Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI VENERDÌ 31 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

ADUNANZA PLENARIA

27.

RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 31 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI

INDICE

Sulla Magistratura

Presidente – Targetti – Leone Giovanni – Federici Maria – Iotti Leonilde – Gotelli Angela – Mancini – Cappi – Codacci Pisanelli – Molè – Cevolotto – Conti – Moro – Fabbri – Mastrojanni – Uberti.

Autonomie locali

Presidente – Targetti – Einaudi – Ambrosini – De Vita – Grassi – Laconi – Perassi – Mortati – Tosato – Mannironi – Lami Starnuti – Cevolotto – Fabbri.

La seduta comincia alle 18.30.

Sulla Magistratura.

PRESIDENTE avverte che occorre esaminare la seguente norma relativa alla Magistratura:

«I magistrati sono nominati con decreti del Presidente della Repubblica, su designazione del Consiglio superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da tirocinio. Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Il Consiglio superiore della Magistratura può, secondo le norme sull’ordinamento giudiziario, designare per la nomina magistrati onorari in tutte le funzioni attribuite dalla legge a giudici singoli, e può designare a Consigliere di cassazione professori ordinari di materie giuridiche nelle Università, ed avvocati dopo quindici anni di esercizio».

L’onorevole Targetti ha proposto di sopprimere al 1° comma le parole: «nei casi previsti dalle norme sull’ordinamento giudiziario».

TARGETTI nota che la seconda Sezione della seconda Sottocommissione deliberò l’ammissione delle donne nella Magistratura; ma questa ammissione non fu né condizionata, né limitata. Il Comitato di redazione, nel redigere e nel coordinare, ha anche emendato, perché ha aggiunto nel primo comma le parole: «nei casi previsti dalla legge sull’ordinamento giudiziario».

Evidentemente, qui c’è il pensiero e la finalità di limitare l’ammissione delle donne nella Magistratura; chi, invece, è stato favorevole a questo principio, non vede le ragioni di una tale limitazione.

I motivi addotti dai sostenitori della tesi opposta non hanno persuaso. Non si può, da una parte, ammettere la presenza, graditissima ed utilissima, nella Costituente di tante egregie colleghe; ammettere che la donna possa salire anche su una cattedra universitaria e, dall’altra, negare che la donna abbia le attitudini necessarie per diventare anche Consigliere di cassazione. Non intende diminuire il valore degli egregi magistrati che compongono le varie Sezioni della Cassazione; ma non crede di fare ingiuria a nessuno dicendo che forse c’è qualche consigliere che non ha le qualità di intuito e di capacità intellettiva che possono avere alcune donne. Queste ragioni militano contro quella limitazione implicitamente prevista dall’emendamento apportato dal Comitato di redazione.

LEONE GIOVANNI è favorevole al testo del Comitato di redazione, il quale corrisponde ai motivi che furono enunciati da qualche componente della seconda Sezione. Si disse che nessuna difficoltà esisteva per dare un più ampio respiro alla donna nella partecipazione alla vita pubblica del Paese. Già l’allargamento del suffragio alle donne costituisce il primo passo su questo piano. Si ritiene, però, che la partecipazione illimitata delle donne alla funzione giudiziaria non sia per ora da ammettersi. Che la donna possa partecipare, con profitto per la società, a quella amministrazione della giustizia dove più può far sentire le qualità che le derivano dalla sua femminilità e dalla sua sensibilità, non può essere negato: si accenna qui, oltre che alla giuria – nel caso che questo istituto sia ripristinato – a quei procedimenti per i quali è più sentita la necessità della presenza della donna, in quanto richiedono un giudizio il più possibile conforme alla coscienza popolare. Anche il Tribunale dei minorenni sarebbe la sede più idonea per la partecipazione della donna. Ma, negli alti gradi della Magistratura, dove bisogna arrivare alla rarefazione del tecnicismo, è da ritenere che solo gli uomini possano mantenere quell’equilibrio di preparazione che più corrisponde per tradizione a queste funzioni.

Pertanto, in questa prima fase si lasci alla legge sull’ordinamento giudiziario il compito di stabilire dei limiti. D’altra parte gli sembra chiaro che la formula proposta dal Comitato di redazione non stabilisce un limite vero e proprio, ma solo la possibilità di porre dei limiti attraverso la legge sull’ordinamento giudiziario; di guisa che la legge sull’ordinamento giudiziario potrà anche non fissare alcun limite. Pensa, in conclusione, che possa adottarsi il testo del Comitato di redazione.

FEDERICI MARIA si associa all’emendamento proposto dall’onorevole Targetti e non è d’accordo con quanto ha detto l’onorevole Leone, anche perché egli ha adoperato una parola che inficia tutto il suo ragionamento: ha parlato di tradizione. Senza ripetere gli argomenti già esposti dall’onorevole Targetti, dirà solamente che nel corso dei lavori presso le varie Sottocommissioni è affiorata più di una volta questa poca sensibilità maschile nel non volere far giustizia nei riguardi della donna. Nel momento in cui la Costituzione francese ha sancito che i diritti della donna sono uguali a quelli dell’uomo in tutti i settori della vita sociale e civile; quando è noto che già la Jugoslavia nell’articolo 24 della sua Costituzione sancisce l’eguaglianza assoluta della donna nei riguardi dell’uomo, come ha fatto precedentemente la Russia nel 1936, con l’articolo 122, come hanno fatto la Polonia, l’Uruguay e tanti altri Stati, pare impossibile che solamente in Italia si voglia mantenere questa inferiorità.

Ora, quando si stabilisce che il merito e la preparazione sono i soli elementi discriminatori per quanto attiene alla possibilità di aprire tutte le carriere alla donna, non vi è da aggiungere altro. Quando invece si parla di facoltà, di attitudini, di capacità, si portano argomenti deboli, che offendono la giustizia. Se è difficile, ad esempio, trovare una donna capace di comandare un Corpo d’armata, bisogna anche dire che vi sono tanti uomini incapaci. Del resto almeno una volta nella storia si ha una santa, Giovanna d’Arco, che può dare lezioni a tutti. Non si parli, quindi, di attitudine, di capacità, di facoltà: si lasci il criterio della preparazione e del merito, che può essere accettato dalle donne in genere e anche dalla coscienza nazionale, nel momento in cui si sta elaborando la Costituzione.

IOTTI LEONILDE si associa agli argomenti svolti dagli onorevoli Targetti e Federici. A suo parere i motivi addotti dall’onorevole Leone non sono molto validi perché, se è vero che si deve far sentire in certo grado la femminilità della donna, non per questo si deve precludere alla donna l’accesso agli alti gradi della Magistratura, quando abbia la capacità di arrivarci. Può anche darsi che le donne non ci arrivino; ma in questo caso si tratta di merito.

Richiama, inoltre, l’attenzione dei colleghi sulla norma della Costituzione la quale stabilisce che tutti i cittadini, di entrambi i sessi, possono accedere alle cariche pubbliche.

Il testo del Comitato di redazione, a suo parere, è in contradizione con questa norma.

GOTELLI ANGELA osserva che permettere alle donne di arrivare agli alti gradi della Magistratura non significa portarcele per forza. Gli uomini avranno sempre la possibilità di lasciarle indietro, qualora abbiano possibilità e meriti maggiori.

Pensa, in ogni caso, che, se si vuole essere coerenti, non si debba intaccare il principio dell’uguaglianza affermato nella Costituzione.

MANCINI non intende aggiungere altri argomenti a quelli addotti dal collega Targetti e a quelli così forbitamente esposti dalle elette donne che lo hanno preceduto; ma siccome è stata ricordata Giovanna d’Arco, vorrebbe anche ricordare che l’Italia non ha nulla da invidiare ad altre Nazioni, poiché ha avuto una donna, Eleonora d’Arborea, che, con la «Carta de logu», ha lasciato un’orma indelebile nella legislazione e nella storia del diritto italiano.

CAPPI, pur essendo imbarazzato nell’esprimere un parere contrario alla tesi sostenuta dall’onorevole Federici Maria, la quale si è appellata alla coscienza popolare, ha il dovere di dire che una delle ragioni principali per cui ha espresso parere contrario all’ammissione delle donne nella Magistratura è che, almeno oggi, nella coscienza popolare non v’è la convinzione che le donne possano esercitare – soprattutto indiscriminatamente – la funzione di giudice. Si dovrebbe fare, se mai, un referendum; in ogni modo riassume la ragione della sua opposizione in questa proposizione: a suo parere, nella donna prevale il sentimento al raziocinio, mentre nella funzione del giudice deve prevalere il raziocinio al sentimento.

CODACCI PISANELLI prospetta soltanto una questione di resistenza fisica. Per sua diretta esperienza, un tempo, di magistrato, afferma che in udienza alle volte la discussione si protrae per ore ed ore e richiede la massima attenzione da parte di tutti. È evidente che per un lavoro simile sono più indicati gli uomini che le donne. In altri termini, si tratta di quella stessa resistenza fisica che viene considerata allorché si parla del servizio militare. Per tali considerazioni ritiene che non sia opportuno ammettere le donne nella Magistratura.

MOLÈ dichiara di aver combattuto questa proposta sia in Consiglio dei Ministri, che in seno alla Sottocommissione, e non può che ripetere brevissimamente che ritiene non trattarsi né di superiorità, né di inferiorità della donna di fronte all’uomo nella funzione giurisdizionale: è soprattutto per i motivi addotti dalla scuola di Charcot riguardanti il complesso anatomo-fisiologico che la donna non può giudicare.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Targetti.

(La Commissione non approva).

L’onorevole Leone Giovanni ha proposto di sopprimere, al secondo comma dell’articolo in esame, le parole: «designare per la nomina magistrati onorari in tutte le funzioni attribuite dalla legge a giudici singoli, e può».

LEONE GIOVANNI rileva che l’emendamento mira all’abolizione delle magistrature onorarie in Italia, che, a suo parere, non corrispondono a quella esigenza di imparzialità, anche apparente, della quale deve essere circondato il magistrato. Il magistrato onorario, vicepretore o conciliatore, che di regola è scelto prevalentemente tra elementi tecnici, non si presenta di fronte all’opinione pubblica circondato da quell’alone di imparzialità, del quale è circondato invece il magistrato ordinario. A questi motivi ne aggiunge uno di carattere pratico, che forse non si addice alla solennità dell’Assemblea, ma che merita di essere segnalato: di fronte ad una notevole disoccupazione di intellettuali, abolendo la Magistratura onoraria, si darebbe la possibilità alla Magistratura ordinaria di allargare i suoi ruoli e di assumere con retribuzione giovani laureati, che battono alle porte dello Stato per essere decorosamente utilizzati.

CEVOLOTTO è contrario all’emendamento, non perché non comprenda il valore e le ragioni addotti dall’onorevole Leone, ma perché è convinto che in pratica, abolendo le magistrature onorarie, si metterebbero soprattutto le Preture nella impossibilità di funzionare, tenuto conto che l’amministrazione della giustizia non ha abbastanza giudici da assegnare ad esse.

TARGETTI è decisamente contrario all’emendamento dell’onorevole Leone, che va proprio contro la convinzione che si debbano aumentare i giudici onorari. Si sa, fra l’altro, che una delle ragioni per le quali il trattamento economico della Magistratura italiana è stato sempre così meschino risiede nel gran numero di magistrati. Diceva il Mortara che in proporzione non c’era nessun Paese civile che avesse un numero di magistrati pari a quelli italiani, e fin dai tempi del Mortara si sosteneva che l’espediente migliore per facilitare la risoluzione del problema del miglioramento delle condizioni economiche dei magistrati sarebbe stato quello della riduzione del loro numero – specie nei gradi inferiori – sostituendoli con magistrati onorari. Questi ultimi vanno scelti evidentemente con criteri di giustizia e non deve preoccupare la prassi seguita nel periodo fascista, nel quale la nomina a vicepretore onorario era in moltissimi casi dovuta come corrispettivo ai particolari demeriti morali che distinguevano i fascisti fra di loro. In avvenire i criteri da seguire saranno ben altri e potranno assicurare una buona scelta.

CONTI intende distinguere le due figure di magistrati onorari, vicepretore e conciliatore. Per i primi ritiene che sia necessaria la loro abolizione, anche perché è per la eliminazione di tutti gli avvocati senza cause e dei laureati senza lavoro. È pertanto contrario al punto di vista dell’onorevole Leone, il quale pensa che si debbano aprire le porte agli sfaccendati che escono dalle Università e che farebbero invece molto meglio a frequentare altre facoltà che non quella di giurisprudenza, dalla quale vengon fuori continuamente uomini che non servono a niente.

È invece favorevole al mantenimento dell’istituto del conciliatore e crede che si debba desiderare che tale istituto sia migliorato e reso più utile di quanto non sia attualmente, affidando ai conciliatori anche una competenza di carattere penale. Difatti in materia di contravvenzioni i conciliatori potrebbero rendere ottimi servizi. Ritiene inoltre che questa categoria abbia fatto sempre una buona prova; non bisogna guardare alle città dove tutto è marcio, ma ai piccoli centri, dove questo magistrato è quasi sempre persona la quale giova moltissimo a restituire la pace.

Pertanto, se vi sarà la possibilità di una votazione per divisione, voterà per il mantenimento del conciliatore e per l’abolizione del vicepretore onorario.

MORO è favorevole all’emendamento Leone, sia per ragioni di carattere teorico, in quanto pensa che la Magistratura, perfettamente organizzata in gerarchia, offra maggiori e migliori garanzie di imparzialità e di serenità nell’Amministrazione della giustizia, sia per ragioni di ordine pratico. È vero, infatti, che vi sono moltissimi laureati immeritevoli che farebbero molto meglio a dedicarsi ad altre cose, ma è altresì vero che ve ne sono di meritevoli, i quali in un momento triste come l’attuale non hanno alcuna possibilità di sistemazione. Fa poi presente che l’Amministrazione della giustizia è tra le poche attive e riesce a sostenere i propri oneri con i propri proventi.

FABBRI voterà a favore dell’emendamento Leone, non perché sia contrario ai giudici onorari, ma perché ritiene che questa funzione sia incompatibile con quella di avvocato esercitata contemporaneamente nella stessa circoscrizione giudiziaria. Ciò crea una disparità di situazioni fra i vari avvocati e disturba notevolmente il regolare funzionamento dell’Amministrazione della giustizia. Quindi, in mancanza del correttivo della incompatibilità tra le funzioni di avvocato e quella di magistrato onorario nello stesso ufficio giudiziario, voterà a favore dell’emendamento.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento Leone.

(Non è approvato).

Vi è poi la proposta dell’onorevole Conti che vorrebbe limitare la nomina onoraria ai soli conciliatori.

La pone ai voti.

(Non è approvata).

Si passa all’esame del seguente articolo:

«L’azione penale è pubblica, ed il Pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla, senza poterla in alcun caso sospendere o ritardare.

«Le udienze sono pubbliche, salvo che la legge per ragioni di ordine pubblico o di moralità disponga altrimenti.

«Tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati».

L’onorevole Targetti ha proposto di sopprimere il primo comma.

TARGETTI ricorda che con una disposizione antecedente la Carta costituzionale assicura la piena ed assoluta indipendenza anche dei magistrati del pubblico ministero, avendoli equiparati ai giudici ed avendo riconosciuto anche ad essi l’assoluta inamovibilità. Quindi non vi sono più preoccupazioni che l’azione del pubblico ministero possa essere influenzata da ingerenze del potere esecutivo.

Ora, includere nella Carta costituzionale la norma di cui al primo comma in esame significa risolvere in via incidentale una questione relativa alla discrezionalità o meno dell’azione penale. Tale materia, a suo parere, per la sua stessa natura, non trova sede acconcia nella Carta costituzionale. Questo è un problema che si trascina da lungo tempo anche nel campo dottrinario e non è questa la sede per dargli una risoluzione.

LEONE GIOVANNI riconosce che la Carta costituzionale ha perfezionato il sistema delle garanzie del pubblico ministero, pari a quello del giudice; ma, come l’onorevole Targetti stesso ha osservato, il problema dell’articolo in esame concerne il principio della discrezionalità o meno dell’azione penale. Ora, si potrebbe avere un pubblico ministero che per motivi obiettivi non promuova l’azione penale in seguito a notitia criminis. Ed allora, il problema si pone come l’ha posto l’onorevole Targetti: si deve e si può risolvere nella Carta costituzionale il principio della discrezionalità o della obbligatorietà dell’azione penale? Ritiene di sì.

Pensa che in una Costituzione la quale ha risolto problemi importantissimi, ha riconosciuto perfino il diritto di difesa del cittadino in tutti gli stadi della giurisdizione, ed ha circondato l’amministrazione della giustizia del massimo delle garanzie, lo stabilire tale principio sia un dovere di carattere costituzionale.

Il principio della obbligatorietà dell’azione penale è discusso. Non si ignora che durante il fascismo il Codice del 1930 questo principio sembrò incrinare quando si stabilì che il pubblico ministero poteva archiviare la notitia criminis senza investirne il giudice. Una legge democratica deve stabilire il principio della obbligatorietà dell’azione penale, sicché il pubblico ministero non possa archiviare, sia pure per motivi obiettivi, la notitia criminis, ma deve investire sempre il giudice, chiedendo se mai l’archiviazione.

Quest’obbligo, che corrisponde alla nostra tradizione giuridica ed ai principî di garanzia della giustizia, deve essere, a suo avviso, consacrato nella Carta costituzionale e l’articolo deve essere mantenuto nella sua integrità.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Targetti.

(Non è approvata).

In materia di ricorso in Cassazione il Comitato di redazione ha proposto la seguente norma:

«Contro le sentenze o le decisioni pronunciate in ultimo grado dagli organi giudiziari ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso in Cassazione, secondo le norme di legge».

L’onorevole Leone ha proposto di aggiungere il seguente comma:

«Una legge, da emanare nei tre mesi dalla entrata in vigore della Costituzione, riconoscerà il diritto di ricorso per Cassazione contro le sentenze attualmente non soggette ad alcun mezzo di impugnazione, ancorché emanate in tempo antecedente alla presente Costituzione».

LEONE GIOVANNI ricorda che, in materia, propose un articolo dinanzi alla seconda Sezione che, peraltro, non fu esaminato perché si osservò che non fosse opportuno in quella sede.

L’articolo, la cui sede opportuna sarebbe fra le disposizioni transitorie, mira ad ovviare ad un inconveniente determinatosi durante il periodo fascista. Come è noto, furono create, ed esistono anche attualmente, forme di giurisdizioni straordinarie nei cui confronti non è stata mai possibile l’impugnazione alla Corte di cassazione, nemmeno per difetto di giurisdizione. Il caso che ha ispirato, in sostanza, la sua proposta è quello del Tribunale militare straordinario istituito per i reati di rapina commessi in particolari circostanze. Questo Tribunale è disciplinato con la stessa procedura dei Tribunali militari di guerra, di modo che la Corte di cassazione, con una recente sentenza, ha riconosciuto che neppure per difetto di giurisdizione si possa ad essa ricorrere avverso le sentenze emanate da tale Tribunale.

Ora, nel progetto di Costituzione è stato fissato un principio che era già nel sistema giudiziario, cioè la possibilità per il cittadino di ricorrere sempre, in ultima istanza, alla Corte di cassazione, per lo meno per quanto attiene al difetto di giurisdizione. Se questa esigenza è avvertita, pensa che sia opportuno stabilire la possibilità di impugnazione con legge, la quale fissi con effetto retroattivo la possibilità di un ricorso alla Corte di cassazione. Qualora si pensi che si debba circoscrivere l’ambito di questa norma che potrebbe limitarsi al caso di difetto di giurisdizione, si potrebbero presentare emendamenti, ma esorta ad esaminare col massimo senso di responsabilità la proposta, la quale mira a ripristinare la possibilità di ricorrere sempre al supremo organo della Corte di cassazione.

PRESIDENTE osserva che sarà sempre possibile con una legge ottenere lo scopo che l’onorevole Leone si prefigge col suo emendamento.

MASTROJANNI si associa all’emendamento Leone, anche perché sullo stesso argomento ha presentato una interrogazione al Ministro Guardasigilli perché si renda possibile il ricorso in Cassazione contro le attuali sentenze, non soggette a gravame. Nella specie, oltre ai casi citati dall’onorevole Leone, vi sono quelli dell’Alta Corte di giustizia. L’incongruenza è enorme, perché sullo stesso fatto giudica prima l’Alta Corte di giustizia e successivamente la Corte d’assise straordinaria. Già la materia stessa viene sottratta al gravame quando è stata giudicata dall’Alta Corte, ed è soggetta a gravame quando è giudicata dalla Corte d’assise straordinaria. Ora, questa incongruenza inconcepibile dovrebbe essere eliminata; ma, nonostante l’interrogazione presentata, ancora non vi si è provveduto, né d’altra parte vi ha provveduto il Ministro Guardasigilli antecedente, al quale si era rivolto.

Di conseguenza ritiene opportuno che la Costituzione ne faccia menzione perché si provveda seriamente.

CEVOLOTTO voterà contro l’emendamento, sia per la ragione esposta dal Presidente, che cioè si può provvedere meglio con una legge speciale, sia perché sarebbe necessario esaminare a quali e quanti casi si riferirebbe l’articolo. Quindi, è meglio lasciare la materia alla legge speciale.

CONTI si associa all’onorevole Cevolotto.

UBERTI, date le ragioni esposte dall’onorevole Cevolotto, pensa che si potrebbe segnalare la proposta al Governo come una raccomandazione.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di segnalare l’emendamento Leone come segnalazione al Governo.

(È approvata).

Autonomie locali.

PRESIDENTE, passando al titolo relativo alle autonomie locali, pone in esame il seguente articolo:

«Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni.

«Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale».

L’onorevole Targetti ha proposto di sostituirlo col seguente:

«Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni».

Tale emendamento si ricollega ad un articolo successivo del seguente tenore:

«La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo delle circoscrizioni provinciali, che può suddividere in circondari per un ulteriore decentramento.

«Nelle circoscrizioni provinciali sono istituite Giunte nominate dai Corpi elettivi, nei modi e coi poteri stabiliti da una legge della Repubblica».

L’onorevole Targetti ha proposto di costituirlo col seguente:

«Le Provincie sono enti autarchici, con propria amministrazione elettiva, con funzioni e compiti determinati dalla legge, in correlazione con quelli specifici dei Comuni e delle Regioni».

Si tratta, in sostanza, di conservare la Provincia, non come era stato stabilito nel progetto, ma come ente autarchico.

TARGETTI. Come ha osservato il Presidente, i due emendamenti sono collegati fra di loro.

Il progetto stabilisce che il territorio della Repubblica è diviso in Regioni e Comuni. La Provincia, pertanto, sarebbe senz’altro soppressa. A suo parere la soppressione di questo ente, che non è un ente nato ieri, non appare neppure sufficientemente motivata. Da nessuna parte è venuta una motivazione che abbia l’importanza e l’efficienza necessarie per legittimare un’innovazione così profonda nell’ordinamento locale.

Si dice: la Provincia non è stata soppressa perché di essa si fa parola in qualche articolo della Carta costituzionale, ma occorre tener presente che si cadrebbe in un grave equivoco se si ritenesse che la forma nella quale la Provincia sopravvive secondo il progetto possa equivalere ad una sopravvivenza della Provincia così come è oggi.

La Carta costituzionale, infatti, prevede la Provincia come una circoscrizione amministrativa. È un organo di decentramento dell’amministrazione della Regione. Quindi non più configurabilità di un patrimonio provinciale, né esistenza di una Assemblea provinciale, non più autonomia.

Si dice che la soppressione della Provincia è conseguenza diretta della istituzione della Regione. Osserva che questa formulazione è tutt’altro che rigorosa: se la Regione nascesse a detrimento delle funzioni della Provincia e nascesse costituendosi un patrimonio di attribuzioni togliendole all’ente Provincia, il ragionamento correrebbe, ma si è d’accordo nel ritenere l’opposto, cioè che la Regione è un ente di decentramento amministrativo ed in parte anche politico, in quanto una Regione nasce sottraendo una parte di ciò che è accentrato oggi nello Stato, cioè non nasce a detrimento della Provincia.

Sembra così dimostrato che la prima considerazione, per la quale si dice che la Provincia muore perché la Regione nasce, non ha la forza convincente che le si attribuisce.

Si dice che la Provincia è un ente artificiale. Ora, pur essendo tutt’altro che contrario all’istituzione della Regione, verso la quale, anzi, ha tratto simpatia dallo studio delle opere di Carlo Cattaneo, pensa che essa non abbia l’omogeneità della Provincia, ciò che costituisce un argomento, a suo parere, inconfutabile a favore della Provincia.

Non intende riandare alle origini storiche della Provincia – (alcun dicono che la Provincia risale agli antichi romani, altri dicono che ha soltanto una vita nell’età moderna, ecc.) – ma in pratica nell’ente Provincia esiste una omogeneità innegabile di dialetti, di abitudini; vi sono anche affinità etniche, geografiche, geologiche persino.

Ora tutto questo nella Provincia si trova e purtroppo non si trova nella Regione. Una prova di ciò si ha nel movimento, al quale si assiste, inteso a creare nuove Regioni, a spezzettare cioè Regioni esistenti. Se questa omogeneità che si rimprovera non avere la Provincia, l’avesse l’ente Regione, nessuna di queste domande di spezzettamento delle Regioni esistenti sarebbe stata avanzata.

Nella Provincia è accaduto che intorno ad un capoluogo sono sorti e si sono sviluppati tanti Comuni di importanza inferiore, e fra il capoluogo e tutti questi altri Comuni si è creato un continuo scambio di relazioni e di interessi commerciali e culturali. Tante manifestazioni della vita pubblica fanno capo, al capoluogo della Provincia.

Perché allora si pensa di distruggere questo ente? Pur non essendo stato mai un ortodosso, non ha mai capito l’utilità di distruggere unicamente per rinnovare. L’esistenza di un ente è una ragione che sta a difesa della sua sopravvivenza, quando mancano serie ragioni per la sua soppressione.

Quali peccati ha mai commesso la Provincia? Nessuno.

Si dice: mantenendo in vita la Provincia come ente autonomo ed autarchico con rappresentanza popolare, si va incontro a due inconvenienti: di centuplicare gli uffici amministrativi e di aumentare gli inconvenienti della burocrazia. A suo avviso questo non è vero. Si vede nella istituzione della Regione un medicamento della piaga dell’accentramento burocratico statale. Ma non si teme che il giorno in cui saranno abolite le Provincie si vada incontro ad un accentramento burocratico regionale? La sopravvivenza della Provincia serve ad evitare questo inconveniente.

Si dice anche: ma la Provincia rimarrà priva di funzioni. Questo pericolo ci sarebbe se la Regione nascesse a detrimento della Provincia. Esso però non esiste perché, mantenendo la Provincia, se ne dovrebbero anzi aumentare le attribuzioni. Vi sono molte attribuzioni lasciate oggi a Comuni che dovrebbero essere accentrate utilmente nell’ente Provincia, come da molto tempo si sostiene.

Si dice infine: in questo modo si moltiplicano le Assemblee popolari. Crede di non sbagliare affermando che l’aumentare le Assemblee popolari sia tutt’altro che un inconveniente. Vorrebbe trovare anzi il modo di aumentarle, perché è soltanto così che si chiamano a partecipare più attivamente le grandi masse delle popolazioni alla vita collettiva.

Si è limitato ad accennare a qualcuno dei tanti argomenti che in altra sede si potranno portare a favore del suo emendamento. Non pretende di aver convinto chi da tempo ha una diversa opinione. Vorrebbe soltanto aver dimostrato che la sua proposta non è contro la Regione, ma è a tutto favore della Regione, e quindi avere indotto i colleghi a non affrettarsi a votare contro.

Occorre tener presente che se la Regione nasce sulle ceneri della Provincia, nascerà in mezzo a dei malcontenti, a recriminazioni e forse a movimenti popolari che bisogna cercare di evitare e che potranno in ogni caso rendere l’affermarsi del nuovo ente più difficile.

EINAUDI è d’accordo sulla necessità di accrescere queste Assemblee anche agli effetti dell’educazione del popolo; però crede che in questa differenza che si fa tra Regione e Provincia vi sia un grosso equivoco: le Province, come enti autarchici, non hanno niente da fare, hanno le strade e l’acqua che passano ora alla Regione. Per i manicomi non sa quale vantaggio vi sia di farli amministrare piuttosto dalla Provincia che dalla Regione. Inoltre, dal punto di vista puramente patrimoniale, non vi è una perdita, ma uno spostamento dei servizi dai contribuenti provinciali a quelli regionali.

Del resto la Provincia non muore, in quanto che i servizi a cui sono particolarmente affezionati i provinciali, non sono i servizi dell’ente autarchico, come le strade, l’acqua e i manicomi; sono altri servizi che continueranno ad esistere. Non vede nessuna ragione perché il Tribunale che è nel capoluogo di Provincia debba essere abolito, solo perché non esiste più la Provincia come ente autarchico; e così i servizi dell’agricoltura, delle foreste, ecc., apparterranno allo Stato o alla Regione, ma continueranno ad aver sede nella Provincia. Quindi le Province continueranno ad esistere per quel che valgono, per i servizi che potranno ancora essere accentrati nel capoluogo o distribuiti meglio nel loro territorio. A questo può servire bene l’istituzione nelle circoscrizioni provinciali di Giunte nominate dai Corpi elettivi, nei modi e coi poteri stabiliti da una legge della Repubblica, come è previsto nel progetto in esame.

Per queste ragioni voterà per il mantenimento del testo del Comitato di redazione.

AMBROSINI ricorda che quando il Comitato di redazione cominciò i suoi lavori, si dichiarò favorevole al mantenimento dell’ente Provincia, appunto per le preoccupazioni accennate dall’onorevole Targetti, e specialmente per le ripercussioni che la soppressione di questo ente avrebbe potuto suscitare nella pubblica opinione. Senonché, tutto l’andamento della discussione nel Comitato portò al delinearsi di una maggioranza decisamente contraria al mantenimento dell’ente Provincia; e allora il suo sforzo e di altri colleghi fu quello di mantenere in sostanza quei compiti che oggi sono esplicati dalla Provincia, eliminando semplicemente quella sovrastruttura di ente autarchico, e quindi quella speciale rappresentanza limitatamente all’assolvimento di compiti che possono contarsi sulle dita di una mano.

Ora pensa che la struttura del sistema predisposto dal Comitato di redazione possa sodisfare a tutte le esigenze, in quanto concretamente tutti gli uffici e i servizi pubblici che attualmente esistono nell’ambito della circoscrizione provinciale restano, sia il Tribunale, sia l’Intendenza di finanza, sia il Provveditorato agli studi. Occorre tener presente quelle che erano le funzioni e le caratteristiche dell’ente Provincia, come ente autarchico, e della circoscrizione provinciale, come circoscrizione puramente amministrativa.

Ora, tutti gli uffici e i servizi pubblici della circoscrizione provinciale, restando come attualmente sono, la questione si accentra semplicemente nella soppressione o meno dell’ente autarchico. La preoccupazione dell’eliminazione della rappresentanza crede possa essere superata, quando si tenga presente la disposizione di un successivo articolo per cui «nelle circoscrizioni provinciali sono istituite Giunte nominate dai Corpi elettivi, nei modi e coi poteri stabiliti da una legge della Repubblica».

Ad eliminare molte delle apprensioni di cui si è fatto interprete l’onorevole Targetti ha proposto che al comma del primo articolo in esame: «Le Province sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale», siano aggiunte le parole: «e statale».

In questo modo crede doveroso e coerente approvare il testo proposto dal Comitato di redazione.

Così pure l’onorevole Uberti ha proposto, a proposito delle Giunte previste in un articolo successivo, di sostituire alla formula: «Nelle circoscrizioni provinciali sono istituite Giunte nominate dai Corpi elettivi, ecc.», l’altra: «In tali circoscrizioni sono elette dai Comuni Giunte provinciali con funzioni delegate dalla Regione secondo norme da stabilirsi».

PRESIDENTE avverte che occorre tener conto, agli effetti della decisione da prendere, dei due emendamenti di cui ha parlato l’onorevole Ambrosini.

DE VITA è contrario all’emendamento proposto dall’onorevole Targetti e si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Einaudi. Desidera soltanto aggiungere che il problema va esaminato anche da un punto di vista dell’area di offerta dei pubblici servizi, in quanto si tratta, a suo parere, di un problema anche tecnico ed economico. I servizi pubblici potrebbero anche consorziarsi liberamente per ottenere un’area di offerta che sia consona a quella determinata Regione.

GRASSI osserva che il vecchio ordinamento considerava la Provincia sotto due aspetti diversi: un aspetto governativo e un aspetto amministrativo. Pensa che la riforma si rivolga specialmente alla questione dell’aspetto governativo della Provincia. La Regione, assorbendo tutta la funzione governativa che si svolge nelle diverse Province, non può più mantenere in vita la vecchia Provincia con la sua organizzazione attuale. Questo è il punto più essenziale della struttura dello Stato.

Per quello che riguarda l’ente Provincia dal punto di vista amministrativo, per cui funzionavano i Consigli provinciali, le Deputazioni provinciali, ecc., l’attività della Provincia era limitata alle strade, ai manicomi e agli istituti di beneficenza. Ritiene che anche creando la Regione, questa attività non possa essere tolta; ma essa rimane attraverso la formula presentata dalla Sottocommissione.

Bisogna, in sostanza, porre nettamente il problema: si vuole la Regione o no? Siccome tutta la Sottocommissione ha studiato il problema della struttura dello Stato sulla base delle Regioni, non si può prescindere da tale situazione. Infatti, se si vuole mantenere la Provincia come ente autarchico, bisogna mantenerla sotto il suo doppio aspetto governativo e amministrativo. Ma questo non si è voluto. L’azione amministrativa sarà affidata alle Regioni, ma sarà ripartita fra i diversi uffici provinciali.

Quindi è d’accordo nel mantenere ferma la disposizione così come è stata formulata dalla Sottocommissione.

LACONI è dolente di dover parlare contro la proposta Targetti, coerentemente alla posizione assunta nella Sottocommissione, perché sente le preoccupazioni da lui manifestate. Ha però l’impressione che tali preoccupazioni, vive nelle Province, siano determinate non tanto dalla scomparsa dell’ente autarchico come tale, ma dal fatto che si teme che la costituzione delle Regioni possa significare anziché un decentramento, un accentramento amministrativo. Tale preoccupazione può, a suo parere, essere eliminata considerando la Provincia come un organo di decentramento amministrativo regionale e statale.

In sostanza, alle popolazioni delle Provincie interessa che non si debba andare nel capoluogo regionale, anziché in quello provinciale, per trovare l’Intendenza di finanza, la banca, ecc. Questa preoccupazione non ha ragione d’essere, perché i capoluoghi provinciali continueranno a rimanere organi di decentramento dello Stato.

L’altra preoccupazione è quella che sorge negli stessi capoluoghi di Provincia, che sono diventati centri di commercio, di industria, di traffici, di cultura, e che costituiscono quasi un esempio di vita civica rispetto alle loro Provincie. Ad esempio, in Sardegna, il sorgere di una Provincia, quale quella di Nuoro, ha significato il formarsi di un centro culturale, con la possibilità di realizzare scambi culturali e commerciali che prima non esistevano. Anche questa preoccupazione non ha ragion d’essere, perché tali centri, così come si sono formati, continueranno a rimanere, anche se sarà soppresso l’ente autarchico.

Osserva, in definitiva, che non soltanto per una ragione di coerenza, di armonia del sistema è favorevole al testo del Comitato di redazione; ma per il fatto che, se si è giunti a costituire la Regione, è perché si vuole avere per base un’unità organica di fatto, quale non è la Provincia, che oggi esiste sulla carta ed è puramente artificiale. Ad essa si vuole sostituire un ente che abbia nella struttura del Paese un’unità storica, di tradizioni, di costumi.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Targetti:

«Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni».

Tale emendamento si collega a quello proposto poi per un successivo articolo:

«Le Provincie sono enti autarchici, con propria amministrazione elettiva, con funzioni e compiti determinati dalla legge, in correlazione con quelli specifici dei Comuni e delle Regioni».

(La Commissione non approva).

L’onorevole Ambrosini ha proposto di aggiungere al secondo comma dell’articolo in esame: «Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale» le parole: «e statale».

Pone ai voti la proposta.

(È approvata).

La Commissione è chiamata ora ad esaminare l’articolo 3:

«Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione.

«Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali adottati con leggi di valore costituzionale».

L’onorevole Perassi ha proposto di sostituire al secondo comma le parole: «con Statuti speciali adottati con leggi di valore costituzionale», le altre: «con leggi speciali di carattere costituzionale».

PERASSI fa presente che l’emendamento da lui proposto riguarda una questione di pura nomenclatura giuridica. Le ragioni sono due: una giuridica, l’altra di opportunità. Nell’articolo in esame si prevede, infatti, che a certe Regioni sarà conferito un ordinamento speciale autonomo che potrà essere più ampio di quello previsto, con disposizioni generali, per le altre Regioni dalla Costituzione stessa. In che modo si stabilisce tale autonomia speciale? L’atto che crea questo ordinamento di autonomia speciale è una legge dello Stato ed è improprio chiamarlo «Statuto». È una legge dello Stato del medesimo genere di quella del Parlamento britannico che ha dato un ordinamento autonomo all’Irlanda del nord. Basta, infatti, leggere lo Statuto per la Regione siciliana, per constatare che vi sono in esso norme le quali non si possono concepire se non come norme giuridiche emanate dallo Stato. Ciò che si vuol dire nel secondo comma dell’articolo in esame è che gli ordinamenti speciali d’autonomia per le Regioni ivi menzionate devono essere stabiliti con leggi speciali di carattere costituzionale. Perciò ha proposto di non usare l’espressione «Statuti». Ciò eliminerebbe anche l’inconveniente per cui, mentre nell’articolo 3 si parla di Statuti, nell’articolo 19 riguardante lo Statuto di ogni Regione si parla ancora di Statuto in un senso del tutto diverso. Nel secondo caso, la parola «Statuto» è giuridicamente esatta, in quanto sta ad indicare un insieme di norme giuridiche che sono emanazione di un potere legislativo della Regione, sia pure sottoposto all’approvazione con legge dello Stato. La legge di approvazione di uno Statuto regionale è una legge di approvazione in senso tecnico, che ha per oggetto lo Statuto come atto legislativo della Regione, deliberato dal Consiglio regionale. Invece, la legge costituzionale, di cui si parla nell’articolo 3, non ha l’effetto giuridico di dare l’approvazione ad un atto da essa distinto, ma è essa stessa che emana le norme costituenti l’ordinamento speciale, per una determinata Regione, anche se tali norme sono state elaborate o proposte da qualche organo locale, come è avvenuto per il decreto legislativo concernente la Sicilia.

Crede, pertanto, che la Commissione non avrà difficoltà ad approvare l’emendamento proposto, che risponde esclusivamente ad un criterio di proprietà di formulazione giuridica.

PRESIDENTE teme che per una questione di tecnica giuridica, sia pure apprezzabilissima, si vada incontro al pericolo di dare l’impressione che si voglia togliere alla Sicilia lo Statuto che ora possiede.

LACONI ritiene che la proposta dell’onorevole Perassi tenda ad annullare la differenza che si è voluto riconoscere tra l’autonomia concessa a quelle quattro Regioni e quella concessa alle altre. La proposta dell’onorevole Perassi costituisce così l’ultimo tentativo di sopprimere di fatto tale differenza. La parola «Statuto» non ha soltanto un valore lessicale; quando è stato concesso alla Sicilia lo Statuto regionale, è stata stabilita una particolare procedura studiata dalla Consulta regionale, cioè da un organo rappresentativo locale. Questo Statuto non si potrà quindi assimilare ad una legge qualsiasi, in quanto si tratta di Regioni che rivendicano dei diritti propri di fronte allo Stato. E quindi impropria la parola «legge». D’altronde la parola Statuto ha ormai una sua popolarità. Comprende l’eccezione giuridica sollevata dall’onorevole Perassi, ma, nel caso che egli fa, dovrà dirsi: regolamento interno delle Regioni. Nell’articolo in esame deve invece rimanere, a suo parere, la parola «Statuto», nella accezione comune del termine.

MORTATI ritiene che le considerazioni esposte dall’onorevole Perassi siano ineccepibili. Non può accogliere quanto ha detto l’onorevole Laconi circa l’improprietà del termine di Statuto applicato agli atti costitutivi delle varie Regioni diverse dalle quattro di cui all’articolo 3 del progetto. Statuto è infatti la parola tradizionale che serve ad indicare l’ordinamento fondamentale che ogni ente si dà, nell’ambito della sua autonomia.

Per quanto riguarda l’ordinamento della Sicilia, della Sardegna e delle zone mistilingui non è assolutamente ammissibile che si pensi di affidare alle Regioni interessate la podestà di disporlo in deroga alla Costituzione dello Stato, affidando allo Stato stesso solo un potere di ratifica.

Una soluzione di questo genere presuppone dei diritti propri delle Regioni e quindi un rapporto di natura contrattuale fra dette Regioni e lo Stato; rapporto che non è concepibile neppure negli Stati federali, nei quali, una volta che essi siano formati, è all’organo costituente dello Stato centrale che compete ogni modifica della Costituzione. Accettare la tesi, contro cui parla, significa introdurre un elemento di disgregazione, che segnerebbe la fine dell’unità nazionale.

Si potrebbe cercare di trovare una formula nella quale si faccia menzione dell’iniziativa delle Regioni, per mezzo di Statuti, per quanto non si possa negare allo Stato di intervenire, anche all’infuori di tali iniziative, col disciplinare con legge costituzionale l’ordinamento delle medesime.

In ogni caso, è da porre bene in chiaro che è alla legge costituzionale, e solo a questa (all’infuori di ogni implicito o lontano riconoscimento di diritti propri agli enti regionali, di cui all’articolo 3), che può attribuirsi il potere di concedere agli enti medesimi una posizione diversa da quella fatta alle altre Regioni dalla Costituzione.

Pertanto lo Statuto siciliano, come quello sardo, ecc., dovranno essere espressione della volontà dello Stato e dovranno essere inseriti nella Costituzione come parti integranti di questa ed essere sottoposti alla procedura di revisione prescritta per le altre norme della Costituzione medesima.

AMBROSINI si duole di trovarsi in dissenso con gli onorevoli Perassi e Mortati. La formula fu lungamente ponderata. Crede non possa dar luogo alle preoccupazioni che sono state prospettate, perché, quando si dice che lo Statuto delle quattro Regioni in questione deve essere adottato con legge di valore costituzionale, si fa riferimento alla fonte massima della potestà normativa, cioè al potere superiore a quello legislativo ordinario, al potere costituente. La competenza ad emanare tali Statuti spetta adunque allo Stato.

Osserva che non esiste contrasto fra l’articolo 3 e l’articolo 19, giacché, mentre con quest’ultimo articolo si fa riferimento agli Statuti delle Regioni in generale, che sono deliberati dalle Assemblee regionali ed approvati con legge ordinaria dello Stato, nell’articolo 3 si parla degli Statuti speciali delle quattro Regioni le quali si trovano in situazione particolare; ragione per cui ha luogo l’instaurazione di una forma speciale di autonomia. Il fatto che la proposta dello Statuto speciale provenga dalla Regione non importa affatto che la sovranità della Costituente possa essere diminuita; giacché lo Statuto deve venire approvato con legge e per giunta con una legge di importanza superiore a quella ordinaria, cioè con legge costituzionale. Lo Statuto avrà dunque il crisma soltanto dalla manifestazione della volontà dello Stato.

Non crede opportuno accennare alle gravi ragioni di indole politica che consigliano il mantenimento della dizione adottata dal Comitato di redazione, il cui abbandono potrebbe portare a quelle ripercussioni a cui ha già accennato l’onorevole Laconi. Fa soltanto presente che, se le ripercussioni sarebbero gravi in Sardegna, carattere ancora più grave avrebbero in Sicilia. Ripete, ritornando al merito della disposizione, che non vede che derivi alcun pericolo dal fatto che gli Statuti in questione si chiamino «Statuti speciali», giacché tale espressione sta ad indicare soltanto che alla Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige si attribuisce una condizione giuridica globale che può differire da quella che vengono ad avere tutte le altre Regioni. Da ciò nessun pericolo può sorgere perché l’adozione di tali Statuti speciali appartiene al legislatore in funzione di Costituente. Per queste ragioni crede che la Commissione può approvare senza preoccupazioni la formula adottata dal Comitato di redazione.

EINAUDI è favorevole all’emendamento Perassi. In sostanza si afferma dai sostenitori della formula adottata nell’articolo 3 che l’origine di queste leggi costituzionali aventi valore di Statuto per una Regione si deve ricercare nella Regione stessa. Ora, in sede di Consulta nazionale, ebbe a scrivere una relazione contro lo Statuto siciliano. È persuaso della necessità che questi Statuti provengano direttamente da leggi che siano votate dal Parlamento, così come è detto nella formula Perassi. La formulazione data ai due Statuti per la Sicilia e per la Val d’Aosta, sta a significare che è distrutta l’unità italiana, che cioè quelle determinate Regioni hanno manifestato chiaramente il desiderio di non pagare più una imposta allo Stato, pur desiderando riceverne tutti gli aiuti. Ciò significa la distruzione dello Stato italiano.

Ora, se si vuole affermare un simile principio, è necessario che sia discusso e deliberato dal Parlamento.

TOSATO è dispiacente di dover esprimere un’opinione contrastante con quella del collega Ambrosini, ma ritiene che l’emendamento Perassi sia assolutamente necessario per due considerazioni.

Quando si prevedono forme particolari di autonomie con «Statuti speciali» adottati con leggi di valore costituzionale si va al di là di quello che il concetto dello Stato unitario può ammettere. Se queste forme di autonomia si concretano in «Statuti speciali», sia pure adottati con leggi costituzionali, ciò può essere interpretato nel senso che lo Stato non ha più un potere di iniziativa in questa materia, e che gli Statuti stessi non possono essere più modificati se non col consenso delle Regioni interessate. Le quali sarebbero così legate allo Stato da un vincolo non più costituzionale, ma contrattuale. Domanda se la Commissione intende giungere fino a questo punto.

Ritiene, d’altra parte, più corrispondente agli interessi delle Regioni considerate, la possibilità di darsi esse un proprio Statuto, come è previsto per tutte le altre Regioni, Statuto, s’intende, che, in base alla più ampia autonomia loro concessa mediante apposite leggi costituzionali, potrà contemplare una più ampia sfera di poteri e di diritti.

Per queste ragioni voterà l’emendamento Perassi.

MANNIRONI rileva che, in sostanza, si è tutti d’accordo nel concetto che le leggi speciali di valore costituzionale, con le quali si riconosce l’autonomia particolare a determinate Regioni, sono leggi dello Stato, anche se si chiamano Statuti. Ora, poiché non vi può essere equivoco alcuno nella terminologia usata dal Comitato di redazione, crede che per le ragioni politiche cui hanno accennato gli onorevoli Ambrosini e Laconi sia opportuno conservare il testo proposto dal Comitato di redazione.

L’argomento che ha addotto l’onorevole Tosato non sembra convincente, in quanto è lo Stato che approva e adotta gli Statuti, ed anche se essi saranno proposti da organi regionali, lo Stato non si priva del diritto di intervenire per modificarli. Lo Stato quindi non rinuncia ad un potere che tutti gli riconoscono

LAMI STARNUTI è convinto che la formula proposta dall’onorevole Perassi sia la più propria e la voterà.

Intende però fare una esplicita riserva. Nell’articolo in esame l’espressione «Trentino-Alto Adige» solleva una questione di altra natura. Non è favorevole all’unione del Trentino con l’Alto Adige, e si riserva pertanto di esporre la propria tesi quando si discuterà della creazione delle Regioni.

CEVOLOTTO teme che l’approvazione della proposta dell’onorevole Perassi possa avere ripercussioni molto notevoli in Sicilia, che certamente vanno al di là delle intenzioni stesse dell’onorevole Perassi. Crede che l’accoglimento della sua formula sarebbe malamente interpretato e potrebbe dar luogo in Sicilia ad agitazioni o malumori causati appunto da una errata interpretazione.

PRESIDENTE crede opportuno sottolineare che la proposta avanzata non è, come è certo apparsa alla mente correttissima dell’onorevole Perassi, di semplice tecnica legislativa, ma è una proposta che avrebbe un enorme valore politico e che potrebbe essere interpretata, se non come una revocazione dello Statuto siciliano, che è già entrato in vigore, come una censura al Governo per averlo approvato.

PERASSI è convinto che la sua proposta, di pura tecnica giuridica, non dovesse sollevare nessun sospetto o preoccupazione di ordine politico, tanto più che veniva fatta da chi da ben 40 anni è favorevole alle autonomie regionali.

Per quanto concerne la Sicilia, dichiara di essere stato, fin dall’inizio, favorevole alla autonomia che le è stata concessa.

Comunque, ad evitare eventuali ripercussioni di carattere politico, ritira la proposta.

AMBROSINI dà atto all’onorevole Perassi dell’amore particolare che dimostra per le autonomie. Egli è stato sempre favorevole allo Statuto siciliano. Aggiunge che difendendo questo Statuto non si intende incrinare l’unità dello Stato: chi lo sostiene è unitario per lo meno e alla stessa stregua di chiunque altro.

PRESIDENTE. Nessuno ne ha mai dubitato.

TOSATO osserva che non si tratta soltanto di una questione di carattere tecnico. È da chiedersi perché gli Statuti della Sicilia, della Sardegna, del Trentino-Alto Adige e della Valle d’Aosta debbano avere una natura diversa dagli Statuti di altre Regioni. Per la Sardegna, la Sicilia, è prevista una più ampia autonomia, e su questo tutti sono d’accordo. E allora gli sembra più corretto stabilire che in base alle leggi costituzionali che daranno una più ampia autonomia alle regioni indicate, queste emaneranno poi i loro Statuti. Propone quindi che la formula del testo sia modificata in questo senso: «Alla Sicilia, ecc., sono attribuite forme particolari di autonomia, mediante apposite leggi di carattere costituzionale».

MORTATI dichiara di associarsi all’emendamento Tosato.

GRASSI osserva che l’articolo in esame ha la sua ragione d’essere, in quanto si riconosce che la Sicilia, la Sardegna, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta abbiano uno Statuto diverso da quello delle altre Regioni, in aderenza ad una realtà storica e politica effettiva. La formula Tosato significa che queste forme particolari di autonomie sono concesse sempre mediante una legge di carattere costituzione, in quanto si vuole mantenere il concetto che esse rientrano nell’ordine giuridico dello Stato costituzionale italiano. È pertanto favorevole alla proposta Tosato.

FABBRI proporrebbe la seguente formula in sostituzione del secondo comma dell’articolo 3: «Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia. Leggi speciali aventi valore costituzionale coordineranno alla presente Costituzione gli Statuti della Sicilia, della Sardegna e della Val d’Aosta ed emaneranno le altre disposizioni». A suo parere questa formula assorbirebbe la questione di carattere tecnico sollevata dall’onorevole Perassi.

PRESIDENTE pensa che, dal punto di vista politico, si sia d’accordo che si debba conservare la parola Statuto.

Per il resto ritiene opportuno che la formula sia redatta dal Comitato di redazione.

(La Commissione concorda).

La seduta termina alle 20.30.

Erano presentii: Amadei, Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Cappi, Castiglia, Cevolotto, Codacci Pisanelli, Conti, Corsanego, De Michele, De Vita, Di Vittorio, Einaudi, Fabbri, Farini, Federici Maria, Froggio, Gotelli Angela, Grassi, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Pira, La Rocca, Leone Giovanni, Mancini, Mannironi, Marinaro, Mastrojanni, Merlin Umberto, Molè, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Rapelli, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Targetti, Togliatti, Togni, Tosato, Uberti.

In congedo: Ghidini, Lussu.

Erano assenti: Basso, Bordon, Bulloni, Calamandrei, Canevari, Cannizzo, Colitto, Di Giovanni, Dominedò, Dossetti, Fanfani, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Giua, Grieco, Lombardo, Lucifero, Marchesi, Merlin Lina, Paratore, Pesenti, Piccioni, Porzio, Taviani, Terracini, Tupini, Zuccarini.