Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI SABATO 13 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXXXII.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 13 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI E DEL VICEPRESIDENTE PECORARI

INDICE

Interrogazione urgente (Svolgimento):

Presidente

Sforza, Ministro degli affari esteri

Persico

Di Fausto

Per un’accusa formulata dal deputato Cianca contro il deputato Chieffi:

Chieffi

Presidente

Cianca

Lussu

Inversione dell’ordine del giorno:

Presidente

Sulla proposta di nomina di una Commissione d’inchiesta:

Presidente

Nenni

Pajetta Giuliano

Bettiol

Scelba, Ministro dell’interno

Costantini

Lucifero

Gullo Rocco

Pallastrelli

Faralli

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Cevolotto

Nitti

Dossetti

Cappi

Laconi

Rossi Paolo

Scelba, Ministro dell’interno

Togliatti

Miccolis

Micheli

Nomina di una Commissione:

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Svolgimento di una interrogazione urgente.

PRESIDENTE. All’ordine del giorno vi è la seguente interrogazione dell’onorevole Persico al Ministro degli affari esteri, cui l’onorevole Ministro si è dichiarato pronto a rispondere subito:

«Al Ministro degli affari esteri per conoscere se proseguano e a che punto siano giunte le trattative per l’unione doganale italo-francese auspicate nei convegni diplomatici dello scorso luglio».

L’onorevole Ministro degli affari esteri ha facoltà di rispondere.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Non appena ho avuto notizia, dopo la sua presentazione, che l’interrogazione dell’onorevole Persico verteva su un argomento che il caso vuole sia anche di attualità in Roma – come vi dirò poi – ho accettato con piacere di rispondere immediatamente.

Sarà forse bene che i colleghi sappiano come è sorta e come si è sviluppata rapidamente questa idea di una unione doganale italo-francese. Fino dallo scorso maggio, io avevo fatto iniziare delle pratiche confidenziali per vedere se fra noi e la Francia non si potesse giungere a più stretti accordi commerciali e industriali. Poiché l’atmosfera mi parve favorevole, io mi permisi, alla Conferenza di Parigi dello scorso luglio per il piano Marshall, o piuttosto per il cosiddetto piano Marshall, di prendere, nella stessa seduta inaugurale, la parola e di far cenno a questa idea che alla maggior parte del pubblico francese doveva sembrar nuova.

Mi espressi a un dipresso nei seguenti termini: «La Conferenza che oggi si inaugura deve distruggere la malattia delle autarchie e dei compartimenti stagni. L’avvenire dell’Europa e di gran parte del mondo è fra le vostre mani cento volte di più che non lo fosse nel 1919. I nostri predecessori di allora, in questa stessa sala, si occuparono delle forme: oggi, per la prima volta, stiamo prendendo invece in mano delle realtà profonde.

«Il nostro compito non è facile; noi dobbiamo sormontare non solo gli egoismi, ma anche i più giustificati timori nazionali ed augurarci che i tedeschi, moralmente guariti, rientrino nella nostra comunità di produzione. Noi dobbiamo tentare anche di ricondurre al nostro fianco i grandi Paesi assenti».

E poi, l’ultimo giorno della conferenza, avendo il Primo Ministro del Belgio illustrato le finalità del Benelux (questa nuova strana parola auspicatrice di nuovi sviluppi europei, perché parte dalla prima sillaba Belgio, dalla seconda Nederlands e dalla terza sillaba Lux, cioè Luxenbourg, i tre paesi che hanno costituito fra loro un’unione doganale) prospettò poi la speranza che questa si allargasse. Ciò mi obbligò a prendere la parola. Dichiarai fra l’altro:

«Speriamo di veder presto sorgerne un’altra di queste parole, tratta dalle radici di due dei nomi più illustri del mondo, Francia e Italia. Quale sarà questa parola? Non voglio osare di immaginarla, come non voglio nemmeno osare di immaginare la forma che prenderà l’unione franco-italiana; so solo che quando essa nascerà, una via nuova si sarà aperta all’Europa. Perché i francesi e gli italiani marcerebbero contro la storia? Se essi mostreranno al mondo un’unione anche rudimentale, il mondo li ammirerà come pionieri dell’umanità. Non lo furono già nel passato? Ma questa volta saranno ammirati molto di più, perché i fatti hanno questo di formidabile: che sono compresi e rispettati più presto delle idee. Sarà gloria eterna per l’Italia e per la Francia se compiremo il primo passo sulla via che presto o tardi sarà seguita dall’Europa intera».

Che l’opinione pubblica francese, prima stupefatta, arrivasse a poco a poco a comprendere che era interesse comune dei due Paesi di dare un esempio al mondo di unione, e di finirla coi vecchi compartimenti stagni del passato, è provato non solo da dirette testimonianze che ricevetti e che non vi posso riferire qui – poiché si tratta di alte personalità – ma anche dalla recente conferenza stampa tenuta dal deputato francese onorevole Bonnefous, che è stato designato come relatore per il progetto di legge concernente l’unione doganale italo-francese; in quella conferenza stampa egli disse:

«Se il progetto verrà varato, un’unità economica di 860 mila chilometri quadrati e di 80 milioni di abitanti sarà creata nel centro dell’Europa. Numerosi fattori contribuiscono al ravvicinamento fatale dei due Paesi: geografia, cultura, lingua; sebbene le due economie siano complementari soltanto per quanto riguarda la mano d’opera. Nel 1960 l’Italia avrà una popolazione di cinquanta milioni di abitanti contro quaranta milioni in Francia. Mentre la proporzione attuale degli italiani in età da lavoro è molto superiore a quella dei francesi, specialmente nel settore agricolo, dove l’Italia soffre di una sensibile eccedenza. Densità agricola: 90 abitanti per chilometro quadrato in Italia e 45 in Francia. Accordi in questo senso fra i due Paesi sono tanto più realizzabili in quanto gli italiani stessi desiderano dirigere una parte della loro popolazione agricola verso le regioni rurali della Francia meridionale e verso le industrie nuove francesi; anche altre forme di collaborazione fra i due Paesi sono possibili: in tempi normali la Francia può esportare cereali nella penisola. Le rispettive politiche di produzione di alcune industrie, seta, per esempio, possono essere armonizzate».

L’onorevole Bonnefous concluse affermando che la cosa più importante era la volontà di intesa fra i due Paesi; e questa s’è mostrata di più in più con la Commissione mista franco-italiana creatasi subito dopo, che fu incaricata di stabilire una formula precisa di unione doganale.

Una prima sessione della Commissione italo-francese ebbe luogo a Roma, nel settembre, una Parigi nell’ottobre, e la terza ed ultima ha luogo attualmente in Roma, perché, secondo gli accordi formali presi fra il Governo francese e il Governo italiano, il rapporto finale su cui dovranno decidere poi i due Governi deve essere sottoposto al Governo italiano e al Governo francese entro il 31 dicembre.

Noi dobbiamo renderci conto che è bensì possibile che questa grande riforma – se avrà luogo – porterà in certi campi, tanto in Francia quanto in Italia, dei dissesti e delle incertezze, come sempre accade quando una importante trasformazione si attua. Ma per eliminare tali inconvenienti – siccome né noi né i francesi pretendiamo fare miracoli ma agire lentamente – basterà che l’attuazione dell’unione doganale italo-francese abbia delle tappe che rendano possibile l’eliminazione degli inconvenienti in molti campi.

Però, quando noi pensiamo che l’unione di due dei popoli più intelligenti e più attivi di Europa può darci grandi possibilità di produzione e di sviluppo e soprattutto una elevazione del nostro livello di vita normale e quotidiano, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia, noi dobbiamo ammettere che per ciò che ci concerne, i pochi inconvenienti che si potessero verificare in talune sezioni industriali sarebbero ben compensati dal benessere talmente più grande che si potrà ottenere per tutto il nostro popolo.

Io non voglio fare profezie per l’avvenire. La storia si svolge sovente all’infuori della nostra volontà; ma quando noi pensiamo che tutte le unioni doganali che si sono attuate nelle ultime generazioni hanno finito per produrre sempre una più o meno grande unione politica, questo significa che noi possiamo dare all’Europa – oggi straziata da sospetti, da gelosie e da rabbiosi nazionalismi – qualche cosa che può costituire un vero grande esempio per il mondo ed un elemento di gloria per la nostra Italia e per la Francia, se, come spero, arriveremo a realizzare questa grande idea.

Voi vedete, si parla sempre di pace e di concordia generale, universale. Perché queste parole hanno sovente un lato utopistico? Perché, quando si pensa ai rimedi, si salta subito a delle operazioni troppo in grande.

Se noi vogliamo operare seriamente, dobbiamo cominciare a cercare di metterci in buon accordo coi vicini. Io ho cercato di farlo con la Jugoslavia, con un accordo commerciale che abbiamo firmato il 28 novembre scorso. Lo stesso cerchiamo di fare con la Francia, e questo è il modo più atto, più sincero ed onesto per arrivare all’unione.

Perché Briand, che pur aveva grandi qualità di uomo di Stato, fallì nel suo tentativo di creare un’unione europea verso il 1932-33? Perché Briand cominciò dal tetto, volle una gigantesca unione europea. Invece bisogna cominciare dalle fondamenta e mettere lentamente, solidamente una pietra accanto all’altra!

Se l’Italia e la Francia riusciranno a mostrare al mondo questo doppio esempio di idealismo e di realismo insieme, io credo che l’Italia e la Francia guadagneranno molto nel rispetto del mondo e creeranno un esempio che a poco a poco gli altri seguiranno. (Approvazioni).

Questo schema – voi lo vedete – è all’infuori delle questioni politiche. Può divenire un fatto di grande importanza nazionale e storica, e noi dobbiamo renderci conto che, se esso arriverà alla realtà che noi auspichiamo, ciò non dovrà costituire vanto poi né di un uomo, né di un Ministero, ma di una Nazione, anzi di due Nazioni fra le più sviluppate di Europa, che avranno dato questo esempio nobilissimo.

Voi sapete che un grande re di Francia, Luigi XIV, disse dopo aver messo un suo nipotino borbonico sul trono di Spagna: «Non ci sono più Pirenei».

Noi che siamo una democrazia repubblicana, noi che vogliamo lo sviluppo progressivo di tutti i popoli di Europa, noi, credo, potremo essere fieri se si dirà un giorno che sono stati i popoli democratici d’Italia e di Francia che hanno dichiarato un giorno: «Non vi sono più Alpi». E quel giorno non solo la gloria ma anche il benessere dei nostri due Paesi avranno incomparabilmente guadagnato. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PERSICO. Onorevoli colleghi, mentre mi dichiaro soddisfatto della cortese ed esauriente risposta del Ministro degli esteri, il quale, uscendo dal riserbo connaturale al suo alto ufficio, ha voluto confermare in quest’Aula, e quindi rendere noto a tutto il Paese, lo sforzo tenace che egli persegue da lunghi e lunghi mesi per arrivare al risultato, per me importantissimo e definitivo, di una unione doganale tra Francia ed Italia, mi permetterò di fare alcune brevissime osservazioni, anche per coonestare e giustificare le ragioni di questa mia interrogazione.

Abbiamo assistito in questi ultimi tempi, attraverso Congressi internazionali, tenuti in molte città della Svizzera e di altri paesi, attraverso discussioni, polemiche giornalistiche, discorsi, pronunciati anche in questa Assemblea, ad un pullulare di movimenti e di unioni per una organizzazione internazionale europea.

Come ha ricordato testé il Ministro onorevole Sforza, rivive il grande sogno di quell’uomo di altissimo ingegno e di nobile cuore che fu Aristide Briand, il quale spese tutti gli ultimi anni della sua vita…

NITTI. Dio ci scampi!

PERSICO. …(consenta, onorevole Nitti) a realizzare l’impossibile sogno, almeno allora, della creazione degli Stati Uniti di Europa. Però Briand si era sbagliato, e la via da lui prescelta non poteva raggiungere lo scopo, perché, come ha detto l’onorevole Sforza, egli cercava di costruire il tetto prima dell’edificio. Noi dobbiamo poter arrivare alla stessa meta attraverso una strada diametralmente opposta, cioè creare prima le condizioni di fatto, le quali poi possano portare al risultato conclusivo, un giorno ancora molto lontano da oggi, al punto cioè da poter proclamare di fronte al mondo che l’unione europea è divenuta qualche cosa di stabile, di saldo e di perenne.

Ed allora la via deve essere ben diversa da quella delle conferenze, o delle riunioni internazionali, le quali non sono però inutili, perché valgono a creare l’ambiente favorevole. Dobbiamo, prima, creare delle unioni fra popoli vicini, che abbiano anche consanguineità di origini, idealità comuni, affinità di interessi complementari (economici e sociali), in modo che si possa arrivare ad efficienti risultati e ad ampie realizzazioni.

Certo è che in questo tragico periodo che attraversa l’Europa (e lo attraversano tutti i popoli, vincitori e vinti ugualmente) non è più possibile mantenere chiusa nell’area nazionale la soluzione dei problemi economici. L’area nazionale è troppo ristretta: occorrono aree supernazionali, o internazionali. Ecco perché sorgono questi movimenti di unioni doganali. Per risolvere problemi di natura economica e sociale, problemi di produzione, problemi di scambi, problemi di materie prime, problemi di mano d’opera, problemi di bilancia di pagamenti, di mercati, di monete, ecc., ecc.; tutti problemi questi che non possono essere risolti nell’area nazionale. Il cosiddetto piano Marshall, come accennava l’onorevole Ministro degli esteri, può essere un primo tentativo per mettere un po’ d’ordine in questo colossale disordine, in questa enorme discrasia di interessi. Ma non basta. Il piano Marshall ha finalità concrete ed immediate, dirette a sanare le piaghe sanguinanti dell’ora presente; ma non può risolvere i problemi fondamentali dell’economia europea. Perciò noi auspichiamo che quello che già hanno fatto il Belgio, l’Olanda ed il Lussemburgo, con quella fatidica parola di «Benelux», che indica la creazione di un nuovo superstato che unisce in intima unione questi tre Stati piccoli, ma importanti dal punto di vista economico – uno industriale, uno agricolo, il terzo con una notevole produzione mineraria – possano oggi fare la Francia e l’Italia con una unione doganale, la quale dovrà cominciare con il livellamento degli scambi, attraverso tariffe comuni, in modo che poi, a poco a poco, si possa arrivare alla completa unificazione delle dogane. E quando la Francia e l’Italia, con un nome che bisognerà creare, come ne ha fatto cenno l’onorevole Sforza, ma che non sarà difficile trovare, data la comune origine «latina» delle due grandi nazioni, avranno formata la loro unione doganale, non è detto che essa non possa dar luogo alla formazione di altre simili: quella scandinava, che già si delinea, quella ispano-portoghese, che è nella natura delle cose, e chi sa che la stessa Inghilterra non possa un giorno aderire a tale unione? Oggi è stata pubblicata la notizia che l’Inghilterra ha abolito il visto sui passaporti, cosicché tale visto non è più necessario per gli italiani che devono recarsi in Inghilterra o per gli inglesi che devono venire in Italia. Chi non ci dice che proprio all’unione doganale franco-italiana non possa associarsi in futuro anche l’Inghilterra? Allora vedrete che tutti quei problemi, che sembrano oggi insolubili, verranno agevolmente risolti, e che l’«unione europea», questa grande super organizzazione statale, potrà, a poco a poco, da sogno diventare realtà.

E qui vorrei dire una parola che spieghi il mio pensiero. Questa unione non deve costituire un blocco, che si unisce ad uno dei blocchi oggi esistenti, né a quello occidentale, né a quello orientale; ma deve dar vita ad un blocco intermedio, di forze pacifiche, diretto a scopi di aiuto reciproco ed a scopi di intermediazione fra i due blocchi antagonisti, in modo da farne sparire le divergenze, in modo da avvicinarne i punti di contrasto, eliminandoli o armonizzandoli. Perciò occorre seguire col più grande interesse quel largo movimento dei popoli sud-orientali e balcanici, i quali si vanno tra loro unendo, perché, quando anche queste giovani forze si saranno accordate, sarà più facile arrivare ad una unione generale di tutti gli Stati europei, diretta a fini pacifici e di elevamento delle condizioni di vita di ogni classe sociale, specialmente di quelle più umili.

Ed allora, riferendomi alle ultime parole dell’onorevole Ministro degli esteri, io dico che all’Italia è riservata in questo campo una grande missione. L’Italia, con la sua millenaria civiltà, con il suo meraviglioso patrimonio culturale e di glorie artistiche e letterarie, potrà essere l’antesignana di questo nuovo sistema politico, mettendosi alla testa delle nazioni pacifiche europee e rioccupando nel mondo civile quel posto che le spetta. (Applausi).

DI FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI FAUSTO. Mi sono fatto interprete della trepidante attesa di numerose famiglie per la sorte degli italiani rimasti abbandonati in Albania, in seguito agli eventi bellici. Sarei veramente grato all’onorevole Ministro se volesse darci assicurazione prima che questa Assemblea finisca i suoi lavori e se potesse venire dal banco del Governo una parola rassicurante in proposito.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Le interrogazioni concernenti problemi di politica estera, specialmente problemi di politica estera in corso di soluzione (così almeno voglio sperare) sono troppo gravi perché si risponda immediatamente, senza aver pesato prima i termini della questione. Se ciò facessi comincerei a mancare di rispetto all’Assemblea. Quindi risponderò a fondo all’onorevole Di Fausto con piacere quando ci sarà la possibilità di dire qualche formula precisa e definitiva. Desidero però avvertirlo ora che il Governo dà al problema dei numerosi italiani detenuti in Albania una attenzione ardente e continua. Esso ha cercato per vari mezzi di porsi in contatto con il Governo albanese, con il quale purtroppo non abbiamo ancora rapporti diplomatici diretti.

Abbiamo l’impressione che il nostro buon volere ed il nostro desiderio di aiutare la rinascita economica albanese, offrendo invece di lavoratori forzati dei lavoratori liberi in base a contratti liberi, non potrà non essere accolto.

Ma basti per oggi all’onorevole Di Fausto di sapere che tutte le nostre cure sono date a questo problema con animo fraterno.

Per un’accusa formulata dal deputato Cianca contro il deputato Chieffi.

CHIEFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIEFFI. Sono informato soltanto ora che l’onorevole Cianca avrebbe pronunziato nel corso della seduta pomeridiana di ieri parole offensive al mio riguardo. Quindi chiedo di poter parlare, sebbene il regolamento non me ne dia il diritto, o adesso o lunedì.

PRESIDENTE. A stretto tenore di regolamento non sarebbe più il momento per fare delle dichiarazioni sul processo verbale della passata seduta, che è già stato approvato. Ma se ella ha un fatto personale da lamentare, credo che le maglie del regolamento non debbano essere così strette da impedire ad un deputato di esporre il suo pensiero.

CHIEFFI. Preferirei lunedì per essere documentato.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa desidera parlare?

CIANCA. Il deputato Chieffi ha detto che voleva parlare perché ieri io avrei pronunciato nei suoi confronti parole offensive; quindi sono chiamato in causa.

PRESIDENTE. Non ve n’è traccia nel verbale.

CIANCA. Dal punto di vista regolamentare non contesto affatto che lei abbia pienamente ragione; ma si tratta di un problema di carattere morale. Penso quindi sia doveroso da parte nostra ascoltare le spiegazioni del deputato Chieffi, che io stesso ho sollecitato. Perché, quando questa mattina ho visto riprodotta in un giornale l’invettiva che ho lanciata ieri contro il deputato Chieffi, mi sono affrettato a dire ad alcuni colleghi democristiani che, aspettavo che oggi, sul processo verbale, il deputato Chieffi chiedesse spiegazioni.

CHIEFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIEFFI. Dopo che l’onorevole Cianca avrà fornito queste documentazioni, mi riservo di esibirne altrettante più significative e più importanti di quelle che l’onorevole Cianca dice di avere, e di rispondere adeguatamente a quelle che sono le sue precise affermazioni.

PRESIDENTE. Onorevole Chieffi, le osservo che nel resoconto – mi vi riferivo a memoria, ma con esattezza – non vi è nessun riferimento alla sua persona. Ella ad un certo momento avrebbe detto: «Onorevole Cianca, quando passerà ai comunisti?». L’onorevole Saggin esclama: «Parla Ciancia!». A queste parole dell’onorevole Saggin, l’onorevole Cianca risponde: «Testone!».

Quindi, onorevole Chieffi, non c’è riferimento alla sua persona. Se ella, però, ha da dolersi di cosa che l’onorevole Cianca avrebbe detto e di cui non è traccia nel verbale, evidentemente questo diritto lo ha, ma non può essere un diritto da esercitarsi a scadenza. Bisogna che sollevi il fatto personale nella seduta di oggi.

L’onorevole Chieffi ha facoltà di parlare.

CHIEFFI. Sembrerebbe che l’onorevole Cianca avesse fatta una affermazione, che li desidererei fosse ripetuta e documentata, dopo di che io, in qualche modo, oggi o nella prossima seduta, vorrei documentare tutto il mio passato politico, che l’onorevole Cianca ignora.

Molti colleghi, che sono da quella parte, anche all’estrema sinistra, conoscono il mio passato politico.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Io devo compiere un atto di lealtà, perché alla mia coscienza ripugna il lanciare, anche nel tumulto, delle accuse, le quali non rispondano a una mia profonda convinzione morale.

Ripeto: l’affermazione che tre volte ho lanciato nei riguardi dell’onorevole Chieffi si riduce a questa definizione: «Collaboratore dei tedeschi».

Ora, io domando al deputato Chieffi, al quale ho fatto sapere di avere in realtà pronunciato la frase, pubblicata da giornali del mattino, che cosa egli abbia da eccepire a questa mia definizione, di cui assumo tutta la responsabilità. (Applausi all’estrema sinistra – Rumori – Commenti al centro).

CHIEFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIEFFI. Sono io che domando alla cavalleria ed alla correttezza dell’onorevole Cianca che egli documenti questa sua accusa, attraverso gli elementi a sua disposizione.

D’altra parte, all’onorevole Cianca è facile sapere, anche attraverso rappresentanti di altri partiti, se egli ha militato nel periodo clandestino contro i tedeschi, quale sia stata la mia attività in quel periodo.

Quindi, io chiedo all’onorevole Cianca di documentarsi o di dare quelle precisazioni all’Assemblea, che sono dovute da un uomo d’onore, quale si ritiene che egli sia. (Commenti).

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all’onorevole Cianca, debbo far presente all’onorevole Chieffi che vi è una disposizione regolamentare che si attaglia al nostro caso. Per evitare che nella discussione parlamentare si portino da una parte documenti e dall’altra si confutino i documenti stessi, con presentazione di altri documenti, il Regolamento prescrive che, quando un deputato si senta offeso da un’affermazione fatta da un suo collega, può valersi della facoltà di chiedere al Presidente dell’Assemblea che nomini una Commissione, la quale esamini il caso e dia il suo giudizio. Infatti l’articolo 80-bis del Regolamento è del seguente tenore:

«Quando nel corso di una discussione un deputato sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità, egli può chiedere al Presidente della Camera di nominare una Commissione la quale giudichi il fondamento dell’accusa; alla Commissione può essere assegnato un termine per riferire».

Se l’onorevole Chieffi intende valersi di questa disposizione, può farlo.

CHIEFFI. Accetto, ed invoco l’applicazione di questa disposizione del Regolamento. Affermo che l’onorevole Cianca è un calunniatore ed invito l’onorevole Cianca a rinunziare all’immunità parlamentare per subire tutte le conseguenze che derivano dalla sua volgare diffamazione. (Applausi al centro – Rumori – Commenti all’estrema sinistra).

Presidenza del Presidente TERRACINI

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. La questione è stata chiusa.

CIANCA. Mi permetta. Il deputato Chieffi ha detto che sono un calunniatore. (Commenti al centro).

Io non do nessuna importanza morale alle accuse ed alle ingiurie che può lanciare nei miei confronti il deputato Chieffi: tengo però a mettere in rilievo, rispetto al suo sdegno tardivo, ch’egli avrebbe potuto cominciare là dove ha concluso, chiedendo al Presidente dell’Assemblea quel che io stesso chiedo: un’inchiesta parlamentare. (Approvazioni a sinistra).

CHIEFFI. Si spogli dall’immunità parlamentare, onorevole Cianca, se ha del coraggio! (Approvazioni – Commenti).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Mi dispiace: la questione è chiusa.

LUSSU. Insisto nel chiedere di parlare, perché l’onorevole Cianca ha fatto il mio nome.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, dopo la richiesta del collega Chieffi, che ha rimesso la questione sulle vie previste dal Regolamento, non c’è più nulla da dire. L’onorevole Chieffi ha chiesto la nomina di una Commissione, a norma dell’articolo 80-bis del Regolamento. La Presidenza provvederà alla nomina di questa Commissione. Tutto quanto, d’ora in poi, i deputati avessero ancora da dire in argomento, lo dicano alla Commissione che nominerò.

LUSSU. Ma io chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Se lei, trattando del fatto personale, rientra nella questione esaurita, le tolgo subito la parola.

LUSSU. Mi permetta, onorevole Presidente, credo che ella non abbia il diritto di togliermi la parola, perché l’onorevole Cianca, essendosi sentito investito da una affermazione dell’onorevole Chieffi, ha fatto il mio nome in seguito. Ora io non intendo che il mio nome sia fatto in questa Assemblea senza che io abbia il diritto di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, il suo nome è stato fatto a proposito della divergenza, che ormai è rimessa ad una Commissione.

LUSSU. Alla Commissione non ho niente da chiedere per il fatto che durante questo dibattito s’è fatto il mio nome.

PRESIDENTE. Se lei crede di avere qualche diritto a parlare in merito, si presenterà spontaneamente alla Commissione per esporre le sue ragioni.

LUSSU. Io ho qualche cosa da dire in quest’Aula e non alla Commissione. Io credo di non aver portato in questa Assemblea un temperamento scandalistico. Mai io sono intervenuto in questa Assemblea per accusare colleghi o per suscitare scandali: ma in questo diverbio tra l’onorevole Cianca e l’onorevole Chieffi, poiché è stato fatto il mio nome, ho il dovere morale di precisare che mai tra l’onorevole Chieffi e me è trascorsa una questione personale. Non pertanto, dopo una pubblicazione apparsa su un giornale dell’Isola io ho tolto il saluto all’onorevole Chieffi.

CHIEFFI. L’ho tolto io! (Commenti – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, voglio rivolgerle una domanda: la prego di ripetermi le parole pronunciate dall’onorevole Cianca con le quali lei ha creduto di sentirsi chiamare in causa.

LUSSU. Io ho creduto di sentire queste parole: «parlate dei deputati sardi, l’onorevole Lussu, ecc.». Ho sentito il mio nome ed ho detto: che c’entro io? (Commenti – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, mi perdoni ancora una volta: se lei mi avesse detto subito questo – e le confesso che la colpa è mia di non averglielo chiesto – le avrei dichiarato che non trovavo in ciò materia alcuna di fatto personale, perché il fatto personale non è costituito dalla semplice citazione del nome di un deputato durante la discussione. L’onorevole Cianca non ha fatto il suo nome per addebitarle qualche cosa, o per chiamarlo direttamente in causa in qualche cosa che sia avvenuto o che stia avvenendo. Se l’onorevole Cianca avesse detto, in generale, «i deputati sardi, ecc.» lei si sarebbe evidentemente potuto identificare in quella definizione collettiva…

LUSSU. Ma il mio nome è stato fatto! (Interruzioni – Rumori).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, a questo riguardo vi è l’articolo 80 (ed è bene che tutti i colleghi lo stiano a sentire, per non scambiare per fatto personale una questione che non ha niente a che vedere con il fatto personale), il quale dice:

«È fatto personale l’essere intaccato nella propria condotta, o il sentirsi attribuire opinioni contrarie alle espresse».

LUSSU. È proprio così!

PRESIDENTE. Mi perdoni, onorevole Lussu, lei non ha espresso opinioni, perché non aveva parlato e non è stato intaccato nella sua condotta dalle parole dell’onorevole Cianca.

Se lei ha qualche cosa da dire sulla questione che è stata richiamata poco fa, la Commissione le chiederà di comunicarle ciò che lei sa; se non sarà invitato, potrà presentarsi alla Commissione. Ma in questo momento, mi perdoni, non sussiste alcun fatto personale.

Le ho letto il regolamento; non c’è più possibilità di discutere. Abbiamo altre cose importanti da fare. (Approvazioni).

LUSSU. Mi permetta di dire una cosa: credo che niente di più spiacevole potesse capitarmi oggi che sentire fare il mio nome dopo quello dell’onorevole Chieffi. (Rumori – Commenti al centro).

CHIEFFI. Burattino! (Rumori all’estrema sinistra).

LUSSU. Onorevole Presidente, la prego di richiamare all’ordine l’onorevole Chieffi; altrimenti io aggiungerò che non solo è stato collaboratore dei tedeschi, ma che ha fornito anche donne ai tedeschi! (Vivi rumori, proteste al centro – Commenti).

CHIEFFI. È uno sciagurato! Quell’uomo è un grande imbecille (Rumori – Commenti).

LUSSU. In verità, è un bell’argomento difensivo!

PRESIDENTE. Basta, onorevoli colleghi! Per favore, facciano silenzio! Mi permettano di definire questa situazione come poco degna! Se si avesse un po’ di delicatezza, si dovrebbe comprendere che nel momento in cui un membro dell’Assemblea accusato chiede che si nomini una Commissione, chiede cioè che venga costituita una magistratura dell’Assemblea, in quel momento il senso di consapevolezza e di rispetto per questo atto grave dovrebbe convincere a tacere chiunque e a non prolungare in un modo così poco dignitoso questo episodio.

Ci pensino, onorevoli colleghi! (Applausi).

Inversione dell’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, al primo punto dell’ordine del giorno avremmo il seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana, ma i colleghi che erano presenti alla seduta antimeridiana sanno che noi dovremo adesso prendere invece in esame l’ordine del giorno proposto da alcuni colleghi al fine di modificare alcune norme stabilite per l’elezione del primo Senato della Repubblica.

Al secondo punto c’è il seguito della discussione del disegno di legge recante modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946 per l’elezione della Camera dei deputati; ma i colleghi sanno che la Commissione, dovendo esprimere il proprio parere sui numerosi emendamenti che sono stati presentati nella seduta di stamane, ha chiesto di potersi riunire per prendere in esame gli emendamenti stessi. Poiché, però, la Commissione non ha terminato questa riunione, per questo secondo punto dell’ordine del giorno non possiamo per il momento riprendere la discussione.

Vi è infine, al terzo ed ultimo punto, la discussione intorno alla proposta di nomina di una commissione di indagine, avanzata dall’onorevole Nenni.

Pertanto, su richiesta di numerosi colleghi, io propongo di invertire il nostro ordine del giorno, iniziando precisamente i nostri lavori da questo punto terzo, salvo poi a riprendere successivamente il seguito della discussione del progetto di Costituzione, per poi passare – da ultimo – al seguito della discussione del disegno di legge relativo all’elezione della Camera dei deputati, nella fiducia che nel frattempo la Commissione sarà in grado di pronunciarsi.

(Così rimane stabilito).

Sulla proposta di nomina di una commissione di indagine.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Proposta di nomina di una Commissione d’indagine.

La proposta, presentata dall’onorevole Nenni ieri sera, è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Ministro dell’interno in risposta all’interrogazione Nenni, delibera di deferire al suo Presidente la nomina di una Commissione incaricata di esaminare in quali circostanze membri dell’Assemblea siano stati, nella mattinata del 12 dicembre, malmenati dal servizio d’ordine predisposto attorno a Palazzo Montecitorio».

Onorevole Nenni, ha qualche cosa da aggiungere a quanto già ha avuto occasione di dire ieri?

NENNI. Non ho niente da aggiungere, onorevole Presidente, a quanto ho detto ieri. Mi sembra evidente che, in difetto di una qualsiasi dichiarazione del Ministro dell’interno che desse un minimo di soddisfazione non ai colleghi che possono essersi trovati in una spiacevole situazione, ma all’Assemblea la quale non può ammettere che avvengano fatti del genere di quelli che si sono verificati ieri, mi sembra evidente, dico, che la sola soluzione dignitosa per l’Assemblea sia quella di rimettere al Presidente la nomina di una Commissione che accerti il modo come i fatti si sono realmente svolti.

PAJETTA GIULIANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAJETTA GIULIANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei aggiungere alcuni argomenti a quelli addotti ieri sulla necessità di una Commissione d’inchiesta.

Qui vi sono due fatti incontestabili. Primo: molti cittadini assolutamente innocenti e non partecipanti ad alcuna manifestazione sono stati ieri bastonati. Vorrei recare al riguardo, quale unica testimonianza – fra le tante – due notizie che tolgo dal giornale L’Umanità di oggi:

«La protesta dell’esecutivo nazionale della Federazione nazionale giovanile socialista per l’arresto di nove dei suoi membri e militanti fermati dalla polizia, mentre svolgevano regolare attività di servizio d’ordine per incarico della Camera del Lavoro. (Commenti a destra al centro).

Una voce a destra. Da quando la Camera del lavoro fa servizio d’ordine?

PAJETTA GIULIANO. Vorrei aggiungere – non siamo noi direttori dell’Umanità – questa frase, che tolgo da un altro corsivo nella seconda pagina dell’Umanità di oggi. Parlando di una razzia al Quadraro, si dice:

«Gli agenti si sono diretti alle Sezioni dei partiti di sinistra, razziando quanti vi si trovavano. Quindici dei nostri compagni, riuniti nella sede del Partito socialista dei lavoratori italiani sono stati acciuffati e, sotto la minaccia dei moschetti, caricati su un grosso autocarro».

Si parla nei giornali – e nessun comunicato lo ha smentito – di decine e decine di contusi. D’altra parte, un secondo fatto che mi pare anche incontestabile è che parecchi deputati sono stati malmenati, tra cui, forse più degli altri, il sottoscritto.

Io ho il certificato medico che mi ha rilasciato stamane il medico di Montecitorio, che sarà a disposizione della Commissione d’inchiesta.

Io credo che il problema della Commissione d’inchiesta non si porrebbe, se nelle dichiarazioni dell’onorevole Scelba ieri, ci fosse stato anche un solo accenno alla sua intenzione di fare un’inchiesta su alcuni di questi fatti. Lei, onorevole Scelba, ha parlato di eccessi possibili, ma poi ha fatto l’apologia in toto dell’azione delle forze dell’ordine. Io le potrei dire una cosa. Tra le 12.30, quando io personalmente le ho accennato a che cosa era successo, e le 16.30, quando lei ha parlato ieri, lei poteva avere probabilmente dei documenti. Ci sono dei documenti fotografici in molti giornali: non credo che il Giornale della Sera sia considerato un giornale comunista, anche se l’onorevole Benedetti mi fa l’onore della sua amicizia. Sono fotografie che non credo siano dei veri e propri fotomontaggi.

D’altra parte si potrebbe avere la speranza che quello che non è stato fatto ieri fosse fatto oggi, se non ci fossero alcuni falsi dell’autorità di pubblica sicurezza di Roma. Vi è un comunicato della Questura di Roma, fatto – mi dichiarava il Questore stamane – non per Roma, ma ad uso di Milano, dove troppa gente si agitava, dove noi probabilmente abbiamo troppi amici, in cui si dichiara testualmente che il sottoscritto si trovava nella folla, che nella folla c’è stato un parapiglia e che nel parapiglia qualche cazzottata la prese anche lui.

Vi sono dei documenti fotografici inoppugnabili e vi sono delle testimonianze che dimostrano che il sottoscritto non si è mai trovato ieri confuso alla folla, che era completamente isolato in Piazza Montecitorio. Le stesse fotografie dimostrano che ero abbastanza isolato e abbastanza solo da avere il tempo di mostrare i miei documenti e di proclamare la mia identità. Vi assicuro che il fatto di aver detto che ero deputato e aggiunto che ero Pajetta, non credo sia valso molto; credo anzi che mi abbia danneggiato alquanto. (Commenti).

Credo che il fatto che vi sia un comunicato che dobbiamo considerare inesatto della Questura, e che non vi sia stata nessuna assicurazione ieri del Ministro Scelba, ci debba far pensare alla necessità di una vera inchiesta.

Io ho qui una testimonianza fra le altre; mi permetteranno i colleghi che la legge, almeno in parte:

«Il sottoscritto, Mario Fiorentino, membro dell’Esecutivo provinciale romano dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, la mattina di giovedì 12 dicembre verso mezzogiorno si trovava nella sede della direzione del Partito socialista dei lavoratori italiani, e precisamente nella stanza di Italo Pietra, membro della Direzione del Partito socialista dei lavoratori italiani e già comandante dei partigiani dell’oltre-Po pavese…

Una voce a sinistra. Non è vero, non è mai stato comandante. (Ilarità al centro).

PAJETTA GIULIANO. Gli amici o i colleghi del Partito socialista dei lavoratori italiani diranno se Italo Pietra esiste, se è persona reale e se è membro dell’Associazione.

«Ad un certo momento ci affacciammo alla finestra attirati da alti clamori che si levavano dalla piazza». (Già, stavano bastonando me). «A questo punto il nostro sguardo fu attirato dallo spettacolo sottostante: un giovane magro veniva aggredito da una trentina di agenti che lo percuotevano. Il giovane era solo e cercava di schermirsi. La piazza era completamente sgombra e pertanto non si comprendeva perché gli agenti infierissero selvaggiamente su di lui anche dopo che questi era caduto per terra, ecc.».

Fra le altre ecchimosi, ne è stata riscontrata una al basso torace: non è stata una bastonata ricevuta, ma un calcio che ho ricevuto quando ero a terra!

Fu allora che Italo Pietra disse: è Pajetta». E questo per dire che è stato picchiato e arrestato anche lui. Si chiama Mario Fiorentino.

Vi è una testimonianza analoga del repubblicano Fallani Mario, della Ditta Scifoni, capo operaio, che è mutilato e che veniva bastonato. In sua difesa, difesa molto pacifica del resto, sono accorso io. Non mi trovavo per caso in Piazza Colonna: mi recavo a Montecitorio. Ho visto bastonare della gente da ufficiali e sono corso chiedendo a questi ufficiali di non bastonare quella gente.

Vi è una fotografia sul Giornale della Sera di oggi che dimostra come si acciuffava la gente che si metteva fra gli agenti e come si bastonava.

Del resto, anche fra gli amici democristiani c’è stato qualche contuso: mi pare l’onorevole Pallastrelli, che è stato anche lui bastonato o contuso. E quindi anche gli amici democristiani hanno un’idea dei sistemi che sono stati applicati ieri.

Ecco le ragioni per le quali mi pare necessario che si apra l’inchiesta.

Io vorrei dire una cosa: ci sono stati dei colleghi democristiani che son venuti ad esprimermi il loro rammarico, credo sinceramente, e li ringrazio. Vorrei dire a questi colleghi: si è scatenata una forza bruta, sono stati dati a degli uomini poteri illimitati. Avete dato in mano il manganello a degli agenti, dalla mattina alla sera: deve venire il momento in cui lo adoperano. Voi lo date a questa gente, ex ufficiali della polizia alleata italiana, ex ufficiali repubblichini. Come volete che costoro, contro i quali abbiamo lottato nel 1944, non siano contenti di renderci la pariglia? È evidente che questo deve succedere!

Chiedo perciò che l’inchiesta riesca ad assodare quali elementi provocatori vi siano fra certi dirigenti delle forze dell’ordine. Il contegno di certi ufficiali ieri e avant’ieri in Piazza Colonna non era contegno di forze dell’ordine ma di forze del disordine. Io vorrei fare rilevare la differenza fra il contegno di ufficiali dei carabinieri e di certi ufficiali della Celere, dico: certi ufficiali.

Io ho detto a colleghi democristiani, ed anche al Ministro Scelba ieri: venite a vedere in faccia certi signori come agiscono e come si muovono! Non si è voluti vederli, forse perché si è pensato che tutto va bene! Oggi penso che ci sono dei fatti che dimostrano che non tutto è andato bene!

Vorrei però dire ad altri colleghi, a colleghi che non si sono rammaricati che io abbia avuto una lezioncina; vorrei dire ai colleghi liberali anche qualche cosa: il giornale Risorgimento liberale parla oggi di funzione pedagogica della polizia.

BELLAVISTA. Riporta le parole del Presidente del Consiglio.

PAJETTA GIULIANO. Non avevo sentito queste nobili parole sulla funzione pedagogica della polizia. Quando ero ragazzo, 17 anni fa, la polizia di Mussolini ha corcato di insegnarmi a vivere. Non è riuscita e non credo che i manganelli di ieri mi insegnino a vivere meglio, in un modo diverso di quanto non mi abbiano insegnato quelli di Mussolini. (Applausi all’estrema sinistra).

Mi hanno insegnato a cercare di vivere onestamente i miei ricordi di infanzia delle stragi di Torino. Questo solamente volevo dire sulla funzione pedagogica della polizia. Del resto ci sono dei portavoce più o meno ufficiali che oggi non ripeteranno le parole di ieri: gli onorevoli Togni e Belotti, che si sono felicitati della lezione a questo turbolento Pajetta. Anche altre polizie ci hanno chiamato turbolenti, guastafeste.

Amici del nostro Gruppo, amici dei nostri Gruppi, vi sono persone che hanno subito ben più di me, le persecuzioni della polizia. Per parte mia ho forse un ricordo di arresto e bastonate da varie polizie del mondo, ma vorrei dire, non come minaccia e nemmeno come un malaugurio, che quelli che mi hanno bastonato sono finiti male. L’ultima persona che mi ha bastonato è stata il capo baracca di Mathausen. Il 5 maggio 1946 è finito male anche lui. (Commenti). Ma con questi sistemi non si cambiano le cose.

Non è, amici, nostra abitudine mentire: non abbiamo mentito ieri quando abbiamo raccontato i fatti e quando l’onorevole Dossetti credeva facessimo la solita montatura; non abbiamo mentito. Le fotografie, le testimonianze di oggi dimostrano che chi ha mentito sono stati i servizi di polizia; non mentiamo oggi chiedendo questa inchiesta onde si riesca a chiarire questi fatti e si riesca ad eliminare coloro che non rappresentano le forze dell’ordine, ma le forze del disordine. È proprio per questo che noi non mentiamo, non perché siamo più bravi, o più onesti degli altri, ma perché sappiamo che la verità è una forza e chiediamo una Commissione di inchiesta perché sia fatta luce, perché si veda chi ha provocato, chi ha creato assembramenti, chi agitava e perché si dia una lezione a chi fa propaganda per il malcostume politico.

Oggi nella cronaca di un giornale liberale si parla con soddisfazione di questo onorevole che va a gambe in aria, in fuga, travolto dalla folla in fuga. Sono caduto sotto le botte. Mi dispiace. Preferisco darle invece che prenderle. Un cronista parla con soddisfazione di un altro cronista che si affloscia sotto i colpi. C’è una soddisfazione, c’è un piacere, che sia picchiata la gente, c’è una apologia di questo. Io credo sia grave, e credo sia giusto che una Commissione di inchiesta parlamentare ristabilisca i fatti e cerchi di dare anche una indicazione, un indirizzo in modo tale che simili fatti non si ripetano o che fatti simili non portino a conseguenze e a rappresaglie.

Noi continuiamo a considerare anche dopo i fatti di ieri le forze della polizia repubblicana come forze del popolo, ma forze del popolo in cui si sono introdotti elementi provocatori, che fanno carriera in base ai loro manganelli.

Non credo sia per caso che in un corpo costituito da tempo e in un corpo che non è stato rinnovato dove non si sono fatte novità, come nel corpo dei carabinieri, abbiamo visto maggiore serenità e calma. Io penso che si debbano rivedere parecchie cose.

Rivederle prima che sia troppo tardi, perché è evidente che le botte si possono prendere una volta, ma poi viene voglia di restituirle. Chiediamo quindi una Commissione d’inchiesta, e cioè nient’altro che un mezzo per fare luce sui fatti, un mezzo per trovare la verità. (Applausi all’estrema sinistra).

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Onorevoli colleghi, credo che dobbiamo lasciare completamente da parte l’umorismo e i commenti più o meno discutibili della stampa a proposito degli incidenti incresciosi avvenuti ieri. Ma, comunque sia, io sarei il primo a chiedere e a volere una Commissione d’inchiesta sui fatti avvenuti in Piazza Colonna se dall’insieme delle relazioni e delle testimonianze noi potessimo desumere un solo indizio che la forza pubblica ha voluto, superando i limiti della necessità, colpire intenzionalmente un deputato (Rumori a sinistra) perché in tal caso poi passeremmo dal piano puramente amministrativo della tutela dell’ordine sul piano politico. Ma, onorevoli colleghi, né i miei amici che ieri sono stati malmenati o bastonati portavano all’occhiello il bianco fiore o il nastro della prima comunione e né tu, caro amico Pajetta, portavi ieri sul petto o in fronte l’impronta o il segno della tua fede. (Rumori a sinistra).

La verità è che ben pochi di noi sono così generalmente conosciuti in modo che ogni agente della forza pubblica possa ipso facto riconoscerli come deputati (Proteste a sinistra) ed è necessario che quando in piazza Colonna o in piazza Montecitorio si verificano degli assembramenti o dei comizi improvvisati, nessuno di noi scenda in piazza… (Rumori a sinistra – Applausi al centro). In questo caso, quello che può accadere da parte della polizia che deve tutelare la libertà dell’Assemblea Costituente e la libertà di tutti indistintamente i cittadini ricade su colui che, non conosciuto dalla polizia, si mette in mezzo alla folla con intenti o buoni o cattivi. È per questo che noi non riteniamo esservi nei fatti di ieri alcun motivo per una inchiesta parlamentare e ci rimettiamo a quelle che saranno le conclusioni del Ministro, sicuri come siamo che la forza pubblica ha fatto il suo dovere per la tutela indistintamente della libertà di tutti. (Applausi al centro – Commenti all’estrema sinistra).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, circa la legittimità della domanda di una Commissione d’inchiesta, legittimità che riguarda la sostanza della cosa, parlerà il Ministro della giustizia. Poiché ho inteso dall’onorevole Nenni e dall’onorevole Pajetta che essi hanno avanzato la domanda di costituzione di una commissione d’inchiesta perché io non avrei detto una parola sui fatti o sul proposito del Governo d’indagare sui fatti che si sono svolti ieri a Piazza Colonna, io prendo la parola per dire che sui fatti che sono stati denunciati dall’onorevole Pajetta è in corso una inchiesta interna di ordine amministrativo; e credo che una inchiesta amministrativa sia l’unica cosa che in questo momento possa essere fatta.

Il Governo, se da questa inchiesta risulterà che vi sono stati degli eccessi volontari, intenzionali, deliberati, di colpire, se eccessi sono stati compiuti – condannevoli in ogni caso, ma molto più condannevoli perché a danno di colleghi rappresentanti dell’Assemblea Costituente – il Governo, anzi l’amministrazione responsabile, non mancherà di prendere quei provvedimenti che si imporranno a seconda dei risultati del caso.

NENNI. Lei, non li ha presi né li prenderà. (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevole Nenni, ella ha pienamente ragione dal suo punto di vista di oppositore di avere sfiducia nel Ministro dell’interno, ma ritengo di poter assicurare l’Assemblea che indipendentemente dall’opinione dell’onorevole Nenni il Governo, per suo conto, farà il suo dovere. (Interruzione del deputato Moranino).

Desidero però aggiungere una parola: ho notato nelle parole dell’onorevole Pajetta il tentativo di scindere le forze dell’ordine facendo da una parte l’elogio dei carabinieri. Io ricordo all’Assemblea Costituente che fino a non molti mesi fa i carabinieri erano additati a tutto il Paese, proprio dai settori dell’estrema sinistra, come elementi reazionari. (Applausi al centro – Proteste all’estrema sinistra).

VIGNA. Non è vero!

SCELBA, Ministro dell’interno. Io prendo atto con molto compiacimento del giudizio espresso dall’onorevole Pajetta: perché anche i carabinieri, onorevole Pajetta, dipendono, per il servizio d’ordine pubblico, dal Ministro dell’interno. Non comprendo la ragione perché i carabinieri avrebbero voluto tenere un comportamento diverso da quello degli agenti di pubblica sicurezza. (Interruzioni a sinistra).

PAJETTA GIULIANO. Perché non ha messo gli ufficiali della P.A.I. a comandare i carabinieri.

SCELBA, Ministro dell’interno. Se le istruzioni circa il comportamento delle forze di pubblica sicurezza vengono emanate dal Ministro dell’interno, mi auguro, onorevole Pajetta, che anche nei confronti degli agenti di pubblica sicurezza il giudizio sarà modificato; e sarà modificato nel senso che si considereranno tutte le forze dell’ordine al servizio del Paese e – pur potendosi e dovendosi deplorare eccessi inevitabili in manifestazioni di così vasta portata – si comprenderà lo sforzo ed il sacrificio che questi uomini fanno per assicurare a noi il minimo di ordine senza il quale non è possibile la vita civile. (Applausi al centro).

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Onorevoli colleghi, io credo che i fatti portati a nostra conoscenza e accaduti ieri e l’altro ieri per le strade di Roma, meritino indubbiamente la nostra attenzione e le nostre premure.

L’onorevole Bettiol ha detto che, non essendovi la prova che gli agenti dell’ordine abbiano voluto…

BETTIOL. Ho detto «indizio».

COSTANTINI. È lo stesso.

BETTIOL. Non è lo stesso.

COSTANTINI. Quasi che le legnate non fossero un indizio! L’onorevole Bettiol ha creduto di opporsi alla domanda di inchiesta, osservando che, non essendovi la prova o l’indizio, come egli vuole, che la forza pubblica abbia voluto intenzionalmente colpire un deputato, mancano gli estremi per l’inchiesta. Ora, onorevole Bettiol, io la richiamo al senso della realtà: nessuna legge oggi in Italia autorizza la forza pubblica ad adoperare il manganello non solo contro un deputato, ma neanche contro il cittadino, il quale cammina per le strade. (Applausi a sinistra). E se una serie di fatti di questo genere è avvenuta ad opera delle forze di polizia, che dipendono dal Ministro dell’interno, noi abbiamo il diritto di dubitare non solo della forza di polizia ma del Ministro dell’interno. (Commenti al centro).

Non basta, del resto, l’episodio Pajetta che definite insignificante; già il collega Pajetta ha l’aria del fazioso, è per voi il comunista energumeno che si lancia nella mischia, per farsi bastonare! Vi è un altro episodio, che riguarda il generale Piacentini, ex Ministro dell’aeronautica, il quale mi ha fermato ieri mattina nei corridoi di Montecitorio – ed avevo dato tanto poca importanza al fatto, che non l’ho neanche recato all’Assemblea – per avvertirmi di essere stato vittima, assieme ad un suo ufficiale, vestito in borghese, di una solenne legnata avuta la mattina al corso Umberto, mentre si recava a Piazza Venezia. Sono capitate quattro camionette della polizia; gli agenti saltati a terra, senza distinzione, hanno legnato tutti, compresi quelli che stavano sul marciapiede.

Non basta; vi è altro episodio, più grave; riguarda l’onorevole Pallastrelli, che non è affatto l’onorevole Pajetta; questi è il prototipo del disordine, voi dite. Altrettanto non può dirsi del collega Pallastrelli. Egli veniva verso Montecitorio assieme alla moglie; non ha importanza la località; certamente non si trovava in mezzo a disordini né fomentava disordini; gli si scaraventarono addosso tre o quattro agenti della polizia con relativo manganello, e, per evitare che fosse colpita la testa della sua signora, l’onorevole Pallastrelli si è preso una legnata sulla mano.

Onorevole Presidente, onorevoli colleghi! Io vi chiedo se noi possiamo consentire, noi che abbiamo proclamato la libertà della persona umana ed il rispetto di chi non sta per commettere reati, che in Roma, in questo periodo di democrazia e di repubblica avvengano ad opera della forza pubblica episodi di questo genere. (Rumori prolungati al centro). Io vi dico: questo può essere comodo per voi a fini politici, ma non torna comodo a noi! Vi è un’inchiesta, annunciata con 24 ore di ritardo dal Ministro degli interni. È una risposta che giunge troppo tardi. I fatti sono stati tanto ripetuti e rinnovati in diversi momenti e località da rendere necessario qualcosa che non è di più, ma che sia al di fuori del Ministro degli interni. È proprio il Parlamento che deve compiere una inchiesta e stabilire se vi sono delle responsabilità. Non si tratta di uno o dell’altro settore, di uno o di un altro deputato; si tratta del rispetto al quale hanno diritto tutti i cittadini, perché badate, onorevole Ministro, che se la forza pubblica, come mezzo di persuasione, adopera il manganello, può darsi che un cittadino onesto reagisca non col manganello ma con qualcosa di peggio. (Rumori al centro e a destra). Ed allora le conseguenze sarebbero ben gravi. (Vive proteste al centro e a destra – Interruzione del deputato Bettiol – Interruzione del deputato Pajetta Giuliano).

Onorevole Bettiol, quando si discuteva della Costituzione e precisamente dei diritti della persona umana, da quei vostri posti, tenevate un atteggiamento ben diverso da quello attuale.

PICCIONI. C’è la persona umana, in quel caso!

COSTANTINI. Ora la Costituzione è scritta e di fatto cambiate strada: adesso, perché c’è di mezzo il vostro Ministro degli interni, proclamereste forse il principio che la polizia ha il diritto di rompere… (Rumori al centro e a destra).

PICCIONI. C’è la persona umana anche nella polizia!

COSTANTINI. C’è la persona umana, onorevole Piccioni! Dovunque un diritto è offeso, lo è a danno di una persona, e quel diritto non lo si rimedia a parole. Quando poi l’offesa al diritto avviene proprio ad opera di chi dirige e deve proteggere l’ordine pubblico, allora un Parlamento che si rispetti ha il dovere di assumere le proprie responsabilità. (Applausi all’estrema sinistra). Nessuno finora ha detto o denunciato violenze fisiche contro gli agenti dell’ordine.

SCHIRATTI. E quando si bloccano le strade anche ai deputati? È successo a me a Treviso!

COSTANTINI. Questo lo avete fatto voi nel 1920.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, io ho ascoltato con molta attenzione e soprattutto con molto dolore questa discussione, perché credo che sia desiderio comune che non si verifichino mai dei fatti che possano portare a discussioni di questo genere; ma ho avuto l’impressione che qui si anticipi l’inchiesta che non è stata ancora decisa.

Vorrei, onorevole Presidente, se lei me lo permette, riportare la discussione sul fatto specifico dell’inchiesta: se cioè si debba fare ed in quali termini; poi sarà fatta se l’Assemblea deciderà di farla. Ma non è il caso che la facciamo noi ora qui anticipatamente. Prima di tutto, onorevole Presidente, io le rivolgo una domanda: questa Commissione che si dovrebbe nominare, è una Commissione d’inchiesta parlamentare a norma degli articoli 135, 136 del Regolamento, oppure, come leggo nell’ordine del giorno, è una Commissione di indagine, cioè una figura nuova, che nel Regolamento della Camera non esiste? Questa è la prima cosa che noi dobbiamo chiarire, perché se è una Commissione di inchiesta parlamentare a norma di Regolamento, allora bisognerà seguire la procedura che il Regolamento stabilisce; se è una Commissione di indagine a sensi diversi, discuteremo di questi sensi diversi, ma io domando all’onorevole Presidente: qual è la proposta dell’onorevole Nenni? Perché qui si parla di una Commissione di indagine, ma allora non è una Commissione di inchiesta.

PRESIDENTE. Vuole una risposta subito?

LUCIFERO. Sì, onorevole Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, si tratta di una Commissione che ricorda precisamente quella che l’Assemblea ha nominato in occasione di certe accuse che erano state lanciate contro alcuni colleghi. Non è una Commissione d’inchiesta, che deve essere votata con una legge apposita: è una Commissione che chiameremo d’indagine, non ancora prevista dal Regolamento, ma in via di trovare una sua regolamentazione.

LUCIFERO. Io aspettavo questa risposta, ma per poter entrare in argomento dovevo avere da lei ufficialmente, onorevole Presidente, questa garanzia. Ed allora, se lei permette signor Presidente, io vorrei richiamarmi a quanto ebbi occasione di dire quando si deliberò (anche allora in una atmosfera molto eccitata) la costituzione della Commissione degli Undici: se i colleghi ricordano, quando si fece la nomina della Commissione degli Undici, io fui il solo a votare contro e dissi allora all’Assemblea: badate, queste creazioni ibride non si sa che cosa siano, non si sa quali poteri abbiano e non si sa a quali conclusioni debbano arrivare, ragione per cui finiranno col crearci una serie di imbarazzi e a non risolvere alcun problema. L’esperienza dimostrò che questa Commissione – che dovette tornare da noi per chiarimenti, spiegazioni ecc., – arrivò poi a delle conclusioni che non furono vere e proprie conclusioni, creando imbarazzi a tutti senza risolvere praticamente nessun problema.

Dichiaro quindi, senza assolutamente volere entrare nel merito, che ritengo che l’esperimento sia stato talmente infelice da non esser ripetuto in quella forma. Noi non possiamo nominare delle Commissioni zoppe, le quali poi non abbiano gambe per camminare; o noi riteniamo che un problema è talmente grave che bisogna nominare una Commissione d’inchiesta parlamentare, ed allora si faccia la regolare proposta a norma del Regolamento per una inchiesta parlamentare, e la discuteremo; oppure noi non crediamo che questo sia necessario, ed allora chiediamo al Ministro dell’interno che faccia una precisa inchiesta e ce ne riferisca, dopo di che, in base a questa, prenderemo le nostre conclusioni: ma non mettiamoci di nuovo a creare, avanti lettera, delle norme di Regolamento che sono ancora in attesa di regolamentazione, per non sapere poi, noi stessi, come regolarci e come considerare queste norme e questi organi, che abbiamo un po’ acceleratamente creato. Quindi, io direi di lasciare da parte questa commissione di indagine, che l’esperienza passata ha dimostrato non servire a niente; e se gli altri colleghi ritengono che si debba fare una proposta per nominare una regolare Commissione parlamentare attraverso ad una regolare procedura, inizino, in base ad un normale Regolamento, questa procedura, e in sede di quella discussione ognuno di noi potrà esprimere la propria opinione.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Onorevoli colleghi! Non vogliamo minimizzare le cose: è grave non tanto e non soltanto il fatto che il deputato Pajetta sia stato bastonato, perché sarebbe abbastanza grave il fatto di una bastonatura subita dal cittadino Pajetta. Non c’è un’immunità dalle bastonate per i deputati, perché questa immunità, come bene ricordava l’onorevole Costantini, riguarda tutti i cittadini.

Ma lo stesso onorevole Pajetta ha tolto, in parte, il significato politico della sua accusa e delle sue richieste, quando ha accennato al fatto che deputati di altre parti, e persino di un partito che è al Governo, hanno pure essi subito delle bastonate. Ciò, quindi, farebbe rientrare questo episodio grave in un quadro diverso da quello che qui è stato prospettato, e a cui si è voluto dare una tale importanza politica da richiedere l’intervento di una Commissione di inchiesta parlamentare.

In astratto, noi non saremmo contrari a nessuna inchiesta, ma ricordiamo che altre volte abbiamo rinunziato a questo diritto di chiedere inchieste di questo genere per fatti non meno gravi, anzi, più gravi di quelli che oggi sono stati denunziati…

Una voce al centro. È giusto!

GULLO ROCCO. …perché noi abbiamo avuto dei deputati i quali, stando non in mezzo alla folla dei dimostranti, in un’ora in cui altri deputati lavoravano alla Costituente… (Vivi applausi al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Faralli – Scambi di apostrofi tra l’estrema sinistra e il centro).

Non crediate, onorevoli colleghi, che questa sia un’accusa da me rivolta all’onorevole Pajetta, perché in quell’ora altri deputati anche di altre parti si trovavano non alla Costituente; quindi non c’è motivo che l’onorevole Pajetta o il suo Gruppo si risentano di questa modestissima osservazione, la quale potrebbe del resto essere fatta più tardi da altri in sede di inchiesta parlamentare o di altre inchieste.

Volevo dire che fatti ugualmente gravi sono accaduti a deputati nell’esercizio delle loro funzioni di rappresentanti del popolo e nel momento particolare, che dovrebbe essere da tutti rispettato, delle elezioni. Vi sono stati dei deputati (ed è inutile ricordarne i nomi, perché tutti li conosciamo) i quali sono stati bastonati, sequestrati… (Proteste all’estrema sinistra – Approvazioni al centro e a destra).

Urta voce al centro. La verità vi brucia!

GULLO ROCCO. Dovremmo vergognarci di una cosa sola: di impedire la libertà di parola e di pensiero. (Vivi applausi al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra).

Dicevo, onorevoli colleghi, che noi non abbiamo fatto alcuna domanda di commissione di inchiesta per quei fatti e, quando si dice che la polizia non entrava in quei fatti, rispondo che essa c’entrava, perché avrebbe dovuto tutelare l’integrità e la libertà dei colleghi che esercitavano il loro mandato. (Rumori all’estrema sinistra).

Io vi raccomando, onorevoli colleghi, che oggi non ci facciate perdere minuti così preziosi del nostro tempo. Io vi dico – mi rivolgo in particolar modo ai colleghi della mia terra – che in tempi non lontani sono caduti per le strade della mia Palermo, sotto le raffiche della mitraglia, 20 morti e 120 feriti fra i disoccupati che chiedevano pane e lavoro e nessuno ha sentito il bisogno di fare inchieste. (Rumori all’estrema sinistra).

Di inchieste dovremmo chiederne per fatti antichi e per fatti recenti, e potremmo domandare anche a coloro che siedono alla mia destra, se non sarebbe opportuno sapere qualche cosa anche su ciò che è avvenuto recentemente in una grande città, dove la generosità e la buona fede dei lavoratori è stata tratta in inganno per l’ignoranza di un documento che, una volta conosciuto, avrebbe indubbiamente mostrato a questi buoni e generosi lavoratori e forse allo stesso onorevole Pajetta… (Applausi al centroRumori all’estrema sinistra). Volevo dire che anche lo stesso onorevole Pajetta avrebbe forse tenuto un atteggiamento diverso se avesse conosciuto i fatti nella loro integrità.

Ma basta di ciò. (Commenti).

È stato detto autorevolmente dall’onorevole Presidente che la Commissione d’inchiesta che qui si invocava era su per giù quella stessa che era stata a suo tempo creata per vagliare e per indagare su determinate accuse. Ora, io penso, onorevoli colleghi – e credo non vi possa essere distinzione di parte nel giudizio che stiamo per dare – che vi sia una differenza profonda fra l’uno e l’altro fatto.

La Commissione parlamentare d’inchiesta, che fu a suo tempo istituita da questa Assemblea, riguardava accuse che erano state mosse in quest’Aula a uomini che in quest’Aula sedevano, e riguardava fatti per cui, anche senza attribuire ad essi alcun carattere di reato, per cui sarebbe stato quindi possibile l’intervento di altri organi, doveva essere l’Assemblea stessa, a mezzo di una commissione espressa dal suo seno, ad indagare e a valutare queste accuse, per portare poi il risultato della sua istruttoria all’Assemblea.

Ma questi fatti – e ripeto, non voglio per nulla minimizzarne la gravità – (Commenti all’estrema sinistra)si sono svolti al di fuori dell’Assemblea. Io non voglio fare un argomento che solleverebbe… (Interruzioni all’estrema sinistra – Rumori).

MORANINO. Anche il fatto Matteotti è accaduto fuori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Moranino, la prego! Facciano silenzio, onorevoli colleghi! Li preavviso che sospendo la seduta. Occorre che portiamo alla fine questo primo punto dell’ordine del giorno.

Onorevole Gullo Rocco, continui.

GULLO ROCCO. Dicevo che il fatto è estraneo all’ambiente parlamentare. Non si tratta di un fatto analogo all’altro episodio, di cui ci siamo occupati solo mezz’ora addietro e che è di carattere puramente e strettamente parlamentare. Qui, anche per ragioni tecniche, per necessità pratiche, questa Commissione d’inchiesta parlamentare dovrebbe svolgere un’attività tutta al di fuori dell’ambiente parlamentare, perché dovrebbe richiedere testimonianze e documentazioni al di fuori del nostro ambiente.

PAJETTA GIULIANO. La Commissione degli Undici, dove ha fatto la sua inchiesta, qui o fuori?

GULLO ROCCO. Vi è un’altra preoccupazione: che inchieste di questo genere possano turbare organi che devono rimanere al di fuori della politica…

Una voce all’estrema sinistra. Organi fascisti!

GULLO ROCCO. …perché la polizia, che qualche volta dà dei colpi di bastone a chi non deve darli, è quella stessa polizia che difende tutti i cittadini, di sinistra o di destra, anche dai malfattori. (Interruzioni all’estrema sinistra).

Appunto perciò la polizia deve rimanere al di fuori di ogni pressione da parte di chicchessia; ma anche di ogni paura da parte di chicchessia. (Vivi commenti all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Musolino – Richiami del Presidente – Vivissimi rumori su tutti i settori – Il Presidente sospende la seduta).

(La seduta, sospesa alle 18.5, è ripresa alle 18.10).

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Rocco ha facoltà di parlare.

GULLO ROCCO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, sono dolente che le mie parole abbiano provocato una volta tanto un po’ di subbuglio nell’Assemblea, perché, se tutti i colleghi mi avessero ascoltato sino in fondo, avrebbero potuto comprendere che le mie non sono le parole di un reazionario, come è stato detto alla mia destra: sono le parole di un uomo che ha mantenuto sempre fede alle proprie idee, di un uomo che è stato spesso dalla parte dei bastonati e degli arrestati, ma di un uomo che né venticinque anni addietro né oggi ha mai perduto la fede nella democrazia! (Approvazioni al centro).

E concludo: dicevo che la polizia deve rimanere al di fuori della politica e non deve subire pressioni da parte di qualsiasi Governo, ma deve subire la preoccupazione che può venire da altre parti, e che, pur restando fuori della politica, la polizia non può essere né fuori, né al di sopra della legge.

Qui sono stati denunciati dei fatti. Se questi fatti sono veri, essi costituiscono reato. E il deputato Pajetta o il cittadino Pajetta o qualsiasi altro cittadino che abbia subito delle percosse, che abbia visto violare i propri diritti di cittadino, hanno il diritto di rivolgersi alla legge. E la legge, cioè il magistrato, non potrà fare cosa diversa da ciò che potrebbe fare la Commissione d’inchiesta, con mezzi maggiori, con mezzi migliori. Vi sono testimonianze, vi sono dichiarazioni, vi sono fotografie. Che si producano questi documenti, che si producano queste testimonianze. E se qualcuno ha violato la legge, che questi sia punito! E se dall’inchiesta emergeranno eventualmente delle responsabilità di ordine politico, queste responsabilità potranno essere vagliate anche senza che si arrivi ad una Commissione d’inchiesta e potranno essere portate anche in quest’Aula.

Ed ora, signor Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi che io dica una sola parola, che avrei voluto dire anche prima. Noi ci siamo presentati qui stamane a discutere una legge che abbiamo avuto nelle mani soltanto ieri sera. Abbiamo perfino votato emendamenti che ci sono stati distribuiti stamane. Ci siamo ridotti un po’ ad essere dei legislatori estemporanei…

PRESIDENTE. Onorevole Cullo Rocco concluda.

GULLO ROCCO. Volevo solo dire che qui c’è, nel pubblico o fuori, della gente che gode dei nostri pugilati, delle invettive che ci scambiamo, ma non è la parte migliore del popolo italiano; la parte migliore del popolo italiano attende da noi che invece di perdere il nostro tempo nelle contumelie che reciprocamente ci si scambia, che invece di perdere il nostro tempo nelle richieste che vengono fatte e che rappresentano, a parer nostro, degli espedienti (e non voglio dire parole più grosse), si dedichi invece il nostro tempo a fare le leggi fondamentali della Repubblica italiana. (Applausi al centro e a destra).

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Io non avrei preso la parola se due colleghi non avessero fatto il mio nome e presentato il banale incidente occorso a me e a mia moglie come qualcosa di tragico. Per esperienza fatta in venti e più anni di antifascismo, so quando i manganellatori hanno l’intenzione di manganellare una persona, come è capitato durante il periodo fascista a me, e capisco benissimo quando invece le cose vanno in modo molto diverso, e cioè senza nessuna intenzione di colpire determinate persone.

Ieri io passavo per Corso Umberto (spiacerà forse quanto sto per dire ai colleghi che mi hanno citato come testimonio) ed ebbi occasione di vedere parecchi giovanotti che gridavano alle guardie di pubblica sicurezza: Fascisti, sbirri (mi scusi, Ministro Scelba), sbirri di Scelba, bastonatori del popolo, fascisti, sbirri!». Ad un certo momento questi agenti perdettero la pazienza, anche perché il numero dei provocatori aumentava, scesero dalle camionette e si misero a rincorrerli. E sapete perché un colpo di sfollagente è arrivato a me? Perché gli eroi insultatori si erano nascosti dietro di me e di mia moglie. (Applausi al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra – Commenti).

FARALLI. Non mi ha detto questo.

PALLASTRELLI. Quando noi combattevamo contro il fascismo non abbiamo mai pensato di nasconderci dietro le spalle di una donna.

Questo è quello che volevo dire a chiarimento di ciò che è stato portato qui, nell’Aula, e vi chiedo scusa se, come non è mia abitudine, ho dovuto parlare di me, perché si è fatto il mio nome. (Applausi al centro).

FARALLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FARALLI. Ho chiesto la parola soltanto per precisare che ieri dopo l’incidente in Piazza Montecitorio, mentre salivo in un ascensore del corridoio ho parlato con un onorevole collega, che non sapevo chi fosse e mentre con altri colleghi deploravamo quello che stava succedendo egli, senza che nessuno lo chiedesse, ha detto: «Anche a me hanno picchiato su questa mano per difendere la mia signora».

E non aggiungo commento. (Rumori al centro).

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Io non ho l’abitudine di alterare mai quello che ho detto…

FARALLI. Evidentemente sì.

PALLASTRELLI. Intanto le dirò che non sono mai stato smentito in quest’Aula da nessuno, e che neppure oggi posso esserlo, perché ciò che ho detto risponde al vero. Le aggiungo che ieri lei e gli altri colleghi erano in uno stato d’animo così eccitato che se ho ricordato il fatto banale capitato a me l’ho ricordato allo scopo di calmarvi, ché il fatto di Pajetta non era l’unico. Anzi ho aggiunto, sempre per ricordarvi che nessuno di noi, essendo deputato, aveva un distintivo speciale, perciò non potevano gli agenti riconoscerci. Se lei ricorda dissi, in tono scherzevole: ci rivolgeremo al Presidente dell’Assemblea per avere un pennacchio. (Si ride – Applausi).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Per quanto l’argomento sia pieno di passione, altrettanto è doveroso inquadrarlo in quelle che sono le norme costituzionali. Non entro nel merito perché ha già risposto il Ministro dell’interno assicurando l’Assemblea che sui fatti è stata disposta un’inchiesta amministrativa. Io desidero soltanto riprendere le osservazioni già avanzate da parte dell’onorevole Lucifero e dell’onorevole Gullo, pregando l’Assemblea di riflettere su quello che significa la proposta di nomina di una Commissione di indagine. Non v’è dubbio che l’ultima parola «indagine» è stata chiarita, ed il discorso fatto dall’onorevole Pajetta ha precisato che indagine in questo caso significa «Commissione di inchiesta parlamentare».

L’articolo 135 non dà la possibilità di una inchiesta parlamentare se non nella forma di iniziativa di disegno di legge in quanto che l’obiettivo, i limiti e i mezzi necessari perché l’inchiesta possa essere fatta devono essere disposti da una legge. Si è detto da taluni che, malgrado che nella sostanza si abbia un inchiesta parlamentare (e non può non essere che inchiesta parlamentare) potremo rimanere nella forma di Commissione di indagine, ricordando il precedente della Commissione degli Undici; ma a me non è difficile ricordare a voi qual è la differenza fra l’una e l’altra. La prima poteva ancora essere allacciata all’articolo 80-bis del Regolamento che appunto stabilisce che quando ingiurie o offese sono fatte a membri dell’Assemblea, può essere nominata dal Presidente una Commissione per accertare il fondamento delle accuse.

Non v’è bisogno che ricordi a voi quale sia la ragione di questo principio. Il deputato coperto dell’immunità parlamentare può non essere chiamato dinanzi al giudice, quindi era necessario che il Regolamento dell’Assemblea si occupasse della cosa.

Qui invece si tratta di un’altra posizione. Non si tratta di membri del Parlamento; l’inchiesta, seppure può avere origine da qualche bastonatura che è capitata ad alcuni membri del Parlamento, è fatta ad un ramo della pubblica amministrazione, l’inchiesta è fatta nei confronti di una branca della pubblica amministrazione; quindi, sarebbe una inchiesta che il potere legislativo farebbe al potere esecutivo; e non può farla che nei limiti e nelle forme volute dalla legge e dai principî costituzionali e regolamentari. Per queste evidenti ragioni, il Governo si oppone alla proposta fatta. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione sulla proposta dell’onorevole Nenni. Avverto che su di essa è stata chiesta la votazione nominale dagli onorevoli Merlin Angelina, Pistoia, Dugoni, Merighi, Pieri, Stampacchia, Maffi, Sicignano, Faralli, Musolino, Nobili Tito Oro, Tega, Carpano Maglioli, Sansone, Tonello, Cianca, Mariani Francesco, Buffoni e Forentino.

La proposta dell’onorevole Nenni è la seguente:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Ministro dell’interno in risposta all’interrogazione Nenni, delibera di deferire al suo Presidente la nomina di una Commissione incaricata di esaminare in quali circostanze membri dell’Assemblea sono stati, nella mattinata del 12 dicembre, malmenati dal servizio d’ordine predisposto attorno a Palazzo Montecitorio».

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta Nenni.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Corsini.

Si faccia la chiama.

Presidenza del Vicepresidente PECORARI

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

 

Rispondono sì:

Amadei.

Baldassari – Barbareschi – Bargagna – Basso – Bei Adele – Bernamonti – Bianchi Bruno – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bordon – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Carpano Maglioli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chiarini – Cianca – Cosattini – Costantini – Cremaschi Olindo.

De Michelis Paolo – Donati – Dugoni.

Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fiorentino – Foa – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Gorreri – Grazi Enrico – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

Laconi – Landi – La Rocca – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lozza – Luisetti – Lussu.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Marchesi – Mariani Francesco – Mattei Teresa – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Moranino – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Pajetta Giuliano – Pieri Gino – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Santi – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Sereni – Sicignano – Silipo – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tonello – Tonetti.

Vigna.

Zanardi – Zannerini.

Rispondono no:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Bertola – Bettiol – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Bubbio – Bulloni Pietro.

Caccuri – Caiati – Calosso – Campilli – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia. – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chiaramello – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Coccia – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbino – Corsi – Cortese Pasquale.

Damiani – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Vita – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrario Celestino – Fietta – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gasparotto – Geuna – Giacchero – Giannini – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Jervolino.

La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – Lazzati – Lizier – Lucifero.

Malvestiti – Mannironi – Mancini – Marazza – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca.

Nicotra Maria – Numeroso.

Pacciardi – Pallastrelli – Paratore – Paris – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Persico – Petrilli – Piccioni – Ponti – Proia.

Quarello.

Raimondi – Rapelli – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Romano – Rossi Paolo – Rubilli – Rumor.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Saragat – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Segni – Sforza – Siles – Simonini – Spallicci – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Viale – Vigo – Villabruna.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Si sono astenuti:

Chiostergi.

Della Seta.

Nitti.

Zuccarini.

Sono in congedo:

Bertone.

Carmagnola – Cavallari.

Ghidini.

Jacini.

Lopardi.

Mastino Pietro.

Preziosi.

Quintieri Adolfo.

Ravagnan.

Sardiello.

Vanoni.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale. Invito gli onorevoli segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli segretari fanno il computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti                               331

Votanti                                327

Astenuti                               4

Maggioranza           164

Hanno risposto sì     111

Hanno risposto no    216

(L’Assemblea non approva).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo esaminare anzitutto l’ordine del giorno presentato nella seduta pomeridiana di ieri dagli onorevoli Perassi, Uberti, Rossi Paolo, Magrini, Bellusci, Coppi, Bulloni, Meda Luigi, Zerbi, Rossetti, Pera, Numeroso, Rodi, Colitto e Giannini. L’ordine del giorno, nella sua definitiva formulazione, è il seguente:

«L’Assemblea Costituente, considerando le norme transitorie adottate per la prima formazione del Senato della Repubblica successivamente all’ordine del giorno approvato nella seduta del 7 ottobre 1947, ritiene che la prima elezione del Senato debba aver luogo per collegi regionali col sistema proporzionale secondo norme adeguate alle disposizioni dell’articolo 55 della Costituzione».

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io credo che questo ordine del giorno non possa, o meglio non debba essere posto in votazione; e penso che gli stessi proponenti finiranno per accettare il mio ordine di idee rendendosi conto che non è possibile ed opportuno ritornare su una deliberazione che è già stata presa.

Quale era la portata dell’ordine del giorno col quale si decideva che le elezioni per il Senato devono esser fatte col sistema del collegio uninominale? Quell’ordine del giorno è stato votato – non ricordo bene se a scrutinio segreto o per appello nominale – comunque è stato indubbiamente votato dall’Assemblea.

Una voce al centro. A scrutinio segreto.

CEVOLOTTO. A scrutinio segreto, sta bene. Che cosa significa quell’ordine del giorno? Significava forse – diciamolo francamente e chiaramente – nel nostro pensiero che si sarebbe dovuto in avvenire, per le future legislature, per sempre, eleggere il Senato col sistema uninominale? No.

La volontà dell’Assemblea era che il primo Senato si eleggesse col sistema uninominale. Noi non abbiamo mai pensato di decidere la sorte dei Senati futuri. Se vogliamo interrogare la nostra coscienza, sia nella Commissione dei Settantacinque, sia nel Comitato di redazione, sia nell’Assemblea plenaria noi abbiamo inteso sempre di regolare il primo Senato che si sarebbe costituito dopo votata la Costituzione. E ciò è tanto evidente che noi non abbiamo, proprio per questo, inserito, né per la Camera dei deputati né per il Senato, nella Costituzione una norma relativa al sistema di elezione che si sarebbe adottato.

Già per la Camera dei deputati noi abbiamo votato con un ordine del giorno che le elezioni si sarebbero fatte col sistema della proporzionale, non inserendo però il principio nella Costituzione, perché abbiamo pensato che nel corso di una Costituzione può darsi anche che i sistemi elettorali mutino. Così per il Senato, abbiamo pensato che il Collegio uninominale è un esperimento che potrà riuscire o potrà non riuscire e, se non riuscirà, potrà essere opportunamente modificato per le elezioni successive.

Proprio per questo abbiamo affermato che il primo Senato si sarebbe eletto col sistema del collegio uninominale.

È quindi evidente che con la proposta dell’ordine del giorno odierno si intende e si propone di modificare su un punto essenziale una decisione già presa. E non si dica, eventualmente, che l’ordine del giorno, già votato in sostanza, non è una norma della Costituzione e non è quindi vincolante. Questo può essere esatto per i futuri legislatori, ma non per noi perché noi siamo vincolati in quanto ci siamo posto da noi questo vincolo.

L’ordine del giorno l’abbiamo votato per noi; abbiamo deciso che noi faremo così; in avvenire i legislatori futuri saranno liberi.

Badate che se voi ammetteste che si può tornar sopra a questo punto, io vi dico che si potrebbe poi tornar sopra anche circa la decisione che l’elezione della Camera dei deputati si deve fare col sistema della proporzionale.

Dunque il problema è grave: si tratta di stabilire se è possibile tornare su una decisione già presa in un punto sostanziale, in un punto essenziale di una legge costituzionale. Onestamente e francamente, dal punto di vista strettamente giuridico, bisogna riconoscere che la Costituzione non è ancora votata, la legge elettorale non è votata. Si potrebbe anche ammettere che se l’Assemblea abbia cambiato pensiero, abbia modo di tornare sui suoi passi. Ma ciò sarebbe contrario all’indirizzo, da noi preso, di considerare definitive certe deliberazioni che abbiano risolto i punti essenziali della Carta costituzionale. E sarebbe molto pericoloso, se venissimo meno al principio di massima che in questa materia abbiamo sin qui sempre adottato.

Non che io pensi che niente di quello che abbiamo fatto si possa eventualmente modificare. Al contrario, in particolari di minore importanza, tutte le volte che vi siano delle contradizioni anche semplicemente logiche, concettuali, e soprattutto quando si sia d’accordo, quando vi sia l’unanimità o la quasi unanimità, nulla esclude che si possa ritornare sulla decisione presa. Ma non è assolutamente pensabile che altrettanto si possa fare per quello che riguarda i punti essenziali delle nostre deliberazioni, e quando non si è tutti d’accordo.

Se ciò si facesse, onorevoli colleghi, non so allora dove potremmo andare a finire. Perché è evidente che tutto potrebbe essere rimesso in discussione, per quei punti soprattutto che sono stati decisi con maggioranze che oggi potremmo a buon diritto ritenere mutate. Vi sono stati infatti certe intese e certi consensi su punti essenziali tra quella parte e questa (Indica il centro e l’estrema sinistra) che potrebbero oggi non esservi più.

Volete che noi ritorniamo dunque anche su quei punti che si sono decisi sulla base degli accordi cui mi riferisco? Io non lo ritengo opportuno, onorevoli colleghi. Pensiamo poi anche alle difficoltà pratiche e tecniche inerenti all’attuazione della proposta odierna. Abbiamo deciso di costituire il Senato sulla base del collegio uninominale e poi abbiamo nominato noi un terzo dei senatori di diritto.

E va bene: cioè, andrà malissimo, secondo alcuni, ma noi possiamo anche dire che va benissimo. (Commenti). I due altri terzi del Senato noi adesso li vorremmo nominare col sistema della proporzionale. Ma noi avevamo pensato al collegio uninominale proprio per tentare di svincolare, di rendere cioè meno strettamente dipendenti i futuri senatori dai partiti, proprio per dare una origine e una legittimità diversa al Senato nei confronti della Camera dei deputati. Oggi invece si tenderebbe a fare del Senato un duplicato probabilmente inutile della Camera dei deputati.

Aggiungete che il funzionamento della proporzionale nel Senato, così come noi lo abbiamo pensato, sarebbe difficile. Abbiamo, infatti, costituito i collegi per la elezione dei senatori sulla base di 200 mila abitanti per ogni collegio; ma se si vuole invece eleggere il Senato con la proporzionale, sulla base della Regione, si avranno dei collegi molto diversi come estensione, alcuni relativamente piccoli, come quelle regioni che dovrebbero nominare tre o quattro senatori soltanto: e la proporzionale allora come funzionerebbe?

Una voce al centro. Questo si vedrà dopo.

CEVOLOTTO. Oh bella, si vedrà dopo! Vediamo prima, invece.

Comunque a mio avviso oggi non possiamo e non dobbiamo tornare su una decisione di maggioranza che già è stata presa; in caso contrario, noi porremmo di nuovo tutto in discussione. Non lo possiamo perché il cambiare di proposito così senza motivi apprezzabili sarebbe – lasciatemelo dire – una cosa poco bella.

L’Assemblea, che ha deciso in un senso, e poi torna sulla sua decisione, non proprio per ragioni concrete di tecnica o di politica, ma per ragioni forse strettamente elettorali, non fa una bella figura. Non parlo per un partito che potrebbe avere tutti i vantaggi dal sistema proporzionale, perché i piccoli partiti con questo sistema si avvantaggiano. La questione pregiudiziale che sollevo, la affido in un certo senso anche alla discrezione e alla comprensione di quella che può essere ora la maggioranza. La maggioranza non deve abusare delle proprie possibilità. Oggi la maggioranza sembra essere rafforzata, perché vi sono per aria accordi che ne aumentano il peso. Non deve approfittare di questo; non è giusto. Arrivo a dire che non deve essere fatto, perché non ne verrebbe vanto alla nostra Assemblea.

Io sono convinto che gli stessi proponenti dell’ordine del giorno si renderanno conto se non altro dell’inopportunità oltre che, secondo me, della sostanziale se non formale illegittimità della loro proposta e vorranno rinunciarvi. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Sulla pregiudiziale possono parlare soltanto due deputati a favore, compreso il proponente, e due contro.

NITTI. Chiedo di parlare a favore della pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Ancora una volta io spero che per la dignità nostra eviteremo un errore che ci sarebbe di peso in avvenire.

L’Assemblea ha votato un ordine del giorno presentato da uomini delle parti più diverse dell’Assemblea, che suonava chiaro e su cui non è possibile alcun dubbio.

L’ordine del giorno diceva:

«L’Assemblea Costituente afferma che il Senato sarà eletto con suffragio universale diretto, con il sistema del collegio uninominale».

Queste parole non danno luogo ad equivoci. Vi possono essere diverse forme di proporzionale; vi possono essere diversi sistemi elettorali, ma queste parole sono semplici, chiare: collegio uninominale. Abbiamo già ammesso che vi sarà un senatore per ogni duecentomila abitanti; dopo questo è evidente che ogni duecentomila abitanti eleggeranno un senatore con una forma di votazione semplice e chiara: collegio uninominale, cioè votando un solo nome. Su questo vi può essere materia di dubbi?

Il pensiero dell’Assemblea è stato espresso chiaramente; l’Assemblea aveva ed ha ora l’obbligo, per la sua dignità, di non mutare la sua ponderata decisione. Tanto era questo chiaro ed evidente che in tutto il Paese e anche al Ministero dell’interno si sono fatti studi e adattamenti in vista di avere collegi di duecentomila abitanti nell’ambito della Regione. Nessuno può ammettere che vi possano essere stati equivoci. Il Ministero dell’interno ha fatto tutti gli studi necessari. Qual è ora la ragione per cui improvvisamente, all’ultim’ora, si vuole un cambiamento? E si vuole imporre lo scrutinio di lista e la proporzionale. Si era fatta una savia distinzione fra Camera e Senato: il Senato era eletto a collegio uninominale: i collegi uninominali dovevano essere di 200.000 abitanti. Gli elettori del Senato dovevano avere l’età di 25 anni invece che di 21, ma votavano in modo che il rispetto della sovranità popolare e della tradizione democratica era evidente. Soltanto il metodo di applicazione era diverso.

Ora, come si può giustificare che all’improvviso, senza che nulla giustifichi questo mutamento, si cambi di volontà di idee, di metodo? Tutto è disposto per fare le elezioni del Senato sulla base del collegio uninominale: improvvisamente tutto si vorrebbe cambiare.

E quali sono gli argomenti? Io non ne ho trovato nessuno, e credo che nessuna persona seria possa dire che vi siano argomenti o condizioni che abbiano mutato la situazione.

Dirò di più: quell’ordine del giorno, che si vorrebbe abbattere, era firmato da uomini delle parti più diverse dell’Assemblea, dai più conservatori ai più estremi. Si sentiva il bisogno in tutti di qualche cosa di serio. Il collegio uninominale è la base di tutte le grandi democrazie e lo troviamo dappertutto. Tutti i paesi vincitori, si chiamino Russia, America o Inghilterra, hanno il collegio uninominale. Quindi, non v’è nessun motivo di lesa libertà. Perché ora si parla di lesa democrazia? Il metodo elettorale può essere diverso. Niuna garanzia esiste là dove sono privilegi e dove le forme di manifestazioni elettorali non sono perfettamente libere.

In Italia si deve votare con il collegio uninominale per il Senato, mentre si vota con la proporzionale per la Camera dei deputati. Non vi era e non vi è nessuna contraddizione e non vi è nessuna obiezione, nessuna ostilità. Tutti avevano accettato questa idea. Non ho trovato resistenza da parte di alcuno. Ho trovato soltanto in qualche partito un po’ di malessere, e ciò si capisce. Quando si fa una campagna per un certo metodo di votazione e si fa credere che si possa in questo modo ottemperare a tutti i bisogni della Nazione, vi possono essere persone che si illudono e che illudono. Ma in realtà nessuna ragione può essere detta per giustificare la mancanza all’impegno assunto. Perché noi dal 7 novembre cambiamo oggi improvvisamente di opinione? Ci siamo assunto l’impegno di fare il Senato con il collegio uninominale e ciò con tutta ponderazione: ora non possiamo tornare su una decisione che tutti di accordo abbiamo presa.

Che cosa vi può essere per giustificare il cambiamento? Si dice che non si fa a tempo per preparare ciò che occorre per votare con il collegio uninominale. No, signori, si fa facilmente in tempo. Il collegio uninominale non è una forma di votazione complicata. È anzi un metodo più semplice. Vi possono esser sistemi di votazione, come in alcuni paesi, cui introducendo una forma nuova si va incontro a grandi difficoltà, ma il collegio uninominale…

UBERTI. E le circoscrizioni?

RUBILLI. Sono già fatte, sono al Ministero dell’interno.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, la prego!

RUBILLI. (Indicando il centro). Dite la verità, che non volete il collegio uninominale! Parliamoci chiaro! E l’ha scritto l’onorevole Uberti nella relazione. Questa è la verità: che non volete il collegio uninominale.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, sta parlando l’onorevole Nitti. Prosegua onorevole Nitti.

NITTI. L’altro giorno, a proposito di questo, un deputato, che è naturalmente un eccessivo, è venuto a dirmi: ma perché non proponiamo l’abolizione dell’articolo 7?

Una voce. Aboliamo l’articolo 7!

NITTI. Io non voglio abolirlo. Ma se non si mantengono gli impegni che l’Assemblea ha assunti, se si cambiano le decisioni a piacimento, dove si arriverà? Sapete a quali cose andiamo incontro con questa facilità di non tenere la propria parola di fronte all’Assemblea? Anche l’articolo 7 potrebbe essere materia di nuova decisione. (Applausi).

Noi abbiamo il dovere di rispettare prima di tutto noi stessi, l’Assemblea, che ha deciso su una questione così fondamentale per la costituzione della seconda Camera, ha votato quest’ordine del giorno e non può senza umiliare se stessa cambiare all’ultim’ora senza alcun pretesto, solo per antipatia o diffidenza che non ha ragion d’essere.

Credete, non cambierà nulla un sistema o un altro. Vi sarà solo una migliore selezione, perché essendoci elettori di età più matura che conoscono i loro candidati e candidati di età più matura…

MICHELI. Più maturi di noi!

NITTI. L’amico Micheli sarà eletto anche meglio da elettori più esperti.

Una voce. È già senatore!

NITTI. Ciò non importa. L’essenziale per me non è ora discutere il merito, ma la pregiudiziale. Noi non possiamo tornare sulla nostra decisione; noi non possiamo senza squalificarci, per un piccolo pretesto, per una piccola vanità, per un piccolo contrasto, cambiare quello che abbiamo già deciso. Io vi invito quindi a difendere non solo un principio, ma la nostra dignità e spero che il Presidente non porrà in votazione questa proposta perché non è né legale, né leale, né chiara, né onesta.

PERASSI. Non esageriamo.

NITTI. Non si cambia. Ed è questo solo che io chiedo.

PICCIONI. Avete già cambiato.

NITTI. Io no, mai.

PICCIONI. E i cento senatori?

NITTI. Il primo dei proponenti dei senatori di diritto è un uomo del vostro Gruppo ed il vostro Gruppo credo nella sua grande maggioranza l’ha votato. Non facciamo questioni personali, non riduciamo una questione di dignità e di diritto a pettegolezzi. Spero quindi che nel vostro stesso interesse voi non insistiate e che la nostra decisione sarà mantenuta e mi auguro che non sarà materia di votazione, perché, pregiudizialmente, non si può votare su questo argomento. (Applausi).

DOSSETTI. Chiedo di parlare contro la pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Tanto l’onorevole Cevolotto quanto l’onorevole Nitti nel discorso sulla pregiudiziale hanno avuto entrambi l’occhio più ad argomenti di merito o a considerazioni di carattere generale che a considerazioni veramente e propriamente legate alla pregiudiziale sollevata.

Io invece non farò nessun riferimento di merito, e perciò non raccoglierò in alcun modo le argomentazioni di merito svolto dai due precedenti oratori, mi limiterò semplicemente a discutere questo problema: se, avendo nella seduta del 7 ottobre 1947 votato un ordine del giorno il cui tenore è il seguente: «L’Assemblea Costituente afferma che il Senato sarà eletto con suffragio universale diretto con il sistema del collegio uninominale» noi ci troviamo ora nell’impossibilità di votare l’ordine del giorno proposto ed ora in discussione.

Ora, a me pare che, in questa questione, debbano essere distinti due aspetti: un aspetto che direi così, principale, ed un aspetto che vorrei qualificare subordinato. L’aspetto principale è questo: la norma – o meglio, l’ordine del giorno votato nella seduta del 7 ottobre – ha evidentemente il carattere di una enunciazione organica e programmatica in ordine alla visione costituzionale che noi ci facciamo della seconda Camera. Se questo è, è anche vero che rispetto a questa visione organica, programmatica è sempre ammissibile una determinazione transitoria per una applicazione limitata alla prossima nomina del primo Senato senza contraddire all’enunciazione programmatica fatta con carattere costituzionale permanente.

Se questo è, e mi pare che sia difficilmente contestabile, ma se anche questo non fosse, ed io nego che non sia, sarebbe sempre vero, anche in questa seconda eventualità, che noi possiamo votare (cioè se anche fosse vero che quest’ordine del giorno, come ha assicurato l’onorevole Cevolotto, e certo non è, si riferisce al prossimo Senato, e soltanto ad esso) sarebbe sempre vero che noi possiamo votare senza contradire al principio affermato nell’ordine del giorno del 7 ottobre, l’ordine del giorno che viene ora proposto. Perché nell’ordine del giorno del 7 ottobre noi stabilivamo una linea programmatica che comprendeva due determinazioni: 1°) che il Senato fosse elettivo; 2°) che fosse eletto con il sistema del collegio uninominale.

Io prego gli onorevoli colleghi di considerare la dissociazione di questi due elementi; l’elemento principale, onorevole Nitti, stabilito nella norma del 7 ottobre, non è che il Senato fosse elettivo a collegio uninominale, ma che il Senato fosse elettivo. (Interruzioni). Ora, la fisionomia fondamentale del nuovo Senato, sia esso il Senato determinato programmaticamente dalla norma costituzionale permanente, sia esso Senato eventualmente da eleggersi in questa prima elezione, è quella della elettività. Con le deliberazioni invece che sono state prese dall’Assemblea Costituente sabato scorso, sono state introdotte nel Senato qualche cosa come (i calcoli definitivi non so se siano stati fatti) 80-90 o più senatori. Quindi di fronte ad un Senato che, secondo la determinazione programmatica, avrebbe dovuto avere 240 componenti circa, noi introduciamo un terzo di senatori i quali non sono eletti in nessuna forma (Commenti a sinistra)

Una voce a sinistra. Voi l’avete voluto.

DOSSETTI. Io non ero presente nella seduta di sabato scorso. Se fossi stato presente avrei votato contro. Ad ogni modo resta che la fisionomia fondamentale del Senato, quale è stata definita nell’ordine del giorno del 7 ottobre, è stata radicalmente deformata dalle deliberazioni già prese. (Interruzioni a sinistra). Agli onorevoli colleghi devo fare osservare che la pregiudiziale testé sollevata non viene sollevata in questa Assemblea per la prima volta, ma è già stata sollevata, ed è già stata formalmente superata da una formale deliberazione dell’Assemblea nella riunione di sabato scorso.

Di fatti, nel resoconto sommario, non possediamo più di questo, della riunione del 6 dicembre si legge che, posto in votazione un ordine del giorno aggiuntivo, per il quale si introduceva per la prima elezione del Senato un determinato numero di senatori di diritto che andò ampliandosi, l’onorevole Minio a nome del suo Gruppo sollevò una pregiudiziale nei confronti di tutti gli emendamenti proposti per la nomina di senatori di diritto, i quali sono in contrasto con il principio del suffragio popolare diretto e con l’articolo 55 della Costituzione.

Questa pregiudiziale, alla quale si associarono altri colleghi, fu messa in votazione e fu rinnegata con la votazione. (Interruzioni).

Comunque è certo che la pregiudiziale è stata posta in votazione ed è stata sconfessata e ritenuta infondata. (Interruzioni a sinistra).

Il risultato di quella votazione è stato una sostanziale deformazione, almeno per quel che riguarda il primo Senato, quindi in via transitoria, rispetto alla determinazione fattane nella seduta del 7 ottobre.

Di fronte a questo ormai sconvolto edificio io ritengo che, senza contradire alla enunciazione programmatica – direi, permanente – fatta nell’ordine del giorno del 7 ottobre, possiamo benissimo in via transitoria votare l’ordine del giorno che viene ora proposto.

Né vorrei dilungare molto queste mie brevi parole ricordando all’onorevole Nitti, che è un così autorevole maestro – fra l’altro anche di storia, che questa Assemblea come altre Assemblee Costituenti (e in un modo molto più formale e per questioni molto più radicali di quella che oggi viene proposta e che non investe una contradizione tassativa con una enunciazione sostanziale precedentemente fatta) hanno, nel corso dei loro lavori, cercato di adeguare le disposizioni già prese a quella che era la sostanza delle determinazioni, meglio configurata e come si veniva appunto a determinare nel complesso dell’edificio. Quindi, secondo me, senza contradizione formale e neppure sostanziale e senza che questo involga più o meno velate minacce di riporre in discussione principî fondamentali, che credo non sia il caso qui di richiamare analogicamente, noi possiamo benissimo approvare l’ordine del giorno che viene proposto. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

CAPPI. Chiedo di parlare contro la pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Io non ripeterò ciò che tanto bene ha detto l’onorevole Dossetti. (Commenti). Agli appunti personali o di Gruppo a Gruppo circa il contegno che qualche Gruppo ha tenuto nella votazione dell’altro sabato faccio due osservazioni. Le accuse e gli appunti si potrebbero ritorcere, perché è certo che molti di noi i quali oggi sostengono tenacemente la pregiudiziale hanno l’altro sabato votato contro la pregiudiziale proposta dall’onorevole Minio; ma non è questa l’osservazione sostanziale. Noi siamo un’Assemblea, un ente collegiale. Ora, quale che sia stato il contegno di questo o di quel deputato, di questo o di quel Gruppo, sta che l’Assemblea, come corpo collettivo, ha già violato, ed in una norma sostanziale, ciò che era stato votato. (Commenti a sinistra). È un fatto, ripeto, che la nostra Assemblea, l’altro sabato, ha già distinto fra norma costituzionale permanente e norma transitoria.

Ma la ragione per la quale ho preso la parola è per rispondere ad una domanda, già fatta dall’onorevole Nitti ed ora ripetuta dall’onorevole Gullo Fausto: quale è, cioè, la ragione sostanziale, la ragione politica della presentazione dell’ordine del giorno?

Cercherò di dimostrarla. È un fatto innegabile che la introduzione di un centinaio di senatori, non eletti dal popolo, turba quella corrispondenza che vi deve essere fra volontà, fra situazione politica del Paese e un’assemblea legislativa. Questo non lo potete negare.

RUBILLI. Con qualunque sistema, anche con la proporzionale.

CAPPI. No. Ora la ragione della norma transitoria che oggi abbiamo proposto sta nell’attenuare questa diminuita corrispondenza fra volontà reale del Paese e sua rappresentanza, diminuita corrispondenza che è conseguenza della introduzione di quel forte nucleo di senatori di diritto. Con l’introdurre il sistema della proporzionale noi attenuiamo questo distacco, questa diminuita corrispondenza. E perché la diminuiamo? Perché, si potranno fare tutti gli elogi che si vogliono del sistema uninominale, ma sta in fatto che il sistema della proporzionale dà in modo maggiore una corrispondenza fra le forze politiche del Paese e la composizione dell’assemblea rappresentativa. Tutte le correnti, grandi e piccole, sono rappresentate; e in esatta proporzione della loro forza.

GULLO FAUSTO. Non è esatto.

CAPPI. Onorevole Gullo, è pacifico che col sistema della proporzionale anche i cosiddetti piccoli partiti…

PRESIDENTE. Onorevole Cappi, non illustri la questione della proporzionale o del collegio uninominale.

CAPPI. La faccio per spiegare la ragione politica della nostra proposta.

Rispondendo all’onorevole Gullo, osservo che un esempio clamante è quello inglese, per cui un partito, il quale ebbe poco più di un milione di voti di maggioranza sull’altro partito nelle elezioni, detiene alla Camera una maggioranza di circa quattro quinti. Sono d’accordo che non si possono cambiare a capriccio le decisioni già prese; ma ben si possono, si devono cambiare quando è mutata la situazione giuridica e politica in vista della quale le decisioni erano state prese.

Quindi, per correggere un errore o comunque una modificazione sostanziale quale quella dei senatori di diritto, noi riteniamo corrispondente a principî democratici l’introduzione della proporzionale per il primo Senato. (Applausi al centro).

LACONI. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Desidero sapere per quale ragione il Comitato di redazione non è rappresentato e non dà il suo parere in proposito.

PRESIDENTE. Mi perdoni, onorevole Laconi: lei non fa parte del Comitato di redazione? (Si ride).

Onorevoli colleghi, è stato presentato un ordine del giorno intorno al quale si è discusso, non nel merito, per quanto i quattro oratori intervenuti abbiano, forse per necessità, dovuto sfiorare anche il merito della questione: si è discusso sulla pregiudiziale sollevata dall’onorevole Cevolotto ed appoggiata dall’onorevole Nitti. L’onorevole Nitti ha fatto qualcosa di più che sostenere la pregiudiziale. Ha, in fondo, richiesto che la questione non sia neanche posta in votazione. Non credo che così si possa procedere. In tal modo l’onorevole Nitti ha voluto dare evidentemente maggior forza alle espressioni con le quali ha voluto render nota la sua opposizione alla presentazione stessa della proposta.

È stata posta, comunque, la pregiudiziale, il che significa che l’Assemblea voterà sulla pregiudiziale. Crederei però di mancare al mio dovere se, essendo stata posta la questione in termini di richiamo al Regolamento, io non esprimessi, non il mio parere, ma la successione dei momenti attraverso i quali la questione è passata, perché soltanto in questa maniera ci si potrà render conto della validità o meno della pregiudiziale.

Ripeterò necessariamente in parte ciò che qualche collega ha già detto, e precisamente che il 7 ottobre l’Assemblea Costituente, a conclusione di una lunga discussione che verteva appunto sul sistema da applicare per la elezione del Senato, votò il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente afferma che il Senato sarà eletto con suffragio universale e diretto, col sistema del collegio uninominale».

Dalla lettura di tutti i resoconti stenografici di quelle discussioni risulta che non si è inclusa nel testo costituzionale questa norma, appunto per lasciare la massima possibilità di mutare, in correlazione alle situazioni mutevoli dei tempi, eventualmente il sistema elettorale da applicare in futuro all’elezione del Senato. Per le stesse considerazioni non si era incluso, nel testo costituzionale, il sistema elettorale da applicare per l’elezione della Camera. E nel votare quell’ordine del giorno l’Assemblea ha appunto voluto incominciare ad applicare al primo Senato il sistema del collegio uninominale. Questo discende direttamente da ciò che è stato detto da oratori di tutte le parti dell’Assemblea. (Approvazioni). E sarei lieto che tutti gli interessati rileggessero attentamente il testo stenografico della discussione che allora si svolse.

Quale ne fosse il valore, è stato detto dall’onorevole Fuschini nella pregevole relazione al disegno di legge per l’elezione della Camera dei deputati:

«Nell’intraprendere l’esame particolareggiato del nuovo disegno di legge sembra opportuno rilevare che la Commissione ha ritenuto di non potersi soffermare a discutere il principio fondamentale sul quale si basa il congegno elettorale stabilito nel decreto legislativo del 10 marzo 1946, n. 74, e cioè il principio della rappresentanza proporzionale, poiché l’Assemblea Costituente, nella seduta del 23 settembre 1947, ebbe ad indicare in modo esplicito il suo pensiero al riguardo, approvando un ordine del giorno del deputato Giolitti del seguente tenore: «L’Assemblea Costituente ritiene che l’elezione dei membri della Camera dei deputati debba avvenire secondo il sistema proporzionale». Discutere quindi l’applicazione di tale principio alla legge elettorale per la elezione della Camera dei deputati sarebbe stato in aperto contrasto con la volontà, già manifestata, dell’Assemblea Costituente e la Commissione non l’ha nemmeno tentato».

Nei confronti delle elezioni del Senato valgono uguali richiami. Tuttavia per il Senato si è votata una norma transitoria la quale ha immesso nel primo Senato della Repubblica un notevole numero di senatori non eletti, ma che vi entreranno per diritto. Questa votazione è venuta a violare la disposizione stabilita dall’Assemblea Costituente, con la votazione del suo ordine del giorno del 7 ottobre u.s. e ne ha toccato il principio della elettività. Il principio della elettività è stato evidentemente toccato mentre il principio del sistema elettorale non è stato neppure sfiorato. Si tratterebbe in questa sede di toccare eventualmente anche questo secondo aspetto della norma che era stata stabilita.

Io mi permetto di fare una distinzione tra norma transitoria ed eccezione: la norma transitoria non è una eccezione: la norma transitoria mira a permettere il passaggio da un sistema ad un altro quando gli elementi necessari per il trapasso non sono ancora presenti ed attuali; le norme transitorie votate rispondono appunto a questa esigenza.

Ora, io desidero soltanto ricordare che è già stato presentato all’Assemblea Costituente il disegno di legge per la elezione del primo Senato della Repubblica, ed è stata nominata la Commissione che deve esaminare questo disegno di legge; il Governo ha ritenuto che fosse proprio dovere di dar corso alla deliberazione dell’Assemblea Costituente, anche dopo che l’Assemblea Costituente aveva già, con la sua norma transitoria relativa ai senatori di diritto, toccato, non la disposizione votata con l’ordine del giorno Nitti ma il principio della elettività. La presentazione di questo disegno di legge, dopo che era avvenuta la decisione dell’Assemblea per i senatori di diritto, mi pare che sta ad indicare che il Governo non ha avvertito che fossero venute a mancare le condizioni perché la decisione dell’Assemblea avesse vigore, tant’è vero che ha dato corso alla decisione dell’Assemblea e ha fatto quanto era di sua competenza e obbligo di fare. Questa è la situazione.

La votazione eventuale di una norma che trasformi la base del sistema elettorale porterà come conseguenza il ritiro del disegno di legge che è attualmente già di fronte all’Assemblea Costituente. (Interruzione del deputato Micheli).

Ed evidentemente questo vorrebbe dire che bisognerebbe allora imboccare una strada diversa da quella che fino a questo momento gli organi più responsabili dello Stato al di fuori dell’Assemblea Costituente hanno ritenuto che fosse quella da percorrere. Detto questo, poiché è stata posta la questione pregiudiziale, dovrò porla ai voti.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dinanzi a una questione di tanta importanza il Comitato di redazione deve sedere in Aula e deve esprimere il suo parere in rappresentanza della Commissione dei Settantacinque. Se io sono qualificato a rappresentare il Comitato di redazione, mi avvalgo dei diritti che vengono di regola riconosciuti alle Commissioni per chiedere la sospensione dell’esame della pregiudiziale.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Ho chiesto di parlare, come l’onorevole Laconi, nella qualità di membro della Commissione, per giustificare il Presidente della Commissione stessa, che poc’anzi mi ha dichiarato di non poter essere presente perché indisposto e mi ha dato l’incarico, anche a nome di diversi Commissari, di dichiarare che la Commissione è remissiva su questo punto.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di esprimere il proprio parere al riguardo.

SCELBA, Ministro dell’interno. La legge istitutiva dell’Assemblea Costituente attribuisce alla medesima l’assoluta e piena sovranità di decidere in materia di leggi elettorali.

Il Governo, presentando un progetto di legge all’Assemblea Costituente, come ha dichiarato nella relazione, non ha fatto altro che rendersi parte diligente formulando un progetto, per consentire all’Assemblea di decidere su di esso, senza che questo potesse minimamente significare né impegno del Governo di decidere su quel determinato progetto, né menomazione dell’autorità dell’Assemblea Costituente.

Noi potevamo anche non presentare un progetto di legge all’Assemblea Costituente, visto che la competenza in materia è dell’Assemblea stessa, la quale poteva prendere direttamente l’iniziativa della formulazione di un progetto. È stato soltanto per ragioni pratiche che il Governo ha presentato questo progetto di legge.

Detto questo, il Governo ritiene di non dover esprimere nessun avviso circa la controversia che si agita davanti all’Assemblea, rimettendosi al voto dell’Assemblea stessa.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. È stata posta la questione del necessario avviso del Comitato dei Diciotto. L’onorevole Rossi ha detto che esso sarebbe remissivo.

Vorrei chiedere all’onorevole Rossi di spiegarmi cosa voglia dire questa parola. Verso chi è remissivo il Comitato? Verso chi chiede che si mantenga il voto già pronunziato o verso gli altri? (Commenti).

ROSSI PAOLO. Evidentemente, verso gli uni e verso gli altri (Commenti).

PRESIDENTE. Desidero ricordare che in sede di pregiudiziale possono parlare due oratori a favore e due contro. Hanno già parlato quattro oratori. Coloro che chiedono di parlare adesso possono farlo soltanto su questioni di procedura o per mozione d’ordine.

LACONI. Chiedo di parlare sulla questione di procedura.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi dispiace di dare all’Assemblea la sensazione che il Comitato di redazione sia in dissoluzione. (Commenti).

Non posso non precisare che il parere dell’onorevole Rossi, se pure autorevolissimo, non esprime altro se non il parere dell’onorevole Rossi e dell’onorevole Ruini indisposto; ma non esprime il parere del Comitato di redazione, che non si è riunito e non ha preso nessuna decisione. (Commenti).

La mia proposta tende ad ottenere che il Comitato di redazione – e non l’onorevole Ruini o l’onorevole Rossi – esprima il suo parere sopra la questione. (Commenti).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Vorrei prospettare all’Assemblea una questione di procedura. Il Comitato dei Diciotto, in tutte le circostanze di improvvisi ordini del giorno od altro, si è sempre mostrato… remissivo (Ilarità a sinistra) perché non poteva adunarsi per concretare un voto pro o contro in seguito a una discussione approfondita.

Nel caso attuale, poi, si è aggiunta la circostanza che l’onorevole Ruini è momentaneamente indisposto. È quindi naturale che l’onorevole Rossi non abbia potuto dichiarare se non ciò che ha dichiarato. Pongo però la questione se, data l’importanza del problema, sarebbe o non sarebbe opportuno che il Comitato dei Diciotto si adunasse. (Commenti).

Fra le altre cose non è detto che l’abituale abilità del nostro Presidente Ruini, in una discussione cui parteciperebbero tutte le parti, non riesca a trovare una via d’intesa, una via che elimini l’ostacolo. Questo è successo quasi sempre quando il nostro Presidente Ruini vi ha messo le mani. (Commenti).

L’opinione della Commissione potrebbe d’altra parte anche avere un’influenza sul voto dell’Assemblea la quale potrebbe essere condotta a decidere in un senso o nell’altro dal fatto che la maggioranza del Comitato abbia deciso in un senso o nell’altro, di proporre cioè l’accettazione o la reiezione dell’ordine del giorno.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. A me pare, francamente, che si stia ampliando una questione elementarissima. Il Comitato di redazione, innanzitutto, non è una Commissione; incominciamo a mettere le cose a posto: è un Comitato che ha il compito molto elementare di coordinare le norme che vengono via via approvate. Esso svolge quindi soltanto un’attività interna nel seno della Commissione dei Settantacinque.

Ma io vorrei in modo particolare che i colleghi ricordassero come, nella seduta di ieri sera, l’onorevole Presidente, con una cortesia di cui dobbiamo rendergli atto in ragione dell’importanza del problema prospettato, ci ha letto questo ordine del giorno avvertendoci che sarebbe appunto venuto oggi in discussione e in votazione.

Io credo quindi che l’obiezione dell’onorevole Laconi sia del tutto fuori luogo e non possa valere in alcuna maniera ad annullare una prassi che abbiamo sempre seguito nelle nostre discussioni, quella cioè che il Comitato di redazione decidesse immediatamente quando venivano presentate questioni improvvise, ma che viceversa, quando le questioni venivano portate in tempo all’Assemblea, quest’ultima ne fosse, come è naturale, investita direttamente.

È pertanto l’Assemblea che deve, anche in questo caso, a mio giudizio, senz’altro deliberare.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Mi rincresce di contradire l’onorevole Dossetti e mi rincresce soprattutto perché già altra volta io l’ho contradetto e proprio quando egli sosteneva perfettamente il contrario di quello che dice oggi. (Ilarità).

Onorevole Dossetti, ella ha sostenuto alcune sedute or sono che il Comitato di redazione non è un semplice organismo di coordinamento, di formulazione, di redazione, ma è il rappresentante della Commissione dei Settantacinque.

DOSSETTI. Ho l’impressione che la memoria la tradisca. È un fatto raro; ma è così.

TOGLIATTI. L’ha sostenuto, per lo meno, la parte dell’Assemblea dove ella siede, contro l’opinione personale mia. E quel punto di vista allora prevalse. Rimaniamo coerenti al punto di vista di allora.

Ma io desidero fare un’altra osservazione. Anche qui mi riferisco a cose che precedentemente ho detto. Altra volta ho pronunciato parole di critica verso il Presidente della Commissione dei Diciotto, onorevole Ruini. Mi sembra però che commetteremmo una grave scortesia verso di lui se questa sera decidessimo la questione in sua assenza. (Commenti al centro). È vero che l’onorevole Ruini un’ora fa era ancora presente tra di noi.

Una voce al centro. Ha la febbre; si è ammalato.

TOGLIATTI. Va bene, si è ammalato; però egli stesso ha preveduto che domani mattina alle undici il malore sarà passato, tanto è vero che ha convocato per quell’ora il Comitato di coordinamento. Non potremmo aspettare che egli domattina esamini la questione insieme con gli altri diciassette e ci porti poi il parere dei diciotto? Questa è la proposta che io faccio: di rinvio ad altra seduta.

MICCOLIS. Domando la chiusura.

PRESIDENTE. È stata chiesta la chiusura. Anche senza porla in votazione – sarebbe senz’altro votata – questo deve essere un invito a non chiedere più la parola.

Desidero intanto precisare che il Comitato di redazione è stato ufficialmente investito della rappresentanza della Commissione per la Costituzione e che da parte di molti colleghi in certi momenti si è cercato di dargli poteri assai più vasti, nel senso di sostituire addirittura la Commissione per la Costituzione.

Non v’è dubbio, quindi, che il parere del Comitato sia indispensabile e pertanto ritengo fondata la richiesta dei colleghi che hanno domandato che si debba sentire prima il Comitato, il quale non ha ancora avuto la possibilità di pronunciarsi su questo punto. (Commenti animati).

MASTINO GESUMINO. Quale importanza può avere il parere del Comitato?

PRESIDENTE. Onorevole Mastino, se nessuno avesse sollevato la questione, forse non se ne sarebbe tenuto conto, ma, dal momento che la questione è stata posta, essa acquista importanza solo per questo. Vorrei ricordare che quando si tratta di ritornare sopra questioni già decise a rigor di termine sarebbe sufficiente l’opposizione di un solo membro dell’Assemblea per evitare che esse siano prese in considerazione. Pertanto, pur non applicando questa norma, si può benissimo attendere ventiquattro ore perché possa essere udito il Comitato. E non mi pare che sia chiedere troppo. (Commenti al centro).

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. In via ipotetica, noi potremmo esaminare anche se non convenga aderire al desiderio espresso dall’onorevole Presidente, ma come desiderio.

Mi permetto però di osservare che l’ordine del giorno di cui si discute ora è stato annunziato ieri sera e che pertanto il Comitato ha avuto ventiquattro ore di tempo – ormai trascorse – per sollevare la questione e pretendere che l’ordine del giorno stesso fosse sottoposto preventivamente al suo esame.

È questo un argomento che preclude – a mio giudizio – la possibilità di sollevare la questione.

In secondo luogo vorrei fare un rilievo di merito, o meglio sostanziale: noi ci troviamo a dover discutere se sospendere per sottoporre al Comitato l’ordine del giorno. Ora, l’eccezione è stata sollevata da un membro del Comitato, l’onorevole Laconi.

UBERTI. Non è più membro! È dimissionario.

DOSSETTI. Altri membri del Comitato hanno espresso un parere che non sembra del tutto coincida con quello dell’onorevole Laconi.

Quindi è anche facile, al di fuori della mia formale obiezione, prevedere quale possa essere il risultato dell’esame del Comitato di redazione: non si avrà un parere concorde sull’ordine del giorno, il quale dovrà quindi per forza di cose essere rimesso all’Assemblea.

Di fronte a questa situazione io ritengo che noi non possiamo violare le norme regolamentari né insistere per un rinvio che non ha giustificazioni. In via subordinata faccio formale proposta che il Comitato di redazione si riunisca immediatamente ed esprima il suo parere sull’ordine del giorno e la pregiudiziale in modo che l’Assemblea possa procedere alla votazione in questa stessa seduta.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Sulla pregiudiziale non deve essere interpellato il Comitato. Domani, quando discuteremo sul merito, allora sentiremo il parere del Comitato. (Approvazioni al centro).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Sono disposto a ritirare la richiesta formale, però faccio presente ai colleghi che è indispensabile che la sospensione venga approvata ugualmente; è indispensabile perché la proposta che ci viene fatta è troppo grave e dobbiamo concederci un minimo di respiro per esaminarla e per tentare di giungere a una soluzione.

DOSSETTI. Un respiro che dura ventiquattro ore!

LACONI. L’onorevole Dossetti sa benissimo che in queste ventiquattro ore di tempo noi siamo stati gli unici che non abbiamo dormito e abbiamo consultato anche uomini del suo partito per domandare loro se intendono recedere dalla posizione che hanno assunto. Quindi non abbiamo perduto il tempo. Se il Comitato non ha funzionato noi abbiamo tentato di rimediare alla carenza del Comitato.

Tuttavia sulla questione pregiudiziale, che è nuova, noi eravamo in diritto di chiedere la sospensione, perché, qualunque sia il parere dell’onorevole Mastino Gesumino, sta di fatto che nel nostro Regolamento è riconosciuto il diritto alle Commissioni di chiedere la sospensione dinanzi ad una proposta giunta all’ultim’ora.

UBERTI, Nessun membro del Comitato ha chiesto la sospensione.

LACONI. Il fatto che l’onorevole Uberti non siede in questo banco non toglie che il Comitato di redazione abbia una voce.

UBERTI. La sua non è quella del Comitato.

LACONI. Io non sono per niente dimissionario dal Comitato di redazione. Ne faccio parte a pieno diritto e, se non le dispiace, in assenza sua e degli altri colleghi su questo banco ne sono l’unico rappresentante perfettamente qualificato a interpretarne il pensiero.

Per tutte queste ragioni avrei diritto di insistere sulla richiesta, tuttavia mi limito a pregare l’Assemblea di sospendere la discussione su questo argomento.

PRESIDENTE. Avverto che sulla pregiudiziale sollevata dall’onorevole Cevolotto è stata fatta domanda di scrutinio segreto dagli onorevoli Castiglia, Condorelli, Martino Gaetano, Bellavista, Reale Vito, Nasi, Porzio, Tripepi, Marinaro, Abozzi, Bonino, Bozzi, Lucifero, Cevolotto, Persico, Morelli Renato, Rubilli, Villabruna, Perrone Capano e Gasparotto.

Nomina di una Commissione.

PRESIDENTE. In relazione alla richiesta dell’onorevole Chieffi, formulata ai sensi dell’articolo 80-bis del Regolamento, ho chiamato a far parte della Commissione incaricata di giudicare il fondamento delle accuse mosse dall’onorevole Cianca i deputati Bellavista, Bettiol, Bozzi, Cacciatore, Castiglia, Gasparotto, Della Seta, Lombardi Riccardo, Mazzoni, Reale Eugenio e Venditti.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sulla pregiudiziale sollevata dall’onorevole Cevolotto contro la presa in considerazione dell’ordine del giorno Perassi, Uberti ed altri relativo al sistema elettorale da adottare nei confronti dell’elezione del primo Senato della Repubblica.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Andreotti – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellato – Belotti – Bencivenga – Bettiol – Bocconi – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bubbio – Bulloni Pietro.

Caccuri – Caiati – Cairo – Calosso – Campilli – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese Pasquale.

Damiani – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Vita – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantoni – Federici Maria – Ferrario Celestino – Fiotta – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Garlato – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Jervolino.

La Malfa– Lami Starnuti – La Pira – Lazzati – Lizier.

Macrelli – Magrini – Mannironi – Manzini – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazzei – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Miccolis – Micheli – Molinelli – Monterisi – Morini – Moro – Mortati – Murdaca.

Nicotra Maria – Numeroso.

Pallastrelli – Paratore – Pat – Pecorari – Pella – Pera – Perassi – Piccioni – Ponti – Preti.

Quarello.

Raimondi – Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Romano – Rossi Paolo.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sapienza – Saragat – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Segni – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Titomanlio Vittoria – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi.

Uberti.

Viale – Vigo.

Zaccagnini – Zagari – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Bertone.

Carmagnola – Cavallari.

Ghidini.

Jacini.

Lopardi.

Mastino Pietro.

Preziosi.

Quintieri Adolfo.

Ravagnan.

Sardiello.

Vanoni.

Avverto che dalla numerazione dei voti è risultato che l’Assemblea non è in numero legale.

La seduta, pertanto, è sciolta e l’Assemblea è riconvocata lunedì, alle 16, col medesimo ordine del giorno.

La seduta termina alle 20.50.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 15 dicembre 1947.

Alle ore 16:

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
  2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati.