Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI LUNEDÌ 5 MAGGIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXI.

SEDUTA POMERIDIANA DI LUNEDÌ 5 MAGGIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE PECORARI

 

INDICE

 

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Per la nomina di una Commissione:

Presidente                                                                                                        

Andreotti                                                                                                        

Persico                                                                                                             

Russo Perez                                                                                                      

Lucifero                                                                                                           

Proposte di aggiunte ai Regolamento della Camera:

Cingolani, Relatore                                                                                          

Presidente                                                                                                        

Molè                                                                                                                 

Macrelli                                                                                                          

Corbino                                                                                                            

Lucifero                                                                                                           

Benedetti                                                                                                         

Rubilli                                                                                                              

Calosso                                                                                                            

Persico                                                                                                             

Labriola                                                                                                          

Cianca                                                                                                              

Condorelli                                                                                                      

Longhena                                                                                                         

Nitti                                                                                                                  

Votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Nomina della Commissione per l’esame delle leggi elettorali:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni ed interpellanza con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Togni, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale                      

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati: Moro, Novella, Turco e Caldera.

(Sono concessi).

Per la nomina di una Commissione.

PRESIDENTE. Come gli onorevoli colleghi ricordano, il Governo ha presentato all’Assemblea il disegno di legge: «Norme per la disciplina dell’elettorato attivo», che deve considerarsi come l’introduzione alla legge elettorale politica, d’imminente presentazione.

Ritengo che detto disegno debba essere esaminato da una Commissione speciale, la quale esaminerà anche la legge elettorale per riferire all’Assemblea.

Chiedo all’Assemblea come intenda procedere alla nomina di della Commissione speciale.

ANDREOTTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI. Propongo che la nomina dei membri della Commissione sia deferita al Presidente.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Mi associo alla proposta dell’onorevole Andreotti.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Il nostro pensiero è concorde: il Presidente merita tutta la nostra fiducia e quindi può bene essergli deferita la nomina della Commissione.

PRESIDENTE. La ringrazio.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Tengo ad associarmi alla proposta dell’onorevole Andreotti, che corrisponde, fra l’altro, a una vecchia prassi parlamentare.

PRESIDENTE. Allora resta così inteso. Comunicherò all’Assemblea i nomi dei componenti la Commissione.

Proposte di aggiunte al Regolamento della Camera.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Proposte di aggiunte al Regolamento della Camera. (Doc. II, n. 7).

CINGOLANI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI, Relatore. Onorevole Presidente, la Commissione esprime il desiderio che ella, che tanto bene ha presieduto i lavori della Giunta del Regolamento, illustri le proposte.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Cingolani, del suo invito che dimostra una particolare fiducia nella mia capacità espositiva, che certamente non è superiore alla sua.

Come l’Assemblea ricorda, furono esaminate, nella seduta del 2 maggio, alcune proposte che erano state presentate dagli onorevoli Barbareschi e Scoccimarro, dall’onorevole Persico e dall’onorevole Mortati, relative al modo di prosecuzione dei lavori dell’Assemblea Costituente in rapporto all’esame del progetto di Costituzione. La discussione che ne seguì terminò con l’approvazione di una proposta dell’onorevole Benedetti che invitava la Giunta del Regolamento a proporre le modificazioni da apportare al metodo delle discussioni.

La Giunta del Regolamento ha sentito il dovere di non frapporre indugio e nel giorno immediatamente successivo alla decisione dell’Assemblea si è riunita e ha formulato alcune proposte che sono state distribuite, in tempo dubito, ai membri dell’Assemblea.

Desidero ricordare che l’Assemblea Costituente, al momento del suo insediamento adottò il Regolamento della Camera dei Deputati e che successivamente vi introdusse alcune aggiunte, allorché si pose la questione di investire l’Assemblea stessa di un potere legislativo. In conseguenza sono state istituite Commissioni legislative, alle quali il Governo manda i propri disegni di legge, in maniera che la stessa Assemblea Costituente a mezzo loro decide se il Governo debba emanarli direttamente o se debbano essere rimessi alla competenza dell’Assemblea.

Queste aggiunte al Regolamento sono valide, evidentemente, soltanto per l’Assemblea Costituente, così che la nuova Assemblea legislativa si troverà, al momento in cui sarà eletta e insediata, di fronte al Regolamento della Camera dei Deputati, escluse le modificazioni che l’Assemblea Costituente abbia creduto di introdurvi per scopi specifici del proprio lavoro.

A questo criterio la Giunta del Regolamento si è attenuta; e pertanto, come premessa, occorre affermare che le proposte oggi in esame non sono destinate ad entrare definitivamente nel Regolamento della Camera, ma restano valide solo per l’Assemblea Costituente; perderanno quindi di efficacia nel momento stesso in cui l’Assemblea Costituente avrà terminato i propri lavori.

Le disposizioni che sono proposte mirano per una parte a regolare il modo della discussione indipendentemente dal fatto ch’essa si riferisca al progetto di Costituzione, per l’altra a disciplinare la discussione del progetto stesso; così che mentre le prime, che dirò generiche, potrebbero, ove l’Assemblea lo ritenesse opportuno, valere sia per la discussione del progetto di Costituzione, sia per la discussione di altri provvedimenti legislativi, le altre valgono soltanto per il progetto di Costituzione.

Fra le proposte di carattere generico la prima stabilisce che «i deputati iscritti a parlare, che non rispondono alla chiamata del Presidente, decadono dall’iscrizione. Non è consentita, dopo tale decadenza, una nuova iscrizione per la discussione in corso».

Questa norma ha lo scopo di porre rimedio all’inconveniente frequentemente rilevato di non sapere mai quando sia compiuto l’elenco degli iscritti a parlare. Frequentemente avviene che colleghi iscritti e non presenti nel momento in cui viene ad essi data la facoltà di parlare si iscrivano nuovamente il giorno successivo, trasformando l’elenco degli iscritti in una linea senza fine. Ed è per questo che nella disposizione si stabilisce che oltre a perdere il diritto alla parola, si perde anche quello della reiscrizione, quando la decadenza sia dovuta all’assenza del deputato, nel momento in cui la parola gli viene data.

La seconda disposizione generica stabilisce che «qualora i presentatori di emendamenti prendano la parola nella discussione generale, si intende che essi svolgono in tale sede i loro emendamenti». Questa norma, non appare forse assolutamente necessaria, perché in generale ad essa ci si è attenuti spontaneamente nel corso delle discussioni precedenti. Tuttavia, ad impedire la possibilità di malintesi si è ritenuto opportuno stabilirla, esplicitamente.

Si propone poi che «nessuno può parlare più di dieci minuti per lo svolgimento di emendamenti o per dichiarazioni di voto». Secondo il Regolamento della Camera, adottato dall’Assemblea Costituente, le dichiarazioni di voto devono esser fatte in forma breve e succinta, ma talvolta si sono invece prolungate forse troppo; per questo si è ritenuto di stabilire per esse un preciso limite di tempo.

In ordine alle domande di votazione per appello nominale o per scrutinio segreto, il Regolamento stabilisce che devono recare, le prime, quindici firme; le altre, venti. La Giunta del Regolamento ha ritenuto di dover proporre che si elevi a trenta il numero delle firme richieste, perché questi due modi particolarmente importanti di votazione – che hanno sempre avuto nel passato un carattere politico, e che non devono divenire il modo normale, continuo, immancabile di votazione dei nostri lavori – siano accettati. Trenta firme non sono parse eccessive; erano venti in Assemblee che giungevano a 508 membri; oggi che la nostra Assemblea conta 556 deputati, l’aumento è parso naturale. L’aumento non è proporzionale, ma si è pensato che anche in questo campo si poteva forse applicare la norma della progressività, la quale se vale in campi come quelli finanziari e fiscali, può, per ragioni consimili, essere valida per disposizioni che regolano il lavoro di organo collettivo. Resta valida la disposizione per cui «concorrendo diverse domande, quella dello scrutinio segreto prevale su tutte le altre».

Infine si propone che «in caso di richiesta di accertamento del numero legale, dopo l’inizio dell’appello, i deputati presenti non possano abbandonare l’Aula fino a che l’appello stesso non sia terminato». È chiaro lo scopo a cui tende la norma e reputo perciò inutile illustrarlo. Alcune sere fa abbiamo fatto molte discussioni particolareggiate e interessanti a questo proposito. Le conclusioni cui giungemmo allora, che ad alcuni saranno parse eccessive e ad altri troppo restrittive, rispondevano ad esigenze di carattere morale, nel senso cioè che non si possono presumere presenti all’appello per l’accertamento del numero legale i deputati che non sono presenti nell’Aula, per quanto siano presenti nel palazzo. Da esse insorge però la necessità della norma che ora si propone, della quale i deputati presenti nell’Aula nel momento in cui la richiesta di appello nominale è presentata debbono avvertire la esigenza, essa pure morale.

Queste norme della Giunta del Regolamento per migliorare il metodo generale di discussione dell’Assemblea Costituente tengono presenti molte obiezioni sollevate l’altra sera per la preoccupazione di eccessive limitazioni al diritto di parola o all’ampiezza, di discussione da parte dell’Assemblea Costituente. Tuttavia non potevamo trascurare la necessità di porre ai nostri lavori un certo argine per condurli ad una conclusione tempestiva.

Per ciò che si riferisce alle norme particolari per la discussione del progetto di Costituzione, la Giunta del Regolamento non ha né ignorato la proposta inizialmente presentata da molti colleghi, né le obiezioni sollevate contro di questa. Per quanto riguarda la discussione generale, fu preposto che continuasse partitamente per i due Titoli della prima parte del progetto di Costituzione ancora non esaminati, ma che si facesse una discussione generale unica sulla seconda parte del progetto. Faccio osservare agli onorevoli colleghi che in tal medo non si modificano in senso restrittivo le norme del Regolamento. L’articolo 86 previde infatti la possibilità che la discussione di un progetto di legge sia fatta per parti o per Titolo. Ora noi abbiamo fatto prima una discussione generale su tutto il complesso del progetto di Costituzione, e poi discussioni sui Titoli della prima parte. La mutazione che la Giunta propone, è suggerita dall’esperienza acquisita nel corso dei lavori già compiuti in sede di primo e secondo Titolo del progetto ed in parte sul terzo. In questi le iscrizioni a parlare sono state numerosissime, più numerose forse di quanto la necessità comportasse; tanto è vero che molti iscritti hanno rinunziato a parlare. D’altra parte, frequenti sono state da discorso a discorso le ripetizioni e frequenti anche gli sconfinamenti in materie non strettamente connesse con l’argomento sviluppato. Ed ancora, se abbiamo udito discorsi molto interessanti, frequentemente questi hanno assunto carattere di conferenze utili allo scopo della divulgazione della materia costituzionale, ma, forse, non essenziali e necessarie allo scopo del nostro compito di fare la Costituzione.

Pertanto, si è pensato che una limitazione del numero degli oratori fosse consigliabile. Questa limitazione già era stata proposta dagli onorevoli Barbareschi e Scoccimarro, ma con carattere assoluto, in riferimento ad ogni Gruppo costituito nell’Assemblea. Vorrei qui dire, fra parentesi, che è inevitabile che tutte le disposizioni relative ai lavori parlamentari che si prendono oggi, o che si prenderanno domani – un domani non più dell’Assemblea Costituente, ma dell’Assemblea Legislativa – non solo non ignorino il fatto che l’Assemblea è divisa in Gruppi, ma prendano anzi le loro mosse dalla constatazione della organizzazione dell’Assemblea sulla base di Gruppi. I Gruppi non sono stati creati per capriccio, ma sono un’esigenza di tutte le Assemblee elette in base alla proporzionale. Essi sarebbero degli assurdi in Assemblee elette in base al collegio uninominale, ma diventano una necessità, allorché le elezioni avvengono sul presupposto di forze organizzate nel Paese.

Tuttavia, se i Gruppi sono uguali in quanto elementi strutturali dell’Assemblea, sono poi diversi nella loro entità. E pertanto la Giunta del Regolamento ritiene che se si giunge ad una limitazione degli oratori, tale limitazione deve essere proporzionale alla consistenza numerica dei vari gruppi.

E precisamente nel senso che per i Gruppi che contano un numero superiore a cento iscritti, nella discussione generale relativamente al 3° e 4° titolo della prima parte della Costituzione intervengano al massimo tre oratori; due invece per i gruppi che contano meno di cento iscritti; mentre per la discussione sulla seconda parte della Costituzione, la quale abbraccia una materia molto vasta, si ritiene di stabilire rispettivamente cinque oratori per i primi e tre per i secondi.

Infine la Giunta propone che nell’esame della seconda parte del progetto si proceda con mutamento nell’ordine della materia. Molti colleghi hanno fatto già presente che vi è un problema quasi pregiudiziale all’esame e alle decisioni relative alla struttura generale dello Stato, ed è quello della Regione. Pertanto si propone che questo tema sia il primo ad essere affrontato. Per i rapporti poi che intercedono nel progetto fra Regione e Seconda Camera – che sono parsi inscindibili alla Commissione dei settantacinque – si è ritenuto consigliabile di proporre all’Assemblea che dopo avere esaminato e votato gli articoli relativi alla Regione, l’Assemblea passi agli articoli relativi alla Seconda Camera, riprendendo poi l’ordine delle materie così come esso si presenta nel testo del progetto.

Infine si propone che nella discussione generale, sia dei Titoli della prima parte, che di quelli della seconda, il tempo a disposizione degli oratori sia limitato a mezz’ora.

È parso, dall’esperienza fatta, che mezz’ora sia sufficiente per svolgere esaurientemente i temi che si proporranno d’ora innanzi nella discussione generale, e si è ritenuto opportuno dare alla Presidenza dell’Assemblea il mezzo regolamentare per fare osservare agli oratori questo limite di tempo.

Queste sono le conclusioni alle quali è pervenuta la Giunta del Regolamento. Desidero far presente che tutti i membri della Giunta del Regolamento, che hanno partecipato alle riunioni in cui sono state approvate queste proposte, sono d’accordo su di esse. Degli assenti non posso occuparmi, anche perché essi non si sono preoccupati di fare conoscere il loro avviso nemmeno in successione di tempo, quando hanno avuto sott’occhio le proposte che oggi si discutono.

Così chiarite le proposte che la Giunta del Regolamento presenta, apro su di esse la discussione.

MOLÈ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLÈ. Esprimo un pensiero di netta opposizione alle norme restrittive proposte dalla Giunta del Regolamento, e non so nascondere la mia meraviglia leggendo, tra i componenti di questa Giunta, alcuni nomi di uomini politici che dovrebbero bene ricordare la storia dell’istituto parlamentare, che sorse e si affermò in netto contrasto con lo spirito e con la lettera di queste norme.

Io sono d’accordo che sia opportuno limitare il numero degli oratori e accelerare questa discussione: ché dobbiamo cercare di esaurire nel più breve tempo possibile i lavori della Costituzione. Posso anche ammettere che molti interventi sono inutili od oziosi è che qualche volta ascoltiamo delle conferenze generiche o delle disquisizioni dottrinarie che, in altra sede, troverebbero miglior posto.

Ma questo inconveniente dell’inflazionismo verbale, comune a tutto le Assemblee, può e deve essere superato dagli accordi fra i gruppi, attraverso l’autodisciplina di chi parla, e anche dall’autorità del Presidente, che richiama all’argomento l’oratore che ne fuoriesce: non può essere soppresso attraverso la integrale abolizione del diritto di discussione ai danni della massima parte dell’Assemblea, con un giudizio d’inutilità preventiva, che a nessuno, né al Presidente, né alla stessa maggioranza, dell’Assemblea, può competere. Chi ha il diritto di stabilire preventivamente la inutilità di una discussione?

Il giorno in cui con un colpo di maggioranza si potesse dire ad un eletto dal popolo, che rappresenta non solo se stesso e neanche un partito, ma tutta la nazione: «tu non devi parlare perché i tuoi discorsi non sono graditi o i tuoi interventi sono inutili», sarebbe la fine del Parlamento.

Qualche cosa di simile oggi si tenta, per esaurire al più presto i lavori della Costituzione, con la proposta di modificazione – sia pure temporanea – del regolamento, riducendo al minimo il numero degli oratori e predisponendo con rigore cronometrico la durata della loro discussione.

Ebbene, questo pericoloso sistema di modificare continuamente il regolamento dell’Assemblea non si può ammettere. Il Regolamento non si tocca a cuor leggero. È qualche cosa di certo e d’intangibile, come tutte le conquiste della libertà.

Questo presidio delle minoranze, predisposto appunto per tutelare nell’Assemblea i diritti delle minoranze, non può essere, di volta in volta, mutilato, limitato, corretto, a loro danno, in ciò che non piace, o che non torna gradito a quelli che possono essere i pensamenti o voleri della maggioranza. Allora, questo regolamento diventa una lustra: fallisce al suo scopo: non ha nessuna certezza.

Il regolamento dice che chiunque – questo è un principio comune a tutte le Assemblee – chiunque chiede di parlare, può parlare; entro certi limiti prefissati, ha il diritto di parlare.

Ebbene: questo diritto di parola che deve trovare il suo autolimite nel nostro senso di responsabilità, e negli accordi che possiamo prendere liberamente, non può essere soppresso de jure, come ci si propone con questi articoli aggiuntivi, che io rapidamente esaminerò.

«Qualora i presentatori di emendamenti – dice un articolo – prendano la parola nella discussione generale, s’intende sempre che essi svolgono in tale sede i loro emendamenti».

Ma la discussione generale non ha nulla a che fare con la discussione degli emendamenti. Sono due cose assolutamente diverse. La discussione generale riguarda l’insieme del progetto di legge, l’armonia e la unità delle varie disposizioni: viceversa nell’emendamento si ha di mira soltanto la modificazione di una disposizione in ciò che non sembri rispondente nella sostanza o nella forma. Confondere le due discussioni diverse di contenuto e di ampiezza, significa limitare pericolosamente il diritto di esame e di critica.

Ma i due articoli seguenti contengono innovazioni più gravi:

«Le domande di votazione per appello nominale o per scrutinio segreto debbono recare le firme di trenta deputati».

Finora bastavano venti: adesso devono essere trenta deputati. Il sacrificio dei piccoli gruppi è consumato. Ci sono nell’Assemblea gruppi che, anche in due, uniti, non possono esercitare questo diritto. Peggio ancora quanto sancisce l’articolo seguente:

«In caso di richiesta di accertamento del numero legale, dopo l’inizio dell’appello, i deputati presenti non possono più abbandonare l’Aula fino a che l’appello stesso non sia terminato».

Ora, io domando proprio a questa parte dell’Assemblea (Accenna all’estrema sinistra), se ha dimenticato gli episodi gloriosi dell’ostruzionismo – che allora ai partiti dominanti sembrarono atti di violenza, ma che oggi ricordiamo con gratitudine, perché spesso contribuirono a salvare le libertà statutarie (e uno di questi atti di ostruzionismo si verificò appunto in sede di discussione del regolamento, quando l’onorevole Zanardelli, che non era uno scamiciato rivoluzionario, capitanò l’opposizione contro un governo reazionario!) – io domando ai colleghi di estrema sinistra se «vogliono negarci il diritto di ricorrere all’ostruzionismo, qualora ritenessimo che i diritti di Parlamento fossero compromessi. Sarebbe pericoloso, signori, mentre affermiamo il diritto di sciopero, negare alle minoranze il diritto di ostruzionismo, come ultima ratio, nella esplicazione del loro mandato.

Voi siete ora orgogliosi del numero, ma dovreste ricordare che in qualche periodo della vostra vita politica non eravate che un pugno di uomini coraggiosi e decisi, e allora vi sareste opposti, come noi, a questi tentativi di strozzare la discussione.

Qual è poi la sanzione per un deputato che si voglia allontanare dall’aula? Lo si farà forse acciuffare dai carabinieri o – non essendo ciò possibile nell’aula – si incaricheranno i questori Priolo e Mattarella di trattenerlo per le braccia? Ma se io ritengo di dovermi allontanare per impedire la votazione di un certo disegno di legge, che ritengo non sia utile per il Paese, io mi allontano ugualmente. E i giudici di quello che io faccio saranno i miei elettori, il mio partito, la mia coscienza, la coscienza del Paese, non voi. (Applausi).

Ma andiamo avanti. Per i due rimanenti Titoli (Rapporti economici e Rapporti politici) della prima parte del progetto di Costituzione, voi limitate la discussione generale al numero massimo di tre oratori per i gruppi che contino più di cento iscritti e di due oratori per gli altri. Peggio ancora: per i sei Titoli della parte seconda dal progetto, che contengono tutto l’ordinamento della Repubblica, gli oratori non potranno essere più di cinque per i due gruppi numerosi (democristiani e comunisti) e tre per i gruppi minori.

Io qui trovo sancito il nuovo peregrino principio che non ci possa essere un deputato senza gruppo. Il deputato senza gruppo non ha più ragione di esistere. Esistono gruppi, non deputati. Il deputato, in tanto ha ragione di esistere, e diritto di parlare, in quanto glielo permetta il gruppo. Non è più rappresentante della nazione, ma di un partito, se questo gli consenta di rappresentarlo. E io non so come voi possiate risolvere questo problema del diritto alla parola per il così detto gruppo misto, che non è un gruppo omogeneo, che si chiama misto, appunto perché ognuno la pensa in modo diverso dall’altro. I deputati del gruppo misto sono diciannove. Diciannove tendenze diverse. Ora, io domando: che cosa facciamo di costoro, una volta che abbiamo fissato il principio che solo chi esprima il pensiero di un gruppo possa parlare? Questi diciannove colleghi – fra cui alcuni veramente illustri – non rappresentando che se stessi, sono personaggi che non parlano, perché non possono parlare. E allora mandiamoli a casa, in congedo illimitato.

Ma vi dico anche un’altra cosa. C’è in fondo una brillante disposizione aggiuntiva, per cui ogni oratore non può parlare più di mezz’ora. Ora, non vi pare che mezz’ora per le disposizioni normative che costituiscono la Costituzione vera e propria – quelle della parte seconda, relative all’ordinamento della Repubblica – sia un periodo di tempo estremamente breve?

Transeat, fin che si trattava dei principî generali, la parte finalistica, tendenziale della Costituzione, che volevamo destinare al preambolo – ma qui dobbiamo fissare i lineamenti istituzionali del nuovo stato, cioè discutere la Costituzione articolata, la formazione e la struttura degli organi e dei poteri, tutto l’ordinamento della repubblica, norme, competenze, sanzioni.

E noi diamo mezz’ora di tempo a ciascuno degli oratori! Quanti saranno? Cinque per i gruppi che contino un numero superiore a cento iscritti – due soli gruppi, praticamente – e quindi dieci oratori. A questi dieci si aggiungono tre oratori per ciascuno dei gruppi minori: facciamo ventisette. Quindi dieci più ventisette fa diciotto. (Si ride).

PRESIDENTE. Onorevole Molè, l’aritmetica non è un’opinione.

MOLÈ. Signor Presidente, non ho sentito l’interruzione. Sono ossequente ai suoi richiami. Ma prima che si addivenga alla strozzatura dei nostri lavori, mi faccia parlare una volta liberamente. (Ilarità).

PRESIDENTE. Onorevole Molè, io le ho detto solo che l’aritmetica non è un’opinione, riferendomi ai suoi calcoli.

MOLÈ. Ma io volevo dire che, mezz’ora per 37 oratori, fanno 18 ore di discussione. Noi, dunque, in diciotto ore, ci sbrigheremmo, niente di meno, del Capo dello Stato (Si ride), cioè, delle norme che riguardano il Capo dello Stato, il Parlamento, il Governo, la Magistratura, le Regioni, i Comuni, le disposizioni transitorie! Quattro minuti per ciascun argomento e ciascun oratore, per risolvere ognuno di questi problemi, che hanno un’importanza essenziale!

Parliamo, ad esempio, della Regione. Su questo tema, si scontrano le più diverse opinioni; v’è chi pone la Regione contro lo Stato – (ceci tuera cela) –; v’è chi dice che il conferire alla Regione la potestà legislativa primaria rappresenti l’inizio del processo di dissolvimento dello Stato unitario; altri la pensa in modo nettamente opposto. Ma il problema è di importanza vitale per l’avvenire del Paese – e dal prevalere dell’una o dell’altra opinione, dall’adottare l’una o l’altra soluzione, possono dipendere le fortune dell’Italia repubblicana.

Giorni or sono l’onorevole Nitti diceva che – per risolvere il problema delle autonomie regionali – occorre esaminare a fondo il problema dell’autosufficienza finanziaria ed economica delle Regioni, per vedere se gl’istituti che stabiliremo sulla Carta avranno possibilità di vita nella realtà. Di una siffatta discussione volete sbrigarvi in pochi minuti? Ma allora non vi lamentate, o signori, se si dirà che questa è una Costituzione provvisoria, fatta a cottimo, a metro cubo, ad horas. Voi vi contentate di una costituzione come che sia, qualunque essa sia, purché la maggioranza la sanzioni con un voto frettoloso. Non credo che questo giovi alla Repubblica e a noi che ci crediamo. Noi abbiamo interesse che questa Costituzione non abbia un carattere frettoloso di approssimazione, di provvisorietà. Una Costituzione non ha la durata di alcune stagioni o alcuni anni. Deve vivere alteri saeculo: incidere nei bisogni vivi del Paese e anticipare quelle che sono le esigenze dell’avvenire. Pensiamoci.

E soprattutto, con regolamenti capestro, non impediamo de jure la libertà di discussione: de facto mettiamoci d’accordo; discutiamo poco o pochissimo; limitiamo quanto più possiamo il dibattito. Ma non diamo al Paese la sensazione che qui dentro è finita quella che è la norma e la ragione di vita di tutte le Assemblee: che cioè l’ultimo deputato, il più sconosciuto, Ignotus, colui che non ha ancora un nome o una voce emersi dal silenzio o dall’oscurità, colui che rappresenta anche soltanto la sua coscienza, possa esprimere il suo pensiero e dire qualche volta le parole che resteranno nella storia. Quando Andrea Costa entrò in questa Camera, era solo, non aveva gruppo o partito; quando vennero i suoi compagni, forse non erano in dieci. Orbene, tutto l’indirizzo politico italiano negli ultimi cinquanta anni, è dipeso dalla azione di quei dieci, e dei loro continuatori, che incanalarono nel Parlamento la voce delle masse lavoratrici.

Non giochiamo sempre coi numeri, coi grandi numeri. Un solo, qualche volta, vale mille: più di mille, se riassume l’anima del Paese o esprime la coscienza delle moltitudini.

Vogliamo stringere i tempi per mantenere l’impegno di non ricorrere a proroghe non necessarie né vantaggiose? Cerchiamo d’accordo la maniera più conveniente e più dignitosa di risolvere questo problema concreto, ma non diamo lo spettacolo di rinunce mortificanti, accettando ogni cinque minuti modificazioni del regolamento. Il regolamento, che sorge dalla necessità di coesistenza delle maggioranze con le minoranze, è soprattutto il presidio e la guarentigia dei diritti delle minoranze. E le minoranze voteranno contro queste proposte aggiuntive che rappresentano la mutilazione di queste guarentigie, la limitazione della libertà del nostro mandato, aggravando il pericolo che un voto capriccioso di maggioranze possa impedirci l’esercizio pieno del nostro diritto sovrano. Perché qui tutti e ciascuno rappresentiamo la sovranità del popolo, l’unità della Nazione, e tutti, anche l’ignoto, abbiamo diritto di poter dire la nostra libera parola. (Vivi applausi a destra e a sinistra).

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Onorevoli colleghi, noi abbiamo sentito ripetere, anche in questi giorni, che molte disposizioni del regolamento nostro erano state dettate soprattutto per la tutela e per la difesa delle minoranze. Oggi noi assistiamo alla violazione di questo principio. Soprattutto due norme sono gravi, e su di esse ha già richiamato la vostra attenzione il collega Molè.

Una, consentitemi di dirlo, se dovesse essere approvata, costituirebbe una umiliazione per l’Assemblea Costituente, per i rappresentanti del popolo italiano in questa Assemblea: precisamente l’ultima aggiunta provvisoria al Regolamento, nella quale si dice che i deputati presenti nell’aula dopo l’inizio dell’appello non possono più abbandonare l’aula finché l’appello stesso non sia terminato.

Siamo ridotti al sistema scolastico, alla restrizione più completa delle nostre libertà individuali e parlamentari. Sarebbe enorme che l’Assemblea Costituente votasse una disposizione di questo genere, lesiva della dignità e del mandato che ci è stato affidato dal popolo italiano.

Noi facciamo un altro rilievo, che si riferisce alla norma B) per la discussione del progetto di Costituzione.

Onorevoli colleghi, abbiamo quasi esaurito la discussione sulla prima parte del progetto di Costituzione: «diritti e doveri dei cittadini», e voi ricorderete che a questo proposito si era fatta anche una proposta, anzi una serie di proposte, che cioè queste disposizioni, queste norme, potessero far parte di un preambolo alla Costituzione. L’Assemblea sovrana è stata contraria, e va bene; e abbiamo discusso a lungo sulle norme che si riferiscono ai diritti e ai doveri dei cittadini. Ma la vera Costituzione, la «Magna Charta» delle nostre libertà, dovrebbe incominciare oggi e non si è ancora iniziata poiché si deve ancora parlare del Parlamento, del Capo dello Stato, del Governo, della Magistratura, delle Regioni e dei Comuni, delle garanzie costituzionali. Questa è la vera legge Costituzionale, quella che deve dare il nuovo volto e la nuova fisionomia al nostro Paese risorto attraverso il 2 giugno con la proclamazione della Repubblica!

Orbene, volete proprio iugulare oggi la nostra libertà di pensiero, l’espressione dei nostri sentimenti? Proprio oggi?

Intendiamoci: noi siamo d’accordo che bisogna accelerare i tempi. Ma intanto cominciamo col perdere due giorni, perché uno l’abbiamo perduto sabato scorso (Commenti) quando, abbiamo discusso sul Regolamento, quando abbiamo messo in votazione un Ordine del giorno presentato dal collega Rocco Gullo; un’altra giornata perdiamo oggi perché discuteremo indubbiamente fino a questa sera sul Regolamento. E questo in omaggio all’acceleramento dei tempi!

Comunque, andiamo pure avanti. Limitiamo la logorrea degli oratori, limitiamo il tempo a coloro che devono esprimere un pensiero, ma non arriviamo alle esagerazioni! Ognuno dovrà assumere una posizione precisa e soprattutto assumere una responsabilità nell’affrontare e risolvere i problemi costituzionali che dovranno riformare in pieno la vita del nostro Paese.

E allora non si può, onorevoli colleghi, restringere la discussione nel breve termine che è stato fissato dalla norma B). Sono degli argomenti gravi, ponderosi, poderosi, in cui ognuno, non dico ogni gruppo od ogni partito, ma ognuno di noi, avrà il diritto e il dovere di esprimere le proprie idee, ed allora troviamo nell’autodisciplina dei gruppi e dei deputati quelle norme che valgano sì ad accelerare i tempi, che valgano sì ad affrettare le discussioni, ma, badate bene, non mettiamo di fronte a noi i termini fissi, sacramentali di cui abbiamo sentito parlare in questi giorni. Noi non abbiamo preoccupazioni di ordine giuridico e di ordine costituzionale. Ci auguriamo che per il 24 di giugno la Carta costituzionale sia pronta e preparata; se si travalica il limite non si compie nessuna violazione, né di diritto né di Costituzione. Siamo qui a compiere il nostro dovere, e quando si parla e quando si scrive di colpo di Stato a questo proposito, si dice una eresia morale ed una eresia politica: colpo di Stato si può avere e si ha quando si vìolino delle norme di legge per fissarne altre che turbino la vita e sopprimono la libertà del nostro Paese.

Qui, invece, noi vogliamo dare una Costituzione, noi vogliamo dare una legge, noi vogliamo dare una norma di vita: non è colpo di Stato, ma affermazione, invece, della sovranità dello Stato attraverso l’Assemblea Costituente.

Ecco perché, noi, pur accedendo a quelle proposte che si sono fatte e che sono state presentate oggi al nostro esame, daremo voto favorevole a tutte le norme, ad eccezione di quelle due alle quali ho accennato: quella che costituisce una umiliazione per noi come uomini, come cittadini, come deputati rappresentanti del popolo e l’altra che vuole limitare quelli che sono i diritti inalienabili ed imprescrittibili delle minoranze. (Applausi a sinistra).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io devo aggiungere solo poche considerazioni a quello che hanno già detto gli onorevoli Molè e Macrelli, e lo farò in tono così, alla buona. Io non credo che vi possa essere nell’animo di nessuno di noi, della maggioranza o della minoranza, il desiderio di intaccare i diritti del Parlamento. Credo che questa intenzione debba essere senz’altro esclusa. Noi siamo qui premuti da un problema che mi pare quello della quadratura del circolo. Noi vogliamo finire il 24 giugno, e poi troviamo che tutte le vie con cui, non dico che si potrebbe finire, ma per cui ci sarebbe la speranza di finire, non corrispondono ai nostri desideri. Quindi al fondo della questione di oggi, ce n’è un’altra molto più grossa, che è la vera, quella che noi abbiamo la paura di affrontare o il desiderio di non affrontare e che, come diceva l’amico Macrelli, ci fa perdere delle giornate, per vedere come possiamo fare per accelerare i lavori col solo risultato di ritardare il raggiungimento della nostra mèta. La questione di fondo è quella se si debba o no finire per il 24 giugno; perché se si venisse nell’ordine di idee di non finire, si dovrebbe sempre trovare qualche accorgimento per snellire alquanto la procedura seguita fino a questo momento, ma si potrebbe andare avanti tranquillamente facendo una buona Costituzione, senza violare la libertà di chicchessia.

Comunque, per restare nei limiti delle proposte che ci vengono prospettate, io vi trovo alcune gravi deficienze e notevoli contraddizioni. Per esempio, la disposizione per la quale i deputati iscritti a parlare, che non rispondono alla chiamata, decadono e non possono reinscriversi, si sarebbe potuta concepire per una discussione generale come quella che abbiamo fatto fino ad ora. Ma in una discussione generale, nella quale il numero degli oratori è limitato ed è, diciamo così, il corrispettivo d’un diritto del gruppo, l’oratore che decade deve essere sostituito dal gruppo o deve poter parlare anche dopo, altrimenti basterebbe che due degli oratori iscritti non prendessero la parola perché coloro, che calcolavano di essere presenti al momento in cui sarebbero stati chiamati, perdano il diritto a parlare. Più grave è la disposizione dell’articolo 4 delle norme provvisorie che vuole aumentare il numero delle firme occorrenti per la richiesta degli appelli nominali e della votazione a scrutinio segreto. Esigere trenta firme per l’una o per l’altra delle due votazioni, significa togliere a molti dei gruppi dell’Assemblea la possibilità di chiedere un appello nominale od una votazione per scrutinio segreto in una parte della Costituzione su cui, per ragioni di carattere politico o di altra natura, questo gruppo ritenga necessario che la votazione per appello nominale o per scrutinio segreto avvenga.

L’ultima disposizione, sulla quale hanno parlato gli onorevoli Molè e Macrelli, è assurda perché non si può concepire che un deputato non possa uscire dall’aula. Finora era contemplato il caso in cui il deputato può essere obbligato ad uscire dall’aula ma era il Presidente che poteva applicare questa misura sotto forma di censura o sanzione. La nuova norma dovrebbe avere il suo corrispettivo nel senso che i deputati che fossero fuori dell’aula non dovrebbero poter entrare. Se intendiamo fotografare la situazione dell’Assemblea in un certo istante, e nessuno può uscire, nessuno deve poter entrare. Allora si arriva all’assurdo, che dei deputati non possono entrare nell’aula non perché siano stati cattivi, non perché siano stati richiamati dal Presidente, non perché abbiano fatto a cazzotti precedentemente, com’è capitato l’altro ieri, ma perché un semplice deputato ha chiesto la constatazione del numero legale. Questa disposizione non si può assolutamente accettare, perché provocherebbe un sovvertimento completo di tutte le tradizioni della vita parlamentare italiana; ed io confido che anche coloro che vorrebbero affrettare la discussione per arrivare ai limiti del 24 giugno, si rendano conto della gravità di una disposizione transitoria che ci trasformerebbe involontariamente in alunni della prima e seconda elementare: perché potrebbe darsi che, durante l’appello per la constatazione del numero legale, qualcuno di noi debba dire come faceva cinquant’anni fa a scuola: «Signora maestra, permette?» e debba alzare il dito della mano. (Ilarità).

Ma vengo alla parte più sostanziale, che è quella che concerne le discussioni generali e che rappresenta un peggioramento della proposta che era stata presentata dall’onorevole Barbareschi, e preparata d’accordo in una riunione dei capi gruppo sotto la guida del nostro Presidente.

Si era venuti allora nell’idea di sopprimere le discussioni generali e lasciarle soltanto alle parti concernenti la Regione e la composizione della seconda Camera. Questa limitazione aveva una logica; ma l’aver voluto portare la discussione generale come prefazione alla seconda parte, fa perdere ogni senso logico, perché non si può immaginare un oratore che debba parlare contemporaneamente delle attribuzioni del Capo dello Stato e della maniera con cui deve essere amministrata la Regione. Non è concepibile affrontare problemi così disparati, così differenti l’uno dall’altro, così vitali agli effetti della futura Costituzione nel termine di mezz’ora, cioè appena in tempo per pronunciare l’esordio di un discorso. Ecco perché la parte concernente la lettera B) per noi è assolutamente inaccettabile. Io vorrei arrivare a qualche cosa di conclusivo, in questo senso: accettiamo le limitazioni proposte dalla lettera A) per il Titolo III e il Titolo IV della discussione; rimandiamo quelle che concernono la lettera B). In questo frattempo dovremo affrontare e risolvere il problema della eventuale proroga dei lavori o il problema di finire in qualsiasi modo e quando avremo preso una decisione nell’uno o nell’altro senso, allora potremo discutere la parte delle proposte relative alla lettera B). Per quello che concerne le norme transitorie, possiamo essere d’accordo su tutto, ma domandiamo che non sia modificato il numero delle firme che occorrono per la richiesta degli appelli nominali e per la votazione a scrutinio segreto e che sia senza altro eliminato quell’articolo 5 delle Disposizioni provvisorie che è contrario ad ogni tradizione parlamentare. (Applausi a destra).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Onorevoli colleghi, la verità è che nell’associarmi a quanto è stato detto dai tre oratori che mi hanno preceduto, io credo di dover fare una osservazione che è fondamentale in questa discussione. Questa, che sembra una discussione regolamentare, è in fondo una discussione politica cui non si ha il coraggio di dare il suo nome, cioè di discussione politica. Tanto l’onorevole Macrelli, quanto l’onorevole Corbino, hanno accennato al fondo politico costituzionale di questa discussione. E di questo si è già parlato nella precedente occasione. Vorrei dire a questo proposito una sola parola anch’io, e poi verrò al fatto specifico. L’onorevole Orlando, parlando l’altro giorno, accennò all’alternativa di due fallimenti; un fallimento, quello di strozzare la discussione e di fare una Costituzione affrettata, e le conseguenze sarebbero di estrema gravità, perché questa Costituzione nascerebbe provvisoria per il modo della sua nascita indipendentemente anche dal suo contenuto; oppure l’altro fallimento, cioè quello di riconoscere che entro il 24 giugno non si è potuto chiudere la discussione e chiederne la proroga, e disse che preferiva il secondo. Io credo che sia venuto il momento, di fronte a questo dilemma dei due fallimenti, di dire a noi stessi e di dire al Paese una parola onesta: perché fra due fallimenti c’è un non fallimento, c’è il non fallimento dell’uomo onesto, del complesso di uomini onesti, i quali a un certo momento dicono: caro Paese, ci avevi dato un mandato, non lo abbiamo saputo eseguire completamente; chi ci succederà farà la parte che noi non abbiamo fatto. (Commenti al centro). Ad ogni modo, c’è un altro equivoco che bisognava chiarire prima di entrare in questa discussione, che è stato richiamato già più volte, ed oggi dall’onorevole Macrelli; cioè che nessuna decisione è stata presa sul preambolo. La decisione è stata rinviata; la questione è tutt’ora aperta. Quindi non partiamo dal punto di vista che quella proposta sia già stata respinta: la proposta è in piedi e deve essere ancora votata. Noi abbiamo fatto finora una parte della «dichiarazione dei diritti», cioè di quello che in una Costituzione tecnicamente ben fatta è un preambolo.

Ed ora entro nella discussione: ci troviamo di fronte a delle proposte che sono già state analizzate da altri e che sono proposte per lo meno strane, che partono da un altro errore di fondo. E l’errore di fondo è questo: che oggi scompare il deputato, perché è sostituito dal gruppo; cioè c’è l’equivoco del gruppismo. Mi scusi, l’onorevole Presidente, anche lui ha fatto richiamo a questo. Ora è bene intendersi: il deputato è eletto lui, ed è lui che compone il gruppo, e non il gruppo è composto di lui, nel senso che lui sia schiavo del gruppo. In ogni gruppo vi possono essere dei dissidenti, che hanno il diritto e il dovere di parlare. Quindi il fatto che ci siano cinque oratori ufficiali del gruppo non può escludere affatto il diritto di un singolo deputato di quel gruppo di esprimere la propria opinione, che può essere anche diversa da quella dei colleghi del gruppo. Io che vi parlo mi sono trovato più volte in questa situazione, e non ho mai esitato; anzi ho taciuto molte volte, quando altri colleghi del mio gruppo hanno espresso la mia stessa opinione; ho sentito sempre l’imperativo di dover parlare ogni volta che vedevo che fra i colleghi del mio gruppo e me c’era una differenza.

Quindi io credo che questo «gruppismo», dal quale esce poi quel senso di disciplina quasi scolastica, che può portare agli inconvenienti cui accennava l’onorevole Corbino, sia proprio la causa di questi articoli, i quali, visti alla luce di uomini liberi, non sono accettabili. E infatti, non è il mutamento di numero che propone certe differenze sostanziali di Regolamento, perché dai 508 del 1913 e dai 536, se non erro, del 1919 – dopo la riunione delle Terre, allora redente, ed ora in parte nuovamente irredente – ai 556 di oggi, la differenza è minima. La verità è che c’è una concezione che è cambiata, cioè la concezione del deputato responsabile di fronte alla sua coscienza, di fronte al Parlamento, di fronte al Paese, sostituito da un gruppo anonimo, irresponsabile di fronte a sé, di fronte al Parlamento, di fronte al Paese. E questa è la ragione fondamentale per la quale io credo che questi articoli debbano essere respinti, perché questi articoli uccidono, non il diritto delle minoranze – il che significa uccidere la democrazia – ma uccidono il sistema parlamentare basato sulla responsabilità degli uomini, che noi dobbiamo ristabilire in Italia, se vogliamo ristabilire la democrazia.

E una Costituzione discussa in questo modo non può trovare prestigio nemmeno in coloro che non l’hanno discussa, perché non è stato dato loro il modo di discuterla.

Io devo ricordare quello che dissi in un mio precedente intervento: la verità è che c’è chi crede nella Costituzione perché sa che dovrà e vorrà applicarla e ad essa dovrà obbedire; c’è chi non crede nella Costituzione, perché sa che il giorno in cui ne avrà la possibilità, non la rispetterà e la violerà, Regolamenti come questo possono adattarsi soltanto a coloro che appartengono alla seconda categoria. (Applausi a destra).

BENEDETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTI. Onorevoli colleghi, io non credo all’efficacia delle proposte di aggiunta al Regolamento, fatte allo scopo di giungere in modo conclusivo alla data del 24 giugno. Non vi credo per una ragione molto semplice: che qualunque cosa si faccia, comunque si accorcino i termini, non saremo in grado di discutere e la Costituzione, e le leggi elettorali, e i Trattati di pace, e la politica finanziaria: discussione, quest’ultima, con tanta insistenza richiesta dal Paese e dall’onorevole Nitti. Non credendo ciò, trovo perfettamente inutile che si perda tempo in queste discussioni. Trovo soprattutto pericoloso, più che inutile, che per rimediare ad un male se ne preparino altri peggiori. Qui noi mettiamo assolutamente in «non cale» i diritti delle minoranze. A me non interessa affatto la limitazione a quindici o venti minuti della facoltà di parlare, onorevole Presidente. Rilevo soltanto che in tutte le Assemblee è stata sempre la tolleranza dei membri dell’Assemblea a limitare più o meno la durata dei discorsi. Io ho sempre sentito che, quando l’Assemblea era stanca di certi argomenti o di certi oratori, bastava la richiesta di chiusura o qualche segno di insofferenza perché la trattazione cessasse. Ma qui si va più lontano: si porta a trenta il numero dei richiedenti per l’appello nominale e per la votazione a scrutinio segreto. Piano piano, aumentando il numero dei richiedenti, si concederà questa facoltà solo ai grandi partiti ed i piccoli partiti non avranno più diritto di chiedere né scrutinio segreto né votazione per appello nominale.

Ma nemmeno questo ha per me grande importanza. Ci viene proposto un altro provvedimento gravissimo, al quale mi oppongo. Agli articoli A) e B) delle norme particolari, si stabilisce un numero di interventi che si riferisce alla composizione dei gruppi organizzati nel seno dell’Assemblea. Fra questi gruppi, ve ne è uno che si chiama «misto» il quale è composto di 14-15 deputati che vi entrano perché non hanno possibilità di cittadinanza negli altri gruppi. Io mi chiedo: ha la Giunta del Regolamento diritto a dimettere d’ufficio dalla carica di deputati tutti coloro che appartengono al gruppo misto? Perché questa è la sostanza delle proposte della Giunta del Regolamento. Io vorrei una risposta precisa a questo quesito; e cioè se i deputati che appartengono al gruppo misto, non avendo diritto alla parola, non sono più investiti del diritto di rappresentanza del popolo in questa Assemblea: in altri termini, se si debbono considerare dimessi, o no, di ufficio dalla carica di deputato. È certo che tutti noi del gruppo misto, non appartenenti ai varî partiti, non avremmo più diritto di parlare se le proposte di aggiunta al Regolamento fossero approvate, il che equivarrebbe a dire che tutti i deputati del gruppo misto verrebbero dimessi d’autorità dalla carica. Signor Presidente, chiedo una risposta precisa, ripeto, su questo punto. Il resto della discussione mi sembra perfettamente inutile, dato che non arriveremo certamente a concludere i nostri lavori alla data del 24 giugno fissata dalla legge.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Onorevoli colleghi, sinora si sono pronunziati oratori nettamente contrari alle nuove norme di regolamento che sono proposte. Si potrebbe forse pensare che allora la maggioranza incominci a delinearsi in senso sfavorevole alle dette norme; ma qui non si può mai prevedere con certezza quello che avverrà, e può darsi pure che la votazione abbia un risultato in difformità dalle discussioni che finora abbiamo sentite. Ed allora, prendo la parola per una piccola proposta di modificazione, semplice e concreta. Nel merito della discussione, dal punto di vista generale, di proposito non voglio entrare. Si è insinuato troppo un sospetto, e questo sospetto mi pare che trovi anche un certo sostrato nell’articolo terminativo delle norme regolamentari che prevede la possibilità di una forma di ostruzionismo; si va talora troppo dicendo che coloro i quali vogliono prolungare e approfondire la discussione tendono ad ottenere specialmente la proroga dei lavori parlamentari e della vita dell’Assemblea. Di fronte a questo sospetto, io di proposito, per mia delicatezza, mi astengo dall’intervenire nella discussione generale. Ma dico che se l’Assemblea si pronuncerà in senso favorevole alle norme regolamentari che oggi sono proposte, a me pare indiscutibile che la lettera B) delle norme particolari debba essere modificata, o di molto o di poco, ma insomma deve essere attenuata. Non mi sembra una norma veramente seria. Non mi sembra assolutamente possibile che vi sia una sola discussione generale sulla parte che poi costituisce la vera Costituzione (Parlamento, Capo dello Stato, Governo, Magistratura, Regioni e Comuni, garanzie costituzionali) e che per ogni oratore vi debba essere mezz’ora di tempo a disposizione. Ma una settimana, sul serio, non basterebbe a discutere questi argomenti!

Sul resto, fate quello che volete. Non mi pronuncio e accetto quello che stabilirà l’Assemblea per la modifica del regolamento. Non m’importa niente, si proroghi o non si proroghi la durata dell’Assemblea. Ma faccio appello alla vostra serietà, all’equanimità ed alla coscienza del signor Presidente che dirige i nostri lavori e la nostra Assemblea con tanta autorità da parte sua e con tanto rispetto da parte nostra. Io domando: è una cosa seria questa? Su ciò chiedo una risposta da parte dell’Assemblea.

Bisogna ritenere assolutamente che quello che si propone non è possibile, per due ragioni. Innanzitutto, non si può umanamente ammettere che in mezz’ora si possa dire qualche cosa di concreto e di serio che valga a richiamare l’attenzione dell’Assemblea su questo complesso di argomenti, che sono grandi argomenti e chiedono grande riflessione e grande attenzione. D’altra parte, onorevoli colleghi, l’argomento delle Regioni e quello del Senato a me sembra che debbano essere trattati per sé stessi, isolatamente. Questi sono punti vitali e fondamentali della nostra Costituzione che rappresentano tutta la vita legislativa dell’avvenire, e, per quanto riguarda la Regione, rappresentano una trasformazione completa dello Stato. Ora, è possibile che discussioni di questo genere, di tanta importanza, debbano essere fatte in una forma complessa e caotica, anziché svolgersi distintamente, in modo che ogni capitolo richiami per sé stesso e da solo tutta l’attenzione e tutta la responsabilità (perché è questione di responsabilità, onorevoli colleghi) responsabilità che abbiamo di fronte alla nostra coscienza, ma specialmente di fronte al Paese?

Sono argomenti che debbono dar luogo a dibattiti calmi e sereni, senza limiti di tempo, e vanno convenientemente risolti, senza distrazioni e senza deviazioni, in guisa da non rimanere in alcun modo confusi tra problemi completamente diversi.

Per queste considerazioni, che cioè sia assolutamente impossibile trattare un complesso di argomenti così importanti e così elevati in mezz’ora, ed anche perché quei due argomenti della Regione e della seconda Camera debbono essere trattati ciascuno a parte, isolatamente, per arrivare a quella soluzione che riteniamo più rispondente ai vitali interessi della Nazione, io propongo di fare una rettifica, per lo meno, alla lettera B): facciano l’Assemblea e la Giunta pel Regolamento quello che credono, per quello che riguarda le varie norme presentate, ma per lo meno stabiliscano che vi siano tre discussioni di ordine generale su questo complesso di argomenti sopra indicati, e non una sola. Cioè una discussione che comprenda il Parlamento e la costituzione della seconda Camera, una seconda discussione generale sulla Regione ed i Comuni ed una terza discussione generale che possa eventualmente comprendere argomenti anche importanti, ma senza dubbio non tanto importanti quanto i primi due di cui ho parlato dianzi, e cioè il Capo dello Stato, il Governo e la Magistratura.

Mi pare che almeno questo possa essere accettato, senza il sospetto che si voglia prolungare la vita dell’Assemblea o che si abbiano preoccupazioni elettorali, e tanto meno che si pensi a fare dell’ostruzionismo; una proposta così equa, qualunque sia il risultato della prossima votazione sulle nuove norme regolamentari, non potrebbe mai essere respinta. E se si crede che anche questo sia troppo, si potrebbe ridurre il numero degli oratori su ciascuna di queste tre discussioni generali, cosicché invece di cinque oratori per i gruppi che superano i cento deputati potrebbero esservene tre, ed invece di tre per i gruppi che non superano il numero di cento almeno due, ma insisto specialmente per le tre discussioni generali. Quindi, a prescindere dalla sorte che avranno le altre norme ora proposte, in ogni caso si sopprima o si attenui, per quanto è possibile, quella che annullerebbe o quasi l’adempimento dei più grandi doveri che abbiamo verso di noi e verso la Nazione. (Applausi).

CALOSSO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALOSSO. Molto prima che nascesse l’idea della «ghigliottina», avevo presentato alla Presidenza una mozione riguardante la tecnica della discussione, che è stata sempre un mio chiodo, fin dall’inizio della Costituente, per cui le mie idee risalgono a prima che ci orientassimo verso la ghigliottina. Un Regolamento di assemblea non è mai una cosa decisiva che faccia o meno riuscire una assemblea; potrà, se mai, determinare il modo con cui truffare questa Assemblea, ma non farla funzionare.

Diceva Balfour, un conservatore, che la Camera dei Comuni, che ha un vecchio Regolamento tirannico, funziona perché i deputati la vogliono far funzionare. Ora, se andiamo al fondo delle cose, la nostra assemblea non funziona perché segretamente non si vuole che la Costituente funzioni. Noi, segretamente, non abbiamo voluto farla funzionare, fin dal primo momento. Quindi, si potrebbe correggere questo con un’azione sulla nostra volontà: non credo che vi sia altro sistema.

Se voi osservate, si tenta di ghigliottinare l’assemblea con un colpo di maggioranza. Ora, è proprio il caso che un’assemblea, che è posta a modello del Paese disorientato da venti anni di dittatura, che deve educare il Paese alla democrazia, in un momento in cui dovremmo darci tutti la mano, sia disciplinata da un Regolamento di maggioranza? Dovrà pur essere, tecnicamente, una maggioranza a votare; ma dovrebbe avere la coscienza altissima di non fare nulla, senza la fondamentale adesione della minoranza.

Notate: i partiti che, in sostanza, hanno pensato a questa ghigliottinatura desiderano segretamente – senza rendersene conto – che la Costituente fallisca, perché hanno desiderato che tutto fallisca.

Ditemi voi quale problema fondamentale non sia fallito, non per circostanze obiettive, ma per una segreta volontà. Guardate il Trattato di pace. Nessuno può negare in quale misura un’ampia discussione, oppure un referendum, avrebbe potuto agire nell’unico modo che si può agire in politica estera da parte di un Paese vinto, cioè sull’opinione pubblica del Paese vincitore. Sarebbe stata utilissima una discussione generale; invece, si è deciso di non tentarla neanche, e quel poco che potevamo fare si è ridotto ad una misura del Governo, che poi un’assemblea dovrà timbrare se avrà tempo; e non l’avrà probabilmente.

Così per il cambio della moneta, per il problema economico; potrei citare problemi molto più minuti, come quello della radio, in cui non costa niente riempire le onde eteree di una propaganda buona, anziché cattiva. Ma che cosa ha fatto il Governo? Anche questo è un problema che dovrebbe riguardare la totalità, ha deciso di abolire la propaganda ed ha obbedito a questa tendenza scettica che domina il Paese, perché siamo stanchi: prima abbiamo avuto Appelius, Ansaldo, Ezio Maria Gray e adesso abbiamo altri imbecilli che ci rompono le scatole.

PRESIDENTE. Onorevole Calosso, sarebbe preferibile che restasse in argomento.

CALOSSO. Tocco il problema nella sua essenza. Comunque lascerò la radio, che serviva ad identificare una segreta volontà di fallimento.

Anche qui siamo allo stesso punto. Ho assistito al nascere della Costituente: è nato prima il Ministero della Costituente, di cui era presidente un uomo che aveva fatto della Costituente la sua passione, la sua vita, perché si deve in notevole misura all’onorevole Pietro Nenni se la Costituente si è fatta. In quel tempo c’era un famoso motto, uno slogan: o la Costituente o il caos. Lui batteva continuamente su questo argomento e nel Ministero continuò la sua azione.

Toccava a me, per caso, essere la sua voce alla radio, e quindi ho seguito il problema. Si vede che avevamo una segreta volontà contraria a quello che dicevamo perché, appena imbastita la Costituente, che cosa si è fatto? Si è tolta alla Costituente ogni facoltà di trattare problemi di struttura e non abbiamo neppure iniziata la Costituzione. Nell’ultimo Titolo che abbiamo discusso siamo quasi arrivati a dire che la gente ha il diritto di mangiare. Cosa ci impediva di dire che la gente aveva il diritto di avere una gallina faraona ogni giorno?

Ci siamo messi, quindi, nella pura situazione giuridica di non fare nulla. Era, del resto, ben naturale che la Costituente, che non poteva trattare problemi sostanziali, fallisse.

E questa segreta volontà di fallimento si manifestò col dare tutti i poteri alla Commissione per la Costituzione. Ora, nel mondo moderno dominato dalla metafisica fascista, si sa che, quando si danno dei poteri all’esecutivo, questo tende ad usurparli.

Che cosa fecero in verità i Settantacinque? Si chiusero quasi nel loro segreto; essi si passavano dei foglietti solenni. Poi si propose, ad un determinato momento, la pubblicazione del bollettino che Nenni aveva iniziato, in modo che il Paese potesse seguire i lavori. Ma noi non si volle e si dovette al Capo dello Stato, onorevole De Nicola, se si ebbe quel minimo di pubblicità a un certo punto.

Per otto mesi, non facemmo nulla; il Paese già protestava nel mese di agosto. Avvenivano dei moti; si diceva: che cosa fa la Costituente? Ci denigravano, con grave danno di questa prima assemblea democratica. E intanto noi andavamo avanti senza far nulla, o svolgendo soltanto interrogazioni, e diventammo impopolari.

Ma intanto si diceva: si vedrà dopo: Ora lo stiamo vedendo: ecco la ghigliottina. Accade come di quei giovinastri che entrano alla stazione ferroviaria senza biglietto: i primi, quando ai cancelli si sentono chiedere i biglietti rispondono: li hanno indietro; mentre l’ultimo fa cenno che li hanno quelli davanti (Si ride). Ora, noi pure abbiamo fatto così: siamo arrivati al punto di presentare il biglietto e non facciamo nulla.

Questa è una barriera di disfattisti; e tutti noi, ed anche lei, Signor Presidente, insieme con noi, stiamo alzando questo gonfalone di disfatta: la Costituente è fallita. Noi diamo questo scandalo.

Perciò ho insistito sulla mia mozione di un mese e mezzo fa; perciò penso che stiamo per fare una cattiva azione e che, se potessimo non farla, sarebbe meglio. Se infatti ciascuno di noi, nella sua sovranità, si decidesse a soprassedere a questa manovra, pur proponendosi ciascuno di contenere la discussione, sarebbe una cosa bella.

Che se proprio questo non si vuol fare, diciamo almeno una parola di sincerità al mondo: la Costituente ha fallito, perché ha voluto fallire.

Una voce a sinistra. Non è vero! Non è vero!

CALOSSO. Io sono molto contento se qualche onorevole Collega dai banchi della sinistra, volesse gentilmente… (Interruzioni – Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. Voi siete dei parolai, come lo eravate nel 1925.

CALOSSO. Ma questa è storia: io mi appello agli stessi uomini che hanno alzato la bandiera della Costituente, al nostro collega onorevole Nenni che ha il merito storico…

CONTI. Ma che Nenni! Siamo stati noi! (Si ride).

PRESIDENTE. Onorevole Calosso, non risponda, la prego, alle interruzioni.

CALOSSO. Dirò adesso qualche cosa, ormai inutile, di quello che avevo l’intenzione di dire un mese e mezzo fa, perché scrissi fin dall’inizio della Costituente che cosa dovevamo fare.

PRESIDENTE. Onorevole Calosso, la sua proposta è stata letta pubblicamente all’Assemblea. Lei era assente.

CALOSSO. Signor Presidente, se permette faccio una critica alla Presidenza…

PRESIDENTE. Lei può fare la critica senza chiedere il permesso.

CALOSSO. Faccio osservare, per esempio, che un giorno io presentai un’interrogazione sulla radio, un’interrogazione apolitica perché tutto ciò che riguarda la radio dovrebbe essere apolitico, ed era firmata da membri di tutti i partiti (Commenti).

Fatta questa interrogazione io domandai: quando verrà in discussione? Mi si rispose: più tardi, più tardi. Dopo cinque mesi, una mattina si lesse l’interrogazione.

Io non c’ero. Vengo tutti i giorni, ma quella mattina non c’ero, e l’interrogazione decadde. Trovo quindi che c’è un errore nel Regolamento. Io avrei dovuto essere per cinque mesi continuamente presente. (Si ride).

PRESIDENTE. Era sufficiente che lei, come certamente fa, leggesse quotidianamente l’ordine del giorno dell’Assemblea, nel quale sono anche indicate le interrogazioni. E l’onorevole Cianca, firmatario, come lei, di quella interrogazione, avendo diligentemente constatato che era all’ordine del giorno di quel giorno, si trovò presente e rispose al Ministro.

CALOSSO. Non credo che sia andata così. Cianca era qui per caso e quindi parlò. Ma come il Governo è avvertito, gentilmente, perché venga a rispondere alle interrogazioni, io penso che anche un membro del Parlamento dovrebbe essere gentilmente avvertito. Perché questa differenza? Ve la dirò io. È la stessa questione della topografia dell’aula. Perché abbiamo al centro il banco del Governo? Perché in un Parlamento si deve sottolineare questa eccezionale differenza fra il Governo e i membri dell’Assemblea? Quale diminuzione di autorità avrebbe il Governo se sedesse sugli stessi banchi nostri? (Commenti).

Una voce. Non siamo a Londra!

CALOSSO. Non siamo né a Londra né a Mosca, e siamo lieti di non essere né a Londra, né a Mosca.

PRESIDENTE. Onorevole Calosso, la prego. Abbiamo un documento sott’occhio da esanimare. Non parliamo adesso dei banchi del Governo.

CALOSSO. No, si parla anche di quelli.

PRESIDENTE. La prego, onorevole Calosso, so ancora leggere l’italiano.

CALOSSO. A me sarebbe sembrato giusto che poiché quest’aula è troppo grande, e ne ho parlato in una mozione…

PRESIDENTE. Onorevole Calosso, la sua mozione non è all’ordine del giorno. Lei propone di dimezzare l’aula: ne parleremo un altro giorno. (Si ride).

CALOSSO. Abbiamo fallito ma non abbiamo dimezzato l’aula. Ma non è questo il punto. Io sostenevo questo punto: che per non perdere tempo la prima cosa importante da fare era di discutere come si doveva discutere e non buttarci tutto sulle spalle e poi fallire.

Ora, sarebbe naturale che per ogni Titolo della Costituzione, per ogni cosa importante, dopo una discussione generale, che certamente dovrebbe essere imbrigliata da noi stessi con pochi oratori, uno o due per gruppo (proposta che fece il signor Presidente e della quale spetta a lei il merito) si fosse arrivati ad un punto in cui da uomini liberi, da gentiluomini… (Interruzioni a sinistra).

PAJETTA GIAN CARLO. Da gentiluomini: è più all’inglese!

CALOSSO. Io sono disposto a prendere dall’Inghilterra e dalla Russia tutto ciò che c’è di buono, onorevole Pajetta!

PRESIDENTE. Onorevole Calosso, faccia comunque la sua proposta.

CALOSSO. Mi lasci parlare, signor Presidente, a mio modo. Io parlo adagio e la Costituente ha fatto in fretta. Ora, deve venire il momento in cui una legge, un Titolo, vanno discussi come si fa in quelle storiche istituzioni che hanno sempre funzionato: per esempio i Comuni. Si discute attorno a un tavolo e ognuno può dire una parola considerandosi un uomo responsabile eletto dalla Nazione, senza fare interruzioni di carattere facinoroso (Accenna a sinistra) ed essendo disposto anche a convincersi della tesi diversa dalla propria. Noi potremo arrivare molto più in fretta così. Io sono disposto a convincermi in ogni istante della tesi dell’avversario.

Perciò sarebbe necessario che ad ogni Titolo, dopo la discussione generale, abbreviata, si tenesse una seduta di Comitato in cui il Presidente fosse una figura teorica, che abdicasse ai suoi poteri e, in un certo senso, si limitasse a tirare le orecchie a qualcuno. Io credo che in questo modo probabilmente rischieremmo di ubbidire al Regolamento, senza scambi di invettive, e finiremmo col fare un colloquio utile dal quale vien fuori la legge. E sarebbe una cosa bella! Non l’abbiamo voluto fare, e non l’abbiamo voluto fare per guadagnar tempo. Ed è questo che mi indigna. L’avessimo almeno voluto fare per perdere tempo; ma l’abbiamo fatto per guadagnar tempo, ed è per guadagnar tempo che noi faticoni abbiamo gridato e insultato (perché anche questo è possibile in questa aula).

E notate: questa fretta in nome della lentezza, questa fretta non intelligente con cui siamo andati adagio, ha già apportato inconvenienti ed altri ancora ne apporterà quando discuteremo delle Regioni, della pace, della neutralità, dell’abolizione della guerra: problemi possibili e pratici, se li tratteremo con la dovuta delicatezza.

Per l’esempio: c’è l’articolo sulla stampa, che è importante, perché si sbandiera molto e i giornali se ne interessano in modo particolare. Ora, perché l’abbiamo approvato? Io ricordo che alzai la mano: «Signor Presidente, non ho capito bene», dissi.

Ora siamo sinceri: chi l’ha approvato? La maggioranza che l’ha votato è pentita, ed in qualche modo se potesse tornare indietro a questo gratuito errore che non ha servito a nessuno, sarebbe ben lieta, perché, in fondo, non è stata reazione o calcolo che ha determinato quel voto. Noi facciamo finta qualche volta di essere troppo furbi per scusare i nostri errori. È stata la fretta. Perciò io rivolgo questo estremo appello, senza pensare, come dice l’onorevole Marchesi, di salvare la mia anima: facciamo una buona Costituzione; pensiamo solo a questo e se sapremo autolimitarci, senza bisogno di catene e di ghigliottine; credo che non impiegheremo molto tempo. Se abbiamo sbagliato un articolo, che cosa faremo quando ci sarà da trattare dei problemi della pace e della guerra? In sostanza vorrei che il corpo elettorale non desse un giudizio negativo su di noi. (Applausi a sinistra).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, su questo argomento abbiamo già discusso l’altro giorno e quindi ora potremo stringere. Se le proposte che fa la Giunta del Regolamento vogliono dimostrare che l’ordine del giorno presentato nell’altra seduta dall’onorevole Giannini è praticamente attuabile, la Giunta ha ottenuto completamente il suo scopo.

Che cosa dice Giannini? Che l’Assemblea «deve e può» nel termine stabilito fare la Costituzione, nonché tutte le altre leggi. Io ho fatto un piccolo calcolo. Se si applicasse questo regolamento avremmo 34 oratori a mezz’ora ciascuno nella discussione generale cioè 17 ore; dò mille minuti per le dichiarazioni di voto ed altre mille minuti per gli emendamenti. Sono altre 36 ore. Complessivamente 50. Quindi 10 giorni, per la discussione ed approvazione della Costituzione. Vi pare semplice tutto questo, quando per approvare 39 articoli abbiamo impiegato 2 mesi? È possibile che sia questa la volontà dell’Assemblea eletta per fare la Costituzione; o è una burla che vogliamo fare a noi stessi e dire che la Costituzione rimarrà quella che è stata preparata dalla Commissione e che noi non vogliamo cambiare nemmeno una sillaba. Perché in tal caso basterebbe imbussolare i nomi dei 560 deputati, sceglierne 34 che si riuniscano e decidano, e poi per alzata di mano approvare la Costituzione. Sarebbe forse più semplice…

Quindi è evidente che, come diceva l’onorevole Calamandrei in un famoso discorso, qui il problema è diverso da quello che stiamo discutendo. C’è un problema che stiamo trattando e c’è un altro problema «controluce» che non vogliamo discutere. In fondo, qual è la questione che ci preoccupa di più? Se è possibile oltrepassare il termine fissato del 24 giugno, se è possibile farlo, e se questo sorpassamento non voglia significare invece un attaccamento eccessivo a questo seggio, in quanto molti deputati temono di non tornare alla Camera. (Commenti). Questa è la verità.

Io parlo con molta sincerità. Ma non è vero che il problema si ponga così. Fra i membri più autorevoli del Partito socialista italiano e del Partito comunista il problema è posto nel senso di dover fare le elezioni a ottobre, o al massimo ai primi di novembre. Ed allora la questione si può spostare, dicendo: approviamo la legge elettorale, che è la prima cosa, e di cui invece non sappiamo ancora nulla. Non è arrivata neanche al Consiglio dei Ministri: non sappiamo ancora i criteri che la informeranno, come si voterà e se resterà la proporzionale. Facciamo quindi la legge elettorale, stabiliamo la data delle elezioni e prolunghiamo la Costituente di due mesi o due mesi e mezzo: quanto occorre per arrivare al termine fatale. E allora tutto potremo comodamente discutere. Io non lo esamino questo regolamento capestro, non lo voglio esaminare. Mi pare impossibile che l’Assemblea possa fare un gesto di Origene nel disconoscere la ragione per cui è stata eletta. Ogni volta che si è parlato di qualche altro regolamento si è detto: dobbiamo fare la Costituzione, e non altro. È serio che per mezz’ora possano parlare cinque oratori dei due grandi gruppi, e tre per i gruppi minori? Per l’Unione Democratica Nazionale bisognerà fare una specie di cernita: anzitutto: Grassi, Nitti, Labriola, Porzio ecc. Chi parlerà di costoro? Del gruppo misto: Bergamini, Benedetti, Bruni, che rappresentano un partito; Fabbri, che rappresenta un altro partito; Finocchiaro che rappresenta un terzo partito; Orlando, Patrissi. Chi parlerà? Chi saranno i tre prescelti? Si dovranno mettere in un sacchetto i nomi, e poi estrarli a sorte? È assurdo!…

È possibile, onorevole Presidente? Lei che conosce così bene il progetto di Costituzione, che ne pensa? Siamo al 5 maggio e mancano 40 sedute al 24 giugno. I diritti e doveri dei cittadini potevano benissimo far parte di un preambolo, come nella Costituzione francese. Abbiamo 13 argomenti che dovrebbero essere trattati in unica discussione con cinque o tre oratori per gruppo, cioè con un totale di 34 oratori. Tutti questi tredici argomenti dovrebbero essere discussi in mezz’ora per ciascun oratore: il Parlamento, il sistema bicamerale, la formazione del Senato, la formazione delle leggi, il Capo dello Stato, il Consiglio dei Ministri, la Pubblica Amministrazione, l’Ordinamento giudiziario e le norme sulla giurisdizione, le Regioni ed i Comuni. Di ciò non abbiamo discusso nella parte generalissima, perché l’illustre Presidente osservò che la discussione sulle Regioni si sarebbe fatta nella trattazione generale di questo titolo. Poi le Garanzie costituzionali, la Carta costituzionale, la Revisione della Costituzione, le Disposizioni transitorie e il Preambolo, al quale dobbiamo tornare, infine, nella revisione generale. Come tutto questo si potrà fare con una discussione di 34 oratori con mezz’ora ciascuno, cioè 17 ore in tutto, io me lo domando. E allora quale è il rimedio? L’avevamo trovato l’altro giorno. Forse non è stata opportuna la proposta di mandare alla Giunta per il regolamento la questione, perché gli onorevoli Barbareschi, Scoccimarro, Mastino Gesumino e Grassi avevano fatto una proposta che debitamente emendata poteva anche passare: dicevano i quattro colleghi che la esperienza realizzata nel corso della discussione ci consigliava a stabilire un metodo diverso di discussione. Non si sarebbe scomodato il Regolamento della Camera, che si vorrebbe innovare molto inopportunamente, facendo anche entrare in esso i gruppi parlamentari che non entrarono nemmeno nella nomina delle 4 Commissioni, perché quando si formarono le 4 Commissioni si stabilì che sarebbero state elette dagli Uffici e poi si delegò al Presidente la nomina, ma si disse Uffici non Gruppi. Sulla base dell’ordine del giorno dei quattro autorevoli colleghi, che sembrava concordato tra i partiti, con qualche opportuno emendamento si sarebbe potuto facilmente raggiungere l’accordo; ond’io, senza tediare più a lungo gli onorevoli colleghi, sarei dell’opinione che si potrà eventualmente riprendere la proposta Barbareschi e compagni, ripresentando gli eventuali emendamenti, tra i quali quello modesto che io avevo proposto che serviva essenzialmente allo scopo di affrettare la discussione. Non sarebbe stato un regolamento ghigliottina, né un regolamento capestro, ma un regolamento che sarebbe servito ad affrettare la discussione e avrebbe dimostrata la nostra buona volontà di arrivare al più presto possibile alla conclusione dei nostri lavori.

Limitazione degli iscritti da uno a tre per gruppo, limitazione del tempo per gli emendamenti a non più di 20 minuti per ciascun oratore e a non più di 10 minuti per le dichiarazioni di voto. Con queste proposte io credo che potremmo ugualmente ultimare con una certa rapidità il nostro compito e dare la sensazione al corpo elettorale, che ci ha inviati in quest’Aula per fare una buona Costituzione, ché se anche la Costituzione non riuscirà quella perfetta a cui aspiriamo, abbiamo fatto tutti gli sforzi possibili per adempiere onestamente e coscienziosamente al nostro dovere. (Approvazioni).

LABRIOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LABRIOLA. Non parlo certo nelle migliori condizioni, giunto appena adesso da un viaggio. Non crediate che io non mi accorga che ci ripetiamo tutti. Credo sia necessario ripetersi, persino in una Assemblea che impone in me tutto il rispetto possibile; ma ricordo che un pubblicista di parte cattolica, scrivendo in una rivista di alta tenuta culturale, riassumendo un discorso che io feci in questa Assemblea, in questa Aula medesima, al tempo della legge Acerbo che iniziava la dittatura fascista, citava con lode una mia opinione, che ripeterei anche in questa circostanza. E la mia opinione era questa: un giorno le pagine di questi resoconti saranno compulsate da qualcuno e questo qualcuno troverà che in un’Assemblea coartata dal terrore ci fu chi seppe difendere i diritti della Nazione, non i diritti di questa parte o di quella parte politica, ma i diritti della Nazione. Le modifiche al Regolamento proposte dalla Presidenza sono un attentato alla libertà del paese. E prendo la parola, alla bella e meglio, perché il documento resti che qualcuno si oppose. Il mio desiderio più vivo sarebbe che gli anziani di questa Assemblea, non già gli anziani di età, come sono io, ma gli anziani di vecchia esperienza ed uffici ricoperti prendessero la parola, dicessero il loro dissenso. Essi potrebbero a tutti ricordare che il Regolamento della Camera è un documento storico che non si deve alterare. Esso è il risultato di una lotta magnificamente combattuta ai suoi tempi contro coloro che volevano violare la libertà della tribuna e delle discussioni, e fu la lotta condotta da una piccola pattuglia contro una maggioranza reazionaria, la maggioranza di Pelloux. Allora questa piccola minoranza volevano schiacciare; si diceva che si chiacchierava troppo, che si discorreva a perdifiato. Infatti il vecchio Regolamento della Camera permetteva anche di leggere magari dei fogli di annunzi o di estranea letteratura per ore intere e quei deputati si servirono di questo diritto per impedire ad una grossa maggioranza di mettere il bavaglio al paese, o almeno per protrarre la realizzazione di questo delitto. Essi dichiararono che quando si trattava dei diritti della individualità, della persona, della coscienza dei cittadini, delle loro opinioni, su ogni disposizione e su ogni regolamento si doveva passare e il Regolamento della Camera fu il risultato, appunto, di questa lotta. L’ostruzionismo praticato dall’Estrema Sinistra di allora, è rimasto celebre nella memoria delle nostre lotte politiche e parlamentari.

Vi sono certo dei momenti della lotta parlamentare in cui anche l’ostruzionismo, anche la violenza fisica può diventare una necessità per combattere una battaglia che il numero non permette di vincere. E in quell’Assemblea Leonida Bissolati non esitò a gridare: «Abbasso la monarchia; abbasso il re!», perché ebbe la sensazione che dietro il nuovo Regolamento che alla Camera si voleva imporre, vi erano tutte le forze reazionarie del Paese, le quali, in quel momento facevano capo al re. E si combatté, allora. Il capo del Governo di allora si appellò agli elettori e pensò che gli elettori potessero dargli ragione. Quale fu la loro risposta? Un’estrema sinistra triplicata di numero. Era ancora inferiore alla maggioranza; ma il prestigio morale era tutto per essa. Aveva vinto moralmente; e tutti, anche gli oppositori che avevano per sé la quantità del numero, si inchinarono e riconobbero che la vittoria era da quell’altra parte. Si venne ad un compromesso, al quale presero parte Zanardelli e Giolitti, e la Camera si dette un nuovo Regolamento: è il Regolamento che noi abbiamo; un Regolamento che è il risultato di una battaglia, combattuta in nome della libertà. Perché, che cosa valgono le Costituzioni quando non ci sono i deputati per difenderle; e come i deputati possono difenderle se non c’è un Regolamento dell’Assemblea che lo renda possibile? Toccare i diritti di discussione dei deputati nell’Assemblea – sia pure di sterminatamente chiacchierare – significa rendere possibile ogni attentato alle libertà popolari. Ah, questa nostra Assemblea! A quanti tristi spettacoli ci sta abituando: abbiamo voluto creare la libertà, abbiamo voluto creare la democrazia; e il risultato è che la libertà e la democrazia le neghiamo prima di tutto a noi stessi! Sbalordente è questa nostra democrazia!

La colpa del ritardo frapposto nei nostri lavori, è un po’ di tutti; prima di tutto del Governo. Ha male agito quando è venuto davanti all’Assemblea senza un suo progetto di Costituzione. Su un breve progetto di legge avremmo discusso immediatamente; il tempo ci sarebbe stato sicuramente perché tutte le opinioni fossero esposte. Invece si è nominata una grossa Commissione, che era un mezzo Parlamento, e si sa le conseguenze quali sono state. E perché l’Assemblea dovrebbe essa sopportare le conseguenze degli errori altrui? Purtroppo questa Assemblea mostra una facile rassegnazione in molte cose. La situazione finanziaria è tremenda. Vorremmo la discussione; la discussione ci è negata; la discussione è prorogata; non si giunge mai ad ottenere che questo Governo venga davanti a noi. Si tace sulle cose essenziali: si deve dunque sempre tacere?

E dovremmo altresì rinunciare a discutere con l’ampiezza necessaria le questioni che riguardano la Costituzione? Ah no! Io probabilmente non avrò né il modo né la necessità e nemmeno il desiderio di prendere la parola sui Titoli di essa che si debbono ancora discutere. A dire il vero, non credo che valga la pena di troppo insistere su quello che essa possa contenere e la ragione poi in sostanza è questa: che io sono dell’opinione che il diritto costituzionale italiano riconosca il diritto costituente a tutte le Assemblee legislative, e che la futura Camera normale dei deputati potrà esercitare questo diritto costituente, checché la Costituzione da noi fabbricata possa contenere. Ma non parlo per me, parlo per l’esempio che diamo al Paese; e dicevo dianzi e ripeto, perché le ripetizioni in questa discussione sono necessarie: pretendiamo di assicurare con la Costituzione la libertà del Paese, e intanto, la togliamo a noi stessi col Regolamento proposto.

Purtroppo qui si consolida la partitocrazia che in varie circostanze io ho dovuto denunciare all’Assemblea. La volontà dei partiti, come fatto libero e dipendente da conformità ideologiche, è necessaria per il funzionamento della democrazia ed io mi inchino ad essa come una evidente necessità. Ma i partiti non debbono imporre ai loro seguaci quella clericale disciplina che tolga ad essi la propria libertà. E se anche uno solo dei componenti di essi dissente dalle opinioni di tutti gli altri, assicuriamogli la possibilità di esprimere il suo dissenso nell’Assemblea. Io ho paura di questo nuovo Regolamento, perché ho paura delle dittature. Si comincia dal Regolamento dell’Assemblea, e si finisce con la dittatura generale. Meglio l’ostruzionismo…

Una voce a sinistra. Ne fate anche adesso di ostruzionismo!

LABRIOLA. L’ostruzionismo del 1900 iniziò il paese alla libertà. In nome di quel passato chiedo che le disposizioni regolamentari proposte vengano senz’altro respinte. (Applausi).

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, tratterò il tema sul terreno su cui il tema stesso è stato posto. Io non esaminerò la questione relativa alla necessità o possibilità di prorogare i lavori della Costituente, perché tale questione sorgerà al momento opportuno e ciascuno di noi assumerà la propria responsabilità, e noi, ad esempio, svolgeremo una tesi in contrasto con quella enunciata oggi dall’onorevole Lucifero.

Qui si tratta di conciliare l’esigenza della brevità del tempo con l’esigenza della serietà del dibattito. Per quanto riguarda il nostro Gruppo, che dato il numero dei suoi componenti non è chiamato a fare grandi sacrifici, noi abbiamo sempre ammesso la possibilità di disciplinare la discussione in modo che si possa arrivare, nel più breve termine possibile, alle conclusioni. E il Presidente può farmi testimonianza che questa necessità è stata ampiamente riconosciuta da noi nelle riunioni dei presidenti dei Gruppi, di cui la Presidenza ha preso l’iniziativa, quando abbiamo aderito, in linea di massima, all’opportunità di rinunciare alle discussioni generali su alcuni titoli.

Devo dire però che la proposta di modifica del Regolamento che viene oggi sottoposta al nostro esame aggrava la situazione quale appariva dalle proposte dei colleghi Barbareschi e Scoccimarro. Io non insisterò sulle osservazioni che sono state formulate dal collega Corbino e da altri colleghi sull’articolo 5 delle proposte di carattere generale. Mi limiterò soltanto a porre in rilievo la troppo grande differenza, per così dire, di trattamento che viene fatta alla seconda parte della Costituzione in rapporto alla prima parte, perché mentre nella lettera A) si stabilisce che per i titoli riguardanti i rapporti economici ed i rapporti politici ci debba essere una discussione generale, sia pure limitata nel tempo e nel numero degli interventi, per quanto riguarda viceversa la seconda parte, la discussione generale viene decretata in rapporto a tutti e sei i Titoli della seconda parte.

Ora, non ripeterò quello che è stato detto circa l’importanza essenziale della seconda parte della Costituzione. Penso che per abbreviare il dibattito ciascuno di noi si debba imporre di non ripetere quello che viene detto da altri colleghi; penso però che è veramente strano il criterio per effetto del quale soltanto tre oratori per ogni Gruppo dovrebbero occuparsi di tutti e sei i Titoli compresi nella seconda parte, col pericolo che venga applicato anche il terzo articolo delle Disposizioni generali: col pericolo cioè che se qualcuno di questi tre oratori ha presentato degli emendamenti, deve accontentarsi dei trenta minuti che gli sono assegnati dalla lettera C) delle norme particolari, e deve rinunciare allo svolgimento di quegli emendamenti, perché essi si ritengono svolti nella discussione generale.

Per quanto riguarda, dunque, la lettera A) e per quanto riguarda la parte finale della lettera C), cioè la parte relativa al limite di tempo assegnato agli oratori sulla struttura dello Stato, noi siamo contrari all’approvazione delle norme che ci vengono proposte.

Ci domandiamo se non sia possibile arrivare ad una formulazione la quale si avvicini a quella Barbareschi, con alcuni emendamenti che meglio garantiscano non solo il diritto dei deputati costituenti ma anche la serietà delle discussioni. Ecco perché, mentre ci auguriamo che si trovi la possibilità di nuove formule intorno alle quali sia possibile raccogliere il consenso dell’Assemblea, non ci sentiamo, nelle condizioni attuali, di votare le proposte di modifiche che ci sono state presentate.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Prendo la parola per dichiarare il mio dissenso alle proposte di Regolamento presentate alla Costituente. La ragione del mio dissenso è fondamentalmente legale anzi, direi, di carattere costituzionale. È stato avvertito da diversi oratori che allo sfondo di questa questione, che appare una questione di regolamento, c’è invece una questione costituzionale. Ma non mi sembra che la questione costituzionale sia stata esattamente identificata. La questione di diritto costituzionale sorge essenzialmente da un problema di conflitto fra regolamento e legge costituzionale; perché a me sembra che attraverso una modifica di regolamento si vengano a scuotere le basi giuridiche della nostra funzione di deputati e di partecipi al potere legislativo e costituente. Perché io ricordo a me stesso che i momenti della nostra funzione, allorquando si delibera una legge (e qui si delibera una Costituzione) sono due: la discussione ed il voto.

Come non si può in nessun modo limitare la possibilità del voto, così non si può in nessun modo limitare la possibilità della discussione. Noi siamo qui non soltanto per votare ma per discutere; noi abbiamo il preciso dovere di respingere ogni limitazione all’esercizio di questo nostro dovere e diritto di discutere ciò che viene sottoposto alla nostra approvazione. I regolamenti, che sono l’esplicazione dell’autonomia di queste assemblee, trovano un limite appunto in quelli che sono i diritti, le norme di diritto costituzionale. I regolamenti hanno una sola funzione: quella di rendere possibile e di regolare l’esercizio del nostro mandato, l’esercizio della nostra funzione; ma quando questi nostri regolamenti raggiungessero l’effetto di limitare, anzi, addirittura, per certi deputati, di abolire il diritto alla discussione, questi regolamenti sarebbero nettamente incostituzionali. Non sarà certo la mancanza dell’organo che possa dichiarare la incostituzionalità di questo regolamento che ce la farà escludere. La incostituzionalità nasce evidentemente da ciò: che questo regolamento verrebbe a limitare la facoltà di discussione, dell’esercizio della discussione che è un elemento fondamentale e costitutivo dell’esplicazione del nostro mandato. Io suppongo l’ipotesi che un voto unanime dell’Assemblea possa limitare o togliere, sia pure ad un solo deputato, il diritto di parlare quando egli lo ritenga necessario. Ebbene: il regolamento può regolare questo diritto, ma non può scalfirlo, non c’è disposizione di regolamento che possa commettere questa enormità.

Ora, ciò posto, è palese la incostituzionalità di molti degli articoli di regolamento che si sottopongono al nostro giudizio. Si vuole regolare la discussione generale sugli ultimi due Titoli della seconda parte. Qui si cade in quel difetto di incostituzionalità a cui ho già accennato, che si appalesa molto più grave nelle norme con le quali si vuole limitare la discussione della parte seconda. Qui non vi è soltanto la limitazione, ma la negazione del diritto di discutere a 530 deputati su 555, ai quali viene tolto il diritto di parola, cosicché, se un deputato di più di quei tre ammessi per ciascun Gruppo volesse parlare, questi non potrebbe parlare.

E io dichiaro che se questa norma fosse votata dall’Assemblea, chiederei ugualmente la parola, perché sentirei di averne il diritto, in quanto qui mandato col voto degli elettori, e lascerei al Presidente e all’Assemblea la responsabilità di violare questo mio diritto. (Commenti). Ma io eserciterei sempre ed inflessibilmente questo diritto, chiedendo la parola e considererei nient’altro che una violenza il diniego in forza dell’illegale regolamento che si vuole introdurre.

Tutta la Nazione, e particolarmente i posteri, apprenderebbero siffatta norma regolamentare come violatrice dell’esercizio del mandato parlamentare. Forse solo noi, in quest’Aula, che ormai – dopo nove mesi di consorzio – ci conosciamo, possiamo ritenere – come aveva detto poco fa generosamente ma obiettivamente l’onorevole Corbino – che qui non c’è in nessuno la volontà di violare il diritto parlamentare. Ma altro sono le intenzioni, altro è quello che, pure avendo le migliori intenzioni, realmente si pratica.

La violazione del diritto sarebbe palese e, come vi dicevo, sarebbe ancor più palese nelle norme che vogliono limitare la discussione della parte seconda. Perché qui non sarebbe soltanto l’esclusione dalla discussione di 530 o 520 deputati, i quali hanno tutti ugualmente il diritto di parlare solo che lo vogliano, ma vi sarebbe anche l’impossibilità di quei 25 o 35 ammessi a parlare, a parlare effettivamente, perché è impossibile a mente umana – fosse anche quella di uno di quei giureconsulti romani, che avevano la virtù di condensare in poche parole i pensieri più profondi – si trattasse anche di un uomo di quella fatta, di un cervello organizzato in quel modo, non si potrebbe in mezz’ora occuparsi di tutta la Costituzione di uno Stato: sarebbe, in fondo, una irrisione dire ad un deputato: parla, in mezz’ora, della Costituzione di un Paese.

Una simile disposizione, colleghi, rivendicherebbe proprio quell’abatino del ’700 che scrisse un opuscolo intitolato così: «Brevi cenni sull’universo». Una discussione di mezz’ora sulla Costituzione è una irrisione e noi faremmo ridere per molte generazioni coloro che vorranno studiare la storia, della nostra Costituzione.

Una voce a sinistra. Ma ci sono voluti due mesi per gli articoli approvati!

CONDORELLI. Questo non è dipeso, indubbiamente, dalle discussioni generali, ma dall’abbondanza di emendamenti presentati, e non so la responsabilità su chi cada. Sarà dipeso anche da un certo ostruzionismo che abbiamo visto fare poche sere fa, e non so la responsabilità su chi cada. Ma, certo, non vi metterete a posto verso il Paese, verso il quale avevate assunto l’impegno di dargli una Costituzione, strozzando oggi la discussione.

Poi il problema, oltre che giuridico, è un problema essenzialmente politico. Ma il problema giuridico è di tale rilevanza, perché poggia sui cardini stessi dell’ordinamento costituzionale, che non sarebbe necessario scendere ad altro esame.

Tuttavia, esaminiamo la questione anche da un punto di vista politico: queste disposizioni verrebbero da tutti apprese come un mezzo per imbavagliare le minoranze, perché ai partiti che formano la maggioranza parlamentare, che hanno il pregio o il difetto – non voglio discuterlo – di essere conformisti, tre o cinque oratori possono essere anche soverchi, giacché ne basta uno solo. Anzi potrebbero anche fare a meno di parlare, come stasera in questo dibattito: vedo infatti che i partiti di maggioranza non hanno neanche bisogno di parlare.

I colleghi dei grandi partiti organizzati, che hanno il merito, chiamiamolo senz’altro merito, del conformismo possono anche rinunziare ai cinque o ai tre oratori che si sono riservati. La limitazione sarebbe per i partiti di minoranza, che hanno il difetto e l’orgoglio – consentitemi che io lo chiami orgoglio – di consultarsi prima di tutto, con la propria coscienza, per cui può avvenire che il pensiero di un gruppo di venti o anche di dieci deputati sia costituito non da due o da tre punti di vista, ma da venti o da dieci, e tutti rispettabili, perché…

PAJETTA GIAN CARLO. Ci sono anche di quelli che hanno due coscienze.

CONDORELLI. Sì, ci sono di quelli che hanno due coscienze e, sono appunto coloro che uti singuli pensano una cosa e poi, per imposizione del loro Gruppo, ne pensano un’altra.

Io, certo, di coscienza ne ho una sola. Quando essa fosse in opposizione col Gruppo o il Gruppo mi impedisse di manifestare la mia opinione personale, io me ne staccherei: ma il mio Gruppo, proprio perché liberale, non mi impone nulla e ne avete una prova evidente in queste discussioni.

Noi non possiamo limitarci ai tre oratori, senza sentirci menomati nel mandato che abbiamo ricevuto. Se vi sono dieci opinioni diverse, tutte e dieci hanno non il diritto, ma il preciso dovere di farsi udire.

E poi questi gruppi potranno anche essere il diritto costituzionale dell’avvenire. Per ora, e per molto tempo ancora il deputato è il rappresentante della Nazione e non del gruppo. Noi siamo sul punto di consacrare questo principio venerando del nostro diritto costituzionale nella Carta costituzionale. Il deputato è dunque il rappresentante della Nazione e, come tale, esprime il suo pensiero.

Le limitazioni della parola in forza della costituzione in Gruppi sarebbero dunque estrinseche e illegali. Ma vi è anche la questione delle votazioni. Anche per essa, vi sarebbe una palese violazione del diritto delle minoranze: il mio gruppo non potrebbe infatti chieder mai, giusta le nuove disposizioni regolamentari, una votazione a scrutinio segreto perché siamo soltanto ventidue. E ci sarebbero anzi alcuni Gruppi che non potrebbero chiedere neppure la votazione per appello nominale. Vi pare che così sarebbero salvaguardati i diritti delle minoranze?

Ma chi va a ricercare questi particolari, di fronte all’enormità di un regolamento che vorrebbe togliere a un deputato la parte essenziale della sua funzione? Perché la sua funzione, checché si possa pensare da parte di chi appartiene ai gruppi mastodontici, non è tanto di votare, quanto quella di discutere di fronte alla Costituente ed alla Nazione.

Io ho parlato in nome del diritto e in difesa della mia responsabilità perché ritengo che, quando si votasse un regolamento simile, noi avremmo condannato ancora una volta – forse per la terza volta – in sul nascere, lo stesso principio democratico.

Ma vi è una questione di fondo: la questione della durata dei nostri lavori. Di fronte a tale questione, io personalmente, vi dichiaro che sono convinto che i nostri lavori debbono cessare il 24 giugno. E ciò non già per una ragione giuridica, perché è ovvio che non può esistere una legge che non sia suscettiva di abrogazione o modifica. Anche quindi la legge del 16 marzo 1946 potrebbe essere modificata: una legge immodificabile, una legge eterna, fra le cose umane, non c’è. C’è soltanto la legge divina che è eterna. Le leggi civili, le leggi costituzionali sono necessariamente modificabili. Nulla vieta perciò che i nostri lavori possano essere rinviati di un mese o di un anno, quanto crederà la Costituente. Però non bisogna nasconderci che vi sono dei problemi di correttezza politica. Noi sappiamo di aver avuto un mandato, un mandato che è limitato nel tempo. Il mandato qui vale non in senso tecnico e giuridico, ma in senso etico e politico. Noi non possiamo andare al di là di questo mandato. Qual è la conseguenza? Volete una discussione attenta e approfondita; volete che i nostri lavori finiscano il 24 giugno. Secondo me, le due volontà sono perfettamente conciliabili, solo che noi ci decidiamo a fare quello che avremmo dovuto fare: discutere una Costituzione. La Costituzione cominciamo a discuterla oggi, e la Costituzione vera e propria finisce con l’articolo 96. Quando si passa alla pubblica amministrazione, alla autonomia regionale ed ai comuni, alla Magistratura, e via di seguito, non siamo più nella Costituzione. È un’appendice che può esserci e può non esserci. Proseguiamo nei nostri lavori. Se potremo dar fondo a tutto il progetto, bene. Se non ci saremo riusciti, non sarà avvenuto niente di male, purché noi riusciamo ad approvare per intero, quella che effettivamente è la Costituzione, cioè quell’insieme di norme che consentiranno allo Stato italiano di uscire dal provvisorio e di porsi su quelle che, secondo noi, devono essere le sue basi costituzionali. Se il problema dell’autonomia, che è ancora tanto immaturo, come ci ha fatto comprendere in un suo memorabile discorso il Presidente Nitti, e il problema della Magistratura saranno discussi da qui a sei mesi, da qui ad un anno, da un Parlamento che lo farà certamente meglio di noi, non fosse altro perché non soggetto alla tirannia del tempo, non avverrà niente di male. Procediamo nei nostri lavori con la precisa intenzione di creare l’ordinamento dello Stato italiano. Lasciamo al legislatore di completare la Costituzione di queste parti secondarie ed accessorie. Noi possiamo continuare i nostri lavori e nel continuare questi nostri lavori non sarà questione di renderli più sommari, più svelti, più vivaci, più allegri; sarà questione, se mai, di approfondirli.

Questa, o colleghi, è la comune coscienza di tutti coloro fra noi che hanno una certa pratica del diritto. Io, per le mie modeste attività e funzioni di avvocato e professore di diritto, mi accosto quotidianamente alla legge. Io so che le leggi sono delle cose serie e che sono serissime, quando sono leggi costituzionali. Ora, a noi è capitato di vederci tutto in un istante, nel fervore di una discussione, di fronte ad un emendamento impensato sul quale non possiamo avere il tempo di riflettere perché tante volte non è nemmeno scritto, non è nemmeno stampato. Ce lo annuncia il signor Presidente con la sua voce chiara e chiarificante. Ma quando si presenta da me, come avvocato, una persona a sottopormi una clausola contrattuale, io gli dico di passare, per lo meno, l’indomani mattina. E qui invece sono costretto, con grande sofferenza della mia coscienza di giurista, a pronunciarmi seduta stante su una norma costituzionale. Questo, per chi ha sensibilità di giurista, è semplicemente penoso. Non è forse altrettanto penoso per chi non ha questa coscienza di giurista, proprio perché, non conoscendo le leggi, non sa che cosa delicata e immensa una legge sia, anche la più semplice legge. Una legge non si conosce soltanto attraverso le parole, leggendone le righe. I giuristi leggono fra le righe, sotto le righe, dietro le righe. L’interpretazione della legge dà luogo ad un processo tale, di espansione logica che su leggi di dieci articoli si scrivono diecine, centinaia, migliaia di volumi! E noi licenziamo un articolo della Costituzione senza riflettere neanche cinque minuti su un emendamento! È questo lo scandalo che bisogna far cessare, non quello di discutere con la profondità necessaria (e che forse mai raggiungiamo) le norme della nostra Costituzione!

Per queste ragioni, signor Presidente e onorevoli colleghi, io sono irriducibilmente contrario a tutti gli articoli di questo regolamento. (Applausi a destra).

LONGHENA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LONGHENA. Sarò brevissimo, onorevole Presidente. Ho preso la parola non per ripetere quello che ottimamente hanno detto tanti colleghi, ma per esporre a lei, signor Presidente, e alla Giunta del regolamento, uno stato d’animo che è in me e che è forse comune a parecchi colleghi.

Lei sa che la maggior parte di noi è venuta qua con un desiderio immenso di bene, di offrire tutto il tributo di pensiero e di conoscenza. Ma il nostro desiderio è stato fermato quando il suo predecessore, signor Presidente, ha stabilito che la Commissione che doveva preparare il progetto di Costituzione fosse composta proporzionalmente dei rappresentanti dei vari partiti. Quindi, ciò che in fondo gli articoli ultimo e penultimo vorrebbero attuare è già stato attuato, in quanto il progetto che noi discutiamo è il punto d’incontro e di scontro dei vari partiti.

Noi, modesti, credevamo che finalmente fosse arrivata l’ora in cui avessimo potuto portare il contributo dei nostri studi diligentemente fatti in questi tempi e della nostra esperienza.

Il regolamento, egregio Presidente, ci toglie quest’ultima speranza in quanto che riporta fra i partiti e fra i gruppi quelle discussioni che noi avremmo desiderato fossero affiorate spontaneamente qua dentro.

Ad ogni modo io credo che questa mia dichiarazione, che io speravo di non dover fare, esoneri me e quelli che si trovano nella stessa mia condizione di dovere addirittura quasi pentirsi, lasciando questo posto, di non aver dato tutto quello che potevano alla discussione stessa. Il tempo stringe, è vero, ed è necessario che noi facciamo tutto il possibile perché il 24 giugno il Paese sappia che è stato messo il punto all’ultimo articolo della Costituzione. Mi permetta, Presidente, Ella ha un mezzo per accorciare. Glielo suggerisco io, che sono stato molte volte presidente di assemblee. Glielo suggerisco prendendo il Regolamento. All’articolo 83 c’è un piccolo comma che lei dovrebbe fare rispettare rigidamente: «I deputati inscritti per parlare in una discussione potranno leggere il loro discorso, ma la lettura non potrà in nessun caso eccedere la durata di un quarto d’ora».

Permetta che io esprima la mia meraviglia; quando sono venuto qui dentro speravo di udire ottimi discorsi, invece ho assistito ad una continua fila ininterrotta di discorsi ottimi letti, fabbricati a casa, tanto che gli amici della tribuna della stampa hanno addirittura cambiato il nome alla nostra Assemblea: leggimento invece di Parlamento.

 Lo sappiano i colleghi che la parola letta è molto più difficile che la parola detta; è molto più facile saper parlare che saper leggere.

Ella, Presidente, dopo un quarto d’ora fermi l’oratore o faccia quello che mi diceva un collega aver fatto l’onorevole Marcora, che col suo accento lombardo disse: onorevole collega, passi agli stenografi il suo discorso che sarà riprodotto fedelmente.

Ora, chi sa che dopo un quarto d’ora sarà fermato dalla severa parola presidenziale, o fa un discorso che duri precisamente il quarto d’ora fissato o rinuncia, il che avviene più spesso, a parlare, perché molti colleghi hanno scritto magnifici lavori, ma erano lavori diligenti e pensati che potevano essere passati a qualche rivista, senza contare che la cattiva lettura quasi persuade a lasciare questi banchi e ad uscire in più respirabile aere.

Quindi, signor Presidente, affido a lei e alla Giunta per il Regolamento questo mio stato d’animo, questa mia quasi pena; noi siamo venuti qui quasi inutilmente, solo per fare atto di presenza, e quasi alla vigilia della nostra fine, non possiamo dare quel modesto contributo che avremmo voluto dare, che desideravamo dare, che era supremo desiderio di dare accettando modestamente l’incarico commessoci dagli elettori.

Quindi, signor Presidente, applichi questo articolo 83 e penso che l’effetto che produrrà sui colleghi, sarà meraviglioso e superiore ad ogni aspettativa. (Applausi).

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Se una ostinata raucedine non mi impedisse di parlare, io vorrei non solo fare una dichiarazione di voto, ma dire apertamente quale sia la mia preoccupazione per ciò che avviene nella nostra Assemblea.

In fondo v’è una sola cosa sotto forme diverse: la materia e la data delle elezioni. Come e quando si faranno? È naturale che un’Assemblea che va verso il suo termine si preoccupi della data delle elezioni. Qui non è l’Assemblea che se ne preoccupa tanto, quanto il Governo o per dir meglio i partiti che sono al Governo. Di fatti, appena io ho accennato alla impossibilità che le elezioni si facciano nel termine che ci è stato prefisso, alcuni rappresentanti dei partiti di massa hanno creduto utile salvare il loro prestigio e più ancora le loro situazioni ed hanno detto: «elezioni ad ogni costo». Signori, le elezioni ad ogni costo sono una illusione; non si faranno, qualunque sia la vostra volontà, qualunque sia la modifica che volete fare al Regolamento, quali che siano le procedure che volete adottare. Le elezioni generali non si faranno nel termine che vi proponete, e la seduta di oggi è la prova delle difficoltà. Se questa seduta dovesse essere definita con una frase si potrebbe definire la «inutile illusione». In modo più efficace ancora si potrebbe definire: «del modo di perdere tempo nella speranza di guadagnare tempo». Difatti oggi che cosa abbiamo discusso? Non l’argomento dei nostri lavori, ma come e in qual modo affrettare i nostri lavori, non già seguendo la via ordinaria ma con regolamento speciale. Cattiva procedura. Quando in questa materia intervengono regolamenti speciali, allora vuol dire che vi è una cattiva causa. Sono troppo vecchio parlamentare per non accorgermene. Quando si ricorre a procedure di questo genere, vuol dire che l’anima dell’Assemblea non è con il proponente. Ora l’Assemblea sente che non è possibile discutere di questi argomenti con serietà. Signori, non abbiamo finora discusso di ciò che è essenziale. Che cosa abbiamo discusso? In tanto tempo, e dopo che una larghissima Commissione aveva esaminato in lungo e in largo tutte le proposte, tutte le innovazioni, tutte le visioni più o meno realizzabili, si è arrivati appena in tempo, nel termine di otto mesi, a proporre lo schema che dovevamo esaminare e che non abbiamo esaminato se non nella parte che meno importa. Che cosa abbiamo esaminato finora? Le Disposizioni generali e i primi due Titoli. Che cosa sono in gran parte? Cose che si potevano quasi tutte sopprimere, che non sono in altre Costituzioni di paesi della nostra civiltà. Molte non hanno a che fare con ogni seria Costituzione: precetti di morale, buoni consigli, espressioni di speranze, espressioni di sentimenti, tendenze avveniristiche: ma niente che riguardi la Costituzione. Adesso, adesso che entriamo nella materia vitale, il Titolo terzo, noi cominciamo a vedere le difficoltà. Vediamo che bisogna riflettere e fare sul serio. Ora, avendo perduto tanto tempo nell’esame dei due primi Titoli e avendo prima divagato su tutto, ora che dobbiamo discutere di cose che riguardano la nostra vita, non solo costituzionale e politica ma la nostra vita strutturale; non solo la vita economica, ma la vita costituzionale dello Stato, avendo finora perduto tanto tempo, ora diciamo: «Bisogna finire ciò che rimane a fare della Costituzione in poche settimane, in tanti giorni ad ogni costo e comunque». Ad ogni costo e comunque; ma come faremo?

Il più grande ed elegante scienziato e filosofo cristiano dei tempi moderni, Pascal, ha detto: «Il silenzio è un tale tormento cui anche i Santi non resistono». Qui non siamo tutti Santi e dovremmo tacere su queste cose; anche chi non è Santo ma che solo si rispetti, non può tacere. Dovremo in qualche quarto d’ora di discussione risolvere problemi che riguardano tutta la vita dello Stato. Siamo ora alla parte che riguarda i rapporti economici. Molti articoli contengono cose di tale gravità che ci spaventano. Noi dovremmo assumere obblighi economici e finanziari che sappiamo fin d’ora che sarebbero cambiali in bianco e non sarebbero mai onorate dal Governo. Non poche disposizioni pretendono fissare per l’avvenire la nostra stessa esistenza economica. Noi le dovremo discutere così sommariamente? E facile in due righe dire: tutti i lavoratori hanno il diritto di sciopero. E quale Costituzione si è mai limitata a una simile banalità e non ha determinato con leggi la difficile materia dei conflitti del lavoro, se ha creduto poterla regolare?

Ditemi voi, ditemi quale Costituzione ha adottato questa formula? Mi direte almeno perché la vogliamo adottare. Quando volete dire che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro, dite cosa giusta. Ma chi è il giudice? Come manterremo gli obblighi che assumete? Se vogliamo sprofondare la Repubblica nel discredito attribuendole una serie di doveri che non può mantenere, si segue la via più adatta. E queste cose enormi volete che accettiamo senza discutere? O discutendole dieci minuti? Vi pare di poterci inabissare senza sapere dove andiamo? E perché dobbiamo fare tutto questo? Perché le elezioni devono avvenire a data fissa a ogni costo. Nessuno mi può dire che fuori di questa vi siano altre ragioni. Non è la prima volta da quando son qui che assisto ad eccitazioni irragionevoli di questo genere. Mi ricordo: una sera alla Consulta, quando si dovette decidere sulla procedura e sulla data delle elezioni e sulla legge elettorale. Non si era fatto nulla. L’onorevole Orlando (Dio gli perdoni; egli sa l’affezione che io ho per lui), l’onorevole Orlando accettò di fare una relazione improvvisata. Non aveva niente di scritto. Si trattava di regolare la nostra stessa esistenza, la legge elettorale. Si era preparato un pessimo e non ragionevole disegno di legge. Ma si voleva votarlo subito per fare le elezioni. Si cominciava a gridare da varie parti: «Chiusura, chiusura». Venne la chiusura. Non ho mai lodato abbastanza il conte Sforza (Ilarità) che presiedeva l’Assemblea e che secondò il movimento. Trovò che era una necessità, la chiusura. Da molte parti si voleva la chiusura. In pochi chiedevamo solo qualche giorno di tempo per discutere almeno i punti principali. No, no, a data fissa bisognava tutto definire. Abbiamo avuto una tale legge elettorale che nessun Paese ci invidia e che nessun Paese imiterà mai. Pessima legge di cui risentiamo le conseguenze. E ora dovremo fare le elezioni con le stesse disposizioni legislative della Costituente. Non è possibile. Bisogna preparare una seria legge elettorale. Ma come si può fare senza aver prima la Costituzione? Avremo ancora lo scrutinio di lista con la proporzionale? Durerà ancora l’infausta minaccia delle regioni? Nulla è ancora definito di quanto riguarda la vita dello Stato. Finora abbiamo fatto tante discussioni inutili, abbiamo perduto tanto tempo per le cose più fatue, come la formula del giuramento al Capo provvisorio dello Stato e per tutti gli articoli didascalici, vere lezioni di diritti e doveri spesso soltanto ingenui, qualche volta anche impegnativi senza sanzione.

Ma dopo aver tanto dissertato «a danno delle cose» come direbbe Dante, giunti al punto di fissare i principî essenziali di una vera Costituzione, per guadagnare il tempo perduto, ci poniamo il dubbio se è meglio non discutere più nulla e fare ora in blocco una serie di rifacimenti che vorrebbero essere una Costituzione.

Per arrivare alle elezioni dunque resta da fare tutto ciò che non abbiamo fatto, cioè tutta la Costituzione nella parte essenziale. Rimane quindi compito non meno grave, tutto quanto riguarda la legge elettorale e le disposizioni che riguardano la seconda Camera e rimangono da fissare tutte le procedure necessarie.

Non si può inventare né precipitare in questa materia e nessuno ci obbliga a mancare di riguardo a noi stessi oltre che alla logica e alla serietà.

Continuiamo dunque con calma e soprattutto seriamente le nostre discussioni.

Io ho la convinzione che qualunque sforzo in senso contrario non impedirà che si discuta. Coloro stessi che sono più rassegnati alla disciplina del partito, comprendono che qui non è il partito soltanto che è in gioco, ma la vita della Nazione; comprendono che quando si parla di libertà, di libertà politica, se noi cominciamo a violare le fondamenta stesse della libertà, noi perdiamo la nostra ragione di esistere. (Approvazioni).

Noi dobbiamo essere fermi in questo proposito di non accettare nulla che strangoli la libertà e nulla che impedisca le nostre libere manifestazioni di volontà.

E però io dichiaro che non voterò queste inutili restrizioni, ma che – anche non abusando della bontà del Presidente – quando si sarà agli articoli, io uno per uno vorrò discuterli e se la mia voce mi consentirà, non mi arresterò. Non è senso di opposizione; come vedete, in questo non vi è opposizione politica. Siamo tutti interessati; vorrei dire cointeressati a difendere le libertà pubbliche, essenziali, ma anche la nostra dignità. Noi non possiamo uscire da quest’Aula con una Costituzione non discussa e che non ha che principî di confusione e promesse e impegni che non possono mantenersi.

Io vi prego, dunque, di votare contro queste disposizioni. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Desidero dire poche parole, non per difendere le proposte, ma per rettificare o chiarire alcune affermazioni che possono lasciare un equivoco in questa discussione. Si potrebbe avere l’impressione da parte di chi ci avesse fino qui ascoltati, che la Giunta del Regolamento per arbitrio abbia presentato oggi queste proposte. Ricordo perciò che nella seduta del 2 maggio, respingendo la proposta dell’onorevole Gullo Rocco di non mutare nulla nell’ordine dei lavori, l’Assemblea ha deciso invece che qualche cosa bisognava mutare; e poi, su proposta dell’onorevole Benedetti, alla unanimità, ha investito della questione la Giunta del Regolamento. Questa non poteva, pertanto, esimersi dal presentare delle proposte modificatrici del Regolamento, perché il mandato conferitole escludeva che potesse ritornare all’Assemblea con il testo del vecchio Regolamento.

La legge dei lavori dell’Assemblea è fatta dall’Assemblea stessa e quando taluno chiede, preoccupatissimo, chi mai può dunque imporre all’Assemblea certe norme, io rispondo: l’Assemblea le impone, perché è certo che né l’esecutivo né il potere giudiziario possono dare un regolamento ad un’Assemblea legislativa, o costituente.

Si tratterà di vedere quale regolamento l’Assemblea ritiene opportuno di darsi. E qui si è invocata di frequente la sua dignità offesa.

Ma come si tutelerebbe meglio la dignità dell’Assemblea se, invece di indignarsi per il tentativo che si fa, magari con qualche limitazione di parola, per agevolarne i lavori, si evitasse che discussioni tanto importanti come quella ad esempio della libertà sindacale avvengano, come ieri l’altro, dinanzi a soli 37 deputati, spersi nei settori! (Commenti).

Ho poi udito il lamento che si muti qui ogni giorno il nostro Regolamento. La verità è invece che è questa la prima volta che si propone e si discute una modificazione del Regolamento della Camera, già adottato come valido ai propri scopi dalla Costituente, ma che col tempo ha dimostrato di richiedere un determinato mutamento.

All’onorevole Calosso, che ha parlato di «ghigliottina», fo osservare che non può davvero usare simile espressione un deputato il quale ha parlato sei volte in quattordici giorni. (Applausi).

Le proposte fatte sono apparse a molti oratori come ispirate a nuovi principî. Ma nel Regolamento la realtà è che questo, che si presenta come quintessenza di un libero ordinamento, reca già agli articoli 51, 57, 66, 86 e 93 limitazioni al numero degli oratori; e coloro che sostengono che ognuno ha diritto di parlare su ogni questione, ogni qualvolta ha da dire qualcosa, avrebbero dovuto chiedere fino all’inizio dei lavori che quelle limitazioni fossero soppresse. Il fatto si è che porre dei limiti agli oratori è il primo mezzo con cui un’Assemblea ordina i propri lavori. Naturalmente, la limitazione deve essere di buon senso, commisurata allo scopo che si vuole raggiungere.

Io difendo le proposte, ma queste possono essere tutte modificate, perché la Giunta per il Regolamento non è che un organo dell’Assemblea, ed a questa compete la decisione.

A coloro che hanno osservato che l’elevazione da quindici a trenta delle firme per la richiesta del voto nominale o segreto impedirebbe a certi Gruppi di valersi di tale diritto, obbietto che esistono nella nostra Assemblea Gruppi, come quelli dell’Unione democratica nazionale e della Democrazia del lavoro, che anche col Regolamento attuale non avrebbero quella possibilità. E tuttavia non si è mai protestato per questo. Vero è che in problemi di questo genere non ha importanza decisiva valutare l’entità numerica dei Gruppi nel loro ambito particolare ristretto, perché la richiesta di appello nominale rappresenta quasi sempre il principio di una coalizione di Gruppi. (Commenti). Ma, a parte ciò, sta di fatto che anche col Regolamento vigente vi è questa condizione di cose, che, secondo i termini che molti hanno adoperato, sarebbe un’ingiustizia, un arbitrio, un sopruso. Ma allora, perché non sollevare prima la questione, non fare prima il rimprovero, ma attendere questa occasione?

Sulla questione posta dall’onorevole Benedetti, osservo che il Gruppo misto è qualcosa di particolare e di speciale: si chiama Gruppo, ma non è un Gruppo, perché nulla lo tiene insieme, se non la necessità di inserire in qualche modo nel sistema dei colleghi che non hanno affinità politiche con alcuno. Orbene, è chiaro che, in assenza di un accordo politico generale, i colleghi del Gruppo misto non possono trovare un rappresentante che parli a nome di tutti.

All’onorevole Corbino, il quale chiede se chi decada per assenza dall’iscrizione a parlare possa essere sostituito da altro collega del suo Gruppo, rispondo che questo è implicito, perché il significato della norma è soltanto questo: che coloro che decadono non possono, dopo un giorno o due, rivendicare il loro diritto di parola; ma, se nel momento in cui essi sono assenti, un collega del Gruppo li sostituisce, nulla vieta che ciò avvenga.

Credo di avere con ciò chiarito i dubbi, senza d’altronde avere comunque pesato sulle decisioni che l’Assemblea prenderà. Desidero però ricordare ancora che mai fino ad oggi è stato dalla Presidenza contestata a nessuno la piena possibilità di parlare ogni qual volta che l’ha chiesto. Ma spesso si dimentica che iscriversi a parlare implica il dovere di essere presenti quando viene il proprio turno.

Aggiungo, ancora, che non è esatta l’asserzione, qui ripetuta, che non si sia data la più ampia conoscenza dei lavori compiuti dalle Sottocommissioni e dalla Commissione dei settantacinque. Questa ha pubblicato circa 300 fascicoli contenenti i resoconti dei suoi lavori, e ogni deputato li ha avuti, e molte centinaia e migliaia di esemplari ne sono stati spediti fuori di Montecitorio e fuori di Roma. Coloro che volevano conoscere il lavoro, cosiddetto clandestino, della Commissione dei settantacinque, ne hanno dunque avuto il modo. E vorrei chiedere ai colleghi che riecheggiano qui critiche tanto ingiuste, quante conferenze abbiano essi fatte ai loro elettori od ai cittadini in generale per popolarizzare ciò che la Commissione dei settantacinque ha fatto e ciò che noi facciamo. Penso, infatti, che i lavori dell’Assemblea non debbano affidarsi, per essere conosciuti, soltanto all’opera meritoria della stampa, ma che i deputati stessi debbano essere i propagandasti dell’attività dell’Assemblea.

Fatte queste precisazioni, avverto che gli onorevoli Bocconi, D’Aragona, Labriola, Bozzi, Canepa, Lucifero, Filippini, Bennani, Persico, Bassano, Cifaldi, Azzi, Villabruna, Della Seta, Martino Gaetano, Spallicci, Lami Starnuti, Vigorelli hanno presentato la seguente proposta:

«L’Assemblea delibera di non passare alla discussione degli articoli».

Su questa proposta è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Villabruna, Bassano, Cairo, Zanardi, Cevolotto, Nasi, Canepa, Tremelloni, Canevari, Bennani, Bocconi, Morelli Renato, Porzio, Fietta, Veroni, Badini Confalonieri, Filippini, Paris, Binni, Lami Starnuti, Caporali, Arata.

CINGOLANI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI, Relatore. Premetto che sono in condizioni di parlare solamente a titolo personale.

LUSSU. A norma del Regolamento, non potrebbe parlare a titolo personale; se mai come relatore.

PRESIDENTE. Ella, onorevole Lussu, non ha creduto di intervenire nella discussione.

CINGOLANI, Relatore. Onorevole Lussu, se avesse la bontà di ascoltare le brevissime parole che sto per pronunziare, vedrebbe che non ho l’intenzione di volerle negare il buon diritto che lei aveva di parlare. Dicevo a titolo personale, in questo senso. È bene che l’Assemblea ricordi come è avvenuta la convocazione della Giunta del Regolamento. Unanime è stato il voto dell’Assemblea perché si demandasse al Regolamento il compito di regolare l’andamento della discussione, prima e dopo la votazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Gullo Rocco.

La Giunta del Regolamento ha lavorato come meglio poteva, convocando tutti i deputati componenti la Commissione; non è colpa di coloro che sono intervenuti alle due sedute se taluni rappresentanti, autorevoli, qualificati, di gruppi che hanno oggi levato il loro grido per la libertà, non sono intervenuti alle adunanze.

Ho detto, quindi, che parlavo a titolo personale unicamente da questo punto di vista: che sono in grado di esprimere il mio pensiero, che è il pensiero del relatore, ma che non vuole vincolare il pensiero dei colleghi assenti.

Vi dico subito che sono stato sensibilissimo al grido che si è innalzato qui dalle minoranze, da colleghi autorevoli, in difesa della libertà. Io non posso dimenticare quella che è stata l’alba della mia vita politica, quando, nella casa che già ospitò Oberdan, sentivo con cuore commosso il grido che qui durante l’ostruzionismo contro la reazione si innalzava: «Parli Pantano!» ed è rimasto sempre nella mia memoria come un incitamento per la difesa della libertà. Non voglio e non posso contrastare quanto qui si è detto come espressione della coscienza e sensibilità politica di tutti i deputati costituenti, cioè la affermata difesa del diritto delle minoranze. Nessuno di noi ha la volontà nascosta o aperta di sabotare i lavori della Costituente, soprattutto di togliere alle minoranze il loro diritto di parlare, di criticare, di proporre. Questa Assemblea, la Costituente italiana, è composta di cittadini rappresentanti la volontà del Paese e non è un’accolta di truffatori o di truffati, come ha insinuato un oratore che ha parlato poco fa!

Noi ci troviamo in questa condizione: semplicemente vedere come e se si possa regolare la discussione. Non facciamo questione di articoli, né siamo attaccati alle proposte della Giunta. Se non passerà la proposta pregiudiziale di non passare alla discussione degli articoli, noi ci sentiamo di proporre quelle modifiche, anche radicali, che vadano incontro a tutte le proposte che qui sono state fatte per conservare la libertà della parola a tutti i rappresentanti del popolo e, insieme, per facilitare i lavori dell’Assemblea Costituente.

Dico subito che le proposte presentate dall’onorevole Rubilli sono senz’altro accettabili. Forse, quella divisione nei tre punti cui egli ha accennato, per fare tre discussioni generali nella parte seconda, invece di essere come l’onorevole Rubilli ha proposto, una per il Parlamento e il Senato, l’altra per le Regioni e i Comuni, la terza per la restante materia, potrebbe essere diversamente distribuita, con una discussione per le Regioni e il Parlamento, una per il Capo dello Stato e le garanzie costituzionali e la terza per la Magistratura; comunque, questo è un dettaglio.

Possiamo anche senz’altro rinunciare a fissare quel numero di deputati che si riteneva utile stabilire, per i firmatari delle richieste di votazione per appello nominale o per scrutinio segreto, onde dare veramente un significato politico al voto. Questo può sembrare per taluno una menomazione del diritto delle minoranze, e quindi vi rinunciamo.

Devo anche spiegare quello che può apparire, nell’ultimo articolo, un comma lesivo della dignità del deputato, e che ha dato luogo anche a rimarchi scherzosi da parte dell’onorevole Corbino.

Questo articolo è stato proposto ricordando quello che è accaduto in quest’aula, quando fu richiesta la verifica del numero legale. La discussione intorno all’articolo 103-bis ci portò a constatare che mancava al Presidente dell’Assemblea il modo di accertare quanti e quali fossero i deputati nell’aula non partecipanti alla votazione, ma da doversi considerare come presenti, sia pure come astenuti.

Unicamente dunque per questo, e non già per fare una coazione ridicola da scuola elementare a tutti i deputati: del resto, se si ritiene che ciò possa offendere la dignità e la libertà di movimento dei deputati, abbandoniamo anche questa proposta. Quello che è interessante ricordare è che è stato desiderio comune, desiderio di noi tutti, quello di regolamentare la discussione, perché sia più succosa e più stringata.

Attacchiamoci pure dunque all’articolo 83 per limitare il diritto di leggere, come prescrive il Regolamento, soltanto ad un quarto d’ora; facciamo pure appello al senso di responsabilità dei singoli deputati perché auto-limitino la manifestazione del loro pensiero, portando quindi il tempo loro concesso ad un massimo magari anche di quarantacinque minuti: ma non ho bisogno di ricordare che qui siamo stati sempre tutti di questo parere, che abbiamo cioè sempre ravvisato la necessità di stringare la discussione.

Ma oggi si è, ad un certo momento, spostata la questione, facendola slittare sul terreno delle prossime elezioni politiche. Faremo anche questa discussione, ed ogni Gruppo parlamentare, prenderà, a suo tempo, il proprio atteggiamento. Ma, per quanto riguarda noi, Giunta del Regolamento, dirò che noi non volevamo fare per nulla una battaglia politica; il nostro compito è stato molto modesto. Noi intendevamo soltanto cercare, nel quadro della libertà e della dignità della discussione, di proporre all’Assemblea quegli strumenti che essa ci aveva richiesto, perché queste discussioni si rendessero veramente degne dell’oggetto delle nostre premure, delle nostre parole, delle nostre deliberazioni.

Non altro che questo. L’Assemblea è sovrana e noi siamo qui soltanto per obbedire alla volontà dell’Assemblea.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione a scrutinio segreto sulla seguente proposta:

«L’Assemblea delibera di non passare alla discussione degli articoli».

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiamata.

(Segue la votazione segreta).

Presidenza del Vicepresidente PECORARI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcangeli – Assennato – Ayroldi.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Barbareschi – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato– Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonino – Bonomelli – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Bruni – Brusasca – Bubbio – Bucci.

Cacciatore – Caccuri – Cairo – Calosso – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Carboni – Caristia – Carmagnola – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Falco – De Filpo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Grullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacini – Jacometti – Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lupis – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marezza – Marconi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minio – Molè – Molinelli – Montagnana Mario – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Mortati – Moscatelli – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Natoli Lamantea – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Pignatari Pignedoli – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggieri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Salvatore – Sampietro – Scelba – Schiratti – Secchia – Sereni – Siles – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Trimarchi – Tupini.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Viale – Vigo – Vigorelli – Vilardi – Villabruna – Villani – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zagari – Zanardi – Zannerini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Bernardi – Bettiol – Boldrini – Bordon – Bulloni.

Caldera – Carbonari – Caroleo – Cartia – Cavallotti – Chiostergi – Corsini – Cosattini.

Di Giovanni.

Falchi – Foa.

Grilli – Gullo Rocco.

La Pira – Lombardo Ivan Matteo.

Mastino Pietro – Moro.

Novella.

Parri – Penna Ottavia.

Rapelli – Roselli – Rumor.

Sardiello – Silone – Simonini.

Treves – Turco.

Vigna.

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     380

Maggioranza           191

Voti favorevoli        194

Voti contrari            186

(L’Assemblea approva la proposta dell’onorevole Bocconi ed altri).

Resta inteso che nella prosecuzione dei nostri lavori continueremo ad attenerci alle norme del Regolamento, le quali saranno applicate nella maniera più precisa e sarò lieto se nessun collega cercherà di eluderle, sia per quanto ha segnalato l’onorevole Longhena, sia per ogni altra disposizione prevista allo scopo di dare un ordine alla discussione.

Nomina della Commissione per l’esame delle leggi elettorali.

PRESIDENTE. Comunico che, in relazione al mandato conferitomi dall’Assemblea, ho chiamato a far parte della Commissione, che esaminerà le leggi elettorali, gli onorevoli Ambrosini, Bonomi Ivanoe, Cairo, Camposarcuno, De Michelis, Farini, Fuschini, Grassi, Grilli, La Rocca, Lucifero, Malagugini, Marinaro, Mastino Gesumino, Mazzei, Meda, Micheli, Nasi, Piccioni, Ravagnan, Schiavetti, Scoccimarro, Uberti.

Interrogazioni e interpellanza con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non intenda procedere al più presto alla convocazione delle Facoltà per la nomina del Consiglio superiore, in sostituzione di quello attuale, le cui funzioni debbono ritenersi cessate.

«Martino Gaetano».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i provvedimenti che il Governo intende adottare, in via d’urgenza, per lo sviluppo e la difesa delle attività turistiche.

«Macrelli».

«Al Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non intenda affrontare e risolvere il gravissimo problema dei pensionati statali riconoscendo loro gli otto decimi dello stipendio, caro-vita e scala mobile, loro spettanti per legge e che loro colleghi di pari grado percepiscono (ad esempio: un funzionario di grado VII al massimo degli scatti riceve come pensione e caro-viveri lire 12.000, mentre, tenendo conto degli otto decimi, dovrebbe percepire lire 16.500. Il collega in attività di servizio riceve lire 19.500). Questi infelici: professori, magistrati, funzionari, muoiono di fame. Con 300 o 400 lire al giorno, detratto affitto ed altre necessità, possono provvedere per un solo misero pasto una volta al giorno.

«Bastianetto».

«Al Ministro dei trasporti, per sapere quali provvedimenti intende prendere d’urgenza perché non siano sospesi i lavori di ricostruzione del ponte ferroviario sul Piave a San Donà di Piave che in questi giorni sono quasi del tutto interrotti per mancanza di cemento e di ferro. Il che sarebbe enorme, dato che da oltre due anni, si promette e ripromette questa ricostruzione vitale per la provincia di Venezia e sempre susseguono nuove difficoltà, per cui è pensabile che ci siano recondite ragioni che non vogliano il traffico in quella linea ferroviaria.

«Bastianetto».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

TOGNI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Il Governo si riserva di comunicare quando potrà rispondere a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata anche la seguente interpellanza, con richiesta di svolgimento urgente, che sarà posta all’ordine del giorno di una prossima seduta:

«Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, all’Alto Commissario dell’alimentazione, sulla disciplina della produzione e distribuzione dei prodotti lattiero-caseari delle annate 1944-1945, e particolarmente del formaggio grana; e sui provvedimenti intesi ad indurre l’Associazione lattiero-casearia italiana a consegnare agli enti cooperativi interessati il formaggio grana di cui alle assegnazioni disposte dall’Alto Commissariato dell’alimentazione nel giugno 1946.

«Canevari».

Avverto che domani vi saranno due sedute: una alle 10 e l’altra alle 16.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere il suo pensiero su quanto segue:

1°) con regio decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 534, ai professori incaricati delle Università, dei Politecnici e degli altri Istituti di istruzione superiore, che non hanno altra retribuzione a carico dello Stato, fu attribuito un assegno annuo corrispondente allo stipendio iniziale previsto per i dipendenti statali di gruppo A, grado 8°, 9° e 10°, a seconda dei titoli di ciascuno, oltre l’indennità di carovita, relative quote complementari ed ogni altra indennità inerente ai rispettivi gradi.

«Tale trattamento economico doveva avere applicazione dal 1° novembre 1945 e la maggior spesa che l’Università e gli Istituti di istruzione superiore dovevano sostenere in dipendenza di esso era stata posta a carico del bilancio dello Stato (articolo 3).

«Sino ad ora i professori incaricati hanno ricevuto soltanto l’assegno corrisposto dalle singole Università e Istituti di istruzione superiore, ma non hanno ancora percepito la differenza che è a carico dello Stato, e che ammonta, in media, per l’anno 1945-46 a circa lire 120.000.

«I professori incaricati, viste inutili le loro richieste, sono decisi a promuovere causa contro lo Stato per l’adempimento dei suoi obblighi patrimoniali, espressamente risultanti dalla legge 27 maggio 1946, n. 554.

«Lo Stato non deve lasciarsi trascinare in giudizio come un debitore sull’orlo del fallimento e deve provvedere al pagamento;

2°) l’articolo 2 del citato Regio decreto legislativo fa obbligo ai professori incaricati di dedicare al proprio insegnamento almeno sei ore settimanali tra lezioni ed esercitazioni. Poiché in molte facoltà (Giurisprudenza, Lettere, Magistero, Economia e Commercio) i corsi richiedono solo tre ore di lezioni settimanali, il Ministero con circolare 4 febbraio 1947, n. 2145, ha disposto che per l’anno 1946-47 la retribuzione sarà da calcolare in rapporto alla disposizione del detto articolo 2, intendendosi che essa va ridotta di tanti sesti quante sono le ore settimanali rese in meno da ciascun docente tra lezioni ed esercitazioni. La limitazione disposta da questa circolare, se soddisfa a un criterio puramente matematico, nella realtà è ingiusta, perché i professori, oltre alle ore di lezione, dedicano molto tempo all’assistenza degli studenti durante la preparazione delle lauree, alla preparazione delle lezioni ed al progresso scientifico, e tale tempo rimane il medesimo sia che all’insegnamento si dedichino tre ore settimanali oppure sei.

«D’altro lato non è lecito ridurre la retribuzione, che ha carattere alimentare, al di sotto d’un dato minimo. Questo minimo non si avrebbe se la retribuzione fosse ridotta alla metà. Si chiede che la limitazione sia ridotta ad un dodicesimo per ogni ora in meno delle sei e non a un sesto come dispone la circolare ministeriale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per chiedere quali provvedimenti intende prendere, a tutela dei privati e per realizzare la piena giustizia, in rapporto alle terre occupate dall’A.R.A.R. per garantire la immediata restituzione delle zone libere da depositi e la corresponsione di un adeguato canone di occupazione, tenendo presente che per un ettaro viene pagata solo la somma di lire 16.000 annue, mentre la media di rendita è non inferiore alle lire centomila. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.10.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

 

Alle ore 10:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Ordinamento dell’industria cinematografica nazionale (12).

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.