ASSEMBLEA COSTITUENTE
VIII.
SEDUTA DI VENERDÌ 19 LUGLIO 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT
indi
DEL VICEPRESIDENTE GRANDI
INDICE
Sul processo verbale:
Pellizzari
Congedi:
Presidente
Costituzione e convocazione della Commissione per la Costituzione e della Commissione per i Trattati internazionali:
Presidente
Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:
Martino Gaetano
Molè
Lombardi Riccardo
Romano
Angelini
Finocchiaro Aprile
Presidente
Mattarella
Aldisio, Ministro della marina mercantile
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri
Guidi Angela Maria
Interrogazioni e interpellanze (Annunzio):
Presidente
Molinelli, Segretario
La seduta comincia alle 16.30.
MOLINELLI, Segretario, leggo il processo verbale della, seduta precedente.
Sul processo verbale.
PELLIZZARI. Chiedo di parlare sul processo verbale, circa le parole da me pronunziate riguardo al Ministero della pubblica istruzione.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLIZZARI. Gli accenni che ieri ho fatti circa l’afasia e l’atassia del Ministero dell’istruzione nell’anno decorso, da qualche collega sono stati intesi in senso troppo estensivo a carico del collega onorevole Molè. Desidero dichiarare che quelle mie parole non miravano a diminuire la stima personale e politica della quale l’onorevole Molè è pienamente degno. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputali Lazzati e Mattei Teresa.
(Sono concessi).
Costituzione e convocazione della Commissione per la Costituzione e della Commissione per i Trattati internazionali.
PRESIDENTE. Comunico che, valendomi della facoltà conferitami dall’Assemblea, ho chiamato a far parte della Commissione per la Costituzione i seguenti Deputati:
Ambrosini Gaspare, Amendola Giorgio, Basso Lelio, Bocconi Alessandro, Bordon Giulio, Bozzi Aldo, Bulloni Pietro, Calamandrei Piero, Canevari Emilio, Cappi Giuseppe, Caristia Carmelo, Castiglia Pietro, Cevolotto Mario, Codacci Pisanelli Giuseppe, Colitto Francesco, Conti Giovanni, Corsanego Camillo, De Michele Luigi, De Vita Francesco, Di Vittorio Giuseppe, Dominedò Francesco Maria, Dossetti Giuseppe, Einaudi Luigi, Fabbri Gustavo, Fanfani Amintore, Federici Maria, Finocchiaro Aprile Andrea, Fuschini Giuseppe, Ghidini Gustavo, Giua Michele, Grassi Giuseppe, Grieco Ruggero, Iotti Leonilde, Lami Starnuti Edgardo, La Pira Giorgio, La Rocca Vincenzo, Leone Giovanni, Lombardo Ivan Matteo, Lucifero Roberto, Lussu Emilio, Maffi Fabrizio, Mancini Pietro, Mannironi Salvatore, Marchesi Concetto, Marinaro Francesco, Mastrojanni Ottavio, Merlin Lina, Merlin Umberto, Molè Enrico, Moro Aldo, Mortati Costantino, Nobile Umberto, Noce Teresa, Paratore Giuseppe, Penna Ottavia, Perassi Tomaso, Pertini Sandro, Pesenti Antonio, Piccioni Attilio, Ponti Giovanni, Porzio Giovanni, Rapelli Giuseppe, Rossi Paolo, Ruini Meuccio, Simonini Alberto, Targetti Ferdinando, Ravagnan Riccardo, Taviani Emilio Paolo, Terracini Umberto, Togliatti Palmiro, Togni Giuseppe, Tosato Egidio, Tupini Umberto, Vanoni Ezio, Zuccarini Oliviero.
Avverto che la Commissione è convocata per domani sabato alle ore 10, perché proceda alla sua costituzione, nominando il Presidente, tre Vicepresidenti e tre Segretari.
Comunico pure che, valendomi della stessa facoltà conferitami dall’Assemblea, ho chiamato a far parte della Commissione per i Trattati internazionali i seguenti Deputati:
Bertone Giovanni Battista, Bettiol Giuseppe, Bonomi Ivanoe, Bosco Lucarelli Giambattista, Cianca Alberto, Colonnetti Gustavo, Cosattini Giovanni, De Unterrichter Jervolino Maria, Ermini Giuseppe, Giordani Igino, Gronchi Giovanni, Jacini Stefano, Labriola Arturo, Lombardo Matteo Ivan, Longo Luigi, Manzini Raimondo, Matteotti Matteo, Montagnana Mario, Montini Lodovico, Negarville Celeste Carlo, Nitti Francesco, Orlando Vittorio Emanuele, Pacciardi Randolfo, Pajetta Gian Carlo, Parri Ferruccio, Patrissi Emilio, Pellizzari Achille, Persico Giovanni, Pieri Gino, Rossi Maria Maddalena, Russo Perez Guido, Selvaggi Vincenzo, Sforza Carlo, Silone Ignazio, Togliatti Palmiro, Treves Paolo.
La Commissione è convocata per domani, sabato, alle ore il, perché proceda alla sua costituzione, nominando il Presidente, due Vicepresidenti e due Segretari.
Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
È inscritto a parlare l’onorevole Martino Gaetano. Ne ha facoltà.
MARTINO GAETANO. Non è possibile, onorevoli colleghi, prendere in esame una dichiarazione programmatica così profondamente innovatrice, almeno in apparenza, come quella dell’onorevole De Gasperi, senza che spontaneamente sorga la questione dei rapporti tra Costituente e Governo, senza cioè che si ripresenti quella questione così acutamente proposta giorni or sono dal collega Calamandrei circa la delega del potere legislativo al Governo durante il periodo della Costituente; questione per la cui discussione è stata proposta un’apposita seduta e della quale dunque io non mi occuperò, tanto più che molto più autorevolmente di me dovrà interessarsene, a nome del gruppo al quale appartengo – gruppo dell’Unione Democratica Nazionale – altro oratore. Ma è certo che fin dall’inizio dei nostri lavori, tale questione ha quasi dominato la nostra discussione. Basti dire che il primo a fare cenno a questo articolo 3 della legge 16 maggio 1946 fu lo stesso Presidente della nostra Assemblea nel suo davvero notevole discorso di insediamento, quando egli, accennando appunto a questa delega dei poteri legislativi al Governo, definì questo un saggio accorgimento del legislatore, poiché in tal modo si realizza un’utile divisione del lavoro e dunque una maggiore sveltezza nell’attività di questa Assemblea.
Ora, io mi permetterei soltanto di esprimere qualche riserva a questo proposito. A me pare indubbio che il Paese sia ormai ansioso di tornare ad una effettiva democrazia, e la delega dei poteri legislativi al Governo, mentre esiste un’Assemblea di rappresentanti del popolo liberamente eletti – sia pure eletti con uno scopo ben determinato e diverso da quello dell’ordinario Parlamento – costituisce, a parer mio, una deroga ai principî della democrazia.
Con ciò naturalmente non si vuole da parte paia esprimere sfiducia preconcetta nell’attività legislativa dell’attuale Governo; si vuole solo segnalare o, se preferite, sottolineare che con tale accorgimento, mentre viene da una parte semplificato il compito nostro, viene d’altra parte procrastinata l’instaurazione di una democrazia in Italia. Si vuole soprattutto esprimere l’augurio – che potrà essere considerato da qualcuno forse come un’ingenuità, ma che del resto è già stato espresso, se ben ricordo, ieri dal collega Russo Perez – che il Governo, rinunciando spontaneamente alla propria facoltà di emanare autonomamente norme giuridiche, voglia fornire all’Italia e al mondo la prova che la democrazia non è più soltanto una nostra sincera aspirazione, ma che essa è qui invece una concreta realtà.
Tra la fine del fascismo e il 2 giugno, una democrazia in Italia non poteva esistere, e non esistette. I Comitati di liberazione nazionale e la Consulta furono utili espedienti, ma non potevano rappresentare, e non rappresentarono, un freno o una seria guida all’azione del Governo nel campo legislativo; tanto più che nella caotica situazione, nella quale ci siamo trovati, era più che facile per i Ministri o per il Consiglio dei Ministri emanare provvedimenti o norme identificabili con atti di imperio.
Il professore Arturo Labriola, nel suo brillante discorso dell’altro giorno, disse una cosa esatta, e cioè che tutti i Governi tendono all’abuso dei poteri, che tutti i Governi, anche quelli democratici, amano l’eccesso di potere. Ma io direi ancora di più: più che i Governi è la burocrazia che ama l’abuso di potere, quando non esiste il freno del Parlamento legislativo, soprattutto quando alla direzione dei dicasteri si trovano – come spesso accade – persone non perfettamente fornite di sufficiente conoscenza della materia della loro Amministrazione.
Io non sono di coloro i quali dicono che i Ministri dovrebbero essere dei tecnici; tutt’altro: io ritengo che i Ministri debbano essere soprattutto dei politici. Ma penso che una certa competenza da parte del Ministro politico alla direzione di un determinato dicastero sia soprattutto auspicabile per evitare appunto che il Ministro finisca con l’essere un semplice strumento dei suoi uffici, un semplice strumento della burocrazia. Io non so, ad esempio, quanto grande sia la dimestichezza dell’onorevole Aldisio, del quale io mi onoro di essere un amico, con la navigazione marittima; ma io l’avrei più volentieri visto al Ministero dell’interno, perché nessuno può disconoscere una sua sicura conoscenza in quel ramo, tanto più che egli è già stato Alto Commissario per la Sicilia. Comunque, come esemplificazione per quanto ho detto, cioè per il pericolo che rappresenta, al fine della instaurazione di una vera democrazia nel nostro Paese, da un lato la delega dei poteri legislativi al Governo, dall’altro la presenza di Ministri non sempre sufficientemente preparati alla direzione di determinati dicasteri, io vorrei riferirmi ad un singolo provvedimento legislativo ed alla applicazione che di esso è stata fatta dal Ministero della pubblica istruzione. Alludo al decreto luogotenenziale del 31 agosto 1945, n. 571, relativo alle nomine disposte dalle autorità militari alleate nei territori occupati.
I fatti sono a tutti noti. Nei territori occupati dalle forze alleate, il Governo militare aveva nominato a pubblici uffici persone estranee all’Amministrazione allo scopo di sostituire funzionari che avevano abbandonato il loro posto o altri che erano ritenuti politicamente inidonei. Poiché la Sicilia fu la prima delle regioni italiane ad essere occupata dalle forze militari alleate, le prime nomine furono fatte in Sicilia e 1’11 febbraio 1944, al momento del passaggio della Sicilia all’Amministrazione italiana, il Governo di Salerno pubblicò il Regio decreto-legge n. 31, col quale riconosceva valide queste nomine fatte dagli alleati in Sicilia e stabiliva che la posizione giuridica ed economica dei funzionari nominati dal Governo militare alleato sarebbe stata regolata a norma delle leggi italiane.
Questo Regio decreto-legge fu successivamente confermato dal decreto legislativo luogotenenziale 20 luglio 1944 ed esteso a tutte le regioni italiane.
Ora, il 31 agosto 1945 un nuovo decreto stabiliva invece che le nomine alleate dovessero essere considerate come incarichi provvisori e che le persone preposte ai pubblici uffici dagli alleati avrebbero continuato nell’esercizio delle funzioni ad esse affidate e col trattamento economico corrispondente fino al momento della loro sostituzione da parte delle competenti autorità del Governo italiano.
Non solo. Ma l’articolo 4 di questo decreto legislativo luogotenenziale stabiliva che tale norma dovesse estendersi anche alle regioni precedentemente trasferite all’Amministrazione italiana, annullando cosi i diritti quesiti e rendendo vano ed inefficace l’impegno precedentemente assunto di rispettare queste nomine e considerarle valide agli effetti di legge, come se fatte dal Governo italiano.
Ora, è evidente la gravità sul terreno teorico di questo provvedimento legislativo: il diritto dell’individuo fu leso, sia pure per ragioni di opportunità e sia pure con il consenso delle autorità alleate.
Vediamo ora quale è l’applicazione che di questa legge ha fatto il Ministero della pubblica istruzione: molti di voi sanno che tra l’altro gli alleati nominarono in Sicilia pure dei professori di ruolo nelle Università. Queste nomine non avvennero nella medesima forma discrezionale delle altre nomine alleate, perché le nostre autorità accademiche ottennero dal Governo militare alleato che esse fossero precedute da atti preparatori, che in certo senso fornissero quella garanzia che normalmente deriva dagli ordinari concorsi. Precisamente: stabilirono prima le autorità accademiche quali cattedre dovessero coprirsi e quali dovessero rimanere scoperte; espressero poi le commissioni tecniche costituite da professori di ruolo, nominate dagli Alleati, un giudizio di idoneità e un giudizio comparativo sui titoli dei concorrenti. Infine, le nomine avvennero a posti di professori straordinari, dunque per la durata di un triennio, dopo il quale – a norma delle leggi italiane – una nuova prova avrebbe dovuto essere superata da questi professori ai fini del conferimento della stabilità, cioè un nuovo giudizio espresso da una commissione di professori ordinari, nominata dal Ministro italiano.
Ora, su queste nomine di professori universitari in Sicilia si è fatto un certo chiasso nell’ambiente accademico: i professori nominati sono stati qualificati profittatori o peggio. In realtà, si è giudicato con grande leggerezza: si è dimenticato che occorre conoscere per giudicare. Nessuno si è preoccupato di informarsi prima come erano andate le cose, quali erano i professori nominati, quali titoli avevano. E io vi dirò – io che conosco molto bene la questione – che, intanto, alcuni di questi professori avevano già vinto un concorso nazionale, che la maggior parte degli altri avevano già ottenuto giudizi di idoneità in precedenti concorsi. E, se qualcuno fosse stato veramente inidoneo, l’errore avrebbe potuto essere corretto poi alla prova dell’ordinariato.
Comunque, lasciamo stare tutto questo e vediamo quale applicazione il Ministrò ha fatto del decreto in questo caso.
Il Ministro si pose il quesito se il decreto luogotenenziale fosse applicabile al caso dei professori universitari per i quali le nomine non erano state discrezionali, ma precedute da una specie di concorso, e chiese il parere in proposito della prima sezione del Consiglio di Stato. La prima sezione del Consiglio di Stato diede parere favorevole e pochi giorni fa il Ministro procedette all’applicazione della legge, badate bene, senza nemmeno interpellare le facoltà e gli organi accademici competenti e stabilì semplicemente con un suo decreto, con un atto amministrativo, che i professori nominati dagli alleati dovessero essere considerati come incaricati a partire dal 26 settembre 1945 – giorno successivo alla pubblicazione del decreto – e fino al 31 ottobre prossimo venturo.
Ora, la figura dell’incaricato non è corrispondente a quella del professore straordinario: non sono analoghe né le funzioni, né il trattamento economico. E quel tale decreto legislativo che il Ministro intendeva applicare dice esplicitamente che questi funzionari hanno il diritto di continuare nelle loro funzioni col trattamento economico relativo fino a quando non vengano sostituiti dalla competente autorità del Governo italiano. Nel caso in ispecie, malgrado l’apparenza, la competente autorità non è il Ministro, perché il Ministro non può sostituire un professore senza richiesta della facoltà interessata e senza l’approvazione del Senato accademico.
L’applicazione rigida della legge avrebbe dovuto invece portare a questo: tali professori avrebbero dovuto continuare nell’esercizio delle loro funzioni di professori straordinari fino a quando le Facoltà non ne avessero chiesto la sostituzione o fino a quando non si fosse verificata la «immissione in ruolo» dei medesimi in base ai risultati di concorsi nazionali (previsti dal decreto Luogotenenziale citato).
Io sono lieto di vedere qui l’onorevole Molè, col quale ho discusso parecchio questa faccenda. Ho preso visione di questo decreto solo qualche giorno fa e mi sono accorto che il Ministro ha fatto qualche cosa di più ancora, cioè che egli ha esteso l’applicazione di quella legge anche ai trasferimenti dei professori di ruolo. I trasferimenti non sono nomine. Non solo, ma egli ha annullato, in base a quella legge, concorsi di avventizi dell’amministrazione universitaria per passaggio in ruolo, già approvati dallo stesso Ministero.
Ora, io mi domando, onorevoli colleghi, se tutto questo non rappresenta un vero e proprio atto di imperio, tanto più grave in quanto sancito non già da un provvedimento legislativo, ma da un semplice atto amministrativo; tanto più grave in quanto danneggia notevolmente le università interessate.
Se io vi ho tanto annoiato con questi dettagli non è solo perché la questione vivamente mi interessa nella mia qualità di Rettore di una delle università siciliane, ma è soprattutto perché essa coinvolge principî più elevati. Tutto ciò che calpesta i diritti dell’individuo, offende l’essenza stessa della democrazia. Democrazia non è soltanto una forma di organizzazione dello Stato. Democrazia è anche, e soprattutto, un costume. Lo disse molto autorevolmente, molto bellamente, il Presidente della nostra Assemblea: «la democrazia diviene davvero una realtà vivente ad opera del costume che si stabilisce fra gli uomini». Non vale l’assicurazione dei propri intendimenti se questi non trovano concreta espressione nei fatti. È vano promettere agli uomini la libertà, se non se ne rispettano scrupolosamente i diritti. Giacché voi sapete che la libertà non viene dalla legge. «Das Gesetz gibt uns keine Freiheit», scriveva Goethe: La legge non ci dà la libertà. Badate che ciò è molto importante, perché se noi non sapremo, se voi soprattutto cui è confidato il potere legislativo, non saprete imporvi, non saprete imporre quel costume, il paese si avvierà ancora una volta – e voglia Iddio che io mi inganni! – verso nuovi esperimenti, verso nuove avventure insensate.
Così non deve destare meraviglia se provvedimenti del genere di questo che ho ricordato a titolo di esempio si mostrano suscettibili di promuovere forti correnti di sfiducia nella opinione pubblica della Sicilia, perché i siciliani sono molto sensibili a tutto quello che tocca i diritti dell’individuo. In Sicilia è tradizionale l’attaccamento alla democrazia, l’aspirazione alla libertà. Non bisogna dimenticare che la Sicilia ebbe il suo parlamento prima ancora dell’Inghilterra, e che quello spirito autonomistico, di cui noi abbiamo visto l’esplosione recente col Movimento per l’indipendenza siciliana, ha in sostanza sempre, e fin dalla Communitas Siciliae, fin dalla Repubblica siciliana del 1282, serpeggiato nel popolo, sia pure mutando aspetto e aspirazioni, a seconda delle condizioni economiche e sociali dei tempi.
Io non sono di coloro che amano criticare per principio i passati governi della esarchia, anche perché appartengo a un partito, il liberale, che di questi governi condivide tutta la responsabilità. Ma io penso, onorevoli colleghi, che se noi avessimo sempre ripudiato accuratamente ogni forma, ogni parvenza di prepotere del governo centralizzato, noi avremmo accresciuto la fiducia del popolo nella democrazia, avremmo forse anche accresciuto il nostro prestigio nel mondo. A chi di questo eventualmente dubitasse, vorrei segnalare un articolo del giornale cattolico londinese The Tablet del 7 ottobre 1944, dal titolo «Educazione e rieducazione dell’Italia meridionale», dove si possono leggere frasi di questo genere: «Ora qual è la posizione del nuovo Governo italiano di fronte a tutto ciò? Esso si proclama democratico e le sue solenni affermazioni in proposito sono numerose. Queste affermazioni possono soltanto ritenersi l’opposto della sua azione».
Parole gravi e certamente esagerate.
Ma, d’altra parte, risponde forse al concetto che noi abbiamo della democrazia l’emanare provvedimenti che superano e la lettera e lo spirito della legge, e che incidono sull’attività accademica, senza neppure consultare gli organi interessati?
Badate, io mi riferisco sempre al campo della pubblica istruzione, perché è quello che meglio conosco, ma non mi riferisco al solo esempio che ho fornito. Altri esempi potrei fornirvi se non avessi timore di tediarvi. E questo proprio oggi che tanto si torna a parlare in Italia di autonomia universitaria?
Io segnalo al Governo quest’argomento dell’autonomia universitaria. Nella dichiarazione programmatica del Governo non ho visto nessun altro accenno alla pubblica istruzione se non l’assicurazione che il nuovo Ministro non avrebbe fatto niente di nuovo. Inertia sapientia, diceva Napoleone.
Due anni fa Gustavo Colonnetti scriveva queste parole: «Qualunque ingerenza dello Stato nell’amministrazione universitaria, sia pure la più discreta e la meglio intenzionata, è inammissibile perché fatalmente si tradurrebbe in una ingerenza nella sua funzione scientifica e didattica. Ora lo Stato è essenzialmente incompetente in fatto di cultura. Esso è necessariamente ridotto ad apprezzare della cultura le manifestazioni esteriori e le applicazioni immediate, ispirandosi nei suoi giudizi a quelle che sono le sue ideologie e a quelli che sono i suoi fini politici. E l’Università non può accettare di venire asservita né a questi fini, né a quelle ideologie. Essa sola è competente a fissarsi le sue mete e a giudicare dei risultati che consegue, perché essa sola possiede il metro con cui quei risultati vanno misurati».
Come dicevo, non da ora si parla di autonomia universitaria. È una vecchia molto dibattuta questione. Mezzo secolo addietro Giovanni Pascoli, precorrendo l’onorevole Nenni nell’amore per i dilemmi, in un pubblico discorso esclamava: «le università italiane saranno autonome o non saranno».
Vi dicevo, onorevoli colleghi, che un costume rigidamente democratico avrebbe accresciuto il nostro prestigio nel mondo. Noi assistiamo oggi, necessariamente inerti, al più brutale castigamento del nostro orgoglio nazionale, alla più ingiusta imposizione di una dura pace che potesse mai aspettarsi da parte dei vincitori. Noi assistiamo oggi (è bene dirlo apertamente) al fallimento della nostra politica estera. E dicendo questo non intendo alludere alla politica della cobelligeranza, ché se pur essa non ha portato o non porterà i frutti che ci attendevamo al tavolo della pace, merita tutte te benedizioni del popolo italiano, perché valse a salvare la nostra dignità. Alludo invece a quella politica di amicizia coi paesi vincitori che avrebbe dovuto rappresentare il presupposto per un riconoscimento giusto ed onesto dei nostri sacrifici, della nostra buona volontà, del nostro diritto di assiderci dignitosamente nel consesso delle Nazioni. Evidentemente a questa politica alludeva l’onorevole Nitti nel suo discorso dell’altro giorno, quando amichevolmente rimproverava al Presidente del Consiglio di… non aver viaggiato.
(Ed a questo proposito credo che sarebbe molto interessante per noi sapere se, come, quando, fino a che punto la missione Tarchiani a Washington sia stata utile). È certo che noi avremmo dovuto rivolgerci, avremmo dovuto poterci rivolgere piuttosto che alla generosità, all’amicizia dei vincitori: amicizia eventualmente in funzione di interessi. Fin da principio noi avremmo dovuto e potuto scegliere fra Oriente ed Occidente e quindi battere decisamente la nostra strada, apertamente. E non può dirsi che incoraggiamenti ci siano mancati per questa politica, non solo da parte dell’America, ma anche da parte della Russia. Ricorderete che in un primo momento proprio Vishinsky fu fra quelli che ci dimostrarono maggiore comprensione e simpatia. Una rete di interessi non avrebbe dovuto essere difficile crearla, io penso, con gli Stati Uniti d’America. Ma gli interessi non si creano senza la reciproca fiducia. Ora (e questo io dico anche per scagionare in un certo senso l’onorevole De Gasperi), abbiamo noi fatto di tutto per conquistare la fiducia degli americani, per conquistare la fiducia degli alleati?
Fin da quando Roma fu liberata, una ostinata reazione si manifestò contro la politica degli alleati in Italia, soprattutto una reazione della nostra burocrazia contro tutto quello che gli alleati, a torto od a ragione, avevano fatto nei territori occupati. Noi non considerammo mai la Commissione alleata come il nostro consigliere, come il nostro collaboratore. La considerammo piuttosto come rappresentante del nostro nemico, come rappresentante del vincitore. Una ostinata reazione si manifestò contro quello che gli alleati avevano fatto nei territori occupati: e, poiché non avevamo sufficiente autonomia per disfare quello che essi avevano fatto, esercitammo continue pressioni sugli organi della Commissione alleata, per essere autorizzati a non mantenere i nostri impegni. Fummo tenaci ed alla fine ci riuscimmo, ma non conquistammo la fiducia di coloro che avrebbero dovuto diventare i nostri amici. A me risulta, per esempio, quali e quante furono le pressioni sulla Sottocommissione per l’educazione per ottenere il consenso alla revoca di quelle nomine universitarie, e l’onorevole Vanoni, che è qui presente, potrebbe farne testimonianza. (Commenti).
VANONI. Vorrei poter parlare per fatto personale. Fu una vergogna il suo intervento in quella occasione.
MARTINO GAETANO. Non pensavo, facendo il nome dell’onorevole Vanoni, di provocare un fatto personale. Se ciò ho provocato inscientemente ed involontariamente, chiedo scusa alla Camera.
Dicevo che so quante furono le pressioni esercitate sulla Commissione alleata e so come la Commissione alleata resistette, finché si pervenne ad un accordo fra il Tenente Colonnello Smith, Capo della Sottocommissione per l’educazione ed il Ministro De Ruggiero. Ora quest’accordo esisteva ancora quando fu promulgata quella legge del 31 agosto 1945 e il 23 ottobre 1945 io ricevetti questa lettera della Sottocommissione per l’educazione della Commissione alleata: «In riferimento alla sua nota le confermo che la questione delle nomine universitarie in Sicilia è stata definita, come ella sa, da un accordo intervenuto fra il Tenente Colonnello Smith e il Ministro della Pubblica istruzione. Tale accordo è in vigore, nonostante il decreto legislativo Luogotenenziale del 31 agosto 1945». Quando la Sottocommissione per l’educazione della Commissione alleata non ebbe più nessun’ingerenza negli affari della Pubblica istruzione in Italia, il Ministero pensò che poteva non tener conto di questo accordo. È evidente che nessun anglosassone potrebbe mai considerare, questo gentleman-like. E se voleste altri esempi – ché questo è esempio recente – io potrei ancora riferirmi ad altri provvedimenti nel campo della pubblica istruzione, ad altri di quegli «atti o fatti compiuti dagli alleati», ai quali avrebbe dovuto essere riconosciuta piena validità ed efficacia, agli effetti di legge, come se compiuti dal Governo italiano: alla questione dell’Istituto di antropologia di Palermo, della facoltà di lettere di Messina, delle scuole ecclesiastiche e private. Ma non ha importanza moltiplicare gli esempi.
Io ho udito un alto ufficiale alleato affermare che se questi fatti non fossero stati compiuti proprio dagli alleati in Italia, nessuno avrebbe mai protestato. Il che evidentemente non è vero. Ma ciò dimostra quale era lo stato d’animo che noi avevamo saputo creare.
Il capo della Sottocommissione per l’educazione della Commissione alleata lamentava un giorno la difficoltà di incontrarsi col Ministro italiano ed asseriva che, avendo finalmente ottenuto udienza, aveva prima dovuto fare un’ora di anticamera, perché il Ministro era occupato col suo capo di gabinetto. (Interruzioni). Tutta una critica psicologica, onorevoli colleghi, sarebbe necessaria. (Commenti).
Può darsi che io mi sbagli, anzi mi sbaglio, visto il vostro disappunto. A me pare che tutti questi fattori psicologici possano aver avuto la loro importanza nel creare uno stato d’animo non perfettamente disposto alla simpatia e alla amicizia verso di noi. Io penso che sarebbe necessaria tutta una critica psicologica, volendo esaminare le cause e le concause del nostro insuccesso diplomatico, critica non facile; può essere facile una critica razionale, è sempre difficile una critica psicologica.
Comunque, chi di questo dubitasse, chi volesse avere l’idea del valore di questi piccoli fattori psicologici e dell’acume col quale, nonostante la contraria apparenza, gli alleati ci studiavano, potrebbe leggere utilmente un libro recente del tenente colonnello G.R. Gayre dal titolo Italy in transition edito a Londra da Faber and Faber.
E passiamo ad altro argomento. In compenso, per la tolleranza che mi avete dimostrato, cercherò di abbreviare al massimo il mio discorso.
Procurerò di conquistarmi così la vostra simpatia. A me pare che problema fondamentale del Governo sia il problema della ricostruzione. C’è il programma di riforme sociali, che, senza dubbio, ha importanza e portata molto maggiore, ma questo programma, come giustamente disse qualcuno ieri (credo l’onorevole Persico) non potrebbe essere esaurito nello spazio di otto mesi. È inoltre probabile che sorga la discussione se queste riforme non siano piuttosto materia costituzionale e quindi sottratte all’attività legislativa dell’attuale Governo.
A me pare che il problema della ricostruzione sia il problema fondamentale, tanto più in quanto che dalla prontezza della ricostruzione dipende il nostro avvenire. Problema questo molto complesso. L’onorevole Nitti ci disse qual è l’entità della diminuzione della struttura produttiva del Paese.
Il problema della ricostruzione non è soltanto un problema edilizio, industriale, ma anche agricolo, commerciale, ed è anche, sia consentito dirlo, un problema sanitario.
Non bisogna dimenticare che anche il lavoratore è una macchina e che le condizioni sanitarie del Paese sono oggi molto più gravi di quello che grossolanamente non appaia. Se voleste formarvene un’idea, poiché un indice dello stato di salute del popolo è dato dalla mortalità infantile, vi suggerirei di leggere quell’articolo del professore Frontali pubblicato dalla rivista diretta da Palmiro Togliatti, che abbiamo trovato nelle nostre caselle.
Raccomando al Governo di tener desta la sua attenzione su questo argomento che chiamerei della «ricostruzione sanitaria» del Paese.
Il problema della ricostruzione, dunque, è molto complesso e impegna gli organi di numerosi dicasteri. Per la sua soluzione occorre un piano organico altrettanto complesso.
E penso che per questo suo compito fondamentale almeno sarebbe opportuno che il Governo si servisse della collaborazione di questa Assemblea. Penso, d’altra parte, che questa Assemblea sarebbe molto lieta di offrire la propria collaborazione al Governo, se pure ciò dovesse importare il sedere qualche settimana di più sugli scanni di questa aula.
Tanto più dico questo, in quanto il problema della ricostruzione ha aspetti diversi secondo le. diverse regioni d’Italia, le diverse città e l’entità dei danni che esse hanno subito. Io rappresento una città che è stata fra le più colpite del Paese, una città che è stata distrutta due volte nel corso di questo secolo: prima dal terremoto e poi dalla guerra.
Tecnici ed uomini politici eminenti concordano nel ritenere che sarebbe assurdo pensare che la ricostruzione di Messina possa aver luogo con l’ausilio delle semplici provvidenze escogitate per i senza tetto di tutto il Paese. Probabilmente per questa città, come per altre che hanno subito danni analoghi o forse maggiori, saranno necessarie leggi speciali, provvidenze speciali, finanziamenti speciali.
Così pure, mi parrebbe opportuno studiare se nel quadro del problema della ricostruzione non possano eventualmente rientrare alcuni dei più grossi problemi industriali ed agricoli del Mezzogiorno.
Per esempio, si è parlato molto del problema del latifondo siciliano. Ma si è spesso dimenticato che questo problema è molto frequentemente un problema di strade e quindi di sicurezza, un problema di bonifica sanitaria, un problema di acque; in una parola un problema di opere pubbliche.
La Sicilia ha sempre aspirato al rinnovamento economico, e dunque al rinnovamento sociale. E se le correnti indipendentistiche hanno trovato tanto facili consensi, ciò è perché i siciliani hanno timore non già della politica di rinnovamento (come spesso è stato detto da osservatori superficiali delle cose nostre), ma della politica di abbandono. Qui è la vera genesi del separatismo siciliano: nel fatto che i siciliani, desiderosi di rinnovamento economico e sociale, hanno perduto ogni fiducia nell’opera del Governo centralizzato di Roma.
E se è bastata la promessa dell’autonomia, non dirò per debellare (non vorrei dare questo dispiacere al mio amico onorevole Finocchiaro Aprile), ma certo per deprimere il movimento per l’indipendenza siciliana, ciò si deve al fatto che nell’autonomia, a torto o a ragione, i siciliani hanno visto lo strumento del loro rinnovamento, lo strumento per il miglioramento delle proprie condizioni economiche e sociali.
Ieri accennò a questo problema l’onorevole Russo Perez. Si fa presto a dire, onorevoli colleghi, che se la Sicilia è così poco progredita in confronto con le altre regioni italiane, ciò si deve ai siciliani, ciò si deve alla mancanza di iniziativa dei siciliani. Ma come si spiega allora che i siciliani si mostrano capaci di tante iniziative quando sono fuori della Sicilia? Come si spiega che quando essi sono fuori della Sicilia sanno dar vita con tanta facilità, con tanta fortuna, alle industrie e ai commerci?
La verità è che tutte le iniziative hanno sempre trovato da noi ostacoli molto maggiori che altrove. Ne diede un esempio ieri l’onorevole Russo Perez. Vorrei darvene un altro anche io: ebbi l’occasione un anno e mezzo fa di interessare le competenti autorità all’istituzione di un centro per la fecondazione artificiale presso l’istituto di medicina veterinaria dell’università di Messina, centro che potrebbe essere molto utile all’economia della Sicilia e della Calabria, soprattutto se si tiene presente che con un probabile ritorno ad una economia di mercato, noi dovremmo necessariamente abbandonare gran parte delle nostre colture cerealicole e che dal punto di vista zootecnico l’Italia non è purtroppo uno dei paesi più progrediti. La fecondazione artificiale nel Paese di Lazzaro Spallanzani, che ne fu il pioniere, è assai poco conosciuta e il nome del calabrese Giuseppe Amantea, alle cui ricerche sperimentali si devono i recenti progressi della fecondazione artificiale, è da questo punto di vista forse più conosciuto in Russia che in Italia.
Questo progetto avrebbe importato la spesa di 20 milioni di lire. Nonostante l’esiguità della somma, nonostante il pronto e caloroso interessamento del Ministro Gullo, alla cui perspicacia e chiaroveggenza desidero rendere omaggio, nonostante la mia tenacia (potrebbe farci testimonianza l’onorevole Aldisio), questo progetto non si è potuto finora, non dico realizzare, ma neppure avviare. Ora, onorevoli colleghi, sarebbe bastato, io penso, l’interessamento concreto ed efficace del Governo a questi problemi della nostra economia per risolvere, prima ancora dell’autonomia forse, il problema politico della Sicilia. E non è vero che il popolo siciliano voglia in questo tragico momento – esso che è uno dei popoli più generosi della terra – disfarsi del proprio dovere di solidarietà col resto della Nazione. Io vi dico al contrario che, nella loro stragrande maggioranza, i siciliani oggi aspirano soprattutto a contribuire al consolidamento dell’unità della Nazione, dell’unità della Patria. Io vi dico che essi, nell’attuale immane tragedia della Nazione, aspirano soprattutto a contribuire, con tutte le loro forze e con tutta l’anima loro, alla salvezza del popolo italiano. (Applausi).
MOLÈ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MOLÈ. Quale ex Ministro della pubblica istruzione, intendendo rettificare un’affermazione del precedente oratore, relativa ad atti di Governo, chiedo di parlare, a termini del capoverso dell’articolo 80 del Regolamento, alla fine della discussione.
PRESIDENTE. Sta bene.
Ha facoltà di parlare l’onorevole Lombardi Riccardo.
LOMBARDI RICCARDO. Onorevoli colleghi, faccio anzitutto una solenne promessa: quella di attenermi rigorosamente all’ordine del giorno il quale reca la discussione sulle comunicazioni del Governo, cioè sulle comunicazioni e sulla politica del Governo e non sulla Costituente, perché le questioni all’ordine del giorno della Costituente le discuteremo in sede competente.
In questo momento è importante – perché il Governo deve pure agire, e non può aspettare, e deve agire col mandato della Assemblea – sapere se e fino a che punto noi approviamo le dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi.
Io voglio parlare su questo punto, a nome del gruppo dei miei amici del Partito d’Azione, e dire che cosa pensiamo, quali dubbi, quali suggerimenti abbiamo da esprimere sulle dichiarazioni del Governo: una critica costruttiva, perché nessuno più di noi è interessato a che questo Governo non fallisca, perché il fallimento di questo primo Governo democratico non sarebbe il fallimento di un qualunque Governo: sarebbe un fallimento che travolgerebbe molte cose che ci stanno profondamente a cuore.
Si è parlato qui di ordinaria amministrazione. Io contesto che il Governo attuale abbia il compito di perseguire una ordinaria amministrazione. Non si persegue una ordinaria amministrazione con due milioni di disoccupati nel Paese. Il Governo che in questo momento ci sta davanti deve avere una amministrazione di eccezione, una amministrazione la quale essendo limitata a pochi mesi e non potendo risolvere tutti i problemi, deve affrontarne, centrarne alcuni, e quelli imperiosi risolverli e presentarsi davanti a noi dopo averli risolti.
Quello che noi vediamo di strano nelle comunicazioni del Presidente del Consiglio è appunto questa genericità, questo eccesso di carne al fuoco: troppe cose si vogliono risolvere. Sembra che tutto sia sullo stesso piano, direi su un piano uniforme, quasi piatto; molte cose, troppe cose, quando importante per un Governo chiamato ad affrontare una situazione di emergenza, sarebbe proprio centrare quell’uno o quei due problemi essenziali, quelli che effettivamente dominano la situazione in questi mesi che ci separano dalle elezioni legislative e dalla costituzione del nuovo Governo.
Ora, a mio avviso, il vero problema, il problema centrale che il Governo deve affrontare, se vuole essere un Governo e non una accolta di politicanti, è il problema della disoccupazione. Non c’è nessun altro problema in questo momento, compreso quello dei salari – me lo consentano i miei amici della Confederazione Generale Italiana del Lavoro – che sia così essenziale come quello della disoccupazione. Se faremo arrivare il Paese fra un anno ancora con due milioni o più di disoccupati, avremo perso la partita, anche se avremo consentito agli operai occupati di avere migliori salari.
Ora, il problema dei disoccupati non si può affrontarlo coi metodi dell’ordinaria amministrazione, voglio dire col metodo degli espedienti, anche costosi, coi quali è stato affrontato fino ad oggi. Non si può di questo problema, che è anche problema morale oltre che politico, fare un problema che abbia la stessa statura, lo stesso rilievo di tutti gli altri. Questo è un problema essenziale e tutti gli altri punti di vista devono essere fatti convergere su di esso. Si sacrifichi qualunque altra cosa, si sacrifichino anche dei principî, ma il problema della disoccupazione deve essere risolto. E per essere risolto, c’è tutta una politica che deve essere indirizzata.
Io ho scritto già in questo senso, forse in modo eccessivamente colorito di una politica impopolare; tuttavia bisogna avere il coraggio, in un momento come questo, anche di affrontare una politica impopolare, perché quello che noi oggi stiamo rischiando è di creare una discrepanza, un solco fra gli operai disoccupati e gli operai occupati. Quello che noi stiamo rischiando è di far nascere il sospetto e la convinzione che ci sia una parte della. popolazione (quella fortemente organizzata per esigenze tecniche del proprio lavoro), la quale pieghi la politica del Governo ai suoi interessi, trascurando invece la mano d’opera disoccupata, l’immensa moltitudine non soltanto dei reduci e dei braccianti dell’Italia Meridionale e Settentrionale, ma che rappresenta anche la categoria di tutti coloro che non hanno potuto trovare lavoro e che oggi si trovano in una necessità primordiale: quella di avere bassi i prezzi. Questa è una necessità che coincide anche con l’essenza delle esigenze dell’Italia Meridionale; nell’Italia Meridionale in special modo vi è questa forte necessità di avere bassi i prezzi per poter comprare quei prodotti industriali, quel minimo di prodotti la cui acquisizione è già assicurata per molte altre parti d’Italia. Altrimenti si avrebbe laggiù una miseria spaventevole. È necessario che questa gente abbia il minimo indispensabile per una vita civile. Il problema della disoccupazione coincide quindi col problema dell’Italia meridionale.
Ora, di fronte a questi problemi vi è una politica finanziaria da studiare; perché evidentemente tutti questi problemi si risolvono anche con i lavori pubblici, ma non soltanto con quelli. Sarebbe erroneo pensare che la disoccupazione si può risolvere senza altro con il sistema delle opere pubbliche.
Quindi c’è effettivamente un problema che non è tanto di lavori pubblici quanto di bassi prezzi, e c’è un problema finanziario per cui si tratta di non inaridire le fonti con cui si deve acquisire il reddito. L’onorevole Corbino sa quanto ci siamo trovati in contrasto in seno al precedente Governo circa la politica finanziaria straordinaria. Io riconosco che l’onorevole Corbino si è assunta la impopolarità di una politica che era di tutto il Governo. Effettivamente è stato il Cireneo di una politica di cui tutti eravamo responsabili, anche quelli fra di noi che l’avevano avversata, ma che in definitiva avevano consentita restando al Governo. Io sostenni allora la necessità di una politica di cambio della moneta e di imposizioni straordinarie. Oggi il problema è mutato perché noi abbiamo la essenziale necessità di far rifluire nel circolo produttivo i capitali che non riusciamo né a censire, né a colpire con una imposizione straordinaria. Se le nostre industrie fallissero, se non fossero in grado di poter procedere alla loro attività produttiva, se economicamente fossero a terra, se i capitali non potessero affluire alle industrie, sarebbe una situazione assai grave quella che si verrebbe a determinare.
Dobbiamo vedere quali sono i mezzi e se questi mezzi fossero anche l’abbandono, per esempio, dei consigli di gestione, della nominatività dei titoli, io affronterei anche questa eventualità con il coraggio con cui questi problemi si affrontano, purché le nostre industrie non muoiano e i nostri operai possano lavorare. Qualunque politica, dunque, purché sia veramente una politica, realistica dev’essere affrontata con tutto il coraggio per le masse popolari.
Invece che a tutti i mezzi i quali potevano essere considerati opportuni per fronteggiare il basso livello dei salari (basso, intendiamoci bene: quando si dice che gli operai chiedono troppo, bisogna viverci in mezzo per sapere quale è la vita dell’operaio onesto, di quello che ha la famiglia sulle spalle; vediamo tutti che cosa sia il livello di vita degli operai) si è ricorso all’espediente del premio della Repubblica. Quando si pensa di poter provvedere ad una situazione di questo genere, che è una situazione estremamente penosa, con l’espediente del premio della Repubblica, io dico, illustre Presidente, che questo è il peggiore espediente che ha scelto come programma di Governo.
Oggi il premio si deve pagare, una volta che ormai il mercato ha già reagito con l’aumento dei prezzi. Ma se il Governo o i partiti che hanno discusso il programma di Governo, al momento in cui hanno discusso questo espediente si fossero ricordati del precedente, che noi, specialmente al Nord, ricordiamo bene, il precedente del premio della liberazione, non avrebbero potuto non considerare quelle conseguenze economiche che era facile prevedere.
Il mio amico Sereni si ricorderà che io fui il solo ad oppormi a che il premio fosse pagato, perché abbiamo regalato alla borsa nera o gettato dalla finestra una ricchezza di circa 35 miliardi. Avevo allora proposto che il premio di liberazione fosse tradotto in risparmio obbligatorio.
Questa imposta del valore di circa 35 miliardi si poteva prendere sotto forma di una imposizione straordinaria. In realtà non è una forma straordinaria di imposizione, è una vera e propria imposta sulla occupazione della mano d’opera. È chiaro che l’industria idroelettrica che impiega pochi operai sarà pochissimo colpita, al contrario dell’industria edilizia che ne impiega moltissimi; comunque, in tempi di emergenza si può anche passare sopra a tutto questo. C’è necessità di far soldi, c’è una imposta straordinaria da prelevare e si preleva. Ma c’è un modo razionale di spendere.
II Governo aveva due mezzi, tutti e due buoni, per spendere questi 30-35 miliardi del premio della Repubblica: o poteva provvedere a dei servizi sociali organizzati, oppure poteva provvedere a dei lavori pubblici.
Cosa si poteva fare con 30 miliardi? Con 30 miliardi si sarebbe potuto occupare per sei mesi un quarto dei nostri disoccupati; avremmo potuto raddoppiare il programma delle ricostruzioni ferroviarie; avremmo potuto fare opere immense in Calabria e in Sardegna; si sarebbero potuti costruire 100-150 mila vani di abitazione per la povera gente.
È vero che mi si può obiettare – e forse l’obiezione è quella che è stata il fondo della cedevolezza di coloro che hanno discusso questo programma – che non tutto quello che si potrebbe fare si può fare. È verissimo; a qualunque programma forzato di lavori pubblici manca la base delle materie prime e dei manufatti in grandissima parte. Ma allora, per questa parte, il Governo aveva un’altra alternativa: aveva appunto i servizi sociali organizzati. Poteva pensare a tanti servizi diretti a diminuire di fatto il costo della vita. Con 30 miliardi si possono bene organizzare – anche in un Paese in cui i gangli della vita amministrativa sono da tanto tempo interrotti – dei servizi sociali. Quando si pensa che siamo in un Paese dove la cifra degli analfabeti è spaventosa (sono milioni e milioni gli analfabeti), è possibile che non si riesca ad organizzare un servizio sociale diretto ad un insegnamento straordinario che utilizzi tutte le forze disoccupate? Un geometra, un ingegnere può benissimo fare il maestro in caso di emergenza. È possibile che non si possa riuscire a fare tali scuole? Vi sono tanti modi per spendere il pubblico denaro e per ovviare alla disoccupazione, ma vi è anche un mezzo moderno: l’esercito volontario del lavoro, sul quale io insisto da tanto tempo.
In una delle sedute del Consiglio dei Ministri dell’ultimo Governo, quando io insistei sulla necessità di giungere ad una politica razionale di occupazione di fronte alla politica degli espedienti, l’onorevole Togliatti mi disse che quel Governo non era in grado di affrontare questo problema. Caro Togliatti, il Governo attuale non è quello della esarchia. Fa parte di questo Governo l’onorevole Sereni, uomo della resistenza, che è proprio al suo giusto posto, all’assistenza. Caro Sereni, il problema della disoccupazione non si affronta con l’imponibile del 5 o del 10 per cento sulle amministrazioni pubbliche e sulle aziende private. Ciò non fa che disorganizzare le amministrazioni, senza portare nessun sollievo alle famiglie dei disoccupati. Tu puoi veramente organizzare l’esercito volontario del lavoro. Quello che hanno fatto le dittature è possibile che non lo possa fare la democrazia? È possibile che noi dobbiamo ancora usare, per affrontare il problema della disoccupazione, i metodi dell’anno 1000, dei trogloditi, dell’economia medioevale?
Io penso che su questa strada il Governo potrà fare molte cose. Potrà fare moltissimo se avrà, naturalmente, un programma serio. Io mi preoccupo del tandem Corbino-Scoccimarro: è un tandem in cui i due ciclisti pedalano in senso opposto, a meno che non abbiano trovato un terreno comune di intesa. Io stimo moltissimo tutti e due, ma la politica di un Governo, anche se politica di emergenza, la si fa con unicità di direzione. Non è molto importante che i Ministeri delle finanze e del tesoro siano unificati. L’importante è che questi due Ministeri abbiano una politica in una stessa direzione, e che il Governo, nel suo complesso, assuma la sua responsabilità anche per l’opera dei diversi Ministri, in modo che non si ripeta, ad esempio, quello che è avvenuto nel passato Governo, e che doveva avvenire necessariamente, data la costituzione meccanica onde era formato, e cioè che i rimanenti membri del Governo, che si era appena costituito, non sapevano quale politica avrebbe fatto il Ministro del tesoro.
. Nella prima riunione di quel Consiglio dei Ministri il nuovo Ministro del tesoro dichiarò di essere contrario al cambio della moneta, fra la sorpresa generale, perché evidentemente non era stato interpellato su questo grave problema politico. Il Governo della esarchia era purtroppo così fatto: vi era un notevole campo di arbitrio nelle amministrazioni dei vari Ministeri. Ma il muovo Governo è il primo Governo di maggioranza, anche se di una maggioranza composita, ed è stato composto sotto la responsabilità del partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana; quindi quel certo grado di responsabilità complessiva, che non potevano avere i precedenti Governi, ha il diritto di averlo questo Governo, il quale deve impostare un programma e quando lo ha impostato deve portarlo in fondo e deve essere giudicato non soltanto da questa Assemblea, ma dal Paese.
Io lodo il Governo per l’estrema cautela con la quale l’onorevole De Gasperi ha parlato del programma di socializzazione. La socializzazione è una cosa molto seria. Occorre non improvvisarla e deciderla in sede di Costituente.
A me dispiace molto che l’onorevole Labriola abbia parlato di socializzazione, di socialismo aziendale, in termini che direi quarantotteschi. Il socialismo aziendale in una economia moderna è piuttosto strano. Egli ci ha parlato di diversi socialismi, ma intendiamoci bene: oggi, se vogliamo avere degli esempi tipici dobbiamo riferirci al solo modo di fare andare avanti le fabbriche socializzate, e noi sappiamo che questo è il modo usato in Russia. Non scherziamo con sistemi che sono sistemi di un’economia povera o con sviluppo embrionale, perché è verissimo che vi sono diversi socialismi, ma c’è un solo socialismo serio e quello è un socialismo…
LABRIOLA. La socializzazione fu proposta un secolo fa.
LOMBARDI RICCARDO. Si è parlato di socializzazione di oggi e dobbiamo adattarci alla soluzione di oggi.
E passiamo al programma agrario sul quale il Presidente del Consiglio è stato molto breve, ma coraggioso, tanto da spaventare più del necessario. Forse il Presidente del Consiglio non ignora che si è molto equivocato sui famosi 100 mila ettari da appoderare, che sono divenuti perfino… 10 milioni. C’è stato un illustre professore universitario il quale domandava come mai si pensasse di appoderare quasi la metà della superficie agraria del Paese. Indubbiamente c’è del serio nel programma agrario del Governo. Pensare però che questo sia un programma che possa essere il primo avviamento della riforma agraria, mi pare eccessivo, anche perché ha qualche cosa di confusionario, qualche cosa che combina i decreti Visocchi e Falcioni con la legge Tassinari. Quello che meraviglia è che ci si voglia servire, in sostanza, degli stessi organi. Ora, a mio avviso, conveniva che il Governo fosse più modesto nel programma agrario, ma che enunciasse un programma che fosse sicuro di poter realizzare, e facesse entrare in questo programma alcune zone tipiche di disoccupazione, centrasse cioè alcune zone veramente sismiche di disoccupazione, con l’impiegare tutte le forze, senza diluire questi provvedimenti, per modo che si presentano in una maniera veramente confusa, tanto che non si sa se i 100 mila ettari che devono essere appoderati sono quelli stessi che bisogna espropriare.
Effettivamente io penso che quando il Governo presenterà un piano organico su questo punto noi avremo qualche cosa di più tranquillante; ma oggi come oggi, data l’inefficienza degli organi esecutivi, dato anche il fatto che essi sono anchilosati dalla lunga inoperosità, io penso che si possa fare solo un programma di emergenza, dato che il Governo ha pochi mesi dinanzi a sé. Quanto al grande programma agrario, non può essere cómpito di questo Governo, in quanto è cómpito della Costituente.
Vorrei ancora dire poche parole circa la politica interna, circa la politica scolastica e circa la politica estera.
Politica interna: il Governo si è limitato ad alcune considerazioni ovvie. Evidentemente al fondo delle dichiarazioni del Governo sta rassicurazione che l’ordine pubblico sarà mantenuto. Questo è troppo poco. Io ho una cattiva o buona memoria di quello che avveniva nei Governi di prima, del fascismo, quando tutti i Governi che si presentavano, o quelli che si proponevano all’approvazione del Parlamento, si presentavano col programma di ristabilire l’autorità dello Stato.
Ma nessuno aveva il coraggio di dire che ristabilire l’autorità dello Stato significava disarmare il fascismo. Ora il Presidente del Consiglio sa e non può non sapere, perché Ministro degli interni, che c’è nel Paese una viva preoccupazione per le conseguenze dell’amnistia. È chiaro che l’amnistia, e più che l’amnistia il modo come è applicata, col ritorno al paese di delinquenti tipici fascisti, conosciuti da tutti, crea veramente uno stato di perplessità, uno stato di incertezza ed anche in qualche posto uno stato di esasperazione veramente inquietante. Ora che cosa noi possiamo fare di fronte a questo? Quale tranquillità possiamo dare al Paese? Accanto alla generosa legge sull’amnistia diamo la prova di essere fermi nella repressione delle mene fasciste. Noi abbiamo una legge che interdice la riorganizzazione del fascismo e la propaganda fascista. Ma questa legge si è dimenticata di dire che cosa s’intende per fascismo, così che qualsiasi organizzazione fascista si può fare, purché abbia l’accorgimento di non chiamarsi tale e di non mettere i fasci littori sulle tessere. Ora, tanto più che questa legge sta per scadere, il Governo ha il dovere di precisare con una legge sostanziale su questo punto quali sono i limiti e gli estremi della attività fascista, di tranquillizzare il Paese ed assicurarlo che questi signori, verso i quali siamo stati generosi, avranno le unghie tagliate per sempre. Quando si leggono nei giornali cose di questo genere: «Avete pugnalato il vostro paese per darvi un regime che avrebbe dovuto significare pace e solidarietà umana. Avete ucciso il paese e sopra il suo cadavere ballano gli stranieri che voi avete aiutato a vincere. Aveva ragione il deputato Patrissi: sciacalli!», io mi domando, io che sono partigiano della libertà di stampa, se non c’è qualche cosa da fare, se i Prefetti ed il Ministro degli interni esistono per qualche cosa! (Applausi a sinistra).
Quando si sa, perché a Roma tutti sanno, che c’è un accentramento di capitali in questo momento per fare giornali da affidare a dei fascisti appena usciti in seguito alla amnistia, io domando: quando c’è una corsa di investimenti di capitali in giornali, la quale, se riuscisse, ridurrebbe fra pochi mesi tutti i giornali politici di partito al formato di bollettini parrocchiali, domando se non c’è qualche cosa di serio, di energico da fare, perché la stampa non si può lasciare soltanto nelle mani di coloro che hanno i soldi mal guadagnati e che ancora non siamo riusciti a strappare loro dalle mani. (Applausi a sinistra). Pertanto il Governo deve proporre e sottoporre all’Assemblea nel giro dei mesi che ci separano dal termine dei suoi poteri, una legge per disciplinare la materia.
Sulla scuola sarò estremamente moderato. L’onorevole Gonella è andato al governo della pubblica istruzione dopo che l’onorevole Togliatti ha tolto il «non expedit» pronunciato dai socialisti. Io mi domando se egli si sia reso conto delle ragioni per le quali il Gruppo Socialista aveva posto il «non expedit». Evidentemente c’era una preoccupazione. Si era parlato della candidatura Colonnetti, che a un certo momento è tramontata per dar luogo a quella Gonella. Evidentemente questo ha suscitato perplessità e inquietudine legittime. Però c’è la dichiarazione del Presidente del Consiglio circa il Ministero della pubblica istruzione, dichiarazione molto elittica, della quale, quando l’ho sentita, non ho capito niente. C’è stato tutto un giro di parole per dire quello che avrebbe fatto il Ministro della pubblica istruzione e quello che non era stato fatto dal Ministro di giustizia. Non lo avevo capito. Poi ci ho pensato e devo ritenere che il Presidente del Consiglio abbia detto questo: che il Ministro dell’istruzione rispetterà lo status quo; questa è l’interpretazione che penso più logica e più ovvia (Segni di assenso del Presidente del Consiglio) e che in questo momento il Presidente del Consiglio conferma e di cui mi compiaccio. Ora c’è uno status quo giuridico che nessuno pensa di discutere fino alla costituzione. C’è però in atto, una applicazione in materia scolastica: del concordato è stato fin’oggi fatto un uso relativamente moderato.
Io ritengo che il Presidente del Consiglio in questa sua dichiarazione abbia inteso a rassicurare l’Assemblea che non soltanto nulla sarà innovato durante questi mesi in sede legislativa, ma che nulla sarà innovato nel costume e negli usi, nell’applicazione della legge. Se questo è, credo che possiamo essere tranquilli sulla attività dell’onorevole Gonella in seno al Ministero della pubblica istruzione. (Nuovi segni di assenso del Presidente del Consiglio).
Politica estera. È stata una corsa curiosa: per il Ministero degli affari esteri si giocava a chi non doveva essere Ministro degli esteri; e si giocava, contemporaneamente a chi doveva essere Ministro dell’interno. Il che suscita il grave sospetto che, durante questi mesi, si voglia governare ancora col sistema dei prefetti, cioè mantenere quello Stato accentratore e poliziesco che tutti deploriamo. C’è una curiosa concordanza sul regime autonomistico, sul quale tutti si dichiarano d’accordo; però vogliono che i prefetti continuino a fare quello che hanno fatto fino a oggi. Se vogliamo sul serio l’autonomia, dobbiamo cominciare a fare qualche cosa. E ciò significa semplicemente non servirsi dei poteri discrezionali dei prefetti, come si è fatto fino adesso. Parlo con esperienza personale, perché sono stato prefetto, e dico che si possono molto limitare i poteri discrezionali dei prefetti, se si vuole preparare sul serio il funzionamento autonomo del comune e della regione (Applausi).
Questa corsa al Ministero dell’interno è giustamente sospetta a una buona parte dell’Assemblea.
L’onorevole De Gasperi ha presentato un programma di politica estera moderato e fermo, che credo tutti approviamo.
L’onorevole De Gasperi potrà essere criticato, però dobbiamo riconoscergli il merito che egli ha sempre voluto sottrarre il nostro Paese al dominio di uno di quei blocchi che si vanno formando in Europa. Egli non ha mai giocato sui dissensi; egli non ha mai cercato di impegnare la politica italiana in questa linea; questo è un grande merito che dobbiamo riconoscergli. Che poi questa buona volontà abbia potuto essere frustrata, dipende in gran parte dallo stato di fatto, perché siamo in regime di occupazione. È chiaro che il sospetto esiste sempre, per il paese occupato, di essere al servizio della parte occupante.
Se mai un’osservazione c’è da fare alle precisazioni sulle nostre rivendicazioni, che l’onorevole De Gasperi, quale Ministro degli esteri, ha fatto davanti alla Costituente, è che non ha tenuto forse conto sufficiente di una alternativa: quella della possibilità di internazionalizzazione, non della sola di Trieste. Se, ammessa l’idea della internazionalizzazione, si potesse ottenere l’estensione a una zona più ampia, economicamente e politicamente vitale, forse creeremmo qualcosa di utile, qualcosa di europeo: una zona che potrebbe essere il terreno propizio perché i nostri rapporti con la vicina Jugoslavia siano quali noi li desideriamo. Noi ci lamentiamo giustamente del torto che viene fatto al nostro Paese, ma non dimentichiamo che quando si contesta o si violenta la nazionalità della zona di confine, questo attentato non è soltanto all’Italia ma anche alla Jugoslavia, perché è un attentato all’Europa.
Con la Jugoslavia si è scavato un abisso che bisogna cercare non diventi permanente. Non bisogna dimenticare la politica fatta verso la Jugoslavia da Bissolati, da Salvemini, da Sforza: abbandonare questa politica non potrebbe portare altro che al fascismo. Le esacerbazioni naturalmente conseguenti a queste evidenti violazioni del diritto nazionale possono portare ad una situazione di cui non possiamo non preoccuparci.
Si dice che non si tratta di nazionalismo, ma di nazionalismo si tratta indubbiamente quando si sente dire, come si è sentito dire dal nostro illustre e venerando collega onorevole Orlando nella seduta inaugurale di questa Assemblea: «Se coloro che sono morti per la lotta di liberazione avessero potuto prevedere quello che avviene ora, sarebbero morti invano». Mi sono sentito gelare il cuore, perché questo non è vero. (Vivi applausi a sinistra).
Quelli che sono morti, sono morti per una grande idea, per un nuovo ordine in Europa e nel mondo. (Applausi a sinistra – Interruzioni – Commenti al centro).
E se oggi questo loro ideale è sconfitto perché prevalgono ancora i vecchi imperialismi, perché le nuove idee non si affermano mai immediatamente, questo non vuol dire che i loro ideali siano stati vani. Sono ideali che hanno un valore permanente e noi saremo democratici in quanto sapremo mantenerli e portarli avanti.
Nessuna soluzione dovrà essere scelta se essa ci dovesse condurre ad appartarci ringhiosamente dall’Europa e dal mondo: questo significherebbe ristabilire il fascismo. Non possiamo più essere separati ed avulsi dal corpo della solidarietà mondiale. Per un popolo che si è battuto sempre contro il fascismo internazionale, dalla guerra di Spagna alla guerra di liberazione, c’è sempre modo di poter nobilmente approfittare di tutte le possibilità che sorgono nel consorzio mondiale, perché la situazione non è rigida, ma è mobile e non c’è soltanto la politica estera contingente, ma anche la politica internazionale sulla quale bisogna far leva ed affidamento.
Non ho altro da dire.
Il nostro Presidente, onorevole Saragat, ha detto, nell’insediarsi alla Presidenza, che il volto della Repubblica sarà umano, e tutti lo abbiamo approvato. Io domando di aggiungere solo una cosa: il volto della Repubblica deve essere non solo umano, ma virile. (Vivissimi applausi – Molte congratulazioni).
Presidenza del Vicepresidente GRANDI
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Romano.
ROMANO. Onorevoli Deputati, ho chiesto di parlare principalmente per sviluppare alcuni bisogni urgenti del Mezzogiorno e specialmente della Sicilia.
L’onorevole De Gasperi ha fugacemente accennato alla questione del Mezzogiorno; noi meridionali avremmo gradito una più ampia spiegazione.
Non sarà certo dipeso da scarsa benevolenza, perché tutti sappiamo che l’onorevole De Gasperi guarda con speciale simpatia il Mezzogiorno d’Italia.
L’onorevole Nitti ha detto che non bisogna far molte promesse al Mezzogiorno.
Onorevole Nitti, la promessa è una parola d’onore; questa fu data e non mantenuta da voi e dagli uomini di Governo che vi precedettero e vi seguirono; questa parola d’onore può bene essere mantenuta dal Governo della Costituente. Ed allora perché non accettarla?
L’onorevole Labriola ha aggiunto che il Mezzogiorno è diffidente, che non crede più alle promesse e che bisogna lasciarlo libero di fare da sé.
Anche questo è un modo di lavarsi le mani: il problema del Mezzogiorno è complesso e non possono le singole regioni del Mezzogiorno, anche dichiarate autonome, con il solo bilancio regionale risolvere così complesso problema. (Commenti).
La questione del Mezzogiorno è una questione molto complessa ed io vorrei che l’Assemblea fosse più attenta. L’inferiorità economica del Mezzogiorno è il risultato di un insieme di fattori di carattere politico e storico, di una serie di ingiustizie, ed a colmare tanto vuoto devono concorrere tutte le regioni d’Italia.
In 80 anni di unità vi sono stati tre grandi spostamenti di capitali dal Sud verso il Nord: uno in seguito all’incameramento dei beni ecclesiastici e successivo impiego del ricavato nell’apertura dei valichi alpini; l’altro in occasione della prima guerra mondiale, sia per le forniture belliche, sia per la permanenza di un esercito di più milioni di uomini nella pianura padana; un terzo in occasione della seconda guerra mondiale.
Basterebbero questi tre fatti storici, gravidi di conseguenze economiche, per giustificare il dovere del concorso delle altre regioni d’Italia.
Quindi, onorevole Labriola, non girate la cambiale già scaduta all’autonomia regionale.
Ed eccomi ora al discorso del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Questo discorso si può scindere in tre parti: a) politica estera; b) politica interna; c) rapporti tra il Governo e l’Assemblea.
Politica estera. – Pur sapendo che ogni nostra protesta troverà sordo il mondo internazionale, noi intendiamo esternare egualmente il nostro giusto risentimento, perché la storia non finisce a Parigi, perché al di sopra dell’imperialismo che è seguito alla Carta Atlantica vi è il tribunale della storia, il quale meglio giudicherà le usurpazioni che oggi si vanno consumando con le violazioni dei più sacri diritti dei popoli.
Due rilievi intendiamo far giungere a Parigi: uno agli intellettuali francesi, l’altro al democristiano Bidault.
Gli intellettuali di Francia hanno sottoscritto il messaggio col quale hanno affermato ai quattro grandi che Trieste è jugoslava.
Questa città, che non appartenne mai ad uno stato jugoslavo, dovrebbe essere tolta all’Italia, cui sempre appartenne per diritto etnico e storico.
E ciò viene affermato dagli intellettuali di quella Francia per la quale migliaia di italiani caddero a Digione ed allo Chemin des Dames.
Intanto il signor Aragon parla di una civiltà jugoslava da contrapporsi quasi ad una civiltà latina, affermando che furono gli Jugoslavi a difendere l’Italia dall’invasione dei turchi.
Non vi è ragazzo della scuola media che non sappia il contrario di quanto ha osato affermare il signor Aragon, cioè che l’Italia e l’Europa furono per lungo tempo difese contro i turchi dalla Repubblica di Venezia.
Sebastiano Venier, Agostino Barbarigo, Francesco Morosino, Raimondo Montecuccoli e il Principe Eugenio di Savoia furono i condottieri di quegli eserciti, che arrestarono i turchi marcianti verso l’occidente.’
Gli intellettuali francesi sono dunque in malafede e svisano anche la storia perché accecati dal ricordo di quella tanto ripetuta pugnalata alla schiena, che d’altra parte ebbe ben scarsa importanza, perché l’attacco italiano sulle Alpi occidentali si effettuò quando l’esercito francese non dava più segni di resistenza, quando il Governo di Parigi fuggiva verso Bordeaux, quando nella chiesa di Nôtre Dame già si recitava la preghiera della disperazione.
Intellettuali di Francia, non fu dunque la cosiddetta pugnalata a far cadere sotto il tallone tedesco il vostro Paese, perché questo era già militarmente crollato.
Ma giacché si parla di pugnalata, dobbiamo anche noi ricordare quelle ricevute dalla Francia: la Repubblica romana, Mentana, gli ostacoli posti nel 1870 per l’impossessamento della Tunisia già popolata dai nostri emigranti, Versaglia, le armi fornite clandestinamente al Negus, il recente incitamento del generale De Gaulle, queste sono tutte pugnalate che la storia non può cancellare.
Ma il più grave è che questo infierire contro un’Italia dolorante, da parte della Francia vinta e vincitrice, è proprio diretto dal democristiano signor Bidault,
È stato lui a reclamare le italianissime Briga e Tenda per soddisfare una vecchia aspirazione dello Stato maggiore francese; è stato lui a sostenere che l’Istria con Pola spettano alla Jugoslavia; è stato lui ad ideare lo strano condominio di Trieste.
Si è quindi in malafede, anche da parte di qualche nostra corrente politica, quando si dice che bisognava seguire altra politica estera e che non sono state usate tutte le carte avute in potere.
Non si può parlare di imperizia, giacché dal 1943 in poi abbiamo avuto sempre una sola carta in mano, la carta della sconfitta, seguita ad una guerra odiosa dichiarata dal fascismo.
Tutti però abbiamo una colpa, quella di avere creduto alla propaganda degli Alleati, i quali ci lusingarono dicendoci che la lotta era diretta esclusivamente al fascismo e che l’Italia prefascista sarebbe stata rispettata.
Oggi l’inganno tremendo è svelato e si minaccia anche l’usurpazione delle colonie conquistate dall’Italia democratica, elevate ad un piano di civiltà dal sudore del popolo italiano.
Quando giungemmo in Libia, in quelle città retrograde non esisteva neppure una fognatura; il popolo italiano fece di Tripoli, Bengasi, Derna, Misurata e Tobruk delle città che nulla avevano da invidiare a quelle d’Europa.
La rete stradale esistente in Tripolitania è superiore a quella delle altre regioni africane sotto l’influenza della Francia e dell’Inghilterra.
Ma, come ha detto Benedetto Croce, l’inganno dei vincitori non chiude il corso della storia ed a noi dovranno essere ridati quei territori che ingiustamente ci furono tolti.
Questo, onorevole Lussu, non è nazionalismo, parola di nuovo conio, parola ignota a quanti concorsero a formare le unità nazionali come Mazzini, Kossut, Fichte.
Tutte le democrazie cristiane di Europa fondano la politica estera su questo concetto: non nazionalismo, ma nazionalità, giusta rivendicazione.
Signor Bidault, Briga e Tenda costituiscono nazionalismo, non giustificata rivendicazione.
Le ingiustizie si aggravano quando si pensa che siamo giudicati in stato di contumacia coatta, senza la possibilità di una qualsiasi discolpa. Un trattamento tanto severo è inspiegabile nei confronti di una Italia considerata ed utilizzata in due anni come cobelligerante.
E che dire degli indennizzi di guerra richiesti dalla Russia, dalla Jugoslavia e dalla Grecia, tutte nazioni consapevoli del nostro stato di impossidenza, tutte a conoscenza che abbiamo una sola moneta da poter offrire, il lavoro del nostro popolo, al quale non si può togliere il necessario per la più modesta vita materiale?
Le nostre navi, i nostri marinai, dopo l’armistizio, accorsero disciplinati a Malta, solcarono con gli alleati i mari, combatterono insieme, ed oggi quelle navi si vogliono comprendere fra il bottino di guerra.
No, tutto si inabisserà nei mari, ma i nostri marinai tanta onta non sopporteranno.
Anche il subire, il supinamente subire, ha un limite, al di là del quale non è lecito andare neppure al vincitore.
L’onorevole Nitti ha accennato alla opportunità dell’amicizia della Francia; ma egli pensa che è stata sempre la Francia ad ostacolare questa amicizia.
Per reciproci malintesi, abbiamo tutti, francesi ed italiani, la responsabilità del suicidio della latinità.
Popolo di Francia, per la ripresa hai bisogno di due milioni di operai che nessuna nazione ti potrà dare.
Solo l’Italia, ed i nostri operai sono pronti ad offrirti il loro lavoro, ma richiedono una ospitalità fraterna, non più dispregiativa ed offensiva.
Abbiamo una comune civiltà da difendere; difendiamola.
Politica finanziaria. – Fra le tante incertezze una domanda si sente con insistenza ripetere: cosa sarà della lira? Cosa avverrà della moneta?
Tale preoccupazione crea una situazione di attesa, che arresta l’iniziativa privata.
Onde il compito del nuovo Governo, uscito dalle elezioni del 2 giugno, è di fissare con serietà di intenti e con fermezza di proposito un programma economico-finanziario improntato alla realtà economica del paese.
Iniziando la ricostruzione bisogna cominciare col dire a noi stessi che le condizioni finanziarie di oggi sono preoccupanti.
Se questa è la dura realtà, bisogna, per carità di Patria, rinunziare ad ogni improvvisata soluzione rivoluzionaria.
Il primo passo sta nel creare la possibilità di lavorare e questa ha come presupposto la eliminazione del pericolo di inflazione, con l’arresto del pericoloso rincorrersi dei salari e dei prezzi, circolo vizioso dal quale non si potrà uscire se non dando stabilità alla lira.
Salvare la lira, questo è il punto di partenza della ripresa economica.
Onorevoli Deputati, noi siamo sull’orlo del precipizio; il bilanciò dello Stato prevede un deficit annuale di 350 miliardi, quasi un miliardo al giorno; fra qualche mese pare che l’U.N.R.R.A. cesserà di funzionare; crediti non abbiamo, i debiti per riparazioni saranno iperbolici, giacché oltre all’appello slavo e balcanico da soddisfare ci toccherà forse di dover restituire agli Alleati il prezzo delle caramelle lanciate nei primi giorni di occupazione sulle strade delle città d’Italia. Le industrie languiscono e muoiono, i disoccupati aumentano di giorno in giorno con il ritorno dei prigionieri e dei connazionali scacciati dalla Tunisia e dall’Algeria, colpevoli unicamente di avere in quelle contrade creato col loro lavoro una seconda Patria.
Le macerie delle case bombardate rimangono a testimoniare lo squallore e la desolazione, mentre la ripresa edilizia è quanto mai lenta.
Intanto se la capacità di acquisto della lira continua a declinare, la inflazione si tramuterà in una tassa patrimoniale alla rovescia.
È quanto mai erroneo ritenere che voler salvare la lira costituisce reazione, come qualcuno può pensare: trattasi invece di un atto di equilibrio, che rientra nel programma delle classi medie e che interessa tutti.
La lira si può salvare aumentando il gettito delle imposte, diminuendo le spese o riducendole al puro necessario; non stampando carta moneta, ma aumentando il quantitativo di produzione.
Tutto questo deve incidere nella ripresa della iniziativa privata, la quale si incoraggia dando stabilità alla lira e mettendo da parte le continue minacce di leggi rivoluzionarie.
Altro fattore che può concorrere ad eccitare l’iniziativa privata è quello di far sì che i depositanti siano consigliati di ritirare dalle banche i depositi per impiegarli in imprese che aumentino l’assorbimento della mano d’opera, la quale in questo momento, per la situazione internazionale, non ha alcuna valvola nella emigrazione.
Solo recentemente è stato disposto il ripristino della emigrazione verso il Belgio e la Cecoslovacchia.
Le Banche vanno già provvedendo in tali sensi in vista della eccessività dei depositi, riducendo sensibilmente gli interessi.
Parlando di aumento del gettito delle imposte bisogna ricordare che il nostro sistema tributario è tale che consente molte evasioni e di queste si avvantaggiano i più scaltri ed i meni probi.
Onde sempre più si sente il bisogno di una anagrafe tributaria nella quale sia rispecchiata la posizione economica di ogni cittadino.
Solo eliminando le evasioni si può sperare in un’aliquota più bassa con l’attuazione di una maggiore giustizia tributaria.
Con una economia che langue non può farsi affidamento sulle entrate ordinarie e si impone la imposta progressiva sul patrimonio, mantenendo fermo il principio che la progressività non deve arrivare all’annullamento del capitale, perché ciò si rifletterebbe dannosamente sulla produzione.
Quello che oggi più si impone è la diminuzione delle spese superflue, e ve ne sono senza fine.
In Italia diecine di migliaia di automobili sono destinate ad uffici pubblici, ed il più delle volte esse servono non all’ufficio, ma alle comodità personali.
Questo sistema fu creato dal fascismo, continua ancora oggi in forma aggravata e nessuno è disposto a rinunciarvi.
Non si pensa che siamo dei pezzenti allegri.
Bisogna ritornare alla semplicità di molti anni or sono.
Ricordo che mi trovavo a Roma per partecipare al concorso della Magistratura, quando vidi Giovanni Giolitti scendere per Via Cavour a piedi, col suo bastone a bilanciarm, per recarsi a Montecitorio.
Oggi le macchine di lusso si susseguono al centro ed alla periferia.
Sono di avviso di appiedare tutti.
E che dire del tecnicismo amministrativo quanto mai pletorico?
Basta guardare una nota nominativa per rilevare le numerose voci; ad ogni voce deve corrispondere uno stampato, ad ogni stampato una busta, ad ogni busta un numero di protocollo e così si affoga nel lavoro improduttivo.
Si è parlato di un taglio della moneta; io penso che qualunque misura di deflazione forzosa produce intralci ed arresti nella vita economica. Infatti un periodo di tempo è pur necessario per operare il cambio. Durante questo periodo i possessori di biglietti, anziché farseli trovare nelle mani a subire la falcidia, cercherebbero di tramutarli in beni; e poiché ogni venditore di beni verrebbe a trovarsi con un fascio di biglietti soggetti a falcidia, anch’egli richiederebbe altri beni e così si avrebbe la fuga della moneta.
Il taglio della moneta neppure riuscirebbe a risanare il bilancio, fino a quando esistono altre fonti di circolazione come le am-lire. Quindi il programma di risanamento finanziario deve fondarsi su questi tre punti: prestiti volontari a breve, medio e lungo termine, attraverso i quali i cittadini devono mostrare di concorrere nella misura possibile alla restaurazione dell’Erario; sostituzione alla pari di nuovi biglietti ai vecchi; imposta straordinaria sul patrimonio.
Il maggiore impulso deve essere dato dalla produzione, perché su trenta voci di generi alimentari di maggior consumo solo per cinque o sei si ha l’eccedenza, cioè risone, legumi, pomodori, frutta secche, agrumi.
Per quanto riguarda il grano, il fabbisogno è di 78 milioni di quintali, la produzione media di 52 milioni di quintali e quindi la deficienza è di 26 milioni di quintali.
Politica sociale. – Parlando di assicurazione obbligatoria, penso che questa non possa più limitarsi ad alcune malattie, come quelle accennate dall’onorevole De Gasperi, giacché chi vive di lavoro deve avere la sicurezza che in caso di infermità lo Stato prontamente ed efficacemente interverrà a sollevare la famiglia colpita dalla sventura.
L’intervento dovrà essere efficace e non irrisorio e dovrà comprendere non solo l’integrale spesa per la cura della malattia, ma anche il mancato guadagno per la sospensione del lavoro.
E così anche la pensione per l’invalidità e la vecchiaia dovrà soddisfare equamente i bisogni della esistenza, non già costringere il lavoratore ad una vita di umiliazioni e di elemosina.
Lavori pubblici. – Parlando di lavori pubblici, intendo spendere una parola speciale per la Sicilia, ove molti lavori hanno carattere di eccezionale urgenza, specie per i piccoli comuni.
Due terzi dei comuni della Sicilia sono senza fognature e con acquedotti insufficienti.
Popolazioni intere soffrono la sete, l’igiene si dibatte fra mille difficoltà e la mortalità infantile è preoccupante.
Stamane, aprendo in albergo il rubinetto e sentendo scorrere l’acqua fresca di Roma, ho ricordato le sofferenze di alcuni comuni, ho rivisto con l’occhio della mente gli abitanti di Centuripe, di Catenanuova e di altri centri, percorrere sotto il sole più chilometri per riempire una brocca, fare per ore la coda presso un filo di acqua.
Rammento che durante gli otto anni in cui fui giudice istruttore presso il Tribunale di Enna, recandomi a Centuripe dovevo portare qualche bottiglia di acqua per la permanenza di un giorno.
Eppure anche quelle popolazioni pagano le imposte.
Questa dimenticanza di tutti i passati Governi, lenita solo da eterne e vaghe promesse, sa di ingiustizia. Lo ricordo anche all’attuale Governo, per quanto non veda in questo momento che pochissimi suoi rappresentanti qui presenti.
Onorevoli Deputati, la questione meridionale. è questione italiana.
Il maggiore suggello dell’unità sta nella eliminazione di certe disuguaglianze che suonano offesa e che hanno dato forza a quel movimento separatista, che tanto ci ha preoccupati.
Il piano regolatore ferroviario della Sicilia è rimasto da numerosi anni sempre sulla carta.
Fu prevista mezzo secolo fa la costruzione della linea Trapani – Marcatobianco – Nicosia – Catania, per una più rapida e diretta comunicazione tra la Sicilia orientale e quella occidentale.
Fu costruito anni or sono il primo tratto, Trapani – Alcamo; il secondo tratto previsto tra Alcamo e Marcatobianco è rimasto sotto forma di progetto; del terzo tratto Marcatobianco – Nicosia manca anche il progetto; il quarto tratto, eseguito in parte da Catania a Regalbuto, è in stato di abbandono e si corre il rischio di perdere il lavoro compiuto.
Trattasi di una grande linea che rappresenta l’aspirazione più sentita di numerosi centri abitati, specie nelle Madonie, tutti tagliati fuori dalle città più importanti della Sicilia.
È una linea che darebbe vita a numerosi centri come Alcamo, che conta 65.000 abitanti, Camporeale, Roccamena, Corleone, importanti centri cerealicoli; Polizzi Generosa, zona molto sviluppata per la coltivazione dei noccioleti e mandorleti, Lercara Friddi, centro solfifero, Petralia, Gangi, Nicosia, Agira, centri di produzione di grano, di olio e di formaggio, Regalbuto, zona di agrumi e mandorleti.
Altre linee ferroviarie da costruire in Sicilia e che sono ritenute indispensabili per lo sviluppo commerciale e per la rinascita dell’isola, sono la linea Caltagirone-Gela, la quale metterebbe in diretta comunicazione la città di Catania col Mezzogiorno dell’Isola, evitando il lungo ed interminabile percorso per Siracusa e Ragusa.
Uguale importanza hanno le linee Canicattì – Riesi – Mazzarino – Caltagirone, e quella Agrigento – Porto Empedocle.
Noi Deputati della Sicilia ben comprendiamo le difficoltà del bilancio; ma vorremmo che almeno si completasse la grande arteria già iniziata e che, come ho detto, dovrebbe congiungere Catania a Trapani, dando nuovo respiro a tutti i centri della Madonie.
Costruire strade in Sicilia significa anche combattere la delinquenza.
Le bande armate sogliono oggi fissare i loro quartieri generali lontano dalle poche arterie stradali, nel cuore delle zone latifondistiche, ove la polizia non può giungere con automezzi, ma solo a mezzo di cavalcature, il che rende difficile la lotta alla criminalità.
Dunque le strade allontanerebbero ed annullerebbero la delinquenza che tiene quattro milioni di abitanti quasi in stato di soggezione.
PRESIDENTE. Onorevole Romano, tenga conto che vi sono altri 60 iscritti a parlare.
ROMANO. Si è parlato di fatti personali, di tante altre cose non tutte importanti. (Commenti). Io parlo di problemi vitali per la Sicilia.
Parlando di riforma agraria, intendo richiamare l’attenzione dell’Assemblea sempre sulla Sicilia.
Spesso e con facilità si sente parlare di terreni incolti e di latifondi, ma si esagera sull’uno e sull’altro argomento.
Giustino Fortunato diceva che molti pappagallescamente ripetono tali scempiaggini. La zona costiera di tutta l’isola è coltivata al millimetro perché il contadino di Sicilia, il sobrio e laborioso contadino siciliano, ha recato a spalla dalla pianura la terra e l’ha collocata tra la lava dell’Etna piantandovi la vite, l’ulivo ed il mandorlo.
È il clima più del suolo che rende la Sicilia ed il Mezzogiorno in genere di valore economico inferiore alla rimanente penisola.
Piogge invernali e siccità estive mantengono stazionaria ed arretrata l’agricoltura, unica fonte di ricchezza.
Il sole, l’acqua spesso non si accompagnano; il sole alle volte brucia e l’acqua distrugge.
Nulla però in 80 anni di unità si è fatto, per eliminare i due gravi in convenienti. Ed è per questo che noi, pur avendo la massima devozione verso vecchi parlamentari che più volte ebbero la responsabilità del Governo, dobbiamo rilevare e censurare che essi fecero molte chiacchiere e pochi fatti.
I corsi d’acqua della Sicilia, che in prevalenza sboccano nel versante ionico, hanno carattere torrentizio.
Per impedire i danni delle piogge invernali e primaverili si sarebbero dovute eseguire in molti punti opere di arginature, dando un letto costante alle acque, ma queste sono rimaste padrone di tutti gli straripamenti ed ecco una delle cause della malaria che infierisce in certe zone.
Come ho detto, nel periodo in cui il sole comincia a bruciare, le piogge cominciano a mancare.
Se la pioggia benefica non cade a tempo propizio bisogna pure che l’uomo intervenga per dominare nei limiti del possibile la natura.
Rimboschire, questa deve essere l’opera dell’uomo.
È accertato che lo scirocco, vento africano, passando sul mediterraneo si impregna di vapore acqueo e questo precipita in pioggia quando passa su zona boschiva, i cui alberi esercitano quasi una forza di attrazione.
Infatti, risalendo lo scirocco verso il Nord, la prima precipitazione si ha sulla Sila, seguono poi le precipitazioni sull’Irpinia, sul Molise e sull’Umbria.
Onde, se si vuole combattere lo scirocco, che in Sicilia distrugge piante ed animali e deprime uomini, se si vuol far piovere in Sicilia bisogna rimboschire.
Invece in questi ultimi anni la scure si è abbattuta senza pietà sui pochi residui boschi dell’isola.
La legge Serpieri del 1927 presupponeva l’esistenza del bosco e quindi non ha potuto avere pratica applicazione in Sicilia, ove i boschi bisogna crearli.
Agli effetti della elettrificazione delle poche ferrovie e dei bisogni industriali, la costruzione dei bacini montani dev’essere coerente al rimboschimento perché, è bene ripeterlo, è il bosco che deve assicurare l’afflusso delle acque nei bacini.
Solo allora l’economia siciliana, esclusivamente agricola, potrà diventare agricolo-industriale.
Per la questione del latifondo mi sono premurato di accertare statisticamente il frazionamento della proprietà terriera.
In Sicilia si contano 422.000 aziende agricole, di cui solo 4.000 hanno una superficie che supera i 50 ettari e ciò si ha nell’interno della Sicilia ove prevale la coltura estensiva.
Il frazionamento di questi 40.000 appezzamenti a carattere latifondistico avverrebbe automaticamente se la questione dei latifondi si risolvesse sollecitamente dando una buona volta realtà concreta al binomio «strada e acqua».
Il fascismo ritenne di dare l’assalto al latifondo sovvenzionando la costruzione di case coloniche nelle vicinanze della rete stradale; giovò anche questo, ma per combattere il latifondo bisogna penetrare nel cuore del latifondo stesso con la strada e con l’acqua, elementi di vita dei futuri villaggi.
Il frazionamento del latifondo non si opera con la violenza, ma con quegli istituti giuridici, che tanto benefici sono stati nel passato e continuano ad essere anche oggi, come l’enfiteusi con le modifiche importanti apportate dal nuovo codice civile, la colonia perpetua, i contratti a lunga scadenza, le mezzadrie miglioratarie.
I proprietari terrieri dell’isola sono pronti a questo frazionamento approntando i capitali per la vita delle nuove aziende, ma prima si devono costruire le strade perché il contadino arrivi nel cuore del latifondo, prima si devono captare le acque necessarie per gli animali e per l’uomo.
Come innanzi ho detto, le promesse sono state infinite.
Ricordo che lo scorso anno venne ad Enna l’onorevole Romita, quale Ministro dei lavori pubblici; egli tenne una riunione in Prefettura, furono invitate tutte le autorità cittadine e vi partecipai anche io quale Presidente del Tribunale.
Numerosi lavori pubblici furono segnalati, il Ministro Romita prese attentamente appunti, lo stesso fecero alcuni ingegneri del seguito ed il provveditore delle opere pubbliche, che aveva in mano un grosso taccuino.
Sembrava che si dovesse sperar bene.
È trascorso un anno e neppure un chiodo è stato messo.
Altro istituto che incide nella riforma agraria è la creazione di un istituto di credito che eserciti esclusivamente il credito agrario, con larghezza di vedute e senza eccessivo fiscalismo.
Il più delle volte l’agricoltore viene a trovarsi nella condizione di un giocatore d’azzardo.
Fino a quando i prodotti non sono entrati nei magazzini, accidenti diversi minacciano il frutto del suo lavoro.
Onde è necessario che l’istituto di credito agrario sia tenuto a prendere in considerazione i casi di inadempienza non dipendenti dalla volontà del debitore, astenendosi per quell’annata agraria da ogni azione coattiva.
L’Istituto del credito agrario non deve essere poi snaturato, da parte dei mutuatari, come purtroppo più volte abbiamo constatato attraverso vari processi civili, nei quali si rilevava che il mutuo era stato destinato non ad opere di cultura o di miglioria, ma a bisogni personali ed alle volte anche voluttuari.
S’impone quindi una maggiore severità di controllo sull’impiego del denaro mutuato.
Bisogna infine prepararsi da oggi ad una vasta riforma culturale.
La Sicilia, come altre regioni, le quali fondano la propria economia sul prezzo dei cereali, è minacciata da crisi a breve scadenze.
Invero, quando i grani del Canadà, della Argentina, degli Stati Uniti, con la ripresa dei trasporti marittimi, potranno affluire a buon mercato nei porti di Genova, Napoli e Palermo, il prezzo del grano crollerà.
Onde la necessità di una trasformazione agraria sostituendo parte della cultura cerealicola, con la vegetazione arborea, come ulivo e mandorlo, con la conseguente revisione dei contratti agrari, perché il contadino deve avere la certezza che egli e i suoi figli raccoglieranno i frutti degli alberi che si vanno installando.
Bisogna dunque ritornare al principio dell’economia secondo natura e questo principio deve trovare applicazione sia nel campo industriale che in quello agricolo, perché in economia ogni artificio, contrastante con la natura del territorio è antieconomico.
Rapporto fra Governo e Costituente. – Dallo onorevole Calamandrei è stata prospettata la questione dei poteri della Costituente.
In verità la discussione meritava maggiore ponderatezza, ma si scivolò nella improvvisazione e fu questo il motivo per cui non si tenne conto che la questione importava l’esame di un istituto delicatissimo che dovrà far parte integrante della nuova carta costituzionale, l’istituto della decretazione di urgenza.
Questo istituto non potrà essere del tutto abolito, perché nella vita dello Stato spesso si presentano casi per cui occorre l’intervento immediato del Governo, il quale deve emettere prontamente la norma giuridica, senza avere la possibilità e il tempo di riunire ed interpellare il Parlamento, oggi Assemblea Costituente.
Presupposto di questo istituto è l’urgenza. Se questa manca vuol dire che si fa abuso dell’istituto.
Quindi la questione andava impostata in questi termini: lasciare al Governo la possibilità di emettere norme giuridiche servendosi della decretazione di urgenza; fare in questo caso obbligo al Governo di richiedere a brevissima scadenza l’approvazione dell’Assemblea, così come si opera in altri Stati; far ritornare all’Assemblea il suo naturale potere di legiferare.
Ma purtroppo del carattere di urgenza non sempre si tiene conto, specie quando entrano in campo fattori politici, lo spirito, l’interesse di parte.
Questo è avvenuto recentemente.
Infatti in Sicilia si discutono in questi giorni con animosità i decreti del Ministro dell’agricoltura ed alle discussioni spesso seguono le vie di fatto.
Sono recentissimi i fatti di Niscemi, ove 40.000 dimostranti hanno dato l’assalto agii uffici pubblici ed ai circoli dei civili.
Indubbiamente tutti sapete che col decreto del 10 maggio 1943, n.347, il Ministro dell’agricoltura fu autorizzato a fissare i prezzi dei cereali e delle fave da conferire agli ammassi.
Con decreto ministeriale del 18 giugno 1944 venne determinato per il raccolto del 1944 in lire 1000 al quintale il prezzo del grano duro.
Con successivi decreti ministeriali del 26 luglio 1944 e 4 giugno 1945, lo stesso Ministro dell’agricoltura divise detto prezzo in due parti: una costituita da una quota rappresentante il prezzo effettivo del grano, l’altra integrativa a titolo di sussidio di coltivazione in compenso delle maggiori spese culturali, attribuendo, nel caso di corresponsione del canone in natura, la prima al proprietario, la seconda al coltivatore o affittuario.
Furono così modificati, con effetto retroattivo, rapporti di diritto privato.
Ne derivarono numerose cause civili aventi per oggetto il prezzo da corrispondersi dai gabellotti.
Molte di queste cause erano giunte già davanti al giudice d’appello, quando in alcune circoscrizioni giudiziarie furono, dalle Procure generali, diramate delle circolari con le quali si consigliava la sospensione dei numerosi processi civili, in attesa del responso della Suprema Corte.
Questa a Sezioni unite, con sentenza 25 maggio 1946, ha deciso la causa tra Seminara Tusa contro Zuccaro affermando la illegittimità del decreto del Ministro della agricoltura del 26 luglio 1944.
La dotta e perspicua sentenza è stata già pubblicata in più riviste sia per le questioni giuridiche, sia per l’importanza politica.
Intanto la stampa del 23 giugno ultimo scorso ha annunciato che il Ministro dell’agricoltura ha sottoposto al Governo un decreto col quale si convaliderebbero i due decreti ministeriali del 26 luglio 1944 e del 4 giugno 1945, disponendo che le norme contenute in detti decreti dovranno avere valore di legge con decorrenza dalle rispettive date.
Non si può mettere in dubbio la legittimità di detto decreto, ma bisogna tener presente che non senza qualche motivo il nostro ordinamento giuridico comprende due disposizioni, una sotto l’articolo 11 delle preleggi al Codice civile, l’altra sotto l’articolo 2 del Codice penale.
Con queste due disposizioni si fissa il principio della irretroattività della legge, principio che, se contenuto nella Carta costituzionale, impedirebbe al legislatore ogni deroga.
In materia di rapporti obbligatori la retroattività della nuova legge può subire limitazioni, se motivi di ordine pubblico ispirino la nuova norma e vietino di far riconoscimento a vincoli obbligatori ravvisati immorali o illeciti.
Niente di tutto questo nel caso in esame e molto meno l’urgenza, ove si pensi che la questione si trascinava da due anni.
Non intendo qui entrare nel merito del decreto, anche esso alquanto discutibile, perché in alcune regioni del decreto stesso si avvantaggiano gli intermediari; ma rimanendo ad esaminare solo l’aspetto giuridico, è certo che se una violazione di legge vi fu, questa non fu operata da alcuna delle parti contraenti, ma dal Ministro, che andò oltre i poteri a lui demandati dal decreto del 10 maggio 1943, n. 397.
Intanto molte parti si erano rivolte al magistrato per la affermazione di questa violazione di legge, ma dopo due anni di attesa, dopo spese non indifferenti, esse hanno vinto, come suol dirsi in Sicilia, la causa ed hanno perduta la lite.
Tutto questo non è serio e non è serio per un duplice motivo: a) il cittadino ha diritto di fare affidamento sulla stabilità della legge; b) provocare un decreto per dare con effetto retroattivo valore di legittimità a due decreti ministeriali dichiarati illegittimi subito dopo il tanto atteso responso della suprema Corte, non costituisce certo deferenza verso il giudicato e verso l’organo supremo che l’ha emesso.
Ormai quello che è fatto è fatto e non si può tornare indietro; ma al Paese interessa che per l’avvenire non si continui a scivolare sul terreno delicatissimo della decretazione di urgenza e della retroattività della legge.
L’Italia è vittima cosciente ed incosciente della decretazione di urgenza: fu attraverso la decretazione di urgenza che il potere legislativo fu annullato e sostituito dal potere esecutivo.
Fra queste mura nel 1923, se non erro, in un solo giorno, su relazione degli onorevoli Cocco Ortu, Codacci Pisanelli, D’Alessio, Matteotti, furono approvati duemila e duecento decreti, alcuni dei quali risalivano al 1915.
Questa decretazione di urgenza mise le sue radici durante la prima grande guerra mondiale, continuò in quell’immediato dopoguerra, diventò unico modus vivendi durante la dittatura fascista e penso che non possa continuare ancora oggi dopo il nuovo battesimo democratico del 2 giugno.
La questione è quanto mai delicata ed incide nella vita stessa di questa Assemblea ed interessa tutto il Paese, che attende da noi la suprema legge dello Stato.
L’Italia ha troppo sofferto in questo ultimo quarto di secolo; ci siamo ridotti senza un amico, tutto il patrimonio fiduciario perduto, ogni giorno umiliazioni sopra umiliazioni.
Facciamo sì che questo disgraziato Paese, almeno per quanto riguarda la vita interna, possa guardare con serenità il futuro.
E noi con dolore possiamo constatare che alcuni troverebbero comodo fare la rivoluzione con decreti-legge.
Guai, se su questo terreno si dovesse continuare a scivolare anticipando il compito di questa Assemblea e trattando istituti riguardanti i così detti diritti sociali, che dovranno far parte integrante della nuova carta costituzionale.
Onorevoli Deputati, questa carta, come legge suprema dello Stato, guarda il futuro e deve fissare i limiti al di là dei quali i parlamenti futuri non potranno andare.
Questo è il motivo per cui ognuno di noi, varcando questa soglia dovrebbe spogliarsi dello spirito di parte.
Una carta costituzionale permeata dallo spirito di parte difficilmente troverebbe l’approvazione del Paese ed ai nostri figli noi daremmo non un documento di pace, ma un documento di discordia.
Si freni dunque la pericolosa decretazione di urgenza e si lasci che l’Assemblea svolga con serenità il suo compito.
Noi dobbiamo preoccuparci non del prevalere di questa o di quella corrente politica, ma di fissare nella legge suprema dello Stato, oggi per il domani, la difesa del diritto di tutti.
Costruendo questo documento storico bisogna guardare con serenità tutte le correnti politiche, perché ogni corrente può avere il suo contributo da dare alla verità sociale.
Onorevoli Deputati, volgo alla fine, ma permettete che io dica una parola per lo stato di difficoltà in cui viene a trovarsi la magistratura dopo il nuovo decreto che dichiara legittimi i decreti ritenuti illegittimi dal Supremo Collegio.
La nomina a Ministro della giustizia dell’onorevole Gullo, già Ministro dell’Agricoltura, non tranquillizza certo la serenità e l’indipendenza del Supremo Collegio.
Si è verificato così il caso dell’alunno bocciato che viene nominato preside per dirigere i professori, autori della bocciatura.
Questo avrebbe dovuto rilevare anche il Capo provvisorio dello Stato, onorevole De Nicola, che per avere vissuto tutta una vita nell’ambiente giudiziario, conosce tutti i nostri tormenti di ogni giorno.
Onorevoli Deputati, questo comportamento nei confronti della magistratura sa di fascismo.
E intanto si parla di indipendenza della magistratura, si parla di democrazia.
In verità penso che rimangano ancora due pii desideri.
Dov’è l’indipendenza, dov’è la democrazia? Molti di noi le cerchiamo, ma non le troviamo.
L’indipendenza della magistratura si avrà solo quando il Ministro sarà un magistrato e non un uomo di parte.
Questo deve essere fissato nella nuova carta costituzionale e non potrà essere altrimenti se si creerà la Suprema Corte costituzionale, che dovrà esaminare la costituzionalità o meno delle leggi.
Molti di voi siete uomini di legge, cultori del diritto.
Ebbene, difendete con noi l’indipendenza della magistratura, perché solo così difenderete la giustizia del nostro Paese. (Vivi applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Angelini.
ANGELINI. Onorevoli Colleghi, il programma che il Governo ha comunicato all’Assemblea merita tutto il migliore plauso e consenso. Esso rivela una precisa e decisa volontà di realizzare quella politica costruttiva e ricostruttiva che, nello spirito di una necessaria solidarietà nazionale, permetta alla nostra Patria di riacquistare quel benessere che assicuri a tutti i suoi figli la possibilità di lavorare e di vivere.
A questo Governo, che non vuol essere, come ci è stato solennemente affermato, un regime di parte, ma un Governo di tutti, noi dobbiamo dare la nostra più onesta collaborazione per affrettare la rinascita, così come questa collaborazione a tale rinascita la dà il popolo italiano che, pure in mezzo a tanti disagi, miserie, umiliazioni e rovine è pervaso da una decisa e ferma volontà di risorgere, volontà che si traduce quotidianamente in uno sforzo di ricostruzione e di ripresa, e che ha trovato la sua più alta espressione nel comportamento sereno e libero con il quale il 2 giugno questo popolo si è dato un nuovo regime ed ha eletto questa Assemblea.
Mentre noi tutti, rispondendo all’attesa degli italiani, dovremo dare al Paese la nuova costituzione che garantisca al popolo, per lunghi anni, tutte le sue libertà democratiche in uno spirito di vera e rinnovata giustizia sociale, il Governo, usando dei poteri che gli sono stati delegati e che, occorrendo, gli saranno confermati da questa Assemblea, deve decisamente realizzare quella ricostruzione e quel rinnovamento che sono da tutti attesi e che sono il presupposto assoluto per la rinascita della Nazione.
Ricostruire e rinnovare: è questo il segno che riassume il programma governativo.
Il Governo ha dichiarato che intende attuare il suo programma di ricostruzione attraverso un organo tecnico, il Comitato Interministeriale di Ricostruzione, il quale dovrà sottoporgli proposte precise e concrete.
I settori principali per la ricostruzione si identificano in quelli:
- a) delle opere pubbliche o di interesse pubblico;
- b) dell’industria;
- c) della marina mercantile;
- d) dell’agricoltura;
- e) della edilizia;
- f) nel risarcimento danni di guerra.
Io esporrò il mio punto di vista sui problemi di ordine politico, giuridico, tecnico e finanziario relativi a tale ricostruzione, problemi che ho maturato nella mia mente vivendo in quotidiano contatto con le popolazioni e con le distruzioni di quei territori della linea gotica tirrenica che portano ancora vivi e purtroppo insoluti, insieme alle sofferenze del popolo, i segni di una spaventosa distruzione.
Per quanto si riferisce alla ricostruzione delle opere pubbliche dobbiamo onestamente constatare che lo sforzo compiuto dai governi che sono stati al potere dall’armistizio ad oggi è stato notevole ed encomiabile, specialmente se posto in relazione alle immense difficoltà tecniche che si sono dovute superare ed alla deficienza di mezzi finanziari. La ricostruzione ferroviaria, quella stradale, e quella portuale sono in atto con il segno di una decisa e fattiva volontà. Occorre insistere su tale azione e progressivamente ampliarla, riconoscendo che la risoluzione del problema delle comunicazioni e dei trasporti terrestri e marittimi, è fondamentale per la nostra ripresa economica.
Occorre che una particolare cura ed attenzione sia posta dal Governo per l’attuazione di una precisa e rapida ricostruzione di opere d’interesse pubblico, cioè delle chiese, delle scuole, delle case comunali, degli asili, degli ospedali danneggiati o distrutti dalla guerra. In questi settori non si è fino ad oggi realizzato che molto poco; mentre si sarebbe dovuto agire con più ferma decisione per poter assicurare, a favore delle popolazioni che più hanno sofferto della guerra, la funzionalità di questi servizi che sono intimamente legati alla vita spirituale e materiale del cittadino.
I fondi posti a disposizione dei vari provveditorati dello Stato per questi scopi, sono stati, sino ad ora, troppo limitati; mentre l’importanza della realizzazione di questa ricostruzione è assoluta ed inderogabile. Richiamo su questo punto la migliore attenzione del Ministro dei lavori pubblici. Nel settore della ricostruzione industriale, agricola, edilizia e della marina mercantile occorre osservare il problema sotto un duplice profilo:
- a) provvidenze in atto per potenziare l’industria e la marina mercantile per una ripresa produttiva e di costruzione;
- b) provvidenze per operare il risarcimento dei danni di guerra e delle rappresaglie nel settore industriale, della marina mercantile, dell’agricoltura, dell’edilizia e della proprietà mobiliare.
Per favorire la ripresa dell’attività industriale ben poco si è fatto. Il Governo precedente all’attuale ha emanato un primo provvedimento con il quale ha posto a disposizione dell’Istituto Mobiliare Italiano 3 miliardi di lire per mutui da concedersi ai fini della riorganizzazione e ripresa industriale. La cifra è troppo limitata di fronte alle necessità impellenti dei vari settori industriali, onde occorre trovare il modo di effettuare rapidamente l’assegnazione di nuovi importanti fondi e nello stesso tempo snellire ed accelerare, in modo deciso e concreto, la procedura per la concessione di tali benefici, onde essi siano tempestivi ed efficaci.
Per la marina mercantile i decreti che prevedono il concorso dello Stato nelle opere di riparazione e di ricostruzione delle navi danneggiate e per le nuove costruzioni navali, hanno avuto ed hanno assai favorevoli ripercussioni, tanto che essi hanno servito e servono ad una sostanziale attività costruttiva la quale permetterà di realizzare la formazione di una nuova flotta mercantile, specialmente di piccolo e medio cabotaggio, indispensabile per la ripresa della nostra attività marinara.
Il nuovo Governo, perseguendo questa via ed incrementando periodicamente i fondi destinati a questo fine ed aggiornando i premi di costruzione compirà, in questo settore, un’opera altamente proficua.
Contrariamente alla critica mossa dallo onorevole Nitti, plaudo al Governo per aver creato il Ministero della marina mercantile. Questo provvedimento che ha attuato una antica aspirazione degli armatori e dei marittimi italiani, trova la sua piena giustificazione nella necessità inderogabile di realizzare al più presto la piena ricostruzione della nostra flotta mercantile, che, in dipendenza della guerra, si è ridotta da 3.500.000 tonnellate a meno di 350.000 tonnellate.
È questo uno dei più importanti problemi connessi alla ricostruzione dell’economia nazionale, quando si pensi quale compito svolgeva in passato ed è destinata a svolgere in futuro una forte marina mercantile, sia per il servizio dei traffici internazionali, sia per il cabotaggio mediterraneo in collegamento con le grandi linee di navigazione e di allacciamento con i porti e le innumerevoli isole mediterranee, quando si pensi all’urgenza di incrementare decisamente il lavoro dei cantieri navali italiani, con il conseguente impiego dei marittimi disoccupati.
Si provveda, perciò, di urgenza a coordinare un vasto e preciso programma ricostruttivo, specialmente per lo sviluppo della marina di piccolo e medio cabotaggio, di questa marina che, in certo qual modo, rappresenta l’artigianato della flotta mercantile e che per un paese di tradizioni marinare come il nostro ha bisogno di essere seriamente compresa per apprezzarne l’alta funzione che è destinata a svolgere.
Non basta, peraltro, realizzare un programma di ricostruzione, occorre che alla flotta ricostruita venga assicurata la possibilità di lavoro. A questo proposito richiamo l’attenzione del Governo su di una situazione quanto mai difficile e delicata.
Con decorrenza 15 giugno u.s. tutte le navi aventi stazza inferiore alle 300 tonnellate non sono più soggette a vincoli di navigazione.
In questa categoria di navi è compresa la quasi totalità della nostra attuale marina di cabotaggio.
A queste navi, peraltro, non è ancora consentito il libero traffico nel Mediterraneo e solo in determinati casi viene concesso di recarsi nei porti esteri, per modo che l’attività è contenuta nel trasporto delle varie merci disponibili fra i porti peninsulari ed insulari.
Il movimento di queste merci è, d’altra parte, compresso per la scarsa richiesta e produzione dei nostri complessi industriali ancora in fase di ricostruzione.
Poiché le limitazioni al traffico internazionale sussistono anche per le navi di stazza superiore alle 300 tonnellate, avviene che una forte aliquota di queste grosse navi, non utilizzate in traffici internazionali, è impiegata nel trasporto di quelle merci che sono sempre state appannaggio del piccolo e medio cabotaggio italiano. Quando si consideri che grossi piroscafi da 4-5-8.000 tonnellate sono stati destinati al carico di agrumi – merci varie – carbone e sale, si può facilmente immaginare come il sottrarre alla loro normale destinazione quantitativi così ingenti, pregiudichi il lavoro normale delle piccole navi da 2-3-4-500 tonnellate di portata.
Mi risulta che a questo inconveniente la Direzione Generale della Marina mercantile ha tentato di ovviare, e che si fanno giornalmente tentativi di avviare a traffici internazionali i grandi vapori. Speriamo di veder coronati di urgenza questi sforzi da autentici successi. È questo uno dei più urgenti problemi che devono essere risolti dal nuovo Ministero.
Ma altre cause ostacolano la ripresa del cabotaggio o meglio l’allontanano. Tra gli altri ostacoli segnalo le proibitive tariffe portuali.
Oggi si chiedono ancora oltre 500 lire a tonnellata per le operazioni di carico e scarico e tali enormi oneri allontanano dai porti i caricatori che preferiscono qualsiasi altro mezzo di trasporto; mentre coloro che sono obbligati a servirsi del trasporto marittimo non solo limitano al minimo il loro rifornimento ma riducono il nolo a limiti tali che costringono le navi al disarmo.
È indispensabile che le tariffe portuali siano rivedute e aggiornate a cifre possibili e non è concepibile pretendere tariffe centuplicate nei confronti di quelle prebelliche. Questo provvedimento s’impone nell’interesse degli stessi lavoratori dei porti, che solo in tal modo vedranno aumentati i traffici ed assicurato il loro lavoro.
Le difficoltà per il rifornimento dei combustibili: sono un altro grave intoppo. Le navi, giunte nei porti, devono perdere giorni interi per attendere il rifornimento di carburante che, nella quasi totalità dei casi, viene eseguito in quantitativi insufficienti. La nave, impegnata con un carico fissato, nella incertezza di avere il combustibile, è costretta all’acquisto alla borsa nera, dove di combustibile se ne trova quanto se ne vuole, pur di pagarlo lire 35 il litro.
Persistendo in questo stato di cose è da temere seriamente che gli armatori siano costretti a disarmare le loro navi e facile è il valutarne le conseguenze.
D’altra parte, nel mentre la nostra marina di cabotaggio si dibatte tra queste difficoltà, avviene che marine estere – con navi anche di piccolo cabotaggio – navi olandesi, greche, turche entrano nei nostri porti per trafficare nel Mediterraneo! Come si spiega questo fatto se non sulle palesi possibilità da parte degli armatori esteri di godere di costi di esercizio più favorevoli, di noli in valuta, di combustibile a prezzo ridotto, di favorevoli tassi di assicurazione?
E non si vede in queste iniziative un programma di più vasta penetrazione nei servizi di accaparramento del cabotaggio per le linee di navigazione mediterranea?
Il Governo intervenga a tempo e sappia vedere e provvedere per un sicuro domani onde non pentirci quando sarà troppo tardi; e non si dimentichi, fra l’altro, quarte immensa fonte di valuta estera potrà apportare una numerosa e ben organizzata marina di cabotaggio.
Circa le provvidenze per operare il risarcimento dei danni di guerra e delle rappresaglie nei vari settori ove il danno si è verificato, è necessario un riesame profondo dei criteri sui quali è stato impostato fino ad oggi questo importante problema. Tutte le disposizioni legislative adottate si fondono sul principio che il danno di guerra sia sopportato da chi l’ha sofferto, salvo un parziale intervento e concorso dello Stato.
Questi due principî sono da considerarsi ambedue profondamente e sostanzialmente errati. Il principio giuridico che deve regolare il complesso problema del risarcimento dei danni di guerra è, secondo il mio pensiero, che l’onere totale nazionale per tale risarcimento deve essere ugualmente ripartito e sopportato fra tutti gli italiani; è inconcepibile, antigiuridico, antisociale ed iniquo creare una situazione di cose tale per cui vi siano degli italiani che sono costretti a subire nei loro averi le tragiche conseguenze della guerra ed altri italiani che queste tragiche conseguenze non sopportano, avendo avuto i loro beni salvi ed integri. Da questo principio deriva la logica conseguenza che non è lo Stato che deve pagare il danno di guerra, ma è il cittadino che non ha subito alcun danno o ne ha subiti in proporzioni inferiori all’aliquota di onere ad esso spettante che dovrà corrispondere quel tanto che serva a realizzare il risarcimento del danno a favore di chi il danno stesso ha subito.
Fortunatamente per noi il valore dei beni privati salvi è sensibilmente maggiore di quello dei beni distrutti; per cui, la quota di oneri che dovrà gravare sui beni in generale, potrà contenersi in limiti sopportabili tutte le volte che i metodi e i sistemi di accertamento e di realizzazione del relativo contributo fiscale straordinario siano veramente concreti ed efficaci.
E qui è opportuno affermare che, una volta che sia stato ripartito fra tutti gli italiani l’onere dei risarcimenti dei danni di guerra, tutti dovranno ugualmente dare allo Stato quel concorso del quale esso avrà necessità per realizzare i mezzi necessari, onde finanziare il programma ricostruttivo delle opere pubbliche. Una eccezione dovrà essere fatta nel criterio generale della ripartizione dell’onere suddetto, nel senso di stabilire l’integrale risarcimento del danno di guerra a favore delle piccole proprietà edilizie, appartenenti a lavoratori o comunque a persone che, non avendo a disposizione alcuna possibilità marginale di patrimonio o di reddito, non sono assolutamente in grado di concorrere, neanche in minima parte, alla ricostruzione della loro modestissima proprietà. In tutta l’Italia sono state distrutte notevoli quantità di piccole abitazioni, costruite attraverso il sacrificio costante, paziente di più generazioni di lavoratori; piccole abitazioni ove i nostri operai trovavano il modestissimo ricovero per le loro povere famiglie. Queste abitazioni devono rapidamente e con precedenza sulle altre, essere ricostruite e l’onere di esse deve far carico interamente al fondo nazionale per la ricostruzione.
Se non è possibile di predisporre un programma generale governativo di lunga portata per le elidenti difficoltà denunziate dal Presidente del Consiglio, penso e credo che sia, invece, possibile predisporre un piano quinquennale o decennale per realizzare la ricostruzione dei beni danneggiati o distrutti dalla guerra.
Insisto perché il Governo, a servizio di tale piano organico di ricostruzione, istituisca un «Fondo Nazionale per il risarcimento dei danni di guerra», il quale dovrà essere incrementato dal gettito della istituenda imposta generale progressiva sul patrimonio.
Il piano di ricostruzione dei beni danneggiati dalla guerra, dovrà disciplinare la ricostruzione privata in modo da dare anzitutto la precedenza a quella che realizza anche una ripresa nelle attività produttive della Nazione e, secondariamente a quella edilizia, cercando di effettuarla in coincidenza e concomitanza progressiva con l’abbassamento dei prezzi di costo delle costruzioni.
Il Governo ci ha annunciato il suo programma finanziario. Sono d’accordo sulla opportunità di tenere separato il bilancio ordinario, per ricondurlo rapidamente al pareggio, dal bilancio straordinario riguardante entrate straordinarie destinate a fronteggiare spese straordinarie.
I prestiti interni ed esteri, annunziati dal Governo, dovrebbero essenzialmente servire per fronteggiare le spese straordinarie relative a questo eccezionale stato di cose, e le spese inerenti alla ricostruzione di opere pubbliche o di interesse pubblico e per la esecuzione di nuovi lavori pubblici.
L’imposta straordinaria sul patrimonio dovrebbe, come già ho detto, quasi essenzialmente servire per alimentare il fondo nazionale per il risarcimento dei danni di guerra. Ma in relazione a questa imposta straordinaria sul patrimonio è opportuno dire una parola franca e chiara.
L’imposta patrimoniale dovrà colpire tutti i cittadini che posseggono un patrimonio al di sopra di un certo limite minimo, e dovrà colpire il complesso di tutti indistintamente i beni posseduti, senza eccezione alcuna.
Di fronte alla tragica situazione nella quale si trova il nostro Paese, occorrono rimedi drastici, precisi, coraggiosi; rimedi che fino ad oggi non si sono adottati. L’Italia ha subito il suo più grave e grande disastro, ed è necessario affermare l’assoluta necessità che tutti i cittadini concorrano a realizzare la resurrezione della Nazione. Non possono ammettersi disertori od evasori. Oggi la verità è questa: la quantità dei cittadini che attualmente sfuggono al pagamento dei tributi è immensa: oggi chi paga è quello che ha sempre pagato. Attraverso questa guerra, che pur tanti lutti ha portato alla Patria, vi sono una quantità enorme di nuovi ricchi, molti dei quali sono divenuti tali attraverso le fonti più illecite e attraverso la borsa nera, che sono sconosciuti agli uffici fiscali ed il cui patrimonio non è accertabile e perseguibile con gli attuali inefficienti mezzi di ordinario accertamento. Bisogna decidersi a gettare le basi fondamentali di accertamento patrimoniale e di reddito che servano quale punto di partenza per tutte le imposizioni fiscali sia di carattere ordinario, che straordinario.
Occorre stabilire il più esattamente possibile qual è il patrimonio di ciascuno senza esenzione alcuna di attività patrimoniale, il patrimonio imponibile vero e reale; se arriveremo a stabilirlo avremo creato il presupposto che consentirà allo Stato, come agli Enti locali, di realizzare i mezzi ordinari per il risanamento dei rispettivi bilanci e straordinari per la ricostruzione della Patria e per il risarcimento dei danni di guerra e, nello stesso tempo, avremo realizzato in generale un sostanziale alleggerimento degli oneri fiscali che oggi colpiscono una ristretta minoranza di cittadini, in quanto che tali oneri saranno ripartiti fra un numero di contribuenti sensibilmente maggiore. Per ragioni varie non si è fatto il cambio della moneta; ma dovendosi istituire una seria imposta patrimoniale che, per essere efficace e giusta, colpisca tutte le attività patrimoniali da ciascuno possedute, dobbiamo giungere, necessariamente, almeno alla stampigliatura della moneta per stabilire la quantità di essa in circolazione e quella posseduta, sotto qualsiasi forma, da ciascun cittadino.
Questo patrimonio liquido non può, né deve restare esente da tassazione, tanto più quando tutti conveniamo nella necessità di impedire una ulteriore inflazione e svalutazione della moneta. Se l’esenzione si verificasse, si realizzerebbe una rivoltante situazione: quella cioè di vedere che proprio quei denari, liquidi o sotto forma di risparmio che spesso sono frutto della più losca ingordigia e sono stati realizzati attraverso l’affamamento e il sacrificio di tanti italiani e specialmente delle classi medie, impiegatizie e lavoratrici, rimarrebbero non solo esenti da imposta, ma sarebbero rivalorizzati dallo sforzo ricostruttivo della Nazione!
Io chiedo al Governo urgenti provvedimenti per creare in Italia la «Anagrafe tributaria».
BUBBIO. C’è già l’anagrafe tributaria: non è stata attuata, ma vi sono persino gli stampati. Non c’è che da attuarla.
ANGELINI. Essa, opportunamente organizzata per la sua rapida realizzazione e severamente protetta da rigide ed inesorabili sanzioni, costituirà il presupposto fondamentale per la rinascita e la ricostruzione finanziaria della Nazione; attraverso di essa sarà anche possibile accertare il patrimonio ed il reddito di ciascun cittadino, ed inoltre determinare, dopo di aver applicato ai patrimoni posseduti prima del conflitto i più giusti criteri di rivalutazione, quali sono stati gli effettivi incrementi patrimoniali conseguiti da ognuno durante la guerra, per potere, su tali incrementi, incidere decisamente in ossequio a quei principî di superiore giustizia per i quali non può concepirsi od ammettersi che, da un cosi tragico esperimento, possano essere derivati ad alcuni cittadini la morte, la rovina, il dolore e la miseria e ad altri i godimenti e le ricchezze.
Le resistenze che si opporranno da tante parti alla realizzazione di questa anagrafe tributaria, saranno certamente notevoli; perché immenso è l’interesse di chi possiede, e specialmente di chi possiede molto, di nascondere la propria ricchezza ed i propri redditi e tanto più nasconderli in quanto la origine di essi non trovi una onesta e chiara giustificazione.
Ma tali resistenze debbono essere e saranno vinte dalla decisa volontà del Governo, che è volontà determinata a salvare l’Italia, che è e deve essere volontà di affrontare i mali estremi con eccezionali e sostanziali rimedi estremi.
Onorevoli Colleghi, si è detto che la Repubblica non ha dato la giusta pace all’Italia; si è detto che il primo Governo della Repubblica non offre garanzie per un sostanziale migliore avvenire del Paese. Si dica chiaro e forte che la Repubblica è la prima e più diretta vittima degli errori del passato che ingiustamente ricadono su di essa, malgrado che tutti i partiti, che nella Repubblica credono, abbiano, per amore della libertà e della democrazia e credenti nelle promesse alleate, dato pel riscatto delle altrui colpe il contributo del sangue, del sacrificio e dell’azione, nella fiducia che tale contributo avrebbe servito ad ottenere una giusta pace per gli italiani.
La Repubblica italiana saprà tenere alta la fiaccola della giustizia contro tutti i dimentichi di fuori e contro tutti i denigratori di dentro, fino a quando le ingiustizie non siano state riparate. Quanto al primo governo della Repubblica io sono certo della sua volontà decisa di realizzare il programma annunciato; ricostruire con decisione e fermezza, ricostruire per risorgere e riprendere il nostro cammino, risorgere per assicurare a tutti la possibilità di lavoro e di vita; ma resti fermo il principio che ricostruire e risorgere non si potrà se non ci si rinnova nei metodi, nei sistemi, nell’azione; rinnovamento che significa andare verso l’avvenire con quella decisione che gli eventi richiedono, e con quella fermezza che le difficoltà da superare esigono. (Applausi).
Presidenza del Presidente SARAGAT
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Finocchiaro Aprile. Ne ha facoltà.
FINOCCHIARO APRILE. Signori Deputati, colgo occasione dalla discussione sulle comunicazioni del Governo e dalle dichiarazioni che sono state fatte dall’onorevole Presidente del Consiglio per precisare il punto di vista, gli intendimenti e i propositi dei miei colleghi indipendentisti e del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia.
Quello che ha detto l’onorevole Presidente del Consiglio nei riguardi del Mezzogiorno non ci soddisfa affatto. Noi abbiamo sentito ancora una volta, la millesima volta, ripetere dal banco del Governo le solite melate promesse che il Governo regolarmente non manterrà. (Commenti).
Il Governo non ha neppure detto una parola nei riguardi della Sicilia. Eppure sembrava che sulla Sicilia si fosse in questi ultimi tempi richiamata molto, non soltanto l’attenzione italiana, ma anche quella internazionale. È bene, pertanto, poiché il Governo dell’Isola, i partiti unitari locali e i Comitati di liberazione hanno avuto tutto l’interesse di deformare il nostro pensiero, di calunniarci in ogni modo e di farci apparire diversi da quel che siamo e sempre fummo; è bene che, in occasione di questa discussione, noi precisiamo il nostro atteggiamento.
Sin dal primo momento, signori Deputati, sin dal tempo della occupazione alleata, noi dichiarammo nettamente che il nostro proposito era quello che si addivenisse in Italia ad una Confederazione di liberi Stati. Affermammo ciò, inequivocabilmente, in un memoriale che, appena avvenuta l’occupazione, e precisamente il 23 luglio 1943, noi inviammo al generale Alexander. Tengo a ripetere che si tratta di manifestazione degli inizi dell’agitazione indipendentista e non, quindi, dell’ultimo momento. Ed io aggiungo che la stessa richiesta il Comitato del Movimento dell’indipendenza, prima della occupazione e durante la guerra, aveva fatta ai signori Stalin e Molotov, Roosevelt e Cordell Hull, Churchill e Eden. Anche allora noi dichiarammo che il solo mezzo per superare il conflitto sempre più aspro tra la Sicilia e l’Italia (Interruzioni – Commenti) era precisamente quello di addivenire ad una confederazione di Stati. (Rumori – Commenti – Interruzioni).
BUBBIO. Siamo unitari, siamo tutti italiani!
PRESIDENTE. Non interrompano!
FINOCCHIARO APRILE. Noi siamo nell’Assemblea Costituente, siamo qui per dare vita ad una nuova struttura statale. Come fate voi a negare così semplicemente di prendere in esame, con le altre forme, anche quella confederativa? Ma questo è inconcepibile. Noi siamo qui appunto per decidere quale costituzione dovrà avere lo Stato, se dovrà essere unitario, federale o confederale. (Rumori – Commenti).
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, non raccolga le interruzioni; continui.
FINOCCHIARO APRILE. Io rispondo. So di parlare ad una Assemblea ostile. (Commenti).
Una voce. No: italiana.
FINOCCHIARO APRILE. Non mi preoccupo di questa ostilità e vado avanti per la mia strada. Io non parlo soltanto a voi, ma intendo rivolgermi soprattutto a coloro che sono fuori di questa Assemblea. (Rumori – Commenti).
Una voce. Parli alla Costituente. Noi siamo degli italiani.
FINOCCHIARO APRILE. Noi rappresentiamo il popolo siciliano.
Una voce. Una parte molto piccola.
FINOCCHIARO APRILE. Una parte che sarebbe stata molto maggiore, se fossimo stati trattati diversamente e se fossimo stati intesi e compresi. Noi siamo qui per parlarvi della Sicilia. Fummo molto perplessi, dopo il trattamento fatto agli indipendentisti siciliani, se fosse conveniente venire in questa aula. Nel comitato nazionale che fu tenuto a Roma, immediatamente dopo la liberazione dei miei amici Varvaro e Restuccia e mia, si manifestarono delle tendenze alquanto diverse. Molti dissero: «Noi non dobbiamo andare all’Assemblea Costituente italiana!» (Commenti – Interruzioni).
Non dobbiamo andare all’Assemblea Costituente italiana, perché la vera Costituente nostra si dovrà riunire in Sicilia. Ed allora intervenimmo noi, pacieri, intervenimmo noi per dire che era ben necessario dare la prova ai nostri avversari che volevamo rimanere, come sempre siamo rimasti, sul terreno della legalità. Noi abbiamo sempre svolta la nostra azione nei modi più pacifici e così continueremo a fare. Appunto per dare all’Assemblea la prova di tutta la nostra buona volontà, noi siamo venuti qui e siamo qui per parlarvi esclusivamente della Sicilia.
Non ci occuperemo di nessun altro problema che non sia un problema siciliano…
Una voce. …e italiano!
FINOCCHIARO APRILE. Siciliano!
Evidentemente noi parlammo sempre di Confederazione di Stati liberi italiani, nella quale Confederazione tutti gli Stati dovrebbero essere e dovranno essere in condizioni di assoluta parità ed eguaglianza. Noi vogliamo che la Sicilia sia nella Confederazione di Stati italiani così come il Piemonte, come la Lombardia, come l’Emilia, e via dicendo, perché fino ad oggi, dopo 86 anni, la Sicilia non è stata mai nelle stesse condizioni delle altre regioni italiane; è stata sempre sfruttata, vilipesa, offesa e trattata come una colonia! (Rumori – Interruzioni).
L’unità accentratrice nel 1860 è stata fonte per la Sicilia di grandi sventure e di molti dolori. Noi desideriamo che sia superata definitivamente questa fase che noi ricordiamo con il maggiore rammarico.
Noi abbiamo sempre, sin dal primo momento, come vi specificherò meglio più avanti, parlato di uno Stato siciliano repubblicano.
Vi fu un momento nel quale gli autorevoli rappresentanti del Partito repubblicano italiano vennero a prendere contatti con noi in Sicilia. Noi li accogliemmo fraternamente. Pacciardi ci disse che il Partito repubblicano italiano si era messo a sostenere la necessità di uno Stato federale italiano. Noi rispondemmo di non potere accedere a questa concezione in quanto preferivamo e preferiamo la forma della Confederazione di Stati. Su ciò non fu possibile un accordo; ma quando sia Pacciardi, sia Conti vennero a svolgere i loro programmi in Sicilia, si sentirono gridare dai loro amici ad una voce: «Noi vogliamo la repubblica di Sicilia». Ed essi non si peritarono di rispondere: «Sta bene la repubblica di Sicilia, purché sia federata all’Italia». Tutti risposero: «Perfettamente». Noi stessi dicemmo: «Perfettamente, siamo d’accordo». Non è quindi da parte nostra che vi sia stata una deflessione. Vi è stata una deflessione da parte del Partito repubblicano italiano, in quanto esso ha oggi rinunciato alla creazione dello Stato federale, alla idea di Cattaneo, per rimanere devoto all’insegnamento di Mazzini. Essi oggi sostengono la necessità di una Repubblica unitaria italiana.
Ora, dal punto di vista nostro, siciliano, dei nostri interessi, dei nostri diritti conculcati, noi rispondiamo che tutte le nostre simpatie sono per la repubblica, ma una repubblica unitaria sarà per noi egualmente deprecabile (la parola è forse troppo forte) quanto la monarchia, perché con la repubblica unitaria italiana noi non risolveremmo nessuno dei problemi vitali della nostra terra amatissima, così come non li potemmo risolvere durante l’infausto periodo monarchico.
Si dice: ma, che bisogno c’è di ricorrere ad una Confederazione di Stati? C’è l’autonomia. Ed oggi, come diceva uno degli oratori più interessanti della tornata, l’onorevole Lombardi, mi pare, tutti parlano di autonomia. Non vi è partito che non accenni alla autonomia come ad un toccasana. Noi non crediamo all’utilità dell’autonomia. Se il Governo ci desse un’autonomia vera, reale, una autonomia finanziaria, economica, tributaria, doganale, noi la sottoscriveremmo fin da ora. Ma voi non ci date niente! Voi ci fate una grandissima beffa! Per questo noi respingiamo la vostra autonomia. Conosciamo benissimo il progetto. Abbiamo constatato con molta pena, a proposito di questo progetto, che accordi fra i vari organi dello Stato non sono neppure potuti avvenire. La Corte dei Conti ha respinto il progetto ed il Governo ha dovuto chiedere la registrazione con riserva. Il Consiglio di Stato, a quel che si dice, avrebbe pure manifestato intenzioni contrarie. La Commissione esistente presso il Ministero dell’epurazione ha detto: che cosa sono queste autonomie? Basta un piccolo decentramento burocratico. Quando il progetto di autonomia siciliana andò alla Consulta Nazionale, vi furono due uomini eminenti, Einaudi e Ricci, che dissero: «Ohibò! ma con questa autonomia si crea uno Stato entro lo Stato». E dettero parere contrario.
Voi comprendete, signori Deputati, che, con questa antifona, ogni speranza cade anche con un progetto di autonomia così striminzito, che non piace a nessuno, perché tutti lo qualificano una nuova turlupinatura per la Sicilia. Che risultati volete che esso possa dare?
Il decreto legislativo sulla autonomia siciliana è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale; ma io non so se esso entrerà presto in attuazione, non so se dovrà essere posto in appendice alla nuova Carta Costituzionale ed entrare in vigore con essa; non so se dovrà essere conglobato con questa Carta Costituzionale. Noi, vi ripeto, a quel progetto siamo decisamente contrari. Ma, nonostante tutto – vi prego di non sorridere – noi lo voteremo. Lo voteremo come un inizio, come il primo passo verso quella indipendenza che sicuramente la Sicilia raggiungerà. (Interruzioni – Rumori).
A proposito di autonomia, il mio caro e vecchio amico, Arturo Labriola, che è onore della scienza italiana ed onore dell’Assemblea Costituente… (Commenti – Rumori). Èprecisamente come dico: onore dell’Assemblea Costituente…
Una voce. Ha onorato tanti partiti!
FINOCCHIARO APRILE. Dio mio! Qui dentro quanta gente c’è che ha onorato vari partiti. Lasciamo andare! (Commenti – Rumori).
Dicevo dunque che il mio amico Labriola, nel suo discorso, si è riferito a questo tisico progetto di autonomia ed ha chiesto che esso sia esteso anche alle provincie meridionali. Il mio amico Labriola è di facile contentatura, evidentemente. Io devo dirvi, invece, a questo proposito, che da ogni parte della Italia meridionale e della Sardegna vengono a noi incitamenti a persistere sulla strada che stiamo battendo, quella della Confederazione di Stati italiani. Ci si dice che si vuole unire l’azione del Mezzogiorno e della Sardegna alla nostra…
Una voce. Della Sardegna.
FINOCCHIARO APRILE. Sì, io sono orgoglioso di avere avuto il particolare incarico della Lega Sarda di parlare anche a nome della Sardegna.
Una voce. Ma sono pochi!
FINOCCHIARO APRILE. Che importa? De Valera alla Camera dei Comuni portò appena quattro deputati, quanti noi indipendentisti siamo qui dentro, e dopo non molti anni l’Irlanda fu uno Stato libero. Così sarà della Sicilia, della Sardegna, del Mezzogiorno. (Vivissimi rumori – Interruzioni – Commenti).
Una voce. E sarà la guerra civile.
FINOCCHIARO APRILE. Ma che cosa dice?
Io devo ripetere che noi, fin dal primo momento, affermammo la necessità che il nuovo ordinamento siciliano sia a base repubblicana. Ma, a questo proposito, io devo rilevare una dichiarazione, fatta qualche tempo fa sul suo giornale di Palermo dal collega onorevole Natoli, il quale scrisse che Charles Poletti, Governatore della Sicilia per conto degli Alleati, aveva proposto a me di fare la Repubblica siciliana e che io mi ero rifiutato. Questo annunzio ha avuto qualche eco internazionale che mi costringe ad una precisazione.
La notizia è completamente destituita di fondamento, perché non è esatto che l’America, al momento dell’occupazione, sostenesse la necessità di una Repubblica siciliana. Poletti non affermò altro che la necessità della permanenza della monarchia e fu nell’occasione nella quale apparve un documento indipendentista contrario alla monarchia che io ebbi un dissidio con lui e gli dissi che non per mantenere la monarchia il popolo siciliano aveva agognato la sua liberazione dal fascismo e che gli Alleati avevano combattuto nel nome della libertà e ci avevano liberati dal vecchio regime.
Questa è la verità, contenuta anche in una lettera di un egregio uomo politico inglese, il quale me l’ha confermata ora. Egli mi scrive: «L’Inghilterra protesse i Savoia e dovette perciò ottenere faticosamente l’aiuto dell’America perché sperava che la monarchia fosse di ostacolo alla marcia del comunismo. Quando gli americani credettero che dal Nord poteva forse venire una forma di vera democrazia che desse libertà reali a tutti, i Savoia furono buttati a mare». Ma in quel momento Poletti sosteneva la monarchia di Savoia che noi invece combattevamo ad oltranza. (Commenti).
GUERRIERI. Ma non dovete combattere l’unità d’Italia.
FINOCCHIARO APRILE. Noi siamo unitari più di lei, e glielo spiegherò. Lei non capisce che…
GJJERRIERI. Io capisco l’unità.
PRESIDENTE. Non interrompano!
FINOCCHIARO APRILE. Noi amiamo l’Italia più di lei. (Interruzioni – Rumori – Commenti).
Agli alleati, quando la Sicilia era occupata, furono prospettate varie possibilità di confederazione. Noi insistemmo per la confederazione tedesca, quella di Bismarck, che dal punto di vista giuridico e costituzionale consideriamo il più perfetto sistema di confederazione. Nella confederazione tedesca, infatti, tutti gli Stati erano sovrani. Vi erano i regni di Prussia, di Baviera, del Würtenberg, di Sassonia e via dicendo. Vi erano anche le città libere anseatiche di Brema, Lubecca ed Amburgo. Ci si è rimproverato dall’onorevole Natoli di aver suggerito questa confederazione tedesca, che fu soprattutto una confederazione di dinastie. Ma a noi tale confederazione interessava soltanto dal punto di vista del diritto pubblico, ed io insisto nell’affermare che essa fu quella che dette i migliori risultati e che merita di essere presa a modello.
Ora io affermo, in risposta ai miei interruttori, che i cittadini della Prussia, della Baviera, del Würtenberg, della Sassonia, delle città libere anseatiche erano tutti cittadini tedeschi che la Confederazione univa ed affratellava in unico granitico blocco. E se la Sicilia diventerà uno Stato libero confederato all’Italia, non ne risulterà una unione più salda di quella presente? Non saranno tutti gli italiani, pur divisi nella tutela dei loro particolari diritti, tutti uniti nell’interesse e per la gloria del nostro Paese? (Interruzioni – Commenti).
L’occasione per la quale avvenne il contrasto tra Charles Poletti e me fu precisamente un ordine del giorno del Comitato dell’indipendenza siciliana, ordine del giorno nel quale noi ricordavamo che la casa di Savoia aveva acquistato il titolo regale in Sicilia con Vittorio Amedeo II, al tempo del trattato di Utrecht del 1713; ricordavamo che il Parlamento siciliano nel Risorgimento aveva offerto la corona di Sicilia al figlio di Vittorio Emanuele II; ma ricordavamo anche che la Casa di Savoia se ne era sempre infischiata della Sicilia.
MATTARELLA. E perché l’avete sostenuta nelle elezioni? Siete stati monarchici. (Commenti).
FINOCCHIARO APRILE. È una menzogna spudorata. Siete stati voi che prima avete sostenuto la repubblica e poi vi siete fatti sostenitori della monarchia. (Rumori – Interruzioni – Commenti).
Ebbene, in questo ordine del giorno noi rimproveravamo l’abbandono in cui casa Savoia aveva tenuto la Sicilia e noi dichiarammo decaduto Vittorio Emanuele III dal trono e con lui decaduti i suoi successori. E, poiché si continuava a insistere in una specie di protezione della monarchia e del generale Badoglio, io in una lettera dell’ottobre dello stesso anno, lettera violenta e veemente che può avere riscontro in quella del conte Sforza diretta allo stesso sovrano, lo invitai ripetutamente ad abbandonare senz’altro il trono e a decidersi finalmente ad abdicare. E qui mi si viene a dire che abbiamo sostenuto la monarchia! Quando mai lei me lo ha sentito dire?
MATTARELLA. Nelle elezioni.
FINOCCHIARO APRILE. È una menzogna spudorata, e lei mentisce sapendo di mentire. (Rumori vivissimi – Interruzioni – Commenti). :
MATTARELLA. Mentisce lei. A Lercara i suoi mi hanno interrotto al grido di «Viva i Savoia!».
FINOCCHIARO APRILE. E che c’entro io in ciò? Ma la smetta. Lei è un «intrallazzatore» dell’Alto Commissariato della Sicilia e si è arricchito. (Rumori vivissimi – Interruzioni – Commenti animati e prolungati).
MATTARELLA. Ritiri la parola, altrimenti non parlerà più.
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, lei deve ritirare questa espressione che è inammissibile. (Approvazioni).
Voci. Ritiri l’ingiuria!
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, torno a invitarla nel modo più formale a ritirare le espressioni inammissibili di cui lei si è servito. (Applausi).
FINOCCHIARO APRILE. Per la forma ritiro quello che ho detto; per la sostanza (Interruzioni) vi è una precisa accusa formulata da me pubblicamente contro l’onorevole Aldisio e i suoi complici in tutte le malefatte dell’Alto Commissariato.
ALDISIO, Ministro della marina mercantile. Il Commissario Aldisio ha querelato con ampia facoltà di prova il signor Finocchiaro Aprile. (Applausi al centro).
GRONCHI. Chiedo di parlare.
FINOCCHIARO APRILE. Io ho la parola.
PRESIDENTE. Onorevole Gronchi, non posso accordarle la facoltà di parlare in questo momento.
GRONCHI. Onorevole Presidente, vorrei chiarire le ragioni della reazione vivace del mio gruppo e mia personale al contegno dell’onorevole Finocchiaro Aprile. (Commenti).
PRESIDENTE. Le ripeto, che lei non può parlare ora.
FINOCCHIARO APRILE. Io ho la parola!
Voci. Parli l’onorevole Gronchi! (Commenti – Rumori).
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, continui!
FINOCCHIARO APRILE. Poiché la mia non fu che una legittima reazione contro un’accusa ingiusta e falsa, questa mia reazione fu necessariamente vivace. Se l’onorevole Mattarella ritirerà l’accusa falsa, io ritirerò quello che ho detto.
MATTARELLA. Siccome la mia accusa non è falsa, io non la ritiro e mantengo tutto quello che ho detto. (Rumori vivissimi – Interruzioni – Commenti animati e prolungati).
FINOCCHIARO APRILE. Ed io non ritiro nulla e mantengo quello che ho detto.
PRESIDENTE. Continui, onorevole Finocchiaro Aprile.
FINOCCHIARO APRILE. Dopo la nostra dichiarazione di decadenza della monarchia di Savoia, dopo l’invito a Vittorio Emanuele III di abbandonare il trono, il Comitato nazionale fece ripetute affermazioni nettamente ed inequivocabilmente repubblicane; ed in tal senso si pronunziarono solennemente il Congresso nazionale di Taormina e poi quello di Palermo.
Però voi dovete rendervi conto che il Movimento della Indipendenza non è un partito, ma abbraccia quasi tutti i partiti, purché indipendentisti.
Una voce. No, non è vero!
FINOCCHIARO APRILE. Noi abbiamo comunisti…
Una voce. Ma dove?
FINOCCHIARO APRILE. …abbiamo socialisti… (Interruzioni), liberali, laburisti, democristiani…
Una voce. Nella sua fantasia!
FINOCCHIARO APRILE. …e poiché nel Movimento vi sono anche dei monarchici, il Comitato nazionale dell’indipendenza, riunito a Roma, dichiarò di lasciar liberi gli indipendentisti di votare come volevano.
Questa è una manifestazione monarchica.
Una voce. Dunque siete repubblicani e monarchici! (Vivi rumori – Commenti).
FINOCCHIARO APRILE. In ripetute occasioni, noi dichiarammo che la repubblica da noi desiderata è la repubblica sociale. (Commenti – Interruzioni).
Dichiarammo che questa repubblica dovrà avere un Governo a democrazia diretta. Perché? Perché noi siamo decisamente contrari al regime puramente parlamentare che ha dato così cattivi risultati in Italia. (Interruzioni – Commenti).
Perché democrazia diretta? Perché precisamente il regime parlamentare dette luogo ad inconvenienti che molti di voi, specialmente i vecchi, ricordano. Quando Don Sturzo, ad esempio, si intrometteva, pur non facendo parte della Camera dei Deputati, nel giuoco delle forze parlamentari, riusciva persino ad impedire la formazione dei Governi con grave pericolo dell’esistenza dello Stato, e fu parecchie volte colto in fallo. (Rumori vivissimi – Interruzioni – Commenti animati al centro).
Voci. Legga la storia!
FINOCCHIARO APRILE. …Pensammo così alla necessità di sottrarre il Governo alle compromettenti agitazioni parlamentari, le quali saranno rese inoffensive appunto con la democrazia diretta, mercé la quale il Governo sarà eletto direttamente dal popolo e non potrà cedere ad ogni stormire di foglia per gli isterismi ed i capricci di questo o quel partito o gruppo politico rappresentato nell’Assemblea. Non si verificherà più lo spettacolo inverecondo di allora, per cui ogni sei mesi bisognava cambiare il Gabinetto, dando l’impressione che l’Italia non potesse funzionare in nessun modo.
La ragione della democrazia diretta da noi vagheggiata è precisamente quella di dare al popolo la vera sovranità, la sovranità permanente, non una sovranità che si esaurisce nel momento stesso in cui l’elettore esprime il voto. Con la democrazia diretta il popolo ha permanentemente la sovranità, sia con il diritto di referendum, sia con il diritto di iniziativa, sia con il diritto di revisione. Il popolo è sempre sovrano, in qualunque momento della sua vita.
Questa è la vera democrazia che noi desideriamo in Sicilia e che auguriamo anche all’Italia.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
FINOCCHIARO APRILE. Nel notevole discorso pronunciato oggi dall’onorevole Lombardi si è accennato all’opportunità dell’abolizione dei prefetti; ma precisamente in tutti e due i nostri congressi noi sostenemmo – e la cosa non è affatto peregrina – l’assoluta necessità della soppressione dei prefetti. I prefetti oggi non sono che gli agenti del Governo, perché devono esercitare sulle popolazioni le pressioni, le minacce, le violenze del Governo. (Rumori – Interruzioni).
Noi auspichiamo, con tutte le nostre forze, la scomparsa dell’istituto prefettizio, amorfo e pericoloso (Commenti), istituto non di schietta origine italiana, ma di pura imitazione napoleonica e borbonica. (Commenti).
Una voce. Vuole per caso l’anarchia?
FINOCCHIARO APRILE. Signori, una delle ragioni per le quali i democratici cristiani, in Sicilia, i vescovi, il clero in genere, si accanirono violentemente contro di noi fu questa: a Palermo, quando noi delineammo lo Stato che vagheggiamo e che auspichiamo anche per l’Italia, noi dicemmo che i contadini e gli operai devono avere una rappresentanza concreta ed effettiva nei Governi. Oggi essi non hanno neppure una rappresentanza formale. Contadini e operai sono al di fuori, per quanto nel Governo siano autorevoli sostenitori dei loro diritti e dei loro interessi. Ma noi pensiamo che gli operai e i contadini debbano partecipare direttamente al governo della cosa pubblica, perché soltanto così essi potranno essere i veri interpreti delle classi lavoratrici siciliane, ed italiane. (Commenti).
Una voce. Ha scoperto l’America!
FINOCCHIARO APRILE. Non pretendo di scoprire nessuna America, ma nessuno ha pensato ancora di attuare tali concetti.
La prima manifestazione del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia ebbe la partecipazione di numerosissimi operai e contadini siciliani. Allora io posi il dilemma: o indipendenza o comunismo! (Rumori).
Io ho sempre creduto e credo nell’avvenire del comunismo! (Applausi a sinistra).
Io non so le ragioni per le quali Togliatti – che io non conosco – non ha partecipato al Governo. Sono certamente delle ragioni che devono meritare la massima considerazione. Io ignoro se l’onorevole Togliatti si prepara a dare l’assalto alla diligenza ministeriale. Se lo facesse ne avrebbe pieno diritto, perché io sono profondamente convinto che la vera forza efficiente del Paese sia oggi la forza comunista! (Rumori – Commenti – Interruzioni al centro).
Ma se Togliatti, com’è più probabile, anziché isterilirsi nella funzione di Governo, sia pure nella funzione prevalente di Capo del Governo, per la quale ha innegabili attitudini, dovesse ricorrere ad altro sistema, egli non avrebbe altra scelta che, quella di scendere in piazza: operai e contadini certamente lo seguirebbero. Ed allora tutta la vostra maggioranza – quanti siete? 200? – a che cosa si ridurrebbe?
Quando gli operai ed i contadini scendessero in piazza, che potrebbero fare per opporsi ad essi le vostre donnaccole dalle quali ripetete il mandato… (Rumori vivissimi – Interruzioni – Scambio di vivaci apostrofi fra il centro e l’oratore – Commenti animati e prolungati).
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, sono costretto a richiamarla all’ordine. Le ricordo che, a norma del Regolamento, al secondo richiamo, sarò costretto a proporre l’esclusione dall’Aula. (Commenti).
È probabile che i Deputati non si rendano conto del significato del richiamo all’ordine.
Voci. Non deve parlare!
PRESIDENTE. Fo notare agli onorevoli colleghi che l’onorevole Finocchiaro Aprile richiamato all’ordine, ha diritto di continuare a parlare. (Applausi).
FINOCCHIARO APRILE. La Balcania e la Germania sono ormai bolscevizzate. Il passo verso l’Europa occidentale è breve. È inutile tentare di opporsi all’avanzata trionfale del comunismo. (Commenti – Interruzioni).
Io ero legato di amicizia personale con Cicerin che conobbi a Genova. Fu una delle persone più care della mia vita. Io fui illuminato da lui sul pensiero di Lenin. Me lo illustrò e mi commentò i suoi scritti. Io vi dico che non so se fosse più il pensiero di Lenin trasfuso nella mente di Cicerin o più il pensiero di Cicerin trasfuso nella mente di Lenin.
PRESIDENTE. Resti all’argomento, e lasci stare Cicerin!
FINOCCHIARO APRILE. Noi abbiamo i nostri amici socialisti. Io ho molta simpatia peri socialisti. (Commenti): sono stato molto vicino a loro nel passato. Quando sorgeva su quei banchi la magnifica figura di Filippo Turati, la sua parola illuminava i nostri spiriti. Noi apprendevamo da lui quella che era allora la scienza del socialismo, che era la scienza della vita, che erano la probità e l’onestà politica. Noi ricevemmo insegnamento da Filippo Turati e diventammo tutti, chi più chi meno, socialisti. Voi comprendete, quindi, la mia simpatia per il partito socialista. Vi aggiungo che dei voti da me riportati in Sicilia, e specialmente a Catania, la maggior parte è dei socialcomunisti indipendentisti.
Filippo Turati ebbe il grave torto di non andare al potere quando noi lo scongiuravamo di andarvi e lo scongiuravamo a nome di Francesco Nitti, che lo stimava, lo apprezzava e lo amava. Se i socialisti fossero andati al Governo, molto probabilmente non avremmo avuto l’onta del fascismo.
Penso che il partito socialista sia destinato – adesso spero che non strillerete voi di questa parte sinistra dell’Assemblea – a scindersi, perché non pochi socialisti – ritengo sia questo il pensiero del Vicepresidente del Consiglio onorevole Nenni – andrà verso il comunismo (Interruzioni – Commenti), mentre molti altri dovranno andare a costituire un nuovo partito di centro.
Rimane il terzo partito, il più numeroso, o meglio quello che tale appare: la democrazia cristiana. La democrazia cristiana è l’ultima Thule della borghesia italiana e non tarderà a perdere le sue penne maestre. (Commenti).
Vedete! Io modestamente considero un grave errore quello vostro di essere venuti qui in cosi larga misura. (Commenti). I metodi elettorali non davvero commendevoli del clero italiano e vostri, messi in rilievo l’altro giorno dall’onorevole Lussu, sono metodi che sono stati applicati dappertutto, specialmente in Sicilia. E voi non vi siete ancora accorti che, precisamente in conseguenza di tali metodi, che vi hanno portato qui così numerosi, è venuto formandosi in Italia ed in Sicilia un notevole spirito di reazione anticlericale. (Commenti).
Gli episodi sono noti: un po’ qui e un po’ là i preti sono stati insultati, schiaffeggiati, feriti, cosa che dispiace a chiunque abbia senso di umanità.
Ora, quando furono attuati i Patti lateranensi, le ultime tracce dell’anticlericalismo nostrano erano venute sensibilmente attenuandosi e molti che erano al di là della trincea ricomposero il loro spirito verso una maggiore serenità di coscienza. L’anticlericalismo finì. Non so ora che cosa avreste voi democristiani da guadagnare da un risorgere violento dell’anticlericalismo: credo che non provvedereste né agli interessi del vostro partito, né a quelli dell’Italia.
Io torno a quello che dicevo in rapporto al comunismo.
Vi potrà essere una qualche cosa veramente deprecabile e deprecata da noi che potrà ritardare il fatale evolversi degli avvenimenti: una guerra, la guerra fra l’Inghilterra e la Russia.
A questo proposito, io devo dirvi qualcosa che ha inciso profondamente sull’avvenire della mia terra, della mia Sicilia. Perché noi non domandammo mai nulla agli alleati. Noi crediamo che il popolo siciliano l’indipendenza dovrà sapersela conquistare da sé e che se la conquisterà.
Ma, al di fuori di ogni nostra azione, avvenne questo, che sia l’America, sia l’Inghilterra, avevano cominciato a mettere seriamente gli occhi addosso alla Sicilia ed alla Sardegna.
Voi sapete che nei due trattati di pace, l’uno americano, l’altro britannico, era compresa – e non so se vi sia ancora compresa – la clausola di smilitarizzazione delle due maggiori isole mediterranee. Già erano venuti funzionari in Sicilia: le due grandi potenze si erano divise i porti e gli aeroporti, avevano cominciato a comprare terreni, avevano mandato persino funzionari, molti funzionari siculo-americani che non avevano taciuto lo scopo della loro venuta in Sicilia.
Io seppi che il Governo italiano, nell’imminenza del trattato di pace, che avrebbe dovuto essere stipulato alla fine di settembre del 1945, aveva dato disposizioni perché i capi degli uffici affrettassero i lavori di preparazione delle consegne. Lessi io due telegrammi del Governo italiano al riguardo.
Orbene, la Russia capì che la questione della smilitarizzazione avrebbe finito con lo sboccare fatalmente in un diverso ordinamento politico, costituzionale e statale della Sicilia e della Sardegna, e così il signor Molotov avanzò alla conferenza di Parigi che si teneva in quei giorni la richiesta dell’amministrazione fiduciaria esclusiva della Libia. Perché à Yalta, se non sbaglio, vi era già stato un accordo che l’amministrazione fiduciaria della Libia avrebbe dovuto essere a quattro, cioè dell’America, dell’Inghilterra, della Russia e della Francia. Come mai la Russia si decideva allora a domandare l’amministrazione fiduciaria per sé sola? Voleva la Russia dei compensi nel Medio Oriente, voleva dei compensi nel Dodecanneso? È probabile; ma è molto più probabile che la Russia manovrasse al fine di disinteressare l’America e l’Inghilterra dalla loro influenza nelle isole del Mediterraneo. Fu allora, signori Deputati, che gli angloamericani si ritirarono in buon ordine e la questione siciliana fu tolta dal tappeto internazionale dove era stata posata per tanto tempo e ritornò sul terreno interno.
A noi la cosa è rimasta perfettamente indifferente. Noi affermammo – all’inizio ve l’ho detto, rivolgendoci al Generale Alexander il 23 luglio 1943 – la necessità che la Sicilia diventasse uno Stato libero da confederare con lo Stato o con gli altri Stati italiani o, eventualmente, mediterranei ed europei. La stessa affermazione noi abbiamo fatto durante i comizi e la stessa affermazione facciamo oggi qui. Come ho detto, noi nulla chiedemmo agli alleati. Un collega, di cui non conosco il nome, diceva testé: ma perché vi siete rivolti agli alleati? La questione è che noi libertà non ne avemmo mai; il Governo ce la negò sempre, pervicacemente. Soltanto ora, in questi giorni, c’è stato dato il permesso di pubblicare un settimanale. Noi abbiamo fatto la campagna elettorale senza un giornale.
Noi ci rivolgemmo agli alleati per avere le nostre libertà, tutte le nostre libertà, come gli altri cittadini, e ci rivolgemmo agli alleati dopo di avere ripetute e ripetute volte rivolto i nostri appelli, ma invano, al Governo italiano. Del resto, rivolgersi agli alleati significava non rivolgersi a degli stranieri, ma rivolgersi a coloro che avevano e che hanno l’effettiva sovranità sull’Italia. La piena sovranità non è del Governo italiano, la sovranità è degli alleati e noi avevamo il diritto e il dovere di rivolgerci ad essi. E ci rivolgevamo ad essi per protestare contro il trattamento iniquo, ignobile, infame che ci veniva fatto dal Governo. Noi ci riunivamo pacificamente nelle nostre sedi per discutere le idee che vi ho espresse, idee che non sono affatto blasfeme, che sono le idee che hanno cementato per tanti e tanti anni i più grandi paesi del mondo. Ma soltanto perché erano affermate in Sicilia, le idee confederative dovevano essere considerate come idee di pazzi, di gente che doveva essere messa al bando; e cosi le nostre sedi erano devastate, erano distrutte; i nostri ragazzi martoriati, presi a calci di fucile. Quanti, quanti sono stati i nostri giovani oltraggiati, percossi e feriti! Le nostre sedi erano saccheggiate dai carabinieri in uniforme per ordine di Salvatore Aldisio, come disse un colonnello dei carabinieri.
ALDISIO Ministro della marina mercantile. È una pura invenzione, come tutte quelle che sono uscite dalla vostra bocca.
FINOCCHIARO APRILE. È la sacrosanta verità: siete il responsabile di tanto scempio, siete un traditore della Sicilia! (Rumori vivissimi – Interruzioni – Commenti animati).
Voci. Adesso basta!
PASTORE. Perché cerca solidarietà solo da quella parte? (Indica la sinistra). Perché se la prende solo con Aldisio?
FINOCCHIARO APRILE. Ebbene, questo trattamento fu veramente turpe, ve lo dico senza nessun risentimento, perché non ho amarezza personale verso alcuno; ma queste cose avevo il dovere di dire all’Assemblea Costituente, ai rappresentanti del popolo italiano. Gli indipendentisti sono stati trattati in Sicilia come nessun Governo austriaco o borbonico mai trattò i nostri conterranei. Il fascismo non giunse mai a tanta vergogna. (Interruzioni – Commenti). Io ho la documentazione di tutto. I nostri ragazzi, portati nelle carceri, vennero seviziati e torturati. C’era un maresciallo dei carabinieri, un certo Leone, un infame aguzzino, il quale ricorreva a tutti i più bassi sistemi di tortura: metteva i nostri ragazzi nelle famose cassette a scale; faceva loro orinare in bocca; metteva sull’ombelico dei giovani detenuti degli scarafaggi. Questo ha potuto fare il Governo che è venuto dopo la guerra per liberare la Sicilia, per liberare l’Italia. Io non posso ricordare ciò che con orrore.
E si venne agli ultimi tempi, che rivelarono come questa non fosse che una ignobile e turpe speculazione elettorale. Si temeva il successo degli indipendentisti, si aveva paura di loro. Aldisio aveva bisogno ed urgenza di eliminarli. (Interruzioni – Commenti).
E allora, suggestionato da Aldisio, intervenne quel piccolo Salazar che ha fatto ridere l’Italia alle nostre spalle, Parri, ad iniziare il fosco periodo del terrore.
Orbene, fu applicata a noi una disposizione fascista; a noi che, come disse alla Consulta Nazionale Vittorio Emanuele Orlando, eravamo l’espressione del più puro antifascismo, perché il Movimento fu l’accolta dei maggiori esponenti dell’antifascismo siciliano. Questo disse Vittorio Emanuele Orlando. Orbene, noi fummo arrestati come dei delinquenti comuni. Varvaro ed io fummo arrestati da Agnesina, quel turpe funzionario contro il quale i nostri patrioti gridavano tutte le sere alla radio: «Al muro, Agnesina!». Ci avete fatto arrestare da questo fiero mascalzone.
PRESIDENTE. Moderi il suo linguaggio!
FINOCCHIARO APRILE. Ebbene, si ebbe la tracotanza di parlare di internamento, si ebbe la spudoratezza di applicare a noi il decreto emesso da Mussolini nel 1940 contro gli antifascisti, per toglierli dalla circolazione senza le formali garanzie del procedimento per il confino, decreto che Mussolini stesso si vergognò di applicare, decreto che era già decaduto per le dichiarazioni di Poletti «che tutte le leggi fasciste dovevano considerarsi abrogate», decreto che era implicitamente abrogato per il fatto che era completamente contrario al nuovo regime di libertà e di democrazia instaurato in Italia. Bel Governo di libertà e di democrazia! E perché fummo liberati? Per clemenza? Bella clemenza! Noi non fummo liberati dal Governo, noi fummo liberati perché ricorremmo al Consiglio di Stato, il quale fece sapere al Ministro dell’interno, Romita…
ROMITA, Ministro dei lavori pubblici. L’avevo già deciso.
FINOCCHIARO APRILE. Non avevi deciso niente; che liberale sei? Che democratico sei? Che socialista sei? Tu dovevi immediatamente liberarci il giorno stesso che avevi preso possesso del Ministero dell’interno. Questo era il tuo dovere! (Rumori – Commenti).
Ebbene, noi siamo usciti perché il Consiglio di Stato si persuase che quella che era stata commessa verso di noi era un’ignominia ed una infamia.
Cari colleghi di questa parte (Accenna a sinistra), fieri avversari di quest’altra (Accenna al centro), io vi dico che il popolo siciliano indipendentista è molto più generoso di quello che voi credete. Il popolo siciliano indipendentista ha perdonato, ma non dimenticherà mai l’oltraggio che, attraverso i suoi rappresentanti, è stato fatto a tutta la nostra terra. Noi, nonostante tutto, abbiamo sempre raccomandata la calma. Non c’è nessuna manifestazione ed incitamento ostile che si possa attribuire a noi, perché noi sappiamo che cosa significa turbamento dell’ordine pubblico in Sicilia.
Se ci furono dei giovani che in seguito a tutti i martirii loro inflitti dovettero darsi alla montagna, ciò fu per sottrarsi alla persecuzione della più ignobile e turpe polizia che esista in Europa, quella italiana. Il popolo siciliano ha perdonato, ripeto, ma non dimenticherà. Noi indipendentisti continueremo, impavidi, la nostra strada. Noi non temiamo nulla: se dovete arrestarci, arrestateci; se dovete spargere il nostro sangue, spargetelo! (Interruzioni – Commenti).
Già, perché non è stato sparso? Noi abbiamo cinque eroi che sono stati massacrati dalla mitraglia della sbirraglia italiana. (Rumori vivissimi – Interruzioni – Commenti).
Una voce. E i carabinieri che avete massacrato voi?
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, le sue espressioni sono inammissibili. La richiamo all’ordine per la seconda volta. (Vive approvazioni).
FINOCCHIARO APRILE. Noi abbiamo i nostri martiri: Turri, Rosano, Giudice, Ilardi, Di Liberto, i quali sono morti con il nome della Sicilia sulle labbra, avvolti nella gloriosa bandiera rossa e gialla dei Vespri, inneggiando all’indipendenza siciliana; i loro, nomi e le loro memorie sono nei nostri cuori.
Noi continueremo a lavorare per il raggiungimento del nostro scopo ed io vi ripeto che ciò faremo, come ieri e come oggi, nell’interesse della Sicilia, ma soprattutto nell’interesse dell’Italia (Vivi rumori – Interruzioni) perché siamo profondamente convinti che soltanto col sistema confederativo noi potremo realizzare quella unità dei popoli di lingua italiana che il sistema unitario del 1860 non ha realizzato.
Questo per l’onore, per la fortuna e per la gloria d’Italia. (Rumori – Commenti).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. (Vivissimi applausi). Mi riservo di rispondere o di prendere in considerazione gli argomenti, per. quanto lo meritano, esposti dall’onorevole Finocchiaro Aprile circa la sua tesi indipendentista, autonomista, ecc., e le critiche al mio ed ai Governi passati.
Però fin da ora debbo deplorare amaramente che egli abbia usato contro organi dello Stato espressioni che noi non possiamo assolutamente accettare. Quando, in generale, si qualificano gli organi dello Stato, gli organi del pubblico ordine, i carabinieri, come «sbirraglia italiana», ricordo una sola cosa: che io recentemente a Palermo, entrando nella caserma dei carabinieri, ho visto una lapide dalla quale risultano i numerosi feriti e morti del corpo dei carabinieri, nella lotta in Sicilia. E devo aggiungere che in quella occasione ho fatto soprattutto la commemorazione di otto carabinieri massacrati da uomini, i quali, senza dubbio, avevano affinità politiche con l’oratore precedente. (Applausi).
Aggiungo di aver sentito con una estrema amarezza – e mi riservo di controbatterle – le erronee affermazioni fatte circa l’atteggiamento del Governo italiano in una certa fase di politica estera nel settembre dell’anno scorso, di cui sarei io responsabile. Aggiungo però – a parte le dichiarazioni che a tale riguardo mi riservo di fare – aggiungo la mia viva deplorazione, il mio accoramento, nel sentire un oratole italiano qui, nella Costituente italiana, reclamare il diritto, e difenderlo, del ricorso agli alleati e agli occupanti contro il proprio Governo nazionale. (Vivissimi applausi – Grida di: Viva l’Italia!).
GUIDI ANGELA MARIA. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Lo indichi.
GUIDI ANGELA MARIA. L’onorevole Finocchiaro Aprile, nel suo discorso, ha avuto una parola atrocemente offensiva nei riguardi delle donne democratiche cristiane.
PRESIDENTE. L’ho già richiamato all’ordine per questo fatto.
GUIDI ANGELA MARIA. Io, come le mie colleghe, sento di rappresentare una larga massa di donne democratiche cristiane e simpatizzanti, perciò protesto vivamente perché in questa aula si sia tollerata una parola così brutta, così volgare, e che si riflette su tutte le donne italiane, madri, spose, figlie, sorelle, giovani, che hanno dato tanta parte di loro generosamente, coraggiosamente, eroicamente in questi lunghi anni di sofferenze e di dolori.
PRESIDENTE. Non si è tollerato nulla! Ho richiamato per ben due volte all’ordine l’oratore. Evidentemente non tutti gli onorevoli Deputati conoscono la gravità di questa sanzione. (Vivissimi applausi).
Interrogazioni e interpellanze.
PRESIDENTE. Sono state presentate due interrogazioni per le quali il Governo ha dichiarato di voler rispondere nella seduta di domani. Se ne dia lettura.
MOLINELLI, Segretario, legge.
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se e quali provvedimenti intenda prendere in seguito al ripetersi dei tumulti provocati in San Severo (Foggia) da elementi armati dopo esplicita minaccia dei dirigenti della locale Camera del Lavoro rivolta all’indirizzo dei rappresentanti del Fronte dell’Uomo Qualunque nella mattinata di lunedì 15 luglio nell’Ufficio comunale del lavoro. Siffatti episodi di cruenta sopraffazione civile – divenuti frequenti e che sembra rispondono ad un piano preordinato – contrastano in modo patente con i propositi platonicamente espressi dal Governo e sottolineano lo stato di voluta impotenza nel quale versano gli organi costituiti a presidio delle pubbliche libertà. Gli interroganti chiedono che provvedimenti della maggiore severità siano presi tempestivamente contro i responsabili non tanto a difesa dei cittadini quanto a salvaguardia dell’autorità dello Stato, che da questi fatti si appalesa sminuita, se non addirittura annientata.
«Miccolis, Trulli, Rodi, Patrissi, Ayroldi, Lagravinese Pasquale».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno sulle misure che intende adottare perché non si ripetano in San Severo (Foggia) incidenti simili a quelli che il 16 luglio hanno portato il lutto in tante famiglie di quell’importante centro agricolo.
«Recca».
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«La sottoscritta chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per assicurare alla scuola un conveniente funzionamento nel prossimo anno scolastico, ed alla classe magistrale la possibilità di compiere serenamente il suo alto ufficio, tenendo presente i desideri espressi dalla classe stessa al Congresso tenutosi in Roma dal 23 al 26 aprile e ribadito al Convegno del C.D.N. del 23 e 24 giugno 1946. Questo allo scopo di evitare manifestazioni di forza contrarie ai sentimenti degli insegnanti, che vorrebbero poter esercitare il loro compito educativo con regolarità. L’interrogante chiede anche quali provvedimenti il Ministro intenda adottare a favore dei maestri che per cause di guerra hanno perduto la casa, le masserizie e gli indumenti, e sono impossibilitati dalle loro misere condizioni economiche a provvedere ai più elementari bisogni dell’esistenza.
«Merlin Lina».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno ed il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se, dopo la famigerata recente amnistia, intendano:
- a) rimettere in libertà tutti i poveri ergastolani, che contano trenta o più anni di terribile espiazione e distintisi per buona condotta;
- b) provvedere gli ergastolani liberati di ricovero e di assistenza, se sprovvisti di mezzi di sussistenza.
«Tonello».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere quali provvedimenti intendano prendere a favore dei maestri elementari per venire incontro, fra l’altro, alle rivendicazioni giustificate, di cui il Sindacato magistrale si è fatto interprete e difensore: a) dei ruoli aperti; b) dell’adeguamento delle pensioni.
«Lozza, Platone».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro del lavoro, per conoscere se allo stato della legislazione vigente e nello spirito della nuova democrazia l’organizzazione sindacale s’intende monopolio della Confederazione Generale Italiana del Lavoro o se viceversa è consentita piena ed assoluta libertà di organizzazione.
«Rodi, Miccolis, Martino, Ayroldi».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Governo, sulla situazione attuale dei nostri prigionieri di guerra con particolare riguardo a quelli di Jugoslavia e di Russia.
«Gasparotto».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per sapere se non ritiene giusto e opportuno accogliere la richiesta dei cooperatori italiani, promuovendo una legge che rivendichi alle cooperative, alle società di mutuo soccorso e agli istituti similari, senza eccezioni di termini di prescrizione e trasferìmento a terzi, la proprietà dei beni sottratti o alienati anche con la parvenza della legalità, durante il regime fascista, e il risarcimento dei danni comunque subiti dagli enti medesimi per le violenze fasciste e perché siano perseguiti civilmente e penalmente i responsabili della violenza distruttrice del patrimonio cooperativo.
«Canevari».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per conoscere:
1°) se ritiene che abbiano il diritto di usufruire delle provvidenze, di cui al Regio decreto 6 gennaio 1942 (Gazzetta Ufficiale 16 febbraio 1942), non solo quanti dopo il 16 febbraio 1942, ma anche quelli che, prima di tale epoca e dopo la dichiarazione di guerra, parteciparono ai concorsi; se, quindi, nel bandire il concorso riservato, di cui al Regio decreto su richiamato; per vice segretario di Prefettura, intende ammettere agli orali quelli che prima del 16 febbraio 1942 superarono le prove scritte e non poterono sostenere gli orali, perché sotto le armi o per non aver potuto raggiungere le sedi di esami per ragioni dipendenti dallo stato di guerra;
2°) o se, invece, non. ritiene quanto sub 1°) ed intende, prima dei bandi di concorso, emanare un provvedimento legislativo integrativo, che abbia ad estendere le dette disposizioni a quanti si trovano nelle condizioni di cui alla seconda parte del n. 1°) per eliminare sperequazioni ingiuste e rispettare i diritti quesiti.
«Riccio Stefano».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non intenda dare disposizioni, perché si proceda alla ricostituzione dei comuni soppressi dall’ex regime fascista. Risulta, per vero, che non pochi comuni hanno da tempo inoltrato al Ministero le relative pratiche completamente istruite e che inutilmente hanno sollecitato i provvedimenti relativi. Si impongono quindi immediate disposizioni e ciò per un doveroso senso di giustizia riparatrice e per evitare nelle prossime elezioni comunali gl’inconvenienti e le confusioni che derivano dall’attuale ibrida situazione amministrativa di molti comuni italiani.
«Bovetti, Stella».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritenga opportuno disporre per la sospensione del decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1946, n. 247, con cui si elevava il limite di valore della competenza del conciliatore a lire 5000 e a lire 50,000 quello della competenza pretoria, fino a quando non si attui l’invocata riforma del Codice di procedura civile, in vista del disservizio e delle aggravate difficoltà nella risoluzione delle controversie derivanti dalla mancanza di pretori titolari in un gran numero di preture e dalla insufficienza numerica del personale di cancelleria e nel Mezzogiorno anche per la difficoltà delle comunicazioni.
«Pignatari, Di Giovanni, Gullo Rocco, Fioritto, Musotto, Marinaro, Lopardi, Stampacchia, Preziosi».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quale fondamento abbiano le voci relative alla soppressione del Liceo-ginnasio di Carmagnola (provincia di Torino). L’annunzio di tale provvedimento ha suscitato vivo allarme in una vasta e laboriosa zona agricola-industriale del Piemonte, che invoca di non essere privata di una scuola che vanta tradizioni nobilissime per la cultura e la formazione dei giovani. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bovetti».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura (Alto Commissariato per l’alimentazione), per sapere:
1°) se non ritenga opportuno far sospendere la validità dei permessi già concessi e non ancora usufruiti per reperimento olio nella provincia di Reggio Calabria, dove la speculazione ha determinato un fortissimo rincaro del prezzo per il consumo locale dell’olio;
2°) se non ritenga inviare colà in corrispettivo dell’olio esportato, attraverso i suddetti permessi, un quantitativo di riso corrispondente, al fine di equilibrare la deficientissima bilancia alimentare della provincia di Reggio Calabria, poverissima di cereali, (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Musolino».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga urgente ed indilazionabile la costruzione dell’acquedotto suppletivo per la città di Reggio Calabria, che soffre di grave deficienza di acqua, come pure degli acquedotti di Staiti, Monasterace, Platì, Ciminà, Plaganica, centri rurali privi assolutamente di acque e nei quali, in diretta concorrenza si registrano, annualmente numerosi casi di tifo endemico, aumentando a tale scopo gli stanziamenti previsti quali fondi della disoccupazione e devoluti al Provveditorato alle opere pubbliche di Catanzaro, dimostratisi d’altronde insufficienti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Musolino».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le disposizioni impartite in relazione alle vive agitazioni e alle preoccupazioni degli amministratori dei comuni a causa dell’obbligo del pagamento degli stipendi, indennità e gratifiche al personale sospeso per epurazione. Le popolazioni si ribellano al pensiero che i comuni debbano pagare dipendenti invisi per i demeriti e le compromissioni politiche di costoro col nazi-fascismo e colla sedicente repubblica di Salò. Alcuni di detti dipendenti pretendono la corresponsione degli assegni dopo avere spontaneamente abbandonato il loro posto al momento della liberazione. Di qui la reazione delle popolazioni al pensiero di vederli riammessi ai loro posti, non senza rilevare le difficoltà dei bilanci e l’onere derivato ai comuni dal pagamento di altri impiegati in sostituzione di quelli sospesi per epurazione. Dato ciò, l’interrogante chiede altresì se s’intenda emanare provvedimenti ispirati alla equità, alla difesa degli interessi dei comuni e alla preoccupazione di dare soddisfazione alle giustificate reazioni della opinione pubblica interessata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bulloni».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura, per sapere se non ritenga opportuno di disporre sollecitamente per un congruo aumento della quota grano, lasciata ai produttori in esenzione dal conferimento e che si palesa insufficiente, tenuto conto del notevole calo, della esclusione dall’assegno riso e pasta e delle esigenze del mantenimento della mano d’opera avventizia. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Stélla, Bubbio, Bovetti, Baracco».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura, per conoscere se e quali provvedimenti siano stati predisposti per il preventivo approvvigionamento delle materie fertilizzanti ad equi prezzi, attese le difficoltà che da diversi anni ne hanno impedito la produzione e la distribuzione con conseguente grave depauperamento della fertilità dei terreni. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bubbio, Baracco, Stella».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non si ravvisi la necessità d’impartire precise istruzioni alle Prefetture, perché sia attuato il rimborso delle penali comminate e riscosse dalle Commissioni provinciali di vigilanza sui prezzi; e ciò limitatamente ai casi in cui, a seguito della celebrazione del processo, sia stata riconosciuta dal giudice penale la inesistenza del reato, con conseguente pronunzia del diritto al rimborso della penale già pagata. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bubbio, Baracco».
«I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non ritenga per lo meno inopportuna l’attuazione della legge 31 maggio 1946, n. 560, sulla riforma dell’ordinamento delle Corti di assise, promulgata in periodo di ordinaria amministrazione dal precedente Consiglio dei Ministri, attesoché tale riforma, ispirata a principî assai contrastati dalla scienza giuridica e dalla coscienza pubblica del Paese, involge conseguenze molto notevoli sul funzionamento dell’Amministrazione della giustizia e nel settore più delicato di essa, e merita pertanto di essere adeguatamente maturata e sottoposta all’Assemblea Costituente.
«Perrone Capano, Villabruna, Badini, Cortese».
«I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere:
1°) a quali concreti risultati siano fin qui giunti i lavori delle Commissioni legislative istituite per lo studio preparatorio della riforma dei Codici, della legge sull’ordinamento giudiziario e della legge di pubblica sicurezza;
2°) se nella necessaria attesa della elaborazione e pubblicazione dei testi definitivi non ritenga la urgenza:
- a) di abrogare il vigente Codice di procedura civile per ritornare al procedimento sommario regolato dal Codice del 1865 integrato e modificato dalle successive disposizioni vigenti fino al 1942;
- b) di garantire, con norme di legge e con atti positivi di governo, la effettiva indipendenza della Magistratura;
- c) di abrogare definitivamente tutte le Magistrature eccezionali in qualsiasi tempo istituite, sia nel campo penale sia nel civile.
«Vigorelli, Gullo Rocco, Di Giovanni, Segala, Morini, Rossi Paolo, Cairo, Musotto, Bocconi, Cartia, Fietta, Priolo, Pignatari, Cosattini, Lopardi, Grilli, Ghidini, Buffoni, Caldera, Greppi, Targetti, Pera».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri interessati quelle per le quali si chiede risposta scritta.
Così pure le interpellanze saranno iscritte all’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non si oppongano nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 20.35.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 16,30:
- – Interrogazioni.
- – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.