ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
ADUNANZA PLENARIA
22.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 28 GENNAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI
INDICE
Diritti e doveri dei cittadini (Esame degli articoli)
Presidente – Moro – Nobile – Grassi – Lucifero – Codacci Pisanelli – Cevolotto.
Conflitto fra le due Camere (Discussione)
Presidente – Laconi – Mortati – Fabbri – Perassi – Einaudi – Togliatti – De Vita – Grassi – Lami Starnuti – Marinaro – Nobile – Lussu – Tosato – Molè.
La seduta comincia alle 9.45.
Esame degli articoli sui diritti e doveri dei cittadini.
PRESIDENTE informa la Commissione che il Comitato di redazione ha proceduto alla formulazione degli articoli delle disposizioni generali che gli erano stati rinviati dopo stabiliti i criteri di massima.
Il primo, l’8-bis, riguardante la libertà e la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, dice:
«La libertà e la segretezza di corrispondenza e di comunicazione in ogni forma sono garantite. Si può derogare soltanto per motivata decisione dell’autorità giudiziaria nei casi indicati dalla legge».
Ne propone l’approvazione.
(È approvato).
Il secondo articolo, il 9-bis, concernente le proposte avanzate dal gruppo parlamentare dei sanitari, è stato, dopo lunga discussione, così formulato:
«La Repubblica tutela la salute e l’igiene ed assicura cure gratuite agli indigenti».
Avverte che il Comitato ha respinto un emendamento aggiuntivo, presentato dagli onorevoli Rossi Paolo e Moro, così concepito:
«Nessun trattamento sanitario può essere obbligatorio se non per legge. Non sono ammesse pratiche sanitarie lesive della dignità umana».
Apre la discussione sull’articolo.
MORO spiega le ragioni che lo hanno indotto a presentare, unitamente all’onorevole Rossi, l’emendamento, ricavato dai tre articoli proposti dal gruppo parlamentare dei medici. Si tratta di un problema di libertà individuale che non può non essere garantito dalla Costituzione, quello cioè di affermare che non possono essere imposte obbligatoriamente ai cittadini pratiche sanitarie, se non vi sia una disposizione legislativa, impedendo, per conseguenza, che disposizioni del genere possano essere prese dalle autorità senza l’intervento della legge.
Importante è anche l’altra parte dell’emendamento. Non soltanto ci si riferisce alla legge per determinare che i cittadini non possono essere assoggettati altrimenti a pratiche sanitarie, ma si pone anche un limite al legislatore, impedendo pratiche sanitarie lesive della dignità umana. Si tratta, prevalentemente, del problema della sterilizzazione e di altri problemi accessori.
L’esperienza storica recente dimostra l’opportunità che nella Costituzione italiana sia sancito un simile principio, ed egli insiste pertanto perché gli emendamenti proposti siano accettati, salvo ad apportarvi modificazioni formali. Modifica subito la prima parte del suo emendamento nei seguenti termini: «Nessun trattamento sanitario obbligatorio può essere stabilito, se non per legge».
NOBILE dichiara di essere molto perplesso di fronte alla proposta di emendamento, pur comprendendo lo spirito che la informa. Ritiene infatti che si tratti di una formula troppo restrittiva, e che vi possano essere dei casi speciali in cui, per ragioni superiori riguardanti l’interesse stesso della sanità collettiva, la legge possa essere costretta ad imporre determinate pratiche sanitarie che con l’emendamento si vorrebbero escludere in ogni caso.
GRASSI fa presente che le ragioni per le quali l’emendamento è stato respinto in seno al Comitato di coordinamento sono di duplice ordine. Innanzi tutto si è considerato che se si rimette al legislatore la valutazione di quella che in futuro dovrebbe essere materia di legge, è inutile occuparsene nella Costituzione, poiché questo, praticamente, non limiterebbe la libertà del legislatore d’imporre determinate pratiche sanitarie.
Quanto al punto principale dell’emendamento, cioè la frase: «pratiche lesive della dignità umana», che, come l’onorevole Moro ha chiarito, riguarda in modo particolare il caso della sterilizzazione, si è ritenuto trattarsi di un dettaglio in cui la Costituzione non dovrebbe entrare. Se domani il legislatore riterrà che la pratica sia giusta, spetterà a lui decidere; ma non è il caso che se ne occupi la Costituzione. Inoltre il significato delle parole «lesive della dignità umana» è molto generico.
Dopo aver fatto presente che alcune pratiche sanitarie, che potrebbero essere classificate tra quelle lesive della dignità umana, costituiscono invece una necessità per determinate persone, conclude affermando che porre una limitazione assoluta in materia costituirebbe un fatto grave, ed una norma del genere inserita nella Costituente sarebbe inutile o assurda.
MORO osserva all’onorevole Grassi che il primo rilievo da lui fatto, circa l’inutilità del rinvio alla legge, dovrebbe valere anche per molti altri casi, nei quali, nel testo costituzionale, è stato richiesto che si disponga per legge. Anche in questo caso delle pratiche sanitarie si può ritenere necessaria la garanzia costituzionale che soltanto per legge esse possano venire imposte ai cittadini. Quanto alla seconda parte, non si vuole escludere il consenso del singolo a determinate pratiche sanitarie che si rendessero necessarie in seguito alle sue condizioni di salute; si vuol soltanto vietare che la legge, per considerazioni di carattere generale e di male intesa tutela degli interessi collettivi, disponga un trattamento del genere. I casi invece di carattere generale da applicarsi a tutti i cittadini devono essere disposti per legge entro quei determinati limiti di rispetto della dignità umana.
Per essere più chiaro, è disposto a modificare il suo emendamento, onde evitare che il divieto sia esteso anche ai singoli, dicendo invece:
«La legge non può imporre pratiche sanitarie lesive della dignità umana».
NOBILE insiste nel dichiarare che non è possibile porre un limite rigoroso al legislatore; e che occorre ammettere possibilità di deroga. Bisogna, ad esempio, considerare se nel caso di gravi forme di pazzia ereditaria, le legge non abbia il dovere di prevedere misure sanitarie atte ad impedire che siano messi al mondo degli infelici destinati con certezza al terribile male.
Si dichiara quindi contrario all’emendamento.
PRESIDENTE pone ai voti la prima proposizione dell’emendamento:
«Nessun trattamento sanitario obbligatorio può essere stabilito se non per legge».
(È approvata).
Pone ai voti la seconda parte dell’emendamento:
«La legge non può imporre pratiche sanitarie lesive della dignità umana».
LUCIFERO dichiara che voterà contro la seconda parte dell’emendamento per una ragione di dignità costituzionale. Si deve creare una Costituzione che garantisca la dignità umana in tutti i suoi aspetti; non si può quindi ammettere che nello Stato che si sta costruendo possano sorgere leggi lesive della dignità umana.
(La seconda parte dell’emendamento Moro è approvata).
PRESIDENTE informa che un’altra formulazione discussa dal Comitato di redazione è stata quella dell’ultimo comma dell’articolo 15, riguardante la questione della pornografia.
Ricorda che un emendamento all’articolo votato dalla Sottocommissione, proposto dagli onorevoli Nobile e Terracini, accentuava quanto era detto nel testo, vietando in modo tassativo le forme di pubblicazioni oscene e contrarie al buon costume. Il concetto di modificare il testo è stato accolto dalla Commissione che ha demandato al Comitato di coordinamento la formulazione definitiva sulla quale erano sorti dissensi.
Il Comitato di redazione, all’unanimità, ha concordato una formula generica, intendendo con questo di estendere la norma alle visioni cinematografiche ed agli spettacoli offensivi del buon costume. La formula dice:
«Sono vietate le pubblicazioni di stampa, gli spettacoli e le altre forme di manifestazioni pornografiche. La legge determina a tale scopo misure adeguate».
È sorto dissenso sulla parola «pornografiche»; ma è stata respinta dalla maggioranza del Comitato la proposta di sostituirvi l’espressione «contrarie al buon costume» ritenuta troppo elastica, e tale da poter consentire interventi anche quando non vi fossero veri e propri intenti pornografici.
CODACCI PISANELLI ritiene che la dizione proposta sia insoddisfacente ed equivoca, in quanto sembra siano dichiarati pornografici tutti gli spettacoli e le pubblicazioni.
Crede sia opportuno non abbandonare l’espressione ormai insita nella nostra tradizione giuridica, in cui si è sempre parlato di «buon costume».
D’altra parte, con tale formula, l’inconveniente da qualche parte lamentato, cioè la possibilità che venga impedita la stampa d’opere ormai ammesse nella nostra letteratura, potrebbe essere evitato in quanto la formula stessa consentirebbe al funzionario che deve applicare la legge di interpretarla nel senso indicato dalla esperienza.
Insiste, pertanto, perché venga adottata l’espressione: «contrarie al buon costume».
NOBILE è contrario alla proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli, in quanto è di avviso che l’espressione «buon costume» sia troppo generica.
Conviene peraltro nel rilievo dell’onorevole Codacci Pisanelli circa l’equivocità della dizione e propone la seguente formulazione:
«Sono vietate le pubblicazioni di stampa pornografiche, nonché gli spettacoli e le altre forme di manifestazioni aventi il medesimo carattere».
MORO desidera impostare un problema più generale, e cioè quello del più opportuno collegamento della disposizione con l’articolo 15, che riguarda la libertà di stampa e delle altre manifestazioni, al quale si sarebbe dovuto sostituire, all’ultimo comma, l’emendamento Nobile-Terracini che nella sostanza era stato accettato. Diceva l’ultima parte dell’articolo 15 che: «A tutela della morale pubblica e contro le oscenità, la legge può consentire misure preventive e limitazioni per le manifestazioni di pensiero compiute con la stampa e con altri mezzi di diffusione». Il significato della disposizione è questo: si vuole dichiarare il carattere illecito – ed in una forma drastica che egli accetta – di questi abusi della libertà di stampa e delle manifestazioni in genere del pensiero, per giungere ad una conseguenza che è di rilevanza costituzionale, cioè la possibilità di limitazioni e di misure preventive nei confronti dei pericoli che possono presentare gli spettacoli e le pubblicazioni che abbiano carattere pornografico. Se non fosse questo il significato, non vedrebbe la ragione di inserire disposizioni del genere nella Costituzione, in quanto sarebbero sufficienti le disposizioni penali riguardanti la materia.
Per rendere chiaro questo significato, chiede che la disposizione, opportunamente modificata secondo i rilievi fatti da più parti, sia inserita dopo il 3° comma dell’articolo 15 che dice: «Si può procedere al sequestro soltanto per atto dell’autorità giudiziaria, nei casi di reati e di violazioni di norme amministrative pei quali la legge sulla stampa dispone tassativamente il sequestro». Qui si fa un richiamo ai reati; inserendovi la disposizione, sarebbe ben chiaro il richiamo al legislatore penale a configurare come reati queste manifestazioni ed a comminarne il sequestro.
PRESIDENTE prospetta la difficoltà di accogliere la proposta dell’onorevole Moro, in quanto fra il terzo e il quarto comma dell’articolo 15 vi è un certo coordinamento che si verrebbe a spezzare.
Comunque la soluzione potrà essere trovata dal Comitato di redazione.
CEVOLOTTO propone la soppressione dell’ultima frase: «La legge determina a tale scopo misure adeguate», perché non vede come si possa ammettere che una legge possa determinare misure inadeguate.
MORO, per venire incontro alle preoccupazioni dell’onorevole Cevolotto, propone che alle parole: «misure adeguate» si sostituiscano le altre: «misure preventive e opportune limitazioni».
PRESIDENTE pone innanzi tutto ai voti il primo emendamento, consistente nella sostituzione della parola «pornografiche» con le altre «contrarie al buon costume».
(È approvato).
Pone ai voti l’emendamento dell’onorevole Cevolotto di sopprimere le parole: «La legge determina a tale scopo misure adeguate».
(È respinto).
Segue l’emendamento dell’onorevole Moro che tende a sostituire alle parole: «La legge determina a tale scopo misure adeguate» le altre: «La legge determina a tale scopo misure preventive ed opportune limitazioni».
LUCIFERO chiede quale sia il vero significato dell’emendamento, in quanto le misure preventive presuppongono un esame preventivo di tutta la materia da sottoporre a sanzione.
MORO risponde che il significato che si attribuisce all’espressione è quello del sequestro e dell’azione della pubblica sicurezza.
LUCIFERO osserva che il futuro legislatore potrebbe attribuire all’espressione un significato diverso.
PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento Moro.
(Non è approvato).
Propone che, apportando lievi modifiche di forma, il comma resti così formulato:
«Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni che siano contrarie al buon costume. La legge determina a tale scopo misure adeguate».
(La Commissione approva).
Fa presente che l’ultimo articolo rinviato alla formulazione del Comitato di redazione, il 41, riguarda la cooperazione. Il Comitato di redazione ha approvato questa formula che sottopone all’approvazione della Commissione:
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione, ne favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e la vigila per assicurare i suoi caratteri e le sue finalità».
(È approvato).
Discussione sui conflitti fra le due Camere.
PRESIDENTE sottopone all’esame della Commissione la formulazione dell’articolo 18 della parte del progetto concernente il Parlamento.
Fa presente che la seconda Sottocommissione è partita dal concetto della perfetta parità fra le due Camere, nel senso che, se interviene il dissenso su un progetto di legge, il parere di una Camera non prevale su quello dell’altra, ma in questo caso, secondo il testo della seconda Sottocommissione – riprodotto dal Comitato di redazione – «il Capo dello Stato può chiedere che la Camera da cui parte il dissenso si pronunci di nuovo. Se non si pronuncia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire un referendum popolare su un disegno non approvato o di sciogliere le due Camere».
Ora, è sembrato – in seno al Comitato – che questa disposizione fosse alquanto drastica, e l’onorevole Terracini ha proposto un emendamento sostitutivo così formulato:
«Un disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati, sul quale la Camera dei Senatori non si è pronunciata nel termine stabilito, è promulgato quale legge, se la prima Camera lo approvi una seconda volta.
«Ove il disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati sia respinto o modificato da quella dei Senatori, occorre, perché possa promulgarsi come legge, che la prima Camera lo approvi nuovamente a maggioranza dei suoi membri e di due terzi dei Deputati presenti. Nel caso che, pur riapprovandolo, non raggiunga tale maggioranza, la prima Camera può chiedere che il disegno di legge sia sottoposto a referendum.
«Quando la Camera dei Deputati non si pronunci, rigetti o modifichi un disegno di legge approvato dalla Camera dei Senatori, e questa l’approvi nuovamente, si svolge il procedimento del comma che precede, come se il disegno fosse stato inizialmente presentato alla Camera dei Deputati e da questa approvato».
Avverte che, essendosi l’onorevole Terracini dovuto assentare, l’onorevole Laconi è stato delegato ad illustrare l’emendamento.
LACONI ritiene che l’emendamento proposto dall’onorevole Terracini non dovrebbe trovare difficoltà neanche in coloro che hanno sostenuto così decisamente, anche in passato, la parità delle due Camere.
In sostanza, chi sia stato presente ai dibattiti della seconda Sottocommissione sa che la seconda Camera è stata istituita con la unanimità dei consensi, in quanto si è voluto fare di questo organismo una specie di Camera di riflessione, che consentisse un’ulteriore elaborazione delle leggi e, quindi, una maggiore ponderazione dell’azione legislativa. Da questo primo concetto si è passati invece ad una specie di parità assoluta che non consente nessuna differenza tra l’attività della prima e della seconda Camera, e che, quindi, viene ad aprire nel corpo della democrazia italiana una specie di stato di conflitto permanente tra due organi che hanno i medesimi poteri e fra i quali è indispensabile che altri organi facciano da arbitri.
Richiama l’attenzione sulla gravità della proposta della seconda Sottocommissione, appena ritoccata dal Comitato di redazione che, all’ultimo comma, dà facoltà al Capo dello Stato, ove la nuova pronuncia confermi la precedente oppure non si proceda ad un nuovo esame, di indire un referendum popolare sul progetto oppure di sciogliere le due Camere.
MORTATI osserva che l’ultimo comma non fu approvato dalla Sottocommissione.
FABBRI conferma, precisando che, effettivamente, sull’ultimo punto non si addivenne ad una votazione conclusiva.
LACONI osserva che, comunque, conflitti permanenti si verificherebbero quando si stabilissero due organi aventi diversa origine ed uguali poteri.
Per quanto non sia stato ancora discusso il modo di composizione della seconda Camera, gli sembra ormai pacifico che una differenziazione nella composizione di questi due organi sarà ammessa. Ora, è impossibile ed assurdo ammettere che due organi che abbiano origine diversa – che si rifletterà anche sulla loro composizione politica – abbiano una parità assoluta di poteri. Si creerebbe in seno alla democrazia italiana una situazione di conflitto permanente, nella quale occorrerà introdurre arbitri esterni.
Sostiene che non è possibile procedere allo scioglimento e alla rielezione delle Camere ogni volta che sorgano dissensi sulla valutazione delle leggi, ed esprime l’avviso che, riferendosi ad una tradizione costante nella maggior parte dei Paesi, si possa accedere alla soluzione contemplata nell’emendamento. Essa non contrasta con l’aspirazione della maggioranza della Commissione di costituire un organo di riflessione che costituisca una maggiore elaborazione della legge. Non si deve inceppare il funzionamento degli organi legislativi aprendo una serie di conflitti costanti.
Riconosce che con l’emendamento, in sostanza, si viene a stabilire una prevalenza della Camera dei Deputati, ma fa presente la necessità di non dimenticare quale è il mandato tradizionale e originario di questa Camera, unico organo legislativo che abbia un pieno e completo mandato politico, e che deve quindi avere una prevalenza, in quanto rappresenta anche gli enti locali e gli interessi di vaste popolazioni.
Per queste ragioni, propone che la Commissione approvi l’emendamento Terracini.
NOBILE osserva che la dizione dell’emendamento resta alquanto oscura, soprattutto nella seconda parte.
PERASSI riconosce che la dizione può dar luogo a dubbi. Una interpretazione del secondo comma dell’emendamento potrebbe essere nel senso che si voglia stabilire una reciprocità rispetto al procedimento previsto dal comma precedente. Sembra invece che l’interpretazione cui si vuole accedere sia tutt’altra, ed allora non si comprende quale sorte avrebbe un disegno di legge, specialmente nella ipotesi che la Camera dei Deputati lo abbia respinto dopo un iniziale voto favorevole del Senato.
PRESIDENTE osserva che, se mai, si tratterebbe di dare all’emendamento un’altra formulazione; ma il concetto è evidente: nel caso accennato dall’onorevole Perassi si considera che l’iniziativa sia stata presa dalla Camera, che il testo votato dalla Camera sia il testo inizialmente presentato e che quindi la Camera, dopo la reiezione del Senato, ha la facoltà di approvare con un determinato quorum.
PERASSI obietta che, in tal caso, l’ipotesi del rigetto da parte della Camera dei Deputati non avrebbe significato.
MORTATI osserva non essere esatto quanto l’onorevole Laconi ha affermato circa una deliberazione della Sottocommissione relativa all’attribuzione alla seconda Camera delle funzioni di una Camera di riflessione. Ricorda, invece, che si stabilì il concetto della parità e in tal senso fu votato, a maggioranza, un ordine del giorno. Questo presupposto di parità è confermato con evidenza anche da una disposizione la quale sancisce che le due Camere intervengono, in sede di Assemblea Nazionale, nell’attribuzione della fiducia al Governo. Sarebbe una disarmonia nel sistema se – adottando l’emendamento dell’onorevole Terracini – si stabilisse che non vi è parità delle due Camere.
Non è neppure esatto affermare – come l’onorevole Laconi ha fatto – che attuando la proposta della maggioranza della Sottocommissione nel senso della parità, si verrebbe a creare una situazione di conflitto permanente tra le due Camere. Si vuole creare una seconda Camera che integri la prima, trovare cioè una forma di rappresentanza che completi la prima in modo che le due Camere riunite rappresentino il Paese in tutti gli aspetti della sua conformazione politica. Certo, le due Camere potranno non avere lo stesso peso politico, ma egli si domanda se sia opportuno stabilire una posizione di supremazia di una Camera di fronte all’altra, oppure una differenza di peso politico, determinando una certa remissività dell’una Camera rispetto all’altra.
Osserva che in Italia, l’antico Senato, pur non avendo una origine direttamente popolare, ha realizzato il principio bicamerale attuando spontaneamente una certa remissività rispetto alla Camera dei Deputati, il che ha evitato quei dissidi che l’onorevole Laconi teme. E così anche il Senato francese, che aveva una maggiore autonomia di fronte alla Camera, ha potuto svolgere sempre la sua funzione autonoma ed in certi momenti contrapporsi anche alla Camera dei Deputati pur senza creare quello stato di disarmonia che l’onorevole Laconi teme.
Se perciò si parte dal presupposto di una seconda Camera che sia un efficace strumento di integrazione della rappresentanza politica – e nella creazione di un tale meccanismo integrativo si parrà la saggezza politica dell’Assemblea – si avrà veramente un sistema non di antitesi radicale, ma di compensazione reciproca.
È quindi per la reiezione completa dell’emendamento. Non solo, ma vuole andare più innanzi: riprenderebbe cioè il testo proposto dalla Sottocommissione, che la maggioranza non aveva approvato, testo che egli ripresenterebbe integralmente, salvo l’ultimo inciso: «o di sciogliere le due Camere», dato che l’ipotesi dello scioglimento è stata regolata con altro articolo.
È d’avviso infine che se si deve ricorrere al referendum in caso di conflitto fra le due Camere, sarebbe più logico, più aderente al sistema che questa decisione del referendum fosse affidata al Capo dello Stato, naturalmente con l’ausilio e la controfirma del Governo, che è responsabile della politica generale del Paese, e quindi giudice dell’opportunità di ricorrere a questo congegno di risoluzione dei conflitti. Lasciare la prima Camera arbitra di questa pronunzia popolare, significherebbe accentuarne una posizione di supremazia, che non trova nessuna giustificazione nel complesso del sistema.
PRESIDENTE osserva che la critica degli onorevoli Perassi e Nobile potrebbe essere superata cancellando l’ultimo comma dell’emendamento Terracini, lasciando cioè che la prima Camera, se crede, prepari un progetto di legge ex novo che seguirà la procedura normale.
Fa questa proposta per cercare di eliminare una parte della materia in discussione.
Constata, inoltre, che all’emendamento Terracini si contrappongono due soluzioni: la prima, di lasciare soltanto il primo comma dell’articolo 18; la seconda, di aggiungere anche il secondo comma, togliendovi le parole finali: «o di sciogliere le due Camere».
EINAUDI è favorevole alla dizione proposta dal Comitato di redazione per il primo comma. Quando al secondo comma, crede sarebbe opportuno discuterne quando si parlerà del referendum per evitare che nascano discordanze fra questa disposizione e quelle che si adotteranno in materia di referendum.
Preferisce all’emendamento Terracini la dizione originale, in quanto ritiene che l’emendamento stesso sia fondato non su delle verità, ma su alcuni miti.
Il primo mito è che sia desiderabile che non esistano conflitti fra le due Camere, poiché non v’è nessuna prova che possa essere addotta a conferma di questa desiderabilità. Il senso del regime parlamentare, anzi, è quello che vi siano dei conflitti, e che si arrivi ad una soluzione non attraverso un. sistema codificato precedentemente, ma attraverso compromessi; e compromessi possono fare soltanto dei Corpi che siano perfettamente uguali fra di loro. L’onorevole Mortati ha ricordato l’esperienza precedente del Senato italiano, e si riferisce soltanto alla esperienza anteriore all’ottobre 1922. Ora questa esperienza soffriva grandemente di un fatto, cioè del complesso di inferiorità del Senato, dovuto alla sua origine ed a varie altre circostanze. I compromessi non avvenivano a parità; e per conseguenza quell’esame di riflessione, quel controllo che una Camera esercita sulle deliberazioni dell’altra, non si effettuava come sarebbe stato desiderabile.
Crede perciò che con il sistema che si va creando nella Costituzione, con la composizione della Camera dei Senatori che si dovrà discutere, si otterrà questo risultato: che, pur avendo origini diverse, queste due Camere sentiranno di avere dietro di loro l’una gli elettori nella loro generalità, l’altra gli stessi elettori, ma organizzati e riuniti territorialmente in modo diverso. Ma queste due Camere si sentiranno uguali e potranno sul serio arrivare a quello che deve essere il frutto della discussione su una deliberazione legislativa, che è essenzialmente il compromesso di due, ed eventualmente anche di molte altre forze esistenti nel Paese.
Un altro mito che sta alla base dell’emendamento Terracini è quello che sia desiderabile che la forza politica, e quindi la facoltà di deliberazione, venga da una sola Camera. A questo contrappone il frutto dell’esperienza, la quale insegna che quando in uno Stato si ha una forza sola, una Camera sola, la quale in definitiva può deliberare e può decidere sui governi e sulle leggi, si va incontro alla tirannia. Per evitare questo pericolo, non vi può essere una sola Camera che abbia tutta la potestà politica, sia nella prima che nella seconda fase, come sarebbe codificato con l’emendamento Terracini.
TOGLIATTI osserva che questo avviene in Inghilterra.
EINAUDI rileva che un altro mito su cui poggia l’emendamento Terracini è quello che sia desiderabile per un Paese che si facciano nuove leggi. Questo mito coincide con un altro: che sia desiderabile per un Paese che le cose mutino continuamente. L’ideale per un Paese sarebbe – a suo avviso – che le cose non mutino troppo e non siano troppo stabili: ci deve essere anche qui un compromesso fra la continua mutabilità e la stabilità delle leggi. E se in una Costituzione sarà possibile creare un organo, come quello della Camera dei Senatori, che dia una qualche stabilità alle leggi, crede che ciò potrà essere utile al Paese.
DE VITA è sostanzialmente d’accordo con quanto hanno detto gli onorevoli Mortati ed Einaudi. Esprime l’opinione che non si possa parlare di un conflitto – almeno permanente – fra le due Camere, perché se un determinato progetto non raggiunge il consenso di ambedue, esso naturalmente cade. Trattandosi poi di due organi entrambi elettivi, crede che non si possa nemmeno parlare della preminenza dell’uno sull’altro.
GRASSI sottolinea l’importanza dell’argomento e la necessità di stabilire chiaramente se il sistema bicamerale da attuarsi debba essere fondato su un equilibrio o sulla prevalenza di una assemblea rispetto all’altra.
Al concetto prevalso in seno alla seconda Sottocommissione, quello cioè di stabilire un equilibrio fra le due Assemblee, fondato specialmente sul fatto accennato dall’onorevole Einaudi che entrambe le Assemblee sono elettive, si contrappone la proposta Terracini, che vorrebbe dare la preminenza ad una delle Assemblee.
L’onorevole Togliatti, in una sua interruzione, ha accennato all’esempio dell’Inghilterra. Osserva però che in Inghilterra la Camera dei Lords, che comprende la rappresentanza tradizionale delle grandi famiglie, con un piccolo quorum dovuto all’intervento della Corona, si trova in una situazione del tutto diversa dalla Camera dei Comuni, che trae la sua origine dal suffragio popolare. Ricorda in proposito il conflitto sorto nel 1911, dovuto al fatto che la Camera dei Lords voleva mantenere i suoi privilegi.
Con l’attuale Costituzione si parte invece da un sistema completamente diverso; quindi è la base fondamentale, strutturale dello Stato che viene modificata. È favorevole ad una situazione di parità fra le due Camere e, quindi, ritiene che l’emendamento non possa essere accettato.
Resta sempre la questione dei conflitti che possono sorgere, e che è bene che sorgano qualche volta. Osserva che, come ha accennato l’onorevole Mortati, sarebbe inutile costituire due Camere se non ci dovesse essere un elemento differenziale su determinate questioni.
Se si crea una seconda Camera, con tutto il prestigio che le deriva dal fatto di essere elettiva e di rappresentare le tendenze territoriali delle Regioni, crede che si debba anche prevedere la possibilità che domani possa sorgere qualche conflitto, anche se normalmente debba prevedersi il compromesso e l’accordo.
A questo punto può sorgere il problema del modo come risolvere un eventuale conflitto. Tale soluzione può essere data o dallo scioglimento dell’Assemblea o dall’adozione di quel sistema di democrazia diretta rappresentato dal referendum popolare.
Conclude sostenendo la necessità di mantenere fermo il concetto già fissato dalla Sottocommissione e cioè la parità del sistema, e di fare ricorso al referendum nel caso di conflitto fra le due Camere.
LAMI STARNUTI, premesso non esservi dubbio che un conflitto fra le due Camere possa avvenire, rileva che qualunque sia il sistema adottato, bisognerà trovare lo strumento per la sua soluzione. Due sono i modi per risolvere il problema: la proposta presentata dall’onorevole Terracini, o quella di affidare al Presidente della Repubblica lo scioglimento del conflitto attraverso il referendum popolare, o attraverso nuove elezioni. Ritiene che quest’ultimo sistema di soluzione sia troppo gravoso: se non vi è altra soluzione che lo scioglimento delle due Camere o il ricorso al referendum popolare, molte volte il conflitto rimarrà aperto e sarà strano che ciò avvenga quando una Camera abbia stabilito l’opportunità e la necessità di una determinata legge. È necessario quindi cercare un altro sistema di soluzione meno gravoso e, in certo senso, anche meno pericoloso. Rileva che, pur adottando l’ordinamento sulla base del funzionamento delle due Camere, è previsto nella Costituzione il ricorso all’Assemblea Nazionale tutte le volte in cui il voto di una sola delle due Camere non potesse sembrare decisivo. La mozione di fiducia o di sfiducia al Governo viene data così dall’Assemblea Nazionale. Ed egli domanda se non sarebbe possibile, opportunamente modificando l’emendamento dell’onorevole Terracini e senza sopprimere il ricorso al referendum nazionale cui ricorrere come extrema ratio, consentire che la Camera dei Deputati chieda la convocazione della Assemblea Nazionale per risolvere il conflitto nato fra le due Camere, in sede di discussione e di approvazione di un progetto di legge.
Comprende le osservazioni mosse dall’onorevole Einaudi: molto spesso le Camere troveranno modo di risolvere – in rapporti ufficiosi – i conflitti insorti; ma occorre formulare l’ipotesi, sia pure rara, di conflitti che non si risolvano con tale sistema, l’ipotesi delle due Camere che rimangano ciascuna decisa e ferma nel loro punto di vista. È questo il caso in cui un ricorso alla decisione dell’Assemblea Nazionale potrebbe sembrare opportuno.
Si dichiara pertanto favorevole all’emendamento Terracini, con la modifica suggerita.
FABBRI si dichiara assolutamente favorevole a mantenere i testi quali sono stati deliberati, dopo lunghe discussioni, dalla seconda Sottocommissione. In linea di fatto, ritiene che non siano così frequenti e così estremamente probabili i conflitti fra le due Camere, come è testimoniato da una lunga esperienza parlamentare. Quando poi tale previsione di conflitti si volesse riferire a quello che l’onorevole Einaudi ha chiamato un complesso di inferiorità da parte del Senato, risponderà riferendosi all’esperienza francese, ove tale complesso di inferiorità, sino a tutto il perdurare della terza Repubblica, non c’era, ma vi era anzi una superiorità da parte del Senato. Per restare al caso dell’Italia, osserva che qualunque menomazione delle prerogative dell’una o dell’altra Camera urterebbe inevitabilmente contro il sistema bicamerale che si è voluto istituire e che presenta tanti pregi. Non crede, quindi, alla possibilità di conflitti; ma quand’anche essi dovessero sorgere, è ben lungi dal considerarli una sventura, né ravvisa la necessità, teorica o pratica, di predisporre nella Costituzione un congegno per risolverli. Un conflitto, infatti, apre una discussione, determina un interessamento nel Paese, dibatte i motivi per il pro e per il contra. D’altra parte, una legislatura non è eterna e quindi la risoluzione del conflitto può essere benissimo rimandata alle future elezioni che debbono dare l’orientamento ad entrambe le Camere, tutte e due derivanti dal suffragio universale, l’una in forma diretta, l’altra indiretta.
È conseguentemente contrario anche al referendum che presenta, a suo avviso, numerosi e gravi inconvenienti, primo fra tutti quello che una pronuncia popolare in senso contrario all’una o all’altra Camera, ne svaluterebbe immediatamente la consistenza politica, implicando la necessità del suo scioglimento. Nessuna necessità pertanto, nel caso di un conflitto, di pensare a risolverlo sia dal punto di vista teorico sia da quello pratico, in quanto il breve indugio di tempo, che non sarebbe mai superiore ad una legislatura e che potrebbe anche essere abbreviato dall’iniziativa del Capo dello Stato, con lo scioglimento, in casi eccezionali, delle due Camere, non porterebbe grave danno. Si dichiara perciò contrario all’emendamento Terracini, come a quello presentato dall’onorevole Lami Starnuti, in quanto il sistema che egli propone pregiudicherebbe il principio del bicameralismo, per cui ciascuna Camera deve funzionare indipendentemente dall’altra. Aggiunge che l’osservazione dell’onorevole Lami Starnuti circa il ricorso all’Assemblea Nazionale, ammesso nella Costituzione per il voto di fiducia e di sfiducia, non è del tutto esatto. Si è infatti partiti dal concetto che il voto di fiducia o di sfiducia debba venir proposto e deliberato da ciascuna Camera e solo in quanto il Governo, nonostante il voto di sfiducia, ritenga che esso non sia rilevante, ha il diritto di appellarsi all’Assemblea Nazionale.
Ma, pur votando questa disposizione, si è considerato che sarà ben difficile che un Governo, una volta riconosciuta l’autonomia e l’indipendenza delle due Camere, essendo stato messo in netta minoranza dopo tutte le cautele che sono state adottate per il voto di fiducia, ritenga opportuno rimanere in carica e darsi il lusso di convocare l’Assemblea Nazionale alterando il principio della indipendenza delle due Camere, ed il principio bicamerale che ritiene assolutamente essenziale al buon funzionamento di un regime democratico ed equilibratore nelle sue manifestazioni di volontà.
MARINARO, rilevando come il secondo comma proposto dal Comitato accenna ad una facoltà del Capo dello Stato di indire il referendum, domanda che cosa succede della legge approvata dalla Camera, modificata o non approvata dal Senato, qualora il Capo dello Stato non eserciti l’accennata facoltà.
PRESIDENTE risponde essere chiaro che la legge non va più avanti, decade.
MARINARO osserva che ciò non gli sembra serio.
NOBILE rileva che alla base della discussione vi è la premessa di una rilevante diversità di origine elettorale delle due Camere, che può giustamente far nascere la preoccupazione di dare una parità di diritto alle due Camere. Osserva peraltro che questa è semplicemente una presunzione, perché ancona nulla è stato deciso sull’origine elettorale delle Camere stesse. Quindi, a seconda della decisione che sarà adottata, si potrà meglio valutare la portata dell’emendamento.
PRESIDENTE osserva che uno dei principî affermati è stato quello che, per lo meno, vi sarà una differenza delle categorie tra le quali si dovrà procedere alla elezione dei membri della prima o della seconda Camera.
LUSSU aderisce all’emendamento proposto dall’onorevole Lami Starnuti, emendamento che gli pare costituzionalmente accettabile.
Osserva che l’emendamento Terracini sembra non tener conto di quello che deve essere il presupposto della discussione, cioè che è stato deciso, a grande maggioranza, di concedere uguaglianza di poteri alle due Camere. Personalmente, ha votato contro tale principio, ma è il primo a dichiarare che occorre inchinarsi al volere della maggioranza. L’emendamento Lami Starnuti, comunque, gli sembra il meglio indicato a conciliare le due esigenze. Con esso si evita il referendum, che è una grave preoccupazione, e si evita lo scioglimento delle due Camere. Il conflitto si risolve in seno allo stesso Parlamento e nella maniera la più semplice e la più pacifica.
TOSATO crede opportuno che la Commissione, nel decidere la questione del conflitto fra le due Camere, tenga presente una disposizione che è stata adottata concordemente dalla seconda Sottocommissione in relazione ai possibili conflitti fra Governo e Camera. Al fine di stabilizzare, per quanto possibile, la situazione del Governo, la seconda Sottocommissione decise che, qualora una delle due Camere non approvi una proposta, per esempio un progetto di legge presentato dal Governo, questa mancata approvazione non importa, come conseguenza, l’obbligo delle dimissioni del Governo stesso. Questo si è fatto sia per stabilizzare, per quanto possibile, la posizione del Governo, sia anche per garantire, in un certo senso, la posizione di indipendenza delle Camere di fronte al Governo, il quale, per ragioni di politica generale, può a volte, come è avvenuto, influenzare la Camera ad adottare provvedimenti che forse, nei termini in cui erano stati presentati, non avrebbe approvato. D’altro canto può darsi che il conflitto fra Governo e Camera non sia così grave da provocare una crisi generale del Governo. In questa situazione non sempre sarebbe opportuno ricorrere allo scioglimento delle Camere. Per questo motivo, nella seconda Sottocommissione era stato proposto che in casi del genere vi fosse la possibilità da parte del Presidente della Repubblica di indire un referendum. Sottolinea che referendum e scioglimento delle Camere sono due istituti complementari: si tratta in ogni caso di un appello al popolo, che è la fonte della sovranità. Ora può darsi che lo scioglimento sia in alcuni casi un mezzo eccessivo e che il ricorso al semplice referendum appaia più opportuno.
L’onorevole Lami Starnuti propone di ricorrere, in questi casi di conflitto, all’Assemblea Nazionale. Non è favorevole a questo modo di risolvere la crisi, da un punto di vista teorico e pratico. L’onorevole Lami Starnuti ha ricordato che si è già fatto ricorso all’Assemblea Nazionale in molti altri casi e soprattutto per la fiducia al Governo. Ricorda però che in questa eventualità l’Assemblea Nazionale verrebbe convocata non per una questione di indole politica o di fiducia al Governo, ma per una questione attinente all’esercizio della funzione legislativa. Ora nel ricorso all’Assemblea Nazionale per quanto riguarda le questioni di Governo il principio bicamerale non giuoca, perché se un Governo approvato dall’Assemblea Nazionale viene messo in minoranza da una Camera, l’altra non può far nulla. Viceversa, per l’esercizio della funzione legislativa bisogna che il principio bicamerale giuochi in pieno. D’altra parte non comprende come l’Assemblea Nazionale possa costituire una istanza idonea per risolvere il conflitto quando, in definitiva, questa Assemblea risulta praticamente dalla riunione puramente materiale dei membri delle due Camere. Ritiene che la conseguenza pratica dell’emendamento sarebbe che, essendo la seconda Camera di composizione molto inferiore alla prima, si verrebbe ad affermare il principio della prevalenza della prima Camera rispetto alla seconda.
MOLÈ osserva che con la proposta dell’onorevole Lami Starnuti la parità tra le due Camere scompare, dato che, in base al criterio seguito per la loro elezione, la Camera dei Deputati sarà di 580 membri e quella dei Senatori di 230. Ne consegue che, in seno ad una Assemblea Nazionale, i senatori sarebbero sempre in minoranza, e quindi i conflitti praticamente non sarebbero mai risolti. Crede, invece, che si possa rimanere, secondo la formulazione dell’articolo 18, nel campo della discrezionalità del Capo dello Stato cui ha accennato l’onorevole Tosato. Vi possono essere progetti di legge che hanno un’importanza relativa, e stabilire rigidamente il principio di ricorso, comunque all’Assemblea Nazionale, per qualsiasi progetto di legge, creerebbe uno stato permanente di agitazione nei Paese; mentre il Capo dello Stato può giudicare sulla opportunità o meno di ricorrere al referendum o allo scioglimento delle Camere. È d’avviso che sia necessario lasciare al Capo dello Stato questo potere discrezionale senza entrare in una discussione che verrebbe a vulnerare il principio della parità delle due Camere, e propone l’approvazione dell’articolo 18 che appunto concede al Capo dello Stato questa facoltà.
PRESIDENTE avverte che l’onorevole Marinaro ha chiesto la chiusura della discussione. La pone ai voti, riservando la parola all’onorevole Laconi per rispondere agli oratori.
(È approvata).
LACONI, rispondendo allo obiezioni mosse all’emendamento Terracini, sottolinea non essere esatto che nel sistema parlamentare, così come è stato concepito dalla Costituzione, sia fissata una parità assoluta fra le due Camere. Quando si stabilisce che nei momenti decisivi e per le deliberazioni fondamentali è il Parlamento a decidere, si è già stabilita una posizione di differenziazione fra la prima e la seconda Camera, una posizione cioè di subordinazione numerica della seconda Camera rispetto alla prima. In sostanza, perciò, la disposizione in discussione dovrà essere armonizzata a questo dislivello sancito nel caso di questioni importanti.
L’onorevole Mortati ha detto che è stata scartata la tesi di fare della seconda Camera una specie di Camera di riflessione e si è acceduto alla tesi di una seconda Camera che integrasse la prima. Pensa che questa visione di una seconda Camera, integrativa della prima, sia caduta quando è caduta la concezione della seconda Camera come rappresentante di forze vive del Paese, che avrebbe portato ad una specie di irreggimentazione di tutto il popolo italiano entro determinate categorie. L’esperienza del passato può offrire dei lumi; e l’onorevole Einaudi ne ha portato qualcuno, ricordando che il Senato si trovava in passato in condizioni di subordinazione verso la prima Camera e pativa di una specie di complesso di inferiorità.
L’onorevole Einaudi ha detto che questo complesso di inferiorità derivava dalla sua origine, ma anche adesso questo stato di inferiorità resterà, se la seconda Camera sarà eletta su una base inferiore rispetto alla prima.
Comunque, la discussione si aggira sulla questione dei conflitti. All’onorevole Einaudi, il quale ha detto che l’essenza di un regime parlamentare è che vi siano conflitti, risponde essere in una democrazia giusto che vi siano conflitti tra forze politiche diverse all’interno di organi in cui tutte le correnti siano egualmente rappresentate; ma non ritiene che sia nell’essenza della democrazia che debbano esistere conflitti all’interno di uno stesso potere, e precisamente del potere legislativo. Ciò costituirebbe una remora a tutta l’attività legislativa. È quindi necessario fare il possibile perché questo danno non si verifichi, soprattutto prevedendo una composizione degli organi del potere legislativo ed una soluzione dei conflitti tali che impediscano la possibilità di una situazione di conflitti permanenti, tanto più in quanto, attraverso tutte le soluzioni proposte, si è dovuto introdurre in seno al potere legislativo, per comporre conflitti fra i due organi diversi, un arbitro esterno quale il Capo dello Stato.
Per queste ragioni, ritiene che le eccezioni sollevate all’emendamento dell’onorevole Terracini non siano fondate. Personalmente è d’avviso, comunque, che si possa accedere alla proposta dell’onorevole Lami Starnuti, che prevede il ricorso all’Assemblea Nazionale.
PRESIDENTE pone in votazione la proposta Lami Starnuti, ai sensi della quale, quando un disegno di legge è approvato da una Camera e respinto o modificato dall’altra, la prima Camera può chiedere o che la questione sia rimessa all’Assemblea nazionale o che sia sottoposta a referendum.
LUSSU dichiara di essere contrario al referendum.
NOBILE dichiara che voterà a favore dell’emendamento Lami Starnuti.
PICCIONI dichiara di essere contrario all’intero testo dell’emendamento.
PRESIDENTE pone ai voti la prima parte dell’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti, sostitutivo del secondo comma dell’articolo 18, così formulata:
«Quando un disegno di legge è approvato da una delle due Camere e rigettato o modificato dall’altra, la prima Camera può chiedere che la questione sia rimessa alla Assemblea Nazionale».
(La prima parte dell’emendamento non è approvata).
Pone ai voti la seconda parte dell’emendamento, con la quale si stabilisce la possibilità del ricorso al referendum.
(Non è approvata).
Pone infine in votazione la proposta Mortati, appoggiata dagli onorevoli Grassi e Molè, di adottare per il secondo comma dell’articolo il testo approvato dal Comitato di redazione limitatamente alla facoltà concessa al Presidente della Repubblica di indire un referendum popolare sul disegno di legge approvato, con esclusione quindi dello scioglimento delle due Camere.
(È approvata).
Comunica che l’articolo 18 rimane definitivamente così formulato:
«I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra, che deve pronunciarsi entro tre mesi da quando li ha ricevuti. Tale termine può essere variato per accordo fra le Camere.
«Quando una Camera non si pronuncia entro il termine stabilito, sopra un disegno di legge approvato dall’altra, o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunci o riesamini il disegno. Se non si pronuncia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire un referendum popolare sul disegno non approvato».
La seduta termina alle 12.20.
Erano presenti: Amadei, Ambrosini, Basso, Bocconi, Bulloni, Calamandrei, Canevari, Cappi, Cevolotto, Codacci Pisanelli, Conti, Corsanego, De Michele, De Vita, Di Vittorio, Dominedò, Einaudi, Fabbri, Farini, Federici Maria, Finocchiaro Aprile, Froggio, Fuschini, Gotelli Angela, Grassi, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lucifero, Lussu, Mancini, Mannironi, Marchesi, Marinaro, Mastrojanni, Molè, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Targetti, Taviani, Terracini, Togliatti, Togni, Tosato, Tupini, Uberti, Zuccarini.
Erano assenti: Bordon, Bozzi, Cannizzo, Castiglia, Colitto, Di Giovanni, Dossetti, Fanfani, Giua, La Pira, Leone Giovanni, Lombardo, Merlin Lina, Merlin Umberto, Paratore, Pesenti, Porzio, Rapelli.
Assente giustificato: Ghidini.