Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 29 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

ADUNANZA PLENARIA

23.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 29 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI

INDICE

Elezione della Camera dei Senatori

Presidente – Nobile – Fuschini – Laconi – Perassi – Einaudi – Mastrojanni – Grassi – Mortati – Lussu – Ambrosini – Lami Starnuti – Tosato – Terracini.

La seduta comincia alle 10.

Elezione della Camera dei Senatori.

PRESIDENTE pensa che, impostata nelle sedute precedenti la discussione sulla elezione dei senatori, sia opportuno esaminare le varie proposte.

La proposta della seconda Sottocommissione – confermata dal Comitato di redazione – è che la Camera dei Senatori sia eletta per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi dai consiglieri comunali della Regione.

Un primo gruppo di emendamenti a questa proposta, accettando il criterio della elezione dei due terzi da parte dei consiglieri comunali, tende a eliminare, con accorgimenti pratici, lo squilibrio che si verrebbe a creare fra i Comuni per la differenza di popolazione.

Sono stati proposti, pertanto, alcuni criteri di graduazione: l’onorevole Fuschini ha proposto di dividere i Comuni in due gruppi al disotto e al di sopra di diecimila abitanti; l’onorevole Ambrosini ha fissato questo limite in trentamila abitanti; gli onorevoli Tosato, Piccioni e Fuschini hanno proposto la divisione dei Comuni in tre gruppi: con popolazione inferiore a cinquemila abitanti; con popolazione superiore ai cinquemila e inferiore ai trentamila; con popolazione superiore ai trentamila.

Un secondo gruppo di emendamenti si basa sul suffragio universale diretto: secondo la proposta dell’onorevole Nobile, limitatamente agli elettori che abbiano compiuto i 25 anni; secondo la proposta dell’onorevole Mortati, i senatori sarebbero eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale, per un terzo dai consiglieri comunali della Regione e per un terzo dagli appartenenti ad alcune categorie economiche.

Un terzo gruppo di emendamenti si basa sul suffragio universale indiretto: l’onorevole Laconi si richiama al sistema dei grandi elettori attuato nella Costituzione francese; l’onorevole Perassi propone di procedere all’elezione dei senatori per un terzo da parte dei Consigli regionali e per due terzi da parte di delegati eletti a suffragio universale dai Comuni di ciascun mandamento, in proporzione degli abitanti.

Sarà opportuno che i sostenitori delle varie proposte le illustrino.

NOBILE osserva che il sistema proposto per la elezione della seconda Camera da parte dei consiglieri comunali, in qualunque forma si attui, presenta gravi inconvenienti.

Nel caso di scioglimento della seconda Camera, siccome gli elettori sono sempre gli stessi, si avrebbe come risultato un’Assemblea composta degli stessi gruppi politici e nelle stesse proporzioni. Questo è tanto più vero, in quanto i consiglieri comunali saranno, in massima parte, uomini di partito; mentre col sistema del suffragio universale diretto la massa di elettori non appartiene ad alcun partito e può perciò spostarsi da una corrente all’altra.

In quanto al sistema che si basa sul suffragio universale indiretto e porta ad una elezione di secondo grado, obietta che, per economia e semplicità, tanto vale procedere alla elezione diretta. Questa fase intermedia, in fondo, non ha una ragione molto valida per essere sostenuta. Si potrebbe obiettare che i delegati, che sono nominati a suffragio universale, appartenendo a vari partiti, potranno forse scegliere meglio, secondo criteri di partito, i membri della seconda Camera. Ma questo forse potrebbe essere non desiderabile, in quanto la massa di elettori che non appartiene a nessun partito potrebbe desiderare di concentrare i propri voti su una piuttosto che su un’altra persona, anche se appartenente al medesimo partito. Questo indurrebbe a prevedere come caso più semplice il suffragio universale diretto.

D’altra parte, poiché non si vuole che la seconda Camera sia un duplicato della prima, bisogna pur differenziare il corpo elettorale. Il criterio più semplice di differenziazione è quello dell’età. Visto che è stato già ammesso che i membri della seconda Camera debbano essere più anziani di quelli della prima, sorge spontanea l’idea di adottare il medesimo criterio per il corpo elettorale. In questa maniera vi sarà anche una certa armonia fra gli eletti e il corpo elettorale, che però verrà alquanto a restringersi. La sua proposta fisserebbe a 25 anni compiuti il limite di età degli elettori. Per farsi un’idea approssimata di quanto si restringe il corpo elettorale, si tenga presente che, in media per ogni anno, tra i 19 ed i 25, esso si ridurrebbe mediamente di seicentomila elettori.

FUSCHINI rileva che il problema della elezione della Camera di Senatori non è stato dibattuto in Italia, in quanto non si è mai avuta una seconda Camera elettiva. Comunque bisogna innanzi tutto tener presente che la seconda Camera non potrebbe mai esercitare una utile funzione se dovesse identificarsi per la sua origine e per il modo dell’elezione alla prima. Quindi il problema fondamentale è quello di trovare un sistema diverso di quello adottato per la prima Camera, nei confronti della quale si è ammesso il principio del suffragio universale diretto e della eleggibilità indiscriminata, in quanto tutti – salvo le limitazioni di legge – possono diventare deputati. Non è stato precisato un determinato sistema elettorale, perché non s’è ritenuto di cristallizzare un tale argomento nella Carta costituzionale: però la seconda Sottocommissione a maggioranza ha adottato un ordine del giorno che si dichiara favorevole al sistema proporzionale.

Circa la seconda Camera ritiene che debba fondarsi sul suffragio universale, fonte necessaria ed indispensabile, a suo parere, di ogni autorità che possa venire al Parlamento. Il suffragio universale è utilizzato per la prima Camera in modo diretto, cioè non vi sono interferenze, in quanto è l’elettore che nomina il deputato. Pensa che non si possa adottare lo stesso sistema per la seconda Camera, ma che si debba invece utilizzarlo in maniera indiretta, vale a dire non sia l’elettore che nomini il senatore, ma l’elettore che nomini determinati cittadini, incaricati di provvedere essi alla nomina del senatore.

Ha sostenuto nella seconda Sottocommissione che potrebbero essere delegati a questa funzione i consiglieri comunali, in quanto essi hanno la loro origine nel suffragio universale e costituiscono una prima scelta, da parte dell’elettore, di uomini che sono chiamati a dirigere le amministrazioni locali, le quali si è ritenuto che abbiano il diritto di essere considerate come uno degli elementi fondamentali della nuova struttura dello Stato. Infatti tutto il problema delle autonomie comunali è stato, nella Costituzione, enormemente valorizzato, soprattutto perché dalle autonomie comunali si è risalito a quella che, a suo parere, è la vera rivoluzione della nuova struttura statale, cioè alle autonomie regionali, dando ad esse un contenuto di carattere politico, giuridico e legislativo.

Si è, pertanto, ritenuto che la seconda Camera debba avere un carattere preminentemente rappresentativo di queste forze locali, che avrebbero portato una espressione più concreta di interessi, per modo che la seconda Camera rappresentasse una integrazione della prima. Ne consegue che i Consigli regionali e i Consigli comunali avrebbero avuto un diritto preminente per la nomina dei senatori.

Ora, dato che si è stabilito che ogni Regione debba avere un numero fisso di cinque senatori, pensa che tale numero possa essere eletto dai Consigli regionali. Gli altri senatori sarebbero eletti dai consiglieri comunali, in rapporto alla popolazione di ogni singola Regione (un senatore per 200 mila abitanti o per frazione superiore a 100 mila). Qui sorge una difficoltà di carattere pratico, insita nella differenza che esiste fra i Comuni in rapporto alla loro popolazione. Come è noto, i Comuni sono divisi in 7 categorie, ed a seconda delle categorie cui appartengono hanno un diverso numero di consiglieri, con un minimo di 15 consiglieri per i Comuni che hanno una popolazione anche al di sotto dei mille abitanti. In base a questo criterio si viene a determinare un inconveniente d’ordine pratico. Roma, ad esempio, con un milione e mezzo di abitanti, ha 80 consiglieri e potrebbe eleggere soltanto sei o sette senatori, mentre quattro Comuni di terzo grado, con una popolazione che va dai 10 ai 20.000 abitanti, messi insieme, hanno 80 consiglieri e vengono ad avere, nella elezione dei senatori, una preminenza su Roma che ha una popolazione di gran lunga superiore.

Ora, se la distribuzione dei Comuni nelle loro categorie fosse all’incirca uniforme, si potrebbe arrivare a un certo equilibrio, considerando una compensazione fra difetto e eccesso nei confronti di determinate Regioni; ma esaminando i Comuni nel loro complesso, si constata che nell’Italia settentrionale vi è prevalenza di piccoli Comuni, i quali avrebbero diritto di eleggere molti delegati per la nomina dei senatori, mentre nell’Italia meridionale abbondano i grossi Comuni rurali, i quali verrebbero a trovarsi in condizioni di inferiorità, perché avrebbero minor numero di consiglieri comunali e quindi meno possibilità di scelta dei senatori.

L’onorevole Laconi ha proposto una formula che, in via di massima, potrebbe anche essere accettata; ma si tratta di vedere come il suffragio universale indiretto, che egli ha proposto, possa essere attuato, poiché rimetterne le modalità alla legge elettorale significa non dare alcuna direttiva.

L’onorevole Perassi ha proposto che i delegati siano eletti dai Comuni di ciascun mandamento; ma qui sorgono le stesse difficoltà che per i consiglieri comunali, non avendo i mandamenti una popolazione uniforme.

È inoltre da considerare che dovendosi, a suo parere, applicarsi il sistema proporzionale, il mandamento appare come una circoscrizione troppo ristretta perché il sistema proporzionale possa efficacemente attuarsi.

Mantenendo fermo il concetto che per la elezione dei senatori il suffragio universale debba essere applicato attraverso i consiglieri comunali, pensa che lo squilibrio fra i Consigli comunali relativamente al numero degli abitanti possa essere corretto integrandoli con altri delegati in rapporto alla popolazione. Propone, pertanto, la seguente formula:

«I senatori sono eletti dai collegi regionali a suffragio universale diretto, mediante i Consigli comunali integrati da altri delegati in rapporto alla popolazione».

Riconosce che sorge per i delegati l’obiezione che si tratta di una nomina di terzo grado; ma non vede altra maniera per superare le difficoltà che ha prospettato.

LACONI ricorda che fin dal primo momento si è dichiarato favorevole a che la seconda Camera, come la prima, fosse eletta attraverso il suffragio universale. Si obietta che con tale soluzione non si verrebbe a differenziare la prima dalla seconda Camera, ma pensa che la differenziazione si debba cercare nel criterio che gli eleggibili alla seconda Camera siano scelti tra determinate categorie, in modo da rispondere a determinate condizioni ed esigenze.

Comunque, per giungere ad un terreno di intesa con altre correnti che rappresentano pure fondate esigenze, e per superare le difficoltà inerenti alle altre soluzioni e alle quali ha accennato l’onorevole Fuschini, ha proposto che la seconda Camera sia eletta da collegi regionali a suffragio universale indiretto, secondo le modalità stabilite dalla legge.

La prima difficoltà che si è prospettata alla soluzione che era la più semplice, di fare eleggere i senatori direttamente dai Consigli regionali, è stata la ristrettezza estrema del collegio. Si è quindi affacciata la soluzione mista: elezione da parte delle Regioni e dei Comuni. Pensa che a tale soluzione ostino almeno tre difficoltà fondamentali. La prima riguarda il numero dei consiglieri dei diversi Comuni che non è proporzionale al numero degli elettori e, per quanto si ricorra a qualche espediente, non si giungerà mai a superare un inconveniente così grave. L’onorevole Perassi, in sede di seconda Sottocommissione, ha prospettate statistiche decisive al riguardo. La conseguenza di questa diversità di rapporto tra Comune e Comune non ha un carattere puramente statistico, ma si traduce in un danno concreto e reale, perché non si premiano soltanto in un modo così deciso i piccolissimi Comuni nei confronti dei piccoli, i piccoli Comuni nei confronti dei medi ed i grandi nei confronti dei massimi, ma si premiano anche determinate categorie di popolazioni in confronto di altre; si premiano cioè i contadini dei centri più piccoli, che sono meno progrediti dei ceti medi urbani, degli operai che abitano nelle grandi città.

Ora non è che si vogliano premiare i ceti medi urbani e gli operai in confronto di altri ceti, ma non si vuole nemmeno che accada il contrario; si vuole, in sostanza, che ogni cittadino pesi per quello che conta nella vita nazionale e non che vi siano abitanti di piccoli centri che peseranno cinque in confronto degli abitanti di una grande città che peseranno uno, oppure mezzo. Ciò sarebbe un assurdo, tanto più che si è stabilito in sede di Sottocommissione che le Regioni più piccole del Mezzogiorno avranno un premio attraverso un numero fisso di senatori, premio che giova unicamente alle Regioni piccole e torna a svantaggio delle Regioni industriali più grandi.

Indubbiamente questa sproporzione verrebbe a ripercuotersi su tutto lo schieramento politico, cosa che, a suo parere, torna a danno della democrazia e della unità nazionale che si tende a stabilire.

La seconda difficoltà consiste nel fatto che in grandissima parte dei Comuni non si ha una rappresentanza proporzionale, bensì maggioritaria; né si può contare in compensazioni, che costituiscono un dato incerto.

L’ultima difficoltà, non meno importante delle altre, consiste nel fatto che i consiglieri comunali non hanno un mandato politico, ma amministrativo; sono cioè scelti dal popolo in base a determinati criteri e non si comprende per quale ragione ad un certo momento tali criteri debbano cambiare e gli uomini che hanno avuto un particolare mandato di fiducia debbano essere investiti di un mandato diverso.

Per queste ragioni ritiene che la proposta dell’onorevole Fuschini non possa essere accettata; ma è indubbio che essa ha un fondamento reale e traduce l’esigenza di fare in modo che la seconda Camera abbia caratteristiche e rappresenti interessi che la differenzino dalla prima.

Ora è da chiedersi se unicamente i membri dei Consigli regionali e comunali siano qualificati per rappresentare tali interessi. Pensa di no, ed è convinto che quegli interessi possano essere validamente rappresentati soltanto se la scelta degli uomini avvenga con un determinato criterio o attraverso un collegio che raggruppi cittadini di una determinata Regione.

Pertanto ha proposto che la seconda Camera sia eletta da collegi regionali a suffragio universale indiretto, secondo le modalità stabilite dalla legge.

L’onorevole Fuschini ha osservato che non si precisa nella proposta quale sistema si seguirà nelle elezioni; ma precisa che tale materia non debba essere contenuta nella Costituzione.

Quanto all’ultima proposta dell’onorevole Fuschini, osserva che si tratta di un meccanismo complicato per cui i consiglieri comunali, oltre che eleggere direttamente i senatori, dovrebbero eleggere dei delegati, che a loro volta eleggerebbero i senatori.

Si potrebbe pensare ad un voto differenziato da parte dei consiglieri comunali, in modo che ciascun consigliere comunale votasse per quel tanto di elettori che rappresenta; ma anche con questa soluzione non verrebbero superate le maggiori difficoltà cui ha accennato, soprattutto in rapporto alla maggioranza e alla minoranza, per cui verrebbero falsati i rapporti reali dello schieramento politico.

PERASSI desidera anzitutto associarsi a quanto ha rilevato molto opportunamente l’onorevole Laconi in una parte del suo discorso, ossia che esiste un concetto sul quale si è tutti d’accordo, cioè che la seconda Camera sia l’espressione di interessi regionali. Questa constatazione è molto importante, perché permette di considerare il problema ormai soltanto dal punto di vista dell’attuazione tecnica di questo concetto.

Ricorda che la Sottocommissione aveva adottato, nella seduta del 16 ottobre, il criterio di distinguere l’elezione dei membri della seconda Camera in due gruppi: un gruppo da eleggersi dal Consiglio regionale e un gruppo da eleggersi in altro modo. Per quanto concerne il primo gruppo, la Commissione aveva stabilito di fissarlo in un terzo del numero dei senatori assegnato a ciascuna Regione. In una proposta accennata dall’onorevole Fuschini, si vorrebbe invece ritoccare questo punto, nel senso di attribuire al Consiglio regionale l’elezione di metà oppure del numero fisso (5) di senatori di ciascuna Regione. Non crede che sia opportuno rimettere in discussione questo problema, e in particolare ritiene che sostituire al terzo il numero fisso possa dar luogo a qualche difficoltà, tenendo presente che si è adottato, su proposta dell’onorevole Lussu, una disposizione secondo la quale nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati che manda alla prima Camera. Ora, può darsi che in qualche Regione il numero fisso dei senatori ad essa assegnato sia tale da eguagliare il numero dei deputati. Per conseguenza, in quell’ipotesi si avrebbe che l’elezione di tutti i senatori della Regione sarebbe riservata al Consiglio regionale, e nessun altro sarebbe eletto in altro modo. Questo sembra un inconveniente da eliminare. Perciò conviene mantener fermo il concetto che il Consiglio regionale di ciascuna Regione elegga soltanto un terzo del gruppo; il restante è da eleggersi in altro modo.

In quale altro modo? Su questo punto la Sottocommissione, dopo amplissima discussione, era arrivata ad adottare il concetto del suffragio indiretto. Posto questo, si è entrati nella via della ricerca del mezzo tecnico da seguire per attuare quest’idea. E qui appare la proposta di attribuire l’elezione ai consiglieri comunali. Non ritiene il caso di riprendere la discussione sulla formula che utilizzava i consiglieri comunali come elettori dei due terzi dei senatori. Ha cercato di dimostrare, sia in sede di Sottocomitato, sia in sede di Sottocommissione, quali difficoltà estremamente gravi vi sono per attuare questo meccanismo. Le statistiche dimostrano che quali che siano gli espedienti che si vogliano escogitare, gli inconvenienti rilevati restano, a prescindere da altri che sono inerenti al sistema e che sono già stati ampiamente illustrati, specialmente dagli onorevoli Laconi e Nobile.

Abbandonata l’idea d’utilizzare i consiglieri comunali e considerando un po’ difficile l’attuazione di un’idea da ultimo accennata dall’onorevole Fuschini, di aggiungere ai consiglieri comunali altri delegati, eletti non si sa esattamente come, resta il principio dell’elezione a suffragio indiretto. In quale altro modo si può attuare? La proposta dell’onorevole Laconi, a questo riguardo, si limita ad affermare il principio che questi senatori siano eletti a suffragio universale indiretto secondo le modalità stabilite dalla legge.

Ora, l’emendamento che egli ha presentato non fa se non andare un po’ innanzi rispetto a questa proposta, nel senso di precisarla in qualche modo e in certi limiti. In una prima proposta si era accennata l’idea di far funzionare come collegi di primo grado, per la prima elezione, i corpi elettorali dei singoli Comuni. Le obiezioni che erano stato sollevate non erano insuperabili; in particolare si era rilevato che con questo sistema si rendeva un po’ difficile la piena attuazione della proporzionale nelle elezioni di primo grado. In parte questa obiezione poteva avere fondamento, quantunque poi per la grande massa dei Comuni si rendeva invece possibile applicare la proporzionale. Comunque, per superare anche qualsiasi preoccupazione circa l’applicazione in pieno della proporzionale, ha modificato il suo primo emendamento nel senso di allargare il collegio base: da comunale a mandamentale. Attualmente, il mandamento è solo una circoscrizione giudiziaria; ma nulla vieta di utilizzare una circoscrizione che esiste per altri effetti, anche ai fini elettorali. Del resto ricorda che, durante la legislazione anteriore a quella fascista, l’elezione dei consiglieri provinciali avveniva precisamente sulla base del collegio mandamentale.

Il mandamento è una circoscrizione costituita da un Comune di una certa importanza, intorno al quale gravita un gruppo di altri Comuni. Secondo i dati risultanti da pubblicazioni ufficiali, i mandamenti, ossia le preture, nel 1940 erano 986, ed i Comuni erano allora 7646; quindi, grosso modo, ogni mandamento in media raccoglie dai sette agli otto Comuni con una popolazione, in media, intorno ai 40-42 mila cittadini. Si ha, così, una circoscrizione di primo grado che corrisponde ad un aggruppamento di Comuni che hanno certi rapporti fra loro di ordine economico, ecc.; ed è una circoscrizione elettorale abbastanza ampia per applicare, se si vuole, in pieno la proporzionale, nel senso che gli elettori che devono eleggere i delegati ai fini delle elezioni senatoriali possono essere chiamati ad eleggerli con applicazione rigorosa del principio della proporzionale.

Nell’emendamento proposto vi è, poi, l’altra idea, che risponde al concetto di far sì che la seconda Camera rifletta le Regioni come sono, nella loro struttura e nella varietà dei suoi Comuni. Questa idea di avere qualche riguardo anche ai Comuni appare nell’inciso, nel quale si dice che gli elettori di ciascun mandamento, quando sono chiamati ad eleggere i delegati che formeranno il collegio di secondo grado, devono scegliere questi grandi elettori fra gli elettori iscritti nei Comuni del mandamento. Tale disposizione sembra opportuna per far sì che veramente il collegio di secondo grado, che sarà chiamato a fare l’elezione dei senatori, sia una fotografia esatta della varietà della Regione.

Fissati questi principî – cioè il concetto della base mandamentale; il concetto dell’elezione dei delegati in proporzione degli abitanti; il concetto della scelta dei grandi elettori fra gli elettori dei Comuni del mandamento – tutto il resto sarebbe rinviato alla legge elettorale, così come è nella proposta Laconi, e così come, del resto si è stabilito per quanto concerne la Camera dei Deputati, per la quale la Costituzione si limiterebbe a dire che essa è eletta a suffragio universale, lasciando alla legge elettorale la facoltà di adottare i sistemi che si riterranno più convenienti. La legge elettorale per il Senato, fermi restando i detti concetti, avrebbe una certa libertà, soprattutto nel disciplinare il funzionamento del collegio di secondo grado. Le soluzioni possibili sono varie: si può concepire un collegio di secondo grado unico per tutta la Regione; si possono concepire vari collegi elettorali. Tutto questo resta impregiudicato ed è rimesso alla legge elettorale.

Si potrà eventualmente raccomandare, anche in sede di Commissione, che nell’elaborazione delle leggi elettorali per la prima e la seconda Camera la scelta dei procedimenti da adottarsi per l’una e per l’altra si ispiri al principio della differenziazione fra le due Camere.

Conclude raccomandando l’adozione della formula proposta che parte da principî generalmente ammessi e che arriva ad indicare criteri di applicazione che sembra possano ovviare agli inconvenienti che sono inerenti ad altre proposte.

EINAUDI riconosce di trovarsi in una condizione diversa da quella di coloro che hanno sino ad ora parlato ed anche, crede, dell’opinione dominante, giacché la premessa da cui quasi tutti sono partiti si basa sulla efficacia del sistema proporzionale, da cui discendono certe conseguenze. Ricorda che alla Consulta parlò contro il sistema proporzionale; ma i fautori di esso obiettarono che le critiche alla proporzionale potevano essere valide nel caso di elezioni a Parlamenti ordinari, mentre trattandosi della Costituente, in cui dovevano essere rappresentate tutte le correnti politiche, esse cadevano. Se ne sarebbe, in ogni caso, riparlato dopo la Costituente. Qui invece si ripete la solita storia del tempo della Rivoluzione francese: coloro, cioè, che hanno raggiunto una certa posizione, conservano l’indulgenza verso il sistema che li ha mandati al Parlamento.

Crede che un sistema elettorale, nella specie quello per la seconda Camera, sarà tanto più utile al buon governo del Paese quanto più si allontanerà dalla preponderanza delle macchine elettorali: in Italia si chiamano partiti, ma è persuaso che un giorno saranno chiamate macchine, come le chiamano all’estero. Le macchine servono, nel sistema proporzionale, ad aumentare il numero di se stesse ed a far sì che al Parlamento arrivino molti partiti e sia difficile costituire un vero e proprio Governo. Fra questi sistemi della macchina, uno dei preferiti è quello dei delegati. L’esperienza dimostra che tale sistema non conduce a niente di reale, perché i delegati ricevono un mandato e agiscono in conformità. Preferibile, se mai, sarebbe far ricorso ai consiglieri comunali, in quanto questi sono scelti per amministrare il Comune e non sono, per così dire, delle buche postali, ma possono avere una propria volontà. L’onorevole Laconi ha osservato che con questo sistema sarebbero avvantaggiati i piccoli Comuni, i quali rappresentano ceti contadini; ma appunto perché questi ceti hanno maggiore aderenza al luogo dove sono nati, la loro preponderanza è, a suo parere, consigliabile. Sono, infatti, da preferirsi quelli che sono vissuti di padre in figlio nei loro Comuni a coloro i quali, trasferitisi nelle città, ne penetreranno la psicologia e ne conosceranno i bisogni solo dopo molti anni.

Certo la preponderanza dei rappresentanti dei piccoli Comuni su quelli dei grandi èutile, ma non si deve naturalmente esagerare. Forse, come compromesso, si potrebbe aumentare e diminuire proporzionatamente il peso dei consiglieri dei piccoli Comuni, così da raggiungere un certo equilibrio. In via subordinata, qualora la Commissione non accettasse questo criterio, accetterebbe la proposta dell’onorevole Nobile, per cui l’elezione dei senatori dovrebbe avvenire a suffragio universale diretto, da parte di cittadini i quali abbiano, relativamente agli elettori della Camera dei Deputati, una maggiore età: per esempio 26 anni, mantenendo così, in certo modo, il rapporto di età che passa fra gli eleggibili all’una e all’altra Camera.

Solleva dei dubbi circa il sistema mandamentale, che non è naturale. L’onorevole Perassi ci ha data la classificazione dei Comuni per la nomina dei delegati, a seconda degli abitanti. In tal modo si vengono a confondere i Comuni grandi coi piccoli, le popolazioni cittadine con quelle rurali. Quello che è naturale invece è il collegio elettorale vecchio, quello che l’ingegnere Olivetti, in un suo libro che già ha avuto occasione di citare, chiama «comunità». Vi sono cioè dei paesi piccoli e grossi intorno ai quali, per necessità di lavoro, per necessità di industria, perché vi ha sede il tribunale, perché costituiscono un nodo ferroviario, si concentra la vita economica ed intellettuale della circostante piccola Regione. Tali città sono anche sovente sedi di liceo e qualche volta di Università. Quale fautore del collegio uninominale, troverebbe giusto e logico che i membri della seconda Camera fossero eletti da parte di tali collegi naturali.

MASTROJANNI, ammesso il presupposto che la Camera dei Deputati debba essere integrata da una seconda che rappresenti, a differenza della prima, gli interessi concreti industriali agricoli, in modo da contemperare le esigenze di natura strettamente politica con criteri di carattere amministrativo, economico, industriale, ecc., non si rende conto come ciò si possa ottenere adottando l’uno o l’altro dei sistemi elettorali.

Comprende che la seconda Camera debba essere scelta fra categorie determinate, le quali rappresentino tendenze e interessi democraticamente rappresentati, ma non comprende perché le elezioni debbano avvenire in modo indiretto. È peraltro da considerare, anche dal punto di vista della spesa, il complesso sistema di operazioni che si dovrebbero svolgere per convocare tutti gli elettori al solo scopo di eleggere una aliquota assai esigua, la quale non avrebbe altro mandato che eleggere i senatori. Dichiara, quindi, di essere favorevole al suffragio universale diretto, che ritiene il sistema più democratico per la elezione dei senatori.

GRASSI pensa che si possa accettare il principio che ciascuna Regione elegga un numero fisso di cinque senatori e inoltre un senatore per 200 mila abitanti o per frazione superiore ai centomila abitanti.

I sistemi per attuare tale principio potrebbero essere due: affidare la scelta dei senatori ai consiglieri comunali della Regione, sia pure integrati con altri elementi; affidarla ad elettori di primo o secondo grado.

Dichiara di non essere favorevole alla nomina attraverso i consiglieri comunali, oltre che per le ragioni esposte dagli onorevoli Perassi e Laconi, perché ritiene che la seconda Camera debba essere l’espressione del Paese nel momento in cui si fa l’appello al popolo, e non può essere scelta da consiglieri comunali eletti due o tre anni prima.

Manifesta, invece, la sua preferenza per l’elezione di secondo grado, in quanto elementi già scelti dal popolo possono, con maggiore ponderazione, giudicare sulla capacità tecnica e sulle doti morali delle persone da mandare alla seconda Camera.

Resta il problema se il collegio debba essere unico, oppure se debba essere diviso in mandamenti, secondo la proposta dell’onorevole Perassi. In via di massima sarebbe favorevole a quest’ultima proposta.

Rinvierebbe tutte le altre questioni alla legge elettorale.

MORTATI dichiara di parlare quale proponente di uno degli emendamenti al progetto predisposto a mezzo del Comitato di coordinamento. Ritiene opportuno ricordare brevemente attraverso quali vicende si giunse, nella seconda Sottocommissione, a discutere dei concetti che informano l’emendamento che intende illustrare.

L’orientamento generale per la determinazione dei modi di formazione della seconda Camera fu consacrato in un ordine del giorno votato dalla Sottocommissione predetta, a maggioranza, secondo cui tale formazione avrebbe dovuto essere ricollegata alle forze vive del Paese. Si voleva, da parte dei proponenti dell’ordine del giorno approvato, riferirsi con questa espressione a tutti gli organismi, sia territoriali, sia economici e professionali, nei quali si articola e si snoda tutta la vita della nazione.

L’opinione successivamente prevalsa limitò ai soli enti regionali il collegamento che si intendeva operare con i corpi sociali. Ora questa limitazione non sembra opportuna, perché il ricorso, nel seno delle singole Regioni, ad una rappresentanza ripartita secondo le attività esercitate appare assai utile a differenziare le due Camere seguendo un criterio d’integrazione della rappresentanza politica.

Tale integrazione potrebbe esercitare utili effetti tanto da un punto di vista generale di utilità nazionale, quanto da un punto di vista di interesse regionale. Sotto il primo aspetto il collegare la rappresentanza politica con grandi categorie di interessi economici, professionali, culturali presenta un duplice vantaggio: un vantaggio di carattere funzionale, perché, assicurando alla seconda Camera un numero fisso di persone particolarmente competenti nei singoli problemi attinenti ai vari gruppi di interessi, si potrebbe rendere possibile un più efficiente contributo del Parlamento alla elaborazione di leggi, le quali vanno diventando sempre più tecniche con l’estendersi dell’azione dello Stato al campo economico-sociale. Inoltre, un vantaggio più particolarmente politico nel senso di costringere queste forze economiche e professionali, le quali attualmente esplicano, sotto l’apparenza di una tutela di interessi di classe, una vera e talvolta imponente influenza politica, ad assumere una piena responsabilità di tale influenza e nello stesso tempo di offrire alle medesime la possibilità, sul piano della discussione e del compromesso in seno al Parlamento, di una reciproca integrazione e di una conciliazione delle varie influenze di cui esse sono portatrici.

La proposta patrocinata porterebbe poi, se accolta, ad una maggiore valorizzazione delle Regioni. Queste infatti, nella Camera che le rappresenta, apparirebbero differenziate secondo la varietà dei caratteri sociali dai quali ognuna è contrassegnata, e sarebbero perciò meglio in grado di far sentire la voce dei propri interessi in occasione della discussione dei problemi generali che su questi si ripercuotono.

Per quanto riguarda la realizzazione della forma di rappresentanza professionale proposta si era, in un primo momento, progettato di fare intervenire il corpo elettorale secondo le varie attività produttive esercitate da ciascun cittadino. Senonché, la considerazione che questo avrebbe presupposto l’esistenza in atto di un efficiente sistema di organismi professionali (che invece ancora, nel nostro Paese, non può ritenersi realizzato) ha indotto alla presentazione di un’altra proposta, quale quella ora illustrata, per cui l’elezione dei senatori avverrebbe da parte di tutto il corpo elettorale indifferenziato, a suffragio diretto (con il solo limite, rispetto alla capacità di elettorato attivo prescritta per le elezioni della prima Camera, del raggiungimento dell’età di 25 anni), e la differenziazione secondo le categorie professionali-economico-sociali sarebbe operativa solo nel seno degli eleggibili. Pertanto, secondo tale sistema, ogni elettore darebbe tanti voti quanti sono i gruppi di eleggibili distinti per categorie, e lo scrutinio sarebbe fatto distintamente nell’interno di ogni categoria. Chiede che l’emendamento, così chiarito nelle sue finalità e nel suo meccanismo, sia sottoposto a votazione.

LUSSU avverte che, nella risoluzione del problema in esame, occorre tener presenti alcune premesse che scaturiscono dalla discussione avvenuta in sede di seconda Sottocommissione: 1°) La seconda Camera ha carattere regionale e, pertanto, aveva proposto che si chiamasse: «Camera delle Regioni»; ma la seconda Sottocommissione non approvò la proposta. 2°) La proporzionale, per quanto non sia nelle preferenze dell’onorevole Einaudi, è accettata dalla maggioranza della seconda Sottocommissione e, crede, della Commissione dei 75. 3°) La seconda Camera non dovrebbe essere, come sostiene l’onorevole Mortati, espressione di categorie e di interessi professionali. Su questo la maggioranza della seconda Sottocommissione era d’accordo. Pensa, inoltre, che si sia di massima riconosciuto che le due Camere non potessero essere espressione dello stesso corpo elettorale e quindi si sia escluso il suffragio universale diretto per la seconda Camera. Né vale, a suo parere, il rimedio di portare a 26 anni l’età degli elettori della seconda Camera, perché in fondo si tratterebbe dello stesso corpo elettorale, sia pure ridotto di una parte.

La proposta dell’onorevole Nobile potrebbe, pertanto, rappresentare una soluzione contrastante con le premesse accettate dalla maggioranza della seconda Sottocommissione.

Giudica, d’altra parte, estremamente complicata la proposta dell’onorevole Fuschini. Ritiene, in conclusione, che debba essere rispettato il criterio che l’Assemblea regionale abbia il diritto di nominare un terzo dei rappresentanti, oppure un numero fisso stabilito. A questa stregua pensa che la proposta Perassi possa essere adottata.

AMBROSINI. L’onorevole Lussu si è richiamato alla volontà della Sottocommissione, la quale, dopo di avere respinto a maggioranza il sistema della rappresentanza delle categorie della produzione, affermò all’unanimità il principio che la seconda Camera dovesse essere composta in modo diverso dalla prima, al fine di evitare che venisse a costituirne un doppione.

È per questa ragione che non ritiene accettabile la proposta di adottare il sistema del suffragio diretto per l’elezione dei senatori. Con tale sistema l’elezione avverrebbe sulla stessa base delle ideologie politiche e dei partiti come nella prima Camera, della quale si riprodurrebbe la fisionomia; il che si vuole evitare. Osserva che a tale proposta può facilmente accedere chi considera la seconda Camera soltanto come un organo di freno e di maggiore riflessione nei riguardi della prima, ma non chi la considera come un istituto di integrazione della rappresentanza della Camera dei Deputati. Questa integrazione di rappresentanza può aversi dando voce e peso ad organizzazioni diverse dei partiti politici; perciò la Sottocommissione deliberò, dopo avere respinta a maggioranza il sistema della rappresentanza professionale, di attribuire l’elezione dei senatori per un terzo all’Assemblea regionale, e per due terzi ai Consigli comunali delle Regioni. Con l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi si verrebbe a cambiare notevolmente questa seconda parte del deliberato della Sottocommissione. Non conviene in tale proposta, e richiama in merito le ragioni per le quali la Sottocommissione arrivò alla soluzione suindicata dopo più di un mese e mezzo di perplessità e di discussioni.

Si rende conto degli inconvenienti prospettati; ma ritiene che essi possano venire superati quando si dia un peso diverso al voto dei vari Consigli comunali in relazione alla popolazione dei rispettivi Comuni, secondo le modalità che potranno essere stabilite dalla legge elettorale. Crede perciò che debba approvarsi il principio adottato dalla Sottocommissione con l’aggiunta di un emendamento in questo senso.

Passando all’elezione dei senatori da affidare all’Assemblea regionale, ritiene che bisogna mantenere il terzo stabilito dalla Commissione, e non adottare l’altro criterio della attribuzione all’Assemblea regionale dell’elezione del numero fisso di cinque senatori per ogni Regione. L’onorevole Perassi ha indicato gli inconvenienti che si avrebbero con questo sistema per le piccole Regioni. Conviene con lui, e mostra che altri inconvenienti, di natura diversa, ma ugualmente gravi, si avrebbero per le grandi Regioni. È perciò d’avviso che debba mantenersi il criterio della proporzionalità rispetto alla popolazione della Regione nella misura di un terzo del numero complessivo dei senatori ad essa assegnati, secondo il sistema adottato dalla Sottocommissione.

LAMI STARNUTI ricorda che quando si iniziarono nella seconda Sottocommissione le discussioni sulla formazione del Senato, si dichiarò favorevole al suffragio universale diretto, in quanto riteneva che, a differenziare l’elezione della prima dalla seconda Camera, potessero bastare la diversità della circoscrizione elettorale e le categorie degli eleggibili. Poiché la maggioranza della Sottocommissione fu di diverso avviso, finì per ripiegare sulla proposta Laconi.

L’onorevole Nobile torna nella riunione odierna a formulare in modo concreto la proposta per l’elezione del Senato a suffragio universale. Richiamandosi, pertanto, alle prime dichiarazioni, afferma che voterà la proposta Nobile.

Se la Commissione plenaria non fosse di questa opinione, voterà, in linea subordinata, come ha già votato nella seconda Sottocommissione, la proposta Laconi, e voterebbe oggi, poiché è stata opportunamente modificata, la seconda parte della proposta Perassi.

Non voterà invece nessuno dei sistemi proposti dagli onorevoli Fuschini, Tosato e Piccioni, perché li ritiene tecnicamente inattuabili, se non assurdi.

Contro il sistema che vuole affidare ai consiglieri comunali l’elezione dei membri della seconda Camera, non ripeterà le obiezioni già fatte dai colleghi che lo hanno preceduto; ma vuole richiamare l’obiezione che avrebbe fatto, se il collega Grassi non lo avesse preceduto, riguardante l’inconveniente, a suo parere gravissimo, che si avrebbe con quel sistema in caso di scioglimento delle Camere. Quale manifestazione di volontà attuale del Paese potrebbero esprimere quei Consigli comunali che sono stati costituiti qualche anno prima? E se quei consiglieri comunali in carica al momento dello scioglimento erano già in carica quando la seconda Camera fu eletta per la prima volta, a che cosa si ridurrebbe lo scioglimento della seconda Camera, e, rispetto a questa, l’appello al corpo elettorale?

I consiglieri comunali, i quali costituiscono un corpo elettorale limitato, non passibile di ondeggiamenti e di cambiamenti, costituirebbero la nuova Camera non solo con la stessa fisionomia politica, ma quasi con le stesse persone di prima, e allora si potrebbe avere questo risultato veramente penoso, in caso di conflitto fra la seconda e la prima Camera (il quale conflitto originasse lo scioglimento delle due Camere): se il corpo elettorale a suffragio universale sconfessasse col suo voto la seconda Camera, e i consiglieri comunali la riconfermassero invece per intero nella sua fisonomia politica, come potrebbe essa ancora funzionare e quale rispondenza morale e politica potrebbe avere ancora nel Paese?

Pur non prospettando l’ipotesi di sciogliere anche i Consigli comunali in caso di scioglimento della seconda Camera, è da considerare il caso che uno o più Consigli comunali di una Regione siano sciolti nel momento stesso in cui avvengono le elezioni. Si avrebbe così che una frazione del corpo elettorale sarebbe costretta a non esprimere la propria volontà; che tutta una Regione rinvierebbe la elezione dei senatori alla costituzione di quel Consiglio o di quei Consigli comunali in essa compresi.

Questo inconveniente si aggiunge agli altri numerosissimi inerenti alla elezione dei senatori da parte dei consiglieri comunali.

Quanto alla seconda parte della proposta Perassi, che dichiara di approvare, si potrebbe determinare la proporzione fra il numero dei delegati e la popolazione del mandamento, stabilire cioè quanti delegati per ogni mille abitanti dovrebbero essere eletti.

Circa la prima parte, preferisce che il Consiglio regionale elegga un numero fisso di senatori, secondo la proposta Fuschini, e non il numero variabile del terzo.

Si pensi alle Regioni più popolose, la Lombarda, la Piemontese, la Veneta, le quali dovrebbero nominare, rispetto ad un terzo, circa dieci o dodici senatori.

PERASSI avverte che sarebbero sette od otto al massimo.

LAMI STARNUTI ha ragione di ritenere che, come si è modificato il rapporto della popolazione per l’elezione dei deputati, così si farà per i senatori. Quindi aumenterà il numero dei componenti la seconda Camera, e indubbiamente la Lombardia, il Veneto e il Piemonte avrebbero da 30 a 40 senatori da eleggere, sicché un terzo oscillerebbe fra 10 e circa 15, da eleggersi dall’Assemblea regionale.

TOSATO osserva che le obiezioni mosse alla proposta di far eleggere due terzi dei senatori da parte dei consiglieri comunali possono avere un certo fondamento, quando in materia si voglia procedere in base a criteri esclusivamente aritmetici. Dal punto di vista politico esse sono destituite di qualsiasi fondamento, e non hanno ragion d’essere.

Una prima obiezione consiste nel fatto che, pur dividendo i Comuni in categorie, a seconda del numero di abitanti, resterebbe sempre una certa sproporzione.

Tale sproporzione non si verifica da un punto di vista esterno, perché l’insieme dei consigli comunali, compresi nei singoli gruppi di Comuni, eleggerebbe sempre un numero di senatori corrispondente alle popolazioni rappresentate da quei Consigli. Vero è invece che, pur nell’ambito di queste categorie, restano delle sproporzioni, in quanto nello stesso gruppo vi sono Comuni maggiori e minori, ed allora i consiglieri dei diversi Comuni avrebbero un peso diverso: nel senso che un consigliere d’un Comune di 5 mila abitanti avrebbe un peso di fatto molto minore del consigliere d’un Comune di 500, o mille abitanti. Ma è qui che deve intervenire un criterio ed una valutazione di carattere politico. I consiglieri dei vari Comuni potranno avere, sì, ciascuno un peso diverso; ma, considerati nel loro insieme, la proporzione fra i vari partiti politici cui essi appartengono rimane sostanzialmente inalterata, per le naturali compensazioni del diverso colore politico dei consiglieri dei vari Comuni. Il fatto che un partito invece di 15 abbia 30 consiglieri ed un altro 10 invece di 5 non modifica il rapporto politico.

Si obietta, in secondo luogo, che, attraverso il sistema dei Consigli comunali, si viene a dare un premio ai piccoli Comuni o a certi ceti della popolazione. Non si tratta di dare un premio, ma di dar vita ad una rappresentanza politica che esprima, in modo territorialmente aderente, la reale distribuzione degli interessi in Italia. Se i ceti agricoli avranno la prevalenza, vuol dire che questa è, in Italia, la realtà.

Si osserva ancora che i Consigli comunali non sono eletti tutti col medesimo sistema; nei Comuni fino a 30 mila abitanti vige il sistema della rappresentanza maggioritaria, mentre nei Comuni oltre i 30 mila abitanti vige il sistema della proporzionale. È da tener presente però che laddove vige il sistema maggioritario, vi è sempre una certa rappresentanza della minoranza; e che, nell’ambito dello stesso gruppo di Comuni, vi sono naturalmente compensazioni fra le diverse proporzioni delle rappresentanze di maggioranza e di minoranza. Anche da questo punto di vista, pertanto, i rapporti politici sostanzialmente non mutano.

L’obiezione forse più grave è che ai rappresentanti delle amministrazioni comunali si attribuirebbe una funzione che va al di là del loro mandato. È da rilevare tuttavia che se l’elezione dei senatori deve avvenire – come sembrava concorde la seconda Sottocommissione – attraverso una elezione di secondo grado, è necessario, per evitare che questa elezione si tramuti in una farsa, puntare su elettori di secondo grado politicamente qualificati.

Ora, il fatto che degli individui siano amministratori comunali significa che essi hanno particolari competenze, per lo meno in materia amministrativa, per conoscenza di luoghi e di problemi, per cui sono particolarmente indicati e qualificati ad una elezione di carattere selettivo.

L’obiezione, infine, che lo scioglimento della Camera dei Senatori diventerebbe inutile, perché, spesso, sarebbero gli stessi consiglieri comunali ad eleggere i nuovi senatori, non è del tutto esatta. Anzitutto perché, essendo parte dei senatori eletta dalle Assemblee regionali, per questa parte almeno, lo scioglimento del Senato non sarebbe inutile. Anche le amministrazioni comunali si rinnovano poi, spesso, prima della loro scadenza naturale.

Ma la più importante osservazione da fare in argomento è un’altra.

Se si vuole istituire la seconda Camera, vuol dire che si riconosce l’esistenza di quelle esigenze che stanno alla base della necessità o almeno della opportunità di questa istituzione. Nessuno vuole una seconda Camera conservatrice, nel senso tradizionale e volgare della parola, che funga da contrappeso, al fine di bilanciare e quasi neutralizzare la Camera dei Deputati. Gli istituti parlamentari devono essere congegnati in modo da non arrestare, ma graduare l’evoluzione e il progresso, che consiste nel superamento e non nel capovolgimento rivoluzionario di uno stadio, di un momento antecedente. Ora, da questo punto di vista, la funzione della Camera dei Senatori nella organizzazione dello Stato è precisamente quella di rappresentare nella evoluzione del Paese il momento storico antecedente rispetto a quello rappresentato dalla Camera dei Deputati. La presenza del momento antecedente può giuocare sia in senso di destra, che di sinistra. Può darsi che la Camera dei Deputati evolva verso destra; allora la situazione della Camera dei Senatori rappresenterà un momento di stabilità di sinistra. Inversamente avviene nel caso contrario.

La funzione naturale propria della seconda Camera appare così evidente. Essa serve a legare l’avvenire al passato. E in questo senso soltanto può accettarsi la formula che definisce la seconda Camera come una Camera di riflessione.

Concludendo, afferma che le obiezioni mosse al sistema proposto possono avere un certo peso dal punto di vista matematico, ma nessuna rilevanza dal punto di vista puramente politico, e che in particolare l’ultima delle obiezioni fatte, secondo la quale l’eliezione anche parziale dei senatori da parte dei consiglieri comunali renderebbe inutile lo scioglimento della Camera dei Senatori, dimostra invece tutta la razionalità del sistema escogitato.

TERRACINI rammenta che il sistema, basato sulle Assemblee regionali e sui consigli comunali, come era inizialmente congegnato, poteva essere buono o cattivo; ma nel suo tipo aveva un certo carattere; per questo, dopo lunga serie di discussioni, di transazioni e di compromessi, vi si era acceduto. Ma quel sistema, una volta incrinato, cade.

Ora la proposta dell’onorevole Fuschini incrina il sistema; perché i consigli comunali, nel collegio che l’onorevole Fuschini presenta, anche soltanto per un rapporto numerico, diventano elemento secondario.

L’onorevole Fuschini dice che quei tali delegati sono eletti dal Consiglio comunale, ma non sono più il Consiglio comunale. Il Consiglio comunale è quello eletto in un certo momento con un dato sistema elettorale dagli abitanti del Comune. Ogni altro elemento aggiunto a questo nucleo ne falsa il carattere.

Se è vero, come ritiene, che tutti questi sistemi, specialmente l’ultimo proposto dall’onorevole Fuschini, vengono a falsare il carattere iniziale dell’elemento Consiglio comunale, di uno cioè dei due collegi, non vede perché debba restare in piedi anche il secondo collegio, cioè l’Assemblea regionale, tanto più che, nella proposta dell’onorevole Fuschini, gli elementi già deboli del collegio elettorale costituito dall’Assemblea regionale si indebolirebbero maggiormente. Chiede per quale ragione l’Assemblea regionale debba eleggere i cinque membri della seconda Camera, assegnati in misura eguale a tutte le Regioni.

Che cosa è che rende valido il fatto che la Lucania, la quale avrà, in ipotesi, dieci membri alla seconda Camera, ne faccia eleggere cinque dalla sua Assemblea regionale, cioè la metà, mentre la Lombardia, mantenendo fermo il numero di cinque membri eletti della Assemblea regionale, debba farne eleggere una quarta o una sesta parte rispetto al numero totale dei senatori eletti dalla Regione?

Si tratta, in sostanza, di un’idea sorta ad un certo momento, non sufficientemente analizzata.

È peraltro da considerare che le Regioni italiane si presentano con caratteristiche speciali. Nella Lucania, in cui il Consiglio regionale rifletterà in maniera più diretta, se non la struttura sociale, ma determinate posizioni politiche, dovendosi eleggere i membri della seconda Camera, si avrebbe, in definitiva, almeno la metà acquisita a certe posizioni politiche, che oggi dominano quella Regione, ed in realtà a rappresentare le forze sociali differenziate della Lucania non resterebbe che l’altra metà.

Lo stesso ragionamento si potrebbe fare per tutte le altre Regioni.

Se si dovesse – ciò che depreca – accettare un collegio regionale, bisognerebbe rimanere alla decisione iniziale di un terzo o della metà. Il danno conseguente a questo specifico modo di elezione sarebbe proporzionalmente diviso in tutte le Regioni italiane; e non vi sarebbero alcune avvantaggiate ed altre danneggiate.

Quanto alla funzione della seconda Camera, non può dirsi convinto dalle argomentazioni dell’onorevole Tosato.

Ricorda che, quando, in sede di Sottocommissione, si è parlato della seconda Camera in confronto della prima, si rimase d’accordo che non restasse traccia nella proposta decisa a maggioranza della funzione da affidare alla seconda Camera.

Ora, in linea storica, salvo deprecabilissimi momenti nella vita del Paese, verificatisi nel 1922 e nel 1923, la vita sociale non si muove verso il passato, ma verso l’avvenire. Non crede pertanto che si debba accettare il criterio di una seconda Camera che rappresenti un freno o una remora. La seconda Camera deve essere una integratrice ed una collaboratrice nella attività legislativa.

La proposta dell’onorevole Perassi, d’altro canto, può essere considerata come un emendamento aggiuntivo a quella dell’onorevole Laconi. In base ad essa la seconda Camera trova la sua giustificazione non soltanto con la esistenza delle Regioni, ma dei Comuni. E così, quella che era stata la voce isolata, fin dal principio, dell’onorevole Zuccarini, si è trasformata in un clamore: la seconda Camera ha cominciato ad essere presentata non più come Camera delle Regioni, non come assemblea che trovi la sua giustificazione in questa nuova struttura amministrativa dello Stato italiano, ma come una Camera in cui il Comune, cellula iniziale della vita sociale, possa aver un riflesso nazionale. Ora, se si fosse sostenuto che le Assemblee regionali dovevano funzionare come Assemblee rappresentative dei Comuni, probabilmente avrebbe aderito a proposte concrete in tal senso; ma non capisce perché i Comuni, passando al di sopra delle Regioni, debbano andare anch’essi a porre la loro rappresentanza nella seconda Camera.

L’onorevole Perassi, che aveva inizialmente presentato un progetto in cui si parlava solo di Comuni, accedendo poi a delle critiche, è passato al mandamento, richiamando però sempre i Comuni. Pensa che una proposta del genere abbia essenzialmente il difetto di non permettere a un suffragio proporzionale di farsi valere, a meno che l’onorevole Perassi non pensi ad un numero di elettori di secondo grado molto elevato. Si dovrebbe, in tal caso, adottare un sistema elettorale per cui, come è avvenuto in Francia, gli elettori di secondo grado assommino a centinaia di migliaia; ma da quello che si è detto e dal modo come si vorrebbe far funzionare l’ingranaggio proposto, non si avrebbe un collegio elettorale numeroso.

Concludendo, afferma che voterà a favore della proposta dell’onorevole Nobile, la quale, a suo avviso, pone il problema nella maniera più aperta e stabilisce una differenza fra la prima e la seconda Camera in modo tale da non poter far sorgere equivoci. Qualora tale proposta non fosse accettata, voterà quella dell’onorevole Laconi.

PRESIDENTE fa presente che alle tre proposte fondamentali se ne è aggiunta ora una quarta. Quanto all’ordine da seguire nella votazione, in base al criterio di dare la precedenza alle proposte che si allontanano maggiormente dal testo in esame, pensa che debba essere il seguente: proposta Mortati che fa riferimento a dei gruppi di interesse; proposta Nobile di suffragio universale diretto; proposta del suffragio universale indiretto con l’integrazione Perassi; e infine proposta Fuschini che, in sostanza, conferma il sistema proposto dalla Commissione e dal Comitato con una leggera variante.

Allo scopo di dar modo ai vari gruppi di concordare la loro azione, propone di rinviare la seduta al pomeriggio.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 12.45.

Erano presenti: Amadei, Ambrosini, Basso, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Canevari, Cappi, Cevolotto, Codacci Pisanelli, Conti, Corsanego, De Michele, De Vita, Dominedò, Dossetti, Einaudi, Fabbri, Fanfani, Farini, Federici Maria, Froggio, Fuschini, Gotelli Angela, Grassi, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Pira, La Rocca, Leone Giovanni, Lombardo, Lucifero, Lussu, Mancini, Mannironi, Marchesi, Marinaro, Mastrojanni, Molè, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Piccioni, Rapelli, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Targetti, Taviani, Terracini, Togliatti, Togni, Tosato, Tupini, Uberti, Zuccarini.

Assente giustificato: Ghidini.

Assenti: Bordon, Calamandrei, Cannizzo, Castiglia, Colitto, Di Giovanni, Di Vittorio, Finocchiaro Aprile, Giua, Merlin Lina, Merlin Umberto, Paratore, Pesenti, Porzio.