Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 29 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

ccvii.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 29 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

La Malfa, Relatore

Pesenti

Dugoni

Bertone

Castelli Avolio

Assennato

Micheli

Cifaldi

Scoccimarro

Adonnino

Caroleo

Foresi

Grazia

Vanoni

Canevari

Cappi

Pastore Raffaele

La seduta comincia alle 9.30.

ASSENNATO, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Diamo inizio all’esame degli emendamenti proposti dalla Commissione, relativi all’imposta straordinaria sul patrimonio degli enti collettivi.

L’emendamento che costituisce il primo articolo in materia è del seguente tenore:

«È istituita una imposta straordinaria sul patrimonio, al 28 marzo 1947, dei seguenti soggetti:

  1. a) società per azioni ed in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata;
  2. b) società in accomandita semplice, società in nome collettivo, società di fatto;
  3. c) istituzioni, fondazioni ed enti morali in genere.

«L’imposta straordinaria si applica anche alle società ed enti costituiti all’estero, limitatamente al capitale comunque investito o esistente nello Stato».

Su questo articolo è stato presentato dal Governo l’emendamento seguente:

«All’alinea b) sopprimere le parale: società di fatto; all’alinea c) dopo le parole: enti morali in genere, aggiungere le parole: che esplicano un’attività produttiva di reddito tassabile ai fini dell’imposta di ricchezza mobile in categoria B per la parte di patrimonio destinata all’esercizio di tale attività».

Prego l’onorevole Ministro di volere illustrare l’emendamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Lo illustrerò brevemente.

Per quanto riguarda la proposta di sopprimere le parole «società di fatto» contenute nel terzo comma alla lettera b), il Governo si riporta al sistema del vigente Codice civile. Il Codice stesso non prevede più le società di fatto, le quali, se praticamente ancora sussistono, derivano da società in nome collettivo o da società in accomandita semplice o, infine, da società per azioni od in accomandita per azioni o a responsabilità limitata, le quali non hanno adempiuto a tutte le formalità di legge per la regolare costituzione; si tratta cioè, di società irregolari, per mancato adempimento delle formalità costitutive.

Orbene, è da ritenere che nella nozione – per esempio – di società in accomandita semplice o in nome collettivo, senza specificazione, siano implicitamente comprese anche le società che non abbiano adempiuto tutte le formalità di legge, e ciò è necessario ed opportuno per non arrivare all’assurdo di premiare con esenzioni quelle società che hanno omesso una delle formalità prescritte dal Codice.

Se l’Assemblea ritenesse che non basta sopprimere le tre parole «società di fatto» e lasciare le parole restanti, il Governo non avrebbe nulla in contrario – in via subordinata – di sostituire alle parole «società di fatto» le parole «anche se irregolarmente costituite».

Quest’aggiunta però – ripeto – sembra al Governo superflua: ed esprimendo questo pensiero il Governo implicitamente ritiene (ed esplicitamente lo dice in questo momento) che in sede di istruzioni ministeriali, certamente l’Amministrazione finanziaria affermerà che tutte le società, sia regolarmente che irregolarmente costituite, sono soggette al tributo.

Più importante mi sembra la seconda parte dell’emendamento.

Già in precedenza, quando gli uffici ministeriali hanno predisposto alcuni emendamenti che la bontà della Commissione ha assunto poi come prima base per i propri lavori, si era proposta una formula analoga a quella contenuta nell’emendamento ministeriale.

Ho già avuto l’onore di comunicare all’Assemblea, quando la informai che il Governo desiderava lasciarla completamente libera delle sue decisioni in ordine alla istituzione o meno di un tributo addizionale nel settore degli enti collettivi, che il Governo riteneva esistessero due soluzioni, ambedue positive, di questo problema. Esisteva o la possibilità della tassazione delle rivalutazioni, alla quale personalmente aderivo, poiché mi sembrava strumento tecnicamente più perfetto, o la possibilità della tassazione degli enti collettivi sull’intero patrimonio, ipotesi alternative, nel senso che l’una deve escludere l’altra.

Dicevo allora, a nome del Governo, che la struttura di questo tributo addizionale doveva informarsi al concetto di integrare, a titolo perequativo, le tassazioni esistenti nel settore dell’economia industriale e dell’economia commerciale, per correggere errori ed imperfezioni che gli strumenti tributari possono avere determinati in questo settore nel tempo recente e nel tempo meno recente.

Lo scopo di perequazione cui ho accennato, circoscritto al settore anzi detto, mi porta ad insistere perché la tassazione dipendente da questi emendamenti trovi un limite nell’esistenza, attuale o potenziale, di un reddito di categoria B.

Siccome so che qualche onorevole collega vorrebbe trasformare la formula di reddito tassabile in categoria B in formula di reddito tassato in categoria B dico fin da questo momento che non potrei aderire a tale variante, perché, ammesso pure che sussistano deficienze da parte degli uffici nella tassazione dei redditi mobiliari, sarebbe veramente ingiustificato che tali deficienze, e cioè, in concreto, la mancanza di un reddito tassato in categoria B, portassero all’esenzione dall’imposizione straordinaria.

Per queste ragioni prego gli onorevoli colleghi di voler benevolmente accogliere l’emendamento proposto dal Governo.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione aderisce alla soppressione della dizione: «società di fatto», alla lettera b).

Per quanto riguarda invece l’emendamento alla lettera c) devo dire che la Commissione ha emendato il disegno del testo fornito dal Governo per queste ragioni: in definitiva, questa imposta viene a completare il sistema di tassazione straordinaria delle due imposte, progressiva e proporzionale sul patrimonio, per prendere tutti gli enti collettivi; non soltanto quelli che esercitano un’attività produttiva tassabile nella categoria B della ricchezza mobile. Esistono moltissimi enti collettivi che non sono tassabili in questa categoria, cioè, non esercitano un’attività commerciale vera e propria, ed hanno o proprietà fondiarie o proprietà immobiliari urbane. Poi vi sono enti collettivi nel campo civile con forti patrimoni, che non rientrerebbero probabilmente in nessuna delle categorie considerate dal punto di vista della tassazione in categoria B di ricchezza mobile. Ora, dato il principio di universalità di questa imposta straordinaria, noi faremmo una condizione di privilegio a un numero di enti che rappresentano un cospicuo patrimonio complessivo; e se è opinabile l’estensione dell’imposta proporzionale straordinaria sulle società – l’Assemblea si ricorderà che su questo punto molti critici di questa imposta si sono soffermati parlando di doppia tassazione – nel caso di istituzioni, fondazioni, enti morali in genere, non v’è doppia tassazione, cioè imposta progressiva che si applica alle persone fisiche ed imposta proporzionale che si applica alle società nonostante la tassazione degli azionisti, e si deve applicare a maggior ragione a quegli enti collettivi che non sono colpiti né dall’una né dall’altra imposta. Altrimenti la Commissione deve ribadire che si stabilirebbe un privilegio per determinati enti, che possono avere pingui patrimoni e che devono quindi dare un contributo a queste esigenze straordinarie del fisco.

Pregherei l’onorevole Ministro di considerare questo aspetto del problema. Bisogna che questa legge, se è dura e rigida dal punto di vista fiscale, colpisca tutte le sfere tassabili, si tratti di enti collettivi o di persone fisiche.

Come vedete, noi abbiamo cercato di portare il sistema di questa tassazione straordinaria ai limiti del possibile. Se non abbiamo potuto considerare di andare incontro a certe esigenze, come per esempio, la violazione del segreto bancario, lo abbiamo fatto per ragioni di politica contingente, per ragioni, direi, di opportunità, ma dove è possibile colpire attività patrimoniali senza che nasca qualsiasi turbamento, senza che sia controproducente, abbiamo il diritto di colpire. Non saprei come giustificare l’esenzione dall’imposta straordinaria di istituzioni, fondazioni, enti morali, che pur non essendo tassabili in categoria B, hanno un patrimonio notevole, di carattere terriero, mobiliare e possono dare un contributo allo Stato.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Vorrei fare una piccola osservazione formale, che sotto un certo aspetto non è nemmeno un emendamento.

PRESIDENTE. A quale testo?

PESENTI. Al testo della Commissione. Proporrei di aggiungere, dopo le parole: «È istituita», le altre «ai sensi dell’articolo 2», facendo cioè un richiamo all’articolo 2.

PELLA, Ministro delle finanze. Concordo.

PESENTI. Per il resto mi rimetto alle osservazioni fatte dall’onorevole La Malfa.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Di fronte agli emendamenti proposti dal Governo e ad altri emendamenti che, mi risulta, sono già annunziati, chiederei una breve sospensione della seduta per esaminare questi emendamenti e poterne discutere con piena cognizione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. A me pare che si dovrebbe, accostandosi al concetto espresso dal Ministro e venendo incontro ai giusti pensieri della Commissione, semplificare un poco in questa materia.

Mi pare che sia un concetto non troppo simpatico introdurre gli enti morali nella categoria degli enti che devono essere tassati; poi, viceversa, si viene alla lettera C dell’articolo successivo e si dice: «sono esenti gli istituti, opere pie, ecc.». In conclusione, all’articolo 1, lettera c), diciamo che sono tassabili tutte le fondazioni ed enti morali; all’articolo 2 diciamo che sono esenti tutti gli enti morali, istituti di beneficienza e all’ultima parte, finalmente, di questo articolo 2, si stabilisce in quale limite l’esenzione possa avvenire, e cioè che essa non avviene per la parte destinata ad attività produttive. Mi sembrerebbe molto più chiaro, facile e semplice radunare tutto nell’ultima parte dell’articolo 1, lettera c) e dire: «È istituita una imposta straordinaria sul patrimonio, al 28 marzo 1947, dei seguenti soggetti: «a)… b)», ed infine: «c) istituzioni, fondazioni ed enti morali, ecc.», e poi proseguire: «in quanto esplicano o che esplicano un’attività produttiva di reddito tassabile ai fini dell’imposta di ricchezza mobile categoria B».

PRESIDENTE. Ma questo – in fondo – è l’emendamento proposto dal Governo.

BERTONE. Sono entrato in ritardo nell’Aula e non ho seguito la discussione fin dal suo inizio. Comunque, faccio presente che con la mia proposta si va incontro ad un concetto che era stato affermato nella Commissione, con antiveggenza, dall’onorevole Dugoni, il quale aveva proposto una formula che aveva trovato consenso generale; prendere cioè, come base discriminante della tassabilità o meno, l’assoggettamento all’imposta di ricchezza mobile. Mi pare che quando noi diciamo una volta per tutte che gli enti morali come istituzioni, fondazioni ed opere pie sono tassabili solo in quanto esercitino un’attività tassabile ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, potremmo metterci tutti d’accordo.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Sono contrario alla proposta del Governo. Non avrei preso nuovamente la parola dopo le spiegazioni dell’onorevole La Malfa, ma poiché vedo che la questione è portata alla discussione ed ampiamente, credo di dover aggiungere qualche parola per spiegare la mia opposizione. In seno alla Commissione si è discusso ed all’inizio si era accettata anche la prima forma proposta, dal punto di vista tecnico, dal Governo, cioè tassazione degli enti per la parte del patrimonio destinato ad attività produttive tassabili in base alla categoria B.

Allora si è osservato che parecchi enti, specie i consorzi, hanno attività patrimoniali non tassabili in categoria B, per esempio gli enti cotonieri e gli enti serici, che pure sono importanti dal punto di vista economico e che non è giusto siano esenti. È per questo che allora si è accettato – secondo quanto stabilito nella legge del 1922 – di affermare il principio generale della tassabilità di tutti gli enti (istituzioni, fondazioni ed anche enti morali) stabilendo singolarmente le esenzioni all’articolo 2. In questo articolo, elencate le esenzioni, si è ripreso ancora il concetto della tassabilità ai fini dell’imposta di ricchezza mobile. Faccio presente che si è mantenuto il concetto di tassabilità anche di enti che svolgono attività di carattere, diciamo, filantropico e religioso (perché vi sono certi enti, anche di carattere religioso, come conventi od altro, che hanno parte del loro patrimonio destinato ad attività commerciali e con questa parte del patrimonio destinato ad attività commerciali fanno concorrenza a similari attività svolte da privati, per esempio, cliniche a pagamento, scuole a pagamento ed attività similari). E questa la ragione per cui si è voluto mantenere all’articolo 1 il criterio generale della tassabilità di questi enti: per non far sfuggire certi enti, che sono enti economici e tuttavia non sono tassabili in categoria B.

Successivamente, all’articolo 2, elencate le esenzioni, si può mantenere la limitazione posta dal Governo all’articolo l:

PRESIDENTE. Cominciamo con l’esaminare la materia del primo articolo. Pongo ai voti l’emendamento del Governo, cioè la soppressione all’alinea b) delle parole «società di fatto».

Avverto che la Commissione è d’accordo sulla soppressione di queste parole.

(La soppressione è approvata).

Pongo, ora, ai voti la proposta dell’onorevole Pesenti di aggiungere all’inizio le parole «ai sensi dell’articolo 2», dopo le parole «È istituito».

(È approvata).

Vi è ora l’altro emendamento del Governo all’alinea c) dell’articolo.

DUGONI. Pregherei di mettere in votazione quest’ultima parte in un secondo momento, per dar tempo di trovare un’intesa. Avevo chiesto la sospensiva; chiedo almeno che non si voti su questo punto.

CASTELLI AVOLIO. Se noi dobbiamo sospendere la seduta per trovare una formula che esprima l’accordo fra le varie parti, è un conto, ma se la sospensiva non è approvata, noi dobbiamo passare senz’altro alla votazione dell’intero articolo, perché non vi sarebbe nessuna ragione di sospendere.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Non so se l’Assemblea voglia votare la sospensiva o meno; però, prima che l’Assemblea passi alla votazione, io desidererei che il Ministro delle finanze desse una risposta alle argomentazioni della Commissione.

Per delucidazione dell’Assemblea ricordo che nella legge del 1922 gli enti che erano esplicitamente tassati come enti collettivi erano le istituzioni, le fondazioni e gli enti morali in genere. La legge del 1922 escludeva le società ed affermava il principio della tassazione straordinaria con una dizione generica: «istituzioni, fondazioni ed enti morali in genere», affermando con ciò un principio di universalità dell’imposta straordinaria. L’esclusione delle società nella legge del 1922 era giustificata dal principio della doppia tassazione.

Facendo cadere la lettera c), in un certo senso, facciamo cadere tutto il significato dell’imposta straordinaria, che la legge del 1922 affermava in pieno. Anche nella relazione del Ministro Campilli la questione era posta in termini generali, cioè si diceva di escludere le fondazioni e gli enti morali per determinate ragioni, ma non si parlava mai di istituzioni, fondazioni ed enti morali tassabili in categoria B.

Ora, io mi permetto di insistere sull’importanza della questione e sulla responsabilità che l’Assemblea assume in questo problema. Noi abbiamo cercato di impedire che questa imposta non abbia carattere universale; lo abbiamo cercato in tutti i modi, rendendoci conto che questa è una imposta gravosa, che non fa piacere al contribuente. Abbiamo cercato di estenderla in maniera che il principio di universalità non venisse meno in nessun caso.

Cambiando questa dizione, non è affatto vero che noi, onorevole Bertone, con le esenzioni che stabiliamo, finiamo con il fare un’affermazione di principio. Le esenzioni sono state infatti riprese dalla legge del 1922, con la sola differenza di una maggiore facilitazione per quanto riguarda i benefici ecclesiastici. La legge del 1922, per quanto riguarda i benefici ecclesiastici, limitava l’esenzione a quelli che non avevano diritto di congrua. Ora invece noi li abbiamo esentati tutti. Ma dopo questo passo avanti, non crediate che, per il fatto di questa esenzione, la lettera c) non colpisca un numero notevole di enti. Li colpisce lo stesso, e se noi adottassimo la dizione del Governo, verremmo a restringere fortemente il numero di enti tassabili; non solo, ma verremmo meno a quel principio della universalità dell’imposta patrimoniale che noi abbiamo detto di affermare, che noi dobbiamo assolutamente affermare.

Ora, se l’onorevole Ministro mi potesse dire che tutti gli enti morali i quali esercitano un’attività economica sono tassabili in categoria B, è evidente che allora la Commissione sarebbe disposta a rivedere il suo giudizio; ma poiché ciò non è, questa non sarebbe se non la sola eccezione che in tutto il sistema della legge l’Assemblea verrebbe a fare. Chiedo pertanto che l’onorevole Ministro voglia compiacersi di fornire un chiarimento su questo punto essenziale. Non è questa, onorevoli colleghi, una questione di lana caprina, ma è una questione fondamentale che va assolutamente chiarita.

PRESIDENTE. Mi pare che non sia il caso di eccedere alla proposta di sospensiva dell’onorevole Dugoni, perché è bene che si addivenga ora ad un chiarimento su questa questione.

Invito l’onorevole Ministro delle finanze a fornire il chiarimento richiesto dall’onorevole Relatore.

PELLA, Ministro delle finanze. È una questione di impostazione fondamentale del problema e può darsi che i differenti ordini di idee dell’onorevole Relatore e del Governo non possano trovare un denominatore comune, in quanto l’impostazione è veramente diversa.

L’onorevole Relatore tende a far rientrare l’imposizione degli enti collettivi nel sistema dell’imposta progressiva personale, con riferimento al sistema adottato nel 1922.

A prescindere dalla bontà o meno di tale sistema, dato che nessuno può escludere che non sia stato il sistema più felice, resta fermo che per il Governo l’imposta cui ho accennato dianzi, rappresenta una imposta nuova che ha una sua fisionomia propria; tanto vero che si tratta di un’imposta proporzionale, la quale colpisce determinati settori che sono stati già colpiti dall’imposta progressiva sul patrimonio.

Il problema, quindi, non è tanto di estendere l’applicazione del tributo progressivo a un determinato settore, quanto di dare una legittimazione e una disciplina ad un nuovo tributo, che non si può confondere con l’altro.

Per respingere l’eccezione di duplicazione, che si verificherebbe per i tre quarti, forse, della zona di applicazione del nuovo tributo proporzionale, il Governo non vede che una sola soluzione; di configurare il tributo stesso come uno strumento di perequazione dell’onere fiscale nel settore dell’economia industriale e dell’economia commerciale, in modo da bilanciare il peso maggiore che l’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio avrà nel settore terriero e nel settore edilizio, e in modo da integrare l’onere delle imposte che incidono sui redditi di categoria B, conseguiti nel corso della guerra e nell’immediato dopoguèrra.

Siccome la sola seria giustificazione della nuova imposizione è l’accennata funzione integrativa, il Governo non può decampare da tale ordine di idee, anche se, per avventura, marginalmente vi potesse essere qualche caso che rende perplessi. Ma i casi che rendono perplessi non sono, ad esempio, quelli dei consorzi, a cui ha accennato l’onorevole Pesenti, perché se si tratta di consorzi a sfondo economico è ben nota la prassi dell’Amministrazione finanziaria – fortunatamente affiancata dalla giurisprudenza prevalente – di colpire con l’imposta mobiliare di categoria B anche buona parte dei redditi propri di detti enti.

Per queste ragioni, pur non nascondendo la fondatezza di quanto espone l’onorevole La Malfa, almeno secondo il suo punto di vista, che non può però essere accolto dal Governo, devo insistere sull’emendamento proposto, anche dopo aver consultato i diversi Ministri tecnici interessati a questo problema.

PRESIDENTE. Possiamo allora passare alla votazione.

Pongo ai voti l’emendamento del Governo:

«All’alinea c) dopo le parole: enti morali in genere, aggiungere le parole: che esplicano un’attività produttiva di redditi tassabili ai fini dell’imposta di ricchezza mobile di categoria B, per la parte di patrimonio destinata all’esercizio di tale attività».

Ricordo che su questo emendamento del Governo, la Commissione ha espresso parere contrario.

(Dopo prova e controprova, è approvato – Commenti).

PESENTI. Chiedo la verifica del numero legale.

PRESIDENTE. Onorevole Pesenti, ormai la votazione è stata fatta.

Lei potrà chiedere la verifica del numero legale per la prossima votazione, ma quella ora avvenuta è perfettamente legittima e non è discutibile.

Dovrò ora porre in votazione l’ultimo comma dell’emendamento che va sotto il nome di articolo 1°:

«L’imposta straordinaria si applica anche alle società ed enti costituiti all’estero, limitatamente al capitale comunque investito od esistente nello Stato».

ASSENNATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ASSENNATO. Prima che si passi alla votazione dell’ultimo comma, chiediamo di sospendere la seduta per pochi minuti onde sia possibile ai membri della Commissione di avere uno scambio di idee.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Mi dispiace di dover contraddire il collega onorevole Assennato, ma la Commissione era già d’accordo. Essa ha presentato un testo e rimane ferma su questo testo. Si è votato un emendamento del Governo, che è stato approvato a maggioranza.

Se l’Assemblea ritenesse di aderire alla sospensiva per trovare un accordo tra i vari Gruppi, sarebbe un’altra questione.

PRESIDENTE. Poiché la Commissione dichiara che non vede la necessità di una sospensiva, avendo già l’accordo sul progetto presentato, la richiesta dell’onorevole Assennato non può avere alcun seguito. Pongo quindi ai voti l’ultimo comma dell’emendamento.

(È approvato).

Il primo articolo si intende pertanto approvato nel seguente testo:

«È istituita ai sensi dell’articolo 2 una imposta straordinaria sul patrimonio, al 28 marzo 1947, dei seguenti soggetti:

  1. a) società per azioni ed in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata;
  2. b) società in accomandita semplice, società in nome collettivo;
  3. c) istituzioni, fondazioni ed enti morali in genere che esplicano un’attività produttiva di reddito tassabile ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, in categoria B, per la parte di patrimonio destinata all’esercizio di tale attività.

«L’imposta straordinaria si applica anche alle società ed enti costituiti all’estero, limitatamente al capitale comunque investito od esistente nello Stato».

Gli onorevoli Pesenti, Scoccimarro e Dugoni propongono il seguente articolo 1-bis:

«Sono altresì soggetti di imposta gli enti di cui all’articolo precedente lettera c) quando sia chiara la loro natura di enti economici».

L’onorevole Pesenti ha facoltà di svolgere questo emendamento.

PESENTI. Con la proposta del Governo rimangono fuori (perché non si tratta né di società per azioni, né in accomandita, né di società a responsabilità limitata, né di società in nome collettivo) l’ente serico e l’ente cotoniero, enti cioè che hanno un patrimonio proprio ed una natura economica. Ora, se questa è la volontà del Governo e dell’Assemblea, io dico: non accettate il mio emendamento.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Desiderò che la Presidenza esamini, con la diligenza che le è propria, l’eccezione che parte da me in questo momento per il fatto che a me pare che il collega onorevole Pesenti abbia voluto, attraverso un emendamento, rimediare a quello che era stato l’esito della votazione passata sullo stesso argomento. Ora ci sono dei rimedi che in medicina sono permessi ed anche in altre cose, ma qui no: un emendamento non è permesso quando contraddice a quello che è stato il voto precedente dell’Assemblea. (Commenti). Io non pretendo in questo caso di insegnare a nessuno, solo avanzo un mio dubbio: a me pare che la proposta dell’onorevole Pesenti, per quanto bene architettata con quella pratica della questione ch’e egli ha, contrasti con il criterio antecedente, in modo che non si possa dar luogo ad una successiva votazione. La Presidenza vorrà dirimere il dubbio, con la competenza che io riconosco in essa.

PRESIDENTE. La Presidenza si rimetterà al giudizio dell’Assemblea.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Desideravo fare una proposta sospensiva in questo senso: se credono la Commissione ed il Governo di rinviare la votazione di questo articolo in prosieguo, per dar modo di fare quelle indagini in materia che sono opportune.

Mi pare, ad udire l’emendamento dell’onorevole Pesenti, che bisogna fare molta attenzione, in quanto quello che egli dice ha un contenuto che preoccupa. Penso che non ci possa essere intenzione di sottrarre dalla tassazione enti come quelli che egli ha suggerito. Quindi sarebbe opportuno che l’esame dell’articolo fosse fatto con un certo approfondimento. Perciò propongo la sospensiva.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Prima di arrivare ad una eventuale sospensione, desidero si sappia che il Governo concorda nell’ordine di idee dell’onorevole Pesenti, se effettivamente si tratta di comprendere nella tassazione soltanto quegli enti a scopo esclusivamente economico, che rientrano nella zona marginale della categoria B.

Questa dichiarazione desidero fare immediatamente se con essa si viene a dare una interpretazione eccessivamente fiscale alla mozione dei redditi della categoria B; nella previsione, però, che la dichiarazione stessa possa servire come avviamento alla ricerca di una formula di transazione. Vorrei che l’onorevole Pesenti rivedesse la forma del suo emendamento, in vista di precisare lo scopo che con lo stesso intende raggiungere.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Sono d’avviso che al testo si possa aggiungere la parola «prevalente». Mi pare che questa potrebbe essere sufficiente per acquietare tutte le inquietudini. «Sono altresì soggetti di imposta gli enti di cui alla lettera c) quando sia chiara la loro prevalente natura di enti economici».

Se andiamo al concetto di esclusività esposto dal Ministro, noi abbiamo allora una configurazione che è strettamente affiancata a quella della tassazione in categoria B. Se invece mettiamo il «prevalente», lasciamo quella sufficiente elasticità di giudizio per escludere tutte quelle istituzioni e quelle fondazioni le quali abbiano carattere esclusivamente di sostegno di una attività morale o assistenziale e invece colpiamo quelle le quali di questa attività assistenziale o morale od organizzativa fanno soltanto una specie di schermo per una vera e propria attività prevalentemente economica.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Penso che ci dobbiamo preoccupare seriamente di coloro che dovranno interpretare ed applicare la legge e quindi non creare la possibilità di equivoci e di confusioni, in modo che l’ufficio finanziario che dovrà applicare la legge si trovi a non sapere se un ente compreso nella categoria c), da noi votata un momento fa, debba essere tassato sotto un altro aspetto.

Comprendo l’obiezione sollevata dall’onorevole Pesenti e cioè che vi sono degli enti (per esempio l’ente cotoniero, l’ente serico) i quali non sono enti morali, non rientrano in quella categoria e non sono soggetti a tassazione fiscale in categoria B. Io già non riesco a comprendere come mai questi enti, se esercitano un’attività commerciale ed industriale produttiva di redditi, debbano sfuggire alla tassazione. In verità questo mi riesce alquanto oscuro, perché mi sembra che se vi è un ente che esercita una attività commerciale o industriale, e se noi colpiamo di imposta gli enti morali, le opere pie, che per una parte della loro attività danno luogo a reddito commerciale, non vedo perché non dobbiamo colpirlo. Comunque, qui bisogna essere precisi. Noi abbiamo votato un testo un momento fa, il quale è così concepito: «È istituita una imposta straordinaria sul patrimonio sui seguenti soggetti: c) istituzioni, fondazioni, enti morali in genere che esplicano una attività produttiva di reddito tassabile ai fini della ricchezza mobile in categoria B per la parte di patrimonio destinata all’esercizio di tale attività».

Ora, se l’onorevole Pesenti ha pensato che vi sia qualche ente morale che non possa essere colpito, mi pare che sia in errore, perché l’ente morale, in quanto esercita una attività industriale o commerciale produttiva di reddito, è tassabile. Se ha voluto alludere ad altri enti, come penso, che non siano né opere pie, né enti morali, né istituzioni, né fondazioni, ma che siano quegli enti cui ha accennato, allora io credo che qualche temperamento si potrebbe trovare, per cui anche questi enti non sfuggano all’onere cui sono sottoposti tutti gli enti morali.

Quindi basterebbe dire: Fermo restando quanto deliberato nella lettera c) gli altri enti economici che abbiano una chiara natura economica, possono essere soggetti di imposta ecc. Bisogna, comunque, che quanto abbiamo votato nella lettera c) non sia modificabile.

GRONCHI. L’emendamento mi pare superfluo: il concetto è affermato nella lettera c).

BERTONE. Il Ministro delle finanze può dare forse qualche spiegazione. Non riesco a comprendere come vi possano essere enti che esercitano una attività commerciale o industriale, che non siano ricercati per la tassazione.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Prendendo la parola stamane, già ho accennato di scorcio che il Ministero intende insistere sulla formula «tassabile in categoria B» perché per tal modo è possibile, mediante un’attività particolarmente vigile dell’Amministrazione finanziaria, acquisire alla imposizione in categoria B, settori che finora, o per incertezza di giurisprudenza e per consuetudine invalsa, erano trascurati dagli organi preposti alla tassazione della categoria B. E non ho che da augurarmi che la giurisprudenza affianchi nel prossimo futuro l’amministrazione finanziaria nei suoi sforzi.

Vi sono delle zone di particolare incertezza. Gli onorevoli colleghi non mi perdonerebbero se scendessi a troppi dettagli o se facessi qui discussioni di orientamento giurisprudenziale in particolari questioni. Ma mi sia lecito richiamare, per esempio, tutta la materia dei consorzi, in cui l’amministrazione finanziaria continua a sostenere che tutto ciò che il Consorzio realizza, come eccedenza attiva alla fine dell’esercizio rispetto all’inizio, è materia tassabile e cioè costituisce reddito di categoria B.

Non sempre l’amministrazione finanziaria ha avuto il conforto della giurisprudenza in sede amministrativa e giudiziaria.

Sopratutto allo scopo di avere, in sede legislativa, lo strumento che risolva in senso affermativo il problema, quanto meno ai fini di questa particolare imposta, il Governo, accoglie lo spirito informativo dell’emendamento Pesenti.

Per quanto riguarda gli enti ai quali l’onorevole Pesenti ha accennato, ritengo che, a rigore, già nel quadro attuale della legislazione, sarebbe possibile farli entrare nella tassazione della categoria B, dato e non concesso che già non vi siano entrati.

Ma, se sussiste qualche perplessità in materia, tale emendamento permetterà di risolvere in sede legislativa il problema e con ciò credo di non essere in contraddizione col principio fondamentale che il Governo ha posto a base del suo emendamento: che cioè l’imposta deve incidere sul settore dell’attività industriale e commerciale.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Non credo che ci sia conciliabilità tra l’emendamento Pesenti e quello che l’Assemblea ha deliberato per la lettera c). Aveva effettivamente ragione il collega Micheli: non facciamo rientrare dalla finestra quello che abbiamo escluso dalla porta.

Io chiedo all’onorevole Ministro: o considera gli enti economici in categoria C o non li considera; o i casi sollevati dall’onorevole Pesenti rientrano in categoria C o non vi rientrano. Dal punto di vista finanziario – e do ragione all’onorevole Bertone – non si può creare una categoria, che non è definita. Allora bisogna votare alla lettera c): «Istituzione, fondazione ed enti morali, di carattere prevalentemente economico».

A mio giudizio, dal punto di vista della tecnica finanziaria siamo di fronte a una definizione del tutto generica, che non definisce gli enti secondo gli obiettivi del fisco, ma secondo una certa interpretazione di natura economica.

Ma, a questo punto, lascio la responsabilità al Governo, che ha assunto posizione ed ha valutato cosa importi per la esenzione la formula da esso presentata.

Tuttavia, come Relatore, ho l’obbligo di chiarire un punto. Sul problema degli enti collettivi, fin dalla prima relazione ministeriale, è sorto un equivoco molto grave. Ed io devo confessare che, quando ho visto la relazione ministeriale, ho cercato di capire la natura di questo equivoco. Qual è? È il trattamento che la legge fa agli enti di carattere religioso ed ecclesiastico. Questo è l’equivoco fondamentale esistente nella legge e contenuto nella prima relazione ministeriale. Mi dispiace dire all’Assemblea che io ho trattato questa questione con estremo senso di responsabilità; sia nella mia relazione sia in tutti i lavori nessuno ha sentito dal Relatore partire una voce, che volesse significare una posizione preconcetta o faziosa in questo problema.

A questo punto, però, mi è obbligo sottoporre all’Assemblea tutta la portata del problema: lo attesto come obbligo morale. Nella relazione ho esposto tutti i termini del problema, e se l’Assemblea non l’ha avuto chiaro dianzi, mi è d’obbligo chiarirlo adesso. C’è una disposizione all’articolo 29 del Concordato, lettera h), che esenta dai tributi tutti gli enti ecclesiastici equiparabili agli istituti di beneficienza e di assistenza, in quanto siano esentabili dai tributi. Mai, nella Commissione è sorta eccezione a questo proposito. Solo l’onorevole Scoccimarro, in una seduta della Commissione, aveva proposto di non esentare dall’imposta, gli istituti di beneficienza e di assistenza, evidentemente per non applicare la norma dell’articolo 29, lettera h), del Concordato. Se noi non esentiamo dall’imposta gli istituti di beneficienza e di assistenza non possiamo applicare l’articolo 29, lettera h) del Concordato e quindi tutti debbono pagare.

A questo giustamente la Commissione ha risposto che gli istituti di beneficienza e di assistenza non possono essere sottoposti all’imposta straordinaria per i loro scopi. Quindi bisogna mantener fede all’articolo 29 del Concordato. Poi viene una seconda questione: il trattamento dei benefici ecclesiastici che, secondo le valutazioni che ho potuto fare, non sono esenti dall’imposta straordinaria sul patrimonio e non sono, a mio giudizio, assimilabili. Il Governo potrà dare in proposito più ampi chiarimenti e dirci quali sono gli enti ecclesiastici compresi nell’articolo 29 del Concordato. La legge sull’imposta progressiva del 1922 tassava in effetti i benefici ecclesiastici, ma concedeva anche facilitazioni, esentando i benefici ecclesiastici che avevano diritto a congrua e sottoponendo a tributo solo i benefici ecclesiastici che non avevano diritto a congrua. Ma anche a questi ultimi faceva un trattamento di favore, perché distingueva tra nuda proprietà ed usufrutto. Stabiliva l’età di trenta anni per calcolare la rendita e l’usufrutto e tassava la nuda proprietà.

L’Assemblea può essere anche più larga della legge del 1922, però con conoscenza di causa. L’obbligo del Relatore è di porre i termini del problema. L’Assemblea deciderà poi nel suo sovrano giudizio.

Il problema si è trascinato ed i colleghi della Commissione sanno che esso è stato sempre nel sottosuolo di tutta la discussione.

Quando la Commissione ha presentato il progetto, che è frutto di un compromesso, ha compiuto – e debbo dirlo agli amici democratici cristiani – un atto di responsabilità e di coraggio, perché ha esentato benefici maggiori e minori, con e senza diritto a congrua: cioè è andata oltre la legge del 1922. Però, colleghi della Democrazia cristiana, oltre i benefici, oltre gli istituti previsti dall’articolo 29, lettera h) del Concordato, ci sono altri istituti che non rientrano nella categoria B dell’imposta di ricchezza mobile. Debbo dire, in coscienza di Relatore: tassiamo almeno questi istituti.

Con la norma oggi proposta dal Governo, si esentano, egregi colleghi, enti economici che non sono tassabili in categoria B, non so se il «Touring Club» sia tassabile in categoria B, ma anche molte attività civili non tassabili in categoria B e che possono avere forti patrimoni.

E diciamo francamente che vi sono anche istituti religiosi che non rientrano nell’articolo 29, che non rientrano fra i benefici ecclesiastici e che sono tassabili. Alcuni di noi pensano che questi istituti, non essendo dimostrato che abbiano fine di culto, perché il fine di culto è accertato dall’articolo 29, non avendo un patrimonio destinato ad un’attività ecclesiastica, alcuni di noi pensano che questi istituti debbano essere tassabili. Il Governo si assume le responsabilità di adottare, per la tassazione degli enti collettivi, un criterio diverso dalla legge del 1922. Non ho nulla da eccepire dal punto di vista di logica formale. Però devo dire che il Governo si è assunto la responsabilità di esentare da un’imposta straordinaria una quantità di enti che non rientrano nella categoria B, e che sono numerosi, perché fra la categoria B e l’esenzione di cui all’articolo 2, onorevole Bertone, c’è una quantità di enti che possono essere tassati e che il Governo non ha voluto tassare.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Dopo quanto ha detto l’onorevole Relatore, riterrei che sarebbe più che opportuno rinviare l’esame di questo articolo, in modo da trovare una soluzione che sodisfacesse le diverse opinioni.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Poiché il Relatore, onorevole La Malfa, ha ricordato un momento della discussione svoltosi in seno alla Commissione a proposito di una mia proposta di esclusione dall’esenzione degli enti di assistenza e beneficienza (e questo per correggere quello che poteva divenire un difetto della legge, per colmare una lacuna della legge stessa) io devo completare le cose dette dall’onorevole La Malfa e precisare gli obiettivi ai quali tendevo.

È vero che io ho chiesto che non venissero esentati gli enti di assistenza e beneficienza: di questo problema io ho già parlato anche in sede di discussione generale. In questo modo si evita di porre in discussione l’articolo 29 del Concordato, riservandoci la possibilità di esentare gli enti religiosi che svolgono opera di culto, di assistenza e beneficienza, ma anche di chiamarli a contribuire all’imposta nella misura in cui tali enti svolgono un’attività produttiva di reddito, anche se non tassabile in ricchezza mobile, categoria B. Al fondo di tutta la questione c’è questo problema: un ente religioso, che però svolge un’attività economica, deve pagare come gli altri enti economici che producono redditi, sì o no? Noi diciamo di sì, alcuni dicono di no; questo è il problema che si deve risolvere.

Ora, io avevo proposto e ripropongo adesso che dalle esenzioni siano cancellati gli enti di assistenza e di beneficienza e che nella legge si dica esplicitamente che il Governo, per tutti gli enti di assistenza e di beneficienza religiosi e non religiosi può assegnare, in tutto o in parte, un rimborso dell’imposta pagata ed eventualmente intervenire con un aiuto che sia anche maggiore.

Così si evita di esentare gli enti che svolgono un’attività produttrice di reddito. Tanto più è doveroso oggi insistere su questo punto, in quanto, contro il mio emendamento, si è ingiustamente voluto stabilire l’esenzione da questa imposta dei benefici ecclesiastici. Perciò io ripresenterò ora un emendamento a proposito di questo articolo, in cui sia detto che i benefici ecclesiastici esenti dall’imposta straordinaria sono quelli che hanno diritto a congrua.

Io desidero che se non si vuole questo, sia chiaro che cosa significa il voto che si dà e non si diano dei voti generici, in cui taluno vota una cosa credendo di votarne un’altra. Io non dico questo per ragioni di faziosità. (Commenti al centro). Io mi aspettavo anzi che quanto dico venisse detto proprio dai vostri banchi (Accenna al centro) per un principio di equità e di giustizia. Io non dico che gli enti di assistenza e di beneficienza debbano essere tenuti in non cale, debbano essere trascurati dalla legge o privati dell’aiuto dello Stato; ma io contesto che si stabiliscano dei privilegi che non hanno giustificazione.

Io propongo, pertanto, che la lettera c) del primo comma sia emendata nel senso che i benefici i quali godano dell’esenzione siano soltanto quelli che hanno diritto a congrua.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io desidero parlare perché è opportuno che, dopo le parole dell’onorevole Scoccimarro, mi riallacci al mio ordine del giorno che ebbe l’onore dell’approvazione anche del Presidente. Mi vi riallaccio perché l’onorevole Scoccimarro ha accennato al suo intendimento di presentare un emendamento al comma che si riferisce ai benefici ecclesiastici.

PRESIDENTE. Ne parleremo poi, onorevole Micheli.

MICHELI. No, perché è una cosa già votata e quindi l’eccezione che io ho fatto per l’onorevole Pesenti e che era venuta a cadere, in quanto il suo emendamento è stato così bene mutato e predisposto, che ha superato l’eccezione fatta da me prima, ritorna invece ora, perché si è venuta a ripetere la situazione, in seguito a quanto ha detto or ora l’onorevole Scoccimarro. È vero che io potrei insorgere quando egli lo presenterà. Ma, per economia di discussione, è meglio che io lo avverta di questo, perché egli, che è tanto intelligente e amante dell’economia della discussione, possa evitare di farmi parlare un’altra volta; il che è sempre vantaggioso per l’Assemblea, che non sempre mi ascolta con la cortese attenzione che mi ha concesso questa volta.

Signor Presidente, giacché ho la parola, debbo aggiungere una dichiarazione di indole generale, che mi è suggerita dalle parole che ha detto da una parte l’onorevole Ministro, il quale ha parlato riconoscendo che sono eccessivamente fiscali certe norme che si vengono ordinando e stabilendo ora, e dall’altra parte dall’onorevole Scoccimarro, il quale ha pure riconosciuto che si tratta di una legge dura, per la quale si devono limitare le esenzioni più che sia possibile; ma qualcheduna si deve pure concedere, in quanto ci troviamo in un momento, nel quale l’equità e la giustizia di fronte al contribuente devono essere sentite da tutti. Per questo io devo elevare una voce di protesta in quest’Aula contro lo spirito che domina in questa legge; capisco e comprendo le necessità dello Stato, che sono gravissime, per cui noi dobbiamo creare una legge eccezionale, ma dobbiamo dire chiaro e forte che sono criteri eccezionali.

PRESIDENTE. C’è già stata una discussione generale.

MICHELI. Sarò brevissimo, se lei crede; e sempre nell’interesse dell’economia della discussione.

PRESIDENTE. Queste sono divagazioni, assolutamente inutili in questo momento.

MICHELI. Per dichiarazione di voto, ho diritto di parlare, signor Presidente. Riconosco che in questo momento l’Assemblea non è Costituente; l’Assemblea nostra qui adempie ora una funzione legislativa. Di fronte a questo io debbo ricordare ai colleghi che i Parlamenti furono costituiti per approvare i tributi, in difesa del contribuente; lo Stato che li escogitava si supponeva fin da allora che fosse sufficientemente forte senza bisogno di tanti volontari aiuti.

Una voce. Ma qui siamo in condizioni opposte.

MICHELI. Me le spieghi queste condizioni opposte. (Rumori a sinistra). Permettete, o colleghi, che io vi dica (Interruzioni a sinistra) che voi non ricordate chi io sia…

Voce a sinistra. Ci parli dei piccoli proprietari!

MICHELI. Caro signore, lei non ignora che è cinquant’anni che io parlo in quest’Aula in difesa della piccola proprietà. (Rumori a sinistra).

Lei doveva ancora nascere! Ora io, per terminare in modo meno bellicoso, aggiungerò un pensiero che vorrei applicare al contribuente italiano. Io lo lessi una volta a proposito dei clienti nell’albo di un albergo svizzero: «Se agli uccelli di passaggio, voi togliete le piume, torneranno; ma se togliete loro le penne, specialmente le remiganti, non torneranno più». Così per i contribuenti: se togliamo loro tutto, essi scompariranno, ed il grave danno sarà per il nostro Paese. (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Io credo che si sia in condizioni di passare alla votazione dell’articolo 1-bis.

Mi pare, onorevole Cifaldi, che ella possa rinunciare alla sua proposta di rinvio.

CIFALDI. Rinunzio.

PRESIDENTE. All’obiezione dell’onorevole Micheli sulla possibilità o meno di procedere alla votazione su questo articolo, credo si possa opporre la considerazione che noi ci troviamo di fronte all’opinione della Commissione, identica a quella dell’onorevole Micheli, e all’opinione dell’onorevole Ministro, che è contraria e condivide il punto di vista dell’onorevole Pesenti. Non facciamo due votazioni per stabilire se si possa procedere. Chi voterà contro questo emendamento voterà contro l’opinione del Ministro e dell’onorevole Pesenti.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ho l’obbligo di dichiarare che di fronte all’emendamento Pesenti io non ho che un’opinione personale. Per quanto riguarda la Commissione non posso dir nulla.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Il punto di parziale divergenza con l’onorevole Pesenti era questo; alla formula, che mi sembrava vaga, «abbiano carattere e natura di enti economici», io proponevo di aggiungere: «abbiano esclusivo carattere e natura di enti economici».

La soluzione di ripiegare su un semplice concetto di prevalenza non mi tranquillizza.

Per poter dare il definitivo parere favorevole del Governo, suggerisco di aggiungere: «abbiano in assoluta prevalenza carattere e natura di enti economici». Con questa aggiunta, il Governo dà parere favorevole.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Se effettivamente ci sono le parole «assoluta prevalenza» si potrebbe essere più tranquilli, quantunque sia molto strano che sia il Ministro delle finanze il quale, invece d’allargare la sfera dei soggetti dell’imposta, cerchi di restringerla. In ogni caso però, ripeto, se ci sono le parole «assoluta prevalenza», si può anche accettare, perché è un criterio che l’Amministrazione stabilirà di volta in volta. Non si parli però di «esclusività», perché anche un ente di carattere economico come un consorzio o una società di assicurazione ci potrebbe dire che non ha esclusivamente fine di lucro, ma ha il fine di migliorare le condizioni dei suoi associati.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. D’accordo sulla «assoluta prevalenza». Ma resta però da pregare l’onorevole Pesenti (che ha anche un’esperienza specifica di Governo) di considerare che non è esatto che il Ministro delle finanze debba preoccuparsi soltanto di allargare la zona dei contribuenti, perché, se ciò fosse esatto, gli sgravi, ad esempio, non sarebbero di sua competenza.

Avrei dovuto negare l’abolizione della C-2 agli statali, avrei dovuto negare l’elevazione del minimo imponibile a 240 mila lire per la categoria C-2 ed altri sgravi su cui non mi soffermo! (Applausi al centro).

Il Ministero delle finanze deve svolgere una sua politica tributaria diretta genericamente ad incrementare il gettito delle entrate.

Ma, in certi momenti, deve tener anche conto di determinate considerazioni di ordine sociale e di ordine sistematico che possono stabilire dei limiti all’attività tributaria.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Non per entrare in una discussione di carattere politico (Commenti) ma per una semplice dichiarazione, io do atto al Ministro che ha chiarito pienamente quali sono: soggetti che vuole esentare, perché, se è vero che gli sgravi sono stati concessi altre volte in seguito alle pressioni giuste delle masse lavoratrici, in questo caso si tratta invece di esentare certi particolari soggetti, che sono appunto gli enti ecclesiastici di cui abbiamo parlato.

PRESIDENTE. Onorevole Pesenti allora ella accetta la dizione: «in assoluta prevalenza»?

PESENTI. Sì, l’accetto.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. L’Assemblea voti pure, ma a me sembra un’assoluta stortura mettere questo emendamento dopo la votazione dell’articolo. Accettiamo piuttosto la sospensiva, in modo che si possa raggiungere un accordo per rettificare la lettera c). È meglio dire: «enti di natura esclusivamente economica» e far sparire la lettera b). Altrimenti nessuno capirà nulla.

PRESIDENTE. Mettiamo le cose su questo terreno. Le osservazioni dell’onorevole La Malfa possono essere accolte. Credo che questo sia il momento nel quale possiamo deliberare di sospendere la votazione di questo articolo 1-bis, per rimetterla al momento nel quale la dizione possa essere armonizzata. Si potrebbe passare all’articolo 2.

LA, MALFA, Relatore. Non si può andare avanti perché l’articolo 2 è in relazione stretta con questo. Siccome tutte queste questioni nasceranno a proposito dell’articolo 2, insisto sulla sospensiva, senza passare all’articolo 2.

PRESIDENTE. Sta bene. Sospendo la seduta per alcuni minuti.

(La seduta, sospesa alle 11.20, è ripresa alle 12).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevoli colleghi, l’emendamento proposto dall’onorevole Pesenti corrisponde allo scopo di acquisire al particolare tributo anche quegli enti che, pur svolgendo una attività in assoluta prevalenza lucrativa, e perseguendo finalità di natura economica, già non siano per insufficienza di norme o per incertezza di interpretazione, soggetti al tributo di ricchezza mobile in categoria B.

Il Governo ha già avuto occasione di manifestare il suo pensiero, nel senso che ritiene che gli enti della specie debbano essere soggetti alla nuova imposta, in quanto è suo fermo intendimento – eventualmente anche risolvendo in sede legislativa questioni controverse in ordine alla applicabilità dell’imposta mobiliare di categoria B – che ogni attività lucrativa, che comporti il conseguimento di un reddito, non sfugga al tributo mobiliare. Se, attraverso l’integrazione legislativa o attraverso la prassi della imposta mobiliare, si raggiunge questo risultato, evidentemente, per inevitabile conseguenza, si raggiunge anche il risultato di acquisire alla tassazione straordinaria gli enti contemplati dall’emendamento Pesenti.

Dichiaro, in modo formale, che il Governo provvederà immediatamente a riesaminare, anche in sede legislativa, il problema del regime dei redditi di questi enti, in modo che, quando sussistano i presupposti per l’applicazione del tributo mobiliare, le deficienze legislative e le incertezze giurisprudenziali non concedano esenzioni che non sarebbero giustificate.

Davanti a questa assicurazione, penso che l’onorevole Pesenti non dovrebbe avere difficoltà ad aderire all’invito che gli rivolgo di ritirare l’emendamento presentato.

PRESIDENTE. Onorevole Pesenti?

PESENTI. Accetto l’invito del Governo. Vorrei pregare però l’onorevole Pella di precisare che l’accertamento di tassabilità ai fini di ricchezza mobile in categoria B, così allargata, deve avere i suoi effetti, anche per coloro che eventualmente oggi non fossero tassabili in categoria B; cioè non si tratterebbe qui evidentemente di ammettere la retroattività della legge, ma soltanto di interpretazione inclusiva di questi enti, di queste attività tassabili di categoria B.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Assicuro l’onorevole Pesenti che – se dovranno essere emanate norme legislative – queste avranno carattere interpretativo e non innovativo; e appunto perché interpretative, con effetto, non dirò retroattivo, ma quanto meno, applicabile a tutti i casi per i quali è ancora possibile addivenire al riesame degli accertamenti, nei limiti imposti dai termini di prescrizione.

Vorrei anche rivolgere all’onorevole Pesenti la preghiera di dare il suo contributo allo studio di tali norme, appena il Governo metterà sul tappeto la questione.

PESENTI. Aderisco.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Noi saremmo stati contrari all’emendamento e quindi dichiaro, a nome del Gruppo cui appartengo, che mi compiaccio vivamente che si sia evitata questa questione, anche secondo il parere che poco fa io avevo manifestato, e cioè che non è con provvedimenti legislativi che si deve scendere ai dettagli nel risolvere la questione.

Noi abbiamo approvato con l’articolo 1 gli enti che sono sottoposti alla tassa; con l’articolo 2 approveremo le sanzioni. Se vi sarà qualche ente che sarà ricercato al di fuori delle categorie che sono state specificatamente accennate, farà la sua eccezione; l’ufficio dirà le sue ragioni; la procedura sarà salva e non avremo creato complicazioni inutili.

Le assicurazioni date dal Ministro, che cioè in via di interpretazione si vedrà di chiarire la questione che possa riguardare enti che sono specificatamente compresi nell’articolo 1 e nell’articolo 2, ci soddisfa pienamente.

PRESIDENTE. Si passa allora all’emendamento proposto dalla Commissione come secondo articolo:

«Sono esenti dall’imposta straordinaria di cui all’articolo precedente:

  1. a) le società che, negli ultimi cinque anni, abbiano esercitato una attività limitata esclusivamente alla proprietà ed alla gestione di beni immobili urbani, anche se nell’atto costitutivo siano state previste operazioni di commercio;
  2. b) le società cooperative di consumo, produzione e lavoro, e i loro consorzi, che siano rette con i principî e con le discipline della mutualità e il cui capitale versato non superi le lire 300.000, salvo particolari disposizioni legislative;
  3. c) lo Stato per tutti i suoi beni, le Amministrazioni di Stato, gli Stati esteri, per i beni di qualsiasi specie che essi possiedono nel territorio dello Stato, le Provincie, i Comuni e le Aziende municipalizzate, i Consorzi e gli altri enti autorizzati ad imporre tributi obbligatori; le partecipanze ed università agrarie; le opere pie, gli istituti ed enti di beneficenza ed assistenza legalmente costituiti e riconosciuti; le società di mutuo soccorso; le fondazioni od istituti di diritto di fatto che, pur senza rientrare nel novero delle istituzioni pubbliche di beneficenza, attendono, senza fine di lucro, ad opere filantropiche di assistenza ed educazione degli indigenti, infermi, orfani o fanciulli bisognosi, combattenti, reduci e partigiani e loro figli; gli enti il cui fine è equiparato a norma dell’articolo 29, lettera h) del Concordato, ai fini di beneficenza o di istruzione e gli assimilabili di altri culti; gli istituti pubblici di istruzione; i Corpi scientifici, le Accademie e Società storiche, letterarie, scientifiche, aventi scopi esclusivamente culturali; i beneficî ecclesiastici maggiori o minori.

«Per gli enti di cui alla lettera c) l’esenzione non ha luogo per la parte di patrimonio destinata all’esercizio di un’attività produttiva di reddito tassabile, ai fini dell’imposta di ricchezza mobile in categoria B».

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Mi sembra inutile porre in discussione la lettera c), in quanto essa deve essere soppressa in seguito alla modifica apportata alla lettera c) dell’articolo primo.

PRESIDENTE. D’accordo.

A questo testo sono stati proposti i seguenti emendamenti:

«Alla lettera b) sopprimere le parole: e il cui capitale versato non superi le lire 300.000.

«Dugoni, Scoccimarro».

«Alla lettera b), dopo le parole: e lavoro, aggiungere: e di credito e sostituire: 300.000 con 500.000.

«Adonnino».

«Sostituire la lettera b) con la seguente:

  1. b) le società cooperative di consumo, di produzione, di lavoro, agricole, edilizie, della pesca, di trasporto e loro consorzi, che siano rette con i principî e con la disciplina della mutualità, secondo le leggi in vigore. Sono altresì esenti le società di mutuo soccorso legalmente costituite.

«Grazia, Cerreti».

«Alla lettera b) aggiungere: nonché le cooperative per la costruzione di case economiche.

«Caroleo».

«Alla fine della lettera c) alle parole: beneficî ecclesiastici maggiori e minori, sostituire: benefìcî ecclesiastici non aventi diritto a congrua.

«Pesenti, Scoccimarro».

Credo si possa rinunciare allo svolgimento degli emendamenti, che sono chiari nella loro dizione.

Chiedo il parere della Commissione sugli emendamenti alla lettera b).

LA MALFA, Relatore. Togliere del tutto la limitazione del capitale mi sembra eccessivo. Si potrebbe, eventualmente, discutere su un elevamento.

PRESIDENTE. Chiedo il pensiero del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo, per le ragioni che ha enunciate l’onorevole Relatore, che l’Assemblea voglia tener fermo il testo proposto dalla Commissione, anche perché si tratta di lire 300.000 di capitale nominale versato, e sappiamo in questa materia che le 300.000 lire lasciano intravedere una realtà patrimoniale molto più elevata.

Comunque, se l’onorevole Relatore ritiene che possa essere elevato il limite di lire 300 mila, il Governo potrebbe anche venire incontro.

Per quanto riguarda i consorzi, si potrebbe introdurre un limite di valutazione del patrimonio. Mentre per le cooperative esiste un capitale nominale a cui fare riferimento, per i consorzi, mancando un capitale, o, quando il capitale esiste, non risultando da un bilancio, si potrebbe configurare un limite di esenzione ragguagliato al patrimonio effettivo valutato in sede fiscale.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidererei far presente, a proposito del problema delle cooperative, che, se in via formale è giusto stabilire un limite di capitale, tuttavia devo ricordare che con il mutamento di valori avvenuto negli ultimi anni, anche se ci si richiama ai limiti posti dal Codice civile, quei valori non rispondono più alla realtà. E se noi oggi dovessimo escludere dalle esenzioni quelle cooperative il cui capitale versato non supera le 300.000 lire, io temo che lo scopo voluto dalla legge non venga raggiunto. È difficile che oggi esistano cooperative che abbiano versato meno di 300.000 lire, perciò qui si pone questa soluzione: o noi facciamo una rivalutazione in rapporto ai valori attuali o sopprimiamo ogni limite.

Nei limiti stabiliti dalla legge nessuna cooperativa resta esente dalla imposta straordinaria.

Sulla proposta delle 500.000 lire, non so come pronunciarmi: non so se questo è un limite giusto o no: ho l’impressione che sia troppo basso. Sono contrario alla inclusione delle cooperative di credito, che nulla hanno a che vedere con quelle di produzione, di consumo e di lavoro.

Voci al centro. Le Casse rurali!

SCOCCIMARRO. Perciò io manterrei l’emendamento di soppressione del limite di 300.000 lire. Lo scopo che il Governo si è proposto con la norma che regola le cooperative, non viene raggiunto, se viene mantenuto quel limite. Perché di cooperative che superano quel limite non ne troverete neppure una.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione propone il seguente emendamento: «…ed il cui patrimonio non superi i 2.000.000» in sostituzione della dizione: «ed il cui capitale versato non superi le lire 300.000».

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che, a prescindere dal giudizio sulla cifra, l’onorevole Relatore abbia esattamente impostato il problema, in quanto la formula proposta inquadra l’esenzione che la Commissione ed il Governo intendono accordare alle cooperative, ai consorzi ed agli enti assimilabili, qualora abbiano una modesta capacità contributiva.

La tentazione di riferirsi ad un elemento automatico aveva portato l’onorevole Relatore a proporre, ed il Governo ad accogliere, il riferimento ad una cifra di capitale nominale.

Ma è esatto precisare che, mentre questa cifra di capitale nominale può avere un significato per le vecchie cooperative, ha un significato tutto diverso per le cooperative di recente costituzione.

Perciò le agevolazioni debbono essere stabilite in base a un minimo di esenzione ragguagliato ad un patrimonio effettivo.

Il limite di 2.000.000 ha il pregio della congruità per i risultati che vuol raggiungere. In siffatto ordine di idee, credo che debbano cadere le critiche formulate dall’onorevole Scoccimarro quanto alle esenzioni delle cooperative di credito, perché se è esatto che le 300 mila lire di capitale nominale versato potrebbero nascondere una realtà ben diversa, una volta limitata l’esenzione ai 2.000.000 di patrimonio effettivo, le cooperative, appartengano al settore del consumo, della produzione, della costruzione edilizia o del credito, meritano, a giudizio del Governo, di essere agevolate.

Per questo il Governo dà parere favorevole al nuovo emendamento proposto dalla Commissione.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Devo brevemente replicare, per dichiarare che non posso accettare la limitazione patrimoniale proposta dall’onorevole Relatore, per la semplice ragione che noi non conosciamo le conseguenze di questa limitazione. Se noi conoscessimo queste conseguenze, cioè quali percentuali di cooperative e quali possibilità di lavoro rimangono, noi saremmo anche disposti ad accettare una limitazione. In queste condizioni noi sappiamo che le cooperative, praticamente, solo dalla liberazione hanno ripreso una attività nel senso veramente cooperativistico. Esse hanno pertanto assunto una struttura tutta recente, che è stata creata a forza di crediti ed a forza di buona volontà, di braccia e di lavoro. Se noi oggi andiamo a colpire questi piccoli patrimoni, che si sono appena assestati, o che stanno ancora assestandosi, io credo che daremmo un colpo deciso allo sviluppo della cooperazione in Italia.

Per questa ragione, e proprio per la ragione della freschezza patrimoniale di queste aziende, io insisto che sia tolto ogni limite al capitale delle cooperative che devono essere esentate dall’applicazione dell’imposta.

ADONNINO. Riferendomi al nuovo concetto, che ci si debba riferire al patrimonio, osservo che i patrimoni fino a tre milioni, in linea generale, sono esentati.

PELLA, Ministro delle finanze. Il minimo di tre milioni riguarda l’imposta straordinaria progressiva.

ADONNINO. Chiederei che si andasse anche qui a tre milioni.

PRESIDENTE. Sicché, onorevole Adonnino, ritira la seconda parte del suo emendamento?

ADONNINO. Lo trasformo nel senso di stabilire la cifra di tre milioni di patrimonio anche per le cooperative.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. In sostanza, bisogna tener presente che la quota indice è minima, e quindi si vengono proprio a colpire dei piccoli possessori di capitale. Quindi, anche se questo si eleva di un milione o di due milioni, ci troviamo sempre nella stessa condizione: ripeto che non bisogna guardare il patrimonio della cooperativa, ma le singole quote che lo compongono.

Si sono costituite in Italia diverse piccole cooperative fra impiegati, specialmente per la costruzione di case economiche. Siccome nella dizione queste potrebbero non essere comprese tra le cooperative di consumo, di produzione e lavoro, crederei opportuno fare questa aggiunta all’emendamento dell’onorevole Cerreti.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidererei richiamare l’attenzione del Ministro su questo fatto: qual è il concetto che ispira l’esenzione delle cooperative? È forse il concetto dell’entità patrimoniale o la natura dell’organismo? Qui la legge parla chiaro, dicendo che deve trattarsi di cooperative per le quali deve essere chiaramente definito il carattere mutualistico. Ora, se questo è vero, non ha più nessun significato stabilire dei limiti quantitativi nel patrimonio, perché come noi esentiamo gli enti di assistenza e beneficienza indipendentemente dalla loro entità patrimoniale, così l’esenzione per le cooperative è giustificata dal loro carattere mutualistico e in esso trova il suo fondamento. L’esenzione è pertanto indipendente dall’entità patrimoniale della cooperativa.

FORESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FORESI. Desideravo conoscere dalla Commissione se nelle esenzioni, di cui si parla nella lettera b), sono comprese anche le Casse rurali ed artigiane, perché esse, oltre a rientrare nella forma di cooperazione vera e propria, sono anche il motivo di essere della cooperazione.

Non vedo perché non si debbano comprendere anche queste benemerite istituzioni , che finora hanno alimentato il piccolo artigianato e la piccola agricoltura.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Ritengo che nell’espressione letterale usata nella lettera b) dell’articolo in discussione difficilmente potrebbero rientrare le Casse rurali.

In linea di massima, siccome istituzionalmente esse svolgono la loro opera sul piano della mutualità, ritengo che le casse rurali – fermo restando il limite di esenzione accennate dall’onorevole Relatore – meriterebbero di essere incluse nell’esenzione.

Ma, a tale scopo, si rende necessario proporre un emendamento, che prego l’onorevole Foresi di presentare.

GRAZIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRAZIA. Dichiaro di ritirare l’emendamento presentato unitamente all’onorevole Cerreti, associandomi a quello dell’onorevole Dugoni.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Nel mio emendamento ho parlato di costruzione di case economiche, nelle quali c’è naturalmente anche il fine mutualistico. Sarei grato se, su questo argomento, anche l’onorevole Ministro volesse dire qualche cosa.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro ad accogliere la preghiera dell’onorevole Caroleo.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi sembra, se non sbaglio, che tutte queste considerazioni siano assorbite dal concetto di un minimo di esenzione generale ragguagliato al valore imponibile.

Perciò non vedo ragioni sostanziali che giustifichino la discussione che stiamo facendo. Se si accoglie la proposta dell’onorevole Relatore, consenziente il Governo, di accordare la esenzione fino al limite di due milioni di imponibile… (Commenti a sinistra).

Il punto sostanziale è questo: decidere se si vuole mantenere fermo il principio originario delle 300 mila lire – e qualche onorevole collega vorrebbe sopprimere il limite – o se invece si vuole trasformare il sistema, facendo prevalere il concetto di subordinare la esenzione all’entità dell’imponibile.

GRAZIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRAZIA. Desidero fare osservare, a proposito di limite nelle cooperative, che la cifra non ha alcun senso, perché se andiamo a parlare di un patrimonio di cooperativa noi veniamo a stroncare tutte le cooperative di lavoro, perché basta una macchina, basta un compressore stradale, basta un autocarro perché non siano più esentate.

Oggi, quindi, qualunque cifra noi consideriamo nelle cooperative di lavoro non può non costituire un limite che non possiamo in alcun modo tollerare. Reputo quindi quanto mai logico l’emendamento proposto dall’onorevole Dugoni, perché o una cooperativa ha fini mutualistici e allora si esenta, o non li ha, e allora si tassa: è semplice.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. La definizione di cooperativa è così elastica nel nostro diritto privato, che permette in forma cooperativa anche l’esercizio di attività che i miei colleghi di sinistra chiamerebbero capitalistica. Difficilmente quindi, io credo, noi possiamo trovare un criterio giuridico atto a farci distinguere le vere cooperative da quelle spurie. Troviamo quindi una cifra, ma credo che sia pregiudizievole… (Rumori).

Una voce a sinistra. Nessuna cifra!

VANONI. Vorrei richiamare l’attenzione dei colleghi sul fatto che ci sono delle alleanze di cooperative che sono indiscutibilmente delle vere cooperative dal punto di vista legale, ma che sono società che hanno centinaia di milioni di capitale. È giusto che esse abbiano il vantaggio dell’esenzione? (Commenti).

CANEVARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEVARI. Sono favorevole alla proposta di togliere quel limite di capitale versato di 300 mila lire; e ciò per tante ragioni. Prima di tutto, non si può stabilire un limite per le cooperative, e contemporaneamente lo stesso limite per i consorzi di cooperative. Trecento mila lire oggi non sono niente. Hanno ragione gli onorevoli colleghi che hanno parlato prima di me: con 300 mila lire non si fa niente, non soltanto nelle cooperative di lavoro, ma meno ancora nelle cooperative edilizie e tanto meno nelle cooperative di consumo; oggi bisogna comperare tutto a contanti.

Faccio presente, perciò, che non si può mettere lo stesso limite di 300 mila lire di capitale versato sia per le cooperative che per i consorzi di cooperative.

Voglio ricordare all’onorevole Ministro – ed egli certo lo può ricordare a me – che nelle esenzioni stabilite, già in atto, ancora oggi per le cooperative c’è una differenza che si aggira ad un decimo circa rispetto ai consorzi. Se andate ad esaminare le norme di legge relative alle cooperative di lavoro, vedrete che il limite di assunzione di lavori per le cooperative è stato portato a 5 milioni; e la proposta del Ministro dei lavori pubblici, il quale non ha potuto fino ad ora varare il provvedimento, perché attende sempre il consenso degli altri Ministeri competenti interessati in proposito, l’ha portato a 20 milioni per l’assunzione di lavori pubblici da parte delle cooperative, e ad 80-100 milioni per i relativi consorzi. Quindi, una differenza c’è. Perciò, se mettete 300 mila lire per le cooperative di consumo, dovreste mettere almeno 3 milioni per i relativi consorzi.

Ma io sono contrario per le ragioni di principio che sono state così chiaramente esposte dal collega Scoccimarro; e vorrei cogliere questa occasione per ricordare agli onorevoli colleghi che siamo già impegnati in un certo senso, perché abbiamo riconosciuto nella Carta costituzionale la funzione sociale della cooperazione, e non possiamo dimenticarcene quando si tratta di applicare norme fiscali.

Perciò ripeto – e colgo l’occasione per fare anche una dichiarazione di voto – sono per la soppressione di ogni limite.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Ho chiesto di parlare per cercare di chiarire la questione, in modo che il voto dell’Assemblea risulti chiaro. Vorrei a tale proposito rispondere ad una giusta osservazione fatta dall’onorevole Vanoni, che merita di essere presa in considerazione.

Per me, fissare un limite quantitativo di patrimonio delle cooperative vuol dire seguire un criterio completamente diverso da quello che si dovrebbe seguire, per cui l’esenzione deriva dalla natura e dalla funzione dell’ente, e non dalla sua entità patrimoniale. Ma l’onorevole Vanoni ha posto un problema veramente attuale e scottante: cioè che bisogna distinguere fra cooperative vere e spurie. Cioè false cooperative che servono da maschera agli speculatori.

Mi permetto di ricordare a questo proposito all’onorevole Ministro delle finanze che da molto tempo c’era già un’intesa fra il Ministero delle finanze e il Ministro del lavoro per regolare legislativamente il problema del controllo delle cooperative. Il Ministero del lavoro ha già compiuto un censimento ed è stato istituito un registro presso la Direzione generale della cooperazione, per cui le cooperative riconosciute tali vengono ufficialmente registrate; e solo le cooperative ufficialmente registrate usufruiscono dei benefici fiscali. Io ricordo al Ministro delle finanze che al Ministero era già predisposto un provvedimento di agevolazioni fiscali per le cooperative, provvedimento che io ho lasciato sospeso, perché a quel tempo il Ministero del lavoro non aveva compiuto la necessaria opera di selezione. Ma penso che questa, ora, sia già condotta a termine e, togliendo il limite che si pone in questa legge, per quella via si risolve il problema posto dall’onorevole Vanoni, per cui noi aiuteremo veramente le cooperative, escludendo le cooperative fittizie, che non hanno diritto di chiamarsi tali.

Perciò prego ancora una volta di approvare l’emendamento che esclude ogni limitazione, perché così approveremo il concetto per cui diamo agevolazioni alle cooperative solo perché svolgono un’attività mutualistica e non perché hanno patrimonio al disopra e al disotto di un certo limite.

VANONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VANONI. Qui il progetto indica già una definizione delle cooperative ponendo tre condizioni che sono adempiute tutte normalmente da queste cooperative, anche spurie: il fatto della limitazione in caso di distribuzione di dividendi; il divieto di ripartire le riserve; la devoluzione del patrimonio ai fini di pubblica utilità – dopo rimborsato il capitale sociale – in caso di scioglimento; soprattutto un’ultima condizione sta scritta in tutti gli statuti sociali delle cooperative. Restano quindi fissate le condizioni a cui le cooperative devono adempiere per godere del beneficio, ma, ripeto, queste condizioni sono adempiute anche dalle cooperative spurie.

E allora cosa dobbiamo fare? Rimandare ad un provvedimento futuro, come quello della registrazione di cui ha già detto l’onorevole Scoccimarro, oppure risolvere fin d’ora questo problema?

Mi permetto di ricordare che la questione della esenzione delle cooperative dalle imposte è una questione estremamente delicata e sottile. Basti ricordare l’esempio della Francia: la Camera francese discusse per tutta una legislatura il regime fiscale delle cooperative, perché, per trovare una linea di demarcazione fra cooperative vere e cooperative non vere, fra cooperative la cui forza economica merita di essere particolarmente sostenuta e cooperative che hanno tale forza da potere essere sottoposte ad imposizioni tributarie, il Parlamento francese ha discusso per un lungo periodo di tempo.

Noi oggi ci troviamo di fronte alla necessità di risolvere in pochi minuti una questione così estremamente importante, perché poche cose sono sentite dai nostri concittadini in modo così vivo come i problemi di giustizia tributaria; e se, attraverso una norma che vuole essere di incoraggiamento alle piccole forze a riunirsi in cooperative, noi arrivassimo invece ad accordare esenzioni e situazioni di privilegio a particolari forze economiche, certamente noi faremmo una cosa non giusta e che non sarebbe affatto apprezzata dai nostri concittadini.

E allora ritorno all’idea da cui sono partito e da cui è partito anche l’onorevole, La Malfa. Dovendo ora risolvere questo problema, in attesa della desiderata registrazione, che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo fermarci alla proposta della Commissione di cui all’articolo 3, eppure dobbiamo allinearci su una limitazione quantitativa?

Ritengo sia più conveniente la seconda forma: discutiamo la quantità. Ha perfettamente ragione il collega che ci ha ricordato che oggi un autocarro può essere valutato al limite di tassazione. Per me non ha importanza che si vada a 2, 3, 10 milioni, ma, per la certezza della legge, ritengo che sia molto meglio allo stato attuale fissare un limite quantitativo piuttosto che rimandare la soluzione.

E qui aggiungerò che vi è un problema delle cooperative di credito (di cui alcune hanno veramente bisogno di essere incoraggiate e sostenute) come vi è il problema delle Casse rurali di cui ha parlato l’amico Foresi un momento fa.

Anche qui il criterio di distinzione non può essere che un criterio quantitativo. Fra grandi e piccole banche cooperative non c’è nessuna differenza sostanziale: quindi bisogna ricorrere a questo criterio della quantità. Troviamo una cifra, per quanto elevata, e vedremo che essa darà luogo a minori inconvenienti.

PRESIDENTE. Ritengo che si possa innanzi tutto votare la prima parte dell’articolo 2 su cui non è stata fatta alcuna discussione. Essa ricordo, è così formulata:

«Sono esenti dall’imposta straordinaria di cui all’articolo precedente:

  1. a) le società che, negli ultimi cinque anni, abbiano esercitato una attività limitata esclusivamente alla proprietà e alla gestione di beni immobili urbani, anche se nell’atto costitutivo siano state previste operazioni di commercio».

(È approvata).

Passiamo alla lettera b). Pongo ai voti la prima frase:

«b) le società cooperative di consumo produzione e lavoro».

(È approvata).

Vi sarebbe ora l’aggiunta «e di credito» secondo l’emendamento Adonnino.

CAPPI. Ma questa è legata al problema del limite! Se si pone un limite, io ed altri colleghi voteremmo per l’inclusione delle cooperative di credito; altrimenti no.

PRESIDENTE. Allora occorrerà risolvere prima la questione del limite.

Ricordo che il progetto della Commissione diceva inizialmente:

«Le società cooperative di consumo, produzione e lavoro e i loro consorzi, che siano rette con i principî e con le discipline della mutualità e il cui capitale versato non superi le lire 300 mila, salvo particolari disposizioni legislative».

La Commissione ha poi proposto di adottare il criterio di una limitazione del patrimonio a due milioni, mentre un emendamento Adonnino propone tre milioni.

Vi è però un emendamento soppressivo degli onorevoli Dugoni e Scoccimarro, che ha diritto alla precedenza nella votazione.

L’emendamento dice:

«Sopprimere le parole: il cui capitale versato non superi le lire 300 mila».

Lo pongo ai voti.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La questione del trattamento delle cooperative e la questione del trattamento degli enti morali sono state trattate in sede di Commissione. Si è cercato di raggiungere un accordo per l’esenzione delle cooperative e di certi enti morali. Ho dichiarato in sede di Commissione che questa posizione del problema, io, come Presidente, non l’accettavo, perché le imposte non sono commerciabili esentando questa o quella categoria, ma devono essere applicate alla generalità dei cittadini. Ho votato contro l’emendamento del Governo, che secondo me ha costituito una categoria di enti privilegiati. Sono dolente di dover votare contro la soppressione di ogni limite per le cooperative; però dichiaro che, avendo il Governo stabilito una categoria di enti privilegiati, mi spiego come una parte dell’Assemblea pretenda un’altra categoria di privilegi.

CAPPI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.,

CAPPI. Anche noi voteremo contro la soppressione di quel limite, in quanto accettiamo l’emendamento della Commissione che al criterio del «capitale» sostituisce quello del «patrimonio»: patrimonio che noi vogliamo aumentare, da due a otto milioni.

PRESIDENTE. Vi è dunque ancora un altro emendamento: invece dei 2 milioni della Commissione e dei 3 milioni dell’onorevole Adonnino, l’onorevole Cappi propone 8 milioni. (Commenti a sinistra).

Pongo dunque ai voti l’emendamento soppressivo degli onorevoli Dugoni-Scoccimarro, facendo presente che in seguito all’eventuale soppressione del criterio «capitale» si passa, per forza, alla votazione sul criterio «patrimonio». È alternativo. (Commenti a sinistra).

(Dopo prova e controprova e dopo votazione per divisione, l’emendamento non è approvato – Rumori – Commenti).

Dovremo ora passare alla votazione degli emendamenti che adottano il criterio proposto dalla Commissione, del capitale cioè, anziché del patrimonio.

Vi è innanzi tutto l’emendamento Cappi:

«il cui patrimonio non superi gli otto milioni».

PASTORE RAFFAELE. Chiedo che la cifra sia portata a dieci milioni.

PRESIDENTE. Onorevole Pastore, gli emendamenti vanno presentati per iscritto, secondo le norme del Regolamento

Voci a sinistra. Chiediamo l’appello nominale!

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. Vorrei un chiarimento: evidentemente per patrimonio di otto milioni si intende il patrimonio netto, dedotte tutte le passività.

CAPPI. Il patrimonio, per principio giuridico generale, si intende sempre dedotte tutte le passività. (Commenti – Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Data l’ora tarda, propongo di rinviare la votazione a questa sera. (Commenti).

Se non vi sono osservazioni, resta così stabilito.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.15.