Come nasce la Costituzione

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SABATO 21 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

11.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 21 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principi dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Dossetti – Moro – Lombardi Giovanni – Caristia – Mancini – Cevolotto – Marchesi – Mastrojanni – Corsanego – Lucifero – Basso, Relatore – De Vita – Togliatti – Grassi.

La seduta comincia alle 12.

Seguito della discussione sui principi dei rapporti civili.

PRESIDENTE comunica il testo di una lettera inviata dal Presidente della Commissione Centrale per la Costituzione, onorevole Ruini, nella quale si invita la Sottocommissione ad affrettare i lavori in modo da poterli esaurire, possibilmente, entro il mese di settembre, come era stato stabilito nel programma di massima.

DOSSETTI dichiara di ritenere che il voto espresso dall’onorevole Ruini nella sua lettera sia giustificato come speranza e come incitamento, ma che l’indole del lavoro della Commissione non consenta l’adozione di criteri che possono essere idonei per altro genere di lavoro che non riveste un carattere di così particolare delicatezza.

MORO aderisce alle osservazioni fatte dall’onorevole Dossetti.

LOMBARDI GIOVANNI si associa.

MORO domanda che sia ripreso in esame l’articolo 8 che è stato approvato con tanta rapidità nella seduta precedente.

DOSSETTI, pur non chiedendo che si riapra la discussione sopra un articolo che è già stato approvato, fa osservare che la struttura, almeno formale, dell’articolo 8 è discutibile, specialmente riferendosi alla ultima espressione, dove si dice che «la divulgazione di notizie conosciute per questi tramiti è vietata».

Domanda quali sono questi «tramiti».

PRESIDENTE dichiara che la questione sollevata dall’onorevole Moro è di carattere generale e, poiché l’articolo è stato già discusso, votato e approvato, non si può ritornarvi sopra.

È principio di carattere generale che l’eccezione deve essere giustificata da fondati motivi per poter consentire di riaprire una discussione già esaurita.

All’onorevole Dossetti spiega che i «tramiti» sono le limitazioni ed istituzioni di censure. L’ultimo capoverso dell’articolo 8 deve essere riferito al capoverso precedente.

DOSSETTI dichiara di ritenere che nell’articolo 8, più che una volontà, si sia espressa una velleità.

CARISTIA dichiara di opporsi alla ripresa in esame del contenuto dell’articolo 8 su cui si era raggiunta l’unanimità.

MANCINI si associa, osservando che i commissari i quali erano assenti non hanno diritto di fare osservazioni su quello che è stato già votato. Queste osservazioni potranno riservarle in sede di Commissione plenaria.

DOSSETTI dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Mancini e di non voler per nulla intaccare il principio che giustamente egli difende.

PRESIDENTE rileva che tutti sono d’accordo sul principio generale che è già stato discusso e approvato. Ciò non toglie che ogni singolo commissario dopo aver fatto un esame più approfondito, possa proporre una più esatta formulazione all’Assemblea plenaria o all’Ufficio di Presidenza, sempre che si tratti di un perfezionamento di forma.

CEVOLOTTO osserva che, in sede di coordinamento degli articoli approvati, saranno sempre possibili eventuali perfezionamenti di forma.

PRESIDENTE dichiara che si potrà sempre proporre una formula nuova sia in sede di Commissione centrale che in sede di Assemblea plenaria. L’importante è tener fermo il sistema che, una volta approvato l’articolo, non si debba tornarvi sopra.

Prima di passare all’esame degli articoli 9 e 10 pone in discussione l’articolo 2-bis, nel seguente testo proposto dai Relatori:

«Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome. Nessuno può essere privato della cittadinanza come sanzione anche indiretta di carattere politico».

Propone che sia esaminata anzitutto la prima proposizione dell’articolo stesso: «Ogni uomo è soggetto di diritto».

MARCHESI propone di aggiungere l’aggettivo «capace» dopo la parola «soggetto», tenendo conto che la Costituzione è indirizzata anche a chi non ha una perizia profonda nelle frasi e nelle formule giuridiche, e che si dica pertanto: «ogni uomo è soggetto capace di diritto».

MASTROJANNI fa osservare che bisogna distinguere tra «soggetto di diritto» e «capace di diritto». Tutti sono soggetti di diritto, ma non tutti sono capaci di diritto.

MARCHESI dichiara di consentire nell’osservazione dell’onorevole Mastrojanni, sapendo bene che vi è una capacità di diritto e un soggetto di diritto, che cioè vi è differenza tra una capacità di diritto e una capacità di agire.

MASTROJANNI rileva che la capacità di diritto deriva dal complesso delle condizioni fisiche e psichiche per cui il soggetto di diritto diviene capace di diritto.

MORO osserva che si tratta di una questione essenzialmente di terminologia, e ritiene che l’onorevole Marchesi abbia colto perfettamente il significato della questione. Quando si dice «soggetto di diritto» s’intende la capacità di diritto. Se si vuole ampliare l’espressione per renderla più accessibile a tutti aggiungendo «capace», si userà una espressione che nella terminologia giuridica non è coerente, ma che per il significato educativo che deve avere la Costituzione si può accettare.

DOSSETTI osserva che, a proposito della questione sollevata dall’onorevole Marchesi, si possono fare molte distinzioni e si sono verificati negli ultimissimi anni sviluppi importantissimi nella scienza giuridica.

Bisogna distinguere quella che è l’oggettività del diritto (che è possibilità generica e può riguardare la totalità dei diritti indeterminabili) dalla capacità giuridica, che è la possibilità di esercitare una complessità maggiore o minore di diritti. Vi è poi la capacità di agire, che è la possibilità di esercitare quei diritti e di essere soggetti concreti di diritti e di doveri. L’oggettività del diritto è precisamente quella considerata nella prima proposizione dell’articolo in esame.

Ritiene che, per il caso in esame, si debbano fare affermazioni distinte. Anzitutto occorre affermare la possibilità di una capacità generica, cioè che ogni uomo in quanto è uomo è soggetto di diritto. Poi, in un articolo successivo, dovrà essere contenuta l’affermazione che ogni uomo soggetto di diritto ha una piena capacità di diritto. A questo punto la questione si biforcherà in una piena capacità o titolarità di diritto privato, e in una capacità di diritto pubblico in ordine alle funzioni pubbliche, cioè alla possibilità di ammissione ai pubblici impieghi, ecc. Fa rilevare che, come affermazione generica, ritiene accettabile la formula «integrità giuridica» consigliata dall’articolo 5 del progetto La Pira.

Ogni uomo, per il fatto di essere uomo e quindi soggetto di diritto, ha diritto ad una sua integrità giuridica. Si tratterebbe soltanto di trovare la formula più adatta.

MANCINI, concordando con le osservazioni dell’onorevole Marchesi, ritiene che «soggetto di diritto» e «capace di diritto» non siano due termini reciprocabili, ma distinti. Infatti soggetto di diritto è un termine generico, mentre capace di diritto è un termine specifico. Soggetti di diritto sono tutti, riguardati in se stessi; capaci di diritto sono quegli uomini che vivono in società e diventano titolari di un diritto; dal bambino incapace fino al capace. Quindi la differenza tra soggetto di diritto e capace di diritto esiste e si deve farla risultare nella disposizione statutaria.

LOMBARDI GIOVANNI propone che l’articolo 2-bis preceda quello che già era l’articolo 2, perché è dalla soggettività del diritto che nascono poi tutte le altre conseguenze che nell’articolo 2 sono elencate.

Per quanto riguarda la capacità di diritto, osserva che questa è una cosa a sé, che non ha a che fare con la soggettività del diritto. Non si può affermare in uno Statuto quello che deve essere enunciato dalle leggi speciali riguardanti gli uomini, i bambini minori o maggiori di età, ecc. Tutte queste questioni rientrano nella capacità di diritto. Solo la soggettività di diritto è quella che deve essere affermata nella Costituzione.

Propone infine che, invece di dire «ogni uomo», si dica «ogni persona», dovendosi intendere individui dei due sessi.

CEVOLOTTO osserva che la proposta dell’onorevole Lombardi, riguardante la precedenza dell’articolo 2-bis, potrà essere esaminata in sede di coordinamento.

Per quello che si riferisce alla sostanza della proposizione in esame, ritiene che essa possa essere soppressa perché superflua. Non fa però una proposta concreta, e non desidera che sia messa in votazione.

MARCHESI dichiara che la sua proposta di aggiungere la parola «capace» dopo la parola «soggetto» mirava ad un chiarimento della frase, non ad un mutamento sostanziale.

Dichiara di accettare la formula del relatore.

PRESIDENTE mette ai voti la chiusura della discussione.

(È approvata).

MORO fa osservare all’onorevole Lombardi che, quando si parla di uomo, si parla anche di donna; e se v’è un punto dove la sostituzione terminologica non ha ragione di essere fatta è proprio questo. Se si dice «persona» si corre il rischio di creare degli equivoci.

Per quanto riguarda la collocazione dell’articolo 2-bis prima dell’articolo 2, aderisce alla proposta dell’onorevole Lombardi. E poiché la discussione ha mostrato che questo articolo si presenta con un carattere d’impostazione generale, ritiene che sarebbe forse bene scindere le due parti dell’articolo stesso: la prima che riguarda il riconoscimento della soggettività dei diritti, e la seconda che fa un’applicazione particolare dei diritti al nome e alla cittadinanza.

Per quanto riguarda la sostanza del problema, è del parere di conservare l’espressione di carattere generico contenuta nella proposta dei relatori.

CARISTIA si dichiara dello stesso parere.

PRESIDENTE mette ai voti la proposizione così come è stata proposta dai Relatori: «Ogni uomo è soggetto di diritto».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione la seconda proposizione dell’articolo: «Nessuno può essere privato del proprio nome».

MASTROJANNI desidera un chiarimento, perché non sono a sua conoscenza casi nei quali si possa privare un uomo del proprio nome.

CORSANEGO ricorda che nel periodo fascista alcune persone sono state obbligate anche a cambiare il proprio nome.

PRESIDENTE cita l’esempio degli ebrei.

LUCIFERO aggiunge che un caso analogo fu quello degli allogeni.

PRESIDENTE mette ai voti la seconda proposizione dell’articolo 2-bis.

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione la terza proposizione dell’articolo 2-bis nella formula proposta dai Relatori: «Nessuno può essere privato della cittadinanza come sanzione anche indiretta di carattere politico».

MARCHESI propone che, invece di «come sanzione» si dica «per sanzione», oppure «La privazione della cittadinanza non è ammessa quale sanzione anche indiretta di carattere politico».

CARISTIA ritiene che la formula sia un po’ esuberante e poco concreta e propone di dire: «Nessuno può essere privato della cittadinanza nemmeno per motivi politici».

BASSO, Relatore, fa osservare che si può perdere la cittadinanza per altri motivi, ed è questo che i Relatori hanno voluto sottintendere nella formula da loro proposta.

DOSSETTI fa presente che il principio ha valore soprattutto come misura contro eventuali interventi di carattere politico; ma ci possono essere delle ipotesi di perdita, o meglio di privazione della cittadinanza, per esempio per acquisto di un’altra cittadinanza, o per avere accettato un incarico da un Governo straniero senza il consenso del Governo italiano.

CARISTIA osserva che questi sono effetti della legge.

DOSSETTI replica che, con la dizione proposta, si viene a vietare la privazione per legge della cittadinanza, quando sia motivata solo da ragioni di carattere politico.

CARISTIA fa osservare che nei casi contemplati dall’onorevole Dossetti la cittadinanza non viene tolta, essa viene meno. In altre parole la perdita della cittadinanza non assume il carattere di sanzione, bensì quello di applicazione di una legge.

DOSSETTI afferma che è necessario intendersi sul valore della parola «sanzioni». Se si intende in un senso specifico, condivide il punto di vista dell’onorevole Caristia; ma se invece si intende come effetto giuridico generico, si deve dire che questa privazione è già nella legge, e in tanto la si può ammettere nella legge in quanto non venga ad avere significato politico.

Comunque la si chiami, se questa privazione della cittadinanza ex lege dovesse essere ispirata a considerazioni di carattere politico, non potrebbe essere accettata.

PRESIDENTE ritiene che si potrebbero superare tutte le difficoltà se si togliesse la parola «sanzioni» e si dicesse invece: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per ragioni anche indirette di carattere politico».

CEVOLOTTO fa osservare che, se si adotta la parola «ragioni», non si regge più l’inciso «anche indirette».

PRESIDENTE suggerisce si dica «per motivi».

CEVOLOTTO propone che si dica brevemente «per ragioni di carattere politico».

PRESIDENTE propone la sospensione della seduta per alcuni minuti onde dare modo di esaminare le proposte presentate.

(La Commissione approva – La seduta è sospesa per alcuni minuti).

Riapre la seduta, riassumendo la discussione.

DOSSETTI osserva che la dizione «per motivi di carattere politico» supera le obiezioni fatte. Però fa rilevare che si può aprire, in sede di interpretazione della Costituzione, un problema molto importante. Si supponga che una legge sulla cittadinanza stabilisca la perdita della cittadinanza per acquisto di una cittadinanza straniera, oppure per avere prestato dei servizi ad uno Stato straniero senza consenso dello Stato italiano. Sorgerebbe allora il problema interpretativo se la seconda ipotesi possa essere considerata come privazione della cittadinanza per motivi politici, e si potrebbe arrivare anche alla dichiarazione di incostituzionalità della legge.

Ritiene che questa possibilità debba essere affermata e fatta salva. Per evitare inconvenienti interpretativi bisogna o mutare la formula, o specificare espressamente, come fanno alcune Costituzioni. Sarebbe pertanto favorevole a una formula che dicesse: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di carattere politico»; ma aggiungerebbe che: «È prevista la perdita della cittadinanza per accettazione di impieghi o di incarichi presso Stati stranieri senza l’autorizzazione dello Stato italiano.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Dossetti se è d’accordo con gli altri nell’accettare la formula: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di carattere politico».

DOSSETTI dichiara di essere d’accordo qualora si eccettuino le ipotesi da lui specificate; altrimenti no.

BASSO, Relatore, fa presente che, se si introducono nell’articolo le ipotesi fatte dall’onorevole Dossetti, si solleverà l’altro problema della negazione a carattere tassativo o esplicativo.

Ritiene che la formula originaria fosse la migliore. Il dire «come sanzione» toglieva questi dubbi.

DOSSETTI ritiene sia possibile trovare una formula che risolva anche questa eccezione.

CEVOLOTTO dichiara di non essere favorevole all’aggiunta proposta dall’onorevole Dossetti. Si viene in tal modo ad aprire una questione che dovrebbe essere esaminata a fondo. Per esempio, se un professore universitario accetta una cattedra all’estero, dovrà essere privato della cittadinanza italiana, anche nel caso che vi possa essere un qualche addentellato politico. Si dovrebbe esaminare allora in questa sede la portata della legge sulla cittadinanza e sarebbe molto pericoloso specificare questi casi di esclusione.

Accetta pertanto la formula scaturita dalla discussione: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di carattere politico».

DE VITA propone la formula seguente: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, tranne il caso di acquisto della cittadinanza straniera», facendo osservare che in essa possono essere compresi tutti i casi previsti ed esaminati.

LOMBARDI GIOVANNI propone che si dica: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, salvo per i motivi indicati tassativamente dalla legge che riguarda la cittadinanza stessa».

Se vi fossero altri dubbi si potrebbe completare la formula in questo modo: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, salvo per i motivi indicati tassativamente dalla legge escludendo i motivi politici».

TOGLIATTI dichiara di accettare la formula che è stata proposta dal Presidente, e di non comprendere la formula proposta dall’onorevole Dossetti. La Commissione vuole affermare unicamente che la cittadinanza non si può togliere per motivi politici, e l’onorevole Dossetti propone un’eccezione per motivi di diritto comune e amministrativo che investono i rapporti tra cittadino e lo Stato, ma non rapporti necessariamente politici.

Quando si è affermato che per motivi politici non si può privare una persona della nazionalità, questo significa che per altri motivi lo si può fare.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di chiudere la discussione sulla terza proposizione dell’articolo 2-bis, salvo il diritto di parlare a coloro che si sono già iscritti.

(La proposta è approvata).

MANCINI ritiene che, nel corso della discussione, si sono dimenticate le ragioni politiche della disposizione in esame, e si è invece indugiato a sottolineare le ragioni giuridiche. Il motivo che ha determinato gli onorevoli Relatori a formulare in questo modo l’articolo è per chi vuole intenderla squisitamente politica. Essi hanno avuto presente alla memoria il precedente della legge fascista che sanciva la perdita della cittadinanza per motivi politici. Con ciò tutte le osservazioni sottilissime dell’onorevole Dossetti restano al di fuori della disposizione in esame. Egli afferma che ci sono dei casi in cui il cittadino può e deve essere privato della cittadinanza. Ai casi da lui suggeriti, l’oratore ne potrebbe aggiungere altri tre. Ma tutte queste ipotesi escogitate fanno parte di un capitolo del Codice civile il quale si intitola precisamente: «Acquisto e perdita della cittadinanza».

Per queste ragioni insiste nell’accettazione della formula redatta dal Presidente. Se poi si volessero fugare le preoccupazioni esposte dall’onorevole Dossetti, si potrebbe mantenere la parola «sanzione» così come era stata proposta dai Relatori.

BASSO, Relatore, dichiara di rendersi conto della preoccupazione dell’onorevole Dossetti, riposta nel significato giuridico della parola «politico». Questa parola può avere due sensi, sia che con essa si vogliano indicare parti e fazioni, sia che essa si voglia ricollegare etimologicamente alla parola greca polis, nel quale ultimo caso verrebbe a indicare interessi pubblici della comunità. Ha perciò formulato un nuovo testo così concepito: «La privazione della cittadinanza può essere stabilita in conseguenza dell’assunzione di un impiego o incarico da parte di uno Stato estero, senza l’autorizzazione dello Stato italiano, o nelle altre ipotesi tassativamente indicate dalla legge, esclusi però in ogni caso motivi di carattere politico.

TOGLIATTI, essendovi nuove proposte, chiede che si riapra la discussione.

(Così rimane stabilito).

DOSSETTI dichiara di associarsi alla formula proposta dall’onorevole Basso.

MASTROJANNI dichiara di avere delle preoccupazioni circa l’estensione della dizione: «motivi politici». In essa può essere fatta rientrare ogni e qualunque manifestazione contrastante in pieno con le necessità e le ragioni etiche dello Stato. È pericoloso inserire in questo articolo una esclusione pura e semplice dei motivi politici. Fa il caso del cittadino italiano che recatosi all’estero, per ragioni politiche sue personali si arruola nelle file di un esercito nemico e combatte contro l’Italia; e domanda se a questo cittadino dovrà essere conservato il diritto di cittadinanza.

TOGLIATTI fa osservare che nel caso accennato si è di fronte ad un reato.

MASTROJANNI replica che anche il condannato conserva la cittadinanza.

Nell’ipotesi da lui suggerita, penalmente il cittadino conserverebbe il diritto alla cittadinanza perché avrebbe subito una condanna per motivi politici. Per tutte le ipotesi che possono verificarsi, non ritiene che sia opportuno fare un’affermazione di principio di questo genere. Chiede che sia lasciato tempo ai commissari di formulare meglio l’articolo, a meno che non venga accolta la seguente formula da lui proposta: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, tranne nei casi previsti dalla legge».

PRESIDENTE avverte che se l’onorevole Mastrojanni insiste nella sua proposta di sospensiva, la porrà in votazione.

CEVOLOTTO chiede che la votazione su questa proposta di sospensiva sia fatta dopo la discussione, la quale potrebbe offrire dei motivi a quella ulteriore meditazione che l’onorevole Mastrojanni ritiene necessaria.

LUCIFERO dichiara di poter essere favorevole alla sospensiva, però ritiene anch’egli che l’onorevole Mastrojanni farebbe bene a ripresentarla quando la discussione fosse esaurita.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Mastrojanni se accede all’invito dell’onorevole Lucifero.

MASTROJANNI dichiara di non potervi accedere poiché un argomento come quello in discussione non consente una formulazione rapida e sintetica che risolva il problema.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni, di rinviare ad altra riunione l’ulteriore discussione dell’ultima proposizione dell’articolo 2-bis.

(La proposta non è approvata con 7 voti favorevoli e 7 contrari).

TOGLIATTI dichiara di essere contrario alla proposta degli onorevoli Basso e Dossetti, ma non per le ragioni a cui prima ha accennato, cioè della evidente contraddizione che essa presenta, ma per il suo contenuto. Ritiene che stabilire in una Costituzione che colui il quale assume un qualsiasi incarico all’estero può essere privato della cittadinanza, vuol dire stabilire una cosa antidemocratica e antiliberale. Con una simile formula si ritornerebbe ai tempi che precedono lo Statuto Albertino, quando per andare all’estero occorreva il permesso del re.

I diversi casi in cui si può perdere la cittadinanza potranno essere contemplati dalla legge sulla cittadinanza, ma non dalla Costituzione.

DOSSETTI rileva che l’onorevole Togliatti forse non ha ben compreso la formula proposta dall’onorevole Basso e da lui. La formula diceva che la privazione della cittadinanza può essere stabilita dalla legge in conseguenza dell’assunzione di impieghi e incarichi da parte di Stati esteri.

Con questa formula non viene fatta una affermazione categorica; soltanto si consente che la legge possa stabilire la perdita della cittadinanza in quei determinati casi. Se l’onorevole Togliatti lo crede necessario, si dichiara disposto a consentire che si aggiunga qualche aggettivo o qualche locuzione. Si potrebbe dire, per esempio, che la perdita della cittadinanza può essere stabilita «in certi casi», in conseguenza dell’assunzione di «determinati» oppure «speciali incarichi».

TOGLIATTI insiste nel respingere la formula degli onorevoli Basso e Dossetti. Può ammettere che nel Codice penale, come sanzione penale, possa venire comminata la privazione i della cittadinanza, quantunque ritenga che ciò non possa verificarsi perché lo Stato ha interesse a mantenere i cittadini nei diritti di cittadinanza per poterli eventualmente punire. Ma è del parere che prevedere nella Costituzione, senza nemmeno specificare quali sarebbero questi impieghi o incarichi, la privazione di un tale diritto, non sia un principio da accettare.

CARISTIA si dichiara d’accordo con l’onorevole Togliatti, e pertanto propone di votare la formula così come l’ha proposta il Presidente, per un motivo di ordine teorico e per un motivo di ordine pratico. È convinto che la Costituzione si debba limitare ad affermare principî di carattere generale. Ora, quando si dice che nessuno può essere privato della cittadinanza, in nessun caso, per motivi politici, si fa un’affermazione generale che non può dare luogo ad equivoci.

LUCIFERO si dichiara d’accordo con l’onorevole Togliatti per i motivi che egli ha addotto, ma dichiara anche di non poter accettare la formula proposta dal Presidente, perché gli sembra che sia stata determinata dalla preoccupazione particolare che la perdita della cittadinanza possa avvenire in seguito ad un atto arbitrario. Ritiene che la cittadinanza si perda soltanto quando se ne acquista un’altra, e pertanto richiama l’attenzione della Sottocommissione sulla formula proposta dall’onorevole De Vita: «Nessuno può essere privato della cittadinanza tranne il caso di acquisto della cittadinanza straniera».

MANCINI ritiene che ogni persona ha diritto a due beni davvero inviolabili: il proprio nome e la propria cittadinanza (ius nominis e status civitatis). Ora questi due diritti personali non possono essere violati che in casi eccezionali. Respinge nel modo più energico la possibilità di togliere la cittadinanza a persona che abbia accettato incarichi da parte di Nazione estera. Vi possono se mai essere dei casi gravi, per cui un cittadino perde la cittadinanza, ma allora si tratta di un commesso reato; e il reato in tanto esiste in quanto viene rigorosamente accertato ed il cittadino condannato. Allora in siffatto caso si va incontro alla più severa sanzione, la quale porta come conseguenza la perdita della cittadinanza. Questa perdita, come quella della interdizione dai pubblici uffici, è un corollario della pena corporale.

Per queste ragioni insiste per l’accettazione della formula suggerita dai Presidente.

DOSSETTI invita la Sottocommissione a fermare l’attenzione sull’articolo nella sua organicità, in quanto che alcuni degli oratori hanno espresso delle esigenze contraddittorie. L’unico oratore che, a suo giudizio, ha espresso un punto di vista perfettamente coerente è l’onorevole Togliatti.

La Commissione si trova di fronte alla necessità di affermare questo principio: lo status civitatis, la cittadinanza, come lo status familiae, cioè il diritto al nome, è un diritto fondamentale del cittadino di cui non si può essere privati. A garantire e completare questo diritto si vuole aggiungere che particolarmente il cittadino non deve essere privato di questo diritto, se questa privazione deve avvenire per motivi di carattere politico, intendendo, come ha dimostrato l’onorevole Basso, che sono motivi di carattere politico quelli che si potrebbero dire motivi di parte, cioè di fazione, di partito. Ma quando i motivi politici non sono di parte, di fazione, ma motivi politici nel senso che interessano globalmente la comunità? Si dichiara pronto a sottoscrivere che lo status civitatis è un diritto di cui nessuno può essere privato, e che questo non deve avvenire per motivi politici. Non è però disposto a sottoscrivere l’impossibilità costituzionale di stabilire per legge che possa essere privato dello status civitatis il cittadino che presta in uno Stato straniero quei servizi che lo Stato ritiene contraddittori con quello che è l’interesse collettivo della comunità. Si è detto che in questi casi si tratta di un reato; ma fa osservare che vi sono due distinzioni da fare: una cosa è il reato e le sue sanzioni, e una cosa è quella attività che si ritiene possa essere configurata come reato. Può esserci un’attività che di per sé non è reato, ma che è contrastante con quello che è l’interesse della comunità statale. Evidentemente quando si dice che il cittadino non può essere privato, per motivi politici, della cittadinanza, senza aggiungere altro, si stabilisce il principio costituzionale dell’impossibilità di privare il cittadino della cittadinanza per i servizi resi ad uno Stato straniero.

Egli non si sente di sottoscrivere questa conseguenza. È invece del parere che il cittadino possa essere privato della cittadinanza quando presti determinati servizi, che la legge stabilirà, allo Stato straniero. Rispondendo alle obiezioni fatte da alcuni oratori, fa osservare che lo status civitatis è il diritto alla cittadinanza in quanto una persona si mantenga rispetto allo Stato in una determinata posizione di collaborazione e di solidarietà. Il giorno in cui una persona si mette, rispetto alla sua comunità statale, in una posizione che non è più di solidarietà e di collaborazione, evidentemente può essere dallo Stato stesso privata del diritto alla cittadinanza.

Né può valere l’argomento addotto che lo Stato, se vedrà nell’atteggiamento del cittadino gli elementi di un reato, non lo priverà della cittadinanza per non sottrarlo alle conseguenze punitive della legge, perché è necessario distinguere quello che è il lato passivo, e quello che è il lato attivo. Il lato passivo evidentemente è rappresentato dalle conseguenze punitive dell’eventuale reato: se vi è reato vi sarà la privazione della cittadinanza. Il lato attivo è rappresentato però da quelli che sono i vantaggi di appartenere ad una determinata cittadinanza.

Conclude sostenendo la necessità di affermare il principio che lo status civitatis non può essere tolto per motivi politici, intesi nel senso di motivi di parte; ma dichiara di non poter votare una formula in cui questi motivi politici vengano affermati in modo generico, di maniera che in sede di interpretazione costituzionale se ne possa dedurre l’impossibilità legislativa di affermare la perdita della cittadinanza in determinati casi.

DE VITA è del parere che non si possa arrivare all’estremo di privare il cittadino della cittadinanza, senza che questi abbia acquistato una cittadinanza straniera, qualunque sia l’ipotesi e qualunque sia il comportamento del cittadino stesso.

CEVOLOTTO dichiara che le ragioni esposte dall’onorevole Dossetti non lo hanno persuaso, e che resta della sua opinione precedente che coincide con quella dell’onorevole Togliatti. Non gli sembra che le difficoltà prospettate dall’onorevole Dossetti, nel caso di chi presti servizio militare in un esercito straniero, abbiano il rilievo che egli ha creduto di dare. Ha detto l’onorevole Lucifero, che in questo caso si può conservare la cittadinanza all’individuo e condannarlo per aver commesso azioni ritenute delittuose. Ma se venisse una legge speciale, la quale dicesse che chi ha prestato servizio in un esercito straniero, anche fuori dei casi di guerra, è privato della cittadinanza, per questa sua mancanza ai doveri fondamentali del cittadino, si potrebbe obiettare che questa è una privazione della cittadinanza per motivi politici. Non è però d’accordo con gli onorevoli Lucifero e De Vita nel dire che la cittadinanza non può essere tolta ad alcuno se non nel caso che egli ne abbia acquistata un’altra. Questo limiterebbe troppo la facoltà di privare della cittadinanza un individuo per ragioni che non siano politiche. Per esempio, se in determinati casi un individuo collaborasse con uno Stato estero in una forma lesiva degli interessi dello Stato italiano, anche senza acquistare la cittadinanza dello Stato estero che egli serve, dovrebbe essere lasciata alla legge la possibilità di togliergli la cittadinanza italiana per motivi che non sarebbero certamente di carattere politico.

MORO ritiene di dover aderire in gran parte a quanto ha dichiarato l’onorevole Dossetti. Si tratta di un problema così grave che ha bisogno di essere considerato con attenzione. Non è contrario all’idea, che la nostra Costituzione contenga principî in ordine alla cittadinanza e dia un lume preciso sulla legge stessa che tratterà della cittadinanza. Se la Sottocommissione, compresa della gravità di questo problema, vuole stabilire nella nostra Costituzione un principio di carattere generale in ordine alla concessione e perdita della cittadinanza, l’oratore domanda che sia rinviata la discussione, non essendo finora affiorati motivi d’intesa.

Se invece vuole limitarsi al principio negativo, propone di ampliare l’espressione in questo modo: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di opinione politica». Questa espressione di carattere limitativo toglie ogni possibilità di equivoco intorno al significato della parola «politico».

PRESIDENTE fa osservare che, oltre le opinioni, ci possono essere anche le azioni.

GRASSI fa presente che, agli inizi della discussione, tutti erano d’accordo sul principio che lo status civitatis non può essere tolto ad un cittadino dallo Stato o, per meglio dire, dai governanti, per ragioni di carattere politico. Fissato questo concetto, l’onorevole Dossetti ha espresso la preoccupazione che non fosse possibile privare della cittadinanza quel cittadino che accettasse incarichi all’estero senza autorizzazione, dimostrando così di aver perduto quel senso di solidarietà che lo avrebbe dovuto legare alla cittadinanza di origine.

Ora questo punto è superato perché non è in questa sede che ci si deve preoccupare della collaborazione eventuale del cittadino con altre collettività che non siano quella nazionale, e della incompatibilità a continuare il godimento della cittadinanza di origine. La norma costituzionale che si intende approvare non impedisce che in seguito la legge sulla cittadinanza prenda in esame il caso. Il concetto che si vuole affermare in questo momento è che il cittadino non possa essere privato della sua cittadinanza in ragione del suo atteggiamento politico, inteso questo nel senso più ristretto di fazione o di parte. Il testo originario che parla di «sanzione» era più chiaro: significava che il Governo non poteva privare il cittadino del diritto del suo status civitatis per motivi politici.

Ciò premesso, prega gli onorevoli Lucifero e De Vita di voler ritirare i loro emendamenti. Non è possibile, in sede di Costituzione, affrontare l’intero problema dei diritti di cittadinanza, il quale invece deve trovare la sua sede nella legge speciale. Comunque, ricorda agli onorevoli De Vita e Lucifero, i quali hanno proposto che si debba privare il cittadino italiano della cittadinanza allorquando ne assuma una straniera, che nella legislazione italiana si è sempre teso all’affermazione della possibilità della doppia cittadinanza. Noi italiani, nel nostro interesse, dobbiamo mantenere e rafforzare, specialmente in questo momento, il principio della doppia cittadinanza.

PRESIDENTE richiama l’attenzione sul principio su cui tutti si erano trovati d’accordo e contenuto nella formula da lui proposta: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici». Per venire incontro al punto di vista degli onorevoli Basso e Dossetti ed alle loro preoccupazioni, propone di inserire questo nuovo concetto: «La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge». In questo modo non si preclude la possibilità che la legge provveda anche per gli altri motivi compresi quelli che sono stati oggetto di particolare insistenza da parte dell’onorevole Dossetti e si viene a dire che solo la legge potrà provvedere agli altri casi di perdita della cittadinanza. La nuova formula sarebbe quindi la seguente: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi deve essere disposta dalla legge».

MASTROJANNI fa presente che egli aveva prospettato il problema in termini chiari, precisi e categorici e su questo punto aveva chiesto che qualcuno dei commissari intervenisse per chiarire la situazione; ma nessuno dei commissari ha sfiorato, sia pure lontanamente, l’argomento. Egli aveva detto che la formala comprensiva dei motivi politici non era accettabile, in quanto che nei motivi politici potevano essere inseriti tutti gli atteggiamenti contrastanti e lesivi dello Stato e della comunità. Aveva portato anche, come esempio, casi specifici e precisi: quello, ad esempio, per il quale cittadini italiani potevano, per le loro ideologie o per orientamenti politici, combattere contro la comunità italiana. Questo è un caso tipico che certamente ha un’importanza di gran lunga superiore a quello che può essere il caso del professore che insegna all’estero.

Siccome gli onorevoli Dossetti e Moro hanno toccato l’argomento sotto un aspetto meno preoccupante di quello da lui prospettato, ritiene che si sia trascurato un argomento della più assoluta importanza, sul quale si debbono assumere delle responsabilità precise e specifiche. Per tali ragioni chiede che su questo argomento sia fatto anche l’appello nominale, perché la questione da lui prospettata deve essere affrontata e risolta. Si tratta di stabilire se il cittadino italiano che per ragioni ideologiche combatte contro la comunità italiana, abbia o no il diritto di mantenere la cittadinanza italiana.

CARISTIA si dichiara perfettamente d’accordo con l’onorevole Mastrojanni, e pertanto propone che, data l’importanza dell’argomento e dato il dissidio notevole che si è venuto delineando tra i commissari, si voti soltanto la prima parte dell’articolo, e si rimandi la seconda parte ad una prossima riunione.

DOSSETTI dichiara di essere contrario a questa proposta. Il risultato della statuizione che si deve stabilire è pregiudicato, se si fa un’affermazione generica conforme a quella espressa dall’onorevole Caristia.

Osserva che l’onorevole Mastrojanni è caduto in un errore logico. Mentre sembrava per lo meno pacifico che si dovesse fare l’enunciazione generale che i motivi politici non dovessero essere causa di perdita della cittadinanza, l’onorevole Mastrojanni ha posto in discussione l’intera affermazione, esprimendo il parere che si possa stabilire la privazione della cittadinanza per motivi politici.

MASTROJANNI, per fatto personale, dichiara che non intendeva affermare che si privi il cittadino della cittadinanza per motivi politici, ma esprimeva il desiderio che i motivi politici fossero definiti in termini categorici, in modo da escludere quei fatti che sotto la parvenza politica possano, per le loro conseguenze, ledere i diritti e dei cittadini e anche dello Stato.

CEVOLOTTO propone il rinvio puro e semplice della discussione.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di rinvio della discussione della seconda parte dell’articolo 2-bis.

(È approvata).

Ricorda che dell’articolo 2-bis rimangono approvate soltanto due proposizioni che sono le seguenti: «Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome».

Il resto dell’articolo sarà sottoposto ad un’ulteriore discussione nella prossima riunione che rimane fissata per martedì alle ore 11.

La seduta termina alle 13.50.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: La Pira e Merlin Umberto.

VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

10.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Marchesi – Grassi – Mastrojanni – Moro – Mancini – Lombardi Giovanni – Lucifero – Togliatti – Basso, Relatore – La Pira, Relatore – Cevolotto.

La seduta comincia alle 12.10.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 7, nel testo proposto dai Relatori:

«Ogni cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in ogni parte del territorio, salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità o di ordine pubblico.

«Il diritto di emigrare, salvo gli obblighi di legge, è garantito».

Fa rilevare che la prima parte del presente articolo è tratta dall’articolo 4 della relazione presentata a suo tempo dall’onorevole Basso. Il primo e l’ultimo capoverso dell’articolo in esame sono presi dall’ultimo capoverso dell’articolo 13 della relazione La Pira.

Pone in discussione il primo comma dell’articolo 7.

MARCHESI propone che si aggiunga alla parola «territorio» l’altra «nazionale». Non si sa quali saranno le sorti o i limiti di attuazione del principio di autonomia regionale oggi tanto invocato. E quindi bisogna comunque, fin da questo momento, affermare che nessun limite di spazio sul territorio nazionale può essere posto alla libera circolazione dei cittadini.

GRASSI dichiara di preferire la dizione: «territorio dello Stato».

MASTROJANNI, poiché in questa prima parte dell’articolo 7 si usa due volte, a brevissima distanza, la parola «ogni», propone che invece di «ogni cittadino» si dica «chiunque».

MORO è del parere di dire semplicemente: «cittadino».

MASTROJANNI propone che, lasciando «ogni cittadino», si dica poi «in qualunque parte» invece di «in ogni parte».

MARCHESI fa osservare che la specificazione «ogni» è necessaria per la parte del territorio, ma non per il cittadino. Quindi si può dire senz’altro: «il cittadino».

MANCINI propone che si dica: «in ogni parte del territorio della Repubblica». Una volta si diceva: «territorio del Regno»; trova perciò opportuno che ora si dica «territorio della Repubblica». Questa Repubblica è stata ed è la nostra passione e non incidente qualsiasi nello evolversi di una Nazione.

MASTROJANNI osserva che, se si dice «territorio dello Stato», la espressione è più ampia e comprensiva.

GRASSI osserva che il territorio è uno dei tre elementi costitutivi dello Stato. Quando si parla di territorio, non si può che riferirsi al territorio dello Stato. Dichiara per questo motivo che voterà l’articolo così come è stato proposto originariamente dai Relatori.

LOMBARDI GIOVANNI propone di dire: «nello Stato repubblicano».

LUCIFERO dichiara di ritenere che queste specificazioni rientrino nelle funzioni dei coordinatori. Quando si dovrà fare il testo definitivo, si userà sempre o l’una o l’altra espressione. Ad ogni modo, crede che sia più tecnica la parola «Stato». Non ritiene che si debba specificare «del territorio della Repubblica», poiché non vede a quali altri territori si possa riferirsi.

MASTROJANNI, riprendendo le osservazioni dell’onorevole Marchesi, dichiara di insistere nella sua proposta. Dovendosi provvedere all’autonomia regionale, ci si potrebbe trovare di fronte ad equivoci ed a contrasti circa la possibilità di percorrere tutto il territorio dello Stato.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Mastrojanni di aggiungere alla parola «territorio» le altre «dello Stato».

(La proposta è respinta con 4 voti favorevoli e 11 contrari).

Mette ai voti la proposta degli onorevoli Mancini e Marchesi, di aggiungere alla parola «territorio» le altre «della Repubblica».

(La proposta è approvata con 11 voti favorevoli e 4 contrari).

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni di sostituire le parole: «in ogni parte del territorio» con le parole «in qualunque parte del territorio».

TOGLIATTI osserva che è meglio dire «qualsiasi».

(La proposta di sostituire la parola «qualsiasi» all’altra «ogni» viene approvata alla unanimità).

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Marchesi di sostituire al principio dell’articolo le parole «il cittadino» alle altre «ogni cittadino».

(La proposta è approvata all’unanimità).

MASTROJANNI fa presente il caso di un individuo che non sia cittadino, e domanda se nell’ipotesi che vi siano in Italia – come ve ne sono – individui che non abbiano la cittadinanza italiana, essi debbano essere sottoposti a misure speciali.

TOGLIATTI risponde affermativamente.

MASTROJANNI osserva che questi stranieri, essendo autorizzati a risiedere in Italia, per recarsi da una provincia all’altra dovrebbero chiedere il permesso.

MORO non ritiene che in questo caso debba dirsi in modo preciso che lo straniero dovrà ottenere una autorizzazione particolare. Ad ogni modo la Costituzione dovrà necessariamente regolare anche i limiti della parificazione dello straniero al cittadino, in sede di diritto privato e pubblico.

PRESIDENTE dichiara che la Sottocommissione si riserva di definire meglio, in sede opportuna, i diritti dello straniero, di colui cioè che non gode della cittadinanza italiana.

TOGLIATTI dichiara che era sua intenzione di parlare, a proposito di questo articolo, del diritto di asilo. Dopo le parole del Presidente, si riserva di trattarne nella parte della Costituzione che parlerà dei diritti e dei doveri degli stranieri.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo 7 con gli emendamenti approvati: «Il cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in qualsiasi parte del territorio della Repubblica»

(È approvato con 15 voti favorevoli e 2 contrari).

Pone in discussione l’altra parte dell’articolo, la quale, nella proposta dei Relatori, suona così: «salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità o di ordine pubblico».

TOGLIATTI osserva che quando si stabilisce che le autorità possano porre i limiti che vogliono per ragioni di ordine pubblico, si dà la possibilità alle autorità stesse di fare qualsiasi cosa. Propone perciò che l’espressione sia modificata nel modo seguente: «salvo i limiti disposti dalla legge, in circostanze eccezionali».

GRASSI osserva che invece di «ordine pubblico», si potrebbe dire «sicurezza pubblica».

TOGLIATTI ripete che se si lascia facoltà alla polizia, questa potrà inibire la circolazione dei cittadini per motivi di ogni genere.

PRESIDENTE osserva che, appunto per impedire gli arbìtri è stato detto: «salvo i limi ti imposti dalla legge».

TOGLIATTI replica che gli italiani sono stati sempre ingannati dalla legge.

PRESIDENTE fa osservare che i Relatori, nel compilare il testo dell’articolo, non hanno voluto dire qualche cosa di diverso da quel che dice l’onorevole Togliatti. Essi hanno ripreso una dizione che si trova in tutte le Costituzioni democratiche.

TOGLIATTI insiste nella sua proposta di modifica: «salvo i limiti disposti dalla legge, in circostanze eccezionali».

BASSO, Relatore, richiamandosi a quanto ha sempre detto in casi simili, dichiara che per lui la garanzia contro l’arbitrio è nelle disposizioni di legge. Si potrebbe, se l’onorevole Togliatti è d’accordo, rendere più chiara la formula, accettando quella affiorata nelle discussioni della Commissione del Ministero della Costituente: «salvo i limiti imposti con carattere generale dalla legge». Con questo chiarimento si intenderà dire che le autorità esecutive non possono porre limiti contro una determinata persona o determinate categorie.

LA PIRA, Relatore, fa presente che la formula integrale della relazione Mortati dice: «Ogni cittadino può fissare o prendere la propria residenza o domicilio in ogni parte del territorio, salvo i limiti imposti con carattere generale dalla legge, per soli motivi di sanità o di ordine pubblico».

Osserva che, usando le parole: «con carattere generale», si dà una specificazione ancora più precisa.

PRESIDENTE fa osservare che questa specificazione sottrae il cittadino ad ogni arbitrio di natura personale.

TOGLIATTI ritiene che si debba essere più concreti, precisando quali sono queste circostanze in cui la legge può limitare.

LUCIFERO osserva che le limitazioni dovrebbero essere consentite soltanto nei casi di guerra, epidemia, pubbliche calamità.

LA PIRA, Relatore, fa presente che una analoga disposizione, inserita nella Costituzione estone, dice: «Le autorità giudiziarie soltanto hanno la facoltà di limitare o sopprimere il diritto dei cittadini di circolare e di fissare liberamente la propria dimora. Questa libertà può essere altresì limitata o soppressa da altre autorità, per ragioni di igiene, nei casi e secondo le norme fissate dalla legge».

LUCIFERO propone che si dica semplicemente: «salvo i casi di guerra, di epidemie e di pubbliche calamità». Sono i tre casi in cui si possono inibire movimenti di popolazione per ragioni sostanziali che non sono «ad personam».

TOGLIATTI dichiara di concordare con la proposta dell’onorevole Lucifero. La formula completa potrebbe essere: «salvo i limiti imposti dalla legge per i casi di guerra, di epidemie e di pubbliche calamità».

MASTROJANNI fa osservare che, limitando la facoltà della legge ai tre casi previsti nella proposta dell’onorevole Lucifero, si verrebbe a togliere alle autorità di pubblica sicurezza la possibilità di rinviare al proprio domicilio, con foglio di via obbligatorio, le persone che siano, per un motivo o per un altro, indesiderabili, come nei casi di accattonaggio, prostituzione, ecc. Occorre tener presente che l’esercizio di una coercizione del genere da parte delle autorità di pubblica sicurezza risponde indubbiamente ad uno scopo di utilità e di necessità per l’umana convivenza.

Ritiene perciò che la dizione «per motivi di sanità e di ordine pubblico» debba rimanere. Accetterebbe la specificazione dell’onorevole Lucifero, purché comprendesse anche i casi di ordine pubblico:

MANCINI dichiara di accettare la proposta dell’onorevole Lucifero a condizione che venga limitata alle esigenze dell’igiene e della guerra, poiché non ha mai compreso il vero e concreto significato dell’espressione «pubblica calamità» così generico ed estensivo a tanti incidenti della vita di un Paese.

TOGLIATTI, spiega che sono casi di pubblica calamità, per esempio, i terremoti.

MANCINI osserva che, estendendo il concetto di pubblica calamità, si può arrivare anche a qualche cosa che rassomigli molto da vicino ai casi di ordine pubblico. Perciò limiterebbe le eccezioni soltanto ai casi di guerra e alle esigenze igieniche.

MORO ritiene che non possano essere trascurate le considerazioni fatte dall’onorevole Mastrojanni. È una forma essenziale di tutela della libertà dei cittadini quella di permettere alla polizia di restituire al loro domicilio e ivi fissare le persone pericolose alla sicurezza pubblica.

Un accenno all’ordine pubblico, o a qualche cosa di analogo, deve perciò essere fatto.

LUCIFERO ritiene di interpretare anche il pensiero dell’onorevole Togliatti dichiarando di preoccuparsi che i diritti del cittadino possano essere limitati proprio per ragioni di pubblica sicurezza. Quando venga introdotto questo concetto, si sa perfettamente che uso larghissimo ne può fare il potere esecutivo. Ciò che si vuole impedire è proprio questo. Se si tollera che, per motivi di ordine pubblico e per ragioni di pubblica sicurezza, si possano porre limitazioni alla libertà, si stabilisce la possibilità dell’arbitrio.

Le osservazioni dell’onorevole Mastrojanni non ricadono in questi casi. Le disposizioni di pubblica sicurezza riguardanti il foglio di via scaturiscono da altre ragioni.

GRASSI ritiene che non si debba prescindere dal fatto che le leggi che possono limitare la libertà di circolazione del cittadino sono soltanto quelle di sanità o di pubblica sicurezza. Saranno quindi le leggi di sanità e di pubblica sicurezza, esaminate ed approvate dagli organi competenti, che stabiliranno le eccezioni, ponendo i limiti alle eccezioni stesse. Perciò propone che si dica soltanto: «motivi di sanità o di sicurezza pubblica».

BASSO, Relatore, fa presente che la Commissione, la quale prepara il testo del progetto della nuova legge di pubblica sicurezza, ha sottolineato la possibilità che nella Costituzione vengano usate formule che impediscano l’intervento dell’autorità nei casi ai quali ha accennato l’onorevole Mastrojanni. Osserva anche che il Consiglio di Stato, pur essendosi ispirato a principî liberalissimi, ha dato parere favorevole a che siano poste delle eccezioni, per i casi accennati, al principio della libertà dalla circolazione. Non si possono limitare queste facoltà della pubblica autorità.

MORO propone che si aggiunga l’espressione: «In nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico». Si dovrebbe cioè chiarire il senso di «ordine pubblico», in modo che sia stabilita una tutela di fronte alla delinquenza comune, ma non per motivi di carattere politico.

MARCHESI dichiara che accetterebbe la proposta dell’onorevole Moro, se non sapesse, per lunghissima esperienza, che ad un certo punto l’avversario politico diventa un delinquente comune e quindi la legge lo colpisce come tale. Per quanto riguarda le parole «ordine pubblico» e «pubblica sicurezza», ricorda che questi due termini hanno una tristissima storia, ed hanno portato con sé una serie infinita di arbitrii a danno di cittadini che certo non erano meritevoli di tale trattamento.

Pertanto si associa alla proposta dell’onorevole Lucifero.

Per quanto riguarda poi i casi di immoralità e simili, fa presente che è stato già votato un articolo circa il fermo di pubblica sicurezza. Se c’è una persona che, comunque, con la sua condotta immorale o con altre azioni, offende il diritto comune, diventa violatrice del diritto stesso, ed allora la pubblica sicurezza ha il potere di procedere al suo fermo o all’arresto.

BASSO, Relatore, fa osservare che la ipotesi prevista nell’articolo precedente parlava del fermo, ma solo quando vi era il fondato sospetto di reato. Quindi la cosa è diversa.

LUCIFERO ripete la sua proposta di aggiungere: «salvo i limiti imposti dalla legge per i casi di guerra, di epidemia e di pubblica calamità».

PRESIDENTE dichiara che la preoccupazione di molti commissari non è diretta a non ammettere quello che suggerisce l’onorevole Lucifero, ma è ispirata dal timore che con la formula dell’onorevole Lucifero non si esaurisca un’altra infinità di casi che potrebbero presentarsi e, meglio, potrebbero essere compresi in un’affermazione di carattere generale.

Occorre magari specificare, ma non lasciare una lacuna nella Costituzione.

LUCIFERO replica che con la sua formula non si lascia una lacuna, perché, per le osservazioni fatte dall’onorevole Marchesi, evidentemente la prostituzione e l’accattonaggio, come altri casi a cui si è accennato, saranno considerati, in determinate forme, nella legge ordinaria. Ritiene cosa essenziale sottrarre la competenza di queste decisioni all’autorità di pubblica sicurezza, e darla invece alla magistratura.

PRESIDENTE propone di adottare una formula che possa comprendere almeno alcuni dei casi denunciati nel corso della discussione. Se al termine «epidemia» si sostituisse il termine «sanità» si adotterebbe una formula generica in cui potrebbero essere comprese anche la prostituzione, l’accattonaggio, ecc.

Domanda agli onorevoli Lucifero e Togliatti se accettano l’espressione «sanità».

LUCIFERO e TOGLIATTI dichiarano di accettare la sostituzione.

GRASSI domanda se una volta stabilito nella Costituzione che la legge può imporre dei limiti in quei casi di guerra, di epidemia, ecc., si escluderà che le leggi penali, che verranno dopo la Costituzione, possano anche contemplare altri casi.

MORO risponde che la legge può stabilire quelle forme di sanzione penale che permettano di attuare procedure di polizia che non sono state stabilite prima.

MANCINI dichiara di non essere d’accordo con l’onorevole Moro, perché, ritiene che una legge successiva non può in nessun caso modificare la legge fondamentale costituzionale.

LOMBARDI GIOVANNI propone la formula seguente: «salvo i limiti imposti dalla legge dello Stato per motivi di Sanità e di ordine pubblico».

BASSO, Relatore, ritiene ingiustificata in questo caso l’osservazione che le leggi penali non possano istituire quelle determinate norme in quanto sarebbero contrarie alla legge costituzionale, perché nella legge costituzionale è stato sancito un principio che comprende tutti gli altri, dando facoltà all’autorità giudiziaria di privare il cittadino della libertà personale. È chiaro che se poi la pena prevede la reclusione, non si può dire che vi è una contraddizione.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di chiudere la discussione, salvo il diritto a prendere la parola per coloro che lo hanno domandato.

(La proposta è approvata).

CEVOLOTTO si dichiara d’accordo con gli onorevoli Mancini e Grassi quando sostengono che la legge speciale, e anche il Codice penale, non possono derogare dai limiti fissati dalla Costituzione. Quando la Costituzione dice: «in qualsiasi parte del territorio della Repubblica, salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità e di ordine pubblico», è evidente che si esclude che il Codice penale possa, se non per motivi di sanità o di ordine pubblico, creare una disposizione che preveda l’ordine di traduzione e di restituzione nella propria dimora dei vagabondi e di altre persone che si trovano in determinate condizioni.

Contrariamente a quanto ha affermato l’onorevole Basso, ritiene che, malgrado quella disposizione di ordine generale, deve essere tenuto presente il fatto che nel successivo articolo 7 viene fissata in materia di domicilio una norma speciale più restrittiva, stabilendosi che il cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in qualsiasi parte del territorio, salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità e di ordine pubblico». Non vi è quindi possibilità di derogare da tale principio neppure in una legge speciale.

MASTROJANNI insiste perché venga mantenuta l’espressione: «ordine pubblico», facendo presente che la formula dei relatori è comprensiva e nello stesso tempo esclusiva di qualsiasi ipotesi di arbitrio. D’altra parte si deve consentire all’autorità di pubblica sicurezza di poter prevenire i reati, ciò che non può avvenire se non quando l’autorità di pubblica sicurezza ha la possibilità di sorvegliare nel loro domicilio determinati elementi pericolosi per la società. Ritiene quindi essenziale inserire nella Costituzione il principio che le leggi speciali, in tema di sanità e di ordine pubblico, possano derogare alle norme generali.

MORO osserva che l’unico limite costituzionale che si può ammettere per la legge penale è quello già introdotto nella Costituzione dove è stabilito che non possono essere irrogate pene crudeli, e che le pene devono avere il fine della rieducazione del reo. Con tali disposizioni si sono limitate le possibilità di attentare alla libertà individuale.

Ritiene che l’espressione «ordine pubblico» e «sanità» possano essere conservate, e propone la seguente formula: «per motivi di guerra o di pubblica calamità, di sanità e di moralità nei riguardi di coloro che escono dallo stato di detenzione».

BASSO, Relatore, ricorda che l’onorevole Moro aveva fatto una precedente proposta, che ritiene accettabile, ricavando la formula dalla relazione sui lavori preparatori per la Costituente, aggiungendo poi che «in nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico».

MORO dichiara di mantenere la prima proposta, e di presentare anche la seconda solo in via subordinata.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Moro-Basso così formulata: «salvi i limiti imposti con carattere generale dalla legge per soli motivi di sanità o di ordine pubblico. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico».

(La proposta è approvata con 9 voti favorevoli e 6 contrari).

Precisa che la prima parte dell’articolo 7 risulta approvata nei seguenti termini: «Il cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in qualsiasi parte del territorio della Repubblica, salvo i limiti imposti con carattere generale dalle leggi, per soli motivi di sanità o di ordine pubblico. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico».

LUCIFERO richiama l’attenzione della Commissione sul fatto che nell’articolo 7, prima parte, testé approvata, non è stato contemplato il caso della guerra.

PRESIDENTE fa presente che l’osservazione dell’onorevole Lucifero è tardiva, in quanto che quella parte dell’articolo 7, in cui poteva venir contemplato il caso della guerra, è stata già votata e approvata.

Mette ai voti l’ultima parte dell’articolo 7 che è la seguente: «Il diritto di emigrare, salvi gli obblighi di legge, è garantito a tutti».

(È approvata all’unanimità – L’articolo 7 è approvato nel suo complesso).

Pone in discussione l’articolo 8, il cui primo comma, nel progetto degli onorevoli Basso e La Pira, è così formulato: «La libertà e la segretezza di comunicazioni e di corrispondenza in qualsiasi forma sono garantite».

Mette ai voti questa parte dell’articolo.

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione il primo capoverso dell’articolo stesso il quale dice: «Può derogarsi a questa disposizione per specifica decisione dell’autorità giudiziaria».

TOGLIATTI domanda se l’autorità giudiziaria può decidere, ad esempio, che sia applicato un sistema di ascolto ai telefoni.

BASSO, Relatore, risponde che l’autorità giudiziaria può intervenire solo nei casi di reato.

LA PIRA, Relatore, fa presente che questa possibilità di deroga ammessa per l’autorità giudiziaria c’è in tutte le Costituzioni.

PRESIDENTE osserva che, per maggiore chiarezza si potrà dire, invece di «specifica decisione», «motivata decisione».

MORO propone che, per chiarire nel senso desiderato dall’onorevole Togliatti, si dica: «dell’autorità giudiziaria, per ragioni di polizia giudiziaria o per fini di giudizio».

PRESIDENTE fa presente che nella formula da lui presentata: «può derogarsi a questa disposizione solo per motivata decisione dell’autorità giudiziaria», è inclusa la preoccupazione espressa dall’onorevole Moro.

MORO dichiara di non essere d’accordo col parere del Presidente, perché l’autorità giudiziaria può ordinare l’esibizione di una lettera che serva come prova, e non ha necessità di motivare la sua richiesta.

PRESIDENTE replica che qui si tratta di una garanzia generale per il cittadino.

Mette ai voti la proposta di sostituire alla parola «specifica» l’altra «motivata».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione il secondo capoverso dell’articolo 8 così formulato: «Durante il tempo di guerra, per disposizioni di legge, possono essere stabilite limitazioni e istituite censure». Propone che questa dizione sia sostituita con la seguente: «La legge può stabilire limitazioni e istituire censure per il tempo di guerra».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione l’ultimo capoverso dell’articolo 8: «La divulgazione di notizie conosciute per questi tramiti è vietata per legge», proponendo che vengano soppresse le parole «per legge».

(È approvato all’unanimità).

Pone ai voti l’intero articolo 8 così come risulta dopo le modificazioni apportate al testo dei Relatori Basso e La Pira:

«La libertà e la segretezza di comunicazioni e di corrispondenza, in qualsiasi forma sono garantite.

«Può derogarsi a questa disposizione solo per motivata decisione dell’autorità giudiziaria.

«La legge può stabilire limitazioni ed istituire censure per il tempo di guerra.

«La divulgazione di notizie conosciute per questi tramiti è vietata».

(È approvato).

Rinvia la seduta a domani alle ore 12.

La seduta termina alle 13.15.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assente giustificato: Dossetti.

GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

9.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Marchesi – Moro – Grassi – Mastrojanni – Mancini – Basso, Relatore – Lombardi Giovanni – Cevolotto – La Pira, Relatore – De Vita – Togliatti – Merlin Umberto.

La seduta comincia alle 12.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE rilegge la parte dell’articolo 5 approvata nella seduta precedente:

«Nessuno può essere sottoposto a processo né punito, se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con le pene da essa previste.

«La responsabilità penale è personale».

Pone in discussione l’ultimo capoverso dell’articolo:

«Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del reo. La pena di morte non è ammessa se non nei Codici penali militari di guerra. Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».

Propone che si esamini anzitutto la prima proposizione che dice: «Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del reo».

MARCHESI osserva che i due Relatori hanno preferito alla parola «colpevole», che era stata adoperata nella prima proposta del Relatore Basso, il termine «reo», che è quello proposto dal Relatore La Pira. Forse è stato preferito tale termine per indicare il colpito da una condanna penale e nello stesso tempo per lasciar posto ad una possibilità di innocenza che la parola «colpevole» rimuoverebbe interamente.

È d’accordo nel concetto, perché essere inchiodato alla croce di una condanna ed essere inchiodato alla croce di una colpa sono cose diverse. Però, se nel diritto penale moderno reato significa l’infrazione di una norma giuridica, se reato significa la violazione di una norma sanzionata con una condanna, ne consegue che «reo» è il violatore di questa norma e quindi «reo» è il colpevole. Ma la parola reus ha una storia e un’evoluzione, ed egli preferisce le parole che non hanno una storia. Infatti la parola reus ha avuto un’evoluzione in tutto il diritto romano antico.

Senza alcuna eccezione letterale e tardiva, la parola reus significa «il giudicabile», cioè colui che è sottoposto a giudizio e non vi è alcuna eccezione fino al diritto costantiniano. Più tardi, nel diritto moderno, reus significa «giudicato». Ora una parola che non ha storia e che egli preferirebbe, è quella di condemnatus, cioè di «condannato», che dalla legge delle Dodici Tavole, dal Codice decemvirale fino ad oggi, mantiene lo stresso significato. D’altra parte la figura del condemnatus innocente è limpida, chiara ed immediata, mentre la figura del «reo» innocente non è ugualmente immediata e limpida.

Propone quindi che alla parola «reo», che si può prestare a delle eccezioni, sia sostituita la parola «condannato» che non si presta a nessuna ambiguità di significato.

MORO fa osservare che il termine tecnico giuridico è quello di «reo». Questa parola viene sempre usata nel linguaggio giuridico e dei codici, e se si mettesse una parola diversa, si potrebbero creare degli equivoci. La parola «condannato» è un termine che si potrebbe anche accettare, ma può essere fonte di preoccupazioni l’usare una parola che non è mai adoperata se non forse nel linguaggio processuale.

MARCHESI propone allora di ritornare al termine di «colpevole». Questa parola è più chiara, specialmente quando si parla di rieducazione del colpevole, perché il termine di rieducazione presuppone una colpa.

GRASSI ricorda che nell’articolo 4 è stato usato il termine «colpevole» quando si è detto che l’imputato è presunto innocente finché non sia stato dichiarato colpevole.

MORO dichiara di non poter disconoscere che la parola colpevole sia appropriata, ma la terminologia giuridica fa differenza tra «colpevole» e «reo». Colpevole s’intende colui che è riconosciuto come tale e che ha partecipato personalmente al reato (la partecipazione spirituale in senso tecnico si chiama anche colpevolezza). Questo sarebbe il lato soggettivo del reato. Quando si dice «reo» invece si ha riguardo sia al lato soggettivo che a quello oggettivo. Adoperando una parola diversa, cioè per esempio «colpevole», si adopera una terminologia poco comune.

PRESIDENTE insiste sulla parola «colpevole» la quale, oltre a rispondere alla preoccupazione dell’onorevole Marchesi, si richiama ad un termine che la Commissione ha già adoperato.

MARCHESI domanda all’onorevole Moro quali difficoltà di carattere tecnico e giuridico possano sorgere se si adopera il termine «condannato» che è un termine giuridico.

MORO torna ad osservare che questa parola è usata soltanto in un senso processuale. Condannato è colui al quale è stata irrogata una pena. Guardando il complesso della persona, sia sotto il profilo sostantivo che processuale, si dice sempre «reo».

MARCHESI osserva che, con il termine «colpevole», si verrebbe ad escludere la violazione, la lesione del diritto, e quindi non ritiene di poter accettare questo termine, che sostituirebbe con «condannato».

PRESIDENTE, anche per armonizzare la terminologia che è stata fin qui adoperata, userebbe il termine «colpevole».

MORO osserva che la parola «colpevole» si adopera, per esempio, quando si dice «è stato riconosciuto colpevole». In questo caso la parola è giusta dal punto di vista tecnico-giuridico.

Dichiara di accedere piuttosto alla parola «condannato».

PRESIDENTE, accetta il termine «condannato».

MASTROJANNI osserva che la sanzione penale può essere irrogata, senza che venga fatta scontare come nei casi di concessione dei benefici di legge.

In tali casi come si può parlare di rieducazione del condannato, se questi non sconta la pena? La rieducazione in concreto deve estrinsecarsi nei confronti di chi subisce la condanna.

PRESIDENTE rileva che l’onorevole Mastrojanni, nel fare questa osservazione, non tiene conto dello spirito di questo articolo, il quale può prevedere anche il caso da lui accennato. Infatti la concessione dei benefici di legge, anzi gli stessi benefici di legge hanno per presupposto e per fine la rieducazione del reo.

MORO spiega che la presunzione della pena c’è; soltanto non è eseguita.

MASTROJANNI ritiene che sia necessario e indispensabile aver anche riguardo alla forma, poiché si deve poter presumere che il colpevole in avvenire si asterrà dal commettere reati.

Poiché l’onorevole Moro faceva distinzione tra «reo» e «condannato», conferma che è più opportuno usare il termine «reo» per le considerazioni che ha sopra esposte, che cioè il condannato può anche non scontare la pena, e allora non si può parlare di rieducazione.

PRESIDENTE mette ai voti la prima proposizione dell’articolo con l’emendamento proposto dall’onorevole Marchesi:

«Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato».

(La proposta è approvata all’unanimità meno uno).

Pone in discussione la seconda proposizione dell’articolo 5:

«La pena di morte non è ammessa (se non nei Codici penali militari di guerra)».

MANCINI sostiene la necessità di affermare che la pena di morte debba essere soppressa senza eccezione, anche nei Codici militari.

Il Presidente della Sottocommissione gli è buon testimone che quando si portò al Consiglio dei Ministri il decreto-legge per la soppressione della pena di morte, egli fu incondizionatamente favorevole al decreto stesso e, pertanto, si dichiara contrario alla pena di morte senza eccezioni di sorta: lo Stato non ha il diritto di commettere un delitto più grave di quello commesso dal delinquente.

BASSO, Relatore, fa presente che, nel testo da lui presentato d’accordo con l’onorevole La Pira, la frase che stabilisce un’eccezione al principio della non ammissibilità della pena di morte e che riguarda i Codici penali militari di guerra, è stata messa tra parentesi poiché l’onorevole La Pira non era d’accordo nell’introdurre questa eccezione, ed anche l’oratore consentiva sul principio di abolire la pena di morte. Ma poi considerò la difficoltà pratica di sopprimere, specialmente in tempo di guerra, la condanna a morte. Se si ritiene di doverla mantenere nei Codici militari di guerra, si deve nella Costituzione introdurre questa eccezione, perché altrimenti, quando si farà il Codice penale militare di guerra, si sarà costretti a introdurre una modifica alla Costituzione.

Pertanto insiste per il mantenimento della formula proposta.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che avrebbe desiderato che all’affermazione generica «la rieducazione del reo» si fosse aggiunto qualche cosa che ricollegasse la rieducazione ad un fatto concreto.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Lombardi che la parte dell’articolo che riguarda la rieducazione del reo è stata già votata.

LOMBARDI GIOVANNI presenta alla Sottocommissione una sua proposta di legge del 1920, dove la rieducazione del reo era studiata, e chiede che tal proposta faccia parte dei lavori preparatori della Costituzione.

PRESIDENTE dà atto all’onorevole Lombardi della presentazione della sua proposta di legge e della richiesta che essa faccia parte dei lavori preparatori della Costituzione.

LOMBARDI GIOVANNI, per quanto riguarda la pena di morte, ricorda che, quando questa fu stabilita nel Codice fascista, egli immediatamente scrisse un libro contro la pena di morte. Riallacciandosi a quelle conclusioni, si dichiara d’accordo con la proposta dell’onorevole Mancini che si abolisca la pena di morte, soprattutto nei Codici penali militari, dove ogni aberrazione è possibile.

Dichiara altresì che la pena di morte dovrebbe essere riconfermata solo per quei delinquenti tipici, non costituzionali ma atavici, la cui esistenza è un’offesa al genere umano.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Lombardi di mettere a disposizione della Commissione il libro accennato.

MANCINI insiste nella richiesta che la pena di morte sia soppressa senza alcuna eccezione, e chiede la votazione su questa proposta.

CEVOLOTTO dichiara di non essere personalmente contrario al concetto espresso dall’onorevole Mancini. Fa osservare però che difficilmente un simile principio potrebbe essere approvato dalla Commissione centrale dell’Assemblea. Infatti nel Codice militare non si può fare a meno, specialmente in tempo di guerra, di prevedere il caso in cui si deve applicare la pena di morte. Si tratta di una necessità assoluta.

Pertanto è del parere che sia necessario mantenere l’eccezione.

PRESIDENTE dichiara di essere dell’opinione dei correlatori e favorevole alla proposta da essi presentata.

Da atto all’onorevole Mancini dell’aver egli sostenuto, anche in sede di Consiglio dei Ministri, l’abolizione pura e semplice e per ogni caso della pena di morte, mentre l’oratore fece salvi i casi previsti dai Codici militari di guerra.

Mette ai voti la prima parte della proposizione che dice: «La pena di morte non è ammessa».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione la seconda parte, che stabilisce l’eccezione per i Codici penali militari di guerra. Fa osservare a coloro che sostengono la soppressione di questa eccezione che il legislatore, nell’ipotesi che debba sanzionare un’eccezione, si troverebbe nella condizione di dover modificare la Costituzione. D’altra parte la formula adoperata dai Relatori dà senz’altro per ammesso che i Codici penali militari di guerra potranno stabilire la pena di morte.

Propone invece una formula diversa, che potrebbe essere del seguente tenore: «Possono farvi eccezione i Codici penali militari di guerra».

In tal modo, non si approva fin dal principio l’eccezione; ma si mette il legislatore nella condizione di poter adottare una simile soluzione senza essere costretto a modificare la Costituzione.

MANCINI insiste per una formula secondo la quale la pena di morte sia abolita senza alcuna eccezione.

LA PIRA, Relatore, osserva che, quando esiste lo stato di guerra, vi è anche uno stato di emergenza giuridica in cui vengono soppresse anche le garanzie costituzionali. Pertanto è forse meglio affermare decisamente che la pena di morte non è ammessa.

PRESIDENTE avverte che porrà ai voti la proposta dell’onorevole Mancini, diretta ad abolire, senza alcuna eccezione, la pena di morte.

BASSO, Relatore, dichiara di essere d’accordo sul principio che la pena di morte non è ammessa. Se la coscienza giuridica del paese è matura per il principio della non applicabilità della pena di morte, voterebbe anche egli per la soppressione della pena di morte senza eccezioni, purché questo non dia luogo a discussioni ed a difficoltà.

DE VITA dichiara che voterà a favore della proposta Mancini.

TOGLIATTI dichiara di votare contro la proposta Mancini, perché vi possono essere delle guerre giuste che si devono combatterei ed allora, in caso di una guerra, è necessario che la pena di morte sia prevista.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Mancini di soppressione pura e semplice delle parole: «se non nei Codici penali militari di guerra».

(La proposta non è approvata – Voti favorevoli: 6, contrari: 9).

Mette ai voti la formula proposta dai Relatori con la modifica da lui suggerita, che è la seguente: «possono farvi eccezione i Codici penali militari di guerra».

(La proposta è approvata con 10 voti favorevoli e 5 contrari).

PRESIDENTE pone in discussione il comma:

«Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».

Coerentemente a quanto disse nella seduta precedente circa la responsabilità personale, propone che vengano soppresse le parole: «né irrogarsi sanzioni collettive».

TOGLIATTI domanda se, invece di «pene crudeli», non sia meglio dire «pene corporali».

MASTROJANNI osserva che una delle pene veramente crudeli da sopprimere è quella della segregazione cellulare continua. Desidera se ne faccia cenno nel verbale come suo suggerimento.

BASSO, Relatore, dichiara che appunto in tale spirito aveva detto «pene crudeli». Non sono crudeli solo le pene corporali.

MASTROJANNI suggerisce anche la soppressione di quell’altra affermazione del diritto penale fascista per la quale gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono la imputabilità.

DE VITA desidera sapere se questo divieto di sanzioni collettive debba intendersi esteso anche ai Codici penali militari di guerra.

PRESIDENTE risponde affermativamente. L’unica eccezione consentita è quella della pena di morte nei casi previsti dal Codice penale militare di guerra, e con esclusione assoluta anche da parte di questo di ogni sanzione collettiva.

LOMBARDI GIOVANNI ritiene che il dire «non possono istituirsi pene crudeli» costituisca una formula ingenua. La pena è per se stessa un male necessario e crudele, dal carcere alla segregazione, dalla reclusione alla morte. Gli sembra che più crudele della morte non ci sia alcunché. Domanda poi che cosa si intenda per «pene crudeli».

MARCHESI risponde che sono pene crudeli quelle che infieriscono sul vivo, non quelle che uccidono.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che tutte le pene infieriscono sul vivo. Propone perciò la soppressione pura e semplice delle parole «non possono istituirsi pene crudeli».

MERLIN UMBERTO si dichiara favorevole alla soppressione.

BASSO, Relatore, spiega che il concetto espresso nel comma in discussione rientra in quello generale già affermato, che cioè la sanzione penale deve tendere alla rieducazione del reo. Unica eccezione quella della pena di morte che può essere introdotta nel Codice penale militare. Però, chi ha esperienza di vita carceraria, fatta come carcerato, sa che occorrerà del tempo prima di riuscire ad infondere nei nostri ordinamenti carcerari questo spirito di rieducazione. Pensa perciò che non sia male ribadire questo concetto. Ciò che si può ottenere subito è che in nessun caso la sanzione arrivi alla crudeltà. Negli attuali ordinamenti carcerari ci sono le pene corporali, la segregazione cellulare, il vitto ridotto a pane e acqua ed altre forme del genere. Non si perde nulla se si afferma questo principio.

LA PIRA, Relatore, concorda pienamente con quanto ha detto l’onorevole Basso. Nella sua relazione aveva proposto: «Le pene corporali sono vietate». Ma si è scelta la formula proposta dal Relatore Basso proprio per informare di questo spirito umano tutta la materia carceraria.

MANCINI si dichiara d’accordo con l’onorevole Basso e con l’onorevole La Pira, ma vorrebbe che questi concetti venissero espressi con un’altra formula.

MORO osserva che è stato già votato un articolo nel quale si garantiva un trattamento umano alla persona arrestata o comunque detenuta. Qui è configurata un’altra ipotesi, quella dell’istituzione di pene crudeli; viene posto un vincolo al legislatore, non all’agente carcerario.

In questo senso gli sembra che «pene crudeli» possa andare come ipotesi, cioè per il legislatore. Il trattamento carcerario è previsto già nell’articolo 3.

MERLIN UMBERTO è del parere di sopprimere questa parte del comma.

PRESIDENTE ritiene che la parte del comma riguardante le sanzioni collettive possa essere soppressa, inquantoché questo concetto è implicitamente contenuto nella disposizione circa la responsabilità penale personale. Non sa, dopo quello che ha detto l’onorevole Moro, se anche per quanto riguarda le pene crudeli si possa fare riferimento a quella parte dell’articolo 3, ultimo capoverso, in cui si dice che durante lo stato di privazione della libertà personale è garantito un trattamento, umano.

Quando si è fissato in sede di Costituzione che il trattamento di chiunque è privato della libertà personale deve essere umano, si è già detto che la pena deve essere umana. Con questa spiegazione il concetto risulta chiaro e preciso e ribadisce la formula già approvata in precedenza.

BASSO, Relatore, dichiara di non essere d’accordo con il Presidente proprio per le ragioni esposte dall’onorevole Moro. Tutta, la struttura dell’articolo 3, dove si dice che è vietata ogni violenza fisica e morale è, in sostanza, una norma rivolta essenzialmente ai funzionari della forza pubblica, onde impedire un abuso da parte dei funzionari stessi, i quali possono compiere violenze o infliggere trattamenti inumani arbitrariamente.

Il concetto che si è inteso affermare in questo articolo 5 non è il divieto di un trattamento arbitrario inumano, ma quello che neanche il legislatore può istituire delle pene che abbiano carattere di crudeltà, come la segregazione cellulare che è durata come pena nel nostro Codice troppi anni. Sono due concezioni diverse quelle che si vogliono distintamente affermare nei due articoli.

MORO concorda con il Relatore Basso, e per venire incontro all’onorevole Mancini che desidera una maggiore chiarezza, propone di spostare le parole al principio del capoverso nel modo seguente:

«Non possono istituirsi pene crudeli e le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato».

Si stabilisce così che solo nei limiti della necessità la pena può essere afflittiva e si segnano i limiti della necessità dell’afflizione.

MASTROJANNI ritiene che si debba distinguere tra sanzioni penali e sanzioni disciplinari. All’inconveniente temuto dal Relatore Basso, relativo alla sanzione disciplinare, ossia al trattamento carcerario, si potrebbe ovviare aggiungendo dopo le parole: «le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato», le altre: «le sanzioni disciplinari devono essere contenute in limiti umani».

PRESIDENTE ricorda che vi sono due proposte: una per il mantenimento della formula da trasferire ed anteporre alla prima parte dell’ultimo capoverso dell’articolo 5; un’altra per la soppressione pura e semplice della formula stessa.

Mette ai voti la proposta soppressiva.

CEVOLOTTO dichiara che voterà favorevolmente la proposta soppressione perché ritiene che non vi sia alcun pericolo che possano essere istituite pene crudeli.

TOGLIATTI dichiara di approvare la soppressione proposta.

BASSO, Relatore, insiste perché sia mantenuta la dizione come era stata da lui proposta. Il concetto di rieducazione può comprendere quello di divieto di pene crudeli, ma può anche non comprenderlo.

PRESIDENTE osserva che nello spirito sono tutti d’accordo e discordano soltanto nella forma.

Mette ai voti la soppressione pura e semplice dell’ultima parte dell’ultimo capoverso dell’articolo 5 che dice: «Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».

(La soppressione è approvata con 9 voti favorevoli e 6 contrari).

Pone ai voti l’intero articolo 5 nel testo definitivamente approvato:

«Nessuno può essere sottoposto a processo, né punito, se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista.

«La responsabilità penale è personale.

«Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato. La pena di morte non è ammessa. Possono fare eccezione i Codici penali militari di guerra».

(È approvato.)

Dà quindi lettura dell’articolo 6 nel testo proposto dai Relatori:

«Il domicilio è inviolabile. Nessuno può introdurvisi se non per ordine dell’autorità giudiziaria, salvo il caso di flagranza di reato o altri casi eccezionali tassativamente regolati dalle leggi, per necessità di ordine pubblico.

«Le ispezioni e le perquisizioni domiciliari devono esser fatte in presenza dell’interessato o di persona di famiglia, o, in mancanza, di due vicini facenti fede e secondo le norme stabilite dalla legge».

TOGLIATTI osserva che, quando si dice: «o altri casi eccezionali, tassativamente regolati dalle leggi, per necessità di ordine pubblico», vi è una tale ampiezza nella quale tutto può rientrare.

Nella legge si potrà contraddire la Costituzione «per motivi di ordine pubblico», e in tal caso il domicilio non sarà più inviolabile.

Propone perciò che l’inciso venga soppresso.

BASSO, Relatore, osserva che l’esperienza pratica ammonisce che la soppressione non è possibile. La garanzia è nel fatto che non sono ammesse altre eccezioni se non quelle fissate dalla legge. Se si facesse salvo soltanto il caso di «flagranza di reato» si escluderebbero molte ipotesi che in pratica possono verificarsi.

MORO ritiene che la norma si ricolleghi a quanto è stato sancito nell’articolo 3 circa il fermo e l’arresto. Se si stabilisce che le autorità di pubblica sicurezza possano arrestare e tenere in carcere per 48 ore un individuo, si deve ammettere anche la facoltà di entrare nel domicilio per l’arresto, nell’ipotesi di fondato sospetto di reato.

TOGLIATTI domanda se si debba specificare il caso di flagranza o quello di fondato sospetto di reato.

MASTROJANNI dichiara di concordare con l’onorevole Togliatti. Una qualsiasi legge, in situazioni contingenti speciali, può infrangere il concetto della Costituzione e lasciare che l’arbitrio prevalga sulla legge, tanto più se si dice: «o altri casi eccezionali tassativamente regolati dalle leggi». Una legge eccezionale potrebbe consentire di violare il domicilio.

DE VITA concorda nella proposta dell’onorevole Togliatti di sopprimere inciso.

BASSO, Relatore, osserva che si può sopprimere tutto; però ci si potrà trovare di fronte a tanti casi, come quello del trasporto di un pazzo pericoloso a sé e agli altri, o quello di un malato contagioso. Non crede che si possano evitare questi casi.

MASTROJANNI osserva che ci saranno le leggi sanitarie che dovranno provvedere in materia.

PRESIDENTE fa presente che, se si vieta nella Costituzione la ipotesi dei casi eccezionali, le leggi sanitarie non potranno intervenire.

BASSO, Relatore, ripete che, quando si stabilisce che sono salvi soltanto i casi regolati dalle leggi, si è già provveduto a difendere il cittadino dall’arbitrio.

MARCHESI osserva che i casi a cui ha fatto riferimento l’onorevole Basso, di un malato contagioso o di un pazzo, non riguardano l’ordine pubblico, ma 1’incolumità pubblica.

PRESIDENTE fa presente che i casi a cui accennava il Relatore Basso sono evidentemente gravi e non rimarrebbero compresi in questo articolo se si limitasse a considerare il solo caso di fondato sospetto di reato. Escludere le ipotesi configurate nel testo proposto dai Relatori è una cosa pericolosa; includerle è una garanzia che faciliterà l’opera del legislatore di fronte a casi gravi senza costringerlo o a violare la Costituzione o a modificarla.

MANCINI ricorda che al Consiglio dei Ministri è stata votata una legge in cui si autorizza l’entrata nelle case dei cittadini alla milizia annonaria.

MASTROJANNI osserva che proprio per questo vanno esclusi tutti i casi che possano rientrare nelle cosiddette «necessità di ordine pubblico».

TOGLIATTI insiste nella proposta di soppressione, perché purtroppo nel diritto pubblico e nel costume pubblico e politico dell’Italia è invalso l’uso che la sola legge che conta è quella di pubblica sicurezza. Si può scrivere quello che si vuole nella Costituzione e nei Codici. Poi il Governo fa la legge di pubblica sicurezza, la quale è la sola che regola i rapporti tra il cittadino e l’autorità dello Stato.

PRESIDENTE comunica che vi è una proposta conciliativa dell’onorevole Moro, la quale dice:

«Nessuno può introdurvisi se non per flagranza o fondato sospetto di reato, ed in altri casi eccezionali tassativamente regolati dalle leggi per proteggere la pubblica incolumità».

GRASSI ricorda all’onorevole Togliatti che il principio dell’inviolabilità del domicilio, su cui sono tutti d’accordo, è presentemente violato non solo da parte dello Stato, ma da parte di tutti. In verità molte volte bisogna violarlo non soltanto in flagranza di reato, ma per altre esigenze e necessità, come quelle annonarie, in cui le perquisizioni possono esser fatte senza arrivare all’autorità giudiziaria.

Propone che si dica: «o altri casi eccezionali tassativamente regolati dalla legge».

PRESIDENTE comunica che è stato presentato un emendamento aggiuntivo che dice: «salvo il caso di flagranza o fondato sospetto di reato».

MANCINI osserva che in tal modo si favorisce l’arbitrio: ogni poliziotto potrà dire di avere un fondato sospetto di reato.

PRESIDENTE pone in discussione la seguente formulazione proposta dall’onorevole Togliatti e che si riferisce alla prima parte della proposizione: «Nessuno può introdurvisi se non per ordine dell’autorità giudiziaria, salvo il caso di flagranza di reato o per pubblica necessità in casi tassativamente preveduti dalla legge».

BASSO, Relatore, dichiara di poter accettare la formula proposta dall’onorevole Togliatti, perché quello che interessa in questa faccenda è che rimanga la garanzia contenuta nell’espressione: «tassativamente preveduti dalla legge».

Alla preoccupazione dell’onorevole Togliatti che il Governo possa emanare una legge di pubblica sicurezza che contrasti con il divieto della violazione di domicilio, risponde che la legge emanata dal Governo deve essere poi approvata dal Parlamento, cioè dai rappresentanti eletti dal popolo, e naturalmente non potrà avere forme generiche ma dovrà stabilire ogni caso specifico.

CEVOLOTTO dichiara di accettare la formula Togliatti, ma insiste anche per l’approvazione della proposta dell’onorevole Moro che aggiunge alla formula stessa il caso di «fondato sospetto di reato». Se non si inserisce questa formula, non vi sarà più il diritto di andare a vedere, per esempio, se in una determinata casa siano nascoste armi, anche se vi fosse un fondato sospetto.

MORO insiste sulla formula da lui proposta, che gli sembra più completa perché prevede la flagranza, il sospetto di reato e anche il caso in cui sia in pericolo la pubblica incolumità. La formula «pubblica incolumità» è più restrittiva e più umana, mentre la formula «pubblica necessità» è più larga e si presta all’arbitrio. Preferirebbe magari che si dicesse «per motivi di ordine pubblico».

PRESIDENTE consente con l’onorevole Moro nel ritenere che la formula: «pubblica necessità» sia più larga nei confronti di quella più restrittiva proposta dai Relatori.

TOGLIATTI osserva che la formula «ordine pubblico» potrebbe prestarsi a coprire qualsiasi arbitrio.

DE VITA ritiene che la legge ordinaria non sia garanzia sufficiente, quando al legislatore ordinario sono concessi limiti troppo ampi. Il rinvio alla legge speciale in questa materia gli sembra pericoloso, se si pongono dei limiti troppo vasti.

MORO fa presenti le tre ipotesi che possono interessare: flagranza, fondato sospetto di reato e pubblica incolumità. In questa ultima ipotesi possono rientrare i casi di pazzia, di malati contagiosi, ecc. Queste tre ipotesi vengono racchiuse nella formula da lui proposta; e pertanto questa formula, mentre è la più larga come comprensione, è nello stesso tempo quella che impone limiti maggiori.

PRESIDENTE fa rilevare all’onorevole Togliatti che la proposta dell’onorevole Moro gli viene incontro, nel senso che è più limitativa della formula che l’onorevole Togliatti voleva sostituire all’altra dell’ordine pubblico, perché troppo estensiva. La proposta di sostituire la parola «necessità» con la parola «incolumità» è più restrittiva dell’ipotesi di necessità pubblica e di ordine pubblico.

LOMBARDI GIOVANNI si dichiara favorevole alla formula proposta dal Relatore, perché teme le specificazioni. Ordine pubblico, o incolumità pubblica, o necessità pubblica, sono tre formule che possono benissimo costituire la base di ogni arbitrio. Crede che la formula generica: «in caso di flagranza o in casi previsti tassativamente dalla legge» esprima un concetto generale al quale si può accedere.

CEVOLOTTO dichiara di aderire alla proposta dell’onorevole Moro, purché si mantenga il riferimento al fondato sospetto di reato.

MANCINI dichiara di non poter aderire alla formula dell’onorevole Moro perché la sua aggiunta: «fondato sospetto di reato», è molto più estensiva di quella degli onorevoli Togliatti e Basso. Nel «fondato sospetto di reato» la pubblica sicurezza, con il suo ben noto sistema, può far entrare tutti i casi che invece si vogliono escludere e specialmente le azioni o i fatti a contenuto politico.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Mancini che è stato ammesso, in un articolo già precedentemente approvato, che si possa operare l’arresto o il fermo di polizia per fondato sospetto di reato. E questa gli sembra una cosa molto più grave di una perquisizione domiciliare, perché si tratta di portare in carcere un cittadino.

MANCINI replica che l’arresto limitato alle 48 ore non può avere una grave conseguenza. Mentre, invece, quando il domicilio di un cittadino può essere campo libero di perquisizioni per un fondato sospetto di reato, si possono mascherare nella formula tutte le ipotesi politiche che si vogliono tassativamente escludere.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte del comma: «Il domicilio è inviolabile. Nessuno può introdurvisi se non per ordine dell’autorità giudiziaria».

(È approvata all’unanimità).

Mette ai voti la seconda parte: «salvo il caso di flagranza di reato».

(È approvata all’unanimità).

Ricorda che vi è una proposta dell’onorevole Moro di aggiungere le parole: «o per fondato sospetto di reato». La mette ai voti.

(Non è approvata con voti favorevoli 4 e 11 contrari).

Mette ai voti l’altra parte della proposizione proposta dai Relatori, che dice: «o altri casi eccezionali tassativamente regolati dalle leggi, per necessità di ordine pubblico».

Ricorda che c’è una proposta Moro che mira a sostituire alle parole: «per necessità di ordine pubblico» le altre: «per pubblica incolumità», ed una dell’onorevole Togliatti che vorrebbe sostituire le stesse parole con le altre: «per pubblica necessità». Domanda all’onorevole Togliatti se accetta la formula proposta dall’onorevole Moro: «per pubblica incolumità», anziché «per pubblica necessità».

TOGLIATTI accetta.

CEVOLOTTO domanda all’onorevole Moro se mantiene la sua proposta, dal momento che non è stata approvata l’aggiunta da lui proposta: «o per fondato sospetto di reato».

MORO dichiara di recedere dalla sua proposta.

MANCINI dichiara di fare sua la proposta ritirata dall’onorevole Moro.

CEVOLOTTO dichiara di far sua la proposta presentata dal Relatore Basso, e in seguito da lui ritirata, tendente a sopprimere le parole: «per necessità di ordine pubblico».

BASSO, Relatore, fa presente d’aver dichiarato che, siccome per lui la garanzia di libertà si ritrova nella dizione «tassativamente regolati dalle leggi», gli è indifferente che le parole «per necessità d’ordine pubblico» siano aggiunte o siano soppresse.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta soppressiva dell’onorevole Cevolotto.

(La proposta è approvata con 8 voti favorevoli e 7 contrari).

Fa presente che il testo del primo comma dell’articolo rimane così formulato:

«Il domicilio è inviolabile. Nessuno può introdurvisi se non per ordine dell’autorità giudiziaria, salvo il caso di flagranza di reato o altri casi eccezionali, tassativamente regolati dalle leggi».

TOGLIATTI dichiara di riservarsi di ritornare sull’argomento in sede di discussione davanti alla Commissione centrale.

PRESIDENTE pone in discussione il secondo capoverso dell’articolo 6, il quale non fa che mitigare e regolare l’esercizio di questa facoltà di perquisizione, in quanto la circonda di tali cautele che possono per sé risolvere le preoccupazioni di coloro che mostrano una certa apprensione nell’approvare l’ultima parte del primo capoverso. La dizione proposta dai due Relatori è la seguente:

«Le ispezioni e le perquisizioni domiciliari debbono esser fatte in presenza dell’interessato o di persona di famiglia, o, in mancanza, di due vicini facenti fede e secondo le norme stabilite dalle leggi».

MARCHESI osserva che la legge, cui è tanto devoto l’onorevole Basso, può allargare di molto le maglie, in maniera che la porta del domicilio debba aprirsi anche all’arbitrio.

PRESIDENTE replica che le disposizioni in discussione sono fatte proprio per evitare l’arbitrio.

GRASSI ritiene che le disposizioni di questo ultimo capoverso siano più propriamente materia di regolamento.

TOGLIATTI osserva che la dizione finale del capoverso è troppo generica, e propone: «e nelle forme stabilite dalla legge a garanzia del cittadino».

CEVOLOTTO fa osservare che questa formula del capoverso è in molte altre Costituzioni. Questo significa che si vede la necessità di scendere, in casi del genere, anche ad un dettaglio, data la delicatezza dell’argomento. Crede, perciò, che non vi siano ragioni per non specificare anche nella nostra Costituzione.

PRESIDENTE ritiene che queste disposizioni dovrebbero contribuire a rassicurare chi è specialmente preoccupato di garantire il cittadino.

TOGLIATTI dichiara che voterà a favore del capoverso come formulato dai Relatori.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che non voterà favorevolmente a questa parte, non perché non la approvi, ma perché gli sembra materia estranea ad una norma statutaria.

PRESIDENTE mette ai voti il secondo capoverso dell’articolo 6.

(È approvato all’unanimità meno un voto).

Pone ai voti l’intero articolo 6 nel testo definitivo:

«Il domicilio è inviolabile. Nessuno può introdurvisi se non per ordine dell’autorità giudiziaria, salvo il caso di flagranza di reato o altri casi eccezionali tassativamente regolati dalle leggi.

«Le ispezioni e le perquisizioni domiciliari debbono essere fatte in presenza dell’interessato o di persona di famiglia o, in mancanza, di due vicini facenti fede secondo le norme stabilite dalle leggi».

(È approvato).

La seduta termina alle 13.35.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, De Vita, Iotti Leonilde, Grassi, La Pira, Lombardi Giovanni, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: Corsanego, Dossetti, Lucifero.

MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

8.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Mastrojanni – Moro – Caristia – Mancini – Cevolotto – La Pira, Relatore – Lombardi Giovanni – De Vita – Basso, Relatore – Dossetti – Togliatti – Corsanego.

La seduta comincia alle 12.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 5 così come è stato proposto dai Relatori La Pira e Basso:

«Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso.

«Non possono essere irrogate che le pene tassativamente fissate dalla legge. La responsabilità è personale.

Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del reo. La pena di morte non è ammessa se non nei codici penali militari di guerra. Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».

Pone in discussione il primo capoverso dell’articolo, osservando che esso ha la sua origine nelle proposte del Relatore La Pira che formano buona parte dell’articolo 11 e in quelle del Relatore Basso, per buona parte contenute nell’articolo 2. Evidentemente questo articolo 5, non è che il combinato sforzo dei due Relatori per sintetizzare in un articolo unico quello che era contenuto, quasi con una coincidenza sintomatica, nelle due relazioni.

MASTROJANNI chiede se non si potrebbe dire semplicemente: «La legge non ha effetto retroattivo».

PRESIDENTE, premesso che ritiene opportuno ritornare a quel carattere d’espressione che si è prevalentemente usato nei precedenti articoli, nei quali si è cercato di cominciare il meno possibile con la parola «nessuno», adoperata soltanto come conseguenza di affermazioni di carattere generale, è dell’opinione che si potrebbe dire: «La norma penale non è retroattiva», oppure: «La retroattività della norma penale è vietata».

MORO osserva che nella formula proposta dai Relatori sono consacrati due principî che si distinguono, il principio della irretroattività della legge penale e quello della tassatività della legge penale. Dire che la legge penale è irretroattiva non è dire con esattezza che nessuno può essere punito se non per una legge penale che indichi quella determinata pena. Crede pertanto che si debba mantenere la formula così come è stata proposta.

CARISTIA fa presente che il principio della non retroattività è già compreso nel Codice penale. Comunque ritiene più concreta la formula proposta dai Relatori.

MANCINI aderisce al concetto espresso dall’onorevole Moro, però pensa che si dovrebbero togliere le parole: «né punito», poiché s’intende che ogni processo si conclude o con la assoluzione o con la punizione.

Chiede poi un chiarimento. Nell’articolo proposto si legge: «se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso». Talché se c’è una legge posteriore al fatto commesso, la quale prevede il fatto come reato, questo non potrà essere punito? A rimanere alle parole dell’articolo si verrebbe a stabilire che una legge emanata posteriormente al fatto commesso, la quale contempla il fatto stesso come reato, non può essere applicata e il cittadino che si sia reso colpevole di un reato non può essere processato o punito. Si verrebbe in tal modo a creare una condizione di privilegio a benefìcio di chi ha commesso il fatto anteriormente alla emanazione della legge, mentre nei confronti di chi abbia commesso lo stesso fatto posteriormente all’entrata in vigore della legge vi è l’impunità.

MORO ritiene che la Commissione debba garantire la libertà individuale contro la possibilità che gli organi giudiziari irroghino pene per fatti non previsti dalla legge quando furono commessi. Con la formula proposta si vieta al giudice di incriminare qualsiasi fatto non previsto dalla legge come reato. Non si può punire un cittadino per aver commesso un fatto che solo posteriormente al fatto stesso venga dalla legge riconosciuto come reato; altrimenti la legge avrebbe effetto retroattivo.

MANCINI vorrebbe che l’articolo avesse una specificazione maggiore.

CEVOLOTTO ritiene che la preoccupazione dell’onorevole Caristia, che in questa sede si ponga una norma superflua perché già contenuta nel codice, non abbia ragione d’essere. Sebbene il Codice penale parli di irretroattività della legge penale, si sa benissimo che può venirne un’altra retroattiva, come purtroppo è avvenuto anche in questo ultimo periodo, pure ammettendo che necessità rivoluzionarie abbiano potuto giustificare questo fatto. Comunque, il fatto è stato possibile perché la Costituzione non era più una realtà. Bisogna mettere perciò questo divieto nella Costituzione, perché non sia più possibile emanare norme che abbiano valore retroattivo.

LA PIRA, Relatore, rispondendo all’onorevole Mancini, fa osservare che il principio della non retroattività delle leggi è fondamentale e bisogna fissarlo nella Costituzione. Se c’è un problema politico che ha interessato il mondo in questi ultimi tempi è proprio questo. Anche le parole «né punito» vanno conservate perché affermano che la persona non può essere punita se non nel modo che la legge penale ha stabilito nel tempo del commesso reato.

Fa presente inoltre che questa formula si ritrova in tutte le Costituzioni a cominciare dalla lontana dichiarazione del 1789.

Il progetto di Costituzione francese dice: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in forza di una legge promulgata e pubblicata anteriormente al fatto commesso». La dichiarazione del 1789 dice: «Nessuno può essere punito che in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata». Anche la Costituzione di Weimar dice all’articolo 116: «Un fatto può essere punito unicamente se la legge lo abbia dichiarato punibile prima che sia stato commesso».

Per ragioni di ordine politico e giuridico sostiene la dizione proposta da lui e dall’onorevole Basso.

LOMBARDI GIOVANNI rileva che lo schema in discussione è uno statuto nel quale bisogna affermare i principî. Che cosa sono il processo e la punizione? Sono due aspetti di un solo fenomeno giudiziario. Quindi affermare l’una e l’altra cosa non solo è una superfluità, ma in uno statuto è una cosa che va oltre il criterio fondamentale che lo statuto deve fissare.

Per conseguenza, senza tener conto di quello che dissero un secolo fa i francesi i quali non hanno, come avevano i romani, il pregio o il privilegio delle sintesi, direbbe semplicemente così: «La legge penale non può essere retroattiva».

CEVOLOTTO ritiene che la formula: «Nessuno può essere sottoposto a processo se non in virtù di una legge», sia incompleta perché potrebbe darsi che leggi posteriori vengano ad aggravare la pena per un fatto già commesso e questo non dovrebbe essere ammesso. È necessario completare la formula in modo che sia ben chiaro il principio della irretroattività della legge: che nessuno può essere punito se non in base ad una legge anteriore e con le pene che questa stabilisce, e che non vi può essere nemmeno un posteriore aggravamento della pena ai danni dell’imputato. Per queste ragioni ritiene che la formula dei Relatori debba essere accettata completamente.

MORO insiste perché siano adottate le due formule, sia del processo, sia della sanzione punitiva. Non concorda con l’onorevole Lombardi che si tratti di due fenomeni che si compongono in uno solo. Altro è il momento di diritto sostantivo, altro quello di diritto processuale. Bisogna distinguere i due aspetti, sia per ragioni dogmatiche che per ragioni di fatto.

MASTROJANNI dichiara che le preoccupazioni degli onorevoli Cevolotto e Moro sono, a suo avviso, infondate. Per quanto riguarda l’esigenza che una legge posteriore non possa aggravare le pene, dispone già il Codice penale, come tutti i codici. Quando un fatto è previsto da due leggi successive, delle quali la prima è più favorevole, è canone fondamentale che debba essere applicata la legge più favorevole per l’imputato. È, quindi, inutile precisare questo principio, acquisito dalla scienza penale.

Per quanto riguarda l’osservazione dell’onorevole Moro che distingue il processo dalla pena, la sua preoccupazione gli sembra superflua. Se si inizia un processo penale, ciò avviene perché si ha in ipotesi la convinzione che sia stato consumato un reato. Questa indagine preventiva non potrà mai essere eliminata.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di spiegarsi da un punto di vista dogmatico quanto ha detto l’onorevole Moro; ma, appunto perché è una questione dogmatica, essa rientra nella specificazione che deve fare la legge speciale, il diritto penale. Non si può quindi pensare ad una norma statutaria; se dovesse essere tale, non sarebbe nemmeno completa. La legge statutaria deve affermare soltanto il principio; sarà cura dei compilatori della legge penale di ricavarne le conseguenze. Perciò insiste nella necessità di una formula che sia sintetica e generale.

CEVOLOTTO osserva che se si lascia alla legge speciale la fissazione di questo principio, si va incontro al pericolo che una legge speciale successiva faccia proprio quello che si vuole evitare. È necessario che il divieto sia espresso nella Costituzione. Rispondendo all’onorevole Mastrojanni, il quale ha detto che il principio della scelta fra due leggi successive in senso favorevole all’imputato è già nel Codice, fa osservare che una legge speciale può infirmare questo principio. La Corte di cassazione, in tema di reati di accaparramento, ha sostenuto che una legge posteriore aveva autorizzato l’applicazione della pena più grave anche ai reati anteriori alla legge stessa. Per queste ragioni ritiene che le norme proposte debbano essere precisate nella Costituzione senza lasciare dubbi.

MORO dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Cevolotto. Ribadisce inoltre il principio della necessità di consacrare costituzionalmente l’affermazione della tassatività e irretroattività delle leggi. Siamo nel campo di una difesa della libertà umana, uno dei campi tra i più delicati della difesa della libertà umana che il Codice in atto ci garantisce. Il fatto, però, che questo principio sia oggi nel Codice non può impedire a chi fa una Costituzione, che deve garantire da tutti i punti di vista la libertà individuale, di porre nella Costituzione stessa questi principî.

Per quanto riguarda l’espressione: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito» è del parere che, se si volesse eliminare l’uno o l’altro di questi due termini, non andrebbe eliminato «punito» ma «sottoposto a processo», perché l’espressione della punizione in effetto richiama anche il fenomeno processuale. Ma preferisce che siano conservati tutti e due i termini.

L’ipotesi espressa dall’onorevole Mastrojanni, che cioè ad ogni inizio di processo vi è una fase di indagine preliminare, non infirma il principio. È chiaro che la Costituzione non proibisce di sottoporre a processo quando vi sia sospetto di reato.

DE VITA ritiene che le considerazioni svolte dall’onorevole Cevolotto e dall’onorevole Moro rientrino nel principio della non retroattività della legge penale. Se ciò è esatto, è da preferirsi la formula lapidaria suggerita dall’onorevole Lombardi: «La legge penale non può essere retroattiva».

PRESIDENTE non è d’accordo con coloro che ritengono superflua una tale dichiarazione sol perché questa è già contenuta nel Codice penale in vigore. La Costituzione che noi andiamo a fare riguarda il futuro e deve dare una direttiva chiara e netta al legislatore di domani. Che il Codice penale attuale affermi già questo principio non è motivo sufficiente perché lo si debba omettere in sede costituzionale poiché è la legge penale che deve prendere norma dalla Costituzione e non già questa da quella.

BASSO, Relatore, fa presente che i due aspetti della retroattività e della tassatività sono distinti. Si possono configurare ipotesi di leggi che siano tassative e che siano anche retroattive. Da una parte si garantisce che nessuno possa essere punito perché esiste una legge; d’altra parte si chiarisce che non soltanto questa legge deve sussistere, ma deve anche essere entrata in vigore precedentemente al fatto. Non si può nella retroattività comprendere anche la tassatività della legge.

 

DE VITA ritiene ovvio che nessuno possa essere punito se non in forza di una legge.

DOSSETTI non ritiene che sia così ovvio. È chiaro che non si può pensare alla ipotesi di una punizione per un fatto che non è assolutamente previsto da nessuna legge; ma si deve pensare anche a quelle ipotesi più complesse con cui si dànno applicazioni estensive di leggi esistenti. Quando si afferma il principio di questa esclusività e tassatività della legge penale, si vuole prevedere e ovviare a questo pericolo. Quindi la necessità di adottare i due principî. Pensa anzi che lo stesso articolo 5 non sia sufficientemente esplicito, tanto che propone di accettarlo ma integrandolo con un’aggiunta di questo genere: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con una pena da essa prevista».

MORO rileva che il concetto della pena prevista è contenuto nel secondo capoverso.

DOSSETTI fa osservare che le esigenze sono due e vanno sempre soddisfatte simultaneamente.

DE VITA non vede come nel campo penale vi possa essere un’interpretazione analogica e quasi estensiva. Nel campo civile questa interpretazione analogica c’è, ma nel campo penale no.

PRESIDENTE osserva che questo argomento ha un valore relativo. La Commissione deve fissare quei concetti ai quali poi si ispireranno le leggi speciali.

DOSSETTI richiama l’attenzione della Sottocommissione sul fatto che negli ultimi anni vi sono state delle perturbazioni in questo campo. Vi era, ad esempio, l’interpretazione che veniva data dalla scuola del diritto libero, la quale portava alle più assurde applicazioni.

PRESIDENTE osserva che l’involuzione del diritto in questi ultimi tempi deve rendere accorti ed esigenti, nel senso che si debba affermare il concetto fondamentale: nulla poena sine lege. L’involuzione del diritto, avvenuta durante questi anni, aveva trasformato questo aforisma nell’altro: nullum crimen sine poena.

DE VITA ritiene che il principio della irretroattività garantisca contro tutte queste possibili deformazioni.

Per quanto riguarda il principio della interpretazione, pensa che a questo pericolo non si sia ovviato.

LA PIRA, Relatore, ricorda che in questi ultimi anni sono stati pubblicati una quantità di volumi in Germania, tanto di diritto civile quanto anche di diritto romano, con i quali si è pensato di giustificare, anche attraverso il diritto romano, il principio della estensione analogica in diritto penale. A questo i giuristi italiani hanno reagito. Quindi è verissimo che, secondo i principî veri del diritto penale, non si ammette l’estensione analogica; però è vero altresì che in questi ultimi anni c’è stata una letteratura intera che ha cercato di capovolgere il principio medesimo.

Per queste ragioni ritiene che, per la difesa della libertà, sia da introdurre quel principio che è stato affermato dall’onorevole Moro.

DE VITA dichiara che a questi pericoli non si può completamente ovviare attraverso gli articoli di una Costituzione, ma se mai attraverso tutto il nuovo congegno costituzionale, attraverso la Corte costituzionale che dovrebbe garantire l’ordinamento costituzionale.

PRESIDENTE avverte che da molti Commissari è stata chiesta la chiusura della discussione sul primo capoverso dell’articolo. La pone ai voti.

(È approvata).

Fa presente che vi sono due proposte. Vi è la proposta contenuta nella formulazione dei Relatori, e quella fatta da altri che hanno interloquito, secondo i quali la proposta dei Relatori dovrebbe essere sostituita con un’altra formula che sarebbe la seguente: «La retroattività della norma penale è vietata».

Questa formula naturalmente è suscettibile di essere modificata per quanto riguarda la forma.

BASSO, Relatore, fa rilevare che nel suo progetto adottava una formula diversa, ma in sede di discussione con l’onorevole La Pira, si è persuaso che la formula migliore è quella che è stata presentata congiuntamente.

Pertanto insiste per il mantenimento di questa formula.

PRESIDENTE, poiché alcuni componenti la Commissione hanno presentato una formula diversa, la mette ai voti. Essa potrebbe essere concepita in questi termini: «È vietata la retroattività della legge penale».

MORO richiama l’attenzione della Commissione sull’inesattezza della formula proposta. Essa non prevede le due ipotesi della tassatività e della retroattività. Rilegge i due punti: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito, se non in virtù di una legge» primo punto o tempo che è quello della tassatività; secondo tempo: «entrata in vigore anteriormente al fatto commesso»: questo riguarda la irretroattività. Si tratta dunque di due tempi distinti. Tutta la dottrina li distingue. Pertanto invita i colleghi a ritirare la nuova formula proposta.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che non può concordare con quanto afferma il collega Moro, perché i due termini che egli distingue fanno capo ad una dottrina tecnico-giuridica che non ha mai accettato.

PRESIDENTE mette ai voti la formula De Vita-Mastrojanni che dovrebbe sostituire la formula proposta dai Relatori e che suona così: «La retroattività della legge penale è vietata».

(Non è approvata).

LOMBARDI GIOVANNI chiede che nei verbali risulti il numero dei voti favorevoli ottenuti dalle proposte che man mano si pongono in votazione.

PRESIDENTE chiede alla Sottocommissione se la richiesta dell’onorevole Lombardi è approvata.

(La Commissione approva).

Dichiara che la proposta De Vita-Mastrojanni ha avuto tre voti favorevoli.

Pone ai voti la prima parte del primo comma dell’articolo 5 nella formula proposta dai Relatori: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito, se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso».

(È approvata con 12 voti favorevoli e 3 contrari).

Pone in discussione il secondo capoverso: «Non possono essere irrogate che le pene tassativamente fissate dalla legge. La responsabilità è personale».

Fa presente che la discussione di questo capoverso può avvenire per tempi distinti. In un primo tempo sarà considerata la prima parte di questo capoverso: «Non possono essere irrogate che le pene tassativamente fissate dalla legge».

TOGLIATTI trova che è superfluo dire: «fissate dalla legge» quando già nel primo capoverso si è detto: «se non in virtù di una legge». Domanda come si faccia ad irrogare una pena che non è prevista da una legge.

MORO osserva che nelle espressioni tradizionali della scienza giuridica si distinguono due principî. Quando si parla di una legge come legge incriminata, si ha presente la prima parte della legge penale, quella norma cioè che deve indicare ciò che non si deve fare. Quando si parla di pena, invece, si accenna alla seconda parte della legge penale. È possibile considerare l’ipotesi che taluno sia punito, per un fatto previsto dalla legge come reato, con una pena non fissata dalla legge. Ora la legge fissa tassativamente la pena da irrogare. Vi deve essere insomma la legalità del fatto commesso e la legalità della pena.

CARISTIA, pur avendo tutto il rispetto per la scienza giuridica, ritiene che il concetto sia già implicito nel capoverso precedente in cui si dice che nessuno può essere punito se non in virtù di una legge. Se mai si potrebbero unire i due concetti.

PRESIDENTE fa presente che l’onorevole Dossetti aveva accennato ad una proposta di congiunzione della prima parte dell’articolo 5 con il capoverso successivo, Si potrebbe forse dire così: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito, se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista». Domanda all’onorevole Togliatti se è soddisfatto di questa formula.

TOGLIATTI dichiara di accettarla.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di congiungere il concetto espresso dal primo comma, prima parte, dell’articolo 5 con la prima parte del primo capoverso dello stesso articolo 5, in modo che risulti la seguente formula: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista».

(La proposta è approvata all’unanimità meno un voto).

Pone in discussione la seconda parte del primo capoverso dell’articolo 5, che resterebbe sola a comporre il capoverso essendo stata la prima parte incorporata nel comma precedente: «La responsabilità è personale».

CEVOLOTTO ritiene che il concetto espresso in questa formula si potrebbe tralasciare, perché non vede la ragione per cui si debba esprimerlo nella Costituzione. Si tratta di un principio che interpreta esattamente la famosa questione della responsabilità penale per fatto altrui, che però in materia contravvenzionale ed in certe particolari circostanze comincia a farsi strada. Vi sono dei casi in cui è discutibile se si tratti di responsabilità personale, o se non si tratti di responsabilità penale anche per fatto altrui. Si andrebbe poi incontro alle altre questioni dell’incriminabilità della persona giuridica. È d’accordo che questa incriminabilità non è accettabile in questo momento; però essa è oggetto di discussione e se ne parla sempre e si risolve molte volte in una responsabilità personale. Pertanto ritiene superfluo affermare un principio che è soggetto a discussione, dato che vi sono anche dei casi di responsabilità penale personale.

LOMBARDI GIOVANNI si dichiara d’accordo con l’onorevole Cevolotto, per non creare una quantità d’equivoci anche avuto riguardo agli articoli 1151, 1152 e 1153 del vecchio Codice civile, articoli che non trovano la loro corrispondenza nel codice fascista. Per non creare dunque equivoci, e data la molteplicità delle posizioni giuridiche a cui si può andare incontro, ritiene sia da togliere questa affermazione della responsabilità personale.

MORO si dichiara favorevole al mantenimento della formula, con un’aggiunta chiarificatrice. Si dovrebbe dire cioè: «La responsabilità penale è personale» onde togliere qualsiasi equivoco per quanto riguarda la materia civile.

Ritiene che questo principio debba essere mantenuto, perché esso è un’affermazione di libertà e di civiltà. Si risponde per fatto proprio e si risponde attraverso ogni partecipazione personale al fatto proprio. Questo è il principio del diritto moderno, che trova la sua espressione nel principio della consapevolezza che deve accompagnare quello che si chiama il fatto materiale. Parlare di responsabilità personale significa richiamarsi ad un principio che domina nell’odierno pensiero della scienza giuridica.

MASTROJANNI chiede un chiarimento all’onorevole Moro nei riguardi dei fatti penali commessi per ordine altrui. La responsabilità penale personale dovrebbe riflettersi sulla persona che teoricamente è responsabile. Ma se questa ha agito per fatto altrui, per esempio per l’esecuzione di un ordine, la responsabilità non è più dell’esecutore dell’ordine, il quale ha consumato il reato, ma la responsabilità è di chi ha dato l’ordine (articolo 51 del Codice penale). Però non è responsabile chi ha eseguito un ordine legittimo dell’autorità. Qui si verifica un conflitto, nel senso che l’individuo dovrebbe censurare l’ordine e stabilire se vi è legittimità nell’ordine impartito.

Si è discusso e si discute se si debba considerare l’ordine legittimo o l’ordine dell’autorità legittima, talché nei Codici penali militari a differenza dei Codici penali comuni si faceva una distinzione. Nel Codice penale militare si parlava di ordine dell’autorità legittima, ma non si parlava di legittimità dell’ordine, e ciò in coerenza ai criteri disciplinari e di obbedienza. Il subordinato, constatando che l’ordine promana da un’autorità legittima, non dovrebbe censurare la legittimità dell’ordine. Il Codice del 1932 ha chiarito questo concetto nel senso che più non si parla di ordine dell’autorità legittima, ma si parla di ordine legittimo dell’autorità, per significare che l’agente ha il dovere di sindacare la legittimità dell’ordine trascurando la legittimità dell’autorità.

Prega la Commissione di volere più ponderatamente considerare la questione, per stabilire se sia il caso di fare una affermazione di principio; in subordine chiede al Relatore di dare qualche chiarimento in proposito.

MORO non vede la difficoltà in materia. Colui che ha commesso un atto delittuoso risponde di persona propria se si trovava nella condizione di poter disobbedire, altrimenti risponderà colui che ha dato l’ordine e risponderà in persona propria per aver prodotto il fatto delittuoso stesso.

MASTROJANNI dichiara che dal punto di vista teorico potrebbe consentire; ma in materia di imputabilità e di responsabilità penale le considerazioni di ordine oggettivo non possono avere peso perché, quando non vi è nesso di causalità efficiente tra l’agente attivo ed i fatti verificatisi, qualsiasi circostanza esteriore non può esimere da responsabilità e, anche se esime dalla responsabilità, non può esimere dalla imputabilità. E allora come si giustifica questo dissenso di indole teorica nel ritenere non responsabile l’individuo che è causa volontaria ed efficiente della consumazione del reato? Si ricorre ad una actio juri per la quale si esime dalla responsabilità penale l’individuo il quale ha consumato il reato e lo ha consumato volontariamente; però egli dovrebbe personalmente rispondere del reato.

MORO non vede la connessione tra questo principio della Costituzione e l’ipotesi dell’ordine dell’autorità di cui parla l’onorevole Mastrojanni. In questo caso si ha una discriminante del reato che può avere due giustificazioni: una di carattere obiettivo, quando l’autorità è legittima; una di carattere soggettivo, quando l’ordine è legittimo. In queste ipotesi sussiste il caso di necessità per cui il soggetto non risponde penalmente, perché da lui non si poteva pretendere che agisse differentemente.

Si tratta perciò di discriminanti del reato.

CEVOLOTTO si dichiara d’accordo con l’onorevole Moro nel dire che la responsabilità dovrebbe essere condotta anche penalmente ad un concetto di responsabilità personale. Ricorda però che, di fronte alle ipotesi di contravvenzioni, ai casi dell’impossibilità o difficoltà estrema di impedire il fatto altrui, ecc., vi è una tendenza abbastanza notevole a considerare come responsabilità obiettiva quella per fatto altrui.

In altri termini si tratta di una questione giuridica. Per suo conto la risolverebbe nel senso indicato dall’onorevole Moro, ma si domanda se sia proprio questa la sede per risolverla.

Non trattandosi di un principio così essenziale da dover essere affermato dalla Costituzione, crede sarebbe meglio ometterlo.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che la formulazione è superflua in quanto la responsabilità personale non è un principio moderno o modernissimo: è un principio del diritto canonico del 1500 o 1600, quando appunto il diritto canonico, riportando il diritto ad un peccato dell’anima, lo rese per sé stesso di natura personale. C’è bisogno di ritornare su questo principio, che poi porterebbe nelle altre leggi una grande confusione? Osserva che ci può essere una colpa per cui si debba risalire alla causa causarum, e ci sono tali anelli intermedi i quali possono essere dichiarati complici, correi o autori della negligenza, imprevidenza, ecc. Ora, si domanda come sia possibile, di fronte a tutta questa legislazione che appunto adesso comincia a sfociare, a misura che l’interesse pubblico prende un sopravvento sull’interesse dell’individuo, fare un’affermazione del genere. Essa non potrebbe che essere in contrasto con questo movimento che appunto estende l’indagine della colpa, non solo alle persone direttamente colpevoli, ma a tutti coloro che sono nell’orbita delle cause che hanno prodotto l’evento dannoso.

PRESIDENTE prima di procedere nella discussione fa presente una sua opinione.

La Commissione non deve dimenticare il momento politico in cui viene questa affermazione: non deve dimenticare episodi tristissimi. Tutti ricordano che in occasione di attentati alla vita di Mussolini sì arrivava a perseguitare i famigliari dell’attentatore o i componenti dei circoli politici a cui era affiliata la persona che consumava l’attentato.

Tenendo conto anche del momento politico speciale, nel quale si vogliono affermare certi principî, è opportuno trarre tesoro dalla esperienza del passato.

Se si afferma qui la responsabilità penale personale, ci si potrebbe anche dispensare dal prendere in considerazione e votare l’altra parte dell’ultimo capoverso dell’articolo 5, dove si dispone che non possono irrogarsi sanzioni collettive. Perciò ritiene che questa affermazione della responsabilità penale personale debba farsi sia per sé stessa, sia in considerazione dell’armonia dell’articolo, perché affermandola qui si potrà poi eliminare l’ultima parte del capoverso dello articolo stesso.

Ritiene perciò che il capoverso debba essere approvato con questa dizione: «La responsabilità penale è personale».

Avverte che l’onorevole Lombardi propone che sia chiusa la discussione generale, riservando la parola a coloro che l’hanno già chiesta.

(La Commissione approva la chiusura della discussione).

CORSANEGO osserva che i Relatori, evidentemente, hanno proposto la formula che la responsabilità deve essere personale non perché ignorassero che il principio è ormai affermato da tanti secoli, ma perché purtroppo durante l’ultimo ventennio si è assistito ad una involuzione del diritto e si deve tornare alla sana tradizione. Proprio in questi ultimissimi tempi si sono viste delle persone pagare con la vita colpe che con avevano assolutamente commesso. Si deve impedire che domani un legislatore possa arrivare agli eccessi che si sono verificati in Germania ed anche in Italia.

Ancora altre ipotesi si possono considerare. Sotto il fascismo e sotto il nazismo sono state applicate punizioni collettive ad interi gruppi: da villaggi dove erano stati commessi taluni delitti furono sloggiati tutti gli abitanti e trasferiti altrove.

Perciò insiste sull’approvazione della proposta dei Relatori.

MASTROJANNI domanda se non sia il caso di precisare che in tema di responsabilità si distingue tra correità, concorso principale e secondario, e di tornare all’antica tradizione del diritto penale per distinguere forme varie di partecipazione al reato.

Desidera pertanto che sia fatto risultare dal verbale la necessità che il nuovo legislatore, in tema di diritto penale, tenga conto che l’attuale concetto di concorso nel reato venga riportato all’antica tradizione del nostro Codice penale, nel senso che la formula di partecipazione al reato deve essere distinta nella sua effettiva partecipazione, complicità, correità necessaria o no, e che in tema di tentativo si ritorni all’antica nostra tradizione per distinguere il reato tentato dal reato mancato.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di consentire, affinché si abolisca il tecnicismo giuridico.

MANCINI ricorda che, nella discussione dell’articolo del nostro Codice penale che contempla il dolo, in seno alla Commissione per la riforma dei Codici, si svolsero gli stessi concetti e si impostarono gli stessi problemi agitati in questa discussione. Il problema base fu risolto allora – e non poteva essere altrimenti – in senso contrario, onde oggi egli aderisce pienamente alle osservazioni dell’onorevole Moro. Ritiene assolutamente necessario che nella nuova Costituzione si affermi il principio della responsabilità penale personale.

PRESIDENTE rileva che, nel contrasto che ha animato la discussione di questa precisa formula, nessuno ha dichiarato di essere contrario allo spirito che la informa. Se taluno ha proposto che venisse soppressa era soltanto per rafforzare il concetto proposto dai Relatori.

Comunque, poiché la discussione si è svolta soltanto in questi termini, di approvare cioè la formulazione proposta dai Relatori, con l’emendamento aggiuntivo dello onorevole Moro o non approvarla e sopprimerla in quanto non ce ne fosse bisogno, domanda se ci sia qualcuno che faccia sua la proposta di soppressione.

Poiché non c’è nessuno che presenta questa proposta di soppressione mette ai voti la formula proposta dai Relatori, con l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Moro: «La responsabilità penale è personale».

(È approvata).

Dà lettura della parte dell’articolo 5 così come è stata finora approvata:

Art. 5.

«Nessuno può essere sottoposto a processo, né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista.

«La responsabilità penale è personale».

La seduta termina alle 13.25.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Lucifero.

MARTEDÌ 17 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

7.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 17 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

 

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Lucifero – Moro – Mastrojanni – Merlin Umberto – Mancini – Cevolotto – Togliatti – Corsanego – La Pira, Relatore – Marchesi – Lombardi Giovanni – Basso, Relatore – De Vita – Caristia – Dossetti.

La seduta comincia alle 10.10.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE ricorda che oggetto dell’odierna discussione è l’articolo 3, di cui nella seduta precedente fu discussa e approvata una prima parte. Sottopone perciò all’esame della Sottocommissione il testo del terzo comma dell’articolo 3°. La formula proposta dal Relatore onorevole Basso è la seguente: «Il fermo o l’arresto di polizia non può durare più di 48 ore; dopo tale termine il fermato deve essere rimesso in libertà, a meno che non sia prima intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria e questa entro le ulteriori 48 ore abbia emesso ordine o mandato di cattura».

LUCIFERO propone che alla parola «prima» sia sostituita la parola «nel frattempo», e si dica: «a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria».

PRESIDENTE osserva che tale proposta chiarisce meglio la sostanza dell’articolo.

LUCIFERO rileva che, ancor più semplicemente, si potrebbe dire: «a meno che nel frattempo non sia intervenuto un mandato di cattura».

PRESIDENTE gli pare che questa seconda proposta venga a mutare sostanzialmente i termini della questione. Nella prima parte del comma si è stabilito che il fermo o l’arresto di polizia non può durare più di 48 ore, trascorse le quali il fermato viene rimesso in libertà, a meno che non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria, la quale entro ulteriori 48 ore dovrebbe emettere un ordine o mandato di cattura. Non si possono sopprimere le altre 48 ore concesse all’autorità giudiziaria per emanare con cognizione di causa il mandato di cattura, altrimenti il termine diventerebbe troppo breve.

MORO per ragioni di chiarezza giuridica, propone che l’espressione: «dopo tale termine il fermato deve essere rimesso in libertà» venga sostituita dall’altra: «decorso tale termine, il fermato deve essere rimesso in libertà».

PRESIDENTE è favorevole alla proposta.

MASTROJANNI fa presente che, nella prassi giuridica, è fuori della realtà il presumere che nelle 48 ore l’autorità giudiziaria possa esaminare la denuncia della pubblica sicurezza e decidere se procedere o meno con un ordine o mandato di cattura. Il termine è assai breve e potrebbe avvenire che, per evitare che il fermato sia rimesso in libertà, si procedesse affrettatamente ad emettere un ordine di cattura, salvo poi a revocarlo. È noto che l’autorità giudiziaria, prima di emettere l’ordine di cattura, procede spesse volte a preliminari indagini, specie quando si tratta di denunce complesse che presentano una qualche difficoltà nella identificazione della natura giuridica del reato. Se si toglie all’autorità giudiziaria la possibilità di esaminare con una certa tranquillità le denunce, si corre il rischio di aggravare la condizione del cittadino, sottoponendolo ad un ordine di cattura non ponderatamente emanato. Propone perciò che si elimini l’ultima parte proposta, concernente l’emissione dell’ordine o mandato di cattura, perché basta il fatto che l’autorità giudiziaria sia in possesso di una denuncia regolarmente presentata, perché giudichi se si debba procedere. Propone che si dica semplicemente: «Il fermato deve essere rimesso in libertà, se nelle 48 ore successive non sia pervenuta all’autorità giudiziaria regolare denuncia».

MERLIN UMBERTO, pure preoccupandosi di quello che ha detto l’onorevole Mastrojanni, non ritiene possibile che l’autorità giudiziaria non emetta mandato di cattura.

Non si può trattenere un cittadino in arresto, se non dopo ordine o mandato di cattura. Il termine delle 48 ore è poi fissato anche da consuetudini pratiche e non può essere considerato troppo breve; esso è sufficiente per assumere formali informazioni e vedere se la denuncia è motivata.

PRESIDENTE osserva che il legislatore, messo di fronte al termine di 2 giorni, emanerà disposizioni che consentano all’autorità giudiziaria di agire con una certa sollecitudine e l’autorità giudiziaria stessa si creerà organi adatti a provvedere in conseguenza. Perciò è del parere di tener ferma la dizione proposta. Ricorda che compito della Commissione è di tutelare la libertà del cittadino e che si deve tutelarla in termini concreti.

MANCINI fa presente che scopo della norma in esame è di fare in modo che dopo 48 ore un cittadino venga rimesso in libertà quando non sia emanato un ordine o mandato di cattura. Se si accetta la proposta dell’onorevole Mastrojanni, si avrà in pratica questa conseguenza: un cittadino viene arrestato dalla pubblica sicurezza e questa dopo 48 ore presenta il suo verbale. L’autorità giudiziaria lo manterrà in carcere fino a quando non avrà completato la sua istruzione, dal momento che non si è fissato per questa indagine alcun limite di tempo. Al termine di essa o rimetterà in libertà l’arrestato o emanerà un ordine o un mandato di cattura. Accadrà certamente che l’arrestato rimarrà in carcere qualche mese, prima che a suo riguardo venga presa una decisione. È necessario invece stabilire che dopo 48 ore l’autorità giudiziaria deve emanare l’ordine o il mandato di cattura o rimettere in libertà l’arrestato.

MASTROJANNI osserva che nella pratica giudiziaria, anche più recente, non viene quasi mai rispettata la norma del Codice di procedura penale, la quale stabilisce che entro le 24 ore il detenuto deve essere interrogato. La recente legislazione prescrive pure che, se entro 8 mesi non ha termine l’istruttoria, il detenuto deve essere scarcerato. Ora è avvenuto che un detenuto per rapina a mano armata è stato scarcerato perché il giudice istruttore non aveva proceduto al suo interrogatorio. Questa è la situazione giudiziaria in Roma, dove abbiamo detenuti che non sono interrogati se non dopo 4 o 5 mesi. Se si fissa un termine di sole 48 ore, c’è da temere che tutti gli arrestati siano rimessi in libertà, anche quelli responsabili di gravi reati, e ciò con evidente danno della società. Occorre trovare una formula che consenta una pratica attuazione. Non ritiene che possa considerarsi tale quella che restringe a 48 ore la possibilità per l’autorità giudiziaria di emanare un ordine o un mandato di cattura.

Un magistrato che abbia coscienza della sua missione non potrà, appena ricevuta una denuncia, decidere se deve emettere o no mandato di cattura, a meno che non si tratti di fatti gravi ed evidenti. All’infuori di questi casi, si richiede una ponderazione e una indagine, anche sommarie, per poter identificare la natura del reato. Propone pertanto che il termine di 48 ore sia portato a 4 o 5 giorni.

MANCINI fa osservare che le preoccupazioni dell’onorevole Mastrojanni risultano infondate, quando si tenga presente la differenza tra ordine di cattura e mandato di cattura. L’ordine di cattura è emanato dal Procuratore della Repubblica e non richiede che una semplice deliberazione preventiva. Il mandato di cattura deve essere invece emanato dal giudice istruttore, previa richiesta del Procuratore della Repubblica e richiede opportune indagini. L’ordine di cattura può essere emesso subito non appena fissata la epigrafe del reato, e non richiede alcuna giustificazione. Nessun delinquente potrà essere rimesso in libertà quando il Procuratore della Repubblica evinca dal verbale che si tratta, per esempio, di rapina o di omicidio. In un secondo tempo, poi, l’ordine di cattura si potrà trasformare in mandato di cattura emesso sempre dal giudice istruttore su richiesta del Procuratore della Repubblica.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Mastrojanni che la preoccupazione di cui ha fatto cenno, circa il termine di otto mesi previsto dal codice di procedura penale si riferisce ad ipotesi diverse. Per emettere l’ordine di arresto basta che il Procuratore della Repubblica lo ritenga necessario. Il termine di otto mesi si riferisce al periodo in cui l’istruttoria dev’essere compiuta.

CEVOLOTTO ritiene che le preoccupazioni dell’onorevole Mastrojanni vadano al di là della realtà, perché un dubbio circa la possibilità e l’opportunità di emanare un ordine od un mandato di cattura sussiste solo nei casi in cui ci sia una denuncia che ha bisogno di istruzione. In questi casi la stessa autorità di pubblica sicurezza non procede senz’altro all’arresto, ma trasmette la denuncia alla Procura della Repubblica la quale, prima di emettere il mandato di cattura, esamina se vi siano gli estremi che lo permettano. L’arresto da parte della pubblica sicurezza avviene quasi sempre o per flagranza o per prove macroscopiche: voce pubblica, fatti salienti, pericolo di fuga, ecc., nei quali casi vi è la necessità di un arresto immediato. In questi casi la tutela da parte della Procura della Repubblica è esercitabile perfettamente nelle 48 ore. In fondo, la revoca o la messa in libertà avverrà quasi sempre nei casi in cui l’arresto è avvenuto in flagranza, ma per un titolo di reato che non comporta la detenzione preventiva.

PRESIDENTE, per tranquillizzare chi ritiene troppo limitato il termine di 48 ore, propone che il termine sia raddoppiato e portato a 96 ore.

TOGLIATTI rileva che in tal modo si verrebbe ad estendere eccessivamente il potere di arresto preventivo senza mandato di cattura. Stabilendo due giorni per l’autorità di pubblica sicurezza, e quattro giorni per l’autorità giudiziaria, si arriverebbe ad una settimana.

LUCIFERO è del parere di mantenere il termine di 48 ore. Preferisce che l’autorità giudiziaria abbia la responsabilità di aver effettuato l’arresto e magari allo scadere del termine si trovi in difetto, piuttosto che estendere il termine a sei giorni.

CORSANEGO esprime la preoccupazione che quando l’autorità giudiziaria si trovi vincolata da un termine troppo breve, nel timore che le sfugga un presunto reo sia portata ad emettere, come misura precauzionale, il mandato di cattura. In tal caso il termine di 48 ore non farebbe che danneggiare il fermato stesso.

LA PIRA, Relatore, in analogia con la Costituzione spagnola, propone un termine di 72 ore.

MARCHESI concorda con l’onorevole Togliatti sull’opportunità di associare la responsabilità dell’autorità di pubblica sicurezza alla responsabilità dell’autorità giudiziaria. Ritiene che lo spazio di 48 ore sia sufficiente, senza ricorrere all’esempio della Spagna. Se si prolungano i termini, l’autorità giudiziaria si troverà ugualmente nelle condizioni di emettere il mandato senza avere sufficientemente esaminato la denuncia della polizia. Si troverà quindi nelle stesse condizioni, mentre invece occorre stimolarla e incalzarla.

MASTROJANNI riferendosi alla giusta osservazione dell’onorevole Marchesi, per far sì che il termine proposto non resti soltanto una platonica enunciazione nei confronti del cittadino e per evitare che l’autorità giudiziaria, o l’autorità di pubblica sicurezza tenuta all’osservanza rigida di questa norma, possa impunemente non osservarla, propone che nella stessa Costituzione si preveda la sanzione per l’autorità di pubblica sicurezza o per l’autorità giudiziaria inadempiente.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Mastrojanni che, per quanto riguarda l’osservanza della Costituzione, i progetti presentati prevedono per tutte le autorità delle sanzioni di carattere generale, per cui sarebbe fuori tempo in questo momento una proposta del genere. Prega perciò l’onorevole Mastrojanni di non insistere. Se mai, quando verranno in discussione quei determinati articoli, egli potrà precisare le sue osservazioni riferentisi al caso in esame.

Mette quindi ai voti una prima proposta, di allungare a 96 ore il termine concesso all’autorità giudiziaria per emettere il mandato di cattura.

(Non è approvata).

Mette ai voti la seconda proposta, di estendere il termine da 48 ore a 72.

(Non è approvata).

Dichiara approvato il termine di 48 ore per l’emissione del mandato di cattura.

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Moro, che mira a sostituire la parola «dopo» con l’altra «decorso».

(È approvata).

Pone ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero che il termine «prima» sia sostituito con il termine «nel frattempo».

(È approvata).

Fa presente che, dopo gli emendamenti approvati, l’intero capoverso verrebbe ad avere la seguente formulazione: «Il fermo o l’arresto di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e non può durare in nessun caso più di 48 ore. Decorso tale termine, il fermato deve essere rimesso in libertà, a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria e questa entro le ulteriori 48 ore abbia emesso ordine o mandato di cattura».

Lo pone ai voti.

LOMBARDI GIOVANNI fa una dichiarazione di voto sull’intero capoverso dello articolo 3. Poiché si è discusso se il termine dell’arresto debba essere di 48, 72 o 96 ore, afferma che la libertà è cosa troppo sacra perché si possa misurare come una merce qualsiasi. Ritiene che la Commissione non abbia inteso il significato profondo del principio fondamentale, il quale è che la pubblica sicurezza può agire solo su mandato dell’autorità giudiziaria, e può agire solo in caso di flagranza. Quale fatto ostacola che questo principio sia preso in considerazione? Si tratterebbe di aspettare che entro 48 ore dall’esposto o dalla denuncia della pubblica sicurezza, l’autorità giudiziaria intervenga con un suo atto. Allora la questione del termine di 48 o di 72 o di 96 ore verrebbe meno. Sul rapporto della pubblica sicurezza è l’autorità giudiziaria che ordina, salvo il caso di flagranza.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Lombardi che la parte dell’articolo a cui egli si riferisce è stata già votata. Qui si tratta soltanto di votare l’intera dizione dell’articolo così come è stata discussa e approvata punto per punto. L’onorevole Lombardi può soltanto dichiarare se approva o no.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di non approvare la formulazione dell’articolo perché, come ha già detto, la libertà umana è una cosa troppo sacra per sottoporla a termini. Solo la flagranza può legittimare l’intervento della pubblica sicurezza. In ogni altro caso è la autorità del magistrato che deve intervenire.

BASSO, Relatore, dichiara che voterà a favore, ma fa presente la preoccupazione che quando si dice «fermato», non si prevede l’ipotesi che un cittadino sia anche arrestato. Propone pertanto che, per maggiore, chiarezza si dica: «la persona fermata o arrestata».

(La Commissione approva).

PRESIDENTE pone ai voti l’intera prima parte dell’articolo 3 con gli emendamenti approvati:

«La libertà personale è inviolabile.

«Nessuno può esserne privato, se non per atto dell’autorità giudiziaria e solo nei casi e nei modi previsti della legge.

«Il fermo o l’arresto di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e non può durare in nessun caso più di 48 ore. Decorso tale termine, la persona fermata od arrestata deve essere rimessa in libertà, a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria e questa, entro le ulteriori 48 ore, abbia emesso ordine o mandato di cattura».

(È approvata).

Pone in discussione la restante parte dell’articolo 3 che nella proposta del relatore La Pira suona così:

«Ogni forma di rigore e di coazione, che non sia necessaria per venire in possesso di una persona o per mantenerla in stato di detenzione, così come ogni pressione morale o brutalità fisica specialmente durante l’interrogatorio, è punita».

Osserva che la formulazione di questo capoverso è pletorica e quindi può prestarsi ad interpretazioni equivoche. Ricorda che la forma delle norme da inserire nella Costituzione deve essere quanto più possibile concisa e chiara. Pertanto propone, salvo una migliore formulazione, la seguente dizione: «Alla persona fermata o arrestata è garantito un trattamento umano». Questa affermazione risponderebbe anche alla terminologia che si deve usare in una Costituzione, che dovrebbe contenere solo affermazioni di carattere generale. Penserà il legislatore a sviluppare il concetto nelle leggi penali.

CORSANEGO si dichiara in linea di massima d’accordo; però vorrebbe trovare una via di mezzo tra la forma pletorica proposta dai relatori e quella laconica del Presidente. Affermato il concetto che l’arrestato o il fermato deve essere trattato umanamente, bisognerebbe aggiungere una norma, sia pure espressa in modo sintetico, per impedire in ogni caso il ricorso ad angherie o vessazioni di qualsiasi genere. Converrebbe inoltre sopprimere la parola «specialmente» riferita al trattamento da usarsi durante l’interrogatorio, perché essa potrebbe in certo qual modo autorizzare l’uso di mezzi inumani in altri momenti.

TOGLIATTI dichiara di non poter accettare la formula proposta dai correlatori. Gli sembra assurdo che nella Costituzione si parli dei modi di impossessarsi di una persona. Se si deve arrestare un ladro è evidente che è necessario mettergli le manette, e che possa anche seguire una colluttazione, ma di questo non si può parlare in una Costituzione. In essa si deve dire della condizione in cui viene a trovarsi il cittadino arrestato o fermato, cioè quando si è venuto a creare nei suoi riguardi quello speciale stato di diritto che è definito dai capoversi precedenti, e per cui ogni violenza contro di lui è proibita. Questo unicamente si deve dire e niente più. Perciò propone la formula seguente: «È proibita e viene punita dalla legge ogni forma di violenza contro ogni cittadino arrestato o fermato».

BASSO, Relatore, ritiene che le preoccupazioni che sono state prospettate verrebbero meno se si adottasse la formula che egli aveva originariamente proposto e cioè: «È vietato sottoporre l’individuo privato della libertà personale a trattamenti brutali e costrizioni morali e materiali». La formula del collega La Pira riproduce esattamente quella della Costituzione francese. Preferirebbe il suo testo primitivo.

CEVOLOTTO si dichiara in massima d’accordo con gli onorevoli Togliatti e Basso. Quello di cui ci si deve preoccupare non è tanto il trattamento dell’arrestato duravate l’interrogatorio da parte del giudice istruttore o del Procuratore della Repubblica. Fortunatamente anche in passato, nei riguardi di queste autorità, non si sono dovute in genere deplorare violenze o costrizioni. Queste invece, come risulta dall’esperienza professionale e personale di molti, si mettevano in essere da parte della pubblica sicurezza.

TOGLIATTI aggiunge che si verificavano anche nelle carceri.

CEVOLOTTO ricorda che i magistrati, quando si protestava contro tali abusi, sapevano bene che si parlava in nome della libertà, ma ritenevano forse opportuno che non si facesse perdere all’autorità di pubblica sicurezza il suo prestigio, il che rappresenta un’idea alquanto discutibile. Comunque, ora è necessario affermare il principio della tutela dell’individuo contro possibili forme di violenza, ma a suo avviso tale principio non può essere affermato nella Costituzione che in linea generale. Non si può trasformare la Costituzione in un Codice penale.

MASTROJANNI desidererebbe che il principio della tutela dell’arrestato contro ogni forma di violenza fosse affermato in modo più esplicito, e che fosse esteso a tutto il periodo della detenzione. Propone perciò la seguente formula: «Ogni forma di violenza fisica o morale durante l’arresto e il periodo di detenzione costituisce reato».

MERLIN UMBERTO ritiene che la formula proposta nella relazione La Pira sia pletorica e concorda con l’onorevole Togliatti circa la convenienza di sopprimere l’inciso: «specialmente durante l’interrogatorio».

LOMBARDI GIOVANNI raccogliendo le osservazioni fatte dai precedenti oratori propone la formula seguente: «Contro qualunque imputato e detenuto ogni forma di violenza o di vessazione è vietata con sanzioni che saranno contemplate dalle leggi penali».

LUCIFERO esprime un dubbio di carattere sistematico; se, cioè, non sarebbe meglio collocare questa norma nell’articolo successivo che parla solo dell’imputato. È anch’egli del parere che lo stesso trattamento si debba fare sia all’imputato che al fermato ed è d’accordo con l’onorevole Mastrojanni sulla necessità di dire esplicitamente che ogni violenza contro l’imputato o il fermato costituisce reato.

Il fatto di dire solo nell’ultimo capoverso che l’infrazione alle norme in esso contenute è punita farebbe supporre che le altre infrazioni potrebbero andare esenti da punizione. Occorre trovare una formula che dica che tutte le infrazioni alle disposizioni dello articolo sono punite.

BASSO, Relatore, rileva che l’osservazione dell’onorevole Lucifero è tecnicamente esatta. Dicendosi: «è punita…» o «costituisce reato», si usa un’espressione che meglio si adatta a un Codice di procedura penale. Spetterà al legislatore di comminare la sanzione. Nella Costituzione si deve soltanto affermare un principio generale di responsabilità, per lo Stato e per i funzionari, per qualunque violazione. Ripete che ritiene preferibile riportare la formula da lui proposta.

MANCINI esprime il dubbio che la questione di cui si parla nel capoverso in discussione non debba essere trattata in sede di Costituzione, perché costituisce argomenti di Codice di procedura penale. In sede di Costituzione ci si dovrebbe limitare ad affermare soltanto il principio inviolabile della libertà personale.

DE VITA ritiene che il testo proposto potrebbe essere così modificato:

«È vietata ogni forma di rigore e di coazione che non sia necessaria per venire in possesso di una persona o per mantenerla in stato di detenzione, così come ogni pressione o brutalità fìsica».

MORO associandosi all’onorevole Basso afferma che, a suo avviso, l’argomento in discussione dovrebbe formare oggetto di regolamento costituzionale. Proprio in sede di Costituzione è necessario proibire quelle ulteriori limitazioni della libertà personale che si concretano nella brutalità fisica contro le persone in stato di detenzione. Pensa, peraltro, che non sia opportuno adoperare la espressione: «è punita», perché alla Costituzione compete soltanto di indicare i principî fondamentali. Vorrebbe aggiungere la parola «detenuti» alla formula proposta dell’onorevole Togliatti, che modificherebbe in questo senso: «È proibita ogni forma di violenza contro ogni cittadino fermato, arrestato o detenuto».

LA PIRA, Relatore, ritiene che in questa materia sia necessario specificare, data la dura esperienza fatta da gran parte dei componenti la Commissione durante il periodo fascista.

PRESIDENTE riassume la discussione, rilevando che di fronte alla formula dei correlatori, integrata dalla proposta De Vita, ve n’è un’altra da lui suggerita, contenuta nei seguenti termini: «Il trattamento umano della persona fermata, arrestata o detenuta, è garantito». Osserva che questa formula non solo risponde al carattere generale della Costituzione, ma tiene conto anche delle preoccupazioni manifestate dall’onorevole Mastrojanni. Questa sua proposta – sulla quale insiste – potrebbe avere in votazione la precedenza, se non vi fosse una proposta più radicale dell’onorevole Mancini, il quale sostiene che non si debba dar luogo a nessuna affermazione del genere in questa sede, ma che la materia in discussione debba formare oggetto di particolari disposizioni di legge, che il legislatore predisporrà in relazione ai principî generali fissati dalla Costituzione. Mette perciò, innanzi tutto, ai voti la proposta dell’onorevole Mancini.

(Non è approvata).

Mette poscia ai voti la sua proposta.

(Non è approdata).

Avverte che segue la formula proposta dall’onorevole Togliatti, la quale dice: «È proibita e viene punita dalla legge ogni forma di violenza contro il cittadino fermato o arrestato». A questa formula l’onorevole Moro vorrebbe apportare un emendamento aggiuntivo, che ha così precisato: «È vietata ogni violenza fisica e morale nei riguardi del cittadino fermato o arrestato o comunque detenuto».

TOGLIATTI dichiara d’accettare l’emendamento dell’onorevole Moro, osservando soltanto che l’espressione: «violenza morale» è un po’ ampia. Anche la privazione della libertà è una forma di violenza morale.

MORO chiarisce che, in termini giuridici, morale è ogni coercizione esercitata mediante suggestioni, minacce, ecc.

CEVOLOTTO domanda agli onorevoli Togliatti e Moro se accettano di sostituire alla loro dizione quella proposta dall’onorevole Basso: «L’individuo privato della libertà personale» che è più comprensiva.

MASTROJANNI fa presente che la sua proposta prevede ogni ipotesi. Tale proposta è così formulata: «Qualunque forma di violenza fisica o morale durante l’arresto e per tutto il tempo della privazione della libertà personale costituisce reato». Senza distinguere l’arresto, la detenzione o la carcerazione, si esprime un concetto anche più lato che si estende a quel settore dove è più temibile e possibile la violenza fisica o morale, cioè quando l’individuo è stato fermato per ragioni di pubblica sicurezza.

BASSO, Relatore, insiste sulla formula da lui proposta, nella quale si accenna anche al trattamento inumano, perché per fiaccare la resistenza morale e fisica di un individuo si può ricorrere a forme inumane di trattamento perfino nel vitto. Nella sua proposta erano perciò prospettate tre ipotesi: il trattamento inumano, la violenza morale e quella materiale.

MASTROJANNI dichiara di accettare la formula Basso.

PRESIDENTE osserva che sarebbe più logico stabilire anzitutto il principio che: «a tutti è garantito un trattamento umano» e poi specificare.

BASSO, Relatore, ritiene che dire: «è vietata ogni forma di trattamento inumano e ogni forma di costrizione» possa andare egualmente bene.

MORO propone di fondere le due formule, usando però una forma positiva, cioè: «è garantito a tutti un trattamento umano».

MANCINI rileva che tornerebbe a ripresentarsi la formula proposta dal Presidente che è stata già respinta.

PRESIDENTE osserva che la dizione «trattamento umano» riguarda tutte le possibili ipotesi e sottolinea ancor meglio quanto è stato detto in precedenza e con maggiore specificazione. È pertanto favorevole alla formula «È garantito a tutti un trattamento umano». È una norma di carattere generale.

LOMBARDI GIOVANNI userebbe la parola «vessazione».

DE VITA osserva che nel testo proposto dall’onorevole Togliatti non è previsto il momento antecedente all’arresto.

TOGLIATTI risponde che è molto difficile prevedere questo momento. Quando, ad esempio, si arresta una persona per la strada è giocoforza usare una certa coercizione materiale.

DE VITA dichiara di accettare la formula proposta dai relatori.

PRESIDENTE osserva che essa è stata già abbandonata. Si sarebbe invece trovato l’accordo, almeno nelle proposte, tra le varie formule che sono state presentata dagli onorevoli Togliatti, Moro e Basso, a cui hanno aderito gli onorevoli Mastrojanni, Cevolotto ed egli stesso. La formulazione definitiva proposta per questo capoverso risulterebbe la seguente: «È vietata ogni violenza fisica o morale nei riguardi del cittadino fermato, arrestato o comunque detenuto». Ritiene però che sarebbe meglio dire «persona», perché talvolta può avvenire che anche una persona che non è cittadino si trovi in condizioni di essere arrestato, fermato o detenuto. Toglierebbe inoltre l’avverbio «comunque» che puntualizza in senso estensivo il concetto della prima parte dell’articolo.

Potrebbe infine aggiungersi un ultimo periodo: «Durante lo stato di privazione della libertà personale è garantito a tutti un trattamento umano».

CARISTIA osserva che sarebbe meglio dire: «violenza fisica o morale contro la persona».

PRESIDENTE fa presente che il termine più esatto è: «in danno». In definitiva la formula dei due ultimi capoversi potrebbe essere la seguente:

«È vietata ogni violenza fisica o morale in danno della persona fermata, arrestata o comunque detenuta.

«Durante lo stato di privazione della libertà personale è garantito a tutti un trattamento umano».

Pone ai voti il testo così formulato.

MANCINI dichiara che voterà contro, non perché sia contrario al concetto racchiuso nella formula, ma perché è convinto che tutto ciò è materia di codice di procedura penale.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di insistere nella sua precedente proposta e di votare contro la formula proposta.

PRESIDENTE spiega all’onorevole Lombardi la ragione per la quale ha messo ai voti prima delle altre la sua proposta. Infatti è partito dal concetto, che domina sempre come criterio assoluto nelle votazioni, che abbiano la precedenza quella formule che, nei confronti di quelle dei relatori, sono le più radicali in quanto a modifiche. Ha ritenuto che il solo fatto di accennare a delle sanzioni avesse un carattere specifico, e che più si accostasse alla proposta dei relatori. Comunque ritiene giusto che si faccia menzione nel verbale della formula proposta dall’onorevole Lombardi che è la seguente: «Contro chiunque, imputato o detenuto, ogni forma di violenza o vessazione è vietata, con sanzioni che saranno indicate dalla legge penale».

LUCIFERO ritiene che l’ultima proposizione, cioè quella relativa al trattamento umano, sarebbe meglio espressa in forma negativa, dicendo: «Durante lo stato di privazione della libertà personale è vietato un trattamento inumano verso tutti».

MORO dichiara di essere contrario alla proposta dell’onorevole Lucifero, poiché la formula che raccoglie il consenso della maggioranza della Sottocommissione si ricollega meglio a quel trattamento sociale che si è voluto garantire.

(I due ultimi capoversi sono approvati nel testo proposto dal Presidente).

PRESIDENTE mette ai voti l’intero articolo terzo che pertanto con i vari emendamenti approvati risulta così concepito:

«La libertà personale è inviolabile. Nessuno può esserne privato, se non per atto dell’autorità giudiziaria e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.

«Il fermo o l’arresto di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e non può durare in nessun caso più di quarantotto ore. Decorso tale termine, la persona fermata od arrestata deve essere rimessa in libertà, a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria e questa, entro le ulteriori quarantotto ore, abbia emesso ordine o mandato di cattura.

«È vietata ogni violenza fisica o morale in danno della persona fermata, arrestata o comunque detenuta.

«Durante lo stato di privazione della libertà personale, è garantito a tutti un trattamento umano».

(È approvato).

Dà quindi lettura dell’articolo 4 nel testo proposto dai relatori: «L’imputato è presunto innocente, fino a che con atto dell’autorità giudiziaria non sia stato dichiarato colpevole.

«La difesa processuale è garantita a tutti.

«Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti ed a nessun titolo e sotto nessuna denominazione può essere creata una giurisdizione straordinaria».

Pone in discussione il primo comma.

CEVOLOTTO dichiara di non poter approvare la dizione, perché non può esistere nessuna presunzione di innocenza da parte dell’autorità nei riguardi dell’imputato, il quale non può essere condannato se non vi sono prove: bisogna provare che c’è un reato. Se si parte da una presunzione di innocenza, questa prova si trasforma in una prova contraria; è una presunzione, mentre invece ci vuole l’obbligo di una prova diretta dell’esistenza di un reato. Si rende conto che questa potrà sembrare una impostazione teorica, mentre le Costituzioni sono qualche cosa di pratico, e poiché tale presunzione c’è nelle altre Costituzioni è probabile che venga accolta anche nella nostra. Per suo conto ritiene che non sia esatta.

MANCINI si dichiara contrario al concetto espresso dall’onorevole Cevolotto. Ricorda che nel Codice del 1913 si affermò la presunzione di innocenza dell’imputato, che parve una grande conquista. Vennero dopo i codici fascisti e fu messa da parte.

La Commissione deve affermare questo principio, e chiede pertanto che il comma venga modificato nella seguente forma: «L’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna definitiva».

MASTROJANNI osserva che la dizione: «atto dell’autorità giudiziaria» è imprecisa ed equivoca. Con ciò si potrebbe giungere all’assurdo che, appena il giudice istruttore o il Procuratore della Repubblica hanno emesso ordine o mandato di cattura, essendo questi atti giudiziari, da quel momento la presunzione di innocenza viene a scomparire. Invece la presunzione deve permanere non fino a quando non vi è un atto giudiziario qualsiasi, ma fino a sentenza definitiva di condanna.

CEVOLOTTO risponde che vi è il decreto penale.

MASTROJANNI osserva che il decreto penale è suscettibile di opposizione ed è emanato senza che sia udita l’altra parte. Il condannato per decreto penale ha diritto di produrre opposizione; ed allora soltanto il decreto penale può trasformarsi da giudizio unilaterale in giudizio in contradittorio. Perciò la presunzione dell’innocenza dell’arrestato dura fin tanto che non vi sia una sentenza definitiva.

CEVOLOTTO osserva che il decreto penale è una condanna che si pronuncia «inaudita altera parte» ed ammette una opposizione. È questa una forma di impugnativa, che importa un riesame del merito, come se non fosse stato emesso il decreto cui deve seguire una sentenza definitiva. Però se questa opposizione non viene sollevata, la condanna diventa definitiva. Vi sono delle condanne definitive per decreto, oltre che per sentenza, che tolgono la presunzione di innocenza. Ecco perché egli preferisce la dizione «atto dell’autorità giudiziaria».

MORO rileva che si può discutere in sede dogmatica se e quando vi sia una presunzione di innocenza in senso stretto, ma in sede di Commissione preparatoria della Costituente si deve considerare il profilo politico della questione. Quindi la presunzione di innocenza, come una forma di garanzia della libertà individuale, come un ulteriore impedimento di quell’arbitrio che si potrebbe verificare qualora l’imputato o arrestato o detenuto fosse già considerato come qualificato in senso negativo della società, rappresenta un principio che è necessario ammettere.

LUCIFERO conviene in molte delle osservazioni che sono state fatte però osserva che nel comma in discussione c’è un’affermazione di principio che può essere foriera di effettive realizzazioni giuridiche.

Esiste un problema d’ordine pratico: oggi in Italia chi è trattenuto in arresto in attesa di giudizio ha lo stesso trattamento di colui che è stato condannato. In fondo, la vera realizzazione pratica dei principî di cui si sta discutendo, è quella di stabilire un diverso trattamento tra colui che è stato riconosciuto colpevole e sconta una pena, e colui che è in attesa di giudizio e dev’essere giustamente presunto innocente.

Pertanto vorrebbe che questa differenza di trattamento venisse affermata nell’articolo.

BASSO, Relatore, si dichiara d’accordo con l’onorevole Cevolotto circa la sua posizione dottrinale.

Rispondendo all’onorevole Mastrojanni circa la sostituzione della parola «atto giudiziario» con quella «sentenza», osserva che nel caso in esame non si tratta di un atto giudiziario qualsiasi, ma di un atto giudiziario che dichiara la colpevolezza. Atto giudiziario indica tutte le sentenze, e tecnicamente non è possibile escludere tale espressione.

LOMBARDI GIOVANNI considera la presunzione di innocenza non un concetto giuridico, ma un concetto politico. Ricorda che così l’intendeva la scuola di Enrico Ferri, e così pure Ludovico Mortara che, Ministro Guardasigilli, volle includere nel codice di procedura penale del 1913 la dichiarazione della presunzione di innocenza. Ma tale presunzione non viene meno per un qualsiasi atto dell’autorità giudiziaria. La prima sentenza del tribunale è un atto dell’autorità giudiziaria; poi c’è l’appello, poi il ricorso per Cassazione: ognuna di queste sentenze è un atto dell’autorità giudiziaria, ma finché anche questo atto non sia definitivo, la presunzione di innocenza deve rimanere a significare appunto, che solamente quando si sono esperite tutte le forme volute dalla legge un cittadino può essere ritenuto colpevole.

Dichiara perciò di aderire alla formula Mastrojanni, proponendo che si dica che l’arrestato è presunto innocente fino alla sentenza definitiva.

MANCINI rispondendo agli argomenti dell’onorevole Lucifero, osserva che esiste nei vigenti regolamenti carcerari un trattamento per i giudicabili diverso da quello che si applica ai giudicati. I giudicabili possono comunicare con i parenti due o tre volte la settimana, possono ricevere il vitto dall’esterno, possono incontrarsi con le persone che desiderano visitarli, previo biglietto di colloquio. I giudicati invece non possono vedere i parenti che ogni tre mesi, non possono ricevere il vitto da fuori, ecc. ecc. Le norme relative a questo sistema differenziato non possono evidentemente trovare ospitalità in una Costituzione, ma fanno parte dei regolamenti penitenziari. Ciò premesso dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Lombardi. La presunzione di innocenza non ha soltanto valore tecnico giuridico, ma ha valore essenzialmente politico; e se ne coglie la prova tangibile nel codice di procedura emanato sotto il regime fascista il quale, proprio perché la presunzione di innocenza toccava la libertà del cittadino, abolì ogni presunzione di innocenza.

Quando si dice che l’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna, bisogna tener presente che nella tecnica giuridica quando si parla di condanna si intende sempre una condanna irrevocabile. Rileva che la formula usata dal codice di procedura penale del 1913, cioè che l’innocenza è presunta fino a che non sia accertata la colpevolezza, non è suscettibile di arbitrarie interpretazioni. Così pure, quando si afferma che la difesa processuale è un diritto inviolabile, si esprime senza sottintesi un diritto invulnerabile.

CEVOLOTTO ricorda di aver proposto che si dica «con pronuncia definitiva dell’autorità giudiziaria», ma fa presente che vi può anche essere una condanna che non proviene dalla autorità giudiziaria: cioè la condanna per decreto dell’intendente di finanza. Anche questa è una condanna penale.

MANCINI obietta che tale specie di condanna non è però segnata nel casellario giudiziario, perché si tratta di condanna amministrativa.

PRESIDENTE rileva che il concetto della presunzione dell’innocenza è condiviso da tutti: vi è soltanto dissenso sulla più acconcia formulazione del concetto stesso. Ricorda che, a questo riguardo, oltre alla formula proposta dai relatori c’è quella dell’onorevole Mancini, il quale vorrebbe si dicesse: «L’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna». Gli sembra che questa formula sia la più accettabile. Vorrebbe però aggiungere dopo «condanna» la parola «definitiva».

MANCINI dichiara di accettare.

BASSO e LA PIRA, Relatori, aderiscono alla formula proposta dall’onorevole Mancini, integrata con l’aggiunta suggerita dal Presidente.

PRESIDENTE la pone ai voti.

(È approvata).

Pone in discussione l’altra proposizione dell’articolo 4, così concepita: «La difesa processuale è garantita a tutti».

MASTROJANNI, poiché davanti ai tribunali militari di guerra spesso viene inibita la difesa degli avvocati, vorrebbe che risultasse chiaro il concetto che la difesa per mezzo di avvocato è garantita in ogni tempo e davanti ad ogni giudice.

PRESIDENTE osserva che anche nel campo della giurisdizione militare è garantita la difesa, ma solo in alcune fasi.

MASTROJANNI dichiara che per sua esperienza, come magistrato militare, sa che i Tribunali militari di guerra, in territorio presunto di guerra, inibivano l’esercizio della difesa ai liberi professionisti e l’affidavano ad ufficiali subalterni. Tale inconveniente dev’essere eliminato. Perciò propone la seguente dizione: «La difesa è garantita in ogni grado e stato processuale, in ogni tempo e davanti a qualsiasi giurisdizione. Essa è affidata solo agli avvocati».

ROSSETTI ritiene che l’inconveniente rilevato dall’onorevole Mastrojanni non possa eliminarsi con la formula da lui proposta. Se egli vuole – come gli sembra di aver capito – garantire la difesa attraverso difensori di fiducia bisogna dirlo espressamente.

PRESIDENTE gli sembra che ciò possa essere pericoloso.

MANCINI fa presente che la sua formula comprende tutto, poiché afferma che «la difesa processuale è un diritto inviolabile».

MASTROJANNI domanda in quale fase processuale la difesa è un diritto inviolabile.

MANCINI chiarisce che lo è in tutte le fasi, perché dicendo «difesa processuale» si usa un termine comprensivo di tutte le diverse giurisdizioni, sia militari che civili. In questi casi esiste sempre un processo in atto e quando esiste un processo in atto vi è un imputato e questo ha il diritto, si badi bene, e non la garanzia, di difendersi. Tale diritto non può essere violato da nessuno.

PRESIDENTE è del parere che dire semplicemente, come propongono i relatori: «La difesa processuale è garantita a tutti» sia un modo troppo generico per affermare il diritto alla difesa. Gli sembra pertanto più acconcia la formula proposta dall’onorevole Mancini che afferma essere la difesa processuale un diritto inviolabile. Chiarisce che non si va contro il concetto di mantenere un carattere di generalità agli enunciati della Costituzione se si aggiunge che questo diritto è tale in ogni stato o grado di giurisdizione.

MASTROJANNI ricorda che egli aveva proposto si dicesse «in ogni tempo» appunto per comprendere anche il tempo di guerra, perché è proprio in tempo di guerra che possono sorgere gli inconvenienti di cui ha fatto parola. Il dire semplicemente «stato o grado» non gli sembra sufficiente. Inserendo invece «in ogni tempo» si lascia aperta la strada perché sia consentita la difesa all’avvocato anche in tempo di guerra. Ecco perché concludeva soggiungendo: «essa è affidata agli avvocati».

PRESIDENTE ritiene che, se si vuole specificare, anziché parlare di «tempo», che è troppo generico, si potrebbe dire: «di fronte a qualsiasi giurisdizione».

MASTROJANNI replica che col sistema attuale, in tempo di guerra, agli avvocati è consentita la difesa davanti ai tribunali militari soltanto in alcuni territori ed in altri no, anche quando ve ne sia possibilità. Insiste perciò nella sua proposta.

PRESIDENTE osserva che quando si dice «ogni stato» questo termine è comprensivo anche del «tempo». Se poi il legislatore sarà tentato di fare una restrizione, dovrà pensare se di fronte ad una formula così perentoria, gli sia possibile di ammettere eccezioni come quella temuta dall’onorevole Mastrojanni.

Mette quindi ai voti la seconda parte dell’articolo così formulato: «La difesa processuale è un diritto inviolabile in ogni stato o grado di giurisdizione».

(È approvata).

Avverte che l’onorevole Lucifero ha concretato le osservazioni fatte precedentemente nella proposta del seguente comma aggiuntivo: «L’imputato non può subire lo stesso trattamento dei condannati, né può essere detenuto con essi». Gli sembra che ciò sia piuttosto materia di regolamento carcerario.

LUCIFERO lo contesta, appellandosi a quanti, fra i presenti, hanno fatto l’esperienza di essere rinchiusi nella stessa cella di un condannato.

PRESIDENTE ripete non sembrargli che tale proposta possa essere accolta in questa sede. Comunque, poiché è bene rimanga traccia d’ogni pensiero espresso nel corso della discussione a documentare l’alto sentimento di umanità a cui tutta la discussione è stata informata, la mette ai voti.

(Non è approvata).

Pone in discussione l’ultimo capoverso dell’articolo 4° che nella proposta dei relatori suona così: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti ed a nessun titolo e sotto nessuna denominazione può essere creata una giurisdizione straordinaria».

CEVOLOTTO osserva che sarebbe meglio dire «a nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

MASTROJANNI ritiene che, invece di «giudici precostituiti», sarebbe preferibile dire «giurisdizione precostituita». Nelle giurisdizioni sono compresi anche i giudici.

BASSO, Relatore, propone che si dica «nessuno può essere sottoposto a-giurisdizioni straordinarie».

TOGLIATTI domanda perché non si torna alla formula «giudici naturali».

BASSO, Relatore, fa presente che col termine «precostituiti» s’intende quello che le Costituzioni di un tempo dicevano «giudici naturali». Però questi non sono giudici naturali in quanto posti come tali dalla natura, ma sono quei giudici creati in forza della legge prima che il reato fosse commesso. Perciò si deve dire: «giudici precostituiti».

MASTROJANNI propone la dizione «magistrati ordinari».

BASSO, Relatore, osserva che si tratta di una cosa diversa. Il tribunale speciale era una magistratura straordinaria, ma precostituita. Sono le due cose insieme che si vogliono vietare. Si vuole vietare che si creino magistrature ordinarie che giudichino reati avvenuti prima, e che si creino magistrature straordinarie.

DOSSETTI, pur convenendo sul contenuto del capoverso dell’articolo 4 come è enunciato, e associandosi all’osservazioni dell’onorevole Basso, osserva che da un punto di vista sistematico il concetto potrebbe essere compreso molto meglio, se seguisse a quanto viene disposto dall’articolo successivo proposto dai relatori. Forse il capoverso non è che l’applicazione processuale del diritto sostanziale affermato in tale articolo, dove si dichiara che nessuno può essere punito, se non per una ipotesi prevista preventivamente dalla legge come reato. Analogamente, nessuno può essere sottoposto ad un giudice che non sia quello precostituito.

PRESIDENTE osserva che la collocazione degli articoli ha per ora un’importanza relativa, rispetto al compito affidato alla Commissione. L’essenziale è che sia solennemente affermato il principio perché si riferisce ad una esperienza troppo recente per essere dimenticata. La Commissione vuole che il giudice sia fissato dalla legge e che non sia consentito di creare giurisdizioni straordinarie. Se questo è il concetto, non si può esprimerlo che nei termini proposti dai relatori, altrimenti si cade nel vago e nel generico.

MASTROJANNI insiste perché venga adottata la dizione «giurisdizioni precostituite» per specificare che non sono ammessi né giudici né giurisdizioni speciali. L’espressione «giudici precostituiti» non gli sembra chiara.

CEVOLOTTO spiega che si intende dire: precostituiti prima del commesso reato.

MASTROJANNI osserva che in tal caso sono «giudici naturali».

MANCINI gli sembra che il concetto – che è da tutti condiviso – possa essere espresso più precisamente così: «Nessuno può essere sottoposto a giurisdizioni diverse da quelle indicate nella legge penale».

PRESIDENTE obietta che tale dizione non risponde al concetto specifico e lascia troppa libertà al legislatore.

CARISTIA è anch’egli d’avviso che la formula dei relatori sia la più concisa, precisa e comprensiva.

PRESIDENTE, dà lettura di un emendamento proposto dall’onorevole Lombardi: «Nessuno può essere sottratto all’ordinaria giurisdizione».

LA PIRA, Relatore, fa presente che non c’è alcuna espressione nel testo dei relatori che non faccia riferimento ad altre Costituzioni. Ciò vuol dire che gli stessi problemi sono stati prospettati e risolti in altri paesi.

La Costituzione francese del 1848 dice all’articolo 4: «Nessuno sarà distolto dai suoi giudici naturali». Su questo punto il relatore onorevole Basso ha proposto la formula «giudici precostituiti», ed egli ha acceduto. Nel capoverso dell’articolo 4 della stessa Costituzione francese si soggiungeva: «Non potranno essere create commissioni o tribunali straordinari a qualsiasi titolo e sotto qualsiasi denominazione». I relatori, che avevano ben presenti i tribunali speciali del regime fascista hanno deciso di seguire tale formula, che è loro sembrata più rispondente al principio che si voleva affermare. Con essa i relatori, tenuto conto di tutte le discussioni avvenute in questa materia in ogni tempo, hanno inteso mettere i cittadini al riparo dei pericoli che possano loro incombere in questo campo.

BASSO, Relatore, propone che si usi il plurale e si dica cioè: «A nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

PRESIDENTE, avverte che prima della formula dei relatori, dovranno essere poste ai voti quelle proposte degli onorevoli Lombardi e Mancini che si integrano a vicenda.

MASTROJANNI approva la formula degli onorevoli Lombardi e Mancini, e non quella dei relatori, non perché non condivida appieno il loro pensiero, ma perché gli sembra che esso sia espresso in un modo troppo analitico e non adatto ad una carta costituzionale, per cui necessita una forma incisiva e categorica.

PRESIDENTE mette ai voti la formula Lombardi-Mancini, che è la seguente: «Nessuno può essere sottoposto a giurisdizioni diverse da quelle ordinarie previste nelle leggi penali».

(Non è approvata).

MASTROJANNI ricorda di aver proposto la dizione «Nessuno può essere assoggettato a giurisdizioni speciali né a magistrature straordinarie».

DE VITA propone la dizione: «Nessuno può essere sottratto ai giudici precostituiti».

TOGLIATTI per venire incontro alle preoccupazioni espresse dall’onorevole Mastrojanni, che egli condivide, propone di aggiungere: «giudici precostituiti nell’ordinamento giudiziario della Repubblica».

PRESIDENTE obietta che si sottintende che il giudice precostituito è quello previsto dall’ordinamento della Repubblica.

CARISTIA insiste sulla esattezza della parola «precostituito». Essa presuppone un principio che nel tempo moderno è diffusissimo, che cioè tutti gli organi sono precostituiti dalla legge.

MASTROJANNI dichiara di accettare la formula dell’onorevole Togliatti.

BASSO, Relatore, accetta egli pure la formula proposta dall’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE richiamando la formula proposta dall’onorevole De Vita: «Nessuno può essere sottratto ai giudici precostituiti», gli domanda se vi insiste.

MORO osserva che invece di «giudici precostituiti» sarebbe meglio si dicesse «giudici naturali».

DE VITA dichiara di insistere nella sua proposta, con la modifica suggerita dall’onorevole Moro.

PRESIDENTE pone ai voti la formula proposta dall’onorevole De Vita.

(Non è approvata).

Avverte che dovrà ora essere messa in votazione la formula proposta dai relatori, con l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Togliatti.

LUCIFERO, dichiara di astenersi dalla votazione.

MANCINI, dichiara che voterà a favore della proposta Togliatti, purché alla parola: «giudici» si sostituisca la parola: «giurisdizione». Nella nostra legislazione non vi sono giudici ma giurisdizioni, delle quali fanno parte i giudici.

DOSSETTI, dichiara che voterà contro l’emendamento dell’onorevole Mancini.

Il concetto di giudice precostituito, cioè della persona componente l’organo giudicante, porta all’individuazione dell’organo giudicante stesso e quindi della giurisdizione. La proposta Mancini verrebbe a limitare la precostituzione soltanto al tipo di giurisdizione e non alla composizione dell’organo giudiziario.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Mancini.

(Non è approvata).

Mette ai voti la formula proposta dai relatori con l’aggiunta dell’onorevole Togliatti: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti nell’ordinamento giudiziario della Repubblica».

(È approvata).

Pone in discussione l’ultima parte dell’articolo: «ed a nessun titolo e sotto nessuna denominazione può essere creata una giurisdizione straordinaria», avvertendo che l’onorevole Cevolotto proporrebbe, per ragioni di forma, la seguente dizione: «Per nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

Pone in votazione la dizione proposta dall’onorevole Cevolotto.

(È approvata).

Rilegge l’intero articolo 4 con le modifiche che sono state accolte:

«L’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna definitiva.

«La difesa processuale è un diritto inviolabile in ogni stato e grado di giurisdizione.

«Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti nell’ordinamento della Repubblica. Per nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

BASSO, Relatore, non avendo partecipato alla votazione del primo comma dell’articolo, dichiara che se fosse stato presente avrebbe votato contro. Sta bene la prima parte dove si afferma che: «L’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna», ma aggiungervi il termine: «definitiva» rappresenta per lui un assurdo giuridico. Dinanzi ad una sentenza di condanna sta una presunzione di colpevolezza come una presunzione legale di innocenza. Non è il caso di creare uno stato di diritto.

DOSSETTI, si associa all’onorevole Basso per quanto riguarda la presunzione di innocenza, e facendo una valutazione complessiva dell’articolo, osserva che l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti, e che è stata accettata, «giudici precostituiti nell’ordinamento della Repubblica» evidentemente viene a limitare la forza del termine «precostituiti» e rappresenta uno stridente contrasto.

PRESIDENTE, all’eccezione che potrebbe sollevarsi, che non può tenersi conto delle osservazioni degli onorevoli Basso e Dossetti, in quanto concernono questioni già decise, obietta che poiché viene richiamata l’attenzione sopra un concetto che prima non era stato espresso, gli pare non ci sia nulla di male se si ritorna sopra un argomento già discusso e già deliberato, se ciò può riuscire di vantaggio al lavoro della Commissione.

A tale riguardo non gli sembra trascurabile l’osservazione dell’onorevole Dossetti, che l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti e cioè «giudici precostituiti nell’ordinamento della Repubblica», non tanto per quello che dice in sé, ma per quanto possa avere riferimento con ciò che è detto prima, presenti un certo stridore.

Si potrebbe pertanto riaprire eccezionalmente la discussione sopra questo argomento. Avverte che, se non vi sono osservazioni in contrario, così resta stabilito.

(Così rimane stabilito).

TOGLIATTI invita l’onorevole Dossetti a chiarire meglio il suo pensiero.

DOSSETTI aderendo all’invito dell’onorevole Togliatti, pone in rilievo che il concetto a cui si ispira l’intero articolo è quello di fissare in termini ben precisi i diritti contemplati nell’articolo stesso, senza un rinvio generico a quello che potrà essere l’ordinamento dello Stato. La parola ordinamento è generica e comprende tutta la realtà giuridica dello Stato, tanto che viene a identificarsi con lo Stato stesso. Nell’ordinamento può rientrare non solo la legge, ma anche il decreto, ecc. Teme perciò che la forza del termine «precostituito», possa essere alterata da interferenze normative e non perfettamente concordanti con la Costituzione, le quali interferenze potrebbero essere non di primissimo piano, perché si potrebbe trattare di una legge, di un decreto, di un atto insomma di minore portata. Invece nel termine «precostituito» c’è una forza che non può venire indebolita da un rinvio generico allo ordinamento dello Stato, il quale – ripete – è una manifestazione così complessa da comprendere qualsiasi negozio giuridico.

BASSO, Relatore, tenuto conto delle opposte preoccupazioni, domanda agli onorevoli Togliatti e Dossetti se accetterebbero questa formula: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti a norma di legge».

MANCINI dichiara che l’espressione: «a norma di legge» non lo soddisfa. La parola legge dice tutto e non dice nulla. Invece ha un significato ben preciso «ordinamento della Repubblica».

DOSSETTI fa osservare che negli articoli precedenti si è parlato di «modi e casi previsti dalla legge».

TOGLIATTI aderisce alla formula proposta dall’onorevole Basso.

MANCINI dichiara di far sua l’originaria proposta dell’onorevole Togliatti ed insiste perché sia messa in votazione.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti che è stata ripresa dall’onorevole Mancini e che suona così: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti nell’ordinamento della Repubblica».

(Non è approvata).

Pone quindi ai voti la formula proposta dall’onorevole Basso che è la seguente: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti a norma di legge».

LOMBARDI GIOVANNI desidera che sia inserita a verbale la sua protesta per il fatto che, dopo la votazione di un articolo, l’intervento dell’onorevole Dossetti ha fatto riaprire la discussione sullo stesso articolo ed è stata modificata una parte dell’articolo stesso che era già stata approvata.

PRESIDENTE prima di leggere la seconda parte del capoverso dell’articolo 4 osserva che essa sarebbe stata già votata. L’onorevole Lombardi protesta contro il sistema di rimettere in votazione una proposta già precedentemente votata. Osserva in proposito che, se è esatto che si è addivenuti già alla votazione dell’indicato capoverso, è altrettanto esatto che prima di sottoporre questo capoverso ad una nuova discussione e ad una nuova votazione, il Presidente ha domandato e ottenuto il consenso della maggioranza dei Commissari.

CEVOLOTTO osserva che se non vi fosse la possibilità di poter modificare qualche cosa, sarebbe inutile rileggere l’articolo nel suo complesso prima di votarlo.

PRESIDENTE pone ai voti il capoverso dell’articolo 4 che suona così: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti a norma di legge. Per nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

(È approvato).

Rilegge l’intero articolo 4 il quale così risulta dopo gli emendamenti approvati:

«L’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna definitiva. La difesa processuale è un diritto inviolabile in ogni stato e grado di giurisdizione.

«Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti a norma di legge. Per nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

MASTROJANNI chiede che sia messo a verbale che non approva l’espressione «giudici precostituiti».

BASSO, Relatore, chiede che sia messo a verbale che non approva l’aggiunta «definitiva» alla parola «condanna».

PRESIDENTE pone ai voti l’intero articolo 4.

(È approvato).

Rinvia il seguito dei lavori alla seduta di mercoledì 18 corrente alle 12.

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin, Moro, Togliatti, Tupini.

Assente giustificato: Grassi.

GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

6.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Dossetti – La Pira, Relatore – Grassi – Togliatti – Caristia – Lombardi Giovanni – Moro – Mancini – Basso, Relatore – Marchesi – Lucifero – De Vita – Corsanego – Cevolotto.

La seduta comincia alle 11.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE comunica che i Relatori La Pira e Basso, conformemente al mandato ricevuto, hanno concretato una serie di articoli ricavati dalle loro relazioni, che formano, con i due articoli approvati ieri, un compendio di sette articoli.

Il primo di questi articoli, che dovrà prendere il numero 3, è così formulato:

«Art. 3. – Nessuno può essere privato della libertà personale, se non per atto della autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge.

«La privazione della libertà personale può essere disposta anche dalla autorità di pubblica sicurezza; tuttavia in questo caso l’individuo non può essere trattenuto per più di quarantotto ore, a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia all’autorità giudiziaria e questa non l’abbia convalidata, con proprio atto motivato, entro le ulteriori quarantotto ore. La convalida deve essere ripetuta periodicamente secondo quanto dispongono le leggi.

«Ogni forma di rigore e di coazione che non sia necessaria per venire in possesso di una persona o per mantenerla in stato di detenzione, così come ogni pressione morale o brutalità fisica, specialmente durante l’interrogatorio, è punita».

Chiarisce che la prima parte di questo articolo non è che un’affermazione di un principio di carattere generale e riproduce testualmente la prima parte dell’articolo 1, proposto dall’onorevole Basso nella sua relazione e accettato anche dal relatore La Pira.

DOSSETTI fa due proposte preliminari di carattere sistematico e tecnico circa la redazione degli articoli.

La Costituzione russa, ricordata dalla Sottocommissione durante le sue prime sedute, potrebbe servire di modello. In essa per ogni principio o norma è distinto il diritto riconosciuto dalle norme che ne garantiscono la realizzazione.

Propone che in questo primo articolo, il quale tratta della libertà personale, sia seguita la proposta fatta dalla Commissione di studi del Ministero per la Costituente, cioè di far precedere una dichiarazione generale circa l’inviolabilità della persona umana e stabilire successivamente le varie norme pratiche a garanzia del diritto enunciato. Sarebbe in sostanza una enunciazione più o meno analoga al capoverso dell’articolo 8 della relazione La Pira. Questo diritto alla libertà personale viene poi garantito dagli elementi concreti che sono nella stesura dell’articolo 1 del progetto Basso.

LA PIRA, Relatore, afferma che nel formulare l’articolo aveva pensato allo stesso criterio metodologico ricavato dalla Costituzione russa.

GRASSI, partendo dal concetto che sia opportuno sfrondare di qualunque ideologia le affermazioni degli articoli della Costituzione, ritiene necessario stabilire in forma lapidaria concetti che garantiscano questo diritto. Preferisce la formula dell’onorevole Basso accettata dall’onorevole La Pira, in cui, prescindendo dalla definizione, si stabiliscono i concetti fondamentali.

TOGLIATTI non vede contrasto fra le due proposte.

PRESIDENTE riconosce che non vi è contrasto. L’onorevole Dossetti fa proprio un criterio che avrebbe seguito il relatore La Pira e che è contenuto nella prima parte dell’articolo 8 da lui proposto.

CARISTIA crede che se si deve accennare ad una garanzia, basterebbe dire: questo diritto è garantito conforme alla legge. Con ciò si rimanderebbe alle leggi apposite che si dovranno promulgare per permettere l’esercizio di questo diritto. È questa una materia che non può entrare in sede di Costituzione; la Costituzione può affermare il principio, ma non deve dare le norme per garantirlo.

DOSSETTI afferma che la sua osservazione riguarda essenzialmente la impostazione sistematica che va seguita nella stesura degli articoli. Così non si verrebbe a cadere in quella ideologia cui accennava l’onorevole Grassi e si avrebbe il vantaggio di dare ad ogni norma concreta la sua giustificazione positiva. Questo da un punto di vista redazionale, programmatico ed educativo dovrebbe essere il tono della nostra Costituzione rispetto alle Costituzioni redatte anche negli ultimi tempi.

Lo schema, ad esempio, della dichiarazione dei diritti della Costituzione francese, dal punto di vista redazionale e tecnico, non rappresenta – a suo avviso – un progresso rispetto alle Costituzioni precedenti. Occorre fare cosa che abbia valore sostanziale non solo, ma anche dare alla nostra Costituzione, che nasce in un Paese il quale certamente ha una certa superiorità quanto a tecnica giuridica e ad eleganza di impostazioni giuridiche, una fisionomia caratteristica che potrebbe essere questa: di ogni diritto viene enunciato il concetto, poi vengono enunciati i mezzi tecnici di garanzia senza affermazioni negative o complicazioni ideologiche.

LOMBARDI GIOVANNI pensa che una specificazione di pretto carattere penalistico non sia conveniente.

PRESIDENTE interrompe la discussione per comunicare che è la seconda volta che l’onorevole Ghidini, Presidente della 3a Sottocommissione, verbalmente prima ed oggi per iscritto, fa presente l’opportunità che a certe discussioni della sua Commissione, in ordine a temi che rientrano anche nell’ambito della 1a Sottocommissione, siano presenti alcuni dei membri della 1a Sottocommissione. Ha accennato, ad esempio, all’opportunità che alla discussione riguardante i problemi della famiglia fossero presenti anche gli onorevoli Iotti e Corsanego. Stamane l’onorevole Ghidini sollecitava la presenza dei colleghi Iotti e Marchesi. A lui non sembra opportuno, per ora, che si facciano adunanze miste o che si abbia una partecipazione ad adunanze di altre Sottocommissioni in veste consultiva. Ritiene che occorra prima discutere tutti i temi posti all’ordine del giorno, dopo di che, se sarà necessario ed opportuno, sarà sollecitato rincontro con i colleghi di altre Sottocommissioni.

Chiede ai colleghi di essere autorizzato a dare una risposta in tal senso all’onorevole Ghidini.

(La Commissione concorda).

LOMBARDI GIOVANNI afferma che in uno statuto non si può che enunciare i principî generali, senza scendere al dettaglio. Ora, nell’articolo si stabilisce che si può essere arrestati e che questo arresto può durare 48 ore. Se poi non interviene la denuncia all’autorità giudiziaria, l’individuo dovrebbe essere messo in libertà. Tutte queste specificazioni, a parte il fatto che in pratica non hanno alcun valore, non debbono essere fatte in sede costituzionale.

In sede di Statuto, si dovrebbe semplicemente sancire la libertà della persona che è inviolabile nei modi e nelle forme che le leggi speciali affermeranno. E ciò anche per evitare le conseguenze di un contrasto insanabile con quello che sarà il testo del futuro Codice penale e del Codice di procedura penale della Repubblica.

Qui non si debbono fave affermazioni che limitino la libertà di coloro che dovranno poi procedere alla sistemazione delle leggi penali. Propone quindi che si dica più semplicemente: «La libertà della persona è inviolabile nei modi e nelle forme che le leggi speciali stabiliranno».

In linea subordinata, nel caso che la Sottocommissione volesse procedere a dettagli, ritiene che il termine di 48 ore sia eccessivo.

MORO rileva che l’onorevole Lombardi ha delle idee singolari sui rapporti tra Costituzione e leggi speciali. Qualche giorno fa, ad esempio, egli chiedeva che fossero promulgati i Codici prima della Costituzione. Invece è il Codice che deve prendere ispirazione dalla Costituzione e quindi anche il Codice penale deve seguire alla Costituzione. La funzione della Costituzione è appunto quella di determinare il supremo indirizzo della legislazione. Perché rinviare alla legge la determinazione di una materia come questa, che tocca così profondamente la libertà individuale? È proprio la Costituzione che deve garantirla ponendo i limiti alla legge penale futura. Quanto ai limiti di tempo stabiliti perché l’autorità di pubblica sicurezza presenti denuncia all’autorità giudiziaria, si potranno anche discutere, ma pensa che debbano essere mantenuti per una ragione di fatto.

LOMBARDI GIOVANNI ricorda che la legge penale dice: «salvo i casi di flagranza».

MORO osserva che si può discutere se il termine debba essere fissato in 24 o 48 ore, ma l’esperienza dice che non bisogna restringere eccessivamente i limiti di tempo, per non costringere l’autorità di pubblica sicurezza a violare le disposizioni di legge. Non ritiene invece discutibile la competenza della Costituzione a prendere posizione su questo punto. Rimettersi alla legge significherebbe autorizzare la legge a determinare il limite di detenzione, per esempio, fino ad un anno.

MANCINI non entra nel merito dell’articolo. Osserva che la discussione verte sulla proposta dell’onorevole Dossetti che non è in contrasto col concetto del collega Basso, anzi lo ribadisce ancora di più. La proposta Dossetti – a suo avviso – non solo deve essere accolta dal punto di vista programmatico, tecnico ed ideologico, ma anche da un punto di vista pratico. Trattandosi di libertà personale, la quale deve essere il fondamento della nostra Costituzione, è meglio che preceda una norma positiva e segua poi la norma negativa.

TOGLIATTI è d’accordo con quanto ha proposto l’onorevole Dossetti. È opportuno far precedere la formulazione del principio e quindi quella della garanzia costituzionale, giuridica: ciò dà un maggior rilievo alla Costituzione.

Per quanto riguarda il contenuto dell’articolo, richiama l’attenzione dei colleghi su questo punto della Costituzione che è l’habeas corpus dei cittadini. La formulazione è difettosa ed è difettosa proprio per gli argomenti portati dal collega Moro. Rinviare tutto alla legge apre una quantità di eccezioni che devono essere risolte specificatamente dalla legge. E allora sarà la legge che deciderà dell’habeas corpus e non la Costituzione.

In un punto dell’articolo si dice che è vietato ogni maltrattamento degli arrestati, specialmente in sede di interrogatorio. La sua esperienza, in questo campo, crede sia superiore a quella dei colleghi, ed egli fa presente di essere stato sottoposto a quelle forme di pressione a cui fa riferimento l’articolo.

Per quanto riguarda la questione di rinviare alla legge o specificare in sede costituzionale, è d’accordo con l’onorevole Moro. Tutti questi rinvii distruggono l’habeas corpus, il quale non verrebbe più ad essere quello che tutti vogliono.

PRESIDENTE, poiché vi è accordo, fra i colleghi Togliatti, Dossetti, Lombardi e Moro nel ritenere che un’affermazione di principio debba essere fatta prima di arrivare ad una specificazione, prega il collega Dossetti di voler formulare la sua proposta.

DOSSETTI propone di far precedere la prima parte dell’articolo 3 da queste parole: «La libertà personale è inviolabile».

BASSO, Relatore, non sarebbe contrario a questa aggiunta; però, essendo contrario alle ridondanze che diminuirebbero il valore della Costituzione, fa notare che con l’aggiunta proposta si esprime due volte lo stesso concetto.

GRASSI è d’accordo con il collega Basso. Gli sembra inutile l’aggiunta proposta dal collega Dossetti. Infatti, mentre in principio si fa una enunciazione generale, subito dopo si ha una parte negativa nella quale si stabilisce che nessuno può essere privato della libertà personale se non per atto dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge. Sarebbe meglio allora dirlo apertamente, senza mantenere una parte positiva e poi un’altra negativa.

DOSSETTI non è d’accordo su questo concetto: infatti il contenuto giuridico della norma è la inviolabilità della libertà personale; poi segue non un’eccezione a questa libertà, che trova la sua garanzia completa nel primo capoverso dell’articolo proposto dal collega Basso, ma una modificazione formale che toglie anche l’apparente contraddizione di cui si preoccupa l’onorevole Grassi. Infatti l’atto dell’autorità giudiziaria non è una violazione della libertà personale. La violazione suppone la illegittimità, la ingiustizia; dove non vi è injura non vi è più violazione. Il contrasto è soltanto tra i termini, ed ecco perché non si dovrebbe parlare di privazione della libertà, ma si dovrebbe parlare, come parlano di solito le altre Costituzioni, di detenzione o di arresto. Si dovrebbe, perciò, dire che la libertà personale è inviolabile e poi aggiungere che «nessuno può essere trattenuto o arrestato se non ecc.».

Uno schema simile del resto lo si trova nell’articolo 14 della Costituzione di Weimar e nello articolo 127 della Costituzione russa.

D’altra parte, anche se fosse mantenuta la dizione attuale, si tratterebbe solo di una contraddizione formale. Non si può parlare di una violazione della libertà, quando questa avviene nei casi e nei modi previsti dalla legge per una superiore esigenza della comunità sociale.

MARCHESI è d’accordo che il principio da stabilire sia questo, che cioè quando la libertà personale viene a ledere l’ordine giuridico o la libertà altrui non è più inviolabile.

PRESIDENTE ritiene che, poiché nessuno fa osservazioni, si intende approvato che l’articolo 3 comincia con la seguente affermazione: «La libertà personale è inviolabile».

Passando alla prima parte dell’articolo 3 nella formula proposta dai relatori Basso e La Pira, fa osservare che per legare la prima parte dell’articolo all’affermazione che precede, invece di dire: «Nessuno può essere privato della libertà personale», sarebbe meglio dire: «La libertà personale è inviolabile. Questa può essere limitata, solo per atto dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge». Si tratta soltanto di una questione di forma.

LUCIFERO osserva che dal momento che si entra nella formulazione delle norme concrete dei diritti, sarebbe meglio usare termini più specifici. Pertanto, invece di dire: «Nessuno può essere privato della libertà personale», si potrebbe dire: «Nessuno può essere arrestato».

Aggiunge che nella prima parte dell’articolo si dice che nessuno può essere privato della libertà personale, se non per atto dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge; nella seconda parte invece si dice che la privazione della libertà personale può essere disposta anche dall’autorità di pubblica sicurezza, ma non si aggiunge: «nei casi e nei modi previsti dalla legge». Pensa che questo vincolo dovrebbe essere mantenuto anche nel secondo caso, altrimenti potrebbe sembrare che la pubblica sicurezza avesse una certa elasticità, una specie di facoltà discrezionale nel privare il cittadino della libertà personale, mentre ciò non sarebbe consentito all’autorità giudiziaria. Pertanto bisognerebbe dire che la privazione della libertà personale può essere disposta dall’autorità giudiziaria e dell’autorità di pubblica sicurezza, sempre però nei casi e nei modi previsti dalla legge.

Nel caso venisse accolta la proposta di sostituire alle parole: «privato della libertà personale», l’altra: «arrestato», raccomanda, anche di aggiungere la parola: «fermato». Cioè si dovrebbe dire: «Nessuno può essere arrestato o fermato»; altrimenti la pubblica sicurezza potrebbe fermare e nessuna disposizione lo vieterebbe.

TOGLIATTI è d’accordo nell’indirizzo proposto dal collega Lucifero, cioè di usare la massima concretezza. Pertanto propone che si dica: «Nessuno può essere arrestato se non per avere violato la legge e per mandato dell’autorità giudiziaria».

PRESIDENTE osserva che è difficile stabilire un criterio di valutazione della violazione della legge. Si presume che quando l’autorità giudiziaria interviene si sia violata la legge.

La proposta dell’onorevole Lucifero muove dal presupposto che ponendo nell’articolo un limite soltanto valido per l’autorità giudiziaria, implicitamente si venga a dire che questo limite non è obbligatorio per la pubblica sicurezza. Si dovrebbe cioè dire che: «Nessuno può essere arrestato se non per atto dell’autorità giudiziaria e dell’autorità di pubblica sicurezza nei casi e nei modi previsti dalla legge», per non dare adito al dubbio che si voglia conferire all’autorità di pubblica sicurezza un’estensione di poteri maggiore di quella dell’autorità giudiziaria.

LUCIFERO ripete la sua proposta di aggiungere esplicitamente che non è consentito neppure il fermo di polizia.

DE VITA è d’accordo nel ritenere che si debba limitare al massimo il potere dell’autorità di pubblica sicurezza, stabilendo che nessuno può essere fermato o arrestalo dall’autorità di pubblica sicurezza tranne casi determinati che si dovrebbero specificare.

LUCIFERO insiste nel proporre che si debba fissare con una disposizione precisa il concetto che non esiste nel nostro ordinamento un fermo di polizia, senza stabilire alcuna eccezione.

DE VITA ritiene eccessivo abolire senz’altro il fermo.

PRESIDENTE fa rilevare la necessità di limitare la discussione alla prima parte della proposta Lucifero, quella cioè che considera il caso della limitazione della libertà personale, anche in riferimento alla autorità di pubblica sicurezza.

La questione di mantenere, oppure no, il fermo di polizia potrà essere discussa in un secondo tempo.

BASSO, Relatore, non ritiene facile limitarsi nella discussione, perché si tratta di questioni collegate.

Se si ammette che la pubblica sicurezza ha la facoltà di arrestare, non è possibile toglierle la possibilità di disporre il fermo, e ciò tanto più se si tiene conto dei casi di delinquenza comune.

Pertanto pensa che la formula da lui suggerita sia la migliore. Essa infatti è così ampia che comprende l’arresto, il fermo e qualsiasi altra ipotesi presente e futura. Nessuno può essere privato della libertà personale, se non per un atto dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge. La pubblica sicurezza, che ha preso un individuo sia a titolo di arresto, sia a titolo di fermo, entro 48 ore deve denunciarlo all’autorità giudiziaria, qualunque sia la motivazione. Gli sembra che questo sia veramente il solo modo concreto di prendere tutte le precauzioni.

Così pure non può accettare la proposta del collega Togliatti, che vorrebbe aggiungere il criterio della violazione della legge per poter effettuare l’arresto. Non è facile stabilire subito quando c’è la violazione della legge. Evidentemente l’autorità giudiziaria procederà soltanto nei casi e nei modi previsti dalla legge, come è detto dall’articolo.

PRESIDENTE fa presente che, essendo stata approvata la dizione da preporre all’articolo 3 «La libertà personale è inviolabile», il primo capoverso dell’articolo stesso è il seguente: «Nessuno può essere privato della libertà personale, se non per atto dell’autorità giudiziaria, nei casi e nei modi previsti dalla legge».

In questo primo capoverso il collega Lucifero vorrebbe aggiungere anche per l’autorità di pubblica sicurezza i limiti posti all’autorità giudiziaria. Quindi il capoverso sarebbe modificato nel modo seguente: «Nessuno può essere arrestato se non per atto dell’autorità giudiziaria e dell’autorità di pubblica sicurezza nei casi e nei modi previsti dalla legge».

LUCIFERO vorrebbe che gli stessi vincoli che legano l’autorità giudiziaria debbano anche legare l’autorità di pubblica sicurezza per evitare fermi abusivi e prolungati, dei quali anche egli fu vittima. Insiste perché questa facoltà di fermare le persone sia esclusa dalla nostra legislazione.

PRESIDENTE fa presente che l’autorità giudiziaria non va confusa con l’autorità di pubblica sicurezza. L’intervento della pubblica sicurezza ha un carattere preventivo e quindi questo argomento va trattato in un capoverso a parte. Se il collega Lucifero sente la opportunità di questa distinzione, le sue osservazioni potranno trovare sede adatta quando si parlerà delle limitazioni dei poteri della pubblica sicurezza.

DOSSETTI vuole distinguere nettamente l’arresto giudiziario da quello di pubblica sicurezza. Non si tratta di una questione di parole, ma della natura giuridica di questi due atti. Il fermo ha una natura giuridica diversa, che è dovuta alla diversa autorità che lo dispone. Premesso questo, i due atti dovrebbero essere regolati da due capoversi distinti: il primo capoverso dovrebbe essere enunciato in maniera generica e contemplare l’atto dell’arresto, e non direbbe privazione della libertà personale, per non mettersi in contraddizione anche solo apparente col principio dell’inviolabilità della persona umana. Pertanto propone la dizione: «Nessuno può essere arrestato o detenuto se non per atto dell’autorità giudiziaria e solo nei casi è nei modi previsti dalla legge».

In un successivo capoverso potrebbe essere contemplato il fermo di pubblica sicurezza.

A tale proposito ritiene evidente che la esclusione del fermo sia impossibile, perché di questa esclusione beneficerebbe specialmente la delinquenza comune. Non rimane dunque che stabilire una garanzia perché il fermo di pubblica sicurezza non sia indebitamente prolungato. Per questo basterà stabilire che il fermo deve avere una durata brevissima e che, da un certo momento in poi, deve intervenire l’autorità giudiziaria per convalidarlo in base ai motivi che solo essa può accertare.

Pertanto, dopo aver detto: «Nessuno può essere arrestato o detenuto, se non per atto dell’autorità giudiziaria, e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge», si dovrebbe aggiungere: «Per ordine della pubblica sicurezza l’individuo non può essere fermato o trattenuto per più…». E qui basterebbe stabilire il termine entro il quale l’autorità giudiziaria deve intervenire e la natura di questo intervento.

PRESIDENTE pensa che intanto vada tenuta ferma la prima parte dell’articolo che riguarda l’autorità giudiziaria. Poi, parlando del fermo e dell’arresto o della privazione della libertà personale saranno stabiliti i criteri e i limiti di questo intervento.

Pone in discussione la formulazione proposta dall’onorevole Dossetti per il primo comma dell’articolo 3.

LUCIFERO pensa che si possa stabilire subito nella Costituzione una differenziazione terminologica dell’arresto, della detenzione e del fermo, che è un provvedimento della pubblica sicurezza da convalidarsi e trasformarsi in arresto dall’autorità giudiziaria entro un determinato termine. Questa differenziazione potrebbe essere fatta nel secondo capoverso.

CORSANEGO è favorevole a conservare nel primo capoverso dell’articolo la formula proposta dai Relatori. La libertà personale non si vìola soltanto coll’arresto e con il fermo di polizia; vi sono state o vi sono altre forme di violazione della libertà personale, quali ad esempio obbligare un individuo a recarsi alla sede del fascio per essere interrogato, imporgli di non rientrare nella sua casa sotto pena di morte, vietargli di aprire un negozio perché è di un partito contrario. Queste sono forme di privazione della libertà personale che recano al cittadino spesso più danno che non il fermo per due o tre giorni.

BASSO, Relatore, insiste per la formula proposta da lui e dal collega La Pira, facendo presente che, poiché è stata premessa all’articolo la frase: «La libertà personale è inviolabile», il primo capoverso dell’articolo andrebbe così modificato: «Nessuno può esserne privato se non per atto dell’autorità giudiziaria, ecc.»

Di fronte a tutta la casistica di polizia occorre una formula generica ed ampia per evitare che qualche nuovo espediente poliziesco venga a limitare la libertà personale.

MORO non è d’accordo con l’onorevole Corsanego, in quanto i casi da lui indicati costituiscono reati previsti dalla legge.

Riconosce, col collega Basso, che è preferibile una formula generica per evitare ogni possibile nuovo espediente ai danni della libertà. Ma quando si stabilisce che l’autorità di pubblica sicurezza può fermare un individuo solo per fondato sospetto di reato e limitatamente alle 48 ore, perché oltre questo limite deve seguire la denuncia all’autorità giudiziaria, si può stare tranquilli: nessuna legge speciale potrà inventare nuove forme di limitazione della libertà.

DOSSETTI, per andare incontro alle preoccupazioni dell’onorevole Basso e in parte a quelle dell’onorevole Corsanego, aggiunge nella dizione da lui proposta dopo la parola «arrestato», l’avverbio «o comunque».

LOMBARDI GIOVANNI preferisce la formula dei Relatori. Le altre proposte gli sembrano troppo specifiche, più conformi ad una legge speciale che ad una legge statutaria. La formula: «Nessuno può essere privato della libertà personale» è la più ampia, comprende l’arresto, la detenzione, il fermo e qualunque altra forma vessatoria che possa venire in mente all’autorità di pubblica sicurezza. Inoltre risulta dalla formula Basso-La Pira che questo diritto di privazione della libertà personale appartiene anzitutto all’autorità giudiziaria; si fa poi una concessione accordandolo all’autorità di pubblica sicurezza.

LA PIRA, Relatore, riconosce l’utilità della specificazione; però, adottando una formula generale comprendente il fermo, l’arresto e la detenzione, le preoccupazioni dell’onorevole Corsanego dovrebbero cadere. Questa formula è più conforme ad una Costituzione e consente tutte le garanzie.

MANCINI dichiara di essere favorevole alla dizione dei Relatori che è più comprensiva. Aggiunge che, dal punto di vista del diritto penale, chi è arrestato è detenuto, quindi si domanda che cosa significhi arrestato o detenuto. La formula più chiara e più comprensiva è quella che dice «essere privato della libertà».

DOSSETTI spiega il concetto ispiratore della sua proposta: fare cioè un articolo che sia, anche dal punto di vista formale, coerente nelle sue diverse enunciazioni.

Se si dice «La libertà personale è inviolabile», e poi si aggiunge che si può esserne privati per atto dell’autorità giudiziaria, effettivamente si pone in essere una contraddizione, qualche cosa che intacca la forza dell’enunciato, mentre con la sua proposta la forza dell’enunciato generale è accresciuta. Si dichiara che la libertà personale è inviolabile e poi si prevede un fatto giuridico, che una persona sia messa in stato di detenzione per un atto dell’autorità giudiziaria e si dice: «La detenzione può avvenire per solo atto dell’autorità giudiziaria e solo nei casi previsti dalla legge». Di qui si passa alla eccezione concessa all’autorità di pubblica sicurezza. È tutto un succedersi di concetti che rafforza e non attenua il valore di quanto è stato affermato in primo posto.

Qui si parla di violazione della libertà personale in seguito ad arresto o a detenzione; altre forme di privazione non rientrano in questo articolo. La libertà a cui allude l’onorevole Corsanego è una libertà più complessa che va fino a quella di aprire un negozio, mentre in questa sede si considera soltanto quella libertà che si concreta nella capacità e possibilità di dislocarsi da un posto all’altro.

LOMBARDI GIOVANNI fa rilevare che la discussione non verte sul concetto, ma sulla espressione e la formula «privato della libertà personale» non è in contrasto con la progressione indicata dall’onorevole Dossetti; è solo una espressione più precisa.

LUCIFERO, quale proponente della formula, fa presente al collega Basso che gli italiani, ma non solo essi, escono da una serie di esperienze che insegnano come siano state trovate delle formule che danno la possibilità di violare il diritto alla libertà personale. Occorrono quindi formule-catenaccio che non diano possibilità di evasione.

Insiste perché sia mantenuto il termine «detenzione». Arresto e detenzione sono due cose diverse.

MANCINI osserva che non vi può essere l’arresto senza che vi sia anche la detenzione.

PRESIDENTE ritiene necessario, perché rimanga traccia del pensiero del legislatore, di coloro cioè che prepararono la Costituzione, che si fissi il concetto sul quale tutti sono d’accordo, che, cioè, la libertà personale non deve essere violata. Le varie proposte mirano a stabilire con parole diverse l’identico concetto.

Secondo lui, la formula «privazione della libertà personale», poiché non dà luogo a nessuna casistica e comprende tutti i casi, è in sostanza la più comprensiva. Comunque, vi sono due proposte distinte: quella dei Relatori e quella dell’onorevole Dossetti.

Metterà ai voti prima la formulazione proposta dall’onorevole Dossetti, poiché, essendo innovatrice, deve avere la precedenza nel voto. È chiaro che se questa non viene approvata, resta approvata la proposta dei Relatori.

Pone ai voti la proposta Dossetti: «Nessuno può essere arrestato o detenuto, se non per atto dell’autorità giudiziaria, e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge».

(La proposta non è approvata).

Dichiara allora approvata la formula dei Relatori: «Nessuno può esserne privato, se non per atto dell’autorità giudiziaria, nei casi e nei modi previsti dalla legge».

Pone in discussione il successivo capoverso dell’articolo 3, il quale dice:

«La privazione della libertà personale può essere disposta anche dall’autorità di pubblica sicurezza; tuttavia in questo caso l’individuo non può essere trattenuto per più di 48 ore, a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia all’autorità giudiziaria e questa non l’abbia convalidata, con proprio atto motivato, entro le ulteriori 48 ore. La convalida deve essere ripetuta periodicamente, secondo quanto dispongono le leggi».

CEVOLOTTO ritiene, con questa dizione, superato quel dubbio che era stato formulato anche da lui a proposito del capoverso precedente circa il fermo di polizia, perché in questo capoverso vengono posti dei limiti inderogabili e delle formalità da espletare. Si supera anche la questione, più di forma che di sostanza, che faceva l’onorevole Dossetti, raccolta anche dall’onorevole Moro, e cioè che si autorizzasse la pubblica sicurezza ad operare il fermo in casi di flagranza. Il fermo sarà poi trasformato in arresto dall’autorità giudiziaria. Una formulazione troppo generica inciderebbe sul Codice di procedura penale. Con l’espressione: «La privazione della Libertà personale», si comprende qualsiasi forma di privazione di libertà personale.

L’onorevole Lombardi ha proposto la riduzione dei termine a 24 ore, ma considerando che occorre del tempo perché l’autorità di pubblica sicurezza riferisca all’autorità giudiziaria e questa convalidi l’arresto, evidentemente 24 ore sono troppo poche; forse anche il termine di 48 ore è assai ristretto. È opportuno mettere dei termini ristretti, ma non occorre eccedere per non costringere le autorità di pubblica sicurezza a ricorrere ad altri espedienti.

Osserva che nel capoverso si specificano delle norme che sono proprie del Codice di procedura penale e non debbono essere trasferite in una carta costituzionale. Quando si dice «con proprio atto motivato», è d’accordo nella sostanza, ma non ritiene sia questo il posto per dirlo; e altrettanto ripete per l’altra norma secondo cui la convalida deve essere fatta entro le ulteriori 48 ore e ripetuta periodicamente.

Propone quindi la soppressione dell’ultima parte del capoverso: «con proprio atto motivato, entro le ulteriori 48 ore. La convalida deve essere ripetuta periodicamente, secondo quanto dispongono le leggi».

LOMBARDI GIOVANNI aggiunge che non è giuridicamente esatta la frase «la convalida deve essere ripetuta periodicamente». L’autorità giudiziaria ha in un primo tempo convalidato l’arresto; ogni ulteriore procedimento spetta all’autorità stessa. Questo fa parte di quelle tali norme per cui entro 6 mesi l’autorità giudiziaria deve convalidare o meno il proprio mandato di cattura. È una disposizione specifica della legge penale e non deve trovare posto in uno statuto.

LUCIFERO ritiene che la frase «la convalida deve essere ripetuta periodicamente ecc.» sia stata ispirata da considerazioni di ordine pratico. Quando il magistrato riceve un voluminoso pacco di segnalazioni di arresto da parte della pubblica sicurezza, e entro 48 ore deve esaminarlo, finirà col convalidare tutto, salvo poi, in un secondo tempo, esaminare specificamente caso, per caso. Questo è quello che avverrà in pratica. Queste ulteriori convalide hanno effettivamente il significato che, dopo la prima convalida di urgenza, l’esame deve essere approfondito; e qui occorrerebbe – a suo avviso – stabilire un termine per rendere efficiente la norma.

CEVOLOTTO risponde che a questo provvederà il Codice di procedura penale.

LUCIFERO osserva che il Codice di procedura penale non è una legge costituzionale.

Dichiara che se l’intendimento dei relatori era quello da lui esposto, voterà per il mantenimento della frase.

MANCINI ricorda che nel Codice di procedura penale vi è una disposizione la quale stabilisce che l’autorità di pubblica sicurezza deve presentare entro 24 ore i propri verbali all’autorità giudiziaria. Praticamente, se non interviene l’avvocato, l’autorità giudiziaria non sollecita dagli organi di polizia la presentazione dei verbali. Perciò alla frase: «tuttavia in questo caso l’individuo non può essere trattenuto per più di 48 ore», dovrebbe esserne sostituita un’altra del seguente tenore: «tuttavia in questo caso l’individuo deve essere messo immediatamente in libertà, tranne che l’autorità giudiziaria non intervenga con atto motivato entro 48 ore». Sostituirebbe inoltre la frase: «a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia all’autorità giudiziaria e questa non l’abbia convalidata, con proprio atto motivato, entro le ulteriori 48 ore», con la frase: «a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia alla autorità giudiziaria e questa non l’abbia convalidata con proprio atto motivato entro le ulteriori 48 ore, e questo non sia seguito, in altre 48 ore da un ordine o da un mandato di cattura». Si eviterebbe così di parlare di «convalide», che è un termine fuori del diritto.

PRESIDENTE osserva che, ammesso l’intervento della pubblica sicurezza, questo non va sottoposto a casistiche che sono più proprie di una legge speciale o del Codice di procedura penale che non della Costituzione. La Costituzione deve andare per vie maestre. Dapprima afferma che la libertà personale è inviolabile, poi aggiunge che potrà essere tolta soltanto dall’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge. È ammessa anche la privazione della libertà personale disposta dall’autorità di pubblica sicurezza, ma questa facoltà deve essere chiaramente limitata. Propone perciò di sostituire alla formula dei relatori la seguente: «Il fermo o l’arresto di polizia non può avere una durata superiore a 48 ore. Oltre questo limite è necessaria la convalida motivata dell’autorità giudiziaria». Questo è un principio semplicissimo; le leggi speciali stabiliranno le norme esecutive.

MANCINI chiede perché si vuol dare alla autorità giudiziaria quel potere che si vuol togliere all’autorità di pubblica sicurezza. Quando si dice che per togliere la libertà personale basta la convalida dell’autorità giudiziaria si afferma una cosa molto grave. Solo un ordine od un mandato di cattura dovrebbe privare il cittadino della libertà personale.

PRESIDENTE spiega che la formula da lui proposta va interpretata facendo riferimento al precedente capoverso, il quale prevede che l’autorità giudiziaria nei suoi interventi sia legata ai casi e ai modi previsti dalla legge. Il fermo o l’arresto non può avere una durata superiore alle 48 ore; oltre questo limite sarà sempre necessaria la convalida motivata dell’autorità giudiziaria.

MANCINI ricorda che nel Codice di procedura penale si parla di ordine o mandato di cattura e non di convalida, quindi si dovrebbe dire che, dopo quel termine, deve seguire un ordine o un mandato di cattura.

CEVOLOTTO rileva che con la formula proposta dal Presidente: «Il fermo o l’arresto non può durare più di 48 ore a meno che ecc.», è ammesso il fermo di polizia. Poi si aggiunge che dopo quel termine occorre una convalida dell’autorità giudiziaria e così si avrebbe un fermo convalidato dall’autorità giudiziaria.

PRESIDENTE consente che invece di «convalida», si dica «ordine o mandato di cattura».

La consacrazione poi, nella Costituzione, del fermo come istituto di fatto della polizia non gli sembra così pericolosa, perché il fermo non può durare più di 48 ore e questa è una garanzia sufficiente per il cittadino.

Quindi si potrebbe dire: «Il fermo o l’arresto non può avere una durata superiore alle 48 ore; oltre questo limite sarà sempre necessaria la convalida motivata per mezzo di un ordine o di un mandato di cattura dell’autorità giudiziaria».

DOSSETTI dichiara che riproporrà in seconda istanza il concetto che è stato respinto.

Innanzitutto propone che la frase «la privazione della libertà personale, ecc.» venga soppressa, perché in contraddizione col principio che egli tiene a riaffermare, che nessuno, cioè, può essere privato della libertà personale, se non per ordine dell’autorità giudiziaria.

Fatta questa affermazione, potrebbe aspettare la formula proposta dal Presidente con una variante più radicale, non accennando al fermo; dopo aver detto che può essere disposta la privazione della libertà personale solo per ordine dell’autorità giudiziaria, aggiungerebbe che, per ordine dell’autorità di pubblica sicurezza, nessuno può essere trattenuto per più di 48 ore. Dopo tale termine, deve essere rimesso in libertà, a meno che prima sia intervenuta una denunzia all’autorità giudiziaria e questa, entro le ulteriori 48 ore, abbia disposto l’arresto.

MANCINI propone che si dica che l’individuo deve essere rimesso in libertà se non segue, dopo questo termine, un mandato di cattura.

MORO domanda se non sia il caso di affrontare anche il problema del confino di polizia.

MANCINI mantiene la sua prima proposta, che il fermo o l’arresto di polizia non possono avere durata superiore alle 48 ore. Accetta la precisazione del collega Dossetti che, dopo tale termine, il fermato deve essere rilasciato a meno che non sia intervenuta una denuncia all’autorità giudiziaria e questa entro le ulteriori 48 ore abbia disposto l’arresto.

BASSO, Relatore, anche per la prima parte adotterebbe la formula Dossetti. Qualunque specificazione rappresenta una diminuzione. Comprende le preoccupazioni del collega Moro di dare qualche specificazione per quanto riguarda i provvedimenti che può prendere la polizia; quindi accetta il testo proposto dal collega Dossetti integrato da una disposizione che garantisca di fronte ad un arresto non motivato.

Al collega Lucifero, che teme che il mandato di cattura emesso in fretta senza una sufficiente motivazione o informazione possa avere come conseguenza la permanenza in carcere per molti mesi, osserva che si tratta di materia di competenza del Codice di procedura penale. Il limite di tempo oltre il quale, se non interviene un nuovo provvedimento, l’arrestato non può essere trattenuto, dovrebbe essere stabilito come lo è nella Costituzione francese.

Aderisce quindi alla proposta del collega Dossetti con l’aggiunta della specificazione del motivo per cui si procede all’arresto.

DE VITA vorrebbe che si trattasse anche del confino di polizia.

PRESIDENTE risponde che ne sarà trattato in un secondo tempo.

CEVOLOTTO richiama l’attenzione dei colleghi sul punto che ha trattato l’onorevole Basso: è una norma del Codice di procedura penale che si introduce e che va esaminata a fondo, perché recherebbe un enorme lavoro alle procure e ai giudici istruttori. Non è bene, d’altra parte, specificare troppo in sede costituzionale.

PRESIDENTE insiste sulla sua formula, la quale – a suo avviso – non pregiudica nulla e che si riferisce alle garanzie che per legge dovranno regolare il funzionamento dell’autorità giudiziaria. La precisa nei seguenti termini: «Il fermo e l’arresto di polizia non può avere durata superiore a 48 ore; oltre questo limite è necessaria la convalida motivata dell’autorità giudiziaria per mezzo di ordine o mandato di cattura». Il Codice penale e quello di procedura penale stabiliranno poi i modi concreti di attuazione. In tal modo si garantisce la libertà personale e si viene incontro a tutte le preoccupazioni espresse durante la discussione.

DOSSETTI fa rilevare che, secondo questa proposta, la convalida deve avvenire prima che siano scadute le 48 ore. Invece nella proposta La Pira-Basso vi è un primo termine di 48 ore entro cui le autorità di pubblica sicurezza debbono fare la denunzia alla autorità giudiziaria, la quale entro le ulteriori 48 ore dovrà convalidarla. Osserva che accadrà di frequente che il giudice non potrà nelle prime 48 ore fare l’interrogatorio.

PRESIDENTE ritiene giusta questa osservazione e così corregge la sua proposta: «Oltre questo limite, e in ogni caso entro le 48 ore successive, è necessario, ecc.».

BASSO, Relatore, direbbe: «Il fermo o l’arresto di polizia non può durare più di 48 ore; dopo tale termine il fermato deve essere rimesso in libertà», – affermazione precisa che è bene fare – «a meno che prima non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria e questa entro le successive 48 ore abbia emesso ordine o mandato di cattura».

CEVOLOTTO trova accettabile la formula; ma l’obiezione del collega Moro è questa: la autorità di pubblica sicurezza può fermare un individuo per varie ragioni, per esempio per non farlo votare. Lo tiene dentro 24 ore, poi lo rimette in libertà e dopo qualche altro giorno lo ferma di nuovo e così di seguito senza incorrere nei termini prescritti e senza darne conto a nessuno. Ora questo è un po’ grave.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Cevolotto che la Sottocommissione prepara una Costituzione democratica e non una Costituzione di uno Stato totalitario. In uno Stato democratico ci sono i Deputati, c’è una libera stampa, che possono intervenire quando la legge sia violata e quando si commettono abusi. In regime democratico le cose andranno diversamente che in regime fascista.

DE VITA fa notare che anche in regime democratico vi è la possibilità del sopravvento di una fazione.

MARCHESI risponde all’osservazione e al monito del Presidente che la Costituzione non è fatta per l’eternità e che ogni regime politico e ogni Costituzione hanno in sé, se non i germi necessari, quelli probabili di degenerazione. Va sempre garantito il cittadino contro la temerarietà e l’arbitrarietà dell’azione di polizia e perciò si associa interamente alle preoccupazioni sollevate dall’onorevole Moro. Bisogna specificare che questo fermo od arresto preventivo di polizia non deve essere né temerario né arbitrario e stabilire bene le sanzioni nel caso che lo sia.

PRESIDENTE propone che si dica: «Il fermo o l’arresto di polizia non può avvenire che per fondato sospetto di reato e non può avere durata superiore a 48 ore, ecc.».

MORO proporrebbe: «per fondato o serio sospetto di reato».

LOMBARDI GIOVANNI chiede chi è che giudicherà della fondatezza.

Ricorda il sospetto che circonda l’operato della pubblica sicurezza. Anzi, a questo proposito, invece di pubblica sicurezza direbbe polizia giudiziaria, della quale fa parte la pubblica sicurezza. La terminologia generica è «polizia giudiziaria».

PRESIDENTE osserva che la polizia giudiziaria è quella che interviene nell’applicazione della sentenza e che esegue i mandati di cattura.

LOMBARDI GIOVANNI rileva che la polizia giudiziaria è un complesso di cui fa parte la pubblica sicurezza. Evitare ogni sospetto non è possibile neanche con la proposta del collega Moro. Il solo modo per evitare qualunque sospetto consiste nel dare un solo diritto alla pubblica sicurezza o polizia giudiziaria: quello di arrestare soltanto in caso di flagranza di reato.

In uno Stato veramente democratico dovrebbe essere così; ed egli presenta formale proposta perché in qualunque altro caso l’autorità giudiziaria debba decidere sul rapporto dell’autorità di pubblica sicurezza. Non deve essere consentito alla pubblica sicurezza di arrestare per sospetti, siano pure fondati; essa deve intervenire per mandato dell’autorità giudiziaria.

Propone pertanto la seguente formula: «L’autorità di pubblica sicurezza può arrestare solo nei casi di flagranza. Per ogni sospetto o denunzia, siano pure fondati, occorre l’ordine o il mandato di cattura dell’autorità giudiziaria».

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Lombardi, dichiarando però di essere contrario a questa formula.

(La proposta non è approvata).

Avverte che il seguito della discussione è rinviato a martedì 17 settembre, alle ore 10.

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assente giustificato: Mastrojanni.

MERCOLEDÌ 11 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

5.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 11 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Mancini – Mastrojanni – Dossetti – Lucifero – Cevolotto – Grassi – Merlin Umberto – Marchesi – Lombardi Giovanni – Basso, Relatore – La Pira, Relatore – Togliatti – Moro – De Vita – Caristia.

La seduta comincia alle 11.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE ricorda che nella precedente riunione, a conclusione della lunga discussione avvenuta, fu dato incarico ai colleghi La Pira e Basso di concretare in due articoli il risultato acquisito nella discussione.

I relatori hanno così formulati i due articoli:

«Art. 1. – La presente Costituzione, al fine di assicurare l’autonomia e la dignità della persona umana e di promuovere ad un tempo la necessaria solidarietà sociale, economica e spirituale, in cui le persone debbono completarsi a vicenda, riconosce e garantisce i diritti inalienabili e sacri all’uomo, sia come singolo sia come appartenente alle forme sociali, nelle quali esso organicamente e progressivamente si integra e si perfeziona.»

«Art. 2. – Gli uomini, a prescindere dalla diversità di attitudini, di sesso, di razza, di classe, di opinione politica e di religione, sono uguali di fronte alla legge ed hanno diritto ad uguale trattamento sociale.

È compito della società e dello Stato eliminare gli ostacoli di ordine economico-sociale che, limitando la libertà e l’uguaglianza di fatto degli individui, impediscono il raggiungimento della piena dignità della persona umana ed il completo sviluppo fisico, economico e spirituale di essa.»

Pone in discussione l’articolo 1°, pregando i colleghi di non preoccuparsi troppo di questioni formali, e di limitare le loro osservazioni alla sostanza.

MANCINI ritiene che il concetto espresso dalle parole: «in cui le persone debbono completarsi a vicenda» sia già contenuto nella seconda parte dell’articolo e che, pertanto, anche per ragioni di stile, sarebbe opportuno togliere tale inciso.

MASTROJANNI, se la proposta del collega Mancini non venisse accolta e quindi l’inciso rimanesse, propone che le parole: «debbono completarsi» vengano sostituite dalle altre: «si completano».

DOSSETTI ritiene che con l’espressione proposta si voglia sottolineare in maniera energica l’obbligo della solidarietà sociale e il parallelismo, ai fini della Costituzione, tra il fine di garantire l’autonomia e la dignità della persona umana e quello di promuovere la necessaria solidarietà sociale. Sono questi due obbiettivi ai quali va attribuita una pari importanza.

Quanto alle imperfezioni formali, è del parere che intanto vadano fissati i concetti; poi, in un secondo tempo, si provvederà alle correzioni di forma.

LUCIFERO fa due pregiudiziali. La prima è che senza avere sott’occhio il testo dell’articolo proposto non può essere in grado di affrontare la discussione; la seconda che in questo momento non si discute un ordine del giorno, ma un vero e proprio articolo, che è cosa ben diversa. Non è pertanto d’accordo col Presidente, quando dice che non occorre preoccuparsi della forma, perché, nel fissare i concetti di un articolo, la forma è integrante della sostanza.

PRESIDENTE non nega l’importanza della forma, ma ritiene che quando le osservazioni sulla forma tendono soltanto al perfezionamento dell’espressione possono essere rimandate ad un secondo tempo.

CEVOLOTTO è favorevole alla soppressione dell’inciso per due ragioni: prima di tutto, perché dicendo che le persone debbono completarsi a vicenda, non si esaurisce il concetto di solidarietà, e poi perché quello che più interessa è contenuto nella seconda parte dell’articolo quando si dice: «riconosce e garantisce i diritti inalienabili e sacri all’uomo, sia come singolo sia come appartenente alle forme sociali, nelle quali esso organicamente e progressivamente si integra e si perfeziona».

GRASSI informa che il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, ha manifestato il parere che l’articolo dovrebbe trovar posto nel preambolo.

CEVOLOTTO pensa che per il momento sia più opportuno approvare l’articolo indipendentemente dal suo collocamento, cosa alla quale si provvederà in un secondo tempo. Se si trattasse invece di votare l’articolo mantenendo fermo l’attuale collocamento, dovrebbe fare delle riserve perché, a suo avviso, il primo articolo della Costituzione dovrà essere molto diverso.

Quindi, accogliendo il pensiero dell’onorevole Rumi, è del parere che si debba votare l’articolo in questione, riservando ad un secondo tempo la questione del suo collocamento.

MERLIN UMBERTO non trova molto appropriata la parola «inalienabili», riferita ai diritti. A prescindere dal sapore mercantile della parola, sarebbe opportuno usare l’aggettivo adoperato in altre Costituzioni e, se non erra, in quella dell’89, cioè dire «diritti naturali e sacri dell’uomo». Quando si adopera la parola «naturali» si dice di più, e vi è poi nel termine «sacro» il concetto della inalienabilità.

MARCHESI fa una breve dichiarazione che potrà considerarsi anche come dichiarazione di voto.

Ricorda che nella precedente seduta si parlò dell’uomo come di qualche cosa di assoluto e di perfetto, cui si deve conformare lo Stato. Quest’uomo così concepito è un mito, oppure è il prodotto di una grazia divina. Ma l’uomo, cioè l’uomo politico, l’uomo civile, è un essere sociale il quale va acquistando, di fronte all’instabilità delle leggi scritte, una certa coscienza del diritto naturale, universale e nello stesso tempo, la idea di una suprema giustizia primitiva, sacra ed eterna. Per lui tale coscienza si forma nell’ambito della stessa vita sociale, si forma nella realtà empirica degli organismi storici; per altri, l’uomo viene posto come una fonte originaria di autorità dinanzi alla autorità subordinata dello Stato, onde per premunirsi contro lo Stato totalitario, potrebbe finire per menomare e danneggiare lo Stato democratico. Muovendo dal principio dell’autonomia della persona umana (preferirebbe alla parola «autonomia» la parola «libertà») si potrebbe passare all’autonomia della famiglia, all’autonomia della regione e così via via smobilitare o quasi menomare l’autorità dello Stato e trasferirla in altre mani.

Considerata la delicatezza e la solennità di questa dichiarazione, è d’avviso che la sua votazione dovrebbe avvenire quando sarà esaurito l’esame dei singoli articoli proposti alla Sottocommissione per la formulazione.

PRESIDENTE esprime l’avviso che questa proposta modifichi la decisione adottata nella precedente riunione e nella quale pareva che tutti convenissero. Si disse allora che questo articolo doveva essere il superamento della discussione di carattere generale e fondamentale che aveva impegnato la Sottocommissione, indipendentemente da qualunque preoccupazione circa la precisa formulazione e la definitiva collocazione dello articolo stesso. Occorre tenere sempre presente che il progetto della Sottocommissione dovrà essere sottoposto al vaglio della Commissione centrale e poscia alle decisioni della Assemblea Costituente. Pertanto egli ritiene che la Sottocommissione potrebbe approvare questo articolo ed il successivo proposto che a suo avviso dovrebbero essere collocati in testa alla generale dichiarazione dei diritti e dei doveri. Spetterà ad altro organo di provvedere alla stesura del progetto definitivo, tenuto conto delle proposte elaborate dalla Sottocommissione e delle relative discussioni.

Conclude affermando, che il rinvio proposto dall’onorevole Marchesi riporterebbe la questione al punto in cui si trovava nella precedente seduta e contrasterebbe con le decisioni allora adottate.

LOMBARDI GIOVANNI non è d’accordo né sulla sostanza né sulla forma del proposto articolo, perché gli sembra che in esso si affermi cosa contraria alla storia. Non può sottoscrivere l’affermazione che la legge debba promuovere la solidarietà sociale. Una simile locuzione non è ammissibile, salvo che tutto il mondo non diventi una classe sola; finché vi sono varie classi sociali la solidarietà è un nome vago.

È vero che nel 1700, in un’epoca cioè anteriore alla Rivoluzione francese, fu scritto da Federico Bastiat un libro sulle armonie economiche, ma egli non può sottoscrivere un errore storico o sociologico di tale importanza. Rileva che se si dovessero fare affermazioni di principî sociali, dovrebbe consentirsi alla minoranza di specificare quello che intende per solidarietà sociale. Nella legge non è possibile togliere i contrasti che sono nella storia stessa e ne sono quasi il motore essenziale. Tutti ricordano che senza la lotta tra patrizi e plebei il diritto romano non sarebbe mai nato. Quindi una lotta tra quelli che detengono, male o bene, la ricchezza e gli altri che lavorano ci sarà sempre finché il mondo esiste. Attenuare questa lotta, rendere possibile alle vittime di vivere, sarà grande conquista ed è quello cui i socialisti tendono; ma parlare di solidarietà sociale in un mondo quale quello di oggi, gli sembra inopportuno.

Desidererebbe pertanto, per gli articoli in esame, una dizione che eliminasse tutte le insinuazioni cui potrebbe dar esca la formula proposta.

Avrebbe preferito quindi che fosse formulato un articolo solo, fondendo il primo ed il secondo, con la seguente dizione: «La presente Costituzione è dettata al fine di assicurare l’autonomia, la libertà e la dignità della persona umana sia come singola, sia in tutte le sue manifestazioni sociali, morali e politiche, senza distinzione di sesso, di razza, di classe, di opinione politica, di religione». In questa unica dizione si colgono – a suo avviso – i vari concetti giuridici senza fare affermazioni di principio.

BASSO, Relatore, dichiara che i due articoli studiati non lo soddisfano completamente, ma sono frutto di sforzi per realizzare un massimo possibile di intesa. Intende difendere la formulazione proposta avendo con essa superato anche le sue obiezioni. Ma se qualche modificazione dovesse esservi introdotta, riprenderebbe la libertà di tornare su altre proposte.

Per quanto riguarda la proposta dell’onorevole Mancini di togliere l’inciso: «in cui le persone debbono completarsi a vicenda» non ha personalmente difficoltà ad accettarla. È d’accordo col collega Dossetti che, se l’inciso deve restare, è necessario conservare la parola «debbono».

Circa la proposta dell’onorevole Cevolotto sul collocamento dell’articolo, confessa che era della sua stessa opinione; ma va tenuto presente che si tratta di un articolo che la Sottocommissione non si impegna di sostenere come primo articolo della Costituzione, ma come primo articolo delle sue proposte.

Per quel che riguarda la proposta dello onorevole Marchesi di sostituire la parola «libertà» a quella «autonomia», si rimette a quanto verranno decidere i colleghi. Se l’onorevole La Pira è d’accordo, si dice disposto ad accettare tale emendamento.

Dichiara di essere nettamente contrario alle proposte degli onorevoli Merlin e Lombardi. La proposta dell’onorevole Merlin si riporta a discussioni già fatte: essa richiama la dizione che fu inserita nella Costituzione francese del 1789. Ma c’è da osservare che, a distanza di un secolo e mezzo, dopo un così grande progresso culturale, giuridico e sociale, questi concetti debbono ormai considerarsi superati.

La parola «inalienabili» è quella del progetto della Costituzione francese, concordato tra i rappresentanti comunisti, socialisti e del movimento repubblicano popolare. Per lui è la sola espressione accettabile. Si opporrà a che sia introdotta la parola «naturali».

È poi in posizione antitetica a quella del collega Lombardi, che vuol sopprimere il concetto di solidarietà sociale, nel capoverso del secondo articolo. L’onorevole Lombardi ha fatto riferimento a Bastiat, ma errò nel collocarlo prima della Rivoluzione francese, essendo questo autore vissuto nei primi dell’ottocento. Le sue espressioni sono di un liberismo che negava questo concetto, mentre poi Proudhon riaffermava il principio della solidarietà.

Ritiene che parlando di «solidarietà sociale» non si dice una ingenuità. Non intende affermare che in concreto non ci saranno lotte di classe, ma il dovere della Costituzione è quello di mirare ad un massimo sforzo di solidarietà sociale. Vi sono dei diritti che derivano dal principio della libertà ed altri che derivano dal principio della uguaglianza e della solidarietà sociale. Si tratta di uno sforzo verso la solidarietà sociale, in senso anti-individualista. Se si toglie questo, si rompe l’equilibrio che deve esservi tra l’esercizio degli antichi diritti della persona e l’esercizio di questi diritti in senso sociale, accompagnati cioè dallo sforzo di creare una solidarietà sociale.

Per la stessa ragione non rinuncia al capoverso del secondo articolo, il quale comprende la sola parte che è stata presa dalla sua relazione.

Per quanto riguarda le altre proposte degli onorevoli Mancini e Marchesi, si rimette alle decisioni del correlatore La Pira.

LA PIRA, Relatore, è del parere che debba essere conservata la parola «autonomia». È vero che questa parola si identifica con quella «libertà», ma nel concetto di «autonomia» affiora anche un certo contenuto di spiritualità che si ricollega alla posizione kantiana, che ha pure un riflesso spirituale.

Per quanto riguarda l’osservazione dell’onorevole Marchesi, circa il pericolo di esautorare lo Stato, risponde che non è davvero questo che si vuole. Lo Stato deve avere la funzione altissima di integrare l’autonomia delle persone e dei gruppi sociali; tale funzione è sua specifica. Quindi si deve rafforzare l’autorità statale, ma col contemporaneo rispetto dell’autonomia dei singoli.

MARCHESI mantiene la sua proposta. «Autonomia» sta bene; è l’uomo che dà leggi a se stesso. Ma vi sono due libertà: la libertà interiore che non ci può essere data e tolta da nessun governo, massimo dono che l’uomo possa fare a se stesso attraverso una lunga e spesso travagliata esperienza, approdo supremo del proprio personale destino, che non può essere regolata né minacciata dalla legge. C’è poi una libertà politica, la quale va distinta. Usando la parola «autonomia» si pone l’individuo, fonte originaria d’autorità, di fronte alla autorità subordinata dello Stato. Gli sviluppi di questo concetto non avverranno praticamente, ma possono essere pericolosi. Occorre astenersi dallo stabilire ed accettare posizioni che possono portare a conseguenze di inevitabile disaccordo.

TOGLIATTI appoggia la proposta dell’onorevole Marchesi di sostituire la parola «libertà» all’altra «autonomia». E ciò per una ragione molto semplice: che tutti capiscono la parola «libertà». La parola «autonomia» è invece un termine difficile a spiegarsi. Cosa vuol dire «autonomia»? Vuol dire facoltà di darsi leggi da sé. Ora l’autonomia intesa in questo senso esiste sempre. Esiste anche sotto la dittatura. Nel concetto di autonomia è implicito il concetto dell’interiorità della coscienza, che è sempre libera in qualsiasi condizione, anche se l’uomo è in carcere. La libertà è invece un’altra cosa. Inserendo qui il termine e il concetto di autonomia ci si allontana da quanto era stato deciso: di lasciare, cioè, da parte affermazioni ideologiche e rimanere sul terreno della politica, ossia dei rapporti fra gli uomini.

PRESIDENTE ricorda che questo concetto di autonomia fu acquisito nella discussione della precedente seduta.

TOGLIATTI osserva che sostanzialmente i due concetti si equivalgono, ma la formulazione viene a guadagnare usando il termine «libertà».

DE VITA fa presente che il compito del legislatore è quello di disciplinare e non quello di definire. Nell’articolo 1° si trova qualche definizione laddove, ad esempio, si dice: «…riconosce e garantisce i diritti inalienabili e sacri all’uomo, sia come singolo, sia nelle forme sociali, nelle quali esso organicamente e progressivamente si perfeziona». Questa è una vera e propria definizione. Propone pertanto di sopprimere l’articolo 1°. L’articolo 2° diverrebbe così articolo 1°. Ricorda che le definizioni sono sempre pericolosissime e possono dar luogo a preoccupazioni continue. Queste osservazioni valgono per l’insieme del progetto, nel quale, a suo avviso, tutte le definizioni dovrebbero essere eliminate.

LUCIFERO dichiara di non aver partecipato alla discussione perché ha avuto l’impressione che questi articoli, così come sono compilati, non risolvano nessuno dei problemi posti, anzi trasportino nella coscienza di chi dovrà interpretare la Costituzione il dibattito che già si è svolto dinanzi alla Sottocommissione. Non crede che così come essi sono, mantenendoli o modificandoli in senso non sostanziale, possano risolvere i problemi dibattuti. Quindi dichiara che si asterrà dalla votazione.

LOMBARDI GIOVANNI parla per dichiarazione di voto. Ha proposto che i due articoli siano convertiti in uno solo; ma poiché il collega De Vita, partendo da un altro punto di vista, giunge sostanzialmente alla sua stessa conclusione, dichiara di associarsi alle sue proposte.

PRESIDENTE, dopo aver riassunto la discussione, pone ai voti la proposta De Vita per la soppressione pura e semplice dell’articolo 1.

(Non è approvata)

Avverte che pertanto l’articolo rimane, salvo le modificazioni che saranno votate.

Fa a tale riguardo presente che l’onorevole Mancini ha proposto che venga tolto l’inciso «in cui le persone debbono completarsi a vicenda». I relatori hanno dichiarato di non insistere a che questo inciso sia mantenuto.

(La proposta di togliere l’inciso, messa ai voti, è approvata).

Avverte che l’onorevole Merlin ha proposto di sostituire alla parola «inalienabili» l’altra «naturali».

MERLIN UMBERTO dichiara di ritirare la sua proposta.

PRESIDENTE ricorda che gli onorevoli Marchesi e Togliatti hanno proposto di sostituire alla parola «autonomia» l’altra «libertà».

(La proposta, messa ai voti, non è approvata).

TOGLIATTI propone in linea subordinata di aggiungere alla parola «autonomia» l’altra «libertà».

(La proposta, messa ai voti, è approvata).

LOMBARDI GIOVANNI chiede perché non è stata posta in votazione la sua proposta.

PRESIDENTE gli ricorda che egli aveva dichiarato di accedere alla proposta De Vita che, secondo la sua dichiarazione, giungeva per diverse vie, alla stessa conclusione. Per questa ragione ha posto ai voti prima la proposta De Vita perché più radicale.

Dà lettura dell’articolo 1° come risulta con le modificazioni approvate: «La presente Costituzione, al fine di assicurare l’autonomia, la libertà e la dignità della persona umana e di promuovere ad un tempo la necessaria solidarietà sociale, economica e spirituale, riconosce e garantisce i diritti inalienabili e sacri dell’uomo sia come singolo, sia nelle forme sociali nelle quali esso organicamente e progressivamente si integra e si perfeziona».

Mette ai voti l’articolo nel suo complesso.

(È approvato).

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 2 così formulato:

«Gli uomini, a prescindere dalla diversità di attitudini, di sesso, di razza, di classe, di opinione politica e di religione, sono eguali di fronte alla legge ed hanno diritto ad eguale trattamento sociale

«È compito della società e dello Stato eliminare gli ostacoli di ordine economico-sociale che, limitando la libertà e l’uguaglianza di fatto degli individui, impediscono il raggiungimento della piena dignità della persona umana ed il completo sviluppo fisico, economico e spirituale di essa».

TOGLIATTI domanda se la lettera «e» di cui al primo comma non debba essere piuttosto una «o». Infatti le virgole che precedono debbono intendersi come disgiuntive.

PRESIDENTE ritiene che anche rimanendo la lettera «e» il significato sia sufficientemente chiaro.

LUCIFERO suggerisce che alla espressione «gli uomini», sia sostituita l’altra «i cittadini» che gli sembra assai più appropriata.

MASTROJANNI desidera qualche chiarimento nei riguardi del 1° comma circa le parole: «hanno diritto ad eguale trattamento sociale». Non comprende infatti quale sia l’esatto significato di tale dizione.

LUCIFERO si associa alla osservazione dell’onorevole Mastrojanni, aggiungendo che, in fondo, il trattamento sociale deve intendersi già compreso nella eguaglianza di fronte alla legge. Non capisce quindi perché si debba usare una terminologia che deve intendersi per lo meno superflua. Se la legislazione ha anche un carattere sociale, è naturale che tutti i cittadini siano uguali di fronte a questa legislazione anche per quanto concerne il trattamento sociale.

CEVOLOTTO vuole fare una questione di collocamento. Ricorda che i relatori dovevano formulare un articolo sulle libertà civili e cioè libertà, uguaglianza e solidarietà. Ora si domanda se l’articolo relativo all’eguaglianza debba essere collocato in questa sede, ovvero in altra. In alcune Costituzioni il principio relativo all’eguaglianza è collocato nei principî generali dello Stato. Infatti, nelle sue proposte di articoli, per la parte affidatagli, aveva formulato un articolo relativo all’ eguaglianza proprio nella struttura dello Stato, nei seguenti termini:

«Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge ed hanno gli stessi diritti e doveri. La nascita, il sesso, la razza, le condizioni sociali, le credenze religiose, il fatto di non avere alcuna credenza, non possono costituire la base di privilegio o di inferiorità legale».

Gli sembra che tale formulazione sia giuridicamente più precisa e meglio adatta ad una Costituzione. Ad ogni modo, a prescindere dalla preferenza per l’una o per l’altra formulazione, insiste sulla questione del collocamento, e cioè, se sia questa la sede più adatta per l’affermazione del principio di eguaglianza.

TOGLIATTI ritiene che l’osservazione del collega Cevolotto sposti il terreno della discussione. D’altra parte non è escluso che l’articolo, dopo l’approvazione, possa trovare altra collocazione. L’essenziale è di arrivare a un punto di accordo sulla formulazione dei due articoli, salvo poi trovare la collocazione più adatta. Personalmente sostiene la dizione proposta dai relatori, respingendo la critica dell’onorevole Lucifero. Se ha ben compreso, non si vuole qui alludere ad una legislazione sociale completa, perché in tal caso il concetto sarebbe già compreso nella prima parte del primo comma. Invece con le parole «ed hanno diritto ad eguale trattamento sociale» si vuole esprimere la tendenza della nuova Costituzione ad incanalare lo sviluppo della nostra società verso una maggiore eguaglianza. Ed è proprio questo lo spirito che vorrebbe alitasse nella nuova Costituzione.

MASTROJANNI riterrebbe utile che i relatori chiarissero il concetto del comma in esame, e solo in seguito i colleghi fossero ammessi a discuterne.

BASSO, Relatore, risponde subito, per quanto l’onorevole Togliatti abbia già anticipato la sua risposta. Pensa (ed ormai in regime democratico ritiene che tutti pensino) che non basta l’eguaglianza puramente formale, come quella caratteristica della vecchia legislazione, per dire che si sta costruendo uno Stato democratico, ma che invece l’essenza dello Stato democratico consista nella misura maggiore o minore del contenuto che sarà dato a questo concreto principio sociale. Naturalmente i primi articoli della Costituzione non possono essere delle norme concrete di pratica applicazione, ma delle direttive indicate al legislatore come un solco in cui egli debba camminare, come affermazione della finalità cui la democrazia tende e cioè verso l’eguaglianza sociale.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Lucifero se mantiene la sua opposizione al 1° comma dell’articolo.

LUCIFERO pur essendo perfettamente d’accordo nel concetto espresso dagli onorevoli Togliatti e Basso, afferma che tale concetto non gli sembra adeguatamente espresso nella formulazione proposta. Ritiene che in ciò stia anche la ragione della perplessità manifestata dal collega Mastrojanni.

MANCINI si dichiara d’accordo con gli onorevoli Togliatti e Basso e in disaccordo con l’onorevole Lucifero. Afferma che il concetto non solo è chiaro, ma anzi è espresso magnificamente dalla parola «trattamento» Però, per completare il concetto, propone dopo la parola «sociale» di aggiungere «e politico» per evitare il caso di avere un trattamento politico diverso da quello sociale.

DOSSETTI osserva che per quanto riguarda la collocazione, c’è una ragione per mantenere l’articolo 2° strettamente connesso con l’articolo 1°. Nell’articolo 1° infatti si determinano i fini, mentre nell’articolo 2° si stabiliscono le modalità, che sono duplici in relazione all’autonomia della persona ed alla solidarietà sociale.

Circa poi la proposta dell’onorevole Cevolotto, per una migliore formulazione ed una differente collocazione, potrebbe essere anche d’accordo, ma fa osservare che in tutte le Costituzioni una cosa è la dichiarazione programmatica dell’eguaglianza dei cittadini ed un’altra la realizzazione di questa eguaglianza in varie forme, una delle quali potrebbe essere l’eguaglianza nella politica a cui si richiamava l’onorevole Cevolotto.

Rivedendo l’articolo 2°, nota che nella esclusione delle eventuali discriminanti, se ne è dimenticata una e cioè la nazionalità. Propone, quindi, dopo la parola «razza» di aggiungere le altre «di nazionalità». Fa presente che anche il relatore, onorevole Basso, conviene in questa proposta.

MASTROJANNI, malgrado i chiarimenti forniti dal relatore Basso, è sempre dell’avviso che l’ultima parte del 1° comma debba essere soppressa. In questa parte si afferma un principio verso il quale lo Stato rimane impegnato solennemente e per la cui applicazione e realizzazione deve occuparsi. Si domanda perciò in qual modo il legislatore potrà raggiungere questa finalità. Ritiene che non si possa affrontare una questione di così vasta importanza e portata, fin quando non si conoscano i metodi attraverso i quali si intende raggiungere lo scopo che l’articolo si prefigge. Insiste pertanto per la soppressione dell’ultima parte del 1° comma inquantoché lo Stato per il raggiungimento di quei fini, potrebbe sperimentare metodi contrastanti con le ideologie che egli professa.

CEVOLOTTO propone di sostituire all’espressione «a prescindere», la parola «indipendentemente» che gli sembra più adatta.

Circa l’aggiunta della parola «nazionalità», proposta dall’onorevole Dossetti, ritiene che sia necessaria una matura ponderazione. Non è vero che gli uomini rispetto ad un determinato Stato siano tutti eguali anche se sono di nazionalità differente, in quanto la nazionalità per lo Stato può essere ragione di discriminazione. È naturale che tutti gli uomini di cittadinanza italiana sono uguali di fronte allo Stato italiano, ma non può ammettersi a priori che la stessa condizione si verifichi in pieno per i cittadini di altra nazionalità. Accogliendo la proposta dell’onorevole Dossetti, bisognerebbe anche accettare quanto è stato proposto dall’onorevole Lucifero, di sostituire cioè alle parole «gli uomini» le altre «i cittadini».

DOSSETTI osserva che se si distingue tra nazionalità e cittadinanza nessun dubbio ha più ragion d’essere.

PRESIDENTE fa rilevare che la nazionalità presuppone sempre la cittadinanza.

CEVOLOTTO ribadisce che conservando le parole «gli uomini» ed aggiungendo la parola «nazionalità» il significato rimane sempre ambiguo. Se invece alla parola «gli uomini» si sostituiscono le altre «i cittadini» allora può essere d’accordo nell’aggiungere la discriminazione relativa alla nazionalità.

CARISTIA esprime l’opinione che la espressione «ed hanno diritto ad eguale trattamento sociale» si presti a dubbi ed equivoci. La prima parte del comma è tecnicamente e giuridicamente precisa, ma ognuno si domanderà che cosa significhi assicurare ai cittadini il diritto ad un eguale trattamento sociale. Si è da più parti affermato che questo trattamento sociale è una aspirazione, una tendenza in base a cui lo Stato dovrebbe soddisfare le esigenze che ormai si impongono, e cioè quelle di far sì che tutti i cittadini tendano ad una migliore condizione sociale. Questo, però, non giustifica, a suo avviso, una affermazione di tal genere. Del resto non comprende come mai lo Stato potrebbe assumere il compito di assicurare a tutti i cittadini non solo il diritto di eguaglianza di fronte alla legge ma anche il diritto ad un eguale trattamento sociale, nello stesso modo e con le stesse garanzie con cui assicura l’eguaglianza giuridica. Oltre il fatto che l’espressione «trattamento sociale» è molto elastica e difficile a definire, dichiara di non potersi assumere la responsabilità di votare un articolo che contenga una simile espressione. Si tratta infatti di due cose assolutamente diverse: nella prima parte del primo comma dell’articolo si assicura un diritto di eguaglianza giuridica, che va garantito e sarà certamente attuato; nella seconda parte si tratta di una aspirazione degna del massimo rispetto, ma che però è espressa in un modo e con una forma che si presta ad infiniti equivoci.

PRESIDENTE ritiene che, dopo l’esauriente discussione avvenuta, si possa procedere alla votazione.

Domanda innanzi tutto all’onorevole Caristia se condivida l’opinione dell’onorevole Mastrojanni, ovvero creda suggerire una migliore e più adatta formulazione.

CARISTIA dichiara che non è facile trovare un’altra formulazione. Ad ogni modo si tratterebbe, da un punto di vista giuridico, di un diritto privo di qualsiasi garanzia.

MASTROJANNI, in via del tutto subordinata, propone di sostituire alla parola «trattamento» l’altra «riconoscimento».

MORO ritiene che, in questa materia, voler definire il senso rigorosamente giuridico, non sia una cosa attuabile senza rinunziare ad una dichiarazione di affermazione della tendenza progressiva che deve avere la democrazia italiana nell’attuale momento. Parlando del diritto ad un eguale trattamento sociale, s’intende mettere in luce il carattere dinamico che deve avere lo Stato democratico. Ciò è espresso nella seconda parte dell’articolo, in cui si afferma che è compito dello Stato e della società, di eliminare gli ostacoli che impediscono il raggiungimento della piena dignità della persona umana e del suo completo sviluppo.

CARISTIA ritiene che allora il secondo comma dovrebbe essere così formulato: «lo Stato deve tendere alla attuazione della eliminazione degli ostacoli di ordine economico-sociale, ecc.».

PRESIDENTE è di avviso che se si aggiungesse nel secondo comma dopo le parole: «è compito» la parola «perciò» si verrebbe meglio ad esplicare, nel campo della pratica attuazione, il principio affermato nel primo comma e non avrebbero più ragion d’essere le preoccupazioni dell’onorevole Caristia e di quanti non ritengono troppo esatta la dizione del primo comma stesso.

MORO mette in evidenza che attualmente si è in una fase fluida dei rapporti sociali per cui, pur sperando che si possa arrivare al più presto ad un loro concretamento, per il momento è necessario limitarsi ad affermare lo spirito che deve animare la Costituzione. Per questo motivo non può accogliere la proposta formulata dall’onorevole Mancini di aggiungere la parola «e politico», dopo la parola «sociale» in quanto il diritto ad un eguale trattamento politico rientra nella eguaglianza di fronte alla legge.

Circa l’aggiunta delle parole «di nazionalità», dopo le parole «di razza», gli sembra che anche lasciando l’espressione «gli uomini» si potrebbe egualmente accettare la discriminante della nazionalità, perché anche nel diritto privato è riconosciuta una eguaglianza di trattamento anche per gli stranieri che sono nello Stato italiano. Ritiene infatti che sia bene affermare nella Costituzione una eguaglianza di trattamento, almeno in sede di diritto privato, a coloro che sono di altra nazionalità.

CEVOLOTTO rileva che in fondo i relatori non hanno ancora risposto a quello che era il dubbio esposto dall’onorevole Caristia, e cioè quale sia il significato della espressione «hanno diritto ad uguale trattamento sociale». Pur essendo pienamente favorevole al concetto che si intende esprimere, e pur non nascondendosi la difficoltà di trovare un termine perfettamente appropriato, ritiene che l’espressione adoperata non sia molto chiara e felice: gli ricorda troppo l’offerta di cibi e bevande che un tempo si faceva all’ospite.

MANCINI, rispondendo all’onorevole Moro, fa rilevare che l’eguaglianza di cui si parla nella prima parte del comma in discussione è giuridica e non politica. Pertanto gli uomini devono avere diritto non solo ad un eguale trattamento sociale ma anche politico. Afferma di nuovo l’esattezza della parola «trattamento» tanto è vero che coloro che sono contrari ad essa, non sono riusciti a sostituirla con nessun’altra che abbia il medesimo valore.

CARISTIA dichiara che non ha nulla in contrario all’affermazione della tendenza della Repubblica ad assicurare ai cittadini un eguale trattamento sociale, ma non si sente di assumere la responsabilità di votare una espressione come quella che è stata formulata.

PRESIDENTE riassume i vari emendamenti proposti per il primo comma dell’articolo 2.

L’onorevole Lucifero propone di sostituire le parole «gli uomini» con le altre «i cittadini».

Mette ai voti tale emendamento.

(Non è approvato).

L’onorevole Cevolotto aveva proposto di sostituire alle parole «a prescindere» l’altra «indipendentemente».

CEVOLOTTO dichiara di non insistere, trattandosi di un emendamento di forma.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento dell’onorevole Dossetti diretto ad aggiungere le parole «di nazionalità» a quelle «di razza».

(È approvato).

Vi è infine la proposta di sopprimere le parole «ed hanno diritto ad eguale trattamento sociale».

CEVOLOTTO conferma di essere favorevole al concetto, ma contrario alla forma. Ritiene che se si coordina la prima parte con la seconda si potrebbe anche sopprimere l’inciso, in quanto la seconda parte non fa che riprodurre la prima in termini più esatti. Si asterrà pertanto dal voto.

LUCIFERO è d’accordo sul concetto, che del resto riaffiorerà in tutte le varie disposizioni della Costituzione, ma ritiene che in questa sede l’espressione manchi della necessaria chiarezza. Voterà perciò per la soppressione.

PRESIDENTE pone ai voti la soppressione dell’inciso.

(Non è approvata).

Ricorda infine che l’onorevole Mancini aveva proposto di aggiungere alla fine del comma le parole «e politico».

MORO ritiene che aggiungendo all’inizio del secondo comma un «perciò» sarebbe più evidente il preciso riferimento alla prima parte dell’articolo, mentre aggiungendo le parole «e politico» si verrebbero a confondere le idee.

MASTROJANNI ricorda che aveva proposto di sostituire alla parola «trattamento» la parola «riconoscimento». Desidererebbe sapere dall’onorevole Mancini, se nell’ipotesi che venisse accolta la sua subordinata, egli insisterebbe ancora nell’aggiungere la parola «politico».

MANCINI insiste nella sua proposta.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Mancini di aggiungere dopo la parola «sociale» la parola «politico».

(Non è approvata).

Avverte che la prima parte dell’articolo 2, dopo gli emendamenti approvati, rimane così formulata:

«Gli uomini, a prescindere dalla diversità di attitudini, di sesso, di razza, di nazionalità, di classe, di opinione politica e di religione, sono uguali di fronte alla legge ed hanno diritto ad uguale trattamento sociale».

Dà lettura della seconda parte dell’articolo, nella formula proposta dai relatori:

«È compito della società e dello Stato eliminare gli ostacoli di ordine economico-sociale che, limitando la libertà e l’uguaglianza di fatto degli individui, impediscono il raggiungimento della piena dignità della persona umana e il completo sviluppo fisico, economico e spirituale di essa».

DE VITA rileva che, nel comma dell’articolo 2 si parla dell’eguaglianza di diritto di fronte alla legge, e nel primo capoverso dello stesso articolo si parla di ostacoli di indole economica e sociale, che dovrebbero essere eliminati perché limitano la libertà e l’uguaglianza di fatto degli individui. Al posto delle parole « …di fatto» si dovrebbe dire «…di diritto», perché così si viene ad affermare l’eguaglianza giuridica dei cittadini.

TOGLIATTI fa presente che è proprio il termine «di fatto» che dà una nuova impronta alla legge.

BASSO, Relatore, osserva che dopo aver fatto una solenne affermazione dei principî di libertà e di eguaglianza, nella concreta realtà sociale, questi principî possono trovare poi ostacoli di ordine economico e sociale che impediscano il raggiungimento dell’affermata eguaglianza. Pertanto tutta l’opera della legislazione italiana deve tendere ad eliminare questi ostacoli.

DE VITA pensa che gli ostacoli di ordine economico e sociale limitano la libertà e l’eguaglianza di diritto che è affermata nel 1° comma.

TOGLIATTI propone che il termine «di fatto» venga posto dopo il gerundio «limitando». In questo modo anche il collega De Vita sarebbe soddisfatto.

MANCINI, premesso che quando si parla della persona umana e del suo completo sviluppo fisico, economico e spirituale, non si deve trascurare la parte culturale, propone di aggiungere dopo la parola «economico» anche l’altra «culturale».

BASSO, Relatore, obietta che la parola «spirituale» comprende anche la parte culturale.

MASTROJANNI propone di aggiungere prima della parola «eliminare» le altre «contribuire a», in quanto il compito di eliminare gli ostacoli, oltre che dello Stato e della società, potrebbe essere anche dell’individuo.

LUCIFERO fa presente alla Commissione che, pure essendo tutti d’accordo sul concetto generale, con la proposta formulazione può sorgere il dubbio che si venga a dare allo Stato dei poteri illimitati. Pertanto ritiene che si potrebbero affermare questi concetti nei vari articoli della Costituzione, ma non adottare una formulazione che domani potrebbe fornire un appiglio per qualunque arbitrio. Propone quindi di sopprimere il proposto capoverso.

PRESIDENTE mette ai voti la soppressione proposta dall’onorevole Lucifero.

(Non è approvata).

Ricorda che vi è una sua proposta di aggiungere dopo la parola «compito», la parola «perciò». La mette in votazione.

(È approvata).

Segue la proposta dell’onorevole Mastrojanni di premettere alla parola «eliminare» le altre «contribuire a». La mette in votazione.

(Non è approvata).

Dopo la parola «limitando» vi è l’osservazione del collega De Vita, che ha dato luogo alla proposta concreta del collega Togliatti nel senso che le parole «di fatto» che stavano dopo le altre «la libertà e l’eguaglianza», siano spostate e poste dopo il gerundio «limitando». La pone in votazione.

(È approvata).

Vi è infine la proposta del collega Mancini di aggiungere «culturale», dopo la parola «economico». La mette in votazione.

(È approvata).

Fa presente che l’articolo potrebbe ora essere messo in votazione nel suo complesso con le modifiche testé approvate.

LOMBARDI GIOVANNI, confermando la dichiarazione già fatta, e cioè che a suo avviso questo articolo è antistorico e antisociologico, dichiara che si asterrà dalla votazione.

LUCIFERO, pur essendo d’accordo nella sostanza, come ha già dichiarato, ritiene questo articolo insidioso per la libertà e quindi darà voto contrario.

MASTROJANNI, associandosi all’onorevole Lucifero, dichiara che egli pure voterà contro.

PRESIDENTE mette in votazione l’intero articolo, così formulato:

«Gli uomini, a prescindere dalla diversità di attitudini, di sesso, di razza, di nazionalità, di classe, di opinione politica e di religione, sono uguali di fronte alla legge e hanno diritto a uguale trattamento sociale.

È compito perciò della società e dello Stato eliminare gli ostacoli di ordine economico-sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza degli individui, impediscono il raggiungimento della piena dignità della persona umana e il completo sviluppo fisico, economico, culturale e spirituale di essa».

(È approvato).

Al termine della discussione si compiace con la Commissione per l’unanimità con la quale, essa ha partecipato a tutte le riunioni: diciotto membri presenti su diciotto, nessuno assente. Questo è un elemento che va tenuto nel dovuto conto, come segno di serietà della Commissione. Si compiace anche dello sforzo che tutti hanno fatto per arrivare alla formulazione ed all’approvazione di questi due articoli, che rappresentano veramente un contributo assai notevole alla dichiarazione dei diritti fondamentali della persona umana.

Rinvia il seguito dei lavori a domani alle ore 10, pregando gli onorevoli La Pira e Basso di accordarsi sulla formulazione degli articoli in ordine alle altre questioni che formano oggetto delle loro relazioni.

La seduta termina alle 13.10.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

GIOVEDÌ 10 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

4.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 10 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

 

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Lombardi Giovanni – De Vita – Basso, Relatore – La Pira, Relatore – Marchesi – Lucifero – Dossetti – Mastroianni – Cevolotto – Mancini – Togliatti – Moro – Grassi.

La seduta comincia alle 18.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE ricorda che nella seduta di ieri sono stati raggiunti alcuni punti di accordo: sulla opportunità che un eventuale preambolo della Costituzione venga elaborato al termine dei lavori delle tre Sottocommissioni; sulla convenienza che gli articoli della Costituzione siano il più possibile brevi, chiari ed accessibili e rechino affermazioni concrete senza contenere presupposti ideologici; sull’affermazione del concetto fondamentale della priorità della persona nei confronti dello Stato, perché i diritti dell’uomo sono diritti naturali, inalienabili e imprescrittibili, anteriori a quelli dello Stato.

A quest’ultimo proposito, in riferimento a quanto è stato affermato ieri da alcuni colleghi, e cioè che i diritti della persona umana sono sempre scaturiti da movimenti storici, rivoluzioni, guerre, lotte di classe, rileva come non possa e non debba dimenticarsi la più importante delle rivoluzioni sociali, vale a dire la grande rivoluzione cristiana, dalla quale per la prima volta furono affermati i diritti della libertà.

Quanto alla elaborazione degli articoli della Costituzione riflettenti le conclusioni cui la Sottocommissione è ieri pervenuta, ritiene che i relatori onorevoli Basso e La Pira dovrebbero concordare tra loro il testo degli articoli stessi da sottoporre all’esame della Sottocommissione. Fra gli articoli rispettivamente presentati vi è, a suo avviso, una notevole affinità.

Nella discussione di ieri non venne raggiunto l’accordo sui diritti delle comunità nelle quali la persona umana si espande. Vi è in proposito un ordine del giorno presentato dall’onorevole Dossetti, il quale potrà essere messo in discussione dopo che l’onorevole Basso avrà svolto la sua relazione.

In merito alla domanda rivoltagli ieri dall’onorevole Lombardi sulla defascistizzazione dei codici, ricorda che al periodo in cui egli fu Ministro della giustizia provvide a togliere dai codici penale e civile tutto quello che era tipicamente fascista, come ad esempio i riferimenti all’ordinamento corporativo, le norme sulla razza, le prerogative del Capo del Governo, l’influenza della legislazione sulla educazione della prole, l’abolizione della pena di morte tranne che per i reati militari.

LOMBARDI GIOVANNI ringrazia il Presidente di questo chiarimento.

Osserva che l’accenno fatto dal Presidente, alla rivoluzione cristiana, lo conferma nella opinione che i diritti dell’uomo, anche se possono considerarsi diritti naturali, non sono nati prima di quelli dello Stato ma si sono affermati attraverso i grandi rivolgimenti sociali.

Non contesta l’influenza spirituale del cristianesimo, ma ritiene che la prima fonte del diritto è sempre la forza, ciò che può essere confermato dal fatto che i principî etici e giuridici del cristianesimo si sono affermati in tutta la loro pienezza nel giro di ben duemila anni. Soltanto nel secolo scorso è stata completamente abolita la schiavitù, ed ancora non si è riusciti a liberare il mondo dalla servitù operaia.

DE VITA osserva che si parla troppo di diritti e poco di doveri. A suo avviso, occorre equilibrare diritti e doveri. È stato giustamente detto che il diritto senza dovere fa il padrone, che il dovere senza diritto fa il servo. Equilibrando i diritti e i doveri si fa l’uomo veramente libero. In questo equilibrio è tutto un mondo nuovo, e raggiungerlo è la grande missione di questo secolo.

PRESIDENTE invita l’onorevole Basso a svolgere la sua relazione.

BASSO, Relatore, ritiene che la elaborazione di un preambolo alla Costituzione, in quanto necessario, sia compito della Presidenza della Commissione. Accettata questa premessa, l’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti non dovrebbe essere votato, poiché contiene gli elementi di una impostazione generale del problema che trascende i limiti di competenza della Sottocommissione. Se però si vuole esaminarlo, deve dire che non è d’accordo sul concetto, illustrato dall’onorevole La Pira e ribadito dall’onorevole Dossetti, della priorità della persona umana sulla società organizzata in Stato.

Pur non avendo la minima intenzione di svalutare la persona umana in confronto allo Stato, rileva che le ideologie affiorate nel corso della discussione di ieri riflettono, nonostante un tentativo di superamento, quelle di un’epoca individualista, ormai passata. Tutta la storia dei rapporti umani è una storia della dialettica dei rapporti tra la persona e la collettività. Lo Stato non è venuto prima della persona, ma nemmeno la persona prima dello Stato, in quanto la persona non può esistere, come tale, senza la Società nella quale vive.

Se si vuole dare allo Stato un significato finito, di una determinala forma di organizzazione della Società, può essere d’accordo che questo Stato è posteriore all’individuo, ma allora anche la famiglia è posteriore, se si considera il solo punto di vista della successione cronologica. Ma se si considera quello dello sviluppo spirituale, allora è evidente che lo Stato come la famiglia e come tutte le altre forme di convivenza degli esseri umani hanno il medesimo valore storico.

Indubbiamente nella formulazione di articoli proposta da lui e dall’onorevole La Pira, è sottintesa una diversa premessa ideologica, anche se talune delle conclusioni concrete cui entrambi sono pervenuti sono sostanzialmente concordanti. Non è certamente questo un fenomeno straordinario in quanto, ad esempio, anche gli illuministi dell’ultimo Settecento si ispirarono a fonti molto diverse, ebbero ciascuno una propria ideologia filosofica, ma pervennero, nella valutazione concreta dei rapporti umani, alle medesime conclusioni. Del pari, fra i presupposti ideologici dei socialcomunisti e dei colleghi che si sono trovati d’accordo con La Pira e Dossetti, vi è indubbiamente una notevole differenza, la quale può essere tuttavia superata facendo ricorso a quel patrimonio culturale comune, dal quale ciascuno ha tratto le fonti della propria convinzione.

In queste condizioni ritiene che la cosa più opportuna sia di por mano senz’altro alla elaborazione degli articoli. Non potrebbe infatti accettare una semplice affermazione di principio sulla priorità della persona, e questo non soltanto per considerazioni di ordine ideologico, ma per convinzione profonda, in quanto tutta la filosofia moderna ha superato nel concetto di personalità il concetto della individualità. La persona umana considerata soggetto di diritto non può essere concepita che in funzione di una società più o meno organizzata. La individualità dal punto di vista filosofico e giuridico si riferisce ad un ipotetico uomo isolato. La persona, non può essere giuridicamente considerata se non in funzione delle molteplici relazioni, non soltanto materiali ma anche spirituali e, volendo, anche extramondane, che essa ha con il mondo in cui vive, sia in riferimento al presente, che all’avvenire ed anche al passato.

Conclude ribadendo l’opportunità di esaminare la formulazione tecnica delle disposizioni da inserire nella Costituzione, prescindendo da ogni affermazione di principio.

LA PIRA, Relatore, dichiara di essersi soprattutto ispirato, nel redigere la sua relazione, alle considerazioni di carattere filosofico-giuridico contenute nel preambolo di quella Costituzione francese elaborata prima del 2 giugno che pure fu il risultato di una prevalenza socialcomunista. In detto preambolo si parla di diritti naturali, imprescrittibili, sacri, della persona umana, diritti che lo Stato deve tutelare. Il riconoscimento di questi diritti si riallaccia alle più pure tradizioni della civiltà occidentale, a tradizioni, cioè, che ovviamente rientrano in quel patrimonio culturale comune cui ha accennato l’onorevole Basso.

Non vuole con ciò affermare che le fonti di ispirazione, alle quali pure ha accennato l’onorevole Basso, debbano fermarsi allo studio della civiltà occidentale. Il patrimonio culturale comune può benissimo essere integrato dalla considerazione dei principî consacrati ad esempio nella Costituzione russa: e il richiamo a questa Costituzione può avere particolare valore soprattutto nella disciplina da darsi alle comunità, specialmente alle comunità di lavoro, nelle quali si espande la persona umana.

Ad evitare appunto ogni insanabile frattura di carattere ideologico, si è ispirato tanto al preambolo della Costituzione francese che alla Costituzione russa, aggiungendo, di proprio, una accentuazione della spiritualità nel quadro di quello che suol definirsi nuovo materialismo storico: spiritualità che, a suo avviso, può e deve conciliarsi, in una Costituzione italiana, con la concezione pluralistica della società.

DE VITA pensa che la persona umana ed i suoi rapporti con la società debbano essere considerati avendo soprattutto di mira, se non il presente, certo la realtà, con le sue evoluzioni, della vita terrena. Bisognerebbe pertanto intendersi bene sul significato effettivo di una affermazione della spiritualità.

LOMBARDI GIOVANNI, in merito al richiamo fatto dall’onorevole La Pira alle tradizioni della civiltà occidentale e particolarmente alle Dichiarazioni francesi sui diritti dell’uomo, osserva che socialisti e comunisti non possono accettare quelle Dichiarazioni, che sono ispirate ad un concetto individualistico della persona e che contrastano con il fatto che il diritto è sempre di natura sociale.

PRESIDENTE ricorda agli onorevoli Commissari che la precedenza della persona umana di fronte allo Stato, il quale deve considerarsi al servizio di quella, fu un punto acquisito nella discussione di ieri, al quale si giunse specialmente dopo l’interessante dibattito fra gli onorevoli Dossetti e Togliatti. La discussione avrebbe dovuto oggi procedere sui diritti delle comunità.

LOMBARDI GIOVANNI ritiene che la conclusione cui ha accennato l’onorevole Presidente sia il risultato di un equivoco. Ogni libertà è stata conquistata, dalla persona umana attraverso i grandi rivolgimenti della storia. L’uomo è stato per millenni soffocato dallo Stato, quindi, se mai, è lo Stato che ha preceduto l’individuo come soggetto di diritto.

MARCHESI premette che i comunisti non sono secondi a nessuno in fatto di difesa della personalità umana e della libertà. Per essi, il problema della persona umana, è il problema stesso della libertà totale e finale. Ma essi sanno che a questa libertà si giunge attraverso le conquiste graduali progressive di uno Stato democratico e mediante l’azione stessa dello Stato.

Ritiene, d’accordo con l’onorevole Basso, non solo inopportuna ma anche pericolosa una dichiarazione iniziale come quella presentata dall’onorevole Dossetti. L’onorevole Dossetti diceva, ieri che senza imposizioni di verità rivelate, che non potrebbero essere accolte da tutti anche se devono essere da tutti rispettate, noi dobbiamo giungere ad un accordo sulla base di principî umani concordemente accettati.

L’onorevole Dossetti non gli attribuisca intenzioni maliziose se ricorda l’adagio virgiliano «Timeo danaos et dona ferentes». Tra poco verranno in discussione argomenti molto gravi di dissenso. Ora non vorrebbe che una dichiarazione iniziale, del genere di quella proposta dall’onorevole Dossetti, potesse servire da stimolo a qualcuno per estenuare l’autorità dello Stato di fronte ai diritti personali e familiari. Perciò concorda con quanto ha detto l’onorevole Basso: che a tale dichiarazione si giunga eventualmente quando si sia esaurita la discussione su tutti gli articoli, pur non intendendo con ciò sottrarre ogni base logica morale e spirituale a quegli articoli che la Sottocommissione intende proporre all’approvazione dell’Assemblea.

LUCIFERO ha l’impressione che in questa discussione si riaffacci quel problema sul quale nelle prime sedute ebbe già occasione di discutere con l’onorevole Togliatti, e cioè il problema dello spirito della Costituzione. Finché non si saranno amalgamati i diversi punti di vista, ci si troverà sempre di fronte a queste discussioni. Ritiene pertanto opportuno discutere l’ordine del giorno Dossetti, emendandolo, perfezionandolo, con il fine di ottenere quella base che si va cercando, e dalla quale non si può prescindere, sia per non lasciarsi alle spalle una mancanza che farebbe sentire il suo peso nel corso di tutte le successive discussioni, sia perché la prima Sottocommissione ha avuto assegnato precisamente il tema dei principî generali.

Rileva che l’ordine del giorno Dossetti cerca appunto di stabilire alcuni principî generali. La Costituente deve dar vita ad uno Stato nel quale non si possa ripetere la tragedia del fascismo. Occorre fare un’analisi delle cause che hanno portato al fascismo e gli hanno permesso di esistere per venti anni. E queste cause possono compendiarsi indubbiamente nella compressione avvenuta della libertà dell’uomo, perché in un paese in cui l’uomo fosse rimasto libero il fascismo non avrebbe mai potuto sorgere. Quindi una affermazione chiara di quelle che sono le libertà, dell’uomo, dirette o derivate, è necessaria, e finché non si sarà fissato questo punto fondamentale, non riuscirà possibile proseguire nei lavori.

Propone quindi di discutere l’ordine del giorno Dossetti. Si potrà giungere ad una conclusione concordata, oppure ad una chiarificazione di due diversi orientamenti, di due diverse tendenze; in tal caso deciderà la maggioranza e la minoranza sarà libera di presentare le sue proposte dapprima alla Commissione in seduta plenaria poi alla Assemblea, in seno alle quali la discussione verrà ripresa, e sarà determinata la scelta definitiva. Se non si giunge a questa chiarificazione, vi è il pericolo di rifare ad ogni articolo la discussione sui principî.

DOSSETTI concorda sulle conclusioni dell’onorevole Lucifero, dichiarandosi però persuaso che sarà più facile di quanto alcuni possano credere pervenire ad una conclusione concordata, in quanto i punti di coincidenza tra la sua tesi e quella dell’onorevole Basso sono molto maggiori di quel che possa ritenersi a prima vista.

Indubbiamente la Costituzione, anche prescindendosi da impostazioni ideologiche, non potrà non affermare energicamente il principio che l’uomo, la persona, ha dei diritti antecedenti allo Stato e che lo Stato non costituisce questi diritti ma semplicemente li dichiara, li riconosce. Sotto questo profilo non si tratta di spiritualismo, di vita presente o di vita eterna. Non è a suo avviso accettabile l’interpretazione dell’onorevole Lombardi, che non crede ai diritti naturali ma soltanto a quelli che l’uomo ha conquistato passo a passo nella storia. In ogni modo, da qualunque parte vengano, questi diritti lo Stato non conferisce ma riconosce. Questo è un punto essenziale ed in questo, a suo giudizio, deve stare il fondamento primo di ogni Costituzione, senza di che ogni Costituzione sarebbe viziata all’origine. Affermare l’esistenza di questi diritti primigenî che lo Stato non può in alcuno modo modificare, non vuol dire accedere ad una visione individualistica. La concezione cristiana, alla quale la corrente politica cui appartiene si ispira, non considera la persona sotto un punto di vista meramente individualistico. Già nel suo ordine del giorno, immediatamente dopo i primi punti, in cui si afferma una priorità della persona, cioè l’esistenza dei suoi diritti primigenî e fondamentali, si aggiunge subito dopo, senza alcuna subordinazione, che si riconosce ad un tempo la necessaria solidarietà di tutte le persone le quali sono chiamate a completarsi a vicenda mediante la molteplice organizzazione della società moderna. In questo egli è perfettamente d’accordo con l’onorevole Basso e, se mai, non concorda con l’onorevole Lucifero. Quindi il riconoscere innanzitutto l’esistenza di diritti primigenî, che lo Stato deve rispettare non significa per nulla limitazione del senso di socialità, perché nell’atto stesso in cui l’esistenza di tali diritti viene riconosciuta si deve logicamente supporre e si suppone una struttura sociale capace non solo di difenderli in astratto, ma di realizzarli in concreto.

Ecco perché conserva viva la speranza di trovare una formula comune che sostanzialmente dia il senso della visione unitaria che deve avere la nuova Costituzione italiana.

Prospetta pertanto opportunità di una riunione con l’onorevole Basso per cercare un accordo sulla base di quella intesa che è già nei cuori, per cui l’una parte non ha motivo di temere i «dona» dell’altra.

MASTROJANNI si dichiara senz’altro d’accordo sulla affermazione della priorità dei diritti della persona sullo Stato. Su questo punto sembrava che fosse stato ieri raggiunto l’accordo, ma la postuma discussione fa presumere che a questa affermazione di principî siano interessate tutte le teoriche, attraverso le quali i diversi partiti intendono affermare il loro programma politico. Secondo il punto di vista qualunquista, che tende allo Stato amministrativo, il quale deve essere sfrondato il più possibile dalle sovrastrutture e dalle ingerenze nella vita dei cittadini, l’uomo è titolare di diritti naturali inalienabili che non possono essere conculcati dagli interventi dello Stato, neppure nei rapporti economici. Quando lo Stato esorbita in fatto di autorità, ne consegue tutta una organizzazione capillare, che si fonda sul malaugurato principio delle gerarchie, di cui il ricordo è recente e che tendono inevitabilmente ad incrinare le libertà individuali. Il suo punto di vista concorda pertanto con quello dei democristiani laddove essi vogliono affermare la priorità dei diritti naturali della persona; ne dissente sul tema delle comunità, le quali, a suo avviso, rappresentano non di rado un dannoso ingombro alla esplicazione della libera attività dei cittadini, quando non costituiscono un espediente per giungere a finalità ben diverse da quelle del rispetto dei diritti di libertà.

Conclude affermando che non è possibile procedere oltre nella discussione senza prima risolvere la questione fondamentale dei diritti dell’uomo. Questa risoluzione potrà essere indubbiamente agevolata da una intesa diretta tra i relatori.

CEVOLOTTO osserva che una discussione filosofica porterebbe la Sottocommissione molto lontano. Non ritiene necessario procedere a tale discussione ma piuttosto trovare una formula di accordo. Se si esaminano le due formulazioni di La Pira e di Basso si vede che, partendo da diversi punti di vista, si può giungere alle stesse conclusioni. Prescindendo dai primi 7 articoli – cioè da tutte le questioni ideologiche – dall’articolo 8 in poi, si nota nelle due relazioni una certa identità che può permettere, superata qualche questione di dettaglio, di giungere ad una formulazione comune. Propone quindi che, soprassedendo alla discussione sul preambolo, i due relatori si mettano d’accordo per raggiungere una formulazione comune- dall’articolo 8 in poi.

BASSO, Relatore, afferma di ritenere che l’uomo sia un essere sociale, e non anteriore alla organizzazione della società. Questa sua concezione, però, non intende trasfonderla nella Costituzione. Quando il collega La Pira domanda perché ci si voglia scostare dalla tradizione ha l’impressione che ad un certo punto si cada nell’equivoco, perché, quando si parla di diritto della persona umana, contrapposto allo Stato e poi ci si richiama alla dichiarazione dell’89, si fa confusione fra lo Stato ed il potere esecutivo.

Ora quello che lo preoccupa è la sopraffazione del potere esecutivo che vìoli il diritto dell’individuo, mentre non vorrebbe che si introducessero nella Costituzione delle limitazioni alla facoltà di legiferare.

Il collega Dossetti dice che molti equivoci nascono dal fatto che gli esponenti delle diverse tendenze non si conoscono ancora abbastanza; ed allora, si augura che i componenti le Sottocommissioni cerchino di conoscersi, e procedano a formulare il testo dello articolo uno per uno; si vedrà, così mano mano se nella sostanza delle cose vi è veramente un disaccordo. Per suo conto, non crede che vi siano punti di dissenso così gravi da non poter essere superati.

MANCINI crede sia necessario intendersi sul concetto di diritto il quale va riguardato, dal punto di vista della persona, perché il diritto dell’esistenza è nato prima del diritto dello Stato. Come diceva Antonio Labriola, lo Stato non è altro che l’espressione obiettiva degli interessi di una classe. Siamo dinanzi ad un patrimonio accumulato nei secoli che rappresenta tutti i diritti di cui si è parlato, che sono una somma di conquiste, un patrimonio morale e giuridico.

Si domanda allora: perché mettere in rilievo un presupposto piuttosto che un altro? Vari sono gli elementi che hanno confluito a determinare una conquista; se si battono le vie filosofiche, si rafforza il dissenso.

Crede che, superando la discussione filosofica e cercando di passare alla formulazione degli articoli, un’intesa potrà essere raggiunta.

TOGLIATTI è anch’egli d’avviso che spostando il terreno del dibattito l’accordo non dovrebbe essere difficile, mentre sarebbe difficile mantenendosi su un terreno puramente ideologico.

Sul terreno della politica, cioè della definizione dei diritti, in rapporto alla realtà, non vede un dissenso insuperabile. Su alcuni punti fondamentali si dovrà per forza trovarsi d’accordo. Raggiunto l’accordo su una formulazione politica, naturalmente non se ne trarranno tutte le conseguenze giuridiche che si cerca di raggiungere, ma, ripete, sul punto che oggi interessa, cioè quello di giungere alla definizione dei diritti dell’uomo e del cittadino sul terreno politico, non dovrebbe essere impossibile trovare un accordo

MORO non crede che il dissenso sia radicale. Fin dalla prima riunione la Sottocommissione si è trovata d’accordo su un punto; che la Costituzione deve avere un significato storico ed una particolare funzione storica.

Su questa base di polemica antifascista sembra opportuno affermare la priorità e l’autonomia della persona di fronte allo Stato. Questo anche dal punto di vista della funzione educativa che deve esercitare la Costituzione. Accenna alla necessità, particolarmente sentita, nel Mezzogiorno, che la Costituzione dica al popolo italiano quali sono gli inalienabili diritti che debbono essere difesi. Si è discusso intorno ai rapporti fra individuo e Stato, e si è affermato da parte di qualche collega che non si può accettare l’idea che la persona sia prima dello Stato. Forse, in qualche caso, ci si è trovati di fronte ad un equivoco; poiché non va dimenticato che lo Stato che si vuole costituire è uno stato democratico e non totalitario. Ed egli respinge, con l’affermazione dell’autonomia e della priorità della persona umana, l’idea di uno stato totalitario in senso stretto, come una entità a sé stante che determini essa stessa i criteri di moralità ai quali l’uomo deve ispirarsi. Non si tratta di limitare il potere esecutivo soltanto, si tratta di limitare anche il potere legislativo di fronte a determinate aberrazioni. Occorre soprattutto affermare la dignità della persona umana, senza sminuire però l’autorità dello Stato, creando anzi uno Stato forte e realizzando una giustizia forte. Respinta l’idea dello Stato come entità a sé stante, sostiene la necessità di affermare la dignità dello Stato democratico, espressione di un sistema di realizzazioni umane di cui l’uomo è il punto essenziale di riferimento.

LUCIFERO è d’accordo sulla necessità di uno Stato forte, nel senso che la forza dello Stato debba garantire i diritti della libertà dei cittadini. Diritti che, a scanso di ogni equivoco, devono essere affermati nella Costituzione con la maggiore chiarezza. Non è soltanto il potere esecutivo che può violare questi diritti, ma anche quello legislativo, anche quello giudiziario, ed anche il quarto potere, quello economico. A suo avviso, è soprattutto dal quarto potere che occorre difendere le libertà dei cittadini, in quanto lo Stato deve rimanere lo Stato di tutti, non lo Stato di una classe.

Riafferma l’opinione che si debba esaminare innanzitutto l’ordine del giorno Dossetti, o quanto meno che i relatori si riuniscano per concretare gli articoli sui quali la Sottocommissione discuterà nella prossima seduta.

DOSSETTI insiste nel ritenere opportuno che il terreno venga preliminarmente sgomberato dai presupposti ideologici, e a tal fine non si opporrà ad ogni opportuna modificazione concordata del suo ordine del giorno. Se poi non si vuole vincolare la Sottocommissione ad un ordino del giorno, si potrà giungere alla redazione di un primo articolo di impostazione. L’una o l’altra soluzione sono necessarie per evitare che la Sottocommissione proceda alla cieca nei suoi ulteriori lavori. Considererebbe una iattura immeritata alla buona volontà comune non raggiungere un accordo sulla questione di principio.

BASSO, Relatore, concorda sulla opportunità di una intesa fra i relatori, diretta a superare il maggior punto di dissenso, relativo alla dichiarazione preliminare dei diritti naturali inalienabili e imprescrittibili.

Si chiede perché si vogliano fare affermazioni di principio che non hanno in concreto alcun significato e che potrebbero rappresentare difficoltà di interpretazione. Non vede quindi la necessità di un ordine del giorno ma accede alla opinione di cercare di stabilire direttamente i testi degli articoli.

GRASSI rileva che nel corso di due sedute si è discusso intorno a dichiarazioni di carattere ideologico e che ormai è necessario arrivare ad una conclusione.

È d’accordo con l’onorevole Dossetti sulla opportunità di una dichiarazione che abbia il valore di guida ideologica e sociale agli ulteriori lavori. Ritiene peraltro assai difficile che si riesca a concretare tale dichiarazione in un articolo, in occasione del quale risorgerebbero i contrasti. Non siamo in questo momento dei filosofi e nemmeno un’accademia di giuristi, ma degli uomini politici che sul terreno politico devono mantenere un senso di concretezza. Le considerazioni ideologiche, storiche, potranno essere contenute nel preambolo, nel quale dovrà pure sottolinearsi il fatto che lo Stato democratico sorge dalle rovine dello Stato totalitario. E dal momento che la redazione del preambolo deve venire affidata alla Presidenza della Commissione, il compito della Sottocommissione potrebbe essere unicamente quello di formulare gli articoli. Ci si potrà limitare perciò ad una affermazione del concetto della autonomia della persona umana, considerata tuttavia in funzione della Società in cui vive. Questi due concetti potranno essere concretati in una breve affermazione, in un solo articolo.

Propone quindi che, senza votare l’ordine del giorno Dossetti, si proceda all’esame degli articoli, cominciando dall’articolo 1 del progetto dell’onorevole Basso, congiuntamente con l’articolo 8 del progetto dell’onorevole La Pira.

PRESIDENTE si compiace della elevata discussione, augurandosi che essa abbia servito ad eliminare eventuali sospetti reciproci di sottintese intenzioni. Sottoporre in questo momento alla Sottocommissione la approvazione dell’ordine del giorno Dossetti significherebbe riacutizzare la discussione. Ritiene pertanto opportuno incaricare i due relatori di procedere ad uno scambio di idee al fine di giungere alla formulazione di un solo progetto di articoli. Essi dovranno soprattutto raggiungere l’accordo sui due punti fondamentali ai quali ha accennato l’onorevole Grassi: l’autonomia della persona umana e la socialità.

Propone che la Sottocommissione tenga seduta domani alle 11 e che i Relatori onorevoli La Pira e Basso si riuniscano in precedenza, insieme con il Segretario onorevole Grassi, per accordarsi sul testo di un progetto unitario di articoli da presentare alla Sottocommissione nella mattinata stessa.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

LUNEDI 9 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

3.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 9 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

 

INDICE

Sui lavori della Sottocommissione

Presidente.

I principî dei rapporti civili (Discussione)

La Pira, Relatore – Presidente – Mastroianni – Marchesi – Basso, Relatore – Togliatti – Lombardi Giovanni – Cevolotto – Lucifero – Caristia – Mancini – Dossetti.

La seduta comincia alle 18.

Sui lavori della Sottocommissione.

PRESIDENTE rileva che quasi tutti i relatori nominati nell’ultima seduta della Sottocommissione hanno fatto pervenire le loro relazioni che sono state stampate ed inviate ai singoli commissari. Alcune di tali relazioni hanno punti di interferenza con altre presentate alla terza Sottocommissione. Anzi, in una riunione generale, non formalmente convocata ma di fatto avvenuta, alla quale intervenne un notevole numero di componenti della Commissione centrale, furono fatte critiche a tali interferenze. Fu facile però rispondere che essendo il riflesso sotto il quale la prima Sottocommissione riguarda certi problemi diverso da quello sotto il quale li riguarda la terza, poteva benissimo coesistere questo duplice lavoro; e se doppioni eventualmente si fossero verificati, questi sarebbero stati via via eliminati da intese tra i relatori, intese che avrebbero potuto anche preludere ad una riunione mista della prima e della terza Sottocommissione, onde arrivare ad una conclusione comune.

Prima dell’attuale riunione, la Presidenza della Sottocommissione ha convocato i relatori per cercare la possibilità di avvicinare le diverse correnti e addivenire ad una relazione comune. Scambi di idee si sono anche svolti tra i relatori. Comunque, da oggi si inizia il vero lavoro costruttivo della Sottocommissione, lavoro che dovrà procedere senza soste allo scopo di giungere il più rapidamente possibile, come anche è stato raccomandato dal Presidente della Commissione centrale, ad una conclusione. Come è noto, infatti, entro il 20 ottobre dovrebbe aver luogo la riunione della Commissione centrale, che, a sua volta, dovrà discutere e rielaborare i risultati dei lavori delle tre Sottocommissioni ed essere alla fine di ottobre pronta per presentare all’Assemblea Costituente il progetto unitario della Costituzione.

Raccomanda pertanto ai colleghi di voler dare la loro opera perché i lavori progrediscano con quello spirito di abnegazione, di sacrificio e di concretezza che il Paese aspetta dai suoi rappresentanti.

Dà atto fin d’ora ai relatori del pregevole lavoro svolto, che costituisce già un notevole risultato.

Esprime l’avviso che il primo tema proposto, «I principî dei rapporti civili», sia quello che dal punto di vista generale mette in evidenza in forma concreta i diritti fondamentali della persona umana. I due relatori, onorevoli La Pira e Basso, hanno dato al loro pensiero un’esplicazione molto concettosa. Mentre l’onorevole La Pira ha premesso al suo progetto di articolazione una dettagliata relazione, l’onorevole Basso ha preferito far seguire brevi considerazioni agli articoli proposti. Comunque nelle due relazioni si vede il riflesso di quella che può chiamarsi la dichiarazione fondamentale dei diritti dell’uomo e del cittadino. Salvo a stabilire quale criterio dovrà essere adottato quando sarà data forma precisa al progetto o ai progetti (uno di maggioranza ed uno di minoranza) che saranno il risultato dei lavori della Sottocommissione, non vi è dubbio che questa è la materia fondamentale, la premessa a tutti i lavori successivi posti all’ordine del giorno.

Ritiene opportuno pertanto iniziare l’esame delle relazioni La Pira e Basso e prega i relatori di illustrarle brevemente.

Discussione sui principî dei rapporti civili.

LA PIRA, Relatore, ripeterà l’itinerario mentale che ha seguito nello stendere la sua relazione. Rileva di essersi posto anzitutto il seguente problema: Deve essere premessa alla Costituzione una dichiarazione dei diritti dell’uomo? Questo problema, del resto, fu affacciato in seno alla Sottocommissione dallo stesso onorevole Togliatti e da altri. Ritiene che la risposta a questa domanda debba essere affermativa: data, cioè, l’esperienza fatta dello Stato fascista, è necessario che alla Costituzione strettamente detta, cioè alla parte relativa alla struttura costituzionale dello Stato, sia premessa una dichiarazione dei diritti dell’uomo. Ciò in conformità anche a tutta la tradizione giuridica cosiddetta occidentale, poiché tanto la Costituzione americana, quanto quelle tipiche francesi e le altre europee contengono una dichiarazione dei diritti. Del resto, la stessa Costituzione jugoslava presenta una parte relativa ai principî che orientano la struttura costituzionale dello Stato. Si può dire che, tranne tre o quattro eccezioni, tutte le Costituzioni, compreso il penultimo progetto francese, hanno una dichiarazione dei diritti dell’uomo.

Ma oltre che in omaggio alla tradizione, una dichiarazione sui diritti dell’uomo deve essere ammessa soprattutto come affermazione solenne della diversa concezione dello Stato democratico, che riconosce i diritti sacri, inalienabili, naturali del cittadino, in opposizione allo Stato fascista che con l’affermazione dei diritti riflessi, e cioè della teoria che lo Stato è la fonte esclusiva del diritto, negò e violò alla radice i diritti dell’uomo.

Avverte subito che quando parla di diritti dell’uomo non intende soltanto riferirsi ai diritti individuali di cui parlano le Carte costituzionali del 1789, ma anche ai diritti sociali e delle comunità, attraverso le quali la persona umana si integra e si espande.

A questo punto si pone una domanda: Esiste una base filosofica, una concezione sociologica e antropologica, che sia a fondamento di questa teoria dei diritti riflessi, come ne esiste una a fondamento della teoria che afferma l’esistenza dei diritti naturali della persona? Alla domanda si può rispondere affermativamente, in quanto la teoria dei diritti riflessi corrisponde alla concezione hegeliana, che vede lo Stato come un tutto e l’individuo come elemento integralmente subordinato alla collettività, in contrapposto all’altra concezione che, pur rispettando le esigenze della collettività, vede la persona come un ente dotato di una sua interiore autonomia e quindi considera la libertà e i diritti subiettivi non come concessione, ma come conseguenza di questa interiore autonomia.

Ritiene quindi che nel costruire il nuovo Stato, avendo avuto l’esperienza fascista, la quale non solo ha affermato la teoria giuridica ma anche quella filosofica dei diritti riflessi, sia importante consacrare, nella dichiarazione iniziale della Costituzione, la natura spirituale della persona umana, nella quale si legittimano i suoi diritti naturali imprescrittibili. Quali sono questi diritti? Certamente quelli indicati nella dichiarazione del 1789, di tipo cosiddetto individualistico, ma non soltanto questi: occorre integrarli con i cosiddetti diritti sociali; e fondamentalmente col diritto al lavoro, il diritto al riposo, il diritto all’assistenza, ecc., tutti diritti di cui ci offrono documentazione le Costituzioni più recenti.

Ma qui sorge un altro problema: Può con questo ritenersi completato il quadro dei diritti dell’uomo? Evidentemente no; per completarlo è necessario tener conto delle comunità fondamentali, nelle quali l’uomo si integra e si espande, cioè dei diritti delle comunità.

Non tenendo conto di questi diritti, si avrebbe soltanto una parziale affermazione dei diritti dell’uomo con tutte le dannose conseguenze che ne deriverebbero; includendoli, invece, si arriva alla teoria del cosiddetto pluralismo giuridico che riconosce i diritti del singolo ed i diritti delle comunità e con questo dà una vera integrale visione dei diritti imprescrittibili dell’uomo. Questa teoria del pluralismo, che ha un notevole fondamento anche nella dottrina, porta ad un tipo di Stato che corrisponde tanto alle esigenze sociali del nostro tempo, quanto alla struttura organica del corpo sociale.

Riepilogando, sottolinea la necessità di premettere alla Costituzione una dichiarazione dei diritti, affermando la spiritualità della persona umana ed aggiungendo ai diritti del 1789 quelli sociali e delle comunità, ciò che presuppone una riforma della struttura sociale ed anche politica dello Stato. L’ideale da proporsi in una società pluralista è appunto questo ideale organico, per cui ogni uomo abbia una funzione ed un posto nel corpo sociale, funzione e posto che dovrebbero essere definiti dal cosiddetto Stato professionale, che fissa le posizioni di tutti nel corpo sociale.

Premesso questo, illustra l’articolazione proposta, facendo presente che nel primo articolo viene determinato il fine della Costituzione: tutela dei diritti originari ed imprescrittibili della persona e delle comunità naturali. Nel secondo articolo si ha una elencazione di questi diritti: diritto alla propria integrità giuridica, diritti di libertà, diritti connessi con l’esistenza e l’autonomia della comunità, familiare, religiosa, professionale, ecc.

Successivamente, tenuto presente che la persona esiste e si muove, ha ritenuto necessario contemplare l’esercizio della libertà della persona, libertà non concepita in astratto – come in alcuni punti della dichiarazione del 1789 – ma libertà finalizzata che trova i suoi limiti nelle supreme norme morali. Affermati pertanto i diritti della libertà, li ha elencati: diritto alla libertà personale, ai giudici naturali, alla libertà di circolazione, alla libera espressione del proprio pensiero, ecc.

PRESIDENTE fa presente che l’onorevole Basso, altro relatore sullo stesso tema, più che presentare una vera e propria relazione, ha proposto una serie di articoli, cui ha fatto seguire brevi commenti esplicativi. Egli ha espresso il desiderio di riferire in merito nella prossima seduta.

Propone di passare senz’altro alla discussione della relazione La Pira per decidere pregiudizialmente se convenga premettere all’affermazione dei diritti della persona umana un preambolo; e, dato che sia da premettere, di quale tenore esso debba essere. Seguirà successivamente la discussione dei singoli articoli proposti dai relatori.

(La Commissione approva).

MASTROJANNI ha seguito con compiacimento la dotta relazione del collega La Pira e non ha nulla da obiettare su quanto sostanzialmente ha detto in ordine alla necessità di creare una netta antitesi tra la concezione dello Stato fascista e quella dello Stato democratico. L’affermazione dei diritti dell’individuo, secondo la tradizione del 1789, è stata esattamente posta in evidenza e logicamente deve costituire il preambolo della nuova Costituzione. È anche esatto – poiché è necessario seguire l’evoluzione dei tempi – che ai diritti dell’individuo sia da aggiungere la serie dei diritti sociali.

Non concorda però con il collega La Pira sulla integrazione di questi diritti, i quali non potrebbero essere a pieno soddisfatti, se non venissero innestati nella terza serie dei diritti, cioè i diritti della comunità.

Al relatore, il quale ritiene che questa finalità non può essere completamente perseguita, se l’individuo in seno alla comunità non trova il perfezionamento di se stesso, e che i diritti dell’individuo non sono sufficienti a caratterizzare la sua spiritualità e a completare la sua sfera di azione, se contemporaneamente non vengono riconosciuti i diritti delle comunità, osserva che quando si affermano i diritti dell’individuo, tra i quali preminenti quelli di associazione e riunione, non si preclude affatto la possibilità di estrinsecare in seno alle comunità un’attività e di perseguire finalità anche economiche; al contrario, se si inserisse l’affermazione che lo Stato deve garantire l’esistenza di quelle comunità, nelle quali l’uomo trova l’integrazione della sua personalità, si verrebbe, indirettamente, ad obbligare lo Stato ad ingerirsi nella vita di queste associazioni ed a provvedere quindi direttamente al perseguimento delle finalità anche economiche che l’uomo si propone di raggiungere, con il pericolo di un ritorno a quella statolatria che è stata e deve essere combattuta. Il relatore La Pira ha precisato e caratterizzato il suo pensiero nella relazione, là dove afferma che egli intende realizzare la sua enunciazione generale circa la struttura sociale con la istituzione di un libro nazionale delle professioni in cui dovrebbero essere inscritte le attività professionali di ciascuno: questa inserzione costituisce il diritto al lavoro. Ora – a suo avviso – una volta affermato in una carta costituzionale questo principio, esso deve trovare la sua attuazione attraverso successive leggi. Per conseguenza, stabilito il principio che il diritto al lavoro si esplica attraverso l’inserzione in quel libro nazionale delle attività individuali, si verrebbe a costituire un presupposto dal quale logicamente deriverebbe l’obbligo dell’intervento dello Stato per estrinsecare e realizzare la sua enunciazione, creando perciò una interferenza dello Stato sulla libertà degli individui, che verrebbe assoggettata alla tutela e alla disciplina dello Stato stesso. Si correrebbe cioè il rischio di costituire una organizzazione statale talmente appesantita da sopprimere od incrinare le libertà individuali.

Dal momento che i principî dei diritti dell’uomo, sia spirituali che materiali, sono enunciati nella prima parte della relazione La Pira, egli è di opinione che il terzo elemento – integrazione della libertà attraverso le comunità naturali – non debba far parte necessariamente della Carta costituzionale.

Da questo nessun nocumento deriverebbe alla completa libertà dell’individuo, in quanto vi sono enunciazioni apodittiche che consentono di perseguire la stessa finalità senza l’intervento dello Stato. Libertà di associazione, di pensiero, di coscienza, di culto, di stampa, sono tutte libertà le quali consentono ai singoli di costituire le comunità naturali e di perseguire, attraverso di esse, le proprie finalità.

MARCHESI osserva che il collega La Pira, nella sua relazione, afferma che «Lo Stato totalitario fu essenzialmente una crisi totale del valore della persona quale era stato elaborato, sui dati dell’Evangelo e della più alta meditazione umana, durante tutto il corso della civiltà cristiana». L’onorevole La Pira sa forse quale alta considerazione e quale profondo rispetto egli abbia del fatto religioso e della coscienza religiosa, quindi non può essere sospettato di portare una nota anticlericale, se chiede il motivo di questo ricorso ai canoni neo-testamentari e della negazione di tutta la elaborazione precedente che della persona umana aveva fatto oggetto di ricerca morale e civile.

LA PIRA, Relatore, osserva che quando dice «più alta meditazione umana» si riferisce a tutto il pensiero speculativo, compreso quello pre-cristiano.

MARCHESI dichiara che con questa precisazione un dubbio scompare.

Rileva che in altro punto della relazione è detto: «Questa radice spirituale e religiosa dell’uomo è la base sulla quale soltanto è possibile solidamente costruire l’edificio dei diritti naturali, sacri ed imprescrittibili». Più oltre si aggiunge, ancora più nettamente, che «per dare intrinseca solidità a questi diritti, la dichiarazione deve anche procedere ad una affermazione relativa alla natura spirituale e trascendente della persona». Osserva che qui si muove da una concezione teologica, anziché da una concezione storica e razionale; si muove da un dogma che può essere accolto e può non esserlo senza che il fondamento etico dell’individuo e dello Stato abbia a mancare o abbia necessariamente – insiste su questo avverbio – a mancare.

LA PIRA, Relatore, precisa che quando parla di trascendente, intende questa radice spirituale dell’uomo nel senso che, o si ammette un trans-temporale, trascendente, spirituale, non soggetto al tempo, ed allora si possono avere dei diritti naturali e quindi imprescrittibili ed immutabili; o invece la persona è totalmente nel tempo, quindi immanente e non trascendente, e questi diritti naturali sono diritti che si mutano.

MARCHESI osserva che ci si trova allora dinanzi al vecchio dualismo tra diritti eterni, e incancellabili e diritti positivi, contingenti e cancellabili. Con questo, un altro suo dubbio scompare.

Nota che il relatore La Pira, alla fine del preambolo, prima di cominciare l’articolazione, scrive: «Pertanto esso proclama al cospetto di Dio e della comunità umana, la dichiarazione seguente dei diritti dell’uomo». Osserva che la formula è indubbiamente solenne, ma è una formula teologica o una formula, – se il termine è permesso – pagana. Essa si riporta o allo Stato-chiesa o allo Stato pagano o protestante o quacquero, ad uno Stato insomma che contiene in sé o tende a contenere in sé fattori religiosi e civili. Ora, in un paese dove predomina la religione cattolica, con una chiesa organismo perfetto e assoluto, un’affermazione di questo genere gli pare assurda e irrispettosa, o ad ogni modo inutile.

LA PIRA, Relatore, osserva di non aver fatto altro che riportare letteralmente, con l’unica aggiunta delle parole «e della comunità umana», il testo delle dichiarazioni del 1789, del 1791, del 1793 ed anche del 1848.

MARCHESI rileva che vi è una differenza tra Dio e l’Essere supremo.

LA PIRA, Relatore, risponde che Dio è nominato sia nel 1793 che nel 1848.

MARCHESI si chiede se la formulazione proposta sia veramente conveniente in uno Stato come il nostro in cui la religione cattolica ha un sicuro predominio sulla coscienza dei cittadini.

LA PIRA, Relatore, dichiara di essersi preoccupato, nella stesura del suo progetto, di prescindere dall’ordine soprannaturale e rivelato, e di essersi fermato all’ordine naturale. Dal punto di vista del pensiero tomista si afferma che Dio esiste ed è naturalmente dimostrabile.

MARCHESI ritiene preferibile non nominare il nome di Dio invano.

LA PIRA, Relatore, osserva che tutta la civiltà dell’Europa gravita intorno a questo pensiero.

MARCHESI crede sarebbe meglio riuscire a distinguersi.

TOGLIATTI, mentre si associa a quanto, ha detto il collega Marchesi, dichiara che avrebbe preferito intervenire dopo aver ascoltato l’opinione del correlatore, in quanto il dibattito sarebbe stato completo. Si riserva comunque di prendere nuovamente la parola dopo la illustrazione dell’onorevole Basso.

BASSO, Relatore, fa presente di non aver avuto parte nella dichiarazione generale in quanto contrario alla sua formulazione.

TOGLIATTI esprime la sua riconoscenza al collega La Pira, che con la sua dichiarazione lo ha riportato ai tempi lontani dell’università e degli studi di filosofia del diritto. Crede opportuno però fare subito una osservazione riferendosi non tanto all’introduzione dottrinale quanto al complesso degli articoli. Gli sembra che il testo costituzionale proposto dall’onorevole La Pira pecchi di quello che chiamerebbe un eccesso di ideologia. La Costituzione, infatti, viene legata ad una particolare ideologia, che ha un carattere non soltanto filosofico ma anche religioso, ciò che comporta il rischio di creare una scissione nel corpo della Nazione, di aprire una discussione, la quale darebbe luogo a infiniti dibattiti, a suo avviso nocivi a coloro stessi che volessero introdurre troppa parte della loro ideologia religiosa nella Costituzione. Non è necessario, ad esempio, inserire l’affermazione dell’esistenza di Dio nella Costituzione, perché crede si possano trovare molti altri argomenti, al di fuori di questa Costituzione, per dimostrarla. Qui, invece, si è in un altro campo, nel quale occorre muoversi con concetti diversi, che sono più direttamente legati alla vita politica e sociale ed al contenuto immediato di essa.

Lo stesso difetto ha dovuto constatare nella articolazione proposta dall’onorevole La Pira, dove, accanto ad alcune formulazioni che sono accettabili e comuni per tutti, si trovano giustificazioni ideologiche che non vede come possano entrare in una Costituzione.

All’articolo 1, ad esempio, si parla dello «Stato italiano che riconosce la natura spirituale, libera, sociale dell’uomo…». Ed ecco che tutta una parte dell’opinione dotta del paese potrà dire che questa definizione della natura dell’uomo è errata o insufficiente. Non gli pare assolutamente necessario fare nella Costituzione questa affermazione: crede ci perda chi vuol farla, mentre la Costituzione non ci guadagna.

Lo stesso inconveniente ha constatato in parecchi degli articoli che seguono.

Rileva inoltre la esigenza di creare una Costituzione accessibile a tutti, una Costituzione che possa essere compresa dal professore di diritto e in pari tempo dal pastore sardo, dall’operaio, dall’impiegato d’ordine, dalla donna di casa. Ora quando nel progetto trova affermazioni come quella con cui si inizia l’articolo 2 («I diritti originari ed imprescrittibili della persona umana costituiscono un sistema integrale e solidale di diritti che concernono tutti i piani dell’attività umana, ecc.») non può non restare interdetto, perché anche a chi ha una cultura riesce difficile sostituire a questa affermazione qualcosa di politicamente e socialmente concreto. Si domanda quindi se sia opportuno caricare la Costituzione di tutto questo bagaglio ideologico, che non la rinforza ma la indebolisce, e che potrà dar luogo a dibattiti tra dotti, mentre il popolo non comprenderà nulla.

Lo stesso può valere per l’articolo 3: «L’esercizio effettivo di tali diritti esige una struttura della società e dello Stato nella quale sia assicurato a ciascuno, nel corpo sociale, proporzionatamente alle sue capacità, un posto od una funzione. Questo posto e questa funzione, mentre permetterà l’ordinato contributo di tutti al bene comune, ecc.» e per altri articoli. Sono tutte affermazioni che non debbono trovar posto nella Costituzione, ma, se mai, in un commento alla Costituzione. Crede pertanto che tutto il testo proposto potrebbe essere efficacemente sfrondato di questa parte ideologica e riassunto in alcune formule molto più evidenti, persuasive e comprensibili.

Deve poi sollevare una obiezione di principio per l’articolo 3-bis, proposto dall’onorevole La Pira, che non ritiene accettabile. In questo articolo si dice che «In vista della attuazione della struttura sociale indicata nell’articolo precedente (ideologicamente definita in un modo abbastanza vago), verrà disposta per legge l’iscrizione di tutti gli italiani nel libro delle professioni e verrà attribuito a ciascuno, nei modi che la legge indicherà, un adeguato stato professionale». Si domanda innanzi tutto quando dovrebbe avvenire questa iscrizione: quando il cittadino nasce, quando diventa maggiorenne, quando sceglie una professione? Rileva che non è possibile negare la libertà di scegliere il proprio lavoro, ed ognuno può cambiare professione quando ritenga che un’altra sia più conveniente alle proprie aspirazioni e alle proprie capacità. Perché stabilire questo registro, in cui tutti gli italiani sarebbero incasellati, catalogati e in cui forse si darebbe loro anche un numero? Gli sembra che con la proposta si venga a cadere in alcuna di quelle formule che, ingiustamente, si attribuiscono al comunismo. Non crede quindi che un articolo del genere possa essere accettato ed incluso in una Costituzione moderna, perché con esso si ritornerebbe – non al regime corporativo fascista il quale non era ancora arrivato a simili formule, per quanto vi tendesse – ma a formule di regimi corporativi di secoli precedenti, fortunatamente scomparsi sotto l’azione del progresso sociale.

Per il resto, accetta come base di discussione il testo presentato dall’onorevole La Pira; ritiene peraltro preferibile il testo dell’onorevole Basso, per la sua maggiore concisione e perché si è sforzato di rimanere lontano da tutto il bagaglio ideologico.

Si riserva comunque di fare altre osservazioni sui singoli articoli.

LOMBARDI GIOVANNI aderisce pienamente alle osservazioni dell’onorevole Togliatti, riaffermando la necessità di bandire ogni ideologia da una Costituzione che deve rivolgersi a persone di diversi sentimenti e di diversi pareri politici, religiosi o scientifici.

Crede che se si dovesse scendere all’esame dettagliato delle affermazioni ideologiche proposte dall’onorevole La Pira ben poca parte ne resterebbe, soprattutto là dove è posta la radice dei diritti tanto individuali quanto sociali, perché questi diritti non sono venuti dall’alto, ma sono stati strappati dalle rivoluzioni, dalle guerre e dal sangue versato dagli nomini. Si vedano in proposito la rivoluzione francese, quella inglese e quella americana e le Costituzioni formatesi verso la fine del 1700.

Questi diritti si vanno formando giorno per giorno, a misura che la storia cammina; ed alla fine di ogni guerra e di ogni rivoluzione il volto dell’universo, o di una parte dell’universo, si muta, si formano nuove idee e nuovi statuti, cadono regni che parevano incrollabili, e cadono vecchie ideologie. Questo a parte la considerazione fatta già dall’onorevole Togliatti, che cioè uno statuto deve essere chiaro, preciso e non presupporre ideologie.

Per quanto riguarda i diritti sociali, essi hanno un fondamento di giustizia sociale. È un secolo – dall’uscita del manifesto di Carlo Marx fino ad oggi – che si lotta per questi diritti sociali, che sarebbero appunto il diritto al lavoro, ecc., cioè tutto quello cui si opponeva il fascismo, e che costituiscono la libertà, l’indipendenza e la superiorità dell’uomo, il quale non ha bisogno di ricorrere ad altri per proclamare la sua divinità, che egli si crea lottando e combattendo. Questa è la sua fede, in opposizione a quella del Relatore; ma non crede sia il caso di affermare nella Costituzione l’una a detrimento dell’altra.

Ma dove egli trova una vera deficienza è nel fatto che si parli di diritto al lavoro ma non del dovere del lavoro. Il diritto al lavoro è sacro, ma in una Costituzione che dovrà essere lo statuto nuovo, lo statuto della civiltà del lavoro che un popolo uscito dalle rovine della guerra ha voluto darsi per evitare altre guerre, non il libro delle professioni deve porsi, che riproduca le varie distinzioni professionali del Medio Evo, ma una affermazione che stabilisca il dovere del lavoro. Non vi deve essere un uomo che possa vivere nell’ozio. Questo deve essere detto esplicitamente nella Costituzione, il dovere del lavoro deve essere affermato legalmente così come è affermato legalmente il diritto al lavoro. Tutte le degenerazioni umane derivano dall’ozio; quindi stabilendo un tale principio si compie una profilassi all’umanità, facendo concorrere tutti al lavoro. Non deve più esservi chi vive d’ozio e riceve dalla terra lontana il frutto del lavoro di altri, che non possono in tale lavoro trovare il mezzo per la soddisfazione dei propri bisogni. Questo concetto dovrebbe essere posto nella Costituzione e di esso si dovrebbe naturalmente tener conto nella legislazione penale rinnovata, di cui da tempo il Paese è in attesa. A tale proposito, prega il Presidente di voler chiedere al Ministro di grazia e giustizia cosa ne sia di quella Commissione che lo stesso Presidente costituì quando era Ministro, e che deve darci quella riforma delle leggi penali che dovrà essere il segno precipuo del crollo del vecchio mondo e dell’origine di un nuovo mondo, della civiltà nuova del lavoro.

Conclude dichiarando di accettare in gran parte, apprezzandone la forma scheletrica, il progetto del collega Basso, osservando peraltro che tutte le affermazioni in esso contenute hanno un fondamento penalistico, e che la Sottocommissione verrebbe ad accogliere tali affermazioni senza sapere ancora quando e come si avrà il codice che dovrà sanzionare le pene per gli attentati alla libertà del cittadino.

CEVOLOTTO si associa alle osservazioni dell’onorevole Togliatti, alle quali ne aggiunge altre due.

Osserva in primo luogo che l’onorevole Togliatti ha criticato la forma con cui sono redatti gli articoli, proposti dal relatore La Pira, in rapporto anche ad una eccessiva formulazione di principî ideologici, che non sono inerenti alla struttura di una Costituzione. Ma egli vuole sottolineare la necessità che la struttura e la forma dell’articolazione sia presso a poco uniforme nonostante che diversi siano i relatori per i diversi temi.

Altra osservazione è questa: il preambolo deve essere preambolo di tutta la Costituzione. Ora, come la prefazione di un libro si scrive dopo averlo letto, così è necessario fare prima la Costituzione e poi il preambolo. E forse questo non sarebbe il compito della Sottocommissione. Dopo completata la Costituzione, si dovrà prenderla nel suo insieme, e stabilire la forma, la struttura, e i concetti che si dovranno inserire nel preambolo. La formulazione di questo sarà in relazione a quanto sarà stato riservato in tutte le Sottocommissioni al preambolo stesso, ed una discussione generale in merito, non potrà seguire se non in sede di Commissione plenaria, dopo compiuta la Costituzione.

Si riserva di intervenire in seguito nelle discussione sui singoli articoli. Rileva per altro fin d’ora che all’articolo 11 è detto che la pena di morte non è ammessa. Egli si dichiara contrario alla pena di morte; ma osserva che nei codici militari, per il tempo di guerra, è difficile non ammettere tale pena.

Conclude affermando di ritenere che lo schema proposto dall’Onorevole La Pira sia troppo diffuso. Non bisogna fare un codice al posto di una Costituzione, ma creare le linee generali, che non siano superabili da leggi speciali. Una volta posto il quadro, molti argomenti sarà opportuno lasciarli alle leggi speciali, che potranno essere modificate senza bisogno di modificare la Costituzione.

LUCIFERO, premessa l’opportunità che la Costituzione sia veramente uno strumento di convivenza, rileva in primo luogo la opportunità che essa contenga una dichiarazione dei diritti. Andrebbe anzi più oltre, ed affermerebbe che la prima Sottocommissione non dovrebbe fare altro che la dichiarazione dei diritti. Occorre senza dubbio arrivare a stabilire dei principii ed affermare dei diritti, pur senza scendere ad una analisi. È d’accordo con l’onorevole Togliatti che forse le ideologie affermate nel testo degli articoli sono troppe; bisogna fissare semplicemente le conclusioni, e questo faciliterebbe la comprensione reciproca ed anche la formulazione di un testo unico.

Per quanto riguarda la costruzione fatta dall’onorevole La Pira, dichiara di trovarsi molto perplesso; ed è d’accordo tanto con l’onorevole Mastrojanni quanto con l’onorevole Togliatti circa la pratica inapplicabilità della disposizione relativa al libro delle professioni. Pregherebbe il relatore La Pira di sfrondare la sua articolazione senza però arrivare allo schema dell’onorevole Basso.

CARISTIA è d’avviso che le relazioni dei colleghi La Pira e Basso si integrino reciprocamente. Certo si può obiettare che la relazione La Pira sia un po’ troppo impregnata di ideologia, anche se questa ideologia sia indiscutibile. In una Costituzione bisogna procedere per formule scheletriche e quanto più la formula è scheletrica e comprensiva tanto più si raggiunge lo scopo. Ha l’impressione che la relazione Basso in un certo senso completi quella La Pira, in quanto considera il diritto sotto l’aspetto delle garanzie, aspetto trascurato, almeno in parte, dall’onorevole La Pira. Gli sembra peraltro ingenuo pensare che una Costituzione possa sganciarsi assolutamente da alcune ideologie. Il collega Lombardi bene osservava che all’indomani di grandi rivolgimenti, soprattutto all’indomani di guerre, sorge quello che oggi diciamo un ordine nuovo; ma bisogna anche aggiungere che questo ordine nuovo non sorge immediatamente senza precedenti; perciò i documenti storici – le Costituzioni alle quali ha accennato il collega Lombardi – hanno sempre il loro presupposto in una forma di ideologia.

Il problema consiste piuttosto – e sarà difficile problema – nella necessità di contemperare le diverse correnti e le diverse ideologie. I colleghi che lo hanno preceduto hanno accennato alla forma con cui si concepisce lo Stato. Vi sono, è vero, diverse forme, ma non si può dire che la Costituzione sia proprio avulsa da presupposti ideologici che tutti abbiamo e tutti sentiamo. In questo egli è d’accordo con il relatore La Pira, che è stato forse esuberante nel manifestare questo modo di concepire la società e lo Stato, ma che non voleva certo riprodurre oggi, all’indomani della caduta del fascismo, la città medioevale del ’300 con le sue corporazioni.

MANCINI non farà manifestazioni di fede né opporrà imperativi categorici. Riconosce che la relazione La Pira, anche se può essere discussa nel contenuto, deve essere francamente apprezzata per la sua dottrina. Osserva che se si dovesse entrare in discussioni filosofiche non si farebbe altro che esasperare l’antitesi tra le due parti. Occorre invece mettere da parte la filosofia e le ideologie che ci dividono ed interessarsi della Costituzione che ci unisce. Al collega Caristia, il quale – in contrasto con quanto ha affermato l’onorevole Togliatti – diceva che non è possibile sganciare la Costituzione da qualche ideologia perché tutte le rivoluzioni hanno i loro presupposti teorici, risponde che proprio per questa premessa è necessario sganciare la Costituzione da ogni presupporlo teorico, perché il presupposto che oggi si metterebbe in risalto non sarebbe quello di tutta l’Assemblea ma soltanto di una parte di essa. D’accordo con l’onorevole Togliatti, è d’avviso che la Costituzione debba esser semplice, lontana da ogni presupposto ideologico, in modo che essa risulti comprensibile a tutti, e sia un trattato legislativo e non di filosofia.

Osserva che il collega La Pira ha diviso i diritti in individuali, sociali e dell’uomo nella comunità (spirituali). Egli è arrivato a questa sottilizzazione per cercare in tutti i modi di mettere in risalto la sua ideologia. Non crede che ciò sia opportuno.

Passando ad altro argomento, si dichiara in disaccordo con l’onorevole Togliatti in merito alla sua osservazione circa lo stato professionale.

Pensa che in una legislazione come la nostra, mentre non si fa, giustamente, che esaltare il lavoro, non sia inopportuno il fatto che ognuno affermi e debba affermare il suo stato professionale. Già nella Costituzione fiorentina del 1293 si affermava che prima si era produttori e poi cittadini, e la stessa cosa dopo tanti secoli è stata riaffermata dalla Russia.

In omaggio a questo principio, è d’avviso che lo stato professionale debba essere sancito in un articolo della Costituzione.

DOSSETTI pensa che il dissenso si sia allargato, in quanto non si è guardato a quei punti sintetici della relazione di La Pira, sui quali tutti avrebbero dovuto essere d’accordo. Non si soffermerà a discutere se una Costituzione debba avere un presupposto ideologico o meno; pensa comunque che come tutte le Costituzioni hanno avuto tale presupposto, non è ammissibile che la nostra non l’abbia, e non sarà impossibile accordarsi su una base ideologica comune. A suo giudizio, la Sottocommissione deve fissare i punti fondamentali della impostazione sistematica sulla quale dovrà basarsi la dichiarazione dei diritti, che non possono non essere comuni a tutti. Se l’onorevole Togliatti esaminerà l’art. 3 bis, proposto dall’onorevole La Pira, guardandone il significato, dovrà riconoscere che, anche se difettoso nella formulazione, esso ha un suo significato importante per quanto ad esempio riguarda l’organizzazione sindacale. L’unica obiezione all’articolo 3-bis è che la sua collocazione può non essere opportuna a quel punto: esso avrebbe forse meglio trovato posto dove si parlava dei doveri sociali e della disciplina del lavoro.

Dichiara che nessuno vuole affermare qui una ideologia, e tanto meno una ideologia cattolica; se ci sono degli spiriti preoccupati di fare affermazioni fondate soltanto sulla ragione, crede siano i rappresentanti del proprio partito, anche se talvolta nella forma questo può non apparire.

Venendo alla sostanza, cioè, all’ideologia comune che dovrebbe essere affermata come base dell’orientamento sistematico della dichiarazione dei diritti, egli pone questa domanda: si vuole o non si vuole affermare un principio antifascista o afascista che non sia riconoscimento della tesi fascista della dipendenza del cittadino dallo Stato, ma affermi l’anteriorità della persona di fronte allo Stato? Se così è, ecco che si viene a dare alla Costituzione una impostazione ideologica, ma di una ideologia comune a tutti.

In secondo luogo, fatta l’affermazione di questa anteriorità, non si vorrà riconoscere che questa anteriorità della persona si completa nelle comunità in cui la persona si integra, e cioè nella famiglia, nelle associazioni sindacali, ecc., senza che ciò voglia significare che vi sia dissenso in questo, anche se qualche formulazione dell’articolo di La Pira potrebbe farlo supporre? Eventuali equivoci verranno subito rimossi, e per la stesura dei singoli articoli, sarà sempre possibile accordarsi e impostarla diversamente. Afferma di non riferirsi a nessuna concessione dall’alto, ma di voler far derivare questa dichiarazione dei diritti dalla persona; però questa visione dell’anteriorità della persona non può arrestarsi ad una visione puramente corporea della persona stessa. E in questo non crede che l’onorevole Togliatti troverà motivo di dissenso, per la semplice ragione che su questo punto oramai si può dire che tutto il pensiero moderno – anche quello che potrebbe essere vicino alle fonti di ispirazione dell’onorevole Togliatti – in un certo senso può dirsi concorde. Questo concetto fondamentale dell’anteriorità della persona, della sua visione integrale e dell’integrazione che essa subisce in un pluralismo sociale, che dovrebbe essere gradito alle correnti progressive qui rappresentate, può essere affermato con il consenso di tutti. Tale concetto deve essere stabilito non per una necessità ideologica, ma per una ragione giuridica; infatti, non va dimenticato che la Costituzione non deve essere interpretata solo dai filosofi, ma anche dai giuristi. Ora, i giuristi hanno bisogno di sapere – e questo vale particolarmente quando si tratta di uno statuto, che codifica principî supremi, generalissimi – proprio per quella più stretta interpretazione giuridica delle norme, qual è l’impostazione logica che sottostà alla norma.

Prescindendo dal tentativo fatto dal relatore La Pira, che può essere stato più o meno felice, che sarà più o meno gradito, desidera richiamare i componenti la Sottocommissione all’opportunità di definire i principî fondamentali ai quali deve essere ispirata la dichiarazione dei diritti. Su questi principî fondamentali, che debbono dare la fisionomia sintetica del nuovo Stato e dei rapporti tra i cittadini e lo Stato, è necessario sia riscontrato il consenso di tutti.

TOGLIATTI è d’avviso che le espressioni dell’onorevole Dossetti offrano un ampio terreno di intesa. Senza entrare in merito ai vari argomenti sviluppati, desidera soffermarsi su un punto che l’onorevole Dossetti ha indicato come quello di una eventuale differenziazione, cioè il rapporto tra la persona e lo Stato. Non vede perché ci si dovrebbe differenziare dalla tendenza che vede affiorare dalle spiegazioni dell’onorevole La Pira e da quanto ha detto l’onorevole Dossetti. Per suo conto, lo Stato è un fenomeno storico, storicamente determinato, e la dottrina che egli rappresenta sostiene che lo Stato, ad un certo momento, dovrebbe scomparire; mentre sarebbe assurdo si pensasse che debba scomparire la persona umana. È d’accordo anche che un regime politico, economico e sociale, è tanto più progredito quanto più garantisce lo sviluppo della personalità umana. Egli e l’onorevole Dossetti potrebbero dissentire nel definire la personalità umana; però ammette che possa essere indicato come il fine di un regime democratico quello di garantire un più ampio e più libero sviluppo della persona umana.

DOSSETTI vuole aggiungere un altro argomento per un’intesa. Ritiene che il marxismo non si ispiri – benché qualcuno ritenga il contrario – ad un materialismo volgare, ma ad un materialismo raffinato, di carattere superiore, che non rifugge da questa visione integrale dell’uomo.

TOGLIATTI poiché si discute tra uomini di dottrina in buona fede, crede che un accordo sia possibile, e che non sia necessario il richiamo diretto nella Costituzione alle ideologie da cui deriva una determinata posizione, che oggi può essere formulata nella Costituzione. È possibile però dare oggi una giustificazione della lotta che si conduce per instaurare e rafforzare la democrazia nel Paese. Poiché si parte da una esperienza politica comune, anche se non da una comune esperienza ideologica, questo – a suo avviso – dovrebbe offrire un terreno di intesa.

DOSSETTI come riassunto della discussione, presenta il seguente ordine del giorno:

«La Sottocommissione, esaminate le possibili impostazioni sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell’uomo;

esclusa quella che si ispiri a una visione soltanto individualistica;

esclusa quella che si ispiri a una visione totalitaria, la quale faccia risalire allo Stato l’attribuzione dei diritti dei singoli e delle comunità fondamentali;

ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto dell’Italia democratica deve soddisfare, è quella che:

  1. a) riconosca la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di quella;
  2. b) riconosca ad un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale: anzitutto in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità (comunità familiari, territoriali, professionali, religiose, ecc.), e quindi, per tutto ciò in cui quelle comunità non bastino, nello Stato;
  3. c) che per ciò affermi l’esistenza sia dei diritti fondamentali delle persone, sia dei diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato».

LUCIFERO propone che i due relatori, i quali hanno ascoltato la discussione, cerchino – insieme o ognuno per proprio conio – di adeguare la formulazione degli articoli alle risultanze della discussione, presentando un testo concreto, sul quale sia possibile cominciare la discussione.

TOGLIATTI si associa alla proposta del collega Lucifero.

PRESIDENTE riassumendo i risultati della discussione, fa presente che la Sottocommissione si è dimostrata d’accordo su questo punto: che, quali che siano i presupposti ideologici da cui i relatori possano partire, gli articoli proposti dovranno essere il più possibile chiari, semplici, intelligibili, accessibili cioè alla mente di tutti, ed avere come caratteristica fondamentale una impostazione che chiamerebbe politico-giuridica.

I chiarimenti dell’onorevole Dossetti hanno consentito all’onorevole Togliatti di aderire ad un punto fondamentale della discussione e della eventuale deliberazione. E cioè che, prescindendo dalle diverse ideologie, l’importante è arrivare a delle conclusioni.

Altro punto fondamentale; qualunque siano i lontani presupposti ideologici, tutti si possono trovare d’accordo sulla considerazione che si deve avere della persona umana in confronto ai suoi diritti naturali o riflessi, e che questi sono i diritti che vanno riconosciuti, proprio perché appartenenti alla persona umana.

Ciò premesso, prega l’onorevole Dossetti di rimandare a domani la presentazione dell’ordine del giorno e la relativa discussione. Una parte di tale ordine del giorno gli pare comprenda un complesso di idee che possono costituire patrimonio comune; mentre un’altra parte potrebbe offrire il destro al riaccendersi della discussione.

Aderendo poi alla proposta Lucifero, prega i relatori onorevoli Basso e La Pira, i quali hanno formulato articoli che presentano molti punti di contatto fra di loro, di voler cercare, tenendo conto dei risultati della odierna discussione, di presentare domani un testo unico di articolazione.

DOSSETTI è d’accordo quanto alla convenienza di presentare domani il suo ordine del giorno; insiste però sulla necessità che la discussione di tale ordine del giorno preceda il tentativo di fusione dei due progetti in quanto se i due relatori non hanno una linea direttiva che rappresenti il pensiero sintetico della Sottocommissione, difficilmente essi riusciranno a mettersi d’accordo.

PRESIDENTE prega l’onorevole Dossetti di far pervenire domattina a ciascuno dei componenti la Sottocommissione il testo del suo ordine del giorno.

Rinvia il seguito dei lavori alle ore 18 di domani.

La seduta termina alle 20.5.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

RELAZIONE DEL DEPUTATO LA PIRA GIORGIO SUI PRINCIPII RELATIVI AI RAPPORTI CIVILI

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

I SOTTOCOMMISSIONE

RELAZIONE

del deputato LA PIRA GIORGIO

SUI PRINCIPII RELATIVI AI RAPPORTI CIVILI

I.

INTRODUZIONE

1.

Deve essere premessa nella costituzione una dichiarazione dei diritti dell’uomo?

Il problema sorge dal fatto che alcune Costituzioni recenti (Austria 1920, Lettonia 1932, Polonia 1935) mancano di tale premessa: e ne mancano per la ragione che gli essenziali e tradizionali diritti dell’uomo sono in esse considerati come il presupposto tacito ed ineliminabile di ogni Costituzione.

Diverso è il caso per la nuova Costituzione italiana: essa è necessariamente legata alla dura esperienza dello stato «totalitario», il quale non si limitò a violare questo o quel diritto fondamentale dell’uomo: negò in radice l’esistenza di diritti originari dell’uomo, anteriori allo stato: esso anzi, accogliendo la teoria dei «diritti riflessi», fu propugnatore ed esecutore di questa tesi: non vi sono, per l’uomo, diritti naturali ed originari; vi sono soltanto concessioni, diritti riflessi: queste «concessioni» e questi «diritti riflessi», possono essere in qualunque momento totalmente o parzialmente ritirati, secondo il beneplacito di colui dal quale soltanto tali diritti derivano, lo Stato.

Da qui la radicale inversione del rapporto individuo-Stato quale era stato costruito nelle Costituzioni di tipo occidentale: non più la struttura costituzionale e politica dello Stato in funzione dell’individuo e dei diritti naturali dell’individuo, ma, all’opposto, i diritti riflessi dell’individuo in funzione della struttura costituzionale e politica dello Stato.

Non lo Stato per l’uomo, ma l’uomo per lo Stato: la dottrina hegheliana otteneva una integrale trascrizione nell’esperienza costituzionale e politica dello Stato fascista e nazista.

Veniva così in radice annullata la fondamentale conquista giuridica e politica della civiltà cristiana.

Lo Stato totalitario fu essenzialmente una crisi totale del valore della persona quale era stato elaborato, sui dati dell’Evangelo e della più alta meditazione umana, durante tutto il corso della civiltà cristiana: una crisi di natura metafisica prima – con la riduzione della persona ad un momento accidentale della sostanza statale (Hegel) – e di natura giuridica e politica poscia: negato ogni valore trascendente e perciò originario dell’uomo, ed assorbito l’uomo nella «sostanza» collettiva (lo Stato), non poteva non derivarne, per una ineluttabile conseguenza, la negazione radicale di diritti naturali, inviolabili da parte dello Stato.

Se non esiste nessuna anteriorità metafisica dell’individuo rispetto allo Stato e se, anzi, è proprio lo Stato a possedere questa anteriorità metafisica rispetto all’individuo, come è sostenibile l’esistenza di diritti originari dell’uomo che facciano da limite alla «assoluta» sovranità dello Stato? Se lo Stato è il prius e l’individuo è il posterius, la teoria della sovranità assoluta e dei diritti riflessi ha un fondamento incrollabile.

Crisi giuridico-politica e crisi metafisica della persona si richiamano come l’effetto richiama la causa: in questa duplice crisi sta l’essenza dello stato totalitario e, quindi, del fascismo e del nazismo.

Quale compito viene dunque affidato alla nuova Costituzione italiana perché sia almeno costituzionalmente superata questa crisi?

La risposta è evidente: riaffermare solennemente i diritti naturali – imprescrittibili, sacri, originari – della persona umana e costruire la struttura dello Stato in funzione di essi. Lo Stato per la persona e non la persona per lo Stato: ecco la premessa ineliminabile di uno Stato essenzialmente democratico.

Il preambolo della Dichiarazione del 1789 (ripetuto nella Costituzione del 1793) possiede oggi, per tutta l’Europa, una attualità singolare: esso dice: «I rappresentanti del popolo francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, la dimenticanza o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le sole cause delle sventure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa Dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro continuamente i loro diritti e i loro doveri; affinché gli atti del potere legislativo e quelli del potere esecutivo, potendo essere in ogni momento paragonati con il fine di ogni istituzione politica, siano più rispettati; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su principî semplici ed incontestabili, si rivolgano sempre al mantenimento della Costituzione ed alla felicità di tutti».

Ebbene: la Dichiarazione dei diritti nella nostra nuova Costituzione deve avere appunto questa funzione: indicare quale è il fine di ogni istituzione politica: mostrare, cioè, che lo Stato deve costruirsi in vista della persona e non viceversa: ed indicare, con quanta più precisione e completezza è possibile, quali sono questi diritti essenziali ed originari dell’uomo, alla tutela dei quali deve volgersi l’apparato costituzionale e politico dello Stato. Ma per dare un solido fondamento a questa sua finalità giuridica e politica, la Costituzione non può trascurare un’affermazione metagiuridica e metapolitica del valore della persona: esistono dei diritti naturali dell’uomo, esiste una anteriorità dell’uomo rispetto allo Stato, l’uomo ha valore di fine e non di mezzo perché la natura dell’uomo è spirituale e trascende, quindi, tutti i valori del tempo.

Questa radice spirituale e religiosa dell’uomo è la base sulla quale soltanto è possibile solidamente costruire l’edificio dei diritti naturali, sacri ed imprescrittibili. Se questa base manca o crolla (crisi metafisica della persona) anche l’edificio che vi poggia viene a rovina (crisi giuridica e politica della persona): e quando questo edificio crolla – quando, cioè, le due crisi solidali della persona si verificano – lo stato totalitario prende ineluttabilmente il posto dello stato democratico.

Concludendo: proprio perché la nuova Costituzione dello Stato democratico italiano deve energicamente riaffermare i valori della democrazia in opposizione ai principî dello Stato totalitario, è necessario premettere alla Costituzione – come, del resto, fanno la stragrande maggioranza degli stati – una solenne Dichiarazione dei diritti dell’uomo. E per dare intrinseca solidità a questi diritti, la Dichiarazione deve anche procedere ad un’affermazione relativa alla natura spirituale e trascendente della persona.

2.

E qui sorge un secondo problema: quali sono i diritti essenziali della persona verso la protezione dei quali deve dirigersi la struttura costituzionale e politica dello Stato?

Bisogna limitarsi alla riaffermazione di quei diritti naturali di eguaglianza e di libertà (civili e politiche) contenuti nelle Carte costituzionali americane e francesi? O, invece, accanto a questi diritti, cosiddetti individuali, bisogna affermare i cosiddetti diritti sociali che sono per la persona altrettanto essenziali quanto i primi? La risposta è evidente: la grave lacuna che si trova nelle Costituzioni precedenti va eliminata.

Senza la tutela dei diritti sociali – diritto al lavoro, al riposo, all’assistenza, ecc. – la libertà e l’indipendenza della persona non sono effettivamente garantite.

Da qui la necessità di integrare il sistema dei diritti della persona, introducendo in esso quel gruppo di diritti sociali che ormai appaiono, anche se diversamente configurati, in tutte le Costituzioni recenti (da quella di Weimar a quella sovietica del 1936, a quella spagnuola, irlandese, jugoslava, sino al recentissimo progetto di Costituzione francese) (cfr. Pergolesi, Orientamenti sociali delle Costituzioni contemporanee 1946; Mirkine-Guetzevitch, Les nouvelles tendances du droit costitutionel, II edizione, Paris, 1936).

L’introduzione di questi diritti sociali nel sistema dei diritti essenziali della persona importa dei mutamenti strutturali dell’ordinamento giuridico, economico e politico derivato dai principî incompleti del 1789: soltanto questi mutamenti sociali – che sono richiesti da una concezione sostanzialmente democratica dello Stato – permetteranno l’attuazione di tali diritti e renderanno così effettiva l’autonomia e l’indipendenza anche politica della persona.

Ed ecco, infine, sorgere – a proposito di questi mutamenti strutturali da introdurre nell’ordinamento giuridico, economico e politico creato coi principî del 1789, ed a proposito del sistema integrale dei diritti della persona – il seguente fondamentale problema: quando si parla di diritti essenziali della persona e di sistema integrale dei diritti essenziali della persona, ci si deve riferire unicamente – come si fece nella Dichiarazione del 1789 ed in quelle successive – ai diritti delle singole persone?

Si deve cioè continuare ad ammettere quella concezione atomistica che contrappone disorganicamente i singoli allo Stato, senza tener conto delle comunità naturali che sono la inevitabile e provvida mediazione fra lo Stato ed i singoli?

O, invece – accogliendo la concezione organica della società che vede frapposte organicamente e progressivamente fra i singoli e lo Stato le comunità naturali attraverso le quali la personalità umana ordinatamente si svolge – bisogna includere nel sistema integrale dei diritti della persona anche i diritti essenziali di queste comunità naturali? Bisogna cioè affermare che come non può aversi una effettiva libertà civile e politica della persona senza la tutela dei diritti sociali, così questa effettiva libertà non può aversi senza la tutela dei diritti essenziali delle comunità? Cioè: il sistema integrale dei diritti essenziali dell’uomo, esige o no che siano solidamente affermati tanto i diritti individuali quanto quelli sociali e quelli delle comunità?

Per noi la risposta non ammette dubbi: i diritti essenziali della persona umana non sono rispettati – e lo Stato, perciò, non attua i fini pei quali è costruito – se non sono rispettati i diritti della comunità familiare, della comunità religiosa, della comunità di lavoro, della comunità locale, della comunità nazionale: perché la persona è necessariamente membro di ognuna di queste comunità, e ne possiede lo status: la violazione dei diritti essenziali di queste comunità costituisce una violazione dei diritti essenziali della persona umana ed indebolisce o addirittura rende illusorie quelle affermazioni di libertà, di autonomia e consistenza sociale che sono contenute nelle dichiarazioni dei diritti.

Si pensi, per portare un esempio di fondamentale importanza, alla portata essenziale che hanno per la tutela dei diritti economici le associazioni dei lavoratori: se l’esistenza di tali associazioni fosse vietata o se ne fosse ostacolato lo sviluppo non si avrebbe, come ripercussione necessaria, un radicale indebolimento dei diritti vitali della persona? Che senso avrebbe – per passare ad altro esempio – proclamare la libertà di professare un culto se se ne impedisse poscia la struttura associativa? E come sarebbero davvero tutelati i diritti dei singoli se non sono tutelati quelli della comunità familiare di cui essi sono membri?

Le proporzioni del problema qui posto sono molto vaste: esse toccano quella inesatta valutazione della libertà individuale – frutto di concezioni filosofiche errate (illuminismo, Rousseau) e di interessi immediati di classe (terzo Stato) – che ispira la Dichiarazione del 1789. Da allora due concezioni opposte, ma ambedue inficiate dallo stesso errore, hanno definito i rapporti fra l’individuo e lo Stato; nell’una (atomistica), gli individui si contrappongono allo Stato come singoli, rivendicando i loro assoluti diritti di libertà; nell’altra (totalitaria) lo Stato nega ogni originaria libertà dei singoli e si pone come unico centro creatore di diritti e di funzioni.

Nell’una concezione e nell’altra non v’è posto per un pluralismo di ordinamenti sociali che permetta alla persona un graduale e progressivo svolgimento della sua libertà.

Ebbene: è proprio questa diversa concezione pluralista – pluralismo economico, giuridico, politico – la concezione che corrisponde alla struttura organica del corpo sociale. Perché la realtà di questo corpo sociale non è costituita soltanto di singole persone: le persone sono naturalmente raggruppate in tanti organismi che sono elementi essenziali epperciò ineliminabili del corpo sociale: la comunità familiare, quella religiosa, quella professionale – che sono altrettanti elementi costituzionali della società – esistono nel corpo sociale e lo articolano e lo definiscono.

Come può lo Stato – che deve in sé specchiate la struttura e le finalità del corpo sociale – prescindere da questi organismi naturali, ignorarne o addirittura impedirne od ostacolarne lo sviluppo e l’esistenza?

L’esperienza dello Stato del 1789, per un verso, e quella dello Stato totalitario, per l’altro verso, ha messo in viva luce l’errore fondamentale che si annida in queste due concezioni contrapposte dello Stato.

Da qui le nuove e vitali correnti giuridiche, politiche, economiche che affermano la concezione pluralista della società e dello Stato.

Le più organiche correnti di pensiero tanto del cattolicesimo sociale (Toniolo, Renard, Hauriou, Maritain, Sturzo, ecc.) che del socialismo contemporaneo si ancorano a questa visione pluralista del «droit social» (cfr. per tutti Gurvitch, Idée du droit social, Paris, 1932); Renard, L’institution; Delos, ecc.).

Dall’individuo si va allo Stato attraverso la mediazione di ordinamenti anteriori, la cui esistenza non può essere dallo stato disconosciuta. La conclusione che si trae da quanto è stato detto è la seguente: il sistema integrale dei diritti della persona esige, per essere davvero integrale, che vengano riconosciuti e protetti non solo i tradizionali diritti individuali di libertà civile e politica affermati nel 1789; non solo i diritti sociali affermati nelle nuove Carte costituzionali; ma anche i diritti essenziali delle comunità naturali, attraverso le quali gradualmente si svolge la personalità umana: i diritti del singolo vanno integrati con quelli della famiglia, della comunità professionale, religiosa, locale e così via.

Solo così si avrà una Dichiarazione di tutti i diritti fondamentali della persona umana.

Questa esigenza, peraltro, non è ignota alle Costituzioni contemporanee: valga per tutte l’esempio della Costituzione di Weimar, che nella seconda parte relativa ai diritti e doveri dei tedeschi offre in abbozzo, imperfettamente, una specie di Carta dei diritti della famiglia, della Chiesa, degli enti locali e delle comunità di lavoro. Questo esempio è stato più o meno ampiamente seguito dalle Costituzioni che hanno tratto ispirazione da quella di Weimar.

Notevole è anche la recentissima Costituzione irlandese.

Anche il progetto di Costituzione francese non manca di offrire, a suo modo, qualche lineamento di questa Carta dei diritti delle comunità: ma sovratutto degno della massima attenzione è il progetto Mounier, del quale questa esigenza di integrare i diritti del singolo con quelli della comunità è l’esigenza organica ispiratrice di tutto il progetto.

3.

Quanto è stato detto circa i due problemi posti prima: 1°) se deve essere premessa una Dichiarazione dei diritti; 2°) quali diritti essenziali dovranno essere dichiarati; può essere espresso oltre che in un preambolo – nel quale sia fatta menzione della crisi della persona e dello Stato democratico, provocata dalla tirannia fascista – altresì in due articoli: in uno, in cui venga indicato l’oggetto della Costituzione (Montesquieu), e cioè la tutela dei diritti essenziali della persona umana; di questa persona umana è necessario riaffermare – per lo ragioni viste – il carattere spirituale, libero e sociale ed è necessario soggiungere che essa trova organica e progressiva integrazione in una serie di comunità naturali fornite esse pure – come la persona di cui sono una proiezione – di diritti originari; nel secondo in cui siano schematicamente indicati i diritti essenziali della persona e delle comunità: diritti che non si limitano a quelli individuali proclamati nella Dichiarazione del 1789, ma che includono anche quelli sociali affermati nelle recenti Costituzioni e che si estendono anche ai diritti essenziali delle comunità.

Questi due articoli imposterebbero così organicamente tutta la prima parte della Costituzione: questa prima parte, infatti – con la determinazione progressiva che in essa viene fatta dei diritti essenziali della persona e di quelli delle comunità – verrebbe a costituire uno specchio fedele della reale struttura della società. La quale non conosce soltanto singole unità personali; essa conosce altresì quelle comunità naturali – comunità familiare, comunità religiosa, comunità di lavoro, comunità locali, comunità nazionale – delle quali le singole persone sono necessariamente membri e nelle quali esse sono organicamente e progressivamente integrate.

4.

Dal fatto che le persone sono membri di varie comunità naturali deriva che ciascuna di esse è titolare di tanti status diversi quante sono queste comunità fondamentali alle quali appartiene.

Vi sarà uno status familiare, religioso, professionale, territoriale, nazionale.

Ebbene: questi status non possono non avere una essenziale rilevanza costituzionale: così sono fondamento di diritti privati e pubblici: sopra di essi si fonda la struttura costituzionale dello Stato.

Lo status professionale, ad esempio, sarà il remoto fondamento della rappresentanza degli interessi nella seconda Camera; rilevanza di altra natura deve pure avere lo status familiare; la libertà religiosa ed i rapporti fra Stato e Chiesa non possono prescindere dallo status religionis e così via.

II.

CRITERI SEGUITI NELLA STESURA DEGLI ARTICOLI

  1. – Criterio architettonico.

La collocazione degli articoli obbedisce ad un criterio logico, direi quasi architettonico, che è il seguente: a) determinazione del fine della Costituzione; b) specificazione sintetica dei diritti essenzialmente legati a tale fine; c) indicazione di un tipo di struttura sociale e politica che renda possibile l’effettiva tutela di tali diritti; d) analisi logicamente ordinata di questi diritti.

In armonia con questo criterio architettonico gli articoli presentano il seguente contenuto:

Art. 1. – Viene determinato il fine della Costituzione: per le ragioni indicate nella introduzione, questo fine è costituito dalla tutela dei diritti della persona umana e delle comunità naturali, nelle quali essa organicamente e progressivamente si integra e si perfeziona.

Il confronto coi testi analoghi (Dichiarazioni del 1776, del 1789, 1791, 1793, 1848; progetto francese; progetto Mounier, De Menthon, ecc.) mostrano che lo spirito e la formulazione di questo articolo appartengono alla caratteristica tradizione giuridica, politica e filosofica propria delle Costituzioni di tipo occidentale: tuttavia l’integrazione della persona con le comunità naturali evita «l’atomismo» delle Costituzioni anteriori ed afferma, invece, la concezione organica del corpo sociale.

La qualificazione «spirituale» della persona serve a dare un solido fondamento metafisico, oltre che giuridico, alla originarietà dei diritti imprescrittibili dell’uomo.

Art. 2. – Quali sono questi diritti imprescrittibili ed originari posti nell’articolo 1 come fine della Costituzione? In questo secondo articolo si ha anzitutto cura di indicare che questi diritti costituiscono fra di loro un sistema integrale e solidale di diritti: il che indica che per l’effettiva tutela della persona umana – per la sua effettiva libertà – non basta che siano garantiti alcuni di tali diritti: è necessario che siano garantiti tutti. Quindi devono essere garantiti solidalmente sia i cosiddetti diritti di libertà individuale, che i cosiddetti diritti sociali ed i diritti della comunità – Bonum ex integra causa, malum ex quocunque defectu, potrebbe qui essere efficacemente detto.

Per essere liberi davvero è necessario che sia efficacemente protetto, ad esempio, i1 diritto al lavoro e quello di esistenza e di autonomia delle comunità di lavoro. Questo sistema integrale e solidale di diritti abbraccia ordinatamente tutto l’uomo: cioè, la persona in sé considerata (integrità e libertà) e considerata nei vari piani (ascensionalmente disposti) della sua attività economica, culturale, politica e religiosa.

Esso abbraccia altresì i diritti connessi con l’esistenza e l’autonomia della comunità familiare, religiosa, professionale, territoriale, nazionale (internazionale?).

Art. 3. – L’articolo 3 risponde a questo problema: quale devo essere la struttura della società e quella dello Stato per poter dare efficace protezione a questo sistema integrale e solidale di diritti? Evidentemente quella di un corpo sociale nel quale ci sia per ognuno dei suoi membri – proporzionatamente alle sue capacità – un posto ed una funzione.

Se questo posto e questa funzione potessero essere assicurati a tutti, si avrebbe l’apporto ordinato di tutti al bene comune e la stabilità e sicurezza economica di ciascuno.

Tale posto e tale funzione sarebbero inoltre titolo per la partecipazione organica dei cittadini alla vita delle comunità ed a quella dello Stato.

Art. 3-bis. – Come realizzare tale struttura? Verso la soluzione di tale problema è orientato l’articolo 3-bis, che dispone la iscrizione di tutti nel libro delle professioni e l’attribuzione a ciascuno di uno stato professionale che sarà disciplinato dalla legge e che sarà fondamento di diritti.

Art. 4. – Fissato così: 1°) il fine della Costituzione; 2°) il sistema integrale dei diritti della persona; 3°) la struttura sociale ordinata – attraverso lo stato professionale – a dare efficace tutela a tali diritti; 4°) resta ora da fissare il principio della eguaglianza di tutti rispetto a tali diritti.

Nell’affermare tale eguaglianza è bene indicare (cfr. progetto Mounier) che essa non esclude, anzi include, ineguaglianza di capacità naturali e di funzioni sociali fra i membri dell’unico carpo sociale.

Art. 5. – Può ora cominciare l’analisi, logicamente ordinata, dei vari diritti.

Si comincerà, come è ovvio, col diritto alla integrità giuridica della persona (diritto a non essere spogliato dei propri status e, in genere, a non essere privato dei propri diritti costitutivi della personalità giuridica). (Cfr. Prog. Mounier, art. 3, che parla di integrità fisica e morale).

Entrano in questo articolo i problemi relativi allo stato di cittadino, al diritto al nome ed a quelli eventuali, relativi allo stato professionale.

Per le questioni relative cfr. Mortati (Relazione all’Assemblea Costituente, Parte I).

Art. 6. – Dopo l’affermazione del diritto alla integrità della persona, vediamo ora la persona in atto, nell’esercizio cioè della sua libertà.

Va fatta, anzitutto, una dichiarazione solenne che afferma la tutela per tutti dei diritti di libertà.

Ma non può qui mancare una dichiarazione altrettanto solenne dei limiti entro ai quali la libertà, per essere davvero tale, va contenuta.

Va affermato, cioè, solennemente che la libertà importa responsabilità e che essa non può essere orientata che verso il bene: bene personale di ciascuno e bene comune e fraterno di tutti.

I limiti giuridici della libertà si trovano nella Dichiarazione, nelle leggi emanate in conformità ad essa e nelle supreme norme morali (Cfr. Progetto Mounier, art. 7).

Art. 7. – Quali sono, ordinatamente, tali diritti di libertà?

Art. 8 sgg. – Analisi, logicamente ordinata, di ciascuno di tali diritti.

*     *          *

Seguiranno poi (III Sottocommissione) gli articoli relativi al diritto al lavoro ed alla istruzione, ecc. Ed infine verrà il «capitolo» dei diritti delle comunità: familiare, religiosa, ecc.

In questo modo si avrà uno svolgimento, quanto è possibile organico, di quel sistema integrale e solidale dei diritti della persone di cui è fatta una sintetica menzione nello articolo 1 e nell’articolo 2.

*     *          *

Nella stesura dei singoli articoli è stato tenuto conto, oltre che dei testi costituzionali analoghi, anche della relazione Mortati [in Relazioni all’Assemblea Costituente, vol. I] e dei problemi sociali e giuridici in esso prospettati.

  1. – Criterio analogico.

Come risulta dai riferimenti di altre Costituzioni che accompagnano – in fogli a parte – i singoli articoli, essi sono stati redatti analogamente agli articoli corrispondenti delle Costituzioni e dei progetti più affini.

Sono stati tenuti presenti in modo particolare: a) il progetto francese; b) i progetti Mounier e de Menthon: il primo sovratutto caratteristico per la visione integrale dei diritti della persona in esso contenuta (diritti delle persone e delle comunità) e per l’accento di responsabilità con cui sono in esso caratterizzati i diritti di libertà; c) le antiche Dichiarazioni americane e francesi; d) la Costituzione di Weimar; e) ed infine tutte le Costituzioni più importanti del dopoguerra (spagnola, turca, estone, polacca, irlandese, ecc.); f) particolare attenzione ha avuto la Costituzione sovietica (e la jugoslava che ne dipende).

È stata tenuta sempre presente la relazione Mortati.

III.

PREAMBOLO ED ARTICOLI

Il popolo italiano, avendo sperimentato attraverso la dolorosa tirannia dello Stato totalitario fascista, come la dimenticanza ed il disprezzo dei diritti naturali dell’uomo e delle fondamentali comunità umane siano davvero le cause massime delle sventure pubbliche, decide di esporre – come atto preliminare della sua nuova vita democratica e repubblicana – in una Dichiarazione solenne, questi diritti sacri ed inalienabili.

Consapevole dei grandi problemi di rinnovamento che si agitano nel tempo presente, esso mira, con questa Dichiarazione e con la Costituzione che l’accompagna, a creare un ordine sociale e politico che sia conforme all’alta dignità della persona ed alla fraterna solidarietà umana e che assicuri, perciò, a ciascuno un posto ed una funzione nella ordinata comunità nazionale.

Esso riprende così il posto che gli spetta nel seno della civiltà cristiana – lievito ed essenza della sua storia e della sua cultura – ed in quello della comunità dei popoli amanti della libertà, del lavoro, della giustizia e della pace.

Pertanto esso proclama, al cospetto di Dio e della comunità umana, la Dichiarazione seguente dei diritti dell’uomo.

Art. 1.

Nello Stato italiano che riconosce la natura spirituale, libera, sociale dell’uomo, scopo della Costituzione è la tutela dei diritti originari ed imprescrittibili della persona umana e delle comunità naturali nelle quali essa organicamente e progressivamente si integra e si perfeziona.

Art. 2.

I diritti originari ed imprescrittibili della persona umana costituiscono un sistema integrale e solidale di diritti che concernono tutti i piani dell’attività umana: da quello personale a quello economico, culturale, politico e religioso. Essi sono: il diritto alla propria integrità giuridica; i diritti di libertà; il diritto al lavoro, al riposo, all’assistenza; il diritto di proprietà, il diritto all’istruzione; i diritti connessi con l’esistenza e l’autonomia della comunità familiare, religiosa, professionale, locale, nazionale [internazionale?].

Art. 3.

L’esercizio effettivo di tali diritti esige una struttura della società e dello Stato nella quale sia assicurato a ciascuno nel corpo sociale, proporzionatamente alle sue capacità, un posto ed una funzione. Questo posto e questa funzione mentre permetterà l’ordinato contributo di tutti al bene comune, costituirà per ognuno il fondamento della stabilità e sicurezza economica ed il titolo per la partecipazione a funzioni specifiche nella vita delle comunità ed in quella dello Stato.

Art. 3-bis.

In vista della attuazione della struttura sociale indicata nell’articolo precedente verrà disposta per legge l’iscrizione di tutti gli italiani nel libro delle professioni e verrà attribuito a ciascuno, nei modi che la legge indicherà, un adeguato stato professionale.

Tale stato professionale sarà fondamento di diritti.

Art 4.

Davanti al sistema integrale dei diritti della persona, gli uomini, anche se ineguali per le loro capacità e per le loro funzioni, sono tutti eguali a prescindere dalle loro attitudini, dalla loro razza, classe, religione, opinione politica o sesso.

Nessuna, legge potrà menomare questa eguaglianza.

Art. 5.

Ognuno ha diritto, entro i limiti fissati dalla legge, alla propria integrità giuridica e cioè al pieno possesso della propria personalità giuridica ed al conseguente godimento di tutti i diritti privati e pubblici.

In virtù di questo diritto nessuno può essere privato dello stato di cittadino finché non ne abbia acquistato un altro. È fatta eccezione solo per il caso in cui il cittadino abbia assunto impieghi od incarichi presso Stati stranieri senza preventiva autorizzazione da parte del proprio Stato.

In virtù del medesimo diritto nessuno può essere privato del proprio stato familiare e del diritto al nome che esso comporta.

In virtù dello stesso diritto nessuno può essere altresì privato del proprio stato professionale.

Art. 6.

I diritti di libertà sono garantiti a tutti. L’esercizio di tali diritti trova i suoi limiti nelle finalità della presente Dichiarazione, nelle norme in essa contenute, nelle leggi promulgate in armonia ad esse, nelle supreme norme morali.

La libertà, infatti, è ordinata per natura, e deve servire per elezione al bene supremo e personale di ciascuno ed a quello comune, solidale e fraterno di tutti.

La libertà è, perciò, fondamento di responsabilità.

Art. 6-bis.

La libertà è inalienabile. Nessun gruppo, perciò, può imporre ai propri membri obbligazioni che siano incompatibili col libero esercizio dei diritti conferiti ai cittadini dalla Costituzione e dalle leggi.

Art. 7.

I diritti fondamentali di libertà sono: la libertà personale, la libertà delle coscienze e quella di espressione, le libertà politiche ossia il diritto di associarsi ed il diritto di concorrere alla formazione della legge.

Art. 8.

Ognuno ha diritto alla propria libertà personale e quindi alla inviolabilità della propria persona.

In virtù di questo diritto nessuno può essere perseguito, arrestato o detenuto tranne che nei casi stabiliti dalla legge e con l’osservanza delle forme da essa prescritte.

Nessuno può essere mantenuto in arresto preventivo per più di 48 ore, a meno che entro tale termine sia fatta denunzia all’autorità giudiziaria e questa abbia proceduto a convalida motivata nel termine di …

Ogni forma di rigore e di coazione che non sia necessaria per venire in possesso di una persona o per mantenerla in stato di detenzione, così come ogni pressione morale o brutalità fisica, specialmente durante l’interrogatorio, è punita.

Coloro che dolosamente sollecitano, redigono, sottoscrivono, eseguono o fanno eseguire atti in violazione di queste norme, impegnano la loro responsabilità personale.

Essi saranno puniti.

Art. 9.

Nessuno può essere sottratto ai suoi giudici naturali.

Non potrà essere creata, a qualsiasi titolo e sotto qualsiasi denominazione, nessuna giurisdizione straordinaria.

Art. 10.

La legge penale non ha mai effetto retroattivo: nessuno, perciò, può essere sottoposto a processo né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso.

Nessuno può essere punito due volte per lo stesso fatto.

L’imputato si presume innocente fino a quando non è dichiarato colpevole.

Art. 11.

Nel suo magistero punitivo la legge non oblierà mai il valore della personalità umana del reo.

Non possono essere irrogate che le pene tassativamente fissate dalla legge.

La pena di morte non è ammessa.

Le pene corporali sono vietate.

Le pene sono personali e proporzionate al delitto: quelle privatrici o restrittive della libertà personale devono mirare alla rieducazione del reo.

Qualunque trattamento che aggravi la pena legalmente applicabile importa la responsabilità personale di chi lo mette in atto.

Art. 12.

Il domicilio, luogo di asilo della persona, è inviolabile.

Nessuno può introdurvisi se non per ordine dell’autorità giudiziaria, salvo il caso di flagranza di reato, o altri casi eccezionali tassativamente regolati dalla legge.

Art. 13.

Ognuno ha diritto alla libertà di circolazione in tutto il territorio dello Stato.

In virtù di questo diritto ogni cittadino può fissare o prendere la propria residenza o domicilio in ogni parte del territorio; può dovunque acquistare e possedere beni immobili; può dovunque esercitare la propria attività personale o lavorativa.

La legge potrà porre dei limiti soltanto per motivi di sanità o di ordine pubblico.

In virtù del medesimo diritto, inoltre, nessuno può essere estradato dal territorio nazionale.

Il diritto di emigrare, salvi gli obblighi di legge, è garantito a tutti.

Art. 14.

Ognuno ha il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni.

In virtù di questo diritto è a tutti garantita la libertà di stampa e di espressione del pensiero con qualsiasi mezzo. È vietato assoggettare l’esercizio ad autorizzazione o censura. Il sequestro può essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria e nei casi: a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto; b) di reati non politici pei quali la legge stabilisca il sequestro; c) di esecuzione di una sentenza. Il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva nei soli casi di assoluta urgenza o di pubblicazioni oscene, ma deve essere richiesta immediatamente la convalida dell’autorità giudiziaria.

Qualunque pressione diretta o indiretta, economica o altra, che tenda a limitare l’esercizio di tale diritto dovrà essere punita.

Gli abusi nell’esercizio di tale diritto, in contrasto con le norme stabilite dall’articolo 6, costituiscono grave danno per la compagine sociale e saranno puniti.

Al divieto della censura preventiva la legge farà eccezione, a scopo di tutela della pubblica moralità ed in vista specialmente della protezione della gioventù, per la cinematografia, per le rappresentazioni teatrali e per la radiofonia.

Art. 15.

Il segreto epistolare e quello di qualunque corrispondenza, postale, telegrafica e telefonica, è inviolabile.

Non può derogare a questo principio che per legge e per decisione dell’autorità giudiziaria.

Art. 16.

Ognuno ha diritto alla libera professione e propaganda delle proprie convinzioni sociali, politiche e filosofiche purché non siano in radicale contrasto con le libertà ed i diritti garantiti dalla presente Dichiarazione e con le supreme norme morali.

Art. 17.

Ognuno ha diritto alla libera professione, pratica e propaganda della propria fede religiosa.

Lo Stato assicura a tutti le condizioni adeguate per il libero esercizio di tale diritto. La professione di una determinata fede religiosa o di una determinata convinzione sociale, politica o filosofica non reca pregiudizi giuridici.

Art. 18.

Il diritto di riunirsi pacificamente, senza armi e senza uniformi non autorizzate, è garantito a tutti.

Solo per le riunioni in luogo pubblico è richiesto un avviso preventivo alle autorità competenti. La riunione può essere vietata per comprovate ragioni di ordine pubblico: il divieto comporta delle responsabilità.

Per assicurare l’esercizio di questo diritto le strade, le piazze, gli edifici pubblici sono messi a disposizione dei cittadini.

Nelle riunioni e nelle sfilate di massa i metodi di propaganda saranno sempre rispettosi delle insopprimibili esigenze della verità e della fraternità.

Art. 19.

Il diritto di associarsi, senza preventiva autorizzazione, per fini che non contrastino con le libertà garantite dalla presente Dichiarazione, è riconosciuto a tutti.

(Divieto per le associazioni segrete e militari. Mortati, pag. 109).

IV.

ANALOGIE COSTITUZIONALI

Cfr. Progetto Costituzione francese. – All’indomani della vittoria riportata dai popoli liberi sui regimi che hanno tentato di asservire e di degradare la persona umana, ed hanno insanguinato il mondo intero, il popolo francese, fedele ai principii del 1789 – Carta della sua liberazione – proclama nuovamente che ciascun essere umano ha diritti inalienabili e sacri ai quali nessuna legge può attentare e decide, come già nel 1793, nel 1795 e nel 1848, di porli in principio della sua Costituzione.

La Repubblica garantisce a ciascun uomo ed a ciascuna donna vivente nell’Unione francese l’esercizio individuale e collettivo delle libertà e dei diritti seguenti.

Cfr. Preambolo del 1789. – I rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, la dimenticanza o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le sole cause delle sventure pubbliche e della corruzione dei Governi, hanno stabilito di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa Dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro continuamente i loro diritti e i loro doveri; affinché gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo, potendo essere in ogni momento paragonati con il fine di ogni istituzione politica, siano più rispettati; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su principii semplici ed incontestabili, si rivolgano sempre alla conservazione della Costituzione e alla felicità di tutti.

In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i Diritti seguenti dell’Uomo e del Cittadino.

Cfr. Preambolo del 1793. – Il popolo francese, convinto che la dimenticanza e il disprezzo dei diritti naturali dell’uomo sono le sole cause delle sventure del mondo, ha risoluto di esporre, in una dichiarazione solenne, questi diritti sacri e inalienabili, affinché tutti i cittadini, potendo sempre paragonare gli atti del Governo con lo scopo di ogni istituzione sociale, non si lascino mai opprimere ed avvilire dalla tirannia; affinché il popolo abbia sempre davanti agli occhi le basi della sua libertà e della sua felicità; il magistrato la regola dei suoi doveri; il legislatore l’oggetto della sua missione.

In conseguenza proclama, al cospetto dell’Essere Supremo, la Dichiarazione seguente dei diritti dell’uomo e del cittadino.

Cfr. Preambolo del 1795. – Il popolo francese proclama, in presenza dell’Essere Supremo, la Dichiarazione seguente dei diritti e dei doveri dell’uomo e del cittadino.

Cfr. Preambolo del 1848. – In presenza di Dio e in nome del Popolo Francese, l’Assemblea nazionale proclama, ecc.

Art. 1.

Cfr. Preambolo Progetto Costituzione francese. – All’indomani della vittoria riportata dai popoli liberi sui regimi che hanno tentato di asservire e di degradare la persona umana…  il popolo francese, fedele ai principî del 1789… proclama nuovamente che ciascun essere umano ha diritti inalienabili e sacri ai quali nessuna legge può attentare, e decide, come già nel 1793, nel 1795, nel 1848 di porli in principio della sua Costituzione.

Cfr. Preambolo Progetto Costituzione francese. – Art. 22: Ogni essere umano possiede, nei confronti della società i diritti che ne garantiscono in una con l’integrità e la dignità della persona, il suo pieno sviluppo fisico, intellettuale e morale.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 2: Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo, ecc.

Cfr. Progetto Mounier. – …gli individui e le società sono sottoposti ad un certo numero di diritti connessi con l’esistenza della comunità umana e non derivanti né dall’individuo né dallo Stato, poiché hanno una duplice base:

1°) il bene delle persone;

2°) la vita e lo sviluppo delle persone nel seno delle comunità naturali in cui esse si trovano: famiglie, nazioni, raggruppamenti geografici o linguistici, comunità di lavoro, raggruppamenti di affinità o di sede (Cfr. anche art: 1: I diritti delle persone sono basati, ecc.; art. 27: Esistono delle comunità naturali. Nate fuori dello Stato, non possono essere asservite ad esso, né identificate con esso, ecc.).

Cfr. Preambolo Costituzione irlandese del 1937. – …al fine di garantire la dignità e la libertà dell’uomo (Art. 40: Tutti i cittadini in quanto persone umane, ecc.).

Cfr. Dichiarazione dei diritti del 1789. – Art. 2: Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo.

Cfr. Costituzione francese del 1793. – Art. 1: Il Governo è istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali ed imprescrittibili.

Cfr. Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti (1776) – Noi consideriamo come evidenti per se stesse le seguenti verità: tutti gli uomini sono creati eguali: essi sono dotati dal Creatore di certi diritti inalienabili: tra questi diritti si trovano la vita, la libertà e la ricerca della felicità. I Governi sono stabiliti, dagli uomini per garantire questi diritti ed il loro giusto potere deriva dal consenso dei governati, ecc.

Art. 2.

Cfr. Dichiarazione del 1789. – Art. 2: Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.

Cfr. Dichiarazione del 1793. – Art. 1: I diritti dell’uomo in società sono l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà, la garanzia sociale e la resistenza all’oppressione.

Cfr. Costituzione del 1793. – Art. 2: Questi diritti sono l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà.

Cfr. Costituzione del 1795. – Art. 1: I diritti dell’uomo in società sono la libertà, l’uguaglianza, la sicurezza, la proprietà.

Cfr. URSS 1936. – Art. 118 e sgg.: Diritto al lavoro, al riposo, all’assistenza, all’istruzione, di libertà di coscienza, libertà di parola, stampa, riunione, associazione, cortei, politiche, inviolabilità della persona e del domicilio di asilo.

Cfr. Costituzione turca 1928. – I diritti naturali dei turchi sono: l’inviolabilità personale, la libertà di coscienza, di pensiero, di parola, di stampa, di circolazione, di contrattare, di lavorare, di possedere, la libertà di riunione e di associazione e quella di costruire società commerciali.

Cfr. Costituzione di Weimar. – Disegno della parte seconda: Diritti dei cittadini, diritti connessi con la comunità familiare, con la comunità politica, locale, religiosa, professionale.

Cfr. Costituzione austriaca. – Sua struttura federativa.

Cfr. Costituzione irlandese. – Diritti connessi con la comunità familiare.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 2: Tali diritti sono la libertà, la sicurezza, il diritto al lavoro e la resistenza all’oppressione.

Cfr. Progetto Mounier. – Art. 1: Tali diritti sono: l’integrità della persona fisica e morale, la libertà nelle sue varie forme, l’associazione, il lavoro, il riposo, la sicurezza, l’eguaglianza dinnanzi alla legge. (Pei diritti connessi con le comunità, cfr. preambolo e art. 27 e sgg., diritti delle comunità).

Cfr. Progetto Costituzione francese. – Dei diritti sociali ed economici: vi si indicano diritti connessi con la famiglia, art. 14 e sgg., con la comunità di lavoro, art. 31 e sgg.

Cfr. Progetto Costituzione francese. – Art. 22: Ogni essere umano possiede, nei confronti della società, i diritti che ne garantiscono, in una con l’integrità e dignità della persona, il suo pieno sviluppo fisico, intellettuale e morale.

Cfr. Progetto Costituzione francese. – Art. 22 cpv.: La legge organizza l’esercizio di tali diritti.

Cfr. Costituzione irlandese. – Art. 41: Lo Stato riconosce la famiglia come il gruppo primordiale naturale e fondamentale della società e come un’istituzione morale investita di diritti inalienabili e imprescrittibili, anteriore e superiore ad ogni legge positiva.

Art. 3.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 7: La sicurezza risulta dalla protezione che la società accorda ad ogni cittadino per la conservazione della sua persona, dei suoi diritti, dei suoi beni.

Cfr. Dichiarazione del 1793. – Art. 9: La sicurezza consiste nella protezione accordata dalla società ad ogni cittadino per la conservazione della sua persona, dei suoi diritti, dei suoi beni (cfr. art. 24: la garanzia sociale dei diritti dell’uomo consiste, ecc.).

Cfr. Progetto francese. – Art. 22: Ogni essere umano possiede, nei confronti della società, i diritti che garantiscono in una con l’integrità e la dignità della persona, il suo pieno sviluppo fisico, intellettuale e morale.

La legge organizza l’esercizio di tali diritti.

*     *          *

Il concetto di sicurezza al quale si richiamano le Costituzioni di tipo occidentale – intesa come protezione giuridica – va ora esteso: esso deve includere quello di una organizzazione economica, sociale, politica e giuridica, siffatta da garantire l’efficace protezione di tutti i diritti della persona umana.

In questo senso va inteso il capoverso dell’articolo 22 del progetto francese sopra citato.

Art. 3-bis.

Sullo status professionale cfr. la relazione Pesenti (Relazione all’Assemblea Costituente).

Cfr. indirettamente Progetto Mounier. – Art. 19: Ogni lavoratore è libero di dare la sua adesione ad un sindacato di sua scelta o di non aderire a nessuno. Egli ha diritto alla determinazione collettiva delle condizioni di lavoro, alla protezione professionale, al rispetto della propria specialità, alla formazione tecnica e sociale necessaria per associarsi strettamente a funzioni direttive nel campo del lavoro.

Così pure indirettamente nel Progetto Costituzione francese all’articolo 26: Ogni uomo ha il dovere di lavorare ed il diritto di avere un’occupazione.

Cfr. Costituzione jugoslava. – Art. 32: Tutti i cittadini sono obbligati a lavorare secondo le proprie capacità: chi non dà nulla alla comunità non può ricevere nulla da essa.

Art. 4.

Cfr. Progetto Mounier. – Art. 2: Quasi come nel testo.

Cfr. Progetto francese. – Art. 4: La legge garantisce a tutti eguale diritto di esercitare le libertà ed i diritti enunciati nel presente titolo: essa non potrà portarvi pregiudizio.

Cfr. Costituzione irlandese. – Art. 40: Tutti i cittadini, in quanto persone umane, saranno uguali davanti alla legge. Ciò non esclude che lo Stato, nello sue leggi, abbia il dovuto riguardo alle differenze di capacità, fisica e morale, e di funzione sociale.

Art. 5.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 3: Ognuno ha il diritto di ottenere tutti i diritti civili in uno stato determinato. Lo Stato non può ritirare la nazionalità a un cittadino finché esso non ne ha avuto un’altra.

Cfr. Progetto francese. – Art. 18: Conseguenza del possesso dello stato di cittadino.

Art. 6.

Cfr. Progetto Mounier. – Art. 7: Gli uomini sono liberi nei loro movimenti, parole, scritti ed atti, purché non violino la presente Dichiarazione o le leggi promulgate in armonia ad essa. La libertà deve servire nelle sue varie forme alla dignità personale di ciascuno e al bene di tutti. Essa è inalienabile e comporta delle responsabilità.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 5: La libertà dell’individuo non può essere limitata se non nella misura in cui recherebbe pregiudizio ai diritti dei suoi simili: tale limitazione dovrà essere sanzionata dalla legge.

Cfr. Dichiarazione del 1789. – Art. 4: La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo non ha altri limiti che quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti non possono essere determinati che dalla legge.

Cfr. Progetto francese. – Art. 1: Tutti gli uomini nascono e vivono liberi ed eguali davanti alla legge.

Art. 3: La libertà è la facoltà di fare tutto quanto non arreca pregiudizio ai diritti altrui. Le condizioni per l’esercizio delle libertà sono stabilite dalla legge. Nessuno può essere costretto a fare alcunché a cui la legge non obblighi.

Art. 6-bis.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 17: La libertà è inalienabile. Nessun gruppo, ecc. … (finisce con un inciso sul giuramento: nessuno può esigere un giuramento di fedeltà, che deve essere prestato soltanto alle istituzioni).

Art. 7.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 6: Le libertà fondamentali sono: la libertà individuale, la libertà di coscienza e d’espressione, le libertà politiche, ossia il diritto di associarsi ed il diritto di concorrere liberamente alla formazione della legge.

Cfr. Costituzione turca. – …l’inviolabilità personale, la libertà di coscienza, di pensiero, ecc.

Art. 8.

Cfr. Progetto francese. – Art. 9: Nessuno, ecc.

È riprodotto nel testo quasi integralmente: si noti l’inciso dolosamente.

Gir. Costituzione Weimar. – Art. 114: La libertà personale è inviolabile. Il potere pubblico non può limitarla o sopprimerla che in conformità alla legge.

Le persone che vengono arrestate debbono essere informate al più tardi nel giorno seguente all’arresto, della autorità che l’ha ordinato e dei motivi che l’hanno determinato. Esse debbono, senza indugio, essere poste in condizioni di reclamare contro l’arresto.

Cfr. Costituzione spagnola. – Art. 29: Nessuno potrà essere arrestato o incarcerato tranne che per un delitto. Chiunque sia arrestato sarà posto in libertà o consegnato alla autorità entro le 24 ore successive all’arresto.

Ogni arresto sarà senza effetto o dovrà trasformarsi in carcerazione entro le 72 ore successive alla consegna del detenuto al giudice competente.

La decisione sarà emessa per atto giudiziale e sarà notificata all’interessato entro il medesimo termine. Incorreranno in responsabilità le autorità i cui ordini rappresentino infrazione al presente articolo e gli agenti e funzionari che li eseguiscano nonostante l’evidenza della loro illegalità. L’azione, ecc.

Cfr. Costituzione jugoslava. – Art. 28: È garantita l’inviolabilità della persona dei cittadini. Nessuno può essere trattenuto sotto arresto preventivo per più di tre giorni senza decisione del Tribunale o senza l’approvazione del pubblico accusatore.

Cfr. Costituzione irlandese del 1937. – Art. 40: Nessun cittadino sarà privato della libertà personale, salvo nei casi previsti dalla legge.

Cpv. circa l’arresto.

Cfr. Dichiarazione del 1789. – Art. 7: Nessuno può essere accusato, arrestato o detenuto che nei casi determinati dalla legge e secondo le forme che essa ha prescritte. Quelli che sollecitano, spediscono, eseguono o fanno eseguire ordini arbitrari devono essere puniti, ecc., ecc.

Art. 9.

Cfr. Costituzione francese del 1848. – Art. 4. Nessuno sarà distolto dai suoi giudici naturali.

Non potranno essere create commissioni o tribunali straordinari a qualsiasi titolo e sotto qualsiasi denominazione.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 9: Nessuno potrà essere sottratto ai suoi giudici competenti. Nessuna giurisdizione di eccezione potrà essere creata, a nessun titolo e con nessuna denominazione.

Art. 10.

Cfr. Progetto Costituzione francese. – Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in forza di una legge promulgata e pubblicata anteriormente al fatto commesso.

L’imputato si presume innocente fino a quando non è dichiarato colpevole.

Nessuno può essere punito due volte per lo stesso fatto. Cpv. Le pene personali, ecc.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 10: Nessuno potrà essere punito se non in virtù di una legge approvata e promulgata anteriormente al reato e legalmente applicata

Art. 12: Ogni imputato è presunto innocente finché non è stato riconosciuto colpevole.

Cfr. Progetto Mounier. – Art. 10: Ognuno è presunto innocente finché non è stato dichiarato colpevole. Nessuno può essere punito se non in virtù di una legge emanata anteriormente al delitto di cui esso è incolpato. Nessuno può essere punito due volte per lo stesso delitto.

Qualunque effetto retroattivo o cumulativo dato alla legge costituisce delitto di Stato.

Cfr. Dichiarazione del 1789. – Art. 8: …e nessuno può essere punito che in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata (Cfr. Dichiarazione del 1793, art. 13, 14: Presunzione di innocenza, irretroattività.

Cfr. Dichiarazione del 1793.– Art. 15: Dare effetto retroattivo alla legge è un delitto.

Cfr. Costituzione del 1793. – Art. 13 e 14.

Cfr. Costituzione Weimar. – Art. 116: Un fatto può essere punito unicamente se la legge lo abbia dichiarato punibile prima che sia stato commesso.

Art. 11.

Cfr. Progetto Costituzione francese. – Art. 10 cpv.: Le pene sono personali e proporzionate alla gravità del reato. Le pene privative o restrittive della libertà devono essere intese alla rieducazione del colpevole. Qualunque trattamento che aggravi la pena legalmente applicabile, importa la responsabilità personale di chi lo mette in alto.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 10 cpv.: La legge deve infliggere solo delle pene strettamente necessarie e proporzionate al reato.

Cfr. Progetto Mounier. – Art. 11: Le pene devono essere proporzionate al delitto ed esemplari e dovranno mirare, per quanto possibile, alla rieducazione del reo.

Cfr. Dichiarazione del 1793. – Art. 16: La legge non deve assegnare che pene strettamente ed evidentemente necessarie: le pene devono essere proporzionate al delitto e utili alla società.

Cfr. Dichiarazione del 1795. – Art. 12: La legge non deve decretare che pene strettamente necessarie e proporzionate al delitto.

Art. 13: Ogni trattamento che aggravi la pena determinata dalla legge è un delitto.

Art. 12.

Cfr. Costituzione Weimar. – Art. 115: Il domicilio di ogni tedesco costituisce per esso luogo di asilo ed è inviolabile. Solamente la legge può stabilire eccezioni a questo principio.

Cfr. Relazione Mortati. – Tolto l’ultimo cpv.: Le ispezioni, ecc.

Cfr. Costituzione irlandese. – Art. 40: Il domicilio di ogni cittadino è inviolabile e non sarà possibile entrarvi con la forza se non in conformità alla legge.

Cfr. Costituzione spagnola. – Art. 31: Cpv.: L’inventario dei documenti, ecc.

Art. 13.

Cfr. Costituzione del 1791. – Art. 11: La libertà di ogni uomo di andare, restare, partire senza poter essere arrestato, ecc.

Cfr. Costituzione Weimar. – Art. 111: Tutti i tedeschi godono del diritto alla circolazione in tutto il Reich. Ogni tedesco ha il diritto di soggiornare e di fissare la propria dimora in ogni luogo del Reich che più gli piaccia, di acquistare beni immobili e di esercitarvi liberamente una professione. Questi diritti non possono essere limitati che con legge del Reich.

Art. 112: Ogni tedesco ha il diritto di emigrare in Paesi non tedeschi. La libertà di emigrazione non può essere limitata che con legge del Reich. Tutti i cittadini del Reich hanno diritto, sul territorio nazionale o fuori, alla protezione diplomatica del Reich.

Nessun tedesco può essere consegnato ad un Governo straniero per essere processato o punito.

Cfr. Costituzione estone. – Art. 17: Le autorità giudiziarie soltanto hanno la facoltà di limitare o sopprimere il diritto dei cittadini di circolare e di fissare liberamente la propria dimora.

Questa libertà può essere altresì limitata o soppressa da altre autorità, per ragioni di igiene, nei casi e secondo le norme fissate dalla legge.

Cfr. Costituzione turca. – Art. 78: Ad eccezione delle disposizioni derivanti dalla mobilitazione, dalla proclamazione dello stato di assedio, o dalle misure prese conformemente alla legge per evitare il diffondersi di malattie epidemiche, nessuna restrizione può essere apportata alla libertà di circolazione.

Cfr. Relazione Mortati. – Pag. 86: Ogni cittadino può fissare o prendere la propria residenza o domicilio in ogni parte del territorio, salvo i limiti imposti con carattere generale dalla legge, per soli motivi di sanità o di ordine pubblico.

Cfr. Progetto Costituzione francese. – Art. 5: Ciascuno ha il diritto di fissare in qualunque luogo il suo domicilio ed altresì quello di muoversi liberamente.

Art. 14.

Cfr. Relazione Mortati. – Pag. 80 e sgg.: Riportato nel testo.

Cfr. Progetto Costituzione francese. – Art. 14: Ciascuno è libero di parlare, di scrivere, di stampare, di pubblicare: egli può così a mezzo della stampa che con qualunque altro mezzo, esprimere, diffondere e difendere qualunque opinione entro i limiti segnati dall’abuso di tale diritto, specialmente quanto al violare le libertà garantite dalla presente Dichiarazione o al portar pregiudizio alla reputazione altrui.

Nessuna manifestazione d’opinione può essere conculcata.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 13: Il libero scambio di pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo. Qualunque pressione, diretta o indiretta, economica o altra che tenda a limitare l’esercizio di questo diritto dovrà essere punita. Ognuno può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente salvo a rispondere degli abusi di tale libertà nei casi determinati dalla legge.

Cfr. Progetto Mounier. – Art. 12: Ognuno è libero di parlare, scrivere, stampare e pubblicare pensieri, opinioni ed informazioni, salvo a rispondere dell’abuso di tale libertà nei casi previsti dalla legge, in particolare all’articolo 6 (integrità spirituale).

Cfr. Costituzione Weimar. – Art. 118: Ogni tedesco ha il diritto, entro i limiti delle leggi generali, di esprimere liberamente la propria opinione con parole, scritti, stampe, immagini o in ogni altro modo. Nessuna condizione di lavoro o di impiego può privarlo di questo diritto e nessuno può arrecargli danno per averne fatto uso.

Non esiste censura: tuttavia, per quanto riguarda i cinematografi, la legge può apportare deroghe a questo principio. Del pari la legge può fissare i provvedimenti per la lotta contro le pubblicazioni immorali e pornografiche e per la protezione della gioventù in fatto di spettacoli e di rappresentazioni pubbliche.

Cfr. Costituzione irlandese. – Art. 40: 6°) Lo Stato garantisce il libero esercizio dei diritti seguenti subordinatamente all’ordine ed alla moralità pubblica: diritto dei cittadini di esprimere liberamente le loro convinzioni ed opinioni.

Tuttavia, essendo l’educazione dell’opinione pubblica un problema di gravissima importanza per il bene comune, lo Stato veglierà attentamente a che gli organi dell’opinione pubblica, come la radio, la stampa, il cinema, pur conservando la loro libertà legale di espressione, compresa la critica alla politica del Governo, non siano adoperati a minare l’ordine e la moralità pubblica o l’autorità dello Stato.

La pubblicazione o l’espressione di opere o di parole blasfeme, sediziose o indecenti, costituisce un reato che sarà punito in conformità alla legge.

Cfr. Costituzione spagnuola. – Art. 34: Ogni persona, ecc…, senza che sia soggetta a censura preventiva.

Cfr. Costituzione U.R.S.S.– Art. 125: In conformità, ecc… Questi diritti dei cittadini vengono assicurati, ecc…

Art. 15.

Cfr. Progetto Costituzione francese. – Art. 8: Il segreto di qualunque corrispondenza è inviolabile. Non può esservi fatta deroga che in forza della legge e per specifica decisione dell’autorità giudiziaria.

Cfr. Costituzione Weimar. – Art. 117: Il segreto epistolare ed il segreto postale telegrafico e telefonico sono inviolabili. Solo una legge del Reich può apportare eccezioni a questo principio.

Cfr. Costituzione turca. – Art. 82: Le carte, le lettere e gli oggetti di ogni genere affidati alla posta non possono essere aperti se non per effetto di un mandato rilasciato dal giudice istruttore competente o di una decisione del tribunale: il segreto della corrispondenza telegrafica e telefonica è inviolabile.

Cfr. Relazione Mortati, pag. 88.

Art. 16 e 17.

Cfr. Costituzione Weimar. – Art. 135: Tutti i cittadini del Reich godono di assoluta libertà di fede e di coscienza. Il libero esercizio della religione è garantito dalla Costituzione e posto sotto la protezione dello Stato.

Art. 136: I diritti ed i doveri civili e politici non sono condizionati né limitati dall’esercizio della libertà religiosa. Il godimento dei diritti civili e politici e l’ammissione ai pubblici impieghi sono indipendenti dalla confessione religiosa.

Nessuno è obbligato a dichiarare le proprie convinzioni religiose. Le autorità hanno il diritto di investigare a quale confessione religiosa si appartenga, solamente quando ne derivano dei diritti o quando lo esiga una richiesta statistica ordinata dalla legge.

Nessuno può essere costretto ad un atto o ad una cerimonia di culto o a partecipare a pratiche religiose o ad usare una formula di giuramento religioso.

Cfr. Progetto Costituzione francese. – Art. 13: Nessuno può soffrire pregiudizio a motivo della sua origine, delle sue opinioni o credenze religiose e filosofiche o politiche. La libertà, di coscienza, ecc.

Cfr. Progetto Mounier. – Art. 13: Nessuno può essere turbato per l’espressione delle proprie opinioni o credenze in materia religiosa o filosofica a meno che esse non rechino pregiudizio ai diritti garantiti dalla presente dichiarazione.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 15: Tutti gli uomini sono egualmente liberi di dedicarsi alle pratiche di un culto di loro scelta o di non dedicarsi a nessuna pratica religiosa. La legge non riconoscerà nessuna differenza fra i vari culti.

Cfr. Costituzione irlandese. – Art. 44: 2°) La libertà di coscienza e la libera professione e pratica della religione sono, subordinatamente all’ordine ed alla moralità pubblica, garantite ad ogni cittadino.

Cfr. Relazione Mortati, pag. 91.

Art. 18.

Cfr. Progetto Costituzione francese. – Art. 16: Il diritto di transitare liberamente nelle pubbliche strade ed il diritto di riunione sono garantiti a tutti.

Cfr. Costituzione U.R.S.S. – Art. 125.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 18: I cittadini hanno il diritto di riunirsi pacificamente e di associarsi liberamente purché gli scopi della loro associazione non siano incompatibili con i diritti imprescrittibili dell’uomo.

Cfr. Progetto Mounier. – Art. 15: I cittadini… hanno il diritto di riunirsi liberamente sul territorio dello Stato, senza arme e senza uniformi non autorizzate, sotto l’osservanza delle leggi di polizia ed in conformità all’articolo 6. Tale articolo si applica in particolare alle campagne di riunioni non contrarie alla legge e alle sfilate in massa.

Cfr. Progetto Mounier. – Art. 6: L’integrità spirituale della persona non può essere compromessa da metodi di suggestione o di propaganda emananti sia dallo Stato sia da potenze private, quando tali metodi possono esercitare una inammissibile pressione sulle volontà individuali e quando gli individui sono privati di efficaci mezzi difensivi di fronte ad essa.

Cfr. Relazione Mortati, pag. 94.

Art. 19.

Cfr. Progetto de Menthon. – Art. 18: I cittadini hanno il diritto di riunirsi pacificamente e di associarsi liberamente, purché gli scopi della loro associazione non siano incompatibili con i diritti imprescrittibili dell’uomo.

Cfr. Progetto Mounier. – Art. 16: I cittadini… hanno il diritto di associarsi… Qualunque coalizione atta a mettere in pericolo le garanzie dell’articolo 6 può essere vietata.

Cfr. Progetto Costituzione francese. – Art. 17: Tutti hanno il diritto di associarsi liberamente, a meno che l’associazione non arrechi, o non tenda ad arrecare, pregiudizio alle libertà garantite dalla presente Dichiarazione. Nessuno può essere costretto ad affiliarsi ad una associazione.