ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
ADUNANZA PLENARIA
29.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 1° FEBBRAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI
INDICE
Corte costituzionale
Presidente – Einaudi – Mastrojanni – Targetti – Cappi – Laconi – Fabbri – Nobile.
Avocazione dei beni di Casa Savoia
Presidente – Einaudi – Mastrojanni – Conti – Cappi – Targetti – Lami Starnuti – Fabbri – Togliatti – Lucifero – Dominedò – Tosato – Bozzi – Perassi – Grassi – Cevolotto – Fuschini – Mannironi – Federici Maria.
Titoli nobiliari
Presidente – Targetti – Nobile – Togliatti – Lucifero – Moro.
La seduta comincia alle 18.30.
Corte costituzionale.
PRESIDENTE avverte che restano da esaminare gli ultimi due argomenti: garanzie costituzionali e norme finali e transitorie.
Per quanto riguarda le garanzie costituzionali, l’onorevole Einaudi ha proposto di sostituire i primi quattro articoli proposti dal Comitato di redazione coi seguenti:
Art. 1.
Il magistrato ordinario è giudice della costituzionalità delle leggi.
Art. 2.
La Corte di cassazione a Sezioni riunite risolve i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, fra lo Stato e le Regioni e fra le Regioni.
L’Assemblea nazionale giudica il Presidente della Repubblica ed i ministri accusati, a norma della Costituzione.
EINAUDI ha presentato questo emendamento, anche se non ha grande fiducia nell’accoglimento di esso, perché, a suo parere, la istituzione di una Corte costituzionale non adempie agli scopi a cui dovrebbe servire.
Per decidere sulla costituzionalità delle leggi vi sono due sistemi: quello della Corte e quello del magistrato ordinario. Quello della Corte non ha dietro di sé nessuna esperienza: è qualche cosa di cui si è scritto molto nei libri, si è scritto anche in molte Carte costituzionali che, o sono andate male, o non hanno avuto un’applicazione concreta. Il solo metodo applicato per lungo tempo, e con grande efficacia, è il metodo del magistrato ordinario. I due esempi principali sono quelli del tribunale federale svizzero e della Corte suprema americana. Non si occupa del primo esempio, in quanto la competenza di quei giudici in materia costituzionale riguarda le leggi cantonali e non quelle federali (per l’Italia leggi statali), che dovrebbero essere, invece, la materia principale del giudizio di costituzionalità della legge.
Il vero caso importante relativo a questa materia è quello che si dice impropriamente della Corte suprema americana. Impropriamente, in quanto la Corte suprema americana non è affatto stata creata con lo scopo di dare un giudizio relativo alla costituzionalità delle leggi. Nella Costituzione americana, che egli sappia, esiste un solo articolo che indirettamente ha dato luogo al giudizio di costituzionalità, e questo articolo – articolo 6 – dice semplicemente: «Questa Costituzione e le leggi degli Stati Uniti che saranno emanate in obbedienza alla Costituzione costituiranno la legge suprema del Paese». Non c’è altro che potesse dar diritto alla Corte di giudicare sulla costituzionalità delle leggi. Tutto quello che si è fatto è stata l’opera dei magistrati: sono i magistrati ordinari che si sono impadroniti di queste due o tre parole della Costituzione e, in base ad esse, hanno elaborato il sistema di giudizio sulla costituzionalità delle leggi. È stato soprattutto merito di un grande giurista, il primo giudice Marshall, alla fine del secolo XVIII e nel primo trentennio del secolo scorso, il quale ha affermato che il magistrato ordinario aveva il diritto di giudicare sulla costituzionalità delle leggi. Questo diritto non appartiene affatto alla Corte suprema: è un diritto che spetta al magistrato ordinario. Qualunque giudice federale, anche appartenente alle Corti inferiori, può dichiarare che una certa legge è incostituzionale. Di qui, attraverso i gradi successivi di giurisdizione, si arriva al giudizio della Corte suprema, il quale ha il valore che hanno tutti i giudizi, cioè ha valore per il caso deciso e non si estende ad altri casi.
Quindi, astrattamente, la legge dichiarata incostituzionale dalla Corte suprema potrebbe essere ancora applicata; ma ciò non è mai accaduto. La legge potrà rimanere, astrattamente, nel codice delle leggi; ma di fatto non esiste più. Di fatto accade che persino gli editori della raccolta delle leggi vigenti trascurano di ristampare quelle disposizioni che sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte suprema.
Può darsi – qualche rarissimo caso si è verificato – che un tale pretenda di applicare una legge dichiarata incostituzionale; ed allora ciascuna delle due parti ha il diritto di riprendere la causa fin dall’inizio e portarla fino alla Corte suprema, per provocare un secondo giudizio, sia che confermi il primo, sia che lo annulli. Però questi casi, nella storia giuridica americana, sono praticamente trascurabili; e, se anche un caso di questi si presenti, vuol dire che la coscienza pubblica si è modificata e che il magistrato ha ritenuto che una disposizione la quale era in passato considerata come incostituzionale, debba ora considerarsi conforme alla Costituzione.
Il solo argomento che, a questo riguardo, sussisterebbe a favore di una Corte costituzionale sarebbe puramente formale, e cioè che si saprebbe che una certa legge non è più tale perché è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte. È un argomento il cui valore è, si direbbe, di costruzione giuridica. Si può tranquillamente ammettere che i giuristi dicano che quella tale legge è ancora in vigore. Basta che essa di fatto sia da tutti considerata nulla.
Quali sono le ragioni per cui il sistema del magistrato ordinario sembra preferibile al sistema della Corte costituzionale?
La ragione fondamentale è che, se il giudizio della incostituzionalità delle leggi è lasciato al Tribunale ordinario, si ha la massima probabilità che il giudizio stesso sia inspirato esclusivamente a criteri giuridici; mentre invece, se tale giudizio è affidato ad una Corte speciale, esso avrà in parte un valore giuridico, ma in parte più notevole un valore politico. La Corte, per quanto si circondi di garanzie, è pur sempre una Corte nominata dal Parlamento e, quindi, ha un carattere indiscutibilmente politico. Attraverso la nomina politica quello che influisce di più è l’ambiente politico e non quello giuridico: non sono considerazioni puramente giuridiche quelle che fanno sì che il giudizio di costituzionalità sia formato. Il giudizio di costituzionalità di una legge è un giudizio che deve avere puramente un carattere giuridico. Qualora il Parlamento voglia modificare la legge, la modifichi secondo le vie normali, non attraverso questa maniera indiretta di far pronunziare la incostituzionalità o la costituzionalità di una legge.
Inoltre, a favore della competenza del magistrato ordinario a giudicare in questa materia, vi è anche il fatto che in tal modo il giudizio non è affidato ad «una» Corte, che gli occhi del pubblico non si concentrano esclusivamente su «una» Corte. Il giudizio di costituzionalità può anche essere promosso dinanzi alle Corti inferiori. Sono i magistrati singoli che diranno: «in questa materia credo che la legge non debba essere applicata, perché non è costituzionale».
Verranno poi i magistrati superiori, che pronunceranno sentenze più ponderate e rivedute, fino ad arrivare alla sentenza superiore, da parte di quell’organo che nell’ordinamento italiano è la Corte di cassazione.
Così si crea un ambiente nel quale il giudizio è pronunziato esclusivamente per ragioni giuridiche e non per ragioni che abbiano carattere politico. Si evita inoltre, con questo sistema, l’inconveniente proprio del sistema contrario della Corte costituzionale che, una volta che di una disposizione si sia affermata la incostituzionalità (ed il giudice ordinario si limita semplicemente a riconoscere, come è detto nel progetto, che la pretesa della parte non è senz’altro da respingersi), il giudizio su quella controversia rimane sospeso. Tutto è rimesso alla Corte costituzionale la quale dichiarerà con grande apparato che la legge è incostituzionale. Manca in questa maniera un fondamento per una gradualità nel perfezionamento del giudizio nei riguardi di quel determinato caso; e si ostruisce il giudizio del magistrato sui casi ordinari. Pensa pertanto che il sistema del magistrato ordinario sia preferibile, dal punto di vista giuridico, a quello della Corte costituzionale.
Il sistema della Corte costituzionale deve essere, a suo parere, respinto, in quanto non si ha notizia di alcuna esperienza durata per qualche tempo in nessun Paese e perché si darebbe il mezzo al potere legislativo di modificare la Costituzione passando sopra alla procedura fissata nella Costituzione medesima.
MASTROJANNI è nettamente contrario all’emendamento così egregiamente illustrato dall’onorevole Einaudi. Le sue argomentazioni dimostrano che il sottoporre questioni di così grave importanza al giudice ordinario costituisce una diminuita garanzia per il popolo.
D’altra parte l’inconveniente che il giudizio dato dalla suprema Corte di cassazione non implica l’inapplicabilità della legge dichiarata incostituzionale e che quindi si venga a creare una giurisprudenza fluida e contrastante, basterebbe per ripudiare senz’altro la proposta dell’onorevole Einaudi. Così come avviene adesso, sia in diritto pubblico che in diritto privato, i giudicati della Corte di cassazione fanno stato fra le parti ed esclusivamente per quel determinato oggetto, ma non vincolano gli stessi organi della Magistratura a tener fede all’insegnamento della Corte suprema. Se tutto questo è possibile in tema di diritto pubblico e privato, non è però ammissibile in materia costituzionale, dove la certezza del diritto deve essere costante: una volta deciso che quella determinata legge è contraria alla Costituzione, nessun organo deve poterla più applicare.
L’onorevole Einaudi ha anche lamentato l’inconveniente che per primi si sperimenti l’istituto della Corte costituzionale. Tale preoccupazione è, a suo parere, infondata, perché la composizione stessa della Corte costituzionale, formata di magistrati, avvocati e persone di indiscussa competenza, offre la garanzia che l’alto Collegio saprà egregiamente assolvere l’altissimo compito, pur senza far riferimento alle esperienze passate, le quali, d’altra parte, in una tale materia è dubbio che potrebbero dare lumi. Si tratta di risolvere problemi di diritto costituzionale, così come li risolverebbe il giudice di Tribunale o il pretore, ma con maggiore competenza e più alta serenità, come si addice all’alto consesso.
Altre ragioni non vi hanno che possano indurre a seguire la proposta dell’onorevole Einaudi, mentre gli inconvenienti che derivano dall’emendamento sono evidenti, inconvenienti che possono anche essere esasperati da problemi procedurali. A chi spetterebbe, infatti, la competenza di decidere sulla incostituzionalità della legge: al pretore, al Tribunale, alla Corte d’appello, o addirittura alla Corte di cassazione?
EINAUDI osserva che potrebbe spettare anche al conciliatore.
MASTROJANNI. La pronuncia di incostituzionalità di una legge che richiede indubbiamente indagini molto difficili e complicate, a suo avviso, esula dalla competenza del conciliatore. Ma i fatti che maggiormente preoccupano la pubblica opinione, per quanto riguarda le garanzie costituzionali, non sono quelli limitati al diritto privato, bensì tutti i problemi che investono la vita nazionale, ed è appunto a questi problemi che si fa riferimento e per cui si chiede l’istituzione di un organo competente e sovrano, che abbia competenza e potestà di decidere. Per tali motivi voterà contro l’emendamento dell’onorevole Einaudi.
TARGETTI è contrario all’emendamento proposto dall’onorevole Einaudi per le ragioni esposte dall’onorevole Mastrojanni, che sono le stesse che condussero la maggioranza della seconda Sezione della seconda Sottocommissione a respingere analogo emendamento proposto dall’onorevole Calamandrei. Non si dilunga pertanto a dimostrare come la maggioranza della Sezione abbia ritenuto che non sarebbe né logico, né opportuno, né pratico e neanche giustificato investire, per esempio, un vice pretore onorario di questa gravissima facoltà di apprezzare la costituzionalità o meno della legge.
Nello stesso emendamento dell’onorevole Einaudi si stabilisce la competenza della Corte di cassazione a Sezioni riunite in materia di incostituzionalità. A suo parere, questa proposta non tiene esatto conto della natura delle disposizioni contenute nella Carta costituzionale. Se la incostituzionalità di una norma si dovesse e si potesse verificare soltanto quando la legge ordinaria avesse violato dei principî strettamente giuridici stabiliti nella Carta costituzionale, allora non dovrebbe essere difficile aderire alla tesi dell’onorevole Einaudi; ma quando si tenga presente che accanto a norme di carattere strettamente giuridico la Carta costituzionale è ricca – ed alcuni critici non troppo benevoli dicono che è straricca – di affermazioni di carattere politico, filosofico e persino morale, pensa che si debba escludere la competenza della Cassazione a giudicare della incostituzionalità delle varie leggi. La costituzionalità di una legge ordinaria può essere eccepita anche in quanto contenga norme che ledono principî filosofici, morali o politici stabiliti dalla Carta costituzionale.
Basta, a suo parere, la constatazione di questa realtà a giustificare la creazione della Corte costituzionale.
CAPPI si associa alle ragioni esposte dagli onorevoli Mastrojanni e Targetti. Ricorda che l’Italia esce da un periodo nel quale si è visto con grande cinismo lacerare la Carta costituzionale; si vuole pertanto presidiare la nuova Costituzione in modo da rendere difficili quelle offese alla Costituzione che sono state così numerose e gravi durante il passato regime.
Circa il riferimento alla Corte costituzionale degli Stati Uniti fatto dall’onorevole Einaudi, osserva che ben difficilmente in Italia la maggioranza dei cittadini si uniformerebbe, come invece avviene in America, alla decisione di incostituzionalità di una legge.
Dichiara, pertanto, di essere contrario all’emendamento proposto.
LACONI avverte che la questione è già sorta in sede di seconda Sezione della seconda Sottocommissione. In sostanza, egli sostenne in quella sede che il potere di sindacare le leggi che saranno emanate dall’organo legislativo ordinario circa la loro rispondenza alla Costituzione, spetterebbe alla Costituente. E poiché vi è un limite nel tempo assegnato all’Assemblea costituente, si tratta di delegare un potere al futuro Parlamento. Ora è possibile rimettere questo potere a un organo che abbia un’investitura inferiore a quella della Costituente? A suo parere, no. Occorre proiettare nel futuro un organo che abbia una investitura altrettanto degna di quella che ha l’Assemblea costituente nei confronti della sovranità popolare.
Pensa che tale organo debba essere costituito con le stesse cautele con cui le Assemblee legislative ordinarie avranno il potere di modificare domani la Costituzione; e particolari cautele sono state appunto introdotte in questa parte della Costituzione. Così quando si è stabilito che la Corte costituzionale debba essere eletta dal Parlamento in seduta plenaria; che deve durare sette anni anziché cinque anni; che i magistrati debbano essere circondati da particolari cautele e debbano essere scelti entro certe determinate categorie, si è voluto appunto che la scelta di questi giudici sia cautelata in modo che possa corrispondere agli stessi criteri con i quali potrà domani essere riformata la Costituzione.
A questa proposta si contrappone un’altra: quella secondo cui il potere di sindacare la legge e constatare se corrisponda alla Costituzione sia rimesso alla Magistratura.
Rileva che la Magistratura in Italia non ha una investitura popolare, e quindi non è assimilabile al potere costituente e non può avere investitura di questo genere. Si è parlato di un potere di carattere tecnico, ma, a suo parere, la funzione attribuita alla Corte costituzionale ha un alto valore politico.
Ritiene che la Magistratura ordinaria non abbia tali qualità da renderla arbitra di tutta la vita democratica della Nazione.
FABBRI non aderirebbe per intero al grave problema sollevato dall’onorevole Einaudi, ma vorrebbe che si distinguesse fra la non applicazione della legge relativamente al caso singolo che si presenta davanti al magistrato e l’abrogazione della legge. Sono due ipotesi sostanzialmente diverse nella loro portata e nella loro attuazione pratica, e non nasconde la sua preoccupazione per il fatto che si è predisposto un congegno il quale è funzionante soltanto per la eventuale procedura diretta alla abrogazione della legge – e quindi con efficacia erga omnes – mentre si è trascurato completamente il caso del modesto cittadino che eccepisce davanti al magistrato ordinario la incostituzionalità di una data norma, con la possibilità che il giudice si pronunci anche favorevolmente al singolo cittadino in quel determinato caso e senza nessuna efficacia abrogatrice della legge nel confronto con la generalità dei cittadini.
Anche attualmente la possibilità di una dichiarazione di incostituzionalità di una certa norma è lasciata al magistrato, e se un pretore o un giudice del Tribunale fa questa dichiarazione, v’è la soddisfazione dell’interesse particolare per quel caso, ma non v’è nessuna ripercussione generale di abrogazione della legge.
Ora, l’avere completamente trascurato questa sostanziale differenza sottrae, a suo parere, una garanzia elementare al cittadino e lo abbandona all’apprezzamento discrezionale del giudice, il quale finisce, di fronte al caso particolare, per non investirsi della portata politica delle eccezioni sollevate dal cittadino ed esamina la eccezione soltanto limitatamente al caso particolare. Il più delle volte penserà che non vale la pena arrivare alla Corte costituzionale delle garanzie per una modestissima questione e finirà per soffocare un diritto individuale. Sono tutte ragioni di ordine pratico e contingente che lasciano molto perplessi sul testo proposto e dichiara perciò che, sotto il profilo esposto, voterà in favore dell’emendamento Einaudi.
PRESIDENTE informa l’onorevole Fabbri che nel Comitato di redazione si è lunghissimamente discusso a tale proposito; e vi era anche una proposta dell’onorevole Rossi Paolo, nel senso che per la prima volta si occupassero di queste questioni le autorità giudiziarie, e che soltanto contro le sentenze inappellabili su questioni di incostituzionalità fosse ammesso il ricorso alla Corte costituzionale.
La proposta è stata respinta, perché si è ritenuto che essa potesse dar luogo a complicazioni ed inconvenienti e che sia più pratico, nel caso che sia sollevata un’eccezione di incostituzionalità, che il giudice, quando non la ritenga infondata, la rimetta alla Corte costituzionale.
FABBRI ringrazia, avvertendo che non aveva visto l’ultimo testo.
EINAUDI desidera fare qualche rilievo, pur non avendo alcuna speranza circa l’esito della sua proposta.
Come dato di fatto, l’onorevole Laconi ha osservato che in altri Paesi, dove esiste la competenza del magistrato ordinario, le condizioni sono diverse, perché i magistrati sono elettivi. Ora, le cose non stanno così: i magistrati federali americani non sono elettivi; particolarmente poi quelli della Corte suprema sono nominati dal Presidente a vita, e non hanno neppure l’obbligo – se non quando la loro coscienza lo comanda – di andare in pensione; e si videro così giudici che sorpassarono l’età di novant’anni e rimanevano fermi al loro posto.
Condivide una preoccupazione dell’onorevole Laconi. Dato il tipo della Costituzione, non vede quale questione concreta di diritto civile o di diritto penale non possa essere portata dinanzi alla Corte. costituzionale. A suo parere, vi sarà sempre qualche cosa che permetterà di dire ad una parte che c’è una violazione della legge costituzionale. Le disposizioni relative ai diritti dei cittadini sono talmente ampie – è stato notato che esse hanno un valore morale e politico più che giuridico – che crede non vi sarà questione la quale non possa essere portata dinanzi alla Corte costituzionale. Con tutta probabilità, per un lungo tempo – sino a che non sia consolidata una certa giurisprudenza – vi sarà un ingorgo spaventoso di questioni. L’esperienza, a questo riguardo, è abbastanza probante. La massima parte delle questioni che sono state portate finora dinanzi alla Corte suprema nel solo Paese dove questo sistema di giudizio di costituzionalità ha una lunga durata, sono dovute a due o tre parole inserite nella Costituzione, ossia che ogni persona – e la persona essendo stata interpretata come persona fisica e giuridica, anche tutti gli enti morali e le società per azioni hanno avuto la possibilità di valersi della norma – ha diritto di essere giudicata secondo un giusto procedimento di legge.
Facendo ricorso a queste poche parole, moltissime questioni sono andate dinanzi alla Corte suprema per giudizio di incostituzionalità; e quella norma così generica è l’arma più frequente di cui quella Corte si serve per dichiarare l’incostituzionalità delle leggi. Si può immaginare quello che accadrà in Italia, dove non poche, ma infinite parole possono fornire argomento a giudizi di incostituzionalità. Non si potrà evitare l’inconveniente che accanto ad una procedura normale, la quale spesso sarà interrotta, si avrà una procedura di incostituzionalità per decidere moltissimi casi particolari.
È stato detto che questa Corte deve ispirarsi a concetti i quali vengono fuori dalla sovranità popolare. Ma già altre volte ha avuto occasione di osservare come in materia di applicazione delle leggi tale criterio non abbia valore: l’unico criterio che ha valore è quello di vedere che cosa dice la legge costituzionale. Ora, sapere che cosa dice una legge costituzionale è compito specifico di qualunque magistrato, e qualunque magistrato – anche il più piccolo conciliatore – ha diritto di dire: «Questa disposizione che mi viene presentata e di cui si chiede l’applicazione, è in contrasto con un’altra legge, che è legge fondamentale». La sovranità popolare ha un altro mezzo congruo per sua natura di farsi valere: far votare nelle forme previste dalla Costituzione una modificazione della legge costituzionale.
PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Einaudi.
(Non è approvato).
NOBILE osserva che non si stabilisce nel progetto il numero dei componenti la Corte costituzionale.
PRESIDENTE informa che la questione è stata discussa a lungo e ad unanimità è stato deciso di rimetterla ad una legge che dovrà regolare il funzionamento della Corte costituzionale.
Si dice, infatti, all’articolo 4:
«La legge stabilisce le norme per la composizione, il funzionamento e le procedure della Corte costituzionale».
Avocazione dei beni di Casa Savoia.
PRESIDENTE avverte che l’onorevole Einaudi ha proposto la soppressione del seguente articolo delle disposizioni finali e transitorie:
«La legge disporrà l’avocazione allo Stato dei beni di Casa Savoia».
EINAUDI crede che la materia esuli completamente dal diritto. Non esistono norme generali di diritto, le quali possano giustificare l’articolo transitorio. Farà pertanto qualche rilievo di carattere politico.
In conformità alla sua fede, in tutti i discorsi che ha fatti durante la campagna elettorale per la Costituente e per il referendum istituzionale ha sentito il dovere di dichiarare agli elettori che il suo voto era per la conservazione della monarchia.
Questa dichiarazione implicava per la sua coscienza l’ossequio ad una fede ancora più profonda, che è quella nel valore della democrazia, inteso in questo senso: che la democrazia è discussione e voto. Le parti avverse discutono e poi votano; si contano le teste e si forma una maggioranza, la quale ha il diritto di deliberare e di attuare la sua volontà; e la minoranza ha il dovere di osservare lealmente il deliberato della maggioranza.
La maggioranza si è manifestata in favore della Repubblica, e la minoranza ha il dovere dell’osservanza leale di questa volontà manifestata dalla maggioranza della popolazione. Ma crede che una Costituzione debba avere un ideale più alto di quello di ottenere dalla minoranza una semplice osservanza leale della volontà manifestata dalla maggioranza.
Questo ideale, a parer suo, è quello della cooperazione volonterosa della minoranza. Una Costituzione non funziona bene se la volontà della maggioranza non si manifesti in modo che la minoranza presti non solo osservanza leale alle leggi dello Stato, ma la sua cooperazione volonterosa. Non pretende che la maggioranza sempre si debba proporre questo ideale; ma per lo meno quando il proporselo non è di grave sacrificio, quando il non cercare questa cooperazione volonterosa da parte della minoranza reca una inutile ferita ai sentimenti e alle tradizioni della minoranza stessa.
Per queste ragioni di carattere politico vorrebbe chiedere alla maggioranza di cercare quelle vie di pacificazione le quali possono ottenere dalla minoranza – che pure è stata cospicua – un avvio alla cooperazione volonterosa, quale tutti desiderano, affinché le attuali istituzioni si perpetuino e contribuiscano al bene comune.
Non ha chiesto che sia modificato un altro articolo, il quale manda in esilio i membri della famiglia reale. L’esilio è la nemesi delle dinastie. È inutile tuttavia aggiungere a questa nemesi, propria delle famiglie reali, anche un’altra che alla minoranza potrebbe sembrare una ferita inutile, una ferita economica – che non starà a dire se abbia poca o molta importanza (crede ne abbia poca, sostanzialmente, oggi) – quando arrecando questa ferita inutile si toglierebbe un po’ di valore politico a quel voto, che tutti fanno, di dare cooperazione volonterosa alle istituzioni che si vanno creando.
Con questo non si dice che non si possa pronunciare una sentenza anche di questo genere. Non crede sia compito della Costituzione pronunciarla; non crede sia compito di un documento così solenne di scendere a disposizioni le quali hanno un carattere puramente economico: sarà la legge del Parlamento, la quale, caso mai, si pronuncerà in questo senso.
Si cerchi di far sì che le prossime elezioni si svolgano in un’atmosfera di concordia, senza che si pongano problemi, i quali possono inutilmente inasprire gli animi.
Ecco le ragioni per le quali ha proposto la soppressione dell’articolo.
MASTROJANNI rileva che già in seno alla prima Sottocommissione espresse l’opinione che non si dovesse nella Costituzione far menzione dell’avocazione dei beni di Casa Savoia. Questa menzione non può intendersi se non come avente un carattere di sanzione. Disse in quella sede che, se tale sanzione si limitasse alla confisca dei beni, di fronte alla storia si manifesterebbe una preoccupazione di carattere materialistico, facendo astrazione dagli altri più essenziali caratteri che la questione presenta.
Ora, non sembra opportuno che la Costituzione consacri nelle sue tavole un solo lato, e il meno seducente, della questione. Ecco perché, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, ritiene che sia da accogliere la proposta dell’onorevole Einaudi, nel senso di demandare alla legge ordinaria la confisca dei beni di casa Savoia.
CONTI desidera, in assoluta serenità, rendere omaggio alla buona fede degli onorevoli Einaudi e Mastrojanni. Si tratta di una questione che necessariamente divide gli spiriti: i monarchici hanno diritto di sentire e di esprimersi come si è espresso l’onorevole Einaudi; i repubblicani hanno diritto di considerare il problema da un punto di vista storico e politico.
Pensa che la dinastia, che ha dominato in Italia, non avrebbe dovuto chiudere il ciclo della sua esistenza nel placido tramonto che ha avuto la fortuna di poter guardare, allontanandosi dall’Italia. Troppo tragica è stata la fine della Patria; ed è assurdo che si continui a dire che questa fine sia dovuta al fascismo, mentre è dovuta a casa Savoia.
La dominazione sabauda in Italia è stata la dominazione di una dinastia militaresca, di una dinastia che ha fatto rivivere in Italia il Medioevo. Il fascismo è stato l’ultimo strumento sopraffattore usato dalla monarchia. Era tempo che finisse la dominazione dei Savoia.
Prima e durante la guerra si sentiva nell’animo la tragedia profonda; purtroppo era nella catastrofe che si sarebbe risolta la questione istituzionale in Italia. Non si può quindi convenire con le argomentazioni sentimentali che sono state espresse, né che si possa parlare di concetti di ispirazione materialistica. Si tratta di una situazione storica: i Savoia debbono restituire quello che hanno sottratto al Paese; questa è la base fondamentale.
Si può convenire, del resto, in una soluzione: si può dire, cioè, che la legge provvederà; ma la disposizione transitoria è necessario che resti. L’Assemblea costituente potrà fare la legge presto, in modo che nel testo definitivo della Costituzione la disposizione transitoria sia cancellata, in quanto la legge avrà già provveduto. Ma oggi la disposizione transitoria è una garanzia, perché rappresenta la tranquillità per la democrazia italiana, la quale non può condividere un pensiero che è stato nobilmente espresso dagli onorevoli Einaudi e Mastrojanni, ma che può essere tendenzioso nella mente di molti settari monarchici, i quali fanno opera di disgregazione nazionale e vogliono distruggere la Repubblica. Essi però non ci riusciranno, perché il popolo italiano saprà difenderla.
CAPPI parla anche a nome di altri colleghi, come uno il quale è stato accentuatamente repubblicano durante il periodo della campagna elettorale. Se poi è lecito un accenno personale, dirà che, nel 1923, all’indomani della marcia su Roma, quando era forse un po’ più difficile dichiararsi contro la monarchia, sulla stampa protestò contro la monarchia, che aveva tradito, e per questo subì anche un processo di Corte d’assise. Aggiunge che l’onorevole Conti, e quanti altri nutrono sentimenti repubblicani, lo troveranno, e crede con tutti i suoi colleghi al suo fianco, quando si tratterà di difendere la Repubblica contro gli eventuali assalti illegali dei monarchici. Ciò nonostante, fa osservare all’onorevole Conti che la disposizione in esame non riguarda materia costituzionale. Lo stesso onorevole Conti ha detto che sarà la Costituente a fare la legge; ma se si dà questo mandato imperativo nella Costituzione, tanto vale dire che si vuole affermare un principio costituzionale.
Ora crede che sarebbe questo l’unico esempio di una Costituzione la quale si occupi di un caso singolo. Una Costituzione, in genere, ed in particolare quella che si sta elaborando, si deve occupare o della struttura dello Stato, o di alcuni principî generali (diritti politici, diritti civili, ecc.), ma senza disposizioni di carattere individuale. Perciò quella di cui si discute, riguardante i beni privati dell’ex casa regnante, sarebbe l’unica eccezione.
Per questa ragione, egli, e, crede, anche i suoi amici, sono favorevoli a che nella Carta costituzionale non sia contenuta tale disposizione.
TARGETTI ritiene che l’osservazione dell’onorevole Cappi, che la disposizione non trovi la sua sede naturale nella Carta costituzionale, perché risolve un caso particolare e singolo, non sia meritevole di molta considerazione. Con essa non si provvede, infatti, alla sorte dei beni di una determinata famiglia, ma all’affermazione di un principio, che ha innegabilmente anche il significato di una sanzione. Senza presumere, né sperare, di persuadere i colleghi che hanno già, per un insieme di considerazioni, deciso di votare a favore dell’emendamento dell’onorevole Einaudi, prega i colleghi tutti di voler considerare che la votazione alla quale si sta per procedere assume un’importanza speciale, per le condizioni nelle quali avviene.
Si sarebbe potuto presentare il caso che una norma di questa portata non fosse stata inclusa nel progetto di Costituzione; e che qualche Commissario oggi avesse proposto di includercela. Il caso è però molto diverso, in quanto vi è una proposta già deliberata dopo ampia discussione nella prima Sottocommissione. Se vi sono stati dei voti contrari, sta di fatto che la maggioranza vi è stata favorevole ed a formarla hanno concorso anche rappresentanti di partiti non di estrema sinistra. Oggi, quindi, l’emendamento Einaudi tende alla cancellazione di una norma già approvata.
Ognuno comprende quale sia il significato di una tale deliberazione. Qui non si discute dell’ideale monarchico in confronto a quello repubblicano; non si discute neppure quella che può essere stata l’opera della dinastia di casa Savoia sin da quando il re del piccolo Piemonte divenne re d’Italia. Spera di non scandalizzare nessuno dicendo che non ha mai ritenuto tanto poco meritato alcun appellativo come quello di «Padre della Patria» dato a Vittorio Emanuele II. Tutto questo esula dalla decisione che si sta per prendere. Si può, infatti, essere stati sinceramente, fervidamente monarchici; si può essere stati ammiratori dell’opera di Vittorio Emanuele II; si può anche arrivare a chiudere gli occhi innanzi all’azione reazionaria di Umberto I, sebbene occorra certamente un fervore monarchico molto acceso per arrivare a questo; ma, innanzi alla responsabilità chiara, evidente, incontestabile della monarchia di Savoia nei confronti di quel tristissimo fenomeno che è stato il fascismo, prova un senso di sorpresa non lieta sentendo che colleghi, i quali pure professano sentimenti profondamente antifascisti, possano esitare a riconoscere che il fascismo non avrebbe potuto conquistare l’Italia e tanto meno distruggere tanta parte del Paese, materialmente e moralmente, senza la complicità di casa Savoia.
Sopra questa verità storica non può esservi alcun dubbio. Una grande preoccupazione prende gli animi dinanzi ai problemi della ricostruzione materiale d’Italia; ma vi è un problema ancora più grave, ed è quello della ricostruzione morale. Il regime fascista ha infettato la cara Italia, ha avvelenato il sangue di tanta parte degli italiani. La prima responsabilità è stata di chi ha pagato con la vita queste malefatte, ma una complicità necessaria evidentemente c’è stata. Nessun animo gentile può dolersi che la stessa sorte non abbia colpito anche gli altri direttamente responsabili; ma non si vada più oltre: non si prendano deliberazioni che, oltre a tutto, suonerebbero offesa alla memoria di tutte le vittime del regime fascista.
LAMI STARNUTI ha ascoltato con molto rispetto le parole dell’onorevole Einaudi, ma voterà contro l’emendamento da lui proposto. Mentre tutto il Paese è ancora una rovina, non crede che si debba indulgere così largamente nei confronti di chi di questa rovina e dell’immane tragedia che ha colpito il Paese è tra i primi responsabili.
L’osservazione di forma dell’onorevole Cappi non persuade. Vi sono tante cose minori nella Costituzione contro le quali osservazioni di forma non sono state levate. Crede anzi che la norma stia bene nella Costituzione per il carattere che la Costituzione ha nella storia del popolo d’Italia, e perché sarà la sanzione del sentimento e del pensiero degli italiani contro coloro che sono stati, in gran parte, gli artefici delle disgrazie e delle sciagure del Paese.
FABBRI esprime il dissenso più completo e più profondo da tutto ciò che è stato detto dagli onorevoli Conti e Targetti. Come rilievo d’ordine storico, ricorda che la eliminazione dell’istituto monarchico in Germania, avvenuta dopo la fine dell’altra guerra, non impedì minimamente, nonostante l’instaurazione della repubblica social-democratica di Weimar, tutto quello sviluppo d’ordine politico, economico e sociale che in Germania ebbe luogo con una intensità infinitamente maggiore che in Italia. Ora, avrebbe dovuto rendere accorto l’onorevole Targetti il fatto che la differenza delle due istituzioni non è la chiave risolutiva di questi processi storici, che hanno ben altri sviluppi e meritano una revisione critica ben diversa da quella che tanto l’onorevole Targetti che l’onorevole Conti hanno fatto.
La monarchia di Savoia è venuta in Italia con un plebiscito ed ha cessato di funzionare con un referendum. Sostanzialmente, e guardando la cosa in modo sintetico, era difficile trovare un istituto che si fosse meglio sviluppato su base democratica in Italia della monarchia, la quale anche nell’ultimo periodo recentissimo della sua esistenza, ha reso un grandissimo servigio, a suo parere, al Paese, in condizioni di tempo e di luogo che erano le meno propense ad una guerra civile, che in qualunque altro momento si sarebbe scatenata con conseguente inevitabilmente gravi.
In ogni modo ha l’obbligo di coscienza e di intelletto di votare a favore dell’emendamento Einaudi, per una ragione formale e per una ragione sostanziale. La ragione formale è che non trova posto in una Costituzione una disposizione che si risolve in un atto momentaneo e singolo. La ragione sostanziale è che si tratta d’un rapporto di diritto comune, e nel momento stesso in cui si vuol ristabilire il rispetto del diritto, si macchierebbe la Costituzione, a suo avviso, con un articolo deplorevole e da eliminarsi.
TOGLIATTI osserva che l’allargamento della discussione potrebbe rendere necessario prendere posizione anche sulle questioni di ordine generale e politico che sono state sollevate, cosa che all’inizio del dibattito si riteneva superfluo. Particolarmente l’onorevole Fabbri ha enormemente allargato il campo del dibattito portando un esempio storico il quale, nelle sue intenzioni, servirebbe a confutare argomenti che non ha sentito esporre da nessuno, cioè che la forma monarchica, di per sé, porterebbe, al fascismo. Questo argomento non è stato prospettato né dall’onorevole Conti, né dall’onorevole Targetti. Essi hanno unicamente formulato il giudizio storico che in Italia, nelle particolari condizioni del Secolo XX, dal 1920 al 1943, non sarebbe esistito il fascismo se non vi fosse stata la monarchia dei Savoia, la quale ha portato il fascismo al potere e ve lo ha mantenuto, nonostante che questo regime fosse contrario alla grande maggioranza del popolo.
In Germania non esisteva la monarchia, ma vi sono stati altri responsabili, e quando si parlerà della storia della Germania in tale periodo si cercherà di individuarli esattamente e spetterà al popolo tedesco colpirli, e crede che li stia già colpendo. Ma il fatto che il dibattito, contrariamente alle previsioni, si sia aperto in questa sede, dà un particolare rilievo alla discussione.
Ricorda che nella prima Sottocommissione, quando il problema fu sollevato, vi fu l’unanimità, con una eccezione, crede, o una e mezza, nel rilevare che, sollevata la questione, non si poteva prendere una decisione diversa da quella che fu presa. Tale fu particolarmente la posizione dei colleghi del gruppo democratico cristiano, i quali, per bocca del Presidente della prima Sottocommissione, dichiararono che non doveva uscire da una Commissione della Costituente italiana un voto che potesse apparire come favorevole alla monarchia.
CONTI avverte che fu proprio l’onorevole Moro, democratico cristiano, a proporre l’articolo di cui si chiede ora la soppressione.
TOGLIATTI ricorda che in sede di prima Sottocommissione propose un articolo in cui si diceva che i beni di casa Savoia erano confiscati a favore dello Stato. Per evitare che si desse un voto che, in qualche modo, potesse sembrare favorevole alla casa Savoia, aderì all’articolo proposto dall’onorevole Moro.
LUCIFERO nota che l’articolo fu approvato con nove voti favorevoli e otto contrari.
TOGLIATTI per la stessa ragione pensa che l’emendamento Einaudi debba essere respinto. L’argomento che la disposizione, che si propone di sopprimere, non ha carattere costituzionale, a suo parere, non è consistente, anzitutto per un motivo d’ordine formale, che cioè essa rientra nelle norme transitorie che regolano il passaggio dall’uno all’altro regime; vi è poi un motivo sostanziale, nel senso che una Costituzione, la quale è creata nel momento in cui, abbattuto un regime, ne sorge un altro, inevitabilmente contiene disposizioni che riflettono questo passaggio, in aderenza alla realtà storica e politica del momento.
Per tali ragioni è contrario alla proposta dell’onorevole Einaudi.
DOMINEDÒ si limiterà a poco più di una dichiarazione di voto, con estrema serenità e schiettezza. Preliminarmente condivide l’impostazione dell’onorevole Targetti e dell’onorevole Togliatti, per cui è innegabile che la questione si presenta diversamente quando si è dinanzi ad un articolo già approvato dalla Sottocommissione, sia pure a stretta maggioranza, rispetto a quel che sarebbe nel caso in cui si trattasse di una proposta nuova. Ma, ciò non ostante, osserva come nulla possa comprimere il diritto a manifestare un’esigenza che può dirsi di moralità politica. Prega i colleghi presenti di prendere atto di uno stato d’animo che muove da una valutazione obiettiva della coscienza ed esprime una buona fede che viene dall’intimo dello spirito.
Può prescindere dalle considerazioni di competenza relative alla sedes materiae, occorrendo sottolineare che qui si tratta di materia tipicamente legislativa e non già costituzionale, sia pur sotto lo schermo delle disposizioni transitorie. Prescinde altresì dalle valutazioni di merito giuridico, non essendo concepibile confisca senza condanna, né presunzione senza prova in contrario e senza distacco fra acquisizioni fatte durante il periodo sospetto o ad esso anteriori. Ma intende soprattutto far capo alle considerazioni di merito politico, espresse nobilmente dall’onorevole Einaudi, la cui argomentazione acquista tanto più rilievo quanto più si riesca a liberarsi dalla passionalità dell’ora. Aggiunge che il collega La Pira, partito questa mattina per Firenze, lo ha incaricato di riferire alla Commissione che anche egli, pur senza far valere alcuna formula di diritto di voto, si associa contro la proposta di avocazione per motivi da lui definiti di delicatezza ed umanità.
A questo titolo voterà l’emendamento Einaudi per la soppressione della proposta.
TOSATO considera la questione soprattutto da un punto di vista tecnico. Sui beni di casa Savoia non esiste ancora alcuna legge dello Stato, sebbene sia da ritenere che nell’animo della maggioranza almeno del popolo italiano, la questione sia già sostanzialmente risolta. La Costituzione dovrebbe dunque limitarsi a stabilire la forma attraverso la quale verrà stabilita la destinazione dei beni considerati. In questo modo si può andare forse incontro a quella che sembra la sostanza dell’argomentazione addotta dall’onorevole Einaudi, il quale, richiamando le norme, anche di correttezza, che governano la vita democratica, ha fatto una questione di forma, perché siano evitate quelle espressioni che possono ferire la sensibilità della minoranza, la quale accetta la Repubblica, ma conserva la sua libertà di pensiero. Perciò, senza intaccare minimamente la sostanza dell’articolo, anzi andando più in là, propone una modificazione dell’articolo 3 così formulata:
«La legge disporrà la destinazione dei beni di casa Savoia».
LUCIFERO non ha creduto di intervenire nella discussione, perché pensa che chi ha la responsabilità di redigere un testo costituzionale deve prescindere da argomenti che possono suscitare urti di passioni.
Ha avuto da elettori monarchici un mandato e lo interpreta votando a favore dell’emendamento Einaudi. E vota in tal senso non da monarchico, quale è stato ed è, anche se leale cittadino della Repubblica, ma come cittadino della Repubblica. Intende che la Repubblica italiana, che non ha voluto, ma che ha accettato e riconosce, sia uno Stato in cui vi sia giustizia per tutti e in cui non vi siano sanzioni per chi non sia stato legittimamente condannato dall’autorità giudiziaria.
CAPPI ritiene superfluo dichiarare che nell’atteggiamento da lui assunto non v’è nulla che possa sembrare a favore della monarchia.
Ad ogni modo, poiché è stato presentato l’emendamento Tosato, il quale rimette al Parlamento la questione in generale della destinazione dei beni di cui si discute, dichiara che voterà a favore di tale emendamento.
TOSATO avverte che l’onorevole Togliatti accetterebbe tale emendamento se si aggiungessero le parole: «a fini sociali».
BOZZI, prescindendo da qualunque dichiarazione di carattere politico, voterà a favore della proposta Einaudi, ritenendo che la norma non abbia carattere costituzionale, ma possa costituire eventualmente oggetto di legge ordinaria.
MÀSTROJANNI dichiara di votare a favore della soppressione dell’articolo relativo alla confisca dei beni di casa Savoia, perché tale disposizione, a suo parere, non è di carattere costituzionale e, se inserita nella Costituzione, rappresenterebbe una sanzione che contro la casa Savoia consacrerebbe alla storia l’unico giudizio che la Costituzione stessa proclama.
PERASSI osserva che coloro i quali ritengono che la disposizione in esame non ha carattere costituzionale hanno un modo per ovviare a tale scrupolo, facendo votare dall’Assemblea costituente una legge prima che sia approvata la Costituzione. La disposizione, d’altronde, può apparire come una dichiarazione solenne che riflette un giudizio storico rispetto a determinati eventi e a determinate istituzioni. Voterà pertanto contro l’emendamento Einaudi.
GRASSI dichiara che, avendo votato nella prima Sottocommissione a favore di un ordine del giorno Cevolotto che diceva: «La Sottocommissione ritiene che la questione della confisca dei beni di casa Savoia non faccia parte della materia costituzionale, pur affermando che essa dovrà essere risolta in senso positivo per mezzo di una legge speciale», voterà in favore dell’emendamento Einaudi.
CEVOLOTTO osserva che la questione della confisca dei beni di casa Savoia ha avuto uno svolgimento diverso da quello che poteva prevedere quando propose l’ordine del giorno richiamato dall’onorevole Grassi.
Aveva proposto che l’avocazione fosse disposta con una legge speciale. Questa legge non è venuta, e oggi, presentata la questione sotto un aspetto strettamente politico e specialmente dopo le dichiarazioni dell’onorevole Mastrojanni, non può che votare contro l’emendamento Einaudi.
FUSCHINI dichiara che per atto personale e sotto la sua personale responsabilità voterà contro l’emendamento Einaudi, perché ritiene che l’articolo in questione non faccia che consacrare la conseguenza della caduta della monarchia per volontà popolare.
MANNIRONI si associa all’onorevole Fuschini.
FEDERICI MARIA si associa all’onorevole Fuschini.
PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento Einaudi, sul quale è stata chiesta la votazione per appello nominale.
(Segue la votazione nominale).
Rispondono sì: Bozzi, Dominedò, Einaudi, Fabbri, Grassi, Lucifero, Marinaro, Mastrojanni, Uberti.
Rispondono no: Ambrosini, Cappi, Cevolotto, Conti, De Michele, De Vita, Farini, Federici Maria, Froggio. Fuschini, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Merlin Umberto, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Ravagnan, Ruini, Targetti, Togliatti, Tosato, Zuccarini.
Comunica il risultato della votazione:
Voti favorevoli 9; voti contrari 26.
(La Commissione non approva).
Vi è poi la proposta Tosato:
«La legge disporrà la destinazione dei beni di casa Savoia».
Domanda all’onorevole Tosato se egli accetta l’aggiunta Togliatti: «a fini sociali».
TOSATO, poiché la sua proposta, emendata e precisata nel senso indicato dall’onorevole Togliatti, perderebbe la sua ragion di essere, dichiara di ritirarla.
FABBRI dichiara che alcuni Commissari hanno modificato il loro atteggiamento a seguito della presentazione della proposta Tosato, a favore della quale si riservavano di votare, se l’onorevole Tosato non l’avesse ritirata.
CEVOLOTTO fa osservare che se qualcuno avesse voluto insistere sull’emendamento Tosato l’avrebbe fatto proprio.
Titoli nobiliari.
PRESIDENTE. L’ultima questione da trattare è quella relativa ai titoli nobiliari, che era stata demandata al Comitato di redazione, il quale ha formulato il seguente articolo da inserire fra le disposizioni transitorie:
«La Repubblica non riconosce titoli nobiliari. I predicati di quelli esistenti valgono soltanto come parte del nome. La legge regola la soppressione della Consulta Araldica».
Pensa che sia utile inserire qualche accenno ai titoli nobiliari fascisti.
TARGETTI circa i titoli nobiliari fascisti propone di aggiungere all’articolo formulato dal Comitato di redazione, dopo le parole: «valgono soltanto come parte del nome», le altre: «Ai titoli nobiliari concessi dopo il 28 ottobre 1922 non è riconosciuto neppure questo valore».
NOBILE si associa alla proposta dell’onorevole Targetti, perché è assolutamente inammissibile che resti qualcosa dei titoli nobiliari concessi dal fascismo.
TOGLIATTI. Basterebbe dire: «I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono soltanto come parte del nome».
PRESIDENTE pensa che la proposta dell’onorevole Togliatti soddisfi il pensiero di tutti.
LUCIFERO fa presente che la Commissione ha interpretato la frase: «la Repubblica non riconosce titoli nobiliari» nel senso di escludere ogni possibilità di concessione. Con questa formula si è voluto tener conto anche dei titoli nobiliari concessi dal fascismo.
PRESIDENTE pone ai voti la formula proposta dal Comitato di redazione con l’emendamento Togliatti:
«La Repubblica non riconosce titoli nobiliari. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono soltanto come parte del nome. La legge regola la soppressione della Consulta Araldica».
(È approvata).
La Commissione ha, così, terminato l’esame del progetto di Costituzione, che sarà presentato, nel termine stabilito, alla Presidenza della Costituente.
Resta inteso che fino al 6 febbraio, data della convocazione dell’Assemblea costituente, si potranno ancora introdurre modificazioni di forma.
La Commissione, peraltro, rimarrà attiva anche durante i lavori dell’Assemblea.
Informa che la Giunta del Regolamento stabilirà speciali norme per la discussione del progetto di Costituzione da parte dell’Assemblea costituente.
È stato incaricato già l’onorevole Perassi, che fa parte della Giunta del Regolamento, di fare le proposte al riguardo. Egli riferirà in proposito al Comitato di redazione.
TOGLIATTI crede di interpretare i sentimenti di tutti i colleghi, esprimendo al Presidente, nel momento in cui si chiude la prima parte dell’attività della Commissione, il riconoscimento di tutti per il contributo che egli ha dato ai lavori, che ha presieduto con competenza e con maestria. (Vivi applausi).
MORO si associa, anche a nome dei colleghi, ai sentimenti di gratitudine espressi all’onorevole Ruini, il quale ha presieduto con grande imparzialità, con grande comprensione e con grande amore i lavori della Commissione. Ringrazia anche i colleghi, che hanno così cordialmente collaborato in questa difficile fase della elaborazione della Costituzione italiana.
PRESIDENTE ringrazia i colleghi non solo delle parole gentili che hanno voluto rivolgergli, ma del lavoro che essi hanno fatto e che rimarrà. È sicuro che esso risulterà nella sua viva luce dinanzi all’Assemblea costituente.
Per quanto molte volte i Commissari si siano divisi su questioni particolari, sulla sostanza vi è convergenza di tendenze e di idee.
L’Italia esce da un periodo tristissimo e funesto, ma in questo anelito di libertà, in questa tendenza a costruire un ordinamento democratico, crede che vi sia il concorso di tutti i partiti.
L’approvazione della nuova Costituzione costituirà una prova della volontà e della fede di tutto il popolo italiano. (Vivi applausi).
La seduta termina alle 20.40.
Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Cappi, Cevolotto, Conti, De Michele, De Vita, Dominedò, Einaudi, Fabbri, Farini, Federici Maria, Froggio, Fuschini, Grassi, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lucifero, Mancini, Mannironi, Marinaro, Mastrojanni, Merlin Umberto, Molè, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Rapelli, Ravagnan, Ruini, Targetti, Togliatti, Tosato, Uberti, Zuccarini.
In congedo: Ghidini, Lussu.
Erano assenti: Amadei, Basso, Bordon, Bulloni, Calamandrei, Canevari, Cannizzo, Castiglia, Codacci Pisanelli, Colitto, Corsanego, Di Giovanni, Di Vittorio, Dossetti, Fanfani, Finocchiaro Aprile, Giua, Gotelli Angela, Grieco, La Pira, Leone Giovanni, Lombardo, Marchesi, Merlin Angelina, Paratore, Pesenti, Piccioni, Porzio, Rossi Paolo, Taviani, Terracini, Togni, Tupini.