ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCXLIV.
SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 3 OTTOBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Sul processo verbale:
Giacchero
Tonello
Simonini
Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio:
Presidente
Mozioni (Seguito della discussione):
Calosso
Bruni
Nitti
Presidente
Pajetta Giancarlo
Macrelli
Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
Sul processo verbale.
GIACCHERO. Chiedo di parlare sul processo verbale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIACCHERO. Ho chiesto la parola per precisare un punto toccato ieri dall’onorevole Giannini e che si riferisce al Convegno parlamentare europeo di Gstaad.
Questa precisazione non è fatta per controbattere l’accusa di ostilità che la Democrazia cristiana avrebbe dimostrato nei di lui riguardi anche in quella occasione.
Per rispondere a questo, come agli altri rilievi del genere, la Democrazia cristiana può contare su elementi molto più qualificati di me.
Ma siccome si è parlato di diminuzione di prestigio, che sarebbe derivata all’Italia da uno scambio di oratori nell’elenco ufficiale della giornata inaugurale di quel Convegno, e siccome io ero il capo di quella Delegazione italiana, che contava 34 deputati e che ne rappresentava oltre 200, ho il dovere di dimostrare che questo non è esatto. E non è esatto prima di tutto perché l’elenco preparato dalla Segreteria generale era stato compilato con criteri che nulla avevano a che vedere né con l’importanza della Nazione (sarebbe stata ridicola una gerarchia di valori fra le Nazioni, quando queste si riunivano su di un terreno di assoluta parità) né con l’abilità o la rinomanza dell’oratore (e questo lo dimostrerebbe il fatto che il più brillante oratore, capo del Gruppo parlamentare socialista belga e che fu poi eletto presidente dell’Assemblea, Georges Bohy, figurava agli ultimi posti sull’elenco), ma semplicemente seguendo un criterio direi così coreografico, che nelle cerimonie ufficiali non può venire trascurato.
Non è esatto il rilievo dell’onorevole Giannini perché, se la Delegazione Italiana chiese alla Segreteria generale di far parlare il rappresentante ufficiale della Delegazione prima dello stesso onorevole Giannini, lo fece dopo aver discusso la questione in una seduta preliminare, dove l’opportunità di questo scambio venne sostenuta non solo dai democristiani, ma anche dai rappresentanti di altri partiti presenti a Gstaad, per evidenti ragioni di correttezza.
Ed infine, se si vuol proprio parlare di prestigio dell’Italia, anche in quest’occasione, dove io ritengo sia fuori posto, tenuto conto dello spirito che doveva animare e che ha animato il Convegno, mi corre l’obbligo di precisare che questo prestigio fu tenuto molto in alto non tanto dal discorso di questo o di quel Presidente, quanto dalla sobrietà, serietà e consistenza degli interventi dei delegati italiani di tutti i partiti e dalla circostanza cui Giannini, che tanto si preoccupa del prestigio dell’Italia quando gli si cambia posto, non ha accennato, e cioè che all’Italia fu riservata una delle quattro Vicepresidenze nel Consiglio e nell’Assemblea.
Ma questo, che senza dubbio può rappresentare un segno di prestigio, fu ottenuto dall’Italia non per il merito di questo o di quell’inviato, di questo o di quel partito, di questo o di quell’oratore, ma semplicemente perché l’Italia, negli ambienti dove non vi sono cieche e meschine ostilità, o preconcetti ideologici, è ancora e sempre considerata un grande Paese a cui, quando si vuol costruire una civile convivenza di popoli europei, non si può negare un posto di primo piano. (Applausi al centro).
TONELLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TONELLO. Il mio amico onorevole Simonini nel suo discorso di ieri ha accennato ad una mia antica carica quale membro della fabbriceria della basilica di San Petronio in Bologna. Fra le altre cariche ebbi pure quella di fabbriciero della basilica di San Petronio in Bologna; e fu perché, essendo io allora consigliere provinciale, la maggioranza clericomoderata del Consiglio, dovendo nominare un rappresentante della provincia in grembo a questa organizzazione, nominò me.
Nel fare una risata, io mi alzai e dissi: «Ringrazio i colleghi dell’onore che mi fanno»; ed accettai la carica. Fu in quel tempo che contrassi rapporti cordiali con lo stesso Cardinale Della Chiesa che poi fu Pontefice, un uomo intelligentissimo e spiritosissimo, ve lo dico subito. Dunque, in tutto questo non c’è niente di male. In altri tempi ho coperto altre cariche che potevano, anche politicamente, apparire all’infuori del mio partito, ma non c’è niente di strano; e nemmeno credo che il collega onorevole Simonini abbia voluto attribuire a celia questa mia appartenenza, diremo così, alla fabbriceria di San Petronio. (Ilarità – Commenti).
SIMONINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SIMONINI. Desidero precisare che il mio riferimento a quel determinato particolare della storia politica italiana aveva soltanto, nel mio intento, lo scopo di dimostrare come allora la serenità era tale nell’ambiente politico, che l’onorevole Tonello poteva collaborare con un futuro Papa; ed auguro che quei tempi abbiano a ritornare. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio
PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso una domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato onorevole Spano per il reato di cui all’articolo 595, secondo capoverso, del Codice penale.
Sarà inviata alla Commissione competente.
Seguito della discussione di mozioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione delle mozioni.
È iscritto a parlare l’onorevole Calosso. Ne ha facoltà.
CALOSSO. Signor Presidente! Il Governo di centro-destra, a bandiera liberale, che ha nel suo seno uomini egregi come l’onorevole Einaudi (del quale non posso parlare senza un sentimento di venerazione e del quale fui alunno, sia pure di quelli dell’ultimo banco), a mio parere è basato su di una contradizione economica e su di uno scetticismo morale liberista, quello del lasciar fare. Il liberismo, che alle origini era un atto di fiducia per le imprese individuali, mi pare che con l’andar del tempo, specialmente oggi, con l’attuale stanchezza, sia essenzialmente un atto di sfiducia nelle forze dell’impresa associata, in quella che oggi, con linguaggio moderno, con un linguaggio di moda (che ci impegna, perché la moda noi dobbiamo seguire; infatti è una cosa cristiana, come diceva il Manzoni) si chiama pianificazione.
È stato, a mio parere, molto chiarificatore in proposito il discorso dell’onorevole Giannini, uno dei più notevoli discorsi di parte governativa, dirò così, perché egli ed il qualunquismo in genere mi pare che rispecchino uno scetticismo assoluto, e se non credessi di urtare le orecchie dell’onorevole Giannini e dei suoi amici, direi quasi un menefreghismo assoluto. Rappresenta una realtà il qualunquismo; in questo momento di stanchezza, il qualunquismo non poteva non sorgere come uno scetticismo il quale, con la sua sincerità, si dà per quel che è. Perciò egli ha parlato molto chiaramente e sinceramente ed ha posto quasi la candidatura di qualche suo amico al seggio di sindaco di Roma, in nome di quello sblocco dei fitti che getterebbe sulla strada 500 mila romani; che forse, se saranno veri qualunquisti, gli daranno il voto ugualmente.
Egli ha fatto l’elogio del lusso, un elogio che non ricordavo se non in un opuscolo del 1700. Che cosa vuol dire l’elogio del lusso fatto dall’onorevole Giannini? Vuol dire che quando chiederemo il denaro americano e quando esso arriverà, noi lo impiegheremo a comprarci non del pane, ma dei pasticcini e fabbricheremo in Italia non occhiali – questa industria è già prosperosa da noi – ma caramelle da occhio. (Si ride). Questo è l’elogio del lusso: rendiamo atto alla sua sincerità, perché nessuno aveva osato dirlo. Notate, il vero liberismo suo non vive interamente se non in Egitto, dove vivono i pascià opulenti e preziosi su tappeti persiani, accanto ai quali vigila il fellah, che lotta ogni giorno per vedere se il suo padrone ha mangiato o no. La sua politica non è sostanzialmente differente dalla teoria governativa, a mio parere. Noi ricordiamo che dal 1919 al 1922 la bandiera dello squadrismo fu quella del liberismo assoluto: via le bardature di guerra! E gli industriali lo seguivano, perché volevano fuori le bardature di guerra. Io non voglio dire con questo che Giannini è stato, nel passato, fascista. Non l’ho mai detto, anzi mi opposi al provvedimento con il quale gli tolsero, a suo tempo, il giornale.
Egli, stia a destra o a sinistra, è uno degli uomini meno fascisti che ci siano stati. Ma io, ricordando che la sua opera è identica in parole e temperamento a quella che era la bandiera del fascismo prima della marcia su Roma, temo che sia un fascismo futuro, vale a dire che noi sappiamo che cos’è il liberismo fascista, che sotto sotto ha i monopoli industriali ed agrari. E questo è lo statalismo assoluto. La parola liberismo non mi suona se non come statalismo, dittatura. È quello che sento automaticamente, come un uomo di 52 anni che ricorda, come ieri, il periodo della lotta antifascista.
E trovo che ha ragione di chiedere due Ministeri, di cui uno per l’Unione europea (credo che voglia dire il Ministero degli esteri). È giusto, egli farà l’unione dei Paesi; credo che voglia unire le tre penisole meridionali: la Spagna, l’Italia e la Grecia. Le vorrà unificare e poi farà anche l’unione degli altri Paesi. Del resto, già adesso, un Governo di destra in Europa c’è solo in queste tre penisole meridionali. È un grave fatto, notate bene, perché, come ha detto Lussu, ed ha ricordato anche Piccioni, tutti i paesi dell’Europa occidentale sono in mano ai regimi socialisti, o in essi i socialisti hanno importanza notevole. Man mano, anche queste tre penisole che fanno eccezione, finiranno con l’avere un Governo socialista.
Ora, non bisogna illudersi. È un fatto pericoloso. Noi siamo dei poveracci che con vestiti unti e bisunti ci presentiamo in mezzo a gente elegante, quando andiamo alla riunione di Parigi.
TOGLIATTI. Anche l’Austria.
CALOSSO. Anche l’Austria.
Non crediate che i conservatori stranieri vi vogliano bene. Vi disprezzano fin dal primo momento e quando c’è una piccola questione ve lo ricordano. Franco stesso non ha poi fatto un grande affare. È pericoloso un Governo di destra, anche se ha dei sorrisi.
Ora, ha detto l’onorevole Giannini, ed anche un po’ l’onorevole Piccioni che ha consentito in questo punto, di temere la pianificazione, che è il soggetto della nostra politica al Governo, della nostra opposizione, e con la quale, in un certo senso, ci identifichiamo. Questa necessità della pianificazione – dicono – porterà ad uno statalismo gravissimo.
Ora, è molto importante, fin dal principio, stabilire che il concetto di Stato e di piano sono diversissimi e antitetici nella sostanza. Lo statalismo noi, come socialisti, almeno nella più pura ortodossia marxista, lo respingiamo, perché pensiamo che in un lontano futuro questo Stato debba essere addirittura abolito, quando non vi siano più le classi dirigenti. E questo è uno degli elementi della nostra amicizia con la Democrazia cristiana che, se ha letto i testi sacri, come noi abbiamo letto Marx, o se non li ha letti come noi quasi tutti non abbiamo letto Marx (Si ride), saprà che lo Stato è un male necessario secondo la tesi sacra di San Paolo, per cui la parola «legge», la parola «Stato» è una parola di suono cattivo, come per il socialista; perché la parola «statalista» è brutta per il socialista, come la parola «legale» è brutta per il democratico cristiano.
Piano è il contrario. Senza fare tante teorie, il popolo italiano, dopo tutte queste prove di dittature, è un popolo molto statalista e poco pianificatore. Per la strada molto facile è arrestare un italiano. Il primo poliziotto gli mette una mano sulla spalla, senza mandato di cattura, e di solito non trova reazioni e l’individuo viene arrestato. Lo vediamo tutti i giorni. Siamo un popolo molle di fronte allo Stato, siamo statalisti; invece nel senso del piano, no. L’espressione elementare del piano è la coda che facciamo all’autobus. Lottiamo mezz’ora, ma non facciamo la coda. La coda è il piano. E l’arresto di un povero disgraziato per la strada è lo Stato. Sono due concetti difficili. E noi ci libereremo dallo statalismo nella misura in cui pianificheremo.
Onorevole Einaudi, anche l’isola di Robinson Crosuè, che è nel sogno di tutti, perché tutti abbiamo sognato un’isola ed aspiriamo ad averla, è possibile averla soltanto in base ad un piano, come è possibile che il bambino circoli col suo cerchio per le nostre strade soltanto perché c’è un piano regolatore del traffico. Il colpo tremendo inferto dagli inglesi degli ultimi due anni al patrimonio forestale italiano, tagliando per cento miliardi di lire italiane, è uno dei delitti più grandi che abbia fatto l’incapacità o la stanchezza della vecchia classe politica inglese; provatevi a ricostituire i nostri boschi col liberismo. o gli stambecchi del Gran Paradiso, che stanno scomparendo. Fateli vivere senza un piano. Tutto, perfino l’albero, è comandato dalla pianificazione oggigiorno.
Qualche mese fa c’era un piccolo emendamento dove entrava la parola «piano». Non era il concetto. Non so se fosse dell’onorevole Foa o di qualche altro.
Notammo, vi ricordate, che tutti i membri del Governo e i loro seguaci votarono contro questa parola «piano» ed i giornali (come devo chiamarli? – Non saprei. I giornale indipendenti, lo stesso Corriere della Sera) alzarono alte grida perché la rivoluzione era arrivata in Italia. Tanto è provinciale la nostra grande stampa moderna, che non aveva mai sentito parlare di piano; era una rivoluzione. Non capiva che è quello il sistema per prendere delle precauzioni contro la rivoluzione.
Poche settimane dopo venne un generale americano, Marshall; badate che non era uno stinco di socialista; venne fuori il piano Marshall ed allora la parola la trangugiarono tutti. Ed adesso non ci sono giornali che scrivono articoli tremendi contro il piano.
Questo è importante non per la nostra intelligenza superiore, ma perché abbiamo inserito in una realtà moderna anche questo problema; orientare l’Assemblea col nostro voto.
Persino nel modo di discutere, il Governo è un Governo anti-piano. Vedete un po’: quando diciamo «piano», diciamo unità, convergenza di molte cose che ne fanno una. Ed il Governo risponde in ordine sparso, problema per problema, Ministro per Ministro. È difficile prenderlo per la coda. (Si ride). Mi pare che questo metodo di discussione sia di per sé rivelatore di una mentalità. D’altra parte, l’onorevole De Gasperi, mi rincresce che non sia presente, è a ragione l’esponente dell’attuale situazione. Non per nulla è stato alla testa di quattro Ministeri, ma egli è anche l’esponente di una situazione storica in cui dopo 20 anni di sconfitta, dopo due grandi cambiamenti avvenuti a distanza di 23 anni, uno scetticismo naturale è nelle ossa di tutti: abbiamo visto troppi doppi giuochi per credere facilmente nell’uomo, ed allora viene uno stato di scetticismo.
L’onorevole De Gasperi, onestamente, cosa dice? Quale è l’essenza della sua teoria di Governo? È questa: non muovere troppo le cose; lasciar fare. Io capirei, molto bene questo modo di pensare, se fossimo veramente in una situazione di senilità o di stanchezza assoluta, come poteva essere per l’Austria, nel qual caso, noi saremmo stati grati ad un uomo di questo genere. È un atteggiamento politico che potrebbe essere valido, ed è effettivamente il precetto austriaco di Governo. E l’onorevole De Gasperi, sia nel bene che nel male, risente del suo tirocinio austriaco, prima di tutto nel suo vivo senso di italianità, che tutti gli dobbiamo riconoscere e che è proprio degli irredenti, di coloro cioè che hanno a lungo combattuto contro lo straniero.
In secondo luogo, credo che abbia quel panorama internazionale per cui sente con facilità cosa c’è al di là delle Alpi, il che sfugge a certi settori della nostra vita politica, a cui pare che Rocca Cannuccia sia il limite del mondo.
Queste sono le qualità che gli derivano in parte dal suo tirocinio di italiano irredento; ma ha preso, da questo tirocinio, anche qualche altro carattere, per esempio il senso del contratto. Tutto è contratto, tutto diventa contratto. È sotto questa forma di contratto che egli vede le cose, quando gli si sottopone un problema, anche facilmente risolubile. Del resto, anche Giolitti, fra due cose, una buona e una cattiva, che non costassero troppa fatica, sceglieva sempre quella buona. Effettivamente egli ha seguito un programma in tutta la sua vita.
Poi, quella furberia, che è ammirevole, senza, dubbio, e che può essere anche una virtù, io non m’intendo.
La diplomazia austriaca, per esempio, era la più famosa del mondo per eleganza e furberia. Sapete che cosa ha fatto la diplomazia austriaca? Ha liquidato l’Austria. Qualcuno dirà che, forse, non è troppo difficile questo per la diplomazia…
Io vedo questa linea anche nell’onorevole De Gasperi. Guardate che sotto il temperamento austriaco e sotto il decoro statale e religioso – mi appello all’onorevole Sforza – era il segreto dell’Austria. Qualche cosa di scettico e di frivolo, questo era il segreto dell’Austria.
Ora, mi pare che l’onorevole De Gasperi, con tutte queste sue qualità, rispecchi la situazione italiana e non per caso si trovi ad essere il Presidente del nostro Consiglio. È da questa attitudine che nasce nel Governo una fondamentale contradizione, segno che il Paese è più vivo di quanto si pensi, segno che questo scetticismo non deve essere udito, perché ci sono delle forme vitali più profonde.
C’è una contradizione evidente tra la politica industriale e quella del tesoro, che balza agli occhi di tutti. La Confederazione dell’industria e tutti i parassiti hanno una mano abbastanza pesante sul Ministero, specialmente i parassiti antichi, che gravano sull’Italia da tanti decenni. La siderurgia, per esempio, che ha sempre rappresentato una tassa, che ha sempre alzato i costi della produzione industriale, persino nel seno dell’I.R.I., la siderurgia rappresenta una tassa all’interno. Così dicasi per gli zuccherieri; e ancora per il monopolio dell’industria elettrica.
Sotto questo riguardo, la legge Bonomi del 1919 aveva cercato di garantire i diritti del Paese sui nuovi impianti, ma il fascismo più tardi li abolì. Ora, a me non risulta che i Governi abbiano, in questi ultimi due anni, migliorato la situazione, ritornando almeno allo stato di cose che vigeva all’epoca di Bonomi.
E sono cancri vecchi questi, della vecchia Italia umbertina, della vecchia Italia giolittiana. Ma bisogna che abbiamo coraggio, bisogna che abbiamo quel coraggio che è stato scarso in noi da una trentina di anni a questa parte.
La Confindustria conta poco in questo Ministero, se in una fabbrica come la F.I.A.T., per l’opera illuminata degli uomini responsabili, sono stati attuati in un anno i consigli di gestione. Questo è un esempio che sta indubbiamente a dimostrare come i consigli di gestione siano un fatto socialmente e politicamente, dirò così, conservatore ed anche repubblicano, perché la Repubblica sarebbe un errore se noi volessimo ritrovarla soltanto qui a Roma; la Repubblica è anche e soprattutto nelle cellule del Paese.
Nonostante, dunque, questo precedente che ho chiamato conservatore, voi vedete che la Confindustria non vuole i consigli di gestione e questo è un fatto di sovversivismo.
Dopo questo fatto, non si può certo dire che la politica del tesoro e del credito sia in coerenza con ciò. Io so benissimo, intendiamoci, che l’onorevole Einaudi personalmente non è in rapporto con le macchie che prima ho elencate.
È però la politica del liberismo che dà luogo ad una contradizione insita. Il Governo attuale è il Governo dell’anti-piano e deve quindi pagarne lo scotto, perché una politica siffatta è una politica senza previdenza; certo non si possono far morire gli operai per un errore del Governo ed il Governo è colpevole se gli operai oggi a Milano non sanno se avranno il loro salario.
Ma ci sono poi delle cose strane che accadono sotto questo Governo. I fratelli Perrone, ad esempio, i quali hanno un giornale che credo sia uno dei giornali più rivoluzionari d’Italia, hanno denunziato, sulle colonne di tale giornale, che alcuni settori capitalistici sono entrati, direi quasi, in connivenza con le agitazioni della piazza, con le agitazioni operaie: questo è stato denunziato giorni fa, dicevo, dal Messaggero, dall’organo cioè dei fratelli Perrone.
Ed anche questa non è certo una cosa nuova e le agitazioni dei gruppi capitalistici corrotti, e le agitazioni di piazza, da lunghi decenni sono lì a dimostrarlo. Io non credo che la Confindustria se ne sia accorta; neanche l’onorevole Nenni, di cui leggo il giornale, se ne è accorto; ma questo è avvenuto: una collusione tra gli industriali, i quali vogliono tenersi le loro scorte, vogliono l’inflazione, e corrono dal Governo a farsi pagare i salari all’ultimo momento. E le agitazioni! Io non so se quelli che erano riuniti a Piazza del Popolo qualche domenica fa sapevano – anche se deputati al Parlamento – questo fatto: che gli industriali sono contenti, perlomeno, di queste agitazioni. Sono dei fatti che sono molto interessanti, perché non sono affatto nuovi: badate che fin dall’epoca di Mussolini e prima, queste cose avvenivano; e sono fatti gravi su cui un’inchiesta dovrebbe essere fatta.
Gli industriali, di cui abbiamo alcuni rappresentanti nel Governo, possono essere persone della più grande capacità, come possono essere persone di scarsissima capacità. Non conosco molti industriali italiani, ma direi che la maggioranza non sono degli imprenditori; molti di essi, direi che piuttosto che imprenditori, sono bottegai dalla vista corta: per uno geniale ve ne sono dieci mediocri.
Rimasero sorpresi quando qualche mese fa il Vicecapo dell’U.N.R.R.A. – non ricordo più come si chiamava – un americano, lasciando l’Italia, diede una lavata di capo ai nostri industriali, dicendo che essi non hanno alcun piano – era l’epoca in cui si strillava contro la parola «piano» – che fabbricano quello che capita per far denaro; ma non avranno denaro finché non si imposteranno su un sistema di precedenze, ossia finché non faranno un piano. La nostra classe industriale avrebbe dovuto arrossire effettivamente. Però, individualmente, ci sono degli industriali che hanno dei larghi interessi anche fuori del loro campo. Ieri c’era uno che parlando con me citava Orazio; ma è raro trovare l’uomo dai larghi interessi: un Ford, il quale ha la mania religiosa, che non voglio discutere, è rarissimo in questo ambiente. Mi ricordo quando andai in Inghilterra; lo stesso giorno trovai un telegramma a casa mia di un lord, che non conoscevo, il quale mi invitava a cena, e poi seguitò ad invitarmi quasi ogni settimana. Non sapevo chi era: era uno che aveva un «tic», quello della pace perpetua, un vero «tic»; faceva dei libri, dei pagamenti in denaro, una vera organizzazione. Poi seppi anche che era uno dei più ricchi industriali inglesi, padrone di parecchie industrie e anche consigliere delegato, o presidente che fosse, di una delle principali di queste grandi industrie. E allora compresi che queste due cose in questi uomini rappresentavano certo una genialità; questo uomo si riposava dalle sue industrie, che non credo fossero…
Una voce a destra. …pianificate!
CALOSSO. Non era certamente pianificata l’industria del carbone, allora; ma si riposava invece che al golf, con questa piccola mania della pace perpetua, che a noi serviva molto, perché ci mise a contatto con i fuorusciti di tutte le Nazioni.
Ora, è raro trovare in Italia di questi industriali.
Il Governo è sotto il dominio di queste classi – è stato dimostrato da parecchi oratori – vive di queste contradizioni la politica del Governo, perché certamente poi il credito bisogna darlo, bisogna dare i denari, ma non bisogna esagerare nel credere a tutti gli strilli degli industriali. Gli industriali hanno degli enti di finanziamento proprî, che dovrebbero entrare in funzione proprio nel momento della crisi industriale; non hanno paura di essere abbandonati, hanno delle riserve.
E ugualmente questo Governo vive sulla contradizione estera, perché la sua politica estera – l’ho già detto – è tutta una contradizione. Un Governo di destra, solo in Europa insieme con la Grecia e con la Spagna, falangista, le tre penisole meridionali che sono le sole rette da governi di destra…
DE GASPERI, Presidente del Consiglio. E chi le ha detto che siamo di destra?
CALOSSO. Anche Franco non è di destra. Non dico che lei sia per niente paragonabile a Franco o alla Grecia, ma nell’opinione pubblica internazionale le tre penisole meridionali sono le sole rette da Governi conservatori o perlomeno di destra. E già, perché in politica estera bisogna fare i conti con lo straniero, il che – come ho già detto prima – è pericoloso, in quanto i conservatori stranieri sono ben pronti a sorriderci quando andiamo loro incontro, ed è una cosa umana di avere sempre per lo meno un volto rivoluzionario. Ma è molto male. Per i conservatori stranieri è molto bello, perché alla prima crisi ci fanno pagare la nostra conservazione! Se ne ricordino! Questa è una cautela di linea generale che noi conosciamo molto bene. Perciò a me pare che il piano, la pianificazione, sia effettivamente il centro, il problema su cui noi basiamo la nostra posizione. Non il piano come una parola magica, come ha detto l’onorevole Piccioni; tutt’altro. Il piano è una parola usuale, che si usa, come tutta l’Europa usa la giacca e i calzoni, che non si possono cambiare senza apparire eccentrici. Che cosa è il piano? È l’arte di fare tutto il possibile, tutto quello che si può. Non ha altro senso la parola piano. E badate, è notevole che in tutta Europa vi sia un tentativo di pianificazione, e in qualche Paese vi siano tentativi cospicui, tentativi democratici di pianificazione. Noi siamo isolati nella nostra idea di pianificazione.
Come vecchio membro della Società Fabiana, io ho seguito la preparazione teorica e schematica di quella che è stata la pianificazione dei socialisti inglesi. E non crediate che tutto fosse pronto. Avevano fatto i loro preparativi, i loro piccoli schemi. Mi ricordo che dicevano: abbiamo di fronte a noi delle oscurità, abbiamo qualcosa di oscuro, ma noi ci gettiamo con quello che abbiamo fatto. Nessuno nuoterà mai, prima di essersi buttato in acqua. In una certa misura bisogna avere coraggio: bisogna buttarsi in acqua e poi si nuoterà.
Gli inglesi, che sono più pigri di noi, che sono notevolmente più pigri di noi, hanno però forse una rotellina che è quella che li fa muovere: ritengo che nel campo politico abbiano più coraggio. Il partito socialista inglese ha osato. Non aveva osato nell’altro Ministero, nel Ministero MacDonald, ma adesso, durante la guerra, dopo che visto come il controllo sull’industria agisse come uno stimolo, ha preso questo coraggio nella politica interna ed ha tentato. È vero che adesso sono in difficoltà.
Da radio Londra un noto scrittore li ha rimproverati di non avere agito abbastanza sul terreno politico, psicologico e morale, perché questo è il segreto di un piano.
Ritengo che il motivo fondamentale per cui con l’attuale Governo siamo poco pianificatori è la nostra timidità, la nostra semplicità, di cui ho rimproverato l’onorevole De Gasperi prima che arrivasse, uno scetticismo non in Dio ma sulla terra, una scarsa fede.
Non c’è pianificazione se non come fatto pubblico, che metta in moto tutta la Nazione e sia propagato e chiami tutte le classi operaie. I consigli di gestione sarebbero già una cosa da farsi se vogliamo una pianificazione, perché essi creano una forza da cui nasce un campo magnetico, invisibile ma forte. Senza di essi non c’è pianificazione. Se volessi dare una definizione simpatica all’onorevole Piccioni, direi che un piano è un atto di fede, soprattutto un atto di fede.
Questa impossibilità che hanno sentito alcuni Ministri, come l’onorevole Einaudi, non era una difficoltà tecnica, ma mancava al Governo questa forza autoritaria, questo atto di fede. Quando questo si sia ben compreso, allora il piano implica un congegno, che non c’è, perché ci siamo trovati sprovvisti. Quelli che tornano da Parigi dicono che semplicemente per dire agli europei che cosa ci bisogna, è difficile raccogliere dati, perché non abbiamo un apposito congegno. Ora, questo congegno di cui abbiamo bisogno per il piano Marshall, ci occorre anche per il nostro piano. Il congegno va fatto. E non è da credersi che la nostra burocrazia sia poi disprezzabile: è stanca perché è passata attraverso prove straordinarie: il fascismo, la guerra e l’epurazione fatta male.
Un giorno il primo segretario della Camera dei Comuni, quello che porta la parrucca, mi diceva: «La nostra burocrazia in genere è buona, e adesso lavora; ma è stanca dopo la guerra». Ora la burocrazia dovrebbe essere la classe socialista per eccellenza, se conoscesse i suoi interessi. Io credo che questo congegno pianificatore sia possibile farlo. In che cosa consiste il piano? Darò qualche linea.
Prima di tutto in una coordinazione del piano interno e di quello estero. Su questo siamo tutti d’accordo; anche l’estrema destra è d’accordo che non si può andare a fare gli Stati Uniti di Europa senza un piano. Lo esigono gli stranieri. E necessario un piano, per usare utilmente i soccorsi americani. Questo non si può fare senza un piano: ce l’hanno detto in modo molto chiaro.
Poi, un programma industriale di precedenze, di specializzazioni, di produzione. Usare il ferro per fare vagoni e non «vespe» (vero, Quarello? tu te ne intendi più di me), usare cemento per fare case popolari e non case di lusso, le quali rendono di più al privato; usare vetri per fare occhiali e non «caramelle», anche se queste sono più eleganti.
Oggi nella produzione c’è tutto questo caos. Tutti producono «vespe», motociclette, telai per tessili: ecco, manca un piano. Io non credo che in queste linee generali ci sia qualcosa di misterioso. Anche noi laici possiamo vedere queste cose ed un piano non si fa soltanto con quattro tecnici chiusi in una stanza attorno a un tavolino: essi non l’hanno mai fatto.
Il credito. Ho sentito parlare da parecchi oratori della restrizione del credito. Il credito deve essere distribuito con criteri qualitativi, se no finisce automaticamente per aiutare la speculazione di quelli che fanno ad esempio il cinematografo, il quale rende immediatamente, e non per aiutare le industrie che rendono a lungo andare. Ci sono problemi che fin d’ora dovremmo affrontare con coraggio, perché essi rappresentano la bandiera attorno alla quale l’Italia può guardarsi dai moti inconsulti ed incomposti.
La riforma agraria, per esempio. Noi non l’abbiamo ancora impostata, oppure aspettiamo che i contadini occupino le terre per mandare la polizia; ma nulla si risolve soltanto con la polizia. Per attuare la riforma agraria ci sono delle misure semplici, moderate da prendere, misure che non devono far paura a nessuno, quelle stesse misure che l’amico Corsi ha descritto in un suo discorso. C’è un piano lungo e decennale, al quale io penso, ed è un piano tutt’altro che rivoluzionario, ma quasi conservatore: è il piano agrario danese, attuato nel secolo scorso e durato dieci o dodici anni. Esso fece meraviglie, trasformando un suolo arido e povero in un suolo che è stato chiamato «terra stillante latte e burro». È un piano che non può spaventare nessuno; infatti conserva la piccola e la media proprietà, ed è un sistema di convergenze, perché non si tratta di mandare dei contadini a grattare un po’ di terra che l’anno dopo non produce più nulla, né di dare le terre a barbieri o a proprietari i quali poi affittano le terre, ma si tratta di misure tecniche. Se noi fin da adesso facessimo il primo passo – si può sempre farlo – e se impostassimo la riforma agraria non ci sarebbe nulla di male. Sarebbe un’azione alla quale tutto il Paese starebbe attento, e tutta la propaganda si muoverebbe per essa. Il nostro Paese ha un buon numero di contadini e di rurali: vi è un milione e mezzo di braccianti ed un milione e mezzo di piccoli proprietari, il cui numero è destinato ad aumentare ancora. Sono sicuro che una grande attenzione si concentrerebbe su questo problema ed allora il pericolo dei moti inconsulti ed incomposti sarebbe facilmente eliminato.
Io sono meravigliato che il popolo italiano si sia mantenuto calmo in questi ultimi anni. Esso è così calmo da poter essere giudicato senz’altro il più calmo popolo del mondo. Altri popoli hanno dato luogo ad agitazioni ben più gravi. La nostra classe lavoratrice costituisce un esempio meraviglioso di calma. Impostate, dunque, la riforma agraria ed allora tutti lavoreranno.
Anche la scuola, per esempio, manca di pianificazione. Io sono poco sensibile, lo confesso, al pericolo delle scuole dei preti. Se sono buone scuole, io personalmente non avrei nulla in contrario a dare denaro ad una buona scuola di preti, o se diamo una laurea ad un prete che non ce l’ha, io non credo che caschi il mondo se questi insegna in una scuola ecclesiastica. Non sono tanto contrario a tutto questo, ma vi sono delle cose che lo Stato deve fare. Prima di tutto, il problema della scuola professionale, problema che è urgente ed importante. Se chiudiamo qualche ginnasio, poco male, perché ce ne sono moltissimi in Italia. Se del latino ne facciamo una lingua, rispettiamo il carattere liberale e aristocratico del latino, e quindi rendiamolo facoltativo per quelli che lo vogliono. Io appartengo a quelli che amano il latino, per esempio. Mi sono accorto che sono uno dei pochi che ricorda ancora a memoria Orazio. L’insegnamento del latino impedisce oggi a determinati giovani, di potere accedere alle scuole di primo grado. Per esempio, i periti industriali, dopo otto anni di studi, non possono fare gli ingegneri, perché non conoscono il latino, quel famoso latino che nessun italiano conosce. Io potrei citare un avvocato che mi elogiava la romanità delle poesie di Orazio Coclite! (Si ride). Non è una storia.
A Parigi ci hanno chiesto quanti disoccupati avevamo. Due milioni, è stato risposto. E quanti di questi operai sono qualificati? Centosessantamila, hanno risposto i nostri inviati a Parigi. Centosessantamila operai qualificati su due milioni di disoccupati!
Si deve impostare questo problema della scuola professionale. È un problema educativo che non costa niente, o quasi, ed è il momento di farlo, appunto perché non costa niente. Se non lo faremo adesso che non costa niente, non lo faremo mai. Vi è la mancanza di un piano, che è mancanza di fede. Abbiamo cambiato il nome del Ministero. Prima si chiamava Ministero dell’educazione nazionale (ottimo titolo, ma lo aveva messo il fascismo!) ed adesso si chiama Ministero della pubblica istruzione, cioè abbiamo preso di nuovo l’idea che il nostro corpo insegnante debba inculcare sapienza e dottrine nelle teste: l’algebra, la geometria, la trigonometria, la consecutio temporum, ecc. Il nostro studente è oberato da un eccesso di sapienza! Noi dovremmo dimezzare i programmi, e abolire gli esami di Stato. Anche se ciò dovesse aver dei difetti, la cosa più importante è di non trovarci davanti ad un disgraziato di 18 anni che deve sapere tutto lo scibile umano.
MARCHESI. Il piano dell’ignoranza!
CALOSSO. Non ho detto questo, onorevole Marchesi. Ho detto: metà programma, e fatto bene. E affidare l’esame a chi? Al più competente. Chi è il più competente? Il suo professore. Ma l’errore sta nell’avere, dopo un disastro ventennale, un Governo che non pone il problema educativo dinanzi alla Nazione. Questo mi pare qualche cosa di grave.
Prendiamo il problema militare: abbiamo avuto una tremenda sconfitta. L’Italia è diventata un piccolo Paese di fronte a Nazioni che sono continenti, come la Russia, come è l’America, che ha 48 Stati. Noi siamo grandi come uno Stato d’America. Ora questi problemi il Governo non li ha portati dinanzi a noi. Non ne sappiamo nulla. Non c’è un piano. Ne ho parlato con i generali e ho visto che avevano un’idea soltanto: «Il soldato italiano si batte sempre».
Quale rapporto c’è fra uomini ed armi? Con quali armi sarà difeso il petto di ogni figlio di madre italiana? Questi sono problemi di pianificazione e che devono essere portati dinanzi alla Nazione. Il Governo spende 50 miliardi divisi in 10 dicasteri che vanno del tutto dispersi in spese di ufficio, spese burocratiche.
C’è un ente assistenziale che spende il 90 per cento in spese di ufficio. Si potrebbe in Italia fare un piano Beveridge adatto all’Italia, più piccola. Basterebbe unificare l’assistenza e la previdenza e ciò sarebbe l’inizio di un piano Beveridge, che è un piano fatto da un liberale, ma è sostanzialmente socialista. Ecco per i liberali, caro Lucifero, un esempio di specializzazione. Potrei parlarvi anche di altri problemi. Perfino della radio, per dirne uno. La radio è anche essa una cosa da pianificare. Il Governo si è trovato in difficoltà. La benedetta politica, i partiti. Ora la radio è proprio una di quelle cose che fa pensare. Non si ha il diritto di fare politica dalla radio. Ora si è trovata in difficoltà la Democrazia cristiana, ed ha risolto il problema in un modo tipico: distruggendo la propaganda. Questa è stata la soluzione e mi pare che non sia la più felice.
Ora, ho cercato brevemente di dimostrare, così per accenni, come con l’anti-piano governativo non è che si risolvono i problemi; si crea una contradizione fondamentale. Ed allora la discussione politica, oltre ad essere fatta in ordine sparso, si riduce a che cosa? Non più ad un programma o ad un piano, ma ad una contemplazione della forza della propria maggioranza. Ma notate che la maggioranza non ha diritto di fare quello che vuole. Se noi proponiamo una legge buona, teoricamente dovrebbe essere votata; si ha l’obbligo morale di farlo e nei Parlamenti che funzionano questo è ammesso, almeno a parole; invece noi continuamente parliamo di questione di forza. Non ho mai sentito parlare tanto di rapporti di forza come in questa Assemblea, che mi pare assai debole, oppure squisitamente politica. Quante volte l’ho sentito dire: la politica è un male necessario, dice anche il Vangelo.
Anche stamattina, nel notevole discorso dell’onorevole Piccioni, ho sentito che egli ha enunciato, nei confronti del suo partito, la Democrazia cristiana, un concetto monastico, come di un ente che sta a sé; mi faceva pensare all’aquila del Paradiso di Dante, grande uccello formato di anime di santi, che cantano con una sola voce, con la voce di questo animale. Questo senso monastico di partito è in contradizione col soggetto, rappresentato, invece, dal programma. Anche se ci fosse una maggioranza assoluta da parte della democrazia cristiana, è chiaro che non si deve parlare semplicemente di questa forza, ma del piano a cui questa forza serve. Lo stesso difetto di eccesso di politica è proprio di tutti i settori. Anche l’onorevole Giannini, cosa ha detto? Non ha criticato il Governo, avrebbe dovuto lodarlo. Invece ha detto: voglio due posti. E non una parola di elogio al Governo.
Anche nei discorsi di Nenni e Togliatti, salvo qualche sfumatura, non si è sentito un programma. Più o meno, hanno detto che vorrebbero il tripartito di nuovo. Io, in questo momento, espongo invece un programma, espongo delle necessità (Commenti), espongo la sovranità del piano…
Una voce al centro. Ma non è un programma!
CALOSSO. Io ho semplicemente esposto la sovranità del piano e ho disegnato le linee direttive di questo piano…
Ora, da questa situazione, che a me pare non troppo savia, da questa impostazione dei problemi anziché su di un piano e su di un programma, su di un semplice rapporto di forze o di debolezze, cosa viene fuori? Una cosa molto tragica: il diciannovismo. Noi stiamo vedendo risorgere il diciannovismo, con facce non so se allegre o tristi. (Interruzione del deputato Togliatti).
Effettivamente, c’era allora un comunismo, il quale aveva un avvenire dinanzi a sé, non aveva ancora determinato certe evoluzioni rivoluzionarie che vennero dopo e quindi io, marxisticamente, ho seguito la traccia di allora. Ma mi riservo di rispondere dopo, su questo.
Quale è il diciannovismo in questo momento? Quali ne sono le prove? La paura del comunismo è un elemento importante, senza dubbio: il fascismo è nato dalla paura del comunismo. Sentimento gravissimo e deleterio, perché porta al fascismo.
Lo squadrismo c’è già, lo vediamo già qua e là. Io sono stato in Alta Italia, in qualche paese e ho sentito – con la sensibilità dei nervi – che lo squadrismo è là. I fenomeni avvenuti a Gorizia sono fenomeni di squadrismo e di nazionalismo di tipo post-fiumano, che hanno proprio i tratti del nazionalismo; perché che cosa hanno fatto? al massimo, possono dire di aver copiato il nazionalismo di Tito; è insieme questa una altra prova grandissima di nazionalismo; è il nazionalismo della sinistra che sempre più cresce: uno è rosso, l’altro più rosso ancora, questo è più socialista di quello. Questa è una malattia tremenda del socialismo.
Pensate un po’ infatti se nel 1919 ci fosse stato uno che fosse sorto a dire la verità, come un profeta. Ora, io sento che ciò vive ancora oggi. L’opposizione che ho sentito nei discorsi, dell’onorevole Nenni e dell’onorevole Togliatti non mi pare si possa chiamare opposizione, salvo forse qualche aspetto marginale. Mi pare infatti che quello che essi hanno detto sia, più o meno, sullo stesso piano di argomentazione dell’onorevole De Gasperi; i loro discorsi non sono molto diversi.
Io ho qualificato l’onorevole De Gasperi come l’esponente di un fondamentale scetticismo: ora, stando ai limiti che ci siamo imposti, siete anche voi degli scettici. Voi avete detto: vogliamo questo; siamo innamorati di questo; vogliamo il tripartitismo. Ma questo è scetticismo, questa è mancanza di fede in un programma vostro. (Commenti a sinistra).
È da notarsi infatti che un piano oggi è tutt’altro che una burocratizzazione: un piano oggi è l’avventura del mondo moderno il quale, dopo le dittature, è andato in cantiere per costruire il socialismo con il metodo della democrazia.
È un metodo pieno di difficoltà, perché non ha la facilità degli stati di assedio di cui si servono le dittature; ma, se riuscirà, ci condurrà in porto senza spargimenti di sangue ed infatti meno sangue si sparge e più e meglio la pianificazione si farà. Questa è l’avventura del mondo moderno.
Ma se noi non riusciremo ad interessare il Paese per questo piano di cui ho parlato, che cosa avremo allora? Inevitabilmente avremo un ritorno al 1919. Dal governo al potere: non siamo noi forse sullo stesso piano?
È in atto una guerriglia che non riesce ad essere guerra, perché la guerra richiede oggi gli eserciti. È un massimalismo come lo era allora; e non dimentichiamo che il massimalismo, il vero massimalismo, è quello di Mussolini.
Ha detto molto bene ieri l’onorevole Giannini che Mussolini era socialista, ed infatti i traditori si trovano soltanto dove è la verità.
Ma, a parte il fatto che noi non siamo più mussoliniani, quando uno mi dice: ma prima era un grande, era un vero socialista, quando usava le belle frasi, quando parlava di marxismo ogni tre minuti e di lotta di classe ogni cinque, allora io rispondo che è proprio lui l’inventore del massimalismo; è lui che abbiamo ancora nel sangue, purtroppo, e in quel senso che ho detto…
VERNOCCHI. Non è questo il massimalismo!
CALOSSO. Caro Vernocchi, tu hai inventato la parola «duce»; l’ho letto su un giornale (Ilarità), non è per te.
A Ludwig Mussolini diceva: «Io sono stato socialista, e lo sono ancora» – bel senso che egli intendeva, appunto… (Commenti a sinistra).
Una voce al centro. Mettetevi d’accordo.
CALOSSO. Noi dobbiamo rinnegarlo totalmente, e quello del 1914 e quello del 1919, perché è il temperamento massimalista di Mussolini che è sbagliato e che ci ha portato alla rovina. Anche le folle. Chi non ha visto le folle attorno a Mussolini: massimaliste e sinistre. La folla in sé non trova niente; anzi, come folla, è sempre sinistra, è la naturale complice del tiranno: bisogna che essa diventi popolo attraverso l’organizzazione. Io trovo in alcune folle segni di un’eredità fascista. E lo dico, quando mi è permesso, e lo riconosco. Questo è vero, naturalmente, che noi vogliamo rendere migliore la classe lavoratrice, e la folla stessa, da cui essa profondamente si diversifica. Perciò vogliamo appoggiarci alla classe lavoratrice (Commenti a sinistra), che ha subito tante sconfitte, fin dall’epoca dei Ciompi. Abbiamo visto nel 1919 cos’era. Noi vogliamo salvare la classe lavoratrice, e credo che finiremo per farlo. E in primo luogo, certamente, noi vorremmo garantire che non si rompa quel patto tra le classi lavoratrici, in cui è la saldezza stessa della classe operaia. Noi vogliamo che falce e martello e libro collaborino insieme senza demagogia; e crediamo che in questo modo anche la paura comunista, che è una paura diciannovista in questo momento, possiamo tenerla lontana: e questo è il servizio di amici, di compagni che noi possiamo fare.
Il discorso di Togliatti, sempre fino – come è sua abitudine – era in complesso vero; e non ho esitato ad accettarlo tutto. Tutta la base di eroismo che è dietro di lui, dietro il suo partito, nessuno può negarla, perché se noi abbiamo avuto tanti martiri come Matteotti, innegabilmente i comunisti ne hanno avuti molti di più, e nella guerra di liberazione e nella guerra di Spagna, che ne è stata l’antefatto, e nella quale si sono formati i quadri della guerra di liberazione. Essi nella guerra di liberazione sono stati di gran lunga i primi.
Questo è il grande fatto, per cui, anche quando Togliatti dice qualche bugia – e io ne citerò qualcuna fra poco – noi non dimentichiamo mai questo grande primato di eroismo che hanno i comunisti, e che nessuno può dimenticare. Ora, che cosa ha detto Togliatti? Cose molto interessanti, come è sua abitudine.
Egli ha parlato di quello che è il programma comunista da parecchi anni, ha parlato dell’unità, dell’unità che essi hanno contribuito a dirigere, ha parlato dell’autonomia nazionale, accettata addirittura dall’epoca dello scioglimento del Comintern durante la guerra; ha parlato di patriottismo, che personalmente Togliatti sente profondamente, e lo posso testimoniare io, suo antico compagno di scuola: è un patriottismo che non è una finzione. Non c’è dubbio. E poi ha parlato della democrazia, di quella democrazia nelle fabbriche, per cui è giusto tenere dei comizi politici perché le fabbriche sono i luoghi di nascita della democrazia moderna; ed ha parlato dei giornali murali, che sono anch’essi nati nel luogo di nascita della democrazia. Sono parole meravigliose.
Dov’è dunque il rilievo che noi gli facciamo? A noi pare che dalla liberazione ad oggi i comunisti – siano stati coscienti o no – si siano allontanati da questo concetto di unità patriottica, di partito nuovo (perché tutti i partiti hanno visto che sui vecchi schemi prefascisti, prebellici, non si vive). Ora, non so se se ne siano accorti, sono arrivati al punto che la loro politica è capovolta, in contrasto, perché la politica attuale è fatta di blocchi. (Commenti a sinistra). Prima di tutto, verso le sinistre autonome, che essi volevano che fossero identiche a loro. Infatti erano così. Qualcosa di diverso dal comunismo, e lo vedremo…
Una voce all’estrema sinistra. Nei Comitati di liberazione noi abbiamo sempre mantenuta la nostra caratteristica e la nostra autonomia!
CALOSSO. Vedremo anche questo, e tu mi applaudirai, te ne do il permesso. Voi avete sempre insidiato la sinistra.
TOGLIATTI. Lo dimostri.
CALOSSO. In secondo luogo, anche adesso voi lasciate tranquilli i qualunquisti e disturbate i comizi nostri. (Interruzioni all’estrema sinistra).
Il concetto di democrazia è stato finemente e delicatamente esposto da Togliatti, dal quale non avevo mai sentito accennare al rispetto delle minoranze ed egli, come ha detto un interruttore, ha parlato con la delicatezza di una vergine.
Ma sarebbe difficile credergli; anche se lui lo giurasse, sarebbe difficile.
Non vi è democrazia in un regime dove non sia possibile una minoranza. Ci può essere una dittatura… ma allora si chiama dittatura, non democrazia. Voi avete il diritto di lottare per la verità, ma non potete parlare di democrazia.
TOGLIATTI. Perché?
CALOSSO. Perché non è nei vostri metodi.
TOGLIATTI. Lo dimostri.
CALOSSO. Ma io l’ho già dimostrato, o almeno ritengo di averlo dimostrato. Ma se proprio mi vuol tirare per i piedi io sostengo che secondo il marxismo…
TOGLIATTI. Secondo il marxismo non c’è dittatura.
CALOSSO. Vedete in Russia, per esempio. Perché non esiste in Russia un partito come quello socialista dei lavoratori italiani? (Si ride). O anche un partito socialista? Non so perché in Russia non abbiano fondato un partito socialista.
Eppure gli appartenenti al nostro Partito socialista italiano credono che il loro sia il partito migliore. E perché non sono andati mai a portare la loro fede in Russia? (Si ride).
Sta di fatto che in Russia, nonostante che le classi siano sparite, c’è una forte polizia che taglierebbe loro la testa. (Interruzioni – Commenti). Questa è la verità, nuda e cruda.
Anche nel problema religioso il Partito comunista è arrivato lontano da dove era partito. Pochi giorni fa aveva scelto la data del 20 settembre…
TOGLIATTI. Non l’abbiamo scelta noi.
CALOSSO. Già, l’avete accettata. Voi non fate nulla: sono i socialisti che fanno tutto. (Ilarità).
TOGLIATTI. È Scelba che ce l’ha indicata. (Si ride).
CALOSSO. Effettivamente io credo che il 20 settembre dovrebbe essere una festa ecclesiastica, una festa dell’Azione cattolica. (Si ride).
SCOCCIMARRO. L’ha consigliata Scelba, perché attendeva la rivoluzione.
PRESIDENTE. Non interrompano, facciano silenzio!
CALOSSO. Il patriottismo non è stato nel Partito comunista uno degli accenti più originali, contrapposto alla vecchia tradizione. Ma a un certo punto il comunismo si è imbattuto in alcuni problemi nazionali in cui la sua mancanza di autonomia ha fatto sì che non potesse dire nemmeno una parola.
TOGLIATTI. Ma faccia il piacere!
CALOSSO. Provi a dire una parola contro la dittatura di Tito! (Applausi al centro – Proteste all’estrema sinistra).
Onorevole Togliatti, lei è intimamente un patriota e ritengo abbia dei dolori segreti.
Se una provincia italiana viene strappata al nostro Paese voi siete in piena corsa di patriottismo. Dovete ammettere, però, che in quell’impeto meraviglioso di patriottismo, persino esagerato, dinanzi al popolo istriano siete diventati talpe.
TOGLIATTI. Non è vero!
CALOSSO. Ritengo che questo sia stato un cattivo servizio reso alla Russia. Io ho già parlato dell’Inghilterra…
TOGLIATTI. Non mi interessa l’Inghilterra.
CALOSSO. Lo credo. Io mi sono sempre battuto in Inghilterra e in Italia.
PAJETTA GIULIANO. Non faccia l’eroe, onorevole Calosso. (Commenti).
PRESIDENTE. Vorrei ricordare a tutti qual è il tema di questa discussione. Ogni interruzione porta lontano dall’argomento. Facciano silenzio e permettano che si prosegua.
CALOSSO. Tanto, questa posizione mi pare poco sincera, falsa e demoralizzatrice per il popolo italiano, per la classe operaia, ed è persino un cattivo servizio reso alla Russia. Io ammetto – basta vedere la carta geografica – che la Russia ed i Paesi posti al di qua del mondo germanico siano occidentali; ma non è un fatto importante. Le ideologie non debbono influenzarci. Il mondo latino e slavo non si toccano in nessuna parte se non nella Venezia Giulia; quindi, è interesse nostro di cercare di smussare ogni attrito fra loro.
Penso che sia un errore della Russia andare incontro al nazionalismo o meglio al provincialismo iugoslavo. Non so se l’onorevole Togliatti si sia detto in segreto queste parole. È per un fatto di provincialismo che questo popolo slavo staccato dagli altri slavi ha creato fra noi e gli slavi questo punto di attrito mentre bastava a risolverlo una linea etnica, un plebiscito, e questo, mi pare socialismo al cento per cento, una decisione nazionale. Non essendosi fatto, io avrei creduto che sarebbe stato nostro dovere batterci per questo. Togliatti, che è stato in Russia ed ha amici laggiù, poteva battersi per questo. L’avrà fatto in segreto, ma non averlo fatto in pubblico ha demoralizzatogli italiani ed ha creato un abisso. Per queste ragioni noi cerchiamo di criticare questo sciocco imperialismo provinciale slavo. Il nostro imperialismo ha creato la sconfitta; quello slavo invece ha creato una linea di divisione ed una testa di sbarco anglo-americana: ecco quello che Tito ha determinato. Se noi avessimo protestato – non so se saremmo riusciti – per lo meno non avremmo demoralizzato il Paese inducendolo a farci indicare come traditori. Perciò la classe lavoratrice è oggi circondata: lo si deve a questa politica slava. Se nel campo internazionale siamo di fronte a questi due blocchi e dobbiamo toglierci il cappello e prendere ciò che gli altri ci danno – e se la Russia ci desse del grano lo prenderemmo – questo è frutto della politica di Tito. Voi avete dato la sensazione di chiamare imperialista soltanto un blocco, mentre lo sono tutti e due. (Interruzioni a sinistra). Sapete che i russi hanno deportato dai loro paesi 13 milioni di lavoratori tedeschi con le donne e i bambini: non lo volete chiamare imperialismo? Chiamatelo babilonismo, chiamatelo come volete! (Approvazioni al centro e a destra).
Una voce all’estrema sinistra. Se fosse andato a Mauthausen, non la penserebbe così.
TOGLIATTI. Vada a visitare Auschwitz!
CALOSSO. Si sono deportati 13 milioni di lavoratori tedeschi, con mogli e bambini perché i tedeschi hanno commesso delle crudeltà ed hanno fatto altrettanto in Russia.
TOGLIATTI. Come, «altrettanto»?
CALOSSO. Perché i tedeschi hanno fatto infinite crudeltà ed assassini in Russia; ma noi abbiamo sempre sentito dire, tra socialisti, che la guerra è un atto che non compie il popolo e del quale non è certamente responsabile la classe lavoratrice, e quindi non si può opprimere un popolo per il fatto che esso ha oppresso. Si deve liberarlo: questo è chiaro, altrimenti siamo nel campo dell’imperialismo puro. Questo era il motivo del «diciannovismo» ed è il pericolo che corriamo adesso. Lo vediamo in quest’Aula dove non riusciamo a mandare un saluto ai lavoratori tedeschi deportati dalle loro case. (Interruzione del deputato Moscatelli). Il martirio russo non può trovare vendetta contro il popolo ed i lavoratori tedeschi.
TOGLIATTI. Non è vendetta, è precauzione! (Commenti al centro e a destra).
CALOSSO. Comunque, io concludo. Mi avete tirato per i capelli ed ho dovuto rispondere. Questo è il nostro socialismo, questa è la nostra bandiera. (Interruzioni all’estrema sinistra). V’è nel mondo la sventura dell’Italia e la sventura del mondo, e noi speravamo in una rivoluzione proletaria, nell’internazionalismo. (Interruzioni all’estrema sinistra). Disgraziatamente abbiamo visto invece che, ad un certo punto c’è stata un’involuzione, come l’ha avuta la rivoluzione francese. Perciò, sentiamo qual cosa di invecchiato, e vediamo una massa di organizzati costretta sempre più a basarsi sull’organizzazione.
La rivoluzione, che non è necessariamente violenza e sangue, ma un cambiamento, è essenzialmente verità. «Ciò che è sussurrato all’orecchio, andatelo a gridare sui tetti», ha detto un grande rivoluzionario, noto anche ai nostri amici democristiani. Quando c’è una reticenza, quando c’è un eccesso di ipocrisia, quando si tace qualcosa volontariamente, non è mala fede; è qualcosa di più, è, in fondo, inizio reazionario. (Interruzioni all’estrema sinistra).
Il mio discorso ha voluto dire semplicemente che nel piano del Governo e dell’opposizione io ho l’impressione che l’opposizione l’abbiamo rappresentata noi. (Ilarità a sinistra). Noi abbiamo opposto all’antipiano del Governo la sovranità di un piano, perché noi crediamo che questo debba essere il soggetto di una discussione armonica e perché noi crediamo, come ho già detto, che il piano sia una grande opera moderna e sia la possibilità di costruire il socialismo, o almeno una migliore società, col metodo della democrazia. (Applausi a sinistra – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bruni. Ne ha facoltà.
BRUNI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, non del tutto d’accordo con l’opinione espressa questa mattina dall’onorevole Piccioni, ma d’accordo molto più con tanti di voi, sono del parere che l’esperimento democristiano sia durato abbastanza perché il Paese e l’Assemblea si possano già sentire autorizzati ad emettere su di esso un giudizio sufficientemente oggettivo, al di sopra delle preoccupazioni ed ire di parte. Avversandolo al suo sorgere fui, purtroppo, facile profeta nel prevederne tutti gli inconvenienti, ai quali sarebbe andato incontro. Oratori che mi hanno preceduto hanno toccato in vario modo, e spesso con dovizia di dettagli, tutti i motivi di opposizione; cosicché a me, anche perché isolato, non conviene davvero tediare l’Assemblea con un lungo discorso.
Questo mio intervento sarà, perciò, brevissimo; e poiché la risposta del Governo ai suoi oppositori, non potrà mutare sostanzialmente, anche in seguito, i termini fondamentali della opposizione, come non li ha mutati sinora, questo mio intervento, oltre alla brevità di una dichiarazione di voto intende averne anche il valore.
Posto di fronte a tre mozioni (amerei trovarmi di fronte ad una mozione unificata) che tutte tendono a rovesciare il Governo ed a sostituirlo con un altro più rappresentativo delle esigenze popolari, dichiaro che le voterò, eventualmente, tutte e tre successivamente (caso mai tutte e tre fossero messe ai voti) pur dovendo riconoscere che, per essere più comprensiva, la mozione Canevari-Saragat ha le mie preferenze. Ma ciò dichiarando sono ben lontano dall’approvare, in tutte le sue parti, la illustrazione che della sua mozione ha fatto l’onorevole Saragat.
Sono d’accordo con l’onorevole Saragat nel riconoscere che anche l’Italia avrebbe urgente bisogno di un suo piano economico, piano – desidererei precisare – che contemplasse la realizzazione di profonde riforme di struttura. Senonché, in questo momento, non insisterei tanto sopra i grandi piani quanto sopra un chiaro programma di emergenza che possa raccogliere l’adesione di più gruppi di questa Assemblea, il che permetterebbe il rapido sbloccamento del monopolio democristiano e la formazione di un Governo di concentrazione e di pacificazione, che ci possa portare sino alle elezioni.
Non posso, invece, condividere le responsabilità dell’onorevole Saragat per l’attacco contro il Partito comunista italiano che egli ha creduto opportuno di includere nella illustrazione della sua mozione di sfiducia.
Il meno che si può dire a tale riguardo è che questo è un lusso che qualsiasi partito socialista non dovrebbe prendersi in questi momenti nei quali è in pieno svolgimento, da parte del mondo capitalistico, la più grandiosa offensiva contro il socialismo, che ricordi la storia della lotta di classe dell’Ottocento e del Novecento.
Con tutta franchezza dirò che non mi piacciono affatto le querele contro i comunisti che raccolgono gli applausi delle destre e del centro.
Sono del parere che coloro che si mettono nella condizione di raccoglierli, anche loro malgrado, corrano gravemente il rischio di liquidarsi come costruttori di socialismo.
Dio perciò non voglia che al suo appuntamento dato alle masse lavoratrici, l’onorevole Saragat veda un giorno accorrere soltanto l’esercito umiliato e vinto del proletariato arresosi senza condizione di fronte ai detentori dell’oro.
A questo punto non vorrei essere frainteso; ma mi creda l’onorevole Saragat e mi credano tutti i compagni del suo partito. Non è questo il tempo di diatribe tra le varie correnti socialiste, quando è in corso la più grande provocazione contro tutto il socialismo che la storia ricordi.
È meglio, assai meglio, oggi come oggi, meritare la persecuzione ed anche perire assieme ai comunisti che tenere atteggiamenti che possano aiutare a ricalcare il dominio capitalistico.
Chiariti questi preliminari, farò un semplice, affrettato elenco dei fondamentali punti di dissenso che mi portano a negare il voto di fiducia all’attuale Governo.
Sul piano nazionale questo Governo monocolore, che nacque in polemica contro la inefficacia dei precedenti governi multicolori, come ce l’ha riconfermato questa mattina l’onorevole Piccioni, nonostante la sua vantatissima coesione di pensiero e di struttura, non mi pare sia riuscito, non dico a risolvere, ma ad avviare verso la soluzione uno solo dei più urgenti problemi che tormentano il Paese.
La situazione del Paese, anzi, è notevolmente peggiorata. Il Governo, per difendersi da questa accusa, tenterà probabilmente di manovrare alcune cifre statistiche; ma si troverà, senz’altro, imbarazzato a toccare quelle relative al costo dei generi di prima necessità, come mi pare abbia confermato da pure accurata e dotta relazione dell’Alto Commissario per l’alimentazione.
Forse al professor Ronchi non potranno essere mossi addebiti se un maggior numero di tonnellate di grano non venne scaricato nei nostri porti. Ciò che noi rimproveriamo soprattutto al Governo è che esso non sia ancora riuscito a combattere efficacemente il mercato nero che in altre nazioni, non più rifornite della nostra, è stato definitivamente, o quasi, stroncato.
Purtroppo il Governo non è riuscito, ripeto, con tutti i poteri a sua disposizione e nonostante la sua struttura unitaria, ad imprimere una qualsiasi disciplina alla produzione, alla circolazione, e al consumo dei beni di prima necessità. In questo terreno le cose sono andate peggiorando.
È andata aumentando la corruzione ovunque; è aumentata la speculazione e il disordine. La fuga di capitali all’estero è aumentata e costituisce una delle cause maggiori del nostro disordine finanziario.
Il disagio popolare è da tempo che va esplodendo ovunque, in agitazioni e scioperi di cui a mio parere troppo a cuor leggero si cerca far ricadere la colpa sopra artificiose inframettenze politiche. Gli indici della vita parlano purtroppo chiaro a questo riguardo; e, comunque, il Governo democristiano ha avuto il torto – che non è davvero piccolo –, con l’assumersi tutto il potere, di mettersi in posizione polemica contro le convinzioni politiche di una grande parte delle masse popolari, tra le più evolute ed attive, che sono quelle socialiste e comuniste.
Non è il Partito democristiano, con il suo interclassismo, con il suo centrismo, con tutte le sue incertezze, che può pretendere di riassorbire, per così dire, le esigenze, politiche e sociali, delle masse socialiste e comuniste.
Prigioniero, nonostante le pie intenzioni di autonomia dell’onorevole Piccioni, delle destre, in seno al Gabinetto ed in seno all’Assemblea; costretto a sopravvivere giovandosi dei voti di chi anche cordialmente e pubblicamente lo disprezza, questo Governo, come a suo tempo riconobbe lo stesso onorevole Presidente del Consiglio, si è condannato, fin sul nascere, all’isolamento. E non si può ascrivere a suo merito questo isolamento, che non è davvero una splendid isolation, di cui possa comunque menar vanto, ma una semplice ed ingenua pretesa, morale e politica, di poter governare proficuamente da solo un Paese come il nostro.
È mio parere che l’onorevole De Gasperi si sia rassegnato troppo facilmente a prescindere dalla collaborazione delle varie correnti socialiste, che sono, nel momento attuale, una delle più sicure garanzie di giustizia sociale anche per moltissimi lavoratori cattolici, che non dànno la loro fiducia né al suo Governo né al suo partito.
Tale esclusione – e conviene insistere su questo punto che è cruciale nell’attuale momento politico – costituisce un fatto grave, che ha provocato nel paese – e non poteva non provocare – una estrema tensione di spiriti, particolarmente giustificata quando si rifletta che il Governo detiene quasi integralmente nelle sue mani anche il potere legislativo in forza del famoso decreto luogotenenziale del febbraio 1946.
Nella delicata situazione costituzionale creata da questo decreto, un Governo monocolore al potere diviene, ipso facto, pressoché totalitario. Il solo controllo di una qualche efficacia, ma tuttavia insufficiente e facilmente eliminabile, è quello che può esercitare su di esso l’apparato burocratico.
Vecchio critico dell’esarchia e del tripartito, devo però riconoscere che ben altre garanzie di democrazia, in questo periodo di passaggio delle nostre istituzioni, ci venivano sino a qualche tempo fa assicurate dai Governi tripartitici o quadripartitici che fossero, i quali certamente erano rappresentativi di una massa ben altrimenti notevole di elettori e di tendenze.
Il Governo monocolore, inserendosi – e qui è il punctum saliens e il punctum dolens della mia critica – in questa situazione di grave carenza costituzionale, non può raccogliere la fiducia, onorevoli colleghi, di veri democratici.
Anche i democristiani, onorevole Piccioni, non sono dei santi, e neanche essi possono pretendere ad una patente di perfetto spirito democratico: e a fare le elezioni con loro soli al potere nessuno se la sente.
E perciò non vedo come potrebbe meritare una qualsiasi sanzione morale ogni forma di agitazione che si manifestasse anche fuori di quest’Aula, diretta a rovesciare l’attuale monopolio democristiano.
Tanto più che questo monopolio è particolarmente pericoloso nell’attuale situazione di tensione internazionale e potrebbe trascinare il Paese ad assumere atteggiamenti e decisioni di carattere irreparabile.
Questo Governo, sul piano internazionale, nacque con un’esigenza blocchista – venne concepito oltre oceano dall’onorevole De Gasperi – e sin qui ha operato in funzione di questa sua nativa esigenza, mettendo così in pericolo, a mio parere, i veri interessi del Paese, che sono quelli della più assoluta neutralità tra i due blocchi, e quelli di mediazione tra Occidente e Oriente.
In questo Governo monocolore non ho potuto sorprendere nessun gesto che potesse dinotare una politica di indipendenza, e che potesse scoraggiare chi si sia ad averci al suo fianco in caso di conflitto armato.
Quando l’onorevole Nenni toccò questo problema della nostra indipendenza politica, egli fu insolitamente prudente.
Egli ammise che il Governo potesse fare una politica verso ed anche con l’America, ed escluse in modo assoluto che l’America pretenda da noi una politica dell’America. La realtà, che nessuno ignora qua dentro e che nessuno ignora in America, è che l’America subordina i suoi aiuti in viveri e materie prime al nostro Paese, ad alcune determinate prestazioni politiche, nonché – naturalmente – alle maggiori possibili garanzie di carattere economico-finanziario. Se non sapessi di sfondare una porta aperta, vorrei pregare l’onorevole Nenni di leggere le dichiarazioni del senatore Taft proprio di questi giorni.
Mi vorrei tuttavia convincere, per il bene del mio Paese, di quanto l’onorevole Nenni ha affermato; e, con tutta franchezza, dirò che l’ingerenza americana nella nostra politica potrebbe avere un indice di sopportabilità qualora vedessi, all’attuale Governo, succedere un altro di concentrazione repubblicana e socialista che, bene inteso, non escludesse i comunisti.
Concludendo dirò che il Partito democratico cristiano, per gli interessi di ordine materiale ai quali si trova legato ed anche per una falsa impostazione pratica (e forse anche teorica) della crociata ideologica per cui intende combattere, è impotente, senza il freno ed il controllo attivo di altre correnti, a riportare il Paese sulla giusta strada, ed impari, se non sorretto e spronato e controllato direttamente da altri gruppi, ad adoperarsi per i veri interessi della Nazione e della pace, e per l’avvento di un vero ordine umano e cristiano, per il quale pur afferma di combattere.
Legato a massicci interessi di varia natura il Partito democratico cristiano è nel suo assieme impari, nonostante la presenza nel suo seno di autentiche anime evangeliche, ai compiti cristiani dell’ora che reclamano virtù eroiche di rinuncia e di coraggio.
Per tutte queste considerazioni voterò contro l’attuale sua posizione di monopolio al potere, come voterei contro ogni altro monopolio. (Applausi a sinistra – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.
NITTI. Poiché tutti gli argomenti in lungo e in largo sono stati trattati, io cercherò, senza divagare, di limitarmi alle comunicazioni del Governo. Sui motivi peraltro, che sono lo scopo dei proponenti la mozione lascio tutte le tesi che all’infuori di questo argomento sono state trattate.
Lascio anche da parte le discussioni se un popolo può morire o no, se la nostra civiltà sia socialista. Si è discusso seriamente se in questi periodi di grandi difficoltà e di grandi ansie sia meglio che economizzare, consumare di più e non risparmiare. Sono questi argomenti di indole generale in cui non mi sento il coraggio di entrare.
Noi siamo stati finora sotto il Governo del tripartito, e si è andati avanti per molto tempo fra uomini che erano di partiti opposti e che dovevano avere o mostrare di avere idee comuni. Si è prodotta qualche volta come una fusione di idee contrarie: ma più spesso un’azione disordinata in cui le due correnti nella realtà si paralizzavano, combattendosi, dopo pubbliche dichiarazioni di solidarietà.
Ho sentito sostenere perfino la tesi che il comunismo e il cristianesimo hanno la stessa morale e la stessa funzione, ed ho cercato invano di protestare contro questo errore storico e filosofico.
C’è stato anche l’equivoco di una specie di comunismo cattolico, per l’occasione, in cui si sono sostenute le tesi del cattolicesimo da scrittori e da oratori di natura contraria, soprattutto democristiani. Il Governo a base di unione di partiti in contrasto fu chiamato dai comunisti, non so bene perché, democrazia progressiva.
Dopo il viaggio dell’onorevole De Gasperi in America è avvenuta una mutazione di idee. Fra l’onorevole De Gasperi e i suoi avversari di oggi vi era stata molta cordialità. Avevano governato insieme, partecipato agli stessi errori e non pareva che il distacco dovesse essere così profondo e completo, e anche avvenire improvvisamente.
Pure il distacco era inevitabile, e siamo arrivati ad una crisi (non parlo di crisi ministeriale), siamo arrivati ad una crisi della situazione la quale deve essere chiarita.
Sinora si è andati avanti come si poteva: democristiani e comunisti, che hanno governato insieme, si sono abituati a vivere insieme – ciò che pare un paradosso – e ora il distacco pesa.
Nella mozione dell’onorevole Nenni come nella mozione dei comunisti non c’è l’attacco violento: c’è qualcosa come un dolce rimpianto di compagni che si distaccano. Si è troppo governato insieme. Non poteva durare questa comunanza, ma quando si è stati a lungo insieme non ci si distacca volentieri.
L’onorevole De Gasperi ha chiarito forse molte idee sulla situazione internazionale. Egli ha voluto dare alla nuova situazione un carattere che era evidentemente dato dal corso degli avvenimenti, di necessità.
Ora vi sono due punti fissi che regolano la situazione attuale. Non si può fare un grande Governo, un Governo solido, senza i democristiani. Non si può fare a meno, per la vita internazionale, dell’aiuto dell’America: sono due punti di fatto in cui bisogna orientare la situazione per riconoscerla com’è.
In fondo non è vero che i democristiani, come diceva l’onorevole Piccioni, sono la grande maggioranza del Paese. Noi non sappiamo ora quali sono le idee e i sentimenti del Paese. Nelle ultime elezioni generali politiche, vi sono stati 207 deputati del partito democristiano e 219 socialisti e comunisti. Quindi si può riconoscere che il partito democristiano è numericamente il più forte e il più saldo. Ma non si può dire che abbia la maggioranza nel Paese. Questo è un dato di fatto su cui è impossibile avere opinione diversa.
115 socialisti, 104 comunisti: erano il nucleo più numeroso; i democristiani rappresentavano un gruppo compatto di 207 voti che era però, sia pure di poco, meno numeroso del blocco rosso.
Il blocco rosso si è rotto. Di là è venuta tutta questa confusa situazione. Il blocco rosso si è diviso in due parti: una più moderata, l’altra aderente ai comunisti. Che cosa sarà ora la situazione? Noi non sappiamo. Le prossime elezioni amministrative in grandi città possono bensì darci una qualche impressione della realtà, ma non possono forse dirci tutto, perché nelle prossime elezioni amministrative entreranno molti elementi che sono anche spesso un poco distanti dalla realtà politica.
Quindi siamo sempre nella solita situazione: due blocchi, uno rosso e uno bianco. Ma il blocco rosso si è scisso, e la parte che poteva essere di moderazione e che poteva essere, per i comunisti e i socialisti più avanzati, un freno, si è allontanata.
Come ciò sia avvenuto voi conoscete assai meglio di me, dalla cronaca. Dunque vi sono adesso socialisti e comunisti separati fra loro. Ma i socialisti, divisi in due pezzi, rappresentano tendenze diverse e, vorrei dire, opposte. Vi sono i socialisti di Nenni, che si uniscono nel loro voto e nelle loro aspirazioni, se non in tutto, in una certa parte ai comunisti; e vi è un gruppo che fa capo all’onorevole Saragat che agisce in diversa direzione. L’onorevole Saragat ha dichiarato il suo pensiero in un ordine del giorno con un linguaggio aspro contro il Governo e ancora più duro degli ordini del giorno degli onorevoli Nenni e Togliatti. L’onorevole Saragat ha negato esplicitamente la fiducia e ha, non già formulato, ma lasciato intravedere un programma senza nulla precisare. Quale è questo programma? Egli l’ha formulato in aspirazioni non in idee, in affermazioni non in proposte concrete. Quale è la sua tesi che noi dovremmo accettare? Un Governo a direzione socialista. Un Governo dunque a direzione socialista che rappresenti l’elemento di moderazione, che possa unire il mondo dei lavoratori senza avere un carattere rivoluzionario.
Che cosa significa un Governo a direzione socialista? La direzione implica che i componenti siano della stessa natura di chi vuole dirigerli. Ora, se il partito dell’onorevole Saragat aspira a un Governo, deve avere un gruppo compatto, ma soprattutto, data la situazione attuale, uomini di altri partiti che siano disposti ad accettarne le idee e il programma. Ora, ciò è possibile? Che significa un Governo a direzione socialista? Parliamo con sincerità e non creiamo altri equivoci. «Socialismo» è una parola spesso indeterminata e imprecisa. È un sostantivo cui bisogna aggiungere quasi sempre un aggettivo. Comunismo è parola antica e ha avuto sempre lo stesso significato, sia pure con diverse interpretazioni. Socialismo è parola nuova inventata da Owen. Socialismo, voi lo sapete, è parola diffusa press’a poco un secolo e mezzo fa in Europa. Anche i grandi dizionari, due secoli fa non contenevano la parola «socialismo». Che cosa significa socialismo? È difficile dire.
Vuol dire non già una idea economica definita, ma una idea di solidarietà, una aspirazione di ordine morale: ciò almeno voleva dire quando nacque. E ora che cosa vuol dire? La sua indeterminatezza lascia posto a tutte le migliori aspirazioni, ma spesso anche a tutti gli equivoci. Si può arrivare al comunismo, ma anche spesso, come ora, all’anticomunismo.
A Vienna, nel mese di agosto del 1914 doveva essere fatto un grande congresso internazionale socialista. Si voleva dare all’avvenimento la più grande importanza. Doveva essere la più grande consacrazione delle tante vittorie socialiste in Europa. Si prepararono grandi pubblicazioni sulla storia del socialismo, sulla sua situazione in tutti i paesi civili, sulle sue opere, sulla sua organizzazione economica. Si fece un album dei grandi capi del socialismo: era composto di 50 fotografie. Ora quell’album è introvabile: è una pubblicazione che non ho avuto il piacere di ritrovare fra i miei libri sperduti. In questo album dei grandi socialisti, vi era Pilsudski e vi era perfino Mussolini. Il socialismo ha avuto molte mutazioni in questo periodo, ma è rimasto sempre una tendenza generale e rappresenta un orientamento dello spirito piuttosto che una precisa dottrina economica. In ciò è la sua forza, ma è anche spesso la sua debolezza. Basti pensare a quello che era la prima internazionale socialista con Marx e con tanti poveri emigrati e perseguitati, tutti uomini che vagavano nel mondo in cerca di sicurezza, se non di fortuna. E basti poi pensare che cosa è stata la seconda internazionale socialista, presieduta dal mio ottimo amico Vandervelde. Nella seconda internazionale era gran numero di Ministri in carica, sopra tutto del Nord di Europa, di ex Ministri, di futuri Ministri, e ben pochi di essi ricordavano nella loro azione e nelle loro manifestazioni i socialisti di Marx. Anche in Italia ora socialista è Nenni e socialista è Saragat. Come dovrebbe essere la direzione socialista?
Si parla ora di piani come di una novità, e questo è equivoco se non ignoranza. Il piano è non già cosa nuova, ma cosa vecchissima, di cui l’antichità ha avuto non solo conoscenza, ma di cui ha anche riso.
E ne han riso anche i più grandi pensatori, e perfino tra essi Aristotele.
Il socialismo da parecchio tempo ha perduto il suo carattere veramente rivoluzionario, ed allora ricerca tante cose, tante forme che paiono nuove e sono antiche, per trovare una ragione di esistenza: ora la forma nuova è diventata il piano. Si vuole o un piano generale o una serie di piani.
Io non so che cosa sia genericamente oggi il piano, e attendo che me lo spieghino coloro che tendono così fortemente ad essere pianisti o pianeggiatori. (Si ride). Non so come si possa dire seriamente «vogliamo dei piani», cioè cosa indeterminata, e non dire più semplicemente: vogliamo programmi chiari e precisi. Piano suppone sempre qualche cosa di misterioso, o almeno gli autori di piani lascian supporre che vi siano rimedi misteriosi. È una specie di mistica della speranza e dell’equivoco, e Aristotele aveva ben ragione di riderne.
Aristotele è stato princeps nella fisica e nella metafisica, maestro della umana ragione, degnissimo di fede e di obbedienza, come dice Dante.
La Chiesa ha in tanta parte l’opera di San Tommaso nella sua concezione filosofica, e San Tommaso e la scolastica sono Aristotele.
A differenza di Platone e del grandissimo Socrate, Aristotele non faceva volentieri tratti di spirito. Ma ne fece per gli autori dei piani. È da lui che abbiamo appreso che il primo autore di piani fu l’architetto Archidamo da Mileto. Archidamo fece dunque il suo piano che regolava tutta la vita della città. La parola piano è, dice Platone, del linguaggio architettonico. Archidamo da Mileto, il quale aveva tutto previsto nel suo piano: le leggi della città, l’ordinamento economico, la struttura dell’agricoltura e dell’artigianato, Archidamo, dice Aristotele, era l’uomo più vanitoso del mondo, teneva molto alla sua persona e coltivava con cura la propria chioma e la propria barba. Ebbene, questo Archidamo da Mileto è stato il precursore degli attuali pianisti o pianeggiatori (Si ride) ed ha fatto un piano su tutto: infatti la parola «piano» viene dall’architettura: Archidamo era un architetto. Aristotele ridendo dei piani ne comprendeva la vanità. Egli era veramente un princeps della fisica e della metafisica, uomo che sapeva tutta la scienza e tutte le filosofie del suo tempo, che aveva uno spirito profondo sempre vivo e sempre nuovo in tutte le sue manifestazioni. Che cosa è un piano? Archidamo da Mileto, architetto, lo usò perché appunto, come architetto, aveva le idee pianiste e pianeggianti (non so come si deve dire). Qual è la differenza fra piano e programma? Ogni uomo che ragiona ha il suo piano, che non è altro che il programma o un insieme di programmi: programma della giornata, programma del mese, programma dell’anno, ecc. Ogni negoziante fa il suo programma per i suoi affari. Ma ora in politica e in economia si dà l’idea del piano per indicare non soltanto ciò che si vuol fare, ma la trasformazione cui attraverso l’azione si vuole giungere. Così, si parla di piano a scopo socialista, di piano a scopo religioso, e vi è sempre nel piano un’idea che è diversa da quella del programma. Quindi vi sono migliaia di piani.
In Germania furono calcolati, prima che venisse Hitler, oltre diecimila piani. Quanti altri ne sono stati fatti? In ogni paese, in Belgio, in Francia (la Francia prima della guerra fu fertile in produzione di piani), in Inghilterra. Non se ne fece nulla ma i piani si seguirono ininterrottamente.
Il Belgio ebbe la fissazione dei piani, e trovò il pubblico socialista ben disposto ad accogliere seriamente l’idea dei piani. E vi fu uno studioso serio, de Man, che si entusiasmò per i suoi piani. Era uno scrittore di economia. Aveva viaggiato per gran parte di Europa e di America, aveva fatto l’operaio e lo scrittore, era serio economista, aveva conosciuto le fasi della vita economica e dovunque aveva grande reputazione. Ora, il popolo belga si entusiasmò talmente che 563.461 socialisti belgi dettero adesione al movimento Vandervelde, che fu eletto vicepresidente del Consiglio. E, naturalmente, del piano non si fece nulla, come per gran parte dei piani. Poi venne la guerra e seguì l’invasione del Belgio. De Man non si comportò molto bene. Era fiduciario della Regina Madre e divenne poi suo amministratore. Ebbe cura dei suoi interessi ed esaurì la sua azione politica.
Dovunque vi sono stati dei piani, dovunque se ne è voluto adottare qualcuno, dovunque non si è riusciti che ad aumentare confusione e disordine.
Che cosa vuol dire fare un piano? Vuol dire adattare all’idea di una forma sociale, di una forma economica non esistenti la situazione esistente per trasformarla. Ora, queste cose assai difficilmente riescono e spesso cadono appena nate.
L’onorevole Saragat si riferisce senza dubbio al piano che noi non abbiamo conosciuto sotto il nome di piano russo. Il piano russo, su cui esiste molta confusione, è stato soprattutto un piano di guerra, un piano di necessità, che la Commissione bolscevica costituì nel 1921 e che ha funzionato solo nel 1926-27 e più ancora nel 1929.
Vi sono dunque programmi e piani, e in Russia vi è stato soltanto il tentativo di un vero piano, cioè il tentativo di dirigere tutta la produzione.
In tutto il resto di Europa si è parlato spesso di piani, ma senza mai seriamente prepararli e organizzarli.
Il piano russo si basa sulla necessità di riparare alle distruzioni della rivoluzione e della guerra, in un Paese che aveva tutte le materie prime e tutte le condizioni più favorevoli. La Russia è il solo paese che può concedersi il lusso di avere un piano con probabilità di avere buoni risultati, anche perché non può avere facilmente forme libere di produzione che permettano di sviluppare utilmente tutte le risorse della Nazione. La Russia possiede terre in tale quantità, che in alcune zone il contadino potrebbe avere tanta terra quanto un grande proprietario. Vi sono tali ricchezze minerarie ancora sotto terra sepolte, da utilizzare, che basteranno per molti secoli a popolazione assai più grande.
Vi è infine una popolazione abituata all’obbedienza, passiva da secoli. Un piano suppone una disciplina forte, una forza di esecuzione che non ammette deviazione. La Russia aveva tutte le condizioni per avere un piano che rappresentasse un successo e la Russia difatti, pur producendo a costi così elevati, ha tentato ciò che altrove sarebbe stato impossibile. Il bolscevismo ha avuto il merito di realizzare, in forma autoritaria, progressi che non si sarebbero realizzati con la libertà, o si sarebbero realizzati assai più lentamente. In Russia, dove si parlano 83 lingue e innumerevoli dialetti, vi sono popolazioni cui Mosca ha dato perfino l’alfabeto e la grammatica. Quando si pensa allo sforzo che la Russia ha compiuto, bisogna rimanere ammirati della sua opera, anche se è stata spesso antieconomica e se il risultato non è stato pari allo sforzo.
Gli autori o i propugnatori del pianismo parlano di grandi opere da compiere con l’economia del piano. Che significano queste parole? Programmi per la produzione sono sempre esistiti e vi saranno sempre. Si tratta solo di vedere se è utile che siano coordinati per scopi politici, come quando si dice che devono servire a un Governo a direzione socialista, o se viceversa non possono costituire in questo caso materia di sperperi e di perdita.
Io non conosco grandi piani economici che non si siano risoluti in perdita.
L’economia del piano è essa stessa basata sul presupposto di un potere autoritario, perché richiede che non vi siano, per effetto della disobbedienza e dell’indisciplina, troppi sperperi. Mussolini e Hitler potevano concepire l’idea del piano, com’essa è naturale ed è stata anche in una certa fase necessaria in Russia ove ha anche ora fondamento nella realtà.
In paesi come la Francia e l’Italia è errore ed è destinata a fallire.
Un piano a direzione socialista, dove i socialisti non sono la massa della popolazione e non hanno anche essi la facile obbedienza passiva, è errore ed è soprattutto illusione.
Ciò non esclude che vi siano e vi possano essere programmi sociali anche utili.
Quando per effetto della scarsità della produzione e della mancanza di scambi e in conseguenza alla caduta della libertà, la vita economica è regolata per necessità in molta parte dallo Stato, si spiega l’illusione dei piani e la confusione che si fa tra piani economici, in vista di scopi sociali, e programmi economici, sia pure di lunga durata. Gli uomini competenti che fanno programmi economici sono ben lontani dal pretendere di trasformare le basi della società mediante i loro piani. Ogni vero piano sarebbe in Italia sicuro fallimento dopo disordini e sperpero.
Noi dobbiamo utilizzare le nostre modeste risorse nel modo più serio e migliore, senza fantasia e senza illusione.
L’onorevole Saragat ha dato consigli sul piano, ma non ha detto il piano. Ora non è utile dire di volere un piano da affidare a un Governo a direzione socialista. Ma chi vuole un piano non può chiedere un bill d’indennità preventivo. Deve dare non solo le linee del piano, ma indicare i mezzi di attuazione e le disponibilità da utilizzare e i sacrifizi da imporre al Paese. Lo stesso piano russo nelle condizioni più agevoli si potette attuare solo col sacrifizio di milioni di uomini. Tutto fu sacrificato ai grandi armamenti che i capi bolscevichi credevano necessari per dare alla Russia autonomia e libertà di fronte agli stranieri. Se l’onorevole De Gasperi vuole avere fiducia, io gli consiglio di non farsi tentare dall’idea di un grande piano: non avrebbe che disinganni.
Deve andare verso programmi che possano essere realizzati. Noi dobbiamo procedere con le nostre forze, con i nostri mezzi, e dobbiamo procedere in base a programmi sicuri che possano essere realizzati senza perdite. Da noi non vi è possibilità di un lusso qualsiasi. Ogni errore per noi è grave colpa, perché ci può mettere domani in una situazione insostenibile e dare sempre illusioni al popolo.
In ogni modo chi ha un piano di trasformazione sociale lo esponga subito. Per annunziare un piano e non limitarsi all’applicazione di programmi concreti e realizzabili, bisogna che il piano esista. E se già non esiste è male presentarlo come se esistesse.
E passiamo a ciò che più importa: la gravissima situazione finanziaria, che se non muta è ridicolo parlare di piani e di programmi che richiedono nuove grandi spese.
Io mi auguro che l’amico Einaudi faccia tutti i miracoli possibili per trarci dalle difficoltà della difficilissima situazione in cui siamo.
Egli ha assunto due funzioni le quali non rispondono alla nostra situazione: egli è vicepresidente del Consiglio dei Ministri ed è capo di un Ministero finanziario. Anche qui noi abbiamo una malattia costituzionale: la tendenza ad aumentare e a mutare ciò che esiste.
Noi avevamo fino a qualche mese fa due Ministeri, uno del tesoro e uno delle finanze.
Non era forse una divisione molto logica; ma esisteva da molti anni. Poi si trovò che non andava bene e si pensò che era meglio un solo Ministro del tesoro e delle finanze e si nominò l’onorevole Campilli, che era senza dubbio uomo intelligente. Egli rese, arrivando al Governo, un segnalato servizio. I Governi succeduti ad fascismo non avevano mai pubblicato un quadro della situazione finanziaria reale. L’onorevole Campilli fece questo quadro con onestà e io gliene fui grato. Disse tutto ciò che non si era detto prima e anche gli spiriti più amanti delle illusioni cominciarono a rendersi conto di quella dura realtà che non doveva essere dissimulata.
Poi Campilli dovette andar via e si nominarono tre Ministri, dove erano stati due e uno. Il pubblico non comprese: non due ma tre, e vide solo che le difficoltà andavano crescendo e crescevano sempre i corsi dei cambi all’estero e delle derrate all’interno. Il pubblico aveva torto di aspettarsi miracoli.
Ma la finanza è forse la sola cosa dove non vi sono miracoli. Vi è sempre la nuda realtà. L’onorevole Einaudi aveva assunto il titolo nuovo e non felice di Ministro del bilancio, ma non poteva mutare la situazione e tanto meno promettere di mutarla.
Ora il pubblico attende ancora il miracolo: ma il pubblico non può avere il miracolo. Dovremo avere ancora una penosa finanza e per molto tempo. Si tratta di vedere se ciò che si fa risponda col minor sacrificio possibile al massimo risultato, perché errori non ci sono consentiti.
Ora, senza fare una critica all’onorevole Einaudi (egli sa che io sono suo amico e che in me non vi può essere nessuna idea meno che amichevole) devo ricordare che quando assunse il Governo mi limitai ad alcune raccomandazioni.
L’onorevole Einaudi non ha potuto fare molte cose che io desideravo; e che gli dissi con sincerità. Io soprattutto desideravo che esistesse un vero bilancio e che si uscisse dal malcostume di disporre senza alcun controllo di fondi enormi.
Volevo che si giungesse presto a una relativa sincerità del bilancio e si arrivasse almeno al punto di sapere quali sono veramente le entrate e quali le spese, e che ci fosse un maggiore controllo. Ora, nessuna cosa è più necessaria di fare in guisa che il bilancio sia chiaro e basato sulla specialità delle spese e quindi in forma debita, diviso in capitoli, in tal modo che non sia possibile alcun abuso nella destinazione delle somme dello Stato.
Speravo, come dissi, che l’amministrazione finanziaria potesse rientrare nella legalità voluta dalla legge di contabilità e fossero rimesse in onore le norme classiche per una reale gestione che consentisse il minimo controllo.
Nessuna modificazione è stata apportata ai capitoli, mentre si deve a ogni costo tornare alla specializzazione. Si fanno ancora adesso spese ingenti autorizzando il Ministro proponente a inscriverle nel bilancio quando crede e vuole.
Non ci sarà mai da noi una restaurazione del bilancio se non se ne incomincerà a stabilire la chiarezza, soprattutto la divisione in capitoli che rappresentino la normalità.
Noi dobbiamo evitare che vi siano spese enormi non controllate e dobbiamo volere che non si trasformino i bilanci di competenza in bilanci di cassa, come si fa ora per i bilanci dei lavori pubblici: dobbiamo volere che non si faccia alcuna spesa che non sia autorizzata.
Ora la materia dei residui passivi diventa preoccupante, e si fanno leggi di pagamenti e finanziamenti differiti, è quindi a carico della cassa. Si fanno leggi di finanziamenti a pagamenti differiti, ma con la facoltà (in realtà necessità) di scontare le annualità o semestralità, e quindi a carico della cassa e dei mercati finanziari già iscritti.
A molte di queste cose che riguardano la chiarezza e il controllo del bilancio l’onorevole Einaudi può provvedere senza difficoltà. Egli ha assunto una carica che io non trovo troppo felice: quella di Ministro del bilancio. Non so perché gli sia stato conferito questo titolo, che non trovo in nessun altro paese. Una sola volta in Francia questo titolo esistette, ma durò pochissimo tempo.
Ma l’onorevole Einaudi e il Ministero troveranno ben altre difficoltà quando dovranno affrontare i grossi problemi che sopraggiungono.
La nostra Assemblea finirà con la data del 31 dicembre e questa volta è necessario che assolutamente si finisca. (Applausi). Io in quest’Aula assunsi la responsabilità di dire che la proposta di limitare, come il Governo voleva, a settembre i nostri lavori non era accettabile, perché non avremmo avuto la possibilità materiale di tenervi fede. Ma a dicembre dobbiamo assolutamente finire. Io vedo invece in una sia pure piccola parte di questa Assemblea un proposito indeterminato: la necessità di un nuovo termine. Tutte le assemblee desiderano la longevità e se possono la stessa stabilità. Ho udito perfino questa strana ipotesi: perché, se è necessario, questa nuova Assemblea Costituente non si trasforma in Assemblea legislativa e dura fino quando non vi saranno tempi più calmi?
Cose impossibili e non serie: noi dobbiamo finire il 31 dicembre. E dobbiamo fino allora avere esaurito il nostro compito essenziale: aver fatto la Costituzione, buona o cattiva che essa sia.
E dobbiamo, per quanto è possibile, non impegnare coloro che seguiranno, con atti e articoli della Costituzione, che riguardano le nostre idee e la nostra azione più che le necessità dello Stato. Noi non abbiamo altro diritto se non quello di fare la Costituzione. Ora, se nella Costituzione vogliamo mettere ciò che attiene veramente alla Costituzione e non cose che rappresentano interessi, idee e tendenze dei partiti dovremo terminare i nostri lavori senza incidenti spiacevoli che compromettano anche l’avvenire.
Io vedo la necessità che l’Assemblea Costituente prepari prima di tutto due serie Assemblee legislative, che avranno compiti molto gravi: e noi stiamo facendo di tutto per aumentare gli errori della proporzionale. Noi stessi esageriamo nel far male. La prima proposta del Governo era che vi fosse un deputato per ogni 80.000 abitanti. Troppi deputati. L’onorevole Conti propose giustamente la cifra di 150.000 abitanti per ogni deputato. Io, vedendo che la cosa riusciva ostica (molti colleghi pensavano di quanti posti si riduceva il nostro numero) proposi 100.000 abitanti. Mi aspettavo che a questa formula intermedia l’Assemblea aderisse; invece fu respinta la proposta dei 150.000, nonché quella dei 100.000, e si adottò quella degli 80.000. E sono sicuro che se si fosse proposto di avere un deputato ogni quarantamila abitanti, il numero di voti sarebbe stato ancora più grande, sopra tutto a scrutinio segreto. (Commenti). Tutto ciò è pericoloso e dannoso.
Io vi prego di riflettere che le più potenti assemblee del mondo, la Camera dei rappresentanti americana e il Senato americano, hanno fra l’uno e l’altra un numero di rappresentanti assai minore di quello che attualmente sono i rappresentanti di questa nostra Assemblea Costituente.
Dunque noi dobbiamo, se vogliamo dare esempio di serietà, finire per il 31 dicembre: se noi non ci prendiamo sul serio non ci prenderanno sul serio né all’estero, né in Italia i nostri stessi concittadini.
Finisce la Costituzione. Nel pensiero di tutti è: chi farà le elezioni? Vogliamo essere sinceri? Nella penosa discussione attuale domina il pensiero: chi farà le elezioni? Con quale Ministro? Con quali metodi?
Io ho avuto una strana idea: non solo credere nella libertà, ma praticarla. Sono stato Ministro dell’interno oltre che Presidente del Consiglio ed ho fatto nel 1919 elezioni generali. Ho voluto fare elezioni oneste senza intervento di Governo. È una idea che può parere anche ora paradossale. Delle elezioni volevo solo occuparmi per quanto riguardasse l’ordine pubblico e poi lasciare a tutti i partiti e a tutti i cittadini piena libertà di fare ciò che volevano. Diedi ordini a tutti i prefetti nello stesso tempo di non occuparsi di elezioni. Ma poiché si poteva credere che ciò che era detto pubblicamente fosse una finzione, chiamai a Roma i prefetti delle più grandi città e poi mandai a tutti telegrammi segreti in cifra. Ma voi sapete che i prefetti pensano che i telegrammi sono fatti per il pubblico, per rappresentare una difesa per l’avvenire. Feci perciò ad ognuno riservatamente un telegramma in cifra; in cui davo delle disposizioni dicendo che esse dovessero essere interpretate alla lettera e soggiungendo che avrei punito ogni prefetto che si fosse occupato di elezioni. Volevo soltanto che l’ordine pubblico fosse garantito e non altro.
Perché diedi queste disposizioni? Io sono convinto che sopra tutto dopo grandi movimenti umani come la guerra noi non dobbiamo restare attaccati alle vecchie formule nelle grandi manifestazioni della vita pubblica. Non è possibile che mentre muta sostanzialmente tutto, l’azione del Governo sia come prima dominata da interessi privati. Era allora mio Sottosegretario all’interno l’onorevole Grassi. Allora era un giovane Sottosegretario: ora non dirò che sia un vecchio Ministro, ma un Ministro solenne ed anziano, come conviene ad un Ministro guardasigilli. L’onorevole Grassi sa che io ordinai ai prefetti di fare lo stesso trattamento agli avversari come ai sostenitori, avendo un’arma potente nelle mani, la censura (che durava in pieno allora dopo la guerra), io diedi ordine alla censura che tutto quello che si stampava contro il Governo doveva essere lasciato libero, che gli insulti personali anche più oltraggiosi contro di me non dovessero essere mai in nessuna forma censurati. Al punto che Mussolini, a Milano, sapendo di questa disposizione, si divertiva a pubblicare articoli ove figurava: «il porco Nitti». Ebbene il «porco Nitti» dispose che anche quelle pubblicazioni dovessero passare senza censura! Ho sempre creduto che il Governo debba garantire il rispetto delle libertà fondamentali. Io disposi sempre il rispetto delle libertà fondamentali, anche a mio danno personale. Quindi non consentii mai alcuna cosa a danno degli avversari.
Le elezioni che io feci nel 1919 furono le sole, o fino ad ora le sole, contro cui nessuno presentò alcun reclamo contro il Governo! Tanto l’azione del Governo fu onesta e seria!
Quello che io feci consideravo come un dovere e come garanzia di giustizia e di onestà.
Ma i miei procedimenti parvero ai vecchi uomini pericolosi e inquietanti. Voler parlare di serietà, di onestà, di semplicità in materia elettorale parve ingenuità. Giolitti non era persuaso. Si dice che con quelle elezioni erano entrati alla Camera dei deputati troppi socialisti e, per la prima volta, più di cento democristiani, che allora si chiamavano popolari. E allora Giolitti che mi succedette (era stato mio grande amico e divenne mio grande nemico e ci separammo non senza grande dolore da parte mia) pensò di fare le elezioni con diverso metodo, e impose il solito metodo dell’intervento dei prefetti. Io avevo fatto le elezioni nell’autunno del 1919, Giolitti, senza necessità e mancando a un impegno presso la Commissione del bilancio, volle fare nuove elezioni a brevissima distanza nella primavera del 1921. Voleva una sua maggioranza ed escludere me e i miei dal Parlamento. Quale fu il risultato? Si diceva che io ero stato allora inabile facendo votare liberamente e non creando alcun ostacolo agli avversari. Io feci le elezioni nel 1919, egli nel 1921. Fu eletto press’a poco lo stesso numero di socialisti e di democristiani. E l’onorevole Giolitti, che aveva concentrato la lotta contro di me (dalla grande amicizia si passa spesso alla grande inimicizia) non raggiunse il suo scopo. Io ebbi elezioni trionfali non ostante tutte le violenze.
Quindi, prima cosa che dobbiamo evitare è questa.
L’onorevole Giolitti arrivò allora a tollerare che uno dei Ministri desse le armi ai fascisti, e non solo camion militari e materiale di trasporto, ma anche fucili. Lo stesso Ministro fu in lista con Farinacci e prese parte con lui a una festa fascista in cui si bruciavano le bandiere delle cooperative socialiste, che egli stesso aveva contribuito a fondare. Il Ministro della giustizia diede istruzione ai procuratori generali che non si dovessero istruire processi contro coloro che avevano commesso reati a scopo nazionale, cioè i fascisti. Era l’impunità del delitto voluta dal Governo. Il sottosegretario di Stato all’interno fece tutti gli inganni, mentì sempre a tutti ed elevò la falsità pubblica a un livello cui non si era mai giunti.
Ebbene, la sola differenza fra le elezioni del 1921 e quelle del 1919 fu che, essendo io Ministro dell’interno, non venne nessun fascista alla Camera.
Io avevo dato ordine al prefetto Flores, uno dei più intelligenti, che avevo mandalo a Milano apposta, di non fare alcuna persecuzione agli avversari in occasione delle elezioni. Quale fu il risultato? La lista di Mussolini a Milano fu miserabilmente battuta: appena quattromila voti (e fu oggetto di ilarità generale) nella città di Milano.
Tanto sono convinto che solo con la libertà, col rispetto dei cittadini, nel considerare l’avversario come uguale e non metterlo mai in condizione di veramente odiarti, si può arrivare alla pacificazione.
Del risultato che ebbe allora Giolitti io non gliene faccio colpa: fu un’aberrazione di un uomo inasprito da passati dolori e contro cui tutte le ingiustizie erano state commesse. Ma colpa di Giolitti fu, per inconsiderata esaltazione, aver introdotto il fascismo in Parlamento cioè di averne assicurata la vittoria.
Assai poco serve l’esperienza. Ma io spero che il Governo farà le elezioni prossime e le farà in modo che tutti gli avversari abbiano sempre e sopra tutto la libertà. I democristiani al Governo con i socialisti e comunisti avevano gli stessi vantaggi, ed erano sicuri di fare tutta la via insieme, o almeno pareva che dovessero farla. Ora una frattura si è prodotta. Voi dovete fare le elezioni da avversari. Io spero che voi vi regolerete con gli avversari come con gli amici, con gli stessi sentimenti di onestà e serenità che sono condizioni di vita civile.
Ma mi spiego l’inquietudine.
Un’altra ragione di inquietudine: voi del Governo avete un immenso potere; il bilancio dello Stato è nelle vostre mani e per lungo tempo, e cioè fin dopo le elezioni sia nelle forme attuali, sia nelle tradizionali per cui di molti fondi si dispone largamente e quasi si può disporre ad arbitrio. Voi potete così rendere favori o produrre danni. Io mi spiego che molti che si dicono oggi vostri avversari e che ieri erano vostri amici, abbiano motivi di preoccupazione. Conosco troppo i metodi per non esserne inquieto. Ma io confido che voi sentirete (e non vedo perché non lo sentireste) che è nel vostro stesso interesse di limitare la lotta e di difendere la vostra azione, se non con simpatia, con lealtà verso i vostri avversari.
Noi dobbiamo arrivare alla nuova Camera, e ci dovremo andare con un duro compito. Ci rimangono per la fine dell’anno meno di tre mesi e non abbiamo predisposto nulla ancora di quella che deve essere la vera parte importante, costituzionale nella nuova Costituzione. Il lavoro per questa parte è appena incominciato. Dobbiamo ancora fare tutte le leggi e tutti i preparativi necessari per arrivare alle elezioni. Sinora abbiamo fatto assai poco e abbiamo solo perduto tempo in discorsi.
L’onorevole Piccioni ha pronunziato stamane un discorso impressionante e ha fatto anche l’apologia dei proprio partito: è arrivato a dire che il Partito democristiano rappresenta la grande maggioranza nel Paese.
PICCIONI. No, la maggioranza relativa.
NITTI. E sia! Ma nel discorso dell’onorevole Piccioni vi è un po’ di esagerazione: c’è il tono del vincitore. Quello che mi ha colpito nel discorso dell’onorevole Piccioni, fino a ieri così semplice e cordiale, e anche moderato, è il tono di sicurezza e anche di fierezza. Permettete allora che io vi domandi: vi sentite voi democristiani veramente sicuri? Sapete voi quello che avverrà sino al mese di dicembre? Non vedete i pericoli cui andate incontro? Prevedete voi quali rivolgimenti ci potranno essere nell’economia nazionale, quali nella vita italiana e nelle condizioni dell’Italia? Avete questo sicuro sentimento di voi? Voi dovete volere la nostra collaborazione, almeno spirituale, e quella degli avversari.
Io non sono un avversario personale, sono soltanto un critico disinteressato. Ho il mio passato e la mia esperienza. Senza la collaborazione almeno spirituale da parte nostra voi non riuscirete. I vostri avversari possono con il loro contegno farvi riuscire o non farvi riuscire. Senza la nostra collaborazione voi non potrete risolvere molti problemi. Si tratta di cordialità sostanziale non formale.
Siate cauti nel vostro stesso interesse. Siamo in un momento in cui il bilancio dello Stato sarà nelle vostre mani e voi avrete mezzi potenti che vi verranno dai vostri amici. I partiti e i Governi sono una cosa terribile, perché richiedono fondi ingenti: decine, centinaia di milioni, forse domani data la svalutazione della moneta, miliardi. Chi deve dare i miliardi? Si trovano dove si trovano, e la lotta spingerà a cercarli. Voi avrete mezzi di lotta che gli altri non hanno. Anche i comunisti hanno finora trovato fra i loro simpatizzanti, e anche e sopra tutto fra i loro avversari, entrate rilevanti. Tutti hanno bisogno di fondi, e non si può fare nulla senza di essi: e il Partito democristiano, appunto perché più numeroso, deve averli in maggiore misura.
Avere fondi, vuol dire contrarre obblighi. L’onorevole Saragat ha fatto una cosa semplice: è andato in America. È evidente che gli americani di origine italiana non gli avrebbero dato nulla se avessero creduto che la sua politica potesse essere contraria a quella dell’America.
Doveva essere così: era necessario che fosse così. L’onorevole Saragat, dunque, ha dovuto ricorrere a quei mondi che non sono i più favorevoli alle tesi delle sinistre. L’onorevole Saragat ha in realtà una natura conservatrice; e non so spiegarmi perché si ostini ad essere ad ogni costo, se non rivoluzionario, amico dei rivoluzionari. (Si ride).
L’Italia e la Francia sono i due soli Paesi che hanno la follia dei partiti avanzati. Vogliono sopra tutto i conservatori sembrare estremisti. Io facevo notare spesso al mio amico Briand ed anche a Herriot che in Francia non vi è da molti anni un partito che si chiami conservatore, mentre perfino i radicali socialisti sono tutti conservatori.
In Inghilterra i conservatori, anche se hanno spirito liberale, si onorano di chiamarsi conservatori.
Ciò succede assai meno in Italia, dove nessuno osa lealmente dire di essere conservatore, e molti lo sono.
L’onorevole Saragat ha fatto bene a rivolgersi ai suoi amici di America: ma è chiaro che se le sue idee fossero state credute contrarie al programma americano, non avrebbe trovato aiuto, soprattutto dagli italiani di America.
Poche persone appartengono in America al movimento socialista. Ma non vi sono comunisti. Nessun comunista è nei Parlamenti, o deve dissimulare le sue idee.
È bene, è male? È inutile discutere, ma il fatto esiste. Forse muterà fra non molto tempo, forse anche non muterà. Ma è chiaro che un Governo che comprenda rappresentanti comunisti non troverà simpatia nel Governo americano e tanto meno aiuto.
Siamo noi perciò schiavi, come si dice, dell’America? Ciò è falso, e l’accusa che si muove all’onorevole De Gasperi e ai democratici cristiani di essere all’obbedienza dell’America, che pretenderebbe agire sulla nostra politica è falsa e ingiusta: l’America non tiene a nulla. L’America tiene ad agire nel suo interesse. (Approvazioni). L’America pensa a se stessa. Questa vecchia idea italiana che affinità politiche diano diritto ad aiuti politici ed anche economici è un’assurdità. Questa idea ha inquinato la nostra politica; ci ha rovinato subito dopo la guerra e dopo la fine del fascismo, quando abbiamo detto e ripetuto che diventati gli italiani repubblicani e democratici, tutte le repubbliche democratiche e tutti i democratici del mondo sarebbero stati per noi. Diventati noi repubblicani non furono per noi più di quello che non fossero stati prima, e qualche volta, come si è potuto vedere, furono anche meno cordiali di quello che erano stati quando ci reggevamo a monarchia. Non è vero che l’America, che ci ha dato vero aiuto economico, di cui le siamo grati, ci imponga condizioni di politica estera. È falso che ci avesse imposto rapidamente la ratifica del Trattato. È falso che voglia regolare le nostre condizioni di vita. Solamente non è disposta a darci aiuti economici se metteremo nel Governo rappresentanti di partiti che essi credono facciano parte del grande movimento che reputano a loro contrario o con cui almeno finora non hanno trovato alcuna possibilità di intesa.
Questa intesa può avvenire. Ma può anche non avvenire, e non è escluso che venga ancora la grande guerra sterminatrice e inutile, e perciò più scellerata.
I rapporti umani non sono mossi soltanto da idee, ma da passioni, da sentimenti e da interessi. Noi dobbiamo pensare solo a noi stessi ed aver fiducia in noi stessi e trovare in noi stessi le forze per la ricostruzione della nostra vita politica ed economica. E non debbo dire altro se non rivolgere un appello ai miei amici. Io ho notato le parole sdegnose dell’onorevole Piccioni: sdegnose e giuste. Chi vince ha ragione. Il suo partito è al Governo e si mostra compatto: egli ha quindi ragione quando dice con fierezza che il Governo democratico cristiano non ha bisogno dei programmi di nessuno. Ma può dirlo con sicurezza? Il suo concetto è che, in una situazione come l’attuale, il suo partito è così forte da non chiedere i programmi degli altri, perché ha un proprio programma e chiede soltanto l’adesione degli altri al proprio programma. Ora, io mi permetto di domandare all’onorevole Piccioni ed ai miei amici democratici cristiani: hanno essi una grande sicurezza in questo loro programma? Hanno la sicurezza che anche alla fine dell’anno l’Italia non sarà in tali condizioni che molte idee e molte situazioni non saranno sconvolte? Abbiamo noi la sicurezza che avremo un avvenire calmo? (Commenti). Io non ho questa sicurezza. Bisogna trovare il modo di vivere insieme e di evitare ogni grande conflitto. Io ho fiducia nella prudenza dell’onorevole De Gasperi, ma so anche che chi vince può essere sempre spinto ad abusare della propria vittoria.
PICCIONI. Non c’è questo pericolo.
NITTI. Spero di no. Altri uomini, altri partiti però, amici dei democristiani, credono a questo pericolo. A parte tutto ciò interessa noi tutti mantenere il più possibile la concordia. Voi avete detto sempre che io sono pessimista. Vi siete ingannati. Io sono stato fra voi il più grande ottimista. Ho detto sempre tutte le cose che si sono verificate e a cui non si voleva credere, e le ho dette piuttosto attenuando che esagerando i pericoli. Infatti tutte le cose che ho dette si sono verificate in forma assai più grave di come le avevo dette. Avete visto quindi che il mio pessimismo era tanto dubitabile quanto la vostra sicurezza.
L’onorevole Piccioni ha detto nell’orgoglio della vittoria democristiana che il suo partito non aveva nulla a temere e nulla doveva concedere del suo programma e della sua azione.
La vittoria non dà sicurezza durevole invece perché nessuna vittoria è qui dentro più sicura di tre mesi, e noi andiamo verso una situazione che fra tre o quattro mesi potrà darci le più grandi sorprese.
Noi non sappiamo. L’onorevole Piccioni, facendo le giuste lodi del suo partito, ha detto che attendeva, in fondo, l’adesione degli altri, che non va sollecitata. Sta bene. Ed allora, diciamo noi: nelle elezioni eravate lo stesso numero da quella parte e da questa; da quella parte ve ne aveva qualcuno di più: voi siete rimasti compatti; l’altra parte invece si è divisa, e si doveva dividere perché non era possibile che persone che concepivano così diversamente coabitassero a lungo insieme. Ma ci sono, al di fuori di qua e di là, ancora più di cento deputati, i quali non sono né da una parte né dall’altra. Questi deputati rappresentano spesso lo spettacolo più triste, di dividersi continuamente in partiti, partitoni, partitucci. Ogni indeciso ha trovato la sua via, suppongo sempre per scopo nobile, ma spesso le secessioni sono finite in qualche Sottosegretariato o in qualche concessione della stessa natura.
Ora, noi siamo la classe più colta, moderata, non reazionaria, non confessionale, non rivoluzionaria. Noi siamo il Paese nella parte più colta. Noi siamo i rappresentanti di quei ceti che contrariamente a ciò che si dice, ripetendo errori vecchi, e nuovi, aumenteranno non perderanno in importanza. Noi siamo il Paese. Signori, voi vi ingannate quando credete che le classi medie sono verso la fine. Io spero pubblicare presto, se i lavori di questa Assemblea me ne lasceranno il tempo, uno studio da lungo tempo preparato sulle classi medie e sulla loro importanza e sul loro avvenire. Vi sono momenti in cui sembra che le classi medie vengano sopraffatte: ma esse si rinnovano, aumentano e aumenteranno ogni giorno, perché le stesse classi operaie, che voi cercate di sollevare, entreranno nelle classi medie. Ed è da questo movimento che sorgerà quella nuova borghesia operosa, viva e intelligente, la quale renderà grandi servizi.
Accettando l’invito dell’onorevole Piccioni (perché io considero la sua critica come un incoraggiamento), io mi rivolgo a tutti gli uomini del mio ceto, della mia classe, delle mie idee per domandare loro se alla vigilia di fatti nuovi, come saranno le prossime elezioni politiche, non credano utile rompere questa massa di piccole paure, di piccoli partiti, e se non credano di trovare nella unione qualcosa che sia la vita e la forza. Questo non è né contro i democristiani, né contro i socialisti, ma è per la nostra esistenza, e confido che questo mio appello sincero sarà accolto.
L’Italia non può unirsi che in un grande programma nazionale contro l’antinazione e l’antilibertà che ora ancora avvelenano gli spiriti.
Solo un rinnovato e grande amore di patria contro l’oppressione della libertà mentale, contro il particolarismo, contro il grossolano materialismo di questo periodo, una unione nazionale a scopo di ricostruzione possono rinnovarci. Non si può ingannare a lungo il popolo. Grandi e dure sofferenze ci attendono ancora.
Entriamo nell’ora terribile in cui andranno in vigore in materia politica tutte le cattive leggi che abbiamo mantenuto o abbiamo preparato. Si verificheranno tutti gli inconvenienti che abbiamo preveduti. Dobbiamo essere preparati a lottare per la ricostruzione.
Questo appello che io rivolgo ai miei amici vicini e lontani, è diretto con purità di cuore, perché personalmente dopo tante lotte non aspiro più a nulla. E vi ringrazio di questa vostra cortesia e della sincerità con cui avete voluto ascoltarmi. (Vivi applausi – Molte congratulazioni).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ieri sera abbiamo sospeso la seduta per riprenderla però dopo due ore e portarla avanti ad un’ora assai tarda. Si potrebbe fare lo stesso questa sera; o forse potremmo scegliere un’altra soluzione.
Penso, però, che questa sera potremmo continuare senza interruzione sino alle 21 e poi rinviare a domani, anziché sospendere la seduta per poi riprenderla. Comunque questa sera dobbiamo fare ancora una parte del cammino, se corrisponde a verità, come non ne dubito, il desiderio espresso da tanti colleghi di vedere terminata domani sera questa discussione. E lo sarà se lavoriamo fino alle 21. (Approvazioni).
È iscritto a parlare l’onorevole Pajetta Giancarlo. Ne ha facoltà.
PAJETTA GIANCARLO. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi.
Ancora ieri uno degli oratori che si è levato a difesa di questo Governo ha accusato l’opposizione di valersi come ratio sistematica della piazza nella lotta politica e, prima di lui, un oratore sindacalista di parte democratica cristiana ci ha detto cose molto strane a proposito di una non meno sistematica azione che gruppi di operai di avanguardia condurrebbero nelle nostre officine per sabotare la produzione nazionale. Io stupisco che l’onorevole Crispo ci abbia parlato con tanto orrore della piazza; stupisco soprattutto che lo abbia fatto dopo il 20 settembre, perché si vede che non soltanto presta fede ai giornali quando immaginano e raccontano cose inverosimili su avvenimenti che non succederanno, ma ci crede anche dopo che le cose non sono successe. Ma forse l’hanno confermato nella sua opinione i manifestini che i democratici cristiani hanno fatto affiggere sui muri di Roma, nei quali si dice che, se il 20 settembre non c’è stata la rivoluzione, lo si deve al pugno di ferro dell’onorevole Scelba.
Noi vorremmo che si capisse però che non sempre piazza significa rivoluzione. È certo che i partiti di massa hanno dei metodi particolari di organizzazione, hanno degli obblighi verso i loro elettori che altri partiti non hanno. Noi, quando vogliamo prendere contatto con i nostri elettori, abbiamo bisogno di chiamarli, per esempio, a Piazza del Popolo; la stessa cosa sarebbe forse inutile al Partito liberale se volesse raccogliere i propri aderenti.
Noi crediamo che sia un metodo democratico quello di interrogare il Paese e permettergli di esprimersi, e non vorremmo che a queste domande che noi facciamo e alle risposte che ne vengono non prestassero orecchio gli uomini del Governo, che non possono attendere soltanto il responso elettorale, che non possono credere di sentirsi responsabili soltanto in quella occasione, ma che dovrebbero invece saper prevenire e capire come le situazioni vanno svolgendosi.
Secondo qualcuno dunque, la situazione sarebbe quasi normale nel nostro Paese, se non ci fossero dei sabotatori, se non ci fossero dei sobillatori che turbano le acque.
Ma è possibile che voi non intendiate che prima che discussione qui, c’è lotta nel Paese? È possibile che non intendiate la crisi, il dramma, che non ne vediate i personaggi? Qualche volta penso che forse il frastuono della polemica che si accende qui vivace, ma poi va placandosi nel Transatlantico, impedisce di sentire la voce del Paese, impedisce di sentire la voce stessa delle cose. Onorevole Scelba, lei che dovrebbe essere responsabile del mantenimento dell’ordine nel Paese e dell’azione contro i sobillatori e i sabotatori, mi permetta di ricordare qui qualche cosa di quello che sta accadendo a Milano e che forse interessa anche il Ministro del tesoro.
All’Isotta Fraschini non sono state fatte le paghe il giorno 24 né sono stati pagati gli stipendi il 30: 230 milioni di arretrati nei confronti dei lavoratori: si tratta di 7 mila dipendenti. Alla Cemsa di Saronno, anticipo il 9 per la quindicina del 24 agosto: si tratta di duemila dipendenti. Alla Caproni, un solo acconto il 24: sono quattromila dipendenti, e la Breda nelle stesse condizioni: ne dipendono 12 mila lavoratori. Sono questi soltanto, 25 mila lavoratori! E non sono avvenuti disordini, e non sono avvenuti incidenti. E davvero se non è avvenuta la rivoluzione, non credo che il merito sia esclusivamente suo o delle direttive che ella dà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. …ma hanno avuto un miliardo e duecentomilioni a Milano!
PAJETTA GIANCARLO. Questa mattina soltanto! Forse, per la strana teoria che ha annunciato questa mattina l’onorevole Piccioni, che il Governo deve intervenire sempre dopo. È una teoria che possiamo accettare (Commenti al centro). Questa teoria noi l’accettiamo, tanto che facciamo le agitazioni proprio per farvi intervenire. Se voi interveniste a tempo, se voi non imponeste ai lavoratori lo sciopero, le agitazioni sarebbero tante di meno. (Applausi all’estrema sinistra – Proteste al centro).
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Gli industriali hanno fatto la richiesta l’altro ieri e stamane hanno avuto soddisfazione.
PAJETTA GIANCARLO. E del resto non si tratta soltanto di una teoria.
Quando l’onorevole Presidente del Consiglio ci ha parlato l’altro giorno, ci ha detto: «Gli agrari hanno ceduto al mio appello». Noi non abbiamo potuto fare a meno di domandarci se gli agrari avessero ceduto all’appello dell’onorevole Presidente del Consiglio soltanto dopo che questi aveva dovuto cedere a quel milione di braccianti che stavano già scioperando da dieci giorni, quando il Governo è intervenuto.
Ora noi troviamo in queste confessioni, nelle vostre teorie, la giustificazione delle agitazioni che sono in corso. Vuol dire che esse sono nella necessità delle cose, che sono le agitazioni che vi fanno sentire, quando la sentite, una voce alla quale altrimenti sareste sordi.
Stamane abbiamo sentito domandarci che cosa mai avverrebbe se non intervenisse il Governo; ebbene è semplice: le masse farebbero sentire più forte la loro voce. Ed è perché non intervenite se non a ritardo e sospinti, che queste voci di protesta si levano sempre più forte.
Quali possano essere i provvedimenti economici per far fronte alla situazione milanese, altri ha detto e forse altri ne dirà ancora.
Quello che mi interessa oggi qui è di fare alcune constatazioni politiche che derivano dall’esame di questa situazione. E la prima è l’azione condotta in comune dai lavoratori e dagli industriali milanesi. Voi, che cercate nella omogeneità di un Governo di partito e di classe l’unica possibilità di un efficace intervento, dovreste riflettere a quanto è avvenuto.
I rappresentanti dei lavoratori si sono raccolti intorno ai rappresentanti del Governo e sono venuti ad un accordo: unanimemente sono state accettate delle direttive. E non saremo certo noi a lamentarci che questa unanimità si sia raggiunta nella più decisa condanna della politica finanziaria dell’onorevole Einaudi.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. A carico dello Stato, onorevole Pajetta, vanno sempre d’accordo.
PAJETTA GIANCARLO. Ma io vorrei ricordarle, onorevole De Gasperi, che, quando lei ha fatto questo, quando lei ha voluto realizzare questa sua grande operazione, il suo intento proclamato era proprio quello di far sì che certi Ministri politici non mettessero più i bastoni fra le ruote alle sue buone intenzioni. (Commenti). E lei sa che prima c’era la garanzia che il Governo avrebbe sentito la voce dei lavoratori anche senza che questa dovesse ogni volta risonare nelle piazze.
E la seconda constatazione è che, fino a quando è possibile, i lavoratori non promuovono inutili agitazioni perché essi, fino a che hanno potuto, hanno lavorato.
CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Hanno fatto quindici giorni di vacanza in agosto.
PAJETTA GIANCARLO. Ingegner Corbellini, l’onorevole Piccioni ci ha detto questa mattina che il Governo non soltanto ha fatto poco perché ha avuto a sua disposizione soltanto 79 giorni, ma è stato anche impedito dal fatto di essere stato una specie di Governo balneare e quindi ha dovuto prendersi un po’ di riposo. Non vedo proprio che vi sia un gran male che si siano riposati i lavoratori milanesi che il loro diritto alle ferie retribuite se lo sono conquistato.
Dicevo dunque che quando possono, gli operai, gli impiegati, i tecnici italiani lavorano: essi non sono dei sabotatori. Onorevole Scelba: se lei dovesse per avventura incaricare il prefetto di Milano di inquisire, di ricercare presunti sabotatori, di andare alle radici dei turbamenti economici e delle agitazioni dei lavoratori, noi dovremmo, io credo, esaminare qui la richiesta di autorizzazione a procedere contro l’onorevole Einaudi che è il vero sobillatore di questa situazione. (Proteste al centro ed a destra).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano, per favore.
PAJETTA GIANCARLO. Onorevoli colleghi, quando si tratta di esaminare un problema concreto spesso preferite gridare tutti insieme: non sarebbe invece meglio cercare di provvedere, cercare di fare onestamente quello che dovete almeno quando la piazza vi prende per il braccio e vi dice: qui c’è da fare questo e quest’altro?
Il Governo ha voluto dimostrare di credere che si tratti soltanto di problemi economici e finanziari; ma i problemi dell’economia, della produzione del nostro Paese si pongono oggi come problemi politici. E non possono non porsi come problemi politici, come problemi dei rapporti tra cittadini e Governo. Oggi siamo di fronte soprattutto a problemi politici, problemi dell’ordine democratico, problemi della difesa della Repubblica. Sono davanti a noi problemi di libertà a cui dovreste essere sensibili. Problemi di libertà e, quando li poniamo, non dovreste così facilmente irridere, perché così irridete a tutta la tragica situazione del nostro Paese. Perché, se i nostri lavoratori non avranno libertà, allora non avranno nemmeno il pane e nemmeno il nostro Paese potrà aspirare a risorgere.
Dico la verità, ho provato una meraviglia forse ingenua: forse, la meraviglia di un uomo, che non ha ancora avuto tempo di diventare un parlamentare consumato o logoro addirittura. Qui si è detto: è soltanto un manifesto strappato, è soltanto un comizio interdetto, è soltanto un arresto arbitrario.
Ma è la questione di principio! Cos’è questo manifesto? È giusto o non è giusto che sia strappato? È giusto o non è giusto che l’onorevole Scelba abbia preso questo o quel provvedimento? Se non è giusto che sia stato strappato un manifesto, è come se ne fossero strappati mille. Lei, onorevole Scelba, per esempio, andrà all’inferno lo stesso, anche se commette un solo peccato mortale senza voler pentirsene. Qui è una questione di giustizia, di diritto, è una questione di qualità della vostra politica.
Voi avete voluto oggi fare una questione di quantità in queste cose e noi abbiamo dovuto dolerci che non si sia dimostrata la sensibilità politica e morale necessaria. (Interruzioni al centro).
Io capisco, la nostra sensibilità, a proposito di questi problemi, vi par forse eccessiva. È evidente che il pensiero di un regime che impedisce la libertà – senza voler fare offesa a chicchessia – per il nostro compagno Scoccimarro, che è stato tanto tempo in carcere, sia considerato diversamente da come lo considera, con una esperienza tanto diversa, l’ingegnere Corbellini. Per noi queste cose hanno un diverso significato che per molti di voi. (Si ride – Interruzioni al centro). Sono disposto a credere che a qualcuno pesi oggi di più l’umiliazione di aver portato la camicia nera che non possa pesare a noi di aver sofferto in carcere per la causa della libertà. (Proteste al centro).
Comunque, se non vi pesa, me ne rammarico… (Rumori a destra e al centro – Approvazioni all’estrema sinistra – Interruzioni).
Ripeto che ce ne meravigliamo e ce ne doliamo. Vorremmo che quelli di voi che hanno occhi per vedere, vedessero; vorremmo che quelli che possono intendere la tragedia che ci può sovrastare, facessero in modo che questioni di prestigio di partito od una beccata parlamentare, o una interruzione non bastassero a nascondere i pericoli della situazione. Perché, vedete, quando parliamo di fascismo, quando ne parliamo e riusciamo a farci ascoltare, ci sentiamo dire: «fantasmi, spettri del passato!».
Ma c’è stato già un tempo in cui è stato detto questo. C’erano già allora di questi fantasmi e voi nel 1919, nel 1920, nel 1921, nel 1922 non avete saputo esorcizzarli. Nessuna delle vostre formule è bastata per esorcizzare questi fantasmi, ed un giorno essi vi sono stati vicini, diventati uomini in carne ed ossa, e allora avete creduto che l’unico metodo fosse quello di sedervi con loro allo stesso tavolo, allo stesso Ministero. E certo non è sembrato quello il metodo migliore. (Commenti).
Quegli uomini che credevate forse di rendere più mansueti, hanno portato alla rovina il nostro Paese, e anche, non dimenticatelo, il vostro partito e le vostre organizzazioni.
Oggi, l’onorevole Nitti ci ha ricordato quanto pochi fossero i voti di Mussolini nel 1919. Eccoli in dettaglio: 4.657 voti di lista, 2.420 voti preferenziali, 1987 voti racimolati in altre liste, secondo quanto permetteva il sistema elettorale di allora. Io non so: può darsi che l’onorevole Patrissi, nelle elezioni del 12 ottobre, ne raccolga di più. (Commenti).
FRESA. Certamente!
PAJETTA GIANCARLO. Ebbene, nel 1919 non si dovevano chiudere gli occhi, si doveva capire. Li avete chiusi; volete chiuderli ancora? (Accenna al centro).
Quello che ci preoccupa, quando parliamo di fascismo e di pericolo fascista, siete soprattutto voi. È il vostro atteggiamento che ci preoccupa. Se foste consapevoli, se dimostraste senso di responsabilità, se intendeste il pericolo non per un partito soltanto, ma per tutto il Paese; se comprendeste che bisogna far argine; se non rideste e diceste semplicemente «spettri», allora noi saremmo sicuri che il nostro Paese non ricadrà in questa tragedia.
Ma quello che ci preoccupa è che voi rifate troppo della strada antica; che non volete vedere; che non volete prevedere. Siete davvero peggio di quei dannati che vedevano soltanto quanto era ancora lontano; voi non volete vedere né vicino né lontano.
Che cosa si fece allora? Si ignorò il pericolo fascista; poi lo si minimizzò. Infine, le cose precipitarono, e furono veramente le lacrime delle cose: erano le nostre cooperative, erano le nostre camere del lavoro, erano i nostri morti che parlavano; allora si capì; ma non si ebbe il coraggio di trovare i mezzi. Quando una voce autorevole si levava, diceva: «Il fascismo colpisce più la democrazia che non il socialismo, e lo Stato borghese è impotente. Giolitti usò il suo metodo: quello di avvicinare ed accarezzare prima di intossicare, ma ne rimase prigioniero, dopo aver dato una parte dell’organismo statale in mano al fascismo.
«E così liberali e democratici, che avevano sperato di trovare una balda schiera di avanguardisti al fascismo…».
Chi diceva queste cose era Luigi Sturzo ed era il 18 gennaio 1922; quando non si poteva non vedere; ma si poteva ancora impedire che quello che si intravedeva diventasse veramente la tragedia di tutto il popolo italiano.
Ebbene, questo discorso è del 18 gennaio; due mesi dopo, a marzo, si riuniva la direzione del Partito popolare italiano, e che cosa deliberava? Votava una deplorazione per il patto di intesa che socialisti e popolari avevano concluso a Cremona. Votava una deplorazione per quello che poteva essere il germoglio di un albero, che forse avrebbe potuto far fronte alla tempesta. Dobbiamo riconoscere che qualche giorno dopo o prima anche la segreteria del Partito socialista deplorava lo stesso avvenimento.
Ma noi comunisti, che ricordiamo soprattutto l’insegnamento unitario del nostro capo, del nostro compagno Gramsci, che già allora operò sempre per l’unità; noi comunisti vogliamo avere l’umiltà di imparare dalla storia, vogliamo imparare dalla esperienza e anche dagli errori della classe operaia.
Se voi voleste imparare, se voi voleste almeno guardare se avete qualche cosa da imparare! E questo non pare, pare che sempre più siate spinti su una china antica, che già una volta ci ha portati, noi e voi, alla catastrofe.
Il fatto è che oggi questo Governo della Repubblica rappresenta un pericolo per la Repubblica. Questo Governo: il Governo di De Gasperi, il Governo di Scelba, il Governo di Grassi. Rappresenta un pericolo per quello che di illiberale ha fatto, questo Governo. Io non voglio insistere sull’argomento, perché altri oratori già lo hanno trattato. Ma questa mattina, vede, onorevole Scelba, l’onorevole Piccioni ci diceva che una delle funzioni del Governo è quella di impedire che ci sia il vilipendio, di impedirò che il prestigio di coloro, che rappresentano l’autorità della Repubblica, venga menomato. Ora, io credo che per impedire il vilipendio, per tenere alto il prestigio, la prima cosa sia quella di rifuggire dal ridicolo. E, mi permetta, lei c’è sfuggito molto raramente. Quando lei è venuto a Milano per dare il via ad una corsa automobilistica o motociclistica (cosa rispettabilissima), lei ha concesso ai giornali un’intervista per spiegare perché impediva che un giornale milanese pubblicasse un avviso pubblicitario. Ed ha svolto questo suo pensiero persino in termini filosofici: acquistare un giornale sarebbe un atto di volontà, leggere un manifesto è una… costrizione morale. E per un manifesto che porta l’effigie del Sommo Pontefice, secondo lei, non sarebbe sufficiente l’autorizzazione dalla questura di Milano, ma occorrerebbe quella della Santa Sede.
Quello che è certo è che lei ha ottenuto il risultato di coprirsi di ridicolo e di far vendere parecchie migliaia di copie di giornale in più. Eppure questi comunisti, che secondo lei disprezzerebbero la religione, avevano portato la copia ad autorevoli dirigenti del vostro partito dicendo: secondo voi offende questo il vostro sentimento religioso di cattolici? Quasi quasi abbiamo cercato l’imprimatur, e lei invece ha creduto di dovere intervenire con la sua insensibilità per ridicolizzare il prestigio del Governo. Io le domando sinceramente se questo è il mezzo migliore di seguire i consigli del segretario del suo partito.
Ma noi dobbiamo giudicare questo Governo per ciò che ha fatto, per quello che ha lasciato fare e per quello che ha suscitato d’insane speranze. La composizione di questo Governo ha suscitato un grido di gioia, non solo degli speculatori, ma dei fascisti!
Guardate: quando si leggono i giornali, e particolarmente quelli fascisti, ad un certo momento ci viene di domandarci: ma chi ci ha messo fuori dal Governo?
L’onorevole Giannini ha sostenuto che è stato l’Uomo Qualunque. Gli americani sostengono di avervi contribuito potentemente. I fascisti sostengono sui loro giornali che sono loro che hanno avuto la più grande vittoria, perché finalmente hanno trovato un Governo che mette da parte quelli che sono i loro nemici più pericolosi!
Ora, è certo che questo Governo è stato salutato con tripudio dai fascisti, e non solo con tripudio, ma anche con scariche di mitra e con esplosioni di bombe e con l’intensificarsi della loro azione, col moltiplicare la loro stampa.
Ora, noi vi domandiamo: credete di essere sulla via giusta, se i passi che fate permettono ai nemici comuni di fare altri passi?
Noi vorremmo che quando denunciamo le violenze, gli incendi, gli attentati alla libertà, non si osasse mai dire: troppo pochi! Noi vorremmo che ognuno intendesse che già una volta si è cominciato così!
Ma quello che è certo è che a Milano (dopo la liberazione!) sono stati uccisi dei partigiani, è stata uccisa una vecchia donna nella Camera del lavoro di Milano, un bambino è stato dilaniato da una bomba in una sede del Partito comunista! Quello che è certo è che gli spari contro le Federazioni comuniste e socialiste sono avvenimenti frequenti, se ancora per fortuna non sono divenuti consuetudine! E gli atti di provocazione si sono ripetuti: gagliardetti esposti, fiori a piazzale Loreto, e perfino le scritte luminose, i giornali luminosi, sono stati utilizzati dai fascisti! E credo che la bomba di cinque chili di tritolo messa contro la nostra casa a Milano possa aver fatto un rumore sufficiente perché almeno l’eco giungesse fino al Viminale!
L’altro giorno, quando il nostro compagno Togliatti stava parlando di tante violenze avvenute nei tenitori italiani di confine, qualcuno di voi ha creduto di assicurare tutti (mi pare fosse l’onorevole Bettiol), per la sua conoscenza geografica, che là non ci sono monti, il che distruggerebbe ogni nostra testimonianza. Ebbene, io ho una documentazione fotografica a sua disposizione per dimostrargli che l’edificio della Federazione comunista di Milano esiste realmente e che una bomba fascista vi è scoppiata.
Vorremmo noi che non avvenisse mai in un Parlamento italiano che si levasse una voce o vi fossero applausi che potessero essere considerati non dico come solidarietà, ma come una tolleranza, che potrebbe essere considerata come complicità.
È un fatto che questi delitti, queste provocazioni, hanno trovato l’impunità più assoluta. Quando parliamo con le autorità che rappresentano il Governo, quando parliamo col questore, col prefetto, essi ci dicono: non abbiamo leggi. E quando arrestano i fascisti, è soltanto se proprio li hanno sorpresi a mettere le bombe, e se non siamo noi a denunciarli, i fascisti, che sono inquadrati in organizzazioni clandestine, essi non vengono neppure arrestati; voi non riuscite a saper nulla di loro. E quando per caso li arrestate, dopo qualche giorno essi vengono messi fuori perché dimostrino che in Italia si può fare tutto, e che basta allontanarsi 100 metri dopo aver ucciso qualcuno per ritrovare l’incolumità.
Quando sentiamo i tutori dell’ordine rispondere: «siamo impotenti», noi ci vediamo costretti a chiedere ancora con insistenza la legge per la difesa della Repubblica. Badate, non per la difesa della nostra Federazione di Milano, per la nostra difesa, ma per la difesa della Repubblica di tutti gli italiani.
Ma non si tratta soltanto dell’impunità che viene dalla mancanza della legge. Si tratta anche delle direttive che provengono da voi. Lei, onorevole Scelba, ha provveduto a cambiare il prefetto di Brescia e il questore di Cremona: forse perché uno sciopero si era svolto nell’ordine più assoluto e la cosa era dispiaciuta agli industriali, e non si era neppure tirato sui dimostranti, il che era dispiaciuto ai fascisti. Queste sono le direttive di Roma che trasformano l’impotenza in complicità, l’impossibilità di agire in delittuosa tolleranza. Queste sono le vostre direttive, onorevole Scelba.
E se ella non può fare di più, certo non ne è impedito dalla presenza continua ai lavori parlamentari, perché ella non risponde alle interpellanze, non partecipa alle discussioni: e le dovrebbe restar dunque la possibilità di svolgere il suo lavoro.
Lei evidentemente non capisce quale sia in Italia il pericolo fascista, non capisce che la sua politica e il suo Governo rappresentano un pericolo per la Repubblica. (Commenti).
Noi siamo chiari; che cosa vogliamo noi? Che cosa vogliono i lavoratori? Noi vogliamo l’ordine. Noi vi domandiamo: che cosa volete? Perché non mettete fuori circolazione questi sovversivi che impediscono l’ordine nel Paese? Perché non vi rendete conto che il sovversivo più pericoloso è proprio il Ministro dell’interno! (Ilarità – Proteste al centro). È lui che, come è avvenuto nella lotta con gli agrari, ha fatto proteggere coloro che lottano contro i lavoratori.
Noi vogliamo l’ordine. Credo che i colleghi qualunquisti potrebbero darci atto che quando hanno creduto di poter fare a Cremona una grande parata, noi siamo intervenuti, e abbiamo fatto sentire al Governo la nostra voce, era la voce non dei comunisti soltanto, ma di tutti quelli che avrebbero decisamente agito per impedire qualsiasi parata militare. Ma quando poi è stato fatto il congresso dell’Uomo Qualunque, con delegati delle provincie è forse successo un solo disordine?
Una voce a destra. Allora avevate già flirtato.
PAJETTA GIANCARLO. Allora il congresso di Bologna, che è avvenuto prima?
D’altra parte voi avete tenuto congressi provinciali e adunate e vi abbiamo forse turbato con la violenza? (Interruzioni – Commenti).
Una voce. Erano centinaia di migliaia.
PAJETTA GIANCARLO. Lei crede davvero che se non ci sono dei disordini è perché abbiamo paura? (Applausi all’estrema sinistra). Ma vediamo quali sono le organizzazioni fasciste che sono fiorite sotto la vostra tutela. Noi abbiamo una certa documentazione, noi vi chiediamo di tener conto di quello che riusciamo a trovare noi se non siete capaci d’altro. Ecco qui sul mio banco giornali clandestini del partito democratico fascista, manifestini dove si dice: «Viva il fascismo! Torneremo»; altri dove si parla di bombe; ecco lo statuto del comitato centrale dei fasci di azione rivoluzionaria; ecco il rapporto, per esempio, di un partecipante alle squadre che hanno preparato attentati nelle ultime settimane. Ed ecco altre cose: persino i bracciali dell’organizzazione militare, di una organizzazione che avete legalizzato con il nome di Armata italiana di liberazione, come se di Armata italiana non ce ne dovesse essere una sola, quella della Repubblica. Ma dobbiamo indagare noi; e lo facciamo perché noi vogliamo proteggerci, dobbiamo pur difendere la vita, le nostre case. Noi non possiamo oggi fidarci del vostro Governo e della vostra polizia; e questo è grave, questo dimostra che state perdendo autorità nel Paese.
A Milano, per esempio, il sedicente partito democratico fascista che pubblica questo giornale, che trafuga la salma del duce, che organizza attentati contro la Federazione, che ha organizzato la faccenda del Giornale luminoso, è stato scompaginato dagli arresti che abbiamo provocato, documentando la sua azione, ma oggi potrebbe ricostituirsi perché tutti gli arrestati sono ormai fuori. Operano poi i fasci di azione rivoluzionaria, di cui potete, se vi interessa, leggere qui lo statuto; le SAM (squadre d’azione mussoliniana): queste sono alcune delle organizzazioni clandestine che pullulano a Milano e che voi non solo non trovate, ma finite per legalizzare, liberando quelli che sono arrestati.
Ma quante sono le organizzazioni che operano apertamente? Il Movimento sociale italiano, per esempio: e si tratta di fascisti repubblichini che sono rimasti fascisti.
Non lo diciamo noi, ma ci sono riviste di altri fascisti che dicono queste cose e le documentano e non è difficile capirlo se si esamina la loro stampa.
E al Movimento sociale italiano voi avete fatto l’onore di avere le sue liste per le elezioni di Roma; avete fatto l’onore a questi repubblichini, di oggi e non solo di ieri, di presentarsi sotto questa mascheratura molto trasparente. Quelli dell’«Armata italiana della liberazione» sono invece stati i liberali che li hanno presi nelle loro liste.
Sono essi che mandano in giro le squadre armate, che sporcano il nome della nostra Armata! Ebbene, gli arrestati di Milano per aver lanciato la bomba contro la Federazione sono tutti iscritti a questa specie di armata e con le bombe lanciano i manifesti che voi considerate legali.
Il movimento di Patrissi: noi diciamo che sono fascisti; l’abbiamo detto già, ma c’è anche Giannini, che li conosce più da vicino e li ha denunciati come fascisti: e anche loro hanno la loro lista a Roma.
Ora ci troviamo di fronte non soltanto al pullulare di organizzazioni clandestine, di gente che fa manifestazioni criminose, ma ci troviamo di fronte a qualcosa di peggio, al quale voi volete dare un paravento legale, e voi non ne tenete conto. Si è parlato dei canti provocatori a Roma. Ci compiacciamo che il Fronte dell’Uomo qualunque abbia dichiarato – per bocca dell’onorevole Giannini – che esso non farà coro a questi canti, pur volendo farsi alfiere di pacificazione.
Noi vogliamo essere molto espliciti a questo proposito. Noi condanniamo il fascismo: l’abbiamo combattuto e l’abbiamo vinto. Non permetteremo che esso risorga; ma questo non vuol dire che noi vogliamo la vendetta. Siamo noi il partito della riconciliazione. Siamo stati noi che abbiamo strappato al fascismo i suoi giovani anche quando questo voleva dire rischiare la libertà. Noi li abbiamo cercati, li abbiamo convinti ed abbiamo parlato loro. Allora non c’era voce di libertà, di insofferenza, di ribellione che si sollevasse nel nostro Paese, che non ci ha trovato attenti. Siamo stati noi che li abbiamo cercati nella «milizia», nei G.U.F., dovunque. Siamo andati a cercarli affinché la voce della libertà diventasse la voce di tutti gli italiani ed affinché tutti gli italiani ingannati potessero redimersi. Noi siamo il partito della riconciliazione e voi vi illudete di metterci in imbarazzo quando ventilate un ridicolo articolo che esclude dal diritto di voto gli ex littori o quando ci gridate i nomi di Alicata e di Ingrao. Uomini come Scoccimarro, come Longo, come Terracini si onorano di essere nello stesso partito accanto a questi uomini di cui voi ci gridate il nome credendo di metterci in imbarazzo. Io credo che i deputati che gridano il nome di Alicata, quando Mussolini è caduto non si trovavano ad ascoltare la notizia a «Regina Coeli», come questo nostro compagno. Io credo che questi uomini non hanno fatto come questi nostri compagni uno sforzo eroico per liberarsi e per battersi poi per liberare gli altri.
Noi siamo il partito della conciliazione nazionale. Per questo noi abbiamo chiamato alla democrazia questi giovani e durante la resistenza abbiamo conquistato alla guerra partigiana anche gli ufficiali della milizia (Commenti al centro e a destra) e ne abbiamo fatto gli eroi ed i martiri della indipendenza e della libertà italiana. Grave è invece la vostra responsabilità, la responsabilità di un partito che prende, invece, dei democratici sinceri, che hanno fatto onestamente il loro dovere, e li porta sulla strada della reazione. Noi abbiamo voluto l’amnistia pensando che questo fosse uno strumento per dare prestigio e forza alla democrazia. Anche i giovani illusi e sbandati, anche quelli che hanno avuto delle colpe e potrebbero redimersi. Anche i repubblichini lo potrebbero, soltanto se non pensassero a nostalgie ed a rancori. Ma sta a noi per questo di difendere ed aumentare il prestigio della Repubblica, di fare dell’Italia una Patria materna e anche severa verso i suoi figli.
Per questo che non facciamo nostre le divagazioni filologiche dell’onorevole Giannini: per noi amnistia non viene da amnesia. Abbiamo sofferto abbastanza per poter dire una parola di perdono; ma se noi dimenticassimo, avremmo sofferto invano; e non per questo abbiamo aspettato la caduta del fascismo in una cella del carcere di Civitavecchia piuttosto che in una biblioteca o in un ufficio di gestore delle ferrovie dello Stato! Abbiamo sofferto anche per voi, ma vogliamo che di questo gli italiani non si dimentichino. Se noi dimenticassimo dovremmo credere che i nostri morti sono caduti invano e che i nostri martiri si sono immolati inutilmente se non stabiliamo la giustizia, se non costituiamo una società basata sulla giustizia. (Vivi applausi a sinistra).
Per questo noi rifiutiamo le dichiarazioni per cui fascismo e antifascismo sono tutta una cosa. No, la tradizione dell’antifascismo è un patrimonio italiano; la tradizione della azione antifascista di sempre è un patrimonio non soltanto di un partito, ma dell’Italia, e se l’Italia conterà qualcosa, se sarà ancora una Patria per tutti i suoi figli, è perché questa tradizione si incorpora nella nostra storia.
Noi abbiamo una tradizione nazionale di conciliazione, abbiamo una tradizione nazionale di umanità.
Vi ricordate come Abba ci racconta di quei soldati borbonici di Calatafimi, che gridavano con quella voce lugubre: «Viva il re»? Ricordate come ne parlava?
Abbiamo tradizioni di tolleranza, di magnanimità. Nessuna persecuzione nel nostro Risorgimento, e adesso avete visto quanta larghezza. Del resto, sappiamo che un popolo non può essere fatto tutto di eroi. Abbiamo rifatto il nostro esercito, dopo il Risorgimento, con ufficiali, con generali che venivano dall’esercito borbonico, perfino con ufficiali che venivano dall’esercito austriaco. Pensate a Baldissera che ancora nel 1866 comandava un reggimento austriaco, cioè combatteva perché l’Italia non raggiungesse la sua unità. Poi divenne generale italiano e ricoprì cariche importanti.
Tradizioni di magnanimità. Non possono tutti i Baldissera essere dei fratelli Bandiera, non possono tutti quelli che sono stati in Austria essere dei Cesare Battisti; ma anche se non tutti sono dei Cesare Battisti, e se Baldissera non è la stessa cosa, nei nostri manuali del Risorgimento, dei fratelli Bandiera, quello che è importante è che per essere in Italia bisogna sentirsi italiani, per vivere nella Repubblica e riconciliarsi bisogna essere repubblicani. E vedete un po’, Baldissera non sfilava certo nell’anniversario di Custoza, ma il venti settembre. Non pretenderebbe un ex deputato austriaco che noi commemorassimo il centenario della Dieta di Vienna. Commemorerà la costituzione del nostro Parlamento qualunque sia la sua origine geografica. (Applausi a sinistra).
Voi non ci convincerete mai. Vedete, onorevoli colleghi dell’Uomo qualunque, non ci convincerete mai che il 25 aprile ed il 28 ottobre sono la stessa cosa e che quelli che sono repubblichini sfileranno il 28 ottobre e gli altri il 25 aprile. No. Non venite a dirci: «Non rompeteci più le scatole col fascismo e con l’antifascismo». Quelli che sono stati fascisti devono comprendere di aver peccato, comprendere che noi li abbiamo redenti col nostro sacrificio, e che noi perdoniamo loro perché siamo abbastanza forti per farlo. Questo è quello che il Governo d’Italia dovrebbe fare intendere, e noi vogliamo che l’Italia abbia un Governo.
Una voce al centro. Possono anche non essere comunisti.
PAJETTA GIANCARLO. Certo.
Perché ci preoccupa il pericolo fascista? Ci preoccupa non soltanto la vostra cecità, ma ci preoccupano le radici sociali del fascismo.
L’onorevole Calosso, che non so se si consideri ancora un marxista, ma non credo, perché è piuttosto un idealista, ci chiede che cosa sia il partito comunista, e non ha mai provato di fare l’analisi di quelle che sono le nostre radici sociali. Noi siamo invece abituati ad un altro metodo e per questo facciamo la domanda: ci sono radici sociali? Lo stesso pericolo si ripresenta perché ci sono gli stessi elementi. Purtroppo ci sono. È questa una questione dottrinale? Capisco che l’onorevole Corbellini che sta ridendo è ben lontano da queste cose, dalla politica e dalla analisi storica. Non è una questione dottrinale, si tratta dell’attività pratica.
TOGLIATTI. Ingegner Corbellini, rispetti l’Assemblea.
PAJETTA GIANCARLO. Elementi dottrinali, dicevo; cose che vi sono estranee e cose che l’onorevole Calosso, se è stato marxista, si è dimenticato? No, attività pratica. Quando gli agrari di Vercelli dicono: noi passeremo col nostro trattore sui nostri campi ma stroncheremo le organizzazioni operaie, ci sono ragioni di preoccupazione seria. Del resto tutte queste organizzazioni clandestine non sono fatte soltanto per distribuire manifestini o per buttare qualche bomba davanti alla porta di qualche ufficio. Ma sono fatte per lottare contro i lavoratori come si è visto durante lo sciopero dei braccianti. Ecco una lezione di materialismo storico, onorevole Calosso. L’Associazione della Armata della liberazione ha organizzato il crumiraggio: mille trecento lire al giorno, pranzo pagato e autocarri per andare a fare i crumiri. Questa è una cosa che faceva una volta il fascismo.
M.R.P.: un’altra organizzazione di sedicente sinistra e molto bene controllata dalle forze agrarie della provincia di Milano, ha organizzato autocarri di armati, altoparlanti, e reclutato crumiri (mi pare 300 lire in meno al giorno), durante lo sciopero ed il Movimento sociale italiano ha fatto la stessa cosa. Quando noi vediamo il delitto, quando noi vediamo le canaglie fasciste, quando noi vediamo l’attacco contro la Repubblica, unirsi a certi determinati interessi di ceti privilegiati, di ceti che hanno già una volta finanziato il fascismo, noi abbiamo il diritto di pensare che c’è un pericolo fascista in Italia che non è soltanto fantasma. Noi abbiamo imparato molte cose e chiediamo a voi se non d’imparare le cose che abbiamo imparato noi, di imparare magari alla vostra maniera, ma di non dimenticare la realtà. Noi abbiamo imparato come si conduce uno sciopero meglio di una volta. Non abbiamo permesso agli agrari di prendere i contadini e farne dei crumiri.
Io credo che i comunisti siano tutti dei militanti delle organizzazioni sindacali, non credo d’altra parte che tutti i liberali siano degli organizzatori di sindacati padronali. Noi abbiamo imparato anche un’altra cosa: che non permetteremo queste organizzazioni.
Vede, onorevole Scelba, quando i crumiri;. l’M.R.P., l’M.S. I. andavano in una cascina, noi li prendevamo e li facevamo tornare indietro togliendo la voglia di commettere un reato contro la classe operaia, evitando di fare delle violenze. E si sono accorti presto che la cosa non andava. Questo è quello che abbiamo fatto. Abbiamo imparato queste cose perché abbiamo un’esperienza di quando le abbiamo prese e di quando le abbiamo date. Abbiamo la volontà ferma di chi non vuole che il fascismo ritorni nel nostro Paese. Noi non soffriamo di amnesia; lei soffre, onorevole Scelba, invece, di cecità e questo è grave, perché un Ministro dell’interno dovrebbe vederci o almeno dovrebbe avere nei suoi uffici qualcuno che vedesse per lui.
Busto Arsizio è una piccola città e il giornale che vi si stampa, «Avanguardia sociale» è un giornale fascista. Non credo che ricavi introiti sufficienti dai suoi pochi lettori. Lei dovrebbe indagare su chi paga.
Ecco in un giornale una vignetta: un campo di concentramento (è gente che se ne intende, perché ha fatto la guardia ai campi dove i nostri son morti) e sotto c’è «Pronto per gli Agit-prop». È lei che li invita a sognare, li invita a credere che quel sogno potrà diventare realtà.
E vi è un altro giornale che esce in una grande città d’Italia. Sa cosa vi si dice fra l’altro? «Togliatti, Nenni, Calosso, Treves – ce n’è anche per voi, non dubitate – (Accenna al centrosinistra). Ma è possibile che non ci si decida finalmente a cacciare queste immonde carogne che ammorbano l’Italia»… E poi dice di Togliatti, di Longo, di Secchia: «Gente che ha avuto l a medaglia al valore lazzarone»!
Questo per i dirigenti. Per gli altri, per i partigiani, per quelli che fino a prova contraria il Governo riconosce come partecipanti alla liberazione del Paese: «Forse credono le Brigate Garibaldi di poter ripetere le eroiche gesta dell’aprile del 1945, quando dopo essersi specializzati in agguati…».
Già, noi ammazzavamo i tedeschi alle spalle, non affrontavamo i loro carri armati nelle Piazze di Milano!
«Quasi tutte quelle eroiche divisioni si sono poi distinte nei massacri, ecc., ecc.».
Questo è un giudizio che lei non condivide, ma lo lascia pubblicare perché vilipende gli eroi, e lei non se ne sente personalmente toccato, naturalmente. (Applausi a sinistra).
Ad un certo punto si scrive: «Il valore della Monterosa non ha nulla da invidiare a quello della Cremona…». Io vorrei che ci fosse qui il Ministro Cingolani che ha il dovere di difendere l’onore del nostro esercito. I nostri soldati eroici paragonati ai banditi, ai mercenari della Monterosa. E si continua: «Il valore della Legnano (un’altra divisione nostra) non ha nulla da invidiare alla San Marco…».
Onorevole Scelba, vuole che le mandi le fotografie degli impiccati dalla X Mas? Vuole che le mandi le fotografie di quello che hanno fatto queste divisioni?
SCELBA, Ministro dell’interno. Ha visto per le vie di Roma i manifesti contro l’esercito italiano?
PAJETTA GIANCARLO. Io non li ho visti, ma sono certo che nessun comunista ha affisso un manifesto contro l’esercito italiano. Credo che le cose che avevamo da dire all’esercito italiano le abbiamo dette combattendo, le abbiamo dette mandando i nostri volontari, le abbiamo dette cercando di fare la guerra quando a quell’esercito italiano, complici o tolleranti certi Ministri italiani, gli alleati hanno impedito di combattere come avrebbero voluto, come avrebbero saputo per la liberazione del nostro Paese. (Applausi a sinistra).
Qui è questione che interessa il Ministero dell’interno, la polizia. Vi danno la lista di quelli che dovrebbero essere arrestati, fanno una sottoscrizione, danno dei soldi per i gloriosi mutilati della repubblica sociale italiana. Sono cifre che si possono facilmente tradurre. Per il tal dei tali, «caduto per l’onore», cioè un repubblichino che sarebbe caduto per l’onore, ed infine, come se non bastasse, per questi sporchi rinnegati, per questi tedeschi, c’è uno che dà dei soldi. Capite? Un italiano che dà dei soldi, che si vanta di essere stato un volontario dell’esercito tedesco.
Lei ignora dunque che i nazisti italiani scrivono in tedesco sui giornali permessi da lei?
Vorrei sapere perché mai l’onorevole Del Vecchio contribuisce a pagare coi soldi dello Stato questo giornale.
Se non isbaglio, l’Alfa Romeo è dell’I.R.I.; e, se non isbaglio, come tutte le aziende dell’I.R.I., chiede spesso del denaro, dato lo stato di disorganizzazione in cui voi permanentemente le tenete. Ebbene, questo giornale pubblica la pubblicità pagata dall’Alfa Romeo.
Questo dunque è ciò che voi fate a favore del fascismo! E ci chiedete di non protestare, e ci chiedete di non intervenire, e ci chiedete di dimenticare tutto! No, noi non possiamo dimenticare; bisognerebbe piuttosto che voi imparaste a fare quello che ancora non avete imparato a fare. E si parla di conciliazione!
Sapete qual è la funzione di questa stampa fascista? Quella di denunziare uno per uno coloro che entrano nelle organizzazioni democratiche; di denunziarli come rinnegati e traditori. Ingegner Corbellini, si aspetti di trovare presto il suo nome su uno di questi giornali. (Si ride).
Ma di là dei doverosi provvedimenti che il Governo deve prendere, di là dei provvedimenti che non possiamo attendere più a lungo, c’è un’altra cosa che può vincere il fascismo: è lo spirito di unità degli italiani. Di là dei doverosi provvedimenti di un Governo che non può essere questo – voi lo avete dimostrato – c’è lo spirito di unità.
Ma, amici della Democrazia cristiana: noi non crediamo, no, che tutti quelli che non sono del nostro partito siano dei fascisti; amici della Democrazia cristiana, se voi volete che lo spirito di unità nazionale riviva, bisogna che questo Governo cada, bisogna che cada questo Governo della discordia, che è il Governo che ha permesso all’onorevole De Gasperi di spalancare quelle porte che insieme avremmo potuto far sì che restassero sprangate alla speculazione e al privilegio.
L’unità antifascista, no, non è morta; essa è una realtà dappertutto dove si sente questo pericolo. È una realtà che noi forse sentiamo di più perché l’abbiamo più sofferta, perché l’abbiamo conquistata in tanti anni di resistenza al fascismo; ma questa unità deve essere viva anche nel cuore di voi.
Io sento dire qualche volta dall’amico Merzagora: «Come erano belli quei tempi brutti! Si stava insieme; eravamo tutti uniti». Ma veramente cosa pensa l’onorevole Merzagora? Pensa egli proprio che debbano tornare quei tempi brutti perché si ritorni poi insieme nei Comitati di liberazione?
L’amico Malvestiti, quando una volta bussammo al muro di una cella di Regina Coeli e domandammo: «Che cosa fate? Chi siete?», rispose: «Siamo cattolici, siamo neoguelfi: aspettiamo, preghiamo». Ma, onorevole Malvestiti, pensa davvero veramente che si debba tornare in una cella di Regina Coeli a pregare? Ma dobbiamo veramente attendere che ritorni il fascismo? Non sarebbe meglio che lei potesse pregare in Chiesa e che tutti potessimo restare liberi?
No, noi. non pensiamo che tutti coloro i quali non sono comunisti siano fascisti, che tutti coloro i quali non sono comunisti non siano lavoratori; questo potrà servire per una boutade dell’onorevole Saragat: noi, per nostro conto, cerchiamo dovunque i lavoratori; anche dove ce ne siano pochi li cerchiamo, persino nel partito di Saragat.
Ma se voi non comprendete questo, potremmo avviarci verso una catastrofe.
E quando l’onorevole Piccioni dichiara che gli 8 milioni di voti che avrebbe preso non sono tutti di industriali e di agrari, gli rispondiamo che sappiamo abbastanza di statistiche, per non immaginare questo. Ci sono questi democratici in ogni partito, l’errore vostro di impedire che essi si intendano. Se le basi sociali del vostro partito ci spingessero senz’altro gli uni contro gli altri, non vi chiameremmo il Governo della discordia, non vi renderemmo responsabili di avere interrotto una intesa, che bisognava invece rafforzare, che può essere rinnovata.
Volevo dire alcune cose dei qualunquisti, e mi spiace che non sia presente l’onorevole Giannini. Ieri l’onorevole Giannini ha accusato i nostri compagni Spano e Grieco di aver fondato l’Uomo qualunque. Ma s’è accorto l’onorevole Giannini che noi non accusavamo a torto di fascismo il suo movimento? Quante cose ha cambiato l’onorevole Giannini, e si è accorto che abbiamo cambiato anche noi? Se fosse stato un nostro slogan, se fosse stato un capriccio di Spano, noi continueremmo a dargli del fascista. Non pensa, l’onorevole Giannini, che lo abbiamo anche aiutato a capire che aveva dei fascisti con sé? Non pensa di avere imparato qualche cosa dai comunisti, da qualche articolo del nostro compagno Togliatti? Non ha trovato forse nel suo partito qualche Giuda, dei Giuda che in parte ha scoperto col nostro aiuto?
Noi non diamo del fascista a chiunque non è con noi. Agli appartenenti al movimento dell’Uomo qualunque noi non abbiamo dato del fascista, quando abbiamo pensato che non do fossero.
Noi possiamo chiedervi di crederci, voi dovreste intendere la nostra onestà, provata col sacrificio, dovreste serbare nei nostri confronti quel tanto di onestà, che vi impedisca di attribuirci opinioni che non abbiamo mai espresse, intenzioni che non sono le nostre. È per questo che il Governo si deve togliere di mezzo; esso è come una trincea che ci divide.
Vogliamo dire a questo Governo che siamo forti abbastanza per non avere nessuna velleità di rompere la legalità democratica, che siamo forti abbastanza per svegliarvi, per farvi sentire quale è il vostro dovere, e che siamo forti abbastanza per difenderci, se qualcuno volesse rompere, contro di noi, questa legalità democratica! (Applausi a sinistra).
Ma non è certo con una minaccia che i comunisti vogliono concludere la loro partecipazione a questa discussione.
Noi vogliamo concludere con l’appello che si rinnova, che si rinnoverà sempre, finché avremo fede nella democrazia italiana, con l’appello agli italiani, ai lavoratori, agli antifascisti consapevolmente democratici: unità per lavorare insieme, unità per vivere liberi, unità perché sia salva l’Italia! (Vivissimi applausi all’estrema sinistra – Molte congratulazioni):
PRESIDENTE. È iscritto a parlare lo onorevole Macrelli. Ne ha facoltà.
MACRELLI. Onorevoli colleghi! Una recrudescenza nei postumi della ferita riportata sul campo dell’onore nella prima guerra mondiale ha obbligato il carissimo amico Cipriano Facchinetti a rinunziare al mandato affidatogli dal nostro Gruppo, di portare in questo appassionato dibattito la parola e il pensiero dei repubblicani. Tocca a me il compito di sostituirlo; e io lo adempirò, con frase meno alata e suggestiva, ma, io penso e spero, con la stessa serenità e obiettività.
Del resto, la mozione votata proprio in questi ultimi giorni dalla Direzione del partito repubblicano e dal Gruppo è così chiara, così lineare, che non ha bisogno di molte parole a commento, per spiegare la nostra condotta, il nostro atteggiamento di fronte al Governo.
Come sempre, anche oggi gli uomini del nostro partito, che traggono dalla dottrina morale di Giuseppe Mazzini l’imperativo categorico per la loro coscienza di repubblicani e di italiani, si pongono, o almeno cercano di porsi, al di sopra della mischia e, nel contrasto delle passioni e delle fazioni, intendono richiamare tutti, uomini e partiti, al senso del dovere e della responsabilità, individuale e collettiva, nell’interesse superiore del Paese e della Repubblica.
Anche noi potremmo attardarci in una disamina profonda e circostanziata di quella che è stata l’azione del Governo monocolore dell’onorevole De Gasperi; anche noi potremmo con la nostra critica investire in pieno quella che è stata la politica di questo Governo in ogni settore della sua attività.
Io mi fermerò invece a qualche breve, rapida osservazione che dirà in modo chiaro e preciso (almeno io credo e penso) quello che è il nostro intendimento nell’ora storica che stiamo attraversando e quella che è soprattutto la meta verso la quale noi tutti dobbiamo tendere, italiani e repubblicani.
Noi abbiamo già fatto conoscere in altro momento quella che doveva essere la linea del Governo, di ogni Governo, non solo di questo, ma anche degli altri, dopo le troppe crisi che hanno travagliato la vita politica nazionale.
Noi avevamo fissato dei termini precisi, avevamo anche segnato delle condizioni obiettive e dal punto di vista politico e dal punto di vista sociale e morale; ma la nostra – purtroppo! – è stata voce clamante in deserto! Come molto spesso accade per chi ha una idea, per chi ha una luce davanti a sé che indica la strada da battere, che indica la meta da raggiungere, siamo rimasti inascoltati!
Quando si presentò il governo De Gasperi nell’attuale formazione, noi facemmo conoscere soprattutto i pericoli della situazione, di una situazione che portava – come ha portato purtroppo! – la frattura fra noi, fra i partiti della democrazia!
E abbiamo compreso fin da quel momento che forse saremmo ancora ricaduti negli errori del passato e non avremmo potuto risparmiare alla vita tormentata della nostra povera Patria le sofferenze e le amarezze di oggi.
Io non ripeterò quello che hanno detto già altri; non richiamerò la vostra attenzione, onorevoli colleghi, sulla gravità dei fatti denunciati dall’ultimo oratore che ha parlato, fatti di una gravità eccezionale, fatti che vogliono da parte di un Governo, di qualsiasi Governo, provvedimenti per la difesa della Repubblica, per la difesa della democrazia, che vuol dire difesa del popolo italiano, difesa dell’Italia! (Applausi a sinistra).
Episodi dolorosi, anche recenti, stanno ad indicare che l’opera del Governo è stata negativa o, peggio, in certi casi (mi si consenta di dirlo apertamente) anche faziosa.
Si ritorna alle spedizioni punitive, si vilipendono pubblicamente le istituzioni e, anche, le più alte autorità dello Stato; si pubblicano libelli diffamatori, giornali che costituiscono un incitamento all’odio ed alla vendetta. E gli articoli portano le firme di uomini che dopo la mal congegnata e peggio applicata amnistia avrebbero dovuto almeno ritirarsi nell’ombra per far dimenticare il loro passato di vergogna e di responsabilità. (Applausi a sinistra).
E – prendendo le parole dalla mozione che è l’espressione della realtà e soprattutto della serenità e della obiettività del nostro giudizio nel confronto di tutti i partiti – aggiungo che la rottura dell’intesa repubblicana, dovuta alla politica del tripartito, ha aperto un periodo di agitazioni incomposte durante le quali gli obiettivi meramente politici hanno spesso superato le legittime esigenze economiche delle classi diseredate. Dolorosa realtà, ma realtà che abbiamo constatato anche recentemente. (Applausi).
Per quel che riguarda la situazione economica e finanziaria, le idee del Partito repubblicano sono note. Il Partito repubblicano ha voluto, ha preteso dai Governi una politica attiva di lotta contro l’inflazione. Esso l’ha richiesta nell’interesse supremo del Paese. Ora, questa politica, che già durante i Governi del tripartito era stata tracciata, ha avuto due importanti realizzazioni, due applicazioni: l’imposta straordinaria patrimoniale ed il controllo del credito.
Naturalmente, né l’imposta patrimoniale né il controllo del credito valgono di per sé soli ad assicurare il successo della lotta contro l’inflazione. Altri provvedimenti dovevano essere studiati e soprattutto occorreva non dare incentivo, attraverso l’azione diretta degli organi statali, all’aumento dei prezzi.
Questa è stata la base più debole dell’azione governativa.
Mentre l’imposta straordinaria ed il controllo del credito esercitavano una pressione anti-inflazionistica sul mercato, il Governo con l’aumento dei prezzi dei pubblici servizi, dei prodotti siderurgici, ecc. distruggeva da una parte quello che aveva edificato dall’altra.
Non solo, ma tutta la politica del commercio estero – come è già stato rilevato qui ampiamente da altri – nonostante l’intelligenza spiegata dal Ministro Merzagora, si orientava in senso diametralmente opposto alla politica del Ministro del Bilancio e del Ministro del tesoro.
L’aumento dei premi all’esportazione, rincarando il costo dei prodotti importati, contribuiva a frustrare i risultati raggiunti in altri campi.
La politica del commercio estero è apparsa una politica a sé stante, nel quadro della politica di compressione impersonata dall’onorevole Einaudi.
Le critiche, rivolte al sistema troppo automatico di controllo del credito, trovano la piena adesione del Partito repubblicano. Il controllo doveva assumere aspetto qualitativo e colpire quei rami che più specificamente hanno praticato il tesoreggiamento delle merci e la speculazione.
Ma, intendiamoci, qualunque critica si faccia al Governo, il Partito repubblicano resta fermo nella sua idea che questo ed altri strumenti di politica antinflazionistica debbono essere perfezionati e migliorati, ma non debbono essere accantonati.
Se critica all’azione del Governo significa condanna alla politica antinflazionistica, il Partito repubblicano non è d’accordo e combatte questa posizione.
La lira deve essere difesa con qualsiasi mezzo ed anche, con la lira, il potere di acquisto dei piccoli risparmiatori, dei piccoli ceti che costituiscono poi la massa del popolo italiano.
Il Governo va criticato per quello che non ha fatto e che non fa.
Certo, noi comprendiamo: dal punto di vista politico il Governo non si trova in una delle migliori posizioni.
Anche prima della nuova soluzione data dall’onorevole De Gasperi alla crisi del giugno scorso, avevamo segnalato i pericoli della situazione ed indicato i mezzi per affrontarla. Ho già detto: non fummo ascoltati ed allora, di fronte al Governo monocolore o quasi del capo della Democrazia cristiana, potemmo fissare chiaramente le responsabilità di uomini e di partiti che, preoccupati soltanto delle piccole contese di fazione, dimenticavano l’interesse superiore del Paese.
Oggi, ancora e sempre idealisti e sentimentali, noi pensiamo che una parola libera e serena da questi banchi, in cui siedono uomini che non hanno ambizioni né riserve mentali, possa giovare, richiamando tutti al senso del dovere.
Il Partito repubblicano risponde così implicitamente agli inviti che ci sono venuti da tante parti.
Vorrei aprire una parentesi. Attraverso i tempi questo partito «di orgogliosa minoranza», come è stato definito proprio in questi giorni, ha affrontato battaglie aspre e dure, dimenticando perfino quella che era la sua passione, la sua fede, pur di dare all’Italia, a questa nostra adorata Patria, che è la terra nostra e dei nostri avi, l’indipendenza e la libertà. Ad inviti ed appelli recenti e lontani non abbiamo risposto od abbiamo risposto negativamente: non potevamo dare il nostro consenso ai governi finché in Italia rimanevano l’onta e l’umiliazione di una monarchia e di una dinastia. Siamo rimasti fermi al nostro posto. Abbiamo accettato di assumere responsabilità durante la prima guerra mondiale, ma soltanto dopo il 2 giugno, proclamata la Repubblica, sorta dalla libera coscienza del popolo italiano, abbiamo partecipato per la prima volta al Governo: era un nostro diritto, era un nostro dovere. Poi, ad un certo momento, ci siamo allontanati. Voi conoscete le ragioni, conoscete i motivi, li abbiamo esposti chiaramente; l’onorevole De Gasperi soprattutto li conosce, perché a lui io andai a portare la parola ed il pensiero del Partito repubblicano alla vigilia della crisi di gennaio. Non potevamo rimanere nella compagine governativa. Ne uscimmo a fronte alta, con la coscienza tranquilla e serena per il dovere compiuto, e riprendemmo il nostro posto di opposizione nell’Assemblea, nel Paese. Opposizione però attiva e costruttiva, perché noi non pensiamo soltanto al partito che ci ha mandato qui, ma pensiamo soprattutto al Paese e alla Repubblica.
Orbene, se siamo stati avversari dei Governi che si sono succeduti da gennaio ad oggi, se abbiamo sentito da vari banchi altri appelli ed altri richiami, noi vi diciamo apertamente, sinceramente oggi, come è nostra abitudine: crediamo che sia possibile, anche nelle attuali circostanze, la creazione di un Governo a maggioranza stabile e sicura, con l’appoggio e la collaborazione di tutti i partiti repubblicani.
Questo è il nostro concetto sul quale richiamo la vostra attenzione, onorevoli colleghi. E se volete che specifichi di più vi dirò: noi pensiamo alla data del 2 giugno: è la data che resta ormai ferma, segnata nella storia dei destini d’Italia; orbene i partiti che in quel giorno vollero e fecero la Repubblica devono essere rappresentati al Governo con tutte le loro forze e con tutte le loro energie morali e materiali. (Applausi).
Ma occorre fissare le linee di un programma. Abbiamo sentito alte e profonde discussioni. In ogni campo, competenti di tutti i partiti hanno portato il segno della loro intelligenza, della loro passione, del loro animo. Troppe cose si sono chieste però a questo Governo, troppe cose si erano domandate agli altri Governi.
Ad ogni modo, vi sono due problemi che si impongono alla nostra attenzione; due problemi sui quali tutti dovremo portare il nostro sforzo comune: difesa della lira (e quando dico difesa della lira voglio dire difesa del lavoro, della fatica, del sudore dei nostri operai; quando parlo di operai intendo alludere a tutti i lavoratori, del braccio e del pensiero); difesa, o, meglio, consolidamento delle istituzioni repubblicane. Il Governo, comunque formato, deve partire da questa premessa logica e storica: che la Repubblica oggi è una realtà di fatto e di diritto che rimane nella vita del popolo italiano; che non si cancella perché non si torna più indietro.
È bene dirlo apertamente. (Commenti a destra – Interruzione del deputato De Mercurio).
Onorevoli colleghi, mosso dall’unica preoccupazione di creare stabili basi alla giovane Repubblica, non soltanto attraverso una decisa smobilitazione dell’apparato monarchico fascista, ma altresì attraverso una concorde e concreta politica tendente a risolvere, al di sopra delle ideologie e dello spirito di parte, i gravi problemi che affannano il popolo italiano, il Partito repubblicano, riprendendo del resto quello che già aveva precisato alla vigilia della crisi del gennaio scorso, afferma che il Governo, da lui auspicato, espresso dalla coscienza repubblicana dell’Assemblea, possa assolvere il suo compito in questo grave, difficile, delicato periodo della vita nazionale, soltanto a queste condizioni: 1°) che dal punto di vista personale e tecnico costituisca un meccanismo capace di azione unitaria; 2°) che l’attività ministeriale non sia un terreno su cui ciascun partito delimiti la sua zona di influenza senza nessun coordinamento e nessun adeguamento allo necessità generali. I partiti devono impegnarsi di sviluppare al Governo, una volta stabilito un programma comune, un’azione concorde al di sopra dei propri schemi ideologici, né devono sopraffare il Governo con le loro esigenze particolaristiche, ma devono tutelarne, proteggerne l’azione politica ed amministrativa; 3°) l’azione politica dei partiti al Governo deve svolgersi in seno al Consiglio dei Ministri e la loro eventuale critica deve essere compiuta nel Parlamento, evitandosi in modo assoluto che l’eventuale disaccordo tra partiti ed uomini della coalizione governativa scenda alla contesa polemica nella stampa o nei comizi e si arresti poi sulla soglia della Assemblea politica, unico organo idoneo a giudicare.
Perché indichiamo noi queste vie da battere? Perché, onorevoli colleghi, noi ci permettiamo, noi partito di minoranza, di fissare questi punti?
Per una esperienza personale. Ne abbiamo parlato in altre occasioni. Chiunque assuma la grave responsabilità del potere deve ad un certo momento dimenticare l’antico se stesso, le proprie idee e starei per dire le pregiudiziali ideologiche dalle quali è mossa la sua azione. Io ricordo alle volte le parole pronunziate un giorno da un grande italiano, triumviro della gloriosa Repubblica romana, Aurelio Saffi. Quando nel 1891 il Partito repubblicano vinse per la prima volta le elezioni amministrative a Forlì e salì da solo alla Casa del comune, Aurelio Saffi, che aveva tratto tutta la passione della sua vita dalla dottrina e dall’insegnamento di Giuseppe Mazzini, pronunciò un discorso che dovrebbe essere letto e meditato sempre e dovunque. Egli disse: «Noi non siamo venuti qui a rappresentare un partito. Noi abbiamo dimenticato alla porta della Casa comunale la nostra tessera. Qui noi rappresentiamo soltanto gli interessi dei cittadini, di tutti i cittadini».
Altrettanto devono fare i Ministri che assumono il peso del potere. Uomini di diversa fede, di diversi partiti, che vengono da origini diverse, che hanno principî e programmi in contrasto ed in antitesi, al Governo però devono ricordare di essere soltanto italiani, e noi aggiungeremo, perché complemento necessario, repubblicani.
Ecco l’appello che noi rivolgiamo a tutti i partiti della democrazia e della democrazia repubblicana in quest’ora solenne e decisiva per il nostro Paese. È una parola serena quella che noi rivolgiamo ai repubblicani che sono nell’Assemblea e nel Paese.
Noi crediamo di avere indicato la via da seguire e le mete da raggiungere, e vorremmo che tutti, superando un po’ quello che è il proprio intimo egoismo, quelle che sono le proprie aspirazioni ideologiche, vicine o lontane, si ricordassero che al di sopra di noi, e delle nostre passioni, è l’Italia, è la Repubblica. (Applausi – Congratulazioni).
Voci. Chiusura!
PRESIDENTE. È stata chiesta la chiusura della discussione. Domando se questa proposta è appoggiata.
(È appoggiata).
La pongo ai voti.
(È approvata).
Dichiaro pertanto chiusa la discussione generale.
Domani, nelle due sedute che si inizieranno alle 10 e alle 16, avranno la parola i presentatori delle mozioni e il Governo. Poi si passerà alle votazioni.
Interrogazione con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:
«Al Governo, per sapere:
se non ritenga necessario provvedere affinché la maggior parte delle somme stanziate per la pubblica assistenza (circa 50 miliardi, ripartiti nei bilanci di dieci diversi Ministeri o Alti Commissariati) più non si disperda in spese generali e di organizzazione, in questioni di competenza, in duplicazioni di uffici e interventi, a profitto degli speculatori e a detrimento dei veri bisognosi;
se, per l’esercizio in corso, non intenda rivedere le riduzioni previste e adeguare al valore della moneta gli stanziamenti disposti, così da evitare la più iniqua delle economie sui bisogni delle categorie più umili e provate;
se, infine, non consideri urgente predisporre e attuare un piano di sicurezza sociale che – unificando al centro e semplificando e coordinando gli Enti e Istituti periferici – possa assicurare ai non abbienti senza maggiori aggravi di bilancio, il diritto alla vita.
«Vigorelli, Cairo, Fietta, Calosso, Tremelloni, Ghidini, Filippini, Paris, Cartia, Gullo Rocco, Chiaramello, Zagari, Bianchi Bianca».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Competente a rispondere a questa interrogazione è il Ministro dell’interno, il quale farà sapere lunedì prossimo se sarà in grado di farlo subito o quando potrà rispondere.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
AMADEI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere quali provvidenze e quali agevolazioni intendano applicare e adottare in favore degli agricoltori di quei comuni di Forlì (Predappio, Castrocaro, Bertinoro, Portico, Rocca, ecc.), che per le recenti alluvioni perdevano quasi interamente i raccolti dell’uva e subivano danni ingenti nel foraggio e negli impianti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Braschi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare di urgenza per assicurare il regolare funzionamento della più parte degli uffici giudiziari della Corte di appello di Aquila, e cioè delle preture di Campli, Capestrano, Caramanico, Casoli, Castelvecchio Subequo, Catignano, Celenza sul Trigno, Civitella del Tronto, Guardiagrele, Gioia dei Marsi, Gissi, Lama dei Peligni, Loreto Aprutino, Montorio al Vomano, Notaresco, Orsogna, Pescina, Pizzoli, Pratola Peligna, San Demetrio ne’ Vestini, Tagliacozzo, Torricella Peligna e Trasacco.
«Tutte codeste preture sono da lungo tempo mancanti dell’unico magistrato prepostovi e talune di esse – come quelle di Campli, Celenza sul Trigno, Civitella del Tronto, Gioia dei Marsi, Lama dei Peligni, Nereto, ecc., sono altresì prive dell’unico funzionario di cancelleria.
«Tali vacanze per molte preture si protraggono da lungo tempo, come – ad esempio – in quella di Trasacco, che non ha più titolare da oltre cinque anni.
«Data l’accresciuta competenza delle preture – che si preannuncia debba essere ulteriormente ampliata – tale stato di cose perturba gravemente il funzionamento della giustizia in popolosi centri rurali, nei quali la funzione del pretore ha una particolare e saliente importanza, oltreché giudiziaria, anche sociale.
«L’interrogante chiede, altresì, di conoscere quali provvedimenti intenda adottare per assicurare il regolare funzionamento della Corte di appello degli Abruzzi che, degli undici magistrati ad essa assegnati per le due sezioni civile e penale – a prescindere dalla mancanza di uno dei due presidenti di sezione – attualmente ne conta soltanto tre in pianta, con applicazione temporanea di ben cinque magistrati, taluno dei quali sta per essere collocato a riposo per raggiunti limiti di età, mentre altri sono in procinto di raggiungere le proprie sedi ordinarie, per scadenza del termine di applicazione.
«Siffatto stato di cose è tanto più preoccupante in quanto dal novero dei consiglieri sono tratti e designati i presidenti dei Circoli di Corte di assise funzionanti nelle sedi di Aquila, Chieti, Pescara, Teramo e Lanciano, ed esige urgenti provvedimenti perché sia senz’altro rimosso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Lopardi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, sull’opportunità che, nel determinare l’imposta straordinaria per profitti di guerra sopra gli alberi di olivo, si proceda con criteri di gradualità e di equanimità.
«Mi riferisco specialmente a ciò che accade nella zona di Taggia (Imperia), nella quale ogni albero di olivo viene tassato, per la ragione suddetta, con la somma di circa lire 1000, in modo che agli olivicoltori sono stati richiesti contributi varianti da lire 100 mila a un milione.
«Un’imposta così gravosa appare specialmente iniqua e dannosa all’economia nazionale per le seguenti ragioni:
1°) che l’olivo è l’unica risorsa per gran parte delle famiglie di Taggia e della zona retrostante;
2°) che, come è noto, l’olivo ha un ciclo di produzione biennale, ossia produce un raccolto adeguato solo una volta ogni due anni. Raccolti di speciale imponenza dà soltanto ogni dieci anni;
3°) la manutenzione e la concimazione assorbono, in terreno collinoso (ove solamente si trovano, per ora, coltivazioni d’olivo) notevole parte del ricavato in denaro;
4°) che i maggiori profitti dell’elevazione dei prezzi dell’olio sono andati, non già agli olivicoltori, bensì agli esercenti della borsa nera, non colpiti da nessuna imposta;
5°) che la gravezza di questa taglia costringe e costringerà ancor più i contadini della zona ad abbandonare la coltura degli olivi, e a vendere le piante come legna da ardere. Si tenga presente che durante la guerra mondiale, e immediatamente dopo, furono tagliati ben due milioni di piante.
«L’interrogante ritiene perciò necessario e urgente che l’onorevole Ministro dia istruzioni agli Uffici finanziari della provincia di Imperia, affinché diminuiscano sostanziosamente gli aggravi fiscali, che vanno, con improvvida durezza, applicando agli olivicoltori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Pellizzari».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga opportuno di provvedere ad un equo aggiornamento delle pensioni di guerra (dirette e indirette), troppo inadeguate al fabbisogno dei destinatari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Di Gloria».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non creda opportuno disporre la statizzazione della scuola di ceramica di Santo Stefano di Camastra (Messina) e se non creda di innovare, con criteri di modernità, l’indirizzo della pubblica istruzione che, mentre seguita a moltiplicare le scuole classiche – le quali divengono sempre più una fabbrica preoccupante di spostati e di disoccupati, condannando a una esistenza angosciosa ceti intellettuali che dopo tanti anni di studio non trovano possibilità di lavoro e di vita – trascura, poi, lo sviluppo di scuole tecnico-professionali che elevino le condizioni dell’artigianato popolare, che ha tradizioni così gloriose e onora l’arte e il genio italiano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Basile».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per sapere se, di fronte al disagio nel quale versano reduci, partigiani, mutilati e invalidi di guerra, e alla constatata lentezza nel disbrigo delle pratiche, sia di pensione che di liquidazione delle loro spettanze, non credano necessario ed urgente di unificare i diversi servizi ed uffici e dare ad essi un assetto organico, che valga ad esaudire gli interessi e diritti delle categorie interessate. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Gasparotto, Vigorelli, Clerici, Scotti Francesco».
PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.
La seduta termina alle 20.55.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 10 e alle ore 16:
Seguito della discussione delle mozioni degli onorevoli Nenni, Togliatti e Canevari.