Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI SABATO 1° FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

ADUNANZA PLENARIA

29.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 1° FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI

INDICE

Corte costituzionale

Presidente – Einaudi – Mastrojanni – Targetti – Cappi – Laconi – Fabbri – Nobile.

Avocazione dei beni di Casa Savoia

Presidente – Einaudi – Mastrojanni – Conti – Cappi – Targetti – Lami Starnuti – Fabbri – Togliatti – Lucifero – Dominedò – Tosato – Bozzi – Perassi – Grassi – Cevolotto – Fuschini – Mannironi – Federici Maria.

Titoli nobiliari

Presidente – Targetti – Nobile – Togliatti – Lucifero – Moro.

La seduta comincia alle 18.30.

Corte costituzionale.

PRESIDENTE avverte che restano da esaminare gli ultimi due argomenti: garanzie costituzionali e norme finali e transitorie.

Per quanto riguarda le garanzie costituzionali, l’onorevole Einaudi ha proposto di sostituire i primi quattro articoli proposti dal Comitato di redazione coi seguenti:

Art. 1.

Il magistrato ordinario è giudice della costituzionalità delle leggi.

Art. 2.

La Corte di cassazione a Sezioni riunite risolve i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, fra lo Stato e le Regioni e fra le Regioni.

L’Assemblea nazionale giudica il Presidente della Repubblica ed i ministri accusati, a norma della Costituzione.

EINAUDI ha presentato questo emendamento, anche se non ha grande fiducia nell’accoglimento di esso, perché, a suo parere, la istituzione di una Corte costituzionale non adempie agli scopi a cui dovrebbe servire.

Per decidere sulla costituzionalità delle leggi vi sono due sistemi: quello della Corte e quello del magistrato ordinario. Quello della Corte non ha dietro di sé nessuna esperienza: è qualche cosa di cui si è scritto molto nei libri, si è scritto anche in molte Carte costituzionali che, o sono andate male, o non hanno avuto un’applicazione concreta. Il solo metodo applicato per lungo tempo, e con grande efficacia, è il metodo del magistrato ordinario. I due esempi principali sono quelli del tribunale federale svizzero e della Corte suprema americana. Non si occupa del primo esempio, in quanto la competenza di quei giudici in materia costituzionale riguarda le leggi cantonali e non quelle federali (per l’Italia leggi statali), che dovrebbero essere, invece, la materia principale del giudizio di costituzionalità della legge.

Il vero caso importante relativo a questa materia è quello che si dice impropriamente della Corte suprema americana. Impropriamente, in quanto la Corte suprema americana non è affatto stata creata con lo scopo di dare un giudizio relativo alla costituzionalità delle leggi. Nella Costituzione americana, che egli sappia, esiste un solo articolo che indirettamente ha dato luogo al giudizio di costituzionalità, e questo articolo – articolo 6 – dice semplicemente: «Questa Costituzione e le leggi degli Stati Uniti che saranno emanate in obbedienza alla Costituzione costituiranno la legge suprema del Paese». Non c’è altro che potesse dar diritto alla Corte di giudicare sulla costituzionalità delle leggi. Tutto quello che si è fatto è stata l’opera dei magistrati: sono i magistrati ordinari che si sono impadroniti di queste due o tre parole della Costituzione e, in base ad esse, hanno elaborato il sistema di giudizio sulla costituzionalità delle leggi. È stato soprattutto merito di un grande giurista, il primo giudice Marshall, alla fine del secolo XVIII e nel primo trentennio del secolo scorso, il quale ha affermato che il magistrato ordinario aveva il diritto di giudicare sulla costituzionalità delle leggi. Questo diritto non appartiene affatto alla Corte suprema: è un diritto che spetta al magistrato ordinario. Qualunque giudice federale, anche appartenente alle Corti inferiori, può dichiarare che una certa legge è incostituzionale. Di qui, attraverso i gradi successivi di giurisdizione, si arriva al giudizio della Corte suprema, il quale ha il valore che hanno tutti i giudizi, cioè ha valore per il caso deciso e non si estende ad altri casi.

Quindi, astrattamente, la legge dichiarata incostituzionale dalla Corte suprema potrebbe essere ancora applicata; ma ciò non è mai accaduto. La legge potrà rimanere, astrattamente, nel codice delle leggi; ma di fatto non esiste più. Di fatto accade che persino gli editori della raccolta delle leggi vigenti trascurano di ristampare quelle disposizioni che sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte suprema.

Può darsi – qualche rarissimo caso si è verificato – che un tale pretenda di applicare una legge dichiarata incostituzionale; ed allora ciascuna delle due parti ha il diritto di riprendere la causa fin dall’inizio e portarla fino alla Corte suprema, per provocare un secondo giudizio, sia che confermi il primo, sia che lo annulli. Però questi casi, nella storia giuridica americana, sono praticamente trascurabili; e, se anche un caso di questi si presenti, vuol dire che la coscienza pubblica si è modificata e che il magistrato ha ritenuto che una disposizione la quale era in passato considerata come incostituzionale, debba ora considerarsi conforme alla Costituzione.

Il solo argomento che, a questo riguardo, sussisterebbe a favore di una Corte costituzionale sarebbe puramente formale, e cioè che si saprebbe che una certa legge non è più tale perché è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte. È un argomento il cui valore è, si direbbe, di costruzione giuridica. Si può tranquillamente ammettere che i giuristi dicano che quella tale legge è ancora in vigore. Basta che essa di fatto sia da tutti considerata nulla.

Quali sono le ragioni per cui il sistema del magistrato ordinario sembra preferibile al sistema della Corte costituzionale?

La ragione fondamentale è che, se il giudizio della incostituzionalità delle leggi è lasciato al Tribunale ordinario, si ha la massima probabilità che il giudizio stesso sia inspirato esclusivamente a criteri giuridici; mentre invece, se tale giudizio è affidato ad una Corte speciale, esso avrà in parte un valore giuridico, ma in parte più notevole un valore politico. La Corte, per quanto si circondi di garanzie, è pur sempre una Corte nominata dal Parlamento e, quindi, ha un carattere indiscutibilmente politico. Attraverso la nomina politica quello che influisce di più è l’ambiente politico e non quello giuridico: non sono considerazioni puramente giuridiche quelle che fanno sì che il giudizio di costituzionalità sia formato. Il giudizio di costituzionalità di una legge è un giudizio che deve avere puramente un carattere giuridico. Qualora il Parlamento voglia modificare la legge, la modifichi secondo le vie normali, non attraverso questa maniera indiretta di far pronunziare la incostituzionalità o la costituzionalità di una legge.

Inoltre, a favore della competenza del magistrato ordinario a giudicare in questa materia, vi è anche il fatto che in tal modo il giudizio non è affidato ad «una» Corte, che gli occhi del pubblico non si concentrano esclusivamente su «una» Corte. Il giudizio di costituzionalità può anche essere promosso dinanzi alle Corti inferiori. Sono i magistrati singoli che diranno: «in questa materia credo che la legge non debba essere applicata, perché non è costituzionale».

Verranno poi i magistrati superiori, che pronunceranno sentenze più ponderate e rivedute, fino ad arrivare alla sentenza superiore, da parte di quell’organo che nell’ordinamento italiano è la Corte di cassazione.

Così si crea un ambiente nel quale il giudizio è pronunziato esclusivamente per ragioni giuridiche e non per ragioni che abbiano carattere politico. Si evita inoltre, con questo sistema, l’inconveniente proprio del sistema contrario della Corte costituzionale che, una volta che di una disposizione si sia affermata la incostituzionalità (ed il giudice ordinario si limita semplicemente a riconoscere, come è detto nel progetto, che la pretesa della parte non è senz’altro da respingersi), il giudizio su quella controversia rimane sospeso. Tutto è rimesso alla Corte costituzionale la quale dichiarerà con grande apparato che la legge è incostituzionale. Manca in questa maniera un fondamento per una gradualità nel perfezionamento del giudizio nei riguardi di quel determinato caso; e si ostruisce il giudizio del magistrato sui casi ordinari. Pensa pertanto che il sistema del magistrato ordinario sia preferibile, dal punto di vista giuridico, a quello della Corte costituzionale.

Il sistema della Corte costituzionale deve essere, a suo parere, respinto, in quanto non si ha notizia di alcuna esperienza durata per qualche tempo in nessun Paese e perché si darebbe il mezzo al potere legislativo di modificare la Costituzione passando sopra alla procedura fissata nella Costituzione medesima.

MASTROJANNI è nettamente contrario all’emendamento così egregiamente illustrato dall’onorevole Einaudi. Le sue argomentazioni dimostrano che il sottoporre questioni di così grave importanza al giudice ordinario costituisce una diminuita garanzia per il popolo.

D’altra parte l’inconveniente che il giudizio dato dalla suprema Corte di cassazione non implica l’inapplicabilità della legge dichiarata incostituzionale e che quindi si venga a creare una giurisprudenza fluida e contrastante, basterebbe per ripudiare senz’altro la proposta dell’onorevole Einaudi. Così come avviene adesso, sia in diritto pubblico che in diritto privato, i giudicati della Corte di cassazione fanno stato fra le parti ed esclusivamente per quel determinato oggetto, ma non vincolano gli stessi organi della Magistratura a tener fede all’insegnamento della Corte suprema. Se tutto questo è possibile in tema di diritto pubblico e privato, non è però ammissibile in materia costituzionale, dove la certezza del diritto deve essere costante: una volta deciso che quella determinata legge è contraria alla Costituzione, nessun organo deve poterla più applicare.

L’onorevole Einaudi ha anche lamentato l’inconveniente che per primi si sperimenti l’istituto della Corte costituzionale. Tale preoccupazione è, a suo parere, infondata, perché la composizione stessa della Corte costituzionale, formata di magistrati, avvocati e persone di indiscussa competenza, offre la garanzia che l’alto Collegio saprà egregiamente assolvere l’altissimo compito, pur senza far riferimento alle esperienze passate, le quali, d’altra parte, in una tale materia è dubbio che potrebbero dare lumi. Si tratta di risolvere problemi di diritto costituzionale, così come li risolverebbe il giudice di Tribunale o il pretore, ma con maggiore competenza e più alta serenità, come si addice all’alto consesso.

Altre ragioni non vi hanno che possano indurre a seguire la proposta dell’onorevole Einaudi, mentre gli inconvenienti che derivano dall’emendamento sono evidenti, inconvenienti che possono anche essere esasperati da problemi procedurali. A chi spetterebbe, infatti, la competenza di decidere sulla incostituzionalità della legge: al pretore, al Tribunale, alla Corte d’appello, o addirittura alla Corte di cassazione?

EINAUDI osserva che potrebbe spettare anche al conciliatore.

MASTROJANNI. La pronuncia di incostituzionalità di una legge che richiede indubbiamente indagini molto difficili e complicate, a suo avviso, esula dalla competenza del conciliatore. Ma i fatti che maggiormente preoccupano la pubblica opinione, per quanto riguarda le garanzie costituzionali, non sono quelli limitati al diritto privato, bensì tutti i problemi che investono la vita nazionale, ed è appunto a questi problemi che si fa riferimento e per cui si chiede l’istituzione di un organo competente e sovrano, che abbia competenza e potestà di decidere. Per tali motivi voterà contro l’emendamento dell’onorevole Einaudi.

TARGETTI è contrario all’emendamento proposto dall’onorevole Einaudi per le ragioni esposte dall’onorevole Mastrojanni, che sono le stesse che condussero la maggioranza della seconda Sezione della seconda Sottocommissione a respingere analogo emendamento proposto dall’onorevole Calamandrei. Non si dilunga pertanto a dimostrare come la maggioranza della Sezione abbia ritenuto che non sarebbe né logico, né opportuno, né pratico e neanche giustificato investire, per esempio, un vice pretore onorario di questa gravissima facoltà di apprezzare la costituzionalità o meno della legge.

Nello stesso emendamento dell’onorevole Einaudi si stabilisce la competenza della Corte di cassazione a Sezioni riunite in materia di incostituzionalità. A suo parere, questa proposta non tiene esatto conto della natura delle disposizioni contenute nella Carta costituzionale. Se la incostituzionalità di una norma si dovesse e si potesse verificare soltanto quando la legge ordinaria avesse violato dei principî strettamente giuridici stabiliti nella Carta costituzionale, allora non dovrebbe essere difficile aderire alla tesi dell’onorevole Einaudi; ma quando si tenga presente che accanto a norme di carattere strettamente giuridico la Carta costituzionale è ricca – ed alcuni critici non troppo benevoli dicono che è straricca – di affermazioni di carattere politico, filosofico e persino morale, pensa che si debba escludere la competenza della Cassazione a giudicare della incostituzionalità delle varie leggi. La costituzionalità di una legge ordinaria può essere eccepita anche in quanto contenga norme che ledono principî filosofici, morali o politici stabiliti dalla Carta costituzionale.

Basta, a suo parere, la constatazione di questa realtà a giustificare la creazione della Corte costituzionale.

CAPPI si associa alle ragioni esposte dagli onorevoli Mastrojanni e Targetti. Ricorda che l’Italia esce da un periodo nel quale si è visto con grande cinismo lacerare la Carta costituzionale; si vuole pertanto presidiare la nuova Costituzione in modo da rendere difficili quelle offese alla Costituzione che sono state così numerose e gravi durante il passato regime.

Circa il riferimento alla Corte costituzionale degli Stati Uniti fatto dall’onorevole Einaudi, osserva che ben difficilmente in Italia la maggioranza dei cittadini si uniformerebbe, come invece avviene in America, alla decisione di incostituzionalità di una legge.

Dichiara, pertanto, di essere contrario all’emendamento proposto.

LACONI avverte che la questione è già sorta in sede di seconda Sezione della seconda Sottocommissione. In sostanza, egli sostenne in quella sede che il potere di sindacare le leggi che saranno emanate dall’organo legislativo ordinario circa la loro rispondenza alla Costituzione, spetterebbe alla Costituente. E poiché vi è un limite nel tempo assegnato all’Assemblea costituente, si tratta di delegare un potere al futuro Parlamento. Ora è possibile rimettere questo potere a un organo che abbia un’investitura inferiore a quella della Costituente? A suo parere, no. Occorre proiettare nel futuro un organo che abbia una investitura altrettanto degna di quella che ha l’Assemblea costituente nei confronti della sovranità popolare.

Pensa che tale organo debba essere costituito con le stesse cautele con cui le Assemblee legislative ordinarie avranno il potere di modificare domani la Costituzione; e particolari cautele sono state appunto introdotte in questa parte della Costituzione. Così quando si è stabilito che la Corte costituzionale debba essere eletta dal Parlamento in seduta plenaria; che deve durare sette anni anziché cinque anni; che i magistrati debbano essere circondati da particolari cautele e debbano essere scelti entro certe determinate categorie, si è voluto appunto che la scelta di questi giudici sia cautelata in modo che possa corrispondere agli stessi criteri con i quali potrà domani essere riformata la Costituzione.

A questa proposta si contrappone un’altra: quella secondo cui il potere di sindacare la legge e constatare se corrisponda alla Costituzione sia rimesso alla Magistratura.

Rileva che la Magistratura in Italia non ha una investitura popolare, e quindi non è assimilabile al potere costituente e non può avere investitura di questo genere. Si è parlato di un potere di carattere tecnico, ma, a suo parere, la funzione attribuita alla Corte costituzionale ha un alto valore politico.

Ritiene che la Magistratura ordinaria non abbia tali qualità da renderla arbitra di tutta la vita democratica della Nazione.

FABBRI non aderirebbe per intero al grave problema sollevato dall’onorevole Einaudi, ma vorrebbe che si distinguesse fra la non applicazione della legge relativamente al caso singolo che si presenta davanti al magistrato e l’abrogazione della legge. Sono due ipotesi sostanzialmente diverse nella loro portata e nella loro attuazione pratica, e non nasconde la sua preoccupazione per il fatto che si è predisposto un congegno il quale è funzionante soltanto per la eventuale procedura diretta alla abrogazione della legge – e quindi con efficacia erga omnes – mentre si è trascurato completamente il caso del modesto cittadino che eccepisce davanti al magistrato ordinario la incostituzionalità di una data norma, con la possibilità che il giudice si pronunci anche favorevolmente al singolo cittadino in quel determinato caso e senza nessuna efficacia abrogatrice della legge nel confronto con la generalità dei cittadini.

Anche attualmente la possibilità di una dichiarazione di incostituzionalità di una certa norma è lasciata al magistrato, e se un pretore o un giudice del Tribunale fa questa dichiarazione, v’è la soddisfazione dell’interesse particolare per quel caso, ma non v’è nessuna ripercussione generale di abrogazione della legge.

Ora, l’avere completamente trascurato questa sostanziale differenza sottrae, a suo parere, una garanzia elementare al cittadino e lo abbandona all’apprezzamento discrezionale del giudice, il quale finisce, di fronte al caso particolare, per non investirsi della portata politica delle eccezioni sollevate dal cittadino ed esamina la eccezione soltanto limitatamente al caso particolare. Il più delle volte penserà che non vale la pena arrivare alla Corte costituzionale delle garanzie per una modestissima questione e finirà per soffocare un diritto individuale. Sono tutte ragioni di ordine pratico e contingente che lasciano molto perplessi sul testo proposto e dichiara perciò che, sotto il profilo esposto, voterà in favore dell’emendamento Einaudi.

PRESIDENTE informa l’onorevole Fabbri che nel Comitato di redazione si è lunghissimamente discusso a tale proposito; e vi era anche una proposta dell’onorevole Rossi Paolo, nel senso che per la prima volta si occupassero di queste questioni le autorità giudiziarie, e che soltanto contro le sentenze inappellabili su questioni di incostituzionalità fosse ammesso il ricorso alla Corte costituzionale.

La proposta è stata respinta, perché si è ritenuto che essa potesse dar luogo a complicazioni ed inconvenienti e che sia più pratico, nel caso che sia sollevata un’eccezione di incostituzionalità, che il giudice, quando non la ritenga infondata, la rimetta alla Corte costituzionale.

FABBRI ringrazia, avvertendo che non aveva visto l’ultimo testo.

EINAUDI desidera fare qualche rilievo, pur non avendo alcuna speranza circa l’esito della sua proposta.

Come dato di fatto, l’onorevole Laconi ha osservato che in altri Paesi, dove esiste la competenza del magistrato ordinario, le condizioni sono diverse, perché i magistrati sono elettivi. Ora, le cose non stanno così: i magistrati federali americani non sono elettivi; particolarmente poi quelli della Corte suprema sono nominati dal Presidente a vita, e non hanno neppure l’obbligo – se non quando la loro coscienza lo comanda – di andare in pensione; e si videro così giudici che sorpassarono l’età di novant’anni e rimanevano fermi al loro posto.

Condivide una preoccupazione dell’onorevole Laconi. Dato il tipo della Costituzione, non vede quale questione concreta di diritto civile o di diritto penale non possa essere portata dinanzi alla Corte. costituzionale. A suo parere, vi sarà sempre qualche cosa che permetterà di dire ad una parte che c’è una violazione della legge costituzionale. Le disposizioni relative ai diritti dei cittadini sono talmente ampie – è stato notato che esse hanno un valore morale e politico più che giuridico – che crede non vi sarà questione la quale non possa essere portata dinanzi alla Corte costituzionale. Con tutta probabilità, per un lungo tempo – sino a che non sia consolidata una certa giurisprudenza – vi sarà un ingorgo spaventoso di questioni. L’esperienza, a questo riguardo, è abbastanza probante. La massima parte delle questioni che sono state portate finora dinanzi alla Corte suprema nel solo Paese dove questo sistema di giudizio di costituzionalità ha una lunga durata, sono dovute a due o tre parole inserite nella Costituzione, ossia che ogni persona – e la persona essendo stata interpretata come persona fisica e giuridica, anche tutti gli enti morali e le società per azioni hanno avuto la possibilità di valersi della norma – ha diritto di essere giudicata secondo un giusto procedimento di legge.

Facendo ricorso a queste poche parole, moltissime questioni sono andate dinanzi alla Corte suprema per giudizio di incostituzionalità; e quella norma così generica è l’arma più frequente di cui quella Corte si serve per dichiarare l’incostituzionalità delle leggi. Si può immaginare quello che accadrà in Italia, dove non poche, ma infinite parole possono fornire argomento a giudizi di incostituzionalità. Non si potrà evitare l’inconveniente che accanto ad una procedura normale, la quale spesso sarà interrotta, si avrà una procedura di incostituzionalità per decidere moltissimi casi particolari.

È stato detto che questa Corte deve ispirarsi a concetti i quali vengono fuori dalla sovranità popolare. Ma già altre volte ha avuto occasione di osservare come in materia di applicazione delle leggi tale criterio non abbia valore: l’unico criterio che ha valore è quello di vedere che cosa dice la legge costituzionale. Ora, sapere che cosa dice una legge costituzionale è compito specifico di qualunque magistrato, e qualunque magistrato – anche il più piccolo conciliatore – ha diritto di dire: «Questa disposizione che mi viene presentata e di cui si chiede l’applicazione, è in contrasto con un’altra legge, che è legge fondamentale». La sovranità popolare ha un altro mezzo congruo per sua natura di farsi valere: far votare nelle forme previste dalla Costituzione una modificazione della legge costituzionale.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Einaudi.

(Non è approvato).

NOBILE osserva che non si stabilisce nel progetto il numero dei componenti la Corte costituzionale.

PRESIDENTE informa che la questione è stata discussa a lungo e ad unanimità è stato deciso di rimetterla ad una legge che dovrà regolare il funzionamento della Corte costituzionale.

Si dice, infatti, all’articolo 4:

«La legge stabilisce le norme per la composizione, il funzionamento e le procedure della Corte costituzionale».

Avocazione dei beni di Casa Savoia.

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Einaudi ha proposto la soppressione del seguente articolo delle disposizioni finali e transitorie:

«La legge disporrà l’avocazione allo Stato dei beni di Casa Savoia».

EINAUDI crede che la materia esuli completamente dal diritto. Non esistono norme generali di diritto, le quali possano giustificare l’articolo transitorio. Farà pertanto qualche rilievo di carattere politico.

In conformità alla sua fede, in tutti i discorsi che ha fatti durante la campagna elettorale per la Costituente e per il referendum istituzionale ha sentito il dovere di dichiarare agli elettori che il suo voto era per la conservazione della monarchia.

Questa dichiarazione implicava per la sua coscienza l’ossequio ad una fede ancora più profonda, che è quella nel valore della democrazia, inteso in questo senso: che la democrazia è discussione e voto. Le parti avverse discutono e poi votano; si contano le teste e si forma una maggioranza, la quale ha il diritto di deliberare e di attuare la sua volontà; e la minoranza ha il dovere di osservare lealmente il deliberato della maggioranza.

La maggioranza si è manifestata in favore della Repubblica, e la minoranza ha il dovere dell’osservanza leale di questa volontà manifestata dalla maggioranza della popolazione. Ma crede che una Costituzione debba avere un ideale più alto di quello di ottenere dalla minoranza una semplice osservanza leale della volontà manifestata dalla maggioranza.

Questo ideale, a parer suo, è quello della cooperazione volonterosa della minoranza. Una Costituzione non funziona bene se la volontà della maggioranza non si manifesti in modo che la minoranza presti non solo osservanza leale alle leggi dello Stato, ma la sua cooperazione volonterosa. Non pretende che la maggioranza sempre si debba proporre questo ideale; ma per lo meno quando il proporselo non è di grave sacrificio, quando il non cercare questa cooperazione volonterosa da parte della minoranza reca una inutile ferita ai sentimenti e alle tradizioni della minoranza stessa.

Per queste ragioni di carattere politico vorrebbe chiedere alla maggioranza di cercare quelle vie di pacificazione le quali possono ottenere dalla minoranza – che pure è stata cospicua – un avvio alla cooperazione volonterosa, quale tutti desiderano, affinché le attuali istituzioni si perpetuino e contribuiscano al bene comune.

Non ha chiesto che sia modificato un altro articolo, il quale manda in esilio i membri della famiglia reale. L’esilio è la nemesi delle dinastie. È inutile tuttavia aggiungere a questa nemesi, propria delle famiglie reali, anche un’altra che alla minoranza potrebbe sembrare una ferita inutile, una ferita economica – che non starà a dire se abbia poca o molta importanza (crede ne abbia poca, sostanzialmente, oggi) – quando arrecando questa ferita inutile si toglierebbe un po’ di valore politico a quel voto, che tutti fanno, di dare cooperazione volonterosa alle istituzioni che si vanno creando.

Con questo non si dice che non si possa pronunciare una sentenza anche di questo genere. Non crede sia compito della Costituzione pronunciarla; non crede sia compito di un documento così solenne di scendere a disposizioni le quali hanno un carattere puramente economico: sarà la legge del Parlamento, la quale, caso mai, si pronuncerà in questo senso.

Si cerchi di far sì che le prossime elezioni si svolgano in un’atmosfera di concordia, senza che si pongano problemi, i quali possono inutilmente inasprire gli animi.

Ecco le ragioni per le quali ha proposto la soppressione dell’articolo.

MASTROJANNI rileva che già in seno alla prima Sottocommissione espresse l’opinione che non si dovesse nella Costituzione far menzione dell’avocazione dei beni di Casa Savoia. Questa menzione non può intendersi se non come avente un carattere di sanzione. Disse in quella sede che, se tale sanzione si limitasse alla confisca dei beni, di fronte alla storia si manifesterebbe una preoccupazione di carattere materialistico, facendo astrazione dagli altri più essenziali caratteri che la questione presenta.

Ora, non sembra opportuno che la Costituzione consacri nelle sue tavole un solo lato, e il meno seducente, della questione. Ecco perché, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, ritiene che sia da accogliere la proposta dell’onorevole Einaudi, nel senso di demandare alla legge ordinaria la confisca dei beni di casa Savoia.

CONTI desidera, in assoluta serenità, rendere omaggio alla buona fede degli onorevoli Einaudi e Mastrojanni. Si tratta di una questione che necessariamente divide gli spiriti: i monarchici hanno diritto di sentire e di esprimersi come si è espresso l’onorevole Einaudi; i repubblicani hanno diritto di considerare il problema da un punto di vista storico e politico.

Pensa che la dinastia, che ha dominato in Italia, non avrebbe dovuto chiudere il ciclo della sua esistenza nel placido tramonto che ha avuto la fortuna di poter guardare, allontanandosi dall’Italia. Troppo tragica è stata la fine della Patria; ed è assurdo che si continui a dire che questa fine sia dovuta al fascismo, mentre è dovuta a casa Savoia.

La dominazione sabauda in Italia è stata la dominazione di una dinastia militaresca, di una dinastia che ha fatto rivivere in Italia il Medioevo. Il fascismo è stato l’ultimo strumento sopraffattore usato dalla monarchia. Era tempo che finisse la dominazione dei Savoia.

Prima e durante la guerra si sentiva nell’animo la tragedia profonda; purtroppo era nella catastrofe che si sarebbe risolta la questione istituzionale in Italia. Non si può quindi convenire con le argomentazioni sentimentali che sono state espresse, né che si possa parlare di concetti di ispirazione materialistica. Si tratta di una situazione storica: i Savoia debbono restituire quello che hanno sottratto al Paese; questa è la base fondamentale.

Si può convenire, del resto, in una soluzione: si può dire, cioè, che la legge provvederà; ma la disposizione transitoria è necessario che resti. L’Assemblea costituente potrà fare la legge presto, in modo che nel testo definitivo della Costituzione la disposizione transitoria sia cancellata, in quanto la legge avrà già provveduto. Ma oggi la disposizione transitoria è una garanzia, perché rappresenta la tranquillità per la democrazia italiana, la quale non può condividere un pensiero che è stato nobilmente espresso dagli onorevoli Einaudi e Mastrojanni, ma che può essere tendenzioso nella mente di molti settari monarchici, i quali fanno opera di disgregazione nazionale e vogliono distruggere la Repubblica. Essi però non ci riusciranno, perché il popolo italiano saprà difenderla.

CAPPI parla anche a nome di altri colleghi, come uno il quale è stato accentuatamente repubblicano durante il periodo della campagna elettorale. Se poi è lecito un accenno personale, dirà che, nel 1923, all’indomani della marcia su Roma, quando era forse un po’ più difficile dichiararsi contro la monarchia, sulla stampa protestò contro la monarchia, che aveva tradito, e per questo subì anche un processo di Corte d’assise. Aggiunge che l’onorevole Conti, e quanti altri nutrono sentimenti repubblicani, lo troveranno, e crede con tutti i suoi colleghi al suo fianco, quando si tratterà di difendere la Repubblica contro gli eventuali assalti illegali dei monarchici. Ciò nonostante, fa osservare all’onorevole Conti che la disposizione in esame non riguarda materia costituzionale. Lo stesso onorevole Conti ha detto che sarà la Costituente a fare la legge; ma se si dà questo mandato imperativo nella Costituzione, tanto vale dire che si vuole affermare un principio costituzionale.

Ora crede che sarebbe questo l’unico esempio di una Costituzione la quale si occupi di un caso singolo. Una Costituzione, in genere, ed in particolare quella che si sta elaborando, si deve occupare o della struttura dello Stato, o di alcuni principî generali (diritti politici, diritti civili, ecc.), ma senza disposizioni di carattere individuale. Perciò quella di cui si discute, riguardante i beni privati dell’ex casa regnante, sarebbe l’unica eccezione.

Per questa ragione, egli, e, crede, anche i suoi amici, sono favorevoli a che nella Carta costituzionale non sia contenuta tale disposizione.

TARGETTI ritiene che l’osservazione dell’onorevole Cappi, che la disposizione non trovi la sua sede naturale nella Carta costituzionale, perché risolve un caso particolare e singolo, non sia meritevole di molta considerazione. Con essa non si provvede, infatti, alla sorte dei beni di una determinata famiglia, ma all’affermazione di un principio, che ha innegabilmente anche il significato di una sanzione. Senza presumere, né sperare, di persuadere i colleghi che hanno già, per un insieme di considerazioni, deciso di votare a favore dell’emendamento dell’onorevole Einaudi, prega i colleghi tutti di voler considerare che la votazione alla quale si sta per procedere assume un’importanza speciale, per le condizioni nelle quali avviene.

Si sarebbe potuto presentare il caso che una norma di questa portata non fosse stata inclusa nel progetto di Costituzione; e che qualche Commissario oggi avesse proposto di includercela. Il caso è però molto diverso, in quanto vi è una proposta già deliberata dopo ampia discussione nella prima Sottocommissione. Se vi sono stati dei voti contrari, sta di fatto che la maggioranza vi è stata favorevole ed a formarla hanno concorso anche rappresentanti di partiti non di estrema sinistra. Oggi, quindi, l’emendamento Einaudi tende alla cancellazione di una norma già approvata.

Ognuno comprende quale sia il significato di una tale deliberazione. Qui non si discute dell’ideale monarchico in confronto a quello repubblicano; non si discute neppure quella che può essere stata l’opera della dinastia di casa Savoia sin da quando il re del piccolo Piemonte divenne re d’Italia. Spera di non scandalizzare nessuno dicendo che non ha mai ritenuto tanto poco meritato alcun appellativo come quello di «Padre della Patria» dato a Vittorio Emanuele II. Tutto questo esula dalla decisione che si sta per prendere. Si può, infatti, essere stati sinceramente, fervidamente monarchici; si può essere stati ammiratori dell’opera di Vittorio Emanuele II; si può anche arrivare a chiudere gli occhi innanzi all’azione reazionaria di Umberto I, sebbene occorra certamente un fervore monarchico molto acceso per arrivare a questo; ma, innanzi alla responsabilità chiara, evidente, incontestabile della monarchia di Savoia nei confronti di quel tristissimo fenomeno che è stato il fascismo, prova un senso di sorpresa non lieta sentendo che colleghi, i quali pure professano sentimenti profondamente antifascisti, possano esitare a riconoscere che il fascismo non avrebbe potuto conquistare l’Italia e tanto meno distruggere tanta parte del Paese, materialmente e moralmente, senza la complicità di casa Savoia.

Sopra questa verità storica non può esservi alcun dubbio. Una grande preoccupazione prende gli animi dinanzi ai problemi della ricostruzione materiale d’Italia; ma vi è un problema ancora più grave, ed è quello della ricostruzione morale. Il regime fascista ha infettato la cara Italia, ha avvelenato il sangue di tanta parte degli italiani. La prima responsabilità è stata di chi ha pagato con la vita queste malefatte, ma una complicità necessaria evidentemente c’è stata. Nessun animo gentile può dolersi che la stessa sorte non abbia colpito anche gli altri direttamente responsabili; ma non si vada più oltre: non si prendano deliberazioni che, oltre a tutto, suonerebbero offesa alla memoria di tutte le vittime del regime fascista.

LAMI STARNUTI ha ascoltato con molto rispetto le parole dell’onorevole Einaudi, ma voterà contro l’emendamento da lui proposto. Mentre tutto il Paese è ancora una rovina, non crede che si debba indulgere così largamente nei confronti di chi di questa rovina e dell’immane tragedia che ha colpito il Paese è tra i primi responsabili.

L’osservazione di forma dell’onorevole Cappi non persuade. Vi sono tante cose minori nella Costituzione contro le quali osservazioni di forma non sono state levate. Crede anzi che la norma stia bene nella Costituzione per il carattere che la Costituzione ha nella storia del popolo d’Italia, e perché sarà la sanzione del sentimento e del pensiero degli italiani contro coloro che sono stati, in gran parte, gli artefici delle disgrazie e delle sciagure del Paese.

FABBRI esprime il dissenso più completo e più profondo da tutto ciò che è stato detto dagli onorevoli Conti e Targetti. Come rilievo d’ordine storico, ricorda che la eliminazione dell’istituto monarchico in Germania, avvenuta dopo la fine dell’altra guerra, non impedì minimamente, nonostante l’instaurazione della repubblica social-democratica di Weimar, tutto quello sviluppo d’ordine politico, economico e sociale che in Germania ebbe luogo con una intensità infinitamente maggiore che in Italia. Ora, avrebbe dovuto rendere accorto l’onorevole Targetti il fatto che la differenza delle due istituzioni non è la chiave risolutiva di questi processi storici, che hanno ben altri sviluppi e meritano una revisione critica ben diversa da quella che tanto l’onorevole Targetti che l’onorevole Conti hanno fatto.

La monarchia di Savoia è venuta in Italia con un plebiscito ed ha cessato di funzionare con un referendum. Sostanzialmente, e guardando la cosa in modo sintetico, era difficile trovare un istituto che si fosse meglio sviluppato su base democratica in Italia della monarchia, la quale anche nell’ultimo periodo recentissimo della sua esistenza, ha reso un grandissimo servigio, a suo parere, al Paese, in condizioni di tempo e di luogo che erano le meno propense ad una guerra civile, che in qualunque altro momento si sarebbe scatenata con conseguente inevitabilmente gravi.

In ogni modo ha l’obbligo di coscienza e di intelletto di votare a favore dell’emendamento Einaudi, per una ragione formale e per una ragione sostanziale. La ragione formale è che non trova posto in una Costituzione una disposizione che si risolve in un atto momentaneo e singolo. La ragione sostanziale è che si tratta d’un rapporto di diritto comune, e nel momento stesso in cui si vuol ristabilire il rispetto del diritto, si macchierebbe la Costituzione, a suo avviso, con un articolo deplorevole e da eliminarsi.

TOGLIATTI osserva che l’allargamento della discussione potrebbe rendere necessario prendere posizione anche sulle questioni di ordine generale e politico che sono state sollevate, cosa che all’inizio del dibattito si riteneva superfluo. Particolarmente l’onorevole Fabbri ha enormemente allargato il campo del dibattito portando un esempio storico il quale, nelle sue intenzioni, servirebbe a confutare argomenti che non ha sentito esporre da nessuno, cioè che la forma monarchica, di per sé, porterebbe, al fascismo. Questo argomento non è stato prospettato né dall’onorevole Conti, né dall’onorevole Targetti. Essi hanno unicamente formulato il giudizio storico che in Italia, nelle particolari condizioni del Secolo XX, dal 1920 al 1943, non sarebbe esistito il fascismo se non vi fosse stata la monarchia dei Savoia, la quale ha portato il fascismo al potere e ve lo ha mantenuto, nonostante che questo regime fosse contrario alla grande maggioranza del popolo.

In Germania non esisteva la monarchia, ma vi sono stati altri responsabili, e quando si parlerà della storia della Germania in tale periodo si cercherà di individuarli esattamente e spetterà al popolo tedesco colpirli, e crede che li stia già colpendo. Ma il fatto che il dibattito, contrariamente alle previsioni, si sia aperto in questa sede, dà un particolare rilievo alla discussione.

Ricorda che nella prima Sottocommissione, quando il problema fu sollevato, vi fu l’unanimità, con una eccezione, crede, o una e mezza, nel rilevare che, sollevata la questione, non si poteva prendere una decisione diversa da quella che fu presa. Tale fu particolarmente la posizione dei colleghi del gruppo democratico cristiano, i quali, per bocca del Presidente della prima Sottocommissione, dichiararono che non doveva uscire da una Commissione della Costituente italiana un voto che potesse apparire come favorevole alla monarchia.

CONTI avverte che fu proprio l’onorevole Moro, democratico cristiano, a proporre l’articolo di cui si chiede ora la soppressione.

TOGLIATTI ricorda che in sede di prima Sottocommissione propose un articolo in cui si diceva che i beni di casa Savoia erano confiscati a favore dello Stato. Per evitare che si desse un voto che, in qualche modo, potesse sembrare favorevole alla casa Savoia, aderì all’articolo proposto dall’onorevole Moro.

LUCIFERO nota che l’articolo fu approvato con nove voti favorevoli e otto contrari.

TOGLIATTI per la stessa ragione pensa che l’emendamento Einaudi debba essere respinto. L’argomento che la disposizione, che si propone di sopprimere, non ha carattere costituzionale, a suo parere, non è consistente, anzitutto per un motivo d’ordine formale, che cioè essa rientra nelle norme transitorie che regolano il passaggio dall’uno all’altro regime; vi è poi un motivo sostanziale, nel senso che una Costituzione, la quale è creata nel momento in cui, abbattuto un regime, ne sorge un altro, inevitabilmente contiene disposizioni che riflettono questo passaggio, in aderenza alla realtà storica e politica del momento.

Per tali ragioni è contrario alla proposta dell’onorevole Einaudi.

DOMINEDÒ si limiterà a poco più di una dichiarazione di voto, con estrema serenità e schiettezza. Preliminarmente condivide l’impostazione dell’onorevole Targetti e dell’onorevole Togliatti, per cui è innegabile che la questione si presenta diversamente quando si è dinanzi ad un articolo già approvato dalla Sottocommissione, sia pure a stretta maggioranza, rispetto a quel che sarebbe nel caso in cui si trattasse di una proposta nuova. Ma, ciò non ostante, osserva come nulla possa comprimere il diritto a manifestare un’esigenza che può dirsi di moralità politica. Prega i colleghi presenti di prendere atto di uno stato d’animo che muove da una valutazione obiettiva della coscienza ed esprime una buona fede che viene dall’intimo dello spirito.

Può prescindere dalle considerazioni di competenza relative alla sedes materiae, occorrendo sottolineare che qui si tratta di materia tipicamente legislativa e non già costituzionale, sia pur sotto lo schermo delle disposizioni transitorie. Prescinde altresì dalle valutazioni di merito giuridico, non essendo concepibile confisca senza condanna, né presunzione senza prova in contrario e senza distacco fra acquisizioni fatte durante il periodo sospetto o ad esso anteriori. Ma intende soprattutto far capo alle considerazioni di merito politico, espresse nobilmente dall’onorevole Einaudi, la cui argomentazione acquista tanto più rilievo quanto più si riesca a liberarsi dalla passionalità dell’ora. Aggiunge che il collega La Pira, partito questa mattina per Firenze, lo ha incaricato di riferire alla Commissione che anche egli, pur senza far valere alcuna formula di diritto di voto, si associa contro la proposta di avocazione per motivi da lui definiti di delicatezza ed umanità.

A questo titolo voterà l’emendamento Einaudi per la soppressione della proposta.

TOSATO considera la questione soprattutto da un punto di vista tecnico. Sui beni di casa Savoia non esiste ancora alcuna legge dello Stato, sebbene sia da ritenere che nell’animo della maggioranza almeno del popolo italiano, la questione sia già sostanzialmente risolta. La Costituzione dovrebbe dunque limitarsi a stabilire la forma attraverso la quale verrà stabilita la destinazione dei beni considerati. In questo modo si può andare forse incontro a quella che sembra la sostanza dell’argomentazione addotta dall’onorevole Einaudi, il quale, richiamando le norme, anche di correttezza, che governano la vita democratica, ha fatto una questione di forma, perché siano evitate quelle espressioni che possono ferire la sensibilità della minoranza, la quale accetta la Repubblica, ma conserva la sua libertà di pensiero. Perciò, senza intaccare minimamente la sostanza dell’articolo, anzi andando più in là, propone una modificazione dell’articolo 3 così formulata:

«La legge disporrà la destinazione dei beni di casa Savoia».

LUCIFERO non ha creduto di intervenire nella discussione, perché pensa che chi ha la responsabilità di redigere un testo costituzionale deve prescindere da argomenti che possono suscitare urti di passioni.

Ha avuto da elettori monarchici un mandato e lo interpreta votando a favore dell’emendamento Einaudi. E vota in tal senso non da monarchico, quale è stato ed è, anche se leale cittadino della Repubblica, ma come cittadino della Repubblica. Intende che la Repubblica italiana, che non ha voluto, ma che ha accettato e riconosce, sia uno Stato in cui vi sia giustizia per tutti e in cui non vi siano sanzioni per chi non sia stato legittimamente condannato dall’autorità giudiziaria.

CAPPI ritiene superfluo dichiarare che nell’atteggiamento da lui assunto non v’è nulla che possa sembrare a favore della monarchia.

Ad ogni modo, poiché è stato presentato l’emendamento Tosato, il quale rimette al Parlamento la questione in generale della destinazione dei beni di cui si discute, dichiara che voterà a favore di tale emendamento.

TOSATO avverte che l’onorevole Togliatti accetterebbe tale emendamento se si aggiungessero le parole: «a fini sociali».

BOZZI, prescindendo da qualunque dichiarazione di carattere politico, voterà a favore della proposta Einaudi, ritenendo che la norma non abbia carattere costituzionale, ma possa costituire eventualmente oggetto di legge ordinaria.

MÀSTROJANNI dichiara di votare a favore della soppressione dell’articolo relativo alla confisca dei beni di casa Savoia, perché tale disposizione, a suo parere, non è di carattere costituzionale e, se inserita nella Costituzione, rappresenterebbe una sanzione che contro la casa Savoia consacrerebbe alla storia l’unico giudizio che la Costituzione stessa proclama.

PERASSI osserva che coloro i quali ritengono che la disposizione in esame non ha carattere costituzionale hanno un modo per ovviare a tale scrupolo, facendo votare dall’Assemblea costituente una legge prima che sia approvata la Costituzione. La disposizione, d’altronde, può apparire come una dichiarazione solenne che riflette un giudizio storico rispetto a determinati eventi e a determinate istituzioni. Voterà pertanto contro l’emendamento Einaudi.

GRASSI dichiara che, avendo votato nella prima Sottocommissione a favore di un ordine del giorno Cevolotto che diceva: «La Sottocommissione ritiene che la questione della confisca dei beni di casa Savoia non faccia parte della materia costituzionale, pur affermando che essa dovrà essere risolta in senso positivo per mezzo di una legge speciale», voterà in favore dell’emendamento Einaudi.

CEVOLOTTO osserva che la questione della confisca dei beni di casa Savoia ha avuto uno svolgimento diverso da quello che poteva prevedere quando propose l’ordine del giorno richiamato dall’onorevole Grassi.

Aveva proposto che l’avocazione fosse disposta con una legge speciale. Questa legge non è venuta, e oggi, presentata la questione sotto un aspetto strettamente politico e specialmente dopo le dichiarazioni dell’onorevole Mastrojanni, non può che votare contro l’emendamento Einaudi.

FUSCHINI dichiara che per atto personale e sotto la sua personale responsabilità voterà contro l’emendamento Einaudi, perché ritiene che l’articolo in questione non faccia che consacrare la conseguenza della caduta della monarchia per volontà popolare.

MANNIRONI si associa all’onorevole Fuschini.

FEDERICI MARIA si associa all’onorevole Fuschini.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento Einaudi, sul quale è stata chiesta la votazione per appello nominale.

(Segue la votazione nominale).

Rispondono sì: Bozzi, Dominedò, Einaudi, Fabbri, Grassi, Lucifero, Marinaro, Mastrojanni, Uberti.

Rispondono no: Ambrosini, Cappi, Cevolotto, Conti, De Michele, De Vita, Farini, Federici Maria, Froggio. Fuschini, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Merlin Umberto, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Ravagnan, Ruini, Targetti, Togliatti, Tosato, Zuccarini.

Comunica il risultato della votazione:

Voti favorevoli 9; voti contrari 26.

(La Commissione non approva).

Vi è poi la proposta Tosato:

«La legge disporrà la destinazione dei beni di casa Savoia».

Domanda all’onorevole Tosato se egli accetta l’aggiunta Togliatti: «a fini sociali».

TOSATO, poiché la sua proposta, emendata e precisata nel senso indicato dall’onorevole Togliatti, perderebbe la sua ragion di essere, dichiara di ritirarla.

FABBRI dichiara che alcuni Commissari hanno modificato il loro atteggiamento a seguito della presentazione della proposta Tosato, a favore della quale si riservavano di votare, se l’onorevole Tosato non l’avesse ritirata.

CEVOLOTTO fa osservare che se qualcuno avesse voluto insistere sull’emendamento Tosato l’avrebbe fatto proprio.

Titoli nobiliari.

PRESIDENTE. L’ultima questione da trattare è quella relativa ai titoli nobiliari, che era stata demandata al Comitato di redazione, il quale ha formulato il seguente articolo da inserire fra le disposizioni transitorie:

«La Repubblica non riconosce titoli nobiliari. I predicati di quelli esistenti valgono soltanto come parte del nome. La legge regola la soppressione della Consulta Araldica».

Pensa che sia utile inserire qualche accenno ai titoli nobiliari fascisti.

TARGETTI circa i titoli nobiliari fascisti propone di aggiungere all’articolo formulato dal Comitato di redazione, dopo le parole: «valgono soltanto come parte del nome», le altre: «Ai titoli nobiliari concessi dopo il 28 ottobre 1922 non è riconosciuto neppure questo valore».

NOBILE si associa alla proposta dell’onorevole Targetti, perché è assolutamente inammissibile che resti qualcosa dei titoli nobiliari concessi dal fascismo.

TOGLIATTI. Basterebbe dire: «I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono soltanto come parte del nome».

PRESIDENTE pensa che la proposta dell’onorevole Togliatti soddisfi il pensiero di tutti.

LUCIFERO fa presente che la Commissione ha interpretato la frase: «la Repubblica non riconosce titoli nobiliari» nel senso di escludere ogni possibilità di concessione. Con questa formula si è voluto tener conto anche dei titoli nobiliari concessi dal fascismo.

PRESIDENTE pone ai voti la formula proposta dal Comitato di redazione con l’emendamento Togliatti:

«La Repubblica non riconosce titoli nobiliari. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono soltanto come parte del nome. La legge regola la soppressione della Consulta Araldica».

(È approvata).

La Commissione ha, così, terminato l’esame del progetto di Costituzione, che sarà presentato, nel termine stabilito, alla Presidenza della Costituente.

Resta inteso che fino al 6 febbraio, data della convocazione dell’Assemblea costituente, si potranno ancora introdurre modificazioni di forma.

La Commissione, peraltro, rimarrà attiva anche durante i lavori dell’Assemblea.

Informa che la Giunta del Regolamento stabilirà speciali norme per la discussione del progetto di Costituzione da parte dell’Assemblea costituente.

È stato incaricato già l’onorevole Perassi, che fa parte della Giunta del Regolamento, di fare le proposte al riguardo. Egli riferirà in proposito al Comitato di redazione.

TOGLIATTI crede di interpretare i sentimenti di tutti i colleghi, esprimendo al Presidente, nel momento in cui si chiude la prima parte dell’attività della Commissione, il riconoscimento di tutti per il contributo che egli ha dato ai lavori, che ha presieduto con competenza e con maestria. (Vivi applausi).

MORO si associa, anche a nome dei colleghi, ai sentimenti di gratitudine espressi all’onorevole Ruini, il quale ha presieduto con grande imparzialità, con grande comprensione e con grande amore i lavori della Commissione. Ringrazia anche i colleghi, che hanno così cordialmente collaborato in questa difficile fase della elaborazione della Costituzione italiana.

PRESIDENTE ringrazia i colleghi non solo delle parole gentili che hanno voluto rivolgergli, ma del lavoro che essi hanno fatto e che rimarrà. È sicuro che esso risulterà nella sua viva luce dinanzi all’Assemblea costituente.

Per quanto molte volte i Commissari si siano divisi su questioni particolari, sulla sostanza vi è convergenza di tendenze e di idee.

L’Italia esce da un periodo tristissimo e funesto, ma in questo anelito di libertà, in questa tendenza a costruire un ordinamento democratico, crede che vi sia il concorso di tutti i partiti.

L’approvazione della nuova Costituzione costituirà una prova della volontà e della fede di tutto il popolo italiano. (Vivi applausi).

La seduta termina alle 20.40.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Cappi, Cevolotto, Conti, De Michele, De Vita, Dominedò, Einaudi, Fabbri, Farini, Federici Maria, Froggio, Fuschini, Grassi, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lucifero, Mancini, Mannironi, Marinaro, Mastrojanni, Merlin Umberto, Molè, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Rapelli, Ravagnan, Ruini, Targetti, Togliatti, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Ghidini, Lussu.

Erano assenti: Amadei, Basso, Bordon, Bulloni, Calamandrei, Canevari, Cannizzo, Castiglia, Codacci Pisanelli, Colitto, Corsanego, Di Giovanni, Di Vittorio, Dossetti, Fanfani, Finocchiaro Aprile, Giua, Gotelli Angela, Grieco, La Pira, Leone Giovanni, Lombardo, Marchesi, Merlin Angelina, Paratore, Pesenti, Piccioni, Porzio, Rossi Paolo, Taviani, Terracini, Togni, Tupini.

ANTIMERIDIANA DI SABATO 1° FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

ADUNANZA PLENARIA

28.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 1° FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI

INDICE

Le autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Mannironi – Fabbri – Nobile – Ambrosini – Grassi – Dominedò – Molè – Uberti – Perassi – Targetti – Tosato – Einaudi – Bozzi – Moro – Lami Starnuti – Laconi – Conti – Togliatti – Fuschini – Iotti Leonilde – Cevolotto.

La seduta comincia alle 10.05.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE proseguendo nell’esame degli articoli relativi alle autonomie locali, avverte che all’articolo 4, riguardante la potestà legislativa di competenza della Regione, l’onorevole Mannironi propone di aggiungere, nell’elencazione delle materie, alla voce: «modificazioni delle circoscrizioni comunali», le parole: «e provinciali».

MANNIRONI osserva che il suo emendamento avrebbe avuto indubbiamente maggior rilievo, se fosse stato approvato l’emendamento proposto ieri dall’onorevole Targetti per la conservazione della Provincia. Comunque, ritiene di dover insistere nella sua proposta.

In sostanza, la Provincia, anche se perde la sua qualifica di ente autarchico, rimane sempre come ente amministrativo, come circoscrizione amministrativa della Regione; non solo, ma resterà sovrattutto anche come un ente, nel quale sarà decentrata una parte dell’amministrazione centrale. Quindi la Provincia ha una sua fisionomia, una sua individualità. In queste condizioni, pensa che il diritto a modificare eventualmente le circoscrizioni provinciali debba essere riservato alla Regione, come avviene per le circoscrizioni comunali.

Rileva che, quando alcune circoscrizioni sono state modificate dal potere centrale, si è giunti a commettere addirittura delle aberrazioni; e cita il caso della sua Provincia, Nuoro, alla quale furono assegnati Comuni situati a pochi chilometri da Cagliari. Ora questi errori sarebbero evitati, indubbiamente, se la modifica delle circoscrizioni provinciali fosse riservata alla competenza della Regione.

Insiste pertanto nel suo emendamento.

FABBRI non può aderire alla proposta dell’onorevole Mannironi, soprattutto per una ragione di armonia. Osserva infatti che è già stato approvato un emendamento proposto dall’onorevole Ambrosini all’articolo 2, nel senso che le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale e statale. Ciò significa che i servizi provinciali saranno di natura statale e regionale. Attualmente circa il 90 per cento, cioè la grande maggioranza di questi servizi, è di natura esclusivamente statale (Intendenze di finanza, Tribunali, Uffici delle imposte, ecc.), mentre una piccola parte è di natura tipicamente provinciale (strade, brefotrofi, manicomi, ecc.). L’assegnazione alla competenza esclusiva della Regione dell’ordinamento delle Provincie, renderebbe il capoluogo di Regione arbitro di disporre su servizi, i quali emanano direttamente dall’autorità centrale dello Stato.

NOBILE si associa alle considerazioni esposte dall’onorevole Fabbri, rilevando che la circoscrizione provinciale ha più interesse per lo Stato che non per la Regione; e che non si potrebbe ammettere, in alcun modo, che fosse soltanto la Regione a modificare le circoscrizioni provinciali.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di emendamento dell’onorevole Mannironi.

(Non è approvata).

Avverte che l’onorevole Ambrosini ha presentato la proposta di sopprimere nel penultimo comma dell’articolo 8 («La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge costituzionale») la parola «costituzionale».

La pone ai voti.

(È approvata).

Segue un altro emendamento dell’onorevole Ambrosini all’articolo 12, inteso ad aggiungere nel primo comma, dopo le parole: «o gravi violazioni di legge», le altre: «debitamente contestategli, con facoltà di dare chiarimenti».

AMBROSINI ritiene di non aver bisogno di illustrare il suo emendamento, il quale mira a porre il Consiglio regionale nella possibilità di dare quegli eventuali chiarimenti che possano dissipare le preoccupazioni sorte nel Governo.

GRASSI prega l’onorevole Ambrosini di non insistere nel suo emendamento, in quanto con esso si verrebbe a stabilire un procedimento disciplinare fra Governo e Regione. Si tratta di un principio che non è dignitoso fissare nella Costituzione ma che può invece benissimo esplicarsi nella pratica.

PRESIDENTE concorda con l’osservazione dell’onorevole Grassi.

AMBROSINI non insiste nel suo emendamento.

PRESIDENTE pone in discussione l’emendamento proposto dallo stesso onorevole Ambrosini all’articolo 13, inteso a sopprimere nell’ultimo comma le parole: «ed il Governo consente».

Ritiene che l’emendamento dell’onorevole Ambrosini, abbia lo scopo di affermare che anche se il Governo non consente, la legge regionale può ugualmente entrare in vigore prima dei termini indicati.

AMBROSINI non crede sia questa l’interpretazione da dare all’emendamento. Essendo già prescritto nella prima parte dell’ultimo comma che le leggi regionali debbono essere vistate dal commissario del Governo, è superfluo che si chieda un consenso al Governo: questo deve intendersi dato implicitamente con il visto del Commissario. La soppressione proposta non incide quindi sulla sostanza ma riguarda semplicemente la forma e vuole evitare una ripetizione.

NOBILE potrebbe anche concordare con l’onorevole Ambrosini, ma teme che il testo, modificato nel senso richiesto, possa dar luogo ad equivoci. Sarebbe quindi per il mantenimento della formula adottata dal Comitato di redazione.

DOMINEDÒ rileva che, nonostante gli intendimenti dell’onorevole Ambrosini, vi potrebbe essere un divario sostanziale fra la formulazione originaria e quella modificata, considerando che il visto del Commissario attiene di regola ad un vero intervento di legalità, mentre nel consenso del Governo è inclusa una valutazione di merito. Per tale ragione, voterà contro la proposta di emendamento.

MOLÈ concorda con l’onorevole Dominedò.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento Ambrosini.

(Non è approvato).

Sottopone ora alla Commissione l’emendamento presentato dall’onorevole Perassi, il quale all’articolo 6, ultimo comma, propone di inserire la seguente disposizione: «Le leggi dello Stato possono demandare alle Regioni il potere di emanare norme regolamentari di esecuzione».

Ricorda che in una discussione generale fu approvato che le categorie in cui si distingue la competenza delle Assemblee regionali sono: competenza diretta o esclusiva; facoltà legislativa supplettiva e concorrente; facoltà integrativa di adattamento delle norme generali emanate dallo Stato alle condizioni ed ai bisogni locali. Il Comitato di redazione aveva ritenuto che in questa categoria fosse compresa la cosiddetta potestà regolamentare, che del resto è concessa anche ai Comuni. Ad ogni modo, essendo sorto il dubbio e chiedendo l’onorevole Perassi la specificazione, pone ai voti la sua proposta di emendamento.

(È approvata).

Segue l’emendamento dell’onorevole Uberti all’articolo 14, inteso ad aggiungere il seguente comma:

«In tali circoscrizioni sono elette dai Comuni Giunte provinciali con funzioni delegate dalla Regione secondo norme da stabilirsi».

UBERTI precisa che la sua proposta è dettata dall’esigenza di ottenere una maggiore precisazione circa le funzioni delle Giunte provinciali, per le quali, in base al principio della unicità amministrativa, è meglio parlare di funzioni delegate dalla Regione.

MOLÈ ritiene sia una incongruenza che le funzioni vengano delegate dalla Regione e che, viceversa, a nominare questi delegati della Regione siano chiamati i Comuni. Chi delega, dà le funzioni.

PERASSI crede conveniente mantenere la formula che era stata adottata dalla seconda Sottocommissione che è più larga e non esclude, eventualmente, che le Giunte provinciali siano elette anche dai Consigli comunali.

Viceversa, riterrebbe opportuno precisare che queste funzioni vanno determinate non con una legge della Repubblica ma con una legge della Regione interessata. Invita, pertanto, l’onorevole Uberti a non insistere sul suo emendamento e propone che nel testo dell’articolo 14, secondo comma, adottato dalla Sottocommissione, anziché dire: «nei modi e con i poteri stabiliti da una legge della Repubblica», si dica: «nei modi e con i poteri stabiliti dalla legge regionale».

FABBRI accoglie anch’egli la prima parte dell’osservazione Perassi, che cioè sia preferibile il testo della seconda Sottocommissione al testo formulato dal Comitato di coordinamento, che può dare origine ad incertezze.

Da parte della maggioranza della seconda Sottocommissione, si era infatti pensato ad un organo che fosse in qualche modo di sorveglianza, e collaterale nella esplicazione delle funzioni amministrative da parte degli uffici decentrati della Regione. Quindi, completa soppressione di organi aventi l’autonomia degli antichi Consigli provinciali, per evitare un ritorno all’organizzazione autarchica ed autonoma della Provincia. Rimanendo però la circoscrizione provinciale, si era ritenuto necessario dare agli elementi locali una certa responsabilità inerente alla esplicazione dei vari servizi, ed istituire una sorveglianza proveniente da un principio elettorale, l’attuazione del quale sarà stabilito, secondo i modi e le forme più opportune, dalla legge.

Su questo punto è completamente d’accordo con l’onorevole Perassi per mantenere la dicitura della Commissione; senonché, quando si tratta di indicare questa legge, l’onorevole Perassi – che ha una tendenza regionalistica più spinta – dice che occorre una legge della Regione. Crede, invece, che questo ordinamento di carattere unitario per tutte le Regioni in ordine appunto al funzionamento dei servizi debba essere mantenuto. Non erede opportuno che le Giunte elettive, che saranno quali la legge dello Stato determinerà, debbano essere diverse da Regione a Regione, salvo, naturalmente, le maggiori autonomie contemplate per determinate Regioni.

A questo proposito fa presente che pur essendo contrario – come prima ha accennato – ad una tendenza regionalistica troppo spinta, è d’avviso che per le Regioni insulari e per quelle mistilingui di confine siano opportune disposizioni particolari in omaggio alla democrazia, alla libertà ed agli interessi di razze e di Paesi non del tutto italiani per lingua. Ed egli chiede alla Commissione di considerare l’opportunità – ove si mantenga il concetto di dare un ordinamento speciale alle Regioni di confine mistilingui, con riferimento specifico alla Val d’Aosta e all’Alto Adige – se non sarebbe opportuno fin da adesso includere nel secondo comma dell’articolo 3, che prevede condizioni particolari di autonomia per le due Isole e per le Regioni di confine mistilingui, anche la Venezia Giulia ed il Friuli; a meno che non si preferisca abbandonare il criterio della precisazione e parlare soltanto, in forma generica, delle due Regioni insulari e delle Regioni di confine mistilingui.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Fabbri che questi, parlando dell’emendamento Targetti, ha affermato che il testo del Comitato di redazione gli sembrava meno felice di quello della seconda Sottocommissione. Fa presente che tale testo fu discusso lungamente dal Comitato stesso. La Sottocommissione aveva stabilito che i modi di elezione della Giunta avrebbero dovuto essere stabiliti dalla legge, ciò che poteva portare anche ad un suffragio diretto. La maggioranza ha ritenuto invece che non fosse opportuno caricare di un suffragio diretto questa fioritura di elezioni che vi è nelle Regioni.

Quanto alla nuova proposta dell’onorevole Fabbri, rileva trattarsi di una questione che ha un tale riflesso di natura anche nazionale e politica che non può non metterla in discussione, se la Commissione lo ritiene. Però, la discussione dovrà essere fatta a parte, perché si tratterà di ritornare sull’articolo 3 e di modificarne la dizione.

TARGETTI dichiara di apprezzare le ragioni che hanno ispirato l’onorevole Uberti nel compilare il suo emendamento, perché vi vede un gentile pensiero verso la vecchia Provincia che alcuni si augurano possa essere fatta risorgere.

Ma la proposta dell’onorevole Uberti non gli sembra logica. Essendo stata soppressa la Provincia, è contrario anche alla istituzione di queste Giunte elettive, le quali non sarebbero altro che uffici distaccati dalla Regione; ed egli si domanda se si voglia dare l’aspetto di un corpo elettivo ad un ufficio burocratico impiegatizio. Voterà, quindi, contro l’emendamento Uberti e contro l’istituzione delle Giunte.

TOSATO si dichiara favorevole alla proposta Perassi, perché la ritiene conforme a tutto il sistema, per il quale la Giunta provinciale non è altro che un ufficio regionale decentrato. Si tratta di vedere come questo ufficio potrà essere costituito, e se rappresenti una partecipazione diretta o indiretta dei cittadini della Provincia al controllo ed alla vigilanza delle funzioni regionali nell’ambito della Provincia. Sotto questo aspetto, ritiene sia meglio adottare la formula più generica della Sottocommissione, e per questo non è favorevole a quella predisposta dal Comitato di redazione.

Proporrebbe, inoltre, un emendamento formale, alla prima parte dell’articolo 14. Dove e detto: «La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo delle circoscrizioni provinciali», sostituirebbe le parole: «a mezzo di organi provinciali».

AMBROSINI è favorevole alla proposta Uberti, in quanto crede che essa rappresenti una ulteriore precisazione di quanto ha già stabilito il Comitato di redazione. Non si tratta di una incongruenza, come ha detto l’onorevole Molè, ma si tratta di una commistione di vari elementi tale da riaffermare il principio che le circoscrizioni provinciali esistono in funzione dell’amministrazione regionale, e d’altra parte di dare un peso alla voce degli enti locali e principalmente dei Comuni. Crede che, in questi termini, la proposta Uberti possa accettarsi.

NOBILE ritiene che la proposta Uberti non sia da accettare perché sin da adesso cristallizzerebbe il modo nel quale queste Giunte debbono essere elette. I modi di poter eleggere le Giunte sono vari: vi possono essere sistemi che, forse, rispondano meglio che non la proposta Uberti alle esigenze della Provincia e della Regione.

È favorevole, quindi, alla dizione adottata dal Comitato di redazione.

UBERTI sottolinea che, effettivamente, la Provincia ha un’efficienza ed un valore. Rileva che dalla Provincia sono stati soppressi il bilancio ed il Consiglio provinciale; ma se si sopprimono le forze locali che sono nella Provincia si arriva ad un accentramento regionale quanto mai pericoloso. Se l’esistenza della Provincia avrebbe intaccato l’unità della Regione, d’altra parte occorre tener presente che un decentramento è necessario. Ora questo ha luogo attraverso un puro decentramento burocratico; cioè di organi dipendenti dalla Regione, di funzionari della Provincia: si arriverà così ad avere una Provincia gestita semplicemente dai funzionari, mentre per attuare il criterio fondamentale della utilizzazione delle forze locali nella Regione, occorre che il decentramento sia compiuto da forze di carattere locale elettive, cioè dai Comuni. Afferma, pertanto, che non si può ammettere il criterio che queste forze locali siano nominate dalla Regione, perché vi potrebbe essere domani un contrasto fra gli elementi scelti dalla Regione, che non sono espressione delle forze locali.

Non crede che si possa rimandare alla legge una questione come questa che ha rilevanza costituzionale.

EINAUDI domanda all’onorevole Uberti se, con la parola Comuni, intenda i Consigli comunali.

UBERTI risponde affermativamente.

PRESIDENTE, in base a questa precisazione, rileva che l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Uberti può essere così modificato: «In tali circoscrizioni sono elette dai Consigli comunali Giunte provinciali con funzioni delegate dalla Regione secondo norme da stabilirsi».

Lo pone ai voti in questa dizione.

(Non è approvato).

Pone ora ai voti l’emendamento Perassi, tendente a sostituire alla fine dell’articolo le parole: «da una legge della Repubblica», con le altre: «da una legge regionale».

BOZZI è contrario all’emendamento Perassi non solo per le ragioni già rilevate dall’onorevole Fabbri e dal Presidente, che cioè si viene a creare una disarmonia in questa regolamentazione, ma anche per una ragione più sostanziale. Sono state create le Regioni per eliminare l’accentramento statale; non si deve sostituire all’accentramento statale un accentramento che forse sarebbe peggiore, cioè l’accentramento regionale. Ora, se si lasciasse alla facoltà legislativa della Regione la potestà di regolare i suoi servizi interni, si potrebbe proprio arrivare all’assurdo di un accentramento regionale. Viceversa, demandando alla Repubblica una funzione unitaria, cioè la regolamentazione del decentramento burocratico nell’interno della Regione, questi pericoli sono evitati.

(L’emendamento Perassi non è approvato).

PRESIDENTE pone in discussione l’emendamento dell’onorevole Ambrosini all’articolo 16. Precisa che l’articolo 16, ultimo comma, dice:

«Il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni e degli altri enti locali è esercitato da un organo regionale in maggioranza elettivo nei modi e limiti stabiliti con leggi della Repubblica. Per le deliberazioni amministrative indicate dalla legge, l’autorità deliberante può essere invitata a riesaminare il merito della deliberazione».

L’onorevole Ambrosini propone di sostituire il comma con il seguente:

«Il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni e degli altri enti locali è esercitato dalla Regione per mezzo di una Giunta nominata dal Consiglio regionale e con l’intervento di un funzionario governativo a ciò delegato. Per le deliberazioni amministrative ecc.».

AMBROSINI dichiara che nel proporre l’emendamento è stato mosso da due scopi: uno di precisare l’organo che deve procedere alla nomina delle persone incaricate di esercitare il controllo di legittimità, l’altro di precisare che interverrà nella Giunta un funzionario governativo a ciò delegato. La portata di questa aggiunta è manifesta. Si è preoccupato della opportunità che lo Stato intervenga sul controllo di legittimità per assicurare che la legalità venga ovunque osservata e così si evitino errori o arbitrî da parte di amministrazioni locali inesperte o faziose.

Crede che l’aggiunta di questo funzionario governativo non turbi l’armonia del sistema, ma, anzi, contribuisca al suo migliore funzionamento.

PRESIDENTE osserva che con l’emendamento si altera profondamente il sistema adottato per la formazione della Commissione regionale, che cioè fosse in maggioranza elettivo, lasciando alla legge di determinare la composizione più opportuna.

MANNIRONI chiede se nel proporre il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni si intenda attribuire questo diritto di controllo in modo esclusivo alla Giunta provinciale, oppure se non si preveda la possibilità che la stessa facoltà possa essere delegata dalla Giunta provinciale a quelle Giunte comunali di cui si è parlato.

GRASSI osserva che il controllo di legittimità sui Comuni, dal momento che la Regione rappresenterà molte Provincie, non potrà essere dato da un solo organo regionale, ma bisognerà che siano gli organi provinciali a dare la possibilità ai Comuni di poter svolgere la loro vita, in quanto, date anche le grandi distanze che vi possono essere tra i vari Comuni, il controllo si renderà difficile. E d’avviso che, agli effetti di questo controllo, si potrà stabilire che esso sia esercitato per mezzo di Giunte nominate dal Consiglio regionale.

PERASSI crede si possa dire che il controllo è esercitato dalla Regione per mezzo di organi regionali.

NOBILE è d’avviso che il suggerimento dato dall’onorevole Grassi sia da accogliersi, mutando la dizione proposta dal Comitato e parlando di organi al plurale. Crede però che, per il resto, l’emendamento dell’onorevole Ambrosini sia da respingere.

Propone inoltre, in fine, il seguente comma aggiuntivo:

«Di tali organi dovrà far parte di diritto un rappresentante delegato dal Governo centrale».

AMBROSINI dichiara di accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Grassi, perché crede che il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni ed altri enti locali debba essere esercitato per mezzo di organi regionali e con l’intervento di un funzionario governativo a ciò delegato. Così gli sembra che possano tenersi in considerazione tutte le esigenze sulle quali crede che tutti siano d’accordo.

MORO richiama l’attenzione sulla connessione tra le due parti dell’articolo. Nella prima parte si prende in considerazione il controllo sulle Regioni e nella seconda quello sui Comuni. Quindi, o si scende ai particolari così nell’una come nell’altra parte, oppure non se ne parla in nessuna delle due.

PRESIDENTE concorda.

AMBROSINI osserva che, giacché si solleva una questione pregiudiziale, è bene che venga chiarita e che si ritorni anche sul primo comma per stabilire che non esistono disarmonie.

PERASSI non vede una disarmonia tra il primo comma ed il secondo, perché è chiaramente inteso che quando si parla del controllo sugli atti della Regione, l’organo centrale che eserciterà questo controllo è un organo dello Stato. Nella seconda parte dell’articolo 16 si è inteso dire che l’organo che esercita il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni è invece un organo della Regione.

La sola questione che si presenta adesso è quella di vedere se non sia il caso di non vincolare in maniera così rigida la soluzione del problema parlando di un organo regionale. È favorevole alla proposta dell’onorevole Grassi, che si riconnette all’idea dell’onorevole Ambrosini, nel senso che questo controllo sia esercitato dalla Regione per mezzo di organi provinciali, in maggioranza elettivi, e nei modi e termini stabiliti dalle leggi della Repubblica.

Ritiene che l’onorevole Nobile potrebbe non insistere nella sua proposta perché, dicendo «in maggioranza elettivo», non si esclude che vi possano essere anche membri non elettivi.

MORO è d’avviso che se si dice nella seconda parte che il controllo sugli atti del Comune spetta alla Regione, nella prima parte bisogna dire anche che spetta allo Stato per mezzo di uno o più organi.

LAMI STARNUTI è contrario alla creazione di organi provinciali secondo la formula proposta. Avrebbe preferito che l’onorevole Ambrosini avesse abolito l’aggettivo «provinciali» lasciando soltanto «organi». Sottolinea la necessità che la Commissione tenga presente che con questo testo il controllo di tutela viene soppresso e rimane soltanto il controllo di legittimità. Quindi la creazione di organi provinciali è superflua e serve soltanto ad appesantire l’apparato burocratico di controllo.

Che possa occorrere in una determinata Regione un numero maggiore di organi di controllo, può ammetterlo; ma gli sembra superfluo che ogni Provincia abbia il suo organo provinciale per il controllo di legittimità. Propone quindi che nella formulazione dell’onorevole Ambrosini sia soppressa la parola: «provinciali».

GRASSI si associa.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento nella seguente dizione:

«Il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni e degli altri enti locali è esercitato dalla Regione per mezzo di organi in maggioranza elettivi nei limiti e modi stabiliti con leggi della Repubblica».

(È approvato).

Pone in discussione l’emendamento proposto dall’onorevole Grieco all’articolo 18. Con esso non si accetta la creazione delle nuove Regioni e il loro inserimento nella Costituzione, ma si propone un articolo così formulato:

«Le Regioni sono costituite secondo la tradizionale ripartizione geografica dell’Italia. È fatta eccezione per la Valle d’Aosta, che costituisce una Regione distinta».

LACONI, illustrando l’emendamento per incarico dell’onorevole Grieco, osserva che la Commissione si è trovata dinanzi ad una molteplicità di richieste presentate con le più strane procedure. La scelta delle Regioni cui la Commissione ha proceduto ha avuto luogo secondo criteri anche empirici.

Osserva che quando si è decisa la costituzione dell’ente Regione, e quindi la sostituzione della Provincia, si è inteso dire che, benché della Regione non fosse cenno nell’ordinamento italiano, tuttavia alla Regione si era mantenuta una qualche struttura comprensiva delle vecchie circoscrizioni. Se così è, occorre dare un riconoscimento a queste circoscrizioni, che si sono mantenute durevolmente, così come sono state tramandate dalla tradizione popolare.

Non crede però che questa regola debba essere introdotta in via assoluta senza eccezione. È evidente che si dovrà aprire una possibilità perché determinate parti di una Regione possano staccarsi ed unirsi ad altre Regioni. Ed è stato appunto introdotto un articolo, il 20, nel quale si prevede che con una legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali interessati, si possa consentire la fusione di Regioni esistenti e la creazione di nuove Regioni, con un minimo di 500 mila abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino un terzo della popolazione e che la proposta sia approvata con referendum popolare.

Evidentemente, nel testo della Costituzione si è aperta una possibilità legale per addivenire alla formazione di nuove Regioni e alla divisione di quelle esistenti, qualora però le relative richieste abbiano raccolto il suffragio di una certa parte della popolazione. Ora, facendo eccezione alla procedura qui prevista, in sede di Sottocommissione è stato ritenuto di dover accettare alcune richieste, anche se formulate in base ai criteri più strani. Alcuni Commissari avevano raccolto da parte delle popolazioni interessate dei loro collegi elettorali, da parte di gruppi di amici, di uomini politici, una certa documentazione, di cui si sono fatti portatori, sostenendola con argomenti, talvolta anche validi, ma evidentemente senza alcuna procedura che avesse un minimo carattere costituzionale e potesse offrire al Paese e alla Costituente un minimo di garanzia. È stata così adottata la formulazione dell’articolo 18 che elenca le nuove Regioni.

Ora gli sembra assurdo che nella Costituzione siano previste tante cautele, si stabilisca il numero degli elettori che devono firmare le richieste, si adotti il referendum popolare, ecc., e poi la Costituente, nell’atto in cui viene decisa l’istituzione di queste Regioni, violi completamente tutto quello che ha stabilito e accetti l’istituzione delle Regioni in base ai buoni uffici presentati da un determinato numero di suoi componenti. Qualora vi fossero ragioni particolari per adottare una procedura d’urgenza, queste ragioni dovrebbero essere prese in seria considerazione. Il Governo, prima della Costituente, ha dovuto riconoscere appunto per ragioni politiche impellenti l’autonomia alla Sicilia, e ha dovuto costituire un Commissariato generale in Sardegna. Oggi nessuno può affermare che nella Regione emiliana-lunense, o nel Salento o nel Friuli, si assista a fatti così importanti, a così gravi movimenti, a tali agitazioni politiche che impongano la necessità di immediati provvedimenti.

Crede quindi che la Costituente compirà opera molto più seria e rispondente al mandato ricevuto, se nella Costituzione si farà unicamente riferimento alle Regioni storiche, che si sono tramandate nonostante il loro mancato riconoscimento nella Costituzione italiana, in quanto sono nel riconoscimento unanime delle nostre popolazioni; salvo poi ad introdurre – come giustamente è stata introdotta – una procedura che consenta in un secondo momento, a Costituzione entrata in vigore, la possibilità di costituire nuove Regioni.

CONTI, regionalista convinto, anche perché federalista, crede però che occorra esaminare il problema con molta prudenza e ponderazione. Ha già avuto modo di affermare nella seconda Sottocommissione che il criterio che lo ispira nel configurare le nuove Regioni e nel riconoscere le vecchie è questo: avere la certezza della vitalità dell’ente che si costituisce. Non potrebbe concepire un aborto, né formazioni artificiali, capricciose. Crede che il desiderio, l’aspirazione alla creazione dell’ente Regione sia profondo nelle Regioni già costituite, in quelle geografiche, tradizionali, ma che il desiderio sia vivissimo anche in altre zone del territorio. Tuttavia non si può oggi fare buon viso a tutte le richieste che vengono dalle diverse parti. Quelle che sono state esaminate, sono state esaminate con notevole prudenza. Non è proprio esatto quello che ha detto il collega Laconi, che si sia proceduto per suggestione.

Vi sono stati, comunque, movimenti da varie parti e questo dimostra, se mai, che vi è già in atto un’espressione di quell’altro elemento che si desidera entri nella soluzione del problema: una specie cioè di auto-decisione delle popolazioni. Per le Regioni che sono state iscritte nell’elenco che è nell’articolazione, questa espressione della volontà delle popolazioni si è avuta.

Si è creata, per esempio, la Regione friulana; e nessuno può negare che il Friuli sia una Regione assolutamente caratteristica, una Regione la quale da anni e anni si agita per questa sua autonomia. C’è poi un’altra Regione per la quale crede non si debba discutere: è una piccola Regione, una Provincia: il Molise. Ma se nel Friuli c’è stata sempre una viva aspirazione all’autonomia, nel Molise si è avuta tutta una serie di manifestazioni individuali e collettive per la creazione di una Regione separata.

TOGLIATTI fa presente che lo stesso si potrebbe dire, ad esempio, anche per la Valtellina.

CONTI, proseguendo, osserva che quanto al Salento vi è stata una larga discussione nella Sottocommissione. Per il Salento ci possono essere delle difficoltà; in altre parti della Puglia sono sorte delle avversioni a questa formazione. Tuttavia ritiene, d’accordo con i colleghi che hanno propugnata l’istituzione del Salento a Regione, che vi siano moltissime ragioni a sostegno di questa tesi. Basterebbe soltanto un elemento di giudizio: le Puglie hanno una lunghezza di ben quattrocento chilometri; su quattrocento chilometri, è evidente che si può fare un taglio a metà, allo scopo di rendere più facile l’amministrazione locale e l’autonomia del territorio. Non crede dunque che la Sottocommissione abbia errato nel dichiarare la costituzione di quella Regione.

Quanto alla costituzione delle Regioni emiliana-lunense ed emiliana romagnola, ritiene si tratti di una delle migliori attuazioni. Questa bipartizione dell’Emilia, cioè l’unione nella parte occidentale alla Regione lunense e nella parte orientale alla Romagna risponde alle tradizioni, in primo luogo, ed in secondo luogo alle necessità e all’economia delle popolazioni interessate.

Per la Regione emiliana-romagnola ricorda le tradizioni storiche le quali dicono che la Romagna è sempre stata con Bologna e con Ferrara: nello Stato pontificio, infatti, essa era unita con queste due città, ed era una Regione più vasta di quella odierna. E gli interessi sono tutti collegati: Bologna, Imola, Faenza, Forlì, Cesena, Rimini, sono tutte città le quali convivono, mentre non hanno nulla a che fare con Parma e Piacenza, e in genere, con quella parte della Regione emiliana. La Regione emiliana occidentale è poi nelle identiche condizioni e sente gravitare tutti i propri interessi verso La Spezia; e gli spezzini sanno di avere interessi comuni con la Provincia di Parma e in genere con quella parte settentrionale della Regione.

Non vede i motivi per cui si debbano contrastare interessi locali, di ripresa di commerci, di industrie, di trasporti, di comunicazioni, e perciò ritiene che anche la dichiarazione della possibilità di due Regioni, l’emiliana-romagnola e l’emiliana-lunense sia perfettamente legittimata.

Si dice che vi è un articolo 20 che apre l’adito alla costituzione di Regioni, quando si voglia e quando siano riconosciute dalle leggi future le condizioni necessarie per tale costituzione. È vero; ma oggi si elabora la prima legge in questo senso, si fa il primo impianto delle Regioni; le altre potranno venire; alcune potranno anche essere soppresse, riassorbite. Non si compie quindi nulla di irrimediabile compiendo questa prima regolamentazione.

D’altra parte, fa anche presente che le decisioni definitive dovranno essere prese dall’Assemblea costituente, la quale potrà anche modificare la costituzione delle Regioni in conseguenza dell’espressione di volontà diverse da parte degli interessati.

GRASSI rileva che l’emendamento dell’onorevole Grieco, là ove dice che bisogna tener conto di quelle Regioni le quali rispondono alla tradizionale ripartizione geografica dell’Italia, non afferma nulla su cui si possa essere d’accordo. Il Salento, ad esempio, rappresenta, in via geografica e in via storica, tutta una tradizione per cui si è sentito sempre come Regione a sé stante.

Comunque, è d’avviso che la procedura prevista dal progetto all’articolo 20, per la creazione di nuove Regioni, che contempla perfino un referendum popolare, è una vera prova del fuoco per una Regione.

Quanto poi all’osservazione che nessuna procedura sia stata seguita per la creazione delle nuove Regioni, ricorda invece che l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea ha esplicato indagini attraverso i vari Comuni, sì che sono pervenute dalle singole Regioni, attraverso i rispettivi Prefetti, le deliberazioni di tutti i Consigli comunali. L’Assemblea non difetterà quindi di tutto il materiale necessario per decidere. Insiste quindi per l’accoglimento del testo proposto dalla seconda Sottocommissione.

FUSCHINI vorrebbe innanzi tutto che si dicesse qual è la tradizione alla quale la proposta Grieco intende riferirsi. In essa si parla infatti della tradizione della ripartizione geografica; ma la ripartizione geografica del nostro Paese ha avuto parecchie fasi nelle quali si sono manifestate posizioni geografiche diverse. Fare quindi riferimento alla tradizione, è quanto vi può essere di più indeterminato e troppo vago per servire al fine di stabilire quelle che possono essere le Regioni. D’altra parte, se proprio ci si volesse rifare alle tradizioni veramente storiche del Paese, si giungerebbe a conclusioni assolutamente contrarie a quelle che si intende raggiungere: si dovrebbe cioè aumentare ancora il numero delle Regioni, poiché tutte le Regioni potrebbero sentirsi sollecitate, secondo l’articolo 20, a richiedere una tale suddivisione.

Desidera richiamare in modo particolare l’attenzione su un punto fondamentale messo in luce dall’onorevole Laconi, che cioè la suddivisione di cui all’articolo 18 sarebbe stata fatta in base a richieste più o meno capricciose. Risponde che, per il Friuli e per la Venezia Giulia, ad esempio, la richiesta è partita da un Comitato cittadino di cui facevano parte tutte le correnti politiche. Per quanto poi si riferisce alla Regione emiliana-lunense, osserva che tale Regione ha un suo inconfondibile carattere.

Nell’effettuare la suddivisione, la Sottocommissione non ha preso in considerazione, perciò, alcuna richiesta di carattere arbitrario, ma seri documenti pervenuti da Consigli comunali e da Deputazioni provinciali. Inoltre la Presidenza dell’Assemblea costituente, in data 1° gennaio, ha trasmesso a tutte le Deputazioni provinciali e a tutti i Comuni una circolare nella quale sono indicate le Regioni stabilite dalla seconda Sottocommissione, e si domanda, su ciò, il pensiero di tali enti locali. Le risposte non Sono ancora interamente pervenute. Ritiene pertanto che sia opportuno lanciare l’articolo 18 nel testo del Comitato di redazione, in attesa che l’Assemblea Costituente sia in possesso di tutte le risposte, pro e contro, degli enti che sono stati chiamati a riferire il loro pensiero.

Quanto all’Emilia, osserva che, anche con il criterio proposto dall’onorevole Grieco, essa avrebbe sempre il diritto storicamente e tradizionalmente, di essere costituita in Regione.

FABBRI, anche per ragioni di coerenza rispetto a quanto ha sempre affermato in sede di seconda Sottocommissione in cui è stato modestamente entusiasta della creazione dell’ente Regione, fa solo eccezione, come già appunto fece in quella sede, per alcune Regioni per le quali concorrono elementi di carattere geografico e storico, ai quali sopravvengono, per così dire, anche elementi di carattere politico. Ha aderito quindi al concetto che si possa pensare ad un ordinamento in qualche modo diverso e caratteristico, rispetto a quella che possa essere la generalità delle altre Regioni di Italia, nei confronti della Sicilia, della Sardegna e delle Regioni mistilingui di confine, fra le quali desidererebbe, anche per una ragione di fede, di speranza, nonché per la possibilità di accordi futuri con i Paesi confinanti, che si facesse menzione della Venezia Giulia.

È rimasto sempre ed è tuttora molto perplesso circa i possibili vantaggi di questo ordinamento regionalistico, anche perché essendovi innegabilmente una notevole differenza di sviluppo economico e di condizioni generali fra una parte e l’altra d’Italia, ha avuto la preoccupazione che l’istituzione delle Regioni, piuttosto che contribuire al progresso dell’Italia, potesse eventualmente essere di pregiudizio alla situazione generale del Paese, con evidente discapito delle Regioni più povere.

Quanto alla istituzione di nuove Regioni, confessa che una volta adottato il criterio regionalistico, sperava che il concetto della Regione fosse qualche cosa di più organico, e di più complesso di quello che invece è uscito dai lavori della seconda Sottocommissione; e quando si è detto che era indispensabile il requisito per le nuove Regioni dei 500 mila abitanti, ha ritenuto che il requisito stesso fosse troppo basso, e quindi si è stupito che, per il Molise, si sia ritenuto di poter prescindere dal fatto che non si arrivi nemmeno a questi 500 mila abitanti. Ed ugualmente si è stupito dell’esigenza di dividere in due l’Emilia e si è preoccupato che l’eventuale soddisfazione di paesi che si vedrebbero eletti capoluoghi di Regione, potesse esser stata presa in considerazione senza tener conto delle lacerazioni e del dolore di altri paesi vicini.

Anche rimanendo nell’esempio classico dell’Emilia, si domanda se la separazione di Modena da Bologna determini tutto quell’entusiasmo che l’onorevole Fuschini suppone. E relativamente alla Romagna, egli, originario di Forlì, ha sempre avuto molti dubbi che i veri romagnoli siano convinti che Bologna o Ferrara facciano parte della Romagna, in quanto hanno sempre creduto che la Romagna finisse a Imola. Quindi si domanda se non sia troppo affrettata l’introduzione di queste nuove Regioni.

È quindi favorevole all’emendamento Grieco, insistendo peraltro per il mantenimento della Regione del Friuli e della Venezia Giulia, per i motivi accennati.

NOBILE si dichiara anch’egli favorevole all’emendamento Grieco. Può darsi che in esso vi sia qualche indeterminatezza. Quando si parla di circoscrizioni regionali di carattere storico e geografico, si potrebbe non sapere esattamente quali siano queste Regioni; ma bisogna andare allo spirito di questo emendamento, che è evidentemente quello di ridurre al minimo la frammentazione dello Stato italiano in Regioni autonome.

Avrebbe capito la preoccupazione di creare, sviluppare, incoraggiare la vita culturale regionale, facendo rivivere una vita amministrativa locale. Se si fosse parlato soltanto di decentramento delle attribuzioni dello Stato, allora si poteva incoraggiare la via sulla quale ci si è messi. Ma il fatto è che le Regioni, così come sono configurate, hanno anche una autonomia legislativa: ognuna di queste Regioni ha un suo piccolo Parlamento al quale è attribuita una parte dell’attività legislativa dello Stato.

Non crede che si debba incoraggiare su questa via la divisione dello Stato italiano.

Fa osservare che le 22 Regioni previste significano press’a poco 2 milioni di abitanti per Regione, con un massimo di quattro Provincie per ogni Regione.

L’emendamento Grieco ha tendenza a restringere ancora questo numero. Con il progetto invece, che all’articolo 20 stabilisce essere sufficiente un minimo di 500 mila abitanti per richiedere l’istituzione di una nuova Provincia, si potrebbe arrivare all’assurdo di frazionare l’Italia in 84 Regioni autonome.

Per tali motivi, ritiene che l’emendamento Grieco come tendenza limitatrice di questo frazionamento debba essere accolto.

PRESIDENTE avverte che è stata chiesta la chiusura della discussione. La mette ai voti, riservando la parola agli oratori iscritti.

(È approvata).

IOTTI LEONILDE ha sentito da diversi colleghi parlare di un sentimento popolare largamente diffuso che potrebbe portare alla creazione delle diverse Regioni.

Non sa e non vuole neppure esaminare i casi delle Regioni del Friuli e del Salento che non conosce; vuole soltanto limitare le sue osservazioni alla Regione dove ha sempre vissuto, cioè l’Emilia.

Sostiene, senza tema di essere smentita, che questo sentimento popolare di una divisione dell’Emilia in due parti non esiste nel modo più assoluto, o esiste in gruppi molto ristretti.

D’altra parte, ritiene che l’ultimo argomento portato dall’onorevole Fuschini sia la miglior prova e il miglior sostegno all’emendamento Grieco. L’onorevole Fuschini faceva notare che in data 1° gennaio la Presidenza dell’Assemblea Costituente ha chiesto il parere a tutte le Deputazioni provinciali e comunali delle Regioni che verrebbero costituite. Ciò vuol dire che la divisione come è stata formulata nell’articolo 18 del progetto di Costituzione è una divisione artificiosa che non trova il suo consenso nel parere democraticamente espresso dalle popolazioni locali. Ritiene quindi che, proprio in base a queste ultimo argomento, occorra lasciare le Regioni così come sono in Italia, e procedere poi ad un’eventuale divisione se questa viene richiesta dalle popolazioni locali. Questo – le sembra – sarebbe stato il modo più democratico di procedere.

Quanto alla divisione dell’Emilia, non è affatto del parere dell’onorevole Fuschini, che pretende che l’Emilia sia una Regione che possa essere divisa, né è del parere dell’onorevole Conti, il quale diceva che questa divisione è stato uno dei risultati più brillanti, che Spezia deve unirsi a Parma o viceversa. Ma l’Emilia non è solo Parma. Parma è stata presa dal sogno di diventare la capitale di quella Regione, quasi per rinnovare la tradizione del vecchio Ducato di Parma e Piacenza e di Maria Luisa. Vivendo a Reggio, conosce Modena e Piacenza e può dire che colà non si sente alcun particolare affetto per La Spezia, diverso da quello sentito per qualsiasi altra città d’Italia. Inoltre l’Emilia economicamente, linguisticamente ed anche come storia è una Regione perfettamente unita, da Piacenza a Rimini.

L’onorevole Fuschini ha affermato che la storia dell’Emilia è diversa da quella delle Romagne. Questo è avvenuto nel periodo in cui l’Emilia è stata divisa, ma non si deve fare riferimento all’Italia dai molti staterelli, quando esisteva una frattura artificiale nel corpo della Patria; si deve ritornare indietro, al tempo in cui l’Italia era unita. Ora l’Italia, al tempo dei Romani, era una Regione sola. E la meravigliosa Via Emilia, che è una specie di grande canale collettore da Piacenza a Rimini, non si è mai fermata a Bologna. Non solo, ma anche geograficamente parlando, l’Emilia è la Regione più ben delimitata di tutto il Nord.

Crede quindi che produrre una frattura in questo organismo che, sotto tutti gli aspetti, rappresenta una unità fondamentale, sarebbe realmente grave errore.

Per tutte queste ragioni, si pronuncia a favore dell’emendamento Grieco, ed in via subordinata propone che, in attesa dei risultati dell’inchiesta che è stata aperta dalla Presidenza dell’Assemblea, si sospenda ogni decisione per quanto riguarda la suddivisione delle Regioni.

MORO, dato che sono in corso gli accennati accertamenti che dovranno dare fondamentali elementi di giudizio, e poiché la Commissione dei 75 non esaurisce il suo compito presentando il progetto, ma continuerà a funzionare nel corso dei lavori dell’Assemblea, fa presente che la decisione in merito potrà essere riservata a quando gli elementi di giudizio saranno in possesso della Commissione che potrà decidere senza basarsi su presunzioni e senza dar motivo a sospetti di simpatie per una Regione o per l’altra.

LAMI STARNUTI ritiene che la proposta del collega Moro possa essere accolta, e che si possa portare all’Assemblea costituente una pronuncia provvisoria, non ratificata dal giudizio della Commissione plenaria, dando la giustificazione della mancata ratifica con la mancanza degli elementi per un giudizio sicuro sulle modifiche proposte all’elenco delle Regioni indicate dal Comitato di redazione per l’autonomia regionale.

Non conosce la situazione delle nuove Regioni proposte ed approvate, se non di una, quella nella quale è vissuto e dalla quale proviene, la Regione emiliana-lunense.

Afferma che il problema, nella Regione lunense, si può dire non esista se non in piccoli cenacoli di intellettuali e di amatori delle vecchie storie d’Italia. Nella Regione lunense esiste soltanto un movimento di carattere più limitato, per l’aggregazione di una parte della Provincia alla Provincia di Spezia. Si può pensare, da parte di qualcuno, alla riunione dell’Alta Lunigiana a Parma e all’Emilia come una conseguenza necessaria della aggregazione di questa parte della Provincia alla Provincia spezzina, ma pensare, come cosa naturale, alla riunione della Lunigiana all’Emilia, è cosa, direbbe, quasi assurda. Fra la Lunigiana e l’Emilia vi sono gli Appennini, una barriera che non si supera facilmente. La riunione farebbe a ritroso il cammino di tutti i movimenti che scendono dal monte e vanno al mare.

Disse già, in seno alla seconda Sottocommissione, che mancava una istruttoria seria, precisa sulla utilità e l’opportunità della creazione di queste nuove Regioni. La deliberazione della Sottocommissione è una deliberazione di persone staccate dalla volontà e dai sentimenti delle popolazioni. Ora, si domanda, è possibile creare le Regioni senza che le popolazioni siano interrogate, esprimano il loro pensiero, riescano a far conoscere i loro desideri e i loro sentimenti? Ricorda che la stessa Sottocommissione tenne conto di queste obiezioni, già da lui ripetutamente espresse, votando un ordine del giorno per una inchiesta a posteriori rispetto alla decisione adottata, inchiesta che può essere utile dal momento che l’Assemblea costituente dovrà decidere fra alcune settimane o fra qualche mese. Questa inchiesta è in corso.

È opportuno quindi votare la sospensiva con l’intesa che all’Assemblea costituente sarà portato il testo della Sottocommissione, avvertendo che la Commissione plenaria non si è pronunciata in merito. In caso contrario, sarebbe favorevole all’emendamento dell’onorevole Grieco, che, a suo avviso, non è né impreciso né vago, ma si richiama al primitivo testo del Comitato di redazione per l’autonomia regionale, il quale, all’articolo 22 stabiliva: «Le Regioni sono costituite secondo la tradizionale ripartizione geografica dell’Italia. Esse sono»: (ed indicava le Regioni non facendo menzione delle nuove ora costituite).

Riferendosi, inoltre, ad una dichiarazione fatta ieri in merito all’articolo 4 della Carta costituzionale, osserva che si è sempre continuato a scrivere e a parlare e nel Comitato di redazione per l’autonomia regionale, ed in seno alla seconda Sottocommissione, di una Regione Tridentina e dell’Alto Adige. Richiama l’attenzione della Commissione dei 75 su tale problema, facendo presente di non essere ancora in possesso di tutti gli elementi necessari, che dovevano essere forniti dall’onorevole Battisti, e che non sono giunti in seguito alla dolorosa scomparsa di questi.

Crede ad ogni modo che la riunione del Trentino all’Alto Adige non sia opportuna.

PRESIDENTE comunica che gli è pervenuto il seguente ordine del giorno:

«La Commissione dei 75, preso in esame il problema della istituzione delle nuove Regioni già approvato dalla seconda Sottocommissione, considerato che sono in corso accertamenti presso gli organi locali delle popolazioni interessate, sospende ogni decisione in merito, riservandosi di riprendere in esame il problema non appena in possesso degli ulteriori necessari elementi di giudizio».

L’ordine del giorno è firmato dagli onorevoli Moro, Molè, Targetti, Iotti Leonilde.

Lo pone in discussione.

UBERTI propone, invece di votare la sospensiva secondo l’ordine del giorno, di dichiarare che la seconda Commissione non ha avuto modo di potersi pronunciare appunto in attesa di questa istruttoria in corso e pertanto si approva provvisoriamente il testo della seconda Sottocommissione.

GRASSI, dal momento che la. sospensiva non pregiudica gli interessi di una Regione come il Salento, voterà per la sospensiva.

FUSCHINI fa eguale dichiarazione: aderisce alla sospensiva, intendendo che essa non pregiudichi affatto quello che è stato deliberato dalla seconda Sottocommissione.

EINAUDI voterà per la sospensiva, chiedendo che, nel frattempo, insieme con le altre indicazioni, si dia anche quella del significato dell’espressione «tradizionale ripartizione geografica dell’Italia». Osserva che dal 1860 in poi le Regioni non sono esistite se non negli annuali statistici, ma non hanno mai avuto alcun significato giuridico.

PRESIDENTE mette ai voti l’ordine del giorno testé letto.

(È approvato all’unanimità).

Per associazione di temi, propone di trattare la questione della Regione Friuli-Venezia Giulia, che l’onorevole Fabbri propone di collocare nell’articolo 3, dove si parla delle Regioni mistilingui.

Domanda alla Commissione se ritiene che anche questa questione debba rimanere sospesa.

TOGLIATTI osserva che, trattandosi di altra questione, cioè di una autonomia, non debba essere sospesa. Si associa all’onorevole Fabbri.

PRESIDENTE precisa che la proposta dell’onorevole Fabbri tenderebbe ad aggiungere nel secondo comma dell’articolo 3 la Regione Friuli-Venezia Giulia alle altre (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige e Val d’Aosta) cui sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia.

DOMINEDÒ domanda se, anche allo scopo di evitare le immediate conseguenze inerenti ad una formulazione specifica, non convenga, in questa delicatissima materia, pensare ad una formulazione diversa, di carattere astratto, cioè: «Regioni insulari e quelle confinarie e mistilingui».

PRESIDENTE osserva che questa proposta era stata già avanzata, ma con scarso successo; potrebbe, comunque, essere ripresa.

CEVOLOTTO fa presente che il Friuli ha sempre domandato e domanda di essere costituito come Regione a sé; comitati di agitazione hanno diffuso opuscoli per dimostrare che il Friuli non fa parte del Veneto. E ciò è esatto sia storicamente sia dal punto di vista linguistico ed economico. Ora, a questa Regione Friuli-Venezia Giulia – che è composta essenzialmente dal Friuli, perché la Venezia Giulia è ridotta ad una parte della Provincia di Gorizia – si verrebbe a dare una autonomia speciale, uguale a quella della Sicilia e della Sardegna, che il Friuli non domanda; quindi, si verrebbe ad accentuare quella forma di esasperazione del decentramento regionale che confina con il federalismo.

È perciò assolutamente contrario all’aggiunta proposta.

PERASSI dichiara di votare a favore della proposta, anche perché la formula dell’articolo 2 non dice di quale ampiezza sarà l’autonomia attribuita alle Regioni in esso indicate; fra l’altro, nota che se per la Valle d’Aosta sarà confermato l’attuale Statuto esistente, questo sarà diverso, e cioè meno ampio, rispetto all’ordinamento regionale generale.

Per quanto concerne, in particolare, la Regione Friuli-Venezia Giulia, che sarebbe costituita dalle Provincie di Udine e di Gorizia, con la zona in parte abitata dagli allogeni, fa presente che si porrà un problema che non si pone per altre Regioni e che è affrontato nel progetto relativo all’ordinamento del Trentino attuale: il problema della lingua.

Per conseguenza, ritiene che si possa includere il Friuli-Venezia Giulia nell’articolo 3.

EINAUDI ritiene che non sia opportuno decidere rapidamente e d’improvviso su una questione così grave, che può portare conseguenze al di là del pensiero dell’onorevole Fabbri.

È d’accordo con lui sulla necessità di tener conto del fatto che la Venezia Giulia non deve mai essere dimenticata. Ma consentire senz’altro, senza alcuna richiesta, di inserirla fra le Regioni che avranno un ordinamento speciale, facendo nascere desideri di separazione doganale, come per la Valle d’Aosta, gli pare pericoloso.

PRESIDENTE constata che la proposta dell’onorevole Einaudi tende a rinviare il problema all’Assemblea.

UBERTI concorda, trattandosi di un problema politico.

PRESIDENTE osserva che se l’onorevole Fabbri insiste, dovrà mettere ai voti la sua proposta. Se egli non insiste, dovrà risultare da un ordine del giorno la decisione di rimettersi al giudizio dell’Assemblea.

CEVOLOTTO propone che nell’ordine del giorno di sospensiva già votato sia inclusa anche tale questione.

PRESIDENTE pone ai voti tale proposta.

(È approvata).

Proseguendo nell’esame degli articoli, fa presente che, all’articolo 20, l’onorevole Ambrosini ha proposto un emendamento tendente a sopprimere, nel secondo comma, la parola «costituzionale».

Lo pone ai voti.

(È approvato).

Avverte che l’articolo 21, nel testo del Comitato di redazione, dice:

«Sono regolati con leggi della Repubblica, per ogni ramo della pubblica amministrazione, il trapasso delle funzioni statali attribuite alle Regioni, e quello dei funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, che si rende necessario in conseguenza del nuovo ordinamento.

«Alla Regione sono trasferiti, nei modi da stabilire con legge della Repubblica, il patrimonio, i servizi ed il personale delle Provincie».

L’onorevole Ambrosini propone di sostituire il primo comma con il seguente:

«Il passaggio delle funzioni statali attribuite alla Regione avverrà, conformemente alle norme che saranno stabilite dalla legge, mediante decreti del Presidente della Repubblica per i singoli rami della pubblica amministrazione».

Fa presente che il Comitato aveva ritenuto che, se si adotta il sistema delle autonomie regionali, si dovrà anche dare la sensazione che questo non deve significare creazione di una nuova burocrazia, ma che la legge avrebbe dovuto attribuire gli impiegati alle Regioni, che assumono funzioni statali.

UBERTI osserva che la questione potrebbe essere posta fra le norme transitorie.

PRESIDENTE dichiara che allora resta inteso che con l’emendamento Ambrosini si è voluto togliere questa parte dell’articolo, la quale ammonisce che il passaggio dei servizi si accompagna al passaggio dei funzionari, nel modo che sarà ritenuto opportuno.

AMBROSINI osserva che, veramente, la sua proposta si limita a che si emani, invece di tante leggi, una legge generale, che regoli il passaggio sia delle funzioni che degli impiegati. La sua proposta tende cioè a semplificare l’attuazione della riforma, prevedendo che si disciplini la materia con una sola e non con molte leggi.

FABBRI fa presente che è così complesso il lavoro che si deve fare durante diversi anni per questo passaggio di funzioni dallo Stato alla Regione che stabilire ora che si faccia un’unica legge che necessariamente risulterebbe affrettata, per poi procedere con singoli decreti, non gli pare una misura prudente e rispondente a quella necessità di uniforme ponderato esame che i provvedimenti di questo genere devono richiedere. È un lavoro, ripete, che si deve svolgere durante diversi anni, e che dovrà essere assistito dagli organi competenti durante tutto il periodo di trasformazione. Quindi propone che si parli di «varie leggi» e non di una legge sola.

PRESIDENTE osserva che l’onorevole Ambrosini ha chiarito che chiedeva soltanto si parlasse di un’unica legge. Pone dunque ai voti la sua proposta.

(Non è approvata).

Dichiara che la proposta Ambrosini essendo stata respinta, rimane approvato il testo del Comitato.

La seduta termina alle 12.40.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Cappi, Cevolotto, Codacci Pisanelli, Conti, Corsanego, De Michele, De Vita, Di Vittorio, Dominedò, Einaudi, Fabbri, Farini, Federici Maria, Froggio, Fuschini, Grassi, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Pira, La Rocca, Leone Giovanni, Lombardo, Lucifero, Mancini, Mannironi, Marchesi, Marinaro, Mastrojanni, Merlin Umberto, Molè, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Targetti, Taviani, Terracini, Togliatti, Togni, Tosato, Uberti.

Assenti: Amadei, Basso, Bordon, Bulloni, Calamandrei, Canevari, Cannizzo, Castiglia, Colitto, Di Giovanni, Dossetti, Fanfani, Finocchiaro Aprile, Giua, Gotelli Angela, Grieco, Merlin Angelina, Paratore, Pesenti, Porzio, Rapelli, Tupini, Zuccarini.

In congedo: Lussu.

Assente giustificato: Ghidini.