Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 2 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXLI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 2 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Mozioni (Seguito della discussione):

Crispo

Scoccimarro

Presidente

Lussu

La seduta comincia alle 10.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione di mozioni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi! Parlerò brevemente sulla mozione del partito comunista per esporre le ragioni per le quali ritengo che le censure e le accuse mosse alla politica interna del Governo non siano tali da giustificare un voto di sfiducia, e, quindi, la condanna del Governo stesso.

Considero questa mozione come un atto di lealtà politica, non solo opportuno, ma soprattutto utile per il Paese, perché si è con essa trasferito il dibattito sulla politica interna del Governo dal tumulto delle vie e delle piazze e dall’asprezza della polemica di stampa nella sede sua propria, secondo il metodo democratico.

Pareva nei giorni scorsi che addirittura dovesse incombere sul Paese la minaccia di una insurrezione di piazza. Né, per verità, il discorso pronunciato dall’onorevole Togliatti il 7 settembre a Modena fu ritenuto come il più adatto a diradare questa atmosfera e ad eliminare quel senso di ansia, di sgomento, di inquietudine, un po’ diffuso in tutto il Paese. L’indomani, anzi, veniva proclamato lo sciopero generale dei braccianti, e l’onorevole Pastore, nella sua qualità di Segretario generale democristiano della Confederazione generale italiana del lavoro, ne denunziava i motivi esclusivamente politici. Sopraggiungeva poi il comunicato della Direzione della democrazia cristiana, la quale denunziava al Paese che le manifestazioni, gli scioperi, i movimenti, le agitazioni si inquadravano in un movimento a carattere politico, inteso ad indebolire il Governo e ad abbatterlo, contro ogni metodo democratico.

Ed è evidente che questa presa di posizione democristiana dovesse suscitare la necessaria reazione dei partiti estremi, onde il conflitto derivatone, nel quale gli uni venivano denunziati come volgari Cleoni, mestatori, sobillatori e peggio, e gli altri venivano designati come gli esponenti di un governo di parte, reazionario, sollecito soltanto degli interessi egoistici di categorie privilegiate a danno della classe dei lavoratori.

La mozione giunge, adunque, veramente opportuna ed utile a diradare questa atmosfera greve addensatasi sul Paese. Occorre dire subito che, a base dell’attuale tensione, sta la formazione particolare del Governo.

Non è il caso di riandare le ragioni che determinarono tale formazione, essendo noto che non può addebitarsi all’onorevole De Gasperi la impossibilità della formazione di un Governo di centrosinistra. Ma, checché sia di ciò, quando gli onorevoli Nenni e Togliatti condannano il Governo e lo condannano per la sua formazione, in quanto esso, cioè, non comprende i comunisti e i socialisti, arrancano nel vuoto di una questione inesistente.

Mi spiego. Io penso che, se un partito non può identificarsi col Governo nel fine del bene comune, proprio di un Governo, è, d’altra parte, innegabile che esiste per qualunque partito un patrimonio comune di pensieri, di sentimenti, di azioni, in un superiore spirito di comprensione dei bisogni della collettività; onde la nota differenziale, l’interesse particolare, la peculiarità sociale propria di un partito cedono alla coscienza di un superiore compito statale, che prescinde dagli interessi particolari di un gruppo o di un partito.

L’espressione, difatti, «partito di governo» vuole esprimere precisamente i concetti della specie e del genere che s’integrano e si fondono, ed indicano quella maturità politica, per la quale una parte può rappresentare le ragioni ideali della totalità. Se non è, dunque, un’associazione di avventurieri politici, un partito giunto al potere non governa per sé ma per tutti.

Questa attitudine alla concezione della universalità della funzione del governare è stata espressa dal liberalismo in due forme fondamentali, l’una giuridica, lo Stato di diritto, cioè, che significa eguale, uniforme legalità per tutti; l’altra politica, il sistema parlamentare, cioè, che garantisce a tutti i partiti la possibilità di assumere il governo dello Stato, e per mezzo della opposizione, offre il modo di vigilare che il governo che detiene il potere governi nell’interesse di tutti i cittadini. Le democrazie anglosassoni hanno riconosciuta questa verità, assegnando egualmente uno stipendio e al capo del Governo e al capo dell’opposizione.

Quando, adunque, si dice che il Governo non può sodisfare le esigenze fondamentali del paese, perché non comprende anche socialisti e comunisti, che, pertanto, è necessariamente antidemocratico e reazionario, non si dice nulla, perché il Governo non può concepirsi e non si concepisce in una funzione unilaterale, particolare, privatistica.

Ed è per questo che, nella vita politica, la forma che ha rappresentato la più alta volontà di una ben ordinata convivenza è la democrazia liberale. Il liberalismo è il principio di diritto pubblico secondo il quale il potere pubblico, non ostante la sua onnipotenza, si autolimita, perché possano coesistere con esso tutti coloro che non pensano come pensano le maggioranze: convivenza di maggioranze e di minoranze, ossia dei più forti coi più deboli.

È questo forse il più nobile appello che abbia risuonato nel mondo. Era inverosimile che il genere umano avesse attinto un principio così alto e così nobile! Ed è forse per questo che i nuovi difensori della libertà si sforzano oggi di indurlo ad abbandonarlo, ed è forse per questo che diminuiscono sempre più i Paesi, nei quali esista la opposizione, e dove i Petkov non siano assassinati.

Ecco la verità che bisogna avere il coraggio di proclamare.

Occorre aggiungere che diverso dal concetto di partito è il concetto di classe. Il concetto classista, quando informa la struttura di un partito, non soltanto è concetto unilaterale, ma crea – badate bene – necessariamente una mentalità partigiana la quale non può sboccare se non nella dittatura di una classe, negazione di ogni coscienza politica perché nel conflitto che determina costringe a quella difesa legittima, per la quale nelle altre classi si degrada la coscienza generale della funzione di governo in una coscienza a sua volta particolaristica di interessi contrapposti ad interessi.

Ecco perché vi dicevo che per me la questione è mal posta. D’altra parte, non si riuscirebbe ad intendere perché questo governo possa avere, comunque, interesse, nel momento attuale, gravido di fermenti rivoluzionari, di dividere il Paese in due settori, quasi che la tragedia che noi oggi viviamo sia soltanto la tragedia dei lavoratori, nel senso che i nostri amici dell’estrema sinistra danno a questa parola, e non sia, invece, la tragedia di tutti i lavoratori, e, soprattutto, dei ceti medi, che non stanno fra borghesia e proletariato, ma sono più vicini al proletariato, e spesso vivono una vita inferiore a quella che vive il proletariato.

Esiste, adunque, un problema soltanto: quello dei rapporti fra Governo e opposizione. È evidente, difatti, che la minoranza, per fare una opposizione seria e feconda, ha bisogno di un sistema saldamente costituito di libertà politiche, di stampa, di parola, di associazione, e, soprattutto, delle garanzie della libertà del suffragio. Ed è evidente, d’altra parte, che queste libertà devono conciliarsi col diritto della maggioranza di comandare. Occorre, dunque, che vi sia equilibrio tra governo e opposizione, tra autorità e libertà. Senza tale equilibrio, il dualismo tra governo e opposizione è destinato ad accentuarsi per sboccare nella calunnia, nella diffamazione, nella denigrazione, fino al conflitto più aspro, alla impossibilità d’intendersi, alla necessità della distruzione.

Epperò, più civili sono quei popoli che, obbedendo alla legge, rendono inutile l’applicazione della forza. Quando, pertanto, l’onorevole Togliatti sostiene che tutte le correnti politiche debbono essere espresse nel governo per la necessità d’una formula unitaria, egli confonde evidentemente la formula unitaria che suppone la universalità dei consensi, alla quale pensava Rousseau, nel presupposto che le maggioranze possono sbagliare; confonde quella formula con la formula coalizionistica i cui risultati sono sempre la transazione e il compromesso, e che, come coabitazione forzosa e sediziosa, ha fatto la sua nefasta esperienza, tanto nefasta che nessuno dovrebbe auspicarne la reincarnazione in una trinità governativa.

La questione è, dunque, tutta qui: nei rapporti fra Governo e opposizione, e, in sostanza, così la poneva, infine, anche l’onorevole Togliatti.

Voi siete – egli diceva – un Governo di parte, che ha manomesso le libertà, che ha soppresso le garanzie di esse, che ha violato le leggi; un governo antidemocratico, reazionario che non rispetta il diritto della opposizione, e rinnega le origini comuni dalle quali è sorto il regime repubblicano.

Queste sono, adunque, le accuse specifiche che l’onorevole Togliatti muove al Governo?

Basterà esaminarle per intenderne tutta la inconsistenza.

Io non nego che le agitazioni e gli scioperi, organizzati nel quadro della lotta contro il caro-vita, pur nella loro funzione negativa e controproducente, possono spiegarsi come mezzi diretti a tendere l’attenzione sul problema alimentare che incombe sulla vita del Paese.

Ma essi assumono ben altro significato quando si svolgono come si svolsero recentemente a Terni, dove la massa dei lavoratori procedeva in corteo, con grandi cartelli, le cui diciture erano: «Abbasso il Papa», «Il Papa è un affamatore», «Il Papa è alleato della reazione», «La forca a De Gasperi».

LUSSU. Ma Pasquino le ha sempre dette!

CRISPO. D’accordo, ma Pasquino può anche essere la voce di un partito, onorevole Lussu, e qualcuno può nascondersi dietro la figura di Pasquino.

In casi simili, siamo di fronte a manifestazioni che hanno un evidente contenuto politico, che si esprimono con grida e scritti sediziosi, e costituiscono un evidente pericolo per l’ordine pubblico, per l’unità degli stessi lavoratori, e per la pacifica convivenza dei cittadini.

Del pari, è di pochi giorni or sono l’affissione di manifesti nei quali l’onorevole Einaudi, l’onorevole Pella, l’onorevole Grassi e l’onorevole De Gasperi venivano additati in effige come gli affamatori, gli sfruttatori, i nemici del popolo.

Per tal modo, la propaganda diviene libello, intesa non solo ad esporre al disprezzo pubblico, ma, soprattutto, ad eccitare l’odio pubblico per l’effetto che può produrre e che produce in tutti coloro – e sono i più – che, mancando degli elementi di un giudizio, fanno proprio il giudizio insidioso espresso dalla passione di parte.

Non si tratta, adunque, soltanto di vilipendio e l’articolo 290 sarebbe evidentemente applicabile, anche se in esso si contempli il vilipendio al governo del Re, in mancanza di altra norma, ma si tratta di qualche cosa di più grave, dell’eccitamento degli animi e di quella dissensio civium che già Cicerone additava essere la conseguenza inevitabile di manifestazioni sediziose.

Le lagnanze dell’onorevole Togliatti sono, adunque, infondate, e mi sembra, d’altra parte, inconcepibile che si possa chiedere la condanna del Governo perché, per esempio, un funzionario di polizia compiendo il proprio dovere, ha preteso di controllare il contenuto d’un manifesto, prima di autorizzarne la pubblicazione e l’affissione.

Nel suo discorso di Modena, l’onorevole Togliatti disse: «Siamo arrivati al punto che delle donne in una città italiana, per affiggere un manifesto nel quale denunziano le condizioni in cui vivono le loro famiglie, debbono passare per l’ufficio del commissario di polizia o del questore. Ecco la montagna, che partorisce il topo, il ridicolo topo!

LUSSU. In Francia è caduta la dinastia per questo.

CRISPO. Vorrei dire all’onorevole Lussu che egli è di quelli che si ricongiungono a quel movimento massimalista francese che intorno al 1900 creò la parola e la pratica dell’azione diretta.

Tornando al manifesto ricordato dall’onorevole Togliatti, pur non conoscendosene il contenuto, appare subito la stranezza del caso di povere donne che, per protestare contro la miseria, ricorrono ad una così costosa forma pubblicitaria. E questa stranezza non poteva non preoccupare un qualunque commissario di polizia. Comunque, vi è o no una legge di pubblica sicurezza? E perché non si deve applicare? Perché – dice l’onorevole Togliatti – si tratta di una legge di pubblica sicurezza fascista! Che cosa rispondere ad una simile osservazione? Ma tutta la legislazione italiana è in gran parte tuttora legislazione fascista, e non per questo la Repubblica italiana dovrebbe reggersi sulla… carenza della legge. Mentre è evidente, d’altra parte, che una legge, non più corrispondente al clima nel quale fu emessa, ove non sia abrogata, continuerà a vigere in tutte le parti che non sono in contrasto con le esigenze del mutato clima storico e politico.

L’onorevole Togliatti si è anche aspramente doluto della violazione della libertà del comizio di fabbrica.

Siamo, innanzi tutto, dinnanzi ad una concezione democratica del tutto soggettiva, unilaterale, tale, per verità, che un partito non può pretendere d’imporla alla maggioranza.

L’operaio, quando va a lavorare, sa di andare alla fabbrica, non già all’arengo. E basta che ad uno solo repugni che la fabbrica si trasformi in comizio, perché non si abbia il diritto di imporgli di tollerare la propaganda politica nella fabbrica. (Commenti a sinistra).

D’altra parte, se si riconosce la libertà del comizio nelle fabbriche, perché non la si dovrebbe riconoscere, per esempio, nelle udienze dei tribunali, nei ministeri, nelle chiese, nelle carceri e così via?

TOGLIATTI. Quanti ne ha fatti lei di comizi nelle aule?

CRISPO. Nessuno, onorevole Togliatti.

Comunque, il Governo non ha vietato il comizio nemmeno nelle fabbriche, ma ha preteso soltanto il preventivo avviso, per concedere o non, secondo i casi, la necessaria autorizzazione.

Occupiamoci ora dei sindaci comunisti che sarebbero stati giudizialmente perseguiti, senza il rispetto delle garanzie di legge. Leggo il testo del discorso dell’onorevole Togliatti:

«Io non discuto – sono queste le sue parole – se quei determinati sindaci della provincia di Bologna che vennero accusati di aver trasgredito a determinate norme della legge sugli ammassi fossero colpevoli: in realtà non erano colpevoli».

Noi non abbiamo gli elementi per giudicare di ciò e non è su questa piattaforma che si può accusare il Governo. Per altro, quanto all’affermazione dell’onorevole Togliatti che il reato di quei sindaci non cagionò danno, ma, bensì, un vantaggio, penso che un legislatore comunista possa tenerne conto per il futuro codice penale. (Ilarità).

L’onorevole Togliatti si lamenta, infine, della procedura che fu adottata. Egli dice: «Prima di iniziare un procedimento contro un sindaco, occorre la sospensione della garanzia amministrativa che deve essere chiesta dal Ministro dell’interno al Ministro Guardasigilli, il quale a sua volta sollecita il parere del Consiglio di Stato. Se il Ministro Guardasigilli può negare o concedere la sospensione contro il parare del Consiglio di Stato, allora la cosa va al Consiglio dei Ministri. Nulla di tutto questo viene fatto quando si tratti di sindaci comunisti o socialisti; basta un telegramma del Ministro dell’interno ed il sindaco è sospeso, o minacciato d’arresto, o arrestato per atti della sua amministrazione che egli ha compiuto in qualità di sindaco».

Comincio col rilevare che il sindaco come capo dell’amministrazione comunale, non è protetto da alcuna garanzia amministrativa.

La legge non ha una disposizione propria per il sindaco, diciamo meglio per il podestà, perché nella legge comunale e provinciale vigente si parla ancora del podestà. La legge ha una disposizione per i prefetti e i sottoprefetti. Credo inutile ricordarvi che il prefetto e il sottoprefetto sono definiti dalla legge come i rappresentanti del potere esecutivo.

Di conseguenza, quando l’articolo 22 copre della garanzia il prefetto o il sottoprefetto per gli atti che egli compie nella sua funzione di rappresentante del potere esecutivo, ha riguardo esclusivamente a questa funzione di ufficiale del Governo. (Interruzioni a sinistra).

Stabilisce l’articolo 22: «Il Prefetto o chi ne fa le veci non possono essere chiamati a rendere conto dell’esercizio delle loro funzioni fuorché dalla superiore autorità governativa, né sottoposti a procedimento per alcun atto del loro ufficio senza l’autorizzazione del Re previo parare del Consiglio di Stato, tranne il caso di imputazione di reati elettorali».

Sicché per l’articolo 22 mi sembra evidente che la garanzia amministrativa copre l’esercizio delle mansioni del prefetto e del sottoprefetto come ufficiali del Governo.

TOGLIATTI. Questa è la sua interpretazione.

CRISPO. No, non ce n’è altra, perché qui l’articolo 22 ha riferimento esclusivamente al prefetto, e il prefetto, onorevole Togliatti, è il più alto ufficiale del Governo nella Provincia.

PASTORE RAFFAELE. Ma quando applica l’articolo 19 contro gli agrari, allora non lo è più.

PRESIDENTE. Non interrompa, lasci parlare.

CRISPO. Ora, l’articolo 51 della legge comunale e provinciale stabilisce che la disposizione di cui all’articolo 22 è applicabile al podestà e a chi ne fa le veci.

Pertanto, poiché il sindaco ha funzioni come sindaco, come capo, cioè, dell’amministrazione comunale, ed ha funzioni come rappresentante del Governo, è evidente che, quando l’articolo 22 copre di garanzia amministrativa gli atti del prefetto e l’articolo 51 estende la garanzia di cui all’articolo 22 al sindaco, gliela estende nella qualità di ufficiale del Governo, e non gliela estende nella qualità di sindaco. È chiaro?

Una voce a sinistra. Il sindaco è anche ufficiale di polizia.

CRISPO. L’interruttore dimostra di non conoscere la legge, perché, se la conoscesse, saprebbe che la legge stabilisce e determina le funzioni del sindaco come tale e stabilisce e determina le funzioni del sindaco come ufficiale del Governo. È evidente, per le ragioni che ho già dette e che non occorre ripetere, che la garanzia amministrativa si riferisce alle funzioni del sindaco come ufficiale del Governo, ma non si riferisce alle funzioni del sindaco come capo della pubblica amministrazione. Ed è evidente che il sindaco che provvede alle esigenze alimentari del proprio paese agisce come capo della pubblica amministrazione e non come ufficiale del Governo. Quindi, nei casi ricordati dall’onorevole Togliatti, l’autorizzazione non occorreva. (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

CRISPO. Vorrei, peraltro, ricordare agli amici dell’estrema sinistra che la sospensione di un sindaco non deve essere necessariamente determinala da un procedimento penale, perché la sospensione può aver luogo ad insindacabile discrezione del prefetto, per motivi d’ordine pubblico. E se un prefetto volesse abusare della propria autorità, gli sarebbe facile, senza bisogno di alcun procedimento, ottenere lo stesso effetto che voi denunciate.

Non intendo occuparmi dei fatti di Gorizia. Essi furono oggetto di un ampio dibattito in sede d’interrogazione.

Dirò il mio pensiero sulla mancata legge della difesa della Repubblica. Vi furono due disegni di legge: uno dovuto (ed è titolo di merito del quale gli do atto) all’amico Gullo, nella sua qualità di Ministro della giustizia: «Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane», in cui veniva modificata la struttura delle disposizioni del Codice penale fascista in rapporto al regime repubblicano. Evidentemente l’onorevole Togliatti non ha inteso riferirsi al progetto Gullo, ma ha inteso riferirsi al progetto che va sotto il titolo: «Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico».

Questo disegno di legge è dovuto esclusivamente alla iniziativa dell’onorevole De Gasperi, e fu presentato il 17 marzo ultimo scorso. Ora, non mi pare che debba cadere il mondo se nei tre mesi dal giugno ad oggi questo progetto non sia venuto all’esame della Costituente, dato che dal marzo 1947 fino alla formazione del Governo attuale comunisti e socialisti – che pur partecipavano al Governo – non sollecitarono che questo disegno divenisse legge.

Se una colpa si rimprovera all’attuale Governo, la stessa colpa si potrebbe fare al Governo precedente o all’Assemblea Costituente.

Comunque, questa accusa a De Gasperi di mancata difesa della Repubblica, a De Gasperi, badate, che ha sempre rivendicato la qualità di socio fondatore della Repubblica, questa accusa è tanto assurda che davvero non mette conto occuparsene.

Ma crede davvero l’onorevole Togliatti che vi siano in Italia monarchici che pensano alla restaurazione violenta della monarchia? La legge reprime, difatti, una simile violenza, e i monarchici italiani hanno troppo vivo amore per il Paese, per pensare a rivendicazioni diverse da quelle che possono avvenire nell’ambito d’una lotta democratica.

TOGLIATTI. Avellino!

CRISPO. Mi perdoni se osservo che, continuandosi a ripetere che la Repubblica è in pericolo, si induce qualcuno ad offenderla veramente. Non si preoccupi, onorevole Togliatti, la Repubblica sarà quale i repubblicani la faranno.

La Repubblica sarà forte, se sarà sana e aperta a tutti i cittadini.

Io sono monarchico, ma obbedisco e sento il dovere di obbedire alle leggi della Repubblica, dopo che la volontà popolare la volle nella elezione del 2 giugno.

COVELLI. Il che non è vero: l’onorevole Romita insegna.

CRISPO. Intendo, infine, ricordarvi che gli uomini amano adattarsi al fatto compiuto.

All’avvento della monarchia, tutti i più accesi repubblicani divennero monarchici. Giovanni Nicotera divenne Ministro del re; Benedetto Cairoli divenne Presidente del Consiglio ed accompagnò il re nel viaggio di riconoscimento ufficiale. Agostino Depretis e Francesco Crispi sostennero la monarchia, ed il filosofo Giuseppe Ferrari tramontò nel Senato regio. (Commenti). Giosuè Carducci, dopo aver cantato le glorie giacobine della Rivoluzione, finì con l’appendere dei serti poetici sulla fronte della prima regina d’Italia. Non si preoccupi, adunque, l’onorevole Togliatti. Una Repubblica ben ordinata, pacifica, tranquilla, in cui siano garantiti i diritti di tutti i cittadini, sarebbe destinata a durare quanto le piramidi di Egitto. Non è su questo terreno che si può chiedere un voto di sfiducia per l’attuale Governo.

Credo di aver esaminato uno per uno i punti fondamentali del discorso dell’onorevole Togliatti. Vorrei ora permettermi di chiedergli se egli annoveri tra le libertà democratiche anche l’appello alla piazza, l’appello al popolo.

TOGLIATTI. E perché no?

CRISPO. Io intendo che l’azione diretta, talvolta, può esprimere anche un’istanza di giustizia, ma, in tal caso, l’azione diretta deve essere l’ultima ratio contro la contraria volontà dispotica d’un governo incapace di governare, e stagnante nella morta gora di egoismi e privilegi di parti. Deve essere la «ratio ultima», non la «ratio sistematica» perché se diventa sistematica, allora è chiaro che non si tratta più di un dualismo tra governo ed opposizione, e non si tratta più delle rivendicazioni delle libertà democratiche, ma si tratta di un conflitto, di una rivolta, e, in tal caso, il Governo ha il diritto e il dovere di reprimerla. (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

Voglio dire un’ultima cosa, con grande sincerità.

L’onorevole Togliatti ha detto che il Partito comunista è un partito italiano. Prendo atto con grande soddisfazione di tale dichiarazione, perché evidentemente l’onorevole Togliatti non ha voluto dire che il Partito comunista è formato di cittadini italiani, ma ha voluto dire che esso si distingue da tutti gli altri Partiti comunisti europei. Orbene, tutti questi partiti hanno dato la loro collaborazione, e l’hanno realizzata attraverso i fronti, i comitati, i blocchi, le unioni. Il risultato, però, è stato sempre lo stesso: isolamento e liquidazione delle opposizioni. Kovacs ed Arany, Nagy e Tildy in Ungheria, Maniu in Romania, Mihailovic in Jugoslavia, Petkof in Bulgaria, sono non solo le vittime del processo di bolscevizzazione russa, ma stanno a dimostrare che la rivoluzione comunista ha dovunque soppresso ogni forma di libertà.

Il caso più recente è quello di Petkov. E Petkov non è Mussolini. Petkov ha combattuto contro tutti i Mussolini; Petkov è lo spirito dell’opposizione; Petkov era un patriota; Petkov è il Matteotti bulgaro, ed io invio un pensiero reverente alla sua memoria. (Approvazioni – Commenti a sinistra).

Ed allora, io ho compreso questo, che il Partito comunista italiano in tanto, è italiano in quanto non si può confondere con gli altri partiti comunisti, perché il Partito comunista italiano difende le libertà democratiche e, nello spirito di esse, offre la sua collaborazione.

Non nego al Partito comunista le benemerenze che esso conquistò nella lotta contro l’invasore e contro il fascismo, per il consolidamento del regime repubblicano. Ma un partito non si esaurisce in un programma contingente, imposto da determinate condizioni.

Ed io chiedo di sapere che cosa vuole per l’avvenire il Partito comunista, e fino a qual punto la democrazia politica ed economica di esso possa conciliarsi con le esigenze di una democrazia liberale, e fino a qual punto la struttura politica economica sociale che esso vagheggia possa conciliarsi con la struttura economica e sociale dello Stato liberale. (Commenti). Altrimenti la collaborazione che ci si offre non è che una vana parola. Nessuno di noi liberali insiste più sulle posizioni del liberalismo del ’700 e dell’800: posizioni ormai superate da tempo, e sarebbero state superate anche senza l’anticapitalismo.

Noi siamo ad una svolta tragica della storia, e mai come in questo momento è necessario che l’idea liberale si rafforzi, ed abbia i suoi apostoli ed anche, se occorre, i suoi martiri. (Interruzione dell’onorevole Russo Perez).

Come superare, adunque, la crisi? La crisi non d’un governo, e nemmeno di un paese; la crisi del mondo. Alcuni hanno risposto: la crisi si supera nell’idea cristiana. Altri hanno risposto: la crisi si supera nell’idea socialista.

Io non ripeterò la bestemmia di Federico Nietzsche per il quale l’umanità sconta la colpa di essere stata per duemila anni cristiana. Ed era una bestemmia perché attribuiva al Cristianesimo la colpa di non aver avvinto l’uomo per i millenni.

Ma, d’altra parte, non è possibile, come avvertiva Jacob Burckhardt, «un nuovo impianto artificiale di Cristianesimo per fini rappresentativi».

Né la crisi può essere risoluta dal socialismo, come lo intendono i partiti estremi. Non vi è che una sola soluzione: l’idea dinamica del liberalismo evolventesi fino al socialismo, ma al socialismo liberale che è liberalismo sociale, inteso, soprattutto, come vero umanesimo. (Interruzione del deputato Pastore Raffaele). Ma che ne sa lei, onorevole Pastore, di queste cose? Occorre fondere le esigenze della libertà con le esigenze della giustizia sociale. È questa la terza via sulla quale uomini di grande intelletto e di buona volontà si piegano per dire al mondo una parola nuova: la parola della resurrezione e della pace. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Scoccimarro. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Prima di iniziare il mio discorso, vorrei permettermi di fare una proposta. Data la natura degli argomenti che mi propongo di trattare, ho l’impressione che non avrò il tempo sufficiente, dato che sono già le undici e mezza.

Se l’Assemblea non avesse nulla in contrario, pregherei che mi si consentisse di iniziare la mia esposizione nel pomeriggio.

PRESIDENTE. L’onorevole Scoccimarro pregherebbe di rimandare la seduta al pomeriggio. (Commenti). Se l’Assemblea non è favorevole, potremmo pregare un collega di sostituire l’onorevole Scoccimarro. Onorevole Lussu, sarebbe disposto a parlare ora, cedendo il suo turno all’onorevole Scoccimarro?

LUSSU. Mi rimetto a lei, onorevole Presidente.

PRESIDENTE. Rivolgo allora la preghiera personale all’onorevole Lussu di parlare adesso.

LUSSU. Onorevoli colleghi, non essendo io mai stato di carattere pessimistico, anche se non ho il temperamento gioioso e ottimistico dell’onorevole Corbino, credo di appartenere a quel numero di colleghi che in quest’Aula sono assai preoccupati e che non vedono solo questa crisi come crisi di Governo, ma come crisi di democrazia. Questa è, in realtà, crisi di democrazia. Non solo. Ma, a parere di molti, e io sono fra questi, la democrazia, oltre ad essere in crisi, è in pericolo. La democrazia corre pericolo.

Certo i problemi attuali sono essenzialmente economici, finanziari e sociali: disordine economico, disordine finanziario, disoccupazione, inflazione, fame delle classi popolari. Ma la natura di questa crisi è puramente politica.

In ciò concordo con l’onorevole Corbino; concordo con lui cioè nel ritenere che è politico il problema e che politica deve esserne l’impostazione. Manca lo strumento politico necessario per risolvere queste difficoltà che sono crescenti; manca un piano di intesa politica, un piano organico omogeneo politico per risolvere queste difficoltà con volontà e capacità; manca cioè un Governo alla democrazia: quindi crisi politica.

La democrazia è in pericolo, non già perché il partito su cui pesa la principale responsabilità di questo Governo voglia distruggere la democrazia: sarebbe un insulto gratuito l’affermarlo; ma perché, per ragioni complesse, esso è incapace di difenderla, di arrestarne il regresso già iniziato, di consolidare infine quei deboli, ma notevoli risultati che si sono finora ottenuti.

Quando l’onorevole Giannini, nel recente Congresso dell’Uomo Qualunque, ha offerto alla democrazia cristiana la continuazione dell’alleanza o la guerra, nessuno di noi ha creduto che si trattasse veramente di una sfida.

Contro la guerra sta innanzitutto il buonsenso dell’Uomo Qualunque. (Commenti). Ma che guerra! A che scopo, e con quale vantaggio? E contro la guerra e a favore del perdurare della alleanza sta anche il buonsenso della Democrazia cristiana, che vuole rimanere al potere e che quindi ha bisogno del perdurare dell’alleanza coll’Uomo Qualunque. Sono leggi di natura politica, che non consentono eccezioni di sorta. La destra ha il diritto di chiedere, di chiedere sempre e sempre di più; e il Governo ha l’obbligo di concedere, di concedere sempre, di concedere sempre di più. Pena la vita.

I fatti denunciati in questa Assemblea sono i risultati tangibili di queste concessioni. Sicché la preoccupazione di quanti seguono da vicino l’azione politica di questo Governo è tutt’altro che accademica. E fra quelli che hanno assistito nell’altro dopoguerra al verificarsi di questi scherzi, credo vi sono molti che hanno ragione di essere preoccupati; e si ha il diritto di chiedere dove si vada a finire. Marcia su Roma? Ad avventure di questo genere, con belle legioni quadrate – peraltro mai esistite – credono solo gli imbecilli fascisti, marcia, antemarcia, sciarpelittorio, repubblichini professionisti; ma non ci credono che costoro. La verità è che a Roma le forze da cui trae vita materiale e morale il fascismo, a Roma quelle forze ci sono già: sono dentro allo Stato.

Come contenerle, e come metterle lentamente ma sicuramente fuori? Ecco il problema della democrazia in questo momento.

Questo è un Governo non già di centrodestra, come con autorevole e amabile eufemismo ha detto l’onorevole Saragat, ma un Governo di destra, un Governo di destra così come la situazione presente oggi lo consente; Governo di destra relativamente alla capacità e alla forza della destra. La situazione non consente un Governo più a destra di questo. Insomma oggi, più a destra di così, nella situazione attuale, con lo schieramento attuale delle forze, è impossibile andare. Neppure l’onorevole Benedetti e l’onorevole Benedettini possono sperare logicamente una cosa di questo genere.

I portafogli richiesti durante il Congresso dell’Uomo Qualunque, l’uno o i due portafogli richiesti al Governo…

MAZZA. Chi li ha chiesti?

LUSSU. I giornali ne hanno parlato, compresi i vostri: io li leggo tutti. …Sono una battuta teatrale, polemica; a meno che non sia un espediente interno dell’Uomo Qualunque per tacitare o frenare gli istinti turbolenti dell’onorevole Russo Perez, al quale, mi pare, sarebbe stato offerto il portafoglio…

MAZZA. Ma lei sogna ad occhi aperti.

LUSSU. La verità è che i portafogli dell’Uomo Qualunque, per delega e rappresentanza, esplicita o tacita – chiedo scusa –, sono a quei banchi (Indica i banchi del Governo).

Come si esce da questa situazione? E se ne può uscire? (Interruzione dell’onorevole Mazza).

Due grandi difficoltà si oppongono.

Innanzi tutto la composizione organica della Democrazia cristiana. Io non voglio qui discutere (cosa che farà domani lo storico) se la costituzione della democrazia cristiana dopo l’altra guerra, sotto la veste di partito popolare, sia stata un bene o un male. Personalmente io ritengo che sia stata un male. La società italiana è in conflitto da secoli con la Chiesa e, quando un partito politico, direttamente o indirettamente, si riallaccia ad essa, si è in crisi politica.

Se durante il Risorgimento italiano i cattolici si fossero costituiti in partito politico, noi non avremmo avuto l’unità nazionale, (Proteste a destra e al centro) che più tardi e in altra forma.

Una voce al centro. Noi siamo italiani più di ogni altra cosa, soprattutto e prima di tutto!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

LUSSU. E se l’Italia, da Cavour all’altra guerra, ha potuto seguire il suo difficile ma sicuro sviluppo – nei termini in cui lo consentivano lo Stato monarchico e la società nazionale – lo si deve al fatto che non si è avuta la costituzione dei cattolici in partito politico.

Che avverrebbe oggi in Inghilterra, dove i cattolici sono tutt’altro che in forze irrilevanti, se essi si costituissero in partito politico? (Commenti al centro e a destra).

Ciascuno di voi vede che è una questione politica e non religiosa.

Comunque, poiché la Democrazia cristiana esiste ed è il più grande partito nel Paese e per giunta è al Governo, non c’è niente da dire e meno ancora niente da fare. Tutt’al più io potrei dire che, se la Democrazia cristiana non esistesse, certamente un centinaio o 150 di quei deputati (accennando al centro) siederebbero oggi in questi banchi e l’onorevole Jacini ed i suoi amici, che tengono – del resto tanto lealmente – alta la bandiera conservatrice, siederebbero soddisfatti in quei banchi, in mezzo ai colleghi dell’estrema destra, egualmente soddisfatti di essere con loro.

Voce al centro. Da qui la nostra funzione di centro.

LUSSU. Ed io aggiungo, secondo il calcolo delle probabilità, con l’onorevole Jacini, anche l’onorevole De Gasperi. (Commenti al centro).

La Democrazia cristiana si definisce costituzionalmente partito di centro. Se dobbiamo rispettare il significato delle parole – come mi pare doveroso – partito di centro dovrebbe significare un partito, che ha in sé la maggioranza parlamentare che lo renda capace, con le sue sole forze, di stare al Governo, senza l’estrema destra e senza l’estrema sinistra, equidistante dall’una e dall’altra, garanzia a questa e a quella.

È questa la Democrazia cristiana? No, certamente.

Non è dunque partito di centro in senso assoluto.

Ma io aggiungo che non lo è neppure in senso relativo… (Interruzioni al centro) …poiché la democrazia cristiana ha una avversione costituzionale per un raggruppamento politico di estrema che non è precisamente di estrema destra, e una simpatia per un altro raggruppamento che non è precisamente di estrema sinistra. La democrazia cristiana ha in orrore i partiti marxisti in genere, tranne qualche speranzosa riserva verso il marxismo di Saragat (Commenti a sinistra), per cui l’onorevole De Gasperi ha una fiducia – per adoperare l’espressione cara ai teorici della democrazia cristiana – prevalentemente ispirata alla cultura francese-pluralista.

L’onorevole Nitti ci ha spiegato qui, dottrinariamente, questa permanente e assoluta incompatibilità tra cattolicismo e comunismo. A torto, a mio parere, poiché prima dei soviet sono esistite, certamente non marxiste, ma certamente comuniste, due società collettiviste: una ideale e l’altra reale. L’ideale è la nota «Città del sole» di Tommaso Campanella, cattolico, per quanto non iscritto alla democrazia cristiana di quell’epoca (Ilarità); e la società reale è stata la non meno nota Repubblica dei gesuiti nel Paraguay.

Comunque, il grave è che il teorico di questa incompatibilità fra cattolicismo e comunismo, l’onorevole Nitti, è disposto ad andare al Governo e con la Democrazia cristiana e con i comunisti, ma la Democrazia cristiana non accetta più che del Governo faccia parte il partito comunista. La Democrazia cristiana è portata violentemente a sbarazzarsi (Commenti), ma con sistemi dolcissimi (Ilarità), del partito comunista e del partito socialista, che all’uopo è chiamato fusionista: partiti che sono di estrema. Il che fa sì che la democrazia cristiana sia automaticamente non già un partito di centro, ma di centro-destra, anzi di destra. Partito tendenzialmente di destra, poiché la ripugnanza che la democrazia cristiana ha per l’estrema sinistra non l’ha per l’estrema destra, per la quale ha invece trasporti d’amorosi sensi.

Ebbene, questo, a mio parere, non è secondo la natura della democrazia cristiana, partito politico moderno. Direi anzi che appare o può apparire il contrario.

Perché, se vi è nella Democrazia cristiana una base clericale, quindi conservatrice, attorno alle esclusive organizzazioni della Chiesa, questa non è politicamente militante: politicamente è irrilevante. E se vi è nella Democrazia cristiana un’altra forza, di base sociale, quella che rappresenta l’onorevole Jacini, questa non è la gran parte della Democrazia cristiana, anzi è minoranza.

Ma vi è nella Democrazia cristiana una base, che è la principale sua base sociale e politica, quella verso la quale abbiamo espresso sempre la nostra fiducia; è la base fatta di intellettuali, di uomini di cultura, di tecnici, di professionisti, di contadini, di operai, di mezzadri, di artigiani, di piccoli proprietari e di tanti strati di gente minuta del lavoro, che, inquadrati nella Confederazione generale del lavoro, combattono contro quegli stessi interessi che nella Democrazia cristiana sostiene e rappresenta l’onorevole Jacini. (Commenti al centro e a destra).

È questa la base politica che per noi ha rappresentato, nel periodo eroico della lotta oscura e tragica clandestina, una speranza per noi. C’è nella Democrazia cristiana una base che ha partecipato degnamente, quanto tutti noi, alla lotta della resistenza, ed ha dato il suo contributo alla guerra eroica partigiana, e compatta militava agli ordini dei Comitati di liberazione nazionale, di questi gloriosi e capaci organismi nazionali rivoluzionari di lotta e di Governo. Chi, come me, dopo la liberazione del Nord ha partecipato alle prime riunioni, in Milano, del Comitato di liberazione nazionale in cui figuravano i vostri massimi esponenti partigiani, ed ha partecipato, come me, alle prime riunioni del Comitato di liberazione nazionale in Roma, non può dimenticare che noi tutti abbiamo guardato a questi nostri compagni democratici cristiani come ai più sicuri ed intransigenti assertori e costruttori della nuova democrazia repubblicana.

È questa base politica che, al primo Congresso nazionale del partito democratico cristiano a Roma, ha votato, nella sua grande maggioranza, per la Repubblica. Ed è questa base politica che ha votato il 2 giugno per la Repubblica: è questa base politica – noi ne siamo tutti certi – che oggi costituisce un sostegno sicuro della Repubblica.

Il problema è tutto qui: è in grado la Democrazia cristiana di dare valore politico alla sua vera e sola forza politica? Vano è adattare formule fatte a situazioni nuove: la democrazia italiana non consente un partito generico di centro il quale, nei momenti decisivi, si rivela di destra. L’antidemocrazia e la monarchia erano a destra; la democrazia e la Repubblica sono a sinistra e non a destra, perché sono le sinistre e non le destre che le hanno create.

La crisi, che investe la società e lo Stato, è sempre di natura sociale, ma l’azione che può affrontarla e risolverla è politica. Sono lo schieramento delle forze politiche e la condotta politica che determinano una situazione nuova, non la tecnica; la tecnica che non sia subordinata ad una condotta politica va a naufragio. Anche la pianificazione, concepita solo tecnicamente, caro Saragat, non approda ad un bel niente, neppure se in Italia vi fossero non uno, ma quaranta o quarantamila Tremelloni. (Si ride).

CALOSSO. Non abbiamo mai detto questo!

LUSSU. Tecnica e pianificazione, se non sono concepite e realizzate in funzione di democrazia, cioè se non sono capite e sostenute dalle masse dei lavoratori, animati ed avvinti da un superiore ideale di democrazia, non risolvono la crisi, ma l’esasperano. Anche Mussolini e Hitler (chiedo scusa se faccio i nomi di questi due avventurieri dopo quelli di tanti galantuomini) hanno avuto la loro tecnica e la loro pianificazione, a modo loro. Ma Roosevelt, con il New Deal, sostenuto dai sindacati, ha saputo non solo risolvere la crisi paurosa di quell’epoca ma, da quelle realizzazioni, sicuramente esprimere tale forza popolare consapevole di democrazia per cui l’America volle la partecipazione alla guerra e fu fra i sommi artefici della vittoria.

Tutta la chiave della situazione è, pertanto, nella Democrazia cristiana, non nel l’Uomo Qualunque. Mi dispiace per le pretese dell’Uomo Qualunque! Io dicevo al mio collega ed amico Scoccimarro che mi doleva parlare stamani, perché avrei preferito, come il turno d’altronde indicava, parlare dopo il leader dell’Uomo Qualunque. La chiave della situazione non è nell’Uomo Qualunque o nel Partito liberale; la chiave della situazione è esclusivamente nella Democrazia cristiana.

In tutti quei paesi in cui i partiti della Democrazia cristiana, o i partiti cattolici organizzati, si sono allontanati dalle sinistre in tutti i paesi, nessuno escluso – e mi dispenso dall’elencarli perché più volte da varie parti sono stati, ed anche da me, ricordati qui – in tutti quei paesi, nessuno escluso, si è avuto non la democrazia, ma la catastrofe della democrazia. E quale democrazia sarebbe oggi possibile nei paesi d’Europa senza la partecipazione delle sinistre al governo? Ieri l’onorevole Corbino ci ha fatto l’elenco di tutte le Nazioni che hanno un governo socialista. Egli, da liberale, naturalmente, diceva «dramma del problema»; noi diciamo «razionalità del problema». Egli ci ha elencato tutti i paesi: la Finlandia, i due Paesi scandinavi, la Danimarca, l’Olanda, il Belgio, la Francia, l’Inghilterra, che hanno un governo socialista. Hanno un governo socialista perché la democrazia moderna, uscita da questa catastrofe, non consente altre forme di democrazia.

Paesi che fanno eccezione, la Spagna e il Portogallo. Tutta l’Europa civile, democratica, in senso occidentale, è retta da governi socialisti.

E sarebbe mai possibile una democrazia in Italia senza le sinistre? In Italia, non solo le forze proletarie (sarebbero rilevanti ma non sufficienti), ma le forze popolari hanno vinto. Non perduto ma vinto. Vinto nella guerra partigiana e vinto nella sovrana espressione popolare del 2 giugno. Esse, queste forze popolari, ci hanno dato la liberazione e la Repubblica. La nostra democrazia è basata su questa vittoria delle classi popolari, nelle quali si è avuta l’esplosione della profonda coscienza nazionale. Senza questa vittoria, onorevole De Gasperi, senza questa vittoria tu non saresti Presidente del Consiglio per la quarta volta, senza questa vittoria tu saresti certamente in galera o peggio morto e non di morte naturale. (Ilarità).

Io ho il dovere di dire che questa crisi nostra della democrazia è, non in modo trascurabile, dovuta al temperamento personale, psicologico e politico, dell’onorevole De Gasperi. L’onorevole De Gasperi ha una sua bussola politica, che è regolata da un ago magnetico a due frecce estremamente semplici. In una c’è scritto: «la Democrazia cristiana sempre al Governo». Spiegabile, perché la Democrazia cristiana è il più grande partito del Paese. Si può discutere, ma è spiegabile. E nell’altra freccia c’è scritto: «Presidente del Consiglio, sempre l’onorevole De Gasperi». (Ilarità).

Se l’onorevole De Gasperi scrivesse le sue memorie – e sarebbero certamente infinitamente interessanti perché egli è stato partecipe attivo della distruzione di due imperi – io credo che egli ci confesserebbe che, quando era bambino, cioè nell’età in cui tutti sogniamo di essere ammiragli, generali, poeti, vescovi, premio Nobel, io credo che egli ci confesserebbe che in quell’età sognava di essere Presidente del Consiglio. (Ilarità).

Noi, per quanto amici suoi – e questo è un nostro onore – siamo molto lontani, ma voi colleghi della Democrazia cristiana siete amici vicini e lo conoscete più di noi. Personalmente non credo che l’onorevole De Gasperi abbia dell’ambizione, ma, se dovessimo dare retta a parecchi fra di voi, non sarebbe da escludere che l’ambizione possieda una parte notevole, e non la migliore, dell’onorevole De Gasperi. La psicologia dell’onorevole De Gasperi è tutta in quel discorso fatto alla radio, mi pare nell’aprile scorso, in cui disse: «quando si è in cordata non si litiga, altrimenti si precipita tutti».

Quando si è in cordata, onorevole De Gasperi, non si litiga mai e, se si litiga, è sempre colpa del capo cordata. Noi siamo in molti in quest’Aula che abbiamo una buona esperienza dell’alta montagna e sappiamo che, quando si è in cordata, se si litiga, se le cose vanno male, è sempre per colpa del capo cordata.

In quei casi, un capo cordata, cui stia a cuore la sorte di tutti, un capo cordata responsabile, cede la direzione della cordata ad un altro più forte o più capace o più fiducioso di lui.

Che cosa ha fatto, invece, l’onorevole De Gasperi? Si è afferrato alla roccia, col capo della corda e con la picozza, ha tirato di tasca il suo coltello da montagna ed ha tagliato la corda; e sono precipitati giù tutti… (Commenti al centro).

E sono precipitati giù tutti: per primo Togliatti.

Togliatti ha troppo spirito perché non mi consenta di fare il suo nome a fianco di un re, di un re di Francia per giunta. Enrico IV è andato a messa, ma ha avuto Parigi e tutta la Francia. Togliatti è andato a messa, ma ha avuto solo la messa! (Ilarità).

La seconda difficoltà è costituita dal differente modo di valutare il fascismo, o neofascismo che dir si voglia.

Dalla liberazione di Roma, mai come con questo Governo i fascisti si sono sentiti a casa loro. È tutto un pullulare di giornali, di riviste, di organizzazioni, di manifestazioni petulanti e provocatorie di fascisti fanatici e di repubblichini prezzolati. Riconciliazione? Essi non sanno che farsene. Essi vogliono la rivincita.

Che cosa sono questi neofascisti? Sono anche un pericolo, o semplicemente un insulto per la democrazia repubblicana?

Credo, in primo luogo, che parecchi di noi debbano fare ammenda pubblica – ed io la faccio – di un giudizio molto affrettato espresso sull’onorevole Giannini, leader dell’Uomo Qualunque.

L’onorevole Giannini, dopo aver scolpito il suo nome nella storia del teatro e del film, rischia (ed io glielo auguro) di scolpirlo anche nella storia politica, nella storia della democrazia.

Egli ha indubbiamente il merito di aver detto ai suoi seguaci, in massima parte ex fascisti: non parliamo più di fascismo.

A me pare doveroso parlare con rispetto di un uomo che, avendo sofferto molto personalmente – e chi di noi non lo sapeva se n’è accorto in quest’Aula, quando egli parlò qui, nella discussione sul Trattato – che avendo molto sofferto personalmente, ha individuato nella sua tragedia personale e familiare tutta la tragedia nazionale, e ha dichiarato: non più fascismo e non più guerra. Io penso perciò che se egli subisse – privilegio degli uomini illustri – un attentato, l’autore non andrebbe cercato in queste file, ma in quelle dei nemici-amici, come si chiamano nel campo dell’Uomo Qualunque. Io credo che anche la partecipazione dell’onorevole Togliatti al Congresso dell’Uomo Qualunque, seguita dalla visita del nostro Presidente dell’Assemblea, pure comunista, abbia avuto questo significato di affermazione di benevolenza.

Ma non è detto tuttavia che l’onorevole Giannini sia tutto l’Uomo Qualunque. Potrebbe accadere all’onorevole Giannini, per ipotesi, in avvenire, ciò che accadde ai mistici predicatori della quarta crociata, i quali predicarono la conquista della Terra Santa, di Gerusalemme, mentre poi i loro eserciti, nonostante le bolle di scomunica di Innocenzo III, occuparono e misero a sacco prima Zara, città cristiana, e poi attaccarono e presero Costantinopoli, città cristianissima. E ai mistici predicatori non rimase altro che accettare il fatto compiuto e installarsi nelle città conquistate.

Ogni democratico si augurerebbe, io credo, che tutto l’Uomo Qualunque seguisse l’esempio dell’onorevole Giannini, il quale, fra l’altro, ha l’onore persino di una figlia partigiana. Ma si ha l’impressione che ci sia ancora molta strada da fare.

E poi, oltre l’Uomo Qualunque, noi sappiamo che cosa c’è fuori.

Si ha l’impressione che l’Uomo Qualunque e gli stessi altri gruppi liberali e monarchici pecchino di eccessivo zelo nel difendere una tesi cara ai fascisti, ai fascisti autentici: quella della discriminazione assoluta e della cosiddetta riconciliazione.

Quando si grida alla faziosità nostra di antifascisti radicali, non sarebbe tempo perduto, io penso, andare a controllare quanto è avvenuto ed avviene in Francia, nazione meno numerosa della nostra, in cui il fascismo c’è stato per minor tempo e in forma meno canagliesca. In Francia, dove il «Mouvement Républicain Populaire» – i vostri colleghi della democrazia cristiana (Accenna ai banchi democristiani) – sono stati al potere dalla liberazione ad oggi. Qui si strilla perché mille fascisti repubblichini sono stati deportati: ma in Francia, senza contare tutti quelli che sono stati passati per le armi, senza contare quelli condannati all’ergastolo, a trent’anni o ad altre lunghe pene detentive, e quelli che sono stati condannati a meno di dieci anni raggiungono la cifra di 8.000 e sono nei campi di concentramento. Dopo le evasioni scandalose dai campi di Noé e di Carré, si stanno per mettere tutti in carceri chiuse, e il provvedimento è reclamato innanzitutto dal «Mouvement Républicain Populaire», dai vostri colleghi di Francia. (Accenna ai banchi democristiani).

E in Francia continuano implacabili i processi e non si assiste allo scandalo di revisioni, di sentenze di Corte di cassazione, che sono un affronto ingiurioso alla giustizia, e una sfida alla nostra coscienza democratica. (Vivi applausi a sinistra).

Noi non abbiamo avuto né un’epurazione seria né sanzioni. Riconciliazione? Ma certamente. Saremmo dei cani idrofobi se non la volessimo, saremmo dei macellai di professione se la rifiutassimo. Chi non vorrebbe la riconciliazione, riconciliazione piena e pacificatrice, sicché la nuova vita democratica italiana cominciasse dal 2 giugno?

Ogni generazione ha i suoi dei falsi e bugiardi; e la società che ne espia le colpe è portata all’indulgenza; si aprano le porte al figliuol prodigo, che ritorna alla casa paterna. Ma la riconciliazione esige un cambiamento di condotta e di vita; la riconciliazione esige innanzitutto, da parte di quelli che la invocano, una coscienza profondamente modificata; senza di che la riconciliazione sarebbe un turpe mercato nero, morale e politico. Non ci si riconcilia, innanzitutto, coi grandi responsabili, con i ladri, i furfanti e i criminali. La pietà – diceva giustamente uno dei vostri (Accenna ai banchi democristiani) dei più eroici nella lotta clandestina contro i fascisti ed i nazisti tedeschi – nasce dalla giustizia. Non ci si riconcilia con chi afferma che se Mussolini avesse avuto collaboratori più capaci, il fascismo avrebbe trionfato. Non ci si riconcilia con chi trae vanto dall’essere stato fascista militante e repubblichino professionista, pronti tutti a ricominciare da capo. Con costoro nessuna riconciliazione, né morale né politica, è possibile. (Approvazioni a sinistra). Per costoro non ci sono due vie o tre vie: c’è una via sola. In tempi di legalità democratica, come la nostra, la legge penale e civile (Approvazioni a sinistra); e in tempi eccezionali, l’arma con cui i nostri partigiani li hanno affrontati e messi a terra. (Applausi a sinistra).

Ebbene, questo Governo pare sia il Governo di questa riconciliazione intollerabile. Quando nelle piazze di Roma, Roma capitale d’Italia, sede del Governo, mentre l’Assemblea Costituente siede, scorrazzano, cantando gli inni macabri della pazzia, fascisti e repubblichini…

Una voce a sinistra. Lo consente Scelba!

LUSSU. …quando a Roma, nelle manifestazioni pubbliche, si arrestano quelli che gridano «Viva la Repubblica» e si difendono e si proteggono quelli che cantano inni fascisti, c’è una seria ragione per preoccuparci in tutti i settori. (Approvazioni a sinistra). In Inghilterra, paese classico della libertà, e per tutti, collettiva e individuale, quando i ridicoli fascisti di sir Oswald Mosley escono a manifestare, le masse di Londra, la gente pacifica e rispettosa di Londra, li piglia a sassate e a bastonate. In Inghilterra, paese libero. E noi, che nel nostro Paese abbiamo avuto un fascismo che ha tutto distrutto, moralmente e materialmente, noi, per i quali il fascismo è stata la più immane tragedia della nostra storia, noi dobbiamo assistere, tranquilli e pacifici, indifferenti, liberalmente indifferenti?

I fatti che sono stati denunciati qui sono gravi: ogni provincia ha i suoi fatti gravi. Noi usciamo da venticinque anni di fascismo, e l’abbiamo ancora tutti nel nostro ricordo. Chi ha assistito al disordine delle vicende di 25 anni fa, ed è spettatore di nuovo di queste disordinate vicende, credo abbia il dovere di dire e di fare qualche cosa per tentare di rompere l’incantesimo di questi corsi e ricorsi storici. È un nostro dovere! De Gasperi, è un dovere di tutti! È una cosa troppo seria! Ciascuno comprende che queste mie parole non sono espedienti di manovre elettorali. È una cosa seria!

L’altro giorno Saragat ha svolto la sua mozione di sfiducia in mezzo alla nostra più grande attenzione. Ascoltando il suo discorso di opposizione, in cui tutto questo problema non appariva, di cui non ha fatto il minimo accenno, come se fosse arcaicità del periodo degli etruschi o della civiltà greco-sicula o della preistoria, io mi sono spaventato. Ho il dovere di dirlo ad un vecchio grande amico socialista, la cui grande formazione ed esperienza politica si è fatta a Vienna coi socialisti, in mezzo agli operai di Vienna proletaria e socialista, guidata da Otto Bauer, che ha scritto nella gloriosa resistenza una delle pagine più grandi della storia della democrazia europea. Io sono rimasto spaventato. L’espressione – molti di noi lo ricordano – è la stessa adoperata da Léon Blum, in un celebre congresso socialista, rivolto a Renaudel, capo del gruppo dell’Ariete, animato da magnifiche intenzioni non meno che l’onorevole Saragat; Renaudel, al quale una morte precoce, pia e benigna, ha tolto la possibilità di vedere la catastrofe del suo movimento.

Egli è stato tutto assorbito dalla questione dei comunisti e della terza via.

Dei comunisti non ho niente da dire, se non rievocare le esperienze personali e culturali comuni: che cioè la democrazia, oggi, nel nostro tempo, senza il proletariato, è contro il proletariato. La democrazia, senza il proletariato, non è democrazia, oggi! Questo in Italia e in ogni Paese del mondo, in cui il proletariato è organizzato!

Certo, ci sono difficoltà notevoli, grandi, ma sarebbe contro natura che non ci fossero. Personalmente, io non nascondo che preferirei in Italia un grande, unico Partito socialista, con tutte le correnti socialiste, che avesse qui in Assemblea tre o quattrocento deputati, quanti ne ha il partito laburista in Inghilterra.

Personalmente io preferirei che il Partito comunista fosse un piccolo partito. (Commenti a sinistra). Ma, così non è. Non è un piccolo partito, e nessuno può fare che non sia quello che è, neppure l’onorevole Scelba, Ministro dell’interno, che credeva di possedere gli strumenti per ridurlo a suo piacere.

E allora bisogna risolvere le difficoltà nei modi in cui è possibile risolverle: solo nei limiti in cui è possibile risolverle.

All’onorevole Saragat, che è uomo di cultura, consiglierei di leggere o rileggere il discorso di Ibreo a Entedemo che non è il caso di rievocare qui.

Una terza via! Si può essere tutti d’accordo, ma ci sono parecchie cose da dire. Io all’onorevole Saragat mi permetterei anzitutto di dire questo: che dopo la sua prima visita in America, non ne faccia – come egli promette o minaccia – una seconda nella stessa America. Gli consiglierei di fare la seconda a Mosca, altrimenti noi sostenitori della terza via saremmo preoccupati che egli coltivi e percorra una via che non è precisamente la terza. (Applausi a sinistra).

L’Italia, nell’eventualità che lo schieramento dei due blocchi perduri, non deve accodarsi né all’uno né all’altro blocco. Se così non fosse, noi perderemmo la nostra indipendenza nazionale. Il che significa la nostra libertà collettiva di popolo sovrano, e non avremmo più democrazia.

La nostra democrazia presuppone la nostra indipendenza nazionale. La nostra indipendenza è nella terza via. Una terza via significa volerla sin da ora, senza equivoci, sempre pronti a difenderla, a difenderla anche con le nostre armi infinitamente modeste e con il sacrificio del nostro sangue. Pronti e decisi a difendere la nostra indipendenza. Il che vuol dire che, nella catastrofica eventualità di una guerra, noi non saremmo mai gli ausiliari e i vassalli di nessuno, peraltro risoluti a schierarci a fianco di uno di quei blocchi la cui potenza nemica violasse per prima la integrità del nostro territorio nazionale.

Questa è la terza via. All’infuori di questa, c’è truffa e commedia. Questa è la terza via, e credo che dovremmo volerla tutti, perché i destini del nostro Paese sono legati esclusivamente ad essa. Dovremmo volerla anche se costasse sacrifici penosi a noi individualmente ed al popolo che rappresentiamo e che abbiamo il dovere di guidare nelle ore del pericolo.

Anche su questo problema il Governo non ci dà nessuna garanzia.

Non già che esso lavori per una sola via che non sia la terza. Il dirlo sarebbe un affronto ed un’offesa all’onore dei nostri rappresentanti ed alla verità. Il Governo non lavora per questa, e tanto meno il Ministro degli Esteri la cui indipendenza personale e politica è nota ed arcinota. Ma le forze politiche e sociali che questo Governo protegge, rappresenta e incrementa, sono per una sola via, che non è la terza.

Grave dunque è la vostra responsabilità, o colleghi della democrazia cristiana. È grave la decisione che vi ha portato a formare questo Governo. Noi lo notiamo ogni giorno, nelle conversazioni personali che abbiamo con voi, poiché amicizie profonde legano molti di noi a molti di voi. Sentiamo questa posizione vostra d’imbarazzo. Voi dite: «ma è provvisorio», «passerà», «non può durare così fino alle prossime elezioni», «ci accomoderemo, naturalmente». Si sente che neppure voi siete contenti. Lo si sente persino attraverso i vostri stessi oratori deboli e incerti. Io voglio sentirlo, starò qui ad ascoltarlo il vostro «leader» politico, l’onorevole Piccioni, la cui formazione politica si è fatta intorno a «Rivoluzione Liberale» di Gobetti. Io starò ad ascoltarlo, ma ho l’impressione che anche egli sarà debole, come è stato debole l’altra volta, quando parlò qui uno dei massimi vostri oratori, il nostro magnifico compagno Cappi; Cappi, l’umano e l’eroico, che a Cremona, fossa dei leoni, dei serpenti e delle vipere, ha vissuto i vent’anni fascisti; Cappi, che quando parla esprime la stessa democrazia nella sua essenza. Ebbene, il discorso di Cappi fu il più infelice di quanti un parlamentare possa fare: non già perché, a difesa di questo Governo, gli manchi l’intelligenza o la preparazione politica (egli è maestro a molti di noi), ma è la fede che gli manca. Egli ci ha citato qui, e l’ha rievocato con fine volo letterario, lo scudo pesante di Uguccione della Fagiola. Ebbene, cari compagni della Democrazia cristiana, non è con quello scudo che sarete in grado di difendere la formazione politica di questo Governo e la vostra posizione per la responsabilità che su di voi cade. Non è con quello scudo – ne potreste avere cento o mille di simili – che vi difenderete. A voi manca un altro scudo, quello che non è necessario sia temprato di acciaio o cesellato d’arabeschi. A voi manca lo scudo infinitamente più semplice, che può con nulla costruire persino un modesto artigiano; è quello che conta e che solo vale per voi uomini dalla vita a fondamento morale: a voi manca a difesa di questo Governo – mi sia permesso senza offesa – a voi manca l’usbergo del sentirvi puri. (Rumori al centro).

Né vale il fatto che costituzionalmente voi avete le carte in regola. Certo, costituzionalmente voi avete le carte in regola: l’hanno ricordato anche i colleghi liberali che hanno parlato: Cortese, Corbino ed anche, poc’anzi, l’onorevole Crispo. Le vostre carte costituzionali sono in regola, ma non avete a posto le vostre carte politiche: quelle non sono in regola.

Da voi, dal Presidente De Gasperi, dall’onorevole Scelba principalmente e da altri, si è sentito ripetere: noi non abbiamo paura. Molti tra di noi rispondono: neppure noi abbiamo paura.

Io dichiaro, francamente, di avere paura di questo Governo. Paura, non tanto per me, personalmente, ché la mia persona è una cosa irrilevante in un Paese che a momenti ha 50 milioni di cittadini. Non ho paura neppure per la mia corrente politica, assai modesta e che forse ha compiuto il suo ciclo storico, rispondendo degnamente per vent’anni all’appello della democrazia italiana e battendosi per essa. (Applausi). Io ho paura per qualcosa di più: per la vita del nostro Paese, il quale, io credo, avrà molte cose da dire nei millenni che verranno. Io lo confesso: questo Governo mi fa paura per il nostro Paese. (Vivissimi applausi a sinistra – Molte congratulazioni).

Presidenza del presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il seguito della discussione è rinviato al pomeriggio. Desidero far presente che, aderendo all’invito rivolto ieri sera, numerosi iscritti hanno rinunciato a parlare. Io auspico che ancora qualche collega venga nel pomeriggio a notificarmi la sua rinuncia. Siccome restano comunque sempre ancora una ventina di oratori, e poi dovranno parlare i presentatori delle mozioni e alcuni membri del Governo, questa riduzione del numero degli iscritti non è sufficiente ad esonerarci dalla seduta serale prolungata. Prego pertanto i colleghi di tenerne conto nel regolare l’impiego delle loro ore.

La seduta termina alle 12.40.