Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 29 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

ADUNANZA PLENARIA

24.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 29 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI

INDICE

Elezione dei senatori (Ordine di votazione delle proposte)

Presidente – Piccioni – Fuschini – Perassi – Terracini – Laconi – Togliatti – Lussu.

Presidenza dell’Assemblea Nazionale

Presidente – Piccioni – Togliatti – Fabbri – Einaudi – Grassi – Fuschini.

«Referendum» per l’entrata in vigore o per l’abrogazione di una legge

Presidente – Grassi – Togliatti – Perassi – Fabbri – Einaudi – Nobile.

Potere di amnistia dell’Assemblea Nazionale

Presidente – Leone Giovanni – Togliatti – Mastrojanni – Rossi Paolo – Perassi – Molè – Bulloni – Nobile – Dominedò – De Vita.

Voto di fiducia dell’Assemblea Nazionale al Governo

Presidente – Mortati.

La seduta comincia alle 17.15.

Elezione dei senatori. (Ordine di votazione delle proposte).

 

PRESIDENTE avverte che occorre mettere ai voti le varie proposte relative alla elezione dei senatori. A suo parere, si dovrebbe anzitutto mettere ai voti la proposta Mortati, che maggiormente si discosta dalla proposta originaria della seconda Sottocommissione, adottata dal Comitato di redazione, e che ritorna in qualche modo alla rappresentanza degli interessi; seguirebbero la proposta Nobile, che riguarda il suffragio universale diretto; la proposta Laconi relativa al suffragio indiretto con l’emendamento integrativo presentato dall’onorevole Perassi; infine, la proposta Fuschini, che è quella che più si accosta a quella originaria.

PICCIONI pensa che dopo l’ultima votazione in seno alla seconda Sottocommissione, la proposta fondamentale da cui ci si deve muovere per considerare l’ordine delle votazioni è quella dell’onorevole Laconi, la quale dovrebbe essere votata per ultima e dovrebbe essere preceduta dalla proposta Fuschini.

PRESIDENTE. Allora, l’ordine sarebbe il seguente: proposta Mortati, proposta Nobile, proposta Fuschini, proposta Laconi, proposta Perassi.

Comunica che gli onorevoli Grassi, Bozzi, Marinaro, Cevolotto, Molè e Einaudi hanno presentato la seguente proposta: «Un terzo dei senatori è eletto dal Consiglio regionale ed il resto a suffragio universale diretto, uguale e segreto, con una circoscrizione per ogni senatore». Questa proposta sarà votata per ultima.

FUSCHINI osserva che nella proposta Grassi è indicato un sistema elettorale.

PERASSI. Chiede che si stabilisca con precisione quale è la proposta Mortati.

PRESIDENTE. La proposta Mortati è la seguente:

«La Camera dei Senatori è eletta dagli elettori aventi venticinque anni di età, fra gli eleggibili appartenenti alle categorie:

1°) dell’agricoltura;

2°) dell’industria;

3°) del commercio e credito;

4°) delle professioni:

  1. a) d’impiego pubblico;
  2. b) della scuola e della cultura;
  3. c) professioni legali;
  4. d) sanitarie;
  5. e) tecniche;
  6. f) di altri rami.

«I seggi sono ripartiti fra tali categorie, per ciascuna delle quali sono presentate apposite liste da parte degli appartenenti ad esse, ed attribuiti per mezzo di distinti scrutinii, col sistema maggioritario se il numero degli eleggibili delle categorie è inferiore a tre, col sistema proporzionale se è superiore».

PERASSI non ha nessuna obiezione a che si metta per prima in votazione.

Come seconda questione si metterebbe in votazione se l’elezione dei senatori debba farsi per una parte dal Consiglio regionale e per un’altra in modo da stabilirsi. La seconda Sottocommissione fu largamente concorde su tale criterio, e se nell’ultima votazione sulla proposta Laconi esso subì una attenuazione, è da rilevare che tale proposta fu approvata con 12 voti favorevoli, 14 astenuti e 2 contrari. Ora, il criterio della distinzione in due gruppi dovrebbe, a suo parere, essere messo ai voti prima di passare al modo di eleggere a suffragio diretto o indiretto.

TERRACINI osserva che se l’onorevole Perassi accetta che si voti inizialmente sul progetto Mortati e che si taccia dei due collegi separati, non si comprende perché egli proponga di posporre la votazione sul progetto Laconi, solo perché anch’esso abbandona il criterio dei due collegi separati. O la misura è uguale per tutti e due, o non vale per nessuno di quei progetti e ritiene che non debba valere per nessuno dei progetti, perché il semplice fatto che stamane la Commissione plenaria abbia ripreso tutto il problema, pone nel nulla evidentemente quella lontanissima decisione che la stessa seconda Sottocommissione, d’altra parte, aveva già abbandonato, e non soltanto con la votazione che l’onorevole Perassi ha richiamato, ma con una precedente circa la distinzione dei due collegi, nella quale 13 furono i voti favorevoli e 14 i contrari.

Pensa pertanto che la successione delle votazioni debba essere quella proposta dall’onorevole Ruini.

PICCIONI non ha nessuna difficoltà ad accedere allo spostamento proposto dall’onorevole Perassi, perché ritiene che sarebbe bene cominciare a porre qualche caposaldo fondamentale. Uno di questi è precisamente quello indicato dall’onorevole Perassi, rispetto al quale proporrebbe che i cinque senatori riservati a ciascuna regione fossero eletti dai Consigli regionali.

Sarebbe, inoltre, necessario stabilire il numero complessivo dei senatori. E siccome il numero dei componenti la prima Camera è stato elevato, parrebbe opportuno elevare anche proporzionalmente il numero dei membri della seconda Camera.

TERRACINI si meraviglia per il modo con cui si passa da una questione all’altra. L’onorevole Perassi ha dato una giustificazione alla sua proposta; l’onorevole Piccioni accetta la proposta, modificandola, ma dimentica la giustificazione. La proposta dei cinque senatori riservati a ciascuna Regione è venuta fuori ieri sera; e allora non si può dire che bisogna votare su quella proposta, dato che c’è stata una decisione di due mesi fa, alla quale bisogna restare fedeli, cioè: all’Assemblea regionale un terzo, ai Consigli comunali due terzi.

Se mai, si tratterebbe di votare la proposta Perassi nel suo insieme.

PICCIONI osserva che nella riunione di stamane l’onorevole Terracini si è soffermato a contraddire la proposta Fuschini di limitare l’elezione dei membri della seconda Camera riservati ai Consigli regionali solamente ai cinque stabiliti per ogni regione. Quindi, la discussione si è svolta ampiamente, sia in seno alla seconda Sottocommissione, sia in seno alla Commissione plenaria, e non vede perché su questo, che è un principio preliminare, non si debba interpellare la Commissione prima di ogni altra cosa.

LACONI pensa che, ponendo in votazione il criterio della unicità o duplicità del collegio, si viene a produrre uno schieramento artificiale. Vi sono proposte concrete, a suo parere, migliori di altre che comportano il collegio unico.

Quanto alla questione dei cinque senatori, nota che finora la Commissione non ha approvato tale concetto e non si è stabilito, quindi, se vi sarà un numero fisso di senatori per ogni Regione.

PRESIDENTE chiede che la Commissione decida, in via preliminare, se prima di procedere alle votazioni delle singole proposte si debba risolvere la questione del collegio unico o del collegio multiplo.

TOGLIATTI esprime il parere favorevole suo e, crede, dei suoi amici alla proposta Grassi, che comporta l’elezione di due terzi dei senatori a suffragio diretto e a collegio uninominale. Questa, certamente, è la proposta che si stacca di più dalle altre e potrebbe essere votata.

La proposta è, a suo parere, politicamente saggia, in quanto si darebbe una sodisfazione a quella corrente del Paese la quale ritiene che il collegio uninominale abbia un carattere di democrazia particolare. Questa corrente avrebbe la sua espressione nella seconda Camera.

FUSCHINI osserva che per la elezione della Camera dei Deputati non si è indicato il sistema, mentre per la seconda Camera, con la proposta accettata dall’onorevole Togliatti, si adotterebbe il collegio uninominale. La questione, a suo parere, va risolta per entrambe le Camere. Pensa, in ogni caso, che la Camera dei Deputati debba essere eletta col sistema proporzionale.

TOGLIATTI chiarisce che accetta la proposta del collegio uninominale per la seconda Camera, in quanto la prima Sottocommissione aveva approvato il sistema proporzionale per la Camera dei Deputati, con l’accordo dei rappresentanti di tutti i partiti e nella convinzione che tale voto fosse stato consacrato dalla seconda Sottocommissione.

PRESIDENTE. La seconda Sottocommissione ne ha fatto oggetto di una raccomandazione al legislatore. Si tratterebbe di dare a tale raccomandazione una espressione concreta, restando intesi che, quando si parla dell’elezione della prima Camera, ci si dovrebbe riferire al sistema proporzionale.

PICCIONI. La seconda Sottocommissione, se ben ricorda, quando trattò della composizione della prima Camera e genericamente delle Camere elettive, si trovò d’accordo nel concetto che il sistema proporzionale non dovesse far parte integrante della Costituzione, ma che dovesse essere tenuto presente.

Ora, dopo mesi di discussione, si vuole, con l’attuale proposta, inserire nella Costituzione il principio del collegio uninominale per la elezione della seconda Camera.

Non nasconde che la proposta lo lascia perplesso, soprattutto perché si adotterebbero, nella formazione del Parlamento nazionale, due sistemi antitetici, quale il sistema proporzionale e quello uninominale. Teme che le conseguenze di questa antitesi si faranno sentire in successivi momenti della vita nazionale.

Ad ogni modo, poiché la proposta è stata fatta, crede opportuno vagliarla attraverso una consultazione.

TOGLIATTI osserva che si potrebbe fare una votazione di massima, incaricando una piccola Commissione di concretare l’articolo.

PRESIDENTE ritiene opportuno sospendere la seduta, al fine di raggiungere un accordo sulla importante questione.

(La seduta, sospesa alle 17.45, è ripresa alle 18.10).

PRESIDENTE avverte che la discussione relativa alla elezione dei senatori sarà ripresa nella seduta di dopodomani.

LUSSU, poiché sarà quasi certamente assente dopodomani per impegni presi in precedenza, dichiara che non approva la proposta Grassi avanzata all’ultimo momento. L’onorevole Togliatti può anche aderire ad una tale proposta in quanto ritenga che possa essere opportuno adottare due sistemi diversi di votazione per le due Camere, ma pensa che il ritorno al collegio uninominale significhi incancrenire la vita politica nel Mezzogiorno perché, anche nel migliore dei casi, il collegio uninominale è stato sempre espressione di interessi individuali poco chiari.

È convinto che il collegio uninominale nel Mezzogiorno rappresenterebbe un elemento di corruzione, sicché si arriverebbe alla incongruenza che, mentre per le elezioni della prima Camera a sistema proporzionale, il Paese si moralizzerebbe, con il collegio uninominale per la seconda Camera tornerebbe alle vecchie clientele, che hanno sempre portato una nota equivoca nella politica italiana.

Presidenza dell’Assemblea Nazionale.

PRESIDENTE. Si passa alla questione concernente la Presidenza dell’Assemblea Nazionale.

Il comma proposto è il seguente:

«La Presidenza dell’Assemblea Nazionale è affidata, per la durata di un anno, alternativamente, al Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente della Camera dei Senatori».

Si è inteso così, da parte della seconda Sottocommissione, di non dare la prevalenza a nessuna delle due Camere. È stato però in seno al Comitato di redazione osservato da alcuni che questo sistema presenta degli inconvenienti, soprattutto agli effetti della supplenza che spetta al Presidente dell’Assemblea Nazionale quando il Presidente della Repubblica, per eventuale impedimento, non sia in grado di esercitare la sua funzione.

Esclusa la nomina di un Vicepresidente della Repubblica, in quanto si creerebbe una carica inutile, si sarebbe prospettata la nomina di un Presidente da parte dell’Assemblea Nazionale, il quale sostituirebbe il Presidente della Repubblica nei casi di impedimento. La questione è però controversa.

PICCIONI accetta la proposta che l’Assemblea Nazionale elegga un proprio Presidente, al quale sarebbero riservate le funzioni di Vicepresidente della Repubblica.

TOGLIATTI rileva l’inconveniente che il Presidente dell’Assemblea Nazionale, quale membro di una delle Camere, sarebbe sottoposto all’autorità del Presidente della Camera di cui fa parte.

PRESIDENTE non crede che tale inconveniente sia grave; ad ogni modo si è anche proposto di dare la presidenza dell’Assemblea Nazionale sempre al Presidente della prima Camera, oppure al Presidente della seconda Camera.

PICCIONI nota che l’inconveniente prospettato dall’onorevole Togliatti non si elimina neanche col sistema della Presidenza alternativa, poiché uno dei Presidenti delle Camere sarebbe sottoposto all’altro durante l’anno in cui non presiede l’Assemblea Nazionale.

TOGLIATTI osserva che l’inconveniente maggiore è che il Presidente dell’Assemblea Nazionale sia sottoposto a quello della Camera di cui fa parte.

FABBRI è favorevole al testo della seconda Sottocommissione, perché, a suo avviso, le funzioni del Presidente dell’Assemblea Nazionale, se pur elevate, sono transitorie e, in ogni caso, di brevissima durata. E allora, siccome la presunzione è che tanto il Presidente della prima Camera quanto il Presidente della seconda Camera saranno due degnissime persone, non vede nessun inconveniente nel fatto che vi sia questa alternativa eventuale a favore dell’uno o dell’altro. Il concetto invece che il Presidente dell’Assemblea Nazionale sia membro dell’una o dell’altra Camera, sottoposto quindi alla disciplina di un Presidente in un certo senso inferiore di lui, per un lungo periodo dell’anno, non è, a suo parere, da accettare.

PRESIDENTE ricorda che, nel titolo riguardante il Capo dello Stato, si è stabilito che: «Le funzioni del Presidente della Repubblica sono, in caso di suo impedimento, esercitate dal Presidente dell’Assemblea Nazionale». Quindi il Presidente dell’Assemblea Nazionale è di fatto un Vicepresidente virtuale e pertanto la designazione deve esser fatta in base a determinati criteri, che non sono quelli della semplice Presidenza delle due Camere. Per eliminare l’inconveniente cui ha accennato l’onorevole Togliatti, si potrebbe stabilire che il Presidente dell’Assemblea Nazionale non fa più parte dell’una o dell’altra Camera.

EINAUDI teme che, con la designazione di un Presidente dell’Assemblea Nazionale, si faccia un passo, per quanto piccolo, verso la costituzione di un terzo corpo che si chiama Assemblea Nazionale e che ha poca ragion d’essere. Già in fase preliminare si sono scartate certe funzioni che si potevano attribuire a questa Assemblea Nazionale, perché con ciò si sarebbero ridotti i due rami del Parlamento a due sezioni di una Camera unica, incrinando così fortemente il sistema bicamerale.

Pensa, inoltre, che la funzione di Vicepresidente o di Presidente interinale della Repubblica non ha una grande importanza. Di solito gli impedimenti sorgono in caso di malattia. Ora, se si tratta di malattie lievi, il Presidente può seguitare ad esplicare le sue funzioni; se sono gravi o mortali, si deciderà sul da farsi.

GRASSI rileva che l’osservazione fatta dal Presidente è d’importanza essenziale, perché occorre stabilire chi possa sostituire il Presidente della Repubblica in caso di impedimenti, che possono essere di varia natura. Non si può, pertanto, lasciare incerta la Vicepresidenza della Repubblica affidandola alternativamente, per la durata di un anno, all’uno o all’altro Presidente delle due Camere.

D’altro canto, il criterio di sceglierlo tra i membri dell’Assemblea porta all’inconveniente cui ha accennato l’onorevole Togliatti: non è possibile, cioè, che il Presidente dell’Assemblea Nazionale diventi un semplice deputato o senatore. Bisogna, dunque, scegliere fra i due Presidenti delle Camere. A suo parere, la scelta dovrebbe cadere sul Presidente della Camera dei Deputati.

FUSCHINI osserva che una proposta simile è stata respinta dalla seconda Sottocommissione.

PRESIDENTE nota che la Commissione dei 75 può decidere diversamente. Mette pertanto in votazione la proposta dell’onorevole Grassi:

«L’Assemblea Nazionale è sempre presieduta dal Presidente della Camera dei Deputati».

FUSCHINI dichiara di votare contro.

(La proposta non è approvata).

PRESIDENTE mette in votazione la proposta che l’Assemblea Nazionale nomini un proprio Presidente.

(Non è approvata).

Rimane quindi il testo della seconda Sottocommissione: «La Presidenza dell’Assemblea Nazionale è affidata, per la durata di un anno, alternativamente, al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente della Camera dei Senatori».

Referendum per l’entrata in vigore o per l’abrogazione di una legge.

 

PRESIDENTE. È ora da esaminare la questione relativa al referendum per l’entrata in vigore o per l’abrogazione di una legge.

L’articolo, proposto dalla seconda Sottocommissione, che il Comitato di redazione ha accolto, per il suo valore sostanziale, è del seguente tenore: «L’entrata in vigore di una legge non dichiarata urgente è sospesa quando, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione, cinquantamila elettori o tre Consigli regionali chieggono che sia sottoposta a referendum popolare. Il referendum ha luogo se nei due mesi dalla pubblicazione della legge l’iniziativa per indirlo ottiene l’adesione, complessivamente, di cinquecentomila elettori o di sette Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie, di approvazione del bilancio e di ratifica dei trattati.

«Si procede altresì al referendum se cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali fanno domanda di abrogare una legge che sia in vigore da almeno due anni. Il referendum non è ammesso per le leggi tributarie».

In ordine al caso previsto nel primo comma, l’onorevole Perassi ha proposto di escludere dal referendum anche le leggi approvate con maggioranza di due terzi dei membri di ciascuna Camera. L’onorevole Grassi ha poi proposto di sopprimere il primo comma e di modificare così il secondo: «Si procede a referendum popolare se cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali fanno domanda di abrogare una legge. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie».

GRASSI. Secondo il sistema proposto, ogni legge, anche la più piccola, può essere sospesa finché gli elettori non dicano se accettano o no di sottoporla a referendum. In altri termini, si viene a creare un veto nelle mani del popolo; quel veto che non si è accettato quando si diceva che dovesse essere affidato al Presidente della Repubblica o al monarca, in quanto costituiva un intralcio alla funzione legislativa. Dichiara di essere favorevole al referendum, ma nelle grandi questioni, nei problemi d’eccezione.

Ha pertanto proposto di conservare soltanto il referendum abrogativo, poiché ritiene il referendum preventivo antigiuridico e antidemocratico: si presterebbe all’ostruzionismo di una minoranza che volesse sabotare il potere legislativo e importerebbe una ingente spesa.

TOGLIATTI concorda, nel complesso, con l’opinione espressa dall’onorevole Grassi e dice subito che questo articolo è a favore di un partito che ha due milioni di iscritti, perché potrà sempre sospendere qualsiasi legge, trattandosi di un espediente di organizzazione elementare raccogliere 500.000 firme. Con tale sistema, quindi, un partito fortemente organizzato avrebbe la facoltà praticamente di sospendere la vita di tutte le Assemblee, la vita cioè costituzionale del Paese. Si tratta, infatti, di qualsiasi legge, eccetto il solo bilancio, che si fa poi presto a ridurre ad ordinaria amministrazione, e i trattati. Ritiene però che tale sistema non sia democratico: si passerebbe da una battaglia all’altra, nulla più funzionerebbe. Richiama pertanto l’attenzione dei Commissari sulle sue conseguenze, che metterebbero in forse la stabilità, la continuità e la possibilità stessa legislativa dello Stato repubblicano. Pensa che si debbano almeno imporre limiti ristretti all’attuazione di un tale sistema.

PERASSI, per quanto concerne la proposta dell’onorevole Grassi, osserva che il rilievo che il referendum proposto dalla Sottocommissione dia luogo ad un assurdo teorico, gli pare sia una affermazione un po’ ardita. In fondo, questo sistema di referendum, con qualche mutamento di ordine tecnico, vige in molti Paesi: in Isvizzera, ad esempio, dal 1874. Ora, non risulta che l’esistenza di questo istituto vi abbia compromesso né la stabilità del Governo né, in generale, il funzionamento delle istituzioni dello Stato. Assurdo teorico quindi non c’è.

L’onorevole Togliatti, invece, fa delle riserve non di ordine teorico, ma di ordine pratico e, senza formulare una opposizione di principî all’istituto del referendum, mette in evidenza, sotto l’aspetto del funzionamento pratico, gli inconvenienti a cui, a suo avviso, potrebbe dar luogo, quando vi siano dei partiti che vogliano maneggiare questo strumento con spirito ostruzionistico. Le preoccupazioni dell’onorevole Togliatti gli sembrano in parte fondate ed appunto partendo da analoghe considerazioni egli, pur essendo fondamentalmente favorevole all’introduzione del referendum, ha ritenuto opportuno di proporre una notevole limitazione all’applicabilità del referendum, oltre quelle prevedute dalla Sottocommissione. Secondo le proposte della Sottocommissione, già sono sottratte al referendum le leggi dichiarate urgenti e certe categorie di leggi. Oltre queste limitazioni egli propone di sottrarre al referendum le leggi quando siano state approvate con una maggioranza di almeno due terzi dei membri di ciascuna Camera. Quando una legge è adottata da ciascuna Camera con una maggioranza così elevata, si può fondatamente presumere che essa risponda alle esigenze del Paese, onde una domanda di referendum potrebbe apparire come una manovra ostruzionistica. Con queste limitazioni, ritiene che nella Costituzione l’istituto del referendum facoltativo debba essere accolto come un opportuno e democratico correttivo del regime rappresentativo.

FABBRI ritiene infondate le preoccupazioni degli onorevoli Grassi e Togliatti, in quanto per una grandissima categoria di leggi è sufficiente che il Parlamento, nel momento stesso in cui approva la legge, dichiari a maggioranza normale l’urgenza, perché quella legge sia automaticamente sottratta al referendum. Si può quindi dire che il referendum è ammissibile per tutte le leggi che non siano di carattere tributario, che non siano urgenti, che non siano di approvazione di bilanci e di ratifica trattati. Il referendum si applicherebbe così solo nei confronti di una legge estranea al funzionamento normale dell’economia del Paese che non sia urgente.

Bisogna allora avere il coraggio di guardare il problema in faccia: o si è favorevoli al referendum, ed esso troverà allora la sua ragion d’essere di fronte ad una legge nuova e non urgente; o si è viceversa contrari per teoria, o comunque per tendenza politica, e allora è il caso di dirlo francamente e non permettere che si pongano all’istituto del referendum tali limiti che sia in teoria ammesso, ma praticamente vietato.

La questione delle 500.000 firme non è da prendersi tanto alla leggera, perché costituisce una notevole remora. Dichiara, concludendo, di essere favorevolissimo al referendum, mentre pensa che ulteriori limitazioni ad esso poste equivarrebbero alla esclusione del referendum stesso.

GRASSI ricorda che fin dal 1911 ha scritto un libro sul referendum e ciò prova che non è contrario al principio; ma nella proposta della Sottocommissione il referendum si risolve come veto, mentre il referendum deve essere un appello al popolo per determinate questioni. L’onorevole Fabbri dice che tale diritto di veto è stato mitigato. Ora, vi sono tre specie di referendum: quello costituzionale, per cui tutti sono favorevoli; il referendum per leggi finanziarie, che non è generalmente ammesso, perché si esclude che il popolo possa intervenire in leggi contrarie ai suoi interessi; il referendum politico, che è invece generalmente ammesso. Non può però essere favorevole ad un sistema in base al quale il referendum entrerebbe continuamente nella prassi legislativa normale.

Il caso dell’urgenza citato dall’onorevole Fabbri è, a suo parere, un argomento che si ritorce contro di lui, perché, prima di tutto, non è stabilito se tutte e due le Camere debbano dichiarare l’urgenza, o se sia sufficiente che la dichiari una sola. Molto difficile sarà infatti che tutte e due le Camere si accordino su ciò. Ma basterebbe poi che le Assemblee si mettessero d’accordo nell’indicare l’urgenza per addivenire ad un sistema di cose per cui si verrebbe a sabotare il referendum stesso. Si farebbe, in sostanza, dell’ipocrisia democratica.

FABBRI osserva che l’argomento che il Parlamento può sopprimere di fatto il referendum con dichiarazioni abusive d’urgenza, implica un sospetto contro il Parlamento nella sua funzione legislativa che non può ammettere.

EINAUDI è favorevole al testo del Comitato di redazione. L’osservazione pratica fatta dall’onorevole Togliatti non ha, a suo parere, grande importanza, in quanto che, prima di tutto, il referendum importa ingenti spese e nessun partito vuole sprecare denaro; in secondo luogo crede che nessun partito, grande o piccolo, voglia procurarsi l’odiosità presso gli elettori di disturbarli continuamente per fare un referendum. Solo nelle grandi occasioni, quando vi sia un motivo importante, si chiamano gli elettori a votare.

NOBILE ricorda che in sede di Sottocommissione, ed in linea subordinata, aveva proposto che le leggi che fossero votate a maggioranza assoluta dai membri delle due Camere non potessero essere soggette al referendum.

Giudica, in proposito, eccessivi i due terzi richiesti dall’onorevole Perassi.

Osserva però che la ragione essenziale per la quale è contrario nel complesso all’articolo deriva dal fatto che mentre si prendono tutte le disposizioni per ostacolare in qualche modo la facoltà legislativa delle due Camere, niente si fa per la facoltà legislativa delegata al Governo.

PRESIDENTE avverte che le stesse norme che si applicano per le leggi si riferiscono anche a quelle delegate.

NOBILE. Si può chiedere un referendum per abrogare una legge di delega, ma con ciò non si vengono ad abrogare tutti i provvedimenti già emanati in facoltà della legge di delega.

PRESIDENTE nota che si abroga la legge di delega.

NOBILE mantiene, in ogni caso, la proposta di escludere dal referendum le leggi approvate a maggioranza assoluta dai membri delle due Camere.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Grassi di sopprimere il primo comma relativo al referendum preventivo, e di modificare il secondo comma nel seguente modo:

«Si procede a referendum popolare, se cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali fanno domanda di abrogare una legge. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie».

È stata chiesta la votazione per appello nominale.

(Segue la votazione nominale).

Rispondono sì: Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Canevari, Cevolotto, Farini, Finocchiaro Aprile, Grassi, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Marinaro, Molè, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Terracini, Togliatti.

Rispondono no: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Conti, Corsanego, De Vita, Dominedò, Einaudi, Fabbri, Fanfani, Federici Maria, Froggio, Fuschini, Gotelli Angela, La Pira, Leone Giovanni, Mannironi, Moro, Mortati, Perassi, Piccioni, Tosato, Tupini, Uberti, Zuccarini.

Si astiene: Mastrojanni.

Comunica il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti     48

Voti favorevoli        22

Voti contrari                        25

Astenuti                    1

(La Commissione non approva).

Pone ai voti la proposta dell’onorevole Nobile di escludere dal referendum preventivo le leggi che sono approvate a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere.

(La Commissione non approva).

Pone ai voti la proposta dell’onorevole Perassi di escludere dal referendum preventivo le leggi approvate con maggioranza di due terzi dei membri di ciascuna Camera.

(La Commissione approva).

Potere di amnistia dell’Assemblea nazionale.

PRESIDENTE ricorda che il Comitato di redazione ha proposto la seguente disposizione: «L’amnistia e l’indulto sono deliberati dall’Assemblea nazionale». L’onorevole Leone Giovanni proporrebbe di escludere l’amnistia.

LEONE GIOVANNI ritiene che l’amnistia non risponda più alla struttura attuale dello Stato, in quanto negli ultimi secoli è stata una prerogativa regia e, per conservarla nel regime democratico repubblicano, bisognerebbe studiarne con rigore il fondamento. Pare indiscusso che essa possa avere come fondamento o che la coscienza sociale non reputi più un fatto come reato, o altri motivi particolari, come il desiderio di pacificare gli spiriti, o il desiderio di allentare il peso di numerosi processi. Per quanto attiene alla non corrispondenza di una legge alla coscienza sociale, vi è una formula più diretta, ed è la legge abrogativa. Si abroga una legge penale nel momento in cui sembra non rispondere più alla coscienza sociale. Se si consideri che la legge abrogativa ha effetto abolitivo anche nel campo penale, allora si può adattare la legge alla sopravvenuta visione della coscienza popolare preferendo il sistema più diretto dell’abrogazione della legge penale. Se si tratta di altri fini (quello di allentare il peso dei processi che possono gravare sull’Amministrazione della giustizia in un certo determinato momento), pare che risponda meglio l’istituto dell’indulto.

Inoltre, l’amnistia dal Codice vigente è intesa come una forma di estinzione del reato. Ora, non è corretto stabilire che si possa in un determinato momento, sia pure per legge, togliere carattere di reato ad un fatto che nel momento in cui veniva commesso tale carattere aveva.

Se si segnalano le infinite difficoltà pratiche a cui dà luogo l’amnistia, appare ancora più chiaramente che essa non possa trovare cittadinanza nella Costituzione italiana. Uno dei suoi inconvenienti più gravi è stato visto proprio nella recente ultima amnistia. O l’amnistia si configura dal punto di vista costituzionale come vincolante, e allora potrebbe colpire, come riflesso, anche dei cittadini rispettabili, degli innocenti, i quali non possono rifiutarla; o invece, come nell’ultimo decreto, è configurata come qualche cosa di rinunziabile, di declinabile, e allora si trasforma in un indulto; giacché o l’amnistia è rifiutata, ed allora il rifiuto importa che il cittadino non ne possa più beneficiare, o è accettata, ed allora è appresa dall’opinione pubblica come una forma implicita di accettazione della responsabilità penale.

Sorge, quindi, la inopportunità di mantenere l’amnistia come istituto e l’opportunità di mantenere l’indulto, che costituisce soltanto rinunzia ad eseguire la pena. Come dato storico rileva che anche nello Statuto Albertino l’amnistia non era riconosciuta e si parlava del diritto del Re di fare grazia.

Ritiene che, per queste brevi considerazioni, che nella coscienza di giuristi dei commissari troveranno ampio riscontro, l’istituto dell’amnistia possa essere abolito.

TOGLIATTI rileva che le considerazioni dell’onorevole Leone possono essere teoricamente coerenti ed interessanti, ma le respingerebbe per un motivo politico, perché in Italia si è abituati a ricevere l’amnistia. È un fatto che in Italia, quando si è in carcere, si attende l’amnistia.

È stato detto dall’onorevole Leone che l’amnistia era un attributo della regalità e non si possa passarla alla Repubblica. Veramente l’amnistia era un attributo della sovranità, e se in questo momento fosse tolto alla Repubblica questo attributo, una parte considerevole del popolo penserebbe che la Repubblica vale meno della monarchia. Ricorda che durante la campagna a Napoli contro la Repubblica il motivo dominante era questo: perché volete mandare via il Re? Chi vi dà l’amnistia? Il Presidente della Repubblica non potrà. E si esumava la tradizione che il Re può cancellare la pena in quanto è investito di un diritto divino. Ora, a suo parere, togliere alla Repubblica in questo momento tale attributo di sovranità, sarebbe politicamente un errore e sarebbe pericoloso.

Pensa che le argomentazioni teoriche dell’onorevole Leone potrebbero reggere in un sistema giuridico perfetto, nel quale la pena sia adeguata al reato, che abbia un determinato carattere educativo e non soltanto un carattere punitivo, quando la pena sia applicata con eguale criterio in tutti i periodi della storia dello Stato ed in tutte le Regioni; ma ove si consideri l’attuale legislazione penale e la sua applicazione, appare evidente che l’amnistia debba essere mantenuta. Si pensi che sono previste pene altissime (ergastolo, 30 anni); che, per una quantità di reati le pene non hanno nessun carattere educativo; che le pene anche più piccole lasciano una traccia nella fedina penale e, quindi, nella vita successiva del cittadino. Tutto questo impone che, in un determinato momento, intervenga la misura non soltanto di indulto della pena, ma anche di cancellazione del reato, cioè di ogni conseguenza della condanna per il cittadino. Questa esigenza appare tanto più necessaria in un Paese come l’Italia, dove si è costretti alle volte a prendere misure di carattere punitivo abbastanza severe per ottenere determinati risultati politici o amministrativi. Si pensi alle pene severe per i reati annonari, nei confronti delle quali si impone, dopo alcuni anni, la concessione di un’amnistia in favore di chi abbia scontato abbastanza severamente la pena.

Afferma, concludendo, la necessità di mantenere all’Assemblea Nazionale la facoltà di concedere l’amnistia.

MASTROJANNI rileva che le argomentazioni dell’onorevole Leone non hanno, a suo avviso, fondamento né dal punto di vista politico, né da quello dottrinale. L’onorevole Leone ha lamentato che col mantenimento dell’amnistia si andrebbe incontro a degli inconvenienti, uno dei quali sarebbe che, estinguendosi il reato, questo continua a permanere nella sua identificazione giuridica, tal che si dovrebbe abrogare la figura del reato per essere coerenti con l’essenza dell’amnistia. Pensa che a tale inconveniente si potrebbe ovviare purché si ritornasse al codice Zanardelli, in base al quale l’amnistia non estingueva il reato, ma l’azione penale.

Circa l’altro inconveniente per il quale il condannato deve subire l’amnistia, senza avere la possibilità di ottenere un giudizio, rileva che è eliminato dall’attuale Codice, per il quale non solo il giudice ha l’obbligo di non applicare l’amnistia quando vi sono indizi manifesti che consentono la celebrazione del dibattito, ma il condannato ha la facoltà di ripudiare l’amnistia e di pretendere la celebrazione del dibattito.

È, peraltro, da considerare le due ipotesi dell’amnistia propria e impropria. L’amnistia viene a cadere anche sui reati per i quali è stata scontata la pena e, quindi, il condannato, che l’ha scontata, va restituito nella sua personalità, cancellando il reato. Ora, il condono nella specie non può mai essere totale. Così come diceva l’onorevole Togliatti, si possono avere contingenze durante le quali sia necessario, a scopo preventivo, comminare pene eccessive per reati anche di scarsa importanza. In questo caso, se si dovesse far ricorso soltanto ad un’applicazione del condono, si dovrebbe snaturare la figura del condono con l’eliminare completamente la pena, il che è un assurdo.

Per queste considerazioni è dell’avviso che rimanga il duplice istituto dell’amnistia e dell’indulto.

ROSSI PAOLO osserva che non è del tutto esatto che sia in facoltà dell’imputato rinunciare all’amnistia. Il Codice penale stabilisce soltanto all’articolo 151 che si possa chiedere l’accertamento dei fatti quando le prove sono già raccolte.

L’onorevole Togliatti ha fatto un rilievo di carattere politico, sul quale non consente pienamente. Non tutto quello che è tradizione regia si deve mantenere, perché la Repubblica non abbia minore potere del sovrano. Se si tratta di poteri non utili, la Repubblica vi rinuncia.

Osserva, inoltre, per qualche esperienza in materia, che il criterio per cui è indispensabile talora stabilire pene evidentemente sproporzionate alla violazione di legge che si vuole colpire, non ha un fondamento giuridico. Occorre stabilire pene gravi per un semplice reato annonario, perché si sa che ogni due o tre anni vi sono delle amnistie. Il regime fascista ne ha fatto un abuso enorme. Fra l’ottobre 1922 e l’ultima amnistia fascista, vi sono state ogni due o tre anni delle totali complete sanatorie penali. Nella sua esperienza professionale ricorda il caso di un falsario, tante volte recidivo che era stato condannato complessivamente a 97 anni di reclusione. Ne ha scontati quattro o cinque, perché ogni tanto aveva delle amnistie.

È la certezza della pena, non l’entità di essa che ha qualche effetto impeditivo del reato. Qualora si stabilissero pene modeste per tutti in materia annonaria e si applicassero con sicurezza, non vi sarebbe bisogno di amnistia.

Per queste ragioni è favorevole alla proposta dell’onorevole Leone.

PERASSI osserva che la proposta del Comitato di redazione si fonda sull’esatta premessa che tanto l’amnistia quanto l’indulto sono atti che nel loro contenuto hanno carattere legislativo.

Venendo alle questioni sollevate dall’emendamento Leone, non condivide tutte le osservazioni da lui fatte. Innanzi tutto non gli pare esatto dire che il potere di amnistia sia collegato con la regalità. Che il re esercitasse il potere di amnistia è stata una interpretazione non corretta dello Statuto. Lo Statuto infatti parlava del diritto di grazia, mentre la prassi si è determinata in senso molto estensivo. Del resto, si può ricordare che anche durante la monarchia si è avuto un progetto di legge del ministro Mortara, col quale si disponeva che l’amnistia sarebbe stata concessa con legge. D’altra parte la dimostrazione che non c’è questa connessione con la regalità risulta dal fatto che in tutti i Paesi repubblicani l’amnistia è ammessa. Così nella recente Costituzione francese l’articolo 19 dice: «L’amnistie ne peut être accordée que par une loi». L’amnistia non è esclusa, ma negli ordinamenti repubblicani si stabilisce che questo potere è esercitato, come corrisponde al suo contenuto sostanziale, dal Parlamento, cioè con un atto legislativo.

Per quanto poi concerne la questione dell’opportunità e le altre questioni sollevate, non condivide tutte le osservazioni, come sempre, acute, fatte dall’onorevole Rossi. In fondo più che criticare l’amnistia come istituto egli ha criticato l’abuso dell’amnistia e anche l’abuso del condono. Certo l’amnistia non deve esser fatta ad ogni nascita di principessa. Queste occasioni di amnistia, del resto, non ci saranno più. Inoltre, stabilendo che l’amnistia è concessa da una legge dell’Assemblea Nazionale, si afferma implicitamente che il concederla sarà un atto solenne in relazione ad esigenze particolari. Che si presentino particolari esigenze per concedere un’amnistia non pare che si possa escludere. L’amnistia, e specialmente per reati politici, in certi momenti è utile colpo di spugna nell’interesse della pace sociale.

Concludendo, è d’avviso di non escludere l’amnistia, e di attribuire anche l’indulto alla competenza dell’Assemblea Nazionale.

LEONE GIOVANNI, per quanto concerne i rilievi fatti alla formula proposta dal Comitato di redazione, afferma che, se eventualmente la Commissione la votasse, essa sarebbe la più propria. L’emendamento risponde al suo pensiero, in quanto se si configura il diritto di grazia come un potere del Capo dello Stato, se l’indulto, che è un minus, viene attribuito all’Assemblea Nazionale, ciò di conseguenza importa che l’amnistia, la quale rispetto all’indulto è un majus, non potrebbe spettare ad una soltanto delle Camere.

Rileva che le osservazioni dell’onorevole Togliatti concernono più l’istituto dell’indulto che l’amnistia. L’attesa di molti detenuti di ottenere la libertà; la necessità in Italia di provvedimenti in quanto la legislazione penale può apparire aberrante in tema di misure di pene; la necessità che la condanna non risulti sul certificato del casellario giudiziario; sono esigenze sodisfatte dall’indulto che, estinguendo la pena, restituisce la libertà, ristabilisce le proporzioni delle pene aberranti; e, per quanto attiene alla non iscrizione nel casellario, anche in caso di condanna non si può dimenticare che il giudice può stabilire la non iscrizione.

Non esiste un motivo politico in contrasto alla sua proposta, perché nel trapasso da una forma monarchica a quella repubblicana nulla vieta di restringere l’ambito dei poteri. Si tratta di sfrondare un istituto che non risponde più al sistema della legge, né alla coscienza civile.

Circa le osservazioni dell’onorevole Mastrojanni, rileva che non è necessario ricorrere all’amnistia per avere l’estinzione dell’azione penale. La legge penale abrogativa incide sul passato, fa cessare la condanna e i suoi effetti, compresa l’iscrizione nel casellario giudiziario. Questi stessi effetti si ottengono con l’indulto, che può essere totale. L’amnistia invece è un istituto antistorico, che ritiene vada cancellato dalla Costituzione.

MOLÈ dichiara che voterà contro l’emendamento dell’onorevole Leone. La legge stabilisce che è reato qualunque violazione della legge penale. Ne risulta che in determinati momenti della vita politica sono dichiarati reati punibili a norma della legge penale anche fatti che non hanno ordinariamente gli elementi del reato. E allora, trascorso lo speciale momento politico che può aver fatto dichiarare reati quelli che sostanzialmente non lo sono, sorge l’opportunità di tornare alla concezione ordinaria. Non si può togliere all’Assemblea Nazionale la facoltà di cancellare completamente le conseguenze di tale concezione politica dei reati.

Il fatto che si sia abusato dell’amnistia non deve condurre ad abolirla. Essendo l’amnistia una facoltà dell’Assemblea sovrana, si cercherà di evitare l’abuso fattone finora, ma non si può dimenticare che si tratta di un mezzo di pacificazione sociale, assolutamente necessario in determinati momenti.

BULLONI voterà contro la proposta dell’onorevole Leone, in quanto ammette e desidera che si costituisca una Repubblica umana e tollerante, che abbia la forza di perdonare incondizionatamente ai suoi eventuali avversari. Ritiene così di richiamarsi alle ragioni dottrinarie e storiche che giustificano l’istituto dell’amnistia.

NOBILE dichiara che voterà contro l’emendamento Leone, perché, pur non essendo giurista, vorrebbe che tutta la questione fosse considerata da un punto di vista più alto, in rapporto alle misure che sono da prendere per la difesa della società e per la rieducazione del delinquente. Una volta che il delinquente fosse rieducato, dovrebbe essere completamente dimenticato il suo passato. Da questo punto di vista molto generale l’amnistia dovrebbe essere concessa ad ogni condannato.

DOMINEDÒ dichiara di votare a favore dell’emendamento Leone per ragioni di stretto diritto, ritenendo che la proposta Leone non apra la via ad alcuna preoccupazione politica. Al rilievo dell’onorevole Molè, che è calzante e può esercitare una certa presa, si potrebbe replicare considerando che la legge penale abrogativa potrebbe risolvere l’inconveniente prospettato.

DE VITA si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Molè e vota contro l’emendamento proposto.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Leone.

(La Commissione non approva).

Voto di fiducia dell’Assemblea nazionale al Governo.

 

PRESIDENTE. Occorre anche esaminare la questione del voto di fiducia al Governo. L’articolo proposto dal Comitato di redazione è così formulato:

«Primo Ministro e ministri debbono avere la fiducia del Parlamento. Entro otto giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta all’Assemblea Nazionale per chiederne la fiducia. La fiducia è accordata su mozione motivata, con voto nominale ed a maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea».

È stato proposto da alcuni in seno al Comitato di redazione che, in luogo dell’Assemblea Nazionale, si pronuncino sulla fiducia o sulla sfiducia le due Camere distintamente.

MORTATI osserva che la questione attiene ad uno dei capisaldi del sistema dei rapporti tra Parlamento e Governo. In ogni caso, è collegata ad una successiva disposizione, da esaminare congiuntamente, nella quale si disciplina la questione della sfiducia.

PRESIDENTE, per quanto le due questioni siano diverse, osserva che, poiché nessuno insiste sulla proposta di emendamento, essa si intende ritirata.

La seduta termina alle 19.45.

Erano presenti: Amadei, Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Canevari, Cappi, Cevolotto, Codacci Pisanelli, Conti, Corsanego, De Michele, De Vita, Dominedò, Dossetti, Einaudi, Fabbri, Fanfani, Farini, Federici Maria, Froggio, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Gotelli Angela, Grassi, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Pira, La Rocca, Leone Giovanni, Lombardo, Lussu, Mancini, Mannironi, Marinaro, Mastrojanni, Molè, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Piccioni, Rapelli, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Targetti, Taviani, Terracini, Togliatti, Togni, Tosato, Tupini, Uberti, Zuccarini.

Assente giustificato: Ghidini.

Erano assenti: Basso, Bordon, Cannizzo, Castiglia, Colitto, Di Giovanni, Di Vittorio, Giua, Lucifero, Marchesi, Merlin Lina, Merlin Umberto, Paratore, Pesenti, Porzio.