ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
ADUNANZA PLENARIA
25.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 30 GENNAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI
INDICE
La Magistratura (Esame degli emendamenti agli articoli)
Presidente – Leone Giovanni – Togliatti – Conti – Cappi – Tosato – Calamandrei – Nobile – Bozzi – Fabbri – Castiglia – Perassi – Einaudi – Lussu – Tardetti – Fuschini.
La seduta comincia alle 9.15.
Esame degli emendamenti agli articoli sulla Magistratura.
PRESIDENTE sottopone all’esame della Commissione gli emendamenti presentati al Titolo del progetto di Costituzione concernente la Magistratura.
Avverte che l’onorevole Leone, presentatore di vari emendamenti, ha comunicato di rimettersi al Comitato di redazione per quanto riguarda le questioni di carattere formale. Sosterrà invece in questa sede gli emendamenti di carattere sostanziale: attribuzione della vicepresidenza del Consiglio Superiore della Magistratura al Presidente della Corte di cassazione anziché al Guardasigilli; soppressione delle Magistrature onorarie; rinvio ad una norma transitoria della revisione delle giurisdizioni straordinarie.
Inoltre l’onorevole Targetti ha proposto un articolo aggiuntivo 3-bis, secondo il quale viene stabilita la competenza del Ministro della giustizia per l’organizzazione dei servizi relativi all’Amministrazione giudiziaria e per l’alta vigilanza sul funzionamento dei servizi stessi e degli uffici giudiziari. Tale emendamento può mettersi in relazione con un altro proposto dall’onorevole Calamandrei, così concepito:
«Il potere di promuovere l’azione disciplinare contro i magistrati spetta al Ministro della giustizia».
Un secondo emendamento dell’onorevole Targetti riguarda l’abolizione di ogni limite per la nomina delle donne nella Magistratura, mentre un terzo emendamento prevede la soppressione della prima parte dell’articolo 6 concernente la pubblicità dell’azione penale.
L’onorevole Calamandrei, infine, oltre all’emendamento già accennato, ne propone altri due, l’uno che prevede l’elettività e la temporaneità degli uffici direttivi della Magistratura e l’altro, secondo il quale l’autorità giudiziaria dovrebbe poter annullare, revocare o modificare un provvedimento amministrativo impugnato.
Pone anzitutto in discussione l’emendamento formulato dall’onorevole Leone all’articolo 3, unitamente all’onorevole Conti, e così concepito:
Nel secondo comma, sopprimere le parole: «del Ministro di giustizia, vicepresidente»; ed aggiungere, dopo le parole: «del Primo Presidente della Corte di Cassazione», l’altra: «vicepresidente».
Ricorda che il secondo comma dell’articolo 3, nel testo predisposto dal Comitato di redazione, è così formulato:
«Il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, è composto dei Ministro di giustizia, vicepresidente, del Primo Presidente della Corte di cassazione e di membri designati per sette anni, metà da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle loro diverse categorie, metà dall’Assemblea Nazionale fuori del proprio seno».
LEONE GIOVANNI illustra il suo emendamento ricordando che allorché l’apposita sezione della seconda Sottocommissione discusse sull’autogoverno della Magistratura si delinearono tendenze diverse, in quanto da una parte si proponeva di stabilire l’autogoverno assoluto attraverso il Consiglio Superiore della Magistratura, composto tutto da magistrati e presieduto dal primo Presidente della Cassazione, mentre dall’altra si tendeva a costituire questo Consiglio Superiore in forma mista e in modo che vi partecipassero elementi estranei. In via di conciliazione, egli propose allora che il Consiglio Superiore fosse formato per metà di magistrati e per metà di elementi estranei, e su questa base fu raggiunto l’accordo. Ma il dissenso affiorò in un secondo momento, allorché si trattò di concretare la presidenza di quest’organo: la sua proposta di assegnare la presidenza al Capo dello Stato fu accettata, ma circa la vicepresidenza la discussione fu lunga, in quanto egli proponeva di affidarla al primo Presidente della Cassazione, mentre la maggioranza accettò il principio opposto, affidandola al Ministro della giustizia.
L’emendamento che tende a riproporre la questione è fondato principalmente sulla considerazione che con un Consiglio Superiore composto in parte di magistrati ed in parte di elementi estranei alla Magistratura si fa un passo indietro nei confronti dell’autogoverno. La recente legge Togliatti garantì l’indipendenza della Magistratura, in quanto il Consiglio Superiore della Magistratura veniva congegnato come organo esclusivo della Magistratura. Ora, invece, nello stesso momento in cui si allargano i poteri di tale Consiglio, in quanto ad esso sono devoluti poteri disciplinari che prima erano affidati alla Corte disciplinare, e conferite funzioni nuove, come quella di bandire concorsi, di stabilire le norme per le promozioni, di decidere sui trasferimenti, se ne allarga la composizione nel senso che non rimane più come un organo di esclusiva creazione della Magistratura.
La decisione di affidare la presidenza al Capo dello Stato e di stabilire che metà dei componenti del Consiglio siano elementi estranei eletti dall’Assemblea Nazionale, risolve già una delle preoccupazioni sorte in sede di esame del progetto sul potere giudiziario: quella di evitare che attraverso l’autogoverno dato alla Magistratura essa costituisca una specie di casta chiusa. Con tale decisione, infatti, si è giunti ad avvicinare il più possibile il potere giudiziario agli altri poteri dello Stato.
Pensa però che non sia da accettarsi il concetto della vicepresidenza affidata al Ministro della giustizia. Secondo una proposta Calamandrei, il Ministro della giustizia sarebbe l’organo promotore, o per lo meno il capo degli organi promotori dei procedimenti disciplinari contro i magistrati. Ora, mentre accetta la proposta Calamandrei, preferirebbe che per l’esercizio dell’azione ci fossero anche altri organi, come vi erano nella legge Togliatti. È d’accordo sul punto che il Ministro della giustizia sia l’unico titolare del diritto di azione disciplinare; ma se il Ministro ha e deve continuare ad avere la titolarietà dell’azione disciplinare, è veramente singolare che questo stesso Ministro della giustizia, che nel procedimento disciplinare è l’accusatore, possa diventare poi anche il capo dell’organo che deve giudicare. È questo il primo motivo per cui il Ministro della giustizia – a suo avviso – non può essere il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. D’altra parte, il Ministro, nella situazione attuale, ha una responsabilità politica, individuale e personale, nei confronti degli altri poteri, concernente la vita e l’organizzazione della Magistratura. Ma il Ministro perde questa individualità di responsabilità nei confronti del Parlamento per la sua azione di Capo del Dicastero della giustizia e, intervenendo nell’organizzazione della Magistratura come vicepresidente del Consiglio Superiore, è in grado di compiere un’azione di inframmettenza politica senza il corrispettivo della sua responsabilità nei confronti del Parlamento.
Osserva che la soluzione adottata dalla seconda Sezione ha creato allarmi, in quanto si è temuto che invece di fare un passo avanti nell’indipendenza della Magistratura si facesse un passo indietro; mentre per la legge Togliatti si era raggiunta un’altra tappa dell’indipendenza del magistrato, con la Costituzione questa tappa si verrebbe a perdere in gran parte.
Pensa pertanto che motivi di carattere politico e motivi tecnici consiglino di ritornare sulla decisione adottata, e – accogliendo il suo emendamento – stabilire che la vicepresidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, composto per metà da elementi elettivi, i quali porteranno il soffio della vita estranea alla funzione giudiziaria, debba essere affidata al Presidente della Cassazione.
TOGLIATTI desidera innanzitutto fare un’osservazione sulla legge relativa alle guarantige della Magistratura, legge che porta il suo nome. Questa legge ha un duplice carattere: ha un carattere di riparazione e restaurazione, in quanto sopprime alcuni articoli dell’ordinamento giudiziario creato dal fascismo, che era un’offesa alla Magistratura la quale era sottoposta in modo brutale all’arbitrio del potere esecutivo; un secondo carattere di questa legge è di avviare la riorganizzazione della Magistratura, la quale avrebbe dovuto poi sfociare nella nuova Costituzione.
Per questo non trova difficoltà a che nella Costituzione siano introdotte delle norme le quali in parte modifichino quelle sancite da una legge che porta la sua firma. Crede poi che quella legge nulla concedesse alla concezione del potere autonomo della Magistratura, concezione che ritiene democraticamente non accettabile. La legge da lui proposta, e approvata dal Consiglio dei Ministri, andava sino al limite estremo delle garanzie dell’indipendenza e dell’autonomia, ma non faceva della Magistratura un potere autonomo dello Stato, che è cosa diversa da un potere che si governa esclusivamente da sé.
Ritiene pertanto che giustamente tale concetto sia stato respinto negli articoli del progetto sottoposto all’esame della Commissione Questi articoli, in qualche punto, vanno persino – a suo avviso – troppo in là, ed egli si propone – in questa sede o in sede di discussione dell’Assemblea – di richiamare l’attenzione su un articolo in cui la formulazione effettivamente è troppo larga, e precisamente l’articolo 5, laddove si dice che i magistrati sono inamovibili senz’altro, senza indicare da quale grado della carriera. Comprende infatti l’inamovibilità legata non soltanto alla funzione, ma anche ad un certo grado di maturità del magistrato.
Per quello che riguarda la struttura e le funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura, crede accettabile la formula proposta nell’articolo, quantunque si stacchi molto dall’ordinamento adottato nella sua legge. Si tratta di un organismo il quale assume una funzione particolare, appunto per impedire la completa autonomia del potere giudiziario come tale, e per questo accetta la formula e crede che anche i magistrati possano accettarla. E in sostanza, il fatto che il Consiglio Superiore della Magistratura sia composto di membri eletti per metà dall’Assemblea Nazionale, accresce il prestigio della Magistratura, non lo diminuisce.
Per quanto riguarda la questione del Presidente e del vicepresidente, la presidenza del Presidente della Repubblica – a suo avviso – non si discute. Non si può inoltre non far vicepresidente il Ministro della giustizia; altrimenti la funzione di questo Ministro viene quasi completamente annullata nei confronti della Magistratura. Non gli si attribuirà una funzione di procuratore generale o di pubblico ministero, in quanto il Consiglio Superiore della Magistratura non è un organo giudicante di tipo puro: è un organo in parte investito di poteri disciplinari di carattere amministrativo e in parte giudicante i magistrati secondo il loro valore agli effetti delle promozioni e delle assegnazioni alle differenti sedi. Ma il Ministro della giustizia deve avere nel Consiglio Superiore della Magistratura una funzione preminente. Crede conveniente inoltre attribuire una funzione preminente anche al primo Presidente della Cassazione, ed una soluzione di compromesso potrebbe essere quella di istituire due vicepresidenti: il Ministro della giustizia e il primo Presidente della Corte di cassazione, con la presidenza affidata al Presidente della Repubblica.
Gli sembra che questa soluzione di compromesso potrebbe accontentare tutte le esigenze, tanto quelle teoriche, quanto quelle di prestigio dell’ordine giudiziario.
CONTI, sulla questione della vicepresidenza affidata al Ministro della giustizia, osserva che affermato il principio, non soltanto dell’autonomia, ma dell’indipendenza della Magistratura, l’assegnazione al Ministro di una carica così importante contraddice nel modo più assoluto al principio che si vuole affermare. La parte che assumerebbe il Ministro della giustizia nel Consiglio Superiore sarebbe di continua interdizione, di continua neutralizzazione di tutte le buone volontà della Magistratura. La Magistratura deve essere tranquilla, veramente indipendente per mancanza di contatti con chi, attraverso appunto questi contatti, può stabilire influenze funeste all’amministrazione della giustizia.
A suo avviso, del resto, il Ministro della giustizia si diminuisce con l’appartenenza al Consiglio Superiore; la sua autorità può essere veramente superiore, e decisiva, se rimarrà fuori del Consiglio e non avrà rapporti con l’organizzazione della Magistratura stessa. Dal di fuori, il Ministro potrà esercitare veramente quell’alta funzione di vigilanza sull’andamento della giustizia – cui accenna la stessa legge Togliatti – e far valere la sua autorità sia nel Parlamento sia negli stessi rapporti con l’organizzazione autonoma della Magistratura. Inoltre, restando nel Consiglio Superiore della Magistratura, il Ministro sarebbe nello stesso tempo promotore dell’azione disciplinare e giudice fra giudici sottoposti a quella stessa disciplina, concezione questa che rasenterebbe l’assurdo.
Crede pertanto che un ordinamento delineato con la presidenza del Presidente della Repubblica e la vicepresidenza del primo Presidente della Corte di cassazione stabilisca una coordinazione armonica dei poteri, e non produca quegli inconvenienti che sono stati prospettati.
Esprime infine il parere che sia da eliminare, nella Costituzione repubblicana, la dizione «Ministro di grazia e giustizia». Il Ministro che presiede alla giustizia deve chiamarsi Ministro della giustizia o Ministro Guardasigilli. Propone che nei vari articoli della Costituzione si usi, sempre ed unicamente, questa dizione.
CAPPI dichiara che le ragioni esposte dall’onorevole Leone non lo hanno convinto. Crede che la questione dell’autogoverno assoluto, o quasi assoluto, della Magistratura, risenta di una tendenza reattiva che si voglia dare alla Costituzione, e che in fondo alla proposta vi sia una certa diffidenza verso il potere legislativo e verso quello esecutivo. Afferma che in un regime veramente democratico, quale quello che si intende instaurare, questa diffidenza è veramente ingiustificata.
L’altro argomento per la piena autonomia della Magistratura, cioè il principio della divisione dei poteri, sarebbe, a suo avviso, giusto, quando uguale fosse la fonte di questi poteri, quando cioè anche i magistrati fossero elettivi, come è elettivo il potere legislativo da cui promana quello esecutivo. Ma poiché questo non è, ritiene esagerata la pretesa di equiparare il potere giudiziario agli altri due poteri.
Per quanto riguarda infine la questione della vicepresidenza del Ministro della giustizia, una sola argomentazione lo ha colpito tra quelle esposte dall’onorevole Leone, l’inconveniente cioè che il Ministro della giustizia verrebbe ad essere, in un certo senso, giudice e parte.
Pensa che ad eliminare questo inconveniente potrebbe essere sufficiente indicare quali promotori dell’azione disciplinare i Consigli regionali della Magistratura. D’altro canto, escludere completamente la partecipazione del Ministro gli pare assurdo, in quanto esso dovrà pur rispondere davanti al Parlamento del potere giudiziario, che è un potere dello Stato come tutti gli altri.
Ritiene che una larga, giusta e doverosa concessione all’autonomia della Magistratura sia stata già fatta ammettendo che metà dei membri del Consiglio Superiore sia eletta dai magistrati stessi. L’altra metà dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura, eletti dall’Assemblea Nazionale, non rappresenterà certamente un solo partito; quindi la preponderanza della Magistratura sarà comunque assicurata.
Conclude dichiarando di aderire alla proposta Togliatti, di assegnare cioè la vicepresidenza rispettivamente al Ministro ed al primo Presidente della Cassazione.
TOSATO sarebbe d’accordo con la proposta Leone, ma ritiene che, conseguentemente, bisognerebbe escludere il Presidente della Repubblica dalla presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura. Osserva infatti che, data la forma di Governo parlamentare, la presenza del Presidente della Repubblica implicherebbe necessariamente nel Consiglio Superiore della Magistratura la presenza del Ministro della giustizia, come rappresentante responsabile dello stesso Presidente della Repubblica. Se si vuole garantire l’indipendenza della Magistratura, ritiene che occorra togliere dal Consiglio Superiore della Magistratura non solo il Ministro della giustizia, ma anche il Presidente della Repubblica.
CALAMANDREI è favorevole al sistema dell’autogoverno nella Magistratura per ragioni non di carattere teorico, ma derivanti da una lunga esperienza professionale, durante la quale si è persuaso che il buon andamento della giustizia penale e civile è soprattutto perturbato da inframmettenze di carattere politico, la cui prima origine è l’ingerenza del Ministro nell’amministrazione della giustizia per quanto riguarda nomine, trasferimenti, avanzamenti di magistrati. Inoltre nella vita pratica forense si vedono spesso fortune di professionisti il cui colore politico corrisponde sistematicamente alle variazioni politiche che avvengono nel Dicastero della giustizia: basta questa osservazione per far capire che, fin quando non si sarà esclusa ogni ingerenza del Ministro nell’amministrazione della giustizia, questi perturbamenti continueranno.
Osserva che per parlare di una responsabilità politica del Ministro dinanzi al Parlamento bisognerebbe creare al Ministro stesso una posizione nel Consiglio Superiore diversa da quella che gli si attribuisce, attribuendogli inoltre poteri che egli possa esercitare in maniera effettiva, anche nel campo disciplinare. Questo però porterebbe come conseguenza l’impossibilità del Ministro di essere anche vicepresidente del Consiglio Superiore, cioè, in pratica, Presidente effettivo, in quanto – suppone – il Presidente della Repubblica presiederà il Consiglio solo in occasioni solenni.
Riconosce fondata l’obiezione che in un Consiglio composto per metà di eletti dai magistrati e per metà di persone scelte dalla Assemblea Nazionale al di fuori della Magistratura, l’inclusione del primo Presidente della Cassazione e l’esclusione del Ministro porterà come conseguenza una prevalenza dei magistrati. A questo inconveniente ritiene possa ovviarsi non già attribuendo una vicepresidenza al Ministro Guardasigilli, ma attribuendo all’Assemblea Nazionale la facoltà di nominare non solo una metà dei componenti del Consiglio, ma anche un vicepresidente. Si avrebbero in tal modo, oltre al Capo dello Stato Presidente, due vicepresidenti, di cui uno magistrato e l’altro nominato dall’Assemblea Nazionale, ed inoltre i componenti nominati per metà dall’Assemblea Nazionale e per metà dalla Magistratura.
NOBILE osserva che, adottando le modifiche proposte all’articolo, si verrebbe a costituire un potere giudiziario assolutamente fuori del controllo della sovranità popolare, che pure è stata posta alla base dell’ordinamento dello Stato.
È, quindi, favorevole al mantenimento dell’articolo 3, senza modificazioni, salvo accettare la proposta dell’onorevole Calamandrei, secondo la quale un vicepresidente dovrebbe essere nominato dal Parlamento in modo che nel Consiglio Superiore della Magistratura vi sia almeno la prevalenza dell’ordine legislativo.
BOZZI rileva che il problema della Magistratura è soprattutto un problema di indipendenza dal potere esecutivo; ora, creando un organismo in cui la vicepresidenza, che è poi la presidenza effettiva, è affidata al potere esecutivo, si determina un’ingerenza diretta, continua, sulla vita della Magistratura, la quale si riflette sull’indipendenza del singolo magistrato, che viene ad essere profondamente menomata.
L’onorevole Tosato ha eccepito che non si dovrebbe includere nel Consiglio neppure il Capo dello Stato, poiché la sua responsabilità deve, per statuto, essere coperta da quella dei Ministri. Risponde che ciò accade solo ove si possa individuare una responsabilità singola del Presidente della Repubblica come tale: qui egli interviene, invece, come membro di un collegio.
Si dichiara pertanto favorevole all’emendamento dell’onorevole Leone.
TOSATO osserva che il problema da lui posto sussiste sempre in quanto, partecipando il Presidente della Repubblica al Consiglio come membro, oltre ad una responsabilità individuale può ravvisarsene anche una collegiale.
CALAMANDREI, riferendosi a quanto ha detto in precedenza, presenta un emendamento all’articolo consistente nello stabilire che vi sia nel Consiglio un secondo vicepresidente, accanto al primo Presidente della Corte di cassazione funzionante, eletto dall’Assemblea Nazionale.
FABBRI osserva che se si intende che il Presidente della Repubblica sia un membro partecipante con voto al Consiglio deliberante, tale sua partecipazione è del tutto incostituzionale. Dichiara, ad ogni modo, di essere favorevole ad escludere il Guardasigilli dal Consiglio e ad assegnare la vicepresidenza al primo Presidente della Cassazione.
PRESIDENTE pone innanzi tutto in votazione l’emendamento degli onorevoli Leone e Conti, secondo il quale il Ministro Guardasigilli non deve far parte del Consiglio Superiore della Magistratura, di cui sarebbe invece vicepresidente il primo Presidente della Cassazione.
CASTIGLIA chiede che la votazione avvenga per appello nominale.
(Segue la votazione per appello nominale).
Rispondono sì: Ambrosini, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Castiglia, Cevolotto, Conti, De Michele, De Vita, Dossetti, Einaudi, Fabbri, Fanfani, Federici Maria, Froggio, Fuschini, Gotelli Angela, Grassi, La Pira, Leone Giovanni, Lucifero, Marinaro, Mortati, Perassi, Rapelli, Ruini, Tosato.
Rispondono no: Amadei, Canevari, Cappi, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lombardo, Lussu, Mancini, Mannironi, Marchesi, Nobile, Ravagnan, Targetti, Togliatti, Uberti.
Astenuti: Moro, Rossi Paolo.
PRESIDENTE comunica, che l’emendamento degli onorevoli Leone e Conti è stato approvato con 27 voti favorevoli, 17 contrari e 2 astenuti.
Avverte che sarà ora messa in votazione la proposta di emendamento dell’onorevole Calamandrei, che era appunto subordinata all’accoglimento della proposta Leone-Conti, secondo la quale oltre alla vicepresidenza conferita al primo Presidente della Cassazione, si dovrebbe avere un secondo vicepresidente nominato dall’Assemblea Nazionale.
LEONE GIOVANNI ritiene che, essendo stato votato favorevolmente il suo emendamento, il quale tendeva chiaramente ad estromettere il Ministro della giustizia dal Consiglio Superiore affidandone l’unica vicepresidenza al primo Presidente della Cassazione, la nuova proposta di emendamento non possa essere posta in votazione.
PRESIDENTE osserva che, trattandosi di un emendamento aggiuntivo, la proposta Calamandrei deve essere posta in discussione ed in votazione.
PERASSI rileva che l’osservazione dell’onorevole Leone non è giustificata.
Essendo stato tolto dal Consiglio Superiore il Ministro della giustizia, si è venuto infatti a spostare l’equilibrio nella composizione interna del Consiglio stesso: non vede quindi come si possa vietare la possibilità di porre un emendamento che, in qualche maniera, ristabilisca tale equilibrio.
Osserva, in secondo luogo, che dopo l’approvazione dell’emendamento Leone si rende necessario un esame della questione sollevata dall’onorevole Tosato, questione che evidentemente non poteva essere posta prima che fosse stato accolto l’emendamento stesso.
PRESIDENTE fa presente all’onorevole Perassi che, mentre a suo parere ritiene debba mettersi in votazione la proposta dell’onorevole Calamandrei, dubita che la questione sollevata dall’onorevole Tosato possa essere posta, in quanto è stato formalmente approvato che il Capo dello Stato è il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Non è possibile tornare a mettere in discussione un punto che è stato acquisito dopo lunga discussione, dopo cioè che si è venuti nella determinazione di conferire al Capo dello Stato la presidenza di alti consessi, ponendolo in una determinata posizione, naturalmente onorifica.
La questione di cui ora ci si deve occupare è ad ogni modo l’emendamento presentato dall’onorevole Calamandrei.
EINAUDI afferma essergli sembrato, seguendo il filo logico del discorso Calamandrei, che egli fosse partito dalla premessa dell’autogoverno della Magistratura ed avesse detto che, se non si poteva ottenere questo ideale, si poteva ammettere un secondo vicepresidente. Crede che la vicepresidenza, data al primo Presidente della Cassazione, sia una garanzia e che, in conseguenza, l’emendamento Calamandrei dovrebbe cadere.
LUSSU non vorrebbe che si venisse a creare un istituto che non avesse quella attuazione che si desidera; prospetta infatti l’eventualità che un Presidente della Repubblica, scrupoloso delle sue funzioni, delle sue prerogative e dei suoi doveri, possa non intervenire al Consiglio Supremo della Magistratura in quanto, in assenza del Ministro, non vi è chi possa assumersi una responsabilità.
CALAMANDREI osserva all’onorevole Einaudi che la Commissione si è trovata d’accordo sulla necessità di cercare un sistema nel quale gli elementi della Magistratura e quelli nominati dall’Assemblea Nazionale fossero in condizioni di assoluta parità, e che l’organo che poteva dare il tracollo a questo equilibrio fosse il Presidente della Repubblica, elemento superiore ai partiti. Se si vuole rispettare questo sistema di parità, una volta estromesso il Ministro della giustizia, occorre creare un secondo vicepresidente nominato dall’Assemblea Nazionale.
PRESIDENTE pone ai voti la proposta Calamandrei, secondo la quale, oltre alla vicepresidenza del primo Presidente della Cassazione, vi sia una vicepresidenza di persona nominata dall’Assemblea Nazionale.
(È approvata).
Comunica che l’onorevole Nobile chiede sia messa in votazione la proposta che il Consiglio Superiore sia presieduto dal Presidente della Repubblica assistito dal Ministro della giustizia.
Osserva che questa proposta appare in contrasto con la votazione che precedentemente ha avuto luogo.
NOBILE rileva che è stato semplicemente votato che il Ministro non può essere vicepresidente.
TOGLIATTI crede che la proposta Nobile debba essere discussa e che essa non contrasti con il voto precedente. Fa presente ai colleghi che le funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura sono funzioni in parte adempiute da organismi autonomi della Magistratura, ma in parte anche sono funzioni le quali, in sede preparatoria, vengono compiute dalla Direzione generale del personale, la quale è un organo diretto dal Ministro della giustizia. Allora, o si mette la Direzione generale del personale alle dipendenze del Presidente della Repubblica, il che è assurdo, o del primo Presidente della Cassazione, il che è più assurdo ancora, o altrimenti è del tutto logico che il Ministro di giustizia assista, per esprimere un parere, anche senza far parte di questo Consiglio, ma dando la necessaria assistenza tecnica per tutte quelle questioni che possono essere trattate.
LEONE GIOVANNI osserva che la precedente votazione ha portato alla indiscussa conseguenza della esclusione del Ministro dal seno del Consiglio Superiore e dalla vicepresidenza. Questo Ministro non può perciò rientrare nel Consiglio, né d’altra parte sarebbe concepibile un Ministro che vi entrasse soltanto come assistente.
PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Nobile, secondo il quale la prima proposizione dell’articolo dovrebbe essere così formulata: «Il Consiglio Superiore della Magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica, assistito dal Ministro della giustizia, ed è composto», ecc.
(Non è approvato).
Avverte che viene ora in discussione l’emendamento proposto dall’onorevole Targetti, riguardante le funzioni del Ministro della giustizia. L’onorevole Targetti propone l’adozione del seguente articolo aggiuntivo 3-bis: «Il Ministro della giustizia provvede alla organizzazione dei servizi relativi all’Amministrazione della giustizia ed esercita l’alta vigilanza sul funzionamento dei servizi stessi e degli uffici giudiziari».
TARGETTI dà ragione del suo emendamento, affermando di ritenere necessario includere l’articolo proposto, a meno che non se ne voglia includere uno opposto, che cioè stabilisca la abolizione del Ministro. Siccome non crede che questo sia il desiderio di alcuno dei Commissari, crede opportuno, specialmente dopo che si è approvata la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura estromettendone il Ministro, vicepresidente, affermare la sopravvivenza del Ministro della giustizia, anche in regime repubblicano, con l’affermazione di queste mansioni. Dire che il Ministro esercita l’alta vigilanza sul funzionamento degli uffici giudiziari è quanto meno si possa dire della funzione che logicamente spetta al Ministro della giustizia.
LEONE GIOVANNI dichiara di essere favorevole all’articolo proposto dall’onorevole Targetti, tranne per la parte concernente gli uffici giudiziari, che vorrebbe soppressa.
TOSATO non è favorevole all’emendamento Targetti, non perché sia contrario alla sostanza della sua proposta, ma per una questione di forma e di sistematica costituzionale. È stato già approvato un articolo secondo il quale il numero e le attribuzioni dei Ministeri saranno fissati per legge; quanto si viene a stabilire nell’articolo proposto non è più, quindi, materia costituzionale.
CONTI osserva che l’espressione «alta vigilanza sul funzionamento dei servizi» riduce le funzioni del Ministro ad un compito di semplice sorveglianza, mentre l’alta vigilanza spetta al Ministro della giustizia su tutto il funzionamento della giustizia all’esterno.
Anche per le considerazioni esposte dall’onorevole Tosato, è contrario all’emendamento; comunque fa presente che, se fosse messo in votazione, l’espressione: «alta vigilanza sui funzionamento dei servizi» dovrebbe essere modificata, nel senso di dire, piuttosto, che il Ministro: «provvede alla organizzazione dei servizi della giustizia».
LUSSU fa presente l’opportunità di trasformare l’emendamento Targetti in una mozione interna che serva di chiarimento. Quanto ha osservato l’onorevole Tosato è esatto; ma – d’altra parte – le preoccupazioni esposte dall’onorevole Targetti sono logiche.
TARGETTI aderisce alla proposta dell’onorevole Lussu.
PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento Targetti, inteso non come articolo della Costituzione, ma come indicazione e norma da tener presente nell’ordinamento giudiziario.
(È approvato).
FUSCHINI, rilevando come l’articolo 3 disponga che la metà dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura debbano essere nominati dall’Assemblea Nazionale fuori dal proprio seno, osserva che le Camere, dovendo nominare dei membri partecipanti a determinate Commissioni, li sceglievano sempre nel loro seno. Qui si vogliono nominare dei membri fuori del seno dell’Assemblea Nazionale; sta bene, ma occorre indicare l’organo che designa all’Assemblea una rosa di nomi tra i quali questa potrà scegliere. Sarebbe opportuna pertanto l’aggiunta di un inciso in cui si dicesse che le nomine debbono avvenire: «su designazione dei Consigli degli Ordini forensi o delle facoltà di giurisprudenza delle Università».
PRESIDENTE osserva che la proposta dell’onorevole Fuschini potrebbe essere tenuta presente come segnalazione.
CONTI rileva che alla fine del secondo comma dell’articolo si dice che metà dei membri dei Consiglio saranno eletti dalla Assemblea Nazionale fuori dal proprio seno. Nella colonna delle osservazioni, si fa presente che è stata segnalata l’opportunità che nelle norme sull’ordinamento giudiziario sia stabilita l’incompatibilità dell’esercizio della professione forense per i membri del Consiglio Superiore delia Magistratura durante la loro permanenza in carica. Ma egli andrebbe ancora più in là, proponendo una disposizione in cui si stabilisca che se da parte della Assemblea sono eletti degli avvocati nei Consiglio, questi debbano cessare per sempre dall’esercizio professionale. L’avvocato non deve rientrare nella professione con il lustro e con il prestigio acquistato nel Consiglio Superiore della Magistratura, in quanto diventerebbe un despota nei confronti dei magistrati.
LUSSU trova giusto che un avvocato il quale è chiamato a far parte del Consiglio Superiore della Magistratura non eserciti la professione per il tempo in cui ricopre la carica; ma sarebbe ingiusto, a suo avviso, impedire che, cessata tale carica nel Consiglio Superiore, l’avvocato torni ad esercitare la sua professione. Altrimenti, in pratica, raramente un avvocato potrebbe accettare una funzione che gli impedisca di esercitare in seguito la sua professione.
PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Fuschini, secondo la quale i membri del Consiglio Superiore dovrebbero essere nominati dall’Assemblea Nazionale su designazione degli ordini professionali, delle facoltà universitarie, ecc.
(Non è approvata).
Pone in votazione la proposta dell’onorevole Conti, il quale vorrebbe che gli avvocati eletti nel Consiglio Superiore della Magistratura non potessero più esercitare la professione.
(Non è approvata).
Pone in votazione l’ipotesi subordinata, di cui è cenno nelle osservazioni, secondo la quale la incompatibilità dell’esercizio della professione deve essere limitata per gli avvocati prescelti al periodo nel quale fanno parte del Consiglio Superiore delia Magistratura.
(È approvata).
Rimane inteso che è demandata al Comitato di coordinamento la formulazione della norma.
Avverte che l’onorevole Calamandrei ha proposto il seguente emendamento aggiuntivo:
«Il potere di promuovere l’esame disciplinare contro i magistrati spetta al Ministro della giustizia, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario.
CALAMANDREI dichiara che, poiché il suo emendamento è stato già svolto dal collega Leone, si rimette a quanto è stato da quest’ultimo fatto presente.
PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento Calamandrei.
(È approvato).
Chiede infine alla Commissione se concorda – come è stato proposto dall’onorevole Conti – nella opportunità di adottare, nel testo della Costituzione, la dizione: «Ministro della giustizia» anziché quella: «Ministro di grazia e giustizia».
(La Commissione concorda).
La seduta termina alle 11.35.
Erano presenti: Amadei, Ambrosini, Basso, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Canevari, Cappi, Castiglia, Cevolotto, Conti, De Michele, De Vita, Dominedò, Dossetti, Einaudi, Fabbri, Fanfani, Farini, Federici Maria, Fuschini, Grassi, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Pira, La Rocca, Leone Giovanni, Lombardo, Lucifero, Lussu, Mancini, Mannironi, Marchesi, Marinaro, Molè, Moro, Mortati, Nobile, Perassi, Rapelli, Ravagnan, Rossi, Ruini, Targetti, Taviani, Togliatti, Tosato, Tupini, Uberti.
Erano assenti: Bordon, Cannizzo, Codacci Pisanelli, Corsanego, Di Giovanni, Di Vittorio, Finocchiaro Aprile, Froggio, Ghidini, Giua, Gotelli Angela, Grieco, Mastrojanni, Merlin Lina, Merlin Umberto, Noce Teresa, Paratore, Pesenti, Piccioni, Porzio, Terracini, Togni, Zuccarini.
Assente giustificato: Ghidini.