati, nella maggioranza piccoli proprietari senza altre risorse all’infuori del godimento del loro terreno. (Gli interroganti chiedono, la risposta scritta).

«Bulloni, Montini, Bazoli».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della guerra e dell’assistenza post-bellica, per sapere se non ritengano urgente e doveroso emanare disposizioni dirette a:

1°) attribuire ai partigiani, per ogni effetto morale e legale, la qualifica di «combattente»;

2°) riconoscere finalmente i gradi partigiani, per i quali da oltre un anno si discute, senza risultato, sulle proposte del C.V.L.;

3°) disporre che tutti i mutilati ed invalidi della guerra di liberazione siano ammessi all’assistenza protetica e sanitaria dell’Opera nazionale invalidi di guerra, secondo la delibera 5 maggio 1945 del Commissario straordinario della O.N.I.G. del Nord;

4°) risarcire i danni, particolarmente riguardanti attrezzi di lavoro, abitazioni popolari, e case coloniche, subiti dai partigiani e dalle loro famiglie in accertata conseguenza della lotta per la liberazione;

5°) liquidare le pensioni di guerra a tutti i partigiani mutilati ed invalidi, alle famiglie dei caduti partigiani e deportati, ai minorati reduci dai campi di deportazione e di internamento;

6°) riordinare le Commissioni per l’attribuzione delle qualifiche di partigiano, attribuendo maggior ampiezza e rigore di poteri alla Commissione di secondo grado, così da dare certezza che l’attribuzione stessa sia conferita soltanto a coloro che hanno effettivamente preso parte durante la lotta di liberazione a formazioni militari. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Vigorelli, Bonfantini, Caldera, Boldrini, Cavalli, Barontini Ilio, Cavallotti, Cremaschi».

«I sottoscritta chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’assistenza post-bellica, per sapere se – in vista del prossimo rimpatrio di tutti i prigionieri e internati italiani – non ritengano necessario:

  1. a) integrare e coordinare le disposizioni fin qui emanate per il collocamento obbligatorio e per gli assegni alimentari a favore dei reduci;
  2. b) istituire un unico Centro nazionale per la raccolta e il coordinamento delle diverse e spesso contraddittorie informazioni sui dispersi della guerra 1940-43 e della lotta di resistenza;
  3. c) rivendicare al Governo italiano la facoltà esclusiva di discriminazione politica e morale degli italiani, anche se in mani straniere, in ispecie per quanto riguarda la precedenza nei rimpatri e le eventuali sanzioni. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Vigorelli, Cavalli, Boldrini, Caldera, Bonfantini, Cavallotti, Cremaschi, Barontini Ilio».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Presidente del Consiglio, circa i motivi che hanno indotto il Governo a tollerare la propaganda elettorale fatta dal clero in chiesa o in radunanze di carattere religioso; e quali provvedimenti siano stati adottati verso coloro i quali hanno violato la legge.

«Calosso».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora i Ministri competenti non vi si oppongano nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 20.15.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì.

Alle ore 16,30:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.