Come nasce la Costituzione

Come nasce la Costituzione
partner di progetto

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 30 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 30 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Pesenti

Scoca

Cappi

Micheli

Scoccimarro

Dugoni

Cimenti

Piemonte

Perassi

Jacini

Corbino

Marinaro

Condorelli

Mortati

Paris

Crispo

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Codacci Pisanelli

La seduta comincia alle 9.30.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo il deputato Russo Perez.

(È concesso).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Onorevoli colleghi, si riprende l’esame della lettera c) del secondo articolo degli emendamenti aggiuntivi, concernenti gli enti collettivi, formulati dalla Commissione.

Ricordo che il testo proposto era del seguente tenore:

«c) lo Stato per tutti i suoi beni, le Amministrazioni di Stato, gli Stati esteri, per i beni di qualsiasi specie che essi possiedono nel territorio dello Stato, le Provincie, i Comuni e le Aziende municipalizzate, i Consorzi e gli altri enti autorizzati ad imporre tributi obbligatori; le partecipanze ed università agrarie; le opere pie, gli istituti ed enti di beneficenza ed assistenza legalmente costituiti e riconosciuti; le società di mutuo soccorso; le fondazioni od istituti di diritto o di fatto che, pur senza rientrare nel novero delle istituzioni pubbliche di beneficenza, attendono, senza fine di lucro, ad opere filantropiche di assistenza ed educazione degli indigenti, infermi, orfani o fanciulli bisognosi, combattenti, reduci e partigiani e loro figli; gli enti il cui fine è equiparato, a norma dell’articolo 29, lettera h) del Concordato, ai fini di beneficenza o di istruzione e gli assimilabili di altri culti; gli istituti pubblici di istruzione; i Corpi scientifici, le Accademie e Società storiche, letterarie, scientifiche, aventi scopi esclusivamente culturali; i benefici ecclesiastici maggiori o minori.

«Per gli enti di cui alla lettera c) l’esenzione non ha luogo per la parte di patrimonio destinata all’esercizio di un’attività produttiva di reddito tassabile, ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, in categoria B».

Ieri sera si era rimasti d’intesa che la Commissione avrebbe presentato questa mattina un nuovo testo che, tenendo conto della lettera c) del primo articolo, sfrondasse tutte le indicazioni superflue, in maniera da avere l’elenco di quegli altri enti i quali possono usufruire dell’esenzione.

Onorevole La Malfa, è stato preparato il nuovo testo?

LA MALFA, Relatore. Vi è un emendamento dell’onorevole Pesenti che può essere preso a base della discussione.

SCOCA. Anche noi abbiamo preparato un emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene.

Do lettura dell’emendamento proposto dall’onorevole Pesenti:

«c) le aziende autonome dello Stato, le aziende municipalizzate ed enti autonomi che esercitino pubblici servizi, le partecipanze e le università agrarie».

Nell’emendamento Pesenti restano così assorbiti tanto l’emendamento Assennato, il quale citava soltanto gli enti autonomi che esercitano pubblici servizi, quanto l’emendamento Dugoni, salvo, quest’ultimo, per la parte che propone il mantenimento nell’elencazione dei consorzi e degli altri enti autorizzati ad imporre tributi obbligatori.

Resta sempre la proposta dell’onorevole Quintieri di eliminare l’indicazione relativa alle aziende municipalizzate.

Gli onorevoli Scoca, Carbonari ed altri, presentano a loro volta il seguente emendamento sostitutivo della prima parte della lettera c) sino alle parole «aziende municipalizzate»:

«c) le aziende dello Stato delle province e dei comuni e gli enti autonomi esercenti un pubblico servizio».

Invito il Governo ad esprimere il suo avviso su questi due emendamenti.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo accetta la formula, dell’emendamento proposto dall’onorevole Scoca che assorbe parzialmente l’emendamento dell’onorevole Pesenti. Il Governo accoglie quindi l’emendamento Scoca, mentre non accoglie l’emendamento Pesenti. Chiedo scusa agli onorevoli colleghi se, per semplificazione e per brevità, ridurrò al minimo la motivazione del pensiero del Governo.

LA MALFA, Relatore. Desidererei avere un chiarimento sull’emendamento Scoca. Chiedo cioè se egli intende mantenere il resto dell’alinea c) dalle parole: «i Consorzi e gli altri enti autorizzati» in poi.

SCOCA. Sì, lo mantengo.

LA MALFA, Relatore. Mi pare allora che ci troviamo nell’identica situazione di ieri sera: non ci comprendiamo affatto. Avendo modificato la lettera c) dell’articolo 1, non possiamo conservare ora questa lettera c).

PRESIDENTE. Cominciamo con il votare la prima parte dell’alinea c); poi esamineremo la parte successiva. Pongo ai voti l’emendamento dell’onorevole Scoca.

(È approvato).

Passiamo ora alla seconda parte della lettera c). Dopo la votazione avvenuta, dell’emendamento dell’onorevole Pesenti rimane il finale tendente a mantenere le parole: «le partecipanze e le università agrarie».

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze per esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo è d’accordo nel concedere l’esenzione anche per le partecipanze e le università agrarie; per quanto sia molto improbabile che le partecipanze ed università agrarie posseggano un reddito di categoria B.

Vorrei, in proposito, soggiungere che tutti gli enti elencati nella categoria c) difficilmente posseggono un reddito di categoria B; ma, la semplice possibilità che questi enti posseggano un reddito di categoria B, basta per giustificare l’elencazione che il Governo chiede di mantenere. Il fatto che si tratti di ipotesi più teoriche che pratiche serva a tranquillizzare gli onorevoli colleghi in ordine alla ripercussione di queste esenzioni sul gettito del tributo straordinario. Si tratta effettivamente di una rinuncia molto limitata al tributo.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Proporrei che per le partecipanze agrarie restasse convenuto che, se possono cadere nella categoria B, si includono; se no, non si includono nel decreto. Se sono escluse, come io penso, commettiamo un’incongruenza formale e giuridica. Quindi, se l’onorevole Pesenti accetta, faremmo a priori un accertamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi pare, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, che l’elencazione degli enti considerati nella lettera c) presupponga l’esistenza di un eventuale reddito di categoria B. Per chiarire meglio il concetto, si potrebbe far precedere o seguire la lettera c) dal riferimento al reddito di categoria B. Ciò non mi sembra però necessario, perché l’esistenza di un reddito di categoria B è il presupposto indispensabile per la soggezione alla imposizione, e pertanto anche un’elencazione di esenzioni soggettive dall’imposizione stessa deve presupporre la esistenza di redditi di categoria B.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. È meglio parlare chiaro, perché ho l’impressione che qui si giochi attorno alle parole.

La lettera b) dell’articolo 1 esenta gli enti, salvo per quella parte di patrimonio che è destinata ad attività produttiva tassabile in categoria B. L’articolo 2 stabilisce delle esenzioni assolute, cioè anche se vi fosse un reddito tassabile in categoria B. Ed allora, che cosa significa la proposta di alcuni colleghi di mantenere, oltre quelle aziende che effettivamente dovrebbero essere tassate, e anzi sono tassate, in categoria B, come le aziende municipalizzate e altre – perché svolgono un’attività produttiva – che cosa significa mantenere anche, per esempio, tutti gli enti religiosi e sopprimere l’ultima parte del comma c) del secondo articolo? Significa che vi è l’intenzione di non colpire, per esempio, un convento, se questo convento ha una scuola, nella quale fa pagare delle rette; significa non voler colpire una clinica privata, se gestita da suore o da religiosi. Ora, questo, in parole chiare, è quello che vorrebbe essere sostenuto dall’emendamento che propone il mantenimento di tutte queste indicazioni.

UBERTI. Ma non è un emendamento della Commissione?

PESENTI. Io desidero che l’Assemblea sia al corrente di questi fatti, perché, appunto, girando attorno alle parole, non si venga a cadere in errore.

PRESIDENTE. Onorevole Pesenti, noi abbiamo fatto già una prima votazione, che assorbe una parte delle sue proposte. Rimane da decidere in ordine alla sua proposta relativa alle partecipanze ed università agrarie. Decidiamo ora su questa. Mantiene il suo emendamento, onorevole Pesenti?

PESENTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Allora, poiché la votazione di poco fa ha assorbito una parte dell’emendamento dell’onorevole Pesenti, rimane la parte relativa alle partecipanze ed università agrarie. Pongo in votazione quest’ultima parte.

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Voterò per questa parte dell’emendamento Pesenti in quanto è inclusa nel seguito dell’articolo che intendiamo mantenere fermo. Ciò non implica perciò l’esclusione del resto dell’articolo stesso.

PRESIDENTE. Questo lo vedremo dopo. L’Assemblea lo potrà anche escludere. Pongo dunque ai voti le parole: «le partecipanze e le università agrarie».

(Sono approvate).

Ricordo ora che nell’emendamento presentato dall’onorevole Dugoni si conservava l’altro inciso del testo della Commissione (che in realtà nel testo precede l’indicazione delle partecipanze ed università agrarie) e cioè: «i consorzi e gli altri enti autorizzati ad imporre tributi obbligatori».

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Io non sono in grado di riferire su questi emendamenti il pensiero della Commissione, ma come relatore mi oppongo alla inclusione di questa categoria.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. La portata dell’emendamento è molto limitata, l’urgenza dei lavori ci porta ad abbreviare la discussione. In considerazione delle limitate dimensioni del problema, il Governo accetta che siano esenti i Consorzi e gli altri enti autorizzati ad imporre tributi obbligatori.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Faccio notare all’Assemblea che con questa dizione verrebbe ad essere esente l’Istituto cotoniero, che impone tributi obbligatori.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Devo – e mi dispiace – ricordare quanto al riguardo è stato detto in forma impegnativa dal Governo ieri, in sede di discussione dell’emendamento dell’onorevole Pesenti, che aveva postulato il problema di questi enti. È un problema che è stato risolto con l’impegno del Governo a rivedere le disposizioni concernenti la tassazione dei redditi mobiliari di categoria B.

LA MALFA, Relatore. Prendo atto della dichiarazione del Ministro; ma qualsiasi autorità giudiziaria che dovesse decidere sull’interpretazione della dizione «consorzi ed altri enti autorizzati», nonostante la dichiarazione dei Governo, metterebbe l’Istituto cotoniero fra gli enti esenti dalla tassazione straordinaria.

SCOCA. Se sorgesse qualche dubbio circa la estensione della formula usata dal testo che abbiamo sott’occhio, si potrebbe precisare il concetto dei consorzi qui contemplati, specificando che sono compresi nella esenzione solo i consorzi di bonifica, di miglioramento e di irrigazione.

LA MALFA, Relatore. Accetto.

PELLA, Ministro delle finanze. Accetto anch’io.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti la formulazione:

«i consorzi di bonifica, di miglioramento e di irrigazione».

(È approvata).

Segue l’altra elencazione che, a tenore della proposta dell’onorevole Scoca, dovrebbe restare.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Faccio presente che la lettera c) aveva un significato in quanto prima elencava tutte le esclusioni, e poi, in un ultimo comma, stabiliva che queste esenzioni dall’imposta non vi erano per la parte di patrimonio destinata ad una attività produttiva.

Oggi vi è la proposta dell’onorevole Scoca di mantenere la lettera c) nonostante la diversa dizione dell’articolo 1; e di togliere anche l’ultima limitazione col preciso scopo di rendere non tassabili quelle attività strettamente economiche svolte da enti religiosi. Allora, sicuro di interpretare il pensiero di almeno una parte dell’Assemblea, ripeto che è comprensibile che una tipografia di artigianelli sia retta da enti religiosi oppure da privati cittadini; e che un collegio di rieducazione dei traviati, di reduci del carcere o simili, che sono enti particolari di assistenza che non hanno fini di lucro, debbano essere esenti (e questa è una interpretazione che può dare direttamente l’amministrazione finanziaria); ma non è giusto che sia esente una clinica, sia pure retta da suore, la quale faccia pagare delle rette, faccia concorrenza alle cliniche private e si avvalga di quegli stessi medici che prestano la loro opera in cliniche private; non è giusto che sia esente un liceo-ginnasio che faccia la concorrenza a collegi e convitti di carattere privato. Perciò propongo che la seconda parte dell’alinea sia tolta in quanto essa, o è in contrasto con l’articolo 1 già approvato, oppure stabilisce delle esenzioni più larghe che non sono giustificate.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. L’onorevole Pesenti ha creduto di interpretare il mio pensiero, ma non so su quali basi, perché io non ho ancora avuto occasione di parlare.

La ragione per cui io richiedo che il resto dell’articolo rimanga così come è, è molto chiara ed ispirata a criteri molto più ampi che non quelli indicati dall’onorevole Pesenti.

Noi abbiamo tutta una elencazione, cominciando dalle Opere Pie, gli Istituti ed Enti di beneficenza ed assistenza legalmente costituiti e riconosciuti; poi abbiamo le società di mutuo occorso; poi abbiamo le fondazioni od istituti di diritto o di fatto che, pur senza rientrare nel novero delle istituzioni pubbliche di beneficenza, attendono, senza fine di lucro, ad opere filantropiche di assistenza ed educazione degli, indigenti, infermi, orfani o fanciulli bisognosi, combattenti, reduci e partigiani, ecc.

La ragione per cui ritengo che convenga conservare queste esenzioni di carattere soggettivo è semplice. Con l’articolo 1, lettera c), abbiamo sottoposto a tassazione gli enti morali soltanto per quella parte del patrimonio la quale è destinata alla produzione di un reddito tassabile in categoria B dell’imposta di ricchezza mobile.

Vi sono degli enti, come gli enti di assistenza e di beneficenza, che per vivere, per raggiungere il loro scopo benefico, esercitano una qualche modesta attività produttiva non con lo scopo di lucro, ma unicamente per alimentare questa opera di beneficenza ed assistenza.

Ora, io dico che sarebbe un errore sottoporre all’imposta sul patrimonio questa parte del patrimonio, una volta che è accertato che l’attività di questi enti è volta al raggiungimento di scopi di alto benessere sociale, quali sono l’assistenza e la beneficenza.

Già in base alla norma approvata questi enti sarebbero esenti, e solo sarebbero soggetti per quella parte del loro patrimonio che rientra in qualche modo nell’ingranaggio delle leggi normali, nell’ambito della ricchezza mobile. Ma qui ci troviamo di fronte ad una imposta straordinaria che tassa il patrimonio e porta via una parte di esso.

Ora, se questi enti devono raggiungere scopi di beneficenza ed assistenza e per raggiungere questi scopi svolgono una certa attività soggetta a ricchezza mobile, non è giusto che una parte qualsiasi dei beni da essi posseduti venga loro sottratta perché ciò impedirebbe il raggiungimento dei fini che si propongono.

Ecco quale era il significato della mia proposta.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. L’Assemblea mi scusi se io devo riprendere la questione dall’inizio.

Ieri, l’emendamento del Governo ha ristretto la categoria di tassazione degli enti morali disponendo che si tassino solo gli enti morali che esercitano una attività produttiva di reddito tassabile in categoria B. Questo emendamento del Governo ha ristretto enormemente la base di imposizione e, direi, ha tolto qualsiasi ragion d’essere al provvedimento. Questo si chiama provvedimento sugli enti collettivi in quanto stabilisce la tassazione della generalità di questi enti.

Oggi con l’emendamento Scoca noi diciamo all’articolo 1: non tassiamo gli enti morali. Badate che gli enti morali, le istituzioni sono in genere fondazioni di beneficenza non aventi scopo di lucro. Quindi quando diciamo all’articolo 1, lettera c): enti morali tassabili in categoria B, vogliamo dire enti non aventi scopo di lucro che esercitano, per una parte della loro attività, una attività di lucro. Guardate allora le conseguenze dell’emendamento Scoca: nel primo articolo diciamo che se questi enti, che sono senza scopo di lucro, hanno una parte di attività a scopo di lucro, li tassiamo. Nell’altro articolo diciamo che se questi enti senza scopo di lucro hanno una parte di attività a scopo di lucro, non li tassiamo. Ora, da un punto di vista formale, questa è una assurdità. Prima tassiamo la parte produttiva avente lo scopo di lucro, poi non la tassiamo. Perché? Perché quando restringiamo la categoria dell’articolo 1, diciamo: Noi tassiamo gli enti di beneficenza, che non abbiano una finalità di lucro. Quando andiamo all’articolo 2, diciamo: Ma siccome sono enti di beneficenza, anche se hanno scopo di lucro, non li tassiamo.

Ecco l’assurdità. Ma qual è la sostanza di questa questione? Mi dispiace di dover ricordare, ai colleghi democristiani, il discorso di ieri.

UBERTI. L’abbiamo sentito.

LA MALFA, Relatore. Lo ripeto, e lo porto alla conclusione.

UBERTI. A nome personale.

LA MALFA, Relatore. Sì, a nome personale; mi basta.

Come dico, quando noi escludiamo dalla tassazione straordinaria. gli enti morali in sé, senza preoccuparci dei fini che essi hanno, noi in definitiva alla tassazione degli enti collettivi togliamo gran parte delle sue ragioni. Noi possiamo fare, rispetto alla categoria «Istituzioni, enti morali, fondazioni», delle esenzioni specifiche, ben determinate. Ma con questo sistema dei due articoli che si intrecciano fra loro, noi evidentemente la categoria c) la possiamo considerare soppressa praticamente dalla legge perché io domando quali enti rimangono sotto la categoria c) quando noi escludiamo tutti gli enti elencati alla categoria c-2 – enti di beneficenza, istruzione, società di mutuo soccorso – anche se esercitano una attività produttiva. Noi prendiamo solo pochi enti: l’Istituto mobiliare e l’Istituto delle assicurazioni, e, quest’ultimo se l’onorevole Micheli ce lo permette, perché ha presentato un emendamento per cui anche l’Istituto delle assicurazioni non dovrebbe pagare…

MICHELI. L’ho ritirato.

LA MALFA, Relatore. Non troveremo più di quattro o cinque enti da classificare nella categoria c). Ora io pregherei di rilevare anche una questione di giustizia tributaria in questo campo. Giustamente diceva l’onorevole Pesenti: o noi vogliamo far prevalere il concetto di fine di beneficenza, ed allora estendiamo la categoria c) dell’articolo 1 ed esentiamo gli istituti di beneficenza, o noi vogliamo far prevalere il concetto di tassabilità in categoria B ed allora manteniamolo fermo perché, con il sistema dell’emendamento Scoca, qualsiasi attività avente attinenza agli scopi della Chiesa, qualsiasi istituto ecclesiastico che rientra in quella sfera che interessa il cattolicesimo in Italia, non sarà tassabile. (Commenti – Proteste al centro). Non sarà tassabile né nella categoria B né fuori della categoria B.

Questo ho detto, onorevoli colleghi, per la mia responsabilità di relatore e, come dicevo ieri, la Commissione nella discussione di questo problema è stata di una equanimità e di una imparzialità assoluta.

Nella redazione originale del progetto presentato dalla Commissione si facevano esenzioni che, nella legge del 1922, rispetto ai patrimoni ecclesiastici, non erano previste. Lo spirito con cui la Commissione ha considerato questo problema degli enti ecclesiastici e delle attività connesse, è stato largo. Ma, con gli emendamenti che si propongono, si va alle esenzioni totali. Ripeto che veramente qui si viene a stabilire un privilegio assoluto per una categoria. (Interruzioni al centro).

Per queste ragioni, non solo da un punto di vista formale le lettere c) degli articoli 1 e 2 non hanno più senso comune, ma dal punto di vista di giustizia tributaria determinano l’impressione che altre decisioni gravi, che abbiamo preso, di tassazione rigida, non abbiano più fondamento. Se siamo stati rigidi per quelli che hanno 100.000 lire d’imponibile, dobbiamo mantenere la stessa rigidità in altri campi.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. È inesatto il rilievo dell’onorevole La Malfa, secondo il quale, se noi manteniamo l’elencazione della lettera c) dell’articolo 2, viene meno ogni zona tassabile ai sensi dell’articolo 1.

L’onorevole La Malfa non ha osservato che, secondo la lettera c), non tutte le attività svolte – per esemplificare, come ha fatto l’onorevole Pesenti – da suore o da istituti religiosi sono esenti, ma solo quelle attività svolte da suore o da altri, i cui enti abbiano scopi di assistenza o di educazione di indigenti, di infermi, orfani, fanciulli bisognosi, combattenti e reduci.

Cosicché, se vi sono suore o conventi, che non hanno questi scopi specifici di assistenza ed esercitano attività produttive, saranno tassabili.

Per una seconda osservazione, mi rivolgo all’onorevole Scoccimarro per questa ragione: l’altra sera, per un dovere di lealtà politica, io e il mio Gruppo abbiamo mantenuto un emendamento contro il parere del Governo; mi permetto, forte di questo precedente di richiamare allo stesso dovere di lealtà politica l’onorevole Scoccimarro, perché a me consta che ieri, quando si concordò l’emendamento circa le società cooperative, e noi, Gruppo democristiano, abbandonammo una certa tesi per aderire a quella delle sinistre, ci si era detto, in persona degli onorevoli Scoccimarro e Pesenti, che si aderiva a mantenere tutta l’elencazione della lettera c), meno i benefici, maggiori o minori, sui quali ci si riservava di dare battaglia.

Invito le sinistre, per coerenza e lealtà politica, a tener fede al loro impegno.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Chiedo scusa al signor Presidente; ma debbo anzitutto rilevare che la Commissione di finanza non ha potuto riunirsi da ieri sera a stamane, di modo che tutto quanto oggi dice a questo proposito l’onorevole La Malfa è espressione del suo pensiero personale, non della Commissione.

LA MALFA, Relatore. No!

SCOCA. Ciò premesso, debbo fare alcune osservazioni su quanto ha detto l’onorevole La Malfa, ed anzitutto sulla sua affermazione che il mantenimento delle esenzioni soggettive previste nella lettera c) dell’articolo 2 svuoterebbe di contenuto la lettera c) dell’articolo 1.

È argomento impressionistico, che non ha nessuna base e nessuna consistenza. La lettera c) dell’articolo 1 contempla genericamente le istituzioni, le fondazioni e gli enti morali in genere, per la parte di patrimonio la quale sia investita nella produzione di un reddito soggetto alla imposta di ricchezza mobile. Ma, evidentemente, quando abbiamo votato questa lettera c), ci siamo riferiti a quegli enti morali che effettivamente hanno funzione produttiva nel Paese e che non hanno forma di società. Così, per esempio, vi sono istituti bancari e creditizi che non hanno forma di società anonima ed è con riferimento a questi, principalmente, che ha contenuto la lettera c) dell’articolo 1, oltre che con riferimento ad altri organismi produttivi che non hanno la forma dell’anonima o delle altre società contemplate nelle lettere a) e b).

Poi debbo rilevare l’infondatezza di un’altra pretesa contraddizione. Dice l’onorevole La Malfa che, mentre nella lettera c) dell’articolo 1 abbiamo contemplato il fine di lucro per la tassazione, nella lettera c) dell’articolo 2 contempliamo lo stesso fine di lucro per l’esenzione. Ora, intendiamoci bene. La dizione che noi approvammo non parla di fini di lucro: la dizione della lettera c) è in questi termini: «istituzioni, fondazioni ed enti morali in genere che esplicano attività produttiva di reddito tassabile, ai fini della imposta di ricchezza mobile, in categoria B».

Di modo che prescindemmo dalla considerazione dello specifico fine di lucro e considerammo il presupposto obiettivo dell’assoggettamento alla imposta di ricchezza mobile. Occorre ora considerare quegli enti che, avendo uno scopo che li fa ritenere degni dell’esenzione dal pagamento della imposta straordinaria sul patrimonio, vadano viceversa a cadere sotto la disposizione della lettera c) dell’articolo 1.

Nella lettera c) dell’articolo 2 poi, l’assenza di fini di lucro è esplicitamente contemplata, in quanto ivi si parla di enti «senza fini di lucro». Cosicché non vi è affatto la contraddizione rilevata dall’onorevole La Malfa. Qui, debbo aggiungere che la portata delle esenzioni è molto modesta: l’ha ripetuto più volte il Ministro, il quale ha detto che la zona che va esente per effetto della lettera c) dell’articolo 2 è di limitatissime proporzioni. Si tratta di sottrarre alla imposta sul patrimonio quelle modeste attività che esercitano taluni enti di assistenza e di beneficenza, che sono soggetti alla imposta ordinaria di ricchezza mobile in virtù di norme generali, ma non possono essere soggetti alla imposta straordinaria sul patrimonio, perché il fine ultimo ed essenziale di tali enti è quello di assistenza e di beneficenza.

È quanto meno esagerato riferirsi sempre e solo ad enti religiosi mentre ci sono molti altri enti che cadono sotto la lettera c) dell’articolo 2, i quali col carattere religioso nulla hanno a che vedere. Cito, ad esempio, talune attività esercitate dall’Associazione combattenti, da quella per i liberati dal carcere ecc.

Mi richiamo – e finisco – ad un precedente affine, che abbiamo votato di recente, cioè l’esenzione che abbiamo concessa alle cooperative aventi fini mutualistici. Benché le cooperative siano soggette alla imposta sul patrimonio in base alla norma generale, abbiamo deliberato che il fine di mutualità le esonera dal pagamento della imposta sul patrimonio. Non sono sullo stesso piano il fine mutualistico e i fini di beneficenza e di assistenza? Questo domando all’Assemblea.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Farò una brevissima dichiarazione, signor Presidente. Io ho ritirato ieri il mio emendamento per le ragioni che ho brevissimamente esposto. Ma siccome il Relatore, onorevole La Malfa, ha voluto accennare ad una particolarità, che cioè la tassazione si potesse applicare all’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, io devo avvertirlo che esso Istituto si trova nelle condizioni di esenzioni già stabilite unanimemente dall’Assemblea e sopra le quali non si può più ritornare. Infatti l’Istituto non è tassato in categoria B, sia perché se vi sono utili essi vanno allo Stato sia perché tutti i proventi passano alle riserve unicamente per garanzia degli assicurati.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. L’onorevole Micheli ha risposto alle argomentazioni dell’onorevole Scoca circa gli enti di lucro.

L’onorevole Scoca ha citato alcuni istituti di credito; ma se noi parliamo di fini di lucro, allora, anche il Banco di Napoli andrebbe esentato, perché, essendo una fondazione, non ha fine di lucro, anche se esercita una attività economica.

Ad ogni modo, alle argomentazioni dell’onorevole Cappi, per cui ieri c’è stato un accordo per questa esenzione specifica e per la esenzione delle cooperative, io devo rispondere che qui non possiamo fare una sorta di camera di compensazione delle esenzioni. (Approvazioni a sinistra). Questa sarebbe una maniera poco corretta di trattare i problemi fiscali, onorevole Cappi. Si deve discutere di far pagare i cittadini, non di fare accordi reciproci sulla esenzione di questa o quella categoria.

D’altra parte, nel testo originario, in cui si parlava, nell’articolo 1 lettera c), degli enti morali che esplicano attività produttive, non c’erano le esenzioni dell’articolo 2 lettera c). E giustamente, nel disegno di legge, non c’erano perché in quel provvedimento non potevano essere ammesse. Queste esenzioni sono state prese dal progetto della Commissione; quindi, si sono sommati due emendamenti. Il progetto del Governo non contempla nessuna esenzione per l’articolo 2; stabilisce tre categorie di imposizioni e le mantiene ferme. Questo è il progetto governativo.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidero rispondere all’onorevole Cappi per il richiamo fatto ad una intesa che ieri sarebbe avvenuta a proposito di quest’articolo e della questione che si discuteva sulla cooperazione. È vero che ad un certo momento l’onorevole Cappi, riferendosi personalmente a me disse: «Se noi modificassimo il nostro atteggiamento, sul problema della cooperazione, sareste voi d’accordo nel mantenere la lettera c) dell’articolo 2?». Io dissi sì, ma vorrei spiegare all’onorevole Cappi che qui c’è stato uno strano equivoco. Siccome io parlando avevo annunciato che mi proponevo di avanzare la proposta di togliere l’esenzione per gli enti di assistenza e beneficenza per porre il problema del contributo allo Stato (problema che ho trattato diverse volte in sede di discussione generale), io pensavo che la sua richiesta fosse questa: se votando in quel modo sulla cooperazione, noi lasciavamo stare l’esenzione degli enti di assistenza e beneficenza. E su questo siamo d’accordo e manteniamo quanto abbiamo detto: non dico l’impegno, perché impegno non c’è stato, dato che era una conversazione; però mi accorgo adesso che lei, onorevole Cappi, ha dato una interpretazione eccessivamente estensiva. (Commenti al centro).

CAPPI. Lei ha parlato con l’onorevole Tosi, non con me.

SCOCCIMARRO. Comunque, io qui ho fatto un discorso per sostenere che a mio giudizio – e non posso cambiare opinione su questo argomento – qualunque ente svolga una attività economica lucrativa è tenuto a corrispondere il pagamento di questa imposta. È un concetto che ho sostenuto da lungo tempo anche nella discussione generale sul provvedimento.

La tesi che io ho sempre sostenuto è che bisognava togliere dalle esenzioni anche gli enti di assistenza e beneficenza, ed ammettere il principio, invece, del contributo dello Stato, che potrebbe essere anche superiore a quella parte di imposta patrimoniale.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Volevo precisare che ieri mattina, dopo la votazione della lettera c) dell’articolo 1, io dissi che la lettera c) dell’articolo 2 avrebbe dovuto essere soppressa, o ridotta a due o tre voci. E su questo si sono trovati d’accordo anche gli onorevoli Tosi, Vicentini ed altri. Quindi, tutta la lettera c) dell’articolo 2 avrebbe dovuto cadere secondo quanto si è detto. Questo era il preciso accordo intervenuto, tanto è vero che l’onorevole Conti non lesse tutta la parte dell’articolo 2 riferentesi alla lettera c) poiché eravamo d’accordo che in grandissima parte doveva cadere.

PRESIDENTE. Desidero chiarire che, per tutto ciò che è stato detto in Aula nelle sedute precedenti, vi sono i resoconti stenografici ed i verbali che fanno testo; per quanto riguarda le discussioni fatte fuori dall’Aula, desidererei che a queste non ci si richiamasse, perché non hanno nessuna importanza agli effetti del lavoro legislativo che si svolge in Aula.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi si permetta di manifestare il mio personale rammarico per l’aspetto polemico che ha assunto questa discussione, che deve restare sul piano evidentemente tecnico, nel quadro, naturalmente, della discussione di un orientamento politico tributario. Non posso condividere l’affermazione dell’onorevole La Malfa, il quale, non soltanto ha detto che, se entrasse in vigore il proposto sistema di esenzioni, il disposto dell’articolo 1, lettera c), diverrebbe praticamente inefficace; egli ha detto che verrebbero addirittura meno le ragioni di essere del provvedimento.

Il Governo non è di questo parere, perché il più esteso campo di applicazione del provvedimento che si discute è quello delimitato dalla lettera a) relativa alle società per azioni, e dalla lettera b) relativa alle società in accomandita semplice ed in nome collettivo.

Per quanto riguarda la lettera c), il Governo ha espresso chiaramente il proprio pensiero: desidera che siano mantenute le proposte esenzioni a favore di quegli istituti ed enti che svolgono un’attività di elevatissimo interesse sociale. Questo è il significato delle esenzioni: esse riguardano istituti che possono appartenere a tutti i settori, al settore ecclesiastico come al settore laico, al settore cattolico come a quello acattolico; se poi queste attività filantropiche prevalgono in determinati settori non credo sia questa una ragione per negare un’agevolazione che il Governo intende accordare. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della rimanente parte dell’alinea c).

Pongo ai voti la formulazione:

«le opere pie, gli istituti ed enti di beneficenza ed assistenza legalmente costituiti e riconosciuti».

(Dopo prova e controprova è approvata).

Pongo ai voti le parole:

«le società di mutuo soccorso».

(Sono approvate).

Pongo ai voti le parole:

«le fondazioni od istituti di diritto o di fatto che, pur senza rientrare nel novero delle istituzioni pubbliche di beneficenza, attendono, senza fini di lucro, ad opere filantropiche di assistenza ed educazione degli indigenti, infermi, orfani o fanciulli bisognosi, combattenti, reduci e partigiani e loro figli».

(Sono approvate).

«gli enti il cui fine è equiparato, a norma dell’articolo 29, lettera h), del Concordato, ai fini di beneficenza o di istruzione e gli assimilabili di altri culti».

(Sono approvate).

«gli istituti pubblici di istruzione».

(Sono approvate).

«i corpi scientifici, le Accademie e società storiche, letterarie, scientifiche, aventi scopi esclusivamente culturali».

(Sono approvate).

Avverto che all’ultimo inciso è proposto questo emendamento dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro ed altri:

«Sostituire alle parole: i benefici ecclesiastici maggiori o minori, le altre: i benefici ecclesiastici aventi diritto a congrua».

Quale è il parere del Ministro delle finanze?

PELLA, Ministro delle finanze. Per le ragioni esposte su questo concetto in sede di discussione dell’imposta straordinaria progressiva, il Governo respinge l’emendamento proposto e chiede sia mantenuta ferma la formula più ampia: «i benefici ecclesiastici maggiori o minori».

Il Governo desidera aggiungere che, parlando di benefici ecclesiastici maggiori o minori, dopo aver parlato di enti equiparati a norma dell’articolo 29 del Concordato, non intende che ciò possa essere interpretato nel senso che i benefici ecclesiastici maggiori e minori non siano da ritenersi compresi nell’articolo 29 del Concordato. (Interruzione del deputato Scoccimarro).

È una questione su cui il Governo può avere una sua opinione, ma non è questa la sede perché questa possa essere discussa. Desidero semplicemente, agli effetti della legge che si discute, affermare che l’aggiunta degli enti ecclesiastici maggiori e minori, dopo aver parlato dell’articolo 29, non può significare adesione al concetto di ritenere estranei all’articolo stesso i benefici ecclesiastici maggiori e minori.

Questa è la portata della dichiarazione che credo avere il dovere di fare a nome del Governo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento degli onorevoli Pesenti e Scoccimarro.

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Pongo ai voti il testo della Commissione:

«i beni ecclesiastici maggiori o minori».

(È approvato).

Passiamo ora all’ultimo comma:

«Per gli enti di cui alla lettera c) l’esenzione non ha luogo per la parte di patrimonio destinata all’esercizio di un’attività produttiva di reddito tassabile, ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, in categoria B».

Vi è una proposta del Governo di soppressione del comma. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. La proposta di sopprimere l’ultimo comma è conseguenza della modificazione apportata all’articolo 1 delle esenzioni che sono state comprese nell’articolo 2 lettera c). Quindi, mantengo fermo l’emendamento governativo per la soppressione di questo ultimo comma.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Ho chiesto di parlare per affermare che l’ultimo comma dell’articolo 8 è in contrasto con l’articolo 1, allo stesso modo in cui può essere in contrasto tutta la lettera c) del 2° articolo. Se non si è trovato il contrasto nella lettera c) del 2° articolo, non può esservi contrasto nemmeno all’ultimo comma.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta del Governo di sopprimere l’ultimo comma di questo articolo.

(È approvata).

Passiamo al successivo terzo articolo:

«Per le cooperative la condizione relativa ai principî ed alle discipline della mutualità, di cui all’articolo precedente, s’intende sodisfatta quando, nello statuto della società cooperativa, legalmente costituita, siano espressamente stabilite le clausole seguenti:

1°) divieto, in caso di distribuzione di dividendi, di superare la ragione dell’interesse legale, ragguagliato al capitale effettivamente versato;

2°) divieto di ogni riparto delle riserve fra i soci, durante l’esistenza della società;

3°) devoluzione, in caso di cessazione della società, dell’intero patrimonio sociale, previo rimborso del solo capitale effettivamente versato dai soci, a fini di pubblica utilità, riconosciuti tali dall’Amministrazione finanziaria.

«L’esenzione non si applica quando l’Amministrazione finanziaria constati che le clausole indicate ai numeri 1°) e 2°) non sono state, in fatto, osservate negli ultimi cinque anni».

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Mi pare che dopo l’emendamento che abbiamo accettato alla lettera b, dell’articolo 2, questo articolo sia inutile, perché le condizioni per il riconoscimento delle cooperative sono implicite in quell’emendamento.

PRESIDENTE. Lei, perciò, propone di sopprimere questo articolo?

LA MALFA, Relatore. Sì.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Io non sono d’accordo sulla soppressione proposta dall’onorevole La Malfa. Deve essere ben chiaramente stabilito quale è il limite entro cui può operare l’Amministrazione finanziaria nei confronti delle cooperative. Non possiamo lasciare le cooperative alla mercé di questo o quell’ufficio. Quindi io chiedo che il presente articolo sia coordinato col comma b) dell’articolo precedente, ma che sia mantenuto nel suo complesso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. L’emendamento all’articolo 2 parla di una decisione dell’Amministrazione sentito il Ministero del lavoro, che istituirà un registro delle cooperative. Quindi, dal momento che il Ministero del lavoro riconosce le cooperative in quanto le iscrive nel registro, l’articolo 3 è inutile. L’accertamento dovrebbe farlo il Ministero del lavoro, non il Ministero delle finanze.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Vorrei associarmi a quanto ha detto l’onorevole Dugoni, perché occorre porre limiti precisi e stabilire le condizioni in base alle quali avviene il riconoscimento delle cooperative.

PRESIDENTE. Prego il Ministro di esprimere il suo parere in merito.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo che rimanga fermo l’emendamento proposto dalla Commissione, perché riguarda la enunciazione di tre requisiti obiettivi, indispensabili per completare la nozione delle cooperative.

L’enunciazione stessa potrà riuscire utile anche per il Ministero del lavoro, quando dovrà dare il parere di sua competenza.

Ricordo, d’altra parte, che il Governo aveva dato parere favorevole all’emendamento votato ieri in connessione a questo emendamento n. 3. Chiedo quindi che sia mantenuto fermo l’emendamento.

CIMENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIMENTI. Chiedo che all’articolo 3 anziché dire «ai fini di pubblica utilità» si dica: «all’incremento di attività e di istituzioni cooperativistiche».

Noi pensiamo che tutto quello che si riferisce al movimento cooperativistico debba rimanere al movimento stesso. La dizione «ai fini di pubblica utilità» è generica, mentre in un momento nel quale si vuol valorizzare la cooperazione è giusto che le cooperative traggano beneficio da quello che viene loro dal movimento cooperativistico.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Pregherei i colleghi e l’onorevole Ministro di non insistere.

Noi abbiamo scelto quella formula alla lettera b) dell’articolo 2, perché pensavamo che garanzie sul carattere vero delle cooperative potessero esser date dall’indagine affidata al Ministero del lavoro, il quale, istituendo un registro delle cooperative, farà un accertamento non soltanto sui dati formali, ma anche sulla natura cooperativistica. Quindi, in un certo senso, l’amministrazione finanziaria ha la sua garanzia sul carattere delle cooperative dal fatto che il Ministero del lavoro deve dare il suo parere favorevole.

Se formuliamo questo articolo 3, mettiamo con esso delle condizioni obiettive all’indagine del Ministero del lavoro, che di conseguenza viene limitata, e le poniamo preventivamente, mentre non conosciamo i criteri che il Ministero vorrà seguire.

Richiamo l’attenzione sulla pericolosità di creare condizioni che, così formalmente espresse, possono prestarsi all’inclusione anche di cooperative spurie; mentre il Ministero del lavoro, facendo un accertamento concreto e diretto dirà: questa cooperativa non è una cooperativa, e lo dirà in base ad elementi di indagine, seri e concreti.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Vorrei proporre un emendamento, perché quello che dice l’onorevole La Malfa è effettivamente esatto, se si pone in relazione con la dizione letterale dell’articolo. Se si dice che «la condizione relativa ai principî e alle discipline della mutualità si intende soddisfatta quando ecc.», si pongono delle condizioni, ricorrendo le quali si deve riconoscere senz’altro che esiste il requisito della mutualità.

A me pare che occorra mutare la formula; cioè bisogna esigere che nello Statuto delle cooperative queste clausole siano inserite, ma è necessario che concorra anche il giudizio del Ministero. Tale inclusione è il minimum richiesto perché sia riconosciuto il fine di mutualità, ma ciò non basta; occorre che le disposizioni siano seriamente osservate. Da ciò il mio emendamento:

«Dopo le parole: all’articolo precedente, aggiungere le altre: è in ogni caso subordinata all’esistenza nello statuto delle seguenti clausole, sopprimendo il testo del comma».

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Aderisco all’emendamento dell’emendamento.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Cimenti, pur non escludendo che la destinazione a scopo cooperativo rappresenti una forma di destinazione a fini di pubblica utilità, non posso accettare l’emendamento proposto.

Chiedo che resti ferma l’espressione «fini di pubblica utilità».

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione.

PIEMONTE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Io voterò l’emendamento dell’onorevole Cimenti e credo che si possa aggiungere anche «o di pubblica utilità».

Effettivamente dicendo semplicemente «di pubblica utilità» potrebbe essere limitato il diritto di una cooperativa che si scioglie a rimandare il suo capitale ad un’altra cooperativa che si è ricostituita.

Ecco perché credo che l’una cosa possa non escludere l’altra.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei osservare che inserendosi la formula dei «fini cooperativistici» si escluderebbe, in forza di legge, il principio che lo scopo cooperativo rientra nel concetto di «pubblica utilità», mentre tutte queste esenzioni, compresa quella a favore delle cooperative, si inquadrano nel concetto di agevolare gli enti che svolgono fini di «pubblica utilità».

Vorrei pregare l’onorevole Piemonte di accontentarsi dell’assicurazione che il Ministero, in sede di istruzioni, definendo il concetto di «pubblica utilità», vi farà rientrare anche la destinazione a scopo cooperativistico.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo che, in base all’emendamento Scoca, dovrebbe essere così formulata: «Per le cooperative la condizione relativa ai principî ed alle discipline della mutualità di cui all’articolo precedente, è in ogni caso subordinata all’esistenza nello statuto delle seguenti clausole».

(È approvata).

Pongo ai voti le clausole:

«1°) divieto, in caso di distribuzione di dividendi, di superare la ragione dell’interesse legale, ragguagliato al capitale effettivamente versato».

(È approvata).

 

«2°) divieto di ogni riparto delle riserve fra i soci, durante l’esistenza della società».

(È approvata).

Sulla terza clausola vi sono gli emendamenti presentati dagli onorevoli Cimenti e Piemonte.

Onorevole Cimenti, mantiene il suo emendamento?

CIMENTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte?

PIEMONTE. Anch’io lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti la terza clausola che è del seguente tenore:

«3°) devoluzione, in caso di cessazione della società, dell’intero patrimonio sociale, previo rimborso del solo capitale effettivamente versato dai soci, a fini di pubblica utilità, riconosciuti tali dall’Amministrazione finanziaria».

(È approvata).

Passiamo all’ultimo comma:

«L’esenzione non si applica quando l’Amministrazione finanziaria constati che le clausole indicate ai numeri 1°) e 2°) non sono state, in fatto, osservate negli ultimi cinque anni».

(È approvato).

Vi è ora una proposta di articolo aggiuntivo presentata dagli onorevoli Perassi e De Vita, del seguente tenore:

«Le esenzioni stabilite dai numeri 4, 5 e 6 dell’articolo 8 si applicano al patrimonio dei soggetti indicati nell’articolo 1 del Titolo III».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PERASSI. L’articolo aggiuntivo è motivato dalla necessità di armonizzare, su un punto, le disposizioni relative all’imposta straordinaria sul patrimonio degli enti collettivi con quelle, già approvate, dell’imposta progressiva sul patrimonio delle persone fisiche.

Gli articoli 3 e 4, che abbiamo già approvato, stabiliscono delle esenzioni soggettive, indicando cioè alcuni enti collettivi nei riguardi dei quali vi sono ragioni per escluderli dalla tassazione. Essi trovano il loro parallelo nell’articolo 7 del titolo relativo all’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio delle persone fisiche che stabilisce pure delle esenzioni soggettive. Ma nella legge concernente l’imposta sul patrimonio delle persone fisiche vi è anche un articolo 8, il quale contiene delle esenzioni oggettive, indica cioè alcuni cespiti i quali non vengono considerati ai fini dell’applicazione dell’imposta.

Ora, a noi pare che talune esenzioni oggettive, che sono indicate nell’articolo 8 agli effetti dell’imposta concernente le persone fisiche, devono essere estese per evidenti ragioni, anche all’imposta straordinaria proporzionale che è stata istituita a carico degli enti collettivi.

Nell’articolo 8 si è accordata l’esenzione per i seguenti cespiti: le chiese ed ogni altro edificio destinato al culto, con il mobilio, gli arredi sacri e qualunque altro oggetto di spettanza della chiesa. A questo riguardo vorrei aprire una parentesi e fare una raccomandazione alla Commissione: in sede di coordinamento formale, sarebbe opportuno, anziché «di spettanza della chiesa», perché i beni in questo caso si suppone non siano della chiesa, come soggetto, ma di un privato, dire, come del resto era stato proposto dall’onorevole Costa, «inservienti al culto» oppure «di compendio della chiesa».

La seconda esenzione concerne i titoli del prestito della ricostruzione. Questa esenzione è prevista dall’articolo 4, ma verrebbe assorbita dall’articolo aggiuntivo da me proposto.

Infine, all’articolo 8, si prevede l’esenzione per le cose mobili che presentano un interesse artistico, storico, archeologico, ecc.

A me pare che queste tre categorie di cespiti debbano avere il medesimo trattamento agli effetti dell’una e dell’altra imposta, poiché le differenze fra queste due imposte sul patrimonio non giustificherebbero un’esenzione per l’uno e non per l’altra.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta.

PRESIDENTE. E il Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Accetto per quanto, forse, qualcuna di queste voci non potrà trovare ingresso nei patrimoni che saranno tassabili ai sensi dell’articolo 3.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo 3-bis proposto dagli onorevoli Perassi e De Vita.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 4, proposto della Commissione:

«Il patrimonio imponibile delle società, le cui azioni sono quotate in borsa, è quello risultante dalla valutazione effettuata a norma dell’articolo 18.    

«Il patrimonio imponibile delle società, le cui azioni non sono quotate in borsa, e delle società non per azioni è quello risultante dalla valutazione effettuata a norma dell’articolo 19.

«Per tutti gli altri soggetti il patrimonio è valutato in base alle disposizioni degli articoli 9 e seguenti del presente decreto.

«Dall’imponibile, valutato come sopra, è detratta una percentuale del valore delle azioni, delle quote di partecipazione, dei titoli di Stato o garantiti dallo Stato, posseduti dal soggetto, corrispondente al rapporto in cui il capitale e le riserve si trovano rispetto alle altre passività, secondo le risultanze dell’ultimo bilancio approvato.

«I titoli del prestito della Ricostruzione, autorizzato con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 26 ottobre 1946, n. 262, che non siano stati convertiti in titoli 5 per cento, sono detratti integralmente, al prezzo di emissione».

Sui primi tre commi non sono stati presentati emendamenti. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Accetto il testo proposto dalla Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione i primi tre commi nel testo proposto dalla Commissione.

(Sono approvati).

Passiamo al quarto comma:

«Dall’imponibile, valutato come sopra, è detratta una percentuale del valore delle azioni delle quote di partecipazione, dei titoli di Stato o garantiti dallo Stato, posseduti dal soggetto, corrispondente al rapporto in cui il capitale e le riserve si trovano rispetto alle altre passività, secondo le risultanze dell’ultimo bilancio approvato».

Su questo comma, vi sono emendamenti soppressi degli onorevoli Dugoni, Pesenti e Maltagliati.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione, a maggiore chiarimento del concetto di detrazione, vorrebbe che, al quarto comma, anziché «rispetto» alle altre passività, si dicesse «rispetto al loro ammontare aumentato delle passività».

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro per le finanze. Il Governo non è sempre d’accordo con l’onorevole relatore; e ciascuno, in omaggio al proprio senso di responsabilità, deve, in determinati momenti, difendere quella che ritiene la soluzione più equa, più opportuna, più confacente agli scopi che questa legge vuole raggiungere. Ciò però non mi esonera dall’obbligo di felicitarmi con l’onorevole Commissione ed in particolare con l’onorevole relatore, a cui si deve personalmente la formula adottata per la risoluzione dello spinoso problema dei titoli azionari posseduti da altre società.

La formula che viene proposta, di detrazione in funzione di un certo rapporto proporzionale – che si vede nell’emendamento – forse non sarà di pieno soddisfacimento per i teorici puri e per gli amanti delle soluzioni esatte al cento per cento.

Naturalmente non soddisferà coloro che avrebbero desiderato una detrazione totale, come non soddisferà coloro che avrebbero desiderato il rigetto di qualsiasi detrazione. Ma la formula proposta è una intelligente formula di transazione, che, in sede empirica, mi sembra raggiunga quell’optimum di cui si era alla ricerca.

Per questo il Governo accetta la formula per le azioni e le quote di partecipazione; mentre per determinati titoli, deve avanzare qualche eccezione; e precisamente sui titoli di Stato. Di questi il Governo deve richiedere la detrazione dall’imponibile dei diversi enti per il loro intero valore e non solo per una quota proporzionale. Ciò per due considerazioni: la prima è di ordine generale, giacché non solo a parole, ma in forma tangibile il Governo e l’Assemblea debbono manifestare le loro intenzioni di cordialità nei confronti di quanti hanno avuto fiducia nello Stato, sottoscrivendo ai diversi prestiti.

I portatori dei titoli di Stato hanno sofferto abbondantemente in seguito alla svalutazione, che una corrente dottrinaria vede in funzione di vera e propria imposta che, volontariamente od involontariamente, lo Stato, finisce per imporre ai portatori dei titoli. Né varrebbe obbiettare che i titoli passano da un portatore all’altro, per cui l’attuale portatore non è più quello che originariamente ha sottoscritto in moneta non svalutata. Negli ultimi sei mesi si è verificato uno slittamento dei prezzi, che ha inevitabilmente inciso il portatore attuale del titolo.

Vi è poi una seconda ragione per cui il Governo ritiene d’insistere per la detrazione totale. Qualunque sia l’inquadramento che avrà questo tributo, di cui si sta discutendo, nel sistema tributario italiano ed anche se esso sarà considerato come tributo personale in largo senso – modestamente ritengo invece che debba essere collocato tra i tributi reali – è evidente che esso può considerarsi come un tributo che raggiunge i singoli elementi costitutivi del patrimonio. Un tributo, quindi, che, non ammettendosi la detrazione dei titoli di Stato, colpirebbe in primo quei titoli che, al momento dell’emissione, sono stati dichiarati esenti da qualsiasi imposta presente e futura.

Se l’opinione pubblica, fino ad un certo punto, ha dovuto prendere atto della esattezza della distinzione fra imposte personali vere e proprie ed imposte reali, per giustificare l’assoggettamento dei titoli di Stato all’imposta complementare sul reddito o all’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, malamente si convincerebbe che la clausola di esenzione non operi nei confronti dell’imposta straordinaria di cui si discute.

Per questo, vorrei pregare l’onorevole Commissione di non dolersi se il Governo chiede che l’emendamento all’articolo 4 sia rettificato, nel senso di ammettere la detrazione totale dei titoli di Stato e di quegli altri titoli che, all’atto dell’emissione, siano stati dichiarati esenti da qualsiasi imposta presente e futura. Per tutti gli altri titoli il Governo aderisce alla formula della detrazione proporzionale, di cui all’emendamento della Commissione.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Ministro delle finanze formula così il suo emendamento:

«Dopo le parole: valutato come sopra, sostituire alle parole: è detratta, fino a: soggetto, le seguenti: è detratto l’ammontare dei titoli di Stato e degli altri titoli dichiarati esenti da imposta all’atto dell’emissione. Inoltre, è detratta una percentuale del valore delle azioni, delle quote di partecipazione e degli altri titoli, che già non siano detratti per intero, posseduti dal soggetto».

JACINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

JACINI. Aderisco interamente al punto di vista svolto dal Ministro delle finanze, anche per un’altra considerazione. Io ho già avuto l’onore di fare notare all’Assemblea le condizioni particolarmente delicate in cui si trova oggi il risparmio italiano e la scarsa attrattiva che il risparmio rappresenta per i cittadini. Ora, è notorio che le Casse di risparmio sono obbligate dallo Stato a tenere nei loro forzieri enormi quantità di titoli di Stato, i quali per il solo fatto che rimangono in quelle Casse rappresentano una perdita, una detrazione del valore patrimoniale detenuto dalle Casse medesime. Perciò, se noi volessimo caricarle anche di questo tributo arrecheremmo un ulteriore gravame, che certo andrebbe a tutto danno del risparmiatore.

Per questi motivi, io aderisco toto corde alla proposta di esenzione formulata dal Ministro delle finanze.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Il criterio che la Commissione ha adottato circa la detrazione di titoli per impedire la doppia imposizione è un criterio nuovo nella legislazione italiana. I criteri adottati nelle precedenti leggi patrimoniali sono stati del tutto empirici, e, direi, talmente irrazionali da portare a certi assurdi di applicazione.

In sostanza, e mi riferisco alla proposta del Ministro delle finanze, il problema di fronte a cui si è trovata la Commissione è questo: se si ammette la detrazione dei titoli al di fuori della valutazione di quello che è il patrimonio netto di un’azienda, spesso si arriva all’assurdo che lo Stato, rispetto a quest’azienda, quando il valore di quei titoli sia superiore al patrimonio netto, deve dare una quota di imposta all’azienda e non la può prendere. Faccio un esempio concreto che riguarda appunto le Casse di risparmio e i titoli di Stato. Supponiamo che all’attivo di una Cassa di risparmio i titoli di Stato siano tali che superino il patrimonio netto della Cassa stessa. Ciò può avvenire perché dato che una Cassa di risparmio è alimentata da depositi di terzi, essa può avere impiegato in titoli di Stato più del suo patrimonio. In questo caso, la Cassa di risparmio non solo non paga nessuna imposta, ma a rigore dovrebbe avere diritto a prendere imposte, cioè cessa del tutto la materia imponibile.

Ora, questo è l’assurdo a cui si arriverebbe. Ecco perché, anche nei rispetti dei titoli di Stato, la Commissione deve mantenere la sua proposta, perché razionale. Che cosa dice la proposta della Commissione? La Cassa di risparmio è esente per quanto riguarda i titoli di Stato, in quanto il suo patrimonio netto sia investito in titoli di Stato. Ma se l’investimento in titoli di Stato è corrispettivo al deposito dei terzi, la Cassa di risparmio non può essere esente, per i titoli di Stato. Ci può essere una questione: quella dell’esenzione dei titoli dalle imposte reali.

Ora, se questa fosse una imposta come le altre, la Commissione potrebbe prendere in considerazione tutte le esenzioni; ma voi sapete che nell’imposta progressiva il contribuente è tenuto a dichiarare anche i titoli di Stato. Probabilmente il contribuente cercherà di non dichiararli, ma l’obbligo c’è, e c’è al punto che i titoli nominativi sono tassabili anche se esenti da imposta.

Ora, se noi facessimo un trattamento di favore in questa sede, faremmo un trattamento diverso agli enti e più favorevole di quello che facciamo ai privati. Il criterio è perciò quello della equità rispetto a tutti gli istituti; e quindi, se l’onorevole Ministro crede, manteniamo un criterio che può avere anche una applicazione generale in seguito, perché dà la misura di una giustizia contributiva riferendola al patrimonio netto delle aziende.

PRESIDENTE. Vi è una proposta dell’onorevole Pesenti di sopprimere il comma.

PESENTI. È la stessa proposta che fa l’onorevole Dugoni ed a cui mi associo.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Il quarto comma dell’articolo che stiamo esaminando prevede che: «Dall’imponibile, valutato come sopra, sia detratta una percentuale del valore delle azioni, delle quote di partecipazione, dei titoli di Stato o garantiti dallo Stato, posseduti dal soggetto, corrispondente al rapporto in cui il capitale e le riserve si trovano rispetto alle altre passività, secondo le risultanze dell’ultimo bilancio approvato».

Il testo è estremamente confuso. Questa impostazione si presta a due interpretazioni diverse, che danno un risultato completamente opposto, ma su questo, se del caso, ritorneremo successivamente.

Bisogna cercare, secondo me, di capire tutta l’economia dell’articolo. Al primo comma è stabilito che la tassazione delle società anonime, i cui titoli sono quotati in Borsa, si fa moltiplicando per il valore di Borsa il numero delle azioni che costituiscono il capitale sociale. Cioè, il patrimonio è tassato attraverso un’operazione meccanica, che è semplicissima: tanto il valore in Borsa, tanto il numero delle azioni, tanto di imposta. Cioè, non interessa affatto la composizione del patrimonio, la quale è un elemento che è fuori della valutazione. Noi possiamo anche supporre che ci siano delle miniere d’oro le quali esistono solo nella fantasia di un gentiluomo che ne abbia inventato l’esistenza, ed abbia creato una società, abbia fatto ammettere le azioni in Borsa, le abbia fatte quotare – non è la prima volta che ciò succede, è successo cento volte. Ebbene, anche se queste miniere non esistono, anche se questa azienda, non ha nessun patrimonio, dovrà corrispondere l’imposta in dipendenza della valutazione di queste azioni.

Questa è la posizione.

Quando, invece, si è trattato di tassare le azioni che erano all’interno del patrimonio, allora si è fatto un altro ragionamento. Si è detto: «No, non ci interessa più la valutazione in Borsa, ci interessa la composizione del patrimonio». Cioè, si sono messi insieme due elementi completamente eterogenei.

Ora, vediamo un poco come ragiona l’operatore di Borsa. L’operatore di Borsa, presso a poco, fa un ragionamento di questo genere: «Il bilancio è questo, cioè vi sono delle attività; da queste attività detraggo le passività verso terzi: questo mi dà il patrimonio netto. Divido questo valore netto per il numero delle azioni; compero queste azioni a questo valore, se me le vendono; se non me le vendono a questo valore, non le compero».

Questa è la valutazione dell’operatore di Borsa; cioè l’operatore di Borsa ha già detratto, nella sua valutazione, le passività della azienda, grosso modo. Aggiunge poi altri elementi di previsione. Ma, sostanzialmente, la base è il bilancio dell’azienda.

Invece, il testo della Commissione fa una proposta di ulteriore deduzione. Il patrimonio in Borsa è già valutato al suo valore netto: la Commissione propone che dalla valutazione così effettuata dalla Borsa si attui una detrazione, cioè quella dei titoli esistenti in portafoglio, per una parte che sarà calcolata secondo un determinato modo. E questo modo di determinazione della parte da dedurre è veramente strano, perché è una percentuale dei titoli posseduti dalla società, pari al rapporto in cui si trovano il capitale, le riserve e i fondi di rivalutazione monetaria rispetto al totale del passivo della società.

Con questo sistema, noi arriviamo, prima di tutto, a colpire di più le aziende passive e meno le aziende attive; cioè, una azienda la quale abbia già dei gravami importanti per debiti verso terzi, quell’azienda ha ancora da pagare una maggiore imposta, mentre un’altra azienda che non abbia nessun debito, si vede detratta la totalità del suo patrimonio azionario.

In secondo luogo, noi siamo in questa disgraziata situazione: che, se noi approviamo l’emendamento quale è proposto qui, noi avremo come risultato di premiare tutte le costituzioni di aziende fittizie, destinate dall’origine a frodare il Fisco, cioè si costituirà un premio alla frode per sistema.

Quindi, resti ben chiaro che noi eleviamo una protesta contro un sistema che costituisce un premio verso quelle aziende che, dal giorno della loro esistenza, cioè dal gennaio 1926 – parlo delle holdings e delle società finanziarie – non fanno altro che sistematicamente sottrarsi alle leggi fiscali. E questa, del resto, è la ragione principale della costituzione di queste società a catena.

In secondo luogo, faccio osservare che la detrazione, come è proposta dall’emendamento della Commissione, è un premio alle aziende che hanno rivalutato. Cioè, prendiamo due aziende che abbiano la stessa situazione al 1° gennaio 1946: l’una nel corso dell’annata ha rivalutato; l’altra non ha rivalutato. Che cosa succede? Che la proporzione fra le riserve e gli altri fondi rispettosi totale della passività è aumentata enormemente, perché, rivalutando, avrà moltiplicato per dieci, per otto, per quello che sarà, il suo capitale e le sue riserve: e in queste condizioni le passività vengono ad essere solo il 10 o 15 per cento del totale delle passività. Un esempio tipico è quello delle aziende elettriche, le quali, avendo tutte rivalutato, hanno praticamente ridotto ad una percentuale insignificante i debiti obbligazionari e gli altri debiti che avevano verso terzi, i quali, essendo espressi in moneta corrente, in lire, non subiscono nessuna variazione in seguito alla operazione di rivalutazione.

Infine, farò osservare che le aziende le quali sono costituite allo scopo di comperare azioni dalla Società-madre, vengono a costituire una vera e propria doppia esenzione. E mi spiego con un esempio: ammettiamo che la «Montecatini» abbia – come ha – delle società anonime, le quali abbiano per scopo di comperare azioni dalla Società anonimia «Montecatini». La «Montecatini» cede un certo numero di azioni proprie, che ha nel proprio portafoglio, a una di queste nuove società. Questa anonima, in cambio, cede le proprie azioni costitutive alla «Montecatini»; di modo che noi abbiamo questa posizione: movimento di denaro, zero. Si scambiano le azioni che costituiscono l’apporto in costituzione della società fittizia da una parte, e dall’altra, le azioni della società costituita che entrano nel portafoglio della «Montecatini». In questo momento, la società così costituita ha un grosso pacchetto azionario e non ha un centesimo di debito, perché tutto il suo capitale consiste nell’aver messo in una cassaforte queste azioni della «Montecatini». Allora si detraggono dal patrimonio della società fittizia tutti i titoli della «Montecatini», perché non ci sono passività. Dal patrimonio della «Montecatini» si deducono poi proporzionalmente per il 20, per il 30 per cento, i valori dei titoli che sono rappresentativi di questa società fittizia, in modo che si esonera in realtà la «Montecatini» da una parte dell’imposta, la società fittizia dalla totalità della sua imposta straordinaria. Questo è quello che noi otteniamo con questo sistema.

D’altra parte, io ho esaminato alcuni bilanci di holdings, di aziende finanziarie. Del resto, non ci sarebbe bisogno di dare degli esempi molto numerosi. Prendiamo ad esempio la Società Adriatica di elettricità. Questa società ha un rapporto fra capitale sociale, riserve legali, riserve diverse, residui sugli attivi di rivalutazione, del 30 per cento rispetto alla totalità del passivo; ha nel suo portafoglio circa 3 miliardi e 900 milioni di azioni. Questo significa che da 7 miliardi 800 milioni di azioni, valore di Borsa del periodo 1° gennaio-28 marzo, noi dovremo detrarre il 30 per cento delle azioni possedute, cioè oltre un miliardo: precisamente un miliardo e 300 milioni. Dal bilancio della S.T.E.T. noi ricaviamo che dobbiamo togliere ben il 47 per cento al valore fissato per il suo patrimonio dalla Borsa nel periodo 1° gennaio 28 marzo, che era all’incirca 6 miliardi. Da questi 6 miliardi dovremo togliere circa 3 miliardi 500 milioni. Dalla Società meridionale elettricità noi dobbiamo togliere il 30 per cento, cioè circa 1 miliardo 500 milioni su 4 miliardi e 500 milioni di capitale valutato alla Borsa.

Con questo noi attuiamo una vera e propria imposta degressiva perché alle Società la cui valutazione in borsa è fatta in quel determinato modo noi togliamo (caso della Società meridionale elettricità) circa un terzo dell’imposta, mentre le piccole società che non sono fittizie, che non hanno frodato il fisco e che hanno solo investito danaro per comprare macchine per dar lavoro agli operai, queste pagheranno completamente la loro imposta di modo che assisteremo al fatto che l’imposta per la Società meridionale di elettricità si ridurrà dal 5 per cento ai 3 e mezzo per cento, mentre altre aziende che dànno lavoro agli operai e non si occupano di operazioni borsistiche pagheranno intero il 5 per cento!

Quindi, avremo una imposta degressiva a favore dei grandi capitali, dei grandi sistemi di combinazioni di società a catena e di società verticali e orizzontali, di modo che, avendo l’una nel portafoglio dell’altra miliardi di azioni, noi arriveremo in realtà ad esentare una parte di questo patrimonio dall’imposta che dovrebbe sacrosantamente colpirlo: che dovrebbe tanto più colpire questo tipo di azionariato delle holdings e delle società finanziarie così care al Ministro Merzagora (ricordo fra parentesi che il Ministro Merzagora è Presidente dell’Ente per i finanziamenti industriali, che appartenendo alla Pirelli, detiene azioni della Pirelli, quindi il Ministro Pella potrebbe farsi spiegare come funzionano questi sistemi di sgravi reciproci dal Ministro Merzagora che conosce bene queste cose per la sua carica). Ebbene, io dico che questo tipo di azionariato speculativo dovrebbe essere colpito da una sovrimposta, non solo da un’imposta, perché, se queste aziende creano delle società una in testa all’altra, ci sarà una ragione: non è per divertimento, non è per pagare notai, o per altri motivi. Lo fanno perché hanno un tornaconto diretto.

Quindi io chiedo che sia soppresso il quarto comma (a parte la questione dei titoli di Stato, di cui eventualmente parlerò successivamente); chiedo che sia tolta la detrazione prevista dal 4° comma perché non vi è nessuna doppia imposizione: vi è semplicemente il modo di colpire alcune aziende che da 10 o 20 anni, dal 1926, frodano il fisco, e sarebbe opportuno mettere la mano su questo tipo di finanza che è uno dei gravi guai della nazione italiana, perché è proprio attraverso queste aziende – che sono l’una nelle braccia dell’altra in modo che la Lancia appartiene alla Breda, un pezzo della Breda appartiene alla Falk, ecc. – che noi non arriviamo a sapere chi è il vero proprietario e chi deve pagare qualche cosa. Colpendo finalmente queste aziende con un’imposta che, attraverso questo sembiante di doppia imposizione, diverrà progressiva, noi avremo invece reso un servizio alla chiarificazione della finanza italiana.

PRESIDENTE. Su questo 4° comma dell’articolo 4 è stata dunque presentata dagli onorevoli Dugoni e Pesenti una proposta di soppressione integrale. Vi sono poi emendamenti che implicano la conservazione del comma, presentati uno dal Ministro delle finanze e un altro dal Relatore onorevole La Malfa.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Vorrei rispondere al collega Dugoni, le cui argomentazioni sono assolutamente inesatte, infondate, da cima a fondo. Questo problema della doppia imposizione la Commissione se l’è posto con spirito di assoluta imparzialità, con spirito di assoluto rigore. La formula propostaci dal Governo, che è tradizionale in materia di tassazione di società, era una formula che la Commissione ha ritenuto inapplicabile e troppo favorevole alle società finanziarie, alle holdings. La formula del Governo era che il valore delle azioni in portafoglio si detrae tutto quanto dall’imponibile. Ora, per una società finanziaria che ha solo titoli in portafoglio si avrebbe questo risultato: che se questa società avesse un capitale 100 – capitale netto perché il fisco tassa il patrimonio netto – e avesse in portafoglio 1000 di titoli (e una finanziaria può avere perfettamente 1000 di titoli e 100 di patrimonio netto perché si alimenta di azioni) noi avremmo questo, assurdo, che essendo 1000 i titoli in portafoglio, questi 1000 si dovrebbero detrarre da 100 di patrimonio netto, operazione evidentemente assurda. Non si può detrarre ai fini dell’imposta un valore maggiore da un valore minore. Quindi la Commissione ha scartato una formula tradizionale della Finanza italiana (Interruzione del deputato Dugoni).

L’imposta di cui parla l’onorevole Dugoni, che è una imposta del 1937, detraeva dall’imponibile il 75 per cento sul totale.

DUGONI. Il 50 per cento.

LA MALFA, Relatore. Il 75 per cento per le società: ella non ha visto la conversione in legge. Per le società finanziarie che avessero investito in valore più del 20 per cento del valore capitale, la detrazione era del 75 per cento del valore delle azioni. E anche così si arriverebbe all’assurdo di detrarre un valore di titoli superiori al patrimonio. Quindi la detrazione è del tutto favorevole alle società finanziarie e, perciò, iniqua.

Questo è il caso favorevole alle holdings. Ma l’onorevole Dugoni non ha spiegato che esiste un limite del problema. Se una società finanziaria ha investito tutto il suo patrimonio in titoli, c’è il caso tipico della doppia imposizione. Perché? Perché l’onorevole Dugoni dimentica che la Borsa, quando valuta una società, non la valuta soltanto per i suoi beni reali, per le case, per i fabbricati, per gli immobili, ma nella valutazione comprende tutti i diritti che la società ha su altre aziende. Quindi, quando una società finanziaria ha investito il proprio patrimonio in azioni, deve essere esente dall’imposta. Altrimenti l’imposta si applicherebbe due volte, una sulla società finanziaria, e l’altra sulla azienda presso cui essa ha fatto investimenti.

Ecco i due casi limite, cioè la soluzione governativa favorevole alle holdings e la soluzione dell’onorevole Dugoni che costituirebbe un arbitrio assoluto in materia finanziaria. Vi è una idea fissa nell’onorevole Dugoni che dove vede holdings, vede nero. Ora il problema del trattamento fiscale delle holdings è un problema di giustizia tributaria come in ogni altro campo.

La soluzione della Commissione dice questo: noi non diamo esenzioni ai titoli che una società ha in portafoglio; calcoliamo quale è il patrimonio netto di questa società; vediamo quale è il valore delle azioni, e attribuiamo come detrazione, quella parte del valore delle azioni che si può ritenere investimento di fondi patrimoniali diretti.

Se una società ha preso azioni facendo un debito, non ha diritto alla detrazione. Se la società ha investito i propri fondi in azioni, cioè si è creata con i propri mezzi patrimoniali un diritto su una società o una impresa all’infuori della propria, questa ammettiamo in detrazione.

Come vedete, la soluzione adottata dalla Commissione è di un rigore assoluto ed io sono lieto che questa imposta ci abbia dato la possibilità di trovare un mezzo di tassazione delle holdings che risponda a criteri di perfetta giustizia tributaria; e cioè colpisca le holdings come non sono mai state colpite in passato. Ma le colpisca in modo che nessuno possa dire fuori di questa Aula che abbiamo voluto colpire le holdings senza tener conto delle condizioni reali in cui queste società operano. La Commissione insiste perché l’Assemblea approvi questo nuovo concetto di tassazione rispetto ai titoli posseduti in portafoglio.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei unicamente confermare che il Governo aderisce alla formula della Commissione, che è transazionale, ferma restando la richiesta della detrazione integrale dei titoli di Stato, secondo l’emendamento che è stato presentato. Il Governo ha apprezzato le ragioni esposte dall’onorevole Dugoni. L’onorevole Dugoni sa che l’Amministrazione finanziaria ha sempre resistito alla detrazione in sede d’imposta di negoziazione. È vero però quanto ha accennato l’onorevole relatore che, per le imposte sul patrimonio, era stato prevalentemente accolto il principio della detrazione.

PRESIDENTE. Passiamo dunque innanzi tutto alla votazione della proposta degli onorevoli Dugoni e Pesenti, soppressiva il quarto comma.

PESENTI. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Dichiaro che mantengo la proposta soppressiva, in accordo con l’onorevole Dugoni: perché, effettivamente, data la valutazione sintetica che viene fatta nel patrimonio delle società, penso che in questa valutazione sia calcolata tutta la situazione patrimoniale e sia scontata anche l’imposta che viene a colpire i titoli azionari.

Qui non colpiamo le azioni. Le azioni sono soltanto un sistema di valutazione. Se vi fosse valutazione analitica sarei d’accordo nella detrazione.

Essendovi una valutazione sintetica, sono contrario.

Per quanto riguarda il diverso trattamento dei titoli dello Stato rispetto ai titoli azionari, io affermo che, come parere personale, ero disposto ad accettare la detrazione dei titoli di Stato, non perché fosse logico, fosse coerente rispetto a questa valutazione sintetica fatta attraverso il corso dei titoli azionari, ma soltanto per una ragione di fatto, per favorire le Casse di risparmio, in modo particolare, e gli altri enti di credito che erano stati obbligati moralmente dallo Stato ad investire i loro attivi in titoli di Stato.

Ma la proposta della Commissione di concedere uno sconto percentuale ai titoli dello Stato, mi pare che sia sufficiente.

Voglio accennare ad un fatto che, per la Centrale, ad esempio, anche secondo la proposta dell’onorevole La Malfa, la detrazione sarebbe del 64 per cento dei titoli di Stato posseduti e dei titoli azionari.

Ora, siccome poi questi titoli azionari devono essere moltiplicati per il valore di quotazione di borsa, noi possiamo avere delle detrazioni eccessive che possono perfino superare il patrimonio imponibile.

LA MALFA, Relatore. No, è assolutamente impossibile.

PESENTI. Non è vero. Mantengo perciò l’emendamento soppressivo.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Siamo in sede di votazione, onorevole La Malfa. Lei può soltanto dire se conserva o non conserva la sua proposta; se aderisce o meno alla proposta dell’onorevole Pesenti.

LA MALFA, Relatore. Io devo chiarire i termini di questo problema.

PRESIDENTE. Mi sembra che sia stato chiarito abbastanza. Ha parlato lei, hanno parlato l’onorevole Ministro e gli onorevoli Dugoni e Pesenti; si affidi alla votazione dell’Assemblea!

LA MALFA, Relatore. A me non sembra che il problema sia stato chiarito!

SCOCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Voterò a favore dell’emendamento proposto dal Governo; conseguentemente voterò contro l’emendamento dell’onorevole Dugoni.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Voterò contro l’emendamento soppressivo e voterò a favore dell’emendamento del Governo, qualora l’emendamento della Commissione dovesse essere respinto.

PRESIDENTE. Pongo dunque ai voti la proposta degli onorevoli Dugoni e Pesenti di soppressione del quarto comma dell’articolo 4.

(Dopo prova e controprova, l’emendamento soppressivo non è approvato).

Porrò ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Ministro. Preciso che, a tenore di questo emendamento, la prima parte del quarto comma risulterebbe così formulata:

«Dall’imponibile valutato come sopra è detratto l’ammontare dei titoli di Stato e degli altri titoli dichiarati esenti da imposta all’atto dell’emissione».

LA MALFA, Relatore. Faccio notare che per quanto riguarda i titoli di Stato, secondo una disposizione di legge, le società devono accantonare i titoli di Stato in conto fondo di liquidazione del personale e quindi questa esenzione a favore delle società per fondi che sono di proprietà di terzi non avrebbe ragion d’essere.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la formulazione di cui ho dato lettura che costituisce la prima parte del comma, in base all’emendamento proposto dall’onorevole Ministro delle finanze.

(È approvata).

Pongo ai voti la seconda parte quale risulta in base all’emendamento del Ministro:

«Inoltre è detratta, una percentuale del valore delle azioni, delle quote di partecipazione e degli altri titoli che già non siano detratti per intero, posseduti dal soggetto».

(Dopo prova e controprova è approvata).

Segue l’ultima parte dell’articolo così modificato secondo la proposta del Relatore: «corrispondente al rapporto in cui il capitale e le riserve si trovano rispetto al loro ammontare aumentato delle passività, secondo le risultanze dell’ultimo bilancio approvato».

(È approvata).

L’ultimo, comma, del testo proposto dalla Commissione si intende assorbito dopo l’approvazione dell’articolo 3-bis proposto dagli onorevoli Perassi e De Vita.

Passiamo al quinto articolo:

«L’imposta straordinaria è applicata con le seguenti aliquote:

5 per cento per i soggetti indicati nella lettera a) dell’articolo …;

2 per cento per i soggetti indicati, nella lettera b) dell’articolo suddetto;

3 per cento per i soggetti indicati nella lettera c) dell’articolo stesso».

Su questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti in relazione alla aliquota. Il primo è quello dell’onorevole Dugoni, il quale propone che l’aliquota fissata per i soggetti indicati alla lettera a) sia ridotta al 3,50 per cento.

DUGONI. Ritiro l’emendamento, perché collegato alla soppressione del quarto comma dell’articolo precedente, soppressione respinta dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Allora resta l’emendamento dell’onorevole Marinaro che porterebbe la percentuale al 4 per cento. Anche il Governo propone la riduzione al 4 per cento. Ha chiesto di parlare il Ministro delle finanze. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di illustrare le ragioni per cui il Governo propone la riduzione dell’aliquota dal 5 al 4 per cento.

La misura di questa, nel periodo di studio, era rimasta incerta e oscillava tra il 4 e il 5 per cento. Il Governo, nel suo ultimo schema, aveva proposto il 4 per cento, tenendo cioè conto che, consentendosi di ricorrere, entro certi limiti, alle rivalutazioni, queste avrebbero importato l’obbligo di corrispondere l’imposta di registro per gli eventuali trasferimenti a capitale.

La parte relativa alle rivalutazioni è stata stralciata dal progetto, dietro suggerimento della Commissione. Ma il Governo, naturalmente, non può dimenticare questo problema, quanto meno sotto il profilo di politica di tesoreria ed eventualmente sotto il profilo di diritto comune, in rapporto alla sincerità dei bilanci.

È evidente che, quando il Governo si riproporrà il problema delle rivalutazioni e sceglierà una determinata soluzione, entro limiti contenuti forse in una misura relativamente modesta, dovrà nuovamente ricorrere allo strumento fiscale. Ed è in relazione a questa possibilità che si ritiene opportuno per un ragionevole senso di equilibrio, di limitare al 4 per cento l’aliquota per le società azionarie.

Correlativamente il Governo propone di ridurre al 2 per cento l’aliquota degli enti morali.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Marinaro.

MARINARO. Mi associo alle considerazioni svolte dall’onorevole Ministro, aggiungendo che c’è un’altra sostanziale ragione per ridurre al 4 per cento: i patrimoni delle società azionarie sono stati sottoposti ad imposta straordinaria proporzionale, su un valore imponibile che risulta assai più elevato di quello stabilito per ogni singolo contribuente. Il valore imponibile, infatti, è il valore accertato ai fini dell’imposta di negoziazione per il 1947, che è più elevato di quello stabilito per gli altri contribuenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione si è già espressa nel senso che, a maggioranza, non può accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Marinaro. Propongo pertanto che l’articolo si voti per divisione.

PRESIDENTE. È evidente.

Pongo ai voti la prima parte dell’articolo con la riduzione dell’aliquota al 4 per cento secondo l’emendamento Marinaro cui il Governo si è associato:

«L’imposta straordinaria è applicata con le seguenti aliquote: 4 per cento per i soggetti indicati nella lettera a) dell’articolo…».

(È approvata).

Pongo ai voti il comma successivo, su cui non vi sono emendamenti:

«2 per cento per i soggetti indicati nella lettera b) dell’articolo suddetto.

(È approvato).

Passiamo all’ultima parte:

«3 per cento per i soggetti indicati nella lettera c) dell’articolo stesso».

L’onorevole Marinaro propone di ridurre l’aliquota al 2 per cento; all’emendamento ha aderito l’onorevole Ministro.

L’onorevole Marinaro ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MARINARO. Faccio presente che si tratta di enti che hanno fini di assistenza e beneficenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Dopo le innumerevoli esenzioni concesse a questa categoria, non mi pare che sia il caso di concedere altre agevolazioni.

PELLA, Ministro per le finanze. Mi associo alla considerazione fatta dall’onorevole relatore.

Il primitivo emendamento era anteriore alla discussione delle esenzioni. Ritengo che possa essere conservata l’aliquota del 3 per cento. Quindi, il Governo ritira l’emendamento per la categoria degli enti morali.

PRESIDENTE. Onorevole Marinaro, insiste nel suo emendamento?

MARINARO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti l’ultimo comma nel testo proposto dalla Commissione cioè conservando l’aliquota del 3 per cento.

(È approvato).

Passiamo al sesto articolo:

«Entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge di convalida del presente decreto, i soggetti tenuti a corrispondere l’imposta straordinaria prevista nell’articolo… devono presentare all’ufficio distrettuale delle imposte dirette, nella cui circoscrizione essi hanno la loro sede, la dichiarazione del loro patrimonio imponibile, in tutti i casi in cui detto patrimonio non debba essere accertato ai fini della imposta straordinaria progressiva.

«Quando si tratta di soggetti il cui patrimonio non cade sotto l’applicazione dell’imposta straordinaria progressiva, la dichiarazione deve essere fatta per un valore non inferiore a quello su cui è stata liquidata l’imposta ordinaria sul patrimonio per l’anno 1947.

«Per l’omessa od infedele dichiarazione, si applicano le sanzioni previste negli articoli 54, 56, 57 e 59».

Non essendo stati presentati emendamenti lo pongo ai voti.

(È approvato).

Passiamo al settimo articolo al quale pure non sono proposti emendamenti:

«L’imposta straordinaria, prevista nell’articolo…, è riscossa in 24 rate bimestrali uguali a partire dall’agosto 1948».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Segue l’ottavo articolo:

«L’Amministrazione finanziaria ha la facoltà di iscrivere a ruolo l’imposta straordinaria liquidata sull’imponibile dichiarato dal contribuente, o – quando la dichiarazione non è richiesta – sull’imponibile in base al quale è liquidata, a titolo provvisorio, l’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, salvo conguaglio, in entrambi i casi, sulle risultanze dell’accertamento definitivo.

«L’imposta iscritta, a titolo provvisorio o definitivo, in ruoli, la cui riscossione si inizia dopo la rata dell’agosto 1948, è ripartita in quote uguali nelle rate residue a termini del precedente articolo.

«L’imposta iscritta in ruoli, la cui riscossione si inizia dopo la scadenza del termine fissato nell’articolo precedente, è riscossa in sei rate bimestrali uguali, con l’interesse del 2 per cento a favore dello Stato la decorrere dal 1° luglio 1952».

Anche su questo articolo non vi sono emendamenti. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Segue il nono articolo che è del seguente tenore:

«I ruoli dell’imposta straordinaria non sono soggetti a pubblicazione.

«Per la riscossione compete all’esattore l’aggio contrattuale, esclusa l’addizionale prevista negli articoli 5 e 8 del decreto legislativo luogotenenziale 18 giugno 1945, n. 424».

Su questo articolo ha presentato un emendamento l’onorevole Dugoni, il quale propone di sopprimere il primo comma. Ha facoltà di svolgerlo.

DUGONI. Due brevi parole per illustrarlo. Chiedo che, data la particolare delicatezza del settore in cui noi operiamo in questo momento, sia data pubblicità ai risultati analitici della imposta, perché tutti possano controllare qual è l’effetto di questa legge e delle modificazioni che sono state proposte.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Aderisco senz’altro all’emendamento soppressivo dell’onorevole Dugoni; penso che la Commissione abbia proposto questo primo comma – e d’altra parte anche il Governo lo proponeva – per snellire il lavoro di formazione e pubblicazione dei ruoli.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di parlare.

LA MALFA, Relatore. Non comprendo le ragioni per cui si dovrebbe approvare questo emendamento.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta di soppressione del primo comma formulata dall’onorevole Dugoni.

(È approvata).

Pongo ai voti il secondo comma.

(È approvato).

Passiamo al decimo articolo.

«Il credito dello Stato per l’intero ammontare del tributo ha privilegio speciale su tutti gli immobili facenti parte del patrimonio del contribuente alla data di pubblicazione della legge di convalida del presente decreto, salvi i diritti dei terzi, costituiti anteriormente alla data stessa.

«Si applicano per l’imposta straordinaria prevista nel presente titolo le disposizioni contenute nel secondo, terzo e quarto comma dell’articolo 60».

Non essendovi emendamenti, lo pongo ai voti.

(È approvato).

Segue l’articolo undicesimo sul quale pure non sono stati presentati emendamenti:

«Per la prescrizione dell’azione della finanza valgono le norme dell’articolo 61».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Passiamo all’articolo dodicesimo, così formulato:

«I contribuenti possono versare in Tesoreria, in unica soluzione, con l’abbuono dell’interesse composto dell’8 per cento, in ragione d’anno, l’importo complessivo di tutte le rate d’imposta straordinaria ancora da scadere.

«Il riscatto può essere chiesto tanto per l’importo accertato in via provvisoria, quanto per quello accertato in via definitiva.

«Il riscatto dell’intero ammontare dell’imposta deve essere domandato al competente Ufficio distrettuale delle imposte dirette entro il giorno 10 del mese precedente a quello della scadenza della prima rata d’imposta ed il versamento in Tesoreria deve essere effettuato entro il mese di scadenza della rata stessa.

«I riscatti successivi devono essere domandati entro il 30 novembre di ciascun anno con effetto dalle rate a scadere dalla prima dell’anno successivo, ed il versamento in Tesoreria deve essere effettuato entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello in cui la domanda è presentata.

«Non è ammesso il riscatto delle sole ultime sei rate bimestrali.

«In tutti i casi di versamento diretto in Tesoreria non compete alcun aggio all’esattore ed al ricevitore provinciale.

«Sono altresì applicabili le norme degli articoli 52 e 53».

Non essendovi emendamenti, lo pongo di voti.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 13, che è del seguente tenore:

«Con provvedimento a parte saranno dettate le norme che si rendessero necessarie per la disciplina delle rivalutazioni dei cespiti patrimoniali delle società ed enti, in relazione all’istituzione della presente imposta straordinaria e per eventuali emissioni di azioni od obbligazioni ai fini del pagamento dell’imposta».

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

PELLA, Ministro delle finanze. In adesione all’ordine di idee espresso dalla Commissione, di stralciare la materia delle rivalutazioni, perché materia estranea alla legge che stiamo discutendo, il Governo chiede la soppressione di questo emendamento, e dà alla richiesta il significato che il Governo provvederà a regolare la materia con proprio provvedimento. Voglio pregare gli onorevoli colleghi, di considerare che le ripercussioni di un provvedimento sulle rivalutazioni possono essere molteplici, ed è necessario, quindi, un complesso di cautele di cui il Governo si assumerà la responsabilità. Perciò, per ragioni di ordine pratico, prego l’Assemblea di affiancare col proprio voto la richiesta del Governo di sopprimere questo emendamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. La ragione di questo articolo era di allacciare questo provvedimento ad altri e dare una certa tranquillità di mercato, nel senso che tutta questa materia sarà sistemata. Però, non insisto.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Aderisco alla proposta del Ministro di sopprimere questo articolo. Desidero ricordare all’Assemblea che il provvedimento, a cui si riferisce quest’articolo, preso nell’agosto del 1946, non potrebbe essere messo in discussione senza gravissime ripercussioni nel mercato azionario. Devo poi fare espressa raccomandazione al Governo che non tolga dai suoi strumenti di controllo del mercato finanziario una disposizione che ha un carattere nettamente antinflazionistico, in un momento in cui stiamo conducendo una campagna per la stabilizzazione del potere di acquisto della moneta.

Ci sarà tempo per esaminare questo problema che, del resto, ha anche riflessi sulle conseguenze dei danni di guerra, perché in sostanza lo Stato può indirettamente agevolare coloro che hanno avuto danni di guerra, attraverso l’applicazione del congegno stabilito dal decreto dell’agosto del 1946.

Con questa intesa, io aderisco alla richiesta del Governo di sopprimere l’articolo 13.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Avevo proposto un emendamento a questo articolo. A seguito delle dichiarazioni fatte dall’onorevole Ministro, che considero come un impegno formale del Governo, ritiro il mio emendamento.

LA MALFA, Relatore. Pregherei il Governo di considerare l’opportunità di mantenere una dizione di questo genere: «Con provvedimento a parte saranno dettate le norme che si rendessero necessarie per la disciplina di eventuali emissioni di azioni o obbligazioni, ai fini del pagamento dell’imposta».

Credo che un provvedimento del genere sia necessario come provvedimento integrativo.

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevoli colleghi, può darsi, anzi è certamente fondata la ragione addotta dall’onorevole Relatore; però vi sono altre ragioni di maggiore portata che suggeriscono di non toccare, in nessun modo, questa materia così delicata e così scottante. La minima indicazione contenuta in un testo di legge può significare, per gli iniziatissimi della materia, la traccia di un orientamento. Il Governo desidera che questa materia, sia regolata indipendentemente da qualsiasi pregiudiziale e, soprattutto, indipendentemente da qualsiasi anticipo che l’opinione pubblica interessata possa desiderare di ottenere. Per questo, io pregherei di non insistere, sia pure soltanto per una parziale conservazione dell’emendamento. Le preoccupazioni dell’onorevole La Malfa sono anche preoccupazioni del Governo. Questa imposta dovrà essere pagata a partire dal 1948. Il Governo non dovrà aspettare il 1948 per regolare questa materia.

LA MALFA, Relatore. Mi rimetto al Governo.

PRESIDENTE. Pertanto, si può considerare che quest’articolo 13 sia ritirato dalla stessa Commissione.

LA MALFA, Relatore. D’accordo.

PRESIDENTE. Abbiamo così esaurito la materia relativa alla regolamentazione dell’imposta patrimoniale straordinaria proporzionale sul patrimonio degli enti collettivi. Resta ancora da esaminare qualche emendamento, residuo della discussione che si è già svolta.

Faccio presente all’Assemblea che tra gli emendamenti rinviati figuravano anche i seguenti:

Art. 29-bis.

«Il patrimonio imponibile dalle società, le cui azioni sono quotate in borsa, è valutato in base alla media dei prezzi di compenso del trimestre indicata dall’articolo 18.

«In tale valore imponibile nessuna detrazione è consentita.

«Il patrimonio imponibile delle società ed enti diversi da quelli indicati nel comma precedente è valutato in base alle disposizioni degli articoli 9 e seguenti della presente legge.

«In tale patrimonio imponibile sono detraibili soltanto le passività afferenti ai cespiti patrimoniali che formano oggetto imponibile.

«Pesenti, Scoccimarro, Foa, Valiani, Lombardi Riccardo».

Art. 29-ter.

«Sono soggetti ad imposta gli enti collettivi il cui patrimonio, valutato a norma dell’articolo precedente, è superiore a cinque milioni.

«L’ammontare dell’imposta da corrispondersi è determinata in base alle seguenti aliquote da applicarsi nel patrimonio valutato a norma dell’articolo precedente:

fino a 5 milioni, esenti

 

da 5 a 20 milioni

1%

da 20 a 50

1,50%

da 50 a 100

2%

da 100 a 250

2,50%

da 250 a 500

3%

da 500 a 1000

3,50%

da 1 a 2 miliardi

4%

da 2 a

4,50%

da 5 a 10

5%

da 10 a 20

5,50%

oltre i 20 miliardi

6%

«Pesenti, Scoccimarro, Foa, Valiani, Lombardi, Riccardo».

Art. 29-quater.

«Sono esenti dall’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio le società cooperative di consumo.

Recca, Caccuri, Siles, Sullo, Gabrieli, Monterisi, Dominedò, Cimenti, Clerici, Coccia».

Questi emendamenti debbono considerarsi assorbiti.

Vi è ora, tra gli emendamenti rinviati, un emendamento del Governo, proposto in sede di discussione dell’articolo 2, così formulato:

«Dal valore delle azioni o di quote di partecipazione in società costituite in Italia si detrae una quota-parte proporzionale al valore dei beni posseduti dalla società all’estero, ivi assoggettabili a tributi straordinari».

Si tratta di una questione rimasta in sospeso.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. L’emendamento che aveva proposto il Governo è stato presentato in occasione della trattazione dell’articolo 2 e l’Assemblea, in parte lo ritenne parzialmente superfluo, perché assorbito dal sistema delle valutazioni ecc.; per altro verso ritenne che un collocamento di esso fosse opportuno nel campo delle valutazioni. Nel complesso l’Assemblea rinviò l’emendamento, e ci troviamo oggi a ridiscuterlo.

Io lo mantengo perché risponde ad una norma di correttezza delle valutazioni nel quadro della sistemazione generale della legge, e proporrei che il suo esatto collocamento venisse affidato alla Commissione di coordinamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatore. Dopo l’approvazione dell’articolo relativo alla detrazione dell’imponibile, probabilmente una parte di questo emendamento del Governo potrebbe cadere.

PELLA, Ministro delle finanze. Per la progressiva.

LA MALFA, Relatore. Non voterei l’emendamento formalmente, ma lascerei alla Commissione e al Governo il compito di esaminare quanto di questo emendamento può essere introdotto agli effetti della quota proporzionale relativa agli enti collettivi.

PRESIDENTE. In sede di coordinamento si potrà vedere quale parte sia implicita e quale parte debba essere considerata invece come parte nuova e tale che possa essere inserita.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Volevo pregare l’onorevole Presidente di mettere egualmente in votazione questo emendamento perché l’Assemblea abbia modo di dichiarare esplicitamente, che condivide lo spirito di questo emendamento; salvo poi al relatore la facoltà di esaminare la sede del collocamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento proposto del Governo, alle condizioni chiarite dall’onorevole relatore e dall’onorevole Ministro delle finanze.

(È approvato).

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevole Presidente, era rimasta in sospeso una questione relativa all’emendamento presentato dall’onorevole Condorelli, riguardante l’articolo 25 dell’imposta progressiva. Si è trovata una formulazione che in parte va incontro alle necessità dà lui fatte presenti

PRESIDENTE. L’onorevole Condorelli aveva effettivamente presentato due emendamenti, di cui uno risulta ritirato mentre l’altro, in votazione, è stato respinto.

LA MALFA, Relatore. Su uno degli emendamenti vi è stata però una richiesta di sospensiva, nel senso che il Governo e la Commissione avrebbero dovuto esaminare l’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Condorelli ritirò, infatti, l’emendamento dopo che il Governo si era impegnato di presentare una formulazione nel senso proposto dall’emendamento.

Viene ora comunicata alla Presidenza la seguente formulazione, concordata tra Commissione e Governo:

«I titoli nominativi dello Stato dichiarati dal contribuente sono computati nella quota presuntiva, fino alla concorrenza del 50 per cento della medesima».

PELLA, Ministro delle finanze. Per lealtà, siccome il Governo ha dato una assicurazione all’onorevole Condorelli, desidererei chiedere prima all’onorevole Condorelli, se ritiene sodisfatto l’impegno del Governo con la formulazione indicata precedentemente.

Mi raccomando al senso di misura e di moderazione dell’onorevole Condorelli.

CONDORELLI. Sono sodisfatto, perché il Governo ha aderito largamente, con cortesia, a quello che avevo richiesto, cioè che il problema fosse esaminato. La soluzione, tuttavia, non mi sodisfa appieno. Chiederei un chiarimento: fra i titoli di Stato nominativi sono compresi anche i buoni postali fruttiferi?

LA MALFA. Relatore. No.

PELLA, Ministro delle finanze. I buoni postali fruttiferi non sono compresi fra i titoli nominativi e l’assicurazione che avevo data era esplicitamente diretta ai titoli nominativi.

Riconosco all’onorevole Condorelli il diritto di non ritenersi sodisfatto di questo atteggiamento del Governo, rispetto ai buoni postali fruttiferi.

Ma il punto che preoccupa il Governo è questo: per quanto riguarda i titoli nominativi, nei confronti dei quali venne data una assicurazione, ritiene l’onorevole Condorelli che la formula presentata realizzi l’assicurazione data dal Governo?

Non vorrei, che, su questo punto, si considerasse il Governo inadempiente rispetto ad una promessa fatta.

CONDORELLI. Il Governo non aveva promesso altro che di esaminare il problema. Anche se avesse risposto negativamente, dal punto di vista formale, sarei sodisfatto ugualmente.

Io trovo che la soluzione non è pienamente sodisfacente, perché non mi rendo conto del diverso trattamento fatto ai titoli di Stato nominativi e ai buoni postali fruttiferi che sono anch’essi dei titoli di Stato nominativi, anzi, intrasferibili. Non vedo la ragione della differenza.

LA MALFA, Relatore. La ragione, a mio giudizio, consiste in questo: che i buoni postali rappresentano veri e propri depositi e l’estensione ai buoni postali di questa agevolazione potrebbe avere conseguenze anche nel campo dei depositi a risparmio nominativi.

Quindi, dovremmo riesaminare tutta una materia che è già, in una certa maniera, regolata.

CONDORELLI. Questa non è una ragione sufficiente per non fare giustizia.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo aderisce al concetto espresso dal Relatore.

CONDORELLI. Chiedo che all’emendamento proposto dalla Commissione e dal Governo si aggiungano le parole: «buoni postali fruttiferi».

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo ai voti anzitutto la formulazione proposta dalla Commissione e dal Governo come emendamento da inserirsi nell’articolo 25.

(È approvato).

Pongo ai voti l’emendamento aggiuntivo dall’onorevole Condorelli.

(Non è approvato).

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione dovrebbe presentare una proposta di emendamento all’emendamento Cappi all’articolo 72, già approvato. Si tratta di una questione di ordine tecnico che riguarda l’Amministrazione finanziaria facilitandone il lavoro, senza nulla mutare della sostanza del provvedimento. (Commenti al centro).

Coll’emendamento Cappi si stabilisce una data di rateazione che determinerebbe la necessità per l’Amministrazione finanziaria di rivedere tutte le cartelle esattoriali.

Con la proposta della Commissione si allunga di qualche mese la rateazione, ma si consente all’Amministrazione finanziaria, con un’operazione automatica, di riduzione ad un terzo delle rate, di non modificare per nulla le cartelle. L’Amministrazione finanziaria risparmierebbe così tre o quattro mesi di lavoro.

PRESIDENTE. Do lettura di questa proposta dell’onorevole La Malfa. Salvo il suo collocamento, noi possiamo considerarla in questo momento come un articolo aggiuntivo; che, se approvato, sarà inserito, all’articolo 72, alla cui materia si riferisce:

«Per tutte le partite il cui imponibile sia inferiore a lire 750 mila, fermo restando il pagamento delle rate di giugno e agosto 1947, il pagamento del residuo debito d’imposta è riscosso in ventidue rate trimestrali eguali fino all’aprile 1951».

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Come presentatore dell’emendamento, accetto la proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro, vuole esprimere il parere del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo accetta la proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Allora, la pongo ai voti.

(È approvata).

Ricordo all’Assemblea che l’onorevole Mortati, ha presentato la proposta di un articolo aggiuntivo. Ha facoltà di svolgerla.

MORTATI. Ho presentato tre emendamenti inerenti alla stessa questione. Il primo è un emendamento sostitutivo all’articolo 77, così formulato:

«Sostituire l’articolo 77 col seguente:

«Il presente decreto sarà presentato per la revisione e l’approvazione all’Assemblea Costituente».

L’emendamento sostituisce questa formula all’altra: «Il presente decreto è convalidato ecc.».

In relazione a questo emendamento vi è una proposta di emendamento all’articolo unico del progetto di legge:

«In relazione all’emendamento proposto all’articolo 77, nell’articolo unico del disegno di legge, sostituire alle parole: È convalidato, le altre: È approvato».

Vi è infine la proposta di un articolo aggiuntivo così formulato:

«Il Governo provvederà a compilare un testo unico delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143 e delle modificazioni ad esso apportate, curandone il coordinamento».

Prego l’onorevole Presidente di consentirmi di svolgere brevemente i miei emendamenti.

PRESIDENTE. Faccio osservare che gli emendamenti dell’onorevole Mortati si riferiscono al testo dell’articolo unico del disegno di legge. Sarebbe pertanto opportuno che prima si concludesse la discussione anche sugli ordini del giorno che sono stati presentati.

Vi è un primo ordine del giorno così formulato:

«L’Assemblea Costituente,

considerato

che nei luoghi di cura e di villeggiatura si praticano affitti e subaffitti esorbitanti per periodi brevissimi, praticamente svincolati da tutte le norme limitatrici vigenti, senza neppure corresponsione di contribuzioni fiscali, non registrandosi i contratti e riscuotendosi gli affitti anticipatamente;

che ciò costituisce evidente ingiusto disquilibrio in confronto degli altri locatori di immobili urbani;

invita,

il Governo a dare opportune istruzioni all’Amministrazione finanziaria ed eventualmente a predisporre opportuni provvedimenti legislativi onde impedire tali straordinarie evasioni fiscali».

«Clerici, Saggin, Baracco, Cavalli, Alberti, Bovetti».

I firmatari di questo ordine del giorno non sono presenti; s’intende quindi che vi abbiano rinunciato.

Vi è poi il seguente ordine del giorno firmato dagli onorevoli: Paris, Cartia, De Vita, Corsi, Pera, Micheli, Carboni Angelo, Lami Starnuti, Simonini, Rossi Paolo, Vigorelli, Bianchi Bianca:

«L’Assemblea Costituente,

constatato che a causa degli eventi bellici il regio decreto-legge 24 giugno 1943, n. 543, non ebbe un’applicazione contemporanea in tutto il Paese, il che determinò la mancanza di un criterio unico nell’aggiornamento degli imponibili ai valori venali del triennio 1937-39 e, in seguito al diverso grado di svalutazione della moneta nelle parti in cui era divisa l’Italia, dava luogo a notevoli sperequazioni;

che le disposizioni di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 31 ottobre 1946, n. 382, accentuarono delle sperequazioni nel confronto dei singoli contribuenti e di singole provincie, tanto da pregiudicare una equa distribuzione degli oneri fiscali;

che tali sperequazioni, per quando disposto dall’articolo 54, comma quinto, del disegno di legge sull’imposta patrimoniale progressiva già approvato, verrebbero ancor maggiormente aggravate;

chiede al governo che vengano riaperti i termini per la presentazione delle domande di rettifica degli imponibili a ruolo per l’imposta patrimoniale straordinaria proporzionale 4 per cento almeno nelle provincie dove il rapporto fra il gettito della patrimoniale ordinaria 1941 ( = 1) è quello del ruolo principale del 1947 supera del 150 per cento il rapporto medio nazionale, che è di 7,85».

L’onorevole Paris ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno.

PARIS. Sono stato indotto a presentare l’ordine del giorno dalla constatazione, attraverso rilievi statistici, di enormi sperequazioni tanto rispetto ai singoli contribuenti quanto alle singole regioni, sperequazioni dovute al tempo in cui venne applicata la legge del 24 giugno 1943 n. 543…

LA MALFA, Relatore. È già assorbita.

PARIS. …e la successiva del 31 ottobre 1946. L’Italia era divisa dalla «linea gotica». Queste disposizioni, applicate nel Mezzogiorno quando ancora non era venuto l’adeguamento della moneta, hanno dato delle differenze di rapporto veramente notevoli.

Io leggo soltanto qual è il rapporto, posto uno quale indice dell’imposta unitaria sul patrimonio nel 1941, in proporzione a quella del 1947. Nell’Italia settentrionale questo rapporto è di 1 a 7,85; nell’Italia centrale 6,63; nell’Italia meridionale 1 a 10,21.

Anche le singole province hanno dei rapporti la cui sproporzione è veramente notevole. Si va perfino dal 3,4 al 17,85 di Reggio Calabria e al 17,18 di Teramo.

Ma oltre alle sperequazioni per provincia vi sono quelle rispetto ai singoli contribuenti. Infatti, mentre la maggiorazione doveva essere di 10 volte per i beni immobili esclusi i fabbricati, detta maggiorazione supera delle volte perfino il 100 per cento.

Io porto qui casi relativi a contribuenti della provincia di Trento. Alcuni negozi di frutta – per esempio – hanno avuto l’imponibile maggiorato di 366 volte!

Questo è dovuto al fatto che l’aliquota dello 0,50 per cento è stata ridotta allo 0,40 per cento. Il piccolo contribuente, che non sa destreggiarsi in questo continuo rigurgito di leggi fiscali, ha soltanto guardato l’importo che doveva pagare per tasse. Poi, quando gli è stata recapitata la cartella del pagamento dell’imposta proporzionale straordinaria del 4 per cento, non è stato più in tempo a ricorrere perché i termini erano già scaduti perché tale notificazione non era prevista dalla legge. Ora, ci sono stati dei casi…

PRESIDENTE. Onorevole Paris, mi perdoni: durante la discussione di questo testo di disegno di legge il Governo ha già fatto replicate volte la dichiarazione di accettare la proposta contenuta nell’ordine del giorno che ella ha presentato insieme ad altri. Perciò la sua opera di convinzione, onorevole Paris, mira ad un risultato già raggiunto. L’onorevole Ministro delle finanze le può confermare ancora una volta queste dichiarazioni.

PARIS. Se l’onorevole Pella mi assicura che saranno riaperti i termini non soltanto per i fabbricati di cui alla circolare ministeriale, ma anche per i beni mobili, io mi terrò pago. Perché le sperequazioni vengono soprattutto in materia di tassazioni di beni immobili. Per l’Italia meridionale si verifica una sperequazione enorme per la sola imposta ordinaria del patrimonio. Il Meridione verrà a pagare 60 miliardi di più, oltre l’influenza che la cifra avrà sulla progressiva straordinaria patrimoniale. Mi pare giusto guardare, non soltanto a parole ma anche a fatti, a quelle posizioni economiche del Meridione che da tutti i partiti vengono ricordate al momento delle elezioni, ma che poi qui nessuno porta effettivamente. (Applausi).

PRESIDENTE. Prego il Ministro delle finanze di rispondere all’onorevole Paris.

PELLA, Ministro delle finanze. Comunico ancora una volta agli onorevoli colleghi ed in particolare all’onorevole Paris che:

1°) il Governo fin dal 19 giugno ha diramato una circolare a tutti gli uffici dipendenti con cui si comunicava che erano riaperti i termini fino al 31 dicembre 1947 affinché i proprietari di fabbricati potessero chiedere la rettifica dei loro imponibili. Ciò allo scopo di arrivare per tutti all’adeguamento a cinque volte l’imponibile del 1937-39;

2°) per quanto riguarda i proprietari di terreni, con successiva circolare di fine giugno – mi si perdoni se non ricordo esattamente la data – si è provveduto a disporre perché d’ufficio si proceda al lavoro di adeguamento, in quanto per i terreni, per la tecnica particolare dell’accertamento, è possibile procedere senza richiesta della parte. Quindi in questo particolare settore non c’è, da parte dei contribuenti, che da sollecitare gli uffici a procedere alla revisione.

Quali altri settori restano ancóra? Il settore delle aziende industriali e commerciali. Evidentemente, tenuto conto delle particolarità che il settore presenta, è difficile adottare un criterio generale in tema di revisione degli imponibili. Ma il Governo accoglie certamente i suggerimenti per la correzione di eventuali errori compiuti nel settore delle piccole e medie aziende.

Perciò, l’ordine del giorno dell’onorevole Paris è accettato dal Governo a titolo di raccomandazione.

PARIS. Se il Governo accetta soltanto a titolo di raccomandazione, devo insistere per la votazione.

Posso citare molti casi. Una ditta aveva un imponibile di un milione e 800.000 lire. Ha presentato ricorso entro i termini. C’è stato l’accertamento constatato in lire 55.000. Dunque, da un milione e 800,000 lire la polizia tributaria ha constatato 55.000, lire. Di questi casi ce ne sono a centinaia. Non dico che venga sospesa l’esazione: continui pure; ma almeno che il piccolo contribuente, che è il più colpito, possa avere la possibilità di presentare ricorso.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Paris chiede che venga posto in votazione il suo ordine del giorno mentre il Ministro Pella ha dichiarato di accettarlo come raccomandazione, pongo in votazione questo ordine del giorno.

(È approvato).

L’onorevole Mortati ha facoltà di illustrare gli emendamenti da lui presentati, dei quali ho dato prima lettura.

MORTATI. Mi pare che la questione sollevata dall’articolo 77 sia di notevole importanza perché attiene ai poteri normativi del Governo durante questo periodo provvisorio. Si domanda: il Governo ha pienezza di poteri normativi durante il vigore del decreto 16 marzo 1946? Si deve rispondere nel senso pienamente affermativo. Se è così, bisogna concludere per la inesattezza del termine «convalida» adoperato nel disegno di legge, articolo 77.

Perché «convalida» si riferisce a quegli atti che sono inizialmente invalidi, inficiati da qualche vizio, e che vengono sottoposti a sanatoria dall’organo competente che li risana, cioè dà loro quella validità che originariamente non avevano.

A noi interessa escludere che sugli atti normativi del Governo possa cadere il dubbio di invalidità. Quindi interessa escludere il termine «convalida» che sancirebbe questo significato di invalidità provvisoria. Ed allora si domanda con quale altro termine si potrebbe sostituire il termine «convalida» che è inesatto e politicamente pericoloso.

C’è l’onorevole Codacci Pisanelli che ha proposto le parole: «conversione in legge». Mi pare che questo termine anche sia improprio perché, riferendoci al significato tecnico-giuridico della parola «conversione», dobbiamo presupporre l’esistenza di un atto dotato di validità provvisoria, e quindi bisognoso di un atto successivo che sgravi di responsabilità chi lo ha emesso. Nella specie, mi pare che anche questa situazione non si verifichi perché l’atto del Governo è dotato di validità definitiva; e quindi la conversione dell’atto, che oggi compiamo, non ha significato costitutivo, ma semplicemente dichiarativo di una validità che già aveva.

Si domanda: Il Governo aveva i poteri di presentare dinanzi all’Assemblea una legge già in atto, una legge già completa, in tutti i suoi elementi perfetta? Io credo di sì. Aveva questi poteri in virtù dell’articolo 3 del decreto luogotenenziale 16 marzo 1946 in cui si stabilisce che il Governo dovrà sottoporre poi all’esame dell’Assemblea ogni argomento che venga dalle deliberazioni di esso.

In questo argomento, a mio avviso, può entrare tutto, anche un disegno di legge.

Quale è l’interesse del Governo a presentare un disegno di legge? È un interesse politico, cioè di far valere quella responsabilità del Governo verso l’Assemblea che è sancita dallo stesso articolo 3. Il Governo, maggiore responsabile dinanzi all’Assemblea, può avere interesse a chiedere all’Assemblea stessa una approvazione, che ha evidentemente carattere politico, di quello che ha fatto e nella specie mi pare che il Governo ha usufruito di questo potere, di questa facoltà e si è presentato dinanzi alla Assemblea per chiedere se l’Assemblea approvasse in linea politica quello che esso ha emesso. Quindi l’operazione compiuta dall’Assemblea su questa legge, già perfetta, già emanata, già entrata in vigore, è una approvazione di carattere politico. A questa approvazione di carattere politico si aggiunge un’opera di revisione chiesta dal Governo stesso ed eseguita dall’Assemblea attraverso gli emendamenti.

Quindi sostituire la parola «convalida», con la parola «approvazione» risponde a questa esigenza, che mi pare importante anche dal punto di vista politico oltre che giuridico.

Per quanto riguarda la proposta del testo unico, a me pare che questa proposta discenda dal fatto che essendosi seguita la procedura che ho esposto, noi formiamo due testi: uno il testo originario già pubblicato ed entrato in vigore; l’altro il testo che risulta dalle modificazioni. Di fatti, l’articolo unico del disegno di legge, che ci è stato sottoposto, dice: «È convalidato il decreto con le seguenti modifiche». Quindi che cosa succede? Che la pubblicazione di questa legge, una volta approvata dalla Assemblea, conterrà semplicemente l’elenco delle modifiche.

Quindi fondere in un testo unico, attraverso una coordinazione, che mi pare necessaria dato il modo con cui sono stati svolti questi emendamenti, mi sembra opportuno.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi, con l’emendamento Mortati non si chiede soltanto che alla parola «convalida» sia sostituita la parola «approvazione», ma si chiede di modificare sostanzialmente l’articolo 77 in quanto si propone di dire: «Il presente decreto sarà presentato per la revisione e l’approvazione all’Assemblea Costituente».

Io dichiaro questo: che dal punto di vista giuridico non concepisco una legge di revisione, perché una legge o si applica espressamente o si applica implicitamente. Non esiste, che io sappia, l’istituto della revisione della legge.

Ma, badino i colleghi dell’Assemblea, questo emendamento significa mutare sostanzialmente l’articolo unico del disegno di legge. Il disegno di legge è un disegno col quale si chiede la convalida dell’Assemblea.

Già mi affretto a dire subito che convalidare ed emendare, dal punto di vista giuridico, sono termini antitetici ed evidentemente non si convalida laddove si emenda, perché quando si emenda, si modifica la legge. La convalida non consente possibilità di modificazione della legge o possibilità di emendarla, sicché non è possibile che oggi l’Assemblea si arroghi questo cosiddetto potere di revisione, vale a dire di trasformare la legge, sostituire alla legge un’altra legge, mutare i principî ed i criteri ai quali la legge è ispirata. Evidentemente noi supereremmo il compito che siamo chiamati ad adempiere, perché l’articolo unico del disegno di legge demanda a noi soltanto di convalidare la legge.

Io anticipo la mia dichiarazione di voto, e cioè dichiaro che voterò contro perché qui si tratta di una legge essenzialmente anticostituzionale, incostituzionale.

È stato, non a proposito, richiamato l’articolo 3 dal collega Mortati. L’articolo 3, come l’Assemblea sa, stabilisce i rapporti, e li regola, fra l’Assemblea Costituente ed il Governo e demanda al Governo la potestà legislativa, eccettuate le leggi di approvazione dei trattati internazionali e di approvazione della legge elettorale. Vero è che al capoverso è fatta facoltà al Governo di sottoporre eventualmente all’Assemblea qualunque argomento, e mi permetto di soggiungere che questa facoltà fu più tardi trasformata in obbligo per l’articolo aggiunto al Regolamento con il quale si stabilivano apposite Commissioni che ogni qual volta rilevassero l’importanza tecnica o politica di un argomento, avevano il dovere di chiedere la deliberazione dell’Assemblea…

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, nel corso della discussione, lei aveva presentato una proposta nella quale svolgeva appunto questo concetto. Non vorrei che adesso, al termine dei nostri lavori, ella volesse svolgere una questione che aveva carattere pregiudiziale.

CRISPO. Io mi occupo dell’emendamento Mortati col quale si chiede che l’Assemblea si arroghi il potere di rivedere la legge. E dichiaro che questo è assolutamente incostituzionale.

Io dichiaro che qui non è nemmeno luogo alla convalida, comunque si voglia interpretare la parola convalida.

PRESIDENTE. Le faccio osservare che, poiché la votazione sarà a scrutinio segreto, non vi è luogo a dichiarazione di voto. Il problema che lei pone doveva essere posto come pregiudiziale di tutta la votazione, perché, se eventualmente l’Assemblea avesse accettato il criterio che non poteva darsi convalida ad un disegno di legge di questo genere, non si sarebbe neppure fatta la discussione. La pregiudiziale va posta al principio e non alla fine della discussione.

CRISPO. Io mi occupo dell’articolo 77, così come viene proposto secondo l’emendamento dell’onorevole Mortati.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, non le pare superfluo voler dimostrare che questo articolo non ha validità se è già stato applicato? Credo che le sue considerazioni non abbiano fondamento per ragioni di carattere pratico. Comunque, la prego di svolgere rapidamente il suo concetto.

CRISPO. Poche parole per svolgere il mio concetto. (Commenti – Interruzioni).

Il mio concetto è questo, signor Presidente. Poiché stiamo discutendo non un disegno di legge, ma un testo di legge già pubblicato ed in corso di attuazione, è chiaro che se questo testo di legge rientrava nell’ambito della potestà legislativa delegata al potere esecutivo, come ella, signor Presidente, m’insegna, non c’è luogo a convalida perché il disegno di legge non è che l’esplicazione formale dell’attività legislativa delegata, né può parlarsi di convalida perché la convalida, nell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946, non è in alcuna guisa contemplata. Come l’Assemblea sa, quando si delega una funzione legislativa, il potere delegante può riservarsi la convalida e può riservarsi di controllare se il potere delegato si sia contenuto nei limiti della delegazione. Ecco quindi come io pongo la questione. Il testo è stato emesso dal Governo nell’esplicazione legittima della potestà legislativa delegata e non c’è bisogno quindi dell’intervento dell’Assemblea e della sua convalida.

Si è ritenuto che la materia regolata con un testo legislativo fosse d’importanza tecnica e politica tale da esigere la deliberazione dell’Assemblea. In questo caso ci troviamo dinanzi ad una legge incostituzionale, perché il potere esecutivo, pur riconoscendo, come ha riconosciuto, che la materia dovesse essere sottoposta a deliberazione dell’Assemblea, ha emesso la legge ed ha usato l’espediente di ricorrere alla convalida dell’Assemblea di una legge incostituzionale. Comunque la convalida è incostituzionale. (Commenti).

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Volevo portare questa modifica all’emendamento da me proposto: invece di «revisione» dire: «esame».

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di parlare.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io vorrei pregare l’onorevole Mortati, l’onorevole Crispo e tutta l’Assemblea, di considerare che l’articolo 77 fu posto nel testo della legge in quanto il Governo credette di dover presentare per la convalida all’Assemblea l’attuale legge, che è già entrata in esecuzione. In realtà questo impegno del Governo è stato mantenuto, quindi questa disposizione, inserita dallo stesso Governo nella legge presentata all’Assemblea, si è esaurita.

Proporrei quindi che l’articolo venisse soppresso, perché non ha più ragione di essere. Il Governo ha presentato la legge per la convalida e l’Assemblea ha fatto quel che doveva fare.

Non credo di dover rispondere all’osservazione dell’onorevole Crispo che questo procedimento è incostituzionale. La questione è superata dal fatto che la legge è stata discussa dall’Assemblea e la questione sulla costituzionalità del procedimento doveva sollevarsi in via pregiudiziale. Ma l’osservazione non è vera nel merito, perché per l’ultimo comma dell’articolo 3 della legge 16 marzo 1946 il Governo può sempre presentare alla Costituente altri disegni di legge, oltre quelli fissati tassativamente dalla legge.

In ogni modo, questo non ha importanza. Quello che è importante è che l’articolo 77, col fatto di essere venuta la legge dinanzi all’Assemblea e di averla l’Assemblea approvata e revisionata, si è esaurito. Quindi, ne proporrei la soppressione.

Invece, ha ragione di essere il secondo articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati, il quale vuole che il Governo provveda a compilare un testo unico per coordinare le disposizioni del decreto legislativo del 29 marzo 1946 con quelle riguardanti le aggiunte e modifiche apportate con l’attuale legge. Questo è un articolo necessario e ringrazio l’onorevole Mortati di aver pensato, con la sua grande competenza tecnica, ad introdurre questo articolo nel disegno di legge.

PRESIDENTE. Allora, vi è la proposta del Ministro onorevole Grassi di sopprimere l’articolo 77 perché ha perso ogni ragione di essere. Pongo ai voti questa proposta soppressiva.

(È approvata).

Debbo ora porre in votazione l’altra proposta dell’onorevole Mortati.

CODACCI PISANELLI. Prima di porre in votazione la proposta Mortati, la prego di darmi la parola per illustrare i miei emendamenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha presentato li seguente emendamento all’articolo unico:

«Sostituire l’espressione: È convalidato, con l’altra: È convertito in legge».

Ha poi presentato il seguente altro emendamento al titolo del disegno di legge:

«Sostituire le parole: Convalida, con l’espressione: Conversione in legge».

Ha facoltà di illustrare i suoi emendamenti.

CODACCI PISANELLI. Dopo che il problema è stato così profondamente esaminato, ritengo che innanzi tutto debba rispondersi alla questione circa la costituzionalità della legge, costituzionalità che secondo me è stata pienamente dimostrata dall’onorevole Mortati. (Interruzioni – Commenti).

Dissento invece dalla proposta di sottoporre il problema all’esame ed all’approvazione da parte dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, è stata già votata la soppressione dell’articolo 77.

CODACCI PISANELLI. Sì, ma ora si tratta anche del testo unico. L’atto nuovo, che noi stiamo per emanare, secondo me, porta ad abrogare il provvedimento legislativo che il Governo ha emanato. In altri termini, come nel campo delle obbligazioni, noi abbiamo la possibilità di estinzione delle obbligazioni attraverso la novazione, così qui noi ci troviamo di fronte ad un fenomeno di novazione di norma giuridica.

Con questa nuova legge, noi sostituiamo ed abroghiamo quella precedente. Ritengo perciò che non sia necessario pensare ad un testo unico in quanto dovrebbe essere la nostra stessa legge a sostituire completamente quella precedente.

Ecco la ragione per cui io parlo di conversione in legge del decreto, anche perché sono d’accordo con l’onorevole Mortati, che si tratti di una figura diversa da quella che normalmente portava alla convalida; si tratta cioè di una figura assai più vicina alla conversione in legge.

I provvedimenti legislativi che il Governo emana vengono chiamati decreti legislativi, ma in realtà non sono tali, poiché manca una vera e propria delega da parte degli organi legislativi competenti. Siccome non c’è questa delega, ci troviamo di fronte a decreti-legge, a quelli che si chiamavano decreti-legge, e che non hanno efficacia limitata, ma, anche in passato, potevano avere efficacia illimitata nel tempo. Ci troviamo di fronte a quel potere legislativo che il Governo ha sempre esercitato nei casi di necessità e di urgenza, e che ha portato come conseguenza all’intervento degli organi legislativi competenti. Quindi vi deve essere una conversione in legge. (Commenti).

Credo, ripeto, che sia più opportuno pensare ad una conversione in legge piuttosto che ad una approvazione. Questa conversione in legge, però, dovrebbe portare ad un riesame da parte della Commissione, perché, prima di sottoporre al nostro voto finale il testo del progetto, lo coordinasse in maniera organica.

Concludo affermando l’opportunità di non pensare ad una figura così complessa come quella dell’approvazione del successivo testo unico, ma di risolvere la questione nella maniera più semplice, che ha i suoi precedenti nella nostra storia parlamentare, cioè mediante la conversione in legge del progetto presentato dal Governo.

PRESIDENTE. Sono stati così svolti tutti gli emendamenti.

Passiamo ora alle votazioni, iniziando dal testo aggiuntivo proposto dall’onorevole Mortati, così formulato:

«Il Governo provvederà a compilare un testo unico delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, e delle modificazioni ad esso apportate, curandone il coordinamento».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Passiamo ora alle proposte di emendamento al testo dell’articolo unico del disegno di legge.

Vi è la proposta dell’onorevole Mortati del seguente tenore:

«In relazione all’emendamento proposto all’articolo 77, nell’articolo unico del disegno di legge, sostituire alle parole: È convalidato, le altre: È approvato».

LA MALFA, Relatore. La Commissione è contraria, perché la formula da usare nell’articolo 1 deve essere identica a quella dell’articolo 77 soppresso, altrimenti non potremmo realizzare la condizione posta nel decreto originario.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Veramente io sarei favorevole ad accettare l’emendamento Mortati, perché «approvazione» è più che «convalida». Non si è convalidato soltanto; l’Assemblea ha modificato, quindi «convalida» avrebbe un significato ristretto, mentre «approvazione» è un termine più ampio e per questa ragione credo che sia tecnicamente più esatto.

In ogni modo, tanto «convalidato» quanto «approvato» finisce con l’essere la stessa cosa e quindi potremmo accettare l’una o l’altra soluzione.

Non credo che valga la pena di insistere troppo.

LA MALFA, Relatore. Io credo che sia necessario usare all’articolo unico la stessa espressione usata nel decreto legislativo, perché si stabilisce la continuità dei due provvedimenti e il fatto che un provvedimento si lega all’altro. Usando «convalidato» ci atteniamo alla formula del decreto legislativo e questo non dà la possibilità di dire che, essendo il decreto in vigore, noi l’abbiamo tramutato in formula di approvazione.

L’articolo 77 può essere stato soppresso, perché abbiamo realizzato la condizione.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Volevo chiarire, tecnicamente, la questione.

In altri termini, l’Assemblea ha già soppresso l’articolo 77, mentre rimane adesso da approvare l’articolo unico della legge che dice: «È convalidato il decreto legislativo concernente l’istituzione ecc.».

Invece, la formula della Commissione aggiunge: «con le seguenti modificazioni».

Ora, le «seguenti modificazioni» spostano, secondo me, la formula della convalida. Una cosa sarebbe stata la convalida pura e semplice e un’altra cosa è l’approvazione con modificazioni ed aggiunte.

Quindi, penso che l’onorevole Mortati abbia presentato questa proposta per poter rendere più chiaro il concetto che l’approvazione dell’Assemblea non è una semplice convalida, ma è una approvazione «con le seguenti modificazioni».

È questione di tecnica, che non cambia niente della sostanza.

Mi rimetto in ogni modo all’Assemblea.

PRESIDENTE. A me pare che ciò che si può approvare da una Assemblea come la nostra, è un disegno di legge. Per mezzo dell’approvazione, il disegno diviene legge. Non è soltanto una proposta, ma acquista un potere impegnativo ed obbligatorio.

Il decreto legislativo sulla patrimoniale possedeva già questo potere; non possiamo compiere un atto che è destinato a dare un potere di tal genere, nei confronti di una misura che lo possiede già, tanto che le disposizioni sono entrate – per quanto possibile – in applicazione.

Mi pare, pertanto, che si debba parlare di convalida.

Per tener conto poi delle modificazioni anche profonde che sono state apportate al testo del decreto legislativo, si potrebbe, se mai, modificare la formula, dicendo: È convalidato il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, con le modificazioni e le aggiunte – perché in realtà si è trattato di aggiunte, non solo di modificazioni – di cui al testo degli articoli seguenti.

Poiché l’onorevole Grassi, per il Governo, ha dichiarato di rimettersi a proposito di questo testo all’Assemblea, propongo all’Assemblea di accettare questa formulazione. Qual è il parere della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione è d’accordo.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora pongo ai voti la seguente formulazione:

«È convalidato il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, con le modificazioni e le aggiunte di cui al testo degli articoli seguenti».

(È approvata).

Il disegno di legge, costituito soltanto da questo articolo unico, sarà posto in votazione a scrutinio segreto all’inizio della seduta pomeridiana. Le urne resteranno aperte anche durante lo svolgimento della discussione sul Trattato di pace.

La commissione procederà poi al coordinamento degli articoli emendati.

Se non vi sono osservazioni, resta così stabilito.

(Così rimane stabilito).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ricordo che noi abbiamo discusso ed approvato gli articoli più importanti di questo disegno di legge sotto la presidenza del collega onorevole Conti. (Applausi).

Credo di interpretare il pensiero di tutti, rivolgendo a lui, nel momento in cui il disegno di legge è diventato legge, il nostro rincrescimento che, per un equivoco superficialissimo, egli non abbia potuto essere con noi a godere il piacere di aver gettato le basi della ricostruzione della nostra finanza. (Vivissimi generali applausi).

PRESIDENTE. Con questo plauso unanime l’Assemblea ha manifestato di condividere pienamente i sentimenti espressi dall’onorevole Corbino, alle cui parole non posso che dare la mia completa adesione. (Segni di assenso).

La seduta termina alle 13.20.