Come nasce la Costituzione

GIOVEDÌ 18 LUGLIO 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

VII.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 18 LUGLIO 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

indi

DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Nell’anniversario della guerra civile spagnola:

Scotti                                                                                                               

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Verifica di poteri:

Presidente                                                                                                        

Opzione e sostituzione dei deputati eletti in più circoscrizioni:

Presidente                                                                                                        

Votazione per la nomina di un Vicepresidente e di due Segretari:

Presidente                                                                                                        

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio:

Presidente                                                                                                        

Persico                                                                                                             

Giannini                                                                                                            

Lussu                                                                                                                

Russo Perez                                                                                                     

Pellizzari                                                                                                         

Risultato della votazione per l’elezione di un Vicepresidente e di due Segretari:

Presidente                                                                                                        

Svolgimento di interrogazioni:

Presidente                                                                                                        

Mattei Teresa, Segretaria                                                                                

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri          

Badini Confalonieri                                                                                        

Meda                                                                                                                 

Di Vittorio                                                                                                       

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Mattei Teresa, Segretaria                                                                                 

La seduta comincia alle 16,30.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo gli onorevoli deputati Mastino Pietro, Costa, Villabruna.

(Sono concessi).

Nell’anniversario della guerra civile spagnola.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Scotti Francesco. Ne ha facoltà.

SCOTTI FRANCESCO. Onorevoli colleghi, oggi nel 10° anniversario di quel 18 di luglio 1936 che segnò un nuovo tentativo delle forze del fascismo internazionale per spezzare in ogni paese le libertà popolari, a nome di quegli italiani che furono in Spagna sotto le bandiere della libertà e del diritto per difendere la Repubblica degli Spagnoli e l’onore d’Italia, io, che ebbi l’onore di combattere alla testa di una divisione repubblicana, chiedo che giunga il saluto del nostro popolo al governo di Giral, il solo legittimo rappresentante del popolo spagnolo. (Vivi applausi).

Giunga il nostro saluto, il saluto di un popolo libero per virtù delle armi e del sangue dei suoi figli, agli uomini e alle donne che si battono contro il carnefice Franco, ai guerrilleros, che dai Pirenei all’Andalusia, dalla Catalogna alle Asturie rinnovano le gesta eroiche dei combattenti dell’esercito repubblicano, agli scioperanti, ai militanti della resistenza. Vada il nostro pensiero commosso ai martiri ed agli eroi che hanno sofferto e soffrono, come hanno saputo fare i martiri e gli eroi della liberazione italiana.

Il 18 luglio del 1936 le forze reazionarie monarchiche hanno voluto pugnalare la libera repubblica che il popolo spagnolo si era data con libero suffragio. Le forze fasciste si erano fatte strumento degli imperialisti di Germania e d’Italia, cosicché quel giorno fu l’inizio della guerra che doveva insanguinare l’Europa e il mondo.

E fu allora che molti tra gli italiani capaci di intendere l’estrema rovina che minacciava la patria vollero prendere le armi, versare il sangue, alzare una bandiera che, monda dallo stemma dei Savoia e impugnata da uomini liberi, dicesse che il fascismo non era l’Italia.

E fu allora che a Madrid, a Guadalajara a Brunete, a Teruen, sull’Ebro, fu salvo l’onore dei soldati italiani. Fu allora che a quanti credettero di poter dire: «gli italiani non si battono» noi rispondemmo: «gli italiani liberi sono come nei giorni della tradizione gloriosa degli eroi, quando si battono per la libertà».

Fu su quei campi, in quella lotta, che noi assestammo i primi colpi a quello che pareva il colosso invincibile del fascismo. Fu lì, col sangue e con le armi che facemmo vere per l’Italia e per l’Europa le parole fiere di Madrid: «No pasaran».

Là fecero la loro esperienza di guerra molti dei migliori uomini della nostra resistenza. A coloro che credettero di poter buttar fango sugli esuli abbiamo risposto con sdegno, ricordando quanti nell’esilio diedero inizio alla riconquista della Patria per tutti gli italiani (Applausi): Longo, Commissario Generale, Nenni, Di Vittorio, e Pacciardi comandante della brigata. E quanti altri su questi banchi! Barontini, comandò a Guadalajara e Giuliano Pajetta e Leone, e Bardini, e Saccenti: e non li ho certo ricordati tutti.

E non possiamo volgere il pensiero a quei giorni e a quella lotta senza ricordare coloro che non rivedranno più l’Italia che hanno sognato, e che non sarebbe senza il loro olocausto.

Ogni corrente democratica ebbe i suoi caduti: ci siano presenti nei nomi di Picelli, deputato al Parlamento italiano, di De Rosa, di Battistelli, di Angeloni.

Noi vorremmo che l’Italia non dimenticasse questo passato che è già storia e che pure è tanta parte del nostro presente.

Avremmo voluto che l’opera nostra fosse ricordata là, dove si è discusso da qual giorno dovesse essere considerata iniziata la cobelligeranza o l’alleanza.

Vorremmo che il nostro Governo riconoscesse i diritti dei combattenti e delle famiglie dei caduti per la causa della repubblica spagnola. Ancora non c’è un segno che dica che quella fu una campagna nazionale. Ancora non c’è un provvedimento che dica che si fa conto delle prove di capacità e di eroismo date in quella guerra asperrima. E, più grave e più doloroso ancora, gli invalidi, i mutilati non hanno un aiuto, e le vedove e gli orfani sono lasciati assistere dalle associazioni democratiche, mentre lo Stato pare ignorare il debito contratto dalla nazione.

L’Italia repubblicana saluta oggi la Spagna repubblicana. Il nostro Governo, che deve assicurarsi l’amicizia dei popoli liberi, deve considerare i modi perché anche oggi il popolo spagnolo senta per noi la simpatia fervida che in quei giorni lo legò a noi.

Le forze democratiche sono in ascesa, presto esse saranno tutte per la Spagnia. Aiutiamole nel loro travaglio, prepariamo al nostro Paese amici sinceri nel Mediterraneo. Noi non possiamo continuare a riconoscere il regime fascista di Franco. Esso non è soltanto la prigione degli spagnoli: è il focolare di una nuova minaccia per tutti.

Siamo insieme alle nazioni che hanno già detto basta a quelle che hanno già tratto un insegnamento doloroso dalla guerra di Spagna.

Può accomunare oggi tutti gli italiani il grido che allora lodammo e che fu inteso in Italia e per il mondo, il grido dei nostri garibaldini, dal 1936 al 1939: «Evviva la repubblica spagnola!». (Vivissimi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Mi associo alle nobili parole con cui l’onorevole Scotti ha ricordato i democratici spagnoli ed i valorosi Garibaldini italiani caduti in terra di Spagna per la difesa della libertà di quel grande popolo. (Vive approvazioni).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, a sostituire nella Giunta delle elezioni gli onorevoli Cappa, Cingolani, Facchinetti, Giolitti, Scoca e Spano, chiamati a far parte del Governo, ho designato gli onorevoli Alberti Antonio, Assennato, Notarianni, Sardiello, Sicignano, Tessitori.

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella sua seduta odierna, ha verificato non essere contestabili le elezioni sottoelencate e, concorrendo negli eletti le qualità richieste dalla legge elettorale, ha dichiarato valide le elezioni dei seguenti deputati:

per il collegio VII (Mantova, Cremona): Pajetta Giancarlo, Bernamonti Dante, Caporali Giovanni Ernesto, Pressinotti Pietro, Dugoni Eugenio, Cappi Giuseppe, Avanzini Ennio, Benvenuti Lodovico;

per il collegio XIV (Parma, Modena, Piacenza, Reggio Emilia): Noce Teresa, Massola Umberto, Pucci Alberto Mario, Ferrari Giacomo, Gorreri Dante, Iotti Nilde, Fantuzzi Silvio, Ghidini Gustavo, Bernini Ferdinando, Simonini Alberto, Mazzoni Nino, Merighi Mario, Arata Giuseppe, Micheli Giuseppe, Valenti Michele, Dossetti Giuseppe, Pallastrelli Giovanni, Coppi Alessandro, Marconi Pasquale;

per il collegio XVI (Pisa, Livorno, Lucca, Apuania): Bibolotti Aladino, Barontini Ilio, Baldassari Gino, Bargagna Italo, Pacciardi Randolfo, Matteotti Giammatteo, Lami Starnuti Edgardo, Modigliani Giuseppe Emanuele, Gronchi Giovanni, Togni Giuseppe, Carignani Giovanni, Angelini Armando, Biagioni Loris;

per il collegio XVIII (Ancona, Pesaro, Macerata, Ascoli Piceno): Grieco Ruggero, Molinelli Guido, Ruggeri Luigi, Zuccarini Oliviero, Chiostergi Giuseppe, Bocconi Alessandro, Bennani Luigi, Filippini Giuseppe, Tupini Umberto, Tambroni Armaroli Fernando, Tozzi Condivi Renato, Ciccolungo Nicola, Arcangeli Alessandro;

per il collegio XXI (Aquila, Pescara, Chieti, Teramo): Terracini Umberto, Spataro Giuseppe, Proia Alfredo, Delli Castelli Filomena, Cotellessa Mario, Castelli Avolio Giuseppe, Paolucci Silvio, Lopardi Emidio, Tranquilli Secondo (Ignazio Silone), Rivera Vincenzo;

per il Collegio XXVIII (Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria): Gullo Fausto, Silipo Luigi, Musolino Eugenio, Cassiani Gennaro, Galati Vito Giuseppe, Murdaca Filippo, Carratelli Benedetto, Molè Enrico, Tripepi Domenico, Quintieri Quinto, Mancini Pietro, Priolo Antonio, Lucifero Roberto, Caroleo Francesco, Capua Antonio, Vilardi Giuseppe, Sardiello Gaetano;

per il Collegio XXIX (Catania, Messina, Siracusa, Ragusa, Enna): Scelba Mario, Vigo Gaetano, Nicotra Fiorini Maria, Trimarchi Michelangelo, Terranova Corrado, Salvatore Attilio, Guerrieri Emanuele, Caronia Giuseppe, Li Causi Girolamo, Gallo Concetto, Finocchiaro Aprile Andrea, Cartia Giovanni, Saragat Giuseppe, Di Giovanni Edoardo, Cannizzo Bartolomeo, Penna Ottavia, Martino Gaetano, Basile Guido, Candela Giuseppe;

per il Collegio XXX (Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta): Togliatti Palmiro, Li Causi Girolamo, Natoli Lamantea Aurelio, Orlando Vittorio Emanuele, Nasi Virgilio, Bellavista Girolamo, Aldisio Salvatore, Mattarella Bernardo, Medi Enrico, Ambrosini Gaspare, Borsellino Raimondo Salvatore, Adonnino Giovanni Battista, D’Amico Diego, Volpe Calogero, Finocchiaro Aprile Andrea, Varvaro Antonino, Patricolo Di Majo Gennaro, Russo Perez Guido, Fiorentino Giosuè, Musotto Francesco, Gullo Rocco;

per il Collegio XXXI (Cagliari, Sassari, Nuoro): Spano Velio, Lussu Emilio, Mastino Pietro, Corsi Angèlo, Abozzi Giuseppe, Segni Antonio, Mastino Gesumino, Mannironi Salvatore, Chieffi Francesco, Murgia Francesco, Falchi Battista;

per il Collegio XXXII (Val D’Aosta): Bordon Giulio Giuseppe.

La Giunta delle elezioni nella sua seduta odierna, tenuto conto che non è applicabile al caso dell’onorevole Giuseppe Firrao l’articolo 11 della legge per l’elezione all’Assemblea Costituente, ha proposto la sua convalida per la Circoscrizione di Napoli (XXIII).

Do atto alla Giunta di queste sue comunicazioni e, salvo i casi d’incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidate queste elezioni.

La Giunta delle elezioni, nella seduta odierna, esaminati gli atti relativi alla circoscrizione di Perugia (XIX), che hanno portato per un errore materiale alla proclamazione del candidato Gatti Umberto invece del candidato Santi Ettore, ha dichiarato invalida tale proclamazione ed ha proclamato al suo posto il candidato Santi, che risulta primo graduato fra i candidati della lista n. 3 (Foglia d’edera).

S’intende che da oggi decorre il termine di 20 giorni per la presentazione di eventuali proteste o reclami.

Opzione e sostituzione dei Deputati eletti in più circoscrizioni.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni nella sua seduta odierna ha preso atto delle dichiarazioni di opzione fatte da Deputati convalidati eletti in più collegi, e ha proceduto per le circoscrizioni cui essi hanno rinunziato, all’accertamento dei candidati subentranti, proponendone la proclamazione.

Al Deputato Giammatteo Matteotti, che ha optato per la circoscrizione di Pisa, subentra per la circoscrizione di Roma il candidato Alberti Giuseppe.

Al Deputato Giuseppe Caronia, che ha optato per la circoscrizione di Catania, subentra per la circoscrizione di Roma il candidato Orlando Camillo.

Al Deputato Fausto Gullo, che ha optato per la circoscrizione di Catanzaro, subentra per la circoscrizione di Potenza il candidato De Filpo Luigi.

Pongo ai voti queste proposte.

(Sono approvate).

S’intende che da oggi decorre, nei riguardi dei nuovi proclamati, il termine di venti giorni per la presentazione di eventuali proteste o reclami.

Votazione per la nomina di un Vicepresidente e di due Segretari.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la votazione per la nomina di un Vicepresidente e di due Segretari.

Ricordo agli onorevoli Deputati che, a norma del Regolamento, nella scheda di votazione per i Segretari dovremo scrivere un solo nome.

Estraggo, intanto, a sorte i nomi di dodici scrutatori per la elezione del Vicepresidente e di dodici per quella di Segretari.

(Procede al sorteggio).

Le Commissioni di scrutinio risultano così composte:

per il Vicepresidente: Marzarotto, Arcaini, Rodinò Mario, Volpe, Vallone, Bosco Lucarelli, Colombi, Grazia, Andreotti, Sampietro, Binni e Vischioni;

per i Segretari: Saggin, Bellato, Cevolotto, Cartia, Paratore, De Maria, Stampacchia, La Gravinese Nicola, Perlingieri, Cosattini, Bennani e Pellegrini.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli scrutatori a recarsi nelle apposite sale per procedere immediatamente alle operazioni di scrutinio.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Desidero informare l’Assemblea che vi sono ben 58 oratori iscritti a parlare. Prego gli oratori di essere molto sintetici. Come l’Assemblea sa, a norma del Regolamento, un discorso non si dovrebbe leggere oltre il quarto d’ora.

È inscritto a parlare l’onorevole Persico. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, desidero esprimere brevemente le ragioni per le quali parlerò a favore del primo Governo della Repubblica italiana. La Repubblica è stata come un sogno irraggiungibile della nostra prima giovinezza ed ora che essa è instaurata per straordinarietà di eventi, noi dobbiamo difenderla ad ogni costo e contro chiunque. Siamo sicuri che il Governo sentirà l’urgenza, anzi direi lo spasimo, delle questioni che dovranno essere risolte durante la sua permanenza al potere, e vorrà prendere i provvedimenti opportuni.

Ciò renderà più facile il compito della Assemblea Costituente, la quale dovrà essere lasciata al suo lavoro, di dare il nuovo volto alla Repubblica democratica italiana.

Questo però non ci dispensa dall’obbligo di accennare ad alcuni degli inconvenienti che si sono verificati e che dovevano fatalmente verificarsi, dato il periodo di due anni di governo dell’Esarchia e dati i metodi che durante quel periodo il Governo ha dovuto adoperare per costituire i suoi quattro Gabinetti. Accenno a quella dosatura, fatta quasi con la bilancia dell’orafo, con la quale i Governi dell’Esarchia hanno dovuto accontentare i sei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale col sistema illusorio della pariteticità.

È rimasto purtroppo qualche cosa di tutto ciò.

Noi avremmo preferito che il Presidente De Gasperi, una volta investito del potere di formare il Governo, una volta sentita dai singoli partiti quale era la ripartizione del numero di persone che si dovevano chiamare al Governo, avesse liberamente scelto i suoi collaboratori ed avesse liberamente assegnato i ministeri. È però questo un difetto che si potrà correggere in seguito.

Ed avremmo anche gradito che il numero dei portafogli fosse stato ridotto, non per le ragioni che ha esposto brillantemente l’altro ieri l’onorevole Nitti – perché, me lo consenta l’illustre Maestro, non è con una economia di qualche milione annuo che si possono risanare le ferite inferte dal fascismo al bilancio dello Stato – ma perché sarebbe stato opportuno, nella prima formazione del Governo democratico del Paese, dare maggiore organicità, maggiore plasticità al Governo stesso. Si sarebbe potuto, per esempio, arrivare a quella famosa riforma della unificazione in un unico Ministero dei tre Ministeri delle Forze armate – e dico unico Ministero, non un Ministro con tre Ministeri –; si sarebbe potuto fondere il Ministero del tesoro con quello delle finanze, e questa sarebbe stata riforma opportuna, anche per l’attuale situazione economica e finanziaria. Si sarebbe potuto ricondurre il Ministero del commercio estero, nato per ragioni di opportunità politica in una delle precedenti crisi, ad un Sottosegretariato alle dipendenze del Ministero del tesoro, o del Ministero del lavoro. E così il Ministero dell’assistenza post-bellica avrebbe potuto essere ridotto anch’esso ad un Sottosegretariato di Stato.

Ma mi sono convinto che riforme di questo genere non si possono fare durante le crisi; esse vanno studiate, preparate ed attuate in tempi normali. Durante le crisi tutto è tumultuario, tutto si risolve minuto per minuto secondo le circostanze e secondo gli avvenimenti e non è il momento più opportuno per fare riforme sostanziali nella struttura dell’Amministrazione dello Stato.

Comunque, quello che è avvenuto è, in fondo, il risultato delle elezioni: il Governo rappresenta fedelmente lo specchio della situazione che si è formata nel Paese attraverso le elezioni generali ed attraverso una cattiva legge. In questo sono perfettamente d’accordo con molti altri Deputati. E a questo proposito, onorevoli colleghi, io credo necessario che sia messa subito sul tappeto la questione della riforma elettorale.

Io non so – ci ho pensato parecchio – se il progetto della nuova legge elettorale dovrà essere preparato dal Governo e presentato all’Assemblea Costituente, oppure dovrà essere elaborato da quella stessa Commissione dei 75, che provvederà alla riforma dello Statuto fondamentale dello Stato. Perché si potrebbe osservare: come fa il Governo a preparare una legge elettorale se non sa ancora qual è il sistema attraverso il quale si dovrà manifestare la volontà popolare, se vi saranno due Camere, o se ve ne sarà una sola, come sarà formato il corpo elettorale? Quindi potrà forse dirsi a ragione che dovrà essere la stessa Commissione dei 75 a provvedere alla legge elettorale. Ma qui occorre fare un rilievo: che il progetto della nuova legge elettorale sia preparato separatamente dal nuovo Statuto. Sarebbe veramente pericoloso, veramente grave per tutti, non tanto per i Deputati presenti, quanto per il Paese, che si giungesse, come è successo questa volta, alla vigilia delle elezioni senza avere ancora una legge elettorale formata.

In occasione delle ultime elezioni è accaduto un fatto che tutti ricordiamo. Noi ci siamo addormentati una determinata sera sapendo che una data circoscrizione era formata in un certo modo. La mattina dopo abbiamo letto sui giornali che il Consiglio dei Ministri aveva apportato delle sostanziali modificazioni, trasferendo una provincia da una circoscrizione ad un’altra. Le cose, insomma, sono andate in modo che i candidati e il corpo elettorale non hanno potuto conoscersi e apprezzarsi a vicenda.

Quindi la riforma elettorale dovrà essere preparata al più presto.

Sono un vecchio ostinato sostenitore del collegio uninominale; però non mi nascondo che nell’attuale atmosfera politica dei tre partiti di massa, che hanno oltre 400 deputati, riesce un po’ difficile parlare di collegio uninominale. Temo ormai che il collegio uninominale sia sepolto per sempre. E allora, se non potremo ritornare al collegio uninominale, potremo studiare se c’è qualche modo per innestarlo nello scrutinio di lista e nella rappresentanza proporzionale.

Dagli studi che tutti abbiamo fatto sappiamo che questo modo c’è, come ha dimostrato anche l’Irlanda, che ha un sistema elettorale nel quale i benefici del collegio uninominale sono congiunti a quelli dello scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale.

Così pure, onorevoli colleghi, io credo che noi dovremo correggere almeno due grossi errori della legge che ci ha portati qui dentro. La circoscrizione è troppo vasta, di una vastità veramente assurda, per cui si debbono percorrere centinaia e centinaia di chilometri per portarsi da un punto all’altro del collegio. La circoscrizione provinciale potrebbe essere la più adatta alle nostre condizioni politiche. Così ritengo che sarà opportuno studiare il modo di abolire, o attenuare, la lotta cainesca delle preferenze tra i candidati della stessa lista; o si arriverà all’ordine prestabilito, il che potrebbe essere pericoloso, per quella preponderanza delle direzioni dei partiti che molti hanno lamentato; o si potrà adottare il sistema della preferenza unica, la quale rende meno aspra la lotta e che potrà essere integrata dal voto aggiunto, il quale potrebbe essere un utile correttivo del sistema delle preferenze.

Comunque, chi si dovrà occupare della riforma elettorale dovrà tenere presenti i risultati pratici delle ultime elezioni e trarne gli insegnamenti che ne derivano, analizzando le conseguenze dei difetti del sistema adottato. Queste conseguenze sono gravi. Io ritengo che in quest’Aula manchino alcuni rappresentanti di correnti politiche che sono veramente esistenti e pulsanti nel paese. Vedo che l’estrema destra è quasi completamente vuota. Ora, è possibile che in Italia non vi sia un forte, nutrito partito conservatore, il quale non possa assumere a viso aperto le sue imprescindibili responsabilità? Ho letto gli articoli sul «Risorgimento Liberale» del mio amico Mario Ferrara, in cui si auspica la formazione di questo partito conservatore. Vengano ad occupare questi posti, gli amici conservatori. Discuteremo serenamente con loro. E forse la pletora dei colleghi che stanno nei settori centrali verrebbe ad essere in parte travasata nel settore di destra. (Commenti). Così pure manca un partito di vera democrazia, che riunisca tutte le correnti democratiche, quelle che oggi sono così sparsamente raccolte e nel Partito Repubblicano e nella Democrazia del Lavoro e nel Partito d’Azione e che possono formare un grande partito di democrazia progressiva. L’ha sostenuto anche recentemente l’onorevole Togliatti nell’ultimo numero di «Rinascita». Egli si augura che sorga in Italia questo grande Partito Democratico, il quale assume la difesa di quei ceti medi che sono profondamente liberali, che sono profondamente democratici, di tutti quei ceti, impiegati, commercianti, professionisti, artigiani, ecc. che devono essere politicamente rappresentati.

E lo strumento per arrivare a ciò non può essere che una buona legge elettorale. Ecco perché avrà un’enorme importanza la formazione della nuova legge elettorale con la quale dovrà essere formato il primo Parlamento della Repubblica, che dovrà poi discutere le leggi che dovranno sviluppare praticamente i principî fondamentali del nuovo Statuto che sarà approvato dalla Costituente.

Ma non perdiamo altro tempo e veniamo rapidamente ad esaminare il discorso del Presidente del Consiglio. Il discorso dell’onorevole De Gasperi è veramente poderoso, e di grande respiro. Si direbbe che il Presidente del Consiglio non si sia ricordato che una legge dello Stato obbliga lui e i suoi colleghi a lasciare il loro posto nel termine prefissato di otto, o al massimo dodici mesi. Il suo è un programma di Governo che avrebbe bisogno di quattro o cinque anni almeno per essere portato a compimento.

Comunque esaminiamolo brevemente e cominciamo dal punto più delicato: la politica estera.

Incedo per ignes. Bisogna parlare con senso di responsabilità e di misura. Sarebbe stato forse prudente non parlarne, ma lo faccio, visto che il Presidente del Consiglio aspetta che l’Assemblea esprima l’ansia del Paese e ha invitato la Costituente a dire il suo pensiero in proposito.

E allora io dico che, per renderci conto della situazione attuale, bisogna risalire alle cause remote, se no, non potremo comprenderla; e le cause remote sono la responsabilità del regime fascista. Senza questa premessa, l’attuale situazione avrebbe alcunché di paradossale e di assurdo. Le responsabilità del regime fascista ogni tanto dobbiamo necessariamente rievocarle e tenerle dinanzi agli occhi. Chi ha letto il «diario» di Ciano, chi ha letto i verbali dei comitati di guerra, chi ha riletto i discorsi che furono pronunciati dal famoso balcone di Piazza Venezia, ha la precisa sensazione che la situazione, su per giù, doveva sboccare dove fatalmente è sboccata. Per cambiare questa situazione, ci vorrebbe qualche cosa di simile ad una dissolvenza cinematografica, in cui si vede sparire da lontano all’orizzonte una scena e comparirne a poco a poco un’altra. Noi dovremmo vedere sparire la scena delle tragedie del fascismo, delle parole roventi, degli «imperi che tornano sui colli fatali», della «rottura delle reni» e simili… Tutto questo dovrebbe sparire e dovrebbe venire sulla ribalta, come in una visione cinematografica, il volto della vera Italia, di quella vera Italia che è stata per venti anni antifascista e che ha dato alla causa della libertà e della liberazione i suoi martiri, i suoi eroi, i suoi partigiani, tutto quel meraviglioso fiorire di energie e di volontà che è esploso nella resistenza prima, nella ribellione dopo è che ha portato al trionfo delle idee antifasciste, per cui il popolo italiano è stato il primo, il solo in Europa che ha dato l’esempio di sapersi liberare con le sue sole forze dall’oppressione nazista e fascista.

Se questo fosse avvenuto, la situazione sarebbe oramai diversa. Ma era possibile questo? Non credo che fosse possibile.

Ed allora diciamo la verità. Qui si è accennato da parecchi colleghi che noi siamo stati in parte illusi, in parte ingannati, che i manifesti dei Marescialli americani ed inglesi, che la propaganda radiofonica inglese e americana ci hanno tratti in errore e ci hanno fatto agire come abbiamo agito.

Diciamo la verità, diciamola tutta intera, con dignità è fermezza: noi abbiamo agito come dovevamo agire; era l’unica via che ci era aperta per poter tornare a fronte alta nel consorzio delle nazioni civili, e se oggi ci ritrovassimo nelle stesse condizioni, pur avendo l’esperienza fatta, dovremmo agire nello stesso modo, per poter guardare negli occhi i nostri avversari e per poter dire che da parte nostra nulla abbiamo da rimproverarci.

Dunque, confessiamo il vero: la situazione per noi era ferrea. La nostra volontà è stata forse un po’ forzata, e questo si può riconoscere onestamente senza offendere nessuno.

Per esempio, l’altro giorno, a proposito della polemica rovente che si è scatenata sulla stampa italiana dopo la rivelazione inattesa e tragica della mutilazione dal corpo d’Italia di Briga, di Tenda e del Moncenisio, c’è stato un autorevole giornale, forse il più autorevole giornale che si stampi in Europa e nel mondo, il «Times», il quale, rimproverando, con malcelata ironia, questo irresistibile movimento di pubblica opinione come qualcosa di strano, di inesplicabile, di inverosimile, di eccessivo, scriveva testualmente: «In Italia si è avuta la tendenza ad esagerare l’aiuto dato agli Alleati all’ultimo momento».

Come «all’ultimo momento?». Dall’8 settembre 1943, oppure, se vogliamo essere più condiscendenti, dall’11 ottobre 1943, quando il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania, al 9 maggio 1945, quando cessarono le ostilità, sono passati oltre 19 mesi di durissima guerra, alla quale noi abbiamo partecipato con tutte le nostre forze nei limiti che ci sono stati consentiti, e abbiamo cercato di fare anche più di quello che potevamo fare.

Non solo, ma il 14 luglio 1945, abbiamo dichiarato guerra al Giappone, e allora si prevedeva che la guerra sarebbe durata almeno un altro anno e già si preparava una spedizione di nostri volontari nell’Estremo Oriente (e la nostra flotta gloriosa partecipava da tempo alla lotta contro il Giappone) e se la guerra non fosse improvvisamente e inopinatamente finita con le due bombe atomiche del 6 e 9 agosto 1945, noi avremmo partecipato forse più che come cobelligeranti, come alleati alla guerra.

Quindi non si parli dell’«ultimo momento». Né si dica che abbiamo «esagerato l’aiuto». Ma se le cifre sono esatte, come sono, dei nostri morti, delle città distrutte dalla guerra, se è esatto il giudizio espresso dal Generale Alexander, come si può parlare di esagerazione?

Mi è arrivato proprio stamane un documento che ha importanza enorme. È un omaggio della Presidenza del Consiglio, e credo che anche gli altri colleghi lo abbiamo ricevuto. Sono gli atti del Comando Generale del Corpo volontari della libertà dalla sua costituzione, giugno 1944, allo scioglimento, pubblicati dall’ufficio Storico: sono 172 documenti, dai quali si vedrà quale enorme apporto hanno dato i partigiani alla guerra di liberazione.

Sono nell’aula i colleghi Faralli e Martino, i quali ci possono raccontare come il comandante tedesco della Piazzaforte di Genova si sia arreso alle truppe partigiane di quella città, con un atto regolarmente discusso e firmato.

E come si può dire che è stato inefficace il nostro aiuto e che il nostro apporto non è stato efficiente? Forse il «Times» voleva dire che tutto questo non basta a lavare le colpe del fascismo. Allora entriamo nel campo della valutazione politica, che può essere sempre infirmata. Ma, se non è questa che si deve valutare, si deve riconoscere che le espressioni del «Times» sono eccessive, o per lo meno inopportune.

Si dice che saremo costretti a firmare la pace, a qualunque costo. Allora la questione cambia aspetto: il nostro non sarà più un consenso, sarà una violenza; ed alla violenza si soggiace, non si consente.

Qui, secondo la statistica, ci sono 159 avvocati i quali possono dirci come i contratti, in cui il consenso è stato estorto, sono nulli. Quindi, noi firmeremo, se sarà necessario: ma sarà una firma coatta, che non avrà nessun valore.

La questione della pace con l’Italia resterà aperta, e sarà chiusa in tempi migliori. Perché noi siamo 46 milioni di italiani, e siamo in crescenza. Noi siamo nel centro del Mediterraneo, che non è un mare chiuso, ma è aperto, con lo sbocco in Atlantico attraverso Gibilterra, nell’Oceano Indiano attraverso Suez, e, attraverso i Dardanelli, il Mar Nero e il Mar d’Azov, verso il centro della Russia. Geograficamente, storicamente e demograficamente abbiamo quindi un valore incalcolabile.

Se non oggi, la nostra pace la faremo in tempi meno duri. E le nostre discussioni – onorevole Nenni, quando la successione avrà avuto luogo e Lei avrà il suo posto a Palazzo Chigi – le riprenderemo diversamente. La pace sarà conclusa; il triste e tragico episodio sarà chiuso. Ed allora esamineremo tutta la nostra politica estera, senza megalomanie, ma con grande fermezza; politica di pace, ma politica soprattutto dignitosa, su basi meno fiduciose e meno sentimentali, più prudenti è più realistiche. Insomma, in mezzo ai feroci egoismi delle Nazioni amiche o nemiche, noi difenderemo il sacro diritto della Nazione italiana.

E passo senz’altro, onorevoli colleghi, ad un argomento che l’onorevole De Gasperi non ha toccato affatto – sarà stata dimenticanza o esplicita volontà – la politica interna.

Io penso che egli abbia voluto dire questo: «Poiché io sono Ministro dell’interno, evidentemente non ho bisogno di dire altro; la mia persona vi rassicuri, sia garanzia che la politica interna sarà fatta nel modo migliore».

Se fosse presente l’onorevole De Gasperi –   ad ogni modo gli sarà riferito – io vorrei dirgli che attendiamo da lui una parola di conforto sulla politica interna.

Vogliamo essere rassicurati sul rispetto dell’ordine pubblico e della legge. La pubblica sicurezza ed i carabinieri debbono funzionare e riacquistare il loro antico prestigio, anzi devono aumentarlo nel nuovo regime repubblicano.

Vogliamo che si faccia la lotta contro il brigantaggio e contro il banditismo. Vogliamo, se occorre, una legge speciale; si potrebbe ricordare la legge Pica. Vogliamo una legge severissima contro coloro che rendono insicura la strada pubblica. La sicurezza delle strade è il primo indice di civiltà di un popolo.

E vogliamo la lotta contro la depravazione e la delinquenza minorile.

Non si dica che è un fenomeno del dopo guerra: osservo che la guerra si va allontanando nel tempo e la situazione va sempre peggiorando. Noi ne abbiamo avuto un esempio ben più tragico del nostro nell’altro dopo guerra, l’esempio russo. In Russia vi erano 7 milioni di ragazzi abbandonati a se stessi. Eppure la Russia ha saputo con sagaci provvedimenti riassorbire questi 7 milioni di «brespisorni», rieducarli, portarli nelle officine e nella milizia, e sono poi diventati gli operai e i soldati che hanno portato le armate rosse vittoriose da Stalingrado a Berlino.

Si può fare, si deve fare qualcosa. Ed è colpa enorme dello Stato italiano di non provvedere al problema dei giovani per riportarli sulla via dell’onore, perché possano essere i buoni cittadini di domani. (Applausi).

Vi è un istituto che può essere utile, anche se di origine fascista: l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia. Lo si adatti, si faccia in modo che serva a togliere la vergogna degli «sciuscià» e delle «segnorine», che infestano le nostre strade. Èuna situazione morale che fa vergogna al nostro Paese anche di fronte agli stranieri che vengono in Italia, o che in Italia sono costretti a vivere.

Ma vi è un’altra lotta che il Ministro dell’interno non fa, quella contro la delinquenza comune. E mi rivolgo all’onorevole Nenni che rappresenta in questo momento il Governo.

Per i delinquenti comuni non dovrebbero esistere amnistie: il delinquente comune non ha il diritto di beneficiarne. Durante il regime fascista, protrattosi per venti anni, le amnistie sono state dieci. Io che ho esercitato intensamente la professione di avvocato, come unico rifugio della mia superstite attività, so che i delinquenti non sono andati quasi mai in galera. Ogni due anni vi era un’amnistia e i delinquenti passavano incolumi tra le maglie della giustizia. Si potranno fare dei condoni: il Presidente della Repubblica potrà usare del diritto di grazia, caso per caso, per raddrizzare qualcosa che stoni col concetto di una superiore giustizia. Ma in massima l’amnistia ai delinquenti comuni non si deve concedere ed io propongo che non se ne facciano più se non in casi eccezionalissimi. Ritengo ad ogni modo che dalla nuova costituzione sarà stabilito che l’amnistia sia concessa per legge, e allora sarà il Parlamento che di volta in volta ne vaglierà l’opportunità e ne stabilirà i limiti ed i criteri. (Approvazioni).

Altro argomento. Il Presidente ha fatto un cenno alla questione del Mezzogiorno, e ne hanno parlato anche i colleghi Nitti e Labriola.

È un problema che non si può trattare per cenni. Il Presidente del Consiglio ha detto che bisogna livellare le condizioni del Sud con quelle del Nord. È la solita promessa: tutti i Presidenti del Consiglio, dal 1860 ad oggi, e tutti i discorsi della Corona dal 1860 all’ultimo, hanno sempre fatto un cenno, obbligatoriamente, al problema del Mezzogiorno. Poi, passato il periodo della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio o sull’indirizzo di risposta al discorso della Corona, tutto è stato dimenticato.

È un problema che la Repubblica italiana dovrà risolvere radicalmente.

Il problema va esaminato sotto il profilo storico, perché è un problema che ha radici storiche: si riconnette al modo con cui fu fatta l’unità d’Italia. L’unità fu compiuta facendo centro sul Regno del Piemonte; fu fatta quando tra il Nord e il Sud esistevano veramente profonde differenze e condizioni diverse di civiltà; fu fatta quando ragioni strategiche obbligavano a difendere i valichi alpini per le condizioni incerte del nuovo Regno rispetto alla Francia da una parte e alla Germania dall’altra, che rendevano necessario utilizzare tutte le possibilità di difesa; quindi movimenti di truppe, linee ferroviarie strategiche, grandi strade su cui far passare i traffici per evenienze di guerra. A tutto ciò poi si aggiunse un’altra ragione che non era di ordine politico, ma di ordine economico: il regime doganale, che fu protezionistico per la nascente industria del Nord, la quale aveva tutto l’interesse ad avere le materie prime a prezzi adeguati per potersi sviluppare e poter trovare quindi un campo di smercio colossale nel Sud, che divenne una vera e propria colonia del Nord. Mi ricordo una frase dell’onorevole Nitti, il quale ha scritto per lo meno una decina di libri sulla questione del Mezzogiorno, che diceva che il Sud costituiva una colonia più redditizia e più popolosa del Canadà e dell’Australia riunite insieme. Tutto ciò spiega come si siano formate le attuali condizioni d’inferiorità economica nel Mezzogiorno d’Italia.

Ma oggi la situazione è diversa: non c’è più la monarchia piemontese; il dislivello culturale e ambientale tra Nord e Sud, nel lungo periodo di tempo, si è attenuato e si è venuto formando, come tra vasi comunicanti, un livello unico. Le ragioni strategiche sono completamente scomparse e infatti noi abbiamo visto in questa guerra che i nemici non passano più per le Alpi, come fece Annibale da Cartagine, per scendere a Roma; adesso si sbarca in Sicilia, si sbarca a Salerno, si sbarca ad Anzio, quindi le pretese ragioni strategiche a favore del Nord non esistono più.

Non ci devono essere più i parenti poveri del Mezzogiorno, non ci devono essere più le due Italie, l’Italia ricca e l’Italia povera, l’Italia barbara, come la chiamò una volta il Niceforo, e l’Italia civile.

Noi vogliamo che al Mezzogiorno finalmente sia resa giustizia e che ci sia comprensione dei bisogni del Sud. Noi vogliamo che questo sia fatto da questo Governo, anche perché l’onorevole De Gasperi è il deputato che ha avuto più voti in tutto il Mezzogiorno: primo eletto a Napoli e Caserta – XXIII circoscrizione – con 115 mila voti di preferenza, molti di più dei voti di Giovanni Porzio, dei voti di Nitti, dei voti di Corbino, dei voti di Croce. È il deputato che è più amato e più benvoluto da tutto il Mezzogiorno d’Italia. Anzi dirò che se io fossi stato nei panni dell’onorevole De Gasperi avrei fatto una cosa molto semplice, avrei optato per Napoli.

Sarebbe stato simpaticissimo e significativo il fatto di un deputato trentino, che ha avuto a Trento 17 mila preferenze, diventato deputato di Napoli, dove ha avuto 115 mila preferenze. Si tratta, onorevole Presidente del Consiglio, di 115 mila elettori; è un popolo, è una intera città che ha voluto esprimere la sua fiducia nell’onorevole De Gasperi e che ha il diritto di chiedere che si faccia subito qualche cosa.

L’onorevole De Gasperi, primo eletto di tutto il Mezzogiorno, ha l’obbligo morale di affrontare il relativo problema. Il Mezzogiorno ha bisogno di strade, di ponti, di acquedotti, di case, di scuole; ha bisogno di giustizia tributaria; ha bisogno di decentramento amministrativo; ha bisogno che si creino e si rafforzino le industrie meridionali, perché non è vero che nel Sud siamo privi di materie prime. Le materie prime, non ci sono neanche nel Nord: non ci sono miniere di carbone, o pozzi di petrolio, o foreste dove si produca la gomma, nella valle padana. Le materie prime mancano nel Nord come nel Sud; anzi il Sud ha una materia prima che nel Nord non c’è: la sua agricoltura, la quale con i suoi prodotti pregiati può essere fonte di industrie ricchissime che si possono largamente incrementare. Si rafforzino le modeste industrie meridionali; se ne creino delle nuove, e allora vedrete come le cose cambieranno rapidamente.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, parlando della politica estera, parlando della situazione in cui si trova oggi l’Italia, ha detto una frase che ho voluto notare: e cioè che l’Italia nel campo internazionale soffre di «insufficiente ossigenazione». La frase mi è piaciuta per la sua plastica evidenza: di «insufficiente ossigenazione» soffre oggi l’Italia meridionale. Bisogna darle questo ossigeno. Ma bisogna dire che, oltre l’insufficienza di ossigeno, c’è anche l’insufficienza vascolare, cioè di quelle vie di comunicazione che sono le arterie dello Stato. Dia l’onorevole De Gasperi inizio a questo programma pratico, che anche in otto o dodici mesi potrà essere in parte realizzato.

E poiché ho parlato di autonomie locali, che sono uno degli elementi attraverso i quali il Mezzogiorno potrà avere nuovo e florido sviluppo, mi sia concesso di dire che l’onorevole De Gasperi ha fatto parola anche delle autonomie locali, ma con un accenno troppo generico. Ha detto che bisognerà occuparsi delle autonomie comunali e che bisognerà dare un avviamento alle autonomie regionali.

Accetto come promesse questi accenni che sono un po’ vaghi: siamo ancora nel campo generico, non in quello specifico.

Comunque, siccome questa è materia che dovrà essere discussa dalla Commissione dei 75, e poiché sono fermamente convinto che l’ordinamento regionale dello Stato, come sistema strutturale, dovrà essere sostituito all’attuale ordinamento accentratore, perché noi vogliamo le regioni – e non siamo federalisti, onorevole Nitti; nessuna paura quindi per l’unità dello Stato: l’unità dello Stato sarà rispettata e rinsaldata attraverso le regioni – noi ci accontentiamo anche di questo.

Raccomandiamo comunque all’onorevole De Gasperi ed ai suoi collaboratori che ogni volta che nel Consiglio dei Ministri si parlerà di qualche provvedimento di indole regionale, ne approfittino per affermare il criterio dell’autonomia delle regioni. Noi crediamo, come diceva Mazzini, che tra il Comune e la Nazione c’è spazio per un solo organo intermedio: la Regione, e speriamo che l’Assemblea Costituente della nuova Repubblica Italiana affermerà il concetto dello Stato regionale.

E vengo rapidamente, perché non voglio tediare l’Assemblea Costituente con un lungo discorso, alle riforme sociali.

L’onorevole De Gasperi ha parlato a lungo della riforma agraria: è un tema di grande attualità, ed è un tema che fa veramente tremare le vene e i polsi. La riforma agraria, nelle poche enunciazioni dell’onorevole De Gasperi, non abbiamo ben capito in che cosa consisterà; comunque, sembra che si tratti di una vera e completa riforma. Io ho circa la riforma agraria una sola idea: essa deve servire soprattutto a dare il massimo di produttività alla terra. Questa deve essere la vera profonda riforma agraria: la terra non deve essere sterile, abbandonata, incolta; deve dare il massimo rendimento che giovi a chi lavora la terra e anche al complesso della vita nazionale. Comunque è una riforma che incide certamente sulla materia costituzionale, e allora, per l’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale del 16 marzo 1946, questa questione dev’essere portata all’Assemblea Costituente. Non mi pare che ci debba essere alcun dubbio al riguardo. Comunque, se un dubbio ci fosse, credo che il Governo farà bene ad avvalersi del primo capoverso di detto articolo, che costituisce una specie di valvola di sicurezza, quello per cui il Governo potrà sottoporre all’esame dell’Assemblea Costituente qualunque disegno di legge per cui ritenga opportuna la deliberazione dell’Assemblea medesima. Quindi della riforma agraria dovremo occuparci ampiamente, quando il Governo ci presenterà il relativo disegno di legge.

Inoltre credo che dovrà essere portato all’Assemblea Costituente il disegno di legge relativo ai danni di guerra. Anche questo è un problema vastissimo. I precedenti Governi hanno provato più volte ad affrontarlo, ma le difficoltà tecniche sono state tali e tante che, dopo molte discussioni da parte di vari Comitati, il progetto di legge non è mai arrivato ad una conclusione pratica. Anche questa materia dovrà essere portata all’Assemblea Costituente, per le stesse ragioni esposte a proposito della riforma agraria.

È un problema che interessa milioni di persone: per avere un’idea dell’importanza di questa questione basti dire che nelle ultime elezioni politiche i sinistrati di guerra hanno presentato liste di loro candidati, perché volevano che all’Assemblea Costituente ci fossero loro esponenti per difenderne i diritti. Queste liste non hanno avuto molta fortuna; però possiamo assicurare i sinistrati di guerra che la loro voce sarà raccolta dai membri dell’Assemblea Costituente e sarà fatta ascoltare dal Governo.

Un altro problema a cui ha accennato l’onorevole De Gasperi è quello della difesa sociale. Egli ha detto che bisognerà prendere dei provvedimenti contro le malattie professionali, contro la malaria, contro la tubercolosi e ha detto che bisognerà riformare il sistema assicurativo. Ha accennato a questo riguardo ad una Commissione esistente presso il Ministero dei lavori pubblici (non so perché sia presso il Ministero dei lavori pubblici). Io         ho voluto informarmi a che punto sono arrivati questi lavori. Mi è stato detto che la Commissione non è stata mai convocata! Secondo me, il problema dovrà essere esaminato molto diversamente. Io credo che qui bisognerà fare un nuovo Ministero (non si allarmi l’onorevole Nitti, perché in questo caso si tratterebbe di abolirne due) e precisamente il Ministero della difesa sociale, che dovrebbe assorbire il Ministero del lavoro e l’Alto Commissariato della sanità e dell’igiene. Questa è una mia vecchia idea. Queste idee vanno naturalmente discusse in un tempo di mare calmo e non quando si tratta della formazione di un nuovo Governo. Il            Ministero della difesa sociale dovrebbe occuparsi di tutte le questioni riguardanti la sanità pubblica e la previdenza sociale e armonicamente riunirle con unicità di indirizzo e praticità di azione. È un problema assai importante che è stato egregiamente risolto in altri paesi (Inghilterra, Svezia), e sarebbe opportuno che lo fosse anche in Italia.

E vengo ora rapidamente all’ultima parte della mia breve disamina: la politica finanziaria.

Il punto cruciale della crisi è stato proprio questo, la permanenza o meno dell’onorevole Corbino nel Ministero. L’onorevole De Gasperi non ha voluto privarsi del suo collaboratore ed ha fatto benissimo. Non si cambiano i cavalli durante il guado e non si cambia il nocchiero durante la tempesta. Non perché sono stato modesto collaboratore dell’onorevole Corbino, ma perché l’ho visto alla prova, posso dire che veramente da lui emana un senso di fiducia e di tranquillità, che ha avuto un potere sedativo e calmante nella bufera della vicenda monetaria.

Non è, onorevole Nitti, né la cura Coué, né la questione della Christian Science, perché, se mai, l’onorevole Corbino sarebbe lui o il dottor Coué o la Mary Baker, e noi saremmo i suoi pazienti o i suoi seguaci. In realtà, l’onorevole Corbino ha un felice intuito ed un senso ottimistico della vita, indispensabile in un uomo di Governo, perché il popolo si nutre di speranza e segue volentieri chi lo fa bene sperare. Il popolo, in fondo, è profondamente ottimista. A Roma si dice: «tira a campà», quindi ognuno cerca di augurarsi un domani migliore. Chi gli fa intravvedere questo domani ha certamente successo, e questa è una delle ragioni del successo psicologico e pratico dell’onorevole Corbino.

Comunque, quello che è pacifico è che il cambio della moneta non si farà più. Forse bisognerà farlo; ma non nelle condizioni in cui lo aveva previsto l’onorevole Soleri, il quale aveva un programma organicamente preciso e coordinato nei tempi. Egli diceva: prima facciamo il prestito «ponte» nell’Alta Italia, che darà un gettito di 40-50 miliardi; poi, immediatamente dopo, facciamo il cambio della moneta, che produrrà un vantaggio, con un piccolo taglio, di qualche centinaio di miliardi, e poi applichiamo l’imposta progressiva sul patrimonio e con questo complesso di riforme economiche e finanziarie rimetteremo, se non in pareggio, quasi a posto il bilancio dello Stato, in modo da potere, entrando a far parte degli accordi di Bretton Woods, affrontare la nuova situazione finanziaria.

Tutto questo non si può fare più; comunque, il cambio della moneta, ai puri fini statistici, lo farei ugualmente e subito, perché si potranno guadagnare – sulla carta, perché non entrerà un soldo nelle casse dello Stato – 20 o 30 miliardi. Oggi, in fondo, non sappiamo quanta è la moneta circolante, non sappiamo quanta moneta ha emesso la repubblica di Salò e quanta è stata stampata dai tedeschi; quindi il cambio alla pari ci darà almeno questa sicurezza, che, dopo un certo giorno, la moneta circolante ammonterà ad una data cifra, sicura e fissa. Poi in settembre è annunziato – del resto c’è un decreto che lo dice – che verrà emesso il prestito della ricostruzione, che darà un gettito presumibile di 250 miliardi; poi avremo un’imposta patrimoniale, con esenzione dei patrimoni inferiori a 50 milioni. Io credo che questa cifra sia eccessiva: si potrebbe ridurre a 10 milioni, cioè a circa mezzo milione, anteguerra, e questa non è una cifra che possa spaventare nessuno.

Con questi provvedimenti si potrà superare il capo delle tempeste della situazione monetaria. Quale deve essere lo scopo? Impedire l’inflazione.

Proprio oggi leggevo sul Globo una notizia da Budapest, la quale diceva che prossimamente entrerà in circolazione a Budapest carta moneta spicciola del taglio di 100 milioni di «pengö»: il che vuol dire che con 100 milioni di «pengö» non si compra nemmeno un giornale. L’inflazione rappresenta la rovina di tutti e prima di ogni altro dei ceti medi e dei ceti a reddito fisso.

Ma non vogliamo neppure la deflazione, perché questa porterebbe a gravissime conseguenze finanziarie. Noi vogliamo la stabilizzazione, la difesa della lira, in modo che la moneta riacquisti a poco a poco il suo valore, perché non è il segno monetario che vale: il segno monetario è un simbolo. Quello che conta è il potere di acquisto della moneta. Si impone quindi quel programma di lesina, al quale ha accennato altra volta l’onorevole Corbino, per cui bisogna ridurre le spese più che sia possibile. E riduzioni di spese in Italia se ne possono fare moltissime. Vi è stata una Commissione di Sottosegretari di Stato, da me presieduta, che il 30 giugno ha chiuso puntualmente i suoi lavori in merito alle possibili riduzioni di spese nelle varie Amministrazioni, e spero che tutti i colleghi potranno tra breve ricevere la relazione stampata, la quale vi dirà che, rivedendo le spese in ogni Ministero, si possono economizzare dozzine di miliardi.

Un motivo di dissenso con il programma di emergenza del Governo è quello che concerne il premio della Repubblica.

Nel 1945 si cominciò col premio della liberazione; poi dopo tre mesi si dovette dare il premio estivo, tre mesi dopo un altro premio autunnale, ed un altro ancora a Natale. In sostanza si diede della carta che non valeva quasi niente, perché contemporaneamente venivano aumentati i prezzi, ed i premi erano assorbiti prima ancora di essere pagati. Non è così che si deve fare.

Nessuno mette in dubbio la necessità di andare incontro ai bisogni della classe operaia e della classe impiegatizia. Siamo perfettamente d’accordo che le attuali condizioni di vita sono intollerabili per questi lavoratori, e specialmente per la classe degli impiegati. Anzi è bene che da questa tribuna parta una parola di incoraggiamento agli impiegati, che sono i più utili e fedeli collaboratori dello Stato e sono ridotti a vivere di espedienti. La macchina burocratica dello Stato andrà in rovina, se non riusciremo a dare un minimo di tranquillità e di benessere alle masse impiegatizie.

Bisogna preoccuparsi di questa situazione e provvedere. Ma come? Lavorando di più, producendo di più, esportando di più. Lavorare, produrre, esportare: questo è il trinomio sul quale si deve basare la nostra economia del dopoguerra. (Commenti).

Comunque, vi sono provvedimenti di urgenza che bisogna prendere. Vi sono i disoccupati, e sono schiere enormi. Vi sono i reduci che ritornano e che debbono trovare lavoro. Io sarei favorevole ad una politica dei lavori pubblici, la quale, onorevole Romita, vorrei che fosse limitata a lavori pubblici veramente urgenti, utili e necessari, e sono già tanti. Ho veduto operai che scavavano terra, facendo una buca e buttando la terra in una altra buca. Questo non è un lavoro pubblico utile. Dove la guerra è passata vi è ancora molto da ricostruire. Basta pensare alla Romagna e particolarmente a Rimini, alla Lunigiana, alle strade dove quasi tutti i ponti sono distrutti, e andando in automobile si trovano sempre gli stessi passaggi obbligati agli stessi ponti rotti, senza che nessuno cominci a ricostruirli. Se poi scendiamo verso il Meridione, troviamo intere città distrutte. Cassino, la città martire, non esiste più ed aspetta sempre la sua ricostruzione, che è un dovere di solidarietà nazionale!

Abbiamo Gaeta, Formia, Pontecorvo, Benevento, Capua, centinaia di paesi, tante e tante città che aspettano di essere ricostruite. Quindi opere pubbliche necessarie, indispensabili, urgenti, che possono dar lavoro a migliaia e centinaia di migliaia di disoccupati. Facciamo questa lotta contro le rovine, onorevole Romita, e facciamola con dei piani, anche di più anni se si vuole. L’inverno si approssima e bisogna cominciare subito. E qui, mi consenta l’onorevole Nitti, io proporrei la nomina di un sottosegretario per le abitazioni. In Inghilterra c’è un Ministro. Onorevole Romita, lei è molto dinamico, ma se Ella avesse un ufficio apposta, che si occupasse soltanto della ricostruzione delle case distrutte e spiegasse la sua opera unicamente a questo scopo, io ritengo che ciò sarebbe veramente utile. Ricordo all’onorevole Romita, che è ingegnere, un proverbio inglese, secondo il quale dove lavora il muratore lavorano tutte le industrie, si sviluppano tutte le attività, si mettono in moto tutti i settori.

Onorevoli colleghi, ho finito. Ho detto brevemente, senza nessuna intenzione di critica, ma con intenzione di incitamento, le ragioni per le quali darò la mia piena fiducia al primo Governo della Repubblica italiana; fiducia che è anche speranza! (Vivi applausi).

Risultato della votazione per l’elezione di un Vicepresidente e di due Segretari.

PRESIDENTE. Comunico il risultato delle votazioni per l’elezione del Vicepresidente dell’Assemblea Costituente:

Votanti        408

Hanno ottenuto voti gli onorevoli Deputati: Grandi, 245; Venditti, 29; Lucifero, 11; Tupini, 4; Lussu, 3; Andreotti, 2; Spataro, 2; De Vita, 2; Labriola, 1; Longhena, 1; Cairo, 1; De Giovanni, 1; De Gasperi, 1; Proia, 1; Guidi Angela, 1; Bencivenga, 1; Quarello, 1; Sforza, 1; Persico, 1; Schede bianche, 95; nulle, 4.

Proclamo eletto Vicepresidente dell’Assemblea Costituente l’onorevole Grandi. (Applausi).

Comunico il risultato della votazione per l’elezione di due Segretari dell’Assemblea Costituente:

Votanti        408

Hanno ottenuto voti gli onorevoli Deputati: De Vita, 175; Riccio Stefano, 137; Capua, 32; Lussu, 4; Bovetti, 2; Silipo, 1; Togliatti, 1; Sullo, 1; Russo Perez, 1; Restagno, 1; Valmarana, 1; Grandi, 1; Longhena, 1; Bonino, 1; Geuna, 1; Scotti, 1. Schede bianche, 31; nulle, 16.

Proclamo eletti Segretari gli onorevoli De Vita e Riccio Stefano. (Applausi).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Ayroldi – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bassano – Battisti – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bernardi – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bibolotti – Binni – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonfantini – Bonomi Ivanoe – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Buonocore.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Caldera – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Capua – Carbonari – Carboni – Caristia – Caroleo – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavallotti – Cevolotto – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corassori – Corazzin– Corbino – Corsanego – Corsini – Cortese – Costa – Covelli – Cremaschi – Crispo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Amico Michele – De Carlo Gerardo – De Filpo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Faccio – Falchi – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Fietta – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gotelli Angela – Grandi – Grazia Verenin – Greppi – Grieco – Grilli – Grisolia – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela– Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti_Nilde.

Jacini – Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Giovanni – Lombardo Matteo Ivan – Longhena – Lopardi – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lupis – Lussu.

Macrelli – Maffioli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Enrico – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni –        Meda Luigi – Medi Enrico – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Moscatelli – Motolese – Mùrdaca – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pellizzari – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Ponticelli – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Ravagnan – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Salvatore – Sampietro – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segala – Sereni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terracini – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Viale – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Villardi – Villabruna – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri. È inscritto a parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Onorevoli colleghi, è necessario, per me e per chi condivide le mie idee, che vi sia una documentazione di quanto avrò l’onore di dirvi. L’ora che volge non consente improvvisazioni nemmeno nel parlare.

Per quanto poco possa pesare, in una Assemblea dominata per quattro quinti dai partiti qualificati di massa, noi non possiamo concedere la nostra fiducia al Governo formato dall’onorevole De Gasperi.

Il Gruppo Parlamentare Qualunquista non intende però, con questa prima e ferma dichiarazione, preannunziare un’opposizione sistematica in ogni caso e a qualunque costo. Il giorno in cui fosse necessario un atto di solidarietà, specialmente nei confronti dello straniero, mai alleato e tutt’ora nemico, noi non esiteremmo a compierlo.

Non censurerò l’onorevole Presidente del Consiglio per il numero dei Ministri ch’egli ha ritenuto indispensabile chiamare ad aiutarlo, non solleverò obiezioni sul gaietto sciame di Sottosegretari che con i numerosi Ministri collabora. Non è su questo e su altri dettagli che si può basare una critica che, almeno per la parte a me affidata, vuol essere generale, e impostare un problema politico che riteniamo fondamentale. Il dissenso, purtroppo insanabile, fra l’onorevole De Gasperi e noi non insorge tanto a cagione di tutti o di taluno degli uomini che compongono il Governo, quanto sullo spirito che ha presieduto alla composizione di questo Governo.

Su questo particolare argomento siamo debitori, all’onorevole Terracini, d’una informazione. Egli ha detto che noi siamo contrari a tutti i Governi di questi ultimi due anni e che la nostra pretesa di volerne invalidare la legislazione è, in un certo senso, naturale, data «la parte» nella quale militiamo. Non è esatto, e colgo volentieri, l’occasione per precisare all’onorevole Terracini che noi siamo contrari non solo ai Governi degli ultimi due anni, ma a tutti i Governi che si sono succeduti in Italia dal 1914.

Eravamo giovani in quell’anno felice del nostro Paese, e mai, inseguendo, come inseguivamo, altre chimere, avremmo potuto prevedere che un giorno, trentadue anni più tardi, il nostro destino bizzarro ci avrebbe portati a commemorare quell’anno nel Parlamento d’Italia, di cui una sincera modestia e un’effettiva impreparazione non c’incoraggiavano a sognare di poter mai far parte.

 

Fu in una giornata del luglio di quell’anno, come questo luglio afoso e grave, ma con la gente preoccupata soltanto di lieti problemi balneari, che improvvisamente echeggiarono le rivoltellate di Sarajevo che uccisero l’Arciduca Francesco Ferdinando di Asburgo e la contessa di Hohemberg. Pochi giorni dopo, l’esercito austriaco attaccò la Serbia, lo Czar firmò l’ordine di mobilitazione generale, la Germania dichiarò guerra alla Russia e alla Francia. Il 4 agosto l’Inghilterra entrò nel conflitto che divenne mondiale: e da quel giorno l’Italia, che non aveva avuta nessuna delle colpe per le quali si scatenò la catastrofe, perdette la sua pace che oggi, a distanza di 32 anni, non ha ancora riacquistata.

Immediatamente si stabilì un’atmosfera bellica e nacque il mito del cittadino-soldato, dell’agente di polizia-caporale; la libertà di stampa fu limitata prima per quanto riguardava il notiziario militare, poi per ogni altro notiziario; prima sull’amichevole parere dei segretari di prefettura, poi con l’aperta e severa censura sulla stampa, quando gli amichevoli pareri cominciarono ad esser discussi dai giornalisti che pretendevano distinguere quelli giusti da quelli cervellotici.

Poco a poco, in certi casi insensibilmente, molte altre libertà furono soppresse dopo quella di stampa. Non mi riferisco soltanto a quelle di genere, oserei dire, romantico, quali la libertà di parola, di pensiero, di riunione. Praticamente furono soppresse libertà umili, modeste, che prima di perderle nessuno credeva fossero libertà vere e proprie: e che invece lo erano, e lo sono, e tanto più nostalgicamente si rimpiangono quanto più il loro ricordo s’abbellisce nel passato che pure le scolora. Perdemmo la libertà di conversare impunemente con gli amici, la libertà d’esprimere un’opinione personale, la libertà di non diffidare dell’interlocutore come d’una probabile spia. E perdemmo, con quelle, altre libertà, piccole ma preziose: la libertà d’andare in tram senza essere schiacciati come sardine in una scatola, la libertà di procurarci il latte per i nostri bimbi ogni qualvolta occorresse, la libertà di commerciare, di coltivare, di produrre, e, insomma, di vivere, se non nei limiti feroci che a cagione della guerra, della crisi, del disordine, dell’emergenza, dei destini, delle mete, venivano successivamente imposti dalle varie dittature che, dopo quella dello Stato Maggiore instaurata nel 1914, si sono seguite nel nostro paese.

Ci sono state, e sarebbe disonesto negarlo, delle parentesi. Cessato lo stato di guerra, l’onorevole Nitti abolì la censura sulla stampa; ma non tardò a pentirsene e a ripristinarla. In quell’occasione Mussolini lo vituperò; ma, impadronitosi del Governo, egli abolì non soltanto la libertà di stampa, ma la stampa: e si consenta, a me giornalista, di dire che questo fu il suo errore di Governo più grave, dal quale promanarono tutti gli altri.

Finalmente si arrivò alla catastrofe; alla quale non si poteva non arrivare, anche se molti, moltissimi italiani non la previdero, o, almeno, non la supposero così spaventevole. Non intendo recriminare né riacutizzare qui polemiche recenti e in atto: qui noi siamo per aiutare a ristabilire la pace civile, e non contestiamo che gli errori di questi ultimi due anni sono la conseguenza, spesso fatale, della concatenazione d’errori d’un trentennio di vita politica. Ma al 2 di giugno di questo drammatico 1946 s’è verificato un fatto fondamentale: il popolo italiano ha votato, ha fatto una scelta istituzionale, ha eletto i suoi rappresentanti, si è dato un Parlamento col potere di rifare la Costituzione, e, per la prima volta dopo 32 anni, pur attraverso la sventura, il pianto, il lutto, un barlume di libertà, di democrazia, di sano vivere, ha incominciato a schiarire il nostro cielo già tanto cupo. Avremmo avuto l’umano diritto, dopo tanto soffrire e aspettare, d’avere non dico un premio, non dico la promessa precisa d’un dono futuro; ma almeno una speranza, almeno un sorriso; speranza, sorriso che sono il primo e rincuorante conforto per gli scampati al naufragio dopo il miracoloso approdo. Non li abbiamo avuti, e uscendo fuori dal pelago ci siamo imbattuti con l’onorevole De Gasperi alla testa d’un Governo formato con lo stesso spirito con cui furono formati tutti gli altri Governi che lo precedettero da quel tragico luglio di 32 anni or sono.

Forse nessuno più dell’onorevole De Gasperi risente l’amarezza di questo mio rilievo sulla spiritualità del suo, per altro verso, nobile tentativo politico, e in questo caso lo prego di credere che il mio dispiacere nel censurare non è inferiore al suo di dover ascoltare, con democratica pazienza, la mia censura. Ma, ciò doverosamente premesso, debbo aggiungere che, sotto alcuni aspetti, il suo Governo non è fra i meno peggiori della lunga e deplorata serie. Esso è, teoricamente, l’espressione della Costituente Sovrana, liberamente eletta. Non c’è ironia nel «liberamente»: se in questa Camera c’è un gruppo di 32 deputati qualunquisti, ciò prova che una libertà nelle recenti elezioni c’è stata, e mi auguro che sia maggiore e migliore nelle prossime. Ma se in teoria il nuovo Gabinetto De Gasperi è espressione della Costituente, in pratica esso è stato fatto da 3 uomini, con la collaborazione discontinua di un quarto: 4 uomini, su 500 ed oltre, sono troppo pochi.

Né questo è il solo e più grave appunto che si può muovere allo «spirito informatore» del nuovo gabinetto De Gasperi. Esso enuncia un programma troppo vasto e troppo radicale per poter essere creduto sinceramente realizzabile, e, su certi particolari punti, quali, per accennarne qualcuno, quelli riferentisi alla progettata politica agraria, è dubbio che possa riscuotere il consenso unanime dello stesso partito di cui l’onorevole Presidente del Consiglio è autorevole Capo.

La nostra impressione è che l’onorevole De Gasperi, di solito accorto e diligente, sia caduto in un involontario equivoco sui poteri e sulla sovranità dell’Assemblea Costituente. Cito per tutti un solo esempio: «Il Governo» ha detto l’onorevole Presidente del Consiglio, «interpretando le direttive dell’Assemblea Costituente, provvederà alle autonomie locali». Personalmente io sono favorevole alle autonomie locali. Ma come può il Governo dell’onorevole De Gasperi provvedervi, e cioè concederle, fondando soltanto sulla presunzione d’interpretare le direttive dell’Assemblea Costituente? E se la Costituente farà una Costituzione nella quale le autonomie locali non verranno concesse? Cosa farà il Governo in questo caso? Le ritirerà dopo averle date? E sarà possibile ritirarle senza gravi conseguenze?

Certamente non è simpatico supporre che il Governo abbia l’intenzione di mettere la Costituente di fronte a molti fatti compiuti: ma come si fa a non supporlo? E come si fa, dovendo supporlo, a non preoccuparsene vivamente, quando dalle autonomie locali si passa ad una riforma agraria in cui, oltre alle annunziate espropriazioni, che ci inducono a dubitare dell’esistenza d’un diritto di proprietà che per altro la Costituente non ha ancora abolito, si precisa perfino il dettaglio, non del tutto irrilevante, dell’istituzione dell’agronomo condotto?

Sta bene «interpretare le direttive» della Costituente; ma sta anche bene non spingere l’impeto interpretativo oltre i limiti dell’arte, di cui la suprema eleganza è la misura.

Ci rendiamo conto delle gravi difficoltà dell’ora, e non rimprovereremo all’onorevole De Gasperi ed ai suoi predecessori di non aver saputo risolvere il problema della quadratura del circolo. Sappiamo benissimo che ogni Capo di Governo deve innanzi tutto formare il Governo di cui vuol essere a capo, e, necessariamente, conciliare opposte tendenze e contrastanti interessi. Ma è appunto in questa dura fatica d’armonizzazione che spesso si sprecano, all’inizio e inutilmente, le migliori forze d’una compagine governativa.

Per effetto della lunga guerra mondiale incominciata nel 1914 e non ancora conclusa in tutte le sue fasi, sta risorgendo un feudalesimo industriale, agricolo, finanziario, marittimo, feudalesimo ch’è un’evoluzione del capitalismo, nient’affatto morto, nient’affatto moribondo, ma più vivo e forte che mai, fermamente deciso a sottomettere il potere politico, anche a costo d’identificarsi con esso, con la realizzazione d’un capitalismo di Stato di cui molti osservano lo sviluppo con sbigottimento.

In presenza di questo nuovo feudalesimo vivono e s’agitano le forze del lavoro manuale cresciute a dismisura, fatalmente acefale, dominate da aristocrazie intellettuali di cui si può non temere solo a patto d’imprestar loro una mentalità francescana.

Vicendevolmente all’una e all’altra forza i Governi tendono la mano implorante un aiuto che non è mai concesso senza meticolosa e sempre più dura negoziazione; ma sta in fatto che fra le due minacciose ganasce della morsa siamo noi, uomini e donne qualunque, maggioranza smisurata e sofferente, di cui nessun Governo si preoccupa, perché nessun Governo, fino ad ora, ha pensato che anche a noi potrebbe chiedere un aiuto, e ottenerlo a prezzo non esoso.

È per questo che, scartata ogni altra idea, noi abbiamo voluto seguire una via ordinata e legalitaria, e venire qui a far sentire ordinatamente e legalitariamente la nostra voce, proclamare il nostro diritto, chiederne il rispetto. All’onorevole Lussu, a quanti come lui pensano e dubitano, io dirò che lo squadrismo può, sì, aiutare a conquistare il potere, ma che immediatamente dopo averlo conquistato s’impone il problema di mantenere chi ha aiutato a conquistarlo. Questa facile esperienza è stata già fatta e non soltanto in Italia: e sempre con esito sfavorevole. Non certo noi, che fino ad oggi non abbiamo fornito nessuna prova di stupidità, potremmo volerla rifare. Se è vero, come è vero, che da varie parti ci si riconosce una certa intelligenza politica, è anche vero che questo riconoscimento d’intelligenza è in diametrale opposizione col proposito, da taluno gratuitamente attribuitoci, di voler raccogliere la pesante eredità di situazioni politiche fallite.

LUSSU. Chiedo di parlare per fatto personale.

GIANNINI. Ben più lontani e più alti, ben più nobili e ragionevoli sono i nostri obiettivi, uno dei quali, e non dei minori, è quello, già idealmente raggiunto, di collaborare alla preparazione della nuova Costituzione dello Stato italiano, e far di tutto perché questa nuova Costituzione, nascente nella terra del diritto e della giustizia, possa essere, oltre tutto, anche un esempio e un incoraggiamento per coloro che, fuori d’Italia, cercano affannosamente di rifare le loro leggi fondamentali, secondo le nuove interpretazioni del diritto che le necessità del progresso impongono.

A questa grande, e mi sia permesso di dire, stupenda fatica, noi vorremmo attendere tranquilli, senza esser costretti a sorvegliare il nostro Governo, senza esser turbati dall’insorgere, non sempre naturale e improvocato, d’impazienze sociali e politiche. Né, con la manifestazione di questo desiderio, noi pensiamo di svalutare, e comunque diminuire, l’importanza dei gravi compiti del Governo. L’ordinaria amministrazione è la più difficile, e per di più non compensata da splendori d’orpelli. Ricondurre la calma e l’ordine nel paese, alimentarlo, ridargli la sicurezza, restituirgli, soprattutto, quelle enormi forze che sono la speranza e la fiducia, costituisce tale somma di opere da onorare al di là d’ogni ambizione il nome degli uomini che vi si accingono, le varie parti dalle quali possono provenire. E non è certo con l’enunciato proposito di voler in pochi mesi realizzare un programma praticamente irrealizzabile che l’onorevole De Gasperi ci rassicura. Queste, e non altre, sono le ragioni che c’impediscono di condividere le sue responsabilità con un assenso che non potrebbe non essere impegnativo.

Oratore di scarso e improvvisato mestiere, temo di parlare a lungo, e penso – e spero – che la trattazione di un solo argomento – lo spirito che ha presieduto alla formazione dell’attuale Governo – valga a rendere il discorso meno fastidioso. Non toccherò quindi altri punti delle dichiarazioni del Capo del Governo, sui quali altri del mio Gruppo, senza dubbio di me più preparati, potranno dire molto più e meglio di quanto io non saprei. Desidero però – e credo di fare cosa utile – dire poche altre parole su un tema che l’onorevole De Gasperi non ha toccato: gli Italiani all’estero.

Il nostro paese ha delle colonie che non potranno mai essere sottratte da nessun vincitore, per ingeneroso che voglia essere; e queste sono le grandi masse d’italiani che vivono fuori del nostro territorio, in terre che, se non hanno politicamente guadagnate all’Italia, essi hanno innegabilmente conquistate alla civiltà.

Queste grandi masse, questo vero, formidabile partito di massa, sta attraversando una crisi profonda, causata dalle sventure che hanno colpito l’Italia; crisi esasperata dal rifiorire di ostilità locali, di ripercussione e prive di giustificazione. In questo stato di animo, colpita da un dolore cocente, questa grande massa d’italiani oggi guarda alla Patria che rivuole nobile e grande, perché sente che solo su quella rinnovata nobiltà, su quella restaurata grandezza, può fondare ogni sua legittima speranza.

Onorevole signor Presidente del Consiglio, questa massa d’italiani all’estero, che chiede solo di potere sperare, si compone di oltre dieci milioni di fratelli nostri che non vediamo divisi in partiti e correnti politiche, ma solo come il 25 per cento della nostra comunità nazionale, sangue del nostro sangue.

Benché molti di essi siano ricchi, moltissimi prosperi, e quasi tutti vivano di libero e dignitoso lavoro, in quest’ora, che è anche per loro angosciosa, quei nostri connazionali hanno bisogno della Patria, sia pure vinta, umiliata, povera: in forza di quegli irresistibili bisogni dello spirito che nessuno più di lei, onorevole De Gasperi, può sentire e comprendere.

Non per gretto mercantilismo, ma, al contrario, per non infondata fierezza, io mi permetto di dirle che l’Italia può essere ricostruita col solo apporto degl’italiani all’estero, senza bisogno di mendicare elemosine da chi non è nostro parente, e non vuol essere che nostro padrone.

Nel concludere le sue dichiarazioni, ella, onorevole signor Presidente del Consiglio, ha accennato alle quattro libertà di Roosevelt, e ci ha detto che si propone di rivendicarle da chi ce le aveva promesse. Queste quattro libertà – libertà di religione, libertà di parola, libertà dal bisogno, libertà della paura – più che promesse c’erano state concesse, e come concesse e non promesse furono comunicate agli uomini e alle donne di tutto il mondo dalla nave atlantica dove due uomini si erano incontrati e alleati soprattutto per salvare i loro imperi. Rivendichi, rivendichi a gran voce, e al cospetto del mondo, le quattro libertà dagli stranieri, onorevole De Gasperi: ma, in attesa di queste rivendicazioni oltremontane e oltremarine, conceda lei, agli italiani in Italia, le quattro libertà, subito, senza lesina, in dono pieno e perpetuo. È solo su quelle libertà che lei e il suo Governo possono iniziare la ricostruzione del nostro Paese. (Vivi applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Lussu ha chiesto di parlare per fatto personale. Lo indichi.

LUSSU. L’onorevole Giannini, rappresentante dell’Uomo Qualunque, mi ha attribuito un pensiero che va precisato, tanto più che egli, mentre io parlavo, non era presente, col giustificato motivo di doversi fumare una sigaretta. Siccome anch’io sono un grande fumatore, ma non ho creduto fumarmi una sigaretta mentre parlava l’onorevole Giannini, desidero, poiché ho sentito chiaramente le sue dichiarazioni; precisare: io ieri non ho detto già che l’Uomo Qualunque sia tutto composto di fascisti, ma ho detto che, se vi sono dei malcontenti alla base, era mia preoccupazione che si stesse ricostituendo il fascismo. (Commenti a destra). Questo ho detto e desidero che sia ben chiarito. Io penso che i malcontenti siano parecchi nell’Uomo Qualunque, ma rispetto al numero dei fascisti che si organizzano, o si riorganizzino, alla base, essi rappresentano quell’esiguo numero che gli impiegati avventizi rappresentano in una grande amministrazione dello Stato di fronte agl’impiegati in pianta stabile (Commenti – Ilarità). Il fatto poi che l’onorevole Giannini nel suo discorso, che era preparato e non improvvisato, non ha trovato una sola parola di condanna per il fascismo, aumenta le mie preoccupazioni. (Applausi a sinistra – Commenti).

 

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Mi consenta l’onorevole Presidente di dire due parole sole. Non è colpa mia se l’onorevole Lussu ha ascoltato con insufficiente attenzione quello che io ho detto, o mi sono sforzato di dire dalla tribuna. La prossima volta, siccome me ne intendo, pregherò che mi si lasci aggiustare da me il microfono, e allora spero che si potrà sentire meglio.

Comunque, il testo del mio discorso sarà pubblicato nei miei giornali e l’onorevole Lussu potrà trovarci forse quello che oggi non ha sentito. (Commenti).

Presidenza del Vicepresidente TERRACINI

PRESIDENTE. È inscritto a parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi permetto dare una breve risposta, oltre quella data dal Presidente del nostro gruppo, onorevole Giannini, all’onorevole Lussu. Noi non l’abbiamo interrotto ieri, nonostante questo avvenga qualche volta in questa Assemblea. Non l’abbiamo interrotto per dargli una prova del nostro alto senso di democrazia e di rispetto all’altrui opinione. Non gli abbiamo risposto, anche perché l’onorevole Lussu è conosciuto, certamente come un uomo d’ingegno, ma anche come un temperamento (scelgo la parola) esuberante, e quindi l’Assemblea sa che quando l’onorevole Lussu muove delle accuse, bisogna sempre accoglierle col beneficio dell’inventario.

Noi non ci siamo difesi da questa vaga ambigua accusa di neo fascismo, perché non era il caso di difenderci, perché in mezzo a noi c’è fiore di gente che ha tali titoli di sano antifascismo, che ha così coraggiosamente saputo combattere nell’ora del pericolo, da potere sdegnare queste facili accuse. Non ci vantiamo del nostro antifascismo, unicamente perché era bene vantarsene al tempo in cui vantarsene apportava dei pericoli, non ora che apporta dei vantaggi, e come prima c’era la gara al più nero, ora c’è la gara al più rosso. (Applausi a destra).

Noi accettiamo l’invito dell’onorevole Lussu, anzi non abbiamo avuto bisogno di aspettarlo, perché coloro che dirigono il partito hanno già sentito il pericolo ed hanno dato i provvedimenti necessari ad evitarlo, e noi guardiamo la base.

L’onorevole Lussu, con garbo, ha parlato di base della piramide per escludere appunto noi che ne siamo alla cima, pensando che il pericolo stia alla base…

Una voce. No, siete voi il pericolo.

RUSSO PEREZ. Noi ci pensiamo, noi provvediamo, e se ci sono persone che hanno al loro passivo delle malefatte nel periodo del regime fascista, noi le escludiamo senz’altro. Però preghiamo tutti i dirigenti responsabili degli altri partiti di fare analoghe ricerche nelle loro file e di emettere gli stessi provvedimenti. (Applausi a destra).

Esporrò poi le ragioni per le quali noi dissentiamo dal programma di questo Ministero: un dissenso che, come bene ha detto il nostro Presidente, non sarà sistematico, giacché noi siamo pronti a dargli il nostro appoggio tutte le volte che sarà necessario nell’interesse della Patria.

La risoluzione della crisi, secondo me, non è stata quella che la situazione del Paese imponeva né quella che risponde allo spirito delle leggi che ci governano. La maniera come è stata risolta la crisi non poteva che essere in funzione del concetto che si aveva dei diritti e dei doveri del Ministero in confronto ai diritti e ai doveri dell’Assemblea Costituente.

O politica di largo respiro, o politica di ordinaria amministrazione. Gli uomini preposti alla risoluzione della crisi hanno scelto il primo corno del dilemma: politica di largo respiro; ed hanno fatto male, secondo me, perché, se il voler legiferare su importanti materie d’ordine economico e sociale (e di conseguenza politico) è in una certa armonia con la lettera di quel decreto-legge 16 marzo 1946 che voi stessi vi eravate preparati, io domando alla profonda coscienza anche inespressa di ciascuno di voi se non è vero che il voler fare, durante i pochi mesi di vita di questa Assemblea, una politica di largo respiro non sia in contrasto col fatto storico che viviamo, con l’Assemblea Costituente, sovrana, eletta dal popolo in libere elezioni.

Con quel famoso decreto-legge si riservava a voi, per delega, un ampio diritto di legiferare; ma la delega non c’è stata. E c’era l’onorevole Calamandrei – la cui faccia tranquilla ben nasconde l’arguzia dello spirito – che voleva, con un piccolo voterello dell’Assemblea, sanare questo grave difetto. Il Governo, a cagione della delega nostra, mentre noi non l’abbiamo data, mentre noi non eravamo ancora nati quando la legge fu fatta, dovrebbe lasciare a noi soltanto il compito di legiferare in materia elettorale, di trattati con l’estero, e di costituzione dello Stato.

Orbene, avendo ascoltato le dichiarazioni del Governo, in molti dei problemi, che esso ha detto di voler risolvere, voi non avete visto qualche cosa che incide profondamente o per lo meno sfiora problemi di indole costituzionale? Per esempio, come ha accennato il Presidente del nostro gruppo, quello della proprietà? Onorevoli colleghi dell’altra sponda, che potrebbe essere la destra e potrebbe essere la sinistra secondo il posto da cui si guarda – anzi, dato che noi siamo seduti su questi scanni, sarebbe questa la sinistra – non crediate che siamo dei reazionari. Noi tutti siamo modesti lavoratori, avvocati, medici, professori, giornalisti, e credo che se c’è qualcuno di noi che possiede un pezzetto di terreno, questo è così piccolo che lo si può girare in tre o quattro minuti. Noi non siamo contrari ad alcuna riforma nell’interesse di tutte le classi lavoratrici, e specialmente delle classi medie, di tutte le classi lavoratrici. Anzi, vi dirò che è mio pensiero che la proprietà posseduta soltanto nell’interesse proprio non dà diritto al proprietario di conservarla, perché il concetto della proprietà nello Stato moderno si è talmente evoluto, da non potersi più accettare il vecchio concetto per cui il proprietario poteva anche lasciare che un feudo esteso per migliaia di ettari non fruttificasse, senza che nessuno potesse dirgli niente. Quindi, noi siamo con voi dove si tratterà di dare al Paese riforme tali che assicurino alle classi lavoratrici un grado di benessere che sin qui esse non hanno raggiunto; ma vorrei che ognuno di voi meditasse, come io tante volte ho meditato, su un problema che profondamente ci divide. Io ho detto: ma è possibile che il torto stia tutto da quella parte?

È possibile che 4 milioni di cittadini in Italia e tanti milioni all’estero credano, abbiano fede in quel partito politico? Io ho meditato e mi sono chiesto: come è mai possibile che un esercito che si senta schiavo di un governo autocratico possa combattere così valorosamente come ha combattuto l’esercito russo? Nessuno di noi, uomini di ingegno, anche mediocre, ha potuto credere alla storiella dei commissari del popolo che minacciavano i soldati con la pistola. Dunque, meditando, ho detto: qualche cosa della verità deve esserci anche su quei banchi. Studiamo, facciamo che questa verità sia anche nostra. Ma anche voi dovete fare lo stesso. Perché voi dovete credere che l’errore stia tutto dalla nostra parte e non avete voluto ascoltare sin qui – e voi che avete composto il Governo non avete voluto ascoltarle nella risoluzione della crisi – queste voci nuove che vengono dal paese e che si sono espresse con un milione e mezzo di voti?

Che cosa significano queste voci? C’è qualche cosa che voi non avete voluto sentire. Noi abbiamo cercato di farvele ricordare in tutti i modi, e anche nei modi più impensati, anche con le nostre votazioni. Ma voi non avete voluto sentirle e avete creduto di poter fare, sempre tra voi, un Governo che è composto sempre dagli stessi tre partiti. Era più rispondente al pensiero del paese che il Governo fosse stato tutto nelle mani del partito democratico cristiano, con qualche appoggio dei partiti di Centro e di quelli di destra: perché nonostante la vostra ben conosciuta gara programmatica «a chi corre di più» coi partiti estremi, è certo che il paese non vi ha dato otto milioni di voti perché voi incoraggiate il movimento dei partiti estremi verso la conquista del potere, ma anzi ve li ha dati per controbilanciarne la spinta. E se volevate fare una politica di largo respiro, sarebbe stato anche più logico, non riuscendo questo tentativo, che i socialcomunisti assumessero da soli il peso e la responsabilità del Governo. Poche settimane or sono, lo stesso onorevole Nenni al congresso di Milano ha detto: «Io sono contrario per principio ai gabinetti di coalizione, appunto perché essi, dovendo tener conto del parere discordante dei vari coalizzati, non possono fare una politica di largo respiro». E come mai adesso si è convertito ancora una volta al gabinetto di coalizione? E proprio perché, egli ha detto (lo abbiamo letto sul suo giornale) che il Governo intende fare una politica di largo respiro?!

La verità è un’altra: il Governo avrebbe dovuto fare soltanto una politica di ordinaria amministrazione col concorso di tutti i settori della Camera, dando un forte impulso perché la Costituente compisse i suoi lavori in un tempo anche più breve di quello prescritto dalla legge.

Comunque, la questione dei rapporti fra i poteri, i diritti ed i doveri del Governo in relazione ai poteri, ai diritti ed ai doveri dell’Assemblea Costituente, sembra che sia stata accantonata, quindi ne parleremo più lungamente a suo tempo. Ma poiché qui, io penso, bisogna fare qualche cosa di costruttivo, io propongo al Governo che, quale che sia la soluzione che darà al problema, voglia intendere come un obbligo, per lo meno morale, la facoltà che gli dà l’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946 n. 98, di sottoporre all’approvazione dell’Assemblea tutte quelle leggi che a suo giudizio eccedano i limiti della ordinaria amministrazione.

Sono il primo siciliano che prende la parola in questa Assemblea e non posso fare a meno di parlarvi della Sicilia. Il problema meridionale esiste ed è ormai minore l’interesse della Sicilia a risolverlo di quanto non sia l’interesse dell’Italia intera.

Onorevole Persico, non soltanto i capi del Governo che si sono succeduti dal 1860 ad oggi hanno fatto soltanto delle vane promesse. Credo che anche voi, che avete partecipato al Governo, non avete fatto nulla e non avete cercato di ottener nulla dai vostri colleghi del Governo. Non aspettate la goccia, amici dell’Italia peninsulare; gocce ne sono già cadute abbastanza ed il vaso è traboccato. Non crediate, solo perché il movimento per l’indipendenza della Sicilia ha portato alla Costituente tanti deputati quanti se ne possono contare sulla punta delle dita, che tutti gli altri siciliani nati da padre e da madre siciliani vogliano trascurare il dovere di difendere, ad ogni costo, gli interessi negletti, offesi della loro terra.

Guardate un po’: La Sicilia, estranea, si è vista regalare dal Nord d’Italia i moti sovversivi del 1919-1921, senza che essa vi partecipasse in senso favorevole o in senso contrario; si è vista regalare Mussolini ed il fascismo nel 1922; si è vista regalare l’antifascismo e l’Esarchia nel 1943-1945; si è vista regalare la repubblica nel 1946, senza che i suoi sentimenti fossero indagati e i suoi interessi presi in considerazione.

Una voce. Adesso c’è la repubblica.

RUSSO PÉREZ. Ho sentito qualche voce che parla di repubblica.

Desidero dire a questo proposito: io sono monarchico!

Una voce. Lo sapevamo! chiediamo come la Sicilia ha votato.

RUSSO PEREZ. La maggioranza dei siciliani si è schierata per la monarchia.

FINOCCHIARO APRILE. Ma in Sicilia vogliamo la repubblica siciliana! (Rumori – Commenti).

RUSSÒPEREZ. Quando lo crederà opportuno, l’onorevole Finocchiaro Aprile farà noto il suo pensiero. Io faccio noto il mio; e siccome sin da quando sono nato son vissuto in Sicilia, credo anche di conoscere un po’ i miei conterranei! Voglio dire questo: la Sicilia ha accettato lealmente la repubblica e la repubblica lealmente servirà, come la servirò io, perché se la repubblica è un fatto, la repubblica è l’Italia, e chiunque ama le proprie idee più della propria Patria non può dirsi che ami veramente la Patria. (Applausi a destra).

Né è vero, amico Finocchiaro Aprile, che vivi e incarni e servi il tuo ideale, non è vero che l’animo della Sicilia, per i torti ricevuti, si sia staccato dall’animo italiano. Noi siamo legati ancora all’Italia forse più per quello che le abbiamo dato, che per quello che ne abbiamo ricevuto, dall’unità al linguaggio, perché tutto ciò che in volgare si scrisse prima di Dante si chiamò siciliano, per le decine e decine di migliaia di morti che hanno impastato del nostro sangue migliore le pietraie del Carso. Ma consentite, fate, amici, fratelli del Nord d’Italia, che noi possiamo ancora continuare ad amarvi.

Ci è stata rimproverata, ad esempio, la mancanza di iniziativa. Ci si è detto: «È colpa vostra se vi trovate in queste condizioni!». Non è vero! Ognuno di noi, vecchi siciliani, potrebbe citarvi diecine di episodi significativi. Io ve ne cito uno soltanto: nel 1915 un mio concittadino ebbe il fegato di impiegare diecine di milioni (milioni di quel tempo) per fare sorgere a Palermo, accanto al vecchio forte, ora distrutto, di Castellammare, un proiettificio, che anche Ansaldo poteva ammirare. Amici, la verità documentata è questa: durante tre anni di guerra non gli si fece fabbricare, coi pretesti più vari, un solo proiettile da 149.

Finì la guerra, calarono gli industriali dal Nord, comprarono il macchinario coperto di ruggine e di ragnatele, se lo portarono via, e tutto fu finito! Dunque occorre che voi, voi del Governo, provvediate. E vi faccio una proposta di carattere pratico. Le parole non giovano a nulla. Quando il Governo era a Salerno, il nostro Consiglio dell’Ordine degli Avvocati pensò che vi erano migliaia di persone che giacevano in carcere in attesa del giudizio della Corte di Cassazione. I ricorsi non potevano essere smaltiti perché eravamo separati, disgraziatamente, da Roma e dal resto d’Italia. Ed allora mandammo due nostri colleghi a conferire col Ministro di Grazia e Giustizia perché concedesse, anche temporaneamente, quella sezione staccata della Corte di Cassazione che fu concessa a Milano. Ebbene, il Ministro disse: «Ma che volete? Che cosa pensate? Se io debbo convocare i capi di collegio, volete che li mandi a cercare in Sicilia? Niente!» Ed i miei colleghi tornando mi dissero: «Siamo partiti unitari, siamo tornati separatisti». Orbene, mentre io raccomando al Governo e raccomando all’Assemblea di prendere veramente a cuore gli interessi di quest’isola generosa, faccio una proposta pratica al Ministro di Grazia e Giustizia: veda di creare subito anche una sola sezione promiscua, civile e penale, staccata, della Corte di Cassazione per la Sicilia. Vi assicuro che il cuore dei siciliani è un cuore di bambini. Basta un piccolo dono perché voi lo conquistiate. E qui ci sono molti siciliani che lo sanno. Certo, questo solamente come una prova della vostra buona volontà e in attesa dei provvedimenti molto più importanti e generali che saranno presi in seguito.

Onorevoli colleghi, io ho preso la parola ora, ma avrei voluto procrastinarla nel tempo, per farmi un po’ meglio all’ambiente, specialmente dopo le sfuriate fatte da taluni quando parlò, non un novellino, ma Francesco Saverio Nitti. E dicevo fra me e me stesso: ma qui bisogna stare guardinghi, specialmente per uno di noi che appartiene ad un gruppo non molto teneramente amato…

GIANNINI. Bisogna essere stimati, non amati.

RUSSO PEREZ. Qui si è quasi impedito di parlare a un Nitti, mentre egli diceva delle cose vere, non potrei dire se ugualmente utili. Comunque venivano dalla sua bocca ed occorreva ascoltarle. Credo che abbiamo tutti tanta memoria da ricordare quello che è avvenuto due giorni or sono. Quindi avrei voluto farmi all’ambiente, studiarne il modo di reagire, vedere se veramente la democrazia abbia fatto molti progressi e lo spirito di tolleranza ed il rispetto delle altrui opinioni sia veramente nell’animo di tutti. Ho dovuto invece prendere la parola subito perché debbo fare una proposta concreta. Critiche pochissime e non conviene neanche farne, perché si tratta di materia delicata: si tratta di politica estera; e anche perché sono convinto che l’onorevole De Gasperi non ascolterà il consiglio dell’onorevole Nitti: figuratevi se potrà ascoltare il mio, di lasciare ad altri questo grave pondo della politica estera.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Prego di fare proposte concrete.

RUSSO PEREZ. Io devo fare appunto una proposta concreta; e vorrei che voi trovaste l’uomo autorevole che possa tentare di ottenere da quelli che si è soliti chiamare Alleati qualcosa di più.

Comunque, siccome sono convinto che voi rimarrete al vostro posto e tutelerete gli interessi dell’Italia con quell’ardente spirito patriottico che è mia onestà riconoscere nei vostri accenti e nei vostri propositi, non voglio dir nulla che possa menomare la vostra figura dinanzi a coloro, con cui voi tratterete – se la parola «trattare» può usarsi in questo caso; – non voglio neanche ripetere le accuserelle mosse dal giornale di un partito molto vicino a quello del Presidente ed a cui appartiene colui che dovrebbe succedergli nel posto di Ministro degli esteri.

Voglio dire qualcosa di generale per richiamare la vostra attenzione sul fatto che noi non abbiamo saputo preparare il clima entro cui i nostri legittimi interessi potessero essere rispettati dallo straniero – mi è scappata la parola, ma è la verità!

Per esempio, si è proclamato festivo il giorno in cui al durissimo tallone tedesco si sostituiva sul suolo della patria un altro tallone straniero, sia pure meno duro. Si dirà che in quel tempo ancora era nell’animo di coloro che hanno propiziato questa dichiarazione l’errore di credere che si trattasse di fratelli e di liberatori. Non è esatto, perché era precisamente il tempo in cui le Nazioni Unite nominavano una commissione, che dovesse studiare fino a quale limite potesse arrivare la nostra capacità di pagamento. Al tempo delle torture vi era un medico incaricato di assistere il torturato per stabilire quanti tratti di corda potesse ancora ricevere senza esalare l’ultimo respiro.

Persone rivestite di cariche altissime ed anche persone non rivestite di cariche altissime, come l’onorevole Lussu, hanno affermato che per noi le colonie sono un peso.

Amici miei! Ma, le colonie sono sassi e sabbia e nulla più per noi? E se pesano a taluno i campi, le strade, impastate dal sudore dei nostri coloni, gli pesano anche i cimiteri dove riposano le ossa dei nostri morti, morti borghesi, morti proletari, tutti fiore del sangue italiano? E che impressione può fare all’estero un modo di pensare e di esprimersi siffatto? Che cosa diranno coloro che ci trattano come una bestia da macello da scannare? Diranno: «Se loro piace, se ci adulano, se proclamano che anche il giorno dell’occupazione – secondo i termini dell’armistizio si chiama «occupazione» – è giorno festivo, continuiamo ancora; essi non reagiranno».

Dunque, bisogna difendere gli interessi dell’Italia con tono più virile e più coraggioso e – lasciatemelo dire – più italiano. Ma, che cosa bisogna fare?

Siamo d’accordo, le dimostrazioni di piazza, specialmente se incomposte e violente, giovano poco. Ma se nessuno grida, se nessuno protesta il nostro diritto offeso, come ci si difende? Volete togliere al nostro popolo anche il diritto di protestare?

Il Times, ricordato anche oggi, dice che il nostro concorso alla vittoria è stato effimero. Il Times però non ricorda che una delle ragioni, e forse non ultima, della loro pronta vittoria su di noi è stato il profondo nostro generale dissenso per questa pazza guerra scatenata dal fascismo. Il nostro concorso poi è stato quello che gli alleati ci hanno concesso di dare, e ricordo che noi abbiamo chiesto formalmente di poter dare un maggiore contributo di sangue.

Si ripete d’altra parte che non ci sono impegni. Ma forse la Carta atlantica non ha più valore? E non costituisce un impegno d’onore dinanzi alla coscienza del mondo civile? Oppure veramente l’onore è qualcosa di particolare e di diverso per gli uni e per gli altri, sicché ciò che macchia il nostro onore lascia intatto e immacolato l’onore degli altri?

Siamo buoni custodi del nostro onore; gli altri custodiscano il loro come vogliono.

E allora io enuncio all’Assemblea questo mio punto di vista: noi abbiamo perduto la guerra, siamo pronti a pagare. Ma noi non abbiamo fatto una sola guerra, ne abbiamo fatte due, e anche la seconda è stata preceduta da una formale dichiarazione. Noi abbiamo fatto la prima guerra contro le Nazioni Unite e l’abbiamo perduta. Abbiamo fatto con loro la seconda guerra in qualità di cobelligeranti contro la Germania e i suoi satelliti: l’abbiamo vinta. Se siamo stati cobelligeranti, evidentemente siamo stati anche, scusate il neologismo, convincitori.

Orbene, non nascono obblighi giuridici da questo fatto?

Guardate, finora il problema è stato affrontato dai vari Governi che si sono succeduti, e dalla stampa italiana, unicamente come un problema morale, mai come un problema giuridico. Si è detto cioè: «Siamo stati buoni, abbiamo fatto qualcosa per voi, trattateci, bene». Anche nel messaggio del Capo provvisorio dello Stato si parla di richiamo ai sacrifici fatti. Allo stesso modo, press’a poco, si è espresso il Presidente del Consiglio onorevole De Gasperi nell’ultimo memorandum diplomaticamente inoltrato a Parigi. Non v’è nulla che faccia pensare che questo problema sia stato visto dal punto di vista giuridico: si parla soltanto dei crediti che l’Italia vanta dalla Germania.

Unicamente l’acume giuridico e il grande cuore di Vittorio Emanuele Orlando hanno sfiorato il problema quando egli ha detto: «Che importano le parole, quando vi è il fatto generatore del più sacro degli impegni, il fatto che ci fu chiesto e fu accettato un contributo di sangue? Non diventava questo, per sé solo, un obbligo? E come è possibile rinnegarlo?».

Dunque, noi abbiamo vinto insieme alle Nazioni Unite la seconda guerra, quella contro la Germania. C’è o non c’è il diritto alle riparazioni? È materia fluttuante, perché parlare di diritto quando si parla di guerra è quasi un non senso.

Ma comunque si sceglie un sistema. Gli antichi, ai tempi omerici, scannavano i vecchi e portavano via le giovani, depredavano le case e poi le bruciavano. Adesso c’è il cambio imperativo, si stampa moneta che non vale nulla, si comprano tutte le cose utili che ancora rimangono e poi per giunta vengono le spogliazioni e le riparazioni. Un sistema è stato scelto. Si ha diritto alle riparazioni. Dunque la Nazione che vince ha diritto di ripetere le riparazioni dalla Nazione che perde; e mi piace ricordare quanto ho letto nell’Unità dell’11 luglio, cioè che il signor Molotoff, a Parigi, ha formalmente dichiarato, parlando proprio della Germania, che vanno date le riparazioni alle nazioni che hanno sofferto in conseguenza della guerra. Orbene, noi non possiamo esigere queste riparazioni a cui abbiamo diritto perché non ci fu concesso di occupare parzialmente il suolo nemico; ma gli Alleati possono ripeterle per noi. E allora possiamo e dobbiamo dire: noi abbiamo accettato che voi svolgeste le trattative di pace con l’Italia preliminarmente perché credevamo che in effetti questo sarebbe stato un dono; adesso, vogliamo che le trattative di pace con noi quale potenza sconfitta da voi e quale potenza convincitrice della Germania debbano aver luogo contestualmente. Poi diremo: noi siamo un popolo generoso; non vogliamo infierire contro un popolo vinto, e dissanguato; e siamo anche un popolo intelligente e pensiamo perciò che non sia interesse del vincitore uccidere un moribondo, quindi siamo disposti ad attenuare le cifre delle riparazioni, ma se e in quanto voi sarete disposti ad attenuare le cifre e le riparazioni che chiedete a noi; e siamo disposti anche a portarle al limite zero, se voi farete lo stesso nei nostri riguardi.

Occorre porre il problema così ed è questo l’ordine del giorno che sottopongo, col consenso del Governo, nelle forme di legge, all’approvazione dell’Assemblea Costituente:

«L’Assemblea Costituente chiede che il Governo consideri senza indugio dal punto di vista giuridico la questione della cobelligeranza e la proponga agli Alleati nella forma che sarà creduta più opportuna, abbinando il problema delle riparazioni passive con quelle attive; chiedendo che le trattative per la pace con l’Italia e con la Germania avvengano contemporaneamente, e sostenendo sotto questo aspetto la necessità e la legittimità di una nostra partecipazione alle trattative con rappresentanza propria, sicché si possa addivenire ad una pace unitaria che armonizzi gli interessi delle Nazioni Unite con quelli dell’Italia e garantisca la futura pacifica convivenza delle nazioni amanti della pace».

Amici, onorevoli colleghi, quando avremo fatto ciò, ci troveremo in migliori condizioni per decidere se la pace debba essere accettata, oppure no. È un problema che dovrà essere discusso con saggezza, senza gesti impulsivi, ma dovremo pure affrontarlo un giorno.

Gli Alleati potranno dire di no alla nostra proposta, ma dal punto di vista giuridico, di fronte al mondo, si troveranno in condizioni difficili. E nessuno dica, per l’amore di Dio, che questo è nazionalismo, a meno che non si voglia sostenere che il famoso agnello della favola di Esopo fosse prepotente in confronto al lupo. È nazionalismo, anzi imperialismo, quello delle Nazioni ricche che vogliono togliere alle nazioni povere quel poco che ancora resta loro per malamente sfamarsi. Non è nazionalismo, ma soltanto sano amore di patria, che noi abbiamo il diritto e il dovere di alimentare nell’animo nostro, cercare di salvare quel poco che legittimamente ci rimane. Né alcuno dica, onorevoli colleghi, che egli si sente più cittadino del mondo che cittadino di questa nostra patria sventurata. È una comoda posizione spirituale, che io, come francescano, posso anche accettare. Ma quando si scende nel campo pratico, quando si tratta di nazioni che devono vivere insieme in un mondo diventato troppo piccolo, non si può passare al campo internazionale se prima non si è amata e servita con devozione la propria patria. Perché ogni nazione non può entrare nella futura consociazione con propositi di collaborazione e di amore, se non si sente garantita nei suoi sacrosanti diritti e rispettata nella sua unità etnica e spirituale.

Quindi, onorevoli colleghi, mal serve anche la causa dell’internazionale chi prima non sa servire la nazione in cui è nato. E quando questo avverrà e se questo avverrà, da ogni settore, tutti uniti e concordi, potremo veramente collaborare alla rinascita della patria; e potremo anche collaborare a quella internazionale di tutte le creature, che però deve essere illuminata, per essere vitale, dalla luce del vangelo, che noi tutti, con diverso animo ma con uguale amore, serviamo. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Pellizzari.

PELLIZZARI. Onorevoli colleghi, io ho seguito con viva attenzione tutti gli oratori che finora si sono succeduti in quest’aula. Ma più di ogni altro – sia detto senza mortificazione di nessuno – ha suscitato la mia attenzione e il mio interesse l’onorevole Nitti, sia perché egli fa parte della mia stessa storia e dell’epoca nella quale ho insieme con lui vissuto, sia perché l’autorità e l’esperienza dell’uomo aggiungevano interesse a ciò che egli diceva; sia, infine, perché io sono sempre stato curioso degli scritti e dei discorsi di carattere autobiografico. E quella singolare ma istruttiva mescolanza delle sue esperienze e reazioni psicologiche con le sue idee di uomo di governo, mentre nutriva la mia cultura, alimentava anche la mia fantasia. Debbo tuttavia confessare che quella autobiografia mi ha alquanto deluso, perché si è tenuta un po’ troppo alla superficie. Avrei voluto che l’onorevole Nitti fosse andato più a fondo dell’esame di se medesimo e delle conclusioni che in lui hanno suscitate i molti e drammatici eventi dei quali è stato a volte protagonista, a volte partecipe e vittima.

Mi è sembrato che troppo vi fosse di aneddoti diplomatici e di ricordi in un certo senso gastronomici, e troppo poco di ciò che più poteva riuscire istruttivo ed educativo nelle sue esperienze e vicende politiche: anche queste, non sempre interpretate, secondo me, in modo rigorosamente esatto. Quando egli ha affermato, per esempio, che per i tedeschi Mussolini era l’amico numero uno ed egli era il nemico numero uno, forse in quel parallelismo retorico egli ha esagerato i termini. Dico ciò perché ne appaiano giustificati così l’attenzione come la delusione e il dissenso ch’egli ha provocati da parte mia.

Egli ha incominciato con una lunga critica della costituzione dell’attuale Governo; critica, per dire il vero, più superficiale che sostanziale. Mi conceda l’onorevole Nitti di osservargli che questo Governo non è stato una improvvisazione dilettantistica dell’onorevole Presidente del Consiglio; è stata la conseguenza logica e necessaria degli avvenimenti che sono sfociati, attraverso la guerra e la rivoluzione, nella consultazione del popolo, e nella composizione di un governo ad essa legato e che molto probabilmente non poteva essere diverso da quello che è. Questo Governo è giustificato, onorevoli colleghi, dal risultato delle elezioni e dalla esistenza dei partiti organizzati. Lei, onorevole Nitti, ha ripetutamente definito «cattiva» la legge elettorale che ha portato in quest’aula gli attuali deputati della Costituente.

Ora, prima di esaminare se la legge sia buona o cattiva, debbo ricordarle che lei si dimostra un genitore troppo crudele con le sue creature, perché in maniera remota ma diretta questa legge dello scrutinio di lista col sistema della rappresentanza proporzionale fu per la prima volta proposta alla Camera dei Deputati e fatta approvare proprio da lei, onorevole Nitti. È stata presentata alla Camera con una sua relazione, nella seduta del 10 luglio 1919; e proprio lei, tracciando allora il suo programma, disse queste testuali parole: «Il Governo intende non solo dare vigoroso impulso alla riforma elettorale, ma farne – badate bene – il cardine della sua politica interna. Ciò – soggiungeva l’onorevole Nitti – va dichiarato nella maniera la più esplicita, perché non si crei nessun equivoco».

NITTI. È una cosa un po’ diversa.

PELLIZZARI. Ora, questa legge rispondeva, anche nelle espresse intenzioni dell’onorevole Nitti, a quelle condizioni politiche, a quel formarsi delle grandi correnti dei partiti, che egli allora vedeva, che riconosceva, e alla cui esistenza subordinava il nuovo sistema elettorale che proponeva all’approvazione della Camera dei Deputati. Questa legge evidentemente postula l’esistenza dei grandi partiti politici, di quei partiti dei quali l’onorevole Nitti teme la tirannide.

Dio mio! io, da quando ho potuto leggere giornali – e fui purtroppo nella smania di leggerli molto precoce – ho sempre sentito parlare in Italia di tirannide. Ho sentito parlare della tirannide di Crispi, poi di quella di Rudinì, e poi di Giolitti, poi dei partiti: non c’è stato un anno in Italia, in cui il partito che era all’opposizione non accusasse o di intenzioni o di attività tiranniche il partito che era al potere.

Il giuoco continua. Ma la pluralità stessa dei partiti esclude, finché essi esistano, la loro tirannide; perché i partiti sono la Nazione stessa, organizzata per grandi categorie di interessi pratici e di schemi ideali, cioè organizzata secondo la sua stessa costituzione fisiologica.

Certo, l’attuale legge elettorale, basata sullo scrutinio di lista e sulla rappresentanza proporzionale, potrà e dovrà essere migliorata in vari particolari. Per quanto concerne, ad esempio, il Collegio Unico Nazionale, essa presta il fianco a critiche molto ragionevoli, poiché conduce all’assurdo che prevalgano candidati i quali riscossero un insufficiente numero di voti, in confronto e a preferenza di altri sui quali si raccolse un numero di suffragi straordinariamente maggiore. D’altra parte queste liste nazionali, subordinate alle direzioni dei partiti, cioè ad organi non ancora inseriti nelle leggi costituzionali dello Stato, evidentemente non hanno una giustificazione sufficiente né giuridica né politica. Ma questo ed altri particolari negativi non possono vulnerare la necessità che all’esistenza dei grandi partiti politici corrisponda una legge elettorale adeguata, una legge che permetta alle grandi masse organizzate di esprimere la loro opinione non attraverso il polverizzamento individualistico dei collegi uninominali, ma attraverso la sensibilità e la professione collettiva dei grandi ideali politici e dei vasti interessi nazionali. Essa è la tutrice legale dei diritti cittadini; tanto che quando il Ministro della tirannide volle schiudere la strada ai suoi propositi di oppressione, dovette prima puntare sopra la riforma della legge elettorale, obbligando la Camera a subirla, e, solo dopo aver distrutto quell’ultima garanzia delle pubbliche libertà, riuscì a ottenere una approssimativa legalizzazione dei suoi faziosi disegni. La legge della rappresentanza proporzionale e dello scrutinio di lista fa parte del nostro patrimonio politico, e noi, per i quali essa si ricongiunge alle prime battaglie che i cattolici combatterono entrando nella vita politica italiana, la difenderemo a spada tratta come un diritto e una necessità, non solo dei partiti ma della nazione tutta. (Applausi).

Che cosa ha fatto l’onorevole De Gasperi, costituendo l’attuale Governo? Egli ha tratto le conclusioni logiche dai risultati della consultazione popolare, la quale fu libera è ordinata, come tutti hanno, riconosciuto. È fortuna che dopo le elezioni si sia potuto riconoscere la coincidenza d’interessi e, entro certi limiti, anche di principî, onde i tre maggiori partiti hanno potuto accordarsi per governare insieme.

C’è chi pensa – si è reso interprete di questo stato d’animo l’onorevole Lussu – c’è chi pensa con rammarico al più semplice e meno elegante giuoco di due soli partiti, al quale è ormai avvezzo tradizionalmente il mondo anglosassone. Esso è conseguenza di quel pacato e ragionevole empirismo che è caratteristico di quei popoli. Noi latini viviamo, come si sa, in un clima spirituale più logico e più consequenziale, ma anche più ricco di fantasia e di sentimento. Amiamo la varietà delle forme e degli aggregati umani, ed è già grande fortuna che al frammentarismo dell’epoca liberale e dei gruppetti personalistici, ai quali vanno i memori rimpianti dell’onorevole Nitti, si sia sostituita la tendenza centripeta e organizzativa di vaste tendenze pratiche e ideali.

Cosi, sottraendolo ai personalismi paesani e municipali, si abitua il popolo alla consapevolezza dei suoi doveri e lo si avvia a forme sempre più ampie e sempre più nobili di solidarietà e di fraternità, non soltanto nazionale ma anche più vastamente umana. E così lo si avvia a diventare da «paese più municipale che nazionale», come è stato definito sempre, dall’onorevole Nitti, a popolo che chiarisce e valuta i suoi interessi, che impara a sostenerli e a difenderli, che si abitua a concretare i propri sentimenti, che, infine, nel realizzare i suoi destini collettivi, riconosce se stesso, e si forma finalmente, da municipio, nazione.

Si capisce che il sistema ha i suoi inconvenienti: tra gli altri la molteplicità dei Ministri e dei Sottosegretari, la quale mal si giudicherebbe da un punto di vista puramente e grettamente tecnico e facendo il conto della serva su quello che costa di più o di meno il Sottosegretariato aggiunto o eliminato. Molti fra gli uomini di questo Governo rispondono, da un lato, ad esigenze tecniche, dall’altro lato ad esigenze politiche, non a dosaggi estrinseci o superflui, come da qualcuno si è insinuato. Il dosaggio è naturale tutte le volte che si fa un Governo di coalizione. Ai tempi dell’onorevole Giolitti e ai tempi dell’onorevole Nitti, Presidente del Consiglio, i dosaggi facevano parte della tecnica naturale della formazione di un Governo. Perché dovrebbero rappresentare un aspetto deteriore della fatica dell’onorevole De Gasperi? Ciò che giustifica il numero dei Ministri e dei Sottosegretari, onorevoli colleghi, è il fatto che le funzioni non si semplificano, ma si complicano e si moltiplicano col complicarsi della vita moderna, e i problemi da risolvere aumentano di numero con l’aggravarsi delle condizioni in cui vive il Paese.

Chiunque di voi abbia esperienza, se non di reggere un dicastero, di presiedere semplicemente a un ufficio un po’ complesso, pubblico o privato, un’azienda industriale o commerciale, quegli sa che un uomo solo «non ce la fa», che ha bisogno attorno a sé di collaboratori fidati ed esperti.

Voi dite: ma c’è la burocrazia!

Noi non siamo per la dittatura della burocrazia. Quando un Ministro è sovraccarico di affari e non ha altri a cui rivolgersi, deve mettersi nella mani dei direttori generali, dei capi divisione e dei capi sezione. È quello che si è fatto, coi frutti che tutti conoscono, durante il periodo fascista. Aggiungete che il numero dei Ministri e dei Sottosegretari non implica soltanto la presenza di competenze tecniche; implica al Governo la presenza di competenze di carattere politico. Le une e le altre costituiscono insieme la capacità amministrativa e la forza politica del Governo; rappresentano gli aggregati regionali, individuano vaste categorie di sentimenti e di necessità, i quali e le quali è giusto che siano concretati in uomini responsabili, perché il popolo degli elettori, che combatte le battaglie politiche attorno ai suoi capi, si abitua naturalmente ad oggettivare i suoi ideali, ed ha il bisogno sentimentale e morale di riconoscerli, questi ideali, nelle persone che lo guidano. Riconoscano, i superstiti amatori del Collegio uninominale, che con ciò si ripara anche al difetto lamentato dello scrutinio di lista, che sottrarrebbe in parte l’eletto agli elettori.

Non aveva siffatta scusante l’onorevole Nitti, quando, nel formare un suo Ministero, anzi l’unico Governo da lui presieduto (e presieduto in circostanze infinitamente più facili e meno dolorose che le attuali), si circondò di ben sedici Ministri e di diciassette Sottosegretari! Tenete presente che, per l’epoca, la cifra era infinitamente maggiore di quel che non sia oggi, nelle condizioni mutate e aggravate, nella popolazione accresciuta, a ben ventisette anni di distanza, il numero dei Ministri e dei Sottosegretari che ha scelti l’onorevole De Gasperi. L’onorevole Nitti giunse allora all’estremo di creare un mezzo dicastero, la cui inopportunità era evidente: egli istituì il Sottosegretariato «per la liquidazione dei servizi, delle armi e munizioni, e dell’aeronautica». Questo, o signori, all’indomani della vittoria che tutti riconoscevano ingiustamente mutilata. Ora, io non voglio fare a tutti i costi l’avvocato di questo Governo, che è solo in parte il Governo di questa frazione della Camera; ma trovo che da un punto di vista – se non pratico – ideale, è giustificato il gesto del Capo del Governo, il quale in un momento, in cui noi non sappiamo ancora se ci sarà concesso domani di avere un esercito, di possedere un avanzo di flotta e un rimasuglio di aeronautica, ha voluto affermare – ponendo tre persone a capo dei dicasteri delle forze armate – il nostro diritto a non essere avviliti dalla pace che ci si prepara, fino al punto non solo da ridurci inermi, ma da considerarci quasi indegni di avere una pur modesta forza armata. (Applausi al centro).

Abbiano pazienza gli ascoltatori, se parlo molto dell’onorevole Nitti; questo dimostra l’attenzione con la quale l’ho ascoltato e l’importanza che attribuisco alle sue parole. Ma quello stesso onorevole Nitti, il quale ora rimprovera all’onorevole De Gasperi come un «grande errore» (precise parole) il non avere riunito i due Dicasteri del tesoro e delle finanze in una sola persona, che cosa fece, onorevoli colleghi, quando poté finalmente tradurre in atto i suoi propositi di risparmiatore di spese inutili e sintetizzatore delle forze del Governo? Egli affidò le finanze all’onorevole Tedesco e il tesoro all’onorevole Schanzer: ossia sacrificò i sacri principî del suo pensiero politico a quei dosaggi dei quali all’epoca sua fu anch’egli maestro emerito. (Applausi al centro). Ma vi dirò una cosa che vi rallegrerà fra tante malinconie. Che cosa fece ancora l’onorevole Nitti in quell’occasione? Non so se molti di voi lo sappiano. Quando formò il suo Governo, come era naturale, egli assunse per sé la Presidenza del Consiglio e il Ministero degli interni. Ma, vedi caso, dovendo l’onorevole Tittoni partire per Parigi per assistere alla Conferenza della Pace, assunse anche l’interim degli affari esteri; cioè fece quello di cui rimprovera con una disinvoltura, che rasenta – oserei dire – l’improntitudine, il suo coraggioso e sventurato successore, onorevole De Gasperi. (Applausi al centro).

È vero tuttavia che egli non era allora il segretario di un grande partito politico; non perché egli non fosse capace di fungere da segretario o da presidente di un grande partito politico, ma soltanto perché, a causa del suo temperamento pessimistico ed egocentrico, egli fu, è e sarà il segretario a vita di un partito composto di una persona sola: Francesco Saverio Nitti. (Applausi al centro – Ilarità).

Veniamo, dopo la critica negativa, alla critica positiva. Veniamo, dunque, al programma del primo governo della Repubblica italiana.

Il discorso dell’onorevole De Gasperi mi è piaciuto. Voi direte: «bella novità!». No, se non mi fosse piaciuto, mi sarei astenuto dal parlarne. Mi è piaciuto anche, e direi quasi soprattutto, per quel suo procedere, nella forma, probo e dignitoso, come è lo stile dell’individuo, che può apparire scabro, perché pudore spirituale e consapevolezza di uomo politico lo inducono a rifuggire dalla retorica, ma nel quale le due grandi luci del sentimento religioso e dell’amor patrio ardono inestinguibili, o signori, e si traducono in volontà salda ed operosa di bene. (Applausi).

È stata auspicata qui dentro una Repubblica di volontà e di potenza. Queste parole hanno suonato al mio orecchio in modo poco gradevole, perché la volontà e la potenza o la volontà di potenza sono quei termini dei quali si è servita la filosofia tedesca da un secolo a questa parte, per preparare certe manifestazioni di volontà e di potenza, le quali hanno culminato nelle sciagure che tutti conosciamo. Ma se, con parole povere e di origine non idealistica, volontà e potenza o volontà di potenza vogliono soltanto dire Governo consapevole e forte, è naturale: chi di noi può non desiderare che un Governo sia consapevole e forte?

È vero che nel programma del Governo non si parla dell’ordine pubblico, forse perché è cosa implicita che un Governo, quale che esso sia, si impegni a mantenere l’ordine pubblico, condizione preliminare della sua medesima esistenza. Ma non sarebbe forse male – ed io invoco a questo proposito una dichiarazione di Governo – che il proposito divenisse anche esplicito. Troppo disordine c’è ancora oggi in Italia. Non si può aprire un giornale senza leggere notizie che o fanno paura o ci costringono ad arrossire per mortificazione. Brigantaggio, pubblico e privato, scioperi non sempre legittimi, pretese disordinate di masse ancora non organicamente composte; tutto ciò esiste. Vi sono troppi residui delle accomodanti burocrazie fasciste e troppi delle spesso inconsiderate improvvisazioni post-rivoluzionarie.

Il Governo dovrà rivedere certi quadri: dovrà soprattutto rivedere le prefetture e le questure, e le amministrazioni centrali; dovrà procedere con energia; non dubito che lo farà. In quest’opera di risanamento morale del Paese esso avrà il nostro appoggio totale.

Passiamo alla politica estera. L’onorevole De Gasperi mantiene, dunque, interinalmente il relativo dicastero. Si è detto: perché nessuno lo voleva, almeno fino a che egli non avesse condotto alle estreme conseguenze la politica da lui iniziata. Non voglio credere a una simile forma di viltà nei nostri uomini politici. Preferisco pensare (e confido che in ciò sarete d’accordo con me) a una forma di consapevole coraggio in De Gasperi. Colui il quale ha iniziato, nell’ora più aspra della nostra vita nazionale, trattative quasi disperate per salvare la patria dalla mutilazione; colui che ha tentato di strappare la preda dalle mani dei nemici e degli amici, vuole, onestamente e virilmente, condurre fino al termine la sua fatica. Rendiamo omaggio a questa sua volontà di patriota e di galantuomo! (Applausi).

Ma si ripeta ciò che è o dovrebbe essere a tutti noto: egli non è il solo responsabile di quanto è accaduto e accade nella politica estera italiana. È risaputo che la politica estera, onorevoli colleghi, che il Gabinetto conduce da un anno a questa parte, è politica di Governo e non di persona; e se De Gasperi dovrà rispondere – e risponderà – di fronte al Paese di ciò che ha fatto, ne risponderà collettivamente, assieme con tutti gli uomini che gli sono accanto. (Vivi applausi).

Egli ha promesso di tendere tutte le forze alla difesa dell’italianità sulla frontiera orientale. Non duriamo fatica a credergli. Non è soltanto un capo di Governo che difende una posizione politica o i diritti generici della Patria; è anche un uomo che difende i più vicini confini della sua piccola patria: vi porrà certamente tutto l’amore e tutto l’ardore che lo legano alle montagne del Trentino natio.

Però mi permetto di suggerire alla sua esperienza, che in questo scorcio di trattative, se è ancora possibile, se si è in tempo, il Governo, anche qualora i mezzi diplomatici risultino insufficienti o incapaci ormai agli scopi desiderati, punti fino all’estremo limite sull’opinione pubblica mondiale.

E anche se fosse ancora presente in quest’aula l’onorevole Nitti (che non vedo più al suo seggio) direi il mio rammarico per il fatto che, fra tanti Sottosegretariati, non si sia pensato in questo momento a crearne uno che dal punto di vista politico e spirituale sarebbe utilissimo e che, come mi suggerisce un onorevole collega, potrebbe denominarsi della propaganda e stampa. Noi non possiamo ormai che confidare, non dirò nella pietà, ma nel senso di umana equità che, morto nei Governi, ormai smarriti e immiseriti nelle stolte competizioni dei Gabinetti, pur sopravvive nelle grandi masse delle democrazie: in quel sentimento che può e deve suscitare la nostra iniqua condizione di vincitori sconfitti e calpestati. (Approvazioni).

Bisogna parlare alle folle; questo servirà per oggi è per domani. Se i martiri del Risorgimento avessero atteso l’eco immediata e positiva delle loro parole e delle loro sofferenze, il Risorgimento non si sarebbe fatto.

Soltanto fra il 1859 e il 1870 si ebbero gli effetti della propaganda fatta da Giuseppe Mazzini e dagli altri insigni patrioti italiani attraverso il primo quarantennio del Risorgimento. E poiché il Governo ha affermato la sua solidarietà con gli italiani di oltre frontiera, accennando in modo preciso ai territori ancora contestati, permettete che io, associandomi in questo a ciò che ha detto un precedente oratore, gli ricordi (dico così per abbondanza retorica), gli ricordi e sottolinei il problema degli italiani all’estero. In tempo fascista, quando era ancora possibile ai non tesserati circolare per l’Europa, io mi recai a Budapest dove l’Accademia delle scienze mi aveva invitato a tenere alcune conferenze. Giunsi nella capitale ungherese nei giorni anniversari della fondazione di Roma; e fui invitato a parlare alle scuole italiane sull’allora auspicato e vaneggiato impero italiano. Ricordo di aver detto che, al pari di quel remoto sovrano di Spagna, anche gli, italiani avevano un impero sul quale il sole non tramontava mai. Non dovevano dunque cercare ciò che già esisteva: ed era l’impero del lavoro italiano, era l’impero dei proletari e dei professionisti sparsi per tutto il mondo e dovunque recante degne e vigili le qualità più pure e più nobili della nostra stirpe: la modestia della vita, la volontà del lavoro, la dirittura dei costumi.

Questo impero esiste, onorevole De Gasperi. Ci potranno portar via dei brani di carne, ci potranno togliere le colonie, ma non potranno mai rapinarci la prosperità, la ricchezza e le pure e alte tradizioni create dagli italiani al di là delle nostre frontiere. (Applausi).

Bisognerà fare una politica dell’emigrazione; sono certo che lei la farà, anche se essa non è menzionata nel suo programma di Governo in modo esplicito e diffuso. Tanto più ciò mi pare necessario in quanto ho sentito ricordare qui dentro, con una certa angustia di considerazione, i termini, le divisioni storiche, i problemi formidabili del grande urto di forze politiche, al quale assistiamo. Io ho la convinzione che l’attuale sconvolgimento della vita mondiale non derivi nel suo profondo – come molti ritengono – dall’urto fra opposte concezioni politiche o sociali; dunque nemmeno dall’urto fra capitalismo e proletariato. Queste sono per me le forme esteriori, gli aspetti sensibili di qualche cosa di enormemente più vasto e più duraturo.

Signori, le grandi forze che oggi si battono nel mondo per schiudersi la via all’avvenire, sono forze di interessi nazionali, di tradizioni, di civiltà, di lingua, anche di sangue, che da millenni o da secoli si battono per assicurare a sé e ai loro discendenti i più vasti spazi occorrenti alla propria espansione.

È cominciata 2500 anni fa la lotta del germanesimo contro la latinità. Non si trattava e non si tratta solo di aspirazione agli spazi vitali; spesso sono istinti, cupidigie, tradizioni, forze consapevoli e inconsapevoli, che spingono alle guerre. E da oltre un secolo nuovi contendenti si sono fatti innanzi, che camminano, come sempre, lungo la strada del sole, da oriente a occidente: il mondo slavo, che si precipita verso il Mediterraneo e verso l’Oceano atlantico.

Il mondo tedesco, che tante volte tentò di sfondare la barriera italiana, in definitiva fu sempre sconfitto, più che dalle nostre armi, dalla nostra civiltà, perché non ha mai saputo convivere con noi o, vincenti, sopprimerci. A esso si oppose, nella gara dell’espansione, il mondo anglosassone, come tutti sanno.

Sono queste, o signori, le forze di fronte alle quali noi da venti secoli stiamo territorialmente indietreggiando. (Commenti). Pensate alla formidabile massa di latinità che fu l’impero romano, e pensate al risucchio lento che a poco per volta ha ricondotto la romanità dentro i limiti delle Alpi, dei Pirenei e delle Cevenne. Ebbene, dobbiamo perciò disperare dell’avvenire? Io mi sento talmente umano che non mi atterrisce nemmeno l’idea che fra duemila anni, nel gioco alterno delle razze, quella latina sia scomparsa. (Commenti). Razze orientali, non meno ordinate e splendenti, sono da millenni scomparse e obliate. Ma vi è qualche cosa di noi che non si spegnerà giammai, ed è ciò che abbiamo creato di luce civile: e perché abbiamo dato al mondo la coscienza e la forma del diritto e perché gli abbiamo schiuso le vie alle rivelazioni dell’arte e alle conquiste della scienza; e perché tutte le volte che si è trattato di combattere per l’ideale umano, siamo stati i cavalieri dell’ideale, disinteressatamente, eroicamente. Questo non si distrugge: questo si traduce in insegnamento, in istinto civile, questo si eterna in forme ideali, che nessuna invasione o irruzione di popoli, che nessuna bomba atomica varrà a distruggere o a far obliare. (Applausi). Su questa nostra capacità e ricchezza, anche vinti e straziati, dobbiamo fidare per resistere degnamente nell’urto delle forze che oggi si contendono il mondo.

Onorevole Presidente, io non vorrei abusare della tolleranza dei colleghi: le domando, siccome avrei qualche altra cosa da soggiungere, se non sia possibile che continui domani.

PRESIDENTE. Continui, onorevole Pellizzari.

PELLIZZARI. Allora, passiamo al programma economico del Governo, Con quello che abbiamo, anzi che non abbiamo, miracoli non ne possiamo compiere; le nozze coi fichi secchi non si fanno, dice la sapienza popolare. «È necessario razionalizzare la produzione», dice l’onorevole De Gasperi. È giusto, ma attenti a non indebolire o inaridire gli stimoli, che sono generalmente razionali, della iniziativa privata. Vogliamo «assicurare agli impiegati, ai salariati, ai ceti medi, sufficienti mezzi di vita»: d’accordo, onorevole De Gasperi, ma vorrei toccare, in proposito, di un problema che è strettamente collegato con quello della giusta e doverosa retribuzione degli impiegati, e cioè la revisione, non dico la riforma, dei quadri burocratici.

Se noi vogliamo che intorno al Governo si raccolga la fiducia delle forze che liberamente operano nel Paese, quella fiducia che il Presidente del Consiglio definisce giustamente quale «condizione pregiudiziale di una sana politica», bisogna restituire la fiducia del Paese all’Amministrazione dello Stato, o, diciamo più concretamente (perché lo Stato è un termine astratto che serviva al fascismo per santificarlo, ma che noi intendiamo restituire al suo valore puramente simbolico), agli uomini nei quali l’azione quotidiana e l’esercizio del potere politico si concretano. A questo scopo, mentre concordo nella formazione del supremo Comitato direttivo per la nostra ripresa economica, mi auguro che esso sia snello e sciolto da impacci, e non mastodontico come accade spesso in casi consimili; e che sia composto da poche persone, le quali sappiano il fatto loro.

Per quanto riguarda la situazione economico-finanziaria, è giustissimo il proposito formulato dal Governo, di perseguire e «potenziare» i sistemi di accertamento e di imposizione, per proporzionare il gettito delle imposte ordinarie a quello di anteguerra, e coprire così le esigenze del bilancio ordinario. Bellissimo programma; cosa possibile e desiderabile; ma certo non ad immediata scadenza. Il Governo dovrà limitarsi ad avviare il problema a soluzione; perché bisognerà attendere, volendo ristabilire gli antichi gettiti delle imposte ordinarie, che le fonti del reddito vengano restaurate e che sia anche migliorata l’attrezzatura fiscale. In un secondo momento si dovrebbe poi provvedere a coprire le spese straordinarie, coi seguenti cespiti: prestito interno, imposta straordinaria sul patrimonio, appello al credito estero. Soltanto dopo, sui risultati di questi provvedimenti, dovrebbe venir commisurata l’ampiezza del piano di lavori pubblici per affrontare l’opera di ricostruzione…

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Non dopo; vuol dire che le misure dipendono da questi provvedimenti, ma non che si aspetti fino allora.

PELLIZZARI. Prendo atto di queste dichiarazioni e mi rincresce di non aver compiutamente inteso le parole del Presidente del Consiglio.

Tuttavia, siccome ciò non potrà farsi immediatamente, desidererei che nel frattempo, per quanto sia possibile, le grandi somme oggi devolute ai sussidi di disoccupazione e i proventi del salasso quotidiano imposto necessariamente alle ditte industriali col blocco dei licenziamenti, vengano utilizzati per una più intensa politica dei lavori pubblici, in maniera che si possa favorire non più il forzato ozio, ma il doveroso lavoro dei disoccupati. (Approvazioni).

D’accordo che non si debba fare una politica di salari, di facilità e di illusioni. Mi piace che questo sia detto dal Governo al quale partecipano tutti e tre i partiti cosiddetti di massa.

Noi confidiamo nell’opera dei nostri amici comunisti e socialisti perché, insieme con noi, facciano presso le masse quella propaganda di persuasione, di chiara visione dei problemi: attuali, che deve indurle ragionevolmente a tollerare, ad avere pazienza, e, anche, a fare dei sacrifici per la necessità…

Voci a sinistra. I lavoratori hanno fame!

PELLIZZARI. Non vi irritate; siamo d’accordo tutti. Per la necessità, dicevo, che nell’interesse stesso delle masse, la nostra ripresa economica possa accompagnarsi con una vigile ed intensa ripresa del lavoro.

Voci a sinistra. Non bastano le parole!

PELLIZZARI. Nel così ricco e vario programma del Governo tralascio di parlare del problema del risarcimento dei danni di guerra, nonché della riforma agraria, attorno ai quali si intratterrà un mio collega.

Una lacuna debbo tuttavia lamentare nel programma del Governo. Si è parlato di tanti problemi; si è naturalmente e giustamente insistito sopra quelli che appaiono più urgenti, direi quasi più vitali e fatali. Ma non vi ho trovato una parola sui problemi, onorevoli colleghi, dei valori spirituali, della vita spirituale… (Commenti).

Non vi alterate, perché non desidero parlare, adesso, dei valori religiosi. Non è meno urgente provvedere alle necessità della vita spirituale che a quelle della vita materiale e fisica.

Io sono ben lungi dall’invocare in questo momento dal Governo una riforma scolastica; non sarebbe il caso di affrontare adesso un tale argomento, tanto meno con un’attività legislativa che sarà in gran parte sottratta al controllo della Costituente. Ma, tralasciando le riforme che dovranno pure aver luogo in avvenire, vi è un problema della vita morale e della vita culturale del popolo italiano, che non si può e non si deve trascurare, che, in ogni modo, deve essere ricordato in questa sede, in quest’aula, perché non si possa credere che i rappresentanti della nazione lo abbiano dimenticato proprio quando si discute dei più alti interessi della nazione.

Onorevole De Gasperi, c’è una gioventù sbandata, ci sono vaste masse di popolo – e non intendo soltanto di popolo lavoratore, parlo anche dei ceti medi e della borghesia – i quali hanno bisogno di essere rieducate ed immesse nella nuova vita nazionale.

Troppo il fascismo aveva abituato, soprattutto i giovani, alla faciloneria degli studi, al disdegno della cultura, all’arrivismo, all’arrendevolezza della coscienza. Bisogna che noi, rappresentanti dei lavoratori italiani, assumiamo come nostro compito la rieducazione dei giovani all’alto e nobile senso del lavoro e del dovere. Bisogna dare un ritmo alla scuola. Io non voglio nessun male al Ministro dell’istruzione del Gabinetto precedente, ma certamente in tutte le scuole italiane non c’è stato uno scolaro il quale abbia fatto tante vacanze abusive quante quel Ministro; e ciò in un momento nel quale era più che mai necessaria un’opera vigile, quotidiana, assidua, di rieducazione della scuola e degli insegnanti. (Commenti).

Quest’opera io invoco dal Governo. Dal Governo invoco soprattutto, e dall’onorevole Corbino, che siano dati agli istituti d’istruzione, in ispecie a quelli scientifici, i mezzi per funzionare. Io vi chiedo, onorevoli colleghi, come possano oggi le Università italiane preparare i medici, gli ingegneri, i fisici, i chimici, i professionisti di domani, quando hanno gli istituti distrutti, il macchinario rubato, le biblioteche incendiate, e quando vi sono cliniche con dotazioni di 24 mila lire all’anno! Qui non si tratta di fare economie, di tagliare sopra il lusso. Qui bisogna che gli onorevoli Ministri dell’istruzione, del tesoro e delle finanze si mettano d’accordo, e provvedano d’urgenza; sarebbe preferibile chiudere per due o tre anni le Università piuttosto che tenerle aperte in indecorosa miseria e dare agli studenti l’esempio e l’insegnamento della impossibilità di studiare e di insegnare. (Commenti).

MARTINI. Non siamo d’accordo: meglio non chiuderle.

PELLIZZARI. Ho finito, onorevoli colleghi. Vi chiedo scusa di avervi tanto tediato.

Uno dei nostri più vivaci colleghi mi diceva due ore fa che egli ormai non vede altro rimedio immediato e compiuto ai mali che affliggono l’umanità, se non un universale cataclisma, o come egli diceva, addirittura lo scoppio di una enorme bomba atomica. (Commenti). Forse sareste meravigliati se vi dicessi il suo nome: è del resto un uomo molto paradossale.

Voci. Calosso!

PELLIZZARI. No, non è Calosso. Ma non è difficile indovinare. Io mi permetto – scusate, la mia età è ormai provetta – di opporre al pessimismo dei giovani l’ottimismo di un vecchio. Io non sono di quelli che credono, come ha detto in quest’aula con mio grande dolore l’onorevole Arturo Labriola, che i maestri debbano o possano odiare i loro discepoli. Io ho quaranta anni e più di insegnamento; e l’unica gioia e l’unico premio che mi è venuto dall’insegnamento è l’amore che ho dato ai discepoli e l’amore che essi mi hanno ricambiato! (Applausi al centro). Sopra le forze di un virile ottimismo, o colleghi di tutte le parti della Camera, dobbiamo far puntello se vogliamo rifare l’Italia. Sperare, volere, domandare a Dio che ci aiuti a vincere le avversità e a ridare alla nostra Patria la somma della gloria e della gioia, che essa raggiunse in epoche passate e che deve conquistare e indubbiamente riconquisterà in un prossimo avvenire. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviata a domani.

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. Sono state presentate due interrogazioni alle quali l’onorevole Presidente del Consiglio intende rispondere questa sera stessa. Se ne dia lettura.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«I sottoscritti interrogano il Ministro dell’interno per sapere se rispondano a verità le notizie apparse in molti giornali secondo le quali gravi agitazioni sarebbero scoppiate nelle provincie di Torino e di Cuneo con l’occupazione – armata manu – di alcuni stabilimenti industriali da parte delle maestranze; e per sapere – in caso affermativo – quali provvedimenti il Governo intenda assumere per fronteggiare tale situazione e per assicurare un ordinato e legale svolgimento delle trattative tra datori di lavoro e lavoratori.

«Vittorio Badini Confalonieri, Bruno Villabruna, luigi einaudi».

«I sottoscritti interrogano il Ministro del lavoro sui motivi che hanno determinato la proclamazione degli scioperi generali in parecchie località d’Italia, e quale azione il Governo abbia svolto e intenda svolgere per evitare che episodi del genere, più che mai dannosi agli interessi dei lavoratori ed alla economia nazionale, abbiano a ripetersi.

«Meda, Avanzini, Cremaschi, Martinelli, Malvestiti».

PRESIDENTE. L’onorevole Presidente del Consiglio ha facoltà di rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Il Ministro del lavoro avrà occasione più tardi di rispondere in dettaglio, riferendosi al complesso della vertenza. Io prendo la parola da un punto di vista dell’ordine pubblico e per quello che riguarda le notizie sparsesi oggi creando un certo allarme. Dopo essere stato in contatto telefonico frequentissimo con Torino, di aver trattato coi rappresentanti della Confederazione e i rappresentanti arrivati da Torino ed aver sentito le voci anche dell’altra parte, cioè degli industriali, sono in grado di poter fare delle dichiarazioni rassicuranti.

Le informazioni esatte sono queste: nessun impiego, nessun uso e molto meno nessuna ostentazione di armi in queste vertenze. Non si può parlare nemmeno di occupazione delle fabbriche. Lo sciopero bianco di Torino non ha alcun carattere acuto. Nessun disordine è avvenuto nella giornata di ieri o di oggi. Accanto al prefetto, che è in frequente e cordiale contatto con le parti, è presente in Torino un membro del Governo che partecipa alle trattative. Ho avuto in questo momento un’ultima notizia, secondo la quale si è accertato che le trattative hanno ottima speranza di ottenere un risultato positivo. Altri delegati sindacali di Torino, come ho detto prima, sono a Roma e con questi il Ministro del lavoro, in particolare, ed altri colleghi del Governo hanno trattato. Nessuna ragione quindi di allarme in questo momento. L’impegno profondo del Governo e di tutti i membri che partecipano direttamente a queste vertenze è di risolvere le questioni in corso senza ricorrere a mezzi straordinari. Oltre questa vertenza che speriamo sia composta rapidamente e che non abbia conseguenze, direi, contagiose, abbiamo buone speranze anche di comporre, o di evitare, una minaccia che sarebbe grave: quella che riguarda Carbonia, cioè la produzione del carbone. Voi sapete che la produzione del carbone, che con mirabile sforzo è arrivata a 108 mila tonnellate al mese, è per noi questione di vita o di morte. La vertenza sindacale sorta è in tali termini che, sentiti gli interessati delle due parti, si ritiene di poterla comporre, entro domani forse, con soddisfazione.

In corso vi è ancora il conflitto dei petrolieri, il quale ha un carattere più acuto, un carattere anche quello di una notevole importanza, perché si tratta della benzina, dell’arrivo e del trasporto della benzina.

Il Governo era disposto a prendere delle decisioni molto importanti, pari alla gravità del servizio. Voi potete pensare quali sarebbero le conseguenze se ad un certo punto la consegna della benzina ci venisse sospesa dall’U.N.R.R.A. e noi non fossimo in grado di dare la benzina necessaria, nemmeno ai servizi pubblici. Le conseguenze nel mondo industriale e nel mondo dei trasporti sarebbero troppo evidenti. Il Governo intende affrontare il problema con tutta l’energia, ma dai contatti che ha avuto attraverso la Confederazione del lavoro con i rappresentanti sindacali dei petrolieri, ha ormai la speranza che non sia necessario, né opportuno, ricorrere a misure straordinarie e spero entro i prossimi giorni, se non domani, che le trattative possano condurre ad una buona soluzione.

Devo dire, perché ciò mi serve di scusa dinanzi agli oratori che a ragione, non conoscendo di quali pene era intessuto il mio pomeriggio, si sono lagnati della mia assenza da questo banco, devo dire che in queste trattative ho tenuto a dimostrare che il Governo affronta con la massima pazienza e con la massima comprensione le vertenze sindacali, ben sapendo che le condizioni e le esigenze della classe operaia, dei salariati o degli stipendiati in genere, sono legittime, ma conoscendo anche i limiti entro i quali ci è possibile venire loro incontro. Noi facciamo vivo appello alle due parti perché, memori della situazione grave del Paese, prendano le loro decisioni con un senso di grande responsabilità e di solidarietà nazionale.

Il Governo farà la parte sua e svolgerà intanto opera immediata per l’applicazione dell’impegno già preso solennemente e proclamato da questo banco per il versamento del premio della Repubblica. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Chiedo al primo firmatario della prima interrogazione, onorevole Badini Confalonieri, se si ritiene soddisfatto.

BAD INI CONFALONIERI. Ringrazio il Presidente del Consiglio della sollecitudine con cui ha risposto alla nostra interrogazione.

Devo dichiarare che siamo soddisfatti per le notizie rassicuranti, che egli ha voluto con tanta urgenza darci, circa una minore gravità dei fatti in relazione a quella apparsa sulla stampa. E mi auguro che l’opera costante del Governo possa costituire apporto concreto per addivenire, nell’ordine e nella legalità, a quei risultati proficui cui è cenno nelle dichiarazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Invito il primo firmatario della seconda interrogazione, onorevole Meda, a dichiarare se sia soddisfatto.

MEDA. I miei colleghi ed io ci dichiariamo soddisfatti delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Di Vittorio, e poiché si può considerare che egli parli per fatto personale, data la sua responsabilità nei confronti del movimento operaio italiano, penso che i colleghi non abbiano nulla in contrario a che egli parli. (Commenti).

GRANDI. La responsabilità è condivisa.

PRESIDENTE. Sta bene. Vuol dire che se i rappresentanti che condividono con l’onorevole Di Vittorio questa responsabilità avessero avuto desiderio di affermarla, avrebbero probabilmente chiesto di parlare.

Suppongo che in questo momento sia opportuno permettere una parziale eccezione alle disposizioni del Regolamento.

DI VITTORIO. Non insisto, e mi riservo di presentare un’apposita interrogazione sull’argomento.

PRESIDENTE. Sta bene.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle altre interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, sulle misure che intende prendere per alleviare la grave e persistente disoccupazione che determina miseria e scontento fra i 45 mila abitanti di San Severo, in provincia di Foggia, per la maggior parte braccianti. Come è noto, tale disoccupazione ha originato i gravi disordini del 16 luglio 1946 e provocato morti e feriti in una città tradizionalmente pacifica, che chiede soltanto pane e lavoro.

«Recca».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell’agricoltura, per chiedere se:

considerato che nella campagna per gli ammassi del grano nella scorsa annata 1945 uno dei maggiori ostacoli al conferimento è stato il quantitativo di grano lasciato a disposizione dei produttori in quintali 2 a persona, per numerose ed ovvie considerazioni generalmente giudicato insufficiente;

e che ora è stata aumentata la razione del pane e dei generi da minestra ai consumatori tesserati, non ritengano necessario portare a quintali 2,5 a persona il quantitativo di grano da lasciare a disposizione dei produttori, aumentando inoltre proporzionalmente le quote delle altre categorie che hanno diritto al grano in natura.

«Platone, Lombardi Carlo, Farina, Minio, Grieco, Lozza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Governo, per sapere se l’Assemblea Costituente sarà messa al corrente della precisa situazione dei nostri prigionieri militari trattenuti all’estero, nonché di quella degli internati civili e degli italiani all’estero residenti nelle nostre colonie o territori posseduti anteguerra o in nazioni già in guerra contro di noi. E per sapere anche il pensiero del Governo di fronte al programma del ritorno dei nostri prigionieri.

«Roselli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, se non ritenga opportuno indire al più presto i concorsi per l’insegnamento nelle scuole secondarie – generali e speciali per ex combattenti – con riserva di una certa percentuale di posti per coloro che non sono ancora rientrati dalla prigionia – ai fini di dare un certo riassetto al pubblico insegnamento danneggiato dalla discontinuità dei docenti e di avviare alla sistemazione la categoria dei supplenti e degli incaricati che si inflaziona ogni giorno di più nel numero e peggiora nella qualità e nella moralità, agevolata in tale peggioramento dallo scandaloso trattamento finanziario.

A proposito della richiesta si ricorda che i concorsi per la magistratura sono stati indetti da tempo dal Ministero di grazia e giustizia e che non è ammissibile la sperequazione esistente rispetto al Ministero della pubblica istruzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sullo».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della guerra, per sapere se non si ravvisi necessario disporre l’immediata sospensione del provvedimento per cui dovrebbe essere licenziato, col 31 luglio corrente, il personale civile non di ruolo (impiegati ed operai) della sezione staccata autonoma di artiglieria di Nuoro, che risultasse esuberante in base ai nuovi organici. Tale provvedimento porterebbe al licenziamento entro questo mese di 700 operai su 900, e di 40 impiegati su 56; ciò, oltre a creare una situazione molto difficile per quanto si riferisce alla manutenzione ed alla alienazione del materiale, alla bonifica del territorio ed a tutta l’economia dell’Isola, rappresenterebbe l’assoluta rovina di centinaia di famiglie perché non sarebbe possibile alla massa dei licenziati trovare nuovo impiego, data l’assenza di possibilità locali. La sospensione che si invoca, per lo meno fino alla fine del corrente anno, sarebbe in armonia col blocco dei licenziamenti finora mantenuto; risparmierebbe la rovina e la fame a centinaia di famiglie e consentirebbe di esaminare la possibilità di sfruttamento degli attuali impianti e di tutto il complesso che oggi costituisce la sezione autonoma d’artiglieria a vantaggio dell’intera economia isolana, come risulterà da apposite proposte concrete, ora allo studio. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Mastino Pietro, Lussu, Murgia, Mannironi, Chieffi, Abozzi, Falchi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se sia vero che s’intenda licenziare gli impiegati dell’Accademia militare di Lecce e sostituirli con elementi dell’Esercito. Si fa presente che tale provvedimento provocherebbe una grave situazione di disoccupazione nella città di Lecce. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cicerone».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere:

1°) se sia a conoscenza di quanto avviene nell’ospedale militare di Catanzaro, l’unico esistente in Calabria e comprendente sotto la propria giurisdizione anche il territorio della Lucania, Ospedale nel quale si stanno sopprimendo, l’uno dopo l’altro, i varî reparti (fino ad ora il gabinetto dentistico, il laboratorio, il reparto oculistico e forse in questi giorni il reparto dermoceltico) con l’evidente scopo di trasformarlo in semplice infermeria presidiaria, nonostante che esso funzioni dal 1865 e che l’esperimento di trasformazione, recentemente tentato, si sia dimostrato tanto inutile e dannoso da doverlo restituire rapidamente alla sua precedente funzione;

2°) se, ciò constatato, non intenda impedire che venga adottata questa misura palesemente ingiusta poiché a causa sua due regioni – le sole d’Italia – verrebbero a restare prive di ospedale militare con grave danno degli interessati e della salute pubblica in generale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Silipo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere:

1°) quali provvedimenti intenda prendere per eliminare almeno in parte le pessime condizioni del traffico ferroviario per passeggeri nel settore jonico della Calabria, settore sempre trascurato, anche prima del fascismo, oggi in completo abbandono, essendo il litorale jonico calabrese servito da un unico treno (Reggio Calabria-Taranto e viceversa), che attraversa la Calabria durante la notte (per cui, essendo i paesi della zona tutti interni, un viaggio diventa una cosa faticosissima per le difficoltà di raggiungere nelle ore notturne le stazioni ferroviarie), formato esclusivamente da carri bestiame, spesso senza nemmeno le rudimentali panche per sedere;

2°) cosa intenda fare a favore del settore Catanzaro Marina-Santa Eufemia, che si trova quasi nelle identiche condizioni e per il quale sarebbe assolutamente necessario che invece di una sola e sgangherata vettura diretta di terza classe Catanzaro-Roma ve ne fossero almeno due, dato l’enorme afflusso dei viaggiatori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Silipo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se i pensionati fruiranno del premio della Repubblica, o se si provvederà in altro modo affinché i loro diritti non vengano trascurati in tale occasione e per tale titolo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Roselli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga opportuno, giusto e doveroso abolire il controllo armato che accompagna la trebbiatura del grano, controllo che umilia ed offende la dignità, la buona volontà produttiva degli agricoltori, specie dei piccoli coltivatori diretti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20,35.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16,30:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.