Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 3 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXLIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 3 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Mariani Enrico

Presidente

Crispo

Mozioni (Seguito della discussione):

Sereni

Piccioni

La seduta comincia alle 10.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

MARIANI ENRICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIANI ENRICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sento il dovere, come deputato e come cittadino, di protestare contro il linguaggio basso e volgare…

PRESIDENTE. Onorevole Mariani, non posso consentirle di continuare nel suo discorso. Ella sa benissimo che sul processo verbale si può parlare solo per proporvi una rettifica o per chiarire o correggere il proprio pensiero.

CRISPO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi, ho chiesto di parlare sul processo verbale di ieri mattina per chiarire una espressione da me usata e che ha dato luogo ad una interpretazione del tutto erronea.

A proposito della mancata legge per la difesa della Repubblica, che contemplava fra l’altro l’azione violenta, armata, diretta alla eventuale restaurazione della monarchia, dissi che il regime repubblicano non avrebbe avuto evidentemente a temere e non correva alcun pericolo ad opera dei monarchici.

Dissi – e questa fu l’espressione che ha dato luogo all’interpretazione da me riferita – che i monarchici non avrebbero avuto il fegato di ricorrere ad un’azione violenta. Il mio pensiero era chiaro. Volevo dire che i monarchici hanno troppo vivo il senso civico per non agire unicamente nell’ambito delle libertà democratiche e del diritto di propaganda per svolgere il loro pensiero e la loro azione, e in questo senso rettifico – se una rettifica occorre – la mia espressione che ha potuto sembrare offensiva.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Seguito della discussione di mozioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione di mozioni. È iscritto a parlare l’onorevole Sereni. Ne ha facoltà.

SERENI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io mi sforzerò di portare in questo dibattito, più ancora che la voce della mia parte politica, la voce e il punto di vista di tutta una importante parte d’Italia nei confronti dei problemi che sono in discussione.

Sono profondamente convinto che, al di sopra delle divisioni di partito, esiste una solidarietà di interessi del Mezzogiorno; e poiché sono altrettanto profondamente convinto che questi interessi del Mezzogiorno coincidono storicamente con gli interessi generali della democrazia e della Nazione italiana, è da questo particolare punto di vista che io cercherò di intervenire nel dibattito.

A questo punto della discussione, d’altra parte, mentre già i più autorevoli rappresentanti dei Partiti hanno impostato il problema della fiducia o della sfiducia nel Governo, credo che un intervento come il mio può esser giustificato soltanto se io riuscirò a portare un contributo specifico nella discussione politica generale. Mi limiterò perciò, senza diffondermi su problemi più generali, a toccare, dal punto di vista del Mezzogiorno, tre punti fondamentali che concernono le origini di questo Governo, la sua composizione, la sua struttura, e la sua opera.

È stato già sottolineato da varie parti il carattere ed il significato di classe del Governo che siede su quei banchi. Io vorrei ricordare, a questo proposito, qualche cosa che è stata accennata dall’amico e compagno Morandi, sia nella precedente discussione che nell’attuale, ma che forse non è chiara e non è nota neanche a tutta l’Assemblea. Vorrei ricordare quella seduta del 30 aprile, nella quale, dopo il suo discorso radio, per la prima volta l’onorevole De Gasperi manifestò in Consiglio dei Ministri la sua intenzione di aprire la crisi. Il collega Morandi ha ricordato a questo proposito la storia del «quarto Partito», ma credo non sia inopportuno precisare qui il senso di questa espressione. Nella seduta del 30 aprile, l’onorevole De Gasperi ci disse in sostanza: «Il Paese si distacca da noi. Noi abbiamo i Ministeri, abbiamo il Governo, ma il Paese gradatamente si allontana dal Governo».

Fu facile, allora, all’amico e compagno Cacciatore ed a chi vi parla, rispondere all’onorevole De Gasperi: «Guardiamo i fatti».

Erano recenti le elezioni all’Assemblea regionale siciliana, e potemmo facilmente dimostrare che l’adesione del Paese alla maggioranza governativa di allora, presa nel suo complesso, lungi dal restringersi, si era allargata.

Dicemmo allora all’onorevole De Gasperi: questa maggioranza è aumentata nel complesso, ma sono diminuiti i voti della Democrazia cristiana. Questo fatto esprime un malcontento che esiste effettivamente nel Paese contro il Governo, non perché il Paese non approvi il suo programma, ma perché constata una indecisione, una lentezza nell’applicazione di questo programma. E non è un caso che in tutte le consultazioni elettorali avvenute in quel periodo, i voti si spostassero dalla democrazia cristiana verso il Partito socialista e verso il Partito comunista. Questo non significa che in Sicilia, ad esempio, molte persone fossero diventate socialiste o comuniste, ma significa – dicemmo allora all’onorevole De Gasperi – che nella direzione democristiana del Governo e della maggioranza, le masse del popolo italiano riconoscono la causa prima delle insufficienze nella realizzazione del programma del Governo.

Bisogna dire che né in quella, né nelle successive sedute, in nessuna occasione, l’onorevole De Gasperi mise in dubbio la validità di queste nostre affermazioni. Ma l’onorevole De Gasperi rispose allora: «Sì; avete ragione; se andiamo a vedere i risultati elettorali, non notiamo un allontanamento delle masse dal Governo; noi abbiamo una larghissima maggioranza di voti – comunisti, socialisti, democristiani – come Governo; abbiamo i Ministeri, la posizione chiave della politica governativa italiana; ma non disponiamo della stampa così detta indipendente, la quale presenta sotto una luce scandalistica qualunque provvedimento che il Governo prenda. Noi – disse l’onorevole De Gasperi – siamo tre grandi partiti che raccolgono la grande maggioranza dei suffragi, ma non abbiamo nelle nostre file un quarto partito, il partito di coloro che hanno denaro e possono prestarne allo Stato che ne ha bisogno».

Non potemmo nascondere, ministri comunisti e socialisti del Governo di allora, la nostra stupefazione di fronte a queste argomentazioni. Ci trovavamo evidentemente di fronte ad una nuova concezione della democrazia, che non era quella alla quale eravamo abituati: nella quale il popolo tutto esprime la sua volontà attraverso consultazioni popolari, dalle quali sorge una direzione dell’«Esecutivo Nazionale» corrispondente a questa espressione popolare:

Ci trovavamo di fronte ad una nuova concezione secondo la quale il voto di «Pirelli» e di qualche altro magnate dei gruppi monopolistici conta più di 15 milioni di voti di elettori (lavoratori e borghesi, democristiani, comunisti, socialisti, repubblicani).

Io non voglio qui entrare nella discussione su questa nuova concezione della democrazia, né voglio discutere se il Presidente De Gasperi è un democratico o no. Se devo esprimere la mia opinione personale, direi che, per essere un uomo di Stato democratico, all’onorevole De Gasperi manca un elemento essenziale: la fiducia nel popolo. (Interruzioni al centro – Commenti).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Se lei avesse avuto dal popolo i voti che ho avuto io, potrebbe essere sodisfatto.

SERENI. Questo tipo di «democratico» è un tipo che abbiamo incontrato studiando la storia del Risorgimento italiano e operando nella realtà politica del periodo della guerra di liberazione e in questo dopo-guerra così agitato. È un tipo che è frutto dell’insufficienza della classe dirigente italiana, manifestatasi già nel corso del Risorgimento. Ne parlava Goffredo Mameli quando scriveva «quei che contano gli eserciti – disser: l’Austria è troppo forte – ed aprirono le porte».

In Consiglio dei Ministri, l’onorevole De Gasperi pose il problema appunto così: «Il nemico è troppo forte; ha in mano la stampa indipendente ed il denaro. Ebbene, questo nemico non dobbiamo combatterlo come nemico, dobbiamo spalancargli le porte del Governo». Goffredo Mameli ammoniva, a proposito di questi «democratici», che «questa vil genio non sa – che se il popolo si desta – Dio si mette alla sua testa – la sua folgore gli dà».

Questa folgore, l’onorevole De Gasperi l’aveva nel suo arsenale, ma non ha voluto mai maneggiarla contro i nemici del popolo; ai nemici del popolo, l’onorevole De Gasperi – seguendo una tradizione che non è certo quella repubblicana, bensì quella dei repubblichini e degli austriacanti d’Italia – ha preferito spalancare le porte del Governo.

Alla folgore che Dio dà a chi cammina col popolo, l’onorevole De Gasperi ha preferito le circolari dell’onorevole Scelba e dell’onorevole Grassi. Ha creduto di aver inventato il parafulmine creando questo nuovo Governo. E certo, le circolari dell’onorevole Scelba e dell’onorevole Grassi, non rischiano di scalfire il muro d’argento, come alcune volte potrebbe fare la folgore che Dio dà al popolo.

Per aprire le porte al nemico bisognava però, questa volta, cacciar via dal Governo i rappresentanti di un’altra democrazia, di una democrazia che non è disposta ad inchinarsi, a prosternarsi di fronte al muro d’argento di una democrazia che si difende e che combatte i nemici del popolo. L’onorevole De Gasperi aveva sul terreno parlamentare la forza di farlo, e l’ha fatto: buon pro’ gli faccia. Ecco il Governo che abbiamo di fronte e che è uscito da questa impostazione dei problemi della lotta democratica del nostro Paese.

È stato sottolineato in vari interventi, in special modo dagli onorevoli Nenni, Morandi e Togliatti, il carattere di classe e di parte che il nuovo Governo ha assunto. Sono state denunciate in quest’Aula delle ingiustizie e delle illegalità compiute da questo Governo ai danni della democrazia. Debbo dire che non ho assistito senza meraviglia ai sorrisi con i quali, da varie parti in quest’Aula, si è ironizzato a proposito di manifesti e di attacchini.

Si dice: cosa è poi mai se si proibisce un manifesto? È strano che dopo la triste esperienza del fascismo vi sia ancora una così scarsa esperienza democratica per cui nel nostro Paese non si avverte il significato che assume la violazione delle libertà elementari del cittadino, che sono la base della democrazia. Io non voglio ripetere quel che è stato detto da altri, ma vorrei che l’onorevole Togliatti mi consentisse di ricordare che, a proposito di ingiustizia e di illegalità, vi è appunto tutta una parte d’Italia, che è stata da decenni sottoposta ad ingiustizie, che non si sono sempre espresse solo nella forma dell’illegalità, ma si sono anche espresse sotto la forma della legalità di un determinato tipo di Governo, che è esistito nel nostro Paese; questa parte è il Mezzogiorno.

Quando noi analizziamo il carattere di questo Governo, dobbiamo sforzarci di valutare sotto tutti i suoi aspetti il significato dell’operazione politica che l’onorevole De Gasperi ha condotto a termine. Non basta constatare, come è già stato fatto, che essa ha portato all’esclusione dei rappresentanti dei partiti che più direttamente si richiamano alle classi lavoratrici. Occorre sottolineare che, come conseguenza, d’altronde inevitabile, di questa esclusione, l’onorevole De Gasperi ha risolutamente indirizzato la sua politica nel senso della ricostituzione di un blocco industriale-agrario, la cui punta è rivolta contro il Mezzogiorno.

Illustri rappresentanti della democrazia cristiana, come Luigi Sturzo, accanto ad altri illustri esponenti di differenti correnti politiche, come Guido Dorso ed Antonio Gramsci, hanno illustrato nella nostra letteratura politica questa caratteristica del dominio storico della borghesia italiana. È noto come, già prima del fascismo, il dominio di classe della borghesia italiana abbia assunto la forma del blocco industriale-agrario; di una stretta alleanza, cioè, tra i grandi industriali e finanzieri del Nord ed i grandi latifondisti del Sud. Questa alleanza è caratterizzata da ciò, che i grandi proprietari terrieri del Mezzogiorno, per la loro arretratezza sociale, economica e politica, si sono trovati costantemente in una posizione di inferiorità di fronte ai grandi finanzieri e industriali del Nord, sicché non giunsero mai ad ottenere, con questa impostazione governativa, altro che la mano libera contro i loro contadini. In cambio della soddisfazione data a questi miopi interessi di classe, queste forze degli agrari del Mezzogiorno hanno sempre lasciato mano libera ai grandi finanzieri del Nord, ai grandi industriali del Nord, per tutto quanto riguarda le questioni fondamentali della politica nazionale. E così abbiamo visto il Mezzogiorno deliziato dall’ultraprotezionismo industriale, dalle guerre in cui i grandi capitalisti del Nord l’hanno trascinato; lo abbiamo visto deliziato da quella politica dei prezzi industriali e dei prezzi agrari, che è la causa più profonda della inferiorità economica del Mezzogiorno.

Tutto questo è avvenuto con la complicità necessaria di un ristretto gruppo delle classi dominanti del Mezzogiorno, ma il mestolo era tenuto in mano dai grandi industriali e dai grandi agrari del Nord.

Questo sistema, voi tutti lo conoscete, è stato portato al parossismo durante la dittatura fascista. È un sistema che comportava una tecnica parlamentale, quando c’era il Parlamento, ed una tecnica governativa. Questa tecnica e questo blocco governativo erano stati spezzati da quel grande fatto storico che è stata la liberazione del popolo italiano dal fascismo. Ora incomincia un nuovo sistema politico e proprio la partecipazione dei partiti di popolo, fra i quali riconosco senz’altro la Democrazia cristiana, al Governo, aveva spezzato questo sistema tradizionale.

Si dice male del tripartito e dei governi di coalizione democratica. È diventata una moda alla quale anche l’onorevole Presidente del Consiglio, che ha presieduto questi governi, troppo spesso si conforma. Io voglio, per una volta, dire bene del tripartito. Voglio anzi dirvi che in quelli che i giornali indipendenti, qualche volta anche Il Popolo, sogliono chiamare «gli ambienti degli agit-prop», è corsa, in questi ultimi tempi, una voce: secondo la quale il compagno Togliatti, nelle prossime elezioni di Roma, avrebbe voluto lanciare una parola d’ordine: «Torniamo ai prezzi del tripartito»; ma poi si è saputo che l’idea è stata abbandonata, perché una parola d’ordine di questo genere avrebbe trovato consensi troppo larghi tra le masse popolari, e avrebbe potuto eccitarle tanto da spingerle sulla via dell’insurrezione contro l’attuale Governo. E noi, che siamo un partito d’ordine, ci siamo perciò ben guardati dal lanciare una parola d’ordine così esplosiva. (Ilarità – Commenti al centro).

Si dice male del tripartito. Ebbene, io vorrei, esaminare qui quello che non solo il tripartito, ma in genere i governi di coalizione democratica, hanno fatto in questo senso dei rapporti fra Nord e Sud.

Non vi tedierò con troppe cifre. In un articolo dell’onorevole Einaudi sul Risorgimento liberale del 1° settembre 1946, l’onorevole Einaudi analizzava la distribuzione dei redditi e degli impieghi fiscali in Italia. Le conclusioni erano queste: che il supero dei versamenti sugli incassi del Tesoro nell’Italia meridionale ed insulare era di 24 miliardi, mentre nel triangolo industriale del Nord il supero degli incassi era di 48 miliardi. Era questa una inversione completa di un processo caratteristico che si era avuto e sotto il fascismo e nei periodi precedenti.

L’onorevole Lussu su L’Italia Libera del 4 dicembre 1946 faceva delle obiezioni all’elaborazione di Einaudi, obiezioni in parte giuste sul terreno tecnico.

Ma il 13 aprile 1947, un giornale democristiano di Napoli, Il Domani d’Italia, presentava una più precisa elaborazione di questi dati, secondo i criteri, appunto, che Lussu aveva consigliato. Anche da questa nuova e più precisa elaborazione l’inversione del processo tradizionale restava confermata.

Politica dei prezzi. Qualche volta si è esagerato, nel Mezzogiorno, nel credere che le ingiustizie di cui esso soffriva e soffre derivassero essenzialmente da una sperequazione fiscale ai suoi danni.

La realtà è che la divergenza nel livello dei prezzi dei prodotti industriali nel confronto con quelli agricoli ha avuto storicamente sull’economia del Mezzogiorno una influenza molto più grave che la politica fiscale. Ritroviamo qui gli effetti della politica protezionistica tradizionale. Cosa hanno fatto i governi di coalizione democratica in questo senso?

Prendo anche qui una fonte semiufficiale, lo studio interessantissimo del professore Albertario sulla situazione economica dell’agricoltura, in cui vengono analizzati i prezzi dal periodo anteguerra ad oggi. La base degli indici che io citerò è quella del 1938. Il rapporto fra l’indice dei prezzi dei prodotti venduti e rispettivamente acquistati dagli agricoltori a fine ’46 è 131. Non vi sto a citare tutte le cifre. Ma assistiamo anche in questo campo, ad opera dei governi del tripartito, ad una inversione del processo tradizionale. E vi è di più: mentre l’indice dei prodotti agricoli del Mezzogiorno sale a 191 rispetto al 1938, quello dei prodotti agricoli del Nord sale solo a 137. Molti fattori diversi intervengono, beninteso, a determinare questa divergenza. Quel che ci interessa, è valutare il risultato complessivo. Anche nel campo della politica dei prezzi c’è stata, nel periodo dei governi del tripartito, una inversione del processo tradizionale, che si svolgeva ai danni del Mezzogiorno.

Risparmio ed impieghi. Ognuno di voi sa che l’altra tradizionale inferiorità del Mezzogiorno deriva dal fatto che una parte notevole del risparmio veniva pompato dall’industria verso il Nord. Anche in questo campo gli ultimi dati disponibili indicano che l’indice dei depositi era salito nel Mezzogiorno a 1036 contro 647 soltanto nel triangolo industriale. Mentre la percentuale dei depositi nel Mezzogiorno sul totale è del 17 per cento, la corrispondente percentuale degli impieghi nel Mezzogiorno è del 19 per cento.

Anche in questo campo, così, assistiamo ad un processo di arresto del processo di pompamento del risparmio meridionale verso il Nord.

Ho voluto citare soltanto queste pochissime cifre, per mostrare come, sui tre punti che rappresentano le ragioni fondamentali dell’inferiorità economica del Mezzogiorno in conseguenza della politica tradizionale del blocco industriale agrario, i governi di coalizione democratica con la loro azione avessero cominciato a risalire la china.

Io concordo pienamente con quanto l’onorevole Lussu scriveva nell’articolo già citato, quando egli affermava che permanevano e permangono ancora delle gravissime cause di inferiorità del Mezzogiorno. Ma è fuori di dubbio che per la prima volta nella storia d’Italia, nel periodo dei governi di coalizione democratica, le classi lavoratrici venute con le loro rappresentanze al potere, avevano cominciato a far risalire al Mezzogiorno la china dell’inferiorità economica.

Non ci può stupire il fatto che, malgrado questo, proprio nel Mezzogiorno si manifestasse del malcontento verso il governo. Un giusto malcontento, perché i miglioramenti relativi si esprimevano in cifre assolute che pur sempre segnavano il generale deperimento dell’economia italiana. Noi sappiamo che nel Mezzogiorno anche una leggera flessione dell’attività economica provoca delle conseguenze malto più gravi che nel resto d’Italia, perché incide direttamente sulle possibilità più elementari di vita. Il malcontento del Mezzogiorno era rivolto ancora, d’altronde e giustamente, contro qualche altra cosa; era rivolto contro la insufficienza della direzione Democratico-cristiana dei Governi di coalizione. Al di sopra delle espressioni di partito, vanno considerati alla stessa stregua, in questo senso, fenomeni diversi, come il malcontento che si esprime nell’Uomo qualunque ed il malcontento che si esprime nei Blocchi del Popolo.

Non è un caso che entrambi i fenomeni siano nati nel Mezzogiorno; tutti e due esprimevano infatti un malcontento che si era manifestato e che perdurava nel Mezzogiorno. Se, infatti, si era incominciato a risalire la china, nessuna riforma strutturale era stata affrontata; e ciò perché si era cozzato con la resistenza pertinace della Democrazia cristiana nel Governo.

In questo senso, già nell’ultimo periodo dei governi di coalizione democratica, il Mezzogiorno si poteva dire che fosse all’opposizione; era all’opposizione con l’Uomo qualunque, era all’opposizione coi Blocchi del Popolo. Ebbene, che cosa ha fatto il nuovo Governo? Quale è stata la sua politica?

Io non considererò, onorevoli colleghi, il problema da un punto di vista di partito, ma dal punto di vista, appunto, degli interessi del Mezzogiorno, presi nel loro complesso.

È facile rilevare, in primo luogo, un grave mutamento nella composizione regionale, diciamo così, dell’attuale Governo. L’ultima crisi ha portato, infatti, all’esclusione di numerosi Ministri meridionali. E non parlo, badate, dei soli Ministri comunisti e socialisti.

C’è, per esempio, il caso dell’onorevole Aldisio. Basta vivere e ascoltare quel che si dice negli ambienti marittimi per sapere – non è vero onorevole Porzio? – che il fatto della sostituzione dell’onorevole Aldisio al Ministero della marina mercantile con l’onorevole Cappa non è senza significato e non resta senza conseguenze. Gli armatori hanno sentito che c’è una certa differenza col passaggio del Ministero della marina mercantile sotto la direzione di un uomo che senza dubbio è legato – non parlo di legami inconfessabili – ma senza dubbio è legato agli armatori genovesi: se ne sono accorti tutti. Se ne sono accorti soprattutto – non è vero onorevole Porzio? – gli armatori e i portuali napoletani, i piccoli armatori siciliani, che han visto i loro interessi sacrificati a quelli dei grandi armatori genovesi.

L’onorevole Segni è l’unico rappresentante dell’Italia Meridionale che sia rimasto in seno al Consiglio dei Ministri. Ora, io non voglio fargli dei complimenti, ma debbo riconoscere che egli è un uomo che indubbiamente ha una sensibilità democratica. Non è sempre colpa sua – o forse lo è anche in parte – se questa sua sensibilità democratica non si può esplicare sempre in un’azione democratica. Il guaio si è che l’onorevole Segni è stato mantenuto al Governo come solo Ministro meridionale in funzione – direi – preservativa. Egli è infatti il rappresentante di un’isola ove il movimento contadino non è ancora largamente sviluppato. Non è perciò sottoposto ad una pressione diretta troppo temibile, e non rischia di far scatti troppo pericolosi.

Ma, relativamente a questa questione dell’esclusione di alcuni Ministri meridionali, vi sono fatti ancor più caratteristici. V’è, ad esempio, l’esclusione dell’onorevole Gullo. Al momento della crisi, era in discussione il problema relativo alla liberazione dei contadini arrestati per le agitazioni agrarie del Mezzogiorno. Bisognava allora che al posto di un rappresentante dei lavoratori dell’agricoltura, dei contadini, fosse messo un rappresentante degli agrari. E l’uomo che è oggi al dicastero della giustizia dà in effetti la garanzia che non vi sarà giustizia per i contadini del Mezzogiorno.

Ancora, notate che nel Gabinetto gli unici Ministri meridionali sono l’onorevole Grassi e l’onorevole Scelba. Anche qui siamo ritornati alla politica classica del blocco industriale agrario. In questa politica i Ministri meridionali devono essere accuratamente esclusi dalle posizioni chiave economiche; devono essere messi nel Governo per fare i poliziotti, per cercare di impiantare in tutta Italia, se ci riescono, i metodi dei «mazzieri» pugliesi e dei «mafiosi» siciliani. Gli onorevoli Scelba e Grassi hanno fatto tutto il possibile per assolvere questo compito. (Applausi a sinistra).

L’onorevole Scelba ha risposto alle agitazioni dei contadini meridionali con delle manovre intimidatorie; con olimpica indifferenza egli ha ascoltato le interrogazioni e le interpellanze che gli sono state rivolte. Egli mi ha ricordato sempre (mi dispiace che non ci sia l’onorevole Giannini che vi potrebbe illuminare in proposito) una vecchia caratteristica figura napoletana: l’amico del marchese di Caccavone, il duca di Maddaloni, che parlando di un Ministro di allora diceva che «il Ministro dell’interno – ha di Dio le qualità. – Egli è provvido, egli è eterno – e sa solo quel che fa».

Ma c’era ancora qualche cosa di più: per stabilire e consolidare al Governo il blocco industriale agrario, non era necessario soltanto mettere nelle posizioni-chiave uomini – non voglio fare dello scandalismo, ma farò un’analisi politica – come l’onorevole Pella e l’onorevole Cappa ed altri, i quali rappresentano determinate sfere di interessi, che non sono certo quelli del Mezzogiorno e non sono certo nemmeno quelli delle masse popolari del Nord.

Non bastava questo. L’amico Merzagora si è lamentato con me, perché una volta un manifesto, un giornale comunista, aveva scritto che la sua signora era figlia dell’armatore Cosulich…

MERZAGORA, Ministro del commercio con l’estero. Mi avete dato due mogli! (Ilarità – Commenti al centro).

SERENI. Voglio dare pubblicamente atto al dottor Merzagora che questo è stato dovuto ad un errore. Del resto, gli armatori sono già sufficientemente rappresentati al Governo dall’onorevole Cappa, e non vi sarebbe stato nessun bisogno di ulteriori rappresentanze; non abbiamo perciò nessuna intenzione di costringerti a sposare la figlia di Cosulich.

Però, sebbene io sia un tipo portato per temperamento a credere sempre alla buona fede degli avversari, un tipo piuttosto ingenuo (Commenti al centro), non arrivo nella mia ingenuità a pensare che il dottor Merzagora sia stato chiamato a far parte di questo Governo proprio nella sua qualità di nostro vecchio collaboratore nel Comitato di liberazione alta Italia. Nel Governo vi era già il Presidente di quel Comitato, l’onorevole Morandi, e non vi era quindi nessun bisogno del dottor Merzagora. Io credo, piuttosto – me lo suggerisce la mia ingenuità – che egli sia stato chiamato al di fuori di ogni considerazione personale, perché era dirigente di una delle maggiori industrie, di uno dei maggiori gruppi monopolistici italiani. È questo, a parte ogni valutazione personale, risponde ad un determinato piano che l’onorevole De Gasperi, per la prima volta, bisogna dire, aveva sviluppato in un senso veramente conseguente; forse perché questa volta la composizione del Governo poteva realizzarsi su linee che rispondevano più ai suoi sentimenti.

L’entusiasmo col quale il nuovo Governo è stato accolto nel Mezzogiorno da tutti i borsaneristi, dagli speculatori e, in particolar modo, da tutti gli agrari, ha dato luogo a scene di vero tripudio. La libertà che questi egregi signori erano così fieri di aver riconquistato col nuovo Governo è la libertà alla quale inneggia, nella «Tempesta» di Shakespeare, Calibano ubriaco. Ricordate? Sciolto ormai da ogni vincolismo, direbbe un liberale, in quella famosa scena Calibano si scatena in una danza frenetica, balbettando nell’ebbrezza:

‘Ban,’Ban! – Ca – Caliban!

Get a new master – Get a new man!

«Un nuovo padrone! Un uomo nuovo!» Quello che faceva la parte del nuovo padrone di Calibano, la parte del marinaio Stefano, in questo caso sarebbe stato l’onorevole De Gasperi.

Era una scena veramente commovente, ma bisogna dire che adesso questi entusiasmi si sono un po’ calmati, perché persino quei signori si sono accorti che il nuovo padrone crea grossi rischi.

Questa composizione di un Governo, caratteristica del blocco industriale-agrario, in cui tutte le posizioni chiave sono affidate ai rappresentanti degli industriali del Nord, mentre i rappresentanti del Mezzogiorno sono confinati nella posizione di poliziotti, non sarebbe stata completa se l’onorevole De Gasperi non avesse trovato un’altra maniera di offendere il Mezzogiorno e di offendere la democrazia.

Badate, io non voglio giudicare il Ministro Corbellini, che non conosco personalmente. Non ho niente contro di lui e voglio ammettere senz’altro che sia uno dei migliori competenti tecnici. Voglio dire: che cosa significa questa operazione politica che l’onorevole De Gasperi ha fatto servendosi dell’onorevole Corbellini? Ognuno di noi, nel Ministero che ha diretto, ha utilizzato uomini con precedenti…

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Ma non avevo nessuna carica politica, nessuna! È tutto falso! Dimostrate che io ero sempre della milizia! È tutto falso! Dimostrate! Altrimenti potrei darvi querela per diffamazione! Avanti, dimostrate! (Commenti – Scambio di apostrofi fra il centro e la sinistra).

SERENI. Se l’ingegnere Corbellini smentisce questo, glie ne do atto; ma, l’onorevole De Gasperi – quando l’onorevole Togliatti parlò dei precedenti dell’ingegnere Corbellini – l’onorevole De Gasperi non fece nessuna smentita di questo genere.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Ma nessuno aveva detto che ero ufficiale della milizia. (Interruzioni – Scambio di apostrofi fra il centro e la sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi di tutti i settori, permettano che continui la discussione.

SERENI. Onorevoli colleghi, mi pare di avere premesso e lo ripeto anche adesso, che in quello che io dico c’è lo scopo (non ho nessuna intenzione di insultare alcuno), c’è semplicemente lo scopo di fare un’analisi politica. Se quanto ha detto l’ingegnere Corbellini risponde a verità, io avrei voluto che l’onorevole Presidente del Consiglio l’altra volta lo avesse smentito, ma a dire il vero non venne nessuna smentita, il che può dunque far credere ad una conferma. Ma si tratta di tutt’altro. Quel che qui m’interessa è rilevare obiettivamente il senso dell’operazione condotta a termine dall’onorevole De Gasperi. Da molti mesi al Ministero lavorava in qualità di Sottosegretario una persona evidentemente idonea, l’onorevole Jervolino; ma l’onorevole Jervolino era soltanto napoletano, mentre qui si trattava di compiere un’altra operazione politica attraverso una nomina che doveva rappresentare un legame di questo Governo del blocco industriale agrario con quell’apparato dell’alta burocrazia fascista, la quale ha una lunga esperienza nel maneggio degli interessi del blocco stesso.

Certo, qualche volta questo maneggio si poteva svolgere sotto il fascismo in forme più drastiche; gli operai non avevano allora conquistato la cattiva abitudine di scioperare per difendere i propri diritti. La realtà è che noi assistiamo, ad opera di questo Governo, ad un rapido processo di rifascistizzazione negli alti gradi. Dobbiamo constatare che l’onorevole De Gasperi preferisce vedere, alla testa di importanti amministrazioni, uomini che hanno l’esperienza fascista, piuttosto che altri, che abbiano l’esperienza caratteristica degli uomini politici democratici.

Guardiamo agli effetti di questa politica. Non farò che una rapida scorsa. Anche qui io non parlo di intenzioni o di cattive intenzioni. Si tratta di risultati che derivano dalla struttura stessa del Governo. Ricordano l’amico Cacciatore, l’amico Gullo, l’amico Segni che quando in Consiglio dei Ministri si parlò di regime per il burro e di regime per l’olio, i Ministri meridionali dicevano: Si fa questo per il burro, ma che cosa accade per l’olio del Mezzogiorno? Non abbiamo mai trovato, bisogna riconoscerlo, una ostilità preconcetta nei colleghi settentrionali; e vi era allora, in Consiglio dei Ministri, qualcuno che portava la voce del Sud. Non è d’altronde per un caso, e non è nemmeno per merito personale che il compagno Cacciatore, il compagno Gullo, che chi vi parla eravamo stati messi dai nostri partiti nel Governo; bensì perché i partiti dei lavoratori, in questo periodo storico, hanno compreso che la soluzione della questione meridionale, della rappresentanza degli interessi meridionali è un elemento essenziale della ricostruzione…

Una voce al centro. Perché non se ne è ricordato lei quando era ai lavori pubblici?

SERENI. Ne parlerò subito. L’onorevole Morandi è stato l’organizzatore della Società per lo sviluppo del Mezzogiorno. (Interruzione al centro).

Uno degli atti più importanti del terzo Gabinetto De Gasperi, era stata la costituzione di una sezione meridionale del Comitato italiano della ricostruzione. Questa sezione meridionale aveva portato a conclusione nel breve periodo della sua attività, tre importanti decreti: il decreto per l’irrigazione delle Puglie, il decreto per l’Ente della Sila e quello per l’Ente elettrico siciliano. Ma ahimè! Col nuovo Governo, nella sua atmosfera nordista, il C.I.R. meridionale pare sia morto di inedia, perché nessuno se ne è più occupato.

Aumento del prezzo del pane. Anche qui ci troviamo di fronte ad un provvedimento che colpisce in modo particolare differenziato masse lavoratrici e disoccupati del Mezzogiorno che non hanno possibilità di rifarsi attraverso quelle forme che qualche volta, sia pure in parte, servono per i lavoratori industriali del Nord.

E vengo ai lavori pubblici. Nella mia attività di Governo – e l’ho detto pubblicamente e qui – mi sono trovato di fronte a questa situazione: che tutta la legislazione italiana del dopo-guerra era necessariamente impostata sulle riparazioni ai danni di guerra.

La grande maggioranza dei fondi stanziati per il Ministero dei lavori pubblici era attribuita ai danni di guerra. Ora, io ho rilevato – in pubblici Congressi e in riunioni al Consiglio superiore dei lavori pubblici ed al Consiglio dei Ministri – che era necessario un nuovo orientamento, e che quella inferiorità storica in cui il Mezzogiorno era stato mantenuto doveva essere alleviata, sia pure tenendo conto delle necessità dovute ai danni di guerra.

C’era una unica fonte, attraverso la quale potevano darsi stanziamenti per i lavori pubblici del Mezzogiorno: i fondi per la disoccupazione. Con la migliore volontà, qualsiasi Ministro era nell’impossibilità di assegnare stanziamenti a quelle città che non avessero il 40 per cento di danni. Il problema avrebbe dovuto essere discusso in Consiglio dei Ministri in sede di discussione del nuovo bilancio.

Non voglio prendere la difesa dei lavori della disoccupazione come tali. Credo di essere riuscito, dopo l’amico Romita, a liquidare quei famosi lavori a regìa di Roma; credo di avere fatto uno sforzo non piccolo, perché c’erano 60 mila disoccupati a Roma. Siamo riusciti a eliminare questo grave danno per la vita politica romana e per la vita finanziaria dello Stato. Ma, col nuovo governo, gli stanziamenti per la disoccupazione sono stati addirittura aboliti. Non so come il collega onorevole Tupini se la caverà per venire incontro ai bisogni del Mezzogiorno. Occorre sanare questa situazione: dobbiamo avere delle leggi che permettano di dare nel nuovo bilancio stanziamenti per la ricostruzione meridionale. A questo proposito non posso non rilevare che mentre in questo campo si è provveduto con un rigore veramente drastico all’arresto del torchio, non si è provveduto nello stesso modo a proposito del fatto scandaloso della revisione dei prezzi.

L’onorevole Campilli, che avrà i suoi difetti come ciascuno di noi, da buon romanaccio aveva tuttavia una certa sensibilità per i problemi del Mezzogiorno. D’accordo con lui mi rifiutai – e lo dissi pubblicamente e in Consiglio dei Ministri – di firmare certe proposte preparate dal Ministero nei confronti della revisione dei prezzi. Come ha fatto l’onorevole Romita, io ero intervenuto con numerose circolari a dichiarare che nessuna revisione dei prezzi dovesse essere pagata agli imprenditori finché non si fosse constatato che erano effettivamente pagati gli aumenti di salari. Non si tratta, onorevole Tupini, di quel che ella ha fatto scrivere sul Popolo. Nessuno ha mai negato che la revisione dei prezzi è necessaria; ma si tratta di stabilire che la revisione dei prezzi viene operata soltanto se vengono pagati gli aumenti di salari. Quando ebbi l’onore di accompagnare il Presidente della Repubblica a Cassino, potemmo constatare – ed io l’ho constatato anche in molti altri luoghi – che gli operai non ricevevano che un salario di misere 150 lire, mentre si pagava la revisione dei prezzi agli appaltatori sulla base di un salario di 400 lire giornaliere. Questo scandalo, al quale Romita prima, e poi io, credo con maggior decisione, abbiamo cercato di porre un termine, è stato ristabilito con un sol tratto di penna dall’onorevole Tupini. Noi denunciamo questo Governo come un governo che sa bene stringere i freni e fermare il torchio, quando si tratta di andare contro gli interessi dei lavoratori e contro quelli del Mezzogiorno in modo particolare, ma che li apre e li mette in moto a gran velocità quando si tratta di andare a favore di gruppi di grandi speculatori ed appaltatori.

Non parlo poi dell’imposta patrimoniale e degli effetti che essa ha sul Mezzogiorno, così come è stata approvata, vale a dire rifiutando la proposta dell’abolizione del segreto bancario. Questo significa che l’imposta patrimoniale verrà pagata soprattutto dalla proprietà terriera ed in particolar modo dal Mezzogiorno in cui essa è la forma dominante di proprietà. (Interruzioni al centro).

Una voce al centro. Perché, nelle altre parti d’Italia non c’è proprietà terriera?

SERENI. Se voi conosceste almeno elementarmente la struttura economica dell’Italia, sapreste che la percentuale della ricchezza terriera sulla ricchezza complessiva è nel Mezzogiorno assai più alta che nel Nord. Fareste bene ad andare a scuola. (Proteste al centro).

Voglio accennare poi al problema della valuta libera. Anche questi provvedimenti colpiscono in modo gravissimo non solo i lavoratori, ma il Mezzogiorno preso nel suo complesso. Ognuno di voi sa che la bilancia commerciale del Mezzogiorno con l’estero è una bilancia passiva. Questo vuol dire che quando i setaioli e i lanieri di Milano, di Biella e del Veneto esportano i propri prodotti, nella misura in cui almeno una parte del ricavato valutario va ad un fondo comune, le esigenze valutarie del Mezzogiorno possono essere sodisfatte; se invece, come ora, si lascia in misura molto maggiore la libera disponibilità della valuta agli esportatori industriali del Nord, il Mezzogiorno non avrà la valuta necessaria per sodisfare le più elementari esigenze valutarie delle sue importazioni industriali e agricole.

Non parlo poi di altre misure che colpiscono soprattutto il Mezzogiorno. Vedi, ad esempio, il fatto dei ridotti stanziamenti per le bonifiche. Faccio rilevare che come Ministro dei lavori pubblici, pur avendo interesse a tutelare le disponibilità del Dicastero che dirigevo, non esitai, in Consiglio dei Ministri ed in pubbliche riunioni, a dichiarare che ero pienamente d’accordo nell’aumentare il bilancio del Ministero dell’agricoltura a spese del bilancio dei lavori pubblici, perché si tratta di un’opera altamente produttiva che va a particolare profitto delle regioni meridionali. Anche qui si sono fatti decisi passi indietro anziché avanti. Non parlo poi di quello che avviene nelle aziende meridionali dell’I.R.I., a proposito della cui tragica situazione abbiamo chiesto un colloquio al Ministro del tesoro.

Questo è il frutto della politica di questo governo nel Mezzogiorno; frutto non di errori tecnici ma di una determinata struttura del governo dal punto di vista sociale e di classe e dal punto di vista regionale. Frutto di un governo che cerca di ristabilire al potere il blocco industriale-agrario che il popolo italiano ha cacciato via dal potere con la fine del fascismo. È un governo che, obiettivamente considerato, al di fuori di ogni buona o cattiva intenzione di chi lo compone, ha la sua punta rivolta soprattutto contro il Mezzogiorno. E questa caratteristica antimeridionale dei governi del blocco industriale agrario la rilevava non solo il comunista Gramsci, o l’azionista Guido Dorso, la rilevava anche Don Sturzo.

Per questo, onorevoli colleghi, noi pensiamo che il voto dei deputati meridionali, a qualunque partito essi appartengono, debba essere un voto di opposizione al Governo. Sappiamo che non da parte di tutti i deputati meridionali lo sarà, ma sappiamo che l’opposizione è per il Mezzogiorno oggi una necessità di vita che va al di sopra delle ideologie dei partiti.

Il Mezzogiorno è stato sempre, da quando esiste l’unità italiana, all’opposizione. Era all’opposizione quando votava per la sinistra storica; era all’opposizione anche quando la sinistra storica andò al potere; era all’opposizione quando gli «ascari» votavano in un determinato senso nel Parlamento italiano, ma quando già in forma primitiva i contadini del Mezzogiorno, gli abitanti dei centri popolosi, i braccianti, assaltavano i casotti del dazio. Una forma primitiva, spontanea, elementare, distruttiva di opposizione, allora. Era all’opposizione, il Mezzogiorno, sotto i governi di coalizione democratica perché l’opposizione del Mezzogiorno, anche con un Governo di coalizione democratica, è una necessità di vita. Era all’opposizione con l’uomo qualunque, era all’opposizione con i blocchi del popolo…

Ma, storicamente questa opposizione del Mezzogiorno è stata spesso sterile perché era un’opposizione che non si inquadrava su un piano nazionale. Oggi l’opposizione del Mezzogiorno non è più isolata ma si inserisce in un quadro assai più largo e nazionale. È l’opposizione che si inserisce nel quadro della lotta che le masse democratiche del Nord e del centro Italia, gli operai, gli intellettuali, la piccola borghesia, conducono oggi contro questo Governo. È una lotta che potrà avere qui, immediatamente, sul terreno parlamentare, questo o quell’esito. Noi guardiamo con grande interesse a questa lotta del Parlamento, ma sappiamo che questa non sarà ancora l’ultima parola; vi saranno altre lotte in Parlamento e nel Paese, alle prossime elezioni.

Il nostro sforzo sarà diretto a portare, al di sopra delle posizioni di partito, per gli interessi del Mezzogiorno, in una forma sempre più coerente, più chiara, più organizzata, sul piano democratico, il Mezzogiorno all’opposizione. (Applausi a sinistra – Congratulazioni).

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Piccioni. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Onorevoli colleghi, io vorrei provarmi a ricondurre la discussione, così grave e così impegnativa, ai suoi termini essenziali. Dopo alcuni giorni di larga, diffusa discussione, che ha spaziato un po’ in tutti i campi della politica, dell’economia, della finanza, della storia, della sociologia, direi perfino della filosofia, dopo questo largo, abbondante discettare, mi pare che sia doveroso da parte nostra rintracciare i termini sostanziali del dibattito. Non già che io non sia sensibile a questo sforzo che viene fatto dalle tempre politiche più preparate di allargare i dibattiti secondo visioni e prospettive storicamente più elevate e più vaste. Ma io ritengo che quando il Paese è impegnato, come è impegnato oggi, in una dura lotta per la difesa della sua esistenza, i problemi vanno visti e ricondotti alla loro nuda e cruda essenza. In altra sede si può dare sfogo con diletto reciproco alle varie elucubrazioni storiche, filosofiche o sociologiche, ma in questa sede prettamente politica, dove ciascuno di noi ha una sua specifica, personale responsabilità, bisogna delineare nella maniera più netta, più semplice e comprensibile, i problemi politici nazionali.

Detto ciò io vorrei ricordare l’origine di questo Governo e delle critiche che si muovono alla sua azione, perché mi pare che sia stato un punto non sufficientemente messo in evidenza. È vero che costituì l’oggetto della larga discussione di tre mesi or sono, ma bisogna per un giudizio complessivo sull’attività varia del Governo, non perdere di vista questo determinato punto di partenza per dedurne le rispettive responsabilità.

Ora, onorevoli colleghi, questa formula di Governo è nata dal fallimento di un anno di esperienza di Governo tripartito. Fallimento dovuto a che cosa? Dovuto probabilmente alla incapacità funzionale ed organica di quella determinata formula tripartitica. È comodo dire oggi, come già fu detto allora, che il fallimento fu dovuto all’insufficienza della direzione di Governo, quando la direzione di Governo, in una combinazione di quel determinato genere, era necessariamente, direi fisiologicamente, condizionata alla stessa costituzione tripartitica del Governo. Il risultato maggiore dell’esperimento tripartitico fu, nella più benevola delle conclusioni, una forma di paralisi dell’attività di Governo che andava via via crescendo. Fu la ripercussione nell’ambiente del Paese, nella valutazione generale dell’opinione pubblica di questa paralisi, di questa insufficienza ed inefficienza del principio di unità e di forza di un Governo così fatto. Ed allora, poiché non si deve credere, onorevoli colleghi, che la Democrazia cristiana sia veramente un partito così famelico di potere come da alcuni si è inteso, la Democrazia cristiana stessa propose di adottare una formula di Governo diversa, fino al punto da rinunciare preventivamente alla direzione di un Governo diversamente costituito.

E si affacciò, come voi sapete, la formula di un Governo a larga base, di concentrazione nazionale. Ma questa formula raccolse l’ironia, se non il dileggio, di un esponente di una parte politica del Parlamento, dell’onorevole Nenni. Ricordo un suo primo discorso a Venezia all’indomani di una tale formale proposta; discorso nel quale egli ironizzava e dileggiava un tentativo di questo genere, dicendo che il tipo preferibile nell’interesse del Paese era quello della forma tripartitica o qualche cosa di simile.

E se il tentativo, quel tentativo non riuscì, nessuno ha potuto seriamente addebitare ciò a manovre, a insidie, a opposizioni diverse della Democrazia cristiana. Fallito quello, che cosa rimaneva? Tornare al tripartito, no. La Democrazia cristiana, su questo punto, fu esplicita e impegnativa: no, per il modo come il tripartito aveva funzionato, per gli effetti negativi che ne erano derivati, per impedire che, attraverso il tripartito, si consolidasse in Italia il predominio di una determinata corrente politica di minoranza.

E allora si ripiegò su una formula diversa, su una concentrazione diversa, la quale fallì non per difetto, al solito, della Democrazia cristiana, ma per una certa strana, insistente discordia di quella che allora fu detta spiritosamente la piccola intesa delle forze democratiche del centro sinistra. Questi sono elementi di fatto storicamente oggettivi e precisi, ai quali non si può, a mio avviso, opporre contestazione.

E allora la Democrazia cristiana – piaccia o non piaccia, dolenti o nolenti – siccome rappresenta qui, rappresenta nel Paese, il blocco più forte di energie politiche, rappresentative di larghissime zone dell’opinione pubblica, sentì, al di sopra e contro quella vaga debolezza costituzionale che da più parti veniva abbondantemente rimproverata alla Democrazia cristiana e sulla quale si speculava anche notevolmente nella funzionalità e nello sviluppo del tripartitismo, sentì che era venuto il momento di affrontare in pieno questo suo impegno, il quale derivava da un mandato esplicito e preciso che larghe correnti dell’opinione pubblica avevano ad essa affidato. (Interruzione dell’onorevole Lussu).

Non si tratta di orgoglio smodato dell’onorevole De Gasperi, a cui si rimproverano non so quali propositi reconditi di ambizioni sfrenate, personali, in contrasto anche con quello che sarebbe il sentimento unanime, generale del suo partito, che riconosce sempre in lui il massimo esponente, che del partito ha assunto, nelle ore più decisive di questa nuova storia democratica, le maggiori responsabilità (Applausi al centro), in perfetta consonanza con lo spirito, il sentimento e la volontà delle masse democristiane. Si è pensato a non so quale smodato orgoglio o ambizione della Democrazia cristiana.

Ma voi, onorevoli colleghi, potete stimarci così poco, giudicarci così infantili, o ciechi, da ritenere che in una situazione politica, economica, sociale, alimentare, come quella in cui si dibatte l’Italia, sia nostra brama quella di assumere, di assommare in noi soli le massime responsabilità della azione del Governo?

E pure noi avemmo il coraggio di assumerle, e di assumerle attraverso una formula i cui termini devono essere ribaditi oggi, per evitare che si equivochi su di essa e presso qualsiasi settore della Camera. La formula fu questa: la Democrazia cristiana, per la sua forza parlamentare e nel Paese, assume essa in pieno la direzione di tutta la politica del Governo. Chiede che cosa? Il contributo, l’apporto di elementi tecnici, anche appartenenti ad altri partiti. Implicando con ciò che cosa? La solidarietà politica dei partiti, ai quali gli elementi tecnici eventualmente collaboranti con la Democrazia cristiana appartenessero? No! Questo è stato detto e ridetto nelle prime comunicazioni e nelle ultime dichiarazioni del Presidente del Consiglio. Era un apporto di elementi tecnici dal punto di vista della collaborazione attiva, effettiva all’assieme del Governo. La responsabilità politica, la fiducia dei Gruppi eventuali a cui essi appartenevano sarebbe stata o un segno di preventiva fiducia, di preventiva stima nell’azione di un Governo siffatto, o il risultato di quello che sarebbe stato il giudizio sull’azione del Governo medesimo. E non ci furono trattative di programmi di nessun genere, con nessun Gruppo, neanche con quelli dei quali qualche membro partecipa al Governo. Non ci fu un impegno di concedere, di voler concedere, o di dare qualche cosa, nel programma o nell’azione, ad una formazione o ad un’altra che fosse disposta ad appoggiare il Governo; ci fu l’assunzione piena, aperta della responsabilità politica del Governo da parte della Democrazia cristiana. Questa responsabilità politica, oggi che ci avete chiamati a rendere conto, la manteniamo e l’assumiamo in pieno, senza condividerla con nessun altro Gruppo politico, di nessun colore o tendenza. (Applausi al centro).

Onorevoli colleghi, per il giudizio che vi accingete a dare sull’azione del Governo, io ricorderò che vi sono stati 79 giorni di azione di Governo effettiva. Il voto di fiducia a questo Governo fu dato il 21 giugno; il 9 settembre è stata presentata la mozione di sfiducia, con la richiesta di immediata discussione. Facendo i conti, si riduce – l’azione di Governo – a 78-79 giorni, intervallati da che cosa? Almeno dal Ferragosto, se mi consentite; intervallati da un’altra situazione politica particolare, dalla discussione cioè sulla politica estera e sulla ratifica del Trattato, la quale discussione tenne il Governo per 10-12 giorni in condizioni di non sapere se era al di qua o al di là, cioè tra la vita e la morte, come volgarmente si dice. E in quella discussione, se voi ben ricordate, la caratteristica bene individuata della responsabilità della Democrazia cristiana apparve in tutta la sua luce ed in tutta la sua pienezza. Ci fu un Gruppo, il Gruppo liberale, che ha dato al Governo apporti di alto valore tecnico – il quale Gruppo liberale si è orientato, indipendentemente da qualsiasi accordo preventivo, cioè in modo libero e autonomo anche nella impostazione della discussione odierna – che fu di parer contrario a quello del Governo.

Ci fu il Gruppo qualunquista che fu anch’esso di parere contrario. Ci furono Gruppi di opposizione che si comportarono ben diversamente. Questa è la riprova evidente che nessun impegno di solidarietà politica formale esisteva ed esiste alla base della costituzione del Governo. Ora – è un’osservazione banale; ma forse fra tante osservazioni di alta elucubrazione scientifica o pseudoscientifìca qualche osservazione banale pure ci vuole – consentitemi questo rilievo: volere formulare un giudizio definitivo attraverso tali vicende, attraverso questo periodo di tempo di 70-80 giorni di attività svolta nel modo che tutti sanno, onorevoli colleghi, permettete che io dica, mi sembra un po’ eccessivo e un po’ presuntuoso, tanto più in quanto l’attacco sostanziale viene mosso sul terreno economico finanziario.

Anche quelli che non sono ben addentro a questi intricati e difficili problemi, sentono che il problema economico finanziario ha bisogno di un certo periodo di tempo perché la direttiva si precisi, perché la manovra funzioni e dia risultati. Mi pare indispensabile da parte specialmente di chi prevede, come direttiva da imprimere alla situazione economica finanziaria, un impulso addirittura a largo respiro, uno sforzo programmatico in senso prospettico e a lunga portata, addirittura un piano. Ed infatti l’onorevole Nenni stesso, che ha presentato la mozione di sfiducia incentrandola essenzialmente su questo terreno, per non distaccarsi troppo da quello che deve essere il contatto con la realtà di qualsiasi uomo politico, specialmente se responsabile verso partiti di masse, premette a tutta la sua critica un’osservazione di carattere generale che è addirittura svalutatrice della sua impostazione. Riconosce che sussiste «una situazione di fatto allarmante la quale non dipende dal colore di Governo. Questa situazione ereditata dal fascismo, difficilmente modificabile da qualsiasi Governo, deve essere sottolineata», ecc. (Commenti a sinistra).

Questa la constatazione di fatto, questo il rilievo di una situazione che trascende qualsiasi possibilità e qualsiasi impegno decisamente risolutivo di un Governo monocolore o multicolore. L’esperimento lo avete fatto voi stessi stando per così lungo tempo al Governo senza aver contribuito a modificare sostanzialmente quell’allarmante situazione di fatto. E poiché pensate che se dovesse verificarsi un vostro ritorno di qualsiasi genere al Governo, la situazione di fatto si imporrebbe anche a voi, o a chi per voi, giustamente mettete le mani avanti per dire che quella situazione è qualche cosa che supera le capacità e le buone intenzioni di chicchessia. Ora, di questo elemento voi dovete dar atto anche all’azione di un Governo che si è mosso come si è mosso, ed in questo breve periodo di tempo in cui ha potuto lavorare. Non dovete rimproverare, come avete fatto, onorevole Nenni, che gli impegni assunti dal Presidente del Consiglio nelle sue comunicazioni non siano stati tutti mantenuti. Gli impegni sono stati mantenuti nella misura che le condizioni di una determinata situazione hanno consentito, così come quando eravate voi al Ministero, ciascuno nel proprio dicastero si poneva dei compiti e suggeriva delle soluzioni a questo o quel problema a ciascun dicastero pertinente, senza riuscire in definitiva a fare quello che ciascuno di voi avrebbe voluto fare. Io non voglio discutere partitamente i vari problemi di carattere economico-finanziario, anche perché abuserei in un certo modo della mia particolare situazione politica. Ne hanno parlato alcuni membri del Governo, altri ne parleranno. Io ripeterei male quello che essi hanno detto e non aggiungerei nulla di maggior peso politico a quello che i Ministri stessi hanno detto o diranno.

Dirò soltanto all’onorevole Togliatti che la sua impostazione di sfiducia è stata più specificatamente politica, condotta secondo una determinata valutazione della politica interna di questo Governo, ma anche a lui ricorderò, se me lo consente, cosa che d’altronde ha fatto da sé, che i fatti da lui lamentati erano in fondo la sostanza di una interpellanza presentata prima che l’Assemblea Costituente si mettesse in vacanza. Erano quindi fatti di un determinato momento politico ed avevano una particolare rilevanza tale, da suggerire la formulazione di una interpellanza, non di più. Egli ha detto: Siccome ora c’è la mozione di sfiducia di Nenni, perché non si elevi una suspicione contro di me, io ho trasformato l’interpellanza stessa in una mozione di sfiducia. Questo stesso fatto riduce l’importanza delle cose denunciate. E difatti io non vorrei far torto all’intelligenza politica dell’onorevole Togliatti, supponendo che egli ritenga veramente che i provvedimenti sui manifesti, i provvedimenti sui comizi di fabbrica, i provvedimenti su alcune amministrazioni comunali deroganti dalla legge, siano nel loro complesso indice di una politica interna limitatrice delle libertà democratiche e tale quindi da richiedere addirittura il rovesciamento di un Governo che si permette delle cose di questo genere.

L’onorevole Togliatti, che ha anche lui il senso dello Stato, ha ricordato che il Governo è fatto per governare e deve governare; e governare non significa soltanto favorire quelli della propria parte. Noi veramente non ci stiamo accorgendo di cosa di questo genere. Non so se esponenti di altri partiti abbiano in precedenza seguito un metodo e risultati di tale natura. (Approvazioni al centro – Commenti).

Ora, governare significa in termini usuali, evidentemente, niente altro che imporre il rispetto della legge e mantenere alto il prestigio del Governo. Io non so quale pratica di Governo possa essere quella che richieda in chi deve governare una salda autorità di Governo ed esponga nel medesimo momento chi governa per diritto democratico al dileggio o al vilipendio propagandato e organizzato. (Applausi al centro).

Io non so se il governare, in regime democratico, debba significare altro che non questo: mantenere il prestigio della legge, l’autorità del Governo, la garanzia delle libertà di tutti, il rispetto delle minoranze soprattutto. Ora, nei provvedimenti che si rimproverano all’onorevole Scelba, questo significato politico è presente in ciascuno di essi, cioè vi si salvaguarda il prestigio del Governo, si garantiscono le libertà di tutti e non si limitano o si comprimono a favore di una parte qualsiasi. (Applausi al centro – Proteste a sinistra).

PASTORE GIULIO. I sindaci comunisti cosa fanno dei nostri manifesti?

PICCIONI. Voi che vivete la vita politica quotidiana del nostro Paese in tutte le latitudini d’Italia, vi siete veramente accorti, avete veramente sentito ed osservato che per l’intervento del Governo ci sia una così profonda limitazione delle libertà elementari democratiche di propaganda e di agitazione, fino al punto…

PAJETTA GIULIANO. Sono le masse che ve lo hanno impedito e ve lo impediscono. (Vivi commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Pajetta, non interrompa!

PICCIONI. …fino al punto da richiedere, per la salvezza del Paese, il rovesciamento di un Governo?

Ma se le agitazioni sono innumerevoli e si manifestano e ripetono quotidianamente e dappertutto, le agitazioni di ogni tipo, di tipo sindacale, di tipo misto sindacale-politico, e di tipo unicolore politico vero e proprio, con un’abbondanza veramente unica e con una illimitata libertà di movimento e di circolazione di tutte le forze organizzate in tutti i settori e in tutti i sensi tale da far veramente dire a chiunque che in Italia una così larga ed illimitata libertà, sotto tutte le sue forme, non c’è mai stata neppure nel periodo precedente al fascismo!

A proposito di queste agitazioni, poiché si è voluto anche bollare questo Governo come un Governo reazionario, come un Governo di destra capitalista, all’ombra del quale non so quali loschi interessi si nascondono per sopraffare gli altri legittimi interessi della collettività (Rumori a sinistra), vi dirò quel che ha già detto il mio partito ufficialmente, cioè che certamente il contributo dato con il moltiplicarsi delle agitazioni e degli scioperi al superamento di quelle che sono le profonde necessità economiche e finanziarie del nostro Paese, è stato un contributo assolutamente negativo. Basti ricordare un solo elementare episodio al quale accennava ieri il Ministro delle finanze: l’azione penosa, l’azione di critica eccessiva, per non dir peggio, verso l’imposta straordinaria sul patrimonio, e più specificamente verso la proporzionale 4 per cento, fino al punto da consigliare e suggerire in qualche modo un’evasione forzata a quelli che sono gli obblighi che l’imposta comporta, fino al punto da porre insieme in qualche plaga – seguendo uno schema, una tecnica organizzativa, di cui mi occuperò più tardi rispondendo all’onorevole Lussu – non so quali comitati di difesa della piccola e media proprietà, come se la piccola e la media proprietà in una situazione come l’attuale (vedete come cerco di essere il meno possibile intriso di spirito demagogico od animato da fini elettoralistici) dovesse essere esonerata da quello che è il contributo che da tutte le fonti di reddito deve venire per dare la solidità e la salute finanziaria allo Stato. Questo, per quanto si riferisce alle agitazioni.

Ma vi è la taccia di Governo di destra, di Governo reazionario, di Governo nero, ed altre denominazioni che si adoperano secondo il momento e l’opportunità. Orbene io dirò che tutte le agitazioni di carattere genuinamente sindacale, concreto, positivo, di rivendicazione ragionevole di diritti legittimi delle classi lavoratrici, hanno trovato consenziente non solo la democrazia cristiana, la corrente sindacale cristiana, ma l’azione del Governo; io dirò che le vicende agitatorie di maggior rilievo hanno trovato la loro soluzione, il loro sbocco attraverso l’intervento deciso, attivo e fattivo del Governo reazionario. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

E aggiungerò che se ad un certo momento non ci fosse stato l’intervento autorevole del Governo…

Una voce a sinistra. Ad un certo momento!

PICCIONI. Naturalmente, non ci poteva essere prima dell’inizio delle agitazioni! (Ilarità al centro).

Se non ci fosse stato l’intervento autorevole del Governo, io non so, onorevoli colleghi, quale sarebbe stata la conclusione effettiva di queste agitazioni e di questi scioperi; io non so, se un Governo veramente reazionario non avesse avuto interesse a non intromettersi in cose di questo genere, e lasciare che il conflitto economico e sociale diventasse conflitto vero e proprio politico nell’interno del Paese. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

Questo il Governo l’ha fatto perché non è un Governo reazionario, perché è un Governo democristiano. E lasciate che vi dica una volta per tutte: la Democrazia cristiana (state tranquilli tutti, colleghi) non rinuncerà, in nessun modo, in nessuna forma, in nessuna misura, in nessuna occasione a quella che è la sua profonda caratteristica democratico-sociale. (Applausi al centro).

Noi sentiamo come vitale, per il partito nostro e per la nostra patria, questa ispirazione cristiana, che anima le nostre fatiche e la nostra attività. E in questa ispirazione cristiana (Interruzioni a sinistra. Proteste al centro) noi democratici cristiani sentiamo di avere questo caratteristico compito: di mettere in rilievo la profonda, intensa socialità dello spirito del Cristianesimo, operante nella vita collettiva. Noi tradiremmo la nostra fisionomia sociale e politica, tradiremmo la nostra coscienza di democratici cristiani che si è venuta formando ed elaborando non così improvvisamente, repentinamente come qualcuno mostra di credere, ma attraverso lunga meditazione, lunghi studi, lunghe riflessioni e lotte, noi tradiremmo questa nostra missione, questo nostro compito specifico se, per qualsiasi sfruttamento politico particolare, non tenessimo sempre presente questa profonda esigenza di giustizia sociale. (Applausi al centro). Ma poi siamo anche comprensivi dello spirito animatore della evoluzione storica fino al punto da avvertire bene nei movimenti profondi della storia anche questa corrente inarrestabile di rinnovamento sociale. Noi non siamo agganciati a posizioni economiche o di privilegio di nessun genere, noi sentiamo che la marcia dell’umanità si deve svolgere, non può non svolgersi, se non verso un avvenire migliore di giustizia sociale nel senso pieno, nel senso integrale. (Approvazioni). E noi poi, se consentite, sappiamo anche un’altra cosa che è stata ricordata anche l’altro ieri: non vogliamo inorgoglirci anche perché non lo sapremmo proprio. Vedete, ci credono sempre superbi ed invece dobbiamo fare sempre delle esercitazioni di modestia; noi ricordiamo gli otto milioni di voti riportati il 2 giugno soltanto a questo titolo: per dire che in quegli otto milioni di voti quelli che voi pensate o qualificate come espressione di forze della reazione o della plutocrazia o del capitalismo di qualsiasi genere, non so se ce ne fossero, ma se ce ne fossero rappresenterebbero una frazione trascurabile dinanzi alla immensità dei lavoratori, di ogni ceto e categoria, che ci seguono. (Applausi al centro – Interruzioni a sinistra).

LEONE GIOVANNI. Avete il monopolio voi?

PASTORE GIULIO. A Milano c’erano 50 mila lavoratori e a Roma 100 mila lavoratori autentici.

PRESIDENTE. Non abbiamo nessun interesse di sentire polemiche di tale natura in questa Assemblea. Prego tutti, ed anche lei, onorevole Pastore, di fare silenzio.

PICCIONI. Ora, superata, a mio avviso, questa particolare questione di un Governo così qualificato, ne rimane un’altra che è stata ripetutamente sottolineata negli interventi degli scorsi giorni, che cioè si tratta anche di un Governo della discordia.

Non so di quale discordia si tratti; in ogni modo vorrei dire, non già per artificio polemico, ma perché è la verità, che la discordia per ora è vivissima nel campo di Agramante. (Si ride). Che le opposizioni, così come si sono schierate e si vanno schierando nell’Assemblea, sono in perpetua discordia fra di loro, è pur necessario che io lo rilevo.

L’opposizione comunista è quella che è, con le sue peculiari caratteristiche. E, di fronte all’opposizione comunista la quale pone a noi un cosiddetto problema di unità nazionale, noi rispondiamo, dobbiamo rispondere: ma di quale unità si tratta? Che cosa vuol dire la formula dell’unità nazionale proposta e sottolineata dal Partito comunista?

Guardate: io non sono di quelli che considerano il Partito comunista con più o meno leggera superficialità. Se posso dirvi qualche cosa al riguardo, debbo dire, per iscarico di coscienza, che una riflessione continua io porto sul senso storico, sul significato rappresentativo, sulle possibilità di sviluppo nella vita nazionale ed internazionale che possono derivare dall’una o dall’altra affermazione del Partito comunista.

Ma io vi dico che la formula dell’unità nazionale avanzata dal partito comunista riproduce un po’ stranamente la formula dei pur gloriosi Comitati di liberazione nazionale, ai quali non si può non ripensare, da chi ne ha vissuta la vita intima e fraterna, se non con ispirito di vera e sentita commozione. Ma se, onorevoli colleghi, lo sviluppo dei Comitati di liberazione nazionale, quella specie di linea, di prassi politica che si determinò in funzione dei Comitati stessi, si è ad un certo momento troncata, si è spezzata, a che cosa dobbiamo noi imputarlo? Dobbiamo imputarlo a un predominio prevalente e progressivo del Partito comunista in seno ad essi. Sta bene, questo è nella vostra prospettiva, sta bene, questo è nella linea tecnica della vostra politica: ma sta bene per voi, non sta bene per noi. (Vivi applausi a centro).

Questa strana formula di unità nazionale nella concezione comunista non può avere altro fondamento, specie per quello spirito messianico che il Partito comunista porta sempre nella sua azione e nella sua propaganda, non può avere, dicevo, altro fondamento se non quello di un predominio del partito stesso sui vari raggruppamenti di forze eterogenee, non può avere altro fondamento se non quello di determinare e collaudare gli strumenti che abbisognano al comunismo per la sua politica interna ed internazionale. (Approvazione al centro).

Ora è chiaro, onorevoli colleghi, che ad una soluzione di questo genere noi non possiamo aderire, come non possiamo aderire ad un’altra strana impostazione dell’onorevole Togliatti che io mi sono appuntato. Egli ha detto: ma guardate che si porrà, si pone ad un certo momento il problema del Partito comunista, che ha – egli ha detto – il 60 per cento della classe operaia (non delle classi lavoratrici); che insieme con i socialisti ha l’80% della classe operaia (non delle classi lavoratrici). Cosa volete fare di questo partito?

Se ho bene inteso, questa è stata l’impostazione dell’onorevole Togliatti.

Io risponderò che viviamo in sistema democratico, in una ripresa di vita democratica, che noi vogliamo salvaguardare con tutte le nostre forze: mancheremmo a tutta la nostra azione passata, a tutte le promesse e garanzie del periodo di liberazione, al nostro stesso dovere, se non fossimo i custodi rigidi e inflessibili dei principii e delle forme di un’autentica democrazia. Io vi dico, onorevole Togliatti, non esiste un problema del Partito comunista in sede democratica, così come non esiste un problema della Democrazia cristiana o del Partito liberale o di qualsiasi altro partito: sarà la funzionalità interna del sistema democratico, nel rispetto della sua legalità, che determinerà quello che è il posto e la funzione di ciascun partito. (Applausi al centro e a destra).

E ai socialisti cosiddetti fusionisti io mi permetto di rivolgere un’altra domanda, in cambio della loro impostazione, domanda che io rivolsi ingenuamente anche un paio di anni fa, ma che mi permetto di rinfrescare dopo le esperienze trascorse. Si lamenta la insufficiente articolazione nel quadro delle forze politiche italiane di una forza come il partito socialista, il movimento socialista. Lussu ha detto ieri: «Ma guardate che in tutti gli Stati democratici, in tutte le Nazioni democratiche dell’occidente Europeo, i socialisti sono al potere». E sta bene; ma non ci sono i comunisti al potere, ci sono i socialisti. E se il socialismo delle altre Nazioni occidentali europee ha superata quella fase nella quale ancora è invischiato il socialismo dell’onorevole Nenni, fino al punto da costituire una forza politica autonoma, che ad un certo momento può assumere anche la direzione politica del paese, non è colpa di noi democristiani, se in Italia ciò non è. È un fatto interno dell’evoluzione della crisi socialista, che è tuttora viva e permanente, e che deve trovare una sua soluzione definitiva e concreta, se vuole operare seriamente, profondamente per il risanamento della vita politica nazionale.

Ora, qual è la crisi? Onorevole Nenni, permettete che io esprima il mio pensiero in questo modo conversativo. Qual è la crisi? Che cosa significa il partito socialista fusionista? (Commenti a sinistra – Interruzioni).

VERNOCCHI. Deve smetterla, onorevole Piccioni, con questa faccenda e con questa frase!

PICCIONI. Sta bene: dirò il Partito socialista italiano. Che significato ha politicamente la posizione del Partito socialista italiano? Noi non vediamo nell’azione pratica divergenze apprezzabili, sostanziali, con l’azione pratica del partito comunista. Voi direte che è nell’interesse delle classi lavoratrici. Noi non vediamo una qualsiasi differenziazione nella impostazione dei problemi, nel significato dei problemi politici fra voi ed il Partito comunista. (Commenti a sinistra).

VERNOCCHI. Ma la classe operaia è la classe operaia, socialista o comunista!

PICCIONI. Ma allora, permettete, perché non arrivate alla fusione? Per ragioni di tattica elettorale o di manovre politiche di vario genere, non lo so. In ogni modo se così non è, dovrebbe apparire chiaro a tutti – poiché si chiede conto a tutti gli altri partiti in regime democratico di dichiarare e chiarificare le proprie posizioni – quali sono i motivi differenziatori fra voi partito socialista italiano e partito comunista. Se voi siete distinti e volete mantenervi distinti, vuol dire che c’è qualcosa che vi distingue, qualcosa che non vi accomuna. In che cosa consiste questo qualche cosa? Questo vogliamo sapere, per sapere se la critica nostra al partito comunista è una critica che abbia anche un certo riscontro in posizioni e atteggiamenti di altri partiti, di altre forme politiche che si ritengono più strettamente legate alle classi lavoratrici ed alle classi operaie. Credete voi che il partito comunista non sia autenticamente democratico, cioè non persegua la democrazia come sistema ma soltanto come tattica, come metodo, e voi invece aderite alla concezione della democrazia che si debba sviluppare come sistema permanente d’una determinata società politica nazionale, oppure vi trattengono altre valutazioni di carattere esterno, di carattere internazionale? Ma quali sono i motivi, se i motivi sul terreno sociale non si distinguono, se i motivi sul terreno politico non si vedono, per cui voi volete mantenervi distinti dal partito comunista?

È questa una richiesta che mi pare legittima e che mi pare non possa offendere nessuno. (Commenti a sinistra).

PERTINI. Abbiamo risposto tante volte!

PICCIONI. Lo richiedo tanto più in quanto accanto a voi c’è un altro partito socialista che questa critica svolge in termini risoluti e decisi. Su quali basi svolge la critica il partito che vi sta accanto e che si denomina anch’esso socialista? Su per giù sulle stesse basi sulle quali si svolge la critica nostra, sulla esigenza della custodia della libertà, di tutte le libertà democratiche, sulla esigenza dell’autonomia di qualsiasi movimento politico nazionale e da qualsiasi intervento di qualsiasi genere.

PERTINI. Noi le sentiamo molto profonde queste esigenze, e lei lo sa, onorevole Piccioni! Le sentiamo in modo profondo!

PICCIONI. Mi dovrete dare atto di questa nostra incomprensione dei motivi distintivi fra le esigenze vostre (se intese in questo senso) e l’esigenza del Partito comunista…

PERTINI. Possiamo essere distinti, ma uniti nell’azione. Noi difendiamo la nostra fede ed abbiamo ragione di difenderla! (Commenti).

PICCIONI. Ora vedete che in tutto questo ci sono delle posizioni concordemente discordanti o, viceversa, anche nelle zone più estreme dello schieramento oppositorio, vi sono problemi, o spunti di problemi, più profondi che non sono stati completamente chiariti. La impostazione chiarificatrice del Partito socialista dei lavoratori italiani non mi pare che abbia trovato sufficienti suffragi negli altri schieramenti politici almeno intesa come visione integrale che dovrebbe dominare e disciplinare la ripresa economico-sociale e finanziaria del nostro Paese. È anche questo un punto di distinzione, non voglio dire di contrasto, fra le varie posizioni, ma è un punto fondamentale, un punto sostanziale, se fu quello che in un certo senso determinò, almeno apparentemente nel maggio scorso, il naufragio di una formazione centro-sinistra.

Ora, nei confronti del mio partito debbo sottolineare quanto esso abbia superato le formule dell’empirismo liberistico di cui si sentì ieri sera favoleggiare. Noi sentiamo invece l’esigenza di una disciplina, di un controllo perché si riconnette con quell’esigenza dell’intervento del potere sociale che è lo Stato, per disciplinare, per regolamentare, per convogliare gli sforzi produttivi della collettività, a vantaggio della collettività nazionale. E poiché noi siamo anche fra l’altro pregni di realismo cattolico, se mi consentite una espressione di questo genere, dobbiamo dire agli amici del Partito socialista dei lavoratori italiani, che un problema, come quello a loro particolarmente caro va posto nella sua contemperanza con le possibilità materiali oggettive della situazione economico-sociale interna ed internazionale del Paese. La pianificazione dunque non va bandita come una formula magica che possa risolvere così gravi e pesanti problemi: ma se non va affacciata come una formula magica che può avere questo grande potere, non può, non deve costituire un motivo sostanziale di dissenso politico contingente fino al punto da dare uno o un altro indirizzo ad una determinata formazione di governo. Non bisogna dimenticare quello che tutti sanno: che se «piano» vuol dire programma – evidentemente più modesto o largo, più realistico o più illusorio – di un programma sono tutti armati; e quanti governi passati non hanno fatto programmi più o meno concreti, particolaristici o diffusi, con l’approvazione di tutti e quei programmi poi non hanno potuto attuare?

CALOSSO. Oggi l’Europa usa la parola in senso nuovo.

PICCIONI. In senso nuovo. Rifrazione o complemento del più vasto piano della ricostruzione europea, lo si chiami col nome che si vuole, ebbene quello è in corso di effettuazione. Se vuol dire interventismo statale fino al punto di operare risolutamente, direttamente, sulla ripresa economica e produttiva del nostro Paese nella fase più delicata di ricostruzione dei tessuti elementari, vi dico che degli interventi eccessivamente drastici non vi farebbero ottenere quello che voi vorreste. È questione di misura, di equilibrio. In ogni modo l’indirizzo sostanziale, fondamentale della civiltà moderna non può non essere un indirizzo come quello auspicato. Mi pare che lo stesso onorevole Corbino l’altra sera salutava nostalgicamente le vecchie luci del liberalismo economico ormai tramontante. Volete proprio che noi democratici cristiani ci si soffermi in nostalgie di questo genere; non si abbia gli occhi aperti di fronte a quelle che sono le necessità sociali; non si intenda la funzione altamente sociale del potere di uno Stato moderno, di uno Stato veramente e sanamente democratico? Quindi, non un punto di dissenso nella sua realtà e concretezza può essere un tema di questo genere.

Ieri ho sentito con una certa commozione gli accenti con cui l’onorevole Lussu salutava la dipartita del Partito d’Azione dalla scena politica italiana. L’ho sentito con una certa commozione; perché credo che nessuno possa essersi dimenticato l’apporto degli amici del Partito d’Azione, apporto di intelletto e di fede nelle forze democratiche, durante le vicende e i travagli degli ultimi anni, apporto fortissimo da essi dato specialmente al movimento di liberazione. (Applausi). Quindi parlerò col senso della più fraterna comprensione anche per gli amici del Partito d’Azione. (Interruzione del deputato Lussu).

Ma se devo constatare che gli esponenti del Partito d’azione si sono quasi quadripartiti o tripartiti, mettendo in difficoltà anche la materiale attuazione di una divisione di questo genere in rapporto al loro numero, lo dico per notare il contrasto ideologico e politico che c’è tra gli stessi esponenti di un partito che finora ha contribuito non poco all’insieme degli scambi intellettuali e alla valutazione di tutti i nostri problemi, per dire cioè che il contrasto delle varie opposizioni si riflette anche nell’interno di un piccolo partito. Lo dico per concludere sulla difficoltà della diagnosi e della terapia dei problemi in sviluppo e sulla insondabilità di alcune posizioni e di alcuni aspetti della crisi economica, sociale e politica del nostro Paese.

Sugli amici demo-laburisti – se mi consentite – sorvolerei (Si ride) perché…

MOLÈ. Accomodatevi pure!

PICCIONI. …effettivamente una caratterizzazione della loro dottrina politica e della loro prassi politica tale da poter essere esaminata e discussa, forse per mia ignoranza, non sono riuscito ancora a coglierla. (Ilarità – Commenti).

MOLÈ. Non è colpa nostra se quando non vi fa comodo non volete capire.

PICCIONI. Si è profilata ieri sera, durante la discussione, l’impostazione di un’altra opposizione al Governo. Non ho capito se si tratti di una opposizione incipiente o di una opposizione condizionale o condizionata.

Certo è che ciascun Gruppo, come ho detto da principio, senza rompere nessun patto e venir meno a nessun accordo, perché tali patti e tali accordi non sono mai esistiti, gode della piena libertà e possibilità dei suoi movimenti; e quindi nessun appunto, sotto tale riguardo, a questa impostazione, che poteva sembrare, nella superficiale valutazione di qualcuno, come scandalistica, verificatasi nella seduta di ieri sera. Debbo fare soltanto alcune brevi precisazioni. Io non voglio tediare ulteriormente l’Assemblea, ma debbo dire che gli appunti mossi alla Democrazia cristiana come partito, per i rapporti avuti con altri partiti, non debbono qui affliggere la Costituente e non mi perderò in discussioni di questo genere che non riguardano minimamente né la Costituente né la questione della fiducia e della sfiducia verso il Governo.

Sono questioni di carattere particolare, non del tutto esatte, anche nei termini concreti, così come sono state riferite, e che, se mai, possono concludersi con una sola affermazione ed una sola proposizione, cosa che del resto penso i colleghi dell’Assemblea avranno già fatto per conto loro: cioè che il Partito democratico cristiano si muove autonomamente, da solo, sotto la sua esclusiva spinta organizzativa e sotto la sua esclusiva responsabilità di partito. (Applausi al centro). Noi non cerchiamo il dirigismo o l’impulso al dirigismo di chicchessia. Noi ci qualifichiamo e vogliamo essere nella pratica politica quotidiana un organismo politico autonomo, individuato, forte di vita propria, non orgoglioso, non prepotente, non sopraffattore, non violento, ma vogliamo essere e rimanere democratici cristiani, e basta. (Applausi al centro).

Ed un’altra cosa mi occorre dire: che noi abbiamo altissimo il rispetto per le nostre convinzioni cattoliche e per le convinzioni cattoliche di qualsiasi altro cittadino italiano. Noi abbiamo detto, io ho ridetto anche l’altra sera ed ho voluto riaffermarlo pubblicamente, che non aspiriamo a nessun monopolio di rappresentanza politica dei cattolici italiani. Ma se i cattolici italiani, o colleghi, preferiscono essere rappresentati in questa Camera dai democratici cristiani anziché dai liberali o dai comunisti, evidentemente questo è un loro diritto sacro ed elementare che non può essere messo in discussione. (Applausi al centro). Ed io devo dirvi ancora che per noi il rispetto della fede cattolica, della fede religiosa, è qualcosa di intimo, di profondo, di connaturato con la nostra coscienza e con la nostra vita, e non si riduce soltanto alla constatazione di un sentimento vago o indeterminato, ma è la profonda sorgente vitale di tutta la nostra vita, in tutte le sue espressioni. (Applausi al centro).

Detto questo, o amici, sulla valutazione politica del Governo, dalla quale può essere venuta fuori una presa di posizione oppositoria come quella di ieri sera, io debbo osservare che la Democrazia cristiana ha e mantiene il suo buon diritto di interloquire al riguardo, perché essa non si riduce ad una espressione personale, quale che sia, positiva o negativa, ma ha un suo peso politico particolare, individuato, che non può cedere a lusinghe, a promesse, a minacce di vario genere.

Quale sarà la conclusione di questo contrasto? Quale sarà lo schieramento di altri gruppi politici di questa Assemblea, che si residuano, se se ne toglie quello liberale, a quello repubblicano così detto storico? Nei confronti dei repubblicani, le osservazioni di carattere politico fatte per quanto si riferiva al Partito socialista dei lavoratori italiani hanno la stessa incidenza e la stessa rilevanza, salvo forse una certa divergenza fra essi per quanto si riferisce al programma economico; ma le esigenze di libertà, le esigenze di democrazia, le esigenze di autonomia anche di carattere nazionale sono vivissime anche nel Partito repubblicano e trovano rispondenza in quella che è la sua rappresentanza parlamentare.

Bisogna però non incantarsi o rimanere incantati a delle formulazioni astratte o a delle posizioni politiche contingenti, determinate da un certo complesso o di superiorità o di inferiorità, ma bisogna decidersi ed assumere in pieno le proprie responsabilità politiche coraggiosamente, liberamente, con la consapevolezza e con la coscienza di rendere un servizio al Paese, prima che alle proprie ideologie o alle proprie posizioni di partito, nel senso più ristretto della parola.

Quale può essere la conclusione di questo dibattito? Onorevoli colleghi, c’è, di fronte alla concordia discorde delle varie formazioni oppositorie, questo blocco, qui al centro, di deputati democristiani che non hanno intenzione di sopraffare chicchessia, ma che costituiscono veramente un blocco di forze che sono inserite nel centro dello schieramento politico, non soltanto nell’Assemblea, ma nel Paese. Bisogna che si decidano i colleghi più responsabili degli altri partiti a credere e a ritenere che la Democrazia cristiana non è già una forza manovrabile secondo le varie e differenti opinioni di chicchessia, non è già, come è stato detto, una piattaforma girevole che possa con estrema disinvoltura ruotare nei sensi più diversi ed opposti, che non è la destra dello schieramento sinistro o la sinistra dello schieramento destro, ma bisogna che si convincano che è una forza per sé stante, autonoma, con un programma proprio, con una propria visione dei problemi politici economici, nazionali, che cerca di risolvere sia pure con l’apporto di altre forze politiche, secondo questa sua direttiva di sintesi, finché avrà una preponderanza nello schieramento politico del Paese (Benissimo – Applausi al centro).

Ma io vorrei sapere, permettete un altro sfogo che può apparire banale, quando si rimprovera a noi una certa strafottenza o degnazione o strapotenza che non esiste in nessun modo, io vorrei sapere: che cosa avverrebbe in pratica, in concreto, se altri esponenti di altre correnti politiche avessero dietro di sé non i trenta, quaranta o cinquanta deputati, ma avessero i 207 deputati che abbiamo noi? (Vivi applausi al centro).

Ora, la conclusione, ed ho finito, è chiara, è netta, è onesta: il Governo costituito come fu costituito, con quella formula che bisogna tenere presente, in quella determinata situazione, senza vincoli di accordi e di impegni di nessun genere, questo Governo che si vuol dire di destra, mentre la destra insorge per non avere ricevuto nessun beneficio e nessun favore di nessun genere (Commenti a sinistra), questo Governo si ripresenta oggi democraticamente dinanzi all’Assemblea per dire: ho assunto questo grave dovere, questo grande impegno; ho fatto tutto quello che ho potuto fare in questi 78 giorni (sono apprezzabili e confortanti, sotto questo riguardo, ad esempio, le dichiarazioni dell’amico Pella di ieri sera): con l’animo fermo e la volontà di procedere al risanamento economico e finanziario del Paese, sono fedele agli impegni presi nei limiti delle possibilità concrete che sono a mia disposizione. Che cosa vuole l’Assemblea? Che cosa vogliono i Gruppi dell’Assemblea? Vogliono rinnovarmi la fiducia che mi dettero il 21 giugno, o vogliono togliermela? È affar vostro, di voi Gruppi parlamentari, di assumere questa grave responsabilità in quest’ora storica del nostro Paese, di rinnovare o di togliere la fiducia concessa al Governo per precipitare il Paese in non so quale nuova grave crisi. (Rumori a sinistra – Vivi applausi al centro).

Concludo dicendo una cosa sola: dal senso di responsabilità che manifesteranno i vari Gruppi di questa Assemblea e dal loro atteggiamento concreto, la Democrazia cristiana, in qualsiasi posizione potrà trovarsi a seguito di tale voto, trarrà argomento per rivendicare pienamente – contro qualsiasi illusione più o meno interessata – la propria libertà di atteggiamento e di azione. (Vivissimi, prolungati, reiterati applausi al centro – Moltissime congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle 16.

La seduta termina alle 12.30.