Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 16 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXXXIV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 16 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per relazione della Camera dei deputati. (48).

Presidente

Vigna

Scoccimarro, Presidente della Commissione

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Castelli Avolio

Fuschini, Relatore per la maggioranza

Perassi

Firrao

Bovetti

Di Fausto

Grilli, Relatore per la minoranza

Riccio

Carboni Enrico

Corbino

Costantini

Gasparotto

Sicignano

Nobile

Tonello

Bozzi

Cappi

Reale Vito

Persico

Lami Starnuti

Scoca

Pastore Raffaele

Miccolis

Bubbio

Mortati

Giannini

Bettiol

Marinaro

Rescigno

Covelli

Moro

Malagugini

Condorelli

De Vita

Guidi Cingolani Angela

Vischioni

Martino Gaetano

La seduta comincia alle 10.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

VIGNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VIGNA. Onorevoli colleghi, l’Assemblea, nella seduta di ieri, su proposta del collega Fantoni, accettata dalla Commissione, ha deliberato che debbono essere esclusi dalla eleggibilità i Commissari che, nelle zone occupate dal nemico, erano stati nominati Commissari di Comuni con popolazione superiore ai diecimila abitanti. Le zone occupate dal nemico erano, allora, quelle delle provincie di Udine, Belluno, Gorizia e Trieste. Nell’articolo che è stato deliberato si parla di quelle zone che facevano parte del «cosiddetto litorale Adriatico». Però, durante l’occupazione, due erano le zone: una denominata «Litoranea Adriatica»; l’altra denominata «zona delle Prealpi». Se noi adottiamo la dizione dell’articolo che è stato votato ieri, può sorgere dubbio che l’ineleggibilità si riferisca soltanto a quei Commissari i quali sono stati nominati per la zona litoranea adriatica. Quindi, poiché sul principio adottato dall’Assemblea non v’è ombra di dubbio che l’ineleggibilità doveva riguardare tutti questi Commissari, i quali erano stati nominati nella zona di occupazione, penso che sia assolutamente indispensabile, per evitare ogni possibilità di equivoci, chiarire che anche i commissari nominati nelle zone delle Prealpi sono esclusi dalla eleggibilità. Quindi, proporrei senz’altro che la dizione «ex-litorale Adriatico» sia completata con l’aggiunta «ex-zona delle Prealpi». Ripeto che non si tratta affatto di una nuova ulteriore deliberazione alla quale sia chiamata l’Assemblea, ma si tratta soltanto di una chiarificazione, di una precisazione del principio della disposizione che era stata già deliberata.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Scoccimarro di voler esprimere il parere della Commissione.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione accetta l’aggiunta proposta dall’onorevole Vigna.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo si associa.

PRESIDENTE. Allora, pongo in votazione l’aggiunta proposta dall’onorevole Vigna accettata dal Governo e dalla Commissione:

«e dell’ex zona delle Prealpi».

(È approvata).

Gli onorevoli Castelli Avolio, Sullo, Coppi, Rescigno, Bertola, Tozzi Condivi, Roselli, Firrao, Marconi, De Palma, Cremaschi Carlo, Alberti, Corbino e Martinelli hanno proposto il seguente articolo aggiuntivo che dovrebbe seguire l’articolo 2-quater:

«Ai magistrati, consiglieri di Stato e della Corte dei conti, collocati in aspettativa ai sensi del comma …, dell’articolo …, compete il trattamento economico e di carriera di cui all’articolo 1 del decreto 26 luglio 1929, n. 1988».

L’onorevole Castelli Avolio ha facoltà di svolgerlo.

CASTELLI AVOLIO. Ieri è stata approvata una disposizione la quale stabilisce che i magistrati, i consiglieri della Corte dei conti e i Consiglieri di Stato, per essere eleggibili debbono collocarsi in aspettativa per un certo tempo: nel termine di 60 giorni, per disposizione generale, prima del decreto che stabilisce la data dei comizi elettorali. Poi è stata approvata la disposizione che, per la prima legislatura, questo termine è stabilito al giorno precedente l’accettazione della candidatura. È stata stabilita la posizione di aspettativa, ma non è stata, nello stesso tempo fissata la condizione economica e di carriera che è connessa con questa aspettativa. Debbo far notare che ci sono varie specie di aspettative: aspettativa per motivi familiari, per motivi privati, per infermità, per richiamo alle armi; quella di cui ci occupiamo è una aspettativa speciale per pubblico ufficio e precisamente per l’assunzione di un mandato politico. Quando noi esamineremo l’articolo 8-quinquies ci occuperemo della condizione di carriera ed economica degli impiegati, e non soltanto dei magistrati che a seguito delle elezioni assumeranno un mandato parlamentare.

Ora si tratta di completare la disposizione che prescrive questa aspettativa preventiva. Perché non basta stabilire che i magistrati debbano farsi collocare in aspettativa, bisogna anche stabilire quale sarà il loro trattamento economico e di carriera. E ciò anche per la ragione pratica che la Corte dei conti dovrà registrare questo decreto e indicare, nel decreto, la condizione di carriera e quella economica.

Ora, se noi non dicessimo nulla, o privassimo questi candidati politici del trattamento economico e di carriera, verremmo a sancire una condizione di cose del tutto ingiusta; perché, siccome questa aspettativa ha lo scopo di interrompere dei rapporti di servizio che sono connessi col potere di giurisdizione che hanno i magistrati, mentre tutti gli altri impiegati dello Stato, che siano candidati politici, non si debbono collocare in aspettativa e quindi mantengono la loro posizione di carriera ed economica, noi verremmo a sancire una ingiustizia, perché verremmo a togliere anche il trattamento economico e tutto quello, inoltre, che è connesso con lo svolgimento normale della carriera. Per esempio, in questo termine, che può essere di venti giorni, ma che in effetti sarà di 60 o 90 giorni, potrebbe anche maturare il diritto allo scatto dello stipendio. Per non creare, quindi, una situazione di cose incongrua ed ingiusta verso tutti i magistrati, ho proposto il mio articolo aggiuntivo, articolo che poi, in sede di coordinamento, potrebbe essere comma dell’articolo al quale si riferisce. L’articolo proposto stabilisce che ai magistrati, consiglieri di Stato e della Corte dei conti, collocatisi in aspettativa per proporre la loro candidatura, compete il trattamento economico e di carriera di cui all’articolo 1 del decreto 26 luglio 1929, n. 1988.

Devo aggiungere che questo trattamento rispecchia la situazione attuale: non si toglie e non si aggiunge niente alla situazione attuale. A quanto cioè i magistrati già percepiscono e che dovrebbero continuare a percepire durante questa loro aspettativa straordinaria, attraverso il trattamento economico e di carriera di cui godono.

PRESIDENTE. Prego il Relatore di voler esprimere il parere della Commissione.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. La Commissione è compresa delle preoccupazioni di carattere morale che sono contenute in questa proposta dell’onorevole Castelli Avolio; però pregherebbe il proponente e l’Assemblea di voler rinviare questo argomento alla fine della discussione degli articoli di questo disegno di legge, affinché la Commissione possa prendere con più ponderatezza la sua decisione in proposito.

PRESIDENTE. Allora, se l’onorevole proponente è d’accordo, si rimanda questo emendamento alla fide della discussione della legge.

CASTELLI AVOLIO. Sono d’accordo, onorevole Presidente.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Prima di passare all’articolo 2-quinquies, dobbiamo esaminare il seguente emendamento dell’onorevole Perassi:

«All’articolo 10 sono soppresse le parole: eccettuati quelli che non provengono dai ruoli dell’Amministrazione degli affari esteri».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Si tratta di un emendamento di scarsissimo rilievo. Esso è inteso a togliere dal testo del decreto del marzo 1946, che viene ad essere mantenuto come legge ordinaria sull’elezione della Camera, un’interpolazione che vi è stata inserita evidentemente per un equivoco.

L’articolo 10 del decreto 10 marzo 1946 ha la sua origine in leggi elettive anteriori, in particolare in quella del 1919 e da questa ultima ripete, sostanzialmente, la sua formulazione. Nella legge del 1919 si stabiliva che i diplomatici, i consoli e gli altri ufficiali addetti a legazioni o consolati stranieri non erano eleggibili, anche se avessero ottenuto il permesso dal Governo italiano di accettare l’ufficio senza perdere la cittadinanza italiana. Tale disposizione riguardava la dichiarazione di ineleggibilità di cittadini italiani che sono al servizio di Stati esteri come addetti a legazioni o a consolati. Che cosa è avvenuto nel decreto del marzo 1946? Che in esso si è riprodotta quella disposizione, ma vi è stata fatta un’interpolazione inserendovi dopo le parole «i diplomatici», le seguenti: «eccettuati quelli che non provengono dai ruoli dell’Amministrazione degli affari esteri». È un’interpretazione che non ha ragione di essere, perché i diplomatici, di cui si parla nelle disposizioni, sono bensì cittadini italiani, ma funzionari diplomatici di stati esteri, e quindi estranei ai ruoli all’amministrazione italiana degli affari esteri.

Ora, dicevo che, siccome il decreto del marzo 1946, attraverso la legge che stiamo elaborando, viene mantenuto in vita come legge ordinaria elettorale per la Camera dei deputati, credo che convenga cogliere l’occasione di questa legge per apportare la lieve correzione di cui ho parlato, togliendo quella interpolazione che è assolutamente ingiustificata.

PRESIDENTE. Prego il Relatore di esprimere il proprio parere sulla proposta dell’onorevole Perassi.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. La Commissione aderisce, onorevole Presidente, perché ritiene che si tratti veramente di una interpolazione in contrasto con lo spirito della legge.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione l’emendamento dell’onorevole Perassi.

(È approvato).

Passiamo pertanto all’articolo 2-quinquies nel testo della Commissione. Se ne dia lettura.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«L’articolo 11 è sostituito dal seguente:

«Non sono eleggibili:

1°) coloro che in proprio o in qualità di amministratori di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per concessioni o per contratti di opere o per contratti di somministrazione o per autorizzazioni amministrative. L’ineleggibilità ha luogo quando i vincoli di cui avanti sono di rilevante entità e importano contrattualmente l’obbligo di adempimenti specifici o l’osservanza di norme generali e particolari protettive del pubblico interesse alle quali i suddetti vincoli, le concessioni, i contratti o le autorizzazioni sono preordinati;

2°) i rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese volte al profitto di privati e sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative o con garanzia di assegnazioni o di interessi, quando questi sussidi non siano concessi in forza di una legge generale dello Stato;

3°) i consulenti legali e amministrativi che prestino in modo permanente l’opera loro alle società e imprese di cui al n. 2°».

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione propone ora il seguente nuovo testo, che modifica il n. 1°):

«Non sono eleggibili:

1°) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni; oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di rilevante entità che importino contrattualmente l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta».

Il resto dell’articolo rimane identico.

Gli onorevoli Firrao, Bovetti, Meda Luigi e Zerbi hanno proposto di mantenere l’articolo 11 nella forma del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74.

L’onorevole Firrao ha facoltà di svolgere la sua proposta, che deve considerarsi come un emendamento al testo della Commissione.

FIRRAO. Veramente, onorevole Presidente, io mi limito soltanto a richiamarmi alle constatazioni, già fatte da altri colleghi in questa Assemblea, circa l’imprecisione del vecchio testo della Commissione: per quello infatti che riguarda il nuovo testo presentato dalla Commissione testé, io non sono in condizioni di pronunziarmi, non avendo avuto evidentemente il tempo per prenderlo in considerazione.

Mantengo pertanto il mio emendamento, rinunziando a svolgerlo, essendo già stato ampiamente illustrato dagli onorevoli colleghi che mi hanno preceduto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Bovetti e Firrao hanno presentato i seguenti altri emendamenti:

«Alle parole: Nono sono eleggibili, sostituire: Sono incompatibili».

«Aggiungere, in fine, i commi seguenti:

«I motivi di incompatibilità saranno, in sede di convalida, vagliati da una Commissione designata dalla Camera dei deputati.

«Sono aboliti i motivi di ineleggibilità e di incompatibilità stabiliti in altre leggi».

Questi emendamenti sono stati già svolti dall’onorevole Bovetti: gli chiedo ora se intenda mantenerli.

BOVETTI. Li mantengo.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Di Fausto, Condorelli, Perrone Capano e Selvaggi hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Alle parole: non sono elegibili, sostituire: sono incompatibili con la carica di deputato».

«Alla fine, aggiungere: La Giunta delle elezioni, quando abbia ritenuto la incompatibilità, invita il deputato ad assentarsi dalle sedute e gli assegna un termine perché possa optare per la carica di deputato o conservare i rapporti che lo rendono «incompatibile».

«Trascorso detto termine, se la incompatibilità non è cessata, la Giunta delle elezioni propone alla Camera la decadenza».

L’onorevole Di Fausto li ha già svolti: gli chiedo ora se intenda mantenerli.

DI FAUSTO. Li mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Grilli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il n. 1 col seguente:

1°) coloro che in proprio o in qualità di amministratori di società o di imprese private risultino vincolati collo Stato per concessioni o per contratti di opere o per contratti di somministrazioni, oppure per autorizzazioni amministrative di rilevante entità, che importino contrattualmente l’obbligo di adempimenti specifici o l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse alle quali l’autorizzazione sia sottoposta».

L’onorevole Grilli lo ha già svolto: gli chiedo ora se intenda mantenerlo.

GRILLI, Relatore per la minoranza. Lo ritiro, onorevole Presidente, essendo stato in gran parte accolto dalla Commissione, nel nuovo testo che essa ha presentato.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Riccio, se mantiene il seguente emendamento: «Alle parole «amministratori» sostituire le altre: «rappresentanti legali».

RICCIO. Lo mantengo.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Lo abbiamo accettato.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Carboni Enrico se mantiene il seguente emendamento.

«Sostituire le parole: Contratti di opere con le altre: contratti di appalto».

CARBONI ENRICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Vi è poi l’emendamento dell’onorevole Costantini, già svolto: «Sopprimere le parole: sono di rilevante entità».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei dalla Commissione un chiarimento circa il significato delle parole: «di rilevante entità». Che cosa intende? Come si potrà fissare il contenuto di questa rilevante entità? È in senso assoluto considerata in un istante, o è in senso assoluto considerata per un periodo di tempo?

Vorrei che la Commissione dicesse qualche cosa, anche come guida per coloro che domani dovranno decidere se presentarsi o non presentarsi alle elezioni.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, come avrà visto, a questo proposito c’è l’emendamento soppressivo dell’onorevole Costantini.

CORBINO. Onorevole Presidente, io pensavo ad un emendamento soppressivo di tutto l’articolo, perché con la nuova concezione delle attribuzioni dello Stato, oggi è difficile trovare degli individui che non abbiano rapporti di somministrazione o di altro genere con lo Stato. Quindi la soppressione della sola frase «di rilevante entità» aggraverebbe ancora di più la situazione, e io vorrei invece estendere la possibilità per tutti i cittadini di partecipare alla vita pubblica, salvo ad optare, dopo le elezioni, per quella parlamentare o per quelle attività che sono incompatibili con la qualità di deputato.

Ecco perché vorrei che il «di rilevante entità» fosse definito in un certo modo.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Volevo chiarire, per l’onorevole Corbino e per i colleghi che forse non erano presenti quando ho svolto sommariamente il mio emendamento, quale fosse il mio pensiero.

Nel testo proposto dalla Commissione si parla di ineleggibilità determinate dall’esistenza di contratti di opere o di somministrazioni o di autorizzazioni amministrative tra il candidato e lo Stato.

Siccome non è possibile stabilire dei limiti obiettivi, i quali ci dicano quando un’opera, un contratto, una somministrazione sono o meno di rilevante entità; siccome – ripeto – vi è questa impossibilità di ordine obiettivo, a me sembra sia conveniente e, più che conveniente, necessario, che quelle parole siano soppresse. E allora stabiliremmo una norma di incompatibilità generale per l’esistenza dei contratti, ecc., lasciando poi, caso per caso, all’esame prudenziale, logico, della situazione obiettiva da parte della Giunta delle elezioni, quando in ipotesi l’esistenza di un contratto o di un vincolo fra l’eletto e lo Stato potesse determinare quelle ragioni di incompatibilità che l’articolo vuole mantenere. In sostanza, il «di rilevante entità» ha sempre giocato nefastamente sulla nostra legislazione. Abbiamo delle esperienze recenti in proposito. Per questo ho proposto la soppressione di quelle parole.

PRESIDENTE. Per i primi emendamenti Bovetti e Di Fausto, che propongono di sostituire la incompatibilità all’ineleggibilità, forse la Commissione non ha ragione di esprimere il suo parere, perché questo risulta già chiaramente dalla nuova formula che essa ha presentato. È esatto?

GRILLI, Relatore per la minoranza. Sì, insistiamo per le ineleggibilità.

CASTELLI AVOLIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTELLI AVOLIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non potrei consentire nemmeno nella seconda formula presentata, nel punto in cui si ammettono, come nella precedente formula, accanto alle concessioni, anche le autorizzazioni.

Per me è più perfetta la dizione del vecchio testo che parlava soltanto di concessioni amministrative.

Si sono dunque introdotte, nel progetto, accanto alle concessioni amministrative, anche le autorizzazioni: credo che questo sia il motivo per cui poi bisognerà stabilire se si tratti di concessione o autorizzazione di modesta o non modesta entità, il che porterebbe ad impegolarsi in un ginepraio, senza una norma certa ed obiettiva che permetta di dire a priori se un cittadino, a favore del quale sia stata fatta una concessione ad una autorizzazione, possa porre o meno la sua candidatura.

L’errore, secondo me, è stato appunto quello d’introdurre, oltre le concessioni amministrative, anche le autorizzazioni. La distinzione, invece, fra questi due istituti è fondamentale. Quando si parla di concessioni amministrative, è lo Stato che concede al cittadino un diritto che il cittadino non ha; è lo Stato che concede qualcheduna delle proprie prerogative; così, ad esempio, una concessione di acque pubbliche. Il cittadino infatti non ha nessun diritto sulle acque pubbliche.

Ma quando si parla di autorizzazione, con questa non si fa altro che rimuovere l’ostacolo all’esercizio di un diritto che il cittadino già possiede. Nella vita odierna tutti i cittadini hanno una qualche autorizzazione amministrativa: un porto d’armi, una licenza d’esercizio, una licenza di circolazione d’automobile.

Concludendo, sono dell’opinione che occorra abbandonare il concetto di autorizzazione amministrativa, perché si tratta non di un diritto che concede lo Stato, ma della rimozione di un ostacolo ad un diritto già posseduto dal cittadino, e ritengo quindi che si debba parlare, nella nostra legge elettorale, soltanto di concessione amministrativa.

PRESIDENTE. Onorevole Castelli Avolio, al momento della votazione, si potrà votare per divisione, in modo da scindere i due concetti di concessione amministrativa e di autorizzazione.

CASTELLI AVOLIO. Onorevole Presidente, si potrebbe tornare al testo primitivo.

PRESIDENTE. Ma questo ritorno implicherebbe anche il ritorno a tutto il testo: è un’altra questione.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Ritengo fondata l’obiezione del collega Castelli Avolio. Indubbiamente le semplici autorizzazioni non hanno nessuna influenza sui rapporti fra l’uomo politico e lo Stato. È una vera autorizzazione anche la licenza di caccia, e allora dovremmo escludere dal Parlamento i cacciatori. (Commenti).

Ritengo invece, che sia giusto l’estremo posto dalla Commissione, cioè quello della rilevanza dell’entità della stessa concessione, perché vi sono concessioni – e ritorno sul mio argomento – come la riserva di caccia, che non sono autorizzazioni, perché, ad esempio, la riserva di caccia costituisce un privilegio, il diritto di esercitare la caccia, con esclusione di tutti gli altri cittadini, su un dato territorio.

Quindi l’estremo dell’entità della concessione a mio avviso, deve essere mantenuto. Senonché il rilievo del collega Costantini mette in evidenza un difetto del testo della Commissione.

Come è possibile che un candidato si consideri ineleggibile se non sa quale importanza la Giunta delle elezioni darà all’entità della concessione? Come fa a giudicare soggettivamente quello che è poi sottoposto a giudizio dell’organo competente che è, ripeto, la Giunta delle elezioni?

Quindi, ritengo che la Commissione non dovrebbe trascurare gli emendamenti che sono stati proposti da più parti, intesi a sostituire alla parola «eleggibilità» la parola «incompatibilità», perché sulla incompatibilità giudicherà successivamente la Giunta che deve esercitare la verifica dei poteri, mentre questo giudizio non può essere dato in anticipazione dal candidato. Non è una proposta la mia, ma una osservazione che sottopongo alla Commissione.

SICIGNANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SICIGNANO. Ritengo che bisogna mantenere il testo così come è, cioè mantenere la ineleggibilità sia per le concessioni che per le autorizzazioni amministrative.

Chiunque si sia occupato di questa materia, soprattutto quale componente della Giunta delle elezioni, sa benissimo che la distinzione teorica fra concessione ed autorizzazione ha fornito materia a tutte le scappatoie a favore di coloro che hanno rapporti economici con lo Stato, a volte di contenuto vistosissimo, per poter sedere in quest’Aula, sopprimendo qualunque principio sia di incompatibilità sia di ineleggibilità. Io penso che noi non dobbiamo perpetuare questo gravissimo inconveniente, ed evitare per l’avvenire che uomini i quali hanno rapporti di affari di milioni con lo Stato o hanno ottenute concessioni che fruttano loro milioni, possano entrare nel Parlamento ed abusare ed approfittare della loro carica parlamentare per aumentare ancora di più le loro concessioni, salvo poi a farle passare successivamente, in sede di convalida della loro elezione, come semplici autorizzazioni.

Si è detto: ma se noi ammettiamo anche il concetto della autorizzazione amministrativa nessuno può fare il deputato. Non bisogna arrivare all’esagerazione.

Molte di quelle che si chiamano concessioni o autorizzazioni amministrative non sono altro che permessi, come per esempio le autorizzazioni governative che si riferiscono al porto d’armi, le quali sono permessi che vanno soggetti al pagamento di determinate tasse allo Stato. Queste concessioni dunque non sono concessioni amministrative vere e proprie ma né più e né meno che permessi.

Ora, onorevoli colleghi, potrà verificarsi che un cittadino abbia una concessione vera e propria dallo Stato o magari stabilisca un rapporto contrattuale con lo Stato per una qualunque fornitura di lieve entità economica.

Costui non potrà, giustamente, essere eletto deputato, oppure la sua carica di deputato sarà incompatibile.

E nello stesso tempo dovremo ritenere eleggibile o compatibile un altro che abbia avuto l’autorizzazione di costruire ferrovie magari su strade pubbliche, o altre opere di interesse privato su beni demaniali.

Quindi io credo che su questo concetto dobbiamo essere molto rigorosi, per non mettere la Giunta delle elezioni in condizioni di non poter avvalersi di fatti che da un punto di vista giuridico potrebbero sfuggire al suo controllo, ma che nella sostanza e realtà incidono sugli interessi dello Stato. Solo così potremo evitare l’ingresso nel Parlamento di persone che potrebbero anche sfruttare il mandato parlamentare per illeciti fini personali. Quindi io spero e credo che tutti approveranno senz’altro il testo così come è proposto.

Sulla questione se si debba partire da un principio preliminare di ineleggibilità oppure fermarsi al giudizio postumo di incompatibilità, io credo che bene si farebbe seguendo il concetto iniziale della ineleggibilità.

È evidente che ogni cittadino conosce bene se ha ottenuto dallo Stato concessioni o autorizzazioni che lo rendano ineleggibile.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Un dubbio vorrei mi venisse chiarito dai colleghi che hanno competenza in questa materia. Io comprendo perfettamente che, quando i contratti di concessione che il candidato ha con lo Stato sono tali da comportare uno sviluppo di affari con esso, egli debba essere dichiarato ineleggibile. Ma, riferendomi a qualche caso concreto, per esempio quello della concessione di acque pubbliche a scopo di forza motrice o d’irrigazione, ricordo di aver ascoltato in questa Aula, alcuni mesi fa, una dotta discussione attorno al caso dell’onorevole Visocchi. Ora domando, in un caso come quello, di chi abbia, in passato, ottenuto una concessione di acque pubbliche non suscettibile più di alcuna variazione, e che non comporti alcun rapporto di affari con lo Stato o tali obblighi verso di esso da far dubitare che il deputato possa esercitare la sua influenza sugli organi statali a proprio favore, in un tal caso dico, perché quel concessionario dovrebbe essere ineleggibile? Comprendo perfettamente che in altri casi di concessioni o anche di autorizzazione, che importano la possibilità che il deputato adoperi a proprio beneficio o a beneficio della società che rappresenta la propria influenza, si debba dichiarare la ineleggibilità. Ma, un tale che abbia ottenuto cinquant’anni fa, o abbia ereditato dal padre, la concessione di adoperare una certa quantità di acque pubbliche, perché mai dovrebbe essere escluso dal Parlamento, se la concessione non importi per lui altro obbligo che quello di pagare un canone fisso annuo?

In sostanza, a me sembra che mentre si fa il deputato, non si dovrebbe ammettere possa farsi con lo Stato nessun affare di nessun genere. Per questo dovrebbe esservi la più severa proibizione; ma se il deputato, quando non era ancora tale, ottenne o ereditò una concessione che non comporta alcun sviluppo di affari con lo Stato, non comprendo perché dovrebbe essere escluso dall’elettorato passivo.

Concludo, pregando di spiegarmi perché in un caso simile un concessionario non possa essere eleggibile. Non mi rendo conto perché si sia così severi in questo caso, quando poi si tollera che siano eleggibili Categorie di persone, che, una volta elette deputati, potrebbero esercitare sullo Stato, direttamente o indirettamente, ben più dannosa ed immorale pressione a benefìcio di interessi privati in contrasto con quelli dello Stato stesso.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Trovo che ha fatto bene l’onorevole Nobile a non presentare nessun emendamento perché tradizionalmente i concessionari dello Stato sono ineleggibili ed anche per le concessioni di antica data lo Stato conserva sempre diritti e poteri di controllo. Del resto, la questione è ormai risolta ed è quindi inutile perdere tempo.

GRILLI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLI, Relatore per la minoranza. Ho chiesto di parlare per sostenere la proposta che ha fatto la Commissione la quale, fra le altre cose, ha accolto anche in gran parte il mio emendamento; e quindi io, anche come presentatore dell’emendamento, sono interessato a difendere la proposta della Commissione.

La questione è abbastanza seria e va guardata con molta serenità. La differenza che c’è tra l’articolo 11 della vecchia legge e la nostra proposta si compendia in fondo in questo; noi abbiamo aggiunto alle concessioni e ai contratti di opere e somministrazioni le autorizzazioni amministrative. Poi, per queste autorizzazioni amministrative e per le concessioni abbiamo aggiunto la condizione che siano di rilevante entità e che suscitino l’eventualità di contrasti di interesse, perché devono importare l’obbligo di adempimenti specifici con l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse alle quali norme le concessioni e le autorizzazioni siano sottoposte. Queste sono le differenze. Perché noi abbiamo ritenuto opportuno di inserire anche le autorizzazioni amministrative in questo articolo? Perché sono sorte – e lo ha ricordato anche l’onorevole Sicignano – dinanzi alla Giunta delle elezioni delle questioni di questo genere: che concessionari dello Stato per concessioni rilevantissime, di miliardi, si sono difesi sostenendo che non si trattava di concessioni ma di autorizzazioni amministrative; e sono riusciti con argomenti giuridici a provare che si trattava effettivamente di autorizzazioni amministrative, per la qual cosa hanno avuto ragione. Allora, siccome possono esservi dei rapporti che giuridicamente possono anche assumere l’aspetto di autorizzazioni amministrative, ma che tuttavia sono di un valore rilevante ed hanno degli effetti simili a quelli delle concessioni, noi ci siamo preoccupati di questo; e perché non avvenga più che con la scappatoia delle autorizzazioni i concessionari dello Stato per rilevante valore possano rimanere in Parlamento, abbiamo ritenuto opportuno di aggiungere queste autorizzazioni amministrative.

Ma, d’altra parte, dato che possono esservi delle autorizzazioni amministrative di nessuna importanza, anzi direi autorizzazioni amministrative, che non presumono nessun rapporto fra lo Stato autorizzante e il privato autorizzato, abbiamo stabilito che queste autorizzazioni amministrative perché debbano essere di ostacolo alla elezione dell’autorizzato a deputato, devono essere di rilevante valore. Ma non ci siamo soltanto limitati a questa vaga e generica frase del «rilevante valore»: l’abbiamo voluta arricchire aggiungendo che «importino (le autorizzazioni) contrattualmente l’obbligo di adempimenti specifici», perché in questo caso si viene a creare una specie di rapporto bilaterale fra lo Stato che autorizza e l’autorizzato che deve osservare certi obblighi specifici, oppure che deve osservare certe norme generali o particolari che la legge ha posto per la tutela dell’interesse pubblico, alle quali norme sia sottoposta l’autorizzazione.

Questo criterio, che abbiamo seguito per l’autorizzazione, abbiamo ritenuto opportuno di estenderlo anche alle concessioni; perché anche fra le concessioni possono esservene di scarsissima importanza e valore.

Quanto alla questione se si debba trattare di ineleggibilità o di incompatibilità, noi abbiamo insistito per l’ineleggibilità, per questo semplice motivo: perché noi non vogliamo che l’uomo di affari, che fa i suoi affari con lo Stato, possa tentare di entrare in Parlamento proponendo la sua candidatura e poi, se riesce, egli rinunzia agli affari in corso; se la battaglia elettorale va male, egli riprende i suoi affari. Noi abbiamo paura degli affaristi in Parlamento.

L’onorevole Mussi, Relatore nel 1877 della legge elettorale, dalla quale è nato l’articolo 11 della legge del 1946, nella sua relazione diceva: «la presenza degli uomini di affari nel Parlamento ha dato luogo a vivissime disputazioni e lamenti, imperocché alcuni fra questi furono accusati di avere offeso la maestà del Parlamento, compromettendone il prestigio».

Insomma, noi diciamo ai cittadini: Volete fare i deputati? Non fate gli affaristi. Volete fare gli affaristi? Non fate i deputati. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione degli emendamenti, mi permetto di rivolgere una richiesta agli onorevoli Firrao e Bovetti in questo senso: essi hanno presentato due emendamenti, che mi sembrano in contrasto. Col primo si propone di mantenere l’articolo 11 della legge, la quale legge ha affermato la ineleggibilità; col secondo si propone di sostituire alle parole «non sono eleggibili» le parole «sono incompatibili»; desidero un chiarimento in proposito.

FIRRAO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FIRRAO. Noi proponiamo, di tenere come base della discussione il testo precedente dell’articolo 11. Il nostro emendamento successivo vale per l’articolo 11, se la nostra proposta viene accettata.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Io desidero richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla estrema delicatezza ed importanza dell’argomento del quale si discute. Vi sono in questa Camera vecchi parlamentari: io mi richiamo agli onorevoli Nitti e ad altri che, come lui, ricordano i costumi dell’antica vita parlamentare italiana e ricordano con quale rigore si ponevano e risolvevano i problemi che involgevano rapporti tra affari e politica. (Approvazioni a sinistra). Dopo venticinque anni di fascismo, durante i quali in quest’Aula hanno seduto i più loschi affaristi del nostro Paese, io ho l’impressione che qui riecheggi oggi qualche voce che risente dei tempi che dolorosamente il nostro Paese ha attraversato. (Approvazioni).

 

Il problema della ineleggibilità e della incompatibilità non è un problema giuridico o regolamentare: è, o signori, un problema di sensibilità morale e politica dei rappresentanti del popolo. (Vive approvazioni). Bisogna dire che c’è ancora in Italia chi pensa che è possibile servirsi degli affari per conquistare una posizione politica e servirsi poi della conquistata posizione politica per potenziare i propri affari: questo è lo sconcio che minaccia il Parlamento e la rappresentanza popolare. Perché la Commissione insiste nel concetto di ineleggibilità e respinge assolutamente la proposta di sostituirvi il concetto di incompatibilità? Perché vi sono concessioni ed autorizzazioni le quali, per i loro titolari, diventano strumenti di conquista di illegittima influenza elettorale; noi potremmo citare dei casi specifici, dei casi concreti. Quando si parla di incompatibilità si afferma un concetto di due funzioni che per diverse ragioni non possono essere esercitate contemporaneamente; quando si parla di ineleggibilità si esprime una esigenza di moralizzazione della vita politica, si afferma un principio secondo cui quando l’esercizio, l’uso od usufrutto di determinate concessioni od autorizzazioni possono far nascere il legittimo sospetto che servono a conquistare posizioni elettorali che altrimenti non si conquisterebbero, allora si afferma un principio di ineleggibilità.

Si dice: ma come può il privato giudicare a priori la «rilevante entità», oppure se la natura dei rapporti di affari che esso ha con lo Stato siano o no motivo per invalidare la sua elezione? Chiunque si trovi in questa posizione sa che dovrà essere giudicato dalla Giunta delle elezioni e perciò si espone al rischio di aver sostenuto una campagna elettorale invano. Ma questa è una situazione nella quale egli si pone volontariamente, è una valutazione soggettiva della quale accetta le possibili conseguenze per una valutazione diversa dalla sua. Noi abbiamo il dovere di chiudere la porta di quest’Aula a coloro che entrano qui dentro non con la coscienza e la volontà di assolvere ad un mandato del popolo, ma col secondo pensiero di affari che hanno in piedi o di altri che vorranno concludere. È per queste ragioni che la Commissione non accetta il concetto dell’incompatibilità. I colleghi, i quali hanno presentato od intendano presentare emendamenti in tal senso, riflettano che problemi di questa natura non si esauriscono in questa Assemblea.

La Giunta delle elezioni già si è trovata di fronte ad un caso dubbio, ed è una sua decisione che ha fatto sorgere l’esigenza di distinguere le concessioni dalle autorizzazioni.

Signori, non si possono avere rapporti di affari con lo Stato che importano miliardi, qualunque sia la forma giuridica del rapporto, e sedere in quest’Aula!

Non si può ammettere che interessi privati si sovrappongano all’interesse pubblico. Qui si tratta anche della dignità ed onorabilità personale dei rappresentanti del popolo. Chiunque si trovi in una situazione per cui l’esercizio del mandato parlamentare può far nascere anche il solo sospetto di poca correttezza, dovrebbe sentire il bisogno di non porre nemmeno la sua candidatura. Non v’è bisogno che tutti gli italiani pensino di diventare deputati. Ad ognuno il suo compito. Gli affaristi facciano pure i loro affari ma non pretendano di assumere anche il compito della direzione della cosa pubblica. Non mescoliamo le due cose, come troppo ha fatto il fascismo, e come taluni pare pensano di continuare a fare anche oggi, continuando così il costume fascista.

È per queste ragioni che la Commissione non solo respinge la proposta della incompatibilità, ma sente il dovere di elevare una protesta contro proposte che obiettivamente tendono, indipendentemente dalle intenzioni soggettive dei singoli, ad introdurre un elemento di corruzione nella vita politica del nostro Paese. (Applausi a sinistra).

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, io vorrei fare un rilievo di ordine tecnico perché la tecnica giuridica in questo articolo deve essere tenuta particolarmente presente, dato che noi facciamo riferimento a istituti che hanno una loro precisa fisionomia. Quando noi parliamo di autorizzazioni, facciamo riferimento ad un istituto che è conosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Per quello che riguarda la rilevante entità, io mi associo a molte considerazioni di carattere politico che ha or ora manifestato l’onorevole Scoccimarro. Ma, vorrei sottolineare che in fondo la ineleggibilità è una limitazione del diritto del cittadino, perché noi abbiamo stabilito nella Costituzione che tutti sono elettori ed eleggibili. Ora, quando si stabiliscono limitazioni a diritti politici, queste limitazioni dovrebbero essere, per un elementare principio, predeterminate e non rimesse ad una valutazione, che non dirò di arbitrio, ma comunque ampiamente discrezionale fatta da un organo politico quale è la Giunta delle elezioni.

Quindi, pregherei la Commissione, che ha già raggiunto un buon risultato togliendo quel «contrattualmente» che metteva quasi nel nulla quello che si era detto prima, di esaminare se non sia possibile di stabilire un criterio obiettivo, valutabile a priori, di questa rilevante entità, che altrimenti è affidata ad un giudizio discrezionale. Ho sentito che l’onorevole Scoccimarro parlava di miliardi e l’onorevole Costantini di milioni, il che dimostra che questa rilevante entità diventa una cosa di cui non si conosce più il limite.

È meglio quindi adattare una formulazione specifica perché noi non intendiamo sancire l’ineleggibilità per chiunque abbia una concessione; noi, secondo il pensiero espresso anche dall’onorevole Scoccimarro, vogliamo che l’affarismo non entri qui quando sia qualificato in un certo modo, cioè non l’affarismo in sé e per sé; ma l’affarismo che abbia determinate proporzioni.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. A nome di molti colleghi di Gruppo, dichiaro che voteremo il testo della Commissione, perché in una materia così delicata è preferibile che vi sia più rigore.

REALE VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

REALE VITO. Non si può non concordare con le ragioni fondamentali che hanno determinato la dizione di questo articolo e con le osservazioni che ha fatto il Presidente della Commissione; però bisogna evitare che la dizione dell’articolo crei delle ineleggibilità che sono a discrezione della Giunta delle elezioni. Dovremmo creare una norma ed una indicazione di diritto che eviti qualunque possibilità di equivoco. L’onorevole Nobile ha precisato ed ha prospettato un caso che merita la massima attenzione da parte dell’Assemblea: vi sono delle concessioni su beni demaniali in cui i contrasti di interessi non si possono più determinare. Lo abbiamo visto in casi concreti, e possiamo indicare anche il caso concreto: il caso Visocchi, nel quale i rapporti con lo Stato non erano tali da avere un carattere di continuità. Quindi io proporrei di aggiungere alle parole «concessioni» e «autorizzazioni» le seguenti: «che importino sviluppo di affari» (Commenti). Le concessioni di antica data per le quali non ha potuto influire il prestigio del deputato e che non consentano sviluppo di affari e non creino possibilità di contrasto con l’interesse dello Stato, dovrebbero essere considerate compatibili col mandato parlamentare.

PRESIDENTE. L’emendamento presentato dall’onorevole Reale Vito è del seguente tenore:

«Aggiungere alle parole: autorizzazioni amministrative, le seguenti: che importino sviluppo di affari».

Secondo lo svolgimento dato al suo emendamento, l’onorevole Reale riferirebbe questa aggiunta a tutte le forme di attività previste dall’articolo in questione e non soltanto alle autorizzazioni.

REALE VITO. Esattamente.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. La verità è che con questo emendamento verremmo ad eludere i provvedimenti che intendiamo prendere, perché gli affaristi ed i corruttori della vita pubblica non entrino nel Parlamento. Prego i colleghi di non votare l’aggiunta proposta dall’onorevole Reale Vito, in quanto egli dice: quando una concessione o una autorizzazione è stata fatta nel momento in cui l’individuo non era ancora deputato, egli può presentarsi lo stesso alla candidatura. Ma io osservo che è più pericoloso dopo: è dopo che avvengono gli sfruttamenti e le camorre, è durante il tempo dell’esercizio. Quindi, se c’è un’incompatibilità, essa non viene meno per il fatto che la concessione sia stata fatta prima che l’individuo fosse deputato.

Perciò prego l’Assemblea, se vuole veramente sancire principî di una nuova vita morale, di non accettare la proposta dell’onorevole Reale.

SICIGNANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SICIGNANO. Ho chiesto nuovamente di parlare unicamente perché mi sembra che qui, partendo dal caso specifico di Visocchi, non si sia valutato giustamente la natura della concessione delle acque demaniali. Si dice che per le acque demaniali non vi sarebbe nessuno di quei rapporti che escluderebbero la capacità del mandato parlamentare. A me pare che questo sia un gravissimo errore: le acque pubbliche sono beni demaniali che dovrebbero servire alla collettività, come principio generale. Ora, quando questi beni demaniali, che dovrebbero servire alla collettività, vengono dati in concessione a privati, perché questi possano farne un qualunque uso – ed ordinariamente la finalità è il lucro – si viene già a diminuire il godimento da parte della collettività.

Noi qui, nel fare le leggi, non possiamo riferirci a fatti specifici, non dobbiamo considerare o risolvere fatti specifici. Ma comunque, se si vuole partire anche dall’esame di fatti specifici per giungere a principî generali, noi sappiamo che nel nostro Stato molte volte queste concessioni o autorizzazioni a servirsi di acque pubbliche producono gravi nocumenti a coloro che vivono nelle zone in cui scorrono quelle acque.

C’è il caso Visocchi, ma se si va in provincia di Salerno si constata che esistono una infinità di concessioni di acque pubbliche fatte a determinate famiglie da secoli e rinnovate di trentennio in trentennio, le quali, oltre a concedere rilevanti guadagni a coloro che ne beneficiano, impediscono l’uso di acque pubbliche da parte della gente che vive sulle sponde di questi fiumi.

È notorio che due corsi d’acqua del fiume Sarno sono da circa 60 anni di proprietà privata di una famiglia, la quale con questa concessione di acque demaniali domina tutte le campagne per la concessione di acqua di irrigazione ai privati.

Ora, signori, questa situazione di fatto che esisteva già in provincia di Salerno non si è potuta sanare neppure oggi. Bisogna assolutamente non aggravare questa già incresciosa situazione, permettendo ai concessionari di acque pubbliche di entrare nelle Camere legislative, soprattutto ora, in regime democratico e repubblicano.

CARBONI ENRICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ENRICO. Onorevole Presidente, io dubito molto che qui si stia facendo una grande confusione fra concessione e autorizzazione. (Commenti a sinistra). Se conoscete la differenza che corre fra questi due concetti, di concessione e di autorizzazione, non riesco a comprendere come potete dire, e come mai potete scrivere in un testo di legge, che l’autorizzazione comporti l’ineleggibilità, quando è noto che le autorizzazioni tendono soprattutto a permettere al cittadino l’esercizio dei suoi diritti, perché tolgono un divieto che la pubblica amministrazione aveva posto a questo esercizio.

Dovremmo quindi, essere tutti lieti che i cittadini possano esercitare questi diritti nella loro pienezza. Autorizzazioni sono, ad esempio, il porto d’armi o la patente di circolazione automobilistica. E allora, come anche per le concessioni, mi pare che noi dobbiamo colpire solo quelle di grande entità o che abbiano scopo di lucro.

COSTANTINI. Crescono, le autorizzazioni piccole, onorevole Carboni!

CARBONI ENRICO. È un tema molto delicato, questo, onorevoli colleghi. Io prego pertanto la Commissione di voler precisare con grande esattezza questi due concetti, che sono due termini giuridici di grandissima portata.

BOVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Bovetti, ma, come lei sa, posso concederle di parlare solo nel caso che ella intenda motivare la sua eventuale decisione di ritirare l’emendamento che ha presentato.

BOVETTI. Questo infatti desidero, onorevole Presidente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

BOVETTI. Io ritiro il mio emendamento non perché non sia convinto della sua bontà ed opportunità, ma solo per la coloritura non simpatica – mi si permetta l’espressione – che l’onorevole Scoccimarro ha dato a questa discussione.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Non è simpatico quello che fate voi.

BOVETTI. La legge non è fatta soltanto di parole, onorevoli colleghi: la legge deve soprattutto permearsi di una profonda aderenza ai concetti giuridici. Noi diciamo perciò, che, se fossimo di fronte ad un testo di legge preciso, il quale non offrisse possibilità di equivoci o di confusioni, voteremmo vivamente per il testo proposto dalla Commissione, ma poiché questo testo offre invece possibilità di confusione e di equivoci, noi, approvandolo, ci porremmo in una situazione talmente assurda, da trovarci poi veramente in serio imbarazzo nell’applicazione di questa legge. (Commenti). Valga per tutti l’esempio di un consulente legale, poniamo, di una società tranviaria, la quale, per ipotesi, riceva 50 mila lire all’anno dallo Stato; egli non sarebbe eleggibile. (Commenti).

Ad ogni modo, nonostante queste considerazioni, stante gli apprezzamenti che sono stati fatti, ritiro, come ho già detto, il mio emendamento; non posso tuttavia astenermi dal concludere augurandomi che mai in questa Camera entrino degli speculatori, ed anche che non si crei la categoria dei professionisti della politica. (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Bovetti ha dichiarato di ritirare il suo emendamento; domando ora all’onorevole Di Fausto, che ne ha presentato un altro analogo, se vi insista.

DI FAUSTO. Ritengo che sia preferibile tecnicamente il termine «incompatibile» a quello di «ineleggibile».

Comunque, mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Cappi.

FIRRAO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FIRRAO. Mi associo a quanto è stato detto dall’onorevole Bovetti.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Io desidero completare la risposta della Commissione sulle ulteriori dichiarazioni fatte dai colleghi.

È stato osservato che la formula «di rilevante entità» è troppo elastica, non concede la possibilità di una determinazione obiettiva.

Ora, bisogna tener presente che in materia esiste una giurisprudenza amministrativa, nella quale già è delineato il concetto di «rilevante entità», che può servire di orientamento alla Giunta delle elezioni della futura Camera.

Perché è necessario, onorevole Costantini, porre questa indicazione? Perché lo Stato dà una molteplicità di piccole, piccolissime concessioni ed autorizzazioni. Basta andare a consultare gli archivi del Ministero delle finanze per trovare delle concessioni e delle autorizzazioni di così minuscola entità, che sarebbe ridicolo concepirle come determinanti di ineleggibilità o incompatibilità. Se noi non ponessimo quel limite, faremmo veramente cosa eccessiva.

COSTANTINI. È l’aggettivo «rilevante» che non va!

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. È vero, suona male all’orecchio per analogia ad un’altra legge che ha fatto cattiva prova. Ma qui siamo in un altro campo. Ho già detto che nella giurisprudenza quel concetto non è nuovo, e la Giunta delle elezioni della futura Camera potrà concorrere a definirlo sempre meglio.

La proposta dell’onorevole Vito Reale di adottare la formula: «possibilità di sviluppo di nuovi affari», mi pare che aumenti le difficoltà per la impossibilità di determinare giuridicamente il valore e il significato. Questa nuova formula creerebbe alla futura Giunta delle elezioni maggiori difficoltà di quella «rilevante entità».

L’onorevole Carboni ci ha chiesto: «Siete voi in condizioni di poter fare una distinzione fra concessioni e autorizzazioni?». Ora, bisogna riconoscere che nella dottrina la distinzione fra i concetti di concessione e di autorizzazione è in via di svolgimento: è certo però che l’evoluzione del diritto amministrativo impone oggi questa distinzione, e non si può non tenerne conto in una legge politica come questa. Tanto è vero – ed è già stato ricordato – che la Giunta delle elezioni di questa Assemblea ha dovuto fare tale distinzione per risolvere un caso concreto sottoposto al suo giudizio. Ora, se l’esperienza ci pone di fronte a tale esigenza, noi dobbiamo tenerne conto. Noi non possiamo ignorare una decisione già presa dalla nostra Giunta delle elezioni; non possiamo ignorare che la nostra Giunta ha già deliberato in materia. Ed all’onorevole Bovetti, il quale ritiene poco simpatico il modo come io ho posto la questione, vorrei chiedere se egli consideri invece molto simpatica la difesa degli uomini politici affaristi, come egli fa.

Dopo questi chiarimenti credo non ci sia nulla da aggiungere. Mi auguro che questo articolo venga votato all’unanimità per il buon nome di questa Assemblea.

REALE VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

REALE VITO. Ritiro il mio emendamento, con l’intesa e con la significazione che le concessioni creano la ineleggibilità solo quando creano un rapporto di affari che determini un contrasto di interessi fra lo Stato e il concessionario.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Se l’onorevole Costantini non ha difficoltà, proporrei che alla parola «rilevante» fosse sostituita l’altra «notevole» in modo da dire «di notevole entità».

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Costantini.

COSTANTINI. Non posso aderire, perché l’aggettivo «notevole» ha caratteristiche, se non identiche, molto simili a quelle di «rilevante». Ripeto: lasciamo alla Giunta delle elezioni di giudicare caso per caso. Evitiamo di stabilire dei limiti, visto che questi limiti non possono essere obiettivi.

PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, la Commissione accetta di sostituire la parola «rilevante» con l’altra «notevole»?

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Non abbiamo nessuna difficoltà ad accettarla.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le seguenti parole dell’articolo 2-quinquies:

«Non sono eleggibili:

1°) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni: oppure per concessioni».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«o autorizzazioni amministrative».

(Sono approvate).

Passiamo all’inciso: «di notevole entità», di cui l’onorevole Costantini propone la soppressione.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Propongo che si aggiunga alle parole: «di notevole entità» la parola: «economica».

CORBINO. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Le parole: «di notevole entità» si riferiscono alle autorizzazioni o si riferiscono alle concessioni?

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Ad ambedue.

PRESIDENTE. Data l’importanza, onorevole Scoccimarro, la prego di spiegare.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La «notevole entità economica», nella redazione del comma, appare chiaro che si riferisce tanto alle autorizzazioni che alle concessioni. Se ci fosse qualche dubbio, questa dichiarazione messa a verbale chiarisce ogni possibile dubbio per l’avvenire.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la frase:

«di notevole entità economica».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Passiamo all’ultima parte del n. 1°):

«che importino contrattualmente l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse alle quali la concessione o l’autorizzazione è sottoposta».

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. L’avverbio «contrattualmente» va cancellato, onorevole Presidente.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione quest’ultima parte del comma.

(È approvata).

Pongo in votazione il n. 2°), sul quale non sono stati presentati emendamenti, e che suona così:

«2°) i rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese volte al profitto di privati e sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative o con garanzia di assegnazioni o di interessi, quando questi sussidi non siano concessi in forza di una legge generale dello Stato».

(È approvato).

Passiamo al n. 3°):

3°) «i consulenti legali e amministrativi che prestino in modo permanente l’opera loro alle società e imprese di cui al n. 2°)».

L’onorevole Lami Starnuti ha proposto di sostituire alle parole: «alle società e imprese di cui al n. 2°) le parole: «alle persone o società e imprese di cui ai numeri 1°) e 2°»).

L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

LAMI STARNUTI. Credo che sia chiaro che il mio scopo non è tanto di sollevare la questione di merito, quanto di rimediare a quella che a me pare una lacuna del testo proposto dalla Commissione. Suppongo accettato il concetto della Commissione, di rendere ineleggibili anche i consulenti legali ed amministrativi che prestino la loro opera in modo permanente, nella considerazione che la società o l’impresa potrebbe, per interposta persona, fare quell’opera illecita che si vuole impedire. Dato questo criterio informativo mi pare che le stesse ragioni valgano anche per le persone fisiche, le società e le imprese di cui al n. 1. Bisogna porre tutta la casistica sullo stesso piede di eguaglianza. A mio giudizio perciò bisognerebbe o sopprimere l’intero n. 3 o correggerlo secondo l’emendamento che io ho proposto.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione è d’accordo con le osservazioni dell’onorevole Lami Starnuti.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Comprendo quello che dice l’onorevole Lami Starnuti e sarei favorevole alla menzione in questo numero 3 sia delle società, di cui al numero 1, che di quelle, di cui al numero 2. Quello che non comprendo è come si possa colpire di ineleggibilità il consulente legale delle persone fisiche che non hanno con lo Stato rapporti in proprio. Accettando il concetto dell’onorevole Lami, proporrei questa formula: «I consulenti legali e amministrativi che prestano in modo permanente l’opera loro alle persone, società e imprese vincolate con lo Stato nei modi di cui sopra». Di fronte ad una impresa individuale, si capisce che non solo il suo titolare, ma anche il consulente legale di lui debba essere colpito da ineleggibilità; ma non capisco come si possa colpire anche il consulente legale dei dirigenti, o colui che cura gli affari personali degli amministratori delle imprese collettive.

LAMI STARNUTI. Sono pienamente di accordo con l’onorevole Scoca.

BOVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOVETTI. Chiedo due chiarimenti. Primo, se le parole «rilevante entità» siano limitate al numero 1 o siano estese al numero 2; e nel primo caso, il perché dell’esclusione. Secondo, vorrei sapere il significato preciso della parola «permanente», per evitare confusione anche per il futuro.

PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, la prego di rispondere.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione non ha ritenuto di dover estendere il concetto della «notevole e rilevante entità» anche al numero 2, per la diversa natura che hanno i due punti. Nel punto 1 si intendeva non colpire con un giudizio di ineleggibilità» una molteplicità di piccolissimi concessionari che esistono in Italia. In genere sono piccoli contadini, piccole cooperative, che hanno dallo Stato la concessione o l’autorizzazione del taglio delle erbe lacustri o hanno dei piccoli usufrutti o usi di beni demaniali. Non sarebbe giusto colpire con un giudizio di ineleggibilità anche i dirigenti di queste cooperative. Invece, il problema che si pone nel numero 2 è di altra natura; e qui alla Commissione non pare che si debba applicare il concetto della «notevole entità».

L’aggettivo «permanente» poi vuol dire che esiste un contratto di impiego continuo fra consulente e società: che non sia quindi un servizio occasionale, reso una volta tanto.

Per quanto riguarda l’emendamento Scoca accettiamo il riferimento al n. 1 e al n. 2.

PRESIDENTE. L’emendamento Scoca, accettato anche dall’onorevole Lami Starnuti, che ha ritirato quindi la sua proposta, è del seguente tenore:

«Aggiungere alla parola: società la parola: persone, ed aggiungere ancora: vincolate allo Stato nei modi di cui sopra».

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione accetta questa formulazione.

PASTORE RAFFAELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PASTORE RAFFAELE. Poiché è stato riconosciuto da questa Assemblea il carattere sociale delle cooperative, è bene fissarle anche in questo articolo ed escludere dalla ineleggibilità i dirigenti di cooperative.

Ad evitare cattiva interpretazione, propongo questo emendamento aggiuntivo:

«Dalla ineleggibilità sono esclusi i dirigenti di cooperative e di consorzi di cooperative, iscritti regolarmente nei registri di Prefettura».

Lo Stato ha la possibilità di controllare queste istituzioni. Sarebbe assurdo dichiarare la ineleggibilità dei loro dirigenti.

PRESIDENTE. Trattandosi di una aggiunta, sulla quale la Commissione darà il suo parere, evidentemente potrà essere messa in votazione dopo avere approvato le parti in esame dell’articolo, che sono indipendenti dall’aggiunta.

Pongo pertanto in votazione il punto 3°), nel testo concordato fra la Commissione e i proponenti di emendamenti, onorevoli Scoca e Lami Starnuti:

«3°) i consulenti legali e amministrativi che prestino in modo permanente l’opera loro alle persone, società e imprese, di cui ai numeri 1°) e 2°), vincolate allo Stato nel modo di cui sopra».

(È approvato).

L’onorevole Scoccimarro ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sopra l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Pastore Raffaele.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione accetta questo emendamento. Vi possono essere cooperative che hanno concessioni di rilevante entità economica; però le cooperative si distinguono dalle imprese private per questa ragione: hanno carattere di mutualità e sono sotto il controllo del Ministero del lavoro. Ciò significa che non distribuiscono profitti e gli utili sono destinati a scopi di mutualità o di pubblica assistenza. Quindi, non c’è interesse privato. Il Ministero del lavoro registra soltanto le cooperative che si amministrano con questi criteri, perciò i dirigenti di tali cooperative non fanno affari privati con lo Stato.

Per queste ragioni accettiamo la proposta dell’onorevole Pastore.

MICCOLIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Non condivido la proposta dell’onorevole Pastore, perché sotto la forma di cooperativa possono mascherarsi fini tutt’affatto diversi.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Allora non vengono registrate.

MICCOLIS. Vengono registrate lo stesso; si supera la formalità.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. A norma di legge, possono essere registrate solo le cooperative con finalità mutualistiche: a meno che non vi sia frode.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il comma aggiuntivo presentato dall’onorevole Raffaele Pastore ed accettato dalla Commissione:

«Dalla ineleggibilità sono esclusi i dirigenti di cooperative e di consorzi di cooperative, iscritte regolarmente nei registri di Prefettura».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

GRILLI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLI, Relatore per la minoranza. A proposito del numero 3, l’onorevole Bovetti ha chiesto alla Commissione che cosa volessero dire le parole: «in modo permanente».

PRESIDENTE. Le faccio osservare che è stato già votato.

GRILLI, Relatore per la minoranza. Ma poiché il Presidente della Commissione ha risposto che si doveva intendere un rapporto di impiego, mi parrebbe che, se questo rapporto di impiego fosse inserito dopo le parole: «in modo permanente» nel n. 3, la legge sarebbe molto più chiara. È vero che il n. 3 è stato approvato così come è, ma se si fosse d’accordo a portare questa piccola aggiunta, che serve a meglio chiarire, io credo che si farebbe cosa utile e legittima.

PRESIDENTE. Non si può fare, in quanto la votazione è già avvenuta.

GRILLI, Relatore per la minoranza. Potremmo presentare un comma aggiuntivo. (Commenti).

PRESIDENTE. La proposta della Commissione consiste nel creare un comma aggiuntivo al n. 3, vale a dire un comma 3-bis, del seguente tenore: «Le prestazioni dei consulenti legali e amministrativi di cui al n. 3° devono dipendere da rapporto di impiego».

Apro la discussione su questa proposta aggiuntiva.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Io mi oppongo a questa aggiunta, perché l’aggiunta distruggerebbe tutta la portata del numero 3 ed andrebbe a colpire i minori dei consulenti legali e amministrativi, i paria della consulenza. Il grande avvocato che presta la consulenza legale in modo permanente alla società, con vistose somme annuali di compenso, sarebbe dichiarato eleggibile, mentre sarebbe dichiarato ineleggibile il modesto funzionario dell’ufficio legale.

GRILLI. Relatore per la minoranza. È il contrario.

LAMI STARNUTI. Onorevole Grilli, o io ho inteso male, o è redatto male l’emendamento aggiuntivo.

Il suo emendamento dice esattamente:

«Le prestazioni dei consulenti legali e amministrativi di cui al numero 3 devono dipendere da rapporto di impiego».

È evidente che se non c’è questa condizione la ineleggibilità non esiste.

Quindi, la mia interpretazione è esatta. Se l’onorevole Grilli pensa ad una cosa diversa da quella che risulta, vediamo di chiarire il testo letterario dell’emendamento.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Sono contrario a questo emendamento. Debbo innanzi tutto fare ammenda di ciò che ho dichiarato un momento fa, quando dicevo che occorreva chiarire. Viceversa, io penso che sia meglio lasciare il testo come è, cioè come la Commissione lo ha proposto e come già l’Assemblea l’ha approvato.

Il richiedere l’esistenza di un rapporto di impiego apre la possibilità di ampie elusioni al principio. Ritengo che non si debba fare una casistica in questa materia. Lasciamo alla giunta delle elezioni di accertare l’esistenza in concreto di quelle caratteristiche che fanno ricadere il rapporto sotto la sanzione del principio. Mi risulta che vi sono grandi ditte, le quali danno ai loro legali poche migliaia di lire all’anno per avere la prestazione flro con carattere permanente. Ora, si deve ammettere che non basta questo per dichiarare ineleggibile una persona; si deve invece valutare caso per caso, non solo la permanenza ma la natura del rapporto, e sopra tutto l’entità e l’estensione del rapporto stesso. Concludo quindi perché sia accettata la formula che la Commissione ha proposto e che l’Assemblea ha già approvato.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Concordo con le osservazioni che ha fatto l’onorevole Lami Starnuti. Se si accogliesse questo emendamento, effettivamente sarebbero colpiti i paria, come lui diceva, della professione legale, poiché quelli che hanno un rapporto di impiego curano le pratiche di minore importanza; ma non sarebbero colpiti i consulenti dei quali si ha motivo di impedire l’accesso al Parlamento, gli avvocati di peso che prestano la loro opera abitualmente a favore delle imprese aventi rapporti con lo Stato.

Dico abitualmente, perché non si può intendere che sia comminata la ineleggibilità per quelli che una volta tanto danno il loro parere su una richiesta sporadica.

GRILLI. Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLI, Relatore per la minoranza. Ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. L’articolo 2-quinquies nel testo approvato risulta, pertanto, del seguente tenore:

«L’articolo 11 è sostituito dal seguente:

«Non solo eleggibili:

1°) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni; oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse alle quali la concessione o l’autorizzazione è sottoposta;

2°) i rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese volte al profitto di privati e sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative o con garanzia di assegnazioni o di interessi, quando questi sussidi non siano concessi in forza di una legge generale dello Stato;

3°) i consulenti legali e amministrativi che prestino in modo permanente l’opera loro alle persone, società e imprese di cui ai numeri 1°) e 2°), vincolate allo Stato nei modi di cui sopra.

«Dalla ineleggibilità sono esclusi i dirigenti di cooperative, e di consorzi di cooperative, iscritti regolarmente nei registri di prefettura».

Passiamo ora all’articolo 3. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il primo comma dell’articolo 13 è sostituito dal seguente:

«I comizi elettorali sono convocati con decreto del Capo provvisorio dello Stato, su deliberazione del Consiglio dei Ministri».

PRESIDENTE. Il testo proposto dalla Commissione è il seguente:

«Il primo comma dell’articolo 13 è sostituito dal seguente:

«I comizi elettorali sono convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri».

Pongo ai voti l’articolo 3 nel testo della Commissione.

(È approvato).

L’onorevole Mortati propone di aggiungere il seguente comma:

«Lo stesso decreto fissa il giorno della prima riunione della Camera nei limiti dell’articolo 59 della Costituzione».

L’onorevole Fuschini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. La Commissione accetta la proposta Mortati.

PRESIDENTE. Pongo in votazione lo emendamento aggiuntivo Mortati accettato dalla Commissione.

(È approvato).

L’articolo 3 rimane, pertanto, così formulato:

«I comizi elettorali sono convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri.

«Lo stesso decreto fissa il giorno della prima riunione della Camera nei limiti dell’articolo 59 della Costituzione».

Passiamo ora all’articolo 3-bis proposto dalla Commissione. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il primo comma dell’articolo 15 è sostituito dal seguente:

«Le liste dei candidati per il collegio unico nazionale devono essere presentate da non meno di venti delegati effettivi di liste aventi lo stesso contrassegno che assumerà la lista per il collegio unico nazionale.

«Il terzo comma è soppresso».

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Faccio presente che ieri è stato deciso che tutto ciò che si riferisce alla utilizzazione dei resti per il collegio unico nazionale formerà oggetto di una discussione unica; la discussione di questo articolo dovrà quindi essere rinviata.

PRESIDENTE. Sta bene.

Passiamo senz’altro all’esame dell’articolo 8-quater, proposto dalla Commissione. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Dopo l’articolo 64, è aggiunto il seguente:

«Art. 64-bis. – È riservata alla Camera dei deputati la facoltà di ricevere e accettare le dimissioni dei propri membri».

PRESIDENTE. V’è un emendamento soppressivo proposto dell’onorevole Mortati.

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Insisto nella mia proposta, perché mi sembra che la disposizione dell’articolo 8-quater abbia un contenuto estraneo alla legge elettorale. Se mai, bisognerebbe farne menzione all’articolo 64 della Costituzione, dove si parla della competenza delle Camere nel giudicare sui titoli di ammissione e sulle ragioni di decadenza dei propri membri.

Quindi, propongo che si tenga presente, in occasione della definitiva redazione del citato articolo 64, la materia delle dimissioni dei deputati, integrandolo con la espressa menzione di questa.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Sta bene che nella Costituzione si dica che le Camere sono esse quelle che devono ricevere le dimissioni o le dichiarazioni di dimissioni, ma non trovo niente di strano e di superfluo che una disposizione di questo genere si trovi anche nella legge elettorale. Infatti questa disposizione si trova anche nelle precedenti leggi elettorali, nelle quali è confermato che le dimissioni sono presentate direttamente all’organo di cui si fa parte e che questo organo può accettarle o respingerle.

Ora, un’affermazione di questo genere non ritengo che sia superflua, anche se sembrerebbe superflua secondo il concetto dell’onorevole Mortati. In sostanza, non guasta affermare questo anche nella legge elettorale.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Non v’è alcun dissenso sulla sostanza; v’è soltanto un apparente dissenso sul collocamento. Ora, siccome noi stiamo in questa singolare situazione, che contemporaneamente facciamo la legge elettorale e stiamo finendo la Costituzione, mi pare che sia giusta, fondamentalmente, l’osservazione dell’onorevole Mortati, cioè che questa norma, in se stessa, è più a posto nella Costituzione. E siccome il testo della Costituzione non è ancora definitivamente stabilito, mi pare che in questo momento l’Assemblea potrebbe approvare la disposizione, di cui si tratta, e deliberare di rinviarla al Comitato di redazione perché la inserisca nel testo della Costituzione al posto appropriato.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. A me sembra giusto inserire questo principio nella legge elettorale per la Camera dei deputati; in tutte le leggi elettorali passate, infatti, si è sempre parlato delle dimissioni dei deputati. La Commissione, pertanto, insiste nel mantenimento della norma.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 8-quater testé letto, del quale l’onorevole Mortati propone la soppressione.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo all’articolo 8-quinquies, proposto dalla Commissione. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Dopo l’articolo 65, è aggiunto il seguente:

«Art. 65-bis. – Gli impiegati dello Stato e di altre pubbliche Amministrazioni, esclusi i professori ordinari di Università, che siano eletti deputati, sono collocati in aspettativa senza assegni, secondo le norme stabilite dagli articoli 81 e 82 del decreto 11 novembre 1923, n. 2395. Fino al termine del loro mandato, essi non possono ottenere promozioni, tranne quelle rigorosamente determinate dall’anzianità, né partecipare a concorsi. Però gli eventuali limiti di età per la partecipazione ai concorsi da parte di ex deputati sono prorogati per gli stessi di un periodo di tempo uguale a quello della durata dell’esercizio del mandato parlamentare».

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. La Commissione ritira la proposta di articolo 8-quinquies e aderisce alla proposta subordinata degli onorevoli Mastrojanni, Bellavista, De Vita, Martino Gaetano, Rubilli, Miccolis e Rodi.

PRESIDENTE. Sta bene. Ricordo all’Assemblea che gli onorevoli Mastrojanni e altri avevano proposto di sopprimere l’articolo 8-quinquies e, subordinatamente, sostituirlo col seguente:

«Gli impiegati dello Stato e di altre Amministrazioni, nonché i dipendenti degli Enti ed Istituti di diritto pubblico sottoposti alla vigilanza dello Stato, che siano eletti deputati, sono, a loro richiesta, collocati in congedo straordinario per tutta la durata del mandato parlamentare, secondo le norme in vigore».

Gli onorevoli Bettiol, Mortati e Giannini hanno proposto la soppressione di questo articolo. Invito i proponenti a dichiarare se vi insistono.

Onorevole Giannini?

GIANNINI. Ritiro il mio emendamento e aderisco a quello accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Bettiol, lei insiste?

BETTIOL. Prendo atto del nuovo emendamento accettato dalla Commissione, e ritiro il mio.

PRESIDENTE. Sta bene. E l’onorevole Mortati?

MORTATI. Io insisto nel mio emendamento soppressivo, soprattutto per questa ragione: che la materia regolata dall’articolo in esame sia pertinente alla legge sullo stato giuridico degli impiegati e degli altri funzionari dello Stato, e non alla legge elettorale. È infatti la prima volta che una legge elettorale si occupa di questo argomento.

La ragione principale per cui, secondo me, bisogna riferirsi alle disposizioni sullo stato giuridico degli impiegati, è questa: la necessità, cioè, di raggiungere una uniformità di trattamento per tutti gli impiegati che occupano cariche pubbliche. Noi dovremmo regolare la situazione dei funzionari che divengono deputati; sarebbe assurdo che quelli che faranno la legge per l’elezione dei senatori facessero agli impiegati un trattamento diverso e che un’altra disciplina fosse data nel caso di elezione a consigliere regionale. Non sembra infatti opportuno che l’impiegato sia posto in diverse situazioni giuridiche secondo che rivesta la carica di deputato, di senatore o di consigliere regionale. Ecco perché mi sembra sia opportuno rinviare il regolamento unitario e armonico di questa materia alle leggi sullo stato giuridico.

Queste sono le ragioni che mi consigliano di insistere nel mio emendamento soppressivo.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Non posso essere d’accordo con quanto ha detto qui, in questo momento, l’onorevole Mortati. Egli ha fatto riferimento alla legge sullo stato giuridico degli impiegati, ma ha dimenticato che quella legge fu abrogata, espressamente abrogata, da una successiva legge del 1929, che appunto in sede elettorale disciplinava diversamente la materia.

E la Commissione è stata unanime innanzitutto su questo punto: che fosse necessario, anzi inevitabile, disciplinare, precisare la posizione giuridica del dipendente dallo Stato che sia chiamato ad esercitare il mandato parlamentare. E la Commissione è giunta in questo convincimento appunto perché ha ritenuto che non fosse concepibile di lasciare in una posizione equivoca e non precisa il funzionario al quale la sovranità popolare ha affidato l’esercizio del mandato parlamentare.

Premesso questo, e chiarito che esiste la legge del 1929, tuttora in vigore, la quale abrogava le disposizioni che erroneamente richiamava nel suo primitivo progetto la Commissione, cioè gli articoli 81 e 82 della legge sullo stato giuridico degli impiegati, la Commissione si è posta il quesito: quale dovesse essere la posizione degli impiegati chiamati ad esercitare il mandato parlamentare; ed ha escluso che si potesse trattare di aspettativa, poiché l’aspettativa implica di necessità motivi di carattere personale e familiare dell’impiegato, mentre non può essere tale il motivo che destina il funzionario ad esercitare il mandato parlamentare. Ed allora essa ha dovuto di necessità ripiegare su una posizione di «congedo straordinario», posizione prevista appunto dalla legge del 1929.

Ha voluto inoltre la Commissione moralizzare questa posizione, ed ha detto che il funzionario possa, a sua domanda, a sua richiesta, essere collocato in aspettativa. Con che è stata assorbita la questione più spinosa, che era quella che riguardava i professori universitari chiamati ad esercitare il mandato parlamentare. Naturalmente, il professore universitario, che può disimpegnare contemporaneamente l’uno e l’altro incarico, non chiederà l’aspettativa, ma la chiederà il funzionario che non si trova in condizioni di poter esercitare contemporaneamente queste differenti funzioni.

Con quella espressione, da noi richiesta, si è ritenuto da tutti i punti di vista di moralizzare la posizione e di attenerci alle norme tuttora in vigore, che sono appunto quelle della legge del 1929.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Il testo accettato dalla Commissione può far sorgere un equivoco in quanto dice «sono» a riguardo di quelli che a loro richiesta sono collocati in congedo. Si è voluto sancire un obbligo o una facoltà? Se si trattasse di una facoltà, io sarei disposto a ritirare il mio emendamento. Se invece si vuole porre un obbligo, sia pure condizionato alla istanza del funzionario che viene a rivestire la carica di deputato e che avrebbe valore di pura e semplice denunzia dell’avvenuta elezione, allora non potrei accettare la soluzione proposta ed insisterei nell’originaria richiesta di soppressione.

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Avevo proposto i seguenti due emendamenti:

«Alla prima parte dell’articolo 65-bis, alle parole: sono collocati in aspettativa senza assegni, secondo le norme stabilite dagli articoli 81 e 82 del decreto 11 novembre 1923, n. 2395, sostituire le parole: sono collocati in congedo straordinario per la durata del mandato parlamentare, conservando tutti gli assegni di cui godono.

«Subordinatamente, ed in caso di approvazione del testo della Commissione, aggiungere un secondo comma del seguente tenore:

«I liberi professionisti, industriali e commercianti, che siano eletti deputati, non possono durante il mandato parlamentare esercitare la professione, l’industria o il commercio».

Dopo la nuova formulazione della Commissione vi aderisco e ritiro i miei due emendamenti. Però faccio osservare due cose. L’una si riferisce appunto all’espressione «a loro richiesta».

Io ritengo che questa espressione debba essere soppressa, perché il collocamento in congedo straordinario deve essere obbligatorio, doveroso. Dicendo invece «a loro richiesta» si viene a dire che è in facoltà dell’impiegato di chiedere, e quindi anche di non chiedere, il congedo straordinario, così come è avvenuto per qualche impiegato deputato di questa Assemblea.

Invece sia per i professori universitari, sia per tutti gli altri professori ed impiegati, credo che sia giusto stabilire che debbano collocarsi tutti in congedo straordinario, perché chi deve fare il legislatore non può adempiere ugualmente bene agli altri suoi doveri.

L’altra mia osservazione riguarda l’espressione «secondo le norme in vigore». Non si comprende se si tratta delle norme in vigore quando sarà eletto il deputato o attualmente.

È questo precisamente che ci interessa, cioè di non perdere quello che la legge del 1929 ha concesso agli impiegati. Quindi propongo di dire: «secondo le norme attualmente in vigore».

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. L’onorevole Rescigno ha espresso un’opinione del tutto personale che non è condivisa dagli impiegati e forse dai professori alle sue dipendenze.

Vorrei obiettare che il professore, e in genere l’impiegato dello Stato, verrebbe, secondo quanto ha detto l’onorevole Rescigno, a subire una condizione diversa da quella del professionista libero.

BUBBIO. Se facciamo il nostro dovere i nostri studi rimangono di fatto chiusi o bisogna assumere un sostituto.

COVELLI. Per quel che risulta a me, non accade che i signori deputati alla Costituente, che esercitano una libera professione, siano costretti a chiudere i loro studi: essi fanno l’una e l’altra cosa compatibilmente col lavoro dell’Assemblea Costituente. Ma v’ha di più: i professionisti liberi si avvantaggiano molto spesso della situazione di deputato per meglio potenziare la loro professione.

Perché allora voler limitare la modestissima condizione di impiegato dello Stato obbligandolo a rinunciare a tutto ciò che può ancora esercitare del suo ufficio?

Sarebbe oltremodo odiosa la sperequazione di trattamento che si farebbe con quella legge all’impiegato dello Stato nei confronti del professionista libero. È notorio – insisto e vorrei che la Commissione tenesse ben presente questo – che gli avvantaggiati dalla carica di deputato sono stati sempre i professionisti liberi e non so perché ci si debba accanire contro gli impiegati dello Stato. Non vedo poi come i professori universitari debbano essere esclusi, a voler restare al testo presentato dalla Commissione…

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. L’abbiamo modificato.

COVELLI. Non basta modificare. Vorrei che i professori universitari fossero considerati alla stregua degli altri impiegati dello Stato e che per gli impiegati dello Stato si avesse quel riguardo cui hanno diritto.

CASTELLI AVOLIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTELLI AVOLIO. Onorevoli colleghi, sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Rescigno il quale ha proposto che nell’ultima parte dell’articolo sia detto: «secondo le norme attualmente in vigore», per precisare che si tratta del decreto 26 luglio 1929, n. 1988, e non già di quelle norme che possono eventualmente entrare in vigore durante la vita della disposizione stessa.

Non sono però d’accordo sul punto che si debba sopprimere dalla disposizione in esame la frase: «a loro richiesta», per la ragione che vi sono dei funzionari dello Stato i quali, non essendo legati a un obbligo preciso di orario di ufficio, potrebbero bene, come attualmente già fanno, adempiere alla loro mansione di impiegato ed espletare il loro mandato di deputato. Così alcuni magistrati, i professori universitari ed altri.

Prego poi lei, signor Presidente, di fare esaminare, in correlazione con questa norma, la mia proposta aggiuntiva all’articolo 2-quater, in relazione a quella speciale aspettativa che noi ieri abbiamo votato per i magistrati, per potersi presentare alle elezioni. Si tratta di stabilire il trattamento economico che ad essi sarebbe fatto durante questo periodo di speciale aspettativa. Quindi l’articolo aggiuntivo da me proposto, e di cui ho brevemente illustrato le ragioni all’inizio della seduta, potrebbe formare il secondo comma dell’articolo che stiamo esaminando.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Sono d’accordo con le considerazioni fatte dall’onorevole Covelli. Non vedo alcuna ragione per cui si debba fare a un impiegato dello Stato un trattamento diverso di quello che si fa a un professionista, od ai membri dei Consigli di amministrazione delle varie società di carattere economico. Accetterei l’emendamento dell’onorevole Mastrojanni, a patto però che al posto di: «sono collocati a loro richiesta», che è una espressione ambigua, si dicesse: «possono essere a loro richiesta». In fondo, bisogna lasciare al deputato di giudicare se la carica sia compatibile o meno con le funzioni che egli dovrebbe disimpegnare fuori del Parlamento.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Mortati propone di sostituire alle parole: «sono, a loro richiesta, collocati in congedo straordinario», le parole: «possono, ove lo richiedano, essere collocati in congedo».

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Desidero un chiarimento, per sapere quale differenza esiste agli effetti economici fra il congedo straordinario e l’aspettativa.

RESCIGNO. In congedo straordinario si percepiscono tutti gli assegni di cui si gode.

BUBBIO. Allora io vorrei fermarmi un momento su questo punto. Ho sentito l’onorevole Covelli il quale ha affermato che i deputati professionisti guadagnano forse di più. Ciascuno pensa forse al proprio caso, ma io vi dico che un deputato professionista, che sia obbligato a compiere il suo dovere a Roma, se non chiude l’ufficio, deve per lo meno nominare un sostituto come anch’io ho dovuto fare, per cui tutto l’utile se ne va. E non andiamo a dire che il deputato professionista può prevalere per la sua funzione parlamentare sui colleghi professionisti, perché chi ha un esatto senso del suo dovere, e qui tutti l’abbiamo, ben sa che non può usare e non usa dell’ufficio agli effetti privati. Né credo che, come ho sentito accennare, con la nuova Camera le cose potranno mutare, nel senso che vi sarà minor numero di sedute. Penso, invece, che la nuova Camera legislativa, specie nei primi anni, avrà un lavoro maggiore di quello della Costituente per l’enorme numero di leggi che avrà da studiare e da approvare; basta pensare ai bilanci.

Ed allora, per evitare eccessivi gravami al bilancio pubblico e per tenere anche presenti le condizioni dei deputati impiegati, si potrebbe trovare un accordo fra le due tesi estreme, nel senso che gli impiegati siano collocati in aspettativa obbligatoriamente con metà stipendio. Sottopongo in questo senso la proposta alla Commissione.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Aderisco all’emendamento soppressivo proposto dall’onorevole Mortati, qualora la Commissione non accetti l’emendamento testé presentato da questo onorevole collega per un intento conciliativo. Mi pare davvero che con questa norma si stia esagerando.

A parte quanto ha detto esattamente l’onorevole Mortati, che cioè una norma di tal genere dovrebbe comparire nelle leggi che regolano lo stato giuridico degli impiegati, nelle quali si può valutare con rigore le impossibilità di fatto derivanti dall’esercizio del mandato parlamentare alle attività esplicate presso l’amministrazione, a parte questo, io vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulle questioni di sostanza che questa norma solleva e sui motivi di opportunità che ne consigliano la soppressione o l’attenuazione nel senso da noi proposto. Mi sembra che la norma in esame sia in contradizione precisa – ed io pongo la questione pregiudiziale – con la norma costituzionale che noi abbiamo votato, precisamente quella contenuta nell’articolo 50, secondo cui chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario e di conservare il posto di lavoro. Evidentemente l’affermato diritto di avere il tempo necessario per l’esplicazione delle pubbliche funzioni elettive implica che quelle di carattere amministrativo normalmente continuino. A tale diritto si aggiunge l’altro, di conservare il proprio posto di lavoro.

Mi pare che questa norma sia stata votata unanimemente dall’Assemblea nell’intento di democratizzare l’attività politica, di togliere ad essa quel carattere che ha avuto lungamente di appannaggio di persone abbienti, di professionisti della politica, di avvicinare l’attività politica a quelle che sono le normali attività dei cittadini. E in questo spirito e in questo intento di democratizzare l’attività politica, si è voluto garantire a chiunque lavori la possibilità, nell’ambito del suo stesso lavoro, di esercitare un’attività politica. Quindi non vi è la possibilità di votare norme come quelle proposte, che contradirebbero a una disposizione contenuta nella Costituzione. Si lasci, invece, che le leggi sullo stato giuridico stabiliscano, là dove veramente sussistono, i casi di materiale impossibilità del coesistere dell’attività parlamentare e dell’attività inerente all’impiego. E non si faccia neppure questione di assegni, perché così il problema è mal posto. Per molti non è la questione degli assegni che venga in considerazione, ma il desiderio di adempiere alla propria missione nel mondo. Noi insegnanti per esempio, che sentiamo l’insegnamento come una missione, crediamo di poter congiungere le due attività. La disposizione quindi va guardata non da un punto di vista puramente economico, come mi pare sia stato fatto da qualche parte, ma dal punto di vista politico e sociale ed anche in vista di quella integrazione di attività e di quella combinazione di diverse esperienze che arricchiscono le assemblee politiche e ne elevano il tono.

Approvando questa norma si ridurrebbero praticamente le assemblee legislative ad essere assemblee di professionisti politici; perché da esse certamente si allontanerebbero quanti fra noi non sentono di poter rinunciare alla propria missione specifica e sarebbero disposti a rinunciare all’attività politica e parlamentare, piuttosto che abbandonare il loro normale lavoro. (Applausi).

PRESIDENTE. Comunico il testo dell’emendamento Mortati:

«Sostituire, nella formula accettata dalla Commissione, le parole: sono a loro richiesta collocati in congedo straordinario, con le altre: possono, ove lo richiedano, essere collocati in congedo».

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. A nome anche degli altri sottoscrittori del mio emendamento, non ho difficoltà ad aderire alla formula Mortati; nel senso, cioè, di sostituire la frase: «sono a loro richiesta collocati in congedo straordinario», con l’altra: «possono, ove lo richiedano, essere collocati in congedo».

PRESIDENTE. Invito la Commissione ad esprimere il suo parere.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Dirò le ragioni che assistono questa proposta di emendamento all’articolo 66 della legge.

Non è del tutto esatto quanto ha detto l’onorevole Mortati e cioè che della questione degli impiegati dello Stato le precedenti leggi elettorali non si siano occupate.

L’articolo 99 della legge 2 settembre 1919, riprodotto nell’articolo 86 del primo progetto ministeriale sulla riforma della legge elettorale, dice che gli impiegati dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni, se siano eletti deputati, vengono collocati in aspettativa, senza assegni, secondo le norme stabilite dagli articoli 81 e 82 del regio decreto 11 novembre 1923, n. 2395.

Ora faccio notare che effettivamente le leggi elettorali si sono occupate degli impiegati in rapporto alla loro elezione a deputati.

Forse non è inutile fare un brevissimo accenno al passato, che non tutti forse conoscono.

Fin dal primo tempo del Parlamento italiano vi era una limitazione alla presenza degli impiegati nelle assemblee legislative, specialmente nella Camera dei deputati. Consisteva in questo: non si volevano nella Camera dei deputati più di quaranta deputati impiegati; tanto che al principio della legislatura si faceva il sorteggio fra gli impiegati dello Stato eletti, quando essi superavano il numero di quaranta.

BELLAVISTA. Preistoria elettorale.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Non sto a sfoggiare la mia erudizione, che è del resto modesta. Ma mi pare sia opportuno rendersi conto dei precedenti.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, l’onorevole Mortati ha rinunziato alla proposta di soppressione dell’articolo; ha presentato invece un emendamento.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Non insisterò sui precedenti, ma ripeto che disposizioni riguardanti gli impiegati dello Stato eletti deputati vi sono sempre state nelle leggi elettorali.

Venendo al punto concreto dell’emendamento proposto dall’onorevole Mortati, la Commissione non ha nessuna difficoltà ad accettare che si sostituiscano le parole «ove lo richiedano» alle parole «a loro richiesta».

Però ritengo di non poter accettare, a nome della Commissione, la parola «possono»; la quale significa che le autorità amministrative possono resistere alla richiesta; quando vi è la richiesta, l’Amministrazione deve collocare in congedo.

Per questa ragione mantengo ferma la dizione: «sono, ove lo richiedano, collocati in congedo straordinario per tutta la durata del mandato parlamentare, secondo le norme in vigore».

Si richiede poi l’aggiunta dell’avverbio «attualmente». Ritengo che questo avverbio possa creare equivoci. Oggi vi è una legge in vigore che regola la materia con disposizioni precise. Ma non è detto che le disposizioni oggi in vigore non possano essere mutate nel corso dell’attività legislativa. Non mi pare il caso di aggiungere questo avverbio, perché il trattamento fatto oggi ai funzionari deputati dell’Assemblea Costituente dovrà esser fatto anche domani secondo la legge in vigore nel periodo dell’esercizio del mandato parlamentare. Questo è il punto di vista della Commissione, che mi pare chiaro e sul quale prego l’Assemblea di pronunziarsi.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, accetta questo emendamento della Commissione alla sua formula, cioè di sostituire «possono, ove lo richiedano, essere collocati in congedo»: con: «ove lo richiedono sono collocati in congedo», allo scopo di togliere la facoltà alla pubblica amministrazione di non porli in congedo?

MORTATI. Accetto questa proposta della. Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Rescigno, mantiene il suo emendamento?

RESCIGNO. Lo ritiro, intendendo però che esso valga come interpretazione della norma stabilita.

PRESIDENTE. La formulazione sulla quale dovremo votare è del seguente tenore:

«Gli impiegati dello Stato e di altre amministrazioni, nonché i dipendenti degli enti ed istituti di diritto pubblico sottoposti alla vigilanza dello Stato che siano eletti deputati sono, ove lo richiedano, collocati in congedo straordinario per tutta la durata del mandato parlamentare, secondo le norme in vigore».

MALAGUGINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Poiché si tratta di una materia di estrema delicatezza e questo carattere di estrema delicatezza mi pare sia emerso chiaramente dai vari interventi che si sono avuti, dichiaro che, trovandomi nella condizione di essere impiegato dello Stato, mi asterrò dal voto; ed aggiungo di più: esprimo l’augurio che questo mio atteggiamento sia seguito dagli altri colleghi che si trovano nelle stesse mie condizioni (Approvazioni), in modo che una decisione presa dall’Assemblea in questo senso sia liberata, di fronte all’opinione pubblica, di ogni sospetto che sia stata determinata dal voto degli interessati. (Applausi).

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Malagugini e mi astengo dalla votazione.

BETTIOL. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Anche se come professore universitario ho la coscienza di poter adempiere ugualmente ai doveri accademici e parlamentari, mi asterrò dal voto.

CONDORELLI. Anch’io mi astengo.

DE VITA. Mi astengo.

CORBINO. Anch’io dichiaro di astenermi.

GUIDI CINGOLANI ANGELA. Dichiaro di astenermi.

COVELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Apprezzo la nobiltà del gesto dell’onorevole Malagugini imitato dagli altri con adesione altrettanto nobile; obietto però che coloro i quali si trovano nelle condizioni, quali impiegati dello Stato, di difendere, ove questo termine fosse consentito, un diritto degli impiegati dello Stato, non fanno con il preannunziato atteggiamento l’interesse degli impiegati dello Stato. Perciò, chiarezza con chiarezza: pur essendo spinto (parlo in prima persona) ad aderire al gesto dell’onorevole Malagugini, io mi sento molto più conseguente alle ragioni esposte dall’onorevole Malagugini votando e pregando di votare anche coloro che vorrebbero astenersi; onde poter dire agli impiegati dello Stato fuori di questa Assemblea che il nostro gesto di solidarietà è stato ampiamente ponderato ed è stato anche giusto. (Applausi).

VISCHIONI. Io mi asterrò dal votare.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Io non mi astengo dalla votazione. Non mi astengo perché qui c’è un equivoco. I professori universitari non furono mai prima del fascismo considerati esclusivamente funzionari dello Stato. È il fascismo che ha creato questo, è il fascismo che li ha voluti considerare, per avvilirli, esclusivamente servitori dello Stato, mentre essi sono piuttosto i servitori della scienza, i servitori del pensiero. Io mi ribello a questa considerazione fascistica della funzione universitaria. Quel tale articolo che ha letto poco fa l’onorevole Fuschini relativo al collocamento in aspettativa non fu mai applicato ai professori universitari. Il Parlamento si è sempre onorato di accoglierli nel proprio seno e non li ha mai considerati soltanto funzionari dello Stato. Per questa ragione io non mi astengo.

DE VITA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Desidero far notare all’onorevole Martino che, con tutto il rispetto dovuto ai professori universitari, anche gli impiegati dello Stato non sono servi di nessuno, perché esercitano una loro funzione. Mi asterrò dal votare. (Applausi).

CONDORELLI. Io dico che siamo tutti servi dello Stato.

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Sento il bisogno di riprendere per pochi secondi la parola, spinto da quanto ha detto l’onorevole Martino, in quanto egli, nell’affermare che i professori universitari non sono stati considerati dalle leggi elettorali precedenti impiegati dello Stato, ha usato una frase che può prestarsi ad equivoco significato. Se, con la locuzione di «servi dello Stato», si vuole accennare a coloro che hanno il dovere di impiegare le proprie energie nell’interesse ed al servizio dello Stato, bisogna dire che sono servi dello Stato non solo tutti coloro che sono dipendenti dello Stato compresi i professori universitari, ma, in un certo senso, tutti i cittadini, perché tutti devono mirare al benessere del Paese. Se si vuol dare a questa locuzione un significato men che riguardoso, debbo rivendicare, accanto a quella dei professori, la dignità di tutti gli altri impiegati dello Stato, di tutti quelli che prestano la loro opera a servizio dello Stato, ma che non sono servi dello Stato nel senso deteriore. I professori universitari, nella precedente legislazione elettorale, erano effettivamente esclusi dalle limitazioni stabilite in genere per gli impiegati dello Stato; ma bisogna ricordare che furono escluse dalle stesse limitazioni anche altre categorie, come quella dei magistrati a partire dai consiglieri di Corte d’appello, degli ufficiali superiori ed altre.

PRESIDENTE. Per esattezza storica, e perché non sembri a nessuno che l’onorevole Fuschini abbia affermato cose inesatte, debbo ricordare all’Assemblea che i professori universitari sono stati sempre dalla legge elettorale considerati funzionari ed impiegati dello Stato; tanto è vero che, in base alla disposizione ricordata dall’onorevole Fuschini – per cui non potevano sedere nella stessa Camera dei deputati più di quaranta funzionari ed impiegati dello Stato – quando era superato questo numero il sorteggio avveniva fra tutti, compresi anche i professori ordinari delle Università.

Pongo in votazione l’articolo 8-quinquies, del seguente tenore:

«Dopo l’articolo 65, è aggiunto il seguente;

«Gli impiegati dello Stato e di altre Amministrazioni, nonché i dipendenti degli Enti ed Istituti di diritto pubblico sottoposti alla vigilanza dello Stato, che siano eletti deputati, sono, ove lo richiedano, collocati in congedo straordinario per tutta la durata del mandato parlamentare, secondo le norme in vigore».

(È approvato).

Chiedo alla Commissione se è in grado ora di precisare il proprio avviso sull’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Castelli Avolio.

FUSCHINI. Relatore per la maggioranza. Propongo il rinvio, per dar tempo alla Commissione di esaminarlo. In ogni modo la Commissione, se lo accetterà, proporrà di farne un articolo a sé stante.

PRESIDENTE. Se non sorgono opposizioni, rimane fermo il rinvio della votazione sull’emendamento aggiuntivo Castelli Avolio.

(Così rimane stabilito).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.10.