Come nasce la Costituzione

MARTEDÌ 16 LUGLIO 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

V.

SEDUTA DI MARTEDÌ 16 LUGLIO 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

indi

DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Commemorazione del Dott. J. A. Rios, Presidente della Repubblica del Cile:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri          

Presidente                                                                                                        

Verifica di poteri:

Presidente                                                                                                        

Dimissioni di Deputati:

Presidente                                                                                                        

Discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Nitti                                                                                                                  

Bencivenga                                                                                                      

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.30.

Schiratti, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo gli onorevoli deputati: Ponticelli, Matteotti Carlo, Fanfani e D’Agata.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Ho chiamato a far parte della Giunta del regolamento, in sostituzione degli onorevoli Aldisio e Ferrari, nominati rispettivamente Ministri della marina mercantile e dei trasporti, gli onorevoli Gronchi e Di Vittorio.

Commemorazione del Dott. J. A. Rios Presidente della Repubblica del Cile.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e ad interim degli affari esteri. Il 27 giugno ultimo scorso moriva il dottor Juan Antonio Rios, Presidente della Repubblica del Cile.

I vincoli di sentimento e di interesse che così fortemente legano l’Italia al Cile ci hanno fatto associare con vivo dolore al lutto che ha colpito quella Nazione amica per la perdita del suo illustre Presidente.

Diplomatico, Senatore e Ministro di Stato, il dottor Rios è stato eletto Presidente della Repubblica il 25 febbraio 1942. Egli ha dimostrato, anche dalla suprema magistratura del Paese, i suoi sentimenti di amicizia verso l’Italia.

Risale infatti al 1944 l’iniziativa del Cile, ad opera del suo Presidente, di riallacciare i rapporti diplomatici con l’Italia. E fu così che il rappresentante del Cile poté essere fra i primi a giungere a Roma.

Il Governo ed il popolò italiano ricordano con gratitudine questa prima iniziativa, che è stata seguita da quell’azione per una giusta pace che è attualmente in corso da parte di tutta l’America Latina a cui il Cile ha dato e dà un così valido e cordiale contributo, insieme al Brasile, all’Argentina, all’Uruguay e in generale a tutte le Repubbliche latinoamericane, che ci sono oggi, nel triste periodo che la Patria attraversa, così spiritualmente vicine. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Il dottor Juan Antonio Rios, Presidente della Repubblica del Cile testé ricordato con vivo cordoglio dal Ministro degli affari esteri, fu uomo politico di grande valore, di ingegno eletto e di singolare coltura.

Del suo grande affetto per l’Italia egli diede prova nelle circostanze che sono presenti a tutti. Fu specialmente per suo impulso che vennero rinnovati i vincoli di cordiale amicizia che ci legano a quella nobile Nazione che ospita tanti nostri fratelli.

Nell’associarci al dolore del popolo cileno, rivolgiamo un reverente saluto alla memoria dell’illustre estinto.

Non posso con l’occasione omettere di rilevare con profonda gratitudine che le voci di solidarietà che ci pervengono dal Cile e in generale dall’America Latina – in questo periodo decisivo per le nostre sorti – si vanno facendo ogni giorno più vive, più convinte e più insistenti e ci dànno il conforto di un inapprezzabile appoggio morale: l’aspirazione dell’Italia è di conseguire una pace di giustizia che le consenta di riprendere il suo cammino verso una civiltà più alta, in un mondo retto dai principî di libertà e uguaglianza tra i popoli. E questa aspirazione coincide con quella dell’America Latina, cui, sicuro interprete dei sentimenti di tutta l’Assemblea, invio l’espressione della nostra fraterna riconoscenza. (Vivi applausi).

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella tornata odierna, ha verificato non essere contestabili le elezioni sottoelencate, e concorrendo negli eletti le qualità richieste dalla legge elettorale, ha dichiarato valide le elezioni dei seguenti Deputati:

per il collegio III (Genova, Imperia, La Spezia, Savona): Cappa Paolo, Taviani Emilio Paolo, Pellizzari Achille, Guerrieri Filippo, Viale Ambrogio, Gotelli Angela, Terracini Umberto, Novella Agostino, Negro Antonio, Minella Angiola, Barontini Anelito, Barbareschi Gaetano, Pertini Sandro, Faralli Vannuccio, Canepa Giuseppe, Pera Giobatta;

per il collegio IV (Milano, Pavia): Longo Luigi, Pajetta Giancarlo, Farina Giovanni, Gavina Cesare, Alberganti Giuseppe, Lombardi Carlo, Montagnani Pietro, Maffi Fabrizio, Scotti Francesco, Grandi Achille, Lazzati Giuseppe, Castelli Edgardo, Marazza Achille, Arcaini Giuseppe, Meda Luigi, Balduzzi Luigi, Clerici Edoardo, Sampietro Umberto, Zerbi Tommaso, Jacini Stefano, Malvestiti Pietro, Marina Mario, Nenni Pietro, Greppi Antonio, Fietta Cornelio, Canevari Giuseppe Angelo Emilio, Morini Attilio, Montemartini Gabriele Luigi, Basso Lelio, D’Aragona Lodovico, Vigorelli Ezio, Lombardo Matteo Ivan, Malagugini Alcide, Mariani Francesco;

per il collegio VIII (Trento): Battisti Luigi, De Gasperi Alcide, Conci Elisabetta, Carbonari Luigi;

per il collegio IX (Verona, Padova Vicenza, Rovigo): Gonella Guido, Uberti Giovanni, Merlin Umberto, Alberti Antonio, Rumor Mariano, Guariento Antonio, Tosato Egidio, Bettiol Giuseppe, Storchi Ferdinando, Valmarana Giustino, Cappelletti Guglielmo, Cimenti Fiorenzo, Bacciconi Luigi, Marzarotto Achille, Gui Luigi, Pesenti Antonio, Rossi Maria Maddalena, Marchesi Concetto, Bolognesi Severino, Matteotti Giancarlo, Tomba Tullio, Fogagnolo Alberto, Faccio Luigi, Costa Gastone, Caldera Carlo, Segala Mario, Fedeli Aldo;

per il collegio X (Venezia, Treviso): Scoccimarro Mauro, Ghidetti Vittorio, Giacometti Guido, Costantini Antonio, Tonetti Giovanni, Tonello Tommaso, Mentisti Pietro, Ponti Giovanni, Sartor Domenico, Lizier Pietro, Franceschini Francesco, Ferrarese Antonio, Corazzin Luigi;

per il collegio XI (Udine, Belluno): Scoccimarro Mauro, Cosattini Giovanni, Pieri Gino, Piemonte Giuseppe Ernes, Vigna Oberdan, Schiratti Guglielmo, Bettiol Giuseppe, Tessitori Tiziano, Fantoni Luciano, Pat Bortolo Manlio, Garlato Giuseppe;

per il collegio XV (Firenze, Pistoia): Negarville Celeste Carlo, Rossi Giuseppe, Mattei Teresa, Maltagliati Abdon, Bitossi Renato, Bianchi Bianca, Pertini Alessandro, Di Gloria Calogero, Piccioni Attilio, La Pira Giorgio, Bertini Giovanni, Foresi Paimiro;

per il collegio XVII (Siena, Arezzo, Grosseto): Negarville Celeste Carlo, Cerreti Giulio, Bardini Vittorio, Magnani Marino, Saragat Giuseppe, Zannerini Emilio, Fanfani Amintore, Ponticelli Francesco;

per il collegio XXIV (Salerno, Avellino): Amendola Giorgio, Cacciatore Luigi, Preziosi Costantino, Covelli Alfredo, De Falco Giuseppe, Scoca Salvatore, Sullo Fiorentino, Lettieri Raffaele, Rubilli Alfonso, Cuomo Giovanni;

per il collegio XXV (Bari, Foggia): Di Vittorio Giuseppe, Allegato Luigi, Imperiale Giuseppe, Pastore Raffaele, Petrilli Raffaele Pio, Moro Aldo, Germano Attilio, De Caro Gerardo, Recca Raffaele, Caccuri Edmondo, Monterisi Vito, Fioritto Domenico, Ruggiero Carlo, Giannini Guglielmo, Trulli Martino, Lagravinese Nicola, Patrissi Emilio, Perrone Capano Giuseppe;

per il collegio XXVI (Lecce, Brindisi, Taranto): Grassi Giuseppe, Vallone Luigi, Ayroldi Carissimo Giuseppe, Cicerone Vincenzo, Lagravinese Pasquale, Grieco Ruggero, Motolese Alfonso Maria, Gabrieli Antonio, De Maria Beniamino, Stampacchia Vito Mario, Codacci Pisanelli Giuseppe;

per il collegio XXVII (Potenza, Matera): Gullo Fausto, Colombo Emilio, Zotta Mario, Nitti Francesco, Pignatari Aldo Enzo.

Do atto alla Giunta di queste comunicazioni e salvo i casi d’incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidate queste elezioni.

Dimissioni di Deputati

PRESIDENTE. L’onorevole Pietro Montagnani, eletto nella circoscrizione Milano-Pavia, mi ha inviato la seguente lettera:

Onorevole Sig. Presidente,

Eletto Deputato nella circoscrizione Milano-Pavia, poiché la fiducia popolare mi ha affidato quasi contemporaneamente la responsabilità di Pro-Sindaco di Milano, di fronte all’evidente impossibilità di svolgere effettivamente le due funzioni, dopo maturata riflessione e con il consenso della Direzione del mio Partito, mi appare opportuno rassegnare le dimissioni da Deputato.

Ben lontano dal sottovalutare l’importanza dell’Assemblea Costituente, dalla quale dipende l’avvenire del nostro Paese, non posso sottrarmi al richiamo della simpatia, intesa nel senso etimologico, per le masse popolari milanesi, che attendono dalla loro Amministrazione democratica la soluzione urgente di angosciosi problemi, che le assillano. Decine e decine di migliaia di cittadini senza tetto, quasi centomila disoccupati, la maggior parte dell’infanzia denutrita ed insidiata dalle malattie, esigono, a giusta ragione, un miglioramento delle loro precarie condizioni di esistenza. Questo compito, che sarebbe assai gravoso in normali condizioni finanziarie, si rende estremamente difficile, dato il dissesto del bilancio comunale, conseguenza della disonesta ed incapace amministrazione fascista e delle distruzioni belliche.

In queste condizioni, disperdere le proprie energie in una duplice direzione significa, a mio parere, porsi nell’impossibilità di assolvere al proprio dovere e, se io desidero optare per la responsabilità di amministratore, lo si deve non a ristretto spirito municipale, per quanto io non sappia e non voglia nascondere il profondo affetto per la mia città, ma anche alla considerazione del grande peso specifico che ha Milano nella economia nazionale.

Per la massa di popolazione di altre regioni, dal Piemonte alla Sicilia, dal Veneto alle Puglie, che in essa vive, lavora o trova fraterna assistenza, per il prestigio nazionale della grande città lombarda, per i riflessi positivi che avrà la ricostruzione di Milano su tutta l’economia nazionale, mi sento autorizzato ad affermare che quando vogliamo lavorare per Milano, noi lo facciamo non soltanto per la città nostra in quanto milanesi, ma nostra, di tutti noi, in quanto italiani.

Il mio posto nell’Assemblea sarà rilevato da un mio compagno che, come tutti i candidati presentati al popolo dal Partito Comunista Italiano, saprà assolvere al proprio dovere, almeno quanto io avrei saputo farlo.

Poiché il nuovo Governo nazionale, che sarà espresso dall’Assemblea Costituente, dovrà attuare un programma di emergenza, inteso a soddisfare le necessità della ricostruzione nazionale ed i bisogni urgenti delle masse lavoratrici, penso che, nell’intento di mobilitare le possibilità locali, il Governo dovrebbe porre allo studio, ed accordare al più presto ai Comuni, almeno una parziale autonomia tributaria. In tal modo l’intervento statale potrebbe essere più modesto e la ricostruzione più snella e più rapida.

Ritengo, onorevole signor Presidente, che la S. V. ed i miei onorevoli colleghi riconosceranno valide le ragioni che motivano te mie dimissioni e rivolgo all’Assemblea, insieme al mio deferente saluto, l’augurio di proficuo lavoro, nell’interesse del nostro Paese.

Piero Montagnani

Pongo ai voti l’accettazione di queste dimissioni.

(È approvata).

Anche l’onorevole Nicolò Carandini mi ha inviato la seguente lettera:

Alla Presidenza dell’Assemblea Costituente

Dato che il protrarsi delle trattative di pace mi costringerà a prolungare oltre il previsto la mia assenza dall’Italia e considerando mio primo dovere il non sottrarmi anzi tempo agli obblighi del mio attuale ufficio, mi trovo nella necessità di rassegnare le dimissioni dalla carica di Deputato a favore di altro candidato che sia in grado di partecipare regolarmente ai lavori dell’Assemblea.

Con la massima considerazione.

Nicolò Carandini

Pongo ai voti l’accettazione di queste dimissioni.

(È approvata).

Discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.

NITTI. Chiedo scusa agli onorevoli colleghi se dovrò troppo dilungarmi su alcuni argomenti su cui desidero richiamare la loro attenzione. Devo fare prima di tutto una dichiarazione. Io mi considero al di fuori delle contese attuali di partiti. Da quando sono venuto in Italia, dopo lungo esilio e dopo prigionia, ho cercato di essere elemento di realtà e di pace. Io ho cercato di parlare agli italiani e di trovare, se è possibile, nell’immenso disordine attuale, la via della resurrezione. Io non ho attaccato nemmeno i Governi che non amavo. I due Governi che si sono succeduti da che sono qui, il Governo dell’onorevole Parri e il Governo dell’attuale de Gasperi, non hanno mai avuto da me alcuna insidia. Io chiedo alla loro lealtà – è presente, credo, l’onorevole Parri – che confermino queste mie parole. Da ogni parte mi sono venute proposte per movimenti, diretti a scopo di crisi ministeriali. Io ho detto che queste cose non m’interessavano. E quando l’onorevole Parri mi fece l’onore di visitarmi, gli feci un solo discorso: cercate di avere energia, cercate di essere Governo. Data, io gli dissi, l’idea che voi rappresentate qualcuno e qualche cosa, di forte e di sano e di vitale, e soprattutto una volontà, finitela con questi sistemi d’indecisione e d’incertezza che vanno alla ventura, con questi Consigli dei Ministri inutili e lunghissimi , dove non si sa mai cosa si vuole e chi sia il capo e chi regoli questo disordinato meccanismo che è il Governo. E gli diedi rispettosamente il consiglio di essere forte, di essere Governo.

Io non ho avuto l’onore di incontrare l’onorevole De Gasperi che occasionalmente. Mai ho voluto ascoltare tutti quelli che sono venuti da me a dirmi male di lui (Commenti); mai ho voluto tendere insidie dirette alla esistenza del Governo.

Io sono quindi al di fuori di ogni idea di competizione. Quando amici miei sicuri di parti diverse hanno parlato di una mia candidatura a Presidente provvisorio della Repubblica, immediatamente ho dichiarato che non volevo esser candidato e che se fosse avvenuta non avrei accettato tale nomina. Non era quel posto che volevo. Io volevo venire qui alla Costituente e parlare, non una volta sola (vi annunzio questa ferma intenzione…) (Ilarità), non una sola volta, ma in tutte le occasioni in cui crederò di essere utile con la mia conoscenza e la mia esperienza. Qui potrò dire qualche cosà che è in me, anche se vi spiacerà. Non m’interessa la vita dei partiti. Non ho né ambizioni né vanti; non ho che una sola cosa: una fiera volontà e un amore quasi fanatico per questo mio Paese da cui ho avuto tanti dolori, per questa Italia nostra in cui io credo, per questa Italia che io voglio unita libera e democratica.

Non considerate dunque le cose che dirò come dirette ad alcuno scopo che non sia amore di verità.

Vi devo fare ancora un’altra dichiarazione: non desidero ora essere nulla che sia Governo. Non desidero occupare alcun posto finché non vi sarà una legge elettorale meno perversa di quella che ci ha mandato qui. Non desidero essere alcuna cosa, se non dopo che vi saranno libere elezioni e la possibilità di costituire Governi che non siano servitù di partiti (Applausi) e che non siano e non diano libertà.

I partiti sono una necessità politica, sono anche una necessità e conseguenza della libertà; ma i partiti, interpretati come espressione di volontà, di sentimenti, di energie, di interessi opposti, ma che possono equilibrarsi in una comune libertà e non in una servitù diffusa in un dominio di interessi coalizzati.

Io dunque desidero parlarvi con ogni sincerità, con ogni buona fede e desidero che voi mi consideriate come l’uomo che ha dato al suo Paese tutto ciò che poteva e che ora non vuole nulla. È grande forza non essere nel Governo e non desiderarlo e non volerlo. Ora siamo, infine, in questa Costituente tanto attesa, che aveva fatto sorgere tante speranze e tante illusioni. Per molto tempo si è detto che tutto dipendeva dalla Costituente. Èstata la grande propaganda demagogica. Si è detto: la Costituente avrebbe risoluto subito i problemi dell’Italia: quando avremo la Costituente noi avremo anche pane e lavoro. (Commenti). È venuta la Costituente: abbiamo ancora per qualche tempo pane, ma le nostre condizioni sono gravissime e non abbiamo ancora la sicurezza di lavorare.

ROMITA, Ministro dei lavori pubblici. Avremo anche lavoro.

NITTI: Prendo atto dell’interruzione dell’onorevole Romita, ma ho tuttavia qualche motivo per dubitare. La Repubblica, si è detto ancora, vi darà un buon trattato di pace… (Commenti).

Voci. Chi l’ha detto?

NITTI. La Repubblica non ci ha dato un trattato di pace… (Rumori).

Voci. E la monarchia l’avrebbe dato?

GIANNINI. Lasciatelo parlare! (Interruzioni Rumori).

Una voce. La verità vi brucia. Lasciate parlare!

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, continui il suo discorso. La prego di non raccogliere le interruzioni.

NITTI. Cattivi metodi di propaganda, basati sempre sul prometter ciò che non si può dare. La Costituente era necessaria, ma non poteva dare il lavoro; la Repubblica non ci ha dato un trattato di pace, ma non ce l’avrebbe dato nemmeno la monarchia.

Abbiamo avuto e abbiamo ancora davanti a noi un periodo molto grave da attraversare, qualunque sia la forma politica:

Poi è stata anche un’illusione molto diffusa: le democrazie lavoreranno per la pace.

Signori, io ho scritto due grossi volumi sulla democrazia, tradotti nelle principali lingue, su che cosa è la democrazia. (Rumori – Interruzioni – Scambio di apostrofi fra l’Onorevole Giannini e l’estrema sinistra – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, la prego di continuare.

NITTI. Le democrazie in nessun paese moderno sono pacifiste; Non lo sono state nemmeno nel lontano passato. Non vi è niente di più ridicolo di dire che le democrazie lavorano sempre per la pace. Le democrazie lavorano troppo spesso per la guerra! (Interruzioni).

Noi abbiamo visto che cosa è stato il Trattato di Versaglia, determinato da grandi democrazie. La pace si mantiene soltanto per effetto di sentimenti dell’ordine morale, sia con lo spirito religioso, sia con lo sviluppo dei sentimenti superiori; non sono le forme politiche che danno la pace o la guerra. La pace e la guerra esistono in tutte le forme economiche, ed è ignoranza o malafede dire che la guerra è effetto soltanto del capitalismo… (Interruzioni).

Chi mi interrompe, sappia, che forse a differenza di lui, ho letto Marx; il quale spiega ciò che s’intende per capitalismo ed assegna al capitalismo una nascita relativamente molto recente. Ora, le guerre più di ora vi sono state anche prima che il capitalismo esistesse (Approvazioni).

Ho ascoltato ieri le dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi; non posso dire se concordo o discordo, perché alcune sono indefinite ed incerte e, ascoltate così brevemente, non rendono facile una dichiarazione da parte mia. L’Onorevole de Gasperi non ha mantenuto alcuna proposta definitiva e sicura. Ho udito, fra le altre cose, anche quelle che egli ha voluto dire sul Mezzogiorno, problema ardente che ho tanto studiato e sul quale ho tanto scritto e al quale mi sono tanto appassionato. Ma per ora io consiglio soltanto una cosa. Non parliamo a cuor leggero del problema del Mezzogiorno. Non bisogna oggi promettere ciò che non si può dare. (Approvazioni).

Il Mezzogiorno è stato troppo ingannato e troppo deluso, perché debba provare ancora delusioni. (Interruzioni). Il Mezzogiorno è una grande forza dell’Italia, contrariamente alle opinioni di pochi ignorantelli che ne parlano nei loro giornali con tanta volgare leggerezza. (Applausi a destra). Il Mezzogiorno è una forza immensa e non bisogna scoraggiare le sue energie che non sono mai spente e si rinnovano sempre. Noi dobbiamo essere uniti, Nord e Sud. Io sono l’ultimo credente fanatico dell’unità e odio tutti questi movimenti di divisione e di discrasia. Accetterei qualunque nuovo sacrificio per il Mezzogiorno piuttosto che distaccarlo dalla Madre Patria. Noi, solo se saremo uniti, saremo qualche cosa nel mondo; altrimenti periremo. È finito il tempo delle piccole repubblichette del ’400, delle piccole repubblichette rivali. Ormai andiamo, in Europa e nel mondo, verso grandi unità territoriali, politiche, economiche. Fare opera di separazione è commettere delitto. (Applausi).

Mi sono opposto come potevo a tutti i movimenti, di pretese autonomie e autarchie che potessero determinare divisioni, ho sfidato e sfido anche la impopolarità fra alcuni miei concittadini, che, spesso esasperati dalle difficoltà attuali, mi domandano dichiarazioni autonomiste. Io non ho voluto mai farne una sola, non ho mai eccitato alcuna passione che ci dividesse, noi cittadini della stessa nazione.

Noi dobbiamo seguire verso il Mezzogiorno una politica seria, non ingannare, non promettere invano; dobbiamo riparare, anche nelle difficoltà attuali, a quelle che sono le ingiustizie più patenti, a quelli che sono, più che effetto di mala volontà, spesso effetto di errori involontari e di non conoscenza. Io spero che di questo argomento ci sarà data occasione di discutere con serenità. Questo vorrei, e per ora non mi attardo sulle dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi. Ripeto soltanto che è in ogni caso miglior politica non promettere nulla e non far sperare in alcuna cosa che non si possa fare seriamente. Troppo abituato è il Mezzogiorno a questo triste inganno delle promesse mai mantenute. Io vi parlerò dunque della situazione meridionale, ma non posso ora fuggevolmente. Ve ne parlerò quando si potrà e si dovrà discutere a fondo di questa cosa in cui si ribattono sempre gli stessi luoghi comuni da gente che non vuole e soprattutto non sa.

Da molti secoli l’Italia non ha attraversato mai un’ora così dolorosa e terribile come quella che ora attraversa e mai vi è stata, in alcuni ambienti e in alcuni ceti, tanta incoscienza e tanto desiderio di vane cose. Io me ne angoscio. Io sono uno studioso, abituato a lavorare metodicamente, attentamente. Io faccio ogni giorno il bilancio delle nostre cadute. Provo quindi ogni giorno un senso di tristezza e mi domando se era proprio inevitabile che si arrivasse così in basso e che d’illusione in illusione, di errore in errore, si arrivasse fino al punto in cui siamo.

Abbiamo il primo Ministero della Repubblica. Signori, vi devo parlare con assoluta sincerità: io difenderò la Repubblica con tutte le mie energie, con tutte le mie forze. Dal momento che la Repubblica vi è, dal momento che si è fatta, serviamola senza discutere, sia quelli che la volevano, sia quelli che non la volevano. Il nostro dovere è di mantenerla e di difenderla. (Applausi). Ma, appunto per ciò, vi dichiaro che nell’interesse della Repubblica ciò che speravo e che volevo era che il primo Ministero della Repubblica fosse veramente degno del grande avvenimento. Io non posso adularvi, dicendo che voi rappresentate, signori del Governo, quello che attendevamo. (Si ride). Noi attendevamo… (Applausi). Non mi applaudite, per amor di Dio, e non create incidenti. Noi attendevamo qualche cosa di diverso e di più grande dello spettacolo attuale.

Volevamo far rinascere lo Stato. Noi non siamo più Stato; siamo la permanente confusione. Abbiamo un’accozzaglia di piccoli uomini, che in ogni parte del territorio vanno in vie diverse e che si contendono fra di loro per interessi di parte. Qui non vi è lo Stato nella sua efficienza, non vi è la Nazione, ma la fazione. Lo Stato è volontà, è potenza, sia esso conservatore o bolscevico, sia monarchico o repubblicano. Lo Stato è potenza; e questo Stato attuale dell’Italia non dà né l’idea di potenza, né l’idea di volontà, né ha più dignità.

Io aspettavo dallo Stato repubblicano che il primo Ministero della Repubblica ci portasse questo senso di volontà e di potenza e come un’ondata di entusiasmo.

Ricordo il mio ritorno a Parigi, dopo due anni di deportazione in Germania. La mia vita era stata in pericolo, molte altre volte, prima, molto di più che voi non sappiate e non crediate.

Ero stato in pericolo durante tutto il mio esilio in Francia! Quanti attentati si preparavano e si volevano compiere contro di me, per volontà personale dello stesso duce! Furono evitati per opera del caso, e posso dire di alcuni funzionari italiani della stessa polizia che dinanzi all’idea del delitto si astennero dall’agire. Fui in pericolo non minore, anzi maggiore in Germania.

Sapevo che se per i tedeschi Mussolini era l’amico n. 1, io ero il nemico n. 1 fra quanti italiani erano in Germania prigionieri o deportati. Sapevo che quando Mussolini fosse stato ucciso, anch’io sarei stato ucciso. (Commenti – Interruzioni).

No, non sono un eroe; sono un uomo di ferma volontà e coraggio che affronta con calma gli eventi, ma che non ha mai preso atteggiamenti eroici. Sono un uomo che ha dimostrato sempre con suo danno e pericolo di voler servire sempre il suo Paese e di saper lottare e osare. Lasciando la Germania e tornando a Parigi, dove ritrovai tutti i miei (tranne, ahimè!, due figli, due grandi spiriti che la morte mi aveva tolto), io ebbi le prime impressioni e i primi contatti con l’Italia.

La prima cosa che mi si chiese quando giunsi a Parigi fu se io ero per la monarchia o per la repubblica. Io veramente non ci avevo pensato. (Commenti). Innanzi tutto non sapevo che cosa avrei trovato rientrando nel mio Paese e volevo farmene un’idea. Qualcuno di quelli che vennero ad interpellarmi ebbe la cortesia di dirmi che io sarei stato il primo Presidente della Repubblica, e che i miei precedenti non potevano che riscuotere la simpatia dei repubblicani. Questa non era cosa che poteva interessarmi; io non vedevo che l’Italia e l’avrei comunque servita.

Sono in quest’aula quelli che ricordano che quando ero Presidente del Consiglio dei Ministri fui accusato di voler trasformare la monarchia italiana in repubblica. I miei due complici – si diceva – erano Turati e Treves e il mio emissario Modigliani. Era accusa non vera. Primo Ministro della monarchia, io non pensai mai a tradirla; ma, com’era mio dovere, a servirla onestamente. Non tradii mai, come non tradirò mai, né il mio dovere, né la mia dignità. Ma anche servendo la monarchia fedelmente fui verso di essa sempre indipendente e lontano da ogni adulazione. Il mio contegno fu sempre fiero. Io sono l’unico Presidente del Consiglio – e non il più stupido – che non è Cavaliere dell’Annunziata. (Si ride – Commenti).

Quando s’inaugurò la nuova legislatura nel 1919 si verificò qualche cosa che parve assai strana. La nuova Camera dei Deputati fu inaugurata senza che ministri e deputati avessero decorazioni, senza che i ministri fossero nelle loro grandi uniformi. I ministri erano in abito da passeggio. La cosa parve scandalosa. I socialisti, che pure nella grandissima maggioranza non erano né rivoluzionari né repubblicani, vollero fare però una manifestazione inopportuna che mi dispiacque e che fu un errore: entrarono alla Camera con un garofano rosso all’occhiello e uscirono all’entrata del re. Un vecchio deputato socialista, sul conto del quale Turati mi metteva sempre in diffidenza, consigliò questa inutile e banale manifestazione.

Io abolii tutto ciò che era sfarzo esteriore, volli dare un esempio di modestia con la severità di vita che mi ha sempre contrassegnato. (Commenti).

Quando il non mai abbastanza defunto re Vittorio Emanuele III si rese complice di Mussolini nel 1922 io, dopo essere andato in esilio nel 1924, gli scrissi dall’estero fiere lettere che ho conservato, dicendogli che egli aveva mancato non solo al suo dovere di re, ma ad un dovere di onestà. E queste cose ho avuto il coraggio di scrivere pubblicamente nei miei libri e nella stampa estera.

E quando re Umberto II, allora principe di Piemonte, andò a sposarsi in Belgio, e un giovane, che era a me devoto, a nome De Rosa, fece un attentato contro di lui (Commenti) io osai andare alla Corte di Assise del Brabante a dire parole in difesa dell’imputato e ad affermare che il De Rosa non voleva compiere delitto, ma voleva fare un atto dimostrativo contro la monarchia italiana.

PERTINI. Viva De Rosa! (Applausi).

NITTI. Èmorto combattendo in Spagna. Questo vale più di un evviva. (Approvazioni).

Quando il problema del primo Ministero della nuova Repubblica doveva porsi ai rappresentanti dei partiti vincitori e si dovevano riunire in composta dignità gli uomini migliori e più esperti, essi ci han dato un Ministero che è fatto sul vecchio stile ancora peggiorato. Prima erano i sei partiti; ora sono tre e mezzo! E poi, il solito numero enorme di Ministeri inutili e inverosimili: dieci democristiani, quattro socialisti, quattro comunisti, due repubblicani, un indipendente. Ventuno ministri. Numero enorme. Gran numero di sottosegretari: cosa assurda e sconcia e senza precedenti in Europa e per noi pericolosa e dannosa. Un paese come l’Italia, tanto in disordine, tanto in povertà si è dato il governo più costoso e, se posso dire, più inefficiente, perché più aumenta il numero degli individui chiamati al Governo e più aumenta l’inefficienza. L’istituzione dei sottosegretariati è diventata non solo danno, ma causa di disordine e di ridicolo.

Dal Ministero è uscito invece volontariamente una figura importante: l’onorevole Togliatti. Io mi sono domandato perché sia uscito. Ho molta simpatia per l’onorevole Togliatti… (Si ride – Commenti).

Fra tutte le figure politiche che si sono manifestate in Italia dopo la guerra, la sua mi pare la più interessante. Io ho avuto una sola conversazione con lui. Spero, ora che si dedica alla organizzazione del partito, ed è più libero, di avere altre conversazioni che mi illuminino sulla sua azione e i suoi propositi. L’onorevole Togliatti rappresenta idee e programmi diversi dai miei. Siamo due parallele che non potremo incontrarci che all’infinito.

Perché l’onorevole Togliatti ha voluto abbandonare il suo posto di governo? Si dice: per dedicarsi al partito. Anche questa è una spiegazione. Ma vi possono essere anche altre spiegazioni, che vanno seriamente considerate. Dopo che io ho dichiarato di non volere essere ora per nulla in azioni di Governo, possiamo liberamente discutere e senza destare alcuna diffidenza. (Commenti – Interruzioni).

Per la prima Repubblica si è fatto dunque un Ministero come i precedenti, numeroso e confuso, in cui è difficile spiegarsi la ragione di non pochi nuovi ministeri, e la ragione della scelta di gran parte dei ministri e ancor più dei sottosegretari. Il ministero è ancor più numeroso, con gli stessi partiti, con le stesse passioni, con le stesse incompetenze. Questo Ministero della Repubblica non differisce dal precedente se non per alcune novità. Tutto è considerato come patrimonio dei partiti; niente è abbandonato da ogni partito, e si fa in ogni crisi il dosaggio di tutti i diritti. È sempre lo stesso metodo. Componendo un Ministero, non si pensa che a dosare secondo la volontà o l’interesse dei partiti, non mai secondo le attitudini individuali. Vi è nondimeno in questo Ministero qualche cosa che mi ha colpito. L’onorevole De Gasperi conserva un gran numero di posti e di occupazioni, di cui, se mi permette, gli domanderò notizia tra poco, rispettosamente.

L’onorevole De Gasperi ha perduto in apparenza la collaborazione dell’onorevole Nenni. L’onorevole Nenni è un uomo interessante. Ogni tanto alcuni del suo partito mi annunciano la sua defenestrazione; (Commenti Si ride) ma finisce con l’essere più forte dei suoi avversari. Ora l’onorevole Nenni, nello stesso tempo che ha in certo modo abbandonato il potere, ha una posizione giuridica, rimane Ministro senza portafoglio in attesa di portafoglio. Perché l’onorevole De Gasperi, senza precisare il tempo – e non può – si propone, dopo la pace, di ritirarsi dal Ministero degli esteri e di cederlo all’onorevole Nenni.

Questo è un fatto nuovo nella storia, è una cosa mostruosa che non è mai stata tentata in nessun Paese. Si tratta dunque, per parlare giuridicamente – anche in omaggio all’onorevole Gullo, che deve ora occuparsi di questioni giuridiche (Si ride – Commenti) – si tratta di una costituzione di erede prima della morte del de cujus.

Lo Stato si considera sempre più come proprietà privata dei vari partiti. Se ne dispone secondo le esigenze dei partiti e dei loro aderenti. Coloro che hanno il dominio dei partiti si regolano secondo quelli che credono gli interessi dei loro partiti e secondo le necessità che vengono loro imposte da circostanze mutevoli. La prima preoccupazione nei formare un Ministero non è la scelta degli uomini migliori e più capaci, ma quanti posti di ministri e di sottosegretari di Stato ciascun partito deve avere e a chi dal partito devono essere attribuiti.

È il contrasto degli interessi, la gara delle vanità. Non è in mira la nazione, ma il partito o la fazione: è contrasto di partiti in gara di preminenza, ma anche di individui che vogliono farsi strada all’ombra del partito. Tranne forse il partito comunista, che ha una sua disciplina, gli altri partiti devono, in diversa misura, tener conto dei desideri e dei bisogni e delle incomposte speranze dei loro aderenti. Quanti sono che in ogni crisi vogliono essere ministri o almeno sottosegretari o, se non vi è altro posto, almeno alti commissari?

Si pensi quali spese enormi porta la costituzione di un nuovo Ministero con ministri e sottosegretari. Più il Paese manca di tutto e più è la fiera della vanità e più è la dissipazione. In tanta miseria che cosa il pubblico deve pensare di noi?

L’onorevole De Gasperi ha riunito in sé stesso tutti i poteri e quante funzioni gli era possibile riunire. Solo per ora non ha potuto lasciare il Ministero degli esteri, forse perché nel momento attuale e con la orrenda pace che ci sarà imposta nessuno lo voleva.

L’onorevole De Gasperi ha i più diversi incarichi e le più terribili responsabilità. Dovrebbe occuparsi di tante diverse cose, di tanti problemi, di tanti contrasti per cui l’intelligenza umana non è sufficiente. È quindi obbligato a non occuparsene. (Si ride).

Ora egli, cosa che sembra inverosimile, ha voluto il Ministero dell’interno. Perché lo ha voluto? Non oso fare la domanda al suo predecessore e collega, all’onorevole Romita, che vedo qui vicino. L’onorevole De Gasperi ha voluto l’Interno, dissero i suoi amici, perché rappresenta il partito più numeroso. Noi andiamo verso le elezioni amministrative e poi vi saranno le elezioni per la nuova Camera. L’onorevole De Gasperi rappresenta il partito più numeroso. Però, perché proprio De Gasperi deve essere Ministro dell’interno? Non c’è qualche altro uomo del suo partito che possa assumere questo penoso e terribile Dicastero? Questa è la domanda, a cui io non oso rispondere. Chi è Ministro dell’interno non può fare altro. Vi sono ancora le elezioni amministrative per talune grandi città, come Roma, Palermo, Napoli, Torino, Genova,ecc. ecc. Nella incomposta ridda elettorale che ci tormenta e ci tormenterà, sono accadute le cose più assurde: si sono fatte le elezioni amministrative non in tutte le province, ma in alcune province, scelte secondo criterio di convenienza di partiti o locali, ed in ogni provincia non si sono fatte le elezioni per tutti i comuni…

ROMITA, Ministro dei lavori pubblici. Si sono fatte dove le liste erano pronte.

NITTI. Dicevo dunque che non in tutte le provincie si sono fatte le elezioni e si son fatte soltanto per quei comuni per cui si è ritenuto più utile di farle. Non si son fatte dove non si voleva, anche se le liste erano pronte.

Questo fatto determina la convinzione che le grandi elezioni prossime sono il vero interesse, il solo interesse di partito. L’Italia è disgraziatamente un Paese più municipale che nazionale. L’interesse delle elezioni amministrative è grande. Perciò i partiti di masse hanno grandissimo interesse a risolvere le loro questioni locali in questo momento. Noi avremo una serie di elezioni in cui l’onorevole De Gasperi funzionerà, se egli sarà al suo posto, come dirigente. Io spero, invece, perché egli rimanga utilmente al suo posto di Presidente del Consiglio, che adempia a una condizione che è per lui dovere: e il suo dovere è lasciare il Ministero dell’interno, se deve occuparsi veramente dell’Italia. Io non dico queste cose a caso: sono stato anch’io nei momenti più difficili Ministro dell’interno e so che cosa significa. Io so come non dormivo la notte, o come dormivo inquieto, e figuriamoci quando un uomo ha in più tutte le occupazioni dell’onorevole De Gasperi, ed è in un momento terribile di caduta del suo paese.

Il nuovo Ministero è stato fatto senza un programma ben delineato e soprattutto senza nessun programma di economia, di ordine e di lavoro. C’è una inutile dispersione di energia, c’è una mancanza di coordinazione ed una dissipazione generale. Si continuano e si aggravano i mali preesistenti.

Io ebbi la tentazione, quando esisteva la defunta Consulta, di discutere, o almeno di ricordare, il caso di una magistratura della Repubblica veneta. Nella Repubblica veneta erano in funzione dei magistrati speciali: gli «scanzatori» delle spese superflue. Questi magistrati avevano l’obbligo di proporre la soppressione di tutti gli uffizi inutili e tutte le spese superflue della Repubblica. Mi era venuta la strana idea di fare una proposta simile: ma poi ho pensalo che, forse, avrei ottenuto un risultato contrario. Nella tendenza alla dissipazione che impera si sarebbe cercato un palazzo o due o tre palazzi per questi «scanzatori» di pubbliche spese (Ilarità) e si sarebbero accresciute le spese.

Mi riesce difficile, se non impossibile, ammirare la funzione dello Stato attuale in Italia. Vi sono, non solo politicamente troppi disordini, ma vi sono, socialmente ed economicamente, troppi elementi che danneggiano l’economia del paese. Lo Stato è dissipazione. Spero che l’onorevole Corbino farà non solo solida ricerca, ma azione diretta a sopprimere la enorme massa delle spese superflue, per il personale inutile e per tutto ciò che dà al pubblico questo senso di malevolenza, di sfiducia ed avversione verso di noi. Io spero che si comincerà col togliere tante cose inutili e nel momento attuale dannose. Quando penso alla modestia che è osservata all’estero, anche nei più grandi paesi, questo contrasto con il disordine del governo italiano mi attrista ancor più. Lo Stato tollera la dissipazione e dal canto suo la pratica largamente. Io sono stato a colazione alla Banca d’Inghilterra con i più grandi personaggi del mondo, i quali sedevano modestamente alla stessa mensa; la stanza del Governatore era così modesta e semplice come quella di uno dei nostri più modesti direttori di banca. Quando fui a Downing Street a colazione col Presidente del Consiglio, la modesta casa, dove erano stati i più grandi domini dell’Inghilterra ed i più grandi Capi della politica mondiale, mi colpì. Dovunque ho trovato questo senso di modestia, che dopo il fascismo è scomparso del tutto; in Italia. Purtroppo questa situazione continua anche per opera di quelli che dicono di voler sopprimere pur le tracce del fascismo.

Spese inutili ovunque. Io penso non senza terrore al numero dei Ministri attuali è al numero inverosimile dei Sottosegretari. (Commenti).

Una voce. Lo abbiamo già sentito.

Altra voce. Ma la lezione va ripetuta, perché non è bastata. (Commenti).

NITTI. I Sottosegretari, di cui in Italia si è dimenticata l’origine, sono istituzione inglese, ed hanno uno scopo ben preciso. I Ministri inglesi non possono entrare in alcuna delle due Camere se non ne sono membri. Per necessità però il Governo deve esservi rappresentato. Ora, se il Ministro in Inghilterra è commoner, il Sottosegretario è Lord, o viceversa.

In Italia la introduzione dei Sottosegretari di Stato al posto dei segretari generali fu fatta al tempo di Crispi. Nessuno ci aveva pensato prima. Crispi era, nonostante le sue qualità, megalomane. In certo senso fu prefascista. Ora, Crispi, per ingrandirsi – come Mussolini – moltiplicava le prefetture, ecc. e creò i Sottosegretari di Stato al posto dei segretari generali. Vi furono buoni Sottosegretari di Stato, ma prima che l’istituzione si consolidasse.

È nota la storiella autentica di un Sottosegretario che diceva di preparare grandi riforme legislative da far presentare al Parlamento. Passava ore intere nella sua stanza dove non entrava alcuno. Un giorno il suo capo di Gabinetto e il suo segretario ebbero l’idea di spiare dal buco della serratura per vedere che cosa facesse il loro capo. Egli aveva dinanzi a sé un gran numero di giornali e, siccome, forse, aveva finito la lettura, gonfiava e sgonfiava le guance. (Ilarità). Ora, questa è probabilmente la sorte di qualcuno dei Sottosegretari di questi Ministeri, sopra tutto dell’attuale, dove vi sono anche Ministri che essi stessi non hanno nulla da fare, che non hanno alcuno scopo, non hanno alcuna funzione; che cosa devono fare?

L’ufficio di Sottosegretario di Stato si è avuto in passato in Italia, dopo la sua origine incerta, anche da uomini notevoli, e vi sono stati Sottosegretari insigni: Sonnino e Salandra sono stati Sottosegretari di Stato e così Fortis e Ferrari. Chi diventava allora Sottosegretario sapeva di avere una funzione. Io stesso ho avuti molti giovani sottosegretari che chiamai per la prima volta al Governo. È stato Sottosegretario l’onorevole De Nicola in due ministeri in cui ero io. Gli onorevoli Sforza, Paratore, Ruini, Grassi, Porzio, ecc. (cito solo quelli che sono in questa aula) hanno compiuto cammino nel mondo. Ma ora i Sottosegretari chi sono? E che cosa fanno? Bisognerebbe quasi tutti abolirli, ora che nessuno può spiegare la ragione della loro esistenza e invece vi è, per contentare incomposti appetiti, tendenza ad aumentarli.

Credete che il pubblico sia indifferente a queste cose, a questi sperperi inverosimili? Qualsiasi Sottosegretario implica la spesa di un gabinetto e accrescimento di impiegati, un’automobile o parecchie automobili, di un uffizio (qualche volta di un palazzo intero, ecc.).

Se non ci giudichiamo da noi, è il pubblico che ci giudica. Il pubblico è scontento e giustamente spesso ostile. Non ci illudiamo delle apparenze d’indifferenza: il pubblico vede e osserva e odia tutte le forme di dissipazione.

Io stavo, come tutti i miei predecessori, quando ero Ministro all’interno, in quel piccolo palazzo Braschi, che era più che sufficiente, e che ora non basta per un solo ufficio non ministeriale, tanta è l’ipertrofia di grandezza e di vanità venuta col fascismo e sviluppata dopo il fascismo.

Il Ministro degli esteri risiedeva al palazzo della Consulta, che pareva sontuoso, che tutti consideravamo come un locale elegante, e che ora non basta per un ufficio solo, per un Sottosegretario di Stato.

Ma vi pare che tutto questo il pubblico non senta? Quante sono le case di Roma occupate da uffici inutili, quanti, i locali abusivamente occupati? Rivolgo un invito all’onorevole Corbino: faccia una indagine seria e dica quanti sono posti occupati a beneficio di uffici inutili, soprattutto uffici di stralcio che poi si mantengono per successive autorizzazioni. Credete: vi sarebbero migliaia di case libere a Roma, dove oggi mancano gli alloggi, soltanto se si abolissero gli uffici inutili. (Commenti).

Noi dobbiamo dar prova di austerità, di modestia, di dignità, se vogliamo essere i rappresentanti di una repubblica democratica, e abolire e sopprimere tutto ciò ch’è superfluo o dannoso, o l’una cosa e l’altra.

La composizione dei Ministeri si fa sempre, come ho detto, in base al dosaggio. Vi prego di leggere i giornali di questi giorni: i posti sono stati stabiliti secondo il dosaggio a ciascun partito; tanti Ministri, tanti Sottosegretari. Nessuno si è chiesto qual è l’uomo che ha attitudini per un ufficio, qual è l’uomo che può portare un contributo di volontà o di competenza. E, peggio ancora, non si abbandona un posto, se non per riprenderlo per il partito con altra persona. Così è stato nel passato.

Anche gli Ambasciatori, anche i rappresentanti all’estero, con successo o con insuccesso, sono stati nominati con questo criterio. In conseguenza ogni Governo rappresenta il culto della irresponsabilità e della incompetenza.

Io sono stato sorpreso in questi giorni dalla creazione di alcuni Ministeri che la fertile fantasia del Presidente del Consiglio ha voluto inventare, Ministeri che spesso non esistono in nessun paese e di cui è difficile dire la ragione. A tre membri del Partito della Democrazia cristiana, che senza dubbio meritavano anche di più, sono stati assegnati tre Ministeri che mi hanno veramente sorpreso: la Marina da guerra, la Marina mercantile e l’Aeronautica! (Commenti).

CONTI. La Repubblica non c’è ancora! Questi sono costumi del parlamentarismo monarchico. Il vostro è un discorso contro la repubblica! Fate del male all’Italia! (Commenti – Rumori. Scambio di apostrofi fra l’onorevole Conti e l’onorevole Bellavista).

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, continui il suo discorso e non raccolga le interruzioni.

NITTI. Questi tre Ministeri non esistono in gran parte dei paesi e qualcuno dei nuovi Ministeri è solo ridicolo in altri. Perché si sono creati questi nuovi ministeri? L’onorevole Micheli, che è un uomo dabbene, ha avuto la Marina da guerra; l’onorevole Aldisio la Marina mercantile, che non c’era mai stata come Ministero autonomo, anche quando vi era una marina, che ora non esiste.

MICHELI, Ministro della Marina da guerra. Quando c’era lei, c’era De Vito. Fu sotto di lui che ebbe inizio la marina mercantile.

NITTI. No, è vero perfettamente il contrario. Non ebbi mai un Ministero speciale per la marina mercantile e nessuno lo ebbe; vi fu transitoriamente un sottosegretariato.

Una voce. Questo è disfattismo! (Rumori).

GIANNINI. Questa non è libertà di parola! (Interruzioni – Rumori– Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, continui. Vorrei esortare tutti ad una maggiore serenità. (Approvazioni).

NITTI. Perché creare un Ministero dell’aeronautica? Come volete che in questa dissipazione si trovi una spiegazione?

Perché mantenere un Ministero del commercio estero, che non ha scopo, quando da semplice logica dice di unire il commercio estero a quello interno nel Ministero dell’industria? (Interruzioni).

SAGGIN. Non si serve l’Italia in questo modo. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Saggin, la prego di non interrompere.

NITTI. Io speravo invece di vedere la fusione del Ministero del tesoro col Ministero delle finanze. I due Ministri del tesoro e delle finanze, in concorde discordia, vanno per vie diverse. Gli onesti, ma spesso mal congegnati e duri procedimenti del Ministro delle finanze verso i produttori fanno qualche volta ricordare il vecchio proverbio della cucina piemontese «il coniglio ama di essere scorticato vivo». Vi sono tormenti inauditi o non necessari. Perché tenere separati il tesoro e le finanze, quando la loro funzione in quest’ora è comune? Il Ministero delle finanze si lasciava in passato a uomini di poca intelligenza, perché il vero Ministro era il Ministro del tesoro: Il Ministero delle finanze aveva i migliori capi e grandi direttori generali, e tecnici di valore, ma il Ministro aveva poco da fare. Il Ministero delle finanze era il Ministero della riscossione, che agiva sotto l’indirizzo del Ministro del tesoro. Dividerli in questo periodo è grande errore, perché il Ministro del tesoro deve coordinare tutti gli sforzi nella stessa direzione.

Quando si sono creati tanti Ministeri, valeva, invece, la pena di ricostituire l’unico Ministero delle finanze, come si chiamava prima, e riunire i Ministeri del tesoro e delle finanze in un solo Ministero. Ripeto: il Ministero delle finanze era affidato spesso in passato – tranne qualche eccezione, come nel caso del mio amico Meda – a uomini di scarso intelletto. Tanto che vi fu a lungo un uomo, che fu definito il più grande imbecille di tutti i tempi, il Ministro Facta, che consegnò l’Italia al fascismo.

Una voce. Anche lei fu Ministro delle finanze. (Commenti).

NITTI. Lei non sa nulla e confonde. Io fui Ministro del tesoro.

Comunisti, democristiani, socialisti e repubblicani, almeno come rappresentanza, operano insieme nel Governo, ma operano con attitudini e tendenze diverse, ed in diversa forma.

Alla interruzione dell’onorevole Conti, che mi parlava della repubblica, devo dire che noi dobbiamo essere legati in questo periodo alla Repubblica, perché, bene o male che sia stato, ora non si potrebbe nemmeno dai monarchici disfare ciò che si è fatto senza un’orrenda guerra civile e senza il sovvertimento dell’Italia. Questa questione non esiste più. Non facciamo questione di Repubblica o di Monarchia; ciò veramente equivarrebbe a indebolire la Repubblica.

Dissi anche ieri all’onorevole Conti, che mi stava vicino, che io non mi ero alzato quando qualcuno aveva gridato: «Viva la Repubblica!», perché la repubblica non è ora materia di discussione quotidiana, da applaudire sul processo verbale, ma deve essere considerata da noi come acquisita.

Dobbiamo ora preoccuparci di avere una buona e onesta repubblica, che sia rappresentata da governi onesti e intelligenti. Il pericolo della repubblica è solo nei suoi errori. O la repubblica sarà ordinata, unitaria e rispettabile e avrà la forza nel prestigio della sua opera, o non sarà.

La repubblica non si difende con le parole, con le grida e ancor meno col premio della repubblica, o con l’ingiunzione di gridare o di scrivere nelle strade «Viva la repubblica!». (Commenti – Interruzioni) Si difende e si afferma con lo opere. La repubblica deve essere ordinata, ma anche – înon vi scandalizzate della dichiarazione mia – deve essere conservatrice (Commenti). Voglio dire conservatrice di quelle forme politiche e sociali che sono necessarie alle stabilità del potere ed all’ordinamento delle funzioni sociali.

I principî che adotteremo devono essere applicati con onestà e con ferma volontà. Lontano dal bolscevismo per le mie idee, io riconosco i suoi sforzi di costruzione anche con il sacrificio di una parte della popolazione.

Io ritengo di avere molti meriti verso il bolscevismo, meriti che penso i miei amici comunisti non abbiano dimenticato.

Fu per mio merito che l’Italia non mandò un solo soldato, né un solo fucile in Polonia, contro la Russia. Io mandai il primo messaggio – i vostri capi lo ricorderanno – al Governo dell’U.R.S.S. per sollecitare la ripresa dei rapporti fra la Russia e il resto della Europa. Io opposi pubblicamente al conservatore Tardieu la necessità di fare una politica senza diffidenza verso le istituzioni bolsceviche, per non mettere il bolscevismo contro l’Europa, né l’Europa contro il bolscevismo. Infine io mi opposi a ogni aggressione alla Russia e sciolsi la spedizione italiana che nel 1919 prima di me era stata preparata per occupare ingiustamente un grande territorio russo, la Georgia.

Ogni paese deve darsi all’interno la forma che crede la più opportuna e non importa agli altri che non hanno né la necessità né la volontà di farla propria.

L’Italia non ha mai avuto né una grande rivoluzione, né una grande guerra di religione. Non è fondamentalmente e non fu mai grande paese rivoluzionario.

L’onorevole Corbino, che credo di veder qui, ha consentito – dopo averlo negato – a dare quello che si è chiamato il premio della Repubblica, cioè un aumento ad operai, salariati e funzionari. Non ci ha presentato ancora il conto di questa concessione.

Presidenza del Vicepresidente TERRACINI

È stato utile? Era necessario? L’onorevole Corbino non lo credeva necessario, tanto che è stato annunziato che non voleva e anche opponeva il suo ritiro e la sua non partecipazione al Governo. Poi, per una serie di avvenimenti, l’onorevole Corbino ha partecipato al Governo, ha ceduto ed ha accettato ciò che non voleva. L’onorevole Corbino è un uomo di ingegno, è un uomo che ha preparazione di studi. Ha però un difetto: una natura profondamente ottimistica. Egli vede tutto color di rosa. Io conto di avere qualche conversazione con lui sulla situazione economica e finanziaria. (Si ride). L’onorevole Corbino ha qualche cosa che lo ravvicina alla Christian Science, che è una confessione religiosa diffusissima in America. Gli aderenti a tale confessione risolvono tutto con la fede, con la preghiera. Le malattie guariscono con la preghiera. Hanno un grandissimo giornale che si chiama il Christian Science Monitor. Questo giornale è forse uno di quelli che hanno in America la migliore cronaca di politica estera. I credenti in questa religione dicono che non si guarisce dai mali per mancanza di fiducia. Chi ha fede guarisce; ed allora curano tutte le malattie con la preghiera. Naturalmente molti malati muoiono, ma la Christian Science vive. Poi vi è in Francia un metodo ancora più nuovo, che si chiama il metodo Coué, e consiste nell’idea che ogni malato che soffre deve dire a sé stesso e agli altri che tutto va bene e di non avere sofferenze. Allora guarisce con la sola convinzione di non aver malattia.

L’onorevole Corbino ha un po’ del metodo Coué e della Christian Science. Il metodo può fare anche del bene, ma non bisogna abusarne. Io aspetto dalla pubblica discussione della nostra finanza molti chiarimenti. Vorrei vedere l’Italia con tutti i suoi migliori uomini uscire dalle dure difficoltà dell’ora presente ed è bene che l’onorevole Corbino dissipi i miei dubbi. (Commenti).

Mai, dalla fine del secolo decimoquinto a ora, l’Italia traversò ore più terribili. Dai tempi di Clemente VII ad oggi mai l’Italia ha avuto una così grande umiliazione, una così grande disgrazia, come quelle che ora son cadute sul suo capo. In tutti i campi, di fronte allo straniero, nella vita interna, noi siamo umiliati e in stato di sofferenza. Vediamo con dolore la massa delle nostre sventure; e qualche volta mi viene in mente il grido che Shakespeare attribuisce ad Andromaca. Di fronte alla caduta di tante cose, all’umiliazione di tanta parte della nostra vita, viene la voglia di dire con Andromaca: «Piaccia agli dei che io abbia ancora qualche cosa a temere». Noi abbiamo toccato il fondo di dure sofferenze e di gravissime umiliazioni. Dobbiamo ora essere forti, avere il proposito di tenerci uniti, vedere il pericolo e avere il coraggio di osare.

Dobbiamo essere ormai convinti che la nostra situazione economica e finanziaria non è senza gravità. Da una sola cosa ci siamo però finora difesi: dall’inflazione. Abbiamo una massa enorme di circolazione; ma bisogna dire che non è stata colpa del Governo italiano se abbiamo una circolazione che si avvicina ai 400 miliardi. Questa cifra è gravissima, ma diventerebbe spaventosa, se noi anche di poco la aumentassimo. Bisogna dire, ad onore dei Ministri del tesoro che si sono succeduti, che tutti e tre i Ministri del tesoro, Soleri, Ricci, Corbino, che vi sono stati, non hanno ceduto alla tentazione dell’inflazione: tutti e tre non solo non ne hanno abusato, ma ne sono rifuggiti.

In fondo di quella massa che costituisce la nostra circolazione, che ammonta ora a 389 miliardi e che era nel 1938 poco meno di 20 miliardi, la responsabilità spetta al governo tedesco, al governo di Mussolini, e anche ai nostri, diciamo… alleati. Perché il 61,2 per cento di questa inflazione è dovuta al governo tedesco e a quello fascista, il 37,8 per cento agli alleati e soltanto l’1 per cento ai nostri ministri. Ma appunto perciò bisogna ora evitare che si cambi metodo e si venga all’inflazione. Io raccomando all’onorevole Corbino, in tutti gli impegni che assume, di evitare ad ogni costo qualche cosa che ci spinga ancora ad aumentare la circolazione. È inutile parlare, nell’ora attuale, di pareggio del bilancio, né di rivalutazione della lira; fino a quando la differenza sarà enorme, fra entrate e, spese, è inutile sperare in un rapido miglioramento, ma la lira, così com’è ora ridotta, dev’essere mantenuta con ogni sacrificio. E la inflazione sotto forma di nuove emissioni di carta deve essere ad ogni costo evitata. E però nuove spese, a cui sia impossibile provvedere con mezzi ordinari e straordinari, devono essere ad ogni costo evitate.

Io ricordo quando venne alla Camera il povero Matteotti. Era arrivato assai giovane, pieno di buona volontà. Aveva uno spiegabile orgoglio. Era presidente del Consiglio provinciale della sua provincia… aveva dato molto denaro per le cooperative socialiste e… ne aveva anche perduto. Era circondato da simpatie.

Giunto alla Camera, fece un amaro discorso finanziario contro di me. Io dal banco del Governo non lo contradissi, non lo interruppi; presi nota di tutto. Era caduto in errori di inesperienza, aveva confuso partite diverse del bilancio, aveva male interpretato la funzione dei residui e aveva confuso, perfino, alcune cifre dell’attivo con quelle del passivo, e viceversa. Io mi accorsi di ciò e tacqui. Ma quando gli risposi, cominciai col lodare la sua intelligenza, la sua facondia, e poi dissi soltanto: «È accaduto però che ha confuso alcune cifre dell’attivo con il passivo». Fu uno scoppio di risa, di cui dopo mi pentii. Mi aspettavo che l’onorevole Matteotti mi dicesse delle insolenze, invece all’uscita mi aspettò serenamente e con un sorriso. Aveva grandi, buoni e dolci occhi, e mi disse: Io sono stato troppo poco prudente.

Noi dobbiamo avere la coscienza che la ricostruzione nazionale di un Paese devastato non si fa che con l’economia, con l’ordine e il lavoro e soprattutto trasformando il capitale circolante in capitale fisso.

Noi dobbiamo imporci tutti i sacrifici che possano giovare a questo fine; dobbiamo avere anche la persuasione che noi non possiamo ora tornare alla prosperità, se non attraverso grandi e lunghi sacrifici. Quando si dice che bisogna tornare ora alla situazione dei salari dell’ante guerra, si mentisce, perché non si può. Dal 1938 a ora i salari sono aumentati di 14 volte, il costo della vita di 23volte; gli stipendi degli impiegati di 6 volte per i più alti e di 12 volte per i minori. Ma noi non possiamo aumentare oltre stipendi e salari, senza accrescere la produzione. Quelli che chiedono aumenti di salari hanno ragione, ma tutti devono pensare che il reddito nazionale è diminuito del 45 per cento ed il capitale nazionale del 20 per cento. Se non si ricostituisce la produzione, non si potrà mai arrivare a veri e reali miglioramenti.

Io dicevo nel 1919 una frase che poi mi fu rimproverata, anche in forma grossolana: «bisogna lavorare di più e consumare di meno». Qualche esaltato osò dire che bisognava invece produrre meno e consumare di più.

L’Italia per la sua struttura economica, è paese che più degli altri deve produrre con ogni sforzo e risparmiare. Un insigne statistico francese (Alfred de Foville) fece al principio di questo secolo calcoli accurati sull’ammontare della ricchezza nei principali paesi. Calcolava la ricchezza dell’Italia a poco più della metà della Francia, a poco più di un terzo della Germania e poco meno di un quarto dell’Inghilterra. Le proporzioni sono poi molto variate. De Foville diceva, non senza una certa ironia, che l’Italia è, secondo la frase di Rabelais, malata di impecuniosità.

Riteneva che in Italia vi fossero allora circa 1500 milionari. Allora la moneta non si distaccava mai molto dal corso dell’oro. Ora quanti sono i milionari? 100 mila, 200 mila? Più ancora? Chissà! Sono in grandissimo numero, quando si pensa alla svalutazione della moneta. A Roma, per un piccolo appartamento di 5 stanze, sono stati pagati 3 milioni e per un appartamento di una cooperativa di 8 ne sono stati pagati 5. Se continua questo stato di cose, noi saremo tutti milionari ed avremo poi il solo pericolo di diventare tutti miliardari per ulteriore caduta della moneta.

Si parla con grande facilità nei discorsi elettorali di nazionalizzazione e statizzazioni. Signori, vorrei leggervi un lungo studio a questo proposito; mi limito ad affermare che non esiste in Europa nessun Paese che abbia tanto nazionalizzato come l’Italia. Solo la Russia ha superato l’Italia nelle statizzazioni.

Io feci nel 1911 la più grande statizzazione: il monopolio delle assicurazioni e questa fu la più grande trasformazione politica ed economica che sia stata fatta in Italia, perché metteva lo Stato in condizione di provvedersi da sé. Tutto ciò senza nessuna spesa da parte dello Stato.

Le nazionalizzazioni sono cosa di cui non bisogna abusare. Si può nazionalizzare quando si ha la certezza che si potrà far meglio dell’industria privata, non quando è il contrario.

Non devo abusare della vostra pazienza. Devo raccomandare agli amici miei di lavorare con senso di continuità. Non solo nel campo economico si abusa delle esagerazioni, ma anche nel campo politico. L’iperbole è diventata figura letteraria comune. Si esagerano anche le colpe, si diffondono i sospetti più gravi, solo per impressionare il pubblico.

Bisogna non logorare i nervi del paese. Non si può turbarlo continuamente con notizie mirabolanti, soprattutto se non sono vere.

Si è parlato molto, ad esempio, di una misteriosa lista dell’O.V.R.A., che sarebbe stata pubblicata, e che era o doveva essere lo spavento di tanta gente. Si sono fatte tante e tante anticipazioni e pretese rivelazioni su questa lista. Bisogna pensare che la polizia italiana disponeva nel ventennio di 800 milioni di lire l’anno. Poi la lista dell’O.V.R.A. è uscita. Vera, non vera, ma quale miserabile delusione dopo tanti fieri annunzi! La lunga lista non contiene che un miserabile elenco in grandissima parte di ignoti.

Così per le piccole come per le grandi cose. Tanto danaro, per quei poverelli che sono compresi nell’elenco dell’O.V.R.A., povera gente che si contentava delle migliaia di lire e che non faceva operazioni in grande. Ma credete, onorevoli membri del Governo, che non sia senza pericolo abusare dell’attesa del popolo, ed eccitarlo anche per mezzo della stampa dei partiti di governo, lanciando queste notizie per poi farle scomparire? Piccoli e grandi errori.

Noi siamo minacciati dalle più dure prove, ed ora tra le tante che minacciano il nostro territorio vi è anche quella indeterminata minaccia delle riparazioni. Io combattei sempre le riparazioni di guerra. Ho avuto il merito, dopo la vittoria, di non far mai iscrivere alcuna cifra di riparazioni nel bilancio italiano e non ho mai creduto seriamente alle riparazioni, con grande scandalo della Francia e con irritazione di Clemenceau, al quale dispiaceva quando io dichiaravo che esse sono distruzione inutile del vinto e, poi, danno del vincitore.

Non credetti mai alle riparazioni e non credo ora a quelle che si chiedono a noi non solo dai grandi Stati, ma anche da piccoli Stati, poveri Stati, che ho visto supplici di fronte a noi e con cui siamo stati benevoli e indulgenti. Anche l’Albania chiede riparazioni, forse per averci dato una parte dei suoi insetti e probabilmente una buona dose di quella grave forma di malaria che era quasi scomparsa in Italia.

Tutti osano chiedere all’Italia, e non ho visto da parte del Governo, non dico fare delle dichiarazioni altere… Anche l’attuale Presidente della Repubblica austriaca, Renner, anche il suo governo, chiede qualche cosa a noi e dimentica quando, nel 1919, egli e i suoi colleghi del governo vennero a chiedermi a Roma e come io li accolsi e li aiutai.

Soffro al pensiero che a noi si possa domandare anche da chi non ha alcun diritto e per cui è grave torto chiedere. In materia di riparazioni noi dobbiamo dichiarare che non possiamo darne.

Mi duole molto che queste richieste, tanto territoriali come patrimoniali, vengano anche da parte della Francia che è il paese dove sono nati quasi tutti i miei nuovi discendenti, dove un mio figlio ha fatto una delle scoperte più grandi della medicina moderna e dove l’immagine di una mia gloriosa figlia è alla Sorbonne, dove ha lasciato il ricordo della sua virtù e del suo valore. Non posso parlare della Francia senza rispetto e affezione. Non dirò dunque parola alcuna che sia poco amica. Sono stato e sono amico a tutti i capi francesi e con essi ho avuto vera intimità.

Una voce. Onorevole Nitti, questa è la Costituente!

NITTI. Ma nemmeno le riparazioni sono cose di cui la Costituente si deve occupare? E allora di che si deve occupare?

Alla Francia si deve parlare con lealtà ed evitare malintesi ed equivoci. Quante false leggende sono state diffuse! Dirò che in Francia non si è nel vero quando si afferma che, con Mussolini, l’Italia ha pugnalato la Francia. Non è vero. Qualunque giudizio si dia di Mussolini, la verità è che egli fu sempre un nemico della Francia. Lo dichiarò in tutti i modi. Il suo incontro con Laval, a Roma, nel gennaio 1935, non avvenne per amicizia alla Francia. Fu per una comune azione che avrebbe anche forse soppresso la libertà in Francia e che avrebbe messo l’Italia e la Francia contro l’Inghilterra. Così sono false tutte le leggende sulle colpe dei militari italiani in Francia. Essi furono nel complesso onesti e stimati.

Le accuse diffuse nel pubblico sono ingiuste e false. Non è vero il luogo comune che si ripete sempre: noi e i francesi, se non siamo della stessa razza, siamo della stessa civiltà. Noi siamo paese di civiltà e di lingua affine, e quindi vi è una comunità di natura, non vi è una comunità di razza.

La Francia e l’Italia sono paesi che per necessità, nel comune vantaggio, devono intendersi e vivere insieme e d’accordo se vogliono salvarsi. La Francia può essere molto utile all’Italia, ma l’Italia può dar molto alla Francia.

La Francia è demograficamente in una situazione assai grave. Presenta il fenomeno, senza precedenti, di un grande paese in cui le nascite diminuiscono tutti gli anni e viceversa le morti non diminuiscono e spesso aumentano. La Francia ha prevalenza di vecchi. Il numero delle nascite in Francia è irrilevante, mentre il numero dei morti è preoccupante. La Francia non si salverà se non aumentando le nascite, diminuendo le morti e per parecchi anni introducendo elementi giovani di popolazioni di civiltà affini. Salverà più facilmente il suo avvenire solo con una unione intima e cordiale con l’Italia. Ho esposto tante volte ai capi partiti francesi questa necessità. Noi dobbiamo diventare, Francia e Italia, quasi un solo Paese.

L’interesse è comune. La Francia non può trovare una massa di lavoratori giovani e capaci e abili se non in Italia. La Spagna può dare pochissimo. Il Belgio può dare una emigrazione solamente stagionale e limitata. La prova dell’immigrazione slava, soprattutto polacca, è fallita. I polacchi trasportati per il lavoro delle miniere non si fusero mai con la popolazione francese. Gl’italiani si fondono quasi immediatamente e i figli degli italiani diventano subito francesi. Nessuna serietà nel parlare delle popolazioni del Nord Africa. La Francia ha il bisogno, la necessità del nostro apporto. Essa può rapidamente rinnovarsi, l’ho detto ai francesi più autorevoli e a tutti i capi, solo almeno con 4 milioni di italiani in una serie di anni, che possono rinvigorire le energie di lavoro. Noi e la Francia dobbiamo essere uniti e dobbiamo avere le stesse necessità di vita e, per vie diverse, contribuire alla comune salvezza. La Francia ha più interesse di noi alla ripresa delle buone relazioni con l’Italia. I francesi sono un grande popolo, ma spesso con essi l’intesa non è facile, hanno un antico difetto: non vogliono mai essere giudicati e basta la più piccola osservazione per offenderli. Bisogna, con i francesi, agire con garbo, ma bisogna arrivare al risultato dell’intesa e dell’unione.

Ora siamo chiamati a fare la Costituente. Imiteremo, spero, la Francia in tante cose, non già nella varietà e molteplicità delle sue costituzioni. La Francia è il paese d’Europa che ha dato il maggior numero di costituzioni. Dal 1791 fino ad ora, presso a poco in 150 anni, la Francia ha mutato 13 volte la sua costituzione, mentre l’America ha mantenuto la propria dal 1787, e prima ancora, dalla costituzione dl Virginia; in Inghilterra vi sono state quattro costituzioni secolari, che forse pochi han letto, ma che durano sempre. Nation volage, come diceva severamente e ingiustamente Chateaubriand della Francia politica: cambia spesso di regimi e anche di costituzione.

Noi abbiamo bisogno di fare una costituzione adatta a noi, equilibrata, senza sogni vani, che abbia sicura una durata che garantisca il nostro avvenire. Leggo che la costituzione demandata alla nostra Assemblea è rinviata ad una Commissione, incaricata di prepararla, mentre un’altra Commissione è incaricata di studiare i trattati con l’estero. In fondo d’importante non c’è che la Commissione della costituzione che è nello stesso tempo, troppo o troppo poco numerosa.

Io avrei voluto che i capi dei partiti di massa avessero espresso le loro idee sulla forma della costituzione e sulle linee essenziali.

Non si può sempre improvvisare. Siamo minacciati di andare a questa Commissione, numerosissima, che fu formata, ed in questa Commissione saremo, a quanto si dice, raggiunti da pubblicazioni enormi e che – mi si assicura – arrivano al rispettabile peso di circa 15 chilogrammi. Se vi saranno io non le leggerò. È regola fondamentale: Oportet studuisse, non studere. Prendete uno dei questionari. Quante domande? Vedete se siete in condizioni di rispondere. Io mi auguro, signori, che noi faremo a meno di tutti quei questionari ed andremo noi stessi a fissare le linee principali del nostro lavoro. Noi dobbiamo elaborare la costituzione in otto mesi. La dobbiamo votare e dobbiamo votare nello stesso tempo – questa è la cosa che più desidero – la nuova legge elettorale. Non possiamo andare alle prossime elezioni per le Camere legislative repubblicane con una legge così cattiva, come quella in grazia alla quale siamo qui, e che veramente non è ammirevole e non è nemmeno seria.

Ora, se sbrighiamo. il nostro lavoro, secondo la disposizione della legge, in otto mesi, il 25 febbraio 1947 tutto sarà finito; in modo che le elezioni si potranno fare facilmente, perché, dopo due mesi, vi sarà il tempo più favorevole per i comizi elettorali. Se invece si ritarderà di quattro mesi, le elezioni dovrebbero farsi di estate e non si potranno fare. Quindi, il nostro desiderio è di organizzare il nostro lavoro in tal guisa che la costituzione sia pronta e possa essere approvata entro il detto termine di otto mesi.

Devo ora chiedere all’onorevole De Gasperi qualche cosa che personalmente lo riguarda.

L’onorevole De Gasperi ha in quest’ora il peso più terribile. Egli è Capo del Governo; è capo del suo partito o, come siì dice, segretario del suo partito (Interruzioni) ciò che assorbe in gran parte la sua attività. Egli è Ministro dell’interno ed, ad interim (poiché il posto è riservato all’onorevole Nenni), Ministro per gli affari esteri. Egli si deve occupare poi di tutte le questioni della vita nazionale e di tutti i rapporti essenziali della vita economica e si deve occupare soprattutto della pace.

In Inghilterra, il Capo del Governo non ha nessun Dicastero, perché fa il lavoro di coordinamento; tanto meno pensa di essere Ministro degli esteri e ancor meno Ministro dell’interno; ma non tutte queste cose assieme. E quante cose crede invece di poter fare l’onorevole De Gasperi?

L’onorevole De Gasperi si dovrebbe sempre muovere e non si può muovere. Egli è da gran tempo Ministro degli esteri. È stato Ministro degli esteri nel Gabinetto Bonomi, poi nel Gabinetto Parri, e poi nel suo stesso Gabinetto. Errore! Il Capo del Governo non deve essere mai Ministro degli esteri. Lunga esperienza dimostra che il Capo del Governo, nelle ore difficili, deve essere sempre pronto a sacrificare il Ministro degli esteri e il Ministro degli esteri deve sempre poter ricorrere al Capo del Governo, al Presidente del Consiglio nei casi dubbi e nei casi in

cuinon vuole, o non può dare risposta a rappresentanti stranieri.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. È una disgrazia che capita anche in Francia.

NITTI. E la Francia non è l’esempio migliore; essa ha avuto da questa confusione non poco danno.

Ora, l’onorevole De Gasperi unisce a tutto questo qualcosa che non si verifica in Francia, cioè la direzione del partito più numeroso che controlla la vita italiana. (Interruzioni). Unisce, nello stesso tempo la direzione di questa Costituente, presso di cui egli rappresenta il Governo ed in cui viene con i pieni poteri che gli sono conferiti dalla legge e con funzione molto importante.

L’onorevole De Gasperi come Ministro degli esteri avrebbe dovuto assai volte muoversi e viaggiare. L’onorevole De Gasperi doveva fare quello che non ha fatto. Noi non abbiamo mai avuto alleati dopo la guerra. Questa degli alleati è una bugia che è stata diffusa nel nostro Paese. Non ci è mai stato nessun atto formale e politico che ci dia diritto di parlare di alleati. Abbiamo vincitori diffidenti od ostili, e qualcuno soltanto benevolo. L’onorevole De Gasperi doveva muoversi: otto mesi fa, dieci mesi fa, prendendo qualsiasi occasione per andare in Francia e in Inghilterra. Ora è troppo tardi. Doveva stabilire dei contatti personali. Io parlo per diretta conoscenza: so quanto contino in questa materia i rapporti personali. Quando giungevo in Inghilterra, nella mia qualità di Presidente del Consiglio ero oggetto di manifestazioni ufficiali da parte del Governo e dei suoi capi. Ma quando ero esule ero accolto come l’amico desiderato. Lloyd George voleva che andassi a colazione con lui e con i suoi colleghi più eminenti a Westminster. Il capo dei laburisti Mac Donald volle perfino offrirmi una colazione anche lui in una sala di Westminster con l’intervento di tutti gli uomini politici più importanti del suo partito.

Un giorno Mac Donald mi fece un brindisi che fu riportato da tutta la stampa inglese ed ebbe grande eco. Disse che presto io dovevo tornare in Italia e diventare capo del Paese al posto che m’era dovuto. Come vedete anche un esule poteva trovare rispetto personale da parte di un grande capo. L’onorevole De Gasperi avrebbe dovuto trovare in questo tempo il modo di stabilire dei contatti in Francia e in Inghilterra e farci apprezzare e far sentire la voce del suo Paese.

Sì, tutta la diffidenza degli alleati o non mai alleati io conosco, ma l’onorevole De Gasperi poteva aver modo di andare e di dire quelle parole che potevano penetrare l’anima inglese.

Ci voleva tutta la stupidità di Mussolini per dire che l’Inghilterra è il nostro eterno nemico. La verità è il contrario. Nella sua storia l’Inghilterra non ha mai partecipato ad alcuna guerra contro l’Italia e sempre che ha potuto ha aiutato il nostro Paese.

Sono sicuro che se l’onorevole De Gasperi, anche dopo la politica criminale di Mussolini, avesse saputo arrivare agli Inglesi e avesse spiegato tante cose (so quello che mi si dirà a questo riguardo e so quello che devo rispondere) molti avvenimenti sarebbero stati diversi.

L’onorevole De Gasperi si è lasciato prendere degli avvenimenti della politica interna anche quando era soltanto Ministro degli esteri.

È duro essere a capo di un’organizzazione e di vedere tutto attraverso quella organizzazione. Si diventa vittima di se stesso. Avere nello stesso tempo la Presidenza, il Ministero dell’interno oltre ad essere Ministro degli esteri ad interim… e segretario del partito.

Voci. Basta! Basta!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri, Lasciate dire! Io risponderò poi.

Una voce. Dovremo chiedere i pareri a lei!

NITTI. Volentieri: sono, se volete, a vostra disposizione.

L’onorevole De Gasperi è certamente un uomo intelligente; ma oso dire che nemmeno Cavour, assistito da uomini come Talleyrand, Sir Robert Peese e Bismarck, potrebbe adempiere simile compito. Non gli basterebbe neanche un cervello più grande della cupola di San Pietro (Si ride) per caricarsi di un simile lavoro.

Io invito l’onorevole De Gasperi – ed è questo un invito che voglio fargli alla fine del mio discorso – a pensare che noi siamo vana cosa, piccoli uomini che scompariremo più presto che non crediamo dalla scena politica (Commenti) e che dobbiamo dare conto di quello che facciamo e di quello che vogliamo fare. Pensi, onorevole De Gasperi, che questo è un consiglio da amico. Ripeto ancora che non aspiro ora a nulla. (Rumori).

CHIEFFI. Speriamo che l’Italia non abbia più bisogno di lei! (Commenti).

NITTI. Una rispettosa e ferma richiesta all’onorevole De Gasperi: conservi la Presidenza del Consiglio, dia a questo ufficio la dignità che è necessaria, mista a fermezza e a coraggio; mostri di fronte ai vincitori non linguaggio flebile e incerto, ma sicuro e chiaro, non sia disposto ad inutili concessioni, ma abbia contegno fiero. Bisogna, anche nel dolore, e soprattutto nel dolore, avere fierezza.

Ma l’onorevole De Gasperi non può, senza la rovina di tutti, e del suo stesso partito, essere nello stesso tempo Capo del Governo, Capo del partito, Ministro dell’interno, Ministro degli esteri. (Interruzioni – Rumori). Tutte queste funzioni non aumentano il prestigio di chi le ha, ma lo diminuiscono. Ed io, rivolgendo questa rispettosa preghiera all’onorevole Presidente del Consiglio (preghiera che non ha nessun carattere di diffidenza e non contiene nessun sentimento che non sia  volto all’interesse del Paese), spero che ascolterà il mio invito. Io vi prego, onorevole De Gasperi, di pensare in questo momento soltanto all’Italia e vi invito a compiere quell’atto di grandezza e di modestia, allo stesso tempo, che vi ho chiesto. (Applausi).

 

(La seduta, sospesa alle 18,45, è ripresa alle ore 19,15).

Presidenza del Presidente SARAGAT.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bencivenga; ne ha facoltà.

BENCIVENGA. Egregi colleghi, sarò brevissimo, limitando il mio dire su alcune questioni essenziali. Premetterò un cenno sul risultato delle elezioni.

È innegabile che esse hanno segnato la condanna dell’operato dei governi del Comitato di Liberazione Nazionale. La nostra opposizione non era dunque opera di faziosi!

Di fatto, nonostante che le elezioni siano state fatte sulla base di una legge arbitrariamente architettata al fine di conservare il potere; nonostante tutti i mezzi messi in opera dal Governo per realizzare questo fine, tre dei partiti – quelli non retti da rigida disciplina – sono miseramente crollati; e, ciò che è più significativo, si è che taluni dei capi più rappresentativi e che tennero alte cariche di governo, non hanno ottenuto neppure il suffragio degli elettori.

Egli è che tutta la responsabilità delle tristi condizioni – sia nel campo della politica interna sia in quello internazionale – nelle quali si trova oggi il nostro Paese ricadono sui governi del Comitato di Liberazione Nazionale. (Interruzioni – Rumori – Commenti).

Su di essi ricade la grande responsabilità di aver disorganizzato l’ordinamento dello Stato (Interruzioni) virtualmente eliminandone il Capo; quella di aver perseguito all’interno una politica di vendette e di persecuzioni, gravemente compromettendo l’unità morale del popolo italiano (Interruzioni); quella soprattutto – nel balordo intento di colpire il fascismo – di aver ammesso la piena responsabilità del popolo italiano nello scatenamento della guerra.

Non giova, onorevole De Gasperi, battersi il petto e recitare il mea culpa. La Germania, che pur aveva piena consapevolezza di aver scatenato la guerra nel 1914, non volle mai ammettere la sua responsabilità; ed ottenne maggior rispetto!

Una voce. Non è vero!

BENCIVENGA. Per due anni, noi non abbiamo avuto un Capo dello Stato. Non il sovrano, coi poteri inerenti alla sovranità, non un presidente di repubblica, sia pure provvisorio, che quei poteri esercitasse!

Si ebbe, per contro, una vera e propria dittatura di uomini, che non ebbero alcuna investitura legittima di potere. Essi non ebbero così l’autorità ed il prestigio che da una regolare investitura consegue; ebbero per contro il discredito derivante dal sospetto di una investitura, od almeno del consenso dello straniero! Ed in realtà, se si pensa al numero degli emigrati che ne fecero parte – autorevole per giunta! – non vi è da meravigliarsi che tali governi risvegliassero il ricordo di quei governi della Restaurazione in Francia dopo il crollo dell’impero napoleonico!

Come gli emigrati della rivoluzione francese, i nostri rientrarono in Patria al seguito delle armi straniere. (Rumori vivissimi – Scambio di vivacissime apostrofi – Agitazione).

TONELLO. Che cosa dice? Insultatore, bestemmiatore della verità!

I profughi entrarono a testa alta in Italia!

Una voce. Abbiamo fatto tutto noi! Abbiamo avuto i nostri morti per lottare contro il fascismo! Ritiri le accuse!

PRESIDENTE. Sono convinto che le parole dell’onorevole Bencivenga hanno tradito il suo pensiero. Lo invito perciò a rettificare; poiché si è espresso certamente in termini inammissibili. (Vive approvazioni).

TONELLO. Ritiri quello che ha detto!

BENCIVENGA. Non ho niente da dire. Il discorso era quello che era. Se mi avessero lasciato continuare, gli onorevoli colleghi avrebbero sentito che non c’era offesa per nessuno. Rinuncio perciò alla parola. (Rumori vivissimi – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Bencivenga ha dichiarato che non voleva offendere nessuno. Siccome le espressioni da lui usate sono, tuttavia, offensive, devo ritenere che esse, per lo meno, non siano state felici. (Commenti).

BENCIVENGA. Domani, se il Presidente crede, farò una dichiarazione sul processo verbale, dalla quale si potrà trarre la deduzione che io non intendevo offendere nessuno. (Rumori vivissimi).

Una voce. Il discorso è scritto! (Rumori).

PRESIDENTE. Prendo atto della dichiarazione dell’onorevole Bencivenga. La seduta è tolta.

La seduta termina alle 19.30.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16,30:

  1. – Verifica di poteri.
  2. – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.