Come nasce la Costituzione

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LUNEDÌ 27 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

ADUNANZA PLENARIA

21.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 27 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI

INDICE

Elezione della Camera dei Deputati

Presidente – Fuschini – Conti – Terracini – Targetti – Einaudi – Cevolotto – Cappi.

Elezione della Camera dei Senatori

Presidente – Fabbri – Terracini – Conti – De Vita – Tupini – Moro – Targetti – Grassi – Mannironi – Lucifero – Mastrojanni – Nobile.

«Prorogatio» delle due Camere

Presidente – Mortati – Cevolotto – Terracini – Mastrojanni – Grassi – Uberti – Lucifero – Nobile – Fabbri – Laconi.

Giuramento dei membri del Parlamento

Presidente – Conti – Terracini – Fabbri – Cevolotto – Uberti.

La seduta comincia alle 10.45.

Elezione della Camera dei Deputati.

PRESIDENTE avverte che è da prendere in esame l’articolo relativo alla elezione della Camera dei Deputati. Nel testo del Comitato di redazione esso è così formulato:

«La Camera dei Deputati è eletta a suffragio diretto ed universale, in ragione di un deputato per centomila o frazione superiore a cinquantamila abitanti».

L’onorevole Fuschini ha proposto invece una modificazione tendente all’ampliamento del numero dei deputati, portando la cifra degli abitanti da centomila a ottantamila.

FUSCHINI rileva che la diminuzione del numero dei membri della Camera dei Deputati si risolve, in ultima istanza, in una diminuzione della sua autorità. È, peraltro, da considerare che in Italia il numero dei deputati è stato calcolato sulla cifra che, come fu rilevato in seno alla Commissione per la legge elettorale della Costituente, non era mai salita al disopra di 60.000 abitanti. Tale cifra fu elevata a 75.000, in considerazione del fatto che avrebbero partecipato alla vita politica anche le donne.

Ora, in base alla cifra di centomila abitanti, come si propone nel progetto, si avrebbe una Camera di 420 a 430 deputati. La diminuzione sarebbe, a suo parere, eccessiva. La Costituente ha avuto 556 deputati: ma anche le Camere normali non sono state mai inferiori ai 500 deputati e si arrivò a 535, numero massimo cui si è pervenuti in periodo normale.

Propone, quindi, di portare ad 80.000 il numero degli abitanti per ogni deputato, così da avere all’incirca una rappresentanza popolare di 500 deputati. È bene che la Camera dei Deputati presenti una maggior rilevanza, anche rispetto al numero della Camera dei Senatori. È ben vero che si è detto che il numero dei senatori fissi che dovrebbero essere stabiliti per ogni Regione sarebbe di cinque: vi saranno tuttavia quattro Regioni – se si vuol considerare anche il Molise – che non potranno avere cinque senatori fissi nel senso indicato dalla legge, giacché vi è una disposizione per cui il numero complessivo dei senatori non può essere in ciascuna zona superiore a quello dei deputati nella zona stessa. È evidente, quindi, che nella Lucania, nell’Umbria, nella Venezia Tridentina, ed ora anche nel Molise, si dovrà diminuire il numero fisso dei senatori. Ora, in base a questa disposizione, il Senato avrà una composizione che si aggirerà intorno ai 310 membri. Pensa, peraltro, che una differenza di soli 110 a 120 membri tra la Camera e il Senato non sia adeguata all’importanza maggiore che politicamente alla prima Camera si attribuisce. Si è ammessa la parità costituzionale e giuridica delle due Camere, ma una differenza la Commissione l’ha pure ammessa circa il numero dei rispettivi membri. Crede che tale differenza debba essere, in un certo senso, un po’ più accentuata, per conferire alla prima Camera una maggiore importanza, anche dal punto di vista della sua figurazione esterna, e soprattutto per non accostarsi dalla vecchia norma che sia la popolazione a determinare il rapporto.

CONTI dichiara di essere nettamente contrario all’aumento del numero dei deputati e propone anzi che l’aliquota di 100.000 abitanti sia elevata a 150.000. Le ragioni addotte dall’onorevole Fuschini piaceranno forse moltissimo a tanti fuori di qui; ma crede che, per quanto riguarda i corpi legislativi, la Costituzione debba essere fatta con una alta preoccupazione: quella di costituire dei complessi che non siano suscettibili di trasformarsi in comizi. Non occorre che i legislatori siano tanti: è necessario che siano buoni. Non ritiene che il numero significhi rappresentanza esatta, autentica, genuina della volontà popolare; la volontà popolare la interpretano uomini onesti, sinceri.

Molte sono le ragioni di questa sua persuasione; ve n’è persino una finanziaria: si tratta infatti anche di disporre del pubblico denaro. Se oggi le rappresentanze sono tenute in considerazione anche per le fatiche che svolgono nel pubblico interesse, v’è anche un’indennità che corrisponde al lavoro che i rappresentanti del popolo compiono nell’interesse generale, e sono cifre che si elevano ogni giorno di più. Altra circostanza importantissima: si avranno la prima Camera, la seconda Camera, le Assemblee regionali, le quali comporteranno un numero notevole di rappresentanti che forse supererà il migliaio. Ciò significa aumentare enormemente le spese per le indennità ai rappresentanti anche regionali.

Si deve anche considerare che il Paese non è affatto appassionato per questo aumento del numero dei rappresentanti. Il Paese terrà certamente in pregio una deliberazione dell’Assemblea che esprima un concetto di austerità circa la composizione delie Camere.

L’onorevole Fuschini ha fatto presente che il numero dei deputati è in relazione a quello dei membri della seconda Camera.

Non ha nessuna difficoltà a ritenere che i componenti della seconda Camera debbano essere in numero inferiore. In realtà si tratta di problemi molto più gravi, da non valutarsi alla stregua di una differenziazione numerica. Comunque, se i senatori devono essere in numero inferiore ai deputati, e si è stabilita una percentuale che porterebbe invece il loro numero ad una cifra superiore, basta variare la percentuale per tornare alle proporzioni volute.

Ma il criterio fondamentale che sostiene è che il numero dei deputati debba essere ridotto, respingendo la proposta dell’onorevole Fuschini di diminuire a 80.000 il numero di abitanti per ogni deputato, e portandolo, se mai, a 150.000.

TERRACINI accetta la proposta dell’onorevole Fuschini per tutte le argomentazioni che egli ha svolto, e desidera dire che le argomentazioni contrarie esposte dall’onorevole Conti in realtà sembra che riflettano certi sentimenti di ostilità, non preconcetta, ma abilmente suscitata fra le masse popolari contro gli organi rappresentativi nel corso delle esperienze che non risalgono soltanto al fascismo, ma assai prima, quando lo scopo fondamentale delle forze antiprogressive era la esautorazione degli organi rappresentativi.

Quanto alle spese, ancora oggi non v’è giornale conservatore o reazionario che non tratti questo argomento così debole e facilone. Anche se i rappresentanti eletti nelle varie Camere dovessero costare qualche centinaio di milioni di più, si tenga conto che di fronte ad un bilancio statale che è di centinaia di miliardi, l’inconveniente non sarebbe tale da rinunziare ai vantaggi della rappresentanza. Del resto l’onorevole Conti, anche per la sua carica, sa bene che il bilancio dell’Assemblea costituente si è mantenuto in cifre che stanno a provare quel principio di riservatezza che egli invoca nella soddisfazione delle esigenze dei rappresentanti popolari.

L’argomento poi della troppo numerosa schiera, che, appunto a motivo del numero eccessivo, non sarebbe in condizioni di assolvere il suo dovere, gli sembra poco solido.

In fondo le elezioni rappresentano soltanto un primo momento, quello della scelta dei responsabili della vita politica del Paese; ma è noto che nell’interno delle Assemblee elette avviene una seconda scelta, naturalmente causata dalle particolari attitudini dei componenti, via via che essi hanno occasione di mettersi in rilievo.

Gli elementi attivi, che restano nel Parlamento, senza essere superati da nuove elezioni, si riducono sempre notevolmente in confronto del numero totale dei componenti le Camere; e se si vuole costituire un nucleo centrale che svolga un’azione abbastanza forte per garantire la continuità della vita politica del Paese, occorre che la prima scelta, quella degli elettori, avvenga in limiti, se non troppo ampi, non così ristretti come quelli che propone l’onorevole Conti.

Quindi, anche per l’utilità della vita politica del Paese, è necessario accettare la proposta dell’onorevole Fuschini, alla quale dichiara di dare la sua adesione.

TARGETTI è favorevole alla proposta Fuschini, alla quale augura una fortuna migliore di quella che ebbe una sua proposta fatta in seno alla seconda Sottocommissione. Le ragioni portate in contrario non crede che siano convincenti. Forse l’argomento che può fare più presa è quello della esistenza dei Consigli regionali. Si dice da alcuni che la costituzione dell’ente regione diminuirà il lavoro del Parlamento. Questo non è esatto, perché se diminuirà la quantità delle questioni, l’importanza del compito che ha il Parlamento dipende dalla natura del compito stesso che rimane identico, anche con la costituzione della Regione.

Vuol ricordare ai colleghi qualche dato statistico circa la consistenza numerica del Parlamento in altre Nazioni europee. La Francia ha 617 deputati con una popolazione inferiore alla nostra. Il Belgio, con una popolazione a stima (cioè superiore a quella dell’ultimo censimento) di circa 9 milioni di abitanti, ha 202 deputati. La Gran Bretagna ha 615 deputati. Non comprende ora in base a quale nuova concezione si dovrebbe da parte nostra fare la riduzione proposta.

EINAUDI per semplice chiarimento osserva che se sarà applicata, per determinare il numero dei deputati, la cifra del censimento ultimo, che portava 42 milioni di abitanti, i deputati sarebbero 525; se invece si dovesse accogliere la cifra attuale, che è di circa 46 milioni, i deputati sarebbero 580.

FUSCHINI osserva che occorre far riferimento all’ultimo censimento.

CEVOLOTTO si rende conto delle ragioni veramente poderose esposte dagli onorevoli Conti e Terracini, ma si preoccupa di un altro aspetto della questione. Qualora si adotti, come pare certo, il sistema proporzionale nelle elezioni della Camera dei Deputati, occorre considerare che la proporzionale non funziona bene se non con un certo numero rilevante di deputati per ogni collegio; e allora, se si diminuisce il numero dei deputati, bisogna aumentare l’estensione territoriale dei singoli collegi nei quali si svolgono le elezioni, altrimenti la proporzionale non funziona o funziona male. Questo aumento dell’estensione dei collegi, viceversa, non è opportuno, anzi l’esperienza insegna che sarebbe utile una riduzione. La diminuzione del numero di deputati renderebbe più difficile fare poi una buona legge proporzionale.

CAPPI non è del tutto persuaso delle ragioni addotte dall’onorevole Fuschini. Egli dice che bisogna riferirsi all’ultimo censimento. La realtà è che oggi l’Italia ha 45-46 milioni di abitanti e, quindi, si avrebbero 580 deputati, creando un divario troppo forte fra la prima e la seconda Camera.

Ora, stabilendo un deputato per ogni 90.000 abitanti, si avrebbero 500 deputati, il numero tradizionale della Camera italiana. Quindi, proporrebbe che si modificasse l’articolo nel senso che sarà eletto un deputato ogni 90.000 abitanti.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Fuschini di sostituire alla cifra di 100.000 l’altra di 80.000.

(La Commissione approva).

Elezione della Camera dei Senatori.

PRESIDENTE avverte che la Commissione è chiamata ad esaminare il terzo comma dell’articolo relativo alla elezione della Camera dei Senatori.

Il testo del comma approvato dal Comitato di redazione è del seguente tenore:

«I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi dai consiglieri comunali della Regione».

Vari emendamenti sono stati presentati a questa norma. L’onorevole Fuschini ha proposto il seguente:

«I senatori sono eletti per la metà dai membri delle Assemblee regionali e dai consiglieri comunali dei Comuni superiori a 10.000 abitanti, e per l’altra metà dai consiglieri comunali dei Comuni inferiori a 10.000 abitanti».

Seguono poi altre proposte:

Proposta Ambrosini: «I senatori sono eletti per un terzo dai membri delle Assemblee regionali, per un terzo dai consiglieri comunali dei Comuni inferiori a 30.000 abitanti e per il rimanente terzo dai consiglieri comunali dei Comuni superiori a 30.000 abitanti».

Proposta Tosato, Piccioni, Fuschini: «La quota fissa dei senatori assegnati ad ogni Regione è eletta dalle rispettive Assemblee regionali. La rimanente quota, nella proporzione di un senatore per ogni 200.000 abitanti, è eletta dai consiglieri comunali della Regione divisi in tre gruppi: dei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti; con popolazione superiore a 5.000 abitanti e inferiore ai 30 mila; con popolazione superiore ai 30.000. Ciascuno dei tre gruppi elegge un numero di senatori proporzionale alla popolazione».

Proposta Rossi Paolo, Targetti: «I deputati alla seconda Camera sono eletti. Regione per Regione, da un collegio composto da tutti i consiglieri regionali e da un numero doppio di delegati, all’uopo nominati a suffragio universale».

Altra proposta Targetti, Rossi Paolo: «La seconda Camera è eletta per un terzo dai Consigli regionali e per due terzi con suffragio universale, diretto e segreto».

Proposta Nobile: «L’elezione dei membri della seconda Camera ha luogo a suffragio universale, diretto e segreto, da parte di tutti i cittadini aventi diritto al voto che abbiano superato l’ennesimo (n = un numero intero compreso fra 22 e 26 anni) anno di età».

Proposta Laconi: «La seconda Camera è eletta da collegi regionali a suffragio universale indiretto, secondo le modalità stabilite dalla legge. (Formula francese)».

Proposta Perassi: «Un terzo dei senatori è eletto dal Consiglio regionale ed il resto da delegati eletti a suffragio universale dai Comuni di ciascun mandamento della Regione, fra gli elettori iscritti nei Comuni del mandamento, in proporzione degli abitanti secondo le modalità stabilite dalla legge».

La questione si presenta, dunque, così complessa che sarà opportuno ascoltare i proponenti delle varie proposte per poi venire alla decisione in merito.

Poiché l’onorevole Perassi non è per il momento presente, propone che l’esame dell’argomento sia rinviato al pomeriggio.

(Così rimane stabilito).

È stata prospettata la possibilità che un determinato numero di senatori, per esempio, una trentina, sia nominato dal Presidente della Repubblica.

FABBRI chiede se si tratti di nomina temporanea oppure a vita.

PRESIDENTE. Si intende che la nomina sarebbe temporanea.

TERRACINI osserva che la domanda dell’onorevole Fabbri può servire ad orientare la discussione per giungere ad una soluzione negativa. La ragione che potrebbe giustificare la delega al Presidente della Repubblica a nominare un certo numero di senatori è che vi sono persone le quali, in possesso di requisiti di carattere particolarissimo, possono rifuggire dalla vita politica, ciò che, se mai, sarebbe un elemento deteriore della loro attività Ad ogni modo, se questi sono i requisiti che li indicano, si tratta di requisiti non destinati a scomparire e, quindi, la loro nomina a senatori dovrebbe essere a vita. Ma la seconda Camera è stata concepita come un organismo che dev’essere sottoposto anch’esso ad un rinnovamento periodico e non si possono prevedere eccezioni a questa norma. In secondo luogo, ogni celebrità, per quanto viva astratta dalla vita politica, ha in definitiva di fronte ai problemi politici un suo determinato atteggiamento. Se la seconda Camera deve continuare a riflettere, sia pure con gli adeguamenti conseguenti al suo modo di costituzione, la fisionomia politica generale del Paese, è evidente che non si può ammettere che vi siano elementi preordinati i quali, di per sé, sarebbero sufficienti a modificare e sconvolgere, sia pure non fondamentalmente, tale fisionomia politica.

Per tutti gli altri argomenti rinvia i colleghi alla lettura dei resoconti della seconda Sottocommissione.

CONTI dichiara che quando, per iniziativa di alcuni amici del suo partito, è stato proposto di esaminare anche la possibilità di una nomina da parte del Capo dello Stato di membri della seconda Camera, ciò si è fatto unicamente per porre allo studio la questione e non per convincimento favorevole alla proposta. Durante le discussioni la proposta è stata abbandonata.

È pertanto d’accordo con l’onorevole Terracini.

PRESIDENTE pone ai voti la possibilità di riservare al Presidente della Repubblica la nomina di un determinato numero di senatori.

(La Commissione non approva).

Il terzo comma dell’articolo relativo alla elezione della Camera dei Senatori è cosi formulato:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni di età, ecc.».

L’onorevole Tupini ha proposto che siano soppresse le parole: «nati o domiciliati» almeno per la categoria degli ex Presidenti della Repubblica, Ministri o Sottosegretari di Stato, deputati all’Assemblea costituente o alla Camera dei Deputati, avvertendo che non si richiede, per il Presidente dell’Assemblea regionale, che sia nato o domiciliato nella Regione.

TERRACINI osserva che se non sì chiede tale requisito per il Presidente dell’Assemblea regionale, ciò suppone sia dovuto al fatto che si è trascurato di esaminare il problema, oppure al fatto che si è considerato che la soluzione si presentava talmente chiara in senso contrario che non era necessario parlarne, o ancora, che siccome vi sarà una legge elettorale che definirà i modi delle elezioni dell’Assemblea regionale, si è pensato che questa legge elettorale avrebbe risolto il problema nel senso di subordinare la presenza o la nascita nella Regione alla possibilità di assumere la carica di Presidente dell’Assemblea regionale. Pensa che tutto quello che è stato detto debba portare alla conclusione che non è pensabile che vi sia nell’Assemblea regionale, oppure che si possa eleggere dall’Assemblea regionale come rappresentanza della Regione nella seconda Camera, qualcuno che non sia direttamente legato alla vita della Regione o per la nascita, o per l’attività che vi ha svolto.

DE VITA si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Terracini.

FABBRI ritiene che, nei casi dell’abbandono della città natale, sia sufficiente il requisito della nascita per essere eletto.

TUPINI ritiene eccessiva la restrizione ad una manifestazione tipica della volontà del corpo elettorale, nel senso che non possa essere eletta una persona che, in talune circostanze, può anche costituire una ragione di prestigio e risonanza dello stesso corpo elettorale.

Sottopone soltanto questo elemento di valutazione, ben lieto se sarà condiviso dalla Commissione.

MORO osserva che, conservando le parole: «nati o domiciliati nella Regione», si viene a creare una specie di cittadinanza regionale, accentuando ancora di più quella distinzione fra Regioni che può ledere l’unità nazionale. Si rischia di dividere in compartimenti stagni il complesso della vita nazionale.

D’altra parte, i rappresentanti della seconda Camera saranno rappresentanti nazionali, come tutti i deputati.

È inoltre da rilevare che nella struttura della seconda Camera non è così accentuata la rappresentanza regionale da giustificare le condizioni di cui si discute; tanto più che il requisito della nascita può essere puramente casuale, mentre vi possono essere altre ragioni che prescindono sia dalla nascita, che dal domicilio; prescrizione questa che si può eludere facilmente attraverso una iscrizione frettolosa alla vigilia delle elezioni.

TARGETTI, a nome anche dei colleghi onorevoli Bocconi e Lami Starnuti, dichiara di associarsi alla proposta di soppressione delle parole: «nati o domiciliati».

GRASSI è dolente di essere contrario alla proposta dell’onorevole Tupini. Pur ritenendo che le ragioni esposte così lucidamente dall’onorevole Terracini siano sufficienti, desidera rilevare che la struttura dello Stato si fonda, a suo parere, sul carattere distintivo che si intende dare alle due Camere, nel senso che si vuole che la Camera dei Senatori abbia il fondamento nella Regione. Se non si richiede per i senatori un legame alla Regione rappresentata, attraverso la nascita o il domicilio, si viene a creare un duplicato della Camera dei Deputati.

D’altra parte vi è la possibilità di sanare qualche particolare situazione col cambio del domicilio, che dovrà essere circondato da opportune cautele.

MANNIRONI è anch’egli del parere che questa condizione per la eleggibilità a senatore debba essere mantenuta, dolente di dover dissentire dalle argomentazioni esposte dall’onorevole Tupini.

In sede di seconda Sottocommissione, si è sostenuto che la seconda Camera debba essere veramente ed effettivamente espressione della vita delle Regioni.

Ora, in omaggio a questo principio, si è ritenuto che non possano rappresentare gli interessi della Regione se non coloro che in qualche modo vi siano legati.

LUCIFERO dichiara di essere contrario alla proposta Tupini. Se la seconda Camera deve rappresentare effettivamente la nuova organizzazione regionale del Paese, i senatori devono essere legati alle Regioni che rappresentano. Ritiene, anzi, che il requisito della «nascita» non è di per sé sufficiente; vi sono persone nate casualmente in una data Regione. A suo parere anche il requisito del «domicilio» è essenziale.

MASTROJANNI è favorevole alla proposta dell’onorevole Tupini, perché pensa che volere identificare le Regioni negli uomini significhi esasperare il campanilismo, ormai sorpassato.

Qualunque italiano, che conosca la Vita, l’attività economica, il sentimento, l’orientamento di una Regione, può benissimo rappresentarne gli interessi.

Obbligare l’elettore a scegliere esclusivamente come rappresentanti uomini della propria Regione significa, a suo parere, coartarne la volontà. Le argomentazioni dell’onorevole Tupini non possono essere disconosciute: vi possono essere legami sentimentali e familiari, che prescindono dalla nascita e dal domicilio.

CONTI dichiara di essere contrario alla proposta.

NOBILE. La logica stringente dell’onorevole Terracini dovrebbe convincere gli entusiasti fautori dell’ordinamento regionale a votare contro la proposta Tupini. Egli, che non è tra costoro, voterà, invece, favorevolmente.

In verità, questa seconda Camera – che si vuol chiamare Camera dei Senatori – di regionale ha molto poco; forse le rimane quel terzo di rappresentanti eletti dalle Assemblee regionali. Se mai, si potrebbe ammettere per questa quota la limitazione della nascita e del domicilio; ma non per gli altri due terzi, che sono eletti, direttamente o indirettamente, dal corpo elettorale.

Associandosi, quindi, alle ragioni esposte dall’onorevole Moro, dichiara che voterà favorevolmente alla proposta Tupini.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di sopprimere dal testo le parole: «nati o domiciliati».

(La Commissione non approva).

«Prorogatio»» delle due Camere.

PRESIDENTE. Altra questione sulla quale sono sorte divergenze in seno al Comitato di redazione è quella relativa alla prorogatio o meno delle due Camere.

L’articolo predisposto dal Comitato di redazione è del seguente tenore:

«Le due Camere sono elette per cinque anni.

«I loro poteri cessano con la riunione delle nuove Camere.

«La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso che vi sia imminente pericolo di guerra o che la guerra sia in corso.

«Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. Il provvedimento che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni».

In seno al Comitato di redazione è stato proposto:

«Le due Camere sono elette per cinque anni.

«Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo contemporaneamente, non prima di trenta giorni e non più tardi di novanta dalla fine delle precedenti per decorso di termine o per scioglimento di una delle due Camere, che implica lo scioglimento anche dell’altra.

«La prima riunione delle Camere è fissata non oltre venti giorni dalle elezioni».

Seguirebbe poi un altro articolo:

«La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso vi sia imminente pericolo di guerra o la guerra sia in corso».

La prima tesi, favorevole alla prorogatio delle due Camere nel periodo di elezione delle nuove, offre l’inconveniente che i deputati continuano ad esercitare un mandato già scaduto; la seconda tesi, che si indicano le elezioni negli ultimi giorni di vita delle Camere, per cui non vi sarebbe un periodo di interruzione, offre l’inconveniente che vi sarebbero deputati in carica e nuovi deputati eletti.

La questione si collega alla seguente proposta fatta da alcuni in seno al Comitato di redazione:

«È costituita una Giunta permanente composta di membri designati per due terzi dalla Camera dei Deputati e per un terzo da quella dei senatori, in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi.

«La Giunta permanente, che è presieduta dal Presidente dell’Assemblea Nazionale, concilia le divergenze fra le due Camere; e nei periodi di aggiornamento e di intervallo fra le legislature controlla l’azione del Governo e si pronuncia nei casi di assoluta urgenza».

MORTATI osserva che contro l’emendamento militano due ragioni: anzitutto quella cui accennava il Presidente, e cioè la situazione curiosa di due categorie di deputati, a cui si aggiunge il turbamento che si viene a determinare nella vita della Nazione nell’ultimo periodo della vita della Camera, dato che i deputati sono in giro nei loro Collegi per le elezioni. In secondo luogo la norma che si propone, in caso di scioglimento, non potrebbe trovare applicazione. Viceversa la prorogatio approvata dalla Sottocommissione ha questa ragion d’essere: provvede alle esigenze improvvise ed urgenti, cui il Governo non potrebbe corrispondere da solo. La norma si deve mettere in rapporto con il divieto della decretazione d’urgenza.

Secondo i principî generali di correttezza costituzionale, gli organi legislativi, dopo l’esaurimento del loro mandato, non possono attendere a nessun compito che non sia di ordinaria amministrazione; quindi la Camera non ha ragione di riunirsi dopo il suo scioglimento, perché non potrebbe attendere che a compiti di ordinaria amministrazione, compiti che non ha. Sotto questo aspetto non avrebbe neanche ragion d’essere la prorogatio. Viceversa, siccome si è esclusa la possibilità per il Governo di emanare decreti d’urgenza, si è ritenuto opportuno, nella ipotesi che si verifichi uno di questi casi, di richiedere il consenso della Camera.

Opportunamente il Presidente ha ricordato la proposta della costituzione di una Giunta permanente che si ricollega a questo problema. Il punto da risolvere è proprio questo: ammesso che la Camera disciolta non ha nessuna ragione di riunirsi, se non nei casi eccezionali della decretazione d’urgenza, è opportuno che a questa esigenza si provveda con tutta l’Assemblea o con una semplice Giunta permanente? Non v’è dubbio che la soluzione più logica è quella del mantenimento in vita della Camera disciolta, perché essa, nella sua totalità, rappresenta qualcosa di più efficiente che non una semplice Giunta permanente. Per tali motivi ritiene degno di approvazione il testo della Sottocommissione.

CEVOLOTTO è d’accordo con l’onorevole Mortati nel ritenere che sarebbe molto difficile fare le elezioni nell’ultimo periodo della vita di una Camera senza portare un turbamento nella vita del Paese; d’altra parte, però, è anche del parere che, in caso di scioglimento della Camera, il sistema proposto non possa attuarsi. D’altro canto, osserva che la questione non ha una grandissima importanza, perché nella pratica parlamentare di molti Paesi accade senza danno che la Camera cessa dalle sue funzioni per il periodo di tempo necessario allo svolgimento delle elezioni. Anche se in questo periodo la Camera non siede, non si sono manifestati inconvenienti tali da dover ricorrere alla prorogatio. Quindi pensa che si possa far ritorno al sistema finora usato.

TERRACINI osserva che l’onorevole Cevolotto ha ragione quando considera il caso, che direbbe il meno frequente, della morte naturale di una Camera. È noto però, per la conoscenza del passato, che nessuna Camera giunge alla sua fine naturale e che c’è sempre uno scioglimento anticipato, sia pure non dovuto a cause gravissime. Ed allora è proprio per questa evenienza che ritiene che occorra ricorrere ad alcuni accorgimenti, ed evidentemente quello della prorogatio presenta tutta una serie di lati difettosi che non si possono trascurare. È questa la ragione per la quale pensa sia opportuno accettare la proposta della costituzione d’una Giunta permanente, la quale però non dovrebbe avere il compito di conciliare le divergenze fra le due Camere, dato che divergenze del genere non si sanano a mezzo di trattative dirette, ed in quanto hanno una causa politica possono trovare soluzioni nel momento stesso in cui si verificano. Viceversa questa Giunta è necessaria per i casi nei quali le Camere sono sciolte in seguito ad un conflitto con il Governo ed il Governo ritiene, appoggiato dall’autorità del Presidente della Repubblica, di poter trovare una soluzione appellandosi al Paese.

In questa situazione si apre la prospettiva di un periodo di tempo durante il quale il Governo, approfittando dell’intervallo, voglia realizzare non tanto un colpo di Stato, quanto delle riforme che fino a quel momento non ha potuto portare dinanzi alle Camere. La presenza della Giunta costituirebbe una garanzia nei confronti del Governo che ha proceduto allo scioglimento della Camera, non già per impedirgli qualcosa, ma per evitare ciò che il Governo non potrebbe fare se non di fronte alle Camere elettive. La Giunta dovrebbe tenere le sue sedute pubbliche ed essere subordinata alle stesse norme che regolano l’attività del Parlamento.

Per queste ragioni ritiene che non si debba accettare la proposta formulata dalla seconda Sottocommissione, e cioè di elezioni che avvengono essendo ancora in funzione la legislatura destinata a scomparire; di non accettare, cioè, l’istituto della prorogatio, che crea innegabilmente quella situazione dannosa della presenza contemporanea di deputati della Camera disciolta ancora in funzione e di neo-deputati eletti, e che per di più permette ai candidati che fanno parte della Camera disciolta di presentarsi di fronte agli elettori in una situazione di privilegio nei confronti dei candidati che ancora non ricoprono un mandato parlamentare; di accettare, invece, il criterio della Giunta permanente, la quale rimarrebbe non solo in funzione negli intervalli normali fra una legislatura e l’altra, ma anche in caso di scioglimento delle Camere.

MASTROJANNI è contrario alla creazione d’una Giunta permanente, la quale, sedendo in un periodo critico, sarebbe di per se stessa esautorata, servirebbe al Governo come paravento e d’altronde, funzionando nel periodo in cui la Camera è già sciolta, non avrebbe alcun potere di controllo, né rispecchierebbe la volontà popolare. D’altra parte consentirebbe la protrazione di uno stato di fatto eccezionale, che verrebbe ad essere formalmente ratificato da questo consesso ridotto ed eluderebbe le aspettative del popolo, non consentendo una rapida formazione della nuova Camera. Preferirebbe quindi che le cose rimanessero nello stato in cui si sono sempre svolte, con un periodo d’intervallo durante il quale il Governo si assume da solo la responsabilità di governare.

GRASSI, rispetto alle ipotesi che le Camere compiano il loro periodo normale di vita o che siano sciolte, ritiene che sia necessario l’appello al popolo per le nuove elezioni, lasciando al Governo la responsabilità dell’ordinaria amministrazione. Può verificarsi il caso di guerra per cui si debba provvedere a prorogare la legislatura. È, in ogni modo, contrario alla costituzione di una Giunta permanente, sia pure per casi eccezionali, perché si creerebbe un organo al di sopra del Parlamento e, dal punto di vista pratico, vi sarebbero rappresentanti di organi che non esistono più.

D’altra parte, bisogna riconoscere che il Governo, così come è concepito nella nuova struttura costituzionale, non è più il Gabinetto che raccoglie la fiducia delle Assemblee e del Capo dello Stato, ma è l’esponente delle Assemblee e rappresenta una coalizione di partiti, ossia rappresenta proprio quella Giunta permanente che si vorrebbe creare.

UBERTI è contrario alla costituzione della Giunta permanente, perché, a suo parere, viene a falsare il sistema bicamerale, introducendo un potere pericoloso che potrebbe anche soverchiare il funzionamento delle due Camere.

Nella composizione della Giunta non è rispettata poi la parità delle due Camere, in quanto la Camera dei Senatori è rappresentata solamente per un terzo. Si verrebbe, inoltre, a diminuire il prestigio del Parlamento, perché il Governo, se prenderà dei provvedimenti durante il periodo che corre tra lo scioglimento delle vecchie Camere e l’elezione delle nuove, dovrà rispondere dinanzi a queste ultime, mentre se vi sarà la Giunta permanente si trincererà dietro di essa.

Dopo che per tanti anni il Parlamento non ha più funzionato, pensa che sia necessario respingere qualsiasi misura che possa intaccarne l’autorità.

LUCIFERO è contrario alla Giunta permanente, oltre che per le ragioni dette dai precedenti oratori, perché vede nella sua costituzione un significato recondito. Si vorrebbe far funzionare questa Giunta non solo nell’intervallo fra le legislature, ma anche nell’intervallo tra le sessioni parlamentari. La Giunta potrebbe domani servire per sottoporle quelle determinate questioni che non si vogliono portare dinanzi alle Camere. D’altra parte, anche nel periodo tra le due legislature, è evidente che il Governo ha la responsabilità di quello che accade nel Paese e le vecchie Camere non hanno più nessuna autorità, perché devono affrontare il giudizio del corpo elettorale.

MORTATI rileva che nel corso della discussione si sono manifestate due tesi. La prima vorrebbe il ritorno al passato, che non ammetteva nessun intervento parlamentare durante l’intervallo tra le legislature. Questo non è raccomandabile, perché non si è considerato che per il passato era ammessa la decretazione di urgenza. Ora si intende vietarla, e se questa proposta passerà, si viene a creare un sistema nuovo. Ed allora, in determinati casi come si provvede meglio, con la prorogatio o con la Giunta permanente? L’onorevole Terracini è per la seconda soluzione. Le sue osservazioni non sono del tutto convincenti. Infatti se le Camere cessano di esistere, la Giunta perde il potere rappresentativo. In ogni caso essa è meno rappresentativa, e meno efficiente; quindi è meno in grado di opporsi al Governo e di esercitare quella funzione di controllo che l’onorevole Terracini ha a cuore. Inoltre, le stesse obiezioni che l’onorevole Terracini muove circa la differenza di posizione che si verrebbe a determinare nei confronti degli appartenenti alle Camere disciolte, valgono, sia pure in proporzione ridotta, nei riguardi degli appartenenti alla Giunta. L’inconveniente pertanto non sarebbe eliminato; si avrebbe solo un privilegio accordato ai componenti della Giunta.

Date queste ragioni, crede preferibile approvare il criterio della prorogatio.

NOBILE è favorevole al testo proposto dal Comitato di redazione, perché ritiene opportuno che sia assicurata la continuità della funzione legislativa. Si obietta però che le Camere, nell’intervallo fra le legislature, non abbiano più l’autorità per legiferare. Ed allora, per cercare di contemperare l’una e l’altra tesi, proporrebbe che il termine entro cui devono aver luogo le elezioni, che è stato fissato in giorni settanta, sia ridotto a quaranta. Non crede che vi siano difficoltà tecniche per indire le elezioni entro questo termine.

FABBRI vorrebbe chiedere all’onorevole Terracini, sostenitore della Giunta permanente, se egli crede che siano assolutamente simili i due casi: della fine della legislatura per decorrenza del termine e dello scioglimento delle Camere per atto del potere esecutivo.

A suo parere, i due casi sono sostanzialmente diversi. Quando si tratta di fine della legislatura per decorrenza del termine normale non v’è nessuna particolare manifestazione di conflitto che non permetta, nell’intervallo fra le legislature, qualora si presentino esigenze di carattere legislativo, di riconvocare le vecchie Camere. Quando invece si tratta di scioglimento delle Camere per atto del potere esecutivo, siccome si è di fronte ad una situazione di conflitto, pensa che la istituzione della Giunta permanente possa avere una ragione d’essere; quindi, da un punto di vista liberale, sarebbe favorevole alla sua istituzione.

TERRACINI osserva che l’onorevole Fabbri ha perfettamente ragione nell’impostare così il problema, ma pensa che non si possa appesantire la Costituzione col prevedere una serie di casi. Ora, mentre con l’istituto della prorogatio non si riuscirebbe a soddisfare le esigenze che si possono manifestare nel caso di scioglimento anticipato della Camera, con l’istituto della Giunta permanente si verrebbero a sodisfare le esigenze sia nel caso di scioglimento, che di fine naturale delle Camere.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di istituire una Giunta permanente.

(La Commissione non approva).

Bisogna ora porre ai voti la proposta relativa alla prorogatio.

LACONI osserva che il testo del Comitato di redazione, per quanto riguarda la prorogatio, è così formulato:

«I loro poteri cessano con la riunione delle nuove Camere».

A suo parere è preferibile quello approvato dalla seconda Sottocommissione, che è del seguente tenore:

«I loro poteri sono tuttavia prorogati sino alla riunione delle nuove Camere».

PRESIDENTE pone ai voti la formula proposta dalla seconda Sottocommissione.

(La Commissione approva).

Giuramento dei membri del Parlamento.

PRESIDENTE. Un’altra questione da esaminare è quella relativa al giuramento dei membri del Parlamento. L’articolo proposto dalla seconda Sottocommissione e non modificato dal Comitato di redazione dice:

«Prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, i membri del Parlamento prestano giuramento di fedeltà alla Costituzione ed alle leggi della Repubblica».

CONTI ricorda di aver sostenuto in seno alla seconda Sottocommissione che i deputati non devono giurare. È quindi contrario all’articolo proposto.

TERRACINI crede che occorra conservare la disposizione che richiede ai membri del Parlamento la prestazione di un giuramento di fedeltà non alla Repubblica, in quanto forma istituzionale, ma alle sue leggi e alla Costituzione. II problema, infatti, è questo: quanto si chiedeva il giuramento di fedeltà alla monarchia, coloro che non erano monarchici non potevano prestarlo; ma la fedeltà alla Costituzione e alle leggi è un dovere di tutti i cittadini, e per quei cittadini che sono chiamati a fare le leggi il giuramento dovrebbe essere dichiarato in maniera solenne. Si tratta, in definitiva, di una maniera di educazione politica del Paese.

FABBRI si associa alle considerazioni fatte dall’onorevole Conti e condivide i rilievi dell’onorevole Terracini circa la fedeltà alle leggi, fedeltà che estenderebbe anche alla Costituzione, se non si fosse preteso di stabilire nella Costituzione stessa l’attuale forma istituzionale come definitiva ed immutabile. Qualora questo principio fosse modificato, non avrebbe difficoltà ad accettare l’obbligo del giuramento; ma nelle attuali condizioni è contrario all’articolo proposto.

CEVOLOTTO osserva che la prima Sottocommissione è stata contraria al giuramento dei deputati. Ha creduto di poter proporre di mantenere il giuramento di fedeltà alla Repubblica solo nei riguardi del Presidente della Repubblica, dei Ministri, delle Forze armate e dei magistrati, per ragioni intuitive. Per tutte le altre categorie ha creduto che non vi debba essere giuramento di fedeltà alla Repubblica, o alle sue leggi, perché non sarebbe opportuno.

TERRACINI nota che se è valida nei confronti dei deputati l’argomentazione esposta anche dall’onorevole Conti, ciò significa che si inibisce ai cittadini non repubblicani la possibilità di ricoprire quelle cariche per cui si chiede il giuramento. È la stessa questione di coscienza che si porrebbe nei confronti dei deputati.

Ora, pur non essendo entusiasta del fatto che i monarchici possano divenire magistrati della Repubblica, comprende che, data la forma e il contenuto che si intendono dare alla Repubblica italiana, non si può evidentemente sbarrare il passo a queste cariche a cittadini che non siano repubblicani. La norma deve quindi valere per tutti: e allora o si abolisce il giuramento di fedeltà per tutti, oppure deve valere per tutti quelli che si inseriscono nella struttura repubblicana, e non solamente per i casi citati dall’onorevole Cevolotto.

UBERTI rileva che in seno alla seconda Sottocommissione è stato contrario all’obbligo del giuramento per i deputati, i quali, come esponenti politici, devono avere la più ampia libertà di pensiero: ieri, quelli che erano repubblicani in regime monarchico; domani, quelli che sono monarchici in regime repubblicano. Questa libertà è diversa per chi serve lo Stato e per chi invece rappresenta la volontà del popolo.

CEVOLOTTO nota che l’onorevole Terracini ha spostato la questione su un altro campo, cioè su quello della discussione che si dovrà fare, a parte, dell’articolo che è stato proposto dalla prima Sottocommissione. È peraltro da rilevare che se si richiede il giuramento di fedeltà ella Repubblica, alle Forze armate e ai magistrati, è perché si ritiene necessario che queste categorie riconoscano, ammettano e comunque accettino la forma repubblicana. Il magistrato, poi, che deve applicare le leggi della Repubblica, deve prima di tutto essere aderente a questo spirito repubblicano, e chi non è sinceramente repubblicano, non faccia il magistrato. Questa, a suo parere, è una delle principali ragioni per cui il giuramento è necessario.

PRESIDENTE pone ai voti l’articolo proposto dal Comitato di redazione:

«Prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, i membri del Parlamento prestano giuramento di fedeltà alla Costituzione ed alle leggi della Repubblica».

(La Commissione non approva).

La seduta termina alle 12.50.

Erano presenti: Ambrosini, Basso, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Canevari, Cappi, Cevolotto, Codacci Pisanelli, Conti, Corsanego, De Michele, De Vita, Dominedò, Einaudi, Fabbri, Federici Maria, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Gotelli Angela, Grassi, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lucifero, Mancini, Mannironi, Marchesi, Marinaro, Mastrojanni, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Pesenti, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Targetti, Terracini, Togni, Tosato, Tupini, Uberti, Zuccarini.

Assente giustificato: Ghidini.

Erano assenti: Amadei, Bordon, Calamandrei, Cannizzo, Castiglia, Colitto, Di Giovanni, Di Vittorio, Dossetti, Fanfani, Farini, Froggio, Giua, Iotti Leonilde, La Pira, Leone Giovanni, Lombardo, Lussu, Merlin Lina, Merlin Umberto, Molè, Paratore, Piccioni, Porzio, Rapelli, Taviani, Togliatti