Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI SABATO 26 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 26 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

 

INDICE

 

Congedi:

Presidente

 

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

 

Presidente

Condorelli

Cannizzo

Corbino

La Malfa, Relatore

Pella, Ministro delle finanze

Rescigno

Moro

Paris

Germano

Scoca

Scoccimarro

Pesenti

Zerbi

Tozzi Condivi

UbertiVeroni

Cifaldi

Bubbio

Balduzzi

Caroleo

Quintieri Quinto

Adonnino

De Mercurio

Bertone

Cappi

Cremaschi Carlo

Marinaro

 

Interpellanza con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Abozzi, Gui, Rubilli, Sardiello e Cairo.

(Sono concessi).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Siamo agli articoli 25, 28 e 29.

Credo che i tre articoli possano essere riuniti nella discussione, cominciando con l’esaminare l’articolo 28 nel testo proposto dalla Commissione (articolo 29 del testo governativo). Si dia lettura di questo articolo.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Sono soggetti all’imposta i contribuenti il cui patrimonio imponibile, al lordo della detrazione stabilita nel comma successivo, raggiunga il valore di lire 3.000.000.

«Dal patrimonio imponibile si detrae la somma di lire 2.000.000.

«Dal cumulo dei patrimoni tassabili dei genitori, al netto ciascuno della detrazione fissa di due milioni, è ammessa un’ulteriore detrazione pari a un ventesimo, con un massimo di lire 250.000 per ogni figlio. Questa detrazione si distribuisce proporzionalmente tra i due patrimoni. La detrazione stessa non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione, superi i 10 milioni di lire.

«L’ammontare della detrazione è calcolato sul patrimonio di ciascun figlio ai fini dell’imposta straordinaria».

PRESIDENTE. All’articolo 28 vi è innanzi tutto il seguente emendamento degli onorevoli Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Vinciguerra, Perrone Capano e Rubilli:

«Al primo comma, alle parole: valore di lire 3.000.000, sostituire le altre: valore di lire 5.000.000».

Identico emendamento ha proposto l’onorevole Rescigno.

Nessuno dei firmatari del primo emendamento è presente.

CONDORELLI. Lo faccio mio.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Rescigno è presente.

CANNIZZO. Non dovrebbe essere esaminato prima l’articolo 25?

PRESIDENTE. Ho già detto che nel corso della discussione terremo presenti tutti e tre gli articoli, ma ritengo che sia prima da esaminare il 28.

CORBINO. Io credo che la cosa migliore sarebbe quella di discutere prima l’articolo 29, relativo al minimo imponibile. Mi pare che esso dovrebbe essere il punto di partenza. Dopo, si potrebbe passare all’articolo 25 ed all’articolo 28, che avevamo rimandato appunto per l’emendamento che era stato presentato all’articolo 29.

PRESIDENTE. Lei, probabilmente, onorevole Corbino, si riferisce all’articolo 29 del testo ministeriale.

CORBINO. Sì.

PRESIDENTE. Ed allora siamo proprio sul terreno che io avevo indicato.

CANNIZZO. In merito a quanto dice l’onorevole Corbino, faccio osservare che mi pare più logico scendere prima all’esame delle aliquote. Si potrebbe, in tal modo, sgombrare il terreno dalla questione principale.

LA MALFA, Relatore. Secondo il parere della Commissione è opportuno partire dall’articolo 28 dalla Commissione stessa proposto.

Dichiaro subito che la Commissione mantiene il suo testo dell’articolo 28 e quindi respinge tutti gli emendamenti relativi a questo articolo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo è d’accordo con il pensiero espresso dal Relatore, onorevole La Malfa.

PRESIDENTE. Allora passiamo alla votazione degli emendamenti che propongono di elevare da tre milioni a cinque il valore del patrimonio imponibile, emendamenti sui quali Governo e Commissione hanno espresso parere contrario.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Malgrado il parere contrario espresso dalla Commissione e dal Governo, il che mi fa disperare circa l’accoglimento del mio emendamento, tuttavia sento il dovere di dire poche parole a difesa dell’emendamento stesso.

Noi, poche settimane addietro, abbiamo votato nella Costituzione una norma che afferma che la Repubblica protegge la piccola proprietà. Senonché, il primo atto di questa Repubblica è l’emanazione di una legge fiscale che, consentitemelo, accoppa la piccola proprietà, tassata contemporaneamente con l’imposta proporzionale e con quella progressiva.

Ora, quando noi ci troviamo di fronte a patrimoni di tre milioni, ci troviamo di fronte alla piccola proprietà, ci troviamo di fronte all’appartamento che è il ricovero di una famiglia, oppure a quei 2, 3 o 4 ettari di terreno che sono appena gli strumenti di lavoro.

A me pare che se in questa prima legge noi vogliamo essere fedeli a quello che solennemente abbiamo incluso nella Costituzione, la piccolissima proprietà dovremmo lasciarla esente. Questa è del resto una voce che proviene da diverse parti: vi è anche un emendamento da parte della Democrazia cristiana, e mi era sembrato che anche i comunisti fossero di questo parere, cioè di favorire la piccola proprietà con l’esenzione, oppure spostando il limite. È questo il momento di decidere.

Prego vivamente l’Assemblea Costituente di essere fedele al principio sancito nella Costituzione: proteggiamo la piccola proprietà!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Rescigno. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Ho presentato un emendamento simile a quello illustrato dall’onorevole Condorelli.

Mi limiterò a fare due semplici osservazioni. Io credo che sia tanto più necessario elevare a 5 milioni la misura adottata dalla Commissione, perché si disse parecchi giorni fa che sarebbe stata alleggerita l’imposta proporzionale e si sarebbe così venuti incontro alle esigenze dei modesti, dei piccoli possidenti. Viceversa, questo alleggerimento in sede proporzionale non c’è stato, né ci poteva essere perché la proporzionale non è che il riscatto dell’imposta patrimoniale ordinaria di dieci anni.

Si è detto anche, per giustificare la misura della Commissione, che altro è la valutazione fiscale, altro è la situazione reale, perché quella sarebbe sempre inferiore a questa. In pratica, mi permetto di osservare, avviene il contrario, perché i procuratori delle imposte i loro accertamenti li fanno a tavolino e, per mettersi a posto di fronte ai loro superiori, si mantengono sempre al di sopra della realtà.

Un’altra osservazione – ed è la principale ragione che si adduce – concerne il gettito dell’imposta, che verrebbe ad essere diminuito. Mi permetto di osservare che questa imposta incomincia a diventare efficiente da un importo piuttosto elevato: basta dare uno sguardo alle aliquote per convincersi che dai 10 milioni in su questa imposta potrà essere efficiente.

Per queste ragioni a me sembra che, per andare incontro veramente ai modesti, ai piccoli possidenti, bisogna elevare il minimo imponibile a 5 milioni, con un abbattimento alla base di 3 milioni.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione la proposta di elevare il minimo imponibile da tre a cinque milioni, contenuta negli emendamenti Crispo e Rescigno.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Noi voteremo per il testo della Commissione, accettato dal Governo e perciò contro la proposta.

(La proposta non è approvata).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Vinciguerra, Perrone Capano e Rubilli:

«Al secondo comma, alle parole: si detrae la somma di lire 2.000.000, sostituire le altre: si detrae la somma di lire 3.000.000».

In conseguenza del fatto che l’emendamento al primo comma è stato respinto, questo emendamento resta assorbito.

Così pure resta assorbito l’altro emendamento dell’onorevole Rescigno:

«Al secondo comma, alle parole: la somma di lire 2.000.000, sostituire le parole: la somma di lire 3.000.000».

Al terzo e al quarto comma è proposto il seguente emendamento dagli onorevoli Paris, Piemonte, Preziosi, Tonello, Ghislandi, Corsi, Gullo Rocco, Segala, Preti; Grilli, Caporali, Canevali e Bocconi:

«Sostituire il terzo e il quarto comma con i seguenti:

«Dal cumulo dei cespiti che costituiscono un patrimonio familiare, al netto ciascuno della detrazione fissa di due milioni, è ammessa un’ulteriore detrazione pari a un ventesimo per ogni congiunto dei contribuenti fino al secondo grado in linea diretta ascendente, discendente e laterale, purché alla data del 28 marzo 1947 convivessero con la famiglia e per coloro che alla stessa data avevano compiuto i ventun anni e prestassero inoltre la loro opera nella gestione del patrimonio.

«La detrazione non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione dei due milioni, superi gli otto milioni.

«L’ammontare della detrazione è suddiviso proporzionalmente fra i patrimoni dei singoli contribuenti».

L’onorevole Paris lo ha già svolto; invito pertanto l’onorevole Relatore a pronunciarsi in merito.

LA MALFA, Relatore. Vorrei pregare l’onorevole Paris e gli altri presentatori di questo emendamento di non insistere. Ritengo infatti che, specialmente per questi patrimoni medi che sono la grande maggioranza dei patrimoni su cui verrà ad esercitarsi la pressione fiscale, l’imposta, ove questo emendamento venisse approvato dall’Assemblea, finirebbe con il dileguarsi. Sarebbe lo stesso criterio fiscale ad annullarsi.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro delle finanze a esprimere l’avviso del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo ricorda le ragioni con cui l’onorevole Paris ha brillantemente illustrato questo suo emendamento. Sono ragioni però, se ben ricordo, che soprattutto avevano riguardo a determinate composizioni familiari, o, meglio, ai patrimoni familiari in determinate regioni. Se fosse possibile individuare situazioni regionali e adottare particolari temperamenti, valevoli per le situazioni stesse, si potrebbe anche accedere all’ordine di idee dell’emendamento proposto; ma, un emendamento di questo genere portato sul piano nazionale, potrebbe avere ripercussioni di cui non è possibile precisare la portata.

È dunque per queste ragioni che, con rammarico, debbo dare parere contrario all’emendamento in parola.

PRESIDENTE. Onorevole Paris, mantiene il suo emendamento?

PARIS. Lo mantengo.

CORBINO. Onorevole Presidente, c’è l’emendamento Cannizzo sullo stesso argomento; si potrebbero votare insieme.

CANNIZZO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. Tre sono, onorevole Presidente, gli emendamenti che, a un dipresso, presentano uguale contenuto: quello Paris che è ora in discussione, il mio testé ricordato dall’onorevole Corbino e quello costituente l’articolo 29-bis presentato dall’onorevole Zerbi e da altri colleghi. Chiedo pertanto che vengano messi a partito insieme.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

LA MALFA, Relatore, A me pare che non si possa accedere al criterio dell’onorevole Cannizzo, perché l’emendamento Paris parla di convivenze familiari: non è dunque la stessa cosa.

CANNIZZO. Allora, però, si lascino impregiudicati gli altri due.

PRESIDENTE. D’accordo. Pongo dunque ai voti l’emendamento dell’onorevole Paris ed altri di cui ho dato lettura poco fa. Ricordo che il Governo e la Commissione hanno espresso parere contrario.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voteremo contro l’emendamento Paris.

(Non è approvato).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Cannizzo:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Al cumulo dei patrimoni tassabili dei genitori, al netto ciascuno della detrazione fissa di due milioni, ed a richiesta di entrambi, verrà applicata, tenendo presente il numero dei figli che non abbiano un proprio patrimonio tassabile, un’aliquota così ridotta:

  1. a) per i patrimoni inferiori ai cento milioni, del 2 per cento per ogni figlio;
  2. b) per i patrimoni superiori ai cento milioni, dell’l per cento per ogni figlio.

«L’aliquota così ridotta, non potrà essere inferiore alla metà di quella imputabile al cumulo dei patrimoni».

L’onorevole Cannizzo ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CANNIZZO. Desidererei far notare che il mio emendamento presuppone un cumulo di patrimoni facoltativo e non obbligatorio.

Immaginiamo per esempio un patrimonio di 5 milioni della moglie e di 5 milioni del marito. Su questi due patrimoni cumulati si applicherà l’aliquota superiore dell’8,53 per cento, appunto in conseguenza del cumulo. Sarà su questa maggiore aliquota, a richiesta esclusivamente dei coniugi, che si dovrà calcolare la detrazione.

Non deve preoccupare, perciò, il fatto che io abbia chiesto per tutte le aliquote una riduzione, perché, se per i piccoli patrimoni le aliquote saranno più facilmente ridotte, per i grandi patrimoni il numero dei figli potrà avere limitata influenza. Supponiamo, infatti, il caso limite di due patrimoni di 500 milioni ciascuno. L’aliquota, se viene chiesto il cumulo, si dovrà applicare su un miliardo: perciò invece del 33 per cento si dovrà applicare il 50 per cento. Sarà in tale caso necessario avere quindici figli soltanto per tornare all’aliquota originaria.

Ritengo poi che si debba tener presente la composizione familiare. E se questo criterio per apprezzamento strettamente fiscale non dovesse essere accettato né dalla Commissione né dal Ministro, sarà col rifiuto violato il senso morale e di giustizia. Perché le ipotesi sono due: o i figli sono in tenera età ed allora è da tener presente che a carico dei genitori è ancora tutta la loro educazione, oppure i figli hanno una determinata età e si deve in tal caso considerare che col loro lavoro hanno contribuito ad incrementare il patrimonio dei genitori.

Ecco perché raccomanderei – nel caso che il mio emendamento non venisse accettato – che la Commissione proponesse almeno qualche variante al testo sempre allo scopo di agevolare le famiglie numerose, e togliesse ogni limitazione che riguarda l’ammontare del patrimonio, perché secondo me, colui che ha un patrimonio di 50 milioni ed ha 5 figli è meno ricco di colui che ha un patrimonio di 20 milioni e non ne ha nessuno.

Insisto sull’emendamento, pur sapendo che Governo e Commissione sono di contrario avviso.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione sull’emendamento dell’onorevole Cannizzo?

LA MALFA, Relatore. Onorevoli colleghi, nella legge del 1922 la detrazione per i figli non era ammessa e mi pare che questo fosse un sanissimo criterio fiscale. Prendere in considerazione la composizione delle famiglie in una legge fiscale, ai fini dell’attuazione di un’imposta, mi pare che sia un criterio da respingere da ogni punto di vista. Ad ogni modo, per i piccoli patrimoni la Commissione ha mantenuto il testo governativo. Diversamente si dovrebbe costringere la Finanza a fare questi accertamenti per ogni patrimonio. Non mi pare che si possa giungere a questo.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo alla Commissione nel dare parere contrario all’emendamento dell’onorevole Cannizzo, anche perché non fissa un limite massimo ai fini dell’applicazione della detrazione invocata.

CANNIZZO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. Ho spiegato, onorevole Ministro, che il mio emendamento non arrecherà grave danno alla Finanza, specie nel caso di grossi patrimoni. Infatti, per due patrimoni di 500 milioni di cui si chiede il cumulo sarà necessario avere più di 15 figli perché la detrazione possa ridurre le aliquote in misura non molto rilevante.

PRESIDENTE. Onorevole Cannizzo, lei intende dunque mantenere l’emendamento.

CANNIZZO. Lo mantengo.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che noi non accettiamo l’emendamento Cannizzo.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Si potrebbe completare l’emendamento, perché io faccio notare alla Assemblea che sarebbe indispensabile provvedere a questo. Anche qui noi dovremmo cominciare ad attuare un’altra norma della Costituzione che, come tante altre, sembra invece destinata a restare una affermazione platonica senza nessuna ripercussione pratica nella nostra legislazione. Si è affermato difatti che si proteggono le famiglie numerose.

Ora, proprio da parte democristiana, sento dire questo: che l’emendamento, intonato a questo principio, non ha ragione di essere. Ma quando vogliamo pensarci?

PRESIDENTE. Mi pare che lei, onorevole Condorelli, e gli altri che la pensano come lei, non tengano presente che si tratta di una imposta straordinaria, la quale si riferisce al disastro finanziario del Paese in conseguenza della guerra!

CONDORELLI. Ma tutte queste esigenze di giustizia e di ripartizione ci devono essere anche per le imposte straordinarie. Evidentemente noi lo dimentichiamo. Per l’argomento che diceva il Presidente della Commissione, in materia fiscale queste considerazioni non si possono fare. Ma io faccio presente che c’è una imposta complementare che tiene conto della composizione della famiglia.

Perché non se ne dovrebbe tener conto anche in questa imposta?

Io voterò a favore dell’emendamento Cannizzo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Cannizzo.

(Non è approvato).

Vi sono ora i seguenti emendamenti firmati dagli onorevoli Germano, Cimenti, Burato, Baracco, Bellato, Montini, Garlato, Roselli, Schiratti, Ferrario Celestino, Bastianetto, Pat, Rapelli, Ermini, Marconi, Corsanego:

«Sostituire il primo periodo del terzo comma col seguente:

«Dal cumulo dei patrimoni tassabili dei genitori, al netto ciascuno della detrazione fissa di lire un milione e cinquecento mila, è ammessa una ulteriore detrazione pari ad un ventesimo con un massimo di lire 500.000 per ogni figlio.

«Alla fine del comma, dopo le parole: 10 milioni di lire, aggiungere: ad eccezione delle famiglie con sette o più figli a carico».

L’onorevole Germano ha facoltà di svolgerli.

GERMANO. Prendo lo spunto per spiegare i miei emendamenti da quello che disse l’onorevole Relatore, ossia che l’ordinamento fiscale non deve consentire a interessarsi dei figli o meno.

Invece io dico il contrario: ritengo che sia il caso di interessarsi anche della famiglia. Qua vediamo tre tesi: la prima, la mia, prende come base la famiglia ed il numero dei suoi figli; abbiamo una tesi del Governo la quale fa qualcosa di intermedio tenendo presenti figli e coniugi; abbiamo viceversa la tesi della Commissione che cerca in tutti i sensi di non considerare i figli. Si è cercato di mettere il padre di famiglia numerosa sotto imputazione. Siamo considerati come qualcosa di antisociale, e questo non va. Molti in questa Assemblea sostengono che siamo in troppi. Ad esempio, l’onorevole Corbino ha scritto un articolo: noi siamo in troppi. Meno male che l’onorevole Corbino non ha trovato molti seguaci e non mi risulta che qualcuno si sia sparato per sfoltire quel troppo indicato in quell’articolo.

Posso dire all’onorevole Corbino che è vero che 45 milioni di italiani in Italia sono troppi, ma è anche vero che 500 milioni di italiani nel mondo, sarebbero anche pochi.

Vediamo poi l’onorevole La Malfa il quale viene a dire: chi vuole i figli se li mantenga. Ma che ragioni sono queste? Come se i figli fossero una merce da volere o non volere.

I figli vengono perché abbiamo una moralità cristiana, perché sentiamo imperioso e categorico il comandamento del Signore. Ora la moralità è tanto ricercata nel mondo, e perché non vogliamo infangare il matrimonio ed i figli nascono, dobbiamo vedere negato ogni aiuto e considerazione? Perché la Commissione propone che si devono avere otto figli per avere una detrazione uguale a quella di un coniuge?

Io vorrei dire all’onorevole La Malfa che se anche avendo una moglie di lusso, non costerebbe certo più di otto figli.

Abbiamo sentito lo stesso venerato onorevole Orlando dire che ai suoi tempi nessuno pensava a delle agevolazioni a favore dei padri di famiglia numerosa.

È vero, ma ai tempi dell’onorevole Orlando i tisici potevano benissimo morire in casa loro, mentre oggi vanno nei sanatori; i disoccupati non avevano sussidi ed ora sì. Il mondo cammina e le provvidenze sociali acquistano valore. Perché non aiutare le famiglie numerose?

PESENTI. Non quelli che hanno da detrarre 300 mila lire!

GERMANO. Ecco perché ho presentato questo emendamento; e siccome mi preoccupa la visione finanziaria dello Stato propongo che la somma da detrarre anziché di 2 milioni per ogni coniuge si riporti ad un milione e mezzo. Così abbiamo un miglioramento notevole per la Finanza dello Stato che compensa la detrazione di 500.000 lire per figlio, e questo mi sembra logico.

Analizziamo ancora l’articolo della Commissione e vediamo che l’unica detrazione che non si applica quando il patrimonio supera i 10 milioni è quella che riguarda i figli, perché se il patrimonio fosse anche di 100 milioni verrebbero senz’altro tolti da questi 100 milioni, 2 milioni per la moglie e 2 milioni per il marito. Ma nessuna detrazione si avrebbe per i figli. Dice infatti l’articolo 28: dal cumulo dei patrimoni tassabili dei genitori, al netto ciascuno della detrazione fissa di 2 milioni, è ammessa una ulteriore detrazione pari a un ventesimo con un massimo di lire 250 mila per ogni figlio. Questa detrazione si distribuisce proporzionalmente tra i due patrimoni. La detrazione stessa (ossia quella dei figli) non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione, superi i dieci milioni di lire.

Perché includere questo? Perché soltanto la detrazione per i figli non deve aver luogo qualora il patrimonio superi i dieci milioni? O tutto o niente. Si dica che per i patrimoni di oltre 10 milioni la detrazione non viene fatta neanche per i coniugi, oppure rimanga anche per i figli. Ecco una ingiustizia da correggere. Chiedo quindi che sia messo in votazione il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il suo parere.

LA MALFA, Relatore. La Commissione si è già espressa.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo desidererebbe trovare una onesta transazione fra i due punti di vista e forse la direttrice ne è data dal testo originario del decreto. Perciò, in primo luogo, pregherei l’onorevole Germano di diminuire il massimo di lire 500 mila a 300 mila, come nel testo cui ho accennato, in secondo luogo non posso accettare il concetto della detrazione fissa di un milione e 500 mila. Conosco le ragioni di ordine empirico che hanno portato l’onorevole Germano a determinare questa cifra, ma siccome vi è una detrazione unica contemplata dalla legge, che è quella dei 2 milioni, pregherei in ogni caso di dire «al netto ciascuno della detrazione fissa di due milioni».

Perciò se l’onorevole Germano ritiene di modificare la prima parte del suo emendamento nel senso di sostituire «due milioni» a «un milione e 500 mila» e «300 mila lire» a «500 mila» il Governo esprime parere favorevole alla prima parte dell’emendamento.

Per quanto riguarda la seconda parte, a favore delle famiglie con sette o più figli a carico, il Governo, per considerazioni d’ordine sociale, non ha difficoltà ad aderire.

GERMANO. Aderisco a quanto ha proposto il Governo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Relatore. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione, che ha valutato tutti gli emendamenti e li ha giudicati, ha questa sola ragione di fronte ai colleghi che si preoccupano della situazione familiare. Ci sono famiglie con 10 o 20 milioni che hanno sette figli, ma ci sono famiglie senza alcun milione che hanno sette figli! Questa è la verità, e noi non possiamo fare una legislazione fiscale se non tenendo conto dei casi più gravi. Tra i casi più gravi sono quelli di impiegati che hanno sette o più figli. Quindi prego i colleghi di non separare mai la vita nazionale in settori e di votare una legge fiscale che sia un fondamento di giustizia.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Questa determinazione di un numero fisso di figli – sette o più – ricorda troppo da vicino la legislazione fascista, la quale aveva certi determinati scopi demografici da raggiungere. Io comprendo benissimo, una volta che riportiamo la questione sul terreno prettamente fiscale, che chi ha figli debba venire considerato in una imposta personale in modo diverso di chi non ha figli, perché evidentemente la capacità contributiva di colui che non ha figli e quella di colui che deve provvedere all’esistenza dei figli, sono diverse; però il mettere un numero fisso di figli è una spinta a prolificare fino a quel determinato numero. (Si ride).

Ma se è giusto considerare il numero dei figli – e difatti nel progetto della Commissione questa preoccupazione c’era – non mi pare che si debba dare un premio solo a coloro che hanno sette o più figli e si debbano escludere invece da questo beneficio coloro che hanno soltanto sei figli!

Se si vuole andare incontro alle esigenze che sono state prospettate, io non avrei difficoltà ad elevare la cifra di 250 mila lire ad una cifra maggiore, che potrebbe essere di 400.000 lire. Così si adotterebbe una misura intermedia, e si rispetterebbe sia l’esigenza del fisco, sia la necessità di non svuotare di contenuto questo strumento fiscale straordinario, e sia anche le necessità delle famiglie con una modesta posizione che hanno un cospicuo numero di figli.

Il limite dei 10 milioni è un limite che si può discutere se sia adeguato o meno, ma un certo limite bisogna metterlo. Quando una famiglia ha un patrimonio ingente, viene meno la necessità di considerare i bisogni nascenti dall’esistenza di un certo numero di figli.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidero ricordare che solo pochi giorni fa è stato respinto l’emendamento che veniva in aiuto a coloro che pagano l’imposta da un minimo di 50 e 100 mila lire in su. Oggi si fa l’apologia e la difesa della piccola proprietà dopo aver respinto l’emendamento che veniva in suo aiuto. E ora si propone di togliere il limite di 10 milioni per le detrazioni per i figli e di consentire tale agevolazione anche a chi possiede 100 o 2000 milioni.

Io vi dico: ricordatevi della votazione di quattro giorni fa; ingiustizie già vi sono, in questa legge, non aggravatele.

Perciò, noi voteremo contro l’emendamento proposto.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Non voglio entrare nel merito della politica demografica. Qui c’è un fatto concreto: ci sono famiglie numerose che non possiedono niente e ci sono famiglie numerose che possiedono qualche cosa. Io dico che queste devono pagare come pagano le famiglie non numerose. Questo è il problema essenziale.

La Commissione ha accolto il principio che si debba tener conto di questa situazione; il Governo è andato anche un po’ oltre, consentendo l’aumento di 50.000 lire nella dotazione per ogni figlio, come massimo. Non si può andare al di là, perché 300 mila lire per 20 figli costituirebbero 6 milioni.

Quindi, in sostanza, noi resteremo nei limiti dei patrimoni piccoli, e per detrazioni modeste.

Io credo che la formula della Commissione, temperata dall’emendamento proposto dal Ministro, sia accettabile per tutti, senza scendere ad esaminare con troppi dettagli le conseguenze di carattere demografico, che possono derivare da una legislazione, la quale da noi non dovrebbe più aver seguito.

PESENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PESENTI. L’onorevole Germano ha presentato un emendamento fatto su misura per il suo caso, come, diciamo, fosse la sua fabbrica di caramelle. (Si ride). È per questo, oltre tutto, che mi pare sia da respingere quell’emendamento. I colleghi onorevoli Scoccimarro e Corbino, come del resto il Presidente della Commissione, hanno chiaramente indicato che non si può fare un trattamento di favore a coloro che hanno una posizione economica con cui possono mantenere numerosi figli. Il massimo che si possa ottenere – è chiaro – è di aumentare da 250 mila a 300 mila la dotazione per ogni figlio. Più di questo assolutamente non è possibile.

ZERBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZERBI. Posto che anch’io sono firmatario di un emendamento, il quale riprende per altra via questo argomento, vorrei chiedere se non sia il caso di cercare una piattaforma di conciliazione delle varie esigenze affiorate nella discussione di stamane, nel riprendere l’articolo 28 così come era stato originariamente formulato.

Si tratterrebbe, in sostanza, di sopprimere il limite dei 10 milioni, quale è comportato dall’emendamento suggerito dalla Commissione. In tal caso potremo soddisfare tutte le esigenze affiorate. Quanto meno dovremmo concordare una elevazione di quel limite, il quale, alla stregua del coefficiente di 1 a 60 assunto dall’onorevole La Malfa nella sua relazione al presente progetto per il confronto tra i valori del 1920 e quelli del 1947, corrisponde a circa 166 mila lire.

Ritengo che su questo piano potremmo trovare la conciliazione delle varie esigenze ed io rinuncerei a svolgere il mio emendamento.

PRESIDENTE. Ma questo emendamento si riferiva all’articolo 29 e adesso non lo svolgiamo per non creare confusioni. Infatti, ora stiamo discutendo dell’emendamento dell’onorevole Germano. Lei fa una proposta?

ZERBI. Sì, propongo di armonizzare i due articoli 28 e 29.

LA MALFA, Relatore. Mi scusi onorevole Zerbi, ma il suo emendamento è un po’ troppo complesso.

PRESIDENTE. All’articolo 29, secondo l’emendamento dell’onorevole Zerbi, i 100 milioni sarebbero ridotti a 50.

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta di portare a 300.000 il massimo, aderendo al suggerimento dei colleghi. Oltre questa cifra andremmo addirittura in un campo di formule logaritmiche.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Formulo definitivamente il pensiero del Governo, nel senso di portare le 250.000 lire a 300.000 lire, restando fermo l’ulteriore testo della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Germano, mantiene il suo emendamento?

GERMANO. Lo mantengo: la finanza ci rimetteva con il testo iniziale e non con l’altra redazione.

TOZZI CONDIVI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOZZI CONDIVI. Ho presentato anche io un emendamento, che potrebbe essere votato insieme con questo, dato che è ad esso connesso. Vorrei illustrarlo brevemente.

PRESIDENTE. Il suo emendamento può essere votato dopo quello dell’onorevole Germano, perché propone la soppressione dell’ultima parte del terzo comma. Potremo mettere prima in votazione l’emendamento Germano, e successivamente l’approvazione del terzo comma del testo della Commissione con la modifica che porta le 250.000 lire a 300.000.

CANNIZZO. Non si potrebbe mettere in votazione il comma per divisione, lasciando da parte la esclusione dei patrimoni superiori ai dieci milioni di lire?

LA MALFA, Relatore. Quando metteremo in votazione il terzo comma, voteremo per divisione l’ultimo periodo.

PRESIDENTE. Porrò dunque ai voti innanzi tutto la prima parte dell’emendamento dell’onorevole Germano, che propone di sostituire il primo periodo del terzo comma col seguente:

«Dal cumulo dei patrimoni tassabili dei genitori, al netto ciascuno della detrazione fissa di lire un milione e cinquecentomila, è ammessa una ulteriore detrazione pari ad un ventesimo con un massimo di lire cinquecentomila per ogni figlio».

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Siamo contrari all’emendamento dell’onorevole Germano, e voteremo il testo della Commissione, in seguito all’elevazione del massimo da 250 mila a 300 mila, accettata dal Governo.

GERMANO. Ma il Ministro non aveva detto di voler fare una transazione fra quello che era il testo dell’emendamento ed il testo della Commissione?

PRESIDENTE. Il Ministro ha aderito al testo della Commissione. Se lei crede, può modificare l’emendamento, con le diverse cifre che sono state accettate dal Governo.

GERMANO. La mia modifica è per 2 milioni, più 300 mila lire per ogni figlio.

PRESIDENTE. L’emendamento sarebbe allora così formulato:

«Dal cumulo dei patrimoni tassabili dei genitori, al netto ciascuno della detrazione fissa di lire 2 milioni, è ammessa una ulteriore detrazione pari ad un ventesimo con un massimo di lire 300 mila per ogni figlio».

LA MALFA, Relatore. Ma questo è il testo della Commissione!

PESENTI. Mi pare che sarebbe più logico dire che l’onorevole Germano accetta la proposta della Commissione. Non so se questo sistema di modificare all’ultimo momento un emendamento serva solo per far scrivere sui giornali di provincia che è stato accettato un proprio emendamento!

SCOCCIMARRO. Noi voteremo a favore del testo della Commissione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Germano se mantiene il suo emendamento.

GERMANO. Lo ritiro e aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo allora ai voti il terzo comma dell’articolo 28 con la modifica concordata fra Commissione e Governo, per cui la cifra da 250 mila diventa 300 mila. Il testo è il seguente:

«Dal cumulo dei patrimoni tassabili dei genitori, al netto ciascuno della detrazione fissa di due milioni, è ammessa una ulteriore detrazione pari a un ventesimo con un massimo di lire 300 mila per ogni figlio. Questa detrazione si distribuisce proporzionalmente tra i due patrimoni».

(È approvato).

Segue l’emendamento aggiuntivo proposto dagli onorevoli Germano, Cimenti, Burato, Baracco, Bellato, Montini, Garlato, Roselli, Schiratti, Ferrario Celestino, Bastianetto, Pat, Rapelli, Ermini, Marconi, Corsanego, del seguente tenore:

«Alla fine del comma, dopo le parole: 10 milioni di lire, aggiungere: ad eccezione delle famiglie con sette o più figli a carico».

GERMANO. Rinunzio all’emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene.

Segue l’emendamento soppressivo proposto dagli onorevoli Tozzi Condivi, Arcangeli, Ponti, Franceschini, Angelucci, Cappi, Foresi, Cotellessa, Rescigno, Cremaschi Carlo:

«Al terzo comma, sopprimere il periodo:

«La detrazione stessa non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione, superi i 10 milioni di lire».

L’onorevole Tozzi Condivi ha facoltà di svolgerlo.

TOZZI CONDIVI. Onorevoli colleghi, la situazione è tale che richiede una parola chiara. Si cerca di ricorrere a delle espressioni fatte, in questo campo: qui è necessario, invece, seguire semplicemente la logica e la giustizia.

Quando si è trattato di andare incontro agli interessi dei piccoli patrimoni, noi ci siamo andati, votando una rateizzazione maggiore di quella proposta dalla Commissione e dal Governo.

Qui, la Commissione ed il Governo hanno accettato una detrazione in favore di ciascuno dei figli portandola a 300.000 lire. Ora, io domando alla Commissione e al Governo: quando hanno fissato questo limite, che cosa hanno voluto fissare? Hanno voluto porre un limite a questo beneficio, per modo che coloro che avessero un patrimonio molto grande non usufruissero di quel beneficio, se non fino al limite di 300.000 lire.

Il concetto della limitazione è contenuto già in questo limite di 300.000 lire. Quando mi mettete un successivo limite di 10 milioni, portate l’argomento su di un altro piano, portate una seconda limitazione contro giustizia e contro logica. Contro giustizia, perché in questa maniera, quando c’è una famiglia numerosa, non venite a concedere questo beneficio, in quanto questa famiglia si trova in condizioni inferiori rispetto ad un’altra meno numerosa.

Quindi, quando noi diciamo: «togliete questo limite di 10 milioni» vogliamo portare un principio di giustizia e di logica in questa legge, vogliamo dire che coloro che hanno una famiglia numerosa e hanno 10 milioni, possano beneficiare di questo ventesimo.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione ha posto un limite perché, al di là di un certo patrimonio, la somma di 300.000 lire per un figlio non ha più alcun significato. Se il patrimonio è piccolo, questa detrazione ha un significato, ma se il patrimonio è grande, detrarre 300.000 lire diventa una inutile complicazione.

C’è una relazione tra detrazione e patrimonio e noi non possiamo sopprimere questa relazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo insiste perché sia mantenuto fermo il limite di 10 milioni. Facendo l’ipotesi che ogni contribuente abbia in media un figlio e supposto che i contribuenti siano un milione, la perdita ammonterebbe a un milione di volte 300.000 lire; esiste, quindi, una legittima preoccupazione in ordine al gettito.

Per questo, prego gli onorevoli proponenti di non insistere sul loro emendamento.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Occorre un chiarimento. Effettivamente, il mantenimento del limite fisso di dieci milioni, secondo me, può creare delle disparità, può mettere cioè in condizioni deteriori colui il quale abbia undici milioni di patrimonio ed abbia dei figli, di fronte a colui il quale, avendo nove milioni di patrimonio, o nove milioni e rotti, abbia lo stesso numero di figli.

Secondo la norma in esame, chi abbia nove milioni di patrimonio è ammesso alla detrazione; per chi invece abbia undici milioni o dieci milioni e una lira non è ammessa la detrazione. Se, pertanto, il limite ci vuole, se l’Assemblea è del parere che il limite debba essere fissato, bisognerà che essa studi un espediente attraverso il quale non sia posto in condizioni di inferiorità colui che ha un patrimonio lievemente superiore a quello dei dieci milioni, di fronte a colui che lo ha lievemente inferiore.

Mi pare, infatti, evidente che, se la norma si mantiene qual è, veniamo a porre un limite che crea delle disparità e delle ingiustizie.

CANNIZZO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. A me pare che un limite ci sia già nella legge: è proprio il limite delle 300.000 lire, che per i grandi patrimoni non influirà molto sulla riduzione eventuale delle aliquote.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io penso che l’obiezione sollevata dall’onorevole Scoca si possa facilmente risolvere con i soliti accorgimenti tecnici già in atto per altri tributi per evitare delle sperequazioni. Desidero osservare a coloro che propongono di togliere ogni limite, che la Commissione ha concepito questo problema non nel senso di concedere la detrazione per i figli a chiunque, ma nel senso di portare una qualche agevolazione ai patrimoni medi e si è fissata al limite dei dieci milioni.

Se pertanto si propone di togliere questo limite, avverto che presenterò un emendamento che proporrà di togliere ogni detrazione per i figli.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. L’osservazione fatta dall’onorevole Scoca contempla effettivamente un caso che si potrebbe verificare. Per ovviare all’inconveniente da lui lamentato, io credo che sarebbe sufficiente sostituire l’espressione «al lordo» con l’espressione «al netto». Se io infatti, con la detrazione, supero i dieci milioni, è evidente che non avrò diritto alla detrazione, mentre, se fossi al di sotto, ne avrei diritto.

Si tratta sempre di un limite.

PRESIDENTE. Onorevole Tozzi Condivi, mi pare che ci si stia avviando verso una modificazione del suo emendamento.

TOZZI CONDIVI. Ad una eventuale modificazione, onorevole Presidente, potrò anche accedere, ma il principio che io ho inteso affermare sono convinto che è un principio di giustizia e quindi lo mantengo.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Desidero far rilevare che l’osservazione sollevata dall’onorevole Scoca non si presenta soltanto nel caso in oggetto, ma si presenta tutte le volte che si stabilisce un limite. Ora, non si può fare un sistema fiscale basato tutto su aliquote.

La Commissione, pertanto, aderisce al criterio dell’onorevole Corbino, che si dica cioè «al netto» anziché «al lordo» della detrazione stessa.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. In questo articolo si parla due volte di detrazione, una volta della detrazione dei due milioni, il cosiddetto «abbattimento» alla base; l’altra volta della cosiddetta detrazione del ventesimo per ogni figlio, con un massimo di 300.000 lire. Desidererei, quindi, chiedere a quale delle due detrazioni si riferisca la frase «non si applica quando il cumulo, al lordo della detrazione…».

LA MALFA, Relatore. È sempre la detrazione per i figli.

CORBINO. È meglio chiarire.

PELLA, Ministro delle finanze. È vero, è meglio chiarire, perché l’equivoco potrebbe essere possibile, in quanto il comma si inizia facendo riferimento al patrimonio netto della detrazione dei due milioni.

LA MALFA, Relatore. Io lascerei: «la detrazione stessa», perché implicitamente questo riferimento è chiaro. «La detrazione stessa non si applica, quando il cumulo, al netto di essa, superi i dieci milioni di lire».

CORBINO. D’accordo.

PELLA, Ministro delle finanze. Accetto la formula.

PRESIDENTE. Onorevole Tozzi Condivi, mantiene il suo emendamento?

TOZZI CONDIVI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Allora pongo ai voti l’emendamento Tozzi Condivi ed altri, soppressivo del terzo comma.

(Non è approvato).

Pongo ora ai voti il testo proposto dalla Commissione ed accettato dal Governo:

«La detrazione stessa non si applica quando il cumulo, al netto di essa, superi i dieci milioni di lire».

(È approvato).

Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 28 si intende approvato con le modificazioni testé votate.

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 29 nel testo proposto dalla Commissione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’ammontare dell’imposta da corrispondersi è determinato in base alle seguenti aliquote, riferite al patrimonio al lordo delle detrazioni indicate nell’articolo precedente ed applicate sul patrimonio al netto delle detrazioni suddette:

per i patrimoni di:

3.000.000 di lire              6,00   %

5.000.000                       7,23   %

10.000.000                     8,53 %

50.000.000                     13,57 %

100.000.000                   17,50 %

200.000.000                   23,29 %

500.000.000                   35,46 %

1.000.000.000                 50  –  %

1.500.000.000 ed oltre     61,61 %

«Per i patrimoni intermedi la misura dell’aliquota è determinata in base alla formula seguente:

y = 6 + 0,0002885 (x – 3.000.000) 0,576

nella quale x rappresenta la cifra del patrimonio imponibile e y l’aliquota.

«I patrimoni imponibili vengono arrotondati nel seguente modo:

 

 

Lire

Lire

Per unità di lire

tra

3.000.000 e

5.000.000

50.000

 

5.000.001 e

10.000.000

100.000

 

10.000.001 e

50.000.000

200.000

 

50.000.001 e

100.000.000

500.000

 

100.000.001 e

200.000.000

1.000.000

 

200.000.001 e

500.000.000

2.000.000

 

500.000.001 a

1.000.000.000

5.000.000

 

1.000.000.001 ed oltre

 

10.000.000

«Con decreto del Ministro per le finanze sarà pubblicata una tabella indicante le aliquote e la misura d’imposta corrispondente alle varie cifre di patrimoni imponibili.

«Le società, ditte ed enti costituiti all’estero debbono l’imposta sul patrimonio accertato al loro nome con aliquote corrispondenti ad un terzo, con il massimo del 10 per cento».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati proposti parecchi emendamenti ed articoli aggiuntivi.

Il primo, degli onorevoli Cannizzo, Tumminelli, Russo Perez, Venditti, Corsini, Salvatore e Rescigno è del seguente tenore:

«Sopprimere il testo della Commissione e ripristinare il testo governativo».

L’onorevole Cannizzo ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CANNIZZO. So di accingermi ad un’impresa quasi disperata (Si ride) perché tutti gli attacchi che sono stati mossi contro questo castello costituito dall’imposta sul patrimonio hanno incontrato un duplice ordine di sbarramenti, due trincee ben munite, difese, una dal Ministero e l’altra dall’onorevole La Malfa, che io vorrei chiamare il defensor fisci…

LA MALFA, Relatore. Della Commissione.

CANNIZZO. …della Commissione. Ad ogni modo, siccome devo ricordare che scopo precipuo dei Parlamenti fu appunto quello di insorgere contro tutti gli abusi del fisco, mi propongo di parlare per sostenere di tornare al testo governativo perché non so spiegarmi il motivo di questa variazione nella progressività delle aliquote.

Potrebbero essere addotti due argomenti a favore: o che lo Stato abbia bisogno di una determinata cifra prescindendo dalla capacità contributiva del popolo italiano, oppure che vi sia il presupposto che questa capacità contributiva esiste.

Non mi risulta che vi sia stato sulla capacità contributiva un attento esame o, per lo meno, che in Parlamento o dal Governo siano stati addotti argomenti idonei a dimostrare che potrà la imposta riscuotersi senza far crollare tutta l’economia italiana.

Si è detto che le aliquote non verranno integralmente applicate perché vi è grande differenza fra valore reale e valore fiscale. Mi permetto di dire che se questa osservazione può esser fatta – in certo senso – quando si parli dell’imposta proporzionale (sempre che l’onorevole Ministro assicuri che gli uffici delle imposte osserveranno le circolari che disse di avere inviato quando si trattò dell’emendamento Bosco Lucarelli), non può farsi per l’imposta progressiva.

Noi abbiamo infatti casi in cui il valore reale sarà addirittura inferiore al valore fiscale, e questo desumo non solo dai miei apprezzamenti ma dalle discussioni fatte in Assemblea.

Il valore fiscale sarà in un primo tempo modificato ed aumentato da tutte le tabelle che saranno adottate dalle Commissioni censuarie, in sede di accertamento definitivo. E non è dato prevedere fin d’ora quali saranno questi aumenti.

Ma c’è di più: accanto agli accertamenti rigidi e meccanici si è posto come correttivo il criterio della presunzione da tenore di vita. In materia di presunzione, giuoca sempre l’arbitrio e l’ingiustizia.

Ho letto pochi giorni fa (si trattava di tassa di famiglia, e come sapete bene, le tre imposte che possono essere accertate col criterio induttivo sono appunto l’imposta patrimoniale, la complementare e l’imposta di famiglia); ho letto pochi giorni fa sul Giornale d’Italia che un accertamento è stato portato da settemila lire a 432 mila lire solo perché un funzionario del comune di Roma, recatosi in casa del contribuente, vi aveva trovato dei fiori che vi erano stati portati il giorno precedente in occasione di una festa di famiglia.

Casi simili si ripeteranno in Italia e contribuiranno notevolmente ad elevare il valore fiscale fino al limite del valore reale ed oltre.

Vi è un altro esempio, quello delle case con fitti bloccati. Anche in questi casi il valore fiscale si avvicinerà o supererà quello reale.

In proposito, da parte del Governo si è detto che il blocco dei fitti potrebbe essere revocato o modificato. È sempre un’opera altamente meritoria di dare speranza ai contribuenti. Credo però che le speranze rimarranno tali e tutt’al più potranno servire a far sopportare con maggiore rassegnazione la notifica delle cartelle dell’esattore.

Ma vi è un caso chiarissimo in cui il valore fiscale supera il reale. L’abbiamo creato ieri quando è stato respinto l’emendamento Cifaldi circa la media decennale dei prezzi da tenere a base della valutazione dei canoni in natura. L’emendamento che feci mio per l’assenza dell’onorevole Cifaldi, è stato respinto. Avremo, e per legge, in questo caso un valore fiscale enormemente superiore al reale.

Il contribuente si conforterà pensando che le opere di beneficenza, i benefici ecclesiastici e molte zone che hanno il loro patrimonio prevalentemente composto di canoni enfiteutici, sono stati esclusi dall’imposta. Che l’aliquota sia esagerata, risulta poi da una concorde ammissione fatta da tutti i settori di quest’Aula quando si è parlato dei piccoli contribuenti. Tutti sono stati d’accordo nella difesa del piccolo contribuente. Non mi è mai sorto il dubbio che questo interessamento fosse dovuto al fatto che la categoria dei piccoli contribuenti è la più numerosa. Se questa idea mi fosse venuta l’avrei scacciata, perché non penso che discutendo la legge si sia potuto fare della propaganda elettorale. Credo invece che questa categoria sia stata presa ad esempio per dimostrare che se sarà impossibile pagare le aliquote più basse, l’impossibilità a maggior ragione esisterà quando si tratterà d’applicare quelle più alte. L’imposta sul patrimonio può essere, senza far crollare l’economia generale, pagata soltanto quando, attraverso una lunga rateizzazione nel tempo, si possa equiparare ad un’imposta sul reddito. Un’imposta che si applichi direttamente sul patrimonio, è addirittura inconcepibile, antigiuridica e rovinosa. Poi, quasi che le aliquote fissate dal Governo fossero basse, non sappiamo spiegarci perché siano state aumentate. O sono aumentati i bisogni dello Stato o vi sono dei nuovi elementi dai quali si può dedurre che la capacità contributiva del contribuente sia ancora di più aumentata. Credo che non si possa dimostrare né l’una né l’altra tesi. Questo aumento è anche assurdo e non depone in favore della politica finanziaria del Governo, in considerazione anche del fatto che il decreto per l’imposta sul patrimonio, colle aliquote già note, è stato da molto tempo pubblicato, e molte denunce sono state fatte in base a questo decreto. Questo brusco aumento non si giustifica in nessun modo e non solo non sono stati approfonditi i motivi che hanno indotto la Commissione ad accettarlo, ma non ho inteso nemmeno accennarli. Il contribuente vorrà invece conoscerli questi motivi. Perché anche qui le ipotesi sono due: o da quando si varò il decreto dell’imposta sul patrimonio ad oggi i bisogni dello Stato sono cresciuti a tal punto da rendere necessario l’aumento delle aliquote (ed allora bisogna dare subito al contribuente la garanzia che anche le spese dello Stato vengano contenute perché fra due o tre anni sarà necessario, diversamente un nuovo galoppo); ovvero sono sorti dei fatti nuovi per determinare una maggiore capacità contributiva nel contribuente.

La verità è, onorevoli colleghi, che stiamo slittando sopra un terreno molto accidentato, perché stiamo gravando il contribuente di una imposta tale che non potrà essere pagata; e lo stiamo mettendo nelle condizioni di colui che è obbligato a fare il lavoro che solo in un tempo determinato possono fare dieci persone. Questi o incrocerà le braccia o comincerà a sperare nell’intervento di forze estranee o vorrà che si determini qualche fatto nuovo che lo aiuti nello svolgimento del suo lavoro, ed il fatto nuovo desiderato potrà essere la svalutazione della lira.

E voi avrete creato anche nel contribuente, che era interessato alla rivalutazione, questa mentalità disfattista che non lo cointeresserà in quella lotta che il Governo sta riprendendo per sanare le finanze, perché ha opposto interesse. Ecco perché, pure essendo sicuro che le mie ragioni saranno inesorabilmente respinte dal Governo e dalla Commissione, insisto nel mio emendamento. Se non altro, avrò fatto il mio dovere.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore, La Commissione, avendo proposto un elevamento di aliquote, non può che respingere l’emendamento Cannizzo. Devo dire però che l’onorevole Cannizzo, quando vuol giudicare le ragioni per cui la Commissione ha elevato le aliquote, si deve riferire sempre alla situazione base da cui siamo partiti, cioè l’imposta straordinaria proporzionale che, come diceva l’onorevole Scoccimarro, colpisce con il 4 per cento i patrimoni di 100 mila lire. Ora, se da questo 4 per cento arriviamo al 17 per cento per i patrimoni di 100 milioni, non mi pare che abbiamo qui perpetrato un sistema di ingiustizia tributaria.

D’altra parte, io e la Commissione consideriamo questa legge sull’imposta straordinaria come un correttivo anche a quella che è stata la difficoltà con cui il sistema tributario si è adattato alla situazione che si è creata con la svalutazione della lira. I congegni tributari non hanno potuto seguire la svalutazione della lira nonostante che i Ministri succedutisi alle Finanze abbiano lavorato attivamente per questo.

Ora, queste aliquote servono a recuperare quello che il fisco in un certo senso non ha percepito da molti anni a questa parte. Guardate anche da questo punto di vista, le aliquote non sono alte per i patrimoni fino a 100 milioni: sono tutt’altro che alte; ed a nostro giudizio sono sopportabili. Per i patrimoni al disopra dei 100 milioni entra un altro criterio. Siccome i piccoli patrimoni, benché non abbiano una grande capacità contributiva, sono stati tassati perché rappresentano la massa del gettito fiscale, per ragioni di giustizia abbiamo dovuto tassare fortemente i grossi patrimoni. La Commissione prega i colleghi di non insistere sulla modificazione delle aliquote.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il suo parere.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo non può dare parere favorevole all’emendamento Cannizzo. Già in occasione delle riunioni preparatorie, il Governo aveva manifestato il suo consenso ad adeguare le tabelle delle aliquote. La nuova tabella sostanzialmente era già concordata con il Governo. Per questo devo pregare l’Assemblea di mantenerla ferma.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Aderisco al testo della Commissione, accettato dal Governo. Può sembrare strano che da questa parte della Camera venga la conferma della richiesta di aliquote così alte.

SCOCCIMARRO. Sembra strano che venga da lei! Ne siamo felici.

CORBINO. Mi permetto di farle notare, onorevole Scoccimarro, che in un progetto d’imposta sul patrimonio da me preparato nel 1944 proponevo aliquote che al di là di certe cifre arrivavano al cento per cento e proponevo queste aliquote perché noi abbiamo applicato e stiamo applicando in Italia, per alcuni patrimoni, un’imposta reale che supera il 99 per cento del patrimonio. Mi riferisco a tutti coloro che erano creditori dello Stato per somme prestate anteriormente al 1914 che hanno pagato e che pagano il 99,70 per cento del patrimonio, con un’imposta reale che si applica anche per i patrimoni di 100 lire che nel 1914 potevano costituire il risparmio di una persona di servizio che avesse lavorato per vent’anni.

Del resto, le guerre hanno questa funzione: di facilitare lo spostamento della ricchezza da una categoria all’altra, e di eliminare coloro che sono molto al di sopra del patrimonio medio. Nel nostro Paese costoro non sono molti. Le aliquote altissime non colpiranno che pochi casi, e per questi pochi casi, cioè a dire di gente che dovrà pagare il 61,61 per cento su un patrimonio fiscale superiore al miliardo e mezzo, e che resterebbe con un patrimonio fiscale di 600 milioni almeno, io domando se nessuno di noi, se nessuno di tutti gli altri contribuenti italiani, non saremmo disposti a prendere la posizione di questi contribuenti, pagare il 60 per cento, e trattenere il 40 per cento per conto proprio.

C’è un contenuto sociale in questa legge; c’è un contenuto politico…

SCOCCIMARRO. Finalmente lo dice anche lei!

CORBINO. L’ho sempre detto. C’è un contenuto politico e il contenuto politico è questo: che se vi sono dei danni da riparare, delle ricchezze da ricostruire, l’onere più forte deve cadere su chi ha di più. (Applausi generali).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il suo parere.

PELLA, Ministra delle finanze. Aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Debbo porre ora ai voti l’emendamento dell’onorevole Cannizzo.

CANNIZZO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Seguono gli emendamenti dell’onorevole Rescigno:

«Al primo comma, sopprimere l’alinea: 3.000.000 di lire …6,00 per cento».

«Al terzo comma, sopprimere l’alinea: tra 3.000.000 e 5.000.000 …50 per cento».

Questi emendamenti si intendono assorbiti.

RESCIGNO. D’accordo.

PRESIDENTE. Vi è ora l’emendamento dell’onorevole Veroni così concepito:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Per i patrimoni costituiti per oltre la metà del loro valore di fabbricati soggetti al regime vincolistico, le aliquote di cui sopra vengono ridotte ad un terzo per i patrimoni sino a 10 milioni di valore e alla metà per quelli di valore superiore».

L’onorevole Veroni ha facoltà di svolgerlo.

VERONI. Questo mio emendamento, come quello degli onorevoli Crispo, Cifaldi, ed altri, è inteso ad alleggerire le pressioni tributarie sugli immobili, soggetti al vincolo dei fitti.

Ora il Presidente della Commissione ed il Ministro delle finanze hanno avuto occasione di dichiarare che per questa grave situazione creata ai fabbricati oppressi da regime vincolistico, bisogna riportarsi alla disposizione dell’articolo 10 della legge in discussione che prevede la loro discriminazione riferibilmente all’accertamento del loro valore: non si tratta, infatti, di determinazione di aliquote, ma di determinazione di valore.

Pur riconoscendo ciò, io vorrei, anche a nome degli altri colleghi che hanno presentato un separato emendamento, cioè gli onorevoli Crispo, Cifaldi ed altri, sapere dal Ministro ed anche dal Presidente della Commissione, che ha preparato questa dizione diversa dalla proposta ministeriale, che significato ha il generico proposito di «discriminare» i fabbricati secondo che siano o meno soggetti a regime vincolistico. Con quali criteri avverrà questa discriminazione?

Questo è bene si sappia, dopo di che noi ci indurremo a ritirare o meno l’emendamento.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo ha già avuto occasione di esprimere il suo pensiero al riguardo, quando ebbe ad osservare che, a suo avviso, l’esplicita discriminazione fra fabbricati soggetti o meno a regime vincolistico era sostanzialmente pleonastica, poiché la Commissione censuaria centrale, dovendo procedere alla determinazione del valore venale dei fabbricati per il periodo di riferimento, evidentemente deve considerare tutti gli elementi che concorrono a determinare questo valore ed in prima linea il reddito, che è uno degli elementi essenziali per la determinazione del valore capitale.

Tutto ciò può essere fatto dalla Commissione censuaria centrale sulla base della situazione del mercato, poiché è notorio che i fabbricati soggetti a regime vincolistico valgono molto meno di quelli che non sono soggetti a tale regime.

Quindi la portata dell’emendamento, ad avviso del Governo, è che la Commissione censuaria dovrà tener conto del minor reddito di questi fabbricati per adottare una valutazione più bassa, ciò che del resto ha già accusato il mercato con le sue leggi meccaniche.

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. Tenendosi conto di queste ampie dichiarazioni che ha fatto il Ministro e che potranno servire di norma alla Commissione centrale censuaria e più tardi ai competenti Uffici delle imposte, ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Vi è ora il seguente emendamento aggiuntivo degli onorevoli Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi, Perrone Capano e Rubilli:

«Aggiungere, in fine, le parole seguenti: Per i patrimoni costituiti prevalentemente da fabbricati soggetti a regime vincolistico le aliquote suddette vengono ridotte alla metà».

I proponenti lo mantengono?

CIFALDI. Se permette, desidererei mantenerlo.

PRESIDENTE. Lo pongo allora ai voti.

(Non è approvato).

 

Passiamo all’emendamento Cannizzo cui ha dichiarato di aderire l’onorevole Foresi:

«Aggiungere, in fine:

«Nel caso di morte del contribuente tra il 28 marzo 1947 ed il 30 settembre 1947, all’asse ereditario sarà applicata l’aliquota di imposta pertinente al quoziente risultante dalla divisione del patrimonio del contribuente per il numero dei figli».

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Mi pare che i colleghi devono essere d’accordo nel ripudiare questo emendamento. Esso va contro i principî che sono basilari in materia finanziaria; e tanto meno in questa imposta, che è così importante, può essere lecito creare delle eccezioni che più tardi potrebbero essere poi invocate in casi consimili.

L’elemento essenziale in materia finanziaria è la data a cui va riferita l’esistenza del cespite da assoggettare al tributo; e qui con l’articolo 1 si è perentoriamente stabilita la data del 28 marzo 1947. Pertanto, ogni evento successivo a quella data non può in alcun modo avere efficacia. La data della denuncia è elemento solo accidentale; e poiché d’altra parte il termine della denuncia può essere suscettibile di variazioni (già fu variato due volte questo termine dopo l’emanazione del decreto) è ovvio che non si possa lasciare alla stessa volontà del contribuente la decorrenza della data agli effetti dell’emendamento proposto.

È insomma indispensabile che rimanga fissa e per tutti uguale la data cui l’accertamento va riferito; il che non risponde solo ad un principio che è incontestabile, non potendosi tenere conto dei fatti successivi, ma è anche necessario se si vuole che l’imposta abbia a dare il gettito ripromesso. Gli onorevoli colleghi avranno certamente subito avvertito la gravità delle conseguenze in caso di accoglimento della proposta; ed invero nel caso che un padre avente dieci milioni venga a decedere dopo il 28 marzo 1947, secondo l’emendamento il patrimonio si dividerebbe tra i figli e in concreto quindi l’imposta progressiva sarebbe elegantemente elusa.

Invito pertanto i colleghi a respingere l’emendamento proposto dall’onorevole Cannizzo.

CANNIZZO. Io chiedo di svolgere il mio emendamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANNIZZO. Se il collega mi avesse prima ascoltato, non avrebbe fatto molte delle sue osservazioni.

BUBBIO. Sarà difficile che mi convinca; la questione è dura.

CANNIZZO. So perfettamente che il mio emendamento ha carattere eccezionale, e che il Governo e la Commissione mi obietteranno che l’imposta colpisce i patrimoni secondo la loro consistenza al 28 marzo 1943. Ma ritengo che, in sede di emendamenti, si possa proporre una disposizione eccezionale.

Ci troviamo in presenza di un evento che nessuno può affrettare o ritardare: la morte. La questione è di esaminare se, in considerazione di determinati casi pietosi, si possa accettare il principio della deroga alla legge; poiché, lo riconosco, si tratta di derogare alla legge. Mi pare che sia doveroso aiutare una famiglia quando è colpita dalla morte del padre, che lascia figli in tenera età, i quali non hanno ancora l’abilità di potere badare agli affari, che devono pagare le spese funebri e di malattia e l’imposta di successione. Si vorrà fare differenza tra grandi e piccoli patrimoni? Non credo. Si tratta di affermare un principio e la morte del resto non fa distinzione.

Potrei accogliere un criterio limitativo, nel senso di non portare la data al 30 settembre 1947; ma dichiaro che mi sono riferito a quella data, perché è la data del termine di presentazione delle denunce.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA. Relatore, La Commissione non ha nulla da aggiungere alle osservazioni, esattissime, fatte dall’onorevole Bubbio. Il patrimonio si accerta al 28 marzo 1947. Non possiamo tener conto di quello che succede dopo, anche perché quelli che muoiono dopo il 30 settembre vengono a trovarsi in una situazione di svantaggio. C’è una ragione di logica. All’articolo 3 abbiamo cumulato i patrimoni già divisi; sarebbe strano che qui dividessimo i patrimoni uniti.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo è contrario all’emendamento proposto dall’onorevole Cannizzo.

Ciò che avviene posteriormente al 28 marzo non può influire sull’applicazione dell’imposta.

Abbiamo respinto la possibilità di tener conto di determinate detrazioni per eventi che possono verificarsi posteriormente al 28 marzo, anche in casi in cui un atto di generosità poteva essere opportuno.

Non l’abbiamo potuto fare per la ferrea logica della legge. Per questo mi duole di non potere aderire al temperamento chiesto dall’onorevole Cannizzo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Cannizzo.

(Non è approvato).

LA MALFA, Relatore. A nome della Commissione, propongo di sopprimere l’ultimo comma dell’articolo proposto dalla Commissione stessa e così formulato:

«Le società, ditte ed enti costituiti all’estero debbono l’imposta sul patrimonio accertato al loro nome con aliquote corrispondenti ad un terzo, con il massimo del 10 per cento».

Questo comma può essere trasferito, a suo tempo, nel titolo relativo agli enti collettivi.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la soppressione del comma proposta dalla Commissione.

(È approvata).

L’articolo 29 si intende pertanto approvato nel testo proposto dalla Commissione, con la soppressione dell’ultimo comma.

Vi è ora la proposta del seguente articolo 29-bis presentata dagli onorevoli Pesenti, Scoccimarro, Foa, Valiani e Lombardi Riccardo:

«Il patrimonio imponibile delle società, le cui azioni sono quotate in borsa, è valutato in base alla media dei prezzi di compenso del trimestre indicata dall’articolo 18.

«In tale valore imponibile nessuna detrazione è consentita.

«Il patrimonio imponibile delle società ed enti diversi da quelli indicati nel comma precedente è valutato in base alle disposizioni degli articoli 9 e seguenti della presente legge.

«In tale patrimonio imponibile sono detraibili soltanto le passività afferenti ai cespiti patrimoniali che formano oggetto imponibile».

Poiché tale emendamento riguarda gli enti collettivi, sarà esaminato quando si discuterà di tale materia.

Gli onorevoli Zerbi, Uberti, Salvatore, Cimenti e Germano hanno proposto il seguente articolo aggiuntivo 29-bis:

«Agli effetti dell’applicazione in via definitiva delle aliquote di cui all’articolo 29, il contribuente il quale, al 28 marzo 1947, avesse almeno due figli viventi o premorti con prole può chiedere di essere ammesso a pagare l’imposta con l’aliquota pertinente al quoziente risultante dalla divisione del proprio patrimonio imponibile per il numero dei figli e delle loro stirpi, esclusi però da tal numero i figli che abbiano un patrimonio proprio soggetto all’imposta a norma dell’articolo 29.

«Quando il coniuge del contribuente abbia un proprio patrimonio imponibile a norma del precitato articolo, il quoziente anzidetto sarà calcolato sul cumulo dei patrimoni imponibili dei coniugi, i quali saranno colpiti, in via definitiva, con la medesima aliquota.

«Qualora il quoziente determinato come sopra risultasse inferiore al minimo imponibile di cui all’articolo 28, il patrimonio del contribuente e quello del coniuge saranno ugualmente soggetti all’imposta con l’aliquota minima.

«Non è ammesso l’esercizio della facoltà di cui al presente articolo quando il patrimonio imponibile accertato oppure il cumulo a norma del secondo comma superino i cento milioni di lire.

«Non potrà esercitare la facoltà accordata dal presente articolo il contribuente il quale non ne abbia fatto esplicita richiesta contemporaneamente alla dichiarazione di cui all’articolo 30. Tale dichiarazione dovrà essere sottoscritta anche dal coniuge nel caso di cui al comma secondo».

L’onorevole Zerbi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

ZERBI. Dopo la sorte subìta dall’opportunissimo emendamento dell’onorevole Tozzi Condivi, il nostro ha ben scarse probabilità di successo. L’emendamento da me proposto insieme con gli onorevoli Uberti, Salvatore, Cimenti e Germano vuole alleviare l’aliquota progressiva dell’imposta in rapporto al numero dei figli del contribuente. A tal fine gli interi patrimoni fiscali dei coniugi vengono cumulati, mentre non si considerano come figli a carico quelli che già abbiano una propria autonomia patrimoniale fiscalmente accertata.

È proposito particolarmente caro alla sociologia cristiana quello di valorizzare il nucleo familiare quale elemento costitutivo della società statale. Ciò dovrebbe autorizzarci a sperare che una porzione non piccola di quest’Assemblea dovrebbe convenire nel riconoscere che, specie in questa sede di tassazione straordinaria, progressiva e patrimoniale, non sia equo ignorare la numerosità della famiglia del contribuente o tenerne il piccolo conto che ne tiene l’articolo 28 votato poc’anzi.

Non è equo – almeno quando non si tratti di patrimoni veramente ingenti – colpire con la medesima aliquota il padre che abbia una prole anche numerosa ed il contribuente che prole non abbia o che abbia un figlio unico.

Ma il nostro emendamento servirebbe anche ad attenuare quello che a parer nostro sarà un inconveniente dell’articolo 3. Con tale articolo vengono ricondotti all’ascendente – agli effetti dell’imposta progressiva – i componenti patrimoniali che, dopo il 28 marzo 1947, siamo passati a discendenti a titolo gratuito – dote esclusa – od anche a titolo oneroso, quando l’accipiente non possa dimostrare di avere pagato con capitali propri. Teoricamente tale cumulo riguarderebbe tanto i beni mobili che gli immobili, ma in linea di fatto esso inciderà quasi esclusivamente sui trapassi immobiliari. Questi, infatti, hanno documentazione solenne e pubblica, mentre i trapassi di ricchezza mobiliare non hanno abitualmente tale documentazione o ne hanno di meno evidente. I trapassi di pacchetti azionari, ad esempio, avranno lasciato tutt’al più traccia in un fissato bollato e nell’annotazione sul libro degli azionisti e nello schedario centrale, se avvenuti dopo l’adozione della nominatività obbligatoria.

Senonché, quando tale trapasso fosse stato suggerito da propositi di esazione fiscale, è da ritenere che il rapporto diretto fra ascendente e discendente sia stato per lo più occultato con l’interposizione di un prestanome e con due fissati bollati, invece di uno: il primo per il trapasso dall’ascendente al prestanome ed il secondo per quello dal prestanome al discendente. Il tutto, fino a pochi mesi fa, era attuabile senz’alcun apprezzabile onere fiscale, onere tuttavia irrisorio rispetto alle gravi aliquote che colpirebbero le grandi concentrazioni patrimoniali.

L’emendamento da noi proposto non respinge affatto, anzi utilizza il cumulo disposto dall’articolo 3 e lo completa estendendolo all’intero patrimonio imponibile del coniuge, e su tale vasto cumulo vorrebbe innestare una larga considerazione del numero dei figli del contribuente.

Ulteriori commenti sono forse superflui a chiarire il contenuto del nostro emendamento.

Non potrà usufruire della facoltà di cui al nostro emendamento chi abbia un cumulo patrimoniale ingente, superiore al massimo di 50 milioni di lire attuali. Nel proporre tal limite abbiamo avuto presente il rapporto di 1 a 60 adottato dall’onorevole La Malfa, a pagina 13 della sua relazione, per la comparazione fra le lire del 1920 e quelle del 1947. Pertanto, il limite proposto corrisponderebbe ad un cumulo patrimoniale massimo di 833.000 lire del 1920.

Ci pare anche di avere evitato molte complicazioni procedurali in quanto si condiziona il diritto del contribuente di usufruire del proposto trattamento speciale ad una sua domanda fatta contemporaneamente alla denuncia patrimoniale, sottoscritta dal coniuge, qualora anche tutto il patrimonio del coniuge debba cumularsi. E con ciò si è esonerata l’amministrazione finanziaria da ogni obbligo nell’amministrazione del nucleo familiare.

PRESIDENTE. Qual è l’avviso della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione non accetta l’emendamento Zerbi.

PRESIDENTE. Qual è l’avviso del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. L’emendamento proposto dall’onorevole Zerbi resterà certamente negli atti parlamentari come un contributo intelligente per la soluzione di un complicato problema, qualora venissero ammessi i presupposti da cui l’onorevole Zerbi parte. Ma siccome l’onorevole Zerbi per primo dovrà convenire che il Governo non può accettare la premessa, non potrà, di conseguenza, stupirsi se non accetto il suo emendamento.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Zerbi.

(Non è approvato).

Vi è ora la proposta di un articolo 29-ter degli onorevoli Pesenti, Scoccimarro, Foa, Valiani e Lombardi Riccardo. L’articolo sarebbe così formulato:

«Sono soggetti ad imposta gli enti collettivi il cui patrimonio valutato a norma dell’articolo precedente è superiore a cinque milioni.

«L’ammontare dell’imposta da corrispondersi è determinata in base alle seguenti aliquote da applicarsi nel patrimonio valutato a norma dell’articolo precedente:

 

fino a 5 milioni, esenti

 

 

da 5 a

20 milioni

1 %

da 20 a

50   

1,50%

da 50 a

100

2%

da 100 a

250

2,50%

da 250 a

500

3%

da 500 a

1000

3,50%

da 1 a

2 miliardi

4%

da 2 a

5

4,50%

da 5 a

10

5%

da 10 a

20

5,50%

oltre i 20 miliardi

….

6 %

Poiché anche questo articolo riguarda gli enti collettivi, lo rimandiamo a quando verrà posta in discussione la questione.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero richiamare l’attenzione del Governo sopra un problema sul quale stiamo concordando un ordine del giorno con gli altri settori della Camera a proposito delle modalità di pagamento specialmente per quanto concerne i contribuenti colpiti da aliquote altissime. Vorrei che il Governo si preoccupasse fin da ora di escogitare i mezzi relativi al versamento dell’imposta in modo che non si determini un grave sconquasso nell’economia nazionale; specialmente avuto riguardo a quei casi in cui una grande parte del patrimonio dovrà essere versata sotto forma di imposta. Prego il Governo di mettere allo studio questo problema fin da questo momento.

LA MALFA, Relatore. Mi associo alla richiesta dell’onorevole Corbino.

PRESIDENTE. Torniamo allora per un momento indietro ad esaminare gli emendamenti relativi all’articolo 25, di cui molti sono stati già assorbiti e superati con le votazioni successive.

Si dia lettura innanzi tutto del testo dell’articolo 25 proposto dalla Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Si presume che facciano parte del patrimonio del contribuente le seguenti quote percentuali in conto rispettivamente del valore del mobilio, dell’arredamento e dei gioielli, del danaro, dei depositi e dei titoli di credito al portatore:

 

Fino a

6 milioni

Fino a

10 milioni

Fino a

60 milioni

Oltre

60 milioni

Mobilio, arredamento e gioielli.

3%

5%

7%

10%

Denaro, depositi e titoli di credito al portatore

2%

4%

6%

10%

«Dette quote si computano con riferimento al patrimonio netto, risultante dalla differenza tra il valore lordo delle attività, escluse quelle costituite dai cespiti sopra indicati, e l’ammontare delle passività deducibili.

«Le quote stabilite nel comma precedente rappresentano l’ammontare minimo dei cespiti soggetti all’imposta, al quale si elevano i valori eventualmente dichiarati per una cifra inferiore, fermo l’obbligo, da parte del contribuente, di dichiarare il maggior valore di ognuno dei cespiti indicati effettivamente posseduto, e ferma la facoltà, da parte della finanza, di procedere all’accertamento di maggiori valori in base a dati e circostanze di fatto.

«La quota presunta in conto mobilio, arredamento e gioielli è ridotta alla metà nei riguardi del cittadino e dello straniero residenti all’estero, che abbiano beni nello Stato. La quota non si aggiunge se non risulti che detti contribuenti possiedano del mobilio nello Stato».

A questo articolo è stato presentato un emendamento sostitutivo, dagli onorevoli Bosco Lucarelli, Perlingieri, Turco, Coppi Balduzzi, Titomanlio Vittoria, Salizzoni, De Unterrichter Maria, Caristia e Viale, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Per i patrimoni superiori ai 5 milioni, e salvo maggiore valutazione, si presume una quota del 3 per cento in conto del valore del mobilio, dell’arredamento e dei gioielli, nonché una quota del due per cento in conto del danaro, dei depositi e dei titoli di credito al portatore».

Non essendo presente l’onorevole Bosco Lucarelli, prego uno dei firmatari, l’onorevole Balduzzi, di dichiarare se intende mantenere questo emendamento.

BALDUZZI. Rinuncio all’emendamento. Faccio mio, invece, l’altro emendamento a firma dell’onorevole Bosco Lucarelli così formulato:

«Nella tabella contenuta nel primo comma alle parole: fino a 5 milioni, sostituire le parole: fino a 10 milioni, e alle parole: fino a 10 milioni, sostituire le parole: fino a 20 milioni».

Rinunzio peraltro a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. La Commissione ha attenuato in questi casi la gravezza delle aliquote del provvedimento governativo. Infatti, se leggete il testo del disegno di legge, vedete che si fissa una quota del 7 per cento pel mobilio e del 5 per il denaro. La Commissione non intende spostarsi dal testo governativo e prega il collega Balduzzi di non insistere su questo emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Prego l’onorevole Balduzzi di non insistere sull’emendamento perché il testo concordato dal Governo con la Commissione – a parte tutte le critiche che in sede teorica può trovare – in sede pratica risolve abbastanza bene il problema.

PRESIDENTE. Onorevole Balduzzi, mantiene l’emendamento?

BALDUZZI. Non vi insisto.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento a firma degli onorevoli Condorelli, Quintieri Quinto, Corbino, Colonna, Benedettini, Fabbri e Perrone Capano, così formulato:

«Emendare il primo comma come segue:

«Si presume che faccia parte del patrimonio del contribuente una quota del 7 per cento, in conto del valore del mobilio, dell’arredamento e dei gioielli, nonché una quota del 5 per cento in conto del denaro, dei depositi, dei titoli di credito, nominativi o al portatore».

L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgerlo.

CONDORELLI. Il testo del mio emendamento va naturalmente modificato in relazione all’emendamento ora approvato dalla Commissione, perché io mi riferisco alle quote stabilite nel decreto che andiamo convalidando, mentre le quote che ha stabilito la Commissione e che sono state accettate dal Governo, sono inferiori.

Si tratta di un problema di equità e di giustizia, compatibile anche con le esigenze del fisco.

Tutti quanti abbiamo la coscienza che i titoli di Stato abbiano già largamente pagato questa imposta sul patrimonio, come ora ha detto l’onorevole Corbino con la sua competenza. Ci sono effettivamente titoli di Stato che hanno pagato proprio questa stessa imposta sul patrimonio, nella misura del 99 per cento. Il titolo di Stato meglio trattato sarebbe quello che ha preceduto il Prestito della ricostruzione, che deve aver pagato questa imposta almeno per il 70 per cento.

Ora, sarebbe necessario preoccuparsi di questi titoli di Stato: viceversa, nella legge nulla si è fatto, probabilmente per la impossibilità di stabilire in quale momento erano stati acquistati. Perché chi è detentore di titoli emessi per esempio nel 1914, non è detto che sia il sottoscrittore, anzi, probabilmente, non è il sottoscrittore, può essere un borsaro nero che ha investito in titoli di Stato i suoi male acquistati guadagni.

Però, nel quadro di tutti questi titoli di Stato, quelli che sono stati addirittura maltrattati sono proprio quelli che avrebbero avuto diritto ad una maggiore considerazione. Parlo dei titoli nominativi e dei buoni postali fruttiferi.

Questi titoli nominativi e i buoni postali fruttiferi portano proprio impressa nella loro natura, la loro origine e il contributo vasto che hanno dato, l’esproprio che hanno subito. Questi titoli nominativi, in genere, non sono altro che le doti e i beni dei minori che, non potendosi tener in denaro liquido o in titoli al portatore, sono stati così investiti. I buoni postali fruttiferi sono i risparmi dell’umile gente, che tutto in una volta si vede trasportata, per l’inflazione, nel rango dei milionari.

E noi possiamo dire questo: che un titolo di 10.000 lire vi porta dalla zona esente dall’imposta alla zona tassata.

Ora, il trattamento di rigore che è stato fatto, consiste in questo: che, mentre c’è per tutte le altre possidenze liquide – depositi di banca, denaro contante, titoli al portatore – il conglobamento nella percentuale stabilita dalla legge, i titoli da me considerati si presuppongono come al di là della percentuale, necessariamente al di là.

Questo è ingiusto ed è ingiusto, prima di tutto, dal punto di vista probatorio, perché viene a costituire una presunzione, che è certamente contraria alla verità; perché, in sostanza, noi cosa abbiamo? Che si presume che questi titoli nominativi e buoni postali fruttiferi siano un qualche cosa che sia necessariamente un di più di quella scorta di liquido che presumiamo, necessariamente, in ogni patrimonio.

Ora, questo non è assolutamente vero, perché chi investe denaro preferisce i titoli al portatore, evidentemente. Prendono titoli nominativi quelli che non possono tenere titoli al portatore, principalmente per ragioni attinenti al loro stato civile. Non è che questi siano dei contribuenti che, oltre quei tali titoli al portatore hanno questi altri; sono invece delle persone che hanno titoli nominativi, proprio perché non possono avere titoli al portatore.

Viceversa, noi andiamo a creare, a base del congegno previsto dalla legge, una presunzione che è tutto l’opposto della realtà: che questi titoli nominativi siano posseduti oltre ai titoli al portatore.

Ebbene, penso che, fermo restando l’obbligo della denunzia che è per tutti i beni mobili, questi titoli nominativi e i buoni postali fruttiferi che sono i risparmi della povera gente – di coloro che, non potendo comprare dei cespiti reali, acquistano un titolo, perché chi risparmiava 500 o 1000 lire, l’impiegato, il contadino, non poteva fare altro che andarsi a comprare un buono postale fruttifero, si denuncino, ma siano compresi in questa quota del 5 per cento, o in quella che stabilirà la legge; e che non si debbano presumere necessariamente come un’aggiunta a questa quota. Io spererei che, una volta tanto, la Commissione e il Ministro rinunciassero al sistema di estrema, di eccessiva difesa del fisco, tanto più che quanto da me proposto non potrà spostare sostanzialmente le posizioni, in quanto i titoli nominativi sono pochi.

I buoni postali fruttiferi sono indubbiamente molti, ma hanno tutti quanti quella stessa origine: origine di lavoro, di risparmio faticoso di povera gente, in rapporto alla quale è veramente intollerabile che si faccia un trattamento più rigoroso di quello che si fa ai titoli al portatore.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. L’onorevole Condorelli, in certo senso, ha posto un problema che preoccupa ed ha preoccupato la Commissione; c’è indubbiamente un certo fondamento di verità in quello che l’onorevole Condorelli ha detto. Tuttavia, come facciamo noi a mettere in una quota presuntiva i titoli nominativi? Da che punto di vista possiamo farlo?

Nel sistema della legge, come possiamo considerare presuntivamente titoli nominativi? Mi pare un assurdo così evidente che, con la migliore buona volontà, la Commissione non si trova in grado di accogliere la proposta.

CONDORELLI. Onorevole Presidente, mi consenta di replicare.

PRESIDENTE. Sia breve, onorevole Condorelli.

CONDORELLI. La obiezione che mi fa l’onorevole La Malfa io l’avevo già prevista. Io non dico che si debba fare un accertamento presuntivo, ma dico che i titoli di cui ho parlato, se non superano quella data percentuale, vadano nella percentuale. In sostanza, infatti, la legge viene a creare una presunzione che è contro la verità: la presunzione cioè che essi vadano oltre la percentuale, mentre essi invece rientrano nella percentuale, rientrano cioè nel 5 per cento.

LA MALFA, Relatore. Ma in verità l’emendamento parla di presunzione.

CONDORELLI. Perdoni. Io non ho grandi doti, ma quella della chiarezza me l’hanno sempre riconosciuta tutti. L’obbligo della denuncia esiste per tutti i titoli: sarà anche vero che i furbi non denunzieranno i titoli al portatore, ma l’obbligo non cessa per questo di esistere.

Io ritengo dunque, che si possa benissimo dire: si presume che facciano parte del patrimonio del contribuente, ecc., ecc., in conto del denaro, dei depositi, dei titoli nominativi e al portatore. Poi c’è il comma successivo che dice: questa quota viene considerata però soltanto come un minimo; se poi di fatto c’è di più, si paga.

Ciò vuol dire che quando sarà fatta la denuncia, e tra titoli al portatore e nominativi, compresi i buoni postali fruttiferi, si abbia superato quel 5 o 7 per cento, sul di più, si dovrà pagare.

Perciò credo che anche questa volta sia stato chiaro.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA MALFA, Relatori. Non sono d’accordo con l’onorevole Condorelli, in questo senso: che la presunzione, così com’era stabilita nel disegno di legge governativo – fermo restando l’obbligo della dichiarazione – era una presunzione per valori che potevano sfuggire ad un accertamento; in un certo senso la presunzione ha questo significato, e lo dobbiamo confessare. Noi diciamo: dovete denunciare questi valori, ma siccome sono di difficile accertamento, li calcoliamo in via presuntiva. Quando aggiungiamo «nominativi», tutto questo sistema cade. È stato prospettato il caso di beni dei minori investiti in titoli. Vorrei sentire il Ministro su questi determinati casi. Qui vi è una dizione talmente generica che sotto la denominazione di titoli nominativi può passare parecchia roba, mi pare.

PRESIDENTE. Qual è il parere dell’onorevole Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. La ragione sistematica dovrebbe portare all’esclusione della richiesta dell’onorevole Condorelli, perché una volta impostato il sistema dell’articolo 25 sull’accertamento presuntivo di ciò che è al portatore, deriva da una tale impostazione l’inammissibilità dell’emendamento.

Vi è un caso che può richiamare la nostra attenzione: il caso del minore intestatario di determinati titoli che sono rimasti al suo nome per più anni e che, quindi, evidentemente, hanno subìto in pieno la svalutazione.

Se l’onorevole Condorelli ritiene che la Commissione e il Governo possano studiare questo problema, credo che si potrebbe ricercare una formula che offra qualche particolare agevolazione per il minore, o per qualche altro caso che sia assimilabile a quello del minore, soprattutto, ripeto, quando è evidente che i titoli, per essere rimasti nelle stesse mani per tutto il periodo dell’inflazione, hanno scontato automaticamente gli effetti dell’inflazione stessa.

Se l’onorevole Condorelli, invece, insistesse per avere una votazione immediata del suo emendamento, dovrei pronunciarmi contro l’emendamento stesso.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, insiste per la votazione?

CONDORELLI. Evidentemente, non posso insistere per la votazione immediata. Prego, però, il Ministro e la Commissione di volermi ascoltare quando esamineranno questo problema.

LA MALFA, Relatore. Vorrei proporre che si voti l’articolo 25 anche per questa parte, salvo ad aggiungere un comma per quei casi che prenderemo in considerazione.

CONDORELLI. Pregherei di lasciare impregiudicata la questione, perché oso sperare di potervi sottoporre degli argomenti che mi daranno ragione anche sulla parte sulla quale non mi sembra che mi si voglia dar ragione. Del resto, dovendo sospendere, mi pare che sarebbe bene sospendere per intero.

LA MALFA, Relatore. Francamente, il primo comma così com’è a me pare che si debba lasciare. Se si devono fare delle eccezioni, facciamole con un titolo specifico, quindi con un comma specifico.

Io apprezzo molto le opinioni dell’onorevole Condorelli e ammetto che mi possa convincere di molte cose, ma spostare la questione sino ad includere, sia pure per inciso, i titoli nominativi, mi pare vada oltre il segno.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Dati i termini in cui si svolge la discussione, sono pronto a ritirare l’emendamento ed a lasciare a voi tutta la responsabilità della cosa!

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei fare una proposta sul piano pratico. Dall’emendamento dell’onorevole Condorelli nascono dei suggerimenti di cui la Commissione ed il Governo terranno conto. Se per ragioni di ordine procedurale, per il sollecito procedimento dei nostri lavori, riteniamo opportuno di votare – magari respingendolo – l’emendamento dell’onorevole Condorelli, tutto questo deve avere però un significato; che l’emendamento dell’onorevole Condorelli, anche se provvisoriamente respinto, lasci una traccia feconda attraverso l’impegno della Commissione e del Governo di riservarsi la presentazione di altro emendamento che tenga eventualmente conto di buona parte dello spirito della proposta dell’onorevole Condorelli.

PRESIDENTE. Mi pare che, avendo l’onorevole Condorelli ritirato l’emendamento, non sia il caso di metterlo in votazione. L’emendamento sarà tenuto presente dal Governo perché eventualmente prepari un articolo aggiuntivo…

LA MALFA, Relatore. Un comma.

PRESIDENTE. …un comma aggiuntivo da approvare nella seduta di martedì. Così non c’è il rigetto e resta il desiderio dell’onorevole Condorelli all’esame del Governo e della Commissione. Mi pare che questa, possa essere la soluzione.

L’onorevole Caroleo ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma aggiungere:

«Nel calcolo delle attività non si comprende, ai fini della determinazione delle quote predette, in conto mobilio e denaro, il valore attribuito ai fabbricati soggetti a regime vincolistico».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. Insisto perché questo emendamento venga accolto. Dopo la discriminazione ammessa nella legge tra fabbricati soggetti a regime vincolistico e fabbricati non soggetti a regime vincolistico, questo emendamento s’impone: «Nel calcolo delle attività non si comprende, ai fini della determinazione delle quote predette, in conto mobilio e denaro, il valore attribuito ai fabbricati soggetti a regime vincolistico».

Mi pare che presumere dette quote per proprietari senza reddito sia come voler mettere il denaro in tasca al contribuente, che non può averlo in maniera assoluta, perché non c’è nessun possessore di fabbricati soggetti a regime vincolistico che possa aver comprato mobili o messo da parte denaro. Mi pare che questa presunzione nei confronti di questi proprietari non debba operare. L’estenderla, ripeto, significherebbe questo: porre fittiziamente in tasca denaro al contribuente per avere poi il diritto di ripeterlo. È come se si mettesse un portafoglio vuoto in tasca ad un Tizio per richiederlo poi a questo stesso Tizio pieno di denaro, che non ha avuto e non ha preso.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Una volta che si tenga conto del sistema vincolistico in sede di valutazione, non si può tenerne conto in altra sede.

PRESIDENTE. Prego il Ministro di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Anch’io devo esprimere parere contrario all’emendamento dell’onorevole Caroleo. D’altra parte, vorrei sottolineare una conseguenza particolare che deriverebbe dall’accoglimento dell’emendamento.

Facciamo l’ipotesi di un uguale arredamento che sia posseduto da chi è proprietario di un fabbricato vincolato e da chi è proprietario di un fabbricato non sottoposto al vincolo. La percentuale presuntiva del proprietario d’un fabbricato vincolato, calcolata su un valore più basso, porta ad attribuire all’arredamento un valore ridotto; invece, la percentuale calcolata sul valore del fabbricato non vincolato, fa attribuire un più elevato valore all’arredamento che, come si diceva, è sempre lo stesso. In definitiva mi pare che vi siano nella legge dei correttivi che vanno oltre quello che vorremmo raggiungere. L’onorevole Caroleo si richiama ad un caso quasi marginale, il caso di colui che possiede soltanto un fabbricato vincolato. Lo possiede dall’epoca dell’altra guerra, e non ha mai posseduto altro. Forse esiste questo caso. Ma, purtroppo, non si possono prendere in considerazione questi casi marginali, per adottare soluzioni di specie che sconvolgerebbero tutta la legge.

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, insiste nel suo emendamento?

CAROLEO. Insisto.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Caroleo.

(Non è approvato).

Vi è ancora un emendamento all’articolo 25, degli onorevoli Condorelli, Quintieri Quinto, Corbino, Colonna, Benedettini, Fabbri e Perrone Capano, così concepito:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«La quota presunta in conto del danaro, dei depositi e dei titoli di credito è ridotta al 3 per cento nei riguardi del cittadino e dello straniero residenti all’estero che abbiano beni nello Stato».

L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgerlo.

CONDORELLI. Siccome penso che i cittadini residenti all’estero ovviamente svolgono all’estero la loro attività, è da supporre che questo denaro liquido non l’abbiano proporzionalmente al loro patrimonio in Italia, ma l’abbiano in parte all’estero. È da presumersi che ne abbiano almeno la metà all’estero, perché il patrimonio mobiliare si detiene essenzialmente dove si risiede.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

LA MALFA, Relatore. La Commissione è contraria.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero del Ministro?

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo è contrario.

QUINTIERI QUINTO. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

QUINTIERI QUINTO. Desidero fare un’osservazione di carattere generale, e non specifica. Questi coefficienti stabiliti in base a presunzione costituiscono solo un aggravio nella tassazione degli immobili e non colpiscono affatto i beni mobili, i valori al portatore od il denaro liquido. Si resta sempre a tassare il patrimonio immobiliare secondo un doppio coefficiente A e B, e non si tassa il denaro, né i gioielli, né le opere d’arte.

PRESIDENTE. La Commissione modifica il suo avviso di fronte a questa osservazione dell’onorevole Quintieri?

LA MALFA, Relatori. La Commissione rimane contraria.

PRESIDENTE. E il Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Tengo a sottolineare che troppo spesso si finisce per identificare tutta la ricchezza mobiliare con quella espressa in titoli al portatore.

Vi è invece da tenere in conto anche quella nominativa; vi è tutto il settore dei titoli azionari, settore che la Finanza non ha intenzione affatto di trascurare quando si procede al calcolo della quota presuntiva, che dev’essere calcolata non soltanto sul valore dei cespiti immobiliari, ma anche su quello dei titoli azionari che rappresentano un elemento tutt’altro che trascurabile.

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento dell’onorevole Condorelli ed altri.

(Non è approvato).

Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 25 si intende approvato.

Passiamo all’articolo 54. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il contribuente che ometta di presentare la dichiarazione nei termini stabiliti è soggetto al pagamento di una sopratassa pari all’ammontare dell’imposta definitivamente accertata, ed è punito con l’ammenda da una metà all’intera somma dell’imposta stessa.

«La sopratassa stabilita nel comma precedente è ridotta ad un terzo, nei casi in cui il contribuente presenti la dichiarazione entro 60 giorni dalla scadenza del termine, e l’ammenda non si applica.

«Ove il contribuente presenti la dichiarazione nei termini stabiliti dall’articolo 30, omettendo l’indicazione di uno o più cespiti, è soggetto ad una sopratassa pari alla quota proporzionale di imposta definitivamente accertata sui cespiti omessi, ed è punito con l’ammenda dalla metà all’ammontare della quota stessa.

«La sopratassa prevista nel comma precedente è ridotta ad un terzo, ove il contribuente dichiari i cespiti stessi entro 60 giorni dalla scadenza del termine, e l’ammenda non si applica.

«Ove il contribuente dichiari un valore imponibile inferiore a quello minimo determinato secondo le norme degli articoli da 34 a 37, è soggetto ad una pena pecuniaria pari alla differenza tra l’imposta liquidata sul valore determinato secondo le norme degli articoli sopra citati e quella liquidata sul valore dichiarato.

«La pena pecuniaria non si applica quando l’imposta di cui l’Erario sarebbe stato defraudato non supera il quinto dell’imposta dovuta».

PRESIDENTE. Su questo articolo, accettato dalla Commissione nel testo del Ministero, vi è un emendamento degli onorevoli Castelli Edgardo, Scoca, Coccia, Vicentini, Veroni, Nasi, Bassano, Tosi, Castelli Avolio, Arcaini e Pesenti, così formulato:

«Al terzo comma, dopo le parole: o più cespiti, aggiungere: o dichiarando debiti che risultino fittizi».

Il Governo e la Commissione hanno comunicato di accettarlo.

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

 

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Prego l’Assemblea di delegare il Governo a modificare in sede di coordinamento l’ultima parte del terzo comma, poiché mi sembra necessario prevedere l’applicabilità della soprattassa in conseguenza della dichiarazione di debiti fittizi: proporrei quindi la formula seguente, da aggiungere dopo le parole «sui cespiti omessi» le altre: «o che sarebbe stata sottratta».

PRESIDENTE. Il Ministro propone, dunque, che al terzo comma dell’articolo 54 dopo le parole: «sui cespiti omessi» si aggiunga l’espressione: «o che sarebbe stata sottratta».

LA MALFA, Relatore. La Commissioni accetta l’emendamento.

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Il terzo comma risulta pertanto così formulato:

«Ove il contribuente presenti la dichiarazione nei termini stabiliti dall’articolo 30 omettendo l’indicazione di uno o più cespiti, o dichiarando debiti che risultino fittizi, è soggetto ad una soprattassa pari alla quota proporzionale di imposta definitivamente accertata sui cespiti omessi, o che sarebbe stata sottratta, ed è punito con l’ammenda della metà dell’ammontare della quota stessa».

Non essendovi altre osservazioni, l’articolo 54 si intende approvato con l’emendamento testé votato.

Passiamo ora alle proposte di articoli aggiuntivi al disegno di legge, i primi tre de quali concernono la stessa materia. Ne do lettura:

Art. …

«L’Assemblea Costituente – a mezzo della sua Presidenza – nomina un ristretto Comitato di deputati che, in accordo col Ministero delle finanze, sorvegli costantemente l’applicazione della presente imposta.

«Adonnino».

Art. …

«L’Assemblea Costituente – a mezzo della sua Presidenza – nomina un ristretto Comitato di deputati che, in accordo col Ministero delle finanze, collabori alla emanazione di norme complementari e regolamentari e sorvegli costantemente l’applicazione della presente imposta.

«Cannizzo».

Art. …

«Resta in facoltà del Ministero delle finanze di presentare opportuni provvedimenti, intesi a fare affiancare da elementi tecnici di provata capacità, nominati eventualmente da consessi elettivi di cittadini, gli Uffici fiscali e le Commissioni provinciali.

«De Mercurio».

Questi tre articoli potrebbero essere esaminati complessivamente. L’onorevole Adonnino ha facoltà di svolgere il suo articolo aggiuntivo.

ADONNINO. Prendo solo la parola per chiarire il concetto del mio articolo aggiuntivo, specialmente di fronte ad altri simili articoli presentati.

PRESIDENTE. Mi pare piuttosto che si dovrebbe discutere sulla proponibilità di un organo quale quello indicato.

ADONNINO. Ma la opportunità di istituire un dato organo deriva dalla importanza maggiore o minore, dallo sviluppo maggiore o minore che a questo organo si voglia dare. E siccome l’importanza, lo sviluppo dell’organo che io propongo sono minimi, ne vorrei spiegare il motivo. Io ho fatto tesoro di una proposta che è stata avanzata dal Presidente della Commissione di finanza.

L’azione del Comitato di deputati che io propongo di nominare andrebbe tenuta nei limiti più ristretti.

Sento, per esempio, che l’onorevole Bertone dice: «ma allora gli uffici ministeriali sarebbero inceppati dalla presenza di questi deputati».

No, i deputati non avrebbero nessunissima facoltà di determinare l’azione degli uffici; e perciò non potrebbero in essa interferire, e non potrebbero incepparla.

La Commissione di deputati sarebbe solo accanto al Ministro per avere tutte le informazioni immediate che possono venire dagli uffici.

A me pare che tale Commissione sarebbe utilissima specialmente in questa legge, che, diciamolo francamente, è un po’ una legge che facciamo a tastoni, con gli occhi bendati, tanto è vero che si dice…

PRESIDENTE. La prego di non fare divagazioni.

ADONNINO. Non faccio divagazioni; spiego il mio concetto. Si dice chiaramente e si ammette da tutti che a questa legge ne dovranno seguire varie altre integrative e modificative; sappiamo tutti che è una legge che nella applicazione pratica potrà dare tante sorprese.

Una Intendenza di finanza potrà dire che sorge quel tale ostacolo; un’altra Intendenza di finanza potrà dire che sorge quel tale inconveniente.

C’è, si capisce, il Ministero con i suoi organi, ma l’esistenza di un ristretto comitato di deputati con funzioni informative, (quindi non sono d’accordo con gli altri articoli proposti che vogliono dare a questo comitato un potere costituzionale) che possa proporre poi nelle forme costituzionali eventuali emendamenti, mi sembra opportuna.

PRESIDENTE. L’onorevole Cannizzo ha facoltà di svolgere il suo articolo aggiuntivo.

CANNIZZO. Io ho usato la forma più larga, ma l’ho usata senza volere con questo violare il principio della divisione dei poteri, perché so benissimo che la funzione di emanare regolamenti spetta al potere esecutivo. Però parlo di collaborazione. Vado all’idea quindi di un organo consultivo che si affianchi al Ministro. E del resto, poiché il Governo durante le discussioni ha fatto tante promesse, ha lasciato intravedere tante possibilità di modificazioni alla legge e dimostrato tanta volontà di mitigare la inflessibilità, credo che una commissione di deputati che controlli benevolmente e collabori col Ministro possa essere utile anche per ricordare le promesse. Tanto più quando si pensi che il Presidente della Commissione, onorevole La Malfa, ha lasciato intravedere la utilità di questa commissione, e credo, del resto, e l’onorevole La Malfa ne deve convenire, che, quando avremo votato tutta la legge, non avremo per nulla una legge completa, ma una legge piena di lacune. Ritengo di aver chiarito il senso che intendo dare alla parola «collabori».

PRESIDENTE. L’onorevole De Mercurio ha facoltà di illustrare il suo articolo aggiuntivo.

DE MERCURIO. Questo articolo aggiuntivo è stato già da me svolto nel mio ultimo discorso. È un inciso dell’articolo 75. È stato riconosciuto dallo stesso Governo nell’elaborare la legge, che l’attrezzatura attuale degli uffici fiscali è inadeguata. Allora, con questo mio articolo aggiuntivo, chiedo che gli uffici fiscali e le commissioni provinciali siano affiancati da elementi tali da poter garantire un più efficace lavoro.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero del relatore?

LA MALFA, Relatore. Effettivamente nel mio discorso generale sulla imposta patrimoniale, avevo accennato alla possibilità che in piena Camera si potesse avere un Comitato che seguisse, direi così, quella che è un po’ la pressione dell’opinione pubblica. Ma era lontana da me l’idea che nella legge si aggiungesse un articolo creativo di questo Comitato. Siccome gli onorevoli Deputati, all’inizio della discussione, attraverso gli emendamenti, hanno manifestato l’esigenza di seguire attentamente l’applicazione della legge, si può, in sede di Commissione di finanza, o altrimenti, regolare questa materia, ma come deliberazione interna e non creando un Comitato.

Per quanto riguarda l’emendamento De Mercurio, forse a titolo di raccomandazione il Governo può accettarlo, ma anche in questo caso non possiamo accogliere una disposizione formale.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Mi rendo conto del pensiero che ha ispirato le richieste degli articoli aggiuntivi degli onorevoli Adonnino, Cannizzo e De Mercurio, ma mi preoccupo del modo come queste funzioni potrebbero essere esercitate. Gli uffici fiscali hanno bisogno di essere lasciati in pace, hanno bisogno di non essere né imbarazzati né intralciati in alcun modo nella loro opera. Si vuole nominare un Comitato di deputati; ma domani questi deputati ci sono e non ci sono, poi quelli che ci sono si radunano, e che fanno? Fanno quello che fa la Commissione finanze e tesoro, che è permanentemente costituita e che se ha bisogno di notizie le chiede. Anzi, rientra nei compiti della Commissione finanze e tesoro di sorvegliare il provvedimento e vedere se ha il suo normale svolgimento. Quindi, anche per quella esperienza che ho in questa materia, crederei che non sia opportuno intralciare l’opera degli uffici fiscali, e pregherei pertanto i colleghi, dei quali apprezzo d’intendimento, di non insistere su questa richiesta che non apporta alcun vantaggio.

LA MALFA, Relatore. Io non ho parlato di Commissione di finanza per evidenti ragioni, ma è chiaro che se i colleghi che seguono in provincia l’applicazione di questa imposta, hanno da sottoporre quesiti di ogni genere, noi possiamo continuamente vagliare tali quesiti relativi all’applicazione dell’imposta patrimoniale, e siccome abbiamo un contatto permanente coi Ministeri delle finanze e del tesoro, possiamo fare questo lavoro per conto dei colleghi.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Il Governo non solo deve respingere l’emendamento proposto, per le ragioni di ordine pratico che sono state accennate dagli onorevoli La Malfa e Bertone, ma per ragioni di principio, che deve sottolineare fermamente.

Il Governo desidera avere la migliore delle leggi, attraverso la collaborazione degli onorevoli deputati, ma è responsabilità del Governo di applicare la legge, e mi si permetta di dire che l’Amministrazione finanziaria, mentre invoca il controllo del Parlamento e dell’Assemblea Costituente su tutta la sua attività, con i mezzi normali di controllo, non ritiene che possa subire lo spirito informatore dell’emendamento; e cioè che, proprio ai fini dell’applicazione dell’imposta sul patrimonio, sia necessario un particolare controllo.

Daremmo in questo caso una patente di insufficienza, per non dire altro, a un complesso di funzionari degnissimi, che certamente saranno all’altezza dell’applicazione di questa imposta.

Ben venga il controllo parlamentare su questo tributo e su tutti gli altri, con i mezzi normali, che vorrei effettivamente funzionassero in concreto, anche di più di quello eh? normalmente funzionano! Ma assolutamente devo essere contrario alla introduzione di una particolare forma di controllo per un particolare tributo.

La Commissione permanente di finanza e tesoro, che tanta collaborazione ha dato al Governo, per questa imposta come per altre, certamente assolverà nel modo più degno il suo compito.

Apporti ognuno tutto il contributo di suggerimenti, venga a chiedere tutte le informazioni che può desiderare; non ho nulla in contrario alla costituzione, in futuro, di un Comitato per il perfezionamento della legge; ma non potrei aderire alla proposta di istituire un controllo sulla Amministrazione da me rappresentata, in una forma veramente eccezionale, che, appunto perché tale, non potrebbe essere consentita.

Per quanto riguarda l’emendamento proposto dall’onorevole De Mercurio, soggiungo che è già nella consuetudine dell’Amministrazione di servirsi dell’opera di tecnici ogni qualvolta lo ritenga opportuno. Sottolineare questa prassi con un esplicito articolo di legge sarebbe dare un particolare tono alla questione, che non può essere gradito alla amministrazione.

Quindi, do atto all’onorevole De Mercurio che i tecnici saranno largamente utilizzati.

Per quanto riguarda il riordinamento dell’Amministrazione – perdoni onorevole De Mercurio – è questione tutta diversa. Si tratta di potenziare l’Amministrazione con funzionari che già ne fanno o che ne faranno parte.

Per quanto ho detto, prego gli onorevoli presentatori degli articoli aggiuntivi di non insistere.

PRESIDENTE. Onorevoli Adonnino, Cannizzo e De Mercurio, insistono nei loro emendamenti?

ADONNINO. Ritiro il mio.

CANNIZZO. Anch’io lo ritiro.

DE MERCURIO. Dopo i chiarimenti avuti, lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Cappi ha proposto il seguente emendamento aggiuntivo:

«È riconosciuta all’Amministrazione finanziaria la facoltà di annullare, entro 3 anni dalla loro conclusione, i concordati intervenuti coi contribuenti, quando risultasse la omissione di qualche elemento patrimoniale o l’alterazione di qualche elemento di valutazione. Sono fatti salvi, agli effetti dei privilegi fiscali, i diritti dei terzi di buona fede».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAPPI. Come ho avuto occasione di dire altra volta, il buon esito di una legge fiscale, più che dall’inasprimento delle aliquote, dipende dalle misure difensive contro le evasioni e contro – diciamolo pure – le corruzioni.

Ora, specialmente a proposito di una legge così complicata, come quella dell’imposta straordinaria progressiva, gli errori, non volontari o, in qualche caso, anche volontari, in sede di concordato non sono difficili.

Quindi, parrebbe a me monito e freno, sia ai funzionari dall’Amministrazione finanziaria sia ai contribuenti, avvertirli che, concluso il concordato, la pratica non è definita, non passa in archivio, ma l’Amministrazione ha la facoltà, che potrà esercitare anche saltuariamente, di potere – entro dati limiti di tempo – rivedere il concordato. So, onorevoli colleghi, che questa facoltà sussiste in base all’articolo 43 del testo unico del 1877 sulla imposta di ricchezza mobile, ma è indicata nell’articolo 43 in modo piuttosto vago e non è conosciuta dalla grande massa dei contribuenti. Quindi sembrerebbe a me non inutile – se non necessario – mettere a monito – ripeto – e freno dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria e dei contribuenti questo articolo nel testo della legge.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di parlare.

LA MALFA, Relatore. L’onorevole Cappi ha già chiarito i termini del problema. Mi sembra che vi sia già una disposizione generale contenuta in un testo di legge ancor più generale. Per questi motivi la Commissione ritiene che non si debba ripetere in questa sede in modo specifico. In ogni modo si rimette al parere del Governo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di parlare.

PELLA, Ministro delle finanze. Ringraziando l’onorevole Cappi della sua segnalazione, spero di convincerlo che lo spirito del suo emendamento è già contenuto, almeno in parte, nell’articolo 46 della legge e, in parte, nella prassi dei concordati.

Se si seguirà la prassi dell’imposta del 1920 – e non vi è ragione per non seguirla – i concordati conterranno la clausola della riserva di accertare i cespiti omessi, che spiega i suoi effetti nei limiti della prescrizione per la azione della finanza. Questo dovrebbe essere il primo elemento di tranquillità; ma vorrei richiamare l’articolo 46, che abbiamo difeso con energia nell’interesse dell’Amministrazione, contro quanti, qui in Assemblea, protestavano per la precarietà dei concordati di fronte alla facoltà prevista da tale articolo.

Orbene, l’articolo 46 va interpretato nei limiti di tempo che la prescrizione fissa alla finanza, e perciò, entro questi limiti, l’applicazione dell’articolo 46 e la riserva presa in sede di concordato portano ai risultati che l’onorevole Cappi vuole raggiungere.

L’ipotesi, invece, in cui l’emendamento dell’onorevole Cappi aggiungerebbe qualcosa a favore dell’Amministrazione, è quella in cui i tre anni oltrepassino i limiti della prescrizione; ma, francamente, mentre ringrazio l’onorevole Cappi di essersi preoccupato degli interessi della finanza, temo che si finirebbe per violare quei limiti oltre i quali la finanza stessa non può andare nella tutela dei propri interessi. Per questo, pur senza respingere nel contenuto il suggerimento dell’onorevole Cappi, che sostanzialmente è in parte accolto nella legge ed in parte sarà accolto dalla prassi, debbo pregarlo di non insistere.

CAPPI. Non insisto, ma osservo che il Ministro ha accennato soltanto alla omissione di cespiti e non agli errori di valutazione. La frode consiste spesso lì…

PELLA, Ministro delle finanze. Provvede sempre l’articolo 46.

PRESIDENTE. Vi è ora l’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli Proia, Cremaschi Carlo, Carbonari e Giannini, che è del seguente tenore:

«I diritti di autore si valutano tenendo conto della durata temporanea fissata per legge e dell’aleatorietà dello sfruttamento economico delle opere dell’ingegno.

«Non sono valutati i diritti dell’autore in vita, in quanto costituiscono un reddito di lavoro».

I proponenti lo mantengono?

CREMASCHI CARLO. Se il Governo accetta lo spirito dell’articolo, non avrei difficoltà a ritirarlo.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. La questione è di estimazione. Vorrei dare una prima assicurazione nel senso di convenire che nell’ipotesi del diritto d’autore, quando l’autore è in vita, si tratta, prevalentemente, di un lavoro che si basa sull’opera personale dell’autore.

Quindi, assicuro l’onorevole Cremaschi che non si procederà a capitalizzazione per la valutazione della quota parte del diritto d’autore, che deriva da prestazioni d’opera personale.

L’altra parte, in via sistematica, deve essere soggetta a capitalizzazione per la determinazione del valore da attribuire al diritto di autore. Non posso assumere degli impegni precisi, ma è evidente che, in sede di estimazione, l’Amministrazione userà sempre una più accentuata benevolenza verso quei cespiti che hanno origine puramente dal lavoro.

CREMASCHI CARLO. Ritiro il mio articolo aggiuntivo.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora l’esame degli articoli è terminato.

MARINARO. Prego il Presidente di volermi dare atto, nella sua cortesia, che a questo punto risultano discussi, esaminati ed approvati tutti i 75 articoli del decreto legislativo 29 marzo 1947, nel testo originario e nel testo della Commissione.

PRESIDENTE. Io le do atto di quello che risulta a verbale.

LA MALFA, Relatore. Io devo fare formale obiezione a questa presa di posizione. Noi abbiamo qui degli emendamenti sospesi, e sono gli emendamenti 29-bis, 29-ter che sono in relazione agli enti collettivi. Non solo, ma noi abbiamo sospeso alcuni commi riguardanti la tassazione delle società estere, che dobbiamo inserire in un nuovo testo. Quindi, il lavoro su questi articoli non è stato compiuto e su questi emendamenti la Commissione ed il Governo non hanno dato risposta.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero dare atto che il Governo si associa su questo punto alle considerazioni dell’onorevole Relatore.

MARINARO. Osservo che questa non era la sede indicata per presentare quegli emendamenti ai quali ha accennato il Relatore, che dovevano essere prima portati dinanzi alla Commissione.

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione ad altra seduta.

Interpellanza con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Selvaggi ha presentato la seguente interpellanza con richiesta di svolgimento urgente:

«Al Governo, per conoscere se, di fronte all’ora storica che volge, che impone l’unione di spiriti di tutti gli italiani e, per conseguenza, provvedimenti di pacificazione nazionale che rendano tutti i cittadini eguali nei diritti come nei doveri dinanzi alla legge comune, non ritenga che sia giunto il momento di procedere all’abrogazione di tutta la legislazione straordinaria e speciale, restituendo così il prestigio e l’autorità dello Stato democratico alle leggi ordinarie.

Questa interpellanza sarà posta all’ordine del giorno della seduta in cui saranno svolte altre interpellanze già presentate in materia analoga.

La seduta termina alle 13.