Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 31 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

ADUNANZA PLENARIA

26.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 31 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI

INDICE

Elezione della Camera dei Senatori (Seguito della discussione)

Presidente – Piccioni – Grassi – Rossi Paolo – Nobile – Fuschini – Targetti – Togliatti – Dossetti – Perassi – Zuccarini – Einaudi – Fabbri – Dominedò – Fanfani.

La Magistratura (Esame degli emendamenti agli articoli)

Presidente – Bozzi – Leone Giovanni – Terracini – Molè – Togliatti – Cevolotto – Targetti – Einaudi – Mortati – Conti – Mannironi – La Pira – Fabbri – Moro – Tupini – Marinaro – Dossetti – Rossi Paolo – Laconi – Codacci Pisanelli – Cappi.

La seduta comincia alle 10.15.

Seguito della discussione sulla elezione della Camera dei Senatori.

 

PRESIDENTE avverte che la Commissione dovrà fissare l’ordine delle votazioni sulle varie proposte formulate in merito alla elezione della Camera dei Senatori.

Ricorda che in materia vi sono: una proposta Mortati, secondo la quale la composizione del Senato avrebbe luogo per categorie di interessi; una Grassi (elezione in parte a base circoscrizionale, cioè uninominale) ed una Nobile, che fissa per i due terzi dei componenti la seconda Camera l’elezione a suffragio universale di tutti i cittadini che abbiano superato i 25 anni. Vi sono poi le proposte di votazione a suffragio indiretto per una parte del Senato, presentata dagli onorevoli Fuschini, Perassi e Laconi.

Si deve stabilire pertanto quale delle due proposte, Mortati e Grassi, si discosti maggiormente dal testo fondamentale e per ciò debba avere la precedenza nella votazione.

PICCIONI crede che la proposta Mortati si discosti dal testo più profondamente di tutte le altre, che, in un modo o nell’altro, prevedono l’applicazione del suffragio universale indifferenziato, mentre la proposta Mortati prevede una forma di composizione della seconda Camera del tutto diversa.

GRASSI è anch’egli d’avviso che la proposta Mortati si allontani molto di più della sua da quella fondamentale, in quanto, secondo tale proposta, la Camera dei Senatori sarebbe eletta da alcune categorie speciali di elettori, mentre la proposta da lui formulata riguarda soltanto il sistema elettorale.

PRESIDENTE pone ai voti la preposta di dare la precedenza nella votazione alla proposta Mortati.

(La Commissione approva).

Comunica che la proposta Mortati è così formulata:

«La Camera dei Senatori è eletta dagli elettori aventi 25 anni di età, fra gli eleggibili appartenenti alle categorie: 1°) dell’agricoltura; 2°) dell’industria; 3°) del commercio e credito; 4°) delle professioni: a) d’impiego pubblico; b) della scuola e della cultura; c) professioni legali; d) sanitarie; e) tecniche; f) di altri rami.

I seggi sono ripartiti fra tali categorie, per ciascuna delle quali sono presentate apposite liste da parte degli appartenenti ad esse, ed attribuiti per mezzo di distinti scrutini, col sistema maggioritario se il numero degli eleggibili delle categorie è inferiore a tre, col sistema proporzionale se è superiore».

La pone ai voti.

ROSSI PAOLO chiede la votazione per appello nominale.

(Segue la votazione per appello nominale).

Rispondono sì: Ambrosini, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Corsanego, Dominedò, Dossetti, Fanfani, Federici Maria, Froggio, Fuschini, Gotelli Angela, La Pira, Leone Giovanni, Mannironi, Merlin Umberto, Moro, Mortati, Piccioni, Rapelli, Taviani, Togni, Tosato, Uberti.

Rispondono no: Amadei, Basso, Bocconi, Bozzi, Canevari, Cevolotto, Conti, Di Vittorio, Einaudi, Fabbri, Farini, Grassi, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lombardo, Mancini, Marchesi, Marinaro, Molè, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Ravagnan, Rossi, Ruini, Targetti, Terracini, Togliatti, Zuccarini.

PRESIDENTE comunica che la proposta Mortati è stata respinta avendo avuto 24 voti favorevoli e 32 contrarî.

Pone allora in votazione il principio che una parte dei senatori debba essere eletta dai Consigli regionali.

(È approvato).

Avverte che si dovrà ora procedere alla votazione circa la quota di senatori da eleggersi da parte dei Consigli regionali, cioè se essa dovrà essere stabilita in un terzo o nella quota fissa di cinque per ciascuna regione.

NOBILE fa osservare che, se fosse approvata la quota fissa di cinque, considerato che le Regioni saranno circa 25, si avrebbe un numero di 125 senatori, superiore cioè al terzo dei componenti la seconda Camera.

PICCIONI ritira la proposta di stabilire una quota fissa di cinque senatori per ciascuna Regione.

PRESIDENTE pone allora in votazione la proposta che il numero dei senatori da eleggersi da parte dei Consigli regionali sia di un terzo.

(È approvata all’unanimità).

Segue la proposta dell’onorevole Grassi: «Un terzo dei senatori è eletto dai Consigli regionali: il resto a suffragio universale diretto uguale e segreto con una circoscrizione per ogni senatore».

FUSCHINI ricorda che in una seduta precedente, senza entrare nel merito della proposta Grassi, fece una osservazione che ancor oggi ha la sua ragion d’essere; cioè che in questa proposta vi è un accenno preciso e circostanziato ad un determinato sistema elettorale. Per la Camera dei Deputati, è stato invece stabilito di non fare alcun accenno nella Costituzione al sistema elettorale. Pertanto, qualora la proposta Grassi dovesse essere approvata, chiede che anche per la Camera dei Deputati venga indicato il sistema elettorale, e più precisamente quello proporzionale.

PICCIONI rileva che la proposta Grassi, come è già stato notato, pone la questione del sistema elettorale per la prima e la seconda Camera in una posizione di contradizione e di antitesi, ed urta contro la genuinità e l’autenticità del sistema democratico.

Rileva, d’altra parte, che, oltre a tutti i difetti lamentati, il sistema uninominale non può essere stabilito per una delle due Camere, quando per l’altra vige il sistema proporzionale.

Proporzionalista convinto, per la necessità di instaurare nella nuova democrazia un sano costume politico elettorale, dichiara che voterà contro la proposta Grassi.

TARGETTI si dichiara anch’egli proporzionalista convinto e quindi affatto entusiasta della proposta Grassi. Si deciderà però a votare favorevolmente ad essa perché vede con timore l’instaurazione del sistema della elezione indiretta.

TOGLIATTI afferma di essere egli pure per principio proporzionalista; ma dal momento che tutti i sistemi presentati non lo hanno sodisfatto, perché introducono il principio della elezione di secondo grado, la quale, di fatto, annulla il proporzionalismo e quindi porterebbe ad un sistema ibrido, crede che la proposta presentata dai liberali rappresenti la via di uscita più ragionevole.

L’unica obiezione che potrebbe essere fondata, quella della coesistenza di due sistemi diversi per l’elezione delle due Camere, non può essere considerata come un argomento di principio fondamentale. D’altra parte, osserva che tale coesistenza già si nota oggi nel sistema elettorale vigente, dato che mentre nelle elezioni amministrative per il capoluogo i partiti singoli si sono presentati con proprie liste, ed i blocchi sono avvenuti in sede di costituzione delle Giunte, in tutti i Comuni della circoscrizione invece si è votato sulla base di liste che erano state bloccate prima. Tale ibridismo sarebbe accentuato nel sistema che viene presentato, perché proponendosi che l’elezione dei senatori sia fatta dai consiglieri comunali, effettivamente sarebbe fatta dai rappresentanti di organismi i quali sono stati eletti con due sistemi diversi: quelli delle grandi città col sistema proporzionale, quelli dei piccoli Comuni con un sistema non proporzionale. Quindi, la critica con la quale si vorrebbe colpire la proposta dei liberali colpisce molto di più la proposta dell’elezione attraverso i consiglieri comunali.

Per questi motivi, non è rimasto convinto degli argomenti addotti dai colleghi democristiani contro la proposta Grassi che ritiene tutt’altro che irragionevole.

ROSSI PAOLO è stato fra i pochissimi che hanno votato contro il sistema della quota fissa per la Regione; per la medesima ragione voterà contro il sistema uninominale. Osserva che adottando il sistema della frazione, la rappresentanza degli interessi locali è già assicurata, mentre adottando il collegio uninominale si accentuerebbe la rappresentanza politica.

DOSSETTI, dichiarando di votare contro la proposta del collegio uninominale, afferma che il voto che si sta per dare è uno dei più gravi cui la Commissione per la Costituzione sia stata chiamata. Se la proposta Grassi dovesse passare, è suo fermo giudizio, nonostante le artificiose difese tentate anche da ultimo dall’onorevole Togliatti, che tale proposta vulnererebbe gravemente il principio sul quale viene edificata la nuova democrazia.

Tutto quello che è stato detto a sostegno della proposta non vale a confutare un argomento fondamentale, cioè che la commistione dei due sistemi, che si vuole imputare anche alle altre proposte formulate, è qui più grave, perché si verifica in atto nella stessa elezione a cui l’elettore viene ad essere chiamato; sì che questi, chiamato ad esprimere contemporaneamente un duplice voto, secondo due schieramenti politici contradittori, non potrebbe assolutamente compiere un atto consapevolmente democratico.

PERASSI dichiara che voterà contro la proposta Grassi, innanzitutto per una considerazione di principio: perché ritiene che in una Costituzione rigida non sia il caso di fissare un sistema elettorale reciso per Cuna o per l’altra Camera. Come la Commissione si è trovata d’accordo, per quanto concerne la Camera dei Deputati, di limitarsi ad affermare che è eletta a suffragio universale diretto e segreto, senza indicare quale sarà il sistema elettorale da seguire, così – per armonia – ritiene che anche per la seconda Camera si debba seguire lo stesso criterio.

A prescindere da questa considerazione, che può sembrare formale, è contrario alla proposta Grassi anche per ragioni sostanziali. Ha sentito, specialmente da parte dell’onorevole Togliatti, la difesa della proposta soprattutto per la considerazione che essa è ritenuta migliore della proposta di fare eleggere i senatori dai Consigli comunali. Ora, quest’atteggiamento presupporrebbe che nessun’altra proposta possa essere avanzata, o sia stata avanzata, oltre quella dei consigli comunali; mentre invece ricorda che fra le proposte presentate ve ne è una che contempla un sistema di elezione a suffragio indiretto, e che non presenta l’inconveniente (rilevato a proposito dell’elezione attraverso i consiglieri comunali) di rendere impossibile l’applicazione di un criterio proporzionale. Questa proposta concreta è stata precisamente studiata in vista di rendere assolutamente possibile l’applicazione del criterio proporzionale, che può benissimo attuarsi anche con un sistema di votazione di secondo grado.

Per queste ragioni, dichiara che voterà contro la proposta Grassi.

ZUCCARINI si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Perassi.

EINAUDI dichiara che voterà a favore della proposta Grassi. Non gli sembra che l’argomento dall’onorevole Dossetti dichiarato fondamentale abbia un gran peso. Con la proposta Grassi si permette agli elettori di votare non per delle idee ma per degli uomini. Non trova in questo nessuna contraddizione. Eventuali perfezionamenti al sistema potranno essere trovati con la eliminazione del ballottaggio, in modo che gli elettori possano decidersi prima per l’uomo al quale vogliono dare il voto.

FABBRI voterà a favore della proposta Grassi, anche perché crede estremamente democratico che si faccia materialmente un esperimento e che il popolo possa vedere in atto il contemporaneo funzionamento dei due sistemi. Non ritiene estremamente democratico sostenere che spetti esclusivamente al legislatore determinare un sistema unilaterale di votazione in modo autoritario.

DOMINEDÒ, sentendo in linea di principio l’esigenza di contemperare il sistema proporzionalistico, che dà prevalente rilievo all’idea, e il sistema uninominalistico, che consente maggior risalto alla personalità, amerebbe prendere in considerazione, così sul piano teorico come su quello pratico, la proposta di integrare vicendevolmente i due sistemi, qualora essa si riferisse integralmente all’una Camera rispetto all’altra; deve però rilevare che l’inserzione contemporanea di un duplice metodo nell’ambito di una stessa Camera potrebbe determinare un ibridismo. Per questo motivo, voterà contro la proposta.

FANFANI ritiene che la contemporanea applicazione dei due metodi sia tale da dare luogo soltanto a confusioni sul terreno elettorale nei confronti della massa. In secondo luogo, proprio gli argomenti che l’onorevole Einaudi ha esposto contro la tesi Dossetti confermano che l’adozione del sistema uninominale inficia profondamente il mantenimento del sistema proporzionale sul terreno dell’altra Camera. In terzo luogo, teme che l’adozione di questo sistema per l’elezione alla Camera dei Senatori finirà per dare una grande prevalenza ad interessi non politici, esistenti in piccole circoscrizioni, generando una specie di consacrazione politica alle baronie industriali del Nord e a quelle agrarie del Sud. Per questi motivi, voterà contro.

GRASSI, premesso che non v’è nulla di personale e nessuna mira politica nella sua proposta, a chi considera antidemocratico il suo progetto risponde che la democrazia non consiste nel sistema elettorale, ma nella base fondamentale su cui si determina la votazione.

Di fronte alle diverse proposte, il fatto che la seconda Camera venga eletta attraverso i Consigli comunali non rappresenta affatto una forma di proporzione, perché le elezioni dei consiglieri comunali sono fatte in forme diverse (proporzionalistica e maggioritaria); significa che non si è creduto più di parlare di proporzione, bensì di trovare un sistema degno che possa far sì che la seconda Assemblea, pur essendo una Camera che avrà gli stessi poteri e la stessa competenza della prima, non ne costituisca un doppione. A questo scopo non vi erano che due proposte: o quella Mortati di fare una seconda Camera sulla base degli interessi e delle categorie, e questa non è stata accolta dalla Commissione, oppure stabilire una differenziazione sulla base del sistema di scelta, allo scopo di ottenere una qualificazione maggiore delle persone che formano la seconda Assemblea.

Non sistema antidemocratico, quindi, ma anzi sistema democraticissimo.

Per queste ragioni mantiene fermo il suo punto di vista.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Grassi.

(Segue la votazione per appello nominale).

Rispondono sì: Amadei, Basso, Bozzi, Castiglia, Cevolotto, Di Vittorio, Einaudi, Fabbri, Farini, Grassi, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, La Rocca, Lombardo, Lucifero, Mancini, Marchesi, Marinaro, Molè, Nobile, Noce Teresa, Ravagnan, Ruini, Targetti, Terracini, Togliatti.

Rispondono no: Ambrosini, Bocconi, Canevari, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Corsanego, De Michele, De Vita, Dominedò, Dossetti, Fanfani, Federici Maria, Froggio, Fuschini, Gotelli Angela, Lami Starnuti, La Pira, Leone Giovanni, Mannironi, Merlin Umberto, Moro, Mortati, Perassi, Piccioni, Rapelli, Rossi Paolo, Taviani, Togni, Tosato, Uberti, Zuccarini.

Comunica che la proposta dell’onorevole Grassi è stata respinta avendo riportato 27 voti favorevoli e 32 contrari.

Pone ora in votazione per appello nominale la proposta Nobile, così integrata:

«L’elezione dei due terzi dei membri della seconda Camera ha luogo a suffragio universale diretto da parte di tutti gli elettori, che abbiano superato il 25° anno di età».

(Segue la votazione per appello nominale).

Rispondono sì: Amadei, Basso, Bocconi, Bozzi, Canevari, Castiglia, Cevolotto, Di Vittorio, Einaudi, Fabbri, Farini, Grassi, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lombardo, Mancini, Marinaro, Molè, Nobile, Noce Teresa, Ravagnan, Rossi, Ruini, Targetti, Terracini, Togliatti.

Rispondono no: Ambrosini, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Corsanego, De Michele, De Vita, Dominedò, Dossetti, Fanfani, Federici Maria, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Gotelli Angela, La Pira, Leone Giovanni, Mannironi, Merlin Umberto, Moro, Mortati, Perassi, Piccioni, Rapelli, Taviani, Togni, Tosato, Uberti, Zuccarini.

Comunica che la proposta Nobile risulta approvata avendo riportato 29 voti favorevoli contro 28 contrari.

Osserva che le proposte di suffragio indiretto cui erano ispirati gli altri emendamenti vengono a cadere. L’argomento della seconda Camera è quindi esaurito.

Esame degli emendamenti agli articoli sulla Magistratura.

 

PRESIDENTE, riprendendo la discussione sugli articoli proposti per il Titolo concernente la Magistratura, ricorda che la seconda Sezione della seconda Sottocommissione ha proposto un articolo riguardante la giuria così formulato:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia, mediante l’istituto della giuria nei processi di Corte d’assise».

Apre la discussione su questo articolo.

BOZZI ritiene che non sia da inserire nella Costituzione un articolo che riguarda la Corte d’assise, per una considerazione che ha carattere pregiudiziale e che quindi non investe il merito, se si debba cioè o meno essere favorevoli alla istituzione della Corte d’assise.

La Corte d’assise non è un giudice speciale, ma è una sezione specializzata del giudice ordinario; infatti l’istituzione della Corte d’assise è prevista dal Codice di procedura penale come una sezione di Corte d’appello.

Tanto è vero che, contro la sentenza della Corte d’assise, si va alla Cassazione a sezioni semplici e non a sezioni riunite, mentre se fosse un organo di giurisdizione speciale, si dovrebbe ricorrere alle sezioni riunite.

Non vi è quindi alcuna ragione di fare menzione di questo organo ordinario, in quanto si è detto che la giustizia civile e penale è amministrata dagli organi previsti dal Codice e dalla legge sull’ordinamento giudiziario.

A questa considerazione di carattere pregiudiziale ne aggiunge un’altra: che v’è un progetto allo studio di una delle Commissioni legislative, riguardante modifiche alla composizione della Corte d’assise; ed a tale riguardo gli consta che la Commissione legislativa vuole investire più ampiamente il problema della esistenza o meno della Corte d’assise.

Ritiene pertanto che l’articolo proposto non debba comparire nella Costituzione.

LEONE GIOVANNI si dichiara contrario al ripristino della giuria secondo lo schema del disegno di legge presentato alla Assemblea costituente. Ritiene però, anche per la brevità dell’attuale lavoro della Commissione, che non sia opportuno approfondire l’argomento. Aderisce quindi alla questione pregiudiziale, come è stata impostata dall’onorevole Bozzi. In altri termini, avendo stabilito, all’articolo 2 del progetto di Costituzione concernente la Magistratura, che «la funzione giurisdizionale, in materia civile e penale, è attribuita ai magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme, sull’ordinamento giudiziario», non si è fatto altro che rimandare alla legge sull’ordinamento giudiziario la disciplina e il funzionamento di tutti i giudici. Quindi è in quella sede che – se vorrà – il nuovo Parlamento potrà domani riorganizzare la disciplina delle Corti d’assise, introducendo, attraverso questa via, il sistema della giuria. Né è necessario inserire tale istituto nella Costituzione, poiché non si deve impedire che, successivamente, l’amministrazione della giustizia possa riformare o abolire l’istituto stesso. Sul merito, infinite osservazioni si potrebbero fare. Contro il sistema dei giudici popolari, prelevati soltanto in base a requisiti minimi, basterebbe ad esempio osservare che per i giudici occorre una determinata capacità tecnica. Ricorda in proposito un passo di Socrate in cui questi si meravigliava che i giudici venissero eletti senza alcun elemento specifico di capacità.

Afferma che se si dovesse ritornare alla giuria, questa dovrebbe essere selezionata con altri criteri, di esperienza, di presunzione di probità, ecc.; e quindi composta di uomini prelevati da alcune categorie sociali, sia pure determinate con molta larghezza. A ciò si aggiunga la difficoltà di stabilire, in materia di giustizia, sia pure penale, una discriminazione netta fra il giudizio di fatto e il giudizio di diritto.

Queste considerazioni ha voluto fare per dimostrare come non si possa mirare ad una riforma delle Corti d’assise mediante un ritorno puro e semplice alla giuria.

Le norme approvate danno già larghissima possibilità all’inserzione della giuria popolare nell’ordinamento giudiziario italiano; né, a questo scopo, è necessaria una norma specifica della Costituzione. È infatti pacifico – come osservava l’onorevole Bozzi – che la Corte d’assise è un giudice ordinario, soltanto come sezione specializzata, e non un giudice speciale. Così era codificato nel Codice del 1913, in cui viene riconosciuta la Corte d’assise; così è codificato anche nella legge Togliatti, la quale, ripristinando i giurati, stabilisce che la Corte d’assise è una sezione della Corte d’appello. E l’elemento richiamato dall’onorevole Bozzi è decisivo: i ricorsi per Cassazione avverso le sentenze della Corte d’assise vanno presentati alle sezioni semplici, non alle sezioni unite; il che riconferma che si tratta di un organo giudiziario ordinario.

Per questi motivi ritiene contrario alla attuale esigenza della giustizia il ritorno alla giuria popolare.

TERRACINI è contrario alla proposta di non inserire la disposizione nella Costituzione. Non si tratta infatti – a suo avviso – di un semplice problema di organizzazione della giustizia; si tratta di introdurre maggiormente l’elemento popolare nel quadro della organizzazione del potere giudiziario in Italia: rendere cioè i giudici elettivi.

Ed egli sarebbe stato lieto se avesse potuto ottenere che almeno per i primi gradi della Magistratura si fosse introdotto il principio elettivo. Rileva al riguardo che negli Stati dove c’è una Magistratura elettiva – e non soltanto nei gradi più bassi – la questione del requisito non già di una cultura tecnica, ma di una cultura generale, non ha mai rappresentato un ostacolo, perché appunto sono necessarie altre doti e altri elementi di capacità. Ricorda che a Basilea, due anni or sono, trattandosi dell’elezione di un giudice di grado abbastanza elevato, i partiti di sinistra presentarono come candidato un fabbro, e questi è riuscito eletto nei confronti di un avvocato. In alcuni ceti sociali si è gridato allo scandalo; ma tuttavia quel giudice è rimasto e fa buona prova. E questo non è un caso isolato.

Ricorda inoltre che l’istituto della giuria è scomparso in Italia per iniziativa del fascismo. Ciò sta ad indicare che in realtà non si tratta di un problema di capacità, ma di una questione che si ricollega ad elementi molto più importanti; si tratta proprio di quel fattore della democrazia, invocato dai colleghi democratici cristiani per un problema certamente importante come quello attinente al potere legislativo, e che ora è dimenticato proprio nel caso di un potere altrettanto se non più importante, come quello giudiziario. Afferma la opportunità che vi sia nella Magistratura quest’affermazione del principio democratico. La Magistratura deve essere garantita nella sua indipendenza; ma bisogna cercare altresì di far penetrare nel corpo dei magistrati giudicanti il più largamente possibile l’elemento popolare.

Insiste quindi perché una realizzazione come questa sia attuata nella Costituzione, anche perché vi sono correnti esclusivamente ristrette all’ambiente dei giuristi, che mirano a sopprimere l’istituto della giuria. Bisogna opporre un ostacolo definitivo all’affermazione di questa tendenza, che non ha nessun seguito negli ambienti popolari del Paese; se essa riuscisse a trionfare, segnerebbe, in una forma delle più deteriori, l’affermazione della cultura sulla volontà delle masse popolari. Una volta inserito nella Costituzione, il principio potrà anche essere modificato, ma soltanto nel momento in cui le masse popolari lo desidereranno e lo consentiranno.

Per questi motivi è favorevole all’adozione dell’articolo proposto, e contrario alla pregiudiziale Bozzi.

MOLÈ rileva che la discussione, pur essendo stata posta in termini tecnici, ha un preciso contenuto politico. Si potrà discutere nel merito quali possano essere i mezzi per perfezionare l’istituto della giuria, ma questo istituto è una conquista democratica, la quale non può essere sottaciuta nella prima Costituzione di una Repubblica democratica. L’istituzione della giuria ha voluto dire che in alcuni reati che interessano la coscienza collettiva il giudizio collegiale di persone che sono al di fuori dei Codici e del tecnicismo e non sono legate a nessuna preoccupazione di carriera, tecnica od ideologica, deve avere la prevalenza. Bisogna affermare questa conquista democratica e non solo per i motivi cui ha accennato l’onorevole Terracini. Non si tratta infatti semplicemente di un problema di riordinamento; si tratta di fissare il principio che il popolo possa partecipare in alcuni casi all’amministrazione della giustizia. Tutte le pregiudiziali in senso contrario sono mosse da coloro che intendono sopprimere la giuria, ponendo la questione sul piano politico.

Dichiara pertanto che, appunto ponendosi su un piano politico, voterà per la giuria, come affermazione democratica del nuovo Stato repubblicano.

TOGLIATTI si associa alle dichiarazioni degli onorevoli Terracini e Molè.

CEVOLOTTO esprime rincrescimento che sia stata portata sul terreno politico una questione che non ha – a suo avviso – un preciso contenuto politico, o che, per lo meno, lo ha come questione se si deve o no istituire la giuria, ma non lo ha come questione se la istituzione della giuria deve essere decisa nella Carta costituzionale. Si tratta di un problema di tecnica, di costruzione della Costituzione, e niente altro. Se si discutesse della questione da un punto di vista politico, si assocerebbe alle considerazioni dell’onorevole Terracini e dell’onorevole Molè; ma crede che debba venire prospettato l’altro punto di vista, cioè se nella struttura tecnica della Costituzione sia possibile, senza una stonatura, dire che il giudice ordinario – perché si tratta di un giudice ordinario – è costituito in un determinato modo. Osserva che si stanno inserendo nella Costituzione una quantità di altre cose che ad essa sono estranee; ed è contro questo che egli si ribella: si sta inflazionando la Costituzione con una quantità di dichiarazioni, e, peggio, di norme che con la Costituzione non hanno niente a che vedere. La Costituzione così non ha più una struttura lineare.

Ora egli crede che per le ragioni accennate all’inizio dall’onorevole Bozzi, la questione debba esser riportata al suo aspetto di questione pregiudiziale. La istituzione della giuria è un problema di procedura penale e di legge sull’ordinamento giudiziario, tanto è vero che, proprio ora, viene davanti alia Costituente la legge per il ripristino della Corte d’assise. Quindi è evidente che non vi è bisogno della norma costituzionale, perché la Corte d’assise sia ripristinata con certi limiti che saranno studiati e discussi dall’Assemblea Costituente.

Per queste ragioni è favorevole alla pregiudiziale dell’onorevole Bozzi.

TARGETTI, quale proponente dell’articolo, non sente il bisogno di difenderlo, dopo gli autorevoli interventi dei colleghi onorevoli Terracini e Molè, ai quali poco ha da aggiungere.

Alle osservazioni dell’onorevole Cevolotto risponde che non è esatto che ci si trovi di fronte ad una materia da non trattare in una Carta costituzionale; tanto è vero che gran parte delle Costituzioni contengono una disposizione che riguarda appunto la giuria popolare. Quanto all’altra obiezione, che si tratta di una questione esclusivamente o spiccatamente tecnica, non la crede fondata, in quanto l’istituto della giuria ha un contenuto così squisitamente politico che tutte le volte che un regime è passato dalla democrazia al totalitarismo ha subito ucciso questo istituto, mentre ogni volta che un popolo riconquista la libertà sente quasi istintivamente la necessità di ricostituirlo.

Di fronte a questa realtà, tutte le discussioni filosofiche non hanno alcuna importanza.

Riconosce che l’istituto della giuria si presta ad essere criticato. Ma il grande problema è questo: abolita la giuria è necessario sostituirla con qualcosa di diverso. Orbene, nulla di diverso è stato mai, almeno finora, né trovato né suggerito, che sia tale da non prestarsi ad una quantità di critiche maggiori e più gravi di quelle a cui si presta l’istituto della giuria.

Rileva di essersi deciso a proporre la norma nella Carta costituzionale, appunto perché vi era una corrente contraria all’istituto della giuria. All’onorevole Leone, il quale afferma che la dizione dell’articolo 2 del progetto non esclude che si possa istituire la giuria senza bisogno di rivedere la Costituzione, risponde che anche se ciò fosse – il che si potrebbe discutere – data l’importanza squisitamente politica della questione, sarà bene, sarà opportuno, sarà necessario fare un accenno esplicito nella Costituzione.

Quanto ai limiti della competenza della giuria, conclude rilevando che questa è veramente materia che non può trovar posto nella Carta costituzionale. Vi sono ad esempio colleghi favorevoli all’istituto della giuria limitatamente a determinati reati, cioè a quelli politici, o ad altri reati che turbano la coscienza del pubblico; altri ancora favorevoli ad una maggiore competenza. La legge ordinaria deciderà.

EINAUDI si dichiara favorevole alla giuria popolare, ma esprime il dubbio che ciò che si propone di scrivere nella Costituzione non eviti un eccesso autoritario da parte di un nuovo regime, in quanto un legislatore autoritario potrebbe restringere nel modo più opportuno l’istituto dalla giuria.

Il fascismo, ad esempio, non ha soppresso la Corte d’assise: questa è rimasta, ma sono cambiati i requisiti dei giurati. Ritiene che la norma proposta non tocchi la sostanza del problema e non garantisca una giuria veramente popolare.

MORTATI dichiara di essere anch’egli favorevole al riconoscimento che per certi giudizi sia necessario porre accanto al giudice togato un giudice popolare. Fa però una questione di tecnica legislativa, rilevando come nella Costituzione che ci si prepara a sottoporre all’Assemblea vi è già un articolo che può essere sufficiente all’esigenza di aprire la via ad un giudizio che si svolga con l’intervento dei cittadini; e questo è precisamente l’articolo 2. A maggior chiarimento, si potrebbe in questo articolo togliere la parola «esperti» e lasciare semplicemente la parola «cittadini» con l’intesa che ciò valga anche per i giudizi penali.

In merito poi a quanto ha detto l’onorevole Targetti relativamente al rinvio alla legge delle modalità tecniche, osserva che se si afferma genericamente il principio della giuria popolare senza concretarla almeno con qualche norma fondamentale, si lascerà sempre la possibilità al legislatore di ridurre l’istituto al minimo.

È questa l’osservazione che giustamente ha fatto anche l’onorevole Einaudi. Sottolinea pertanto la necessità di ammettere un certo numero di principî fondamentali; ma se si dovesse rinunciare ad una specificazione, basterebbe la formula generale, già nell’articolo 2, per raggiungere il fine che l’onorevole Targetti si propone.

CONTI, per ragioni tecniche, sarebbe portato ad aderire piuttosto all’opinione contraria alla giuria, ma per ragioni politiche, specialmente in questo momento, non può non aderire al concetto che nella Costituzione si ammetta e si affermi il diritto popolare dei cittadini di giudicare.

MANNIRONI, rilevando l’inopportunità di occuparsi del problema nella Carta costituzionale, dichiara comunque di ritenere un errore voler considerare il problema sotto il profilo puramente politico. Occorre preoccuparsi soltanto di assicurare al cittadino il modo migliore di essere giudicato. Ritiene, in linea astratta, desiderabile che certi reati gravi siano sottratti al giudizio del magistrato ordinario, ma afferma che, in tal caso, dovrebbe essere affermato un sacrosanto diritto, quello cioè di assicurare un secondo grado di giurisdizione. Non è possibile ammettere, infatti, che per un reato di trascurabile importanza il cittadino, una volta condannato, abbia diritto di invocare l’appello alla Cassazione, e che questo stesso diritto possa invece esser negato quando siano in gioco responsabilità gravissime e sia in causa, per lungo tempo, la libertà personale del cittadino.

In linea principale, chiede quindi che di questo problema non si parli nella Carta costituzionale, demandando la soluzione al legislatore ordinario. In subordinata ipotesi, chiede che, se si ammette la partecipazione del popolo al giudizio, si affermi solennemente il diritto di concedere anche in tal caso il secondo grado di giurisdizione.

TOGLIATTI, essendo stata sollevata dall’onorevole Mortati la questione della costituzionalità o meno del problema, osserva che, a parte le questioni tecniche, occorre tener presente che la giuria è un diritto fondamentale del cittadino. Pensa quindi che se non si inserisse nella Costituzione una norma in proposito, tale norma dovrebbe essere inserita nel capitolo in cui si parla delle conquiste dei cittadini. Quando si tratta di un reato politico o di un reato che importi privazione della libertà personale oltre un certo limite di anni, si deve affermare il diritto ad un giudizio preliminare compiuto dai giudici popolari. Occorre, quindi, che nella Costituzione si parli espressamente della partecipazione del popolo ai giudizi mediante la giuria, oppure che nel capitolo in cui si parla dei diritti fondamentali del cittadino si dica che il cittadino, in caso di reati politici o che portino una privazione della libertà personale, ha diritto ad un giudizio di fatto pronunciato dai suoi concittadini.

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Moro ha presentato il seguente emendamento, che reca anche la firma degli onorevoli Mortati, Fuschini e Merlin Umberto, in cui si propone di modificare il terzo comma dell’articolo 2 nei seguenti termini:

«Presso gli organi giudiziari ordinari, anche penali, possono essere istituite per determinate materie apposite Sezioni con la partecipazione di magistrati specializzati, di esperti e di cittadini, nominati a norma delle leggi sull’ordinamento giudiziario».

Pone innanzi tutto ai voti la pregiudiziale dell’onorevole Bozzi tendente a non inserire nella Costituzione la disposizione concernente la giuria.

LEONE GIOVANNI dichiara di votare a favore della pregiudiziale, aggiungendo di non avere inteso attribuire al suo precedente intervento alcun significato politico in senso concreto, in quanto ritiene che si tratti di un problema di pura organizzazione della giustizia che non viene pregiudicato dalla disposizione della Carta costituzionale, soprattutto se sarà accettato l’emendamento proposto dall’onorevole Moro.

EINAUDI dichiara di astenersi dal voto su questa e sulle altre proposte che sono state fatte, a meno che l’onorevole Togliatti non ne presentasse una nel senso da lui indicato.

LA PIRA si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole Bozzi, perché ritiene che il diritto ad essere giudicato da un giuria popolare sia un diritto naturale della persona umana.

PRESIDENTE dà comunicazione di un emendamento all’articolo proposto presentato dall’onorevole Togliatti: «Ogni cittadino ha diritto, nel caso di reati politici o di altri reati gravi preveduti dalla legge, a che una giuria popolare di cittadini partecipi al giudizio nelle forme previste dalla legge».

Mette innanzi tutto ai voti la proposta pregiudiziale dell’onorevole Bozzi.

(Non è approvata).

Pone ora in discussione i due emendamenti degli onorevoli Moro e Togliatti.

TERRACINI osserva che non si deve dimenticare la genesi dell’emendamento presentato dall’onorevole Moro. Questi, in fondo, senza aderire alla proposta dell’onorevole Bozzi, in realtà ne accetta una parte notevole, svalutando di fatto l’affermazione che invece con la votazione di poco fa la maggioranza della Commissione ha ritenuto di dover fare. È evidente invece che l’istituto della giuria deve essere posto su un piano completamente diverso da quello di una sezione speciale degli organi giudiziari ordinari. Per questa ragione si dichiara contrario all’emendamento Moro.

TARGETTI si dichiara contrario ad un istituto della giuria concepito come sezione del tribunale ordinario per determinate materie, sezione alla quale evidentemente il cittadino parteciperebbe col magistrato, mentre il giurato è l’unico giudice del fatto.

FABBRI voterà contro l’emendamento Moro, ed a favore invece dell’articolo che istituisce la giuria, perché l’espressione «possono essere istituiti». essendo puramente una facoltà del legislatore, non farebbe che attuare un concetto già incluso nella formula della Costituzione, mentre invece occorre affermare nella Costituzione un diritto preciso.

MORO dichiara di aver proposto l’emendamento non per sminuire il significato politico della proposta fatta circa l’istituzione della giuria, ma con l’intento di realizzare una maggior correttezza tecnica evitando una dichiarazione di carattere generale che, ove fosse accolta, non andrebbe inserita, a suo avviso, in questa parte della Costituzione, ma nell’altra che riguarda i diritti dei cittadini. Nel proporre il suo emendamento, è stato mosso dall’intenzione di realizzare una sintonizzazione fra l’organo giudicante e la coscienza popolare. Ritiene comunque che il suo emendamento possa essere coordinato con quello proposto dall’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Togliatti ha dichiarato di ritirare il suo emendamento, aderendo al testo originario dell’articolo proposto dalla Sottocommissione.

Pone a partito l’emendamento dell’onorevole Moro.

(Non è approvato).

Mette a partito il testo originario dell’articolo proposto dalla seconda Sezione della seconda Sottocommissione così formulato:

«Il popolo partecipa direttamente all’amministrazione della giustizia, mediante l’istituto della giuria, nei processi di Corte d’assise».

CEVOLOTTO, essendo stata respinta la pregiudiziale dell’onorevole Bozzi – alle quale era favorevole – e poiché d’altra parte, dal punto di vista politico, aderisce alle idee espresse dagli onorevoli Togliatti, Terracini ed altri, dichiara di astenersi dal voto.

TUPINI si è astenuto allorché si è discusso sulla opportunità di inserire l’articolo nella Costituzione, ma, se avesse dovuto votare, avrebbe votato per la pregiudiziale dell’onorevole Bozzi. Nel merito, è però favorevole all’articolo, nel quale non ravvisa una questione politica, ma semplicemente l’intento di far funzionare nel miglior modo possibile la giustizia: cioè, il giudice di fatto, a suo avviso, è più competente del magistrato ordinario per giudicare di determinati reati di competenza della Corte d’assise.

LEONE GIOVANNI, in coerenza a quanto in precedenza ha fatto presente, dichiara di votare contro l’articolo.

MORO, a conferma dell’onestà delle intenzioni che lo avevano mosso nel porre il suo emendamento, il quale non mirava a respingere la sostanza dell’articolo, e ritenendo che i giudici popolari possano rispondere ad una esigenza democratica, dichiara che voterà a favore.

Per una ragione umana e politica, domanda poi che sia esaminata l’opportunità di spostare la disposizione in modo che essa figuri nella prima parte della Costituzione.

MARINARO si associa a quanto ha detto l’onorevole Tupini e dichiara che voterà a favore.

(L’articolo proposto è approvato).

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Mannironi ha presentato un emendamento consistente nell’aggiungere all’articolo la seguente espressione: «sempre con diritto al secondo grado di giurisdizione».

Lo pone ai voti.

FABBRI dichiara che voterà contro l’emendamento, in quanto il verdetto popolare è, per sua natura, secondo la tradizione storica, inappellabile.

LEONE GIOVANNI, essendo stato contrario all’adozione dell’articolo, dichiara di votare, in via subordinata, a favore dell’emendamento Mannironi, perché ritiene che sarebbe veramente aberrante stabilire un sistema giudiziario il quale prevede due gradi di giurisdizione per processi di scarsa gravità, mentre, per i processi più gravi, i quali possono anche portare alla pena di morte, non dà all’imputato la possibilità di un riesame della sentenza.

TUPINI dichiara che voterà contro l’emendamento dell’onorevole Mannironi, ma non intende con questo pregiudicare nel merito quanto egli sostiene. Pensa però che, se si accogliesse l’emendamento proposto, la Costituzione non sarebbe più una affermazione di principî di carattere generale, ma un codice di procedura penale.

(L’emendamento dell’onorevole Mannironi non è approvato).

PRESIDENTE pone in discussione l’emendamento dell’onorevole Targetti, inteso a sopprimere l’ultimo comma dell’articolo primo, così formulato: «I magistrati non possono essere iscritti a partiti politici o ad associazioni segrete».

TARGETTI è d’avviso che non debba essere stabilito nella Costituzione il divieto ai magistrati di appartenere a partiti politici e ad associazioni segrete. Si può infatti essere persuasi della opportunità che il magistrato non prenda parte attiva alla vita politica, non solo a difesa e a sicurezza della propria serenità di giudizio, ma forse anche più per darne la certezza agli altri. Ma, premesso questo – ed egli ed altri colleghi avevano presentato in tale senso un ordine del giorno in seno alla seconda Sottocommissione – non crede che in una Carta costituzionale, che deve ispirarsi al più assoluto rispetto della libertà di pensiero, si debba porre un tale divieto per i magistrati. Si augura che i magistrati stiano il più lontano possibile dal fervore della lotta politica e siano ancor più lontani dalle associazioni segrete, perché tale appartenenza vincolerebbe, più che non quella a un partito, la loro indipendenza di giudizio; ma sente una invincibile riluttanza a porre tale limitazione nella Costituzione.

DOSSETTI, premesso che ritiene debbano distinguersi i due problemi: divieto di appartenenza a partiti politici e divieto di appartenenza ad associazioni segrete, sottolinea, dal punto di vista formale, che per quanto riguarda il secondo problema, vi è già nella Costituzione un articolo che sancisce il divieto di appartenenza ad associazioni segrete.

Dal punto di vista sostanziale, poi, osserva che alla obiezione secondo la quale il divieto di appartenenza a società segrete contrasterebbe con la piena libertà della persona, si può opporre l’argomento che un regime democratico deve tutelarsi di fronte a quelle organizzazioni che rifuggano dal collocarsi sotto il controllo dell’opinione pubblica.

TOGLIATTI, in merito alle associazioni segrete, osserva in primo luogo che gli sembra superfluo inserire la disposizione nell’articolo che si sta discutendo, in quanto se l’associazione è segreta, coloro che ne fanno parte non professeranno certo di appartenervi.

In secondo luogo, fa presente che è stato già votato un articolo che proibisce le associazioni segrete. Non gli sembra quindi che qui si possa ammettere che, nonostante tale divieto, le associazioni segrete sussistano ugualmente.

Per quanto poi concerne l’appartenenza dei magistrati a partiti politici, osserva in primo luogo che vi è uno stato di fatto, per cui tale divieto è stato soppresso ad iniziativa di un ministro liberale, il professor Arangio Ruiz, e che la linea da esso seguita venne continuata dall’onorevole Tupini e dall’oratore. Dal 1944, perciò, i magistrati possono essere iscritti ai partiti politici.

Nessun inconveniente è sorto da questo, anche perché la circolare che autorizza i magistrati ad iscriversi ai partiti politici dice che, pure essendo questa iscrizione ammessa, i magistrati devono astenersi dal partecipare a manifestazioni o dal compiere atti che sarebbero contradittori con le loro funzioni. Ricorda che durante la sua gestione del Ministero della giustizia, vi fu un solo caso per il quale ebbe a richiamare un magistrato che non si atteneva a questa norma. Dalla grande maggioranza dei magistrati quel principio è stato accolto: non sa se sia stato applicato da tutti o da una parte soltanto, ma ad ogni modo non ha dato luogo ad alcun inconveniente. Per questo, ritiene che il principio possa essere mantenuto.

Del resto, dal momento che i magistrati sono chiamati a votare e si assicura ad essi l’esercizio di tutti i diritti goduti dagli altri cittadini, ritiene che non è ammissibile, anzi sarebbe pericoloso, negare l’appartenenza ai partiti politici. Se il divieto si stabilisse, si avrebbero delle iscrizioni segrete, ed allora crede sia molto meglio che si abbia un’iscrizione palese, pur conservando il magistrato quel rispetto alle proprie funzioni che gli vieterà il compimento di determinati atti.

MORO si dichiara contrario all’emendamento soppressivo dell’onorevole Targetti.

Rileva che è stato detto ampiamente, in tutte le sedi, che bisogna garantire la libertà di pensiero dei magistrati sul piano politico. Indubbiamente il diritto di voto che si riconosce ai magistrati, e il diritto di eleggibilità che ad essi si assicura, servono in parte a garantire questa libertà di pensiero sul piano politico. Ma è necessaria una limitazione per quanto riguarda l’appartenenza ai partiti politici. Si tratta di un sacrificio, ma il sacrificio è giustificato perché sia garantita la libertà dei cittadini, verso i quali i magistrati, per la loro stessa funzione, hanno obblighi diversi da tutti gli altri. È un sacrificio che ritorna ad incremento della dignità dei magistrati e a maggior garanzia della loro funzione. Ritiene che i magistrati debbano essere non soltanto superiori ad ogni parzialità, ma anche ad ogni sospetto di parzialità, e crede che questa estraneità formale dalla lotta politica conferisca una maggiore dignità alla Magistratura, cosicché il magistrato possa obbedire veramente soltanto all’imperativo della propria coscienza.

TUPINI si dichiara favorevole al mantenimento del comma. Riconosce esatto quanto l’onorevole Togliatti ha ricordato, cioè che, assumendo la carica di Guardasigilli, non revocò la circolare del ministro Arangio Ruiz. Non mancò peraltro, sia personalmente, sia collettivamente, ogni qualvolta rivolgeva la parola ai magistrati, di raccomandare loro di non iscriversi ad alcun partito politico.

È vero che, in confronto ad altri cittadini, il divieto può dare la sensazione di una limitazione della libertà dei magistrati, ma si tratta di un limite che conferisce ad essi prestigio, elevandoli al di sopra degli altri cittadini, in considerazione della funzione altissima che loro compete. I magistrati debbono essere immuni da ogni suggestione o pregiudizio che possa destare nei loro riguardi il sospetto di parzialità.

TERRACINI osserva che il fatto di affermare che i magistrati non possono essere iscritti ad un partito politico significa privare i magistrati del diritto elettorale passivo. È stato detto che la società italiana, come tutte le altre società nazionali, va sempre più organizzandosi sulla base dei partiti; perciò, nelle competizioni elettorali, chi non è iscritto ad un partito rimane escluso. Poiché evidentemente nessuno intende colpire i magistrati con questa forma di esclusione, fa presente la necessità di non creare le condizioni obiettive per cui soltanto i magistrati verrebbero privati di questo fondamentale diritto di ogni cittadino.

Anche per questo motivo, pertanto, si dichiara favorevole alla soppressione del comma.

ROSSI PAOLO, associandosi alle considerazioni dell’onorevole Terracini, rileva la opportunità che il comma sia votato per divisione.

In regime democratico le associazioni segrete sono, a suo avviso, inopportune e inutili; mentre d’altra parte soltanto nella democrazia i partiti politici hanno vita reale.

È pertanto favorevole a proibire ai magistrati l’appartenenza ad associazioni segrete, mentre non vede la necessità di vietare loro l’iscrizione ad un partito politico.

FABBRI voterà a favore della soppressione dell’ultimo comma dell’articolo per rispetto al senso di responsabilità che presuppone esista nei magistrati e che qualora non esista, deve essere rafforzato e promosso attraverso istituti diversi da un divieto generico quale quello contemplato dall’articolo.

PRESIDENTE, essendo stata domandata la chiusura della discussione, la pone ai voti, riservando la parola ai commissari iscritti.

(La chiusura è approvata).

CONTI ritiene che i divieti, le prescrizioni, i giuramenti, siano tutti espedienti da riprovare. I magistrati non debbono essere allineati come soldati e sottoposti ad un regolamento disciplinare: la disciplina deve essere data loro dalla coscienza. Crede quindi che nella Costituzione non debba mettersi alcuna prescrizione del genere di quella contenuta nell’articolo.

MANNIRONI è d’avviso che l’emendamento proposto dall’onorevole Targetti sia in contrasto con tutto il sistema finora attuato nell’ordinamento del potere giudiziario. Si è partiti dal presupposto e dal convincimento che la Magistratura debba costituire un potere autonomo, e quindi al di fuori degli influssi del potere legislativo e del potere esecutivo, poiché si è ritenuto che soltanto così i magistrati potranno adempiere integralmente alla loro altissima funzione.

Se si consentisse che un magistrato potesse iscriversi ad un partito politico, in considerazione anche dell’esasperazione con cui la vita politica si va svolgendo, si metterebbero fatalmente questi magistrati nella condizione di subire, anche inconsapevolmente, quegli influssi ai quali debbono essere sottratti.

Ricorda all’onorevole Conti che in una seduta precedente ha sostenuto con fermezza che gli avvocati i quali fossero chiamati all’Alta Corte costituzionale dovessero cessare dalle loro funzioni, perché voleva che assolutamente i magistrati fossero sottratti ad ogni influsso da parte dei professionisti, e gli fa presente che se per altra via si dovesse consentire che questi influssi essi subissero, ci si metterebbe in contrasto con il principio che si è voluto affermare creando l’autonomia della Magistratura.

All’onorevole Terracini, il quale ha osservato che sarebbe ingiusto negare ai magistrati il diritto elettorale passivo, osserva che, logicamente, si dovrebbe arrivare proprio a questa conclusione. Se il magistrato vuol essere indipendente, deve restare totalmente estraneo alla vita politica; se invece vuol partecipare alla vita politica, deve dimettersi da magistrato. La posizione del magistrato dev’essere distinta da quella degli altri cittadini.

Per queste ragioni voterà contro l’emendamento.

LACONI ricorda come l’articolo fu votato dalla seconda Sezione della seconda Sottocommissione; cioè con l’esplicito riconoscimento che esso conteneva un’ipocrisia. Tutti si rendevano conto che la semplice proibizione di appartenenza ai partiti politici e alle società segrete nulla veniva a mutare nella realtà delle cose: il magistrato continua ad appartenere ad una determinata classe, ad un determinato gruppo sociale, continua a portare nella società il patrimonio della sua cultura, delle sue idee, delle sue concezioni. Tutto questo non cambia con una proibizione: non si toglie che la forma esterna.

Per questa ragione ritiene debba cadere anche la disposizione esteriore. Osserva, d’altra parte, che vi sono già delle norme con le quali si è consentito ai magistrati l’iscrizione a partiti politici e si domanda se sia possibile pensare che da un momento all’altro essi cessino di appartenere ai partiti cui si sono iscritti. I magistrati continueranno ad avere le loro idee anche politiche, e la necessità di uniformarsi esteriormente al divieto d’iscrizione si tradurrà in un’ipocrisia.

LEONE GIOVANNI dichiara di votare contro la proposta di emendamento, intendendo che con la disposizione non si vuole impedire al magistrato di partecipare alle correnti ideologiche o politiche della vita del Paese, ma di partecipare alle organizzazioni politiche e alla disciplina dei partiti.

PRESIDENTE, poiché è stata proposta la votazione per divisione, pone ai voti la prima parte dell’emendamento, cioè la soppressione, nell’ultimo comma dell’articolo 1, delle parole: «I magistrati non possono essere inscritti a partiti politici».

(Non è approvata).

Pone ai voti la seconda parte dell’emendamento, ossia la soppressione delle parole: «o ad associazioni segrete».

TERRACINI dichiara di votare per la soppressione di questa parte, in quanto esistendo un divieto generale per tutti i cittadini italiani di iscrizione alle associazioni segrete è assurdo parlarne, in modo specifico, per i magistrati.

CONTI voterà contro l’emendamento, perché, nonostante i divieti, le associazioni segrete esistono e quindi è necessario disporre che i magistrati non vi possano appartenere.

(La seconda parte dell’emendamento non è approvata).

PRESIDENTE rileva che, in seguito al risultato della votazione, l’articolo resta come proposto dal Comitato di redazione.

Pone ora in discussione una proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli, per la quale era stata fatta riserva anche in seno al Comitato di redazione. L’onorevole Codacci Pisanelli propone di sopprimere l’ultimo comma dell’articolo 2 che dice: «I tribunali militari possono essere istituiti soltanto in tempo di guerra». Con tale proposta, si intende che i tribunali militari debbano continuare a funzionare.

CODACCI PISANELLI rileva che i tribunali militari esigono magistrati specializzati; questa esigenza è sentita non solo nell’ordinamento italiano, ma anche in altri ordinamenti, dato che il Codice penale non giunge ad ipotizzare alcuni reati. Si riferisce, ad esempio, allo stato di necessità, che viene concepito nel Codice penale in maniera diversa di come viene concepito nel Codice penale militare, in cui, alle volte, neppure lo stato di necessità può funzionare da discriminante. I tribunali militari non fanno che applicare una più rigorosa disciplina, alla quale i militari devono essere sottoposti.

Ritiene che di questo maggior rigore non si lamenteranno i militari, i quali sanno anche con questa maggiore limitazione alla loro libertà dimostrare come siano pronti ad assolvere il compito fondamentale delle nostre forze armate, silenziose custodi dell’onore della Patria nelle ore supreme.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Codacci Pisanelli.

CAPPI non condivide l’opinione dell’onorevole Codacci Pisanelli, perché la esigenza alla quale egli ha accennato può essere soddisfatta con disposizioni legislative particolari, senza bisogno di ricorrere ad un giudice speciale.

TUPINI si dichiara favorevole all’emendamento Codacci Pisanelli per un triplice ordine di ragioni: prima: perché il più adatto a giudicare i militari è il tribunale militare; seconda: perché in tempo di guerra non si può improvvisare il tribunale militare; terza: per la carenza di giustizia che si determinerebbe, ad esempio, a carico di marinai o, comunque, di militari che commettessero reati su navi in movimento e lontano dal territorio nazionale.

(L’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli non è approvato).

La seduta termina alle 12.40.

Erano presenti: Amadei, Ambrosini, Basso, Bocconi, Bozzi, Canevari, Cappi, Castiglia, Cevolotto, Codacci Pisanelli, Conti, Corsanego, De Michele, De Vita, Di Vittorio, Dominedò, Dossetti, Einaudi, Fabbri, Fanfani, Farini, Federici Maria, Froggio, Fuschini, Gotelli Angela, Grassi, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Pira, La Rocca, Leone Giovanni, Lombardo, Lucifero, Mancini, Mannironi, Marchesi, Marinaro, Merlin Umberto, Molè, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Piccioni, Rapelli, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Targetti, Taviani, Terracini, Togliatti, Togni, Tosato, Tupini, Uberti, Zuccarini.

Erano assenti: Bordon, Bulloni, Calamandrei, Cannizzo, Colitto, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Giua, Mastrojanni, Merlin Lina, Paratore, Pesenti, Porzio.

Assente giustificato: Ghidini.

In congedo: Lussu.