Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXX.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

E DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

 

 

INDICE

 

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Dimissioni di un Deputato:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Risposte scritte ad interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Sul disastro di Porto Santo Stefano:

Cingolani, Ministro della difesa                                                                         

Votazione per la nomina di un Vicepresidente:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Tosato                                                                                                              

Mortati                                                                                                            

Ambrosini, Relatore                                                                                          

Colitto                                                                                                             

Preti                                                                                                                 

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Piemonte                                                                                                          

Mannironi                                                                                                        

Negarville                                                                                                       

Piccioni                                                                                                             

Togliatti                                                                                                          

Risultato della votazione per la nomina di un Vicepresidente:

Presidente                                                                                                        

Votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Baldassari.

(È concesso).

Dimissioni di un Deputato.

PRESIDENTE. Comunico che ho ricevuto una lettera dell’onorevole Natoli Lamantea, il quale, avendo ricevuto dal Ministero degli esteri un incarico che, allontanandolo da Roma, non gli permetterà di seguire i lavori della Costituente, pur non essendo tale incarico incompatibile col mandato parlamentare, rassegna le sue dimissioni da deputato.

Pongo ai voti l’accettazione di queste dimissioni.

(Sono accettate).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato i seguenti deputati a far parte delle Commissioni rispettivamente indicate:

l’onorevole Bertone, della Giunta per il Regolamento, in sostituzione dell’onorevole Cingolani, nominato Ministro;

gli onorevoli Froggio e Storchi, della Commissione per la Costituzione (Sottocommissioni prima e seconda), in sostituzione degli onorevoli Tupini e Fanfani, nominati Ministri;

l’onorevole Cremaschi Carlo, della prima Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, in sostituzione dell’onorevole Andreotti, nominato Sottosegretario di Stato.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato risposte scritte a interrogazioni presentate da onorevoli deputati.

Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta di oggi.

Sul disastro di Porto Santo Stefano.

PRESIDENTE. Il Ministro della difesa ha chiesto di parlare per fornire notizie suppletive sull’esplosione del Panigaglia. Ne ha facoltà.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Credo mio dovere, onorevoli colleghi, di comunicare notizie suppletive a quelle date già ieri dal Presidente del Consiglio sull’esplosione del Panigaglia.

Mi sono recato sul posto ieri sera e tutta la notte ho assistito ai tentativi di innalzamento della poppa del relitto della nave saltata in aria. Posso dire che, tanto da parte degli elementi della Marina e dell’Esercito, come da parte di marinai civili, è stato fatto tutto quello che si poteva per tentare di penetrare nella poppa della nave affondata.

La voce che si era sparsa, e che sembrava seria, che fossero rinchiusi nella poppa e protetti da una bolla d’aria cinque superstiti, è purtroppo priva di fondamento.

Il lavoro per poter trarre a salvamento l’unico scampato, cioè tale Salvatore Somma, militarizzato, è stato intensissimo. La perforazione della lamiera è stata fatta con molta difficoltà, anche perché le scintille e il fumo arrivavano nell’interno del piccolissimo locale ripieno di rottami di macchine, nel quale si sosteneva, con l’acqua fino alla gola, questo operaio che era indubbiamente dotato di energia fisica e di energia morale veramente notevoli. Ed infatti dall’interno ha potuto, attraverso due fori che erano stati praticati al principio per potergli fare arrivare un poco di luce e d’aria, dirigere l’operazione, avvertendo di sospenderla al momento in cui il fumo e le scintille minacciavano di togliergli quel poco di aria che poteva respirare.

Da uno dei due fori che erano stati praticati, gli è stata passata una bottiglia di cognac che egli ha appena assaggiato, dicendo che sentiva che gli avrebbe fatto male. Il militarizzato Somma aveva vicino a sé un compagno di cui conosceva appena il nome; questi però non gli era tanto vicino da concertare con lui il numero dei colpi da dare alla parete per far conoscere quanti erano i salvati, secondo quanto, dal primo foro praticato nella carcassa, gli era stato domandato.

Il rifugiato che era vicino a lui, che egli ricorda come un essere molto gracile, non ha potuto mai battere la parete; il Somma ha pertanto battuto i colpi ripetutamente, senza pensare di proposito al numero di essi. Ne viene di conseguenza che quando, con ripetuti sforzi, dall’unica perforazione resa possibile dal mare che era frattanto divenuto cattivo, egli fu potuto trarre fuori, non vi fu più alcuna speranza di poter salvare con lui altri superstiti. Così che la speranza cui ci si era attaccati, dopo l’interrogatorio del Somma, di poter salvare i presunti cinque uomini, era destituita di fondamento.

Posso aggiungere che il lavoro notturno fu effettuato da un solo palombaro della marina militare, perché gli altri civili accorsi non hanno creduto di poter lavorare di notte con l’ausilio di un grande faro che illuminava solo, sott’acqua, a minima profondità. I marinai civili hanno fatto una bellissima opera con dei sacchi di rena, per cercare di delimitare la zona per tutta la durata del mare mosso, intorno al portello aperto con la fiamma ossidrica. Ma purtroppo il mare lungo succeduto al mare mosso ha impedito che si potesse proseguire nell’opera intrapresa.

Sono stati immediatamente convogliati al punto del disastro i pontoni più potenti che possieda la nostra marina e in particolare quello di La Spezia che può sollevare fino a 400 tonnellate. Per poter far presto, essi sono stati anzi fatti partire immediatamente a rimorchio, senza neppure accendere i fuochi. Ma tutti sanno che i pontoni hanno una velocità limitatissima; essi sarebbero pertanto potuti arrivare nelle acque di Santo Stefano soltanto nel pomeriggio di oggi. Il palombaro militare, che ha lavorato con estrema abnegazione, è riuscito ad imbragare la poppa; dico la poppa, perché la esplosione è stata tanto violenta da sollevare completamente in aria il Panigaglia, da rovesciarlo su se stesso e da lanciarlo ad oltre 100 metri dalle boe.

Intorno, relitti umani sono stati raccolti in piccola quantità. Forse molti morti sono ancora nello scafo. Quattro cadaveri sono stati raccolti nell’ospedale di Orbetello, dove ci sono due feriti: il Somma, che va riprendendosi rapidamente, in preda a choc nervoso e ferito alle parti posteriori in seguito alle lacerazioni prodotte dai rottami di macchina, e un ferito civile che passava in camion sulla strada e che è stato proiettato fuori del veicolo dalla violenza dello spostamento d’aria. Non vi sono altri feriti.

Due case sono state colpite, delle quali una è veramente danneggiata; un enorme pezzo di lamiera, ha perforato il tetto e si è fermato al piano superiore della casa. La violenza del colpo è stata tale da far distaccare completamente tutto l’intonaco e rovinare tutto il mobilio. Per fortuna è una casa restaurata per la villeggiatura; e proprio la sera del giorno in cui il disastro è avvenuto doveva essere occupata dalla famiglia di un ingegnere della «Montecatini». Questa assenza della famiglia dei pigionanti ha evitato altre vittime.

Posso dare altri dettagli sui soccorsi inviati. Da Anzio sono state dirottate due corvette e un rimorchiatore; da Talamone sono partiti il pontone Maciste e il pontone Plutone.

Sono stati inviati autocarri con compressori d’aria ed alcuni sommozzatori della marina militare, i quali sono palombari per lavori a poca profondità. Essendo a poca profondità il relitto (pare che sia affondato per sette metri), bastavano i sommozzatori.

Comunque, il problema è unico: siccome la poppa con le eliche e parte del timone sono fuori dell’acqua, basta una forte imbragatura ed un sollevamento, soprattutto da parte del Maciste, per poter conoscere il mistero di tante morti avvenute a bordo.

Ho nominato immediatamente una Commissione di inchiesta, la quale è così costituita: presidente l’ammiraglio di squadra Luigi Sansonetti; membri: il tenente, generale Mainardi Giuseppe, dei servizi tecnici di artiglieria, maggiore generale dell’arma navale Pellegrini Sergio, capitano di vascello Pelosi Gaetano, tenente colonnello Mendoza Crispino, dei servizi tecnici di artiglieria.

Questa Commissione deve ricercare le cause che hanno potuto determinare l’esplosione della nave, esaminare la situazione del residuo del munizionamento, accertare le eventuali responsabilità o manchevolezze circa lo scoppio e le operazioni di salvataggio per i provvedimenti da prendere al riguardo.

Il lavoro di sbarco delle munizioni procedeva sempre lentamente, con grande accuratezza. Non più di 80 tonnellate per volta erano trasportate attraverso grandi telai giapponesi per poter calare senza scossoni le munizioni in due pontoni. Un pontone della «Montecatini» è stato travolto dall’esplosione ed il marinaio che era a bordo è scomparso. L’altro pontone non ha avuto a bordo nessun morto o ferito, perché si trovava ad una certa distanza dal punto della sciagura.

L’inchiesta dovrà indagare a fondo sull’accuratezza del carico del materiale su queste navi che sono fatte apposta per il trasporto di munizioni.

Posso dire che, da accertamenti fatti, disgrazie di questo genere mai sono accadute nella Marina. Durante la guerra mondiale, scoppi sono avvenuti sulla Benedetto Brin e sulla Leonardo da Vinci, ma per altre cause, in seguito ad attentato.

C’è ancora un trasporto carico di materiale esplosivo che si trovava a Messina e che doveva essere trasportato a Trapani; ho fatto fare indagini sul carico prima di addivenire allo sbarco di queste munizioni.

Quello che a me preme è assicurare l’Assemblea circa lo zelo immediato nel prestare soccorsi.

Quanto dicono i giornali, riportando le frasi addolorate e sincere del medico, cioè che si potevano mandare più palombari e meno autoambulanze, non ha base per questo motivo, perché le prime notizie a noi giunte e che ha riferito ieri il Presidente del Consiglio, parlavano di proiezione di proiettili nell’abitato; e difatti molti proiettili sono disseminati per un raggio di un chilometro. Essendo Porto Santo Stefano molto popolato nella stagione estiva ed essendo molte case sparse nella rada intorno alla baia, c’era da presumere che ci fossero anche vittime umane fra la popolazione. Fortunatamente a terra non ci sono vittime umane. D’altra parte, la prima notizia dell’esplosione non dava particolari intorno alla positura della nave e alla possibilità di poter salvare qualche vivo a bordo. Questo si è saputo dal telegramma che è arrivato quando il Presidente stava parlando dinanzi agli onorevoli colleghi. Le sedici autoambulanze sono tornate fortunatamente vuote; ma preferisco aver avuto un eccesso di zelo piuttosto che essere accusato di manchevolezza nell’inviare i soccorsi necessari. Non appena avrò particolari e quando i lavori saranno compiuti – spero nella nottata – metterò l’Assemblea al corrente di quanto è sciaguratamente avvenuto, di quanto si è nobilmente compiuto e delle risultanze della inchiesta.

Votazione per la nomina di un Vicepresidente.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la votazione per la nomina di un Vicepresidente.

Prima che si proceda alla votazione, estraggo a sorte i nomi di 12 deputati, che comporranno la Commissione di scrutinio.

(Segue il sorteggio).

La Commissione risulta così composta: Bennani, Borsellino, La Gravinese Nicola, Turco, Mattarella, Scotti Alessandro, Cannizzo, D’Onofrio, De Filpo, Sardiello, Carratelli, Ayroldi.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli scrutatori a recarsi nella sala all’uopo destinata per procedere immediatamente alle operazioni di scrutinio.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Riprendiamo l’esame degli emendamenti al nuovo testo unificato degli articoli 109, 110 e 111 proposto dal Comitato di redazione.

L’onorevole Tosato ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo periodo col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle singole leggi dello Stato, nelle seguenti materie».

Ha facoltà di svolgerlo.

TOSATO. Il mio emendamento mira soltanto a chiarire, precisare e semplificare la formula proposta dal Comitato di redazione.

Ieri l’onorevole Bozzi manifestava, appunto, la preoccupazione che il testo proposto dal Comitato di redazione non fosse sufficientemente chiaro e preciso e potesse dar luogo a diverse interpretazioni; diversità di interpretazione, che, in materia così delicata e importante, sarebbe da evitare. Ed io sono perfettamente d’accordo con lui.

Il testo proposto dal Comitato di redazione dice:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative…».

Fino a questo punto credo che tutti ormai siano perfettamente d’accordo.

Non è assolutamente conveniente parlare genericamente d’una potestà normativa della Regione; perché, se si parlasse semplicemente di potestà normativa, si lascerebbe precisamente in sospeso la questione se questa potestà normativa si esprime col vigore della legge oppure con la forza del regolamento.

D’altra parte non sembra nemmeno possibile qualificare senz’altro la potestà legislativa della Regione come potestà di «integrazione», perché, se andiamo alla sostanza delle cose, quando si parla di potestà legislativa di integrazione, nel senso specifico e restrittivo attribuito a questo termine, si adopera la parola «legislativa» in un modo del tutto improprio. In realtà si tratta né più né meno che di una semplice potestà regolamentare. E se noi attribuissimo alla Regione soltanto una potestà regolamentare, saremmo nei limiti di un semplice decentramento autarchico, amministrativo, e non si avrebbe quella vera e propria autonomia, quell’autonomia che noi desideriamo consacrata nella Costituzione, e che implica, sia pure con tutte le garanzie, un decentramento legislativo.

Ancora: non è nemmeno possibile accettare l’altra formula proposta, secondo la quale la Regione potrebbe essere soggetto di una potestà legislativa soltanto delegata, perché quando si tratta di potestà legislativa delegata si esclude una competenza propria della Regione, competenza legislativa propria della Regione che invece noi riteniamo necessaria, e indispensabile per l’affermazione di una vera e propria autonomia regionale. Autonomia che dev’essere costituzionalmente garantita, e non rimessa alla discrezionalità del Parlamento.

Quindi io ritengo che fino a questo punto il testo presentato dal Comitato sia preciso ed esatto. Basta parlare semplicemente di potestà legislativa. S’intende però che, quando si parla di potestà legislativa, bisogna anche stabilire entro quali limiti si deve svolgere, si deve mantenere questa potestà legislativa delle Regioni. Orbene, l’articolo presentato dal Comitato prevede due ordini di limiti, dei limiti sostanziali e dei limiti formali. I limiti sostanziali sono dati dall’elenco delle materie nelle quali potrà affermarsi la potestà legislativa della Regione. Discuteremo di questo elenco. Vedremo se esso sarà integralmente accolto dall’Assemblea, se da esso escluderemo qualche materia e ve ne includeremo qualche altra.

Ad ogni modo il principio di un limite sostanziale di materia della potestà legislativa della Regione è chiaramente affermato, ed è un limite molto importante, in quanto significa che costituzionalmente le Regioni non potranno emanare norme giuridiche, se non nelle materie esplicitamente previste dal testo costituzionale, non in altre materie, a meno che leggi successive, come prevede l’attuale capoverso del Progetto, non ammettano la possibilità di un pacifico intervento legislativo delle Regioni.

Il testo presentato dal Comitato prevede poi dei limiti d’ordine formale, in quanto afferma che la Regione può bensì emanare norme legislative, ma nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica.

È a questo proposito che l’onorevole Bozzi specialmente ha manifestato le sue perplessità. Principî generali. Che cosa sono questi principî generali? Direttive. Che cosa sono queste direttive? Vi è una differenza fra principî e direttive? E a quali principî si riferisce? Queste direttive in quale direzione possono manifestare, il loro vigore? Sono problemi questi, sollevati dall’onorevole Bozzi, che meritano di essere esaminati, e che suggeriscono l’opportunità di un chiarimento, di una precisazione al testo proposto dal Comitato.

Il pensiero del Comitato di redazione che ha formulato il testo in esame, è, a mio avviso, indubbio.

Il Comitato di redazione è animato da una preoccupazione, dalla preoccupazione di salvaguardare l’esigenza già solennemente affermata dall’articolo 106, in cui si stabilisce il principio che la Repubblica italiana è una Repubblica unitaria ed indivisibile. Ora l’unità della Repubblica è data dall’unità dell’ordinamento giuridico. Con la formula «nei limiti dei principî generali o direttive…», secondo me, il Comitato di redazione pur riconoscendo e ammettendo, in determinate materie, la potestà di un intervento di carattere legislativo della Regione, si è preoccupato al tempo stesso, ed ha voluto salvaguardarla dell’unità fondamentale dell’ordinamento giuridico dello Stato. In questo senso si pongono, come limiti della legislazione regionale, i principî generali e le direttive stabiliti dalle leggi della Repubblica. Pertanto, quando l’onorevole Bozzi chiede che cosa sono questi principî e domanda se essi si riducono ai principî generali dell’ordinamento giuridico, a quei principî, per intendersi, ai quali si riferiscono le disposizioni preliminari del Codice civile, evidentemente bisogna rispondere di no. Che la legislazione regionale sia subordinata alla Costituzione dello Stato, non solo, ma anche ai principî generalissimi dell’ordinamento giuridico che di per sé hanno carattere costituzionale, risulta per implicito da tutto il sistema, senza che vi sia bisogno di una disposizione espressa. I principî e le direttive richiamate dal testo del Comitato, non sono i principî generalissimi di tutto l’ordinamento giuridico, ma i principî relativi alle singole materie deferite alla legislazione regionale. Il Comitato intende precisamente che in tutte le materie attribuite alla competenza legislativa della Regione devono essere rispettati quei principî che nelle materie stesse siano stabiliti dalle leggi dello Stato. I rapporti fra legislazione statale e regionale vengono a delinearsi pertanto nel modo seguente: in determinate materie possono intervenire con attività normativa di carattere legislativo le Regioni; però l’attività legislativa delle Regioni è limitata nelle stesse materie attribuite alla loro competenza dai principî di carattere fondamentale posti in ciascuna materia dalle leggi dello Stato. Questo il sistema dei rapporti che il Comitato intende instaurare. Ed è evidente per tal modo l’unità della legislazione, e quindi l’unità dello Stato, l’unità del sistema, è perfettamente salvaguardata.

Ora, appunto al fine di togliere qualsiasi dubbio, qualsiasi incertezza, e qualsiasi preoccupazione che potrebbe sorgere da una diversa interpretazione di questi principî generali, io ritengo che sia più opportuno, intanto, di parlare semplicemente di principî fondamentali e non generali. L’onorevole Bozzi suggeriva di togliere senz’altro la qualifica di «generali» e di parlare semplicemente di principî. Io ritengo più opportuno, anche in riferimento ad una terminologia invalsa in altre costituzioni, in cui si parla di grundsätzliche Gesetzgebung, più proprio ed esatto usare il termine «principî fondamentali», per significare appunto che nelle materie attribuite alla legislazione regionale tale legislazione è purtuttavia sempre subordinata ai principî generali posti alla base, a fondamento di essa, direttamente dello Stato. Resta così esclusa qualsiasi potestà legislativa esclusiva della Regione. Lo Stato ha sempre il diritto di intervenire in qualsiasi materia, con questo solo limite, che in determinate materie, attribuite alla competenza legislativa della Regione, l’intervento legislativo dello Stato deve essere limitato all’imposizione di principî fondamentali.

Questo è, a mio avviso, il pensiero ed il proposito della Commissione. Ora, appunto al fine di specificare questo pensiero e questo proposito della Commissione, al fine di eliminare qualsiasi incertezza, qualsiasi equivoco, qualsiasi dubbio, per escludere che i principî che fungono da limite della legislazione regionale siano soltanto i principî generalissimi di tutto l’ordinamento giuridico, per affermare invece esplicitamente che si tratta dei principî particolari relativi alle singole materie, per questo io mi permetto di suggerire l’emendamento proposto, secondo il quale la Regione ha la potestà di emanare norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti «dalle singole leggi dello Stato». Con questa formula qualsiasi preoccupazione dovrebbe cadere. È chiarito e precisato che la legislazione regionale potrà intervenire in tutte le materie elencate, ma intervenendo in queste materie, essa dovrà comunque rispettare i principî stabiliti, relativamente ad esse, dalla legislazione dello Stato. S’intende che il richiamo a tali principî è mobile, non statico. Lo Stato potrà sempre modificare, rinnovare i principî. In ogni caso la legislazione regionale dovrà sempre adeguarli ai principî modificati o nuovi posti dalla legislazione statale. Il testo della Sottocommissione parla di principî o direttive. L’onorevole Bozzi ha sollevato il problema: che cosa sono queste direttive? Egli ha cercato di dare un’interpretazione del testo della Sottocommissione e ha detto: per direttive si possono intendere quelle norme fondamentali emanate dallo Stato che non sono immediatamente vincolanti per i cittadini, ma che hanno per destinatario il legislatore regionale, rispetto al quale soltanto hanno efficacia direttamente vincolante. È un’interpretazione possibile, però è anche possibile un’altra interpretazione, soprattutto se teniamo presente una dottrina secondo la quale sarebbero direttive le norme vincolanti bensì, ma non assolutamente vincolanti. Ed altre interpretazioni sono ancora possibili. A mio avviso, di certe distinzioni, che hanno soprattutto un’importanza teorica, scientifica, è meglio fare a meno.

Bisogna evitare qualsiasi possibilità di dubbi, di incertezze, di interpretazioni diverse. Io parlerei soltanto di principî fondamentali, genericamente, senza alcun riferimento alle direttive. In fondo, i principî costituiscono pur sempre delle direttive; ed essi possono agire e funzionare in vario senso, con un contenuto che può essere immediatamente vincolante per i cittadini, oppure vincolante soltanto per il legislatore. Queste varie possibilità vanno lasciate, a mio modo di vedere, alla discrezionalità del legislatore.

Queste sono, brevemente, le ragioni dell’emendamento da me proposto. Ritengo che l’esigenza dell’unità fondamentale dell’ordinamento giuridico, e tutte le preoccupazioni che sorgono attorno a questa esigenza, siano da esso sodisfatte, in modo che la legislazione regionale non abbia a turbare mai l’armonia e l’unità dell’ordinamento giuridico, ma possa servire soltanto a rendere le norme che lo costituiscono più aderenti alla varietà dei differenti interessi locali.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha proposto di sostituire alle parole: «La Regione ha potestà di emanare norme legislative», le altre: «Compete alla Regione di emanare norme legislative».

Ha facoltà di svolgere questo emendamento.

MORTATI. Il mio emendamento tende a questo: sostituire la parola «compete» alla parola «ha potestà», e ciò per evitare che l’esercizio di questa competenza della Regione sia intesa come puramente facoltativa.

Faccio osservare che questa interpretazione potrebbe praticamente dar luogo a gravi inconvenienti, poiché, nel caso che la Regione non usufruisse di questa facoltà, nascerebbe uno stato di incertezza e non si saprebbe, una volta emanate le direttive, come queste direttive possano essere svolte e come sia possibile dar vita a quella serie di attività amministrative che presuppongono l’esercizio dell’attività normativa della Regione. La mia proposta tende, quindi, a tornare al testo originario del Comitato e a dare alla Regione esclusivamente il compito di legiferare in quella materia in cui si sono avute direttive da parte dello Stato.

PRESIDENTE. È così terminato lo svolgimento degli emendamenti relativi al primo periodo del nuovo testo unificato degli articoli 109, 110 e 111.

Invito la Commissione ad esprimere il proprio avviso su di essi.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

AMBROSINI, Relatore. Onorevoli colleghi, dopo la lunga discussione svoltasi su questo punto, che è fondamentale per tutta la riforma che andiamo ad affrontare, viene il momento di esaminare gli emendamenti presentati da varie parti al testo degli articoli 109-111 adottato dalla Commissione dei Settantacinque, e la nuova proposta di un unico articolo riassuntivo che il Comitato di redazione ha raccolto per cercare di andare incontro a molti di tali emendamenti. Naturalmente l’accettazione da parte nostra di quest’ultimo testo, che tende a raggiungere il maggior numero di consensi sulla votazione dell’istituto in questione, presuppone l’accordo ed è condizionato al mantenimento di esso.

E siccome alcuni colleghi mi hanno sollecitato a chiarire quale è stata l’origine della disposizione, io lo farò, sia pur brevemente.

Quando la seconda Sottocommissione, votando l’ordine del giorno Piccioni, previde che dovesse attribuirsi alla Regione una potestà legislativa, io mi trovai, dovendo elaborare il progetto, di fronte a questo problema fondamentale, che è stato discusso poi in Assemblea, e ritenni di risolvere la questione adottando due tipi di legislazione: quella che ora è prevista nell’articolo 109 del progetto della Commissione dei Settantacinque e l’altra prevista nell’articolo 111. Debbo anche ora chiarire che quella dell’articolo 109, che è stata da molti chiamata facoltà di legislazione «esclusiva», sicuramente non è tale. Ed a dimostrarlo basta ripetere che si tratta sempre di una potestà legislativa subordinata: subordinata alle norme della Costituzione e ai principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, e condizionata, inoltre, all’osservanza degli impegni internazionali dello Stato e degli interessi delle altre Regioni. È evidente che, quando c’è la subordinazione, non può esserci l’esclusività.

É questa la ragione per la quale il primo Comitato per le autonomie, poi la Sottocommissione, e poi la Commissione dei 75, sia pure a lievissima maggioranza, credettero di accedere alla mia proposta superando le critiche relative al preteso pericolo che essa avrebbe costituito per l’unità legislativa e per la compagine politica dello Stato.

D’altra parte, si prevedeva, nel mio progetto primitivo, soltanto un secondo tipo di legislazione, di integrazione ed attuazione delle leggi dello Stato, il tipo segnato nell’articolo 111 del progetto attuale.

Come l’Assemblea sa, la seconda Sottocommissione ritenne di integrare, per una maggiore precisazione, i due tipi suindicati di legislazione regionale con un terzo tipo, quello previsto dall’articolo 110.

Di fronte alle maggiori critiche insortene e alle opposizioni correlative, il Comitato di redazione – come ha detto il Presidente Ruini – ha accettato un testo concordato, col quale, allo scopo di ottenere un maggior numero di consensi, si rinuncia al tipo di potestà legislativa prevista dall’articolo 109, ed a fondere, in un solo articolo, le norme stabilite degli articoli 110 e 111. Non è ormai più il caso di accennare alle ragioni per cui a diversi colleghi e a me stesso sembrava preferibile il sistema prospettato nel mio progetto originario. Passiamo, quindi, senz’altro ad esaminare gli emendamenti apportati al testo «concordato», che rappresenta una conciliazione tra le diverse tendenze.

Potremo raggrupparli in poche categorie. C’è una prima categoria che, secondo noi, può chiamarsi di «emendamenti di rinvio». La proposta fatta dall’onorevole Targetti ed altri e quella dell’onorevole Nobile rientrano in questa categoria. L’emendamento dell’onorevole Targetti rimanderebbe in sostanza la disciplina di tutta la materia alla legislazione ordinaria, a singole leggi; è quindi il più lontano dal testo proposto dalla Commissione dei Settantacinque prima e ora dal Comitato di redazione, che lo ritenne per ciò assolutamente inaccettabile.

Non è nemmeno accettabile l’emendamento dell’onorevole Nobile, il quale, sia pure demandando la determinazione delle materie da attribuire alla competenza legislativa della Regione ad una legge di natura costituzionale, comporta sempre un rinvio, e quindi contrasta anch’esso con quello che ha già deliberato l’Assemblea. Con un voto esplicito infatti l’Assemblea ha voluto affermare non solo l’istituzione dell’ente Regione, ma anche il principio che la Regione deve avere un proprio potere normativo, legislativo, sia pur limitato.

Andando ad un altro gruppo di emendamenti, che potremmo chiamare «restrittivi», viene primo in considerazione quello presentato dall’onorevole Lami Starnuti e da altri colleghi. In sostanza l’onorevole Lami Starnuti, insistendo sulla posizione che egli aveva assunto fin dal primo momento in sede di seconda Sottocommissione, con questo emendamento tende a ridurre la potestà normativa della Regione ad una potestà semplicemente di integrazione e di attuazione. Ma, appunto per ciò, il Comitato di redazione non può accettare l’emendamento, il quale mortificherebbe il più ampio potere normativo che deve caratterizzare la istituzione dell’ente Regione.

Il collega Lami Starnuti ha fatto però delle osservazioni degne di essere prese in considerazione. Egli ha prospettato dei dubbi per i quali forse voleva una risposta, ed anzitutto questo dubbio: che cosa se ne fa di tutta la legislazione statale esistente? Potrebbe la Regione cominciare a dettare norme sue quando esiste questa legislazione, oppure deve aspettare che lo Stato emani nuove leggi prima che essa Regione possa cominciare a mettere in funzione la sua potestà legislativa?

A noi sembra che la risposta sia semplice: resta in vita tutta la legislazione esistente. Non occorre dettare in proposito una applicativa norma esplicita, giacché si tratta di una conseguenza implicita, necessaria. Ipotizzare una conseguenza diversa significherebbe ammettere la possibilità che si stabilisca il vuoto nell’ordinamento legislativo, per lo meno relativamente ad un determinato gruppo di materie.

Ora, questo non è possibile. È assolutamente chiaro che tutta la legislazione esistente deve restare in vita fino a quando lo Stato, attraverso i modi ordinari di produzione di norme giuridiche, vada ad elaborare nuove leggi, infra i cui principî fondamentali le Regioni possono esercitare la loro potestà legislativa subordinata, complementare, perché tale è in ogni caso, ripeto, la caratteristica della legislazione regionale.

Un’altra osservazione faceva l’onorevole Lami Starnuti: se, per avventura, ci fossero delle materie per le quali non esistesse una legge dello Stato, sarebbe possibile alla Regione emanare norme proprie? Teoricamente, anzi, astrattamente, la domanda potrebbe porsi, perché, richiedendo una norma subordinata il presupposto di una norma principale, fondamentale, sarebbe imbarazzante ed incerta la posizione della Regione nell’ipotesi configurata dall’onorevole Lami Starnuti.

Ma in concreto il caso ipotizzato non esiste, come osservò l’onorevole Ruini ieri, in una sua interruzione. In concreto, tenendo presenti le materie elencate nell’articolo «concordato», o negli stessi tre articoli del progetto approvato dal Comitato dei Settantacinque – 109, 110, 111 – sicuramente possiamo dire che esse sono già impegnate, e completamente, dalla legislazione dello Stato.

Quindi, il pericolo derivante dall’ipotesi che concettualmente prospettava l’onorevole Lami Starnuti non esiste.

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Codignola, il quale, in sostanza, si preoccupa della dizione «legislazione generale». Nella sua dimostrazione, egli ha finito per porre un quesito e una domanda che, da un certo punto di vista – per quanto con una formulazione diversa – coincidono con i dubbi e con le domande che ci pose ieri l’onorevole Bozzi.

L’onorevole Codignola dice: Che cosa significa «principî generali», «legislazione generale?». E ha aggiunto: Si tratta forse di quei principî generali dei quali si parla nelle preleggi?

Io credo che non occorra spendere molte parole per rispondere subito nettamente, tassativamente, che non si tratta affatto dei principî generali delle preleggi, né dei principî generali dell’ordinamento giuridico a cui io avevo fatto richiamo nel testo originario dell’attuale articolo 109. Allora sì che il richiamo ai principî generali dell’ordinamento giuridico aveva una ragione di essere, ma non più ora e riguardo al testo dell’articolo cosiddetto «concordato» accettato dal Comitato, nel quale il richiamo ai principî generali, fondamentali, deve intendersi riferito ai principî affermati nelle singole leggi nazionali che si occuperanno delle materie particolari attribuite alla Regione per l’emanazione di norme giuridiche complementari. Se questo è vero – e a me pare che sia vero – è evidente che la giusta preoccupazione (tutte le preoccupazioni, ripeto, è bene che siano qui avanzate per essere chiarite) la giusta preoccupazione dell’onorevole Codignola, dell’onorevole Bozzi e di altri egregi colleghi può considerarsi completamente superata.

E così ugualmente la preoccupazione, che or ora esponeva al Presidente Ruini ed a me l’onorevole Dugoni, a proposito dell’emendamento Tosato al testo concordato. Temo di non avere completamente raccolto le sue obiezioni perché, mentre egli ci parlava, dovevo seguire il discorso dell’onorevole Mortati. Ma, se non mi sbaglio – ed egli può correggermi e precisare – in sostanza egli avanzava il dubbio che il richiamo ai principî generali, ai soli principî generali, rappresentasse un limite molto ristretto alla potestà legislativa della Regione, un limite tanto ristretto da importare in sostanza l’attribuzione ad essa di una potestà legislativa pienissima.

Senonché tale opinione e preoccupazione è infondata, giacché i principî generali, fondamentali, dei quali discutiamo, sono quelli che il legislatore andrà segnando nelle singole leggi particolari, e che ora sono contenuti nelle leggi esistenti che regolano le materie che saranno attribuite alla competenza legislativa della Regione. Ogni equivoco dovrebbe risultarne così chiarito, e conseguentemente sorpassata e superata l’obiezione che si muove al testo da ultimo proposto.

Se è così, i nostri oppositori potrebbero accedere al testo suddetto, potrebbero accedervi se effettivamente la loro opposizione si basa sul motivo suaccennato.

Se poi, invece, si basasse su un motivo più ampio, riferentesi ad una questione più vasta di principio, e se tendesse in effetti a sminuire il tipo di legislazione da attribuire, alla Regione riducendola ad una legislazione di integrazione o regolamentare, come espressamente dice l’onorevole Lami Starnuti, allora il problema sarebbe diverso; e noi risponderemmo all’obiezione con le stesse argomentazioni che abbiamo esposte a proposito dell’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti.

Nel discorso, ugualmente organico, che ieri pronunciò, l’onorevole Preti avanzò le sue preoccupazioni e ritornò, in sostanza, sullo stesso argomento, pure prospettandolo in modo diverso. Egli disse che, se la portata delle norme contenute sia nel progetto primitivo che nel testo concordato fosse quella da noi indicata, sarebbe evidente che non può parlarsi di facoltà legislativa e che, quindi, dovrebbe cambiarsi la dizione del progetto primitivo o del testo concordato.

In proposito io rispondo che noi dobbiamo preoccuparci della sostanza, del contenuto cioè effettivo del potere normativo che si crede opportuno di attribuire alle Regioni. Naturalmente anche alle espressioni bisogna badare.

Ora, venendo a queste, non vediamo la ragione perché non potrebbero qualificarsi come legislative le norme previste nel testo concordato accettato dal Comitato di redazione.

Rilevo che diversi onorevoli colleghi, che pur sono contrari o che non completamente accettano il testo suddetto, non hanno esitato, come l’onorevole Bozzi, a ritenere che tali norme hanno carattere legislativo. Ed anzi, è stato proprio per questa ragione che alcuni di essi hanno ritenuto di non potere adottarle.

L’onorevole Preti e, se non sbaglio, anche l’onorevole Zotta, hanno fatto in proposito accenni al diritto comparato, specie alla Costituzione austriaca del 1920 e a quella tedesca di Weimar.

Orbene, in base alla dizione formale che su questo punto si ha in tali Costituzioni, mi pare che ne risulti legittimato, o meglio suffragato da un esempio notevole ed autorevole il modo di qualificare le norme di cui trattiamo nel progetto, cioè l’espressione di norme «legislative».

Gli onorevoli colleghi sanno che, dal punto di vista della tecnica giuridica, le due Costituzioni suddette possono considerarsi esemplari.

Ebbene, la Costituzione della Repubblica austriaca del 1920, all’articolo 12, laddove si occupa in riguardo ai Länder di un tipo di legislazione simile a quella di cui discutiamo, parla di Ausführungsgesetzen, cioè di leggi complementari. Malgrado sia accentuato il carattere «esecutivo» delle norme, queste vengono pur chiamate Gesetzen, cioè leggi.

E questa qualificazione acquista tanto più rilievo, in quanto nell’articolo precedente, comma secondo, parlandosi di un altro tipo di norme, queste vengono qualificate come Durchführungsverordnungen, cioè «regolamenti complementari». Le norme di cui all’articolo 12 suindicato sono le più interessanti per noi. Esse debbono emanarsi nei limiti dei principî generali, fondamentali, fissati dalle leggi dello Stato, di quelle leggi, che stabiliscono, secondo dice l’articolo 12 citato, le Grundsätze. La stessa parola era stata adoperata dalla Costituzione di Weimar all’articolo 10.

L’onorevole Ruini, in un suo intervento di un mese fa, parlò di Ramengesetze. Si tratta di quelle leggi che stabiliscono i principî fondamentali, che disegnano la cornice nella quale deve inquadrarsi lo svolgimento dell’attività legislativa della Regione.

Prospettando il principio fondamentale della riforma relativamente alla legislazione regionale, rileviamo che il nuovo ente incontra due limiti. Uno deriva dalla delimitazione delle materie che l’Assemblea Costituente attribuirà in concreto alla competenza legislativa della Regione, l’altro si riferisce al merito e al contenuto delle norme giuridiche, che possono essere emanate soltanto nei limiti dei principî generali, fondamentali, stabiliti dalle leggi dello Stato per ognuna delle materie in questione.

C’è inoltre un limite ulteriore relativo al perfezionamento della legge regionale. Ce ne occuperemo quando verrà in discussione l’articolo 118 che ne tratta espressamente.

Quindi, stabiliti questi principî, a noi pare che le opposizioni e titubanze da varie parti avanzate possano essere superate, salvo naturalmente che si ritorni ad una questione ancora più fondamentale e cioè che si avversi lo spirito generale di tutta la riforma.

Peraltro, mi permetterei, a titolo personale, di osservare, a proposito dei denunciati presunti pericoli che deriverebbero dal tipo di legislazione proposta, che tali pericoli si presenterebbero anche per la legislazione cosiddetta di integrazione. Non riesco, quindi, a rendermi conto dell’atteggiamento di coloro che sono favorevoli a quest’ultimo tipo di legislazione, ma che combattono il tipo proposto dal Comitato, in base alla denuncia di presunti pericoli, i quali, siccome ho detto, si prospetterebbero ugualmente efficienti per il potere legislativo di integrazione.

Ma la verità è che, così come è congegnato, il progetto elimina tali pericoli. Ed allora, se noi siamo convinti, come credo molti di noi sono convinti (naturalmente non tutti), se la maggioranza di quest’Assemblea è convinta che l’attribuire alle Regioni una certa potestà legislativa, con i limiti di materie e i limiti sostanziali ai quali abbiamo fatto cenno, non costituisce pericolo per l’unità legislativa e per le direttive politiche generali dello Stato, allora io credo che si possa, senza ulteriori titubanze, accedere al testo proposto dal Comitato di redazione.

I chiarimenti fin qui dati valgono anche per le considerazioni esposte dall’onorevole Bozzi nel suo lucido e serrato discorso di ieri. Ma egli fece due domande specifiche, chiedendo alla Commissione di rispondere partitamente. Era il suo diritto; era ed è il dovere nostro, ma anche il nostro diritto chiarire la situazione, perché non intendiamo assolutamente che passi nessuna norma sotto un qualsiasi voto equivoco.

Risponderò a tali domande in fine, perché credo che investano quasi tutto il congegno della riforma su questo punto.

Mi occupo, prima, degli altri emendamenti, che l’onorevole Ruini questa mattina chiamò esplicativi o ampliativi. Vi è l’emendamento perspicuo dell’onorevole Persico che, in sostanza, non si differenzia molto da quello accettato dal Comitato di redazione col testo concordato. Quindi, può darsi che non sia il caso di ricorrere in proposito ad una votazione specifica. Naturalmente, questo, nella sua saggezza, lo deciderà l’onorevole Persico. Egli vedrà se insistere nel suo emendamento o aderire a quello accettato dal Comitato.

C’è un altro emendamento, proposto dal collega onorevole Zotta, il quale suggerisce di aggiungere «ai limiti stabiliti» le parole «e nel rispetto degli interessi delle altre Regioni».

Devo subito dire che io, personalmente, ed alcuni membri del Comitato ci siamo pronunziati senz’altro in senso favorevole. Rammento che tale fu la proposta che io feci all’inizio e che venne accettata anche dalla Commissione dei Settantacinque. Senonché la maggioranza del Comitato ha osservato che questo limite è previsto nell’articolo 118, in base al quale spetta al Governo nazionale la facoltà di arrestare la legislazione regionale, quando essa trascenda dai limiti di competenza per materia della Regione o quando interferisca negli interessi della Nazione o di altre singole Regioni.

Per non trattare due volte della stessa materia e due volte affermare lo stesso principio, il Comitato nella sua maggioranza ha ritenuto di far presente all’onorevole Zotta la opportunità di rimandare l’esame specifico di questo argomento al momento nel quale si discuterà l’articolo 118.

L’emendamento proposto dall’onorevole Tosato risponde all’esigenza di maggiori precisazioni di fronte alle obiezioni venute da vari onorevoli colleghi di quest’Assemblea. Il Comitato non ha nulla da obiettare, perché i principî affermati in questo emendamento corrispondono a quello che finora si è chiamato «testo concordato». Quindi, vedrà l’Assemblea quello che ritiene più saggio di fare.

Riguardo all’emendamento proposto dal collega onorevole Mortati, io personalmente le accetterei senz’altro. Egli rammenta che quella espressione fu da me proposta fin dal primo momento. Nell’articolo 3 del primo progetto che presentai al Comitato di redazione si diceva infatti: «Compete alla Regione la potestà legislativa nelle seguenti materie».

Ma da una rapida consultazione avvenuta fra i componenti del Comitato qui presenti non è risultata una decisione concorde. È stato osservato che la sostanza del testo concordato non verrebbe modificata da questo emendamento; ma che esso potrebbe causare una certa incertezza nella votazione. Mi limito a riferire queste osservazioni.

Vengo ai due punti su cui si era soffermato l’onorevole Bozzi. Egli nel secondo emendamento ha proposto che si inserisca prima dell’ultimo comma dell’articolo concordato il seguente comma: «Le leggi della Repubblica stabiliscono il termine entro il quale la Regione deve esercitare la potestà legislativa prevista dal primo comma».

Su questo punto il Comitato osserva che la preoccupazione che ha spinto l’onorevole Bozzi e presentare l’emendamento non solo sembra eccessiva ma forse infondata. Questa preoccupazione si riconnette, se non mi sbaglio, a quell’altra che con insistenza avanzò l’onorevole Lami Starnuti, quando disse: «Se la Regione resta inattiva, che cosa succede?». La risposta l’abbiamo data: succede questo, che restano in vigore non solo tutte le leggi, ma anche, aggiungo, tutti i regolamenti dello Stato, che regolano la determinata materia. L’onorevole Bozzi ha fatto bene a porre tassativamente la questione, perché così si arriva al chiarimento opportuno. Fino a quando la Regione non esercita il suo diritto di emanare le norme legislative secondarie delle quali abbiamo parlato, resteranno in vigore le norme similari che già erano state emanate dallo Stato, e quindi anche i regolamenti. L’Assemblea regionale non legifererà senza una debita ponderazione, e non apporterà, io credo e spero, innovazioni alle norme giuridiche esistenti per semplice desiderio di innovare, specie quando tali norme si addimostrino giuste e rispondenti anche ai bisogni locali. Onorevoli colleghi, noi non dobbiamo pensare che le Regioni siano prese da una furia innovatrice semplicemente per il piacere di affermare la propria potestà legislativa. L’Assemblea regionale, che sarà composta da persone con la testa sulle spalle, dotate di senso patriottico e di responsabilità, eserciterà questo diritto cum grano salis.

Non è il caso di avere paura! Comunque, sembra al Comitato che non sia necessario prescrivere per la Regione un termine perché essa eserciti la potestà legislativa attribuitale, giacché nessun danno può venire alla Regione dal mancato o tardivo esercizio di tale potestà; e ciò per il fatto che, fino a quando non è esercitata, resta in vigore l’insieme delle norme giuridiche stabilite dallo Stato. Non si crea, lo ripeto, nessun vuoto giuridico.

Vengo in ultimo ad un’osservazione delicata fatta dall’onorevole Bozzi.

Qui è per assoluto dovere di chiarezza che io devo dire l’opinione del Comitato e mia.

Se non la dicessi, forse il silenzio passerebbe inosservato; ma, nella mia coscienza, sentirei di non aver fatto completamente il mio dovere.

L’onorevole Bozzi, ed altri con lui, hanno prospettato la necessità o l’opportunità che la potestà dello Stato di emanare le direttive, i principî generali e fondamentali, entro i limiti dei quali la Regione esercita il suo potere legislativo subordinato, possa talvolta arrivare ad avere un carattere, che l’onorevole Bozzi mi pare abbia qualificato «proibitivo»; cioè: una legge dello Stato potrebbe inibire alla Regione la possibilità di emanare norme, sia pure complementari o subordinate, in taluna delle materie rientranti normalmente nella sua competenza legislativa.

Egregi colleghi, su questo punto è bene essere chiarissimi ed eliminare qualsiasi dubbio. Il tentativo dell’onorevole Bozzi va senz’altro respinto. Noi non possiamo nemmeno accettare alcuna interpretazione equivoca, perché se ciò facessimo – anche col solo silenzio – saboteremmo il Progetto, o indurremmo in equivoco – non importa se solo pochi – al momento del voto.

Mentre alla Regione attribuiamo una certa potestà legislativa subordinata per talune materie tassativamente indicate, non possiamo poi, senza mandare in aria tutto il sistema, accettare l’altro principio, che in casi, sia pure eccezionali, lo Stato abbia facoltà di inibire alla Regione l’esercizio della potestà legislativa attribuitale dalla Costituzione.

Con questo chiarimento e gli altri dati in riferimento ai punti più controversi, crediamo che l’Assemblea possa affrontare il problema e venire alla votazione.

Gli onorevoli colleghi hanno constatato lo sforzo di rinunzia, che molti di noi hanno fatto, per arrivare a stabilire una maggiore quantità di consensi.

Noi presentiamo un Progetto, che, mentre salvaguarda completamente l’unità dello Stato, è tale da indirizzare la vita pubblica per una via nuova, creando istituti adeguati per arrivare all’eliminazione dei mali dell’accentramento statale, anche nel campo legislativo. (Applausi).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta per la nomina di un Vicepresidente.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta per l’elezione di un Vicepresidente:

Votanti                                             331

Ha ottenuto voti: Bosco Lucarelli       224

Voti dispersi                                       37

Schede bianche                                   70

Proclamo eletto Vicepresidente dell’Assemblea l’onorevole Bosco Lucarelli. (Vivissimi, prolungati applausi).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Assennato – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bergamini – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bucci – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Calosso – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Filpo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Fietta – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Giannini – Giolitti – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lombardi Riccardo – Longo – Lussu.

Macrelli – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Manzini – Marazza – Marinaro – Martinelli – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazzoni – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montalbano – Monterisi – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patrissi – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Puoti.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Sampietro – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segala – Selvaggi – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigorelli – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Alberti – Arata – Arcangeli.

Baldassari – Bellavista.

Cairo – Chiaramello.

D’Amico Michele.

Ferrario Celestino – Froggio – Fuschini.

Galioto – Ghidini – Gortani – Gullo Rocco.

Jacini.

La Pira – Lombardo Ivan Matteo.

Malli – Martino Gaetano – Matteotti Matteo – Molè – Moscatelli.

Rapelli – Reale Vito.

Saragat.

Tumminelli.

Varvaro – Villani.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo ora alle votazioni relative al primo periodo del testo unificato. La Commissione ha dichiarato, per mezzo dell’onorevole Ambrosini, di accettare la formulazione presentata dall’onorevole Tosato, che è del seguente tenore:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle singole leggi dello Stato, nelle seguenti materie».

Ritengo che l’emendamento presentato dall’onorevole Targetti sia quello che maggiormente si allontana da questa formulazione.

L’onorevole Colitto ha però presentato il seguente emendamento all’emendamento dell’onorevole Targetti:

«La Regione ha potestà di emanare norme in armonia e nei limiti delle direttive, dei principî generali stabiliti dalle leggi dello Stato sulle materie dalle stesse indicate».

Si tratta, in sostanza, della soppressione dell’aggettivo: «legislative». Aumenta, pertanto, il distacco dalla formulazione dell’onorevole Tosato. Deve avere quindi la precedenza l’emendamento dell’onorevole Colitto.

COLITTO. Chiedo di parlate.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Se il Presidente consente, vorrei far presente che non ho difficoltà ad aggiungere l’aggettivo. Il mio emendamento mira a sottolineare che la Regione ha la potestà di emanare norme legislative, ma in armonia e «nei limiti delle direttive» e dei principî generali, per modo che si distacca da quello dell’onorevole Targetti per queste due aggiunte «dei limiti» e «delle direttive».

PRESIDENTE. Ella insiste sull’emendamento?

COLITTO. Per l’ultima parte dichiaro di non insistere.

PRESIDENTE. Allora il suo emendamento risulta così formulato:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, in armonia e nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica, su materie particolari indicate dalle leggi stesse».

Quale è il parere dell’onorevole Relatore?

AMBROSINI, Relatore. Il Comitato di redazione ritiene che l’emendamento Colitto non sia accettabile per le stesse ragioni per cui non ha accettato l’emendamento Targetti e quello proposto dall’onorevole Lami Starnuti.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Onorevole Presidente, se fosse accolto, ad esempio, l’emendamento Targetti, oppure l’emendamento Colitto, i quali, parlano già di «potestà di emanare norme legislative», l’onorevole Lami Starnuti ed io, che escludiamo le norme legislative e parliamo soltanto di «potestà normativa», avremo maniera di far valere il nostro emendamento?

PRESIDENTE. Onorevole Preti, la sua domanda ha un fondamento, ma ciò che caratterizza in questo momento la nostra discussione è l’elemento seguente: se bisogna includere nel testo della Costituzione un elenco di materie determinate, o se questo elenco non deve essere incluso. Nella proposta dell’onorevole Targetti ed in quella dell’onorevole Nobile, infatti si propone di non includere un’elencazione di materie, e questa è la ragione che mi ha suggerito di dare la precedenza all’emendamento dell’onorevole Targetti. Vi è poi un altro elemento di distinzione tra la potestà legislativa, direi, completa, e quella che, nella proposta dell’onorevole Lami Starnuti, è indicata come potestà di integrazione e potestà normativa per l’attuazione delle leggi.

Ma, a mio giudizio, ritengo che il primo elemento abbia valore preminente; ed infatti all’inizio della discussione, in base alla precisa proposta formulata dall’onorevole Ruini, abbiamo deciso di discutere e di votare innanzi tutto sul primo periodo, rimandando ad un successivo momento l’elencazione delle materie.

PRETI. Onorevole Presidente, potremmo anche accettare le sue considerazioni, ma resta il fatto che una eventuale approvazione degli emendamenti Colitto e Targetti precluderebbe la votazione del mio emendamento e di quello dell’onorevole Lami Starnuti.

PRESIDENTE. Sentito anche il parere della Commissione, ritengo che siano da accettare i rilievi dell’onorevole Preti, nel senso che debba precedere la decisione sul carattere della potestà legislativa, da attribuire alla Regione. Pertanto, incominceremo la votazione dall’emendamento dell’onorevole Preti, o da quello dell’onorevole Lami Starnuti, in quanto i due emendamenti quasi si identificano.

PRETI. Li unifichiamo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Resta inteso che il Comitato mantiene l’espressione «potestà legislativa» e respinge l’altra «potestà normativa», per le ragioni che sono state già esposte.

PRESIDENTE. Onorevoli Preti e Lami Starnuti, quali delle due formule conservano?

PRETI. La formulazione ultima.

PRESIDENTE. Allora, la formula sulla quale dobbiamo votare è la seguente:

«La Regione ha potestà normativa per la integrazione e l’attuazione delle leggi dello Stato, secondo le esigenze locali».

PIEMONTE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. L’onorevole Presidente ha ben chiarito che vi sono emendamenti che tendono a restringere e a diminuire le facoltà della Regione nei confronti delle proposte della Commissione. Altri emendamenti tendono invece ad allargarle. Gli emendamenti degli onorevoli Preti e Colitto tendono a restringere i poteri della Regione.

Dichiaro che voterò contro tutti gli emendamenti che diminuiscono l’essenza sostanziale dell’autonomia regionale, tendente a rinnovare il Paese. (Approvazioni).

MANNIRONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Desidererei fare una questione pregiudiziale, nel senso che l’Assemblea non dovrebbe passare alla votazione dell’emendamento proposto dagli onorevoli Lami Starnuti e Preti, perché su questo punto l’Assemblea stessa ha già preso posizioni, respingendo gli ordini del giorno proposti dagli onorevoli Grieco e Laconi, nei quali si affermava che alla Regione si dovesse dare soltanto la facoltà legislativa di integrazione e di attuazione.

Ora, se il concetto affermato dall’Assemblea è questo, mi pare che non si debba più tornare sull’argomento, votando nuovamente su una identica proposta degli onorevoli Lami Starnuti e Preti.

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, sulla pregiudiziale che lei ha sollevato, si può rispondere in questo modo: ciò che ha valore in una proposta che l’Assemblea vota è la parte deliberativa e non i considerando.

Ora, l’ordine del giorno firmato dagli onorevoli Bonomi Ivanoe, Grieco e Laconi si limita ad affermare che nella Carta costituzionale debba trovare sede l’affermazione della esistenza della Regione accanto ai Comuni e alle Provincie.

Obiettivamente dobbiamo riconoscere che respingendo tale ordine del giorno l’Assemblea non ha pregiudicato il carattere del potere da affidare alla Regione, anche se nei «considerando» si trova l’affermazione cui ha fatto cenno l’onorevole Mannironi.

Ritengo, pertanto, che la sua pregiudiziale non possa essere accolta.

MANNIRONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Mi permetto di dissentire, perché ritengo che l’Assemblea ha voluto respingere in blocco l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Bonomi ed altri. Ricordo che l’onorevole Corbino aveva proposto che questo ordine del giorno fosse votato per divisione, ma i proponenti vi si opposero e pretesero che l’Assemblea votasse in blocco. Le premesse non erano dei considerando o motivazioni a una decisione finale come in una sentenza. Costituivano invece affermazioni staccate sulle quali l’Assemblea si è pronunciata, respingendole. Perciò, non si dovrebbe ripetere oggi la votazione.

PRESIDENTE. Prendiamo atto di questa sua osservazione. Tuttavia, pongo in votazione l’emendamento degli onorevoli Preti e Lami Starnuti:

«La Regione ha potestà normativa per l’attuazione e l’integrazione delle leggi dello Stato, secondo le esigenze locali».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione dell’emendamento Colitto.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Per evitare all’Assemblea molteplici votazioni su questioni che non sono di sostanza ma di forma, dichiaro di non insistere sul mio emendamento e di aderire a quello dell’onorevole Targetti.

PRESIDENTE. Allora passiamo alla votazione sull’emendamento Targetti, Malagugini, Vernocchi, Cacciatore:

«Sostituire all’articolo proposto dal Comitato di coordinamento, in luogo degli articoli 109, 110, 111, il seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative in armonia coi principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica su materie particolari indicate dalle leggi stesse».

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Su questo emendamento è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto, tra gli altri, dagli onorevoli Nobile, Costantini, Ruggeri, Ferrari, Sicignano, Ricci, Pastore Giulio, Rubilli, Musolino, Fedeli Armando, Tonello, Landi, Barontini Ilio, Barontini Anelito, Maffioli, De Filpo, Colombi Arturo, Corbino, Alberganti, Gavina, Morelli Renato, Bolognesi, Bei Adele, Binni, Roveda, Nobili Tito Oro, Fornara.

Dichiaro aperta la votazione a scrutinio segreto.

(Segue la votazione).

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti  336

Maggioranza        169

Voti favorevoli     152

Voti contrari         184

(L’emendamento non è approvato – Applausi al centro).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Angelucci – Assennato – Avanzini – Azzi.

Balduzzi – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Bergamini – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bozzi – Braschi – Bucci – Burato.

Cacciatore – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Carbonari – Carboni Angelo – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico Diego – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Giannini – Giolitti – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolato Angela – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lombardi Riccardo – Longo – Lussu.

Macrelli – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Manzini – Marazza – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazzoni – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Minio – Molinelli – Montagnana Mario – Montalbano – Monterisi – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Pastore Raffaele – Pat – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Preti – Preziosi – Proia – Puoti.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggieri Luigi – Ruini.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segala – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Trulli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigorelli – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Alberti – Arata – Arcangeli.

Baldassari – Bellavista.

Cairo – Chiaramello.

D’Amico Michele.

Ferrario Celestino – Froggio – Fuschini.

Galioto – Ghidini – Gortani – Gullo Rocco.

Jacini.

Lombardo Ivan Matteo.

Maffi – Martino Gaetano – Matteotti Matteo – Molè – Moscatelli.

Repelli – Reale Vito.

Saragat.

Tumminelli.

Varvaro – Villani.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, respinto l’emendamento dell’onorevole Targetti, dobbiamo passare alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Nobile, che è del seguente tenore:

«La Regione avrà potestà di emanare norme legislative per le materie di interesse strettamente regionale che saranno stabilite da una legge del Parlamento avente valore costituzionale. La legge stessa fisserà i limiti e le condizioni entro cui la suddetta facoltà legislativa potrà essere esercitata.

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro esecuzione».

NEGARVILLE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NEGARVILLE. Credo di interpretare il pensiero di parecchi colleghi chiedendo che, di fronte ad una serie di emendamenti, le cui operazioni di voto impegneranno un tempo non breve, e data l’ora tarda, si rinvii la seduta a domani.

PRESIDENTE. Faceto presente che già da molte sedute l’Assemblea discute attorno a questo articolo che è essenziale. Sarebbe pertanto utile e opportuno procedere con una certa sollecitudine.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Devo dichiararmi contrario alla proposta dell’onorevole Negarville, per mantenere ferma una prassi costante dell’Assemblea, per la quale, quando si è iniziata la votazione di un articolo, abbiamo sempre ritenuto di arrivare fino in fondo, anche andando oltre i termini normali delle sedute dell’Assemblea. D’altra parte, a me sembra che da troppo lungo tempo ci si aggiri intorno alla formulazione di questo articolo; e poiché, malgrado gli affidamenti ricevuti dal Presidente della Commissione e del Comitato di redazione di un certo accordo su una determinata formula, questo accordo si è rivelato – mi pare – inesistente, si rende necessario procedere oltre perché, attraverso le votazioni necessarie che possono essere accelerate senza abusare degli appelli nominali e delle votazioni segrete – così come è stato rilevato l’altro giorno, mi pare, dall’onorevole Lussu – si possa arrivare con una certa rapidità alla conclusione di questa parte fondamentale dell’ordinamento regionale. Per questa ragione mi dichiaro contrario alla proposta dell’onorevole Negarville.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Vorrei spiegare perché abbiamo chiesto questo rinvio. Non è per un motivo legato agli emendamenti, perché domani saranno votati come oggi. Ci appelliamo alla cortesia dei colleghi democristiani: abbiamo in corso, come partito, una riunione nazionale. Noi diamo tutte le nostre energie all’Assemblea, ma non bisogna trascurare la vita dei partiti. Parecchie volte, quando era in corso il Congresso del Partito democristiano, l’Assemblea non ha tenuto sedute per permettere queste riunioni. Questo è il solo motivo per cui chiediamo il rinvio.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Di fronte alla motivazione dell’onorevole Togliatti non ho nessuna difficoltà da muovere e non insisto nella mia opposizione. Se la motivazione fosse stata fatta precedentemente, mi sarei risparmiato di assumere posizione contraria.

PRESIDENTE. Ritengo che, se non vi sono osservazioni, la richiesta dell’onorevole Negarville possa ritenersi accolta.

(Così rimane stabilito).

Poiché domattina vi è Consiglio dei Ministri, è stato richiesto che non si tenga seduta antimeridiana che doveva essere dedicata alla prosecuzione dell’esame del progetto di legge sulla «patrimoniale». Terremo quindi soltanto seduta nel pomeriggio. Il seguito della discussione è pertanto rinviato a domani alle 17.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se non ritengano urgente provvedere di concerto a che siano banditi senz’altro ritardo i concorsi a posti di assistente universitario di ruolo.

«Bettiol, Lazzati».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga necessario, per una insopprimibile esigenza di giustizia, portare i pensionati degli Istituti di previdenza amministrati dalla Cassa depositi e prestiti ad una parità di trattamento economico con quelli statali.

«La recente concessione a questi ultimi di un aumento mensile di lire 1000 e di lire 500, rispettivamente alle pensioni dirette ed indirette, ha accresciuta la notevole sperequazione già esistente.

«Tale sperequazione si verifica, inoltre, nella misura della indennità di caro-vita, la quale, mentre per i pensionati statali aventi più di 60 anni di età è da tempo fissata in lire 30.000 annue, si limita invece a sole lire 18.000 per quelli di pari età dipendenti dai summenzionati. Istituti di previdenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga equo e necessario, al fine di una identità di trattamento per tutti i combattenti della guerra di liberazione, che il premio di solidarietà nazionale, di cui al decreto legislativo luogotenenziale 20 giugno 1945, n. 421, venga esteso ai militari che nelle unità da combattimento combatterono effettivamente come i partigiani contro i tedeschi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga giusto e necessario provvedere ad un adeguamento dei modestissimi indennizzi che vengono attualmente corrisposti ai lavoratori agricoli per gli infortuni sul lavoro. Quanto meno l’interrogante chiede se l’onorevole Ministro non ritenga necessario introdurre un giusto criterio di discriminazione in favore della categoria dei salariati agricoli, i quali, in caso d’infortunio, vengono a trovarsi attualmente in condizioni estremamente pietose, data l’esiguità degli indennizzi corrisposti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere quali risultati abbia dato l’ispezione disposta sopra il Centro emigrazione di Milano, e particolarmente sul dipendente servizio della stazione centrale, del quale sono state denunciate alla direzione regionale le gravissime deficienze, causa di danni deprecabili fisici e morali ai nostri connazionali colà transitanti sulla via dell’estero; e quali provvedimenti siano stati presi o si intenda di prendere a sanzione dei responsabili e a riparo della situazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Francesco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere perché il Ministero dell’interno ha ritenuto di considerare cittadini italiani i signori Hermann, Walter, August e Friedrich Krüll fu Hermann, favorendo la restituzione del loro ingente patrimonio (H. Krüll S.A. trevigiana di Treviso) di grande valore, già sequestrato per la legge di guerra. (Decreto ministeriale 18 marzo 1947, in Gazzetta Ufficiale del 31 marzo 1947).

«Il provvedimento riesce inspiegabile quando si consideri che, notoriamente, trattasi di cittadini germanici, quantunque nati in Italia, dei quali è altrettanto notorio e di dominio pubblico che:

1°) tutti hanno portato le armi contro l’Italia, come tedeschi;

2°) tutti, quali sudditi germanici, nel 1914 si rifugiarono in Germania per rientrare in Italia dopo la pace;

3°) come tedesco, il padre Hermann Krüll nel 1915 ebbe le proprietà in Treviso confiscate;

4°) Hermann e Walter Krüll compirono il 21° anno di età quando erano sotto le armi nell’esercito tedesco durante la guerra 1914-18:

5°) August Krüll venne incorporato e prestò servizio nell’esercito tedesco durante la guerra 1914-18;

6°) tutti hanno sempre ostentata la loro cittadinanza germanica e come tali erano inscritti fra la popolazione di Treviso fino al 31 luglio 1946, quando trasportarono il loro domicilio legale a Campo Tures (Bolzano) (Hermann da Venezia) per ottenervi, forse, quei certificati di cittadinanza italiana che non avrebbero certamente potuto avere a Treviso dove erano noti i loro precedenti;

7°) tutti hanno sempre figurato fra gli stranieri censiti dalla Questura di Treviso (per Hermann quella di Venezia);

8°) non hanno mai prestato servizio nell’esercito italiano perché sudditi germanici;

9°) August e Friedrich Krüll, quali sudditi germanici, vennero chiamati alle armi ed incorporati nella Wehrmacht nel 1941;

10°) August e Friedrich Krüll, dopo 1’8 settembre 1943, hanno fatto parte del corpo tedesco di occupazione in Italia;

11°) Walter Krüll fondò e resse la cellula nazista di Treviso dal 1938 alla liberazione, quando ritenne opportuno di fuggire da Treviso con tutti i suoi. Da tutti, inoltre, è stato visto fino all’ultimo portare i segni dell’invasore al servizio di una oppressione morale e materiale;

12°) August e Friedrich Krüll, come militari germanici, sono stati fatti prigionieri dagli Alleati ed internati in campi di concentramento, da dove sono stati rilasciati in epoca imprecisata non si sa come;

13°) il fratello Hans Krüll che era stato incorporato nella Wehrmacht è caduto nel settembre 1943 in Corsica, combattendo sotto bandiera tedesca.

«Per sapere, inoltre, se quanto sopra era a conoscenza del Ministero dell’interno e se, comunque, si è provveduto e con quale esito ai dovuti relativi accertamenti prima della decisione che tende a riconoscere ai fratelli Krüll la cittadinanza italiana con le enunciate conseguenze che ledono l’interesse dello Stato, offendono i sentimenti della popolazione e turbano l’opinione pubblica per il palese abuso.

«Al prefetto e alla Prefettura di Treviso era stata fatta opportuna segnalazione in proposito.

«Altre gravi circostanze di fatto circa la cittadinanza dei fratelli Krüll e la documentazione relativa per arrivare al citato decreto ministeriale 18 marzo 1947 in Gazzetta Ufficiale n. 74 del 31 marzo 1947 sono riportate dalla stampa locale di Treviso in una serie di articoli sui quali si richiama l’attenzione di codesto Ministero.

«L’interrogante domanda infine quali determinazioni saranno adottate in relazione a quanto sopra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, sul decreto ministeriale del tesoro 18 marzo 1947 in Gazzetta Ufficiale, n. 74 del 31 marzo 1947, che ha revocato il sequestro della H. Krüll S. A. trevigiana di Treviso per un preteso riconoscimento della cittadinanza italiana a favore dei proprietari: Hermann, Walter, August, Friedrich Krüll fu Hermann che ha consentito loro la restituzione di ingente patrimonio, già sequestrato loro per la legge di guerra trattandosi di proprietà germanica.

«L’interrogante chiede di conoscere come questo provvedimento, che lede interessi dello Stato, ha potuto essere adottato a favore di notori sudditi germanici, quantunque nati in Italia, dei quali è altrettanto notorio e di dominio pubblico che:

1°) tutti hanno portato le armi contro l’Italia, come tedeschi;

2°) tutti, quali sudditi-germanici, nel 1914 si rifugiarono in Germania per rientrare in Italia dopo la pace;

3°) come tedesco, il padre Hermann Krüll nel 1915 ebbe le proprietà in Treviso confiscate;

4°) Hermann e Walter Krüll compirono il 21° anno di età quando erano sotto le armi nell’esercito tedesco durante la guerra 1914-18;

5°) August Krüll venne incorporato e prestò servizio nell’esercito tedesco durante la guerra 1914-18;

6°) tutti hanno sempre ostentata la loro cittadinanza germanica e come tali erano inscritti fra la popolazione di Treviso fino al 31 luglio 1946, quando trasportarono il loro domicilio legale a Campo Tures (Bolzano) (Hermann da Venezia) per ottenervi, forse, quei certificati di cittadinanza italiana che non avrebbero certamente potuto avere a Treviso dove erano noti i loro precedenti;

7°) tutti hanno sempre figurato fra gli stranieri censiti dalla Questura di Treviso (per Hermann quella di Venezia);

8°) non hanno mai prestato servizio nell’esercito italiano perché sudditi germanici;

9°) August e Friedrich Krüll dopo l’8 settembre 1943 hanno fatto parte del corpo tedesco di spedizione in Italia;

10°) August e Friedrich Krüll, quali sudditi germanici, vennero chiamati alle armi dalla Germania ed incorporati nella Wehrmacht nel 1941;

11°) Walter Krüll fondò e resse la cellula nazista di Treviso dal 1938 alla liberazione, quando ritenne opportuno fuggire da Treviso con tutti i suoi. Da tutti, inoltre, è stato visto fino all’ultimo portare i segni dell’invasore al servizio di una oppressione morale e materiale;

12°) August e Friedrich Krüll, come militari tedeschi, sono stati fatti prigionieri dagli alleati nel 1945 ed internati in campi di concentramento, da dove sono stati rilasciati in epoca imprecisata non si sa come;

13°) il fratello Hans Krüll è caduto nel 1916 combattendo con l’esercito tedesco;

14°) ugualmente il fratello Gunter Krüll che era stato incorporato nella Wehrmacht nel 1941 è caduto combattendo in Corsica nel 1943 sotto bandiera tedesca;

15°) è pubblicamente discussa dalla stampa l’esattezza delle affermazioni assunte in atti notori della pretura di Treviso nel maggio, luglio e ottobre 1946, che si ritengono prodotti a codesto Ministero.

«L’interrogante domanda, inoltre se quanto sopra era a conoscenza del Ministero del tesoro e se, comunque, si è provveduto e con quale esito ai relativi accertamenti da parte dei competenti organi prima di adottare il citato provvedimento che offende i sentimenti della popolazione di Treviso e turba l’opinione pubblica per il palese abuso.

«In proposito al prefetto e alla Prefettura di Treviso era stata fatta per tempo opportuna segnalazione.

«Altre gravi circostanze di fatto circa la cittadinanza dei fratelli Krüll e la documentazione relativa sono pubblicate dalla stampa locale di Treviso in una serie di articoli sui quali si richiama l’attenzione di codesto Ministero.

«Domanda infine, quali determinazioni vengono prese su quanto sopra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non creda opportuno sollecitare l’emanazione del regolamento per l’applicazione del decreto legislativo 21 maggio 1946, n. 451, e affrettare la liquidazione – attualmente sospesa con grave danno dei proprietari danneggiati – delle indennità di requisizione e dei danni subiti dai proprietari medesimi della zona di Barcellona Pozzo di Gotto, dove fu costruito nel 1943 un campo di aviazione degli Alleati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé letta sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.5

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 17:

  1. Elezione contestata per la circoscrizione di Catania (Giuseppe Lupis). (Doc. III, n. 5 e 5-bis).
  2. 2. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processo verbale:

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

De Vita                                                                                                             

Nitti                                                                                                                  

Micheli                                                                                                             

Vigorelli                                                                                                          

Scoccimarro                                                                                                    

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Ho sentito, dal processo verbale, che io avrei affermato di aver dato disposizioni perché gli uffici competenti sospendessero la riscossione dell’imposta straordinaria sul patrimonio.

Desidero rilevare che l’affermazione non è esatta. Come ho detto ieri mattina, il Ministero ha comunicato agli uffici competenti di considerare tempestiva la presentazione della dichiarazione, se fatta entro il 31 luglio 1947. Quindi la concessione è stata accordata soltanto agli effetti della presentazione della dichiarazione. Nessun provvedimento è stato adottato in ordine alla riscossione dell’imposta, che ha avuto il suo corso normale.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni sul processo verbale, esso si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo gli onorevoli Baldassari e Costantini.

(Sono concessi).

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Sono iscritti a parlare gli onorevoli Costa e De Mercurio. Poiché non sono presenti, si intende che abbiano rinunciato a parlare.

È iscritto a parlare l’onorevole De Vita. Ne ha facoltà.

DE VITA. Onorevoli colleghi, il Governo ha considerato atto di doveroso riguardo verso l’Assemblea il sottoporre ad essa, per la convalida, il decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’imposta straordinaria sul patrimonio.

In realtà il Governo, come esplicitamente è detto nella relazione del Ministro proponente, desidera avere il conforto dell’autorità dell’Assemblea nell’attuazione di un provvedimento finanziario che potrà non essere scevro di notevoli riflessi di ordine economico ed anche politico.

L’Assemblea è chiamata a convalidare un provvedimento già emanato nella forma di decreto legislativo a norma dell’articolo 4 del decreto legge 25 giugno 1944, n. 151. Si tratta di un istituto giuridico nuovo, creato dal Governo nella sua onnipotenza, e non previsto da alcuna delle leggi di carattere costituzionale che disciplinano i rapporti tra l’Assemblea e il Governo, oppure si tratta di una terminologia impropria con la quale si intende fare riferimento alla ratifica prevista dall’articolo 6 del decreto legislativo luogotenenziale 14 marzo 1946, n. 98? A mio giudizio, questa seconda ipotesi è da escludersi in quanto, a norma dell’articolo 6 del citato decreto, i provvedimenti legislativi adottati dal Governo debbono essere presentati, per la ratifica, al nuovo Parlamento entro un anno dalla sua costituzione.

Vero è, d’altra parte, che ai sensi del secondo comma dell’articolo 3 dello stesso decreto, il Governo può sottoporre all’esame dell’Assemblea qualsiasi provvedimento quando ne riconosca l’opportunità; ma, in questo caso, non può parlarsi né di ratifica, né di convalida. In questo caso, il Governo sarebbe tenuto a presentare lo schema di disegno di legge che intende promuovere.

Il Governo ha emanato il provvedimento in esame prescindendo, per motivi di massima urgenza, dalla preventiva deliberazione della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge. Volendo poi compiere un atto di… doveroso riguardo verso l’Assemblea ha inventato l’istituto della convalida.

Ma la parola «convalidare», presa alla lettera, ha il significato di rendere valido ciò che non è valido.

È valido o non è valido il provvedimento adottato dal Governo?

Onorevoli colleghi, io vi risparmio i commenti piuttosto salaci del pubblico posto di fronte ad una procedura assolutamente nuova e che ha perfino ingenerato il dubbio che non si trattasse di un provvedimento perfetto. Purtroppo, in questo periodo di inizio della nuova vita costituzionale italiana, i confini delle sfere di competenza del Governo e dell’Assemblea sono stati delimitati a favore del primo il quale esercita, senza delega, il potere legislativo ordinario. L’Assemblea è chiamata oggi ad esprimere un giudizio su questo provvedimento, ma l’Assemblea è chiamata ad esprimere il suo giudizio soltanto quando si tratta di istituire nuove imposte o di inasprire le aliquote delle imposte esistenti. In altri termini, l’Assemblea è chiamata di preferenza in causa quando si tratta di affrontare l’opinione pubblica ormai sensibilissima al fenomeno dell’imposizione; il quale, se un tempo poteva considerarsi soltanto come un fatto puramente spiacevole, ha oggi raggiunto ed oltrepassato i limiti della comune sensibilità umana.

Non sembra però che il Governo abbia usato lo stesso riguardo verso l’Assemblea, quando si è trattato di approvare nuove spese. È assai graziosa la tendenza a ridurre il contenuto dei rapporti tra l’Assemblea e il Governo a pure e semplici regole di opportunità e di convenienza: si trattasse almeno di quelle regole di correttezza costituzionale in uso presso gli inglesi! Ma non si tratta nemmeno di questo. (Interruzione).

Onorevole collega, lei ha accennato alla Commissione: vi sono però precedenti che danno forza al mio ragionamento; ad esempio l’indennità di toga ai magistrati. La Commissione ha esaminato il provvedimento, ha fatto dei rilievi, ma il Governo non ha tenuto conto dei rilievi fatti dalla Commissione.

Diciamolo francamente: a questa Assemblea si riconosce il diritto di dire di sì alle proposte del Governo, ma non quello di rispondere di no.

Ed allora, perché sottoporci a quell’allenamento parlamentare, così caldamente raccomandato dallo Stein, e che consiste principalmente in un allenamento alla rassegnazione?

Comunque, prima di entrare nel merito del provvedimento sottoposto al nostro esame, stimo opportuno fare ancora qualche osservazione di carattere generale: si è il Governo finora preoccupato di stabilire una proporzione fra le spese pubbliche e le risorse economiche della collettività? Non basta muovere dall’ipotesi che una progettata attività dello Stato, considerata di per sé, debba essere riconosciuta come generalmente utile; si dovrà misurare anche l’utilità prevista contro il sacrificio richiesto. Ed il giudizio a questo riguardo, da parte delle varie classi dei cittadini, dipenderà soprattutto dalla progettata ripartizione del carico tributario. A me pare che la ripartizione del carico tributario sia stata finora determinata a priori e che l’attenzione del Governo non si sia fermata sul fatto che, sia in pratica che in teoria, non esiste necessariamente una ripartizione delle imposte indipendente dalla approvazione delle spese.

Questa breve premessa ha lo scopo di mostrare in qual senso può ritenersi opera vana l’esame frammentario di uno dei problemi della finanza di questo nostro dopoguerra, avulso dal quadro generale di tutti gli altri problemi.

In altri termini, ha lo scopo di dimostrare la necessaria connessione degli effetti dei singoli istituti tributari e finanziari con l’uso delle pubbliche entrate da parte dello Stato.

Non credo si possa seriamente sostenere che questa Assemblea sia in grado di dare un giudizio completo e coscienzioso sull’imposta sottoposta al suo esame, prescindendo dall’impiego delle somme con essa imposta prelevate e dall’influenza esercitata da tale impiego sugli effetti finali dell’imposta stessa.

Quando si studia un’imposta o un complesso di imposte, non si può astrarre dalle corrispondenti spese pubbliche e dall’influsso che per questa via lo Stato può esercitare sull’incidenza stessa dell’imposta. La connessione fra gli effetti diretti dell’imposta e l’impiego del ricavato della medesima sta a base di una giusta tassazione. Ciò è stato riconosciuto da insigni teorici della scienza delle finanze. Per necessità logiche si può prescindere dall’impiego della somma prelevata nello studio degli effetti di un’imposta astratta; ma quando si tratta – come nel caso in esame – di studiare una imposta concreta, allora diventa necessità logica l’opposto.

Qualsiasi imposta interviene a turbare un determinato equilibrio economico e può spesso avvenire che l’impiego di essa tocchi direttamente i prezzi e i rapporti economici alterati dal suo prelievo. Dopo J. Stuart Mill, lo stesso professor Einaudi, oggi Ministro del bilancio nel nuovo Governo, ha posto formalmente il problema in un suo scritto del 1912: «Intorno al concetto di reddito imponibile e di un sistema di imposta del reddito consumato» e successivamente lo ha posto sotto un aspetto più generale in un altro scritto intitolato: «Contributo alla ricerca dell’ottima imposta», dove afferma che «imposta» e «uso dell’imposta» sono due termini inseparabili l’uno dall’altro e che lo Stato non fa, quando istituisce tributi, «dell’arte per l’arte», ma crea tributi per spenderne il valsente. La nozione stessa di pressione fiscale non avrebbe alcun significato, se la contribuzione fosse il corrispettivo economico dei servizi economicamente utili resi dallo Stato ai privati, il compenso per il concorso che gli enti pubblici forniscono alla produzione del reddito nazionale. Ma la somma delle imposte non è funzione diretta e costante dei vantaggi economici che i servizi pubblici, di cui copre il costo, forniscono alla collettività. È necessaria la conoscenza della spesa, anche perché quando la spesa pubblica ed il rapporto fra tributi e reddito nazionale aumentano per servizi che corrispondono a fini pubblici in tutto o in parte fuori dell’economia, può verificarsi un inasprimento della pressione tributaria nel senso comune della parola; ed all’ora i concetti di prelievo, di sacrificio e di onere acquistano un significato preciso. Non sembra che il nesso logico fra l’approvazione delle spese da una parte e provvista di mezzi atti a coprirle dall’altra sia risultato palese al Governo. Non sembra che il Governo abbia conseguito la realizzazione pratica del principio il quale richiede che una spesa non venga mai votata, prima di avere contemporaneamente deciso intorno ai mezzi atti a coprirla. Ora, la seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge ritiene che sarebbe illusorio, nella situazione indubbiamente grave nella quale ci troviamo, considerare il provvedimento sottoposto all’esame dell’Assemblea come un provvedimento a sé stante, capace di risolvere da solo i moltissimi problemi che ci angustiano e ci preoccupano.

Continua la Commissione: «Si tratta di inaugurare una politica di reale freno delle spese e di serio ed approfondito controllo della necessità ed indispensabilità delle spese stesse».

Ma come si può inaugurare questa politica, senza un vero e proprio controllo costituzionale? La raccomandazione fatta dalla Commissione al Governo potrebbe essere tanto efficace quanto il raccomandare ad un uomo che sta per annegare di mantenersi asciutto.

Io ho fondati motivi per ritenere che, nonostante questa raccomandazione, il Governo continuerà a ripetere la preghiera di Sant’Agostino: «Rendimi puro, ma non per ora».

Prima di ogni altra cosa è oggi necessario rientrare subito negli ordini di un Governo regolare, cioè nella discussione e votazione dei bilanci.

Forse qualche esempio potrebbe convincervi, onorevoli colleghi, dell’urgente necessità di porre fine a questo assolutismo governativo.

Esaminate il conto del tesoro al 31 gennaio 1947: se si escludono le somministrazioni fatte agli alleati di circa 24 miliardi in base all’accordo monetario, non risulta che vi siano state anticipazioni della Banca d’Italia per conto del tesoro, non risulta cioè che si sia fatto ricorso all’emissione di nuova carta moneta.

Anche l’onorevole Presidente del Consiglio ha dato conferma di ciò, ma dal luglio 1946 ad oggi la circolazione monetaria è aumentata di circa 130 miliardi.

Come mai? Questa è la domanda che io vi pongo.

CAMPILLI. È per conto del commercio.

DE VITA. No, credo di poter dare un’altra spiegazione. Io credo che all’aumento della circolazione abbiano contribuito le anticipazioni agli enti finanziatori degli ammassi ed il finanziamento degli acquisti di valuta per conto dell’ufficio italiano dei cambi.

CAMPILLI. Questo è accennato nella relazione.

DE VITA. Se esaminiamo il conto del tesoro ed il bilancio, vediamo che queste due voci non figurano al debito fluttuante. Ciò non rispecchia la situazione reale, perché non si tratta soltanto di movimento di capitali, si tratta di operazioni che hanno determinato una forte emorragia di biglietti. Sembra incredibile, ma anche il Prestito della Ricostruzione ha dato luogo ad emissione di nuova carta moneta. In altri termini, un prestito che doveva avere funzione antinflazionistica, è stato inflazionistico.

E che dire dei sospesi di tesoreria, ossia di quei titoli pagati e non scaricati?

Dal luglio 1946 ad oggi detti sospesi sono aumentati di circa 50 miliardi. Che cosa vuol dire ciò? Vuol dire che lo Stato paga senza che vi sia lo stanziamento. È vero, onorevole Campilli?

CAMPILLI. Non è competenza mia. Non riguarda me.

DE VITA. Vuol dire che siamo arrivati al punto di pagare prima di averne l’autorizzazione!

CAMPILLI. Si rivolga a qualche altro gerente, non a me.

DE VITA. Siccome lei mi ha fatto l’osservazione, mi son fatto il dovere di rispondere.

LA MALFA, Relatore. I sospesi di tesoreria sono il contrario: sono spese non pagate.

DE VITA. No, si considerano sospesi di tesoreria i titoli pagati e non scaricati.

LA MALFA, Relatore. No. Figurano fra i debiti di tesoreria; si leggono al contrario.

PRESIDENTE. Chiarirà dopo, onorevole La Malfa. Onorevole De Vita, continui.

DE VITA. Comunque, non mi sembra che ciò possa ritenersi regolare. L’argomento è indubbiamente assai importante e mi duole di non potervi insistere, perché un esame approfondito di esso mi porterebbe assai lontano dal tema della discussione odierna.

E passiamo all’imposta straordinaria sul patrimonio. Il provvedimento in esame deve quindi considerarsi il primo di una serie di altri provvedimenti i quali dovrebbero energicamente risanare il bilancio dello Stato ed arrestare qualsiasi moto di slittamento della lira. Ora, questo fatto crea indubbiamente una preoccupazione, una preoccupazione grave per l’eventuale ripetersi dell’imposizione straordinaria e scoraggia, specie in un primo tempo, la formazione di risparmi aumentando i rischi di perdita e diminuendo l’ofelimità dei beni destinati a bisogni futuri.

Sebbene la relazione che accompagna il decreto non dica quali siano le finalità assegnate all’imposta, quale la destinazione del provento, credo che essa non possa essere destinata ad altro che alle spese effettive di bilancio.

Non intendo, onorevoli colleghi, muovere facili obiezioni al provvedimento, partendo da preconcetti critici. In una materia così complessa peccherei di presunzione se non tenessi costantemente presente l’aforisma: «Chiunque spera di vedere una imposta senza guai, spera quello che non fu, non è e non sarà mai». Ciò non vuol dire però che si deve rinunciare alla critica.

Si può anche essere d’accordo con la Commissione, la quale conclude la sua relazione affermando che in questa particolare materia tutte le argomentazioni sono possibili e che chiunque è in grado di farle. Ma qui non si tratta di esercitarsi nell’arte sottile di «spennacchiare l’oca facendola strillare il meno possibile» come ha fatto la seconda Commissione; si tratta soltanto di fare una critica serena ed obiettiva. È facile rilevare che l’imposta; così come è stata congegnata, ha un’area di applicazione assai ristretta, che i benefici che al bilancio ne possono derivare sono così tenui da farne apparire incerti gli effetti anti-inflazionistici. Ma la facilità dell’affermazione nulla toglie alla verità affermata. Vi è anche fondato motivo di ritenere che l’imposta in esame, nella sua pratica attuazione, da imposta personale progressiva si trasformi in una imposta reale progressiva sui terreni e sui fabbricati. È uno strumento idoneo a colpire i valori mobiliari? Certamente no. Sarà facile giuoco, per coloro che abbiano accresciuto a dismisura la propria ricchezza mobiliare mediante l’esercizio di attività speculative, sfuggire attraverso le maglie di questo provvedimento tributario e mettere al sicuro le fortune accumulate a spese della collettività. Nessuna imposta personale può essere applicata con sicurezza, facilità e giustizia, se non è estesa a tutta la collettività economica nazionale. Credo che sia difficile dissipare il dubbio che con questa imposta si sacrifichino i puri principî di imposizione, quali risultano da universale esperienza, ad altri non chiari motivi.

Essa conduce a lampanti assurdità ed ingiustizie che si sarebbero potute evitare facilmente e viene meno a gran parte degli scopi che una imposta straordinaria sul patrimonio deve prefiggersi. Da questo punto di vista assume un particolare rilievo il problema dei valori mobiliari (denaro, titoli, depositi bancari). Assume un particolare rilievo non soltanto di carattere tributario, ma anche di carattere politico e sociale. Il Governo mette da parte il cambio della moneta, si trincera dietro il segreto bancario per mettere da parte anche gli altri mezzi tecnici idonei a colpire la ricchezza mobiliare, idonei ad accertare la reale consistenza dei depositi bancari e dei titoli al portatore. Motivi di opportunità politica e psicologica avrebbero consigliato il Governo di non procedere ad accertamenti diretti presso gli istituti di credito.

Una voce a destra. Male!

DE VITA. Ma non ritiene il Governo che motivi più importanti, di equità, di giustizia e di perequazione del carico tributario impongano di colpire la ricchezza mobiliare, in gran parte frutto di speculazione?

Non si chiede al Governo di colpire col piombo o con il laccio, come è avvenuto in altri Paesi, coloro che hanno edificato e continuano ad edificare le loro fortune sulle sofferenze e privazioni altrui; si chiede al Governo soltanto di colpire questa gente con l’imposta. Non si deve permettere che questi speculatori sfuggano ancora attraverso le maglie del sistema tributario.

Ciò non contribuisce certamente a sedare il malcontento sociale, malcontento che può anzi essere aggravato dalla decisione del Governo di non derogare dal segreto bancario in quanto, come rileva anche la seconda Commissione, questa decisione mette fuori causa un valore che ammonta ad oltre 1600 miliardi, compreso quanto depositato o posseduto dagli enti collettivi esenti dall’imposta.

Assai importante è anche il problema dei soggetti passivi dell’imposta. A norma dell’articolo 2 del provvedimento, sono soggetti all’imposta le persone fisiche ed anche le società e gli enti costituiti all’estero, limitatamente al capitale comunque investito od esistente nello Stato. Sono quindi esenti gli enti collettivi costituiti in Italia. Questa esenzione non mi convince. I motivi che hanno indotto il Governo a non applicare la nuova imposta agli enti collettivi mi sembrano veramente speciosi. Si legge nella relazione illustrativa che l’applicazione dell’imposta a carico delle fondazioni finirebbe con lo snaturare profondamente la natura personale dell’imposta stessa con conseguenze che non sono soltanto di pura e semplice armonia teorica ma anche di portata pratica in quanto – avuto riguardo ad un caso specifico di un genere più ampio, come quello degli istituti di credito – si sarebbe verificato che, in conseguenza di un semplice elemento formale della loro costituzione, sarebbero state colpite dal tributo le banche-fondazioni, rimanendone escluse le banche-società. Ancora più specioso appare il ricorso a ragioni di carattere strettamente giuridico, fatto anche dal Ministro nella sua relazione, dove si legge: «Da un punto di vista strettamente giuridico, va, poi, osservato che, nel nuovo Codice civile, le persone giuridiche private sono denominate, oltre che associazioni e fondazioni – secondo la classica distinzione – anche istituzioni in genere.

«L’introduzione nel Codice civile di questo terzo tipo di persone giuridiche, dovuta all’affievolirsi della distinzione tra associazioni e fondazioni ed alla insufficienza della distinzione stessa, a rappresentare la grande varietà dei tipi germogliata in relazione alle esigenze della vita e dell’economia moderna, poneva il problema della classificazione di dette istituzioni».

In altri termini il Governo dice che, stando al Codice civile, è difficile trovare un criterio di distinzione tra associazioni e fondazioni ed istituzioni. L’osservazione che nel nuovo Codice civile le persone giuridiche sono denominate, oltre che associazioni, fondazioni, non può ritenersi seria o quanto meno insuperabile. Invero il Governo, parte dal presupposto che l’esenzione delle società per azioni sia, sotto ogni aspetto, giustificata. Certamente, se si applicasse l’imposta soltanto alle fondazioni e non anche alle società per azioni, si stabilirebbe una disparità di trattamento tra enti collettivi, che presuppongono soci o partecipanti, ed enti che non li presuppongono. Il Governo si è giustamente preoccupato di questa sperequazione, ma non mi pare che si sia preoccupato dell’altra grave sperequazione tra imprese individuali e società per azioni. Il Governo avrebbe dovuto tener conto di questa sperequazione. Non starò qui a ripetere gli argomenti, per molti aspetti assai interessanti, svolti dalla Commissione; mi limiterò ad aggiungere soltanto qualche breve considerazione.

L’esenzione delle società anonime appare, in verità, ancora più ingiustificata, se si pone mente al fatto che, anche colpendo le imprese societarie, rimane sempre una sperequazione tra queste imprese e le imprese individuali.

I perturbamenti causati dalla imposta sarebbero più gravi per le imprese individuali che per le societarie e le grandi industrie gestite in questa forma, essendo l’imprenditore individuale personalmente soggetto al tributo; tanto più gravi quanto più alta è la percentuale che l’attivo netto dell’impresa rappresenta nel patrimonio personale dell’imprenditore e quanto minori sono le disponibilità per altre fonti.

Peraltro, col sistema di tassazione del capitale azionario presso i singoli soci, previsto dal provvedimento, non si colpiscono quei titoli che sono posseduti da persone che hanno un patrimonio il cui valore non raggiunge il minimo imponibile.

Ed ho terminato. Desidero soltanto fare alcune considerazioni sulla imposta straordinaria proporzionale.

In ordine a questa imposta si può dire che anch’essa è quasi interamente a carico della proprietà immobiliare, e quindi della ricchezza che alcuni hanno chiamato «ricchezza vecchia». Questa imposta non colpisce la ricchezza nuova. Ora, la nuova ricchezza che si è accumulata in Italia durante la guerra e in questi primi anni del dopoguerra è proprio la ricchezza mobiliare, dovuta a fenomeni speculativi. Trattandosi poi di una imposta proporzionale, essa attua, in relazione alla capacità contributiva dei singoli, la progressività al rovescio. Potrebbe anche essere vessatoria per i patrimoni minori. È vero bensì che delle partite iscritte per l’imposta sui terreni, che raggiungono i 10 milioni di articoli di ruolo, soltanto due milioni di partite sono assoggettate all’imposta patrimoniale, e che gli articoli di ruolo per tutte le categorie di possessori assoggettati ad imposta sul patrimonio si aggirano sui 4 milioni. Ciò potrebbe significare che numerosi piccoli proprietari sono esenti dall’imposta.

Ma questa constatazione nulla toglie alla fondatezza dell’osservazione precedentemente fatta, anche perché le numerose esenzioni sono dovute alla polverizzazione della proprietà esistente in molte località.

Concludendo: io stimo opportuno che il provvedimento sottoposto al nostro esame sia modificato nel senso che siano colpiti innanzi tutto i depositi bancari, i titoli al portatore, gli enti collettivi, e che sia alleggerita la proporzionale per i patrimoni minori. Questo, onorevoli colleghi, a mio giudizio, si impone per ragioni di equità e di giustizia. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.

NITTI. (Segni di attenzione). Dopo tanti errori e tante illusioni, siamo infine nel campo della realtà. La realtà è dolore.

Dal punto di vista politico e dal punto di vista economico il primo di luglio è giorno di realtà.

Si può difficilmente mentire dinanzi alla evidenza dei fatti, ma non è più possibile avere troppe illusioni, né sopra tutto darne agli altri. Il pubblico è divenuto giustamente incredulo.

I trattati di pace, che ci sono imposti, sono veramente ingiusti e non potevano essere concepiti in spirito meno sereno e sì poco amichevole. Oltre all’aver gridato per tanto tempo al pubblico lungamente illuso e ingannato che la Repubblica democratica ci avrebbe dato pane e lavoro, si è anche più gridato che l’Italia, a causa del suo nuovo ordinamento politico, avrebbe avuto dalle democrazie repubblicane condizioni di pace favorevoli. I trattati che ci sono imposti sono di grande durezza e di vera ingiustizia e qualcuna delle democrazie vittoriose ha riserbato a se stessa vantaggi a nostro danno non giusti e non giustificabili.

Nel campo economico, dopo tante rovine accumulate, abbiamo trovato l’assistenza amichevole degli Stati Uniti di America, sopra tutto a traverso l’U.N.R.R.A.

II    concorso dell’America ci ha consentito di vivere finora con minore difficoltà che non si potesse prevedere.

L’U.N.R.R.A. ha lasciato il nostro Paese il 1° luglio, dopo aver esaurito il suo compito.

Le convenzioni dell’U.N.R.R.A., dopo il marzo 1945 e gennaio 1946, han fatto sì che i principali aiuti americani sono stati dati all’Italia. Sopra 22 milioni e mezzo di tonnellate spedite all’estero, l’Italia ne ha avuto oltre 10 milioni: grano, carbone, petrolio, cotone, ecc.

È stato un aiuto largo che, evitando o limitando la vendita di lire per comperare le derrate più indispensabili, ha contribuito a mantenere il corso della lira e rendere meno difficile la finanza dello Stato.

Ora tutto ciò è finito.

Ho spiegato a lungo nel mio discorso ultimo l’immane sforzo dell’America in Europa e in Asia, non solo con la larga assistenza ma con aiuti per riprendere e assicurare la produzione industriale.

Ma è stato errore ed è illusione considerare, sia pure limitatamente, il concorso americano come duraturo.

Per quanto enorme la produzione americana, essa non può continuare a sopportare il peso di una economia mondiale che, rotte le leggi dello scambio, graviti in direzione unica, e di cui solo un grande paese debba portare le responsabilità sia pure in vista di vantaggi futuri.

L’America non è disposta oramai a dare dollari, se non nella misura che gli altri paesi esporteranno. Necessità suprema di tutti i paesi è dunque aumentare la loro esportazione. Per ottenere dollari lo sforzo deve essere diretto a questo fine. Malauguratamente, le difficoltà di aumentare la produzione sono grandi e per noi soprattutto la mancanza di materie prime e la deficienza dei generi alimentari. Sappiamo ciò di cui abbiamo bisogno, non ciò che possiamo avere. Crediamo che la utilizzazione di tutti i resti ci consenta di arrivare a ottobre prossimo; ma il problema diventa dopo di allora assillante e di difficile soluzione.

Possiamo pure supporre che fra qualche mese il prezzo del carbone potrà essere anche di tre o quattro volte superiore a quello attuale. Come potrebbero funzionare le fabbriche più importanti in queste condizioni? Come potremo avere le risorse necessarie? Questi sono ancora i mesi meno duri, ma il mese più duro è, come ho detto, non lontano, ed è ottobre, in cui la situazione dell’Italia si delineerà in tutta la sua gravità. Allora il grano del raccolto sarà in gran parte, se non interamente, esaurito e noi avremo bisogno di una somma ingente per comprare anche soltanto ciò che è indispensabile per la nutrizione.

Di fronte all’Italia, l’America seguirà la stessa politica che verso tutti gli altri paesi e se pure può avere particolare considerazione, ciò non può mutare l’indirizzo generale che l’America nel suo interesse e per necessità si è imposto.

Nessuno nel mondo attuale è sicuro: noi non possiamo prevedere se altre cause di disordine non turberanno la vita del mondo.

Noi dobbiamo raccoglierci in uno sforzo di volontà; dobbiamo aver fiducia in noi e inspirare e conquistare la fiducia. Dobbiamo aumentare pure a traverso gli ostacoli, la produzione e renderla meno costosa che sia possibile.

La nostra politica estera, la nostra politica economica e soprattutto la nostra politica finanziaria devono essere indirizzate in uno stesso senso.

In politica estera, accettando i trattati non senza tutte le riserva per l’avvenire, dobbiamo contribuire a tutto ciò che possa aiutare a rinnovare i rapporti internazionali di scambio. Lasciamo i progetti avveniristici. L’Italia ha interesse a tutto ciò che ci fa uscire dall’isolamento attuale. Come in passato, l’Italia deve non solo volere la pace, ma concentrare il suo sforzo in un’unica direzione: libero movimento degli uomini e delle merci. Non vi sarà vera ripresa se non in questa direzione.

Ciò dipende solo in parte da noi e la stessa politica economica solo in parte dipende da noi.

Bisogna naturalmente evitare tutto ciò che ci indebolisca di fronte al mondo e apparire come una massa compatta di 46 milioni di uomini fidenti nell’avvenire. Vi sono però cose che dipendono da noi.

La politica finanziaria dipende infatti soprattutto da noi.

Siamo noi che dobbiamo regolare le nostre spese e in conseguenza le nostre entrate, sempre più limitate, che ci imporranno ben presto quella linea di condotta che risponde allo stato di necessità.

Di fronte a una spesa che è tre volte e più quella consentita dalle entrate, di fronte a un debito enorme, e a forme di debito minacciose e che ci obbligano a nuove e continue emissioni di carta moneta, noi non possiamo avere sogni utopistici.

Ma l’utopia invece risorge sempre in tutte le forme.

Programmi ieri appena ancora annunziati dal Governo attuale alla sua presentazione sono abbandonati, altri programmi vengono fuori. E vengono fuori anche nuove illusioni.

Che cosa ci è imposto dalla necessità finanziaria?

Prima di tutto, con provvedimenti di urgenza, impedire che si produca la caduta della moneta.

Su questa prima esigenza nessuna divergenza di idee è possibile. Prima di tutto è necessario dare sicurezza che le spese non saranno oltre aumentate senza corrispettivo aumento di entrate.

E poi sono necessarie imposte nuove e riordinamento delle imposte esistenti, in modo che siano seriamente applicate e diano un maggior rendimento.

Sono soprattutto le imposte dirette, i monopoli, le imposte di fabbricazione che han bisogno di una vera revisione.

Si parla ora di una grande imposta sul patrimonio, ma io temo soprattutto per il momento in cui dovrebbe essere applicata, che possa dar luogo a grandi delusioni e turbamenti della opinione pubblica.

Il male maggiore è che negli ultimi anni si è perduto il senso della realtà finanziaria.

Nell’imposta non si cerca solo una entrata per lo Stato, ma assai più un mezzo, nelle forme che si crede più semplici, di grandi riforme sociali. Si vuole che le classi lavoratrici e in generale i ceti popolari siano il più che possibile sottratti alle imposte. Ora basta avere un minimo di conoscenza economica e finanziaria per comprendere come queste non siano che illusioni.

L’idea di creare un nuovo ordine economico attraverso le imposte è puerile. Si può rovinare un regime economico con imposte che disordinano la produzione della ricchezza, ma non si può rinnovare o cambiare un regime economico con l’imposta.

Le imposte che sono fondamento di qualsiasi sistema finanziario, devono per necessità basarsi sulla grande massa della popolazione. Le fortune rilevanti contribuiscono per la minor parte, in quanto appunto rappresentano la minor parte del reddito e del consumo nazionale.

È puerile credere che imposte che assorbono tanta parte del reddito siano possibili senza sofferenza per tutte le classi sociali e che così in alto come in basso sia possibile di sottrarsi alla resistenza se non all’avversione dei contribuenti.

Non vi sono contribuzioni che si pagano volentieri né tanto meno contribuzioni volontarie, come non vi sono donatori spontanei. Ciò poteva accadere nelle città antiche, in periodi di calamità pubbliche e di estremo pericolo. E gli ordinamenti finanziari sono soggetti alle stesse leggi economiche.

Tutto ciò che in materia finanziaria è avveniristico non è serio. La finanza è la forma di attività che meno si presta alla fantasia.

Ora è venuta fuori la illusione di una imposta generale sul patrimonio, che non solo dovrebbe miracolosamente contribuire a risanare il bilancio ma contribuire a compiere opera di ricostruzione sociale.

Io devo dire lealmente che non solo non credo che un’imposta sul patrimonio, applicata in questa fase della vita nazionale, possa dare grandi e utili risultati, ma credo che possa, dando risultati cattivi, complicare e rendere più difficile ogni opera di risanamento finanziario.

Il decreto legislativo che, con procedimento non ammirevole, è stato messo in esecuzione prima ancora di essere approvato, è fatto nuovo nella forma se non nuovo nel contenuto. Si comprende un decreto catenaccio quando si tratti di ricchezze che possono sfuggire al fisco come dazi di dogana o anche il prezzo di alcuni generi di consumo. Ma come nell’imposta sul patrimonio, quali ricchezze potevano o possono sfuggire?

Procedimento tumultuario e inesplicabile.

Il decreto legislativo si riferisce nel Titolo alla istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. In realtà ciò riguarda due distinti provvedimenti tributari, l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva e l’istituzione di un’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio, con la soppressione, a partire dal primo gennaio dell’anno prossimo, delle relative imposte ordinarie.

Considerati nel loro insieme, questi provvedimenti, se anche potessero in ipotesi dare risultati apprezzabili, non possono darli a breve termine.

Per quanto riguarda la difesa della lira, che è la cosa ben più urgente, l’adozione di questa imposta non può che produrre danno rendendo più inquieto il mercato. Per la situazione del bilancio almeno fino al 1949 non hanno questi provvedimenti alcuna importanza.

La patrimoniale crea negli ignari la illusione che costituisca una specie di panacea sociale (colpisce i ricchi e determina una grande entrata).

Tutte le esperienze del passato dimostrano che mai l’imposta sul patrimonio ha determinato entrate imponenti e mai è servita a sanare la finanza pubblica; che mai ha prodotto grandi entrate a breve termine; e in breve periodo di tempo; che mai è stata applicata seriamente e non ha potuto per la sua forma e per la sua durata essere pagata dal reddito e non già dal patrimonio.

È poi norma essenziale che nessuna grande imposta patrimoniale debba essere applicata in tempo di grande incertezza monetaria.

Siamo noi sicuri che il corso attuale della moneta avrà una stabilità almeno relativa?

E se prima non provvediamo alla moneta come imporre provvedimenti che daranno i loro risultati solo fra qualche tempo?

Io ho l’aria di parlare contro ciò che io stesso ho fatto. Io stesso infatti sono il Capo del Governo che nel 1919 ha voluto la patrimoniale. L’ho voluta e l’ho applicata, ma per le stesse ragioni ora non la vorrei, perché si presenta in circostanze diverse e che ne rendono pericolosa l’applicazione. Ed ora mi tocca a protestare soprattutto contro le illusioni, perché io sono favorevole all’imposta sul patrimonio, ma desidero che venga pagata in realtà come un’imposta sul reddito, e come che sia, applicata in circostanze determinate.

Applicai la patrimoniale nel 1919, ma l’avevo già preparata nel 1917, quando ero Ministro del tesoro. Io ebbi l’idea, vedendo i conti che venivano al Tesoro da tutti gli arricchiti di guerra. Allora si chiamavano pescicani: non so come sono stati chiamati dopo e come si chiamano ora. Io fui colpito da questi immensi guadagni e fu una delle ragioni per cui pensai ad una imposta sul patrimonio che avesse carattere progressivo efficiente. E fu da allora che feci il primo piano di questa imposizione.

Io volevo allora alcuni grandi monopoli che avevo preparato e volevo rinforzare alcune imposte che erano ancora lente nel loro sviluppo e volevo introdurre insieme l’imposta sul patrimonio. Così venne nel 1919 l’imposta sul patrimonio.

Devo dire che quell’imposta – che si poteva pagare in dieci o venti anni – fu pagata secondo le previsioni e il gettito fu anche maggiore di quello che alcuni miei uffici prevedevano. Devo anche dire che l’imposta non dette luogo ad alcun inconveniente e non offese le classi possidenti, al punto che io potetti fare nello stesso tempo il più grande prestito pubblico che l’Italia abbia mai fatto: il prestito per pagare le spese della guerra del 1915.

È pessima politica volere una buona finanza ed insultare in permanenza chi possiede ed abbia possibilità di pagare. E così è cattiva finanza tenere sotto l’incubo d’una continua minaccia chi possiede! Bisogna avere il coraggio di prendere ai cittadini ciò che si deve e si può, arditamente, ma lasciare la gente respirare! Niente di più dannoso della continua, assillante minaccia, come si ha ora l’abitudine di fare.

È perciò che l’imposta sul patrimonio va considerata non solo nella sua funzione, ma nel tempo. Una stessa imposta è buona o cattiva, secondo il tempo e secondo le circostanze. Vi sono casi in cui, a seconda delle circostanze determinate, le imposte si possono applicare, altri in cui non si possono.

E se io ho in me grande dubbiezza adesso, è perché il tempo e la circostanza non mi sembrano favorevoli. Apprezzo le buone intenzioni dell’onorevole La Malfa. Dirò di più: ho fiducia in lui che, come Ministro dei trasporti, seguii con interesse perché mi diede l’impressione di un uomo di intelligenza e di senso pratico, e che rese dei servizi. Se ho tanta dubbiezza, non è per la sua persona e per le sue attitudini, ma è per la difficoltà del momento. Né egli riescirà, né in questo momento altri riescirebbe.

É un momento difficile. Vi sono molti sintomi che ci fanno credere che la patrimoniale non possa dare risultati. E non è prova contraria il fatto dei 12 miliardi pagati finora per riscatti.

Io vedo già ordini del giorno, proposte di modificazioni, articoli aggiuntivi. Forse nuove cose vorranno essere aggiunte! Óra già si trova, per esempio, che il limite è basso e che non è possibile applicare l’imposta nella forma attuale, dato il discredito della moneta. Altri notano che altre categorie vanno colpite, che altre forme di ricchezza vanno tenute presenti. Tutto questo indeterminatamente ed in forma che ci preoccupa.

Senza dubbio l’imposta, com’è presentata, lascia incerti e dubbiosi se non contrari. È sopratutto questione di tempo e di opportunità. Io mi rivolgo lealmente al Ministro e al Relatore e domando loro se credono essi che nel momento attuale, quando si devono applicare tante imposte e duramente applicarle, si possa mettere il pubblico in agitazione. E se non è dall’imposta sul patrimonio che noi potremo trarre ciò che ci è più necessario in questo periodo, perché farne causa di perturbamento e di disordine? L’imposta sul patrimonio è veramente complementare e solo fra qualche anno potrà svilupparsi. Ma noi dobbiamo nel momento attuale preoccuparci non di quello che avverrà negli anni prossimi, ma nei mesi prossimi. Perché mettere il pubblico in agitazione?

Io so che cosa è nelle democrazie la gelosia, che cosa è l’invidia. So che in ogni paese, in ogni villaggio, l’imposta sul patrimonio diverrà motivo di dissidi e di lotta. Il tale ha pagato, il tal altro non ha pagato o non pagherà. Non ci sono misteri, tutto viene fuori. E così l’imposta diventerà una causa di divisione e di lotte civili, proprio in un momento in cui siamo costretti a fare il massimo assegnamento sul credito e a portare il rendimento delle imposte essenziali al limite massimo di tolleranza.

Io, dunque, mi preoccupo non di un problema di ordine giuridico; mi preoccupo, invece, della temporaneità di questa imposta, per domandare se proprio in questo momento in cui dobbiamo chiamare a raccolta tutte le risorse del risparmio sia il caso di adottare provvedimenti finanziari che aprirebbero una lotta all’interno. Sarebbe una lotta dissimulata, ma non per questo meno effettiva. Tanto più valgono queste mie considerazioni, in quanto è ora al Governo un solo partito, e non bisogna dimenticare che le gelosie e i rancori sono inevitabili e più vivaci.

Credete che tutto questo avverrà senza una nuova lotta, senza aspri contrasti, senza diffidenze, senza accuse giuste ma soprattutto ingiuste? E non diminuisce la nostra resistenza finanziaria?

Io credo dunque che sia necessario considerare il problema nella sua essenza.

Non voglio fare proposte precise. Ma dal momento che vi proponete introdurre questa imposta, vi prego di fare in guisa che essa non sia ancora peggiorata con altre aggiunte e con altre modificazioni che la deformino ancora di più. Ma vi prego sopra tutto di considerare se non sia il caso di procedere a nuovo esame di questa materia. È possibile sospendere l’applicazione di un così inopportuno decreto legislativo e considerare a fondo la questione e rendersi conto di ciò che si può fare e di ciò che è meglio rinviare. Ora entriamo nel periodo delle grandi difficoltà. Dopo il mese di ottobre diventerà sempre più aspro il nostro cammino. Il 1948, dal punto di vista economico e finanziario, si presenta minaccioso. Non complicate le difficoltà. Non aggravate senza necessità la situazione attuale già incerta, che sotto alcuni aspetti ci minaccia. Pur non facendo alcuna proposta concreta, io confido che il relatore e il Governo si renderanno conto del pericolo di questo inopportuno, intempestivo e illusorio decreto sull’imposta patrimoniale. Spero ancora che si trovi il modo di rendere meno aspro questo momento e, se si può, di rinviare questo disegno di legge diventato legge ancora prima di essere stato esaminato e discusso, senza necessità, nella generale diffidenza. Dal momento che tutto è stato incerto nelle origini, solo un rinvio può essere utile.

In ogni caso io sono sicuro che i fini cui si è mirato non saranno raggiunti e che ciò sarà solo causa di nuovo turbamento economico e finanziario. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Angelini. Non è presente; si intende che vi abbia rinunziato.

È iscritto a parlare l’onorevole Pesenti. Non è presente; si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’onorevole Selvaggi. Non è presente; si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’onorevole Micheli, il quale ha presentato anche il seguente emendamento all’articolo 51:

«Aggiungere, in fine:

«Qualora il riscatto sia stato esercitato prima che l’accertamento dell’imposta sia divenuto definitivo, gli interessi imputati in conto imposta, ai sensi del presente articolo, sono rimborsati in relazione all’ammontare dell’imposta che risulti non dovuta e del tempo trascorso dal versamento al rimborso»:

L’onorevole Micheli ha facoltà di parlare.

MICHELI. Mi riservo di parlare per lo svolgimento dell’emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’onorevole Vigorelli. Ha facoltà di parlare.

VIGORELLI. Prego di dare la precedenza all’onorevole Scoccimarro.

PRESIDENTE. Sta bene. Ha facoltà di parlare l’onorevole Scoccimarro.

SCOCCIMARRO. Questa discussione sull’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio ha un vizio d’origine che, a mio giudizio, le toglie gran parte del suo valore: esso consiste nel fatto che questo importante provvedimento finanziario ci viene presentato come «a sé stante» non inquadrato in un piano organico di politica economica e finanziaria, cioè in un complesso ben congegnato di provvedimenti capaci di dare un colpo di arresto al processo inflazionistico e speculativo; di determinare condizioni favorevoli alla ripresa economica; di creare quel senso di fiducia tanto essenziale agli operatori economici ed infine di giustificare con gli obiettivi che si propone ed i risultati che se ne attendono i gravi sacrifici che essa impone. Fin dal primo momento in cui, nel 1945, fu decisa l’istituzione del tributo straordinario, questo fu concepito nel quadro di un insieme di provvedimenti che dovevano precederlo e seguirlo, e in relazione alla situazione economica e finanziaria del momento: quel piano non si attuò per il non avvenuto cambio della moneta. Ed anche quando, verso la fine del 1946, si provvide alla elaborazione di un nuovo progetto indipendente dal cambio della moneta si seguì lo stesso criterio: l’imposta straordinaria faceva parte di un piano finanziario che insieme al pareggio del bilancio ordinario prevedeva un finanziamento triennale delle spese straordinarie per la ricostruzione. La crisi di gennaio ha impedito l’attuazione anche di questo piano finanziario. Si è invece lanciato all’improvviso questo nuovo progetto di imposta straordinaria come un provvedimento isolato, senza le misure preventive che esso richiedeva, in un momento che non è apparso del tutto tempestivo e congegnato in modo tale da sollevare non poche critiche e obiezioni. La nostra perplessità ancor si accresce dopo la risposta sostanzialmente negativa data dal Ministro del bilancio alle nostre proposte, per cui si ha l’impressione che questa imposta straordinaria in definitiva sarà un nuovo tributo che si pone a fianco degli altri tributi esistenti; ma non elemento di un piano organico di finanza straordinaria. E tanto più ci conferma in questa impressione il rifiuto del Ministro del bilancio di accogliere la proposta di istituire quel Bilancio della Ricostruzione nel quale avrebbe dovuto inquadrarsi l’imposta straordinaria. I motivi di quel rifiuto si sono andati a ricercare in dibattiti di un lontano passato che non hanno nulla che vedere con le esigenze della situazione attuale alle quali soltanto io mi sono richiamato nel proporre l’istituzione del Bilancio della Ricostruzione come si è fatto in altri paesi, ad esempio in Francia. L’aver considerato l’imposta straordinaria come un provvedimento a sé stante ha fatto sì che esso è stato emanato nel momento meno opportuno e pertanto è stato intempestivo. Infatti, condizione preliminare e necessaria di una imposta straordinaria, e pertanto temporanea e non permanente, non destinata a far parte integrante del nostro sistema tributario, è di farla precedere da tutte le misure necessarie capaci di creare, se non una immediata stabilizzazione monetaria, per lo meno le condizioni di una prossima stabilizzazione. Si deve tener presente che era maturato il problema della rivalutazione degli impianti delle società industriali, alla quale si potevano collegare particolari provvedimenti dei quali ho già parlato in sede di discussione sulle dichiarazioni del Governo: quei provvedimenti, a mio giudizio, dovevano tutti precedere l’imposta straordinaria perché diretti contro la speculazione che si è disfrenata nel primo semestre con relativa svalutazione monetaria che costituisce una evasione all’imposta straordinaria.

E la cosa è tanto più importante che ai fini dei bisogni immediati di tesoreria della riduzione del disavanzo dell’esercizio in corso, non era tanto l’imposta straordinaria che aveva importanza, perché di rendimento più lontano, quanto gli altri provvedimenti che avevano possibilità di un risultato immediato.

LA MALFA, Relatore. Onorevole Scoccimarro, quali?

SCOCCIMARRO. Per esempio i provvedimenti fiscali sul problema della rivalutazione degli impianti industriali. Non dimenticate che fra il febbraio e il maggio, si sono distribuiti in Italia, fra azioni gratuite e opzioni, 1.200 miliardi, dai quali il tesoro ha tratto scarso beneficio.

CAMPILLI. Questo non esclude che si faccia.

SCOCCÌMARRO. Ma bisognava farlo prima.

CAMPILLI. L’uovo e la gallina. Se l’avessimo fatto prima, avreste detto che bisognava prima fare l’imposta straordinaria.

SCOCCÌMARRO. Ma non è indifferente l’ordine in cui vengono presi i provvedimenti. Ne vedremo ora le conseguenze.

Che cosa avviene? Noi abbiamo fissato il 28 marzo come data di accertamento dei patrimoni. Ora quella parte dei 1.200 miliardi che è venuta alla luce dopo il 28 marzo è legalmente esclusa dalla imposta straordinaria.

Ma vi dirò di più. Al dicembre 1946 per le 170 società che in Italia hanno i loro titoli quotati in borsa, questi titoli si calcolavano attorno a 500 miliardi, mentre gli stessi titoli a fine maggio valevano 1.500 miliardi. Nel nostro progetto di imposta straordinaria noi prendiamo il semestre ottobre-marzo come termine di valutazione delle azioni: gran parte di quell’aumento di valore sfuggirà all’imposta.

CAMPILLI. Si è abbreviato a sei mesi quello che prima si era previsto in tre anni. Il primo progetto era molto vantaggioso.

SCOCCIMARRO. Le ricordo, onorevole Campilli, che i provvedimenti finanziari vanno esaminati al momento in cui vengono lanciati. Nel 1945 noi avevamo una flessione, una depressione di tutti i titoli: la situazione poi si è rovesciata.

CAMPILLI. Qui si è preso il periodo più alto.

SCOCCIMARRO. Nel 1945 la produzione in Italia era ridotta a un terzo.

VANONI. La media del triennio 1942-1945 era inferiore ai prezzi del 1945. Questo è un dato di fatto.

SCOCCIMARRO. Non lo contesto. Comunque, quello era un progetto non ancora definitivo, e non è detto che in esso non vi fosse ancora qualche errore da correggere. Quello che è certo è che nei primi mesi del 1947 si è avuto un enorme aumento nella valutazione dei titoli in Borsa, e non c’è dubbio che quando noi fissiamo la data del 28 marzo per l’accertamento dei patrimoni, tutto l’aumento successivo sfugge all’imposta.

Questo dimostra la intempestività del provvedimento, che è stato lanciato nelle acque torbide ed agitate dalla speculazione, senza difesa contro i danni che avrebbe subito, senza avere prima nulla fatto per calmare e rasserenare l’ambiente.

Ecco perché, secondo me, sarebbe stato opportuno attendere qualche mese, affinché quel processo di rivalutazione si esaurisse, e non c’era nulla di preoccupante se l’imposta straordinaria fosse stata istituita uno o due mesi dopo. E dicoquesto perché? Perché oggi a molti si pone il problema che poneva l’onorevole Cappi discutendo le dichiarazioni del Governo, cioè se non sia opportuno, conveniente, riesaminare se quella data del 28 marzo non si possa spostarla per ridurre la zona di evasione; badate, di evasione legale, direi quasi autorizzata. Si potrebbe calcolare di quanto l’imposta viene a perdere come imponibile mantenendo quella data del 28 marzo piuttosto che spostarla, non dico molto, ma di qualche mese. Questa è la proposta che farò in sede di emendamenti.

Un’altra osservazione riguarda il criterio generale che ispira il provvedimento. Non dobbiamo dimenticare che la guerra e l’invasione hanno notevolmente impoverito il nostro Paese e che per provvedere alla restaurazione delle rovine ed alla riparazione delle spogliazioni si dovrà sostenere uno sforzo finanziario considerevole e di lunga durata. I sacrifici che si richiedono sono gravi e potranno essere tollerati solo se equamente ripartiti. Per tale ripartizione non bisogna dimenticare che l’impoverimento generale non si è ripartito proporzionalmente fra tutti i patrimoni: alcuni sono diminuiti, altri si sono conservati, altri si sono accresciuti costituendo un vero e proprio arricchimento. Ora, l’imposta straordinaria deve tener presente tali disuguaglianze causate dalla guerra. Perciò l’imposta straordinaria non ha soltanto uno scopo finanziario ma anche uno scopo politico sociale, cioè di attenuare le maggiori disuguaglianze create dalla guerra.

È per questa ragione che nel 1945 si era pensato di integrare l’imposta straordinaria con un tributo speciale su l’incremento patrimoniale: quella che in Francia si è chiamata l’imposta sugli arricchimenti. A questa soluzione si era arrivati anche per un’altra considerazione: quando si è riformata la legge fascista sui sovraprofitti di guerra, sostituendo all’imposizione del 60 per cento della legge fascista, l’avocazione integrale dei sovraprofitti, si è constatato che sotto il Governo fascista vi era stata una larghissima evasione. Inoltre, tenendo presente che i sovraprofitti di guerra si erano cominciati ad accumulare dal 1935 e non dal 1940, perché, il periodo delle guerre fasciste comincia nel 1935, si era cercato di vedere se era possibile riportare la data di applicazione dell’imposta sui sovraprofitti di guerra dal 1940 al 1935. Ma qui ci si è trovati di fronte ad una impossibilità tecnica. Allora, si è pensato che l’imposta straordinaria dovesse essere affiancata da un provvedimento che doveva cogliere gli arricchimenti straordinari realizzati nel decennio 1935-1945.

Ora, questa parte dell’imposta straordinaria è scomparsa e si è sostituita con l’imposta proporzionale sul patrimonio, il che costituisce una grave ingiustizia a danno dei piccoli proprietari, vulnera lo spirito dell’imposta straordinaria e rappresenta un vero e proprio capovolgimento dei suoi principî inspiratori. L’asse del provvedimento si spostava dalla ricchezza mobiliare alla ricchezza immobiliare. Già in sede di commissione ho richiamato l’attenzione del Ministro sull’opportunità di rivedere questo punto, ricordando che il riscatto dell’imposta ordinaria sul patrimonio era stato concepito non come parte della straordinaria, ma come elemento sussidiario di un complesso di provvedimenti, e con una aliquota più bassa per un periodo di tempo più lungo, con l’esenzione dei piccoli patrimoni ed un sistema di aliquote differenziate allo scopo di non gravare troppo sulle piccole proprietà.

Viceversa, in questo progetto, così come è attualmente formulato, l’aliquota è aumentata, il tempo della riscossione ridotto, il pagamento richiesto subito, mentre l’imposta progressiva straordinaria è resa inefficiente per i cespiti mobiliari e se ne rinvia il pagamento al 1948, senza nemmeno chiedere un anticipo, consentendo così ad eventuale evasione per svalutazione monetaria.

In queste condizioni l’imposta proporzionale diviene essa la leva del patrimonio. Le funzioni delle due imposte sono così invertite con gravi conseguenze d’ordine economico e sociale. A ragione l’onorevole De Vita osservava che in tal modo si realizza una progressività a rovescio, perché questa imposta è più onerosa per i piccoli patrimoni che per i grandi, e si rileva particolarmente gravosa per i piccoli patrimoni di case con fitti bloccati. Inoltre va tenuto conto che i grandi patrimoni sono per lo più costituiti da unità divisibili per cui si può vendere una parte, senza essere costretti a vendere tutto, mentre i piccoli patrimoni sono di solito indivisibili; per cui chi vende, deve vender tutto. Inoltre i grandi patrimoni hanno maggior margine di risparmio e di reddito non necessario per il consumo e quindi hanno la possibilità di sostenere l’imposta senza gravi conseguenze, mentre i piccoli patrimoni mancano di tale possibilità e per pagare l’imposta devono vendere.

Si crea così una grave sperequazione sopratutto politica e sociale, poiché mentre i grandi patrimoni potranno sostenersi, i piccoli patrimoni vanno soggetti ad una falcidia. Ci sarà molta gente che sarà costretta a vendere e non mancherà la speculazione che ne trarrà profitto. In tal modo lo scopo politico-sociale dell’imposta straordinaria, che era di favorire una redistribuzione dei grandi patrimoni personali, si realizza a rovescio: cioè saranno spazzati via i piccoli patrimoni, che sono frutto di lavoro e di risparmio e in molti casi strumento indispensabile di lavoro, oppure costituiscono mezzo di sostentamento e di vita o di garanzia e sicurezza per l’avvenire. Perciò, applicando l’imposta così come è ora progettata, noi applichiamo a rovescio il principio a cui deve ispirarsi questo tributo dal punto di vista politico e sociale.

La lotta contro l’inflazione si può condurre in due modi: mediante il sacrificio e la rovina dell’economia dei ceti medi e piccoli, oppure chiamando a contributo tutti i patrimoni, secondo la loro reale capacità contributiva. Io temo che con questo progetto noi ci incamminiamo per la prima via; e propongo che si cambi strada.

Le proposte che io vorrei fare sono queste: stralciare l’imposta proporzionale dal progetto di imposta straordinaria, esentare i patrimoni minori, ridurre l’aliquota, adottare un sistema di aliquote differenziate, concedere un più lungo periodo di tempo per il pagamento, estenderla agli enti collettivi. In compenso chiedere un «anticipo» sulla imposta straordinaria con l’iscrizione provvisoria a ruolo.

Ed ora passiamo ad un terzo problema: gli enti collettivi. Qui è necessario dire qualcosa sui precedenti. Nel 1945 si era pensato di colpire le fondazioni e le persone fisiche. La società per azioni sarebbe stata raggiunta dall’imposta sugli incrementi patrimoniali, perché lì si erano accumulati i maggiori sopraprofitti e si erano accumulate le maggiori ricchezze. Nel 1946, in conseguenza del mancato cambio della moneta, si pensò di mantenere l’imposizione sulle fondazioni, e di risolvere in sede di imposta straordinaria anche il problema della rivalutazione degli impianti industriali, separando e considerando a parte, il problema dell’imposizione sugli incrementi patrimoniali.

Ora siamo arrivati all’attuale progetto, nel quale scompare l’imposizione per le fondazioni e per le società azionarie, scompare l’imposizione sugli incrementi patrimoniali e non si parla più della rivalutazione degli impianti industriali. In sede di Commissione si è discusso se è giusto tassare gli enti collettivi: si sa che qui c’è anche un problema di dottrina. V’è chi sostiene che la tassazione degli enti collettivi significhi una doppia imposizione, e chi sostiene invece la tesi contraria osservando che società e patrimonio dei soci sono entità economiche distinte, ciascuna con propria capacità contributiva. Io prescindo qui dal problema teorico, non è questa la sede per tale discussione, e considero la questione solo dal punto di vista pratico e politico. L’esenzione degli enti collettivi può avere come conseguenza che una società con un patrimonio considerevole può rimanere completamente esente dall’imposta perché i possessori singoli dei titoli hanno essi patrimoni che non superano il minimo imponibile.

Altro inconveniente: le aziende individuali in quanto fanno parte del patrimonio del contribuente sono soggette all’imposta con l’aliquota corrispondente al complesso patrimoniale, mentre le società azionarie come tali non pagano nulla: questo può divenire un elemento di sperequazione con conseguenze abbastanza serie.

Poi, il modo come è congegnato il provvedimento consente una larghezza di evasione ai possessori di titoli azionari, che sarebbe in parte attenuato dal fatto che la società paga essa un contributo sia pure con aliquota ridotta.

Per tutte queste ragioni pratiche, indipendentemente da ogni considerazione teorica, penso che sia opportuno colpire le società per azioni. L’importanza finanziaria di questo problema risulta da qualche cifra: su 20 mila società esistenti in Italia solo per 170 società si calcola che il valore delle azioni arrivi a 1500 miliardi. Inoltre le fondazioni rappresentano solo esse un quinto della ricchezza nazionale: con l’esenzione degli enti collettivi il gettito della imposta subisce una notevole riduzione.

La relazione che accompagna il provvedimento, per giustificare la esenzione delle fondazioni, fa delle osservazioni abbastanza strane. Si dice ad esempio: se si colpiscono le fondazioni, queste pagano una aliquota corrispondente al patrimonio individuale e quindi vengono colpite con aliquota elevata, mentre le Banche-società, il cui patrimonio è frazionato fra le molteplicità dei compartecipanti, pagherebbero con aliquote più basse. E si aggiunga che, anche se si riduce l’aliquota, non si eliminano le sperequazioni. Ora, mi pare che qui non vi sia nesso logico, perché si potrebbe ridurre l’aliquota per le fondazioni fino ad eliminare le sperequazioni o a ridurle al minimo. Si sa che gli enti collettivi sarebbero in ogni caso tassati con aliquote inferiori a quelle applicate per le persone fisiche.

Ma non basta. La cosa più interessante è la disquisizione giuridica con la quale si pretende giustificare l’esenzione delle società e delle fondazioni. In sostanza si fa questo ragionamento: non è giusto colpire le fondazioni perché si esentano le società; d’altra parte non è giusto colpire le società se si esentano le fondazioni. Quindi si conclude: esentiamo tanto le fondazioni quanto le società. Ma si può concludere anche in un altro modo, cioè: colpiamo tanto le società quanto le fondazioni. In questo provvedimento non vi è equità di imposizione tra ricchezza mobiliare e ricchezza immobiliare. Ora bisogna trovare il modo di far entrare nella sfera di imposizione una più larga parte di ricchezza mobiliare.

Ma c’è ancora un’altra questione: quella degli Enti religiosi. L’articolo 29 del Concordato dice che gli Enti religiosi e affini di culto sono assimilati agli enti di assistenza e beneficenza, per quanto riguarda l’imposizione fiscale. E siccome questi Enti sono esenti, automaticamente sono esenti tutti gli Enti religiosi.

Nella misura in cui questi Enti assolvono ad una funzione religiosa, la cosa è comprensibile. Ma, signori, nessuno ignora che taluni Enti religiosi svolgono anche una vera e propria attività economica e, nella misura in cui svolgono tale attività, non vedo la ragione per cui essi non devono essere soggetti ai contributi a cui sono soggetti altri Enti che svolgono la stessa attività: in fondo è la corresponsione per i servizi pubblici dello Stato di cui anche essi usufruiscono.

Di attività economiche di Enti religiosi potremo citarne parecchie. Dirò soltanto di un caso: è noto che non molto tempo fa, la C.I.C.A., volendo importare 25 mila tonnellate di materie zuccherine dal Perù, si è rivolta per la valuta necessaria alla Pontificia facoltà teologica, la quale ha concesso 4 milioni e mezzo di dollari di proprietà degli «Ordini dei frati minori conventuali». Io non ho nulla da eccepire al fatto in sé, ma dico che, quando si svolgono attività di questo genere, questi Enti devono dare il loro contributo, come lo danno tutti gli altri Enti economici. E penso che da questo punto di vista non si viola il Concordato, il quale si riferisce ad Enti religiosi in quanto svolgono una attività a fine di culto.

Ma c’è di più: c’è il problema dei benefici ecclesiastici. È giusta e giuridicamente giustificata la loro esenzione dall’imposta straordinaria? Vi sono, è vero, numerosi benefici ecclesiastici così esigui, per cui i loro titolari hanno bisogno della congrua: è giusto che questi siano esentati. Ma vi sono anche benefici ecclesiastici costituiti da patrimoni considerevoli; ora, questi non dovrebbero essere esentati da ogni contributo. A questo proposito, c’è un precedente. Già nel 1932, in regime fascista, fu sollevata la questione per una serie di tributi, e vi fu una circolare del Ministro delle finanze Mosconi, la quale ad un certo punto dice: «È appena necessario avvertire, poiché è stato proposto un quesito al riguardo, che l’esenzione in parola – qui si parla di esenzione fiscale dopo il concordato – non è applicabile ai benefici ecclesiastici per la rendita che essi traggono dal beneficio ed in confronto di essi l’imposta va applicata nei modi ordinari come per gli altri contribuenti».

Ora, non c’è dubbio che si tratta di questione diversa da quella che noi consideriamo ed io condivido al riguardo le osservazioni fatte da molti colleghi democristiani in sede di Commissione. Io pongo tuttavia il problema da un punto di vista analogico e dico: non pare a voi che almeno certi patrimoni di benefici ecclesiastici debbano dare il loro tributo all’imposta straordinaria? Non pare a voi che ciò sia utile allo stesso prestigio delle istituzioni religiose e che l’onere cui esse andrebbero incontro sarebbe più che ripagato dal maggior prestigio spirituale che a loro deriverebbe dal fatto di aver dato il loro contributo alla ricostruzione del Paese nel quale esse operano e vivono?

In sede di Commissione, io avevo proposto che gli enti di assistenza o beneficenza non venissero esentati dalla corresponsione dell’imposta straordinaria, con l’impegno di un contributo dello Stato a tutti quegli enti che assolvono ad una funzione di assistenza e di beneficenza, siano essi ecclesiastici o no; contributo che all’occorrenza per taluni potrebbe anche essere superiore a quanto si è pagato per la imposta straordinaria.

CAPPI. Come è furbo!

SCOCCIMARRO. Ciò verrebbe a togliere un privilegio che è reputato ingiusto dall’opinione pubblica; io non credo che sul piano politico e morale si possa non accedere a quanto io dico. Pertanto ritengo che gli enti collettivi, compresi gli enti religiosi, debbano essere soggetti all’imposta straordinaria con una tariffa adeguata e inferiore a quella adottata per le persone fisiche.

Ed ora passo alle persone fisiche.

Vi sono alcune cifre di straordinario interesse, le quali fanno pensare che qui le possibilità di evasione sono veramente superiori a quello che si poteva pensare al tempo in cui la Commissione ha elaborato il progetto, non potendo sapere quello che è avvenuto dopo d’allora.

In Italia vi sono 3300 società per azioni con capitale superiore a un milione, e queste società comprendono in complesso 950 mila azionisti: di questi, solo 1500 possiedono il 70 per cento del capitale azionario, altri 8500 azionisti possiedono il 15 per cento, e gli altri 940 mila azionisti possiedono il restante 15 per cento del capitale azionario.

Questo ci rivela una concentrazione di proprietà mobiliare superiore a quanto si poteva credere.

Ora, se consideriamo sulla base di questa cifra il modo come è disposto l’accertamento, che cosa constatiamo? Si chiede al contribuente che denunci i titoli, fidando che lo schedario dei titoli delle società per azioni sia uno strumento sufficiente per controllo. Ma, dopo quanto è avvenuto negli ultimi quattro o cinque mesi nel movimento dei titoli azionari lo schedario delle società per azioni non è strumento di controllo sufficiente per l’Amministrazione finanziaria.

V’è quindi la possibilità di una larga evasione, tanto maggiore quanto più forte è la loro concentrazione in poche mani. Negli ambienti interessati è così profonda questa convinzione che molti non si interesseranno nemmeno di fare la denuncia dei titoli che possiedono, sapendo che l’Amministrazione finanziaria non è oggi in grado di fare un serio controllo, dopo quanto è avvenuto negli ultimi quattro o cinque mesi.

Per combattere questa evasione bisogna fare obbligo alle società di denunciare i possessori dei loro titoli azionari; è vero che esse possono saperlo solo di coloro che hanno partecipato al voto in assemblea; ma, data la forte concentrazione della proprietà dei titoli, ed essendo i loro proprietari fra quelli che sicuramente partecipano alle assemblee, la loro denuncia comprende il maggior numero sicuramente soggetto ad imposta, mentre di quelli che sfuggono probabilmente gran parte è al disotto del minimo imponibile. In ogni caso, sarà sempre meglio che affidarsi esclusivamente alla buona volontà del contribuente.

Ma c’è un secondo problema – non meno grave – che riguarda la valutazione dei titoli. Noi abbiamo stabilito il periodo 1° ottobre-31 marzo, come il semestre per la media dei prezzi di compenso per la valutazione dei titoli. Ma, quando io oggi constato che il valore delle azioni quotate in Borsa a fine dicembre era di 516 miliardi ed alla fine di maggio 1947 è di 1.500 miliardi, mi domando se non convenga e non sia giusto spostare i termini per la valutazione: e precisamente, invece del semestre 1° ottobre-31 marzo, stabilire il semestre gennaio-giugno.

Con questo semplice spostamento noi impediamo una larga evasione.

Altro problema è quello dei depositi bancari e dei titoli. Anche qui ci si affida al contribuente. Ma se il contribuente non denuncia o se fa una denuncia inesatta l’Amministrazione non ha nessun mezzo di controllo. Perché? Perché bisogna osservare il segreto bancario. Mi domando perché in Paesi dove il sistema bancario è ben più sviluppato che in Italia, come per esempio in Inghilterra ed in Francia, quando è stato necessario non si è fatto ostacolo e si è sospeso il segreto bancario. Perché in Italia, una volta tanto, questo non è possibile? Anche qui si tratta di una cifra importante: si può andare intorno ai 1000 miliardi.

Ora si è pensato di rimediare ponendo per legge un minimo alla denuncia della moneta, depositi e titoli supponendoli nella misura del 5 per cento del patrimonio. Questo sistema porta alla, maggiore sperequazione, perché si attribuisce il possesso di ricchezza mobiliare anche a coloro che non ne hanno, per cui questi pagano l’imposta anche per quello che non possiedono, mentre gli altri pagano per meno di quanto possiedono. Al solito, coloro che meno hanno, pagano per quelli che hanno di più.

Ora, secondo taluni se si fosse fatto il cambio della moneta sarebbe stato possibile sospendere il segreto bancario. E perché non si può farlo anche se non si fa il cambio della moneta?

Si dice: sarebbe una ingiustizia verso coloro che non depositano la loro moneta alla banca. Ma l’ingiustizia è ancora maggiore col sistema che si è seguito.

Fra due ingiustizie bisogna scegliere la minore.

Di fatto poi non è necessario scomodare le banche. Basterebbe stabilire che la disponibilità dei depositi è subordinata alla presentazione di una dichiarazione dell’ufficio delle imposte dell’avvenuta denuncia e allora ogni singolo contribuente provvederebbe a farla. Si ridurrebbero così le sperequazioni. V’è anche un altro sistema: stabilire una imposizione del 10 o 20 per cento sui depositi, dalla quale sarebbero esenti coloro che abbiano fatto la denuncia. Però anche questo sistema crea un beneficio per i grandi patrimoni a danno dei piccoli.

Il sistema della legge è poi quello che crea le maggiori sperequazioni.

La Commissione ha proposto ed il Ministro ha accettato l’adozione di una aliquota discriminata. Ma questo accorgimento attenua soltanto l’inconveniente, ma non lo elimina. Si pensi che oggi vi è molta gente, specialmente nel campo dei piccoli proprietari di case a fitto bloccato, che non ricavano nemmeno quanto è loro necessario per vivere, e non possiedono né moneta, né depositi, né titoli. Far loro pagare su un presunto possesso di ricchezza mobiliare sarebbe veramente una ingiustizia che diviene quasi un sopruso e una beffa. Sono queste le ingiustizie che pungono di più e sollevano le critiche più aspre. Perciò in questo campo bisognerebbe avere un sistema di accertamento più serio, qual è quello che io propongo: l’accertamento nominativo dei depositi bancari. Per i titoli si può provvedere mediante versamento «a dossier»: i titoli vengono depositati in banca; oppure il pagamento delle cedole è subordinato alla dichiarazione di avvenuta denuncia. Ma per combattere l’evasione bisogna anche adottare sanzioni severe: perciò propongo che i titoli non denunciati, siano essi pubblici o privati, siano dichiarati intrasferibili o soggetti a confisca. Con questi mezzi non si elimina completamente l’evasione, ma si può ridurla di molto. E così si corregge l’impressione che l’imposta straordinaria colpisca in modo sproporzionato la ricchezza immobiliare e lasci invece molte agevolazioni alla ricchezza mobiliare.

Le questioni delle quali vi ho parlato rivelano tutte la stessa tendenza. Il momento in cui è uscita l’imposta, l’imposta proporzionale sul patrimonio, l’esenzione degli enti collettivi, il mantenimento del segreto bancario, il periodo di valutazione dei titoli azionari ed il loro accertamento: in tutti questi punti la soluzione adottata costituisce una posizione di favore e di privilegio per i possessori di ricchezza mobiliare. Su questo provvedimento si scorge una impronta molto precisa: l’impronta dei ceti plutocratici, di coloro che possiedono la ricchezza mobiliare nel nostro Paese. Questo è il difetto che noi dobbiamo correggere.

Se ci si vuol fare una idea approssimativa di quanta parte della ricchezza nazionale con questo progetto sfuggirebbe alla imposta straordinaria, da quanto ho detto risulta che vi sfuggono: tutti i nuovi titoli azionari emessi dopo il 28 marzo, cioè una gran parte di 1200 miliardi; gran parte del maggior valore delle azioni per gli aumenti avvenuti negli ultimi mesi, cioè intorno ai 1000 miliardi; il patrimonio degli enti collettivi per quella parte che non viene colpita presso le persone fisiche; il patrimonio delle fondazioni, cioè un quinto della ricchezza nazionale; tutte le proprietà degli Enti religiosi e benefici ecclesiastici. A ciò bisogna aggiungere la possibilità di larga evasione consentita ai titoli azionari, ai depositi e titoli al portatore, ecc. Voi vedete quanta parte della ricchezza nazionale sfugge all’imposta straordinaria. Ed allora non meraviglia che un esperto tecnico attuariale abbia calcolato che questo tributo darà meno di 300 miliardi: importo veramente esiguo rispetto al valore attuale della moneta. Ed in questo calcolo non si tien conto delle evasioni e delle frodi da tempo predisposte, per cui il risultato sarà ancora inferiore. E tutto questo a vantaggio di chi? Prevalentemente ed essenzialmente della ricchezza mobiliare. La ricchezza immobiliare non ha molte possibilità di movimento. Ancora una volta le regioni settentrionali dove si concentra la maggior parte della ricchezza mobiliare si troveranno ad essere favorite rispetto alle regioni meridionali, come è nella tradizione delle vecchie classi dominanti.

Ora, a me pare necessario modificare la legge nel senso indicato. Ed è pure necessario che lo Stato si premunisca con tutti i mezzi dalla frode.

In sede di Commissione io ho fatto una proposta che ora ripresento all’Assemblea, cioè che la dichiarazione del patrimonio per l’imposta straordinaria sia accompagnata da dichiarazione giurata; chi froda lo Stato vada in galera.

Queste sono le osservazioni che volevo fare sulla imposta straordinaria. È necessario che questa imposta sia applicata, ma prima dobbiamo correggerne i difetti e possiamo farlo noi qui. Non bisogna dimenticare che l’imposta straordinaria è un provvedimento finanziario che deve rispondere anche ad una esigenza di giustizia. Questo provvedimento non soddisfa tale esigenza. Correggetelo: fatene uno strumento di fiscalità severa, ma giusta. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Vigorelli. Ne ha facoltà.

VIGORELLI. Onorevoli colleghi, mi limito a una osservazione particolare, a una contradizione che esiste nel testo del decreto in esame fra il titolo primo e il titolo secondo, contradizione che concerne gli enti di assistenza e di beneficenza, i quali sono, sì, esentati dall’imposta progressiva sul patrimonio, ma non sono esentati invece dalla proporzionale.

Ora, questa contradizione deve essere eliminata, perché costituisce una evidente iniquità e perché dà luogo a inconvenienti di cui ognuno si può rendere facilmente conto. Non si possono particolarmente colpire enti pubblici cui lo Stato dà i suoi contributi per l’opera di solidarietà umana e sociale che svolgono, nello stesso momento in cui non si è in grado di evitare le evasioni di cui vi ha così ampiamente e chiaramente detto l’onorevole Scoccimarro, e nello stesso momento in cui non si riesce a colpire coloro che hanno accumulato delle fortune con la borsa nera, con le speculazioni se non addirittura col collaborazionismo coi tedeschi.

Il tributo di cui al secondo titolo del decreto è fondato sull’imposta ordinaria sul patrimonio istituita col decreto-legge 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito in legge 8 febbraio 1940, n. 100. Si può anzi dire che questo tributo è una forma di riscatto di tale imposta che era stata istituita con carattere di continuità e che ora è abolita col disposto dell’articolo 74 della legge in esame.

Giova qui ricordare molto rapidamente la natura e la finalità dell’imposta straordinaria sul patrimonio.

Questa imposta aveva carattere di complementarietà e di progressività, tanto che è una vera e propria imposta sul reddito: basata sul patrimonio, colpisce però in sostanza il reddito.

Durante la discussione di quella legge, alcuni deputati chiesero al Ministro delle finanze che fossero esentate dal nuovo tributo le Opere pie e gli Enti di assistenza. Ma alla esenzione non si credette di giungere. Invece il Ministro delle finanze del tempo dichiarò che, rendendosi conto della difficile condizione in cui versavano gli Enti d’assistenza, si sarebbero emanate tassative istruzioni perché in sede di applicazione della imposta e nella determinazione dei criteri di valutazione dei patrimoni fossero prevalentemente considerati per le Opere pie i redditi in confronto ai valori venali. Le promesse del legislatore furono allora mantenute, ma ora l’imposta straordinaria sul patrimonio del 4 per cento, che equivale a dieci annualità anticipate dell’imposta ordinaria, praticamente viene a frustrare quel correttivo che allora si era consentito per quanto riguarda gli Enti di assistenza; e la nuova imposizione cade, per gli Enti di assistenza, nel momento peggiore, perché ognuno sa come il blocco degli affitti abbia notevolmente diminuito i loro redditi e come l’inflazione abbia notevolmente aumentato le loro spese, costringendoli ancora oggi ad erogazioni che sono presso a poco quelle di un tempo e che quindi sono irrisorie in confronto ai bisogni cui devono provvedere.

Comunque, di fronte a questa situazione non vi è se non un rimedio che possa essere efficace, quello dell’esonero di questi enti dall’obbligo dell’imposizione.

Ora è vero – lo abbiamo sentito ripetere qui e giustamente – che bisogna andare molto cauti nelle esenzioni, ma bisogna tener presente che nella specie la questione viene proposta per enti che non svolgono alcuna attività economica, che non hanno beni se non provenienti prevalentemente da donazioni e che devolvono il reddito al fine di alleviare le miserie e le tribolazioni così gravi nel nostro Paese.

Questi enti sono nell’impossibilità di pagare il tributo. Io ho ricevuto da più parti segnalazioni di questo genere, gravi e preoccupanti. Vi accenno all’Ente di Cremona, per esempio, il quale si trova di colpo a dover pagare 7 milioni, mentre non ha in cassa neppure un centesimo disponibile. Quindi, vende i suoi immobili, o deve procurarsi il denaro con un onere che alla fine va a ricadere sullo Stato che sovvenziona questi Enti.

Giustamente, dunque, questi Enti sono tutti in allarme, e hanno votato nella loro Associazione un ordine del giorno che è veramente un grido di preoccupazione e che l’Assemblea non può non tener presente nella determinazione, su questo punto, delle sue decisioni.

In quell’ordine del giorno si afferma come anche dal punto di vista morale sarebbe iniquo chiamare le classi povere a compiere intollerabili sacrifici, mentre gli abbienti non sono stati ancora colpiti con adeguati pesi tributari; si dichiara che ove lo Stato mantenesse questo tributo, le istituzioni di beneficenza ed assistenza sarebbero costrette non solo a sospendere la loro attività assistenziale, ma altresì ad alienare parte dei propri beni patrimoniali; e si chiede che in siffatta situazione, per evitare gravi e dolorose ripercussioni nei confronti delle classi povere di tutte le Regioni italiane, il Governo voglia accordare la riduzione dei tributi a favore degli enti comunali di assistenza e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.

Resta qui la sola preoccupazione del danno che le finanze dello Stato ne potrebbero subire. Ma a questa obiezione è facilissimo rispondere che non solo non vi sarà danno per le finanze dello Stato se lo Stato accorderà l’esenzione, ma se lo Stato non dovesse concederla dovrà in ogni caso rimborsare agli enti denari che essi pagheranno a questo scopo, perché evidentemente non da altre parti essi potrebbero attingere i mezzi; e lo Stato pagherà allora una somma maggiore, perché dovrà rimborsare il maggior onere degli interessi e dei premi pagati per sodisfare l’imposta, e – di più – il rimborso si verificherebbe con disturbo per tutto il sistema, già tanto disgraziato ed imperfetto, dell’assistenza sociale, quale vige nel nostro Paese.

È chiaro, dunque, che per le finanze dello Stato non esistono motivi di preoccupazione ed è certo altresì che – nell’interesse delle classi disagiate del nostro Paese – il Ministero non deve avere nessuna difficoltà a stabilire che, anche per quanto concerne l’imposta proporzionale, venga riconfermato quanto fu stabilito già per l’imposta progressiva.

A questo scopo presenterò il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Corsi, D’Aragona, Tremelloni, Preti:

Art. 68-bis.

«Sono esenti dall’imposta i patrimoni mobiliari ed immobiliari delle Istituzioni pubbliche di assistenza, compresi gli Enti comunali di assistenza (e Opere pie dipendenti) che fruiscono di contributi permanenti dello Stato».

La definizione degli enti è, in questa formulazione, così precisa che non si teme di creare un precedente che possa giustificare pretese od esigenze da parte di altri enti similari.

Sono certo che questo emendamento sarà accettato dal Ministro e dal Relatore e che sarà votato dall’Assemblea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Foa. Poiché non è presente, si intende che vi abbia rinunciato.

È iscritto a parlare l’onorevole Bonomi Paolo. Poiché non è presente, si intende che vi abbia rinunciato.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

La seduta termina alle 12.25.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXVIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Riccio                                                                                                               

Russo Perez                                                                                                      

Presidente                                                                                                        

Sull’elezione del Capo dello Stato:

Presidente                                                                                                        

Sul disastro di Porto Santo Stefano:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Codignola                                                                                                        

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Lussu                                                                                                                

Tosato                                                                                                              

Selvaggi                                                                                                           

Targetti                                                                                                           

Lami Starnuti                                                                                                  

Nobile                                                                                                               

Fabbri                                                                                                               

Persico                                                                                                             

Bernini                                                                                                              

Preti                                                                                                                 

Bozzi                                                                                                                 

Zotta                                                                                                                

Mortati

Caroleo                                                                                                            

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

Sui lavori dell’Assemblea:

Lussu                                                                                                                

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

MAZZA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

RICCIO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RICCIO. Ieri, durante la discussione sugli incidenti di Napoli del 22 giugno, volutamente rimasi fuori dell’Aula, perché mi ero imposto un silenzio che in nessun caso avrei voluto rompere. Senonché, la lettura del processo verbale mi ha indotto a dire una parola di precisazione, che vuole essere anche una parola di fede e di indignazione insieme.

E dovrò, prima di tutto, da questo banco, ringraziare l’onorevole Amendola, per la solidarietà mostratami subito per mezzo di una telefonata. E voglio assicurarlo che, nel momento in cui ricevevo la sua telefonata, non dubitai menomamente della sua lealtà, perché davanti agli occhi miei comparve la figura sanguinante di Giovanni Amendola, e non potevo pensare che il figlio di una eroica vittima della violenza non fosse sincero nel deplorare qualunque violenza, da qualunque parte venisse. Ma oggi posso avere un sospetto: c’è stata di mezzo una testimonianza, la testimonianza del professor Jannelli e, forse, questa testimonianza, oltre che la passione di partito, ha indotto l’onorevole Amendola ad una affermazione inesatta. La macchina c’era; nel cortile, anzi, ce n’erano due di macchine. Tutte e due erano ferme, perché in una macchina ero io con mia moglie e in un’altra i cinque bambini; e tutti dovevamo andare a Grumo Nevano per una cresima. Quelle macchine si potevano incontrare con il corteo soltanto se questo avesse avuto l’itinerario prestabilito di non sfilare soltanto per via Roma, ma, arrivato all’altezza di via Roma 148, di girare nel portone, traversare il cortile e salire le scale. Ed è per questo che le due macchine si incontrarono con parte del corteo nel cortile. Le macchine erano e rimasero ferme; io scesi dalla macchina soltanto quando la signora Notarianni gridò «Viva De Gasperi!». Quando scesi fui circondato e fui invitato a gridare: «Abbasso De Gasperi!».

Compii il mio dovere e gridai «Viva De Gasperi!».

Avvenne la colluttazione. La tabella del nostro partito fu portata via. Riuscimmo a fermare gli aggressori avanti le scale. Venne la pubblica sicurezza e l’incidente finì. Gli aggressori erano con fazzoletto rosso, avevano dei bracciali con la scritta «servizio d’ordine» e portavano nervi di bue. Ha sbagliato ieri l’onorevole Rodinò a parlare di squadre? Ha ragione l’onorevole Amendola, perché sul bracciale vi era scritto: «Servizio d’ordine» e non «Squadra d’ordine». Il servizio era, però, esplicato dalle squadre. E le squadre c’erano e ci sono, onde ha ragione Rodinò per la sostanza. Ma gli amici comunisti giuocano sempre… sulla forma.

Dunque, le macchine vi erano ed erano ferme; nessun tentativo di attraversare il corteo fu fatto. Oltre che le macchine, vi erano dei bambini; e neppure i bambini fermarono l’ira di quelli che ci colpivano.

Ecco la prima precisazione.

E voglio, per l’affetto che ho verso l’onorevole Amendola – col quale abbiamo molto lavorato insieme – voglio dirgli che è stato veramente incauto a citare Jannelli, perché il professor Jannelli è noto a Napoli non soltanto perché fu un fascista, parente di un Sottosegretario di Stato fascista, ma soprattutto perché ebbe un processo, un gravissimo processo a proposito del trapianto di un organo umano.

Ed è conosciuto soltanto per questo, non essendo ancora noto che egli non è solo il cittadino, proveniente dalla provincia di Salerno, ma forse anche il compagno.

Credo che per queste ragioni egli ha affermato cosa che non doveva affermare, perché non l’ha potuta vedere, salvo che con quella fantasia, alla quale si è richiamato l’onorevole Amendola.

E passo alla seconda precisazione.

L’onorevole Amendola, forse perché discepolo di Jannelli, a sua volta discepolo di Voronoff, in un momento di giovanile rinvigorimento dell’ingegno, ha scoperto una cosa che non aveva scoperto in tanti anni: cioè che io sono uno spirito fazioso.

Io voglio ricordare – e mi si perdoni – più cose. Nel gennaio 1944 abbiamo lungamente discusso per il patto di unità sindacale ed io ho trattato con comunisti e socialisti e il patto di Napoli nacque, con la mia collaborazione; non ero allora fazioso, dunque. Ho lavorato nei sindacati con socialisti e comunisti. L’anno scorso fui eletto all’unanimità, quindi anche coi voti dei comunisti e dei socialisti, segretario della Federazione della scuola; non ero, dunque fazioso. (Interruzioni a sinistra). Ho lavorato per i lavoratori ed abbiamo stipulato contratti collettivi di lavoro con i comunisti: è da ricordare, soprattutto, il contratto integrativo per i dipendenti delle aziende elettriche; non ero fazioso, neppure quando si verificarono, dopo il 2 giugno 1946, i fatti di via Medina; fu proprio l’onorevole Amendola ad invitare me e Rodinò a recarci sul posto, come osservatori obiettivi. Egli evidentemente non mi riteneva un fazioso.

Sono noto a Napoli – ha detto l’onorevole Amendola – per la mia faziosità; eppure, in quattro anni di vita attiva politica, non un attacco mai mi è venuto da parte dei comunisti e dei socialisti, né in privato, né sulla stampa, né in contradittorio.

Oggi le lesioni che ho riportato mi hanno reso anche fazioso! Volevano i comunisti forse che noi avessimo taciuto? O vuole l’onorevole Amendola che io smetta la mia democratica lotta politica?

Fazioso perché – ha detto l’onorevole Amendola – avrei dato nientemeno mano ad una campagna calunniosa contro il partito comunista per i bambini che andavano nella Emilia. Io non so che cosa significhi dar mano ad una campagna calunniosa. Io ho detto, e ripeto in quest’Aula – e finché vi sarà libertà di parola si ha il dovere di critica – che il modo migliore per assistere i bambini non è quello di strapparli alle loro madri portandoli lontani, ma di aiutarli sul posto. Questo sì ho detto e lo ripeto… (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

RICCIO. …perché penso che il diritto ed il sentimento di una mamma misera vadano rispettati e non infranti.

E poi vi sarebbe un’altra ragione, che cioè a Bosco Trecase avrei detto in un comizio che i comunisti avevano usato violenza.

È avvenuto soltanto questo. Una sera avevo tenuto un comizio a Bosco Trecase. Il Ministro Merlin che aveva parlato a Torre Annunziata, venne a prendermi con la macchina. Ed io, a comizio chiuso, andai via con lui. Avvenne allora che, più tardi, si presentarono dei comunisti per chiedere il contradittorio con me che non c’ero più e fu detto da loro che io ero fuggito. Fui informato dell’accaduto e mi premurai di tornare il sabato successivo, invitando i comunisti a ripresentarsi. Ma essi invece non vennero. Io non sono fazioso per questo! È evidente che la colpa non fu mia; al più dei compagni dell’onorevole Amendola, che volevano creare un equivoco in un paese e farmi passare per fuggitivo. Strano destino il mio; per Jannelli sarei stato così temerario da voler traversare il corteo comunista, per quelli di Bosco Trecase sarei fuggito. Ma mi conforto al pensiero che l’onorevole Amendola ha fatto e disfatto a suo modo, come meglio gli sembrava.

E se l’onorevole Amendola ha fatto queste affermazioni, posso concludere che di fazioso in me non vi è niente e che, se c’è faziosità, non è certamente da questa parte, non è certamente da questi banchi, non è certamente da parte mia.

Ma voglio terminare come ho incominciato; voglio cioè ringraziare ancora l’onorevole Amendola che mi ha costretto a parlare, perché soltanto così ho avuto l’occasione di compiere il gradito dovere di inviare da questi banchi un saluto agli altri quattro amici, di cui tre lavoratori del braccio ed uno del pensiero, che rimasero feriti con me.

Vada a loro il mio ed il vostro saluto.

Anche a nome loro, voglio dire in questa Aula che le nostre lesioni noi saremo lieti di dimenticarle, purché in Italia non siano ulteriormente offese la libertà e la democrazia. Se ogni faziosità sarà superata e ritorneranno la concordia e il rispetto reciproco, elementi fondamentali in una convivenza di uomini, noi benediremo, lieti, anche il piccolo sacrificio che siamo stati costretti a fare, come certamente Giovanni Amendola fu lieto di offrire la vita per la causa della libertà. (Applausi al centro e a destra).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Ieri mi è stato impossibile svolgere la mia interrogazione per un intervento che io ritengo intempestivo da parte dell’onorevole Vicepresidente Targetti. Quando ho citato il precedente – uno dei tanti – dell’onorevole Scoccimarro, il quale, svolgendo una sua interrogazione in materia similare, parlò per quaranta minuti, io non ebbi l’intenzione di criticare l’operato del Presidente Terracini, che quel lungo discorso aveva autorizzato; ma volli invece indicarlo all’onorevole Targetti quale esempio intelligente e garbato da seguire, nel momento in cui ebbi la sensazione che il funzionante Presidente fosse per servirsi del Regolamento come di un bavaglio, anziché di una guida.

Mi ribellavo quindi a quello che era, secondo me, un intempestivo e poco opportuno intervento presidenziale, giacché avevo appena pronunciato poche parole, ricordando la gravità dei fatti accaduti a Palermo ed in altre città d’Italia, quando mi sentii richiamare al tema e alla brevità. Credo che nessuno qui riconosca al Vicepresidente Targetti tali doti speciali d’intelligenza divinatoria per cui, dalle poche parole dette e perfettamente aderenti al tema, egli fosse in grado di prevedere che più tardi ne sarei uscito.

Quanto alla mia dichiarazione che in pochi minuti non avrei potuto assolvere il mio compito, l’onorevole Targetti, invece di ricordarmi che egli non era il Presidente Terracini, ma era il Vicepresidente Targetti (cosa di cui ci eravamo di già accorti e di cui ci saremmo accorti anche con gli occhi chiusi), egli avrebbe potuto fare quel che voi sempre avete fatto. Avrebbe dovuto, cioè, ricordarsi che questo è un Parlamento e non un collegio e che, quindi, occorre interpretare il Regolamento con tatto, con garbo, con misura; avrebbe potuto farmi, se mai, una cortese raccomandazione, e aspettare poi che io avessi veramente violato il Regolamento per richiamarmi all’ordine; e ciò sarebbe stato anche più doveroso, date le tendenze opposte dei partiti cui apparteniamo.

Ecco perché ho protestato ieri e protesto oggi; non per me, ma per la dignità dell’Assemblea, che a tali metodi non era stata abituata da voi, onorevole Terracini, che pure non siete un tiepido custode del Regolamento.

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, non per intervenire in una questione che l’onorevole Targetti ha certamente risolto nella pienezza dei poteri di cui disponeva e col suo buon senso e coll’equilibrio che tutti noi gli conosciamo, ma penso che forse, con l’avere rinunciato a parlare ieri, quanto meno per il breve tempo che il Regolamento le avrebbe concesso, con ciò stesso lei ha spuntato tutte le armi della critica e della protesta, che invece in questo momento lei vuole ancora impugnare. Parlando avrebbe potuto dimostrare all’onorevole Targetti che ella stava nella materia o per lo meno avrebbe esaurito il tema che tanto a cuore stava a lei e che l’onorevole Targetti non voleva già che non fosse sviluppato, ma soltanto voleva che fosse contenuto nei limiti del Regolamento che egli doveva far osservare.

Tanto ho voluto dire perché non potesse apparire che l’onorevole Targetti, esercitando anche a nome mio la funzione di Presidenza in questa Assemblea, possa avere veramente mancato a quello che è dovere del Presidente, cioè far osservare il Regolamento e poi, in via discrezionale, ammettere che qualche volta a questo Regolamento indulgentemente si possa mancare.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi permetto di farle osservare che io avevo parlato solo pochi secondi. Avevo appena fatto cenno ai gravissimi fatti accaduti in Sicilia, a Cremona ed a Venezia, quando è venuta l’interruzione del Presidente. Quindi io ero nel tema. Avevo parlato solo da trenta secondi e ritengo che l’onorevole Targetti avrebbe potuto e dovuto aspettare.

Mantengo, pertanto, la mia protesta.

PRESIDENTE. Se lei avesse parlato nei cinque minuti che nessuno le avrebbe contestato, ognuno si sarebbe accorto che lei era nell’ambito dei suoi diritti ed implicitamente l’onorevole Targetti avrebbe avuto la dimostrazione che il suo intervento non era andato al dì là della norma regolamentare.

Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.

(È approvato).

Sull’elezione del Capo dello Stato.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea il seguente telegramma inviato da Milano dagli onorevoli De Unterrichter, Jervolino Maria e Angelo Raffaele Jervolino:

«Ritornati Italia dal Congresso internazionale ferrovie, preghiamola annoverare anche nostro voto plebiscitaria rielezione Capo Stato».

Sul disastro di Porto Santo Stefano.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Onorevoli colleghi, ritengo doveroso dare all’Assemblea comunicazione ufficiale del luttuoso avvenimento di stamane a Porto Santo Stefano, di cui hanno dato notizia sommaria i giornali. Per lo sgombero di Pantelleria imposto dalle clausole del Trattato di pace, è in funzione fin dalla metà del 1946 una Commissione di esperti per decidere circa il ricupero dei materiali bellici. Tale Commissione aveva avuto disposizioni di ricuperare solo quel munizionamento che desse assoluta garanzia di conservazione e che risultasse veramente utile alle Forze armate.

La nave Panigaglia era partita da Pantelleria il mattino del 21 giugno ultimo scorso con un carico di 330 tonnellate di munizionamento dell’Esercito, destinato ai depositi munizioni di Pozzarello. Essa era giunta a Porto Santo Stefano alle ore 13 del 26, dopo aver toccato Trapani.

La prima notizia dell’incidente si è avuta alle ore 11,10 di stamane dal semaforo di Monte Argentario, che dava notizia di una forte esplosione verificatasi nella rada di Santa Liberata, dove era alla fonda il Panigaglia.

Detta rada, distante circa 4 chilometri da Porto Santo Stefano, era stata appositamente scelta per le operazioni di scarico per tutelare la sicurezza della popolazione di Porto Santo Stefano.

Successive notizie confermavano purtroppo che durante le operazioni di scarico, per cause non ancora precisate, si era manifestata una violenta esplosione, che provocava la perdita della nave e la morte di 55 membri dell’equipaggio, di 12 operai civili e del maresciallo della sezione staccata di artiglieria di Grosseto, adibiti allo scarico.

Il Panigaglia era una nave trasporto munizioni della Marina militare, varata nel 1923, di 643 tonnellate di dislocamento, con 3 ufficiali e 61 marinai. Il Panigaglia aveva completato recentemente i grandi lavori ed aveva in perfetto ordine tutte le attrezzature necessarie al trasporto di munizioni.

Si sono immediatamente recati sul posto, per dirigere le operazioni di assistenza, il comandante in capo del dipartimento militare marittimo di La Spezia, ammiraglio Vietina, ed il sottocapo di Stato Maggiore della Marina militare ammiraglio Pecori con due capitani di vascello dipendenti. Sono subito stati inviati da Livorno e da Roma mezzi di soccorso. In particolare da Roma sono partite complessivamente sedici autoambulanze con medici e alcuni camion con materiale sanitario delle tre Forze armate. Un aereo di soccorso si è recato sul posto da Vigna di Valle.

È stata disposta una inchiesta intesa ad accertare le cause determinanti del gravissimo incidente e le eventuali responsabilità.

Il prefetto di Grosseto è sul luogo per recare i primi soccorsi alle famiglie.

Un quarto d’ora fa ho ricevuto un telegramma, che lascia un raggio di speranza per qualcuno che in un primo tempo era considerato vittima.

Il telegramma dice: «Stamane ore 11 nave Panigaglia saltato in aria rada Santa Liberata per esplosione oltre tonnellate 300 munizioni. Inviati soccorsi terra et mare sotto direzione questo Circomare ricuperati fino at questo momento quattro cadaveri. Su spezzone estrema poppa affiorante in basso fondale avvertito presenzi personale vivo; corso operazione perforazione lamiera fiamma ossidrica per estrazione con probabilità successo. Mezzi idonei per assistenza sono sul posto; altri speciali mezzi di soccorso non ritengonsi necessari. Comunicasi nome personale salvo perché a terra per servizio: tenente vascello comandante Agostino Armato; sergente radiotelegrafista Tavazzano Bruno; sottocapo furiere Coletta Mario; marinaio Costantino Giovanni; infermiere Burro Aldo. Con Panigaglia saltato barcone società Montecatini addetto discarico; capo barca Loffredo Armando unico a bordo scomparso. Circomare Porto Santo Stefano 141001».

Onorevoli colleghi, comunicando all’Assemblea questa luttuosa notizia, mentre assicuro che il Governo farà tutto il possibile per soccorrere le famiglie e assodare le responsabilità, sono certo di interpretare il pensiero del Governo e il sentimento unanime dell’Assemblea, interprete a sua volta del Paese, inviando un pensiero commosso ai marinai, al personale dell’Esercito e agli operai vittime del loro dovere ed esprimendo le nostre sincere condoglianze alle famiglie, alla Marina, all’Esercito per tanta iattura.

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l’Assemblea e il pubblico delle tribune). L’Assemblea esprime, attraverso la mia voce, il suo profondo cordoglio per l’immane disastro, che, gettando nel lutto tante famiglie italiane, ferisce profondamente anche il nostro cuore.

Vi sono, dunque, ancora dei morti sulla via dolorosa, che il nostro popolo deve percorrere per riuscire alla sua salvezza.

Esprimo l’auspicio, anche in nome vostro, onorevoli colleghi, che il loro martirio valga almeno a cementare sempre più saldamente le nostre forze, di noi che siamo vivi, per lavorare e per costruire. (Segni di generale assenso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Ricordo che, approvato l’articolo 108, dobbiamo passare all’esame di alcuni articoli aggiuntivi.

Il primo è quello dell’onorevole Codignola:

Art. 108-bis.

«La Repubblica garantisce il pieno e libero sviluppo, nell’ambito della Costituzione, delle minoranze etniche e linguistiche esistenti sul territorio dello Stato.

«Gli enti autonomi regionali non possono, sotto nessuna forma, limitare o modificare i diritti fondamentali del cittadino sanciti dalla presente Costituzione, né emanare norme con essa in contrasto».

L’onorevole Codignola ha facoltà di svolgerlo.

CODIGNOLA. Questo mio emendamento era collegato ad altri due emendamenti da me proposti agli articoli 108 e 123. Io avevo proposto che l’articolo 108, il quale prevedeva alcuni statuti speciali – precisamente per la Sicilia, la Sardegna, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta – fosse soppresso, e che fosse modificato l’articolo 123 nel senso che gli Statuti già emanati per la Sicilia, la Sardegna e la Valle d’Aosta dovessero essere coordinati con le disposizioni della presente Costituzione.

Ritenevo e ritengo tuttora che il sistema di adottare degli statuti speciali per alcune Regioni italiane sia un sistema sotto molti aspetti criticabile e discutibile.

Comunque, senza entrare nel merito della questione, ricordo che, allo stato attuale, tre soli statuti di carattere particolare erano già stati emessi: quelli per la Sicilia, per la Sardegna, per la Valle d’Aosta, mentre era in discussione lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.

Ora, ragioni del tutto particolari militavano per una conferma degli statuti speciali per la Sicilia e la Sardegna, pur entro certi limiti, e purché coordinati con le disposizioni generali della Costituzione.

Per quanto riguarda l’autonomia della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, le esigenze effettive potevano in realtà riassumersi nella necessità che, in sede costituzionale, venissero garantite certe minoranze etniche e linguistiche, esistenti ai confini dello Stato.

Non vi erano e non vi sono sufficienti giustificazioni per consentire speciali forme autonomistiche a codeste Regioni, quando si esca da quest’ambito limitato, cioè protezione delle minoranze etniche e linguistiche. Ciò è poi particolarmente vero per un’altra Regione, per il Friuli, in quanto, come forse non è noto alla maggioranza di voi, la grande maggioranza della popolazione interessata si è sempre espressa in modo esplicito, attraverso ordini del giorno dei maggiori enti ed associazioni della Regione, contro la concessione di una autonomia speciale. Ho davanti, fra gli altri, un ordine del giorno dell’Associazione combattenti e reduci, un ordine del giorno dello stesso Comitato per l’autonomia friulana, un terzo ordine del giorno dell’Amministrazione provinciale di Udine. Essi dicono tutti la stessa cosa: si respinge nettamente la possibilità che al Friuli si dia una autonomia speciale. E le ragioni sono evidenti.

A giudizio di questi nostri concittadini, la concessione di una autonomia speciale per il Friuli non soltanto non è affatto giustificata dalle condizioni di vita della Regione, ma potrebbe anzi creare artificiosamente una situazione internazionalmente pericolosa, potrebbe creare dei fermenti di irredentismo, che in quella zona tanto delicata dei nostri confini è opportuno evitare.

La medesima cosa si potrebbe ripetere per il Trentino-Alto Adige, dove l’unificazione di queste due Regioni sotto un’unica denominazione è, a mio giudizio, un errore che potrebbe avere conseguenze molto serie, poiché, come mi riservo poi di dimostrare in altra sede, il problema dell’Alto Adige è evidentemente legato a un problema di minoranza etnica ed a un problema di rapporti internazionali; ma il problema del Trentino è tutt’altra cosa. Il Trentino, è vero, ha un’antica aspirazione autonomistica, è cioè una di quelle Regioni italiane che sente più vivamente e tradizionalmente l’esigenza dell’autonomia, ma si tratta di un problema completamente diverso da quello dell’Alto Adige, su un piano prettamente distinto, tanto vero che molti cittadini trentini, e ricordo fra di essi anche il nome di un nostro collega recentemente scomparso, Battisti, si mostrarono sempre seriamente preoccupati che si potesse confondere il problema dell’autonomia col problema dell’Alto Adige, rinnegando, in certo senso, quella tradizione, d’italianità che ai trentini sta tanto a cuore; e che si portasse il problema sullo stesso piano dell’Alto Adige, dove la questione si presenta interamente diversa, dove dolorosamente esiste un problema di convivenza fra i molti cittadini italiani immigrati nell’Alto Adige in seguito agli accordi del 1938-39 e gli allogeni rimasti sul luogo.

Ora, in vista di tutto questo, io ritenevo che l’Assemblea avrebbe dovuto, nell’esaminare l’articolo 108, non prendere impegni nuovi a proposito di autonomie speciali. Esistevano già tre impegni molto gravosi: erano quelli della Sicilia, della Sardegna e della Valle d’Aosta. Questi tre Statuti in alcune parti erano incompatibili, indubbiamente incompatibili (è un regionalista che vi parla), con il principio di unità dello Stato: e ricordo che l’onorevole Einaudi indicò alcuni aspetti particolarmente caratteristici di questa incompatibilità. Bisognava quindi limitarsi per il momento a fare un rinvio a questi Statuti, discutendo poi codesti casi di incompatibilità in sede di coordinamento. Ma ci si sarebbe dovuti astenere rigorosamente dall’introdurre nuovi casi di autonomie speciali, aggiungendo all’errore del passato nuovi errori irreparabili, o almeno difficilmente riparabili, perché concernenti materia costituzionale.

Io quindi proponevo che lasciando immutata la situazione esistente, la Costituzione si limitasse ad una affermazione di garanzia delle minoranze etniche e linguistiche, minoranze quasi esclusivamente di confine, residenti cioè su territori mistilingue, sia italo-francesi, sia italo-slavi, sia italo-austriaci, ed in misura minore anche all’interno del Paese, come nel caso delle piccole comunità albanesi, greche e catalane esistenti nel Mezzogiorno d’Italia e in Sardegna.

Invece, con mia meraviglia, e devo dire con. risultati che io temo molto gravi, con risultati che sono stati già denunciati dall’onorevole Nitti, ed io mi associo a quanto egli ha detto, noi ci siamo visti piovere sul capo, da un momento all’altro una autonomia speciale per il Friuli. Come sapete, era ancora in discussione se il Friuli dovesse essere una Regione. Voi sapete che nello stesso Friuli vi sono alcune zone favorevoli all’autonomia friulana, ed altre contrarie. Comunque, era un problema vasto e complesso, che andava attentamente e seriamente studiato. Nessuno, poi, aveva posto un problema di autonomia speciale. Ripeto ancora una volta: le popolazioni interessate si erano manifestate contro questa eventualità, e a distanza di un solo giorno dalle nostre deliberazioni è già arrivato un telegramma di protesta del Comitato di liberazione nazionale di Gorizia, che dice testualmente: «Gorizia allarmata eleva alta protesta contro imposizione statuto regionale Friuli-Venezia Giulia contrastante aspirazioni et tradizioni nazionali popolazione esige riesame problema spirito democratico previa consultazione popolare et ampia pubblica non affrettata discussione».

FANTONI. Ma se abbiamo ormai approvato l’articolo 108, lo discutiamo adesso di nuovo?

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola non ha ancora proposto di annullare ciò che abbiamo deciso. Se l’onorevole Codignola facesse una tale proposta, lo avrei richiamato all’argomento.

FANTONI. Ma perdiamo tempo inutilmente.

PRESIDENTE. Continui, onorevole Codignola.

CODIGNOLA. Quando c’è una esplicita protesta delle popolazioni interessate, credo che sia dovere della Costituente di prendere in considerazione questo problema.

Ho fatto queste premesse non già per rimettere questo problema in discussione. Io ho parlato per precisare le ragioni, direi, organiche, dell’emendamento 108-bis, coordinato con altri miei precedenti emendamenti.

Il medesimo emendamento contiene poi un capoverso che si preoccupa di limitare le possibili conseguenze dell’estensione delle autonomie e soprattutto delle autonomie speciali, con una esplicita dichiarazione di salvaguardia delle libertà del cittadino. Ora, nonostante che l’articolo 108 sia stato approvato come è stato approvato, io mi permetto insistere sull’articolo 108-bis, in vista di una situazione particolare che a molti è sfuggita in questa Assemblea, la situazione cioè dell’Alto Pinerolese, di quella zona comunemente denominata delle Valli Valdesi, ma che è in realtà assai più vasta delle Valli Valdesi. Questo problema è stato discusso in sede di lavori preparatori, e si riconobbe allora che fra le Regioni mistilingue vi erano, oltre la Valle d’Aosta, oltre il settore Trentino-Alto Adige, oltre il settore del confine Giulio, anche le Valli Valdesi. Indubbiamente la posizione di queste valli è sotto molti aspetti diversa da quella della Val d’Aosta, ma da parte degli abitanti di queste valli non si è mai chiesto uno statuto autonomistico di tipo speciale, si era chiesto soltanto, a suo tempo, il riconoscimento della condizione particolare di «zona mistilingue». Voi sapete che questo territorio, che comprende 17 Comuni e che è costituito dalle vallate della Luserna, del Pellice, della Germanasca e del Chisone, ha una tradizione storica e culturale sua propria. Codeste valli hanno delle esigenze particolari, sia per quanto riguarda la difesa linguistica, sia per quanto riguarda la stampa e la scuola. Esse hanno inoltre esigenze particolari, per quanto riguarda i rapporti di emigrazione con la Francia e particolarmente col vicino Delfinato, e problemi d’istituzione e d’incoraggiamento di enti locali, educativi e assistenziali. Si tratta di una serie di problemi che vanno seriamente presi in considerazione.

Indubbiamente, per le stesse ragioni per cui ho criticato poco fa le autonomie speciali concesse, per così dire, con una certa frettolosità ad alcune Regioni, io non posso ora chiedere coerentemente che si conceda una autonomia speciale anche alle Valli Valdesi, sebbene, dato che si è ormai seguita questa strada, che io ritengo dannosa e pericolosa per l’ordinamento dello Stato, si potrebbe richiedere il medesimo trattamento anche per queste Valli. Io penso tuttavia che queste difficoltà, di carattere per così dire procedurale, si possano superare votando ora questo articolo 108-bis, che mira a garantire le minoranze etniche e linguistiche. Questo articolo costituirebbe di fatti una garanzia di protezione per tutte queste popolazioni delle Valli Valdesi, e inoltre potrebbe costituire una garanzia anche per altre popolazioni, di minore importanza, disperse sul territorio dello Stato, ma che potrebbero reclamare domani delle garanzie soprattutto di carattere linguistico.

Vi ricordo che gli abitanti delle Valli Valdesi hanno fatto il loro dovere di cittadini italiani resistendo fino alla fine all’oppressione. Vi ricordo che ancora in periodo clandestino, il 19 dicembre 1943, ebbe luogo un incontro a Chivasso tra i rappresentanti delle popolazioni alpine, e precisamente tra i rappresentanti della Val d’Aosta e quelli delle Valli Valdesi. In tale incontro, queste popolazioni riconobbero insieme di avere le medesime esigenze di carattere autonomistico, ed insieme esse furono protagoniste, tra le prime, della resistenza.

Ora io so che, in seguito alla votazione sull’articolo 108, è sorto in queste popolazioni di confine un senso di viva delusione verso i lavori della nostra Assemblea, si è creato un forte disagio nel constatare che, mentre il problema delle Valli Valdesi, che da tempo era stato posto sotto i nostri occhi, non era stato preso in considerazione e si era invece esaminato un problema che non era stato posto neppure dalle popolazioni interessate. (Commenti al centro). Vi pregherei quindi di voler considerare seriamente questo problema. Le popolazioni di confine possiedono una sensibilità nazionale ed internazionale tutta particolare, e credo che noi dobbiamo dar atto a queste popolazioni, così profondamente italiane e così utili, come anello di congiunzione culturale, spirituale ed economica con la Svizzera e soprattutto con la Francia, del sentimento di fraternità che ci anima verso di loro, e dare ad esse una garanzia che è elemento fondamentale di ogni Costituzione moderna.

Insisto anche sul secondo comma dell’emendamento, in quanto penso che tutte le precauzioni – come dirò trattando di un altro emendamento – debbano essere prese, perché l’esperimento dell’autonomia regionale non si trasformi in pericolo. Chi è persuaso della opportunità di questa riforma è pieno anche di preoccupazioni per la possibilità che essa, nella sua attuazione, possa dar luogo a gravi inconvenienti. Per questa ragione ritengo opportuno formulare una dichiarazione che garantisca, nei rispetti dell’ordinamento regionale, il mantenimento delle libertà fondamentali garantite ai cittadini dalla Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini, ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Codignola comprenderà perché io, a nome del Comitato, non posso rispondere a quanto egli ha detto relativamente all’emendamento dell’articolo 108; emendamento che si deve ritenere superato, essendo stato l’articolo 108 approvato in una determinata forma dall’Assemblea. Posso soltanto parlare del nuovo articolo 108-bis che l’onorevole Codignola ha proposto. Il Comitato ne apprezza lo spirito, ma non può accettarlo, ritenendo che il suo contenuto sia già affermato in altri punti della Costituzione. Nel primo comma dell’articolo proposto si garantisce lo sviluppo delle minoranze etniche e linguistiche. Ora, vi è già nell’articolo 2 delle dichiarazioni generali della Costituzione, il principio di eguaglianza di tutti i cittadini, indipendentemente dalla razza e dalla lingua. Altre garanzie in questo senso di una perfetta parità fra gli italiani vi sono in tutta la Costituzione. Una speciale disposizione per le minoranze etnico-linguistiche – né ben si comprende il concetto di minoranza – non sembra indispensabile, potendo rientrare nel concetto generale.

Nel secondo comma dell’articolo 108-bis dell’onorevole Codignola si afferma il principio che gli enti autonomi regionali non possono limitare o modificare i diritti fondamentali del cittadino sanciti dalla Costituzione. Ma neppure lo Stato può con legge sua modificare i principî che sono stabiliti nella Costituzione. Se noi andassimo ad affermare questo principio solo in un determinato caso, per l’azione e le leggi della Regione, verremmo a gettare nel turbamento e nell’incertezza la salda struttura del nostro edificio costituzionale. Esiste in esso una gerarchia di norme. Vi sono dei diritti perfino superiori alla Costituzione che non si possono violare. Vi sono poi principî e diritti sanciti nella Costituzione, che le leggi dello Stato non possono violare. Stiamo ora dando vita o norme alla Regione, aventi valore legislativo, che non possono violare i principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Il Comitato non può ammettere un articolo che sposti ed alteri questa gerarchia e crede che il contenuto e lo spirito della proposta Codignola sia pienamente garantito dal complesso della Costituzione.

L’onorevole Codignola ha accennato ad un motivo particolare, che noi avevamo già preso in considerazione: quello delle Valli Valdesi. Per queste Valli non c’è un problema di autonomia speciale come per altre zone alle quali si è data una struttura particolare con funzioni e poteri maggiori che in altre Regioni. Le Valli Valdesi non chieggono tale trattamento. Ciò che chieggono risulta da un memorandum e da altri elementi, trasmessi all’Assemblea da un gruppo di deputati, fra i quali c’è anche l’onorevole Codignola. Le Valli Valdesi aspirano ad avere soltanto una garanzia linguistica, nel senso di aver scuole speciali, il che si traduce in criterio comune per tutti i cittadini che parlano una lingua diversa dall’italiano.

Noi dubitiamo che ciò possa dar luogo ad una norma costituzionale. Alle esigenze indicate dall’onorevole Codignola si è in passato provveduto e si può provvedere più largamente con leggi ordinarie dello Stato. Si potrebbe, se si vuol accentuare questo punto, votare uno degli ordini del giorno, già fatti in altre occasioni, per affermare la necessità di emanare misure appropriate di trattamento ed insegnamento linguistico per le popolazioni che parlano altre lingue e che sono sparpagliate in tutto il territorio dello Stato. Una norma costituzionale propria non sembra necessaria; e ad ogni modo, dovrebbe essere formulata diversamente da quella formulata dall’onorevole Codignola.

Concludo: l’intento della proposta Codignola è perfettamente accolto e la sua disposizione è considerata già acquisita da altre norme dall’insieme della Costituzione. Per quanto riguarda il particolare problema, che non è di autonomia regionale, ma soltanto di scuole che possono essere senz’altro istituite, non occorre norma costituzionale, e si può, se del caso, votare un ordine del giorno.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Vorrei proporre il seguente emendamento all’articolo aggiuntivo dell’onorevole Codignola:

«Gli enti autonomi regionali non possono, sotto nessuna forma, limitare il pieno e libero sviluppo delle minoranze etniche e linguistiche esistenti nel territorio dello Stato».

Che cosa significa questa formula? Significa piena comprensione delle esigenze che hanno spinto il collega Codignola a presentare l’articolo aggiuntivo. Egli però ha generalizzato ed ha espresso un concetto che, se fosse accolto, sarebbe pleonastico, quando, nella prima parte, ha detto che: «La Repubblica garantisce il pieno sviluppo delle minoranze etniche e linguistiche», mentre il nostro concetto si richiama alla determinazione della Regione. Ed in questo senso l’emendamento ha un altro significato.

Noi comprendiamo le esigenze di quelle Regioni di confine alle quali il collega Codignola si è riferito; noi sentiamo perfettamente che entriamo in un problema estremamente delicato ed al quale dobbiamo essere particolarmente sensibili.

Dobbiamo far comprendere a quelle Regioni, che non hanno svolto nessuna attività particolare per ottenere statuti speciali, che il pensiero dell’Assemblea comprende perfettamente queste esigenze e cerca di risolverle. Mi pare che, a questo riguardo, il mio emendamento risolve tali esigenze.

Debbo inoltre aggiungere che, pur dissentendo dal modo formale con cui il collega Codignola ha espresso la sua sorpresa per quanto è stato fatto a proposito del Friuli con l’articolo 108, debbo dire che anch’io intendo manifestare la mia sorpresa.

Ne parlerò quando all’articolo 123 la questione potrà essere posta, e non voglio entrare in merito ora. Il mio concetto regionalistico, che si spinge dal punto di vista teorico ad una concezione federalistica dello Stato repubblicano, è ormai noto, e nessuno può mettere in dubbio questa fede che costantemente ha animato la mia azione politica.

Tuttavia mi sia consentito di affermare che un problema di questo genere non poteva essere risolto in sede di emendamento e con molta semplicità di discussione. Né la Sottocommissione per le autonomie ha toccato il problema, mentre dal punto di vista costituzionale avrebbe dovuto esaminarlo. Non lo ha affrontato, ed io ricordo ai colleghi della Commissione per la Costituzione che noi il problema, sotto questo aspetto, non l’abbiamo mai esaminato e non l’ha esaminato neppure la seconda Sottocommissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ci fu una proposta Fabbri.

LUSSU. Io non voglio entrare in merito, ma voglio dire che il problema doveva essere illustrato e discusso ampiamente. Ho studiato tutti i problemi del Friuli, ho seguito i lavori del Congresso veneto, anche nei dettagli; sono stato a Udine recentemente, ho parlato coi rappresentanti di tutti i partiti e non mi sono accorto che il problema fosse posto in questa forma.

E allora faccio appello perché i criteri fondamentali dell’organizzazione dello Stato siano discussi con serietà e con profondità; poiché questi problemi devono porre molto più in alto l’attività dell’Assemblea Costituente.

Credo che all’articolo 123 noi esamineremo questa questione: può darsi che l’Assemblea si esprima in senso sfavorevole. Io esprimo l’esigenza che questi problemi siano affrontati in una profonda discussione, prima di risolverli così affrettatamente.

PRESIDENTE. Onorevole Codignola, accetta la proposta dell’onorevole Lussu?

CODIGNOLA. Io preferirei mantenere il primo comma del mio emendamento, mentre potrei rinunciare al secondo, per le considerazioni, che mi paiono giuste, dell’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, mantiene il suo emendamento all’emendamento?

LUSSU. Non lo mantengo, ma voterò contro l’emendamento Codignola.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto che neppure lo Stato può offendere o minorare i diritti sanciti dalla Costituzione. Ripeto che si provvederà con leggi alle scuole speciali. Nel memorandum valdese è ricordata una legge del 1911, che aveva provveduto alle scuole per quelle valli; che cosa vieta di ripristinare e migliorare ciò che venne poi soppresso?

L’emendamento Lussu non avremmo potuto accettarlo per le ragioni che ha detto l’onorevole Codignola.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. L’emendamento Codignola solleva e investe due distinti problemi: quello della tutela delle minoranze etniche e linguistiche, e quello della subordinazione delle leggi regionali alla Costituzione dello Stato. Per quanto riguarda il problema della subordinazione della legislazione regionale alla Costituzione, mi pare che l’emendamento sia stato ritirato dallo stesso onorevole Codignola: è un problema, effettivamente, già risolto nel testo del Progetto, perché l’articolo 118 stabilisce esattamente il principio che le leggi regionali devono essere subordinate alla Costituzione e, quindi, devono sempre rispettare i diritti tutelati dalla Costituzione.

Per quanto riguarda la prima parte dell’emendamento Codignola, quello relativo alla tutela delle minoranze, esso rivela una lacuna della prima parte della Costituzione, perché si tratta di un problema generale della tutela delle minoranze etniche e linguistiche, che noi non abbiamo considerato.

L’emendamento Lussu voleva limitare l’emendamento Codignola alla tutela delle minoranze etniche e linguistiche nell’ambito di determinate Regioni. Ma è evidente che non si tratta di un problema regionale, ma di un problema di ordine generale.

Dati pertanto questi rilievi, io ritengo che sarebbe forse più opportuno che l’onorevole Codignola presentasse questo suo emendamento in un momento successivo, giacché ora stiamo discutendo intorno alle autonomie regionali, tema che evidentemente costituisce un argomento del tutto diverso. Per queste ragioni noi non possiamo adesso discutere l’emendamento proposto.

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, anch’io avverto quello che lei segnala, che cioè non è questa la sede. Tutti abbiamo, infatti, presente qual è lo schema successivo del Progetto costituzionale. Indipendentemente dalla sede in cui debba essere inserito questo articolo aggiuntivo, potremmo passare senz’altro alla votazione di esso, deferendo al Comitato di redazione il compito di stabilire a qual punto esso debba venire incluso, a meno che l’onorevole Codignola non accetti la proposta dell’onorevole Tosato di sospendere per intanto l’esame della questione, riservandoci di discuterne in un momento successivo.

CODIGNOLA. Io non vedo la ragione di sospenderlo; propendo invece perché si faccia come lei ha detto, lasciando in sospeso soltanto la questione del punto d’inserimento.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Insisterei nel pregare l’onorevole Codignola di rinviare ad un momento successivo questa discussione, perché, se noi entriamo direttamente nel merito della formulazione del suo emendamento, possiamo forse fare delle riserve. Per esempio, l’onorevole Codignola dice: «pieno sviluppo nell’ambito della Costituzione». Ma sviluppo di che cosa? Sono problemi molto delicati questi, che vanno definiti molto esattamente; e credo che nessuno nell’Assemblea abbia avuto agio di esaminare con la dovuta attenzione questo emendamento.

Trattandosi quindi di un problema tanto delicato, prego l’onorevole Codignola di voler accedere alla proposta di un rinvio.

PRESIDENTE. Onorevole Codignola, ella accede?

CODIGNOLA. Onorevole Presidente, se si tratta semplicemente di un rinvio determinato, di un giorno o due, per dar luogo all’Assemblea di esaminare meglio il mio emendamento, non ho nulla in contrario; ma se si tratta di un rinvio sine die, non posso accettare.

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. A me pare vi sia un punto da chiarire, che cioè qui il problema non è soltanto interno, ma investe anche una questione di carattere internazionale, perché le minoranze linguistiche costituiscono nuclei di cittadini non italiani che risiedono nel nostro territorio. Interviene quindi, sotto questo riguardo, il Trattato di pace; è quindi proprio per impegni di natura internazionale che noi dovremo attuare delle provvidenze a beneficio di queste minoranze.

Non vedo, quindi, come ciò possa costituire materia costituzionale; a me pare che queste provvidenze siano di stretta competenza della legislazione ordinaria.

CODIGNOLA. Scusi, onorevole Selvaggi, ma la protezione delle minoranze linguistiche, secondo lei, in uno Stato moderno, deve essere soltanto attuata perché viene imposta da uno Stato estero? O non anche perché è essa un elemento fondamentale di ogni moderna Costituzione?

SELVAGGI. Sono necessarie appropriate leggi; è una questione di legislazione ordinaria.

MAZZONI. Ma per il Friuli, onorevole Codignola, lei non ammette queste esigenze.

PRESIDENTE. Ritengo che si possa accogliere la richiesta dell’onorevole Tosato, accettata dall’onorevole Codignola, di rinviare temporaneamente la decisione sull’articolo aggiuntivo in esame.

(Così rimane stabilito).

Gli onorevoli Targetti, Dugoni, Malagugini e Jacometti, hanno presentato il seguente articolo 108-bis:

«I Comuni sono autonomi nel proprio ambito».

Vorrei far presente all’onorevole Targetti che il nuovo testo presentato dal Comitato in base ai vari emendamenti proposti, tocca in modo particolare il Comune e stabilisce che i Comuni devono essere autonomi in questa forma.

Chiedo all’onorevole Targetti se non ritiene che l’articolo aggiuntivo sia esaminato nel momento in cui esamineremo il testo della Commissione. Il suo articolo apparirebbe allora un emendamento al testo proposto dalla Commissione.

TARGETTI. L’osservazione del signor Presidente è esattissima, ma noi avevamo mantenuto l’emendamento sotto forma di articolo aggiuntivo più che altro perché ci sembrava che fosse questo il punto più indicato per il collocamento di un articolo relativo al Comune, seguito poi da un articolo relativo alla Provincia. Ci sembrava logico che la Costituzione dopo, aver definito la Regione, dicesse subito che esistono i Comuni e le Provincie, prima di passare a dettare norme relative alla Regione.

Ma se questo deve avere come conseguenza di appesantire la trattazione dell’argomento, credo che i miei colleghi non possano non accedere all’invito del Presidente.

PRESIDENTE. Siccome l’articolo 107 nel testo approvato dice: «La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni», si spiega perché nel testo della Commissione sono esaminate successivamente le Regioni, le Provincie, i Comuni.

Ad ogni modo, dato che l’onorevole Targetti accede alla mia proposta, a suo tempo esamineremo l’articolo che riguarda i Comuni.

La stessa osservazione ritengo si debba fare a proposito dell’articolo aggiuntivo 108-ter, presentato dagli stessi onorevoli Targetti, Dugoni, Malagugini, Jacometti:

«Le Provincie sono Enti di decentramento amministrativo, dotate di autogoverno».

Siccome la Commissione dedica una parte di un suo articolo alle Provincie, sarà opportuno esaminare questo articolo aggiuntivo come emendamento alla proposta della Commissione.

(Così rimane stabilito).

Possiamo quindi passare senz’altro all’esame degli articoli 109, 110 e 111, i quali nel Progetto primitivo erano del seguente tenore:

Art. 109.

«La Regione ha potestà di emanare, per le seguenti materie, norme legislative che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell’ordinamento dello Stato, e rispettino gli obblighi internazionali e gli interessi della Nazione e delle altre Regioni:

ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;

modificazioni delle circoscrizioni comunali;

polizia locale e rurale;

fiere e mercati;

beneficenza pubblica;

scuola artigiana;

urbanistica;

strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;

porti lacuali;

pesca nelle acque interne di carattere regionale;

torbiere».

Art. 110.

«La Regione ha potestà di emanare, per le seguenti materie, norme legislative nei limiti del precedente articolo, e con l’osservanza dei principî e delle direttive che la Repubblica ritenga stabilire con legge allo scopo di una loro disciplina uniforme:

assistenza ospedaliera;

istruzione tecnico-professionale;

biblioteche di enti locali;

turismo e industria alberghiera;

agricoltura e foreste;

cave;

caccia;

acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida sull’interesse nazionale e su quello di altre Regioni;

acque minerali e termali;

tramvie;

linee automobilistiche regionali».

Art. 111.

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative di integrazione ed attuazione delle disposizioni di legge della Repubblica, per adattarle alle condizioni regionali, in materia di:

igiene e sanità pubblica;

istruzione elementare e media;

antichità e belle arti;

disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio;

industria e commercio;

miniere;

navigazione interna;

e in tutte le materie indicate da leggi speciali.

«Le leggi della Repubblica possono demandare alle Regioni il potere di emanare norme regolamentari per la loro esecuzione».

Il Comitato di coordinamento, ha proposto il seguente nuovo testo:

Articoli 109, 110, 111.

«Riunire i tre articoli nel seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica per le seguenti materie:

Ordinamento degli uffici, ed enti amministrativi della Regione.

Modificazione delle circoscrizioni comunali e provinciali.

Polizia locale urbana e rurale.

Fiere e mercati.

Beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera.

Istruzione artigiana e tecnico-professionale.

Musei e biblioteche di enti locali.

Urbanistica.

Turismo ed industria alberghiera.

Tranvie e linee automobilistiche regionali.

Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale.

Porti e navigazione lacuale.

Acque pubbliche ed energia elettrica in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre Regioni.

Acque minerali e termali.

Cave e torbiere.

Caccia.

Pesca nelle acque interne.

Agricoltura e foreste.

Altre materie indicate da leggi speciali.

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro esecuzione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Debbo dar conto di questo nuovo testo del Comitato. Mantenendo la promessa fatta all’onorevole Carboni, è stato da sabato distribuito un foglietto che contiene il testo nuovo in un articolo che raggruppa insieme gli articoli 109, 110 e 111.

Lo sforzo del Comitato per raggiungere una formula sintetica e comune sembra coronato dal successo. Il testo che noi presentiamo esprime il pensiero della maggioranza del Comitato. Dico di più: nelle ultime ore della seduta di sabato si è ottenuto anche dai rappresentanti delle due tendenze sulle questioni dell’autonomia un assenso fondamentale sul testo proposto dal Comitato. Spero che si potrà ormai realizzare quella concordia dell’Assemblea che ho sempre invocato. Spero (ma non sono sicuro) che non capiti come altre volte quando, dopo che si era concordata una cosa in Comitato fra le tendenze ed i partiti, invece in Assemblea tutto è tornato in questione.

Darò brevemente ragione dell’articolo nuovo.

Come posizione di forma e di procedura – forse anticipo la risposta ad un’osservazione che potrebbe ripetere l’onorevole Persico, che l’ha fatta altra volta – si tratta di un emendamento che il Comitato propone al suo testo e come sempre avviene in tali casi, anche per l’accettazione di emendamenti proposti da altri, l’emendamento accettato sostituisce il testo del Comitato. Naturalmente sono padronissimi i deputati di riprendere il testo del Comitato o di discutere sull’emendamento presentato.

In questo articolo, che raccoglie in uno solo il contenuto dei tre articoli 109, 110 e 111, convergono due ordini di questioni. Il primo è costituito dalla potestà legislativa che spetta alle Regioni. Il secondo riguarda i rapporti reciproci di competenza e le funzioni amministrative della Regione e della Provincia.

La Provincia in sede di Commissione dei Settantacinque non aveva avuto quel funerale di terza classe, di cui parla l’onorevole Targetti. Era rimasta come ente di decentramento degli organi governativi, ed anche dell’attività regionale che, dice il progetto, doveva normalmente esercitarsi mediante uffici provinciali. Si aggiunga che nelle Provincie si istituivano Giunte a base elettiva, sia pure di secondo grado. La Provincia dunque non moriva, anche se non aveva il risalto che ha ora. Oramai la Provincia è stata, con votazione già avvenuta, messa fra gli enti in cui si riparte il territorio della Repubblica. Rimane dunque nella sua attuale fisionomia di ente autonomo, e sorge la questione dei rapporti fra Regione e Provincia.

Tali sono i due ordini di problemi da tener presente.

Farò rapidamente la storia dei tre articoli. Nel seno della Commissione dei Settantacinque si delinearono due tendenze. Tendenza prima che chiamerò quella che vinse; tendenza seconda, quella che rimase per pochi voti in minoranza.

La tendenza prima stabiliva tre diversi tipi di potestà legislativa spettanti alla Regione. Potestà legislativa esclusiva; potestà legislativa concorrente; potestà legislativa complementare di integrazione e di attuazione delle leggi dello Stato.

Ciascuno dei tipi ha un profilo che può essere discusso, e non è in ogni modo così rigido come appare dal nome. Il carattere della legislazione esclusiva sta in ciò che per certe materie è la Regione non lo Stato che detta norme aventi valore legislativo. Non è però una potestà illimitata. Il limite è doppio, in quanto non solo la potestà legislativa della Regione si esercita nelle sole materie indicate dalla Costituzione, ma in quanto è altresì limitata nel suo esercizio dalle norme della Costituzione, dai principî nell’ordinamento giuridico dello Stato, dal rispetto dei trattati internazionali, dagli interessi nazionali, dagli interessi delle altre Regioni. Non si può quindi, a rigore, parlare di esclusività vera e propria.

Vediamo il secondo tipo di legislazione, la concorrente. In ordinamenti costituzionali di altri paesi, per certe materie, legifera tanto lo Stato federale, quanto lo Stato singolo, o (se non è ordinamento federativo) lo Stato e la Regione, ma nel contrasto prevale la disposizione dello Stato. Nel nostro progetto, non era così, poiché la Regione poteva legiferare in determinate materie, ma lo Stato aveva il diritto, per rendere uniforme le legislazioni regionali, di stabilire principî generali ai quali le Regioni si dovevano uniformare. Non è dunque, neppur qui, rigorosamente esatta la designazione di legislazione concorrente che del resto lo schema di Costituzione non usava.

Quanto infine al tipo di legislazione integrativa e di attuazione, si trattava (e lo schema lo diceva) di adattare alle condizioni locali le leggi generali dello Stato. È qualche cosa che si chiama legislazione perché le norme han valore legislativo; ma ciò può avvenire anche nel campo del regolamento, o meglio, secondo il concetto tedesco, del Verordnung. Siamo per così dire al confine fra due forme, la legge ed il regolamento, che non si possono più separare con un taglio netto.

Questi i tre tipi di legislazione che erano stati forgiati e che prevalsero nel testo della Commissione. Contro questo si fece strada, ma fu vinta nella Commissione, la proposta della corrente meno autonomista la quale voleva stabilire che la Regione avesse soltanto facoltà legislativa di integrazione ed attuazione per adattare alle norme locali le norme generali direttive stabilite con la legge della Repubblica. Si accentuava l’«adattare», per far risaltare sempre più questa forma di relazione agli interessi locali. Era il tipo della legislazione integrativa e di applicazione che veniva generalizzato ed ammesso, esso solo, secondo questa corrente. Prevalse, come ho detto, la formula più vasta delle tre potestà legislative.

Ora, quale è il nuovo testo sopra il quale si delineerebbe un accordo? La corrente numero uno, vincitrice, rinuncia al tipo di legislazione esclusiva, concentra in una sola figura la legislazione concorrente e la legislazione integrativa. Da questo scaturisce il nuovo testo che voi avete sott’occhio. La corrente meno autonomista ha accettato: così mi hanno dichiarato autorevoli rappresentanti di questa tendenza. Vi è stato (mi auguro che non vi sia più) fra essi qualche dubbio. Vedete come sono scrupoloso: faccio proprio il notaio. Il dubbio era che con la formula che è stata proposta lo Stato sia costretto a imporre limiti a se stesso e che sull’esistenza di questi limiti possa essere chiamata a giudicare la Corte costituzionale. È stato risposto: «Ma i limiti, in fondo, si pongono alla Regione non allo Stato». Prescindendo da ciò, si è risposto che lo Stato deve bensì imporsi dei limiti, ma è lo Stato stesso che li determina. Se vi sarà una grande elasticità in tali disposizioni, sui limiti che le leggi pongono a se stesse, questa non è una cosa inopportuna perché si potrà gradualmente, sperimentalmente, vedere fino a che punto, in sostanza, potrà spingersi la potestà di legislazione della Regione. Ecco le considerazioni, per cui il nuovo testo potrebbe essere accolto da tutte le tendenze.

Vi è poi un’altra questione, e cioè l’elenco delle materie in cui la Regione ha la potestà legislativa nella forma unica e ridotta, contemplata nel nuovo testo. Decideremo, una ad una, le materie di tale elenco. Ma, sotto un certo riflesso, la questione si collega con quella dei rapporti fra la Regione e la Provincia. Infatti, nell’articolo seguente si dice che per le materie sulle quali è data potestà legislativa alla Regione, spettano alla Regione le corrispondenti funzioni amministrative. Ma allora che cosa avviene delle attuali funzioni amministrative della Provincia?

Si presentavano tre soluzioni. La prima poteva essere di distinguere nella stessa Costituzione date funzioni A. B. C. attribuite alla Regione, ed altre A. B. C. attribuite alla Provincia. Si sarebbero però incontrate grandi difficoltà non risolvibili praticamente in sede di redazione della Costituzione. Seconda via: lasciare alla Regione tutte le funzioni amministrative corrispondenti alle funzioni legislative ad essa attribuite, salvo che la Regione stessa credesse di deferirne alcune alla Provincia. Soluzione, questa, non accettabile, perché di fatto, con l’articolo della Costituzione, passano alla Regione tutte le funzioni che attualmente ha la Provincia; e la vita di questa verrebbe subordinata al beneplacito della Regione.

Terza soluzione: attribuire in via di massima alla Regione le funzioni correlative alla sua potestà legislativa, salvo poi lasciare a leggi dello Stato di stabilire che alcune di queste funzioni di esclusivo interesse locale, siano esercitate dalla Provincia o dal Comune, secondo un riordinamento da stabilire.

Aggiungo – ed a tale scopo vi è stato comunicato il testo di altri articoli – che, secondo una disposizione transitoria, alla Provincia debbono rimanere tutte le attribuzioni di cui essa è fornita, in attesa del riordinamento e della redistribuzione delle funzioni degli enti locali.

NITTI. Caos in aumento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituitone. Non è caos, onorevole Nitti. Posto che la Regione deve sorgere – l’Assemblea ha deciso e non si può tornarvi su – bisogna organizzarla nel modo migliore – ella dirà nel meno peggiore – possibile. Bisogna coordinarla con le Provincie ed i Comuni.

Io mi sono sempre sforzato di adottare soluzioni e forme ispirate a criteri di gradualità e sperimentalità. Così, per le potestà legislative della Regione, cerchiamo di rimetterci ai principî stabiliti dallo Stato per date materie che lascino alla Regione una sfera libera, ma determinata, di legislazione secondaria, e tutto ciò richiederà una revisione ed un adattamento graduale della legislazione dello Stato, che non potrà improvvisarsi in un momento in modo che la nostra Costituzione preveda una revisione ed una redistribuzione delle vecchie funzioni della Provincia e del Comune, e insieme delle nuove funzioni della Regione, che richiederà anch’essa tempo, ma sarà utilissima. Merito di questo bistrattato testo costituzionale sarà che l’attuale ordinamento degli enti locali, difettoso anche per l’attribuzione delle materie, venga modificato e coordinato in modo sistematico e più rispondente alle esigenze reali.

Non sarà il caos, onorevole Nitti, ma un progresso al quale darà occasione l’istituto della Regione, che ormai, debbo pur ripeterlo, è nella Costituzione ed anche chi l’ha combattuto meglio farebbe a cercare di farne produrre ogni possibile vantaggio.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni a che il nuovo testo presentato dal Comitato sia assunto come base della discussione, gli emendamenti si presenteranno in relazione al nuovo testo.

(Così rimane stabilito).

 

Molti colleghi hanno già presentato emendamenti a questo testo, perché, come d’intesa, esso è stato pubblicato da alcuni giorni e ciascuno ha avuto il tempo di valutarlo e di proporre gli emendamenti opportuni.

Darò quindi la parola ai presentatori di emendamenti, in relazione al nuovo testo.

Gli onorevoli colleghi che hanno presentato emendamenti in relazione al vecchio testo e che intendono mantenerli adeguandoli al nuovo testo, lo dichiarino e sarà data loro la parola per svolgerti.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Avevo presentato un emendamento al testo del progetto; lo considero come emendamento al nuovo testo.

PRESIDENTE. Il suo emendamento era stato elaborato in modo tale da riassumere gli articoli, che la Commissione ha riassunto nel suo nuovo testo.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Avevo presentato emendamenti, agli articoli 109, 110 e 111; ma essi tenevano conto della nuova formulazione fatta dal Comitato.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Mi permetterei di osservare, se l’Assemblea fosse d’accordo, che sarebbe forse utile arrivare ad una conclusione precisa, concreta, in ordine al primo comma del nuovo testo in cui si parla in genere di questa potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive, dei principî generali, ecc. Se noi non sappiamo in modo esatto se si debba parlare o no di potere legislativo o di potere semplicemente normativo, se noi non sappiamo insomma quale sia l’ampiezza rispettiva dei poteri concorrenti dello Stato e della Regione, mi pare risulterà meno utile la discussione sugli eventuali mutamenti in ordine all’elenco delle singole materie. Bisognerebbe avere un concetto chiaro in ordine al contenuto del primo comma, cioè se approvarlo in questo testo o in un testo diverso. Tutto il resto, mi pare, viene dopo, perché è inutile discutere varianti circa l’elenco delle materie senza sapere quale sia la sorte definitiva del loro regolamento giuridico. E una opinione di cui ella, onorevole Presidente, può tener conto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà:

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Riconosco che quello che ha detto l’onorevole Fabbri è esattissimo. L’elenco che è stato presentato è una specie di schema sopra il quale dovremo discutere ampiamente e sorgeranno molte questioni. L’articolo nuovo si divide in due parti. Come ho detto poco fa, ve ne è una che riguarda la potestà normativa e legislativa, un’altra che riguarda l’elenco. Secondo me, bisognerà prima decidere la prima parte e poi la seconda. In quanto agli emendamenti, comprendo che vi è un po’ di complicazione, perché avendo presentato il nuovo testo sono stati proposti emendamenti a questo, oltre quelli già presentati prima al testo anteriore. Non credo che vi sia difficoltà a discutere gli uni e gli altri. Come base vi è ormai il testo nuovo, perché è prassi, ripeto, che quando il Comitato accoglie un emendamento di altri e lo fa suo, questo diventa testo. Ciò vale, evidentemente, anche per gli emendamenti che il Comitato propone a se stesso. Niente vieta che gli onorevoli deputati svolgano e discutano anche gli emendamenti fatti prima, cercando di ridurli al testo nuovo.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Avevo presentato un emendamento agli articoli 109 e 110 del vecchio testo. Ora, a me sembra che il primo comma di questo emendamento possa restare anche col nuovo testo, perché si congiunge appunto alle osservazioni fatte ora dall’onorevole Fabbri, cioè ai limiti della potestà legislativa della Regione. Poi verrà l’elencazione delle speciali materie alle quali dovrà essere applicata la legislazione regionale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo conferma che potrà svolgere i suoi emendamenti tenendo conto del nuovo testo.

PRESIDENTE. L’onorevole Fabbri ha prospettato l’opportunità di esaminare se debba la Regione avere una potestà normativa o complementare.

Io penso che la questione sia stata già ampiamente trattata in sede di discussione generale e pertanto ritengo che non sia opportuno rifare adesso una discussione specifica a questo scopo.

D’altra parte, al momento della votazione si vedrà praticamente quale carattere dovrà assumere il potere della Regione e quei colleghi che ritengono che la Regione debba avere potere normativo, voteranno in questo senso, salvo a distinguere quando si tratterà di elencare le materie.

Del resto i presentatori di emendamenti che si riferiscono alla potestà della Regione porranno essi stessi la questione sollevata dall’onorevole Fabbri.

BERNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI. Io avevo presentato i seguenti emendamenti al vecchio testo:

«All’articolo 109 sopprimere la voce: urbanistica»;

«All’articolo 110 sopprimere la voce: istruzione tecnico-professionale»;

«All’articolo 111, al primo comma, nell’elenco delle materie, sopprimere la voce: antichità e belle arti».

Dichiaro ora di mantenerli.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Preti e Binni hanno presentato il seguente emendamento:

Art. 109, 110, 111.

«Al primo comma, sostituire alle parole: potestà di emanare norme legislative, le parole: potestà normativa.

L’onorevole Preti ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. L’onorevole Ruini ha testé dichiarato che in sede di Commissione si è fatto un grande sforzo per trovare un accordo circa il nuovo testo che ora viene presentato all’Assemblea. Io mi rendo conto del notevole sforzo fatto dai membri della Commissione; ma mi sembra che, per trovare l’accordo ad ogni costo, ci si sia fermati su una formula assolutamente non sostenibile. E mi spiace di dovere fare questa osservazione proprio a insigni cultori del diritto, quali l’onorevole Ruini, l’onorevole Perassi, l’onorevole Ambrosini. Direi addirittura che la formulazione adottata per il primo comma dell’articolo unificato 109, 110 e 111, si trova in nettissimo contrasto con le acquisizioni della più moderna dottrina giuridica.

Non intendo ripetere qui le considerazioni di carattere politico, già fatte in sede di discussione generale, né ritornare su ciò che la maggioranza ha ormai deciso; ma mi limiterò a osservazioni di carattere tecnico-giuridico all’attuale testo. Comincerò pertanto con l’osservare che non è sostenibile la dizione «La Regione ha potestà di emanare norme legislative». Noi dobbiamo più genericamente dire: La Regione ha potestà normativa. Con il che riconosciamo al nuovo ente la potestà di emanare sia leggi che regolamenti, con il vantaggio anche di non sollevare la questione se possano veramente meritare il nome di leggi le norme emanate da un ente regionale in un Paese a struttura non federale (e dico questo, perché l’Olanda, ad esempio, che mi sembra attui un decentramento del genere di quello che noi stiamo per adottare, non riconosce alle proprie provincie, corrispondenti alle nostre Regioni, la potestà di emanare leggi).

Mi sembra che ci siamo troppo intestarditi sulla parola «leggi», quasi che si abbia l’incubo di cadere nel regolamento! Ma anche i regolamenti, come è noto, sono in buona parte norme giuridiche, cioè disposizioni generali che creano diritti e doveri dei cittadini; onde appunto i tedeschi distinguono in dottrina le Rechtverordnungen, vale a dire i regolamenti che dal punto di vista dell’efficacia materiale, si pongono sul piano della legge, dalle Verwaltungverordnungen, che hanno carattere puramente amministrativo e che, in luogo di creare diritti e doveri dei cittadini, valgono più che altro come ordini di servizio per la burocrazia statale.

Orbene, mi sembra chiaro che in molte delle materie elencate negli articoli 109, 110 e 111 ora unificati (ammesso che il regolamento si distingua dalia legge in quanto stabilisce norme giuridiche più particolari in armonia con le disposizioni generali della legge stessa), la Regione non può emanare che regolamenti. Ripeto che basta prendere nota del testo dell’articolo, per convincersi che in più di una materia è assurdo pensare che la Regione possa emanare delle leggi.

UBERTI. Non direi assurdo! (Commenti a sinistra).

PRETI. Permetta, onorevole Uberti. Le specifico che siamo di fronte, per certe materie contemplate negli articoli 109, 110 e 111, a una potestà normativa molto limitata: in fondo non si tratta altro che di emanare norme di esecuzione delle leggi dello Stato. Ed allora in queste materie, dove quasi tutto è regolato dalla legislazione dello Stato, io non intendo come si possa parlare di potestà legislativa: si tratta semplicemente di potestà regolamentare.

Se pertanto si vuole ad ogni costo parlare, negli articoli 109, 110 e 111, di sola potestà legislativa, si fa una affermazione magniloquente a cui poi non corrisponderà la prassi (a meno che non ci si proponga un secondo fine, per il caso che gli ultraregionalisti conquistino la maggioranza nel Parlamento di domani). Infatti, secondo il testo del progetto, la Regione dovrebbe disciplinare per legge anche materie che hanno valore assai più particolare di quelle che lo Stato disciplina attraverso i regolamenti. La Regione ci regalerebbe una inflazione di norme legislative (Commenti al centro) ammannendoci soltanto leggi e sempre leggi. E dottrina e giurisprudenza non potrebbero naturalmente fare a meno di smentire la nostra Costituzione

Nella stessa Costituzione di Weimar, dove ci troviamo di fronte ai «Länder», che non sono semplici regioni, ma veri e propri stati, si parla anche di potere regolamentare. Nella nostra Costituzione invece si parla soltanto di potestà legislativa!

Si può anche dubitare – per quanto l’ipotesi sia meno probabile – che si tenda, attraverso questo articolo, a un altro scopo: nel senso cioè che i regionalisti siano, sì, d’accordo nel convenire che il più delle volte nelle materie previste dall’unico articolo del nuovo testo la Regione non emanerà leggi in senso materiale; ma, tenendo essi assai alla garanzia della legge formale, vogliano soprattutto che queste materie siano disciplinate sempre e soltanto dai cosiddetti Consigli regionali (che appunto rappresenterebbero il potere legislativo, in piccolo, della Regione) e mai attraverso quelle Deputazioni che verranno a corrispondere, in certo qual modo, al potere esecutivo.

Se questa dovesse essere l’intenzione dei regionalisti, mi sembra che si porrebbero fuori della realtà. Non si può infatti seriamente dubitare che molte volte le materie contemplate nel nuovo testo, saranno disciplinate direttamente dalla Deputazione, senza bisogno di delegazione legislativa. Onde non sarebbe serio voler precludere agli statuti regionali di domani la possibilità di determinare quando la potestà normativa, di cui all’articolo unificato del nuovo testo, possa essere esercitata direttamente dalla Deputazione.

Per concludere, dirò che io comprenderei che, mantenendosi la distinzione dei tre articoli, attribuenti tre diverse specie di potestà normativa alla Regione, così come aveva proposto l’onorevole Ambrosini, i regionalisti si battessero ora per conservare alla Regione la maestà del potere legislativo per le materie indicate nell’articolo 109. (Interruzione dell’onorevole Uberti). Ma, una volta che i tre articoli sono stati unificati, ed una volta che non si può seriamente sostenere che la materia dell’ex articolo 110, e tanto meno quella dell’ex articolo 111, possa essere disciplinata per legge, si dovrebbe logicamente accogliere la più generale dizione di «potestà normativa». Quando parliamo di potestà normativa, del resto, non disconosciamo la potestà della Regione di emanare leggi, dato che la potestà normativa comprende sia quella legislativa, sia quella regolamentare. Così potremmo, accontentare tutti, senza pregiudicare lo sviluppo della Regione e non faremmo – permettetemi che lo dica – uno sfregio al diritto costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole. Bozzi ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma sopprimere la parola: generali».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, con le precedenti votazioni noi abbiamo stabilito il principio che la Regione esiste. Si tratta ora di dare volto a questo nuovo ente; io credo che l’argomento che adesso è in discussione, quello cioè della potestà legislativa, potestà normativa, come preferirebbe dire l’onorevole Preti, è l’argomento centrale del tema della Regione. L’unità dello Stato si manifesta soprattutto attraverso l’unità dell’indirizzo politico e del sistema legislativo, che lo traduce in atto. Noi dobbiamo evitare di creare una pluralità di fonti di produzione giuridica, che possano essere in contrasto fra di loro e, quel che sarebbe più grave, in conflitto con la legge dello Stato, espressione della sovranità. Noi dobbiamo evitare ogni incertezza nell’ordinamento giuridico; le società vivono e prosperano quando sia chiara e giusta ha regolamentazione dei rapporti giuridici. Tutti concordemente vogliamo mantenere salda ed integra l’unità nazionale, secondo la solenne affermazione fatta nel primo comma dell’articolo 106, già votato.

Bisogna dare attuazione a questo comune intendimento.

Io debbo obiettivamente riconoscere che il testo proposto dal Comitato, e illustrato or ora dall’onorevole Ruini, rappresenta un notevole progresso rispetto alla formulazione precedente del progetto, che attribuiva alla Regione tre forme di potere legiferante (la così detta competenza esclusiva, la concorrente e la integrativa), forme non ben definite nei lineamenti caratteristici e differenziali, e talvolta anche tra loro contrastanti. Oggi noi abbiamo raggiunto questo risultato: che alla Regione è assegnata una sola fonte di produzione giuridica. Non vi nascondo, tuttavia, che ho non lievi perplessità in ordine alla interpretazione dell’articolo proposto. E siccome in esso ricorrono, come vedremo, termini di tecnica giuridica, io vorrei che, per un dovere di lealtà verso noi stessi e verso gli altri, noi addivenissimo ad una interpretazione comune, concorde, perché non si potesse ripetere quello che è già avvenuto altra volta. Ad esempio, nel corso dei lavori della seconda Sottocommissione – e l’illustre Presidente di questa Assemblea lo ricorda – in occasione dell’articolo 109, oggi abbandonato, che contemplava la competenza esclusiva della Regione, i commissari non furono mai chiaramente d’accordo se questa competenza fosse veramente esclusiva; tant’è che l’onorevole Ambrosini, relatore e padre di quell’articolo, escluse che si trattasse di competenza esclusiva e lo esclude anche in questo momento con chiari cenni.

Io vorrei che fossimo d’accordo sul valore, sul significato tecnico-giuridico, che fossimo d’accordo, in sostanza, sul significato delle parole. Temo cavalli di Troia attraverso i chiaroscuri delle formule giuridiche!

Non credo che si possa negare all’ente Regione una potestà normativa: altrimenti questo ente verrebbe privato di ogni sua autonomia e considerato al di sotto dei Comuni, delle Provincie e di ogni altro ente pubblico, che possono dettar norme giuridiche. Autonomia significa appunto potestà di darsi un proprio ordinamento giuridico, potestà di stabilire regole di condotta. La questione è piuttosto di misura: direi di quantità e di qualità. Tutto dipende dalla natura e dalla efficacia di questa potestà normativa.

Io vorrei dirvi, rapidissimamente, il modo con cui io interpreto il primo comma dell’articolo proposto; dell’elencazione sulle materie ci occuperemo più tardi.

Secondo il mio punto di vista, questo articolo concede alla Regione una potestà che non avrei difficoltà di chiamare anche legislativa: dirla legislativa o normativa non ha importanza, perché anche i regolamenti sono leggi in senso sostanziale e contribuiscono a costituire l’ordinamento giuridico. Bisogna vedere, come dicevo, la natura, il contenuto delle norme regionali; quindi la questione terminologica, sulla quale si è soffermato l’onorevole Preti, mi pare che non abbia decisivo rilievo. Dicevo, dunque, che questo primo comma concede alla Regione una potestà legislativa, o normativa, che è strettamente subordinata alle leggi dello Stato. Subordinata, innanzi tutto, nel senso che la Regione non può legiferare se non esista una legge dello Stato che abbia stabilito direttive o principî generali in quella data materia.

Il testo oggi proposto – come l’onorevole Ruini potrà far fede – diversifica dall’articolo 110 del progetto originario, nel quale si diceva (si era parlato di «legislazione concorrente») che la Regione poteva emanare norme legislative con l’osservanza dei principî e delle direttive che lo Stato ritenesse di stabilire. Quindi, per l’articolo 110, se, per ipotesi, lo Stato non emanava delle sue leggi direttive o generali, la Regione aveva egualmente potestà legislativa. In altri termini, per l’articolo 110, la Regione aveva potestà di creare un diritto obiettivo, anche nel caso – dirò così – di inergia legislativa dello Stato.

Mi pare che questa interpretazione non sia più ammissibile per l’articolo oggi proposto, nel quale si dice che la Regione può emanare norme legislative «nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica».

Credo, in conclusione, che si debba affermare questo principio: che se non esistono leggi della Repubblica, sempre per quelle determinate materie, alla Regione sia preclusa ogni potestà legislativa. Questa, secondo me, è una caratteristica essenziale, perché qualifica la potestà normativa della Regione come una potestà subordinata e condizionata alla esistenza di leggi della Repubblica.

Ma la potestà normativa della Regione non solo è condizionata all’esistenza delle leggi della Repubblica, ma è limitata, anche, per altro verso, nel suo contenuto. Essa, infatti, si deve svolgere nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti dalle leggi statali. Ecco allora che insorge in me, nella mia coscienza di modesto giurista, un dubbio; e mi appello ai giuristi di questa Assemblea perché lo chiariscano, giacché queste interpretazioni autentiche, sia pure contestuali, avranno valore anche per dirimere future incertezze e, quel che è più grave, futuri conflitti. Qual è il significato del termine norme direttive, quale il significato del termine principî generali? Sono i principî generali dell’ordinamento di cui parlano le preleggi? Io penso si debba senz’altro escluderlo.

Evidentemente – ed in ciò sono confortato anche dall’interpretazione letterale – sono i principî generali stabiliti per ciascuna delle materie, che seguono nel secondo comma, cioè i principî stabiliti nelle singole leggi che regolano quelle materie. Ma norme direttive e principî generali sono la stessa cosa o sono due concetti diversi?

Secondo la mia interpretazione – ed anche su ciò chiederei chiarimenti – sono, due categorie giuridiche diverse. Le norme direttive sono, sì, norme giuridiche, ma norme che non sono obbligatorie e vincolanti di per se stesse, non sono cioè norme di cui siano destinatari direttamente i cittadini, non sono regole di condotta erga omnes; ma sono invece mere norme di orientamento che si rivolgono al futuro legislatore, nella specie alla Regione, perché conformi la sua attività legislativa a quei precetti, a quelle direttive.

Una voce a sinistra. E chi le emana queste norme?

BOZZI. La Repubblica, lo dice l’articolo. Ora, vorrei, a questo punto, dichiarare che, secondo me – ed è questo un aspetto importante che probabilmente non farà piacere ai regionalisti ad oltranza – queste direttive potrebbero anche avere un carattere negativo, proibitivo, nel senso cioè che potrebbero dire: su queste date materie, la Regione non potrà emanare norme di sorta.

Fu questo punto accennato in sede di Sottocommissione e fu proprio un giurista di parte democristiana che diede e sostenne codesta interpretazione. Su ciò richiamo pertanto la vostra attenzione.

I principî così detti generali sono norme giuridiche nel senso più stretto, quindi obbligatorie immediatamente; ma leggi, tuttavia, le quali ammettono una possibilità di sviluppo legislativo; sono norme che, più o meno largamente, lasciano, dirò così, delle zone in bianco, dei margini in bianco che debbono essere integrati.

Ora, se veramente le norme direttive sono una categoria giuridica di contenuto diverso dai principî generali, è chiaro che lo Stato, per quelle materie, potrà emanare o norme direttive o principî generali.

Questo è molto importante; e rappresenta una maggiore tutela della sovranità e della potestà legislativa dello Stato. Lo Stato può emanare adunque – secondo una sua valutazione discrezionale di politica legislativa – delle semplici norme direttive, degli orientamenti ovvero leggi vere e proprie, lasciando margini più o meno vasti alla potestà di attuazione o di integrazione della Regione. La latitudine di queste zone in bianco è rimessa allo Stato. In altri termini, questo articolo compie una divisione del lavoro legislativo: per talune materie lo Stato, nella sua sovranità legislativa espressa dal Parlamento, emana leggi che sono o direttive o leggi di principio; la Regione emana norme di attuazione, di concretizzazione di quelle direttive, ovvero norme di svolgimento e di sviluppo di quei principî.

Qui insorge un altro dubbio: questa potestà normativa della Regione (per amore di tesi i regionalisti ad oltranza possono anche chiamarla esclusiva) è garantita dalla Costituzione? Senza dubbio, sì. Ma come si potrà far valere questa garanzia? Dinanzi a quale giudice? Dinanzi alla Corte costituzionale? (Vedo che l’onorevole Nitti fa cenni di dissenso per poca fiducia in quest’organo). Dinanzi al giudice ordinario?

Io veramente credo che questa possibilità di garanzia esista, ma penso che non potrà darla un organo giurisdizionale. Quale sarà il giudice di legittimità il quale potrà dire che lo Stato ha emanato leggi che non sono semplicemente direttive o che sono andate al di là dei principî generali? Una indagine di tal natura implica necessariamente una valutazione di merito, non è più indagine di legittimità; e tanto più è inammissibile in quanto è una valutazione di merito squisitamente politico.

E allora si dirà: non c’è garanzia? No, la garanzia esiste. Essa, più che dal testo della Costituzione, sarà data dalla coscienza regionale, se veramente si formerà; verrà dalla prova che le Regioni daranno, dal loro grado di utilità. Se la prova sarà favorevole, lo Stato stesso limiterà l’estensione del suo potere legislativo, affidando alla Regione un più ampio potere di intervento normativo. Deriverà questa garanzia dal Senato (se sarà mantenuto, come auspico), che sarà in gran parte costituito dei rappresentanti della Regione, e di questa, in sede politica, tutelerà gli interessi.

In sostanza, l’interpretazione che io do all’articolo proposto è questa: la Regione può dettar norme di diritto per certe materie, ma sempre che esistano per esse leggi dello Stato e nei limiti lasciati in bianco dallo Stato medesimo. Il sindacato sull’osservanza di questi limiti, da parte dello Stato, può essere esercitato dalla Regione in sede politica, soprattutto preventivamente a mezzo del Senato.

Io faccio invito formale all’onorevole relatore e al Comitato di redazione perché diano un’interpretazione autentica, contestuale, a questo testo. Io desidererei sapere se la mia interpretazione è esatta o no.

Inquadrato così l’articolo proposto, si spiega la ragione del mio emendamento. Io voglio togliere la parola «generali»; è già assai difficile definire cosa siano i principî; se dovremo definire anche cosa siano i principî generali, aumentiamo le difficoltà e creiamo incertezze e possibilità di confitti funesti. Non solo: ma diamo la sensazione di volere troppo restringere la potestà legislativa unitaria dello Stato che, secondo me, deve essere tenuta in primo piano.

Prima di finire, vorrei chiedere un chiarimento ancora: abbiamo qui sott’occhio un elenco di materie. Saranno mantenute, ridotte o ampliate; lo vedremo. Io faccio fin da adesso ampie riserve. Ma sono materie sulle quali esiste tutta una legislazione, che non è solo di principio, ma anche minuta. Io mi domando, e domando a voi: il giorno in cui entrerà in vigore la Costituzione che ne avverrà di questa legislazione? Varranno soltanto i principî generali, sicché la Regione avrà facoltà di legiferare nei limiti dell’attuazione e dell’integrazione, oppure questa legislazione continuerà ad aver vigore finché lo Stato non la abroghi? Io penso che dovrebbe esser fermo il principio che la Regione non possa mai abrogare la legge dello Stato.

Concludo questo mio intervento, che è stato di carattere un po’ ampio; è nell’interesse di tutti di non trincerarsi dietro formule di incerta interpretazione ed io penso che nessuno voglia inserire di straforo, le proprie particolari teorie. Se v’è un accordo sul testo, che sia chiaro e preciso! (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi ella ha presentato anche un secondo emendamento, così concepito:

«Le leggi della Repubblica stabiliscono il termine entro il quale la Regione deve esercitare la potestà legislativa prevista dal primo comma».

Sarà bene che svolga anche questo emendamento.

BOZZI. Abbiamo visto che lo Stato ha una potestà legislativa che dovrebbe essere limitata alle norme direttive e ai principî generali. Si domanda: se la Regione non svolge quella sua potestà normativa, di sviluppo, di attuazione su quelle determinate materie, cioè se la Regione è inerte legislativamente, cosa si deve fare?

Col mio emendamento si stabilisce un termine entro il quale la Regione deve svolgere la sua funzione legislativa, col sottinteso che, ove non adempia tale funzione entro il termine stabilito, le norme ulteriori saranno poste in essere dallo Stato. (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Zotta ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica, aggiungere l’inciso: e in armonia con gli interessi delle altre Regioni».

L’onorevole Zotta ha facoltà di svolgerlo.

ZOTTA. Onorevoli colleghi, ho presentato questo emendamento alla prima parte del testo della Commissione, dove si dice che la potestà legislativa deve essere esercitata «nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica». Aggiungerei un’altra condizione, che questa potestà legislativa sia esercitata anche «in armonia con gli interessi delle altre Regioni».

L’emendamento proposto dal Comitato di redazione, unificando gli articoli 109, 110 e 111 del Progetto che trattano di tutta la materia legislativa della Regione, ha, a mio avviso, un indiscutibile pregio, quello di aver semplificato nella forma e nella sostanza il tema della capacità normativa; tema il quale, in verità, appariva piuttosto tormentato nel Progetto, diffuso com’era in una triplice distinzione che era ardua a comprendersi, nella teoria prima che nella pratica. Ora, nel nuovo testo abbiamo un’unica categoria, un unico grado il quale si inserisce nell’ordinamento giuridico del paese ed occupa nel campo dell’attività legislativa l’ultimo posto. Partendo da quella che il Kelsen, chiama Grundnorm, a cui si richiamava testé anche il Presidente onorevole Ruini, quando diceva della esistenza di norme o di principî che sono al di sopra della norma costituzionale, noi dunque abbiamo questa tripartizione: oltre la norma fondamentale o Grundnorm, abbiamo la norma costituzionale o, – per essere più precisi, in questa tecnica formale – la legislazione costituzionale, e la legislazione nazionale. Il merito, dunque, del testo sta nell’avere stabilito una subordinazione chiara, precisa, in quanto la legge regionale è subordinata alla nazionale e questa alla legge costituzionale. In codesta subordinazione che si presenta in guisa di gerarchia sta appunto l’unità dell’ordinamento giuridico; sta, cioè, l’unità della Nazione, la quale proprio nell’unità dell’ordinamento giuridico trova la garanzia della sua saldezza.

Ora, se è vero che noi abbiamo rispettato – direi quasi solo teoricamente – l’unità dell’ordinamento giuridico, mi sembra che codesta unità non sia operante se non ci preoccupiamo dell’unità di interessi, dell’armonia cioè degli interessi del tutto e delle singole parti; armonia degli interessi della Nazione considerata nel suo insieme e armonia delle singole Regioni rispetto alla Nazione e nei rapporti fra loro. Non basta, in altri termini, assicurare la subordinazione della legge regionale alla legge nazionale, perché così facendo, noi garantiamo la conformità della disciplina giuridica degli interessi della Regione con quelli della Nazione, ma non ancora l’armonia degli interessi delle varie Regioni fra loro. Ecco perché a me sembra che, proprio mentre si delimita la capacità normativa della Regione, occorra stabilire con precisione che cotesto potere legislativo deve essere circoscritto nei limiti delle leggi nazionali e in armonia con gli interessi delle altre Regioni, appunto perché risalti chiara quella unità di indirizzo legislativo, e quella unità di interessi, senza la quale non vi può essere unità nazionale. Perché allora, sì, noi siamo tranquilli che la Regione agisce davvero come centro fecondo di vita, come elemento di attività, di energia, di iniziativa, di propulsione e anche di emulazione; e non come elemento di antagonismo, di concorrenza, di lotta, di scissione o di divisione.

Ed io penso che, essendosi presentati dei dubbi, essendosi manifestate delle preoccupazioni in quest’Aula testé da voce autorevolissima, con accento sinceramente, profondamente accorato, in quanto si teme che questo fenomeno regionalistico potesse avere delle ripercussioni dannose sulla compattezza nazionale, questo sia il punto, in cui si può con una affermazione costituzionale togliere credito ad ogni dubbio e dare la tranquillità e la serenità: quando, cioè, si afferma che, sì, questa vita della Regione, questa volontà di azione, in cui sostanzialmente poi è la legge, questa individualità, questa personalità, ha il suo raggio d’azione, ma non va al di là di ciò che la legge nazionale stabilisce, di ciò che esigono gli interessi unitari della Nazione.

Ed allora noi potremo, davvero, dire con tranquillità che la nostra aspirazione di regionalisti non è già quella di dividere, come ci si accusa, ma è quella di potenziare il Paese al massimo grado ed in ogni suo lembo, suscitando, appunto, nella penisola tanti focolai di vita, che ardano all’unisono col fuoco sacro dell’amor della Patria, una e indivisibile.

È questa, dunque, la ragione del mio emendamento, del quale chiedo l’approvazione. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Fondere i capoversi secondo, terzo e quarto dell’articolo unificato risultante dagli articoli 109, 110 e 111 del Progetto, l’articolo 119 e l’articolo 124, nel seguente articolo, che dovrebbe precedere, nella collocazione finale, l’articolo 109:

«Lo Statuto di ogni Regione è stabilito, in armonia con la Costituzione e le norme legislative della Repubblica, mediante legge deliberata dal Consiglio regionale alla presenza della maggioranza dei consiglieri e con il voto favorevole dei due terzi dei presenti.

«Esso conterrà le norme per l’organizzazione interna della Regione, per la modificazione delle circoscrizioni provinciali e comunali, per l’ordinamento della polizia locale urbana e rurale, per l’esercizio dei diritti di iniziativa popolare e di referendum legislativo, per l’impiego del referendum su provvedimenti amministrativi, e per quanto altro occorra all’adempimento dei compiti affidati alla Regione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Siccome l’emendamento proposto dall’onorevole Mortati si riferisce ad un articolo successivo, sarebbe opportuno, intanto, discutere gli emendamenti agli articoli 109, 110 e 111.

PRESIDENTE. Comunque, l’onorevole Mortati ha presentato anche i seguenti emendamenti:

«Nel nuovo testo degli articoli 109, 110 e 111, sopprimere al penultimo comma, le parole: altre materie indicate da leggi speciali».

«Sostituire l’ultimo comma col seguente: mandate alla Regione le emanazioni delle norme regolamentari».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Era stabilito, in massima, che si sarebbe trattata la prima parte coi relativi emendamenti. Siccome alla prima parte non si riferiscono gli emendamenti ora citati, penso che si potrebbero discutere in seguito.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Ricordo che esiste un mio emendamento tendente a non fare prendere in considerazione la proposta del Comitato;

Non so se devo svolgere ora o in un secondo momento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho visto questo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, non conosce l’emendamento perché l’onorevole Mortati l’ha presentato con una certa riserva, che in questo momento sta sciogliendo.

L’onorevole Mortati può immediatamente svolgere la sua proposta. Vorrei fare presente all’onorevole Mortati che prima di dare la parola ai presentatori di emendamenti io ho posto la questione e poiché nessuno ha chiesto di parlare, ho ritenuto che fosse risolta. L’onorevole Mortati ha proposto ora di tornare al testo originario della Commissione. In tal modo egli riapre una questione che ritenevamo fosse superata quando ho posto in discussione il nuovo testo del Comitato di redazione.

Ad ogni modo, onorevole Mortati, ella ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MORTATI. L’emendamento di cui parlo ha un valore condizionato. Noi (parlo al plurale perché parlo a nome anche dei colleghi del mio Gruppo) avevamo dato la nostra adesione al testo concordato di cui l’onorevole Ruini ha dato notizia, perché pensavamo che esso fosse accettato da tutti i Partiti e quindi costituisse una base per una rapida decisione.

Ma sembra che questo accordo non ci sia, in quanto sono state formulate da più parti delle riserve per quanto riguarda l’accettazione di alcuni punti del nuovo testo. In presenza di questa situazione, appare fondata la mia proposta di ritornare al testo originario approvato dalla Commissione dei Settantacinque.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non ho nessun elemento per dire che l’accettazione è mancata. Poco fa, in un rapido scambio di idee con l’onorevole Piccioni e l’onorevole Grieco, s’era ancora nell’idea dell’accordo sopra questa formula.

Poiché nelle discussioni, come si sa, possono sempre sorgere delle divergenze, io mi ero augurato che ciò non avvenisse; ma al momento, non ho elementi per ritenere che l’accordo sia mancato.

MORTATI. Comunque, una vera accettazione della proposta della Commissione non c’è stata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione ha deliberato a maggioranza – e anche lei era presente – di proporre questo nuovo testo. Io ho sentito i rappresentanti dei Partiti che mi hanno dato il loro assenso, quindi ho ragione di ritenere che finora e, se non sorgono difficoltà, anche in seguito, questo assenso sarà mantenuto.

MORTATI. Allora è il caso di rinviare lo svolgimento dell’emendamento a quando il dissenso, al quale ho accennato, dovesse meglio concretarsi.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora all’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti così formulato:

«Sostituire gli articoli 109, 110, 111 e 112 con i seguenti:

Art. …

«Salvo il rispetto dell’ordinamento giuridico dello Stato, compete alla Regione potestà di integrazione e potestà normativa per l’attuazione delle leggi dello Stato secondo le speciali esigenze locali, nelle materie seguenti:

ordinamento degli uffici regionali;

modificazione delle circoscrizioni comunali;

stato giuridico ed economico degli impiegati e dei salariati della Regione;

strade, acquedotti, argini, ponti, bonifiche ed altri lavori pubblici di carattere regionale;

agricoltura;

acque minerali e termali, miniere, cave e torbiere;

agricoltura e foreste;

industria e commercio;

tranvie e linee automobilistiche regionali;

navigazione interna;

caccia e pesca;

assistenza e beneficenza pubblica;

servizi a tutela del lavoro;

istruzione professionale e artigiana;

antichità e belle arti;

biblioteche, musei regionali, istituti di cultura e di educazione popolare;

concessioni amministrative e licenze di esercizio;

urbanistica e tutela del paesaggio;

turismo;

polizia locale;

ogni altra materia indicata dalla legge».

Art. …

«La Regione provvede all’amministrazione nelle materie di cui all’articolo precedente».

L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Le nuove proposte fatte dal Comitato di coordinamento mi lasciano dubbioso quanto, e forse più, del testo primitivo del Progetto.

Per questo io mantengo l’emendamento con il quale proponevo che la potestà concessa alle Regioni si limitasse ad una potestà di integrazione e di attuazione delle leggi dello Stato secondo le esigenze e i bisogni locali.

Questo richiamo-limite alle esigenze e ai bisogni locali costituisce, nel mio intento, la giustificazione per cui al nuovo ente veniva concessa la potestà di emanare norme giuridiche. Il Comitato di coordinamento fra i tre tipi di legislazione preparati originariamente dalla seconda Sottocommissione della Costituzione, ha mantenuto quello che era contenuto nell’articolo 110. La nuova formula dell’onorevole Ruini non diversifica a mio giudizio – o almeno non diversifica di molto – dalla formula preparata dall’onorevole Ambrosini. Mi pare che la formula nuova conservi del vecchio testo tutti gli inconvenienti e sotto un certo aspetto ne aggiunga dei nuovi. Dicendo che la potestà legislativa delle Regioni deve essere adempiuta secondo le direttive ed i principî generali delle leggi della Repubblica, si crea la conseguenza che tutta la tecnica legislativa dello Stato deve mutare. D’ora in poi le leggi dovrebbero contenere soltanto direttive o principî generali. Il collega onorevole Bozzi, diceva testé, che le norme direttive sono norme date alle Regioni e che i principî generali sono norme giuridiche vere e proprie con larghi spazi in bianco, i quali dovrebbero essere riempiti da questa nuova legislazione a carattere regionale.

Che cosa conseguirebbe dall’approvazione del nuovo testo, così stando le cose? Che lo Stato dovrebbe rifare tutta la sua legislazione su tutte le materie indicate nell’articolo…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’abbiamo detto nell’articolo 106 che lei ha votato.

LAMI STARNUTI. Ma l’articolo 106 non si spinge a tanto. La necessità di rifare tanta parte della nostra legislazione importerebbe non solo un grande lavoro, ma importerebbe la paralisi, per lo meno iniziale, della Regione. Sostituire alle leggi vigenti nuove leggi che si uniformino ai nuovi criteri stabiliti dal nuovo testo della Commissione, è una impresa che richiederà studi e fatiche di molti anni.

Poi sorge un altro dubbio: lo Stato, per le materie indicate, dovrebbe limitarsi a dettare soltanto le direttive ed i principî generali.

Chi stabilisce il limite dei principî generali? E se lo Stato supera questi limiti? L’onorevole Ruini ha detto testé che i limiti sono posti alla Regione…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, no.

LAMI STARNUTI. Mi era parso che nella sua relazione orale l’onorevole Ruini avesse dichiarato oggi che i limiti sono posti alla Regione e non allo Stato. Tanto meglio, se siamo d’accordo su questo punto. Ma se i limiti contenuti nel nuovo testo sono, come necessariamente deve essere, dei limiti posti alla attività legislativa dello Stato, il conflitto fra Regione e Stato, sorgerà tutte le volte che la Regione ritenga che lo Stato, nella sua legislazione, abbia oltrepassato quei limiti; non si sia limitato ad indicare le direttive; non si sia limitato ad indicare i principî generali, ma abbia invaso il campo legislativo assegnato dalla Costituzione alla Regione.

Possiamo fare un’altra ipotesi e sollevare un altro dubbio. Vi può essere una materia od un gruppo di materie per la quale o per il quale manchi la legislazione dello Stato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma non c’è, guardi l’elenco! Mi dica una delle materie per cui non c’è la legge!

LAMI STARNUTI. L’onorevole Ruini non può non tener presente che una legge riguardante una o tutte quelle materie indicate nel testo, riguardi poi una parte soltanto delle materie medesime. Sono materie così ampie, che difficilmente la legislazione italiana può comprendere tutte le ipotesi e le possibilità. Ed allora, quando per un determinato aspetto della materia mancassero le direttive o mancassero i principî generali dello Stato, che cosa farebbe la Regione? Dovrebbe rimanere inerte, come suggeriva il collega onorevole Bozzi, o avrebbe la potestà di fare essa norme legislative contenenti anche principî generali?

Credo che questi dubbi siano sufficienti a spiegare il mio voto contrario alla nuova formula, indicata dal Comitato di coordinamento ed a farmi mantenere l’emendamento che io avevo proposto al vecchio testo del progetto di Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione pei la Costituzione. Mi riservo di rispondere in seguito. Voglio ricordare soltanto all’onorevole Lami Starnuti una cosa. Leggo un testo: «La Regione ha facoltà di emanare norme legislative di integrazione ed attuazione delle disposizioni di legge della Repubblica, per adattarle con le norme generali e con le direttive stabilite con le leggi della Repubblica». Questa dizione fa sorgere, sebbene in forma ed in misura diversa, tutti i problemi che egli ha sollevato finora. Questa dizione era stata – a firma dell’onorevole Lami Starnuti – proposta in sede di Commissione e respinta per due voti. Anche in essa si parla di direttive e di norme generali. Per chi stabilisce le direttive ed i principî entro i quali un altro può dettar norme v’è un limite imposto a sé ed un limite imposto all’altro.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. All’osservazione dell’onorevole Ruini desidero rispondere che nella formula proposta da me e da altri colleghi alla Commissione plenaria si parlava non genericamente di potestà legislativa o normativa, ma di potestà di integrazione nei limiti delle esigenze locali. Queste specificazioni davano alla nostra formula una portata assai diversa di quella della formula proposta ora dall’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli 109 e 110 col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato e rispettino gli obblighi internazionali, gli interessi della Nazione e delle altre Regioni, nonché i principî generali che sulle stesse materie siano stati fissati con leggi dello Stato, in materia di:

1°) ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;

2°) modificazioni delle circoscrizioni comunali;

3°) polizia locale urbana e rurale;

4°) fiere e mercati;

5°) beneficenza pubblica;

6°) scuola artigiana e istruzione tecnico-professionale;

7°) urbanistica;

8°) strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;

9°) porti lacuali;

10°) caccia e pesca nelle acque interne di carattere regionale;

11°) cave, torbiere, acque minerali e termali;

12°) tranvie e linee automobilistiche regionali;

13°) acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida nell’interesse nazionale e su quello di altre Regioni».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Onorevoli colleghi! Non bisogna nasconderci che questo argomento è forse il più importante di quanti dobbiamo discutere riguardo alla Regione, perché, ammesso il principio dell’esistenza dell’ente Regione, si tratta di dare a questo ente i suoi contorni precisi. E poiché l’Assemblea Costituente ha approvato che debba restare anche l’ente Provincia, diventa di grande importanza fissare i limiti dell’attività regionale, perché, fissati questi limiti, sarà poi possibile stabilire in che modo possa sopravvivere, e fino a quando, la Provincia.

Ed allora, il progetto presentato dalla Commissione di coordinamento e che oggi ha illustrato il Presidente Ruini, rappresenta già un gran passo avanti, perché riunisce i tre articoli, 109, 110, 111 (che stridevano fra di loro, in quanto creavano tre forme di attività legislativa, una primaria, una secondaria, una regolamentare) in una sola norma che fissa alla Regione quali sono le norme giuridiche che potrà emanare attraverso i suoi statuti regionali, o le sue leggi regionali. Qui io devo dire che preferirei la dizione «statuti regionali» per distinguerli dalle leggi dello Stato: se poi si vuole adoperare la dizione «leggi», si faccia pure; la cosa non ha importanza. Comunque, la formula proposta oggi dalla Commissione di coordinamento, come ho già detto, rappresenta un passo avanti. Né io mi preoccupo della obiezione che faceva il collega Lami Starnuti di fissare soltanto norme regolamentari e di integrazione, perché, se diamo alla Regione soltanto questa potestà, evidentemente riduciamo la Regione a niente, perché norme regolamentari e integrative le fanno anche i Comuni, le fanno anche le Opere pie. Qualunque ente ha una facoltà regolamentare sua propria; quindi, sarebbe assurdo che la Regione non l’avesse. La Regione diventa il nuovo ente dello Stato democratico. Io la concepivo come ente unico fra il Comune e lo Stato; oggi, con molta fatica, riesco a concepire che rimanga ancora la Provincia. Ritengo che essa sarà un ponte di passaggio che dovrà vivere finché la Regione non avrà esteso e fissato le sue funzioni e finché non sia entrata nella coscienza giuridica nazionale, in modo che la Provincia possa cadere come una foglia morta.

Ed allora, bisogna essere molto precisi: potestà di emanare norme legislative, non norme integrative, né potestà semplicemente normativa come voleva l’onorevole Preti, ma potestà legislativa. Che questo sia ben chiaro. Chiamiamoli statuti, se vogliamo, ma statuti legislativi. Ed allora, quale è la preoccupazione che dobbiamo avere? È quella di fissare i limiti entro i quali si dovrà svolgere l’attività legislativa della Regione. Mi dice ora l’onorevole Nitti che tutto questo è un lavoro inutile. Può darsi che sia inutile; comunque facciamolo con tutta coscienza.

Ed allora credo – forse è una mia illusione, come tutti i padri si illudono che i loro figli siano belli – credo che il primo comma da me premesso alla elencazione delle materie, che avevo già presentato, prevedendo quello che poi ha fatto la Commissione di coordinamento, possa restare anche con la formula proposta dalla Commissione stessa.

Sarebbe una fissazione precisi dei binari entro i quali la legislazione regionale. potrà percorrere la sua via. In fondo, la mia proposta risponde ai dubbi che ha mossi l’onorevole Bozzi. Cioè, che cosa potrà fare la Regione? Che cosa dovrà fare la Regione?

Prima di tutto, si rassicuri l’onorevole Lami Starnuti, non si deve abolire tutta la legislazione esistente. Abbiamo dei punti fissi nella nostra legislazione statale, che non si possono più neanche mettere in discussione. Ad esempio, la legislazione sulle acque pubbliche rappresenta quanto di meglio si poteva fare e l’onorevole Ruini vi ha, a suo tempo, largamente collaborato insieme al Ministro onorevole Sacchi: è un punto veramente perfetto della nostra legislazione, che tutti gli altri Stati ammirano. Così la legge sulle opere pubbliche del 1865 è ancora una legge assai buona, che può rendere ottimi servigi.

Quindi, i binari sono quelli fissati dalle leggi dello Stato. Cosa fa la Regione? Sviluppa le leggi dello Stato in statuti o leggi regionali, secondo i bisogni e le condizioni ambientali.

Allora, io avrei precisato parecchi punti. Primo:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative che siano in armonia con la Costituzione». Questo per evitare i conflitti davanti alla Corte costituzionale o alle Sezioni unite della Cassazione, a norma della legge sui conflitti del 1877. Potrete osservare che è superfluo il dirlo, ma certo non nuoce.

Secondo, che «siano in armonia con i principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato», cioè con quelle preleggi di cui faceva cenno l’onorevole Bozzi; perché sarebbe strano che la Regione facesse leggi che uscissero dai confini e dai principî generali dell’ordinamento dello Stato.

Terzo, «rispettino gli obblighi internazionali»: questo per alcune Regioni, in materia di acque pubbliche, di navigazione, ecc.

Quarto, «rispettino gli interessi della Nazione e delle altre Regioni», sopra tutto per non creare conflitti tra Regione e Regione.

Il punto poi più importante sarebbe il quinto: «nonché rispettino i principî generali che sulle stesse materie siano stati fissati con leggi dello Stato». Ecco il punto innovativo di questa mia introduzione negli articoli 109 e 110, di questa prima parte che, come diceva l’onorevole Fabbri, è la più importante, anzi la fondamentale.

Cioè, sarebbe assurdo che la Regione, attribuendosi potestà legislativa in una certa materia – per esempio per quello che riguarda trasporti di cose mediante veicoli o autoveicoli – si mettesse in dissenso con le norme generali che regolano la circolazione dei veicoli in tutto il territorio dello Stato. Quindi, i principî generali rimangono identici in tutto lo Stato; potrà la Regione dettare norme specifiche, purché queste non siano in contrasto coi principî generali che sulle stesse materie siano stati già fissati da leggi dello Stato, o con quei principî generali che derivano da una legge dello Stato che regola tutta la materia.

Ed allora mi sembra – non so se la Commissione potrà accettare la mia formula – che essa potrebbe essere utilmente sostituita a quella del nuovo articolo 109, 110, 111, in modo che, premessa questa base fondamentale, si possa poi scendere alla specificazione delle materie speciali di cui si debba occupare la legislazione regionale.

Ecco i motivi per cui credo che questo mio emendamento, limitato solo alla sua prima parte, possa essere votato dall’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha proposto il seguente emendamento:

Articoli 109 e 110.

«Sostituirli col seguente:

«La Regione avrà potestà di emanare norme legislative per le materie di interesse strettamente regionale che saranno stabilite da una legge. La legge stessa fisserà i limiti e le condizioni entro cui la suddetta facoltà legislativa potrà essere esercitata».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgere l’emendamento.

NOBILE. Non ho bisogno di parlare a lungo su questo argomento. Appartengo a quella schiera di persone, le quali sono convinte che l’ordinamento regionale sia un grave errore.

Ora, la mia preoccupazione è che questo errore non sia aggravato dalla precipitazione con la quale potremmo decidere su questo articolo unificato del Comitato, in cui c’è elencazione delle materie per le quali si riserva una facoltà legislativa alla Regione. Ho altre volte detto che la possibilità di concedere all’ente Regione la facoltà di legiferare su ciascuna di queste materie, è cosa che richiederebbe da parte nostra la più grande attenzione ed un esame approfondito della materia, soprattutto di carattere tecnico, esame che non abbiamo né il tempo né, tanto meno, la calma di poter fare.

Comprendo molto bene come vi siano materie per le quali si possa, senza eccessiva preoccupazione, lasciare alla Regione la facoltà di emanare norme, così come oggi se ne dà la facoltà ai Comuni e alle Provincie. Lo comprendo quando si tratti di dare, scendendo ora ad una specifica esemplificazione, la facoltà alla Regione di emanare norme a proposito della istituzione di enti amministrativi della Regione stessa, o a proposito della modificazione delle circoscrizioni comunali e provinciali o anche – sebbene con qualche riserva – quando si tratti di norme che riguardino la polizia urbana e rurale e, entro certi limiti, anche le fiere e i mercati, la beneficenza pubblica, l’assistenza ospedaliera: però, quando si elencano materie, come, per esempio, l’istruzione artigiana e tecnico-professionale, allora io incomincio ad avere dei dubbi circa l’opportunità di concedere o meno questa facoltà alla Regione. Una cosa cui non si riflette abbastanza è questa: che quando si dice nel testo del Comitato, che «la Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica», non v’è dubbio che con ciò implicitamente si viene a postulare che lo Stato non può far altro se non emanare delle leggi generali.

Ora, onorevoli colleghi, questa cosa è di una gravità particolare. Potrebbe, infatti, accadere che una Regione non facesse nulla, ad esempio, in materia di istruzione artigiana e di istruzione tecnica professionale, ritenendo erroneamente che non costituissero materie di proprio interesse.

La stessa cosa si potrebbe dire per il turismo: ma per il turismo c’è uno schema legislativo che crea un Commissariato, perché si riconosce al turismo un’importanza così preminente, che si sente il bisogno di creare appunto questo Commissariato. Ora, come potete voi mettere in accordo questo decreto legislativo che è in esame con il fatto che il turismo qui è riservato alla Regione?

La stessa cosa riguarda, ad esempio, le tranvie. Ora, mi meraviglio che il Presidente della Commissione, il quale pure ha tanta esperienza in proposito, possa ammettere, per esempio, che in questa materia ci possa essere una diversa legislazione per le 22 Regioni italiane: è una cosa semplicemente assurda.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma questa è questione di elenco; ne riparleremo.

NOBILE. Io non faccio che accennare per sommi capi alla difficoltà di fare oggi un’elencazione. Facendola oggi, si commettono errori gravi ed il constatare che, per esempio, la Commissione ha commesso errori di omissione, non basta per farci rimanere per lo meno perplessi?

Poi c’è la viabilità: ora, può esistere una viabilità di interesse comunale, senza dubbio; ma che esista una viabilità di interesse regionale io lo nego; perché – come ho detto altra volta – se da Napoli si può andare più rapidamente a Benevento e a Campobasso, la cosa non interessa solo la Regione campana, ma anche la Lombardia e il Piemonte.

Inoltre non si è riflettuto abbastanza a questo: che la Regione potrebbe anche non fare nulla e questa semplice omissione sarebbe un grave danno.

La stessa osservazione si può fare per la navigazione lacuale ed i porti.

Ritengo poi un assurdo elencare l’energia elettrica e le acque pubbliche e mi riferisco anche a quanto ha fatto rilevare l’onorevole Einaudi.

Anche le cave e torbiere sono di interesse regionale, ma se la Regione non fa nulla, non è questo un danno nazionale?

Tutto ciò dimostra che questa elencazione richiederebbe un esame approfondito, e non abbiamo tempo di farlo.

Ammettiamo pure che sia data facoltà legislativa alla Regione, ma rimandiamo al futuro Parlamento di decidere entro quali limiti e in che condizioni questa attività legislativa deve essere esercitata.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Malagugini, Vernocchi e Cacciatore, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire all’articolo proposto dal Comitato di coordinamento, in luogo degli articoli 109, 110, 111, il seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative in armonia coi principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica su materie particolari indicate dalle leggi stesse».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere l’emendamento.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, contrariamente all’apparenza, io non parlo come un isolato ma parlo a nome del mio Gruppo. Dico contrariamente all’apparenza, perché non mi vedete circondato da una folla di colleghi. (Si ride).

Ho presentato l’emendamento con altri colleghi a nome del Gruppo cui appartengo.

La differenza effettiva fra il nostro emendamento, fra la nostra proposta e la proposta del Comitato di coordinamento, in realtà è questa: noi intendiamo attribuire chiaramente ed esplicitamente all’ente Regione potestà legislativa. Abbiamo rinunciato anche a proporci la questione tanto cara a qualche collega della differenza fra facoltà normative e legislative. Attribuiamo senz’altro alla Regione facoltà legislative, in armonia coi principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica. E questo è lo stesso concetto limitativo che figura anche nella nuova proposta della Commissione. Anzi, vi è forse nella nostra formula una limitazione minore perché, mentre nella proposta del Comitato di coordinamento si dice: «Potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica», noi limitiamo il riferimento ai principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica.

La ragione dell’emendamento quale è? Che noi intendiamo limitare, o meglio stabilire, che la facoltà legislativa, attribuita alla Regione, sia determinata dalla legge. Invece d’una limitazione potrebbe trattarsi in definitiva di un’estensione. Infatti, nel nostro emendamento si dice: «Materie particolari indicate dalle leggi stesse». (Interruzioni).

Dicevo che questa non è una limitazione…

UBERTI. È una limitazione, è evidente. Basta leggere l’ultimo capoverso.

TARGETTI. Non mi lamento, onorevole Uberti, delle sue interruzioni. Siccome lei interrompe tutti, se non interrompesse anche me, potrebbe sembrare una mancanza di considerazione. (Si ride).

Dico che non è una limitazione. La proposta del Comitato di coordinamento stabilisce in modo specifico le materie nelle quali, questa potestà legislativa si può esercitare: ebbene, noi diciamo che la Regione potrà esplicare queste sue facoltà in tutte le materie indicate dalle leggi. Chi farà le leggi? Sarà l’Assemblea. Ora io non voglio uscire dall’argomento della discussione, ma se gli egregi colleghi della Democrazia cristiana sono convinti di aver assicurato maggiori fortune al loro Partito col loro nuovo orientamento, devono ritenere che quando l’Assemblea legislativa di domani si troverà ad indicare le materie sulle quali potrà esercitarsi la potestà legislativa della Regione, quei limiti potranno essere allargati come a loro sembrerà più opportuno di fissare, se, come noi certo non ci auguriamo, sarà accresciuta la loro influenza politica.

Se da parte degli autonomisti più decisi vi è stata la tendenza a dare al nostro emendamento un significato contrario a quello che realmente merita, ciò dipende, in parte, da un giudizio errato sull’atteggiamento del nostro Partito in materia di Regione. Dico del nostro Partito, senza dare eccessiva importanza a quelle divergenze che in seno al Partito stesso si possono come in tutti i partiti riscontrare. L’onorevole Tonello, per esempio, non è un innamorato della Regione. Ma questo non significa che l’atteggiamento del Partito nostro corrisponda alle sue opinioni. A questo proposito io ricordo all’Assemblea, ed anche ad alcuni colleghi del mio Gruppo, che il nostro Partito è stato sempre decisamente favorevole al più deciso decentramento. (Interruzioni). Vedo che mi si interrompe da più parti. Mi scuso, quindi, se non posso raccogliere e sentire tutte le interruzioni. (Si ride).

È noto a tutti che il nostro Partito, ha fatto sempre caposaldo della sua politica amministrativa il massimo decentramento amministrativo. Ma, come si può ottenere il massimo decentramento amministrativo, essendo contrari all’istituzione della Regione? L’istituzione della Regione è una delle conseguenze, ed al tempo stesso è una delle premesse, uno dei mezzi per raggiungere un più ampio ed effettivo decentramento. E quando io dico che questo è stato l’orientamento del mio Partito, non mi riferisco a tempi lontani, ma anche a tempi recentissimi. Prima delle elezioni politiche del 2 giugno vi fu la grande lotta amministrativa del marzo-aprile 1946. Ebbene, il programma amministrativo del nostro Partito aveva, se non come base fondamentale, certo come uno dei suoi postulati, l’istituzione dell’ente Regione. Non dirò che ciò faccia parte della storia, ma è un fatto incontestabile e di facile accertamento. Basta consultare la stampa del tempo. Né abbiamo alcuna ragione di cambiare, di correggere il nostro pensiero. Voi dovete tener presenti le dichiarazioni che a nome del nostro Gruppo furono fatte in una recente seduta nei riguardi dell’ordine del giorno Rubilli. Per quale ragione, se noi fossimo realmente contrari all’istituzione della Regione, avremmo esitato a votare a favore di quell’ordine del giorno che seppelliva la Regione? Parliamoci francamente: non si è tenuto presente nessun interesse, nessuna preoccupazione elettorale, nessuna di quelle considerazioni che esercitano talvolta anche influenza maggiore di quella che dovrebbero esercitare. Che cosa ci sarebbe stato di male per noi se avessimo dichiarato in quella sede il nostro favore per l’ordine del giorno Rubilli, assumendo un atteggiamento decisamente contrario all’istituzione della Regione? Piuttosto c’è da fare qualche osservazione sopra il nostro regionalismo. C’è da chiedersi se vi è una distinzione da fare fra il regionalismo nostro e quello di altre parti dell’Assemblea. Evidentemente, sì. Noi abbiamo la preoccupazione che un sentimento più che giustificato e naturale di avversione al centralismo, sentimento che si è ingigantito e persino giustamente invelenito, come conseguenza del regime fascista, possa portare a qualche eccesso dannoso agli interessi della nazione. Noi abbiamo poi – ed i colleghi, anche quelli che più dissentono dalle nostre opinioni, dal nostro orientamento politico, devono convenirne – delle ragioni specifiche per temere un eccessivo particolarismo che possa derivare da un eccessivo regionalismo. La nostra idealità politica, la nostra azione nel campo politico come in quello economico sono ispirate ad una concezione prettamente, tipicamente e sostanzialmente unitaria. Noi ci proponiamo di agire sul piano nazionale, statale.

È inutile far perdere tempo all’Assemblea ricordando cose che ciascuno dei suoi componenti può ricordare a chi parla, cioè che il nostro concetto dello Stato e della sua funzione, della sua ingerenza, della sua influenza sopra tutta la vita sociale ed economica della Nazione ci porta necessariamente a temere uno spezzettamento della vita amministrativa e politica della nazione, ci porta a preoccuparci del pericolo di un indebolimento di questo indirizzo unitario e quindi della compagine organica dello Stato. Cito le parole di chi fu una delle più grandi figure del nostro Partito, una delle più nobili figure del Parlamento italiano, non ancora abbastanza ricordata; cito le parole che nel 1916 Claudio Treves ebbe a dire a proposito del decentramento. Egli ebbe ad ammonire: «Tiriamo sodo sull’accentramento statale, ma badiamo che qualche colpo non vada a finire sull’organizzazione dello Stato».

È questo il pericolo di cui noi socialisti ci preoccupiamo. Non pretendiamo che la stessa preoccupazione abbia chi segue una ideologia diversa dalla nostra. Pretendiamo soltanto che, in conseguenza di questo nostro particolare modo di vedere, non si venga a mettere in dubbio la sincerità del nostro atteggiamento. Quando noi, dopo aver votato per la Regione, dopo aver consentito che le si attribuiscano poteri legislativi, vi proponiamo di domandare alla legge ordinaria l’indicazione delle materie nelle quali questo potere legislativo o normativo si può esplicare, noi facilitiamo la nascita e la vita della Regione. Nel partecipare ai lavori della Commissione dei Settantacinque – lo dico sinceramente – ho dovuto ammirare il tesoro di cognizioni scientifiche specialmente nel campo del diritto amministrativo e costituzionale che è stato portato in questa elaborazione da tanti nostri colleghi di vari settori dell’Assemblea. Riconosco ben volentieri di avere imparato molte cose, seguendo quei lavori. Però, quando si tratta di scendere nel campo della pratica e di stabilire quali particolari materie, meglio che altre, si adattino ad essere regolate dalla Regione, più che la scienza giuridica, può servire la pratica amministrativa; può servire di più l’esperienza di chi ha vissuto la vita dei Comuni, delle Provincie e dello Stato.

Determinata così, in base unicamente a teorie ed a principî giuridici e costituzionali, approfondita finché volete, la legislazione regionale può riuscire affrettata, può risultare, nella sua attuazione, in contrasto con esigenze pratiche, con quella che deve, che può essere l’attività della Regione.

Se voterete contro il nostro ordine del giorno, quando passeremo ad occuparci delle singole voci e delle singole materie nelle quali la potestà legislativa della Regione dovrebbe esplicarsi, vedrete da quante parti verranno avanzate osservazioni, forse non tutte di carattere giuridico o costituzionale, ma di portata pratica. Un voto di maggioranza deciderà oggi quello che praticamente si presenterà di non utile applicazione.

Concludendo, domando agli autonomisti più convinti: che pericolo ci sarebbe votando la nostra proposta, con la quale si riconosce alla Regione la potestà legislativa, lasciando alla futura Assemblea legislativa, ammaestrata anche dall’esperienza, di determinare le materie nelle quali questa facoltà debba esercitarsi? (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo aveva presentato un emendamento all’articolo 109, in relazione al primo testo:

«Sostituirlo col seguente:

«La Regione ha potestà legislativa delegata per le seguenti materie, con l’osservanza dei principî e delle direttive, che la Repubblica ritenga stabilire con legge:

ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;

modificazioni delle circoscrizioni comunali;

polizia locale urbana e rurale;

beneficenza pubblica e assistenza ospedaliera;

istruzione tecnico-professionale e scuola artigiana;

biblioteche di enti locali;

fiere e mercati;

urbanistica;

strade, acquedotti o lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;

porti lacuali;

pesca nelle acque interne di carattere regionale;

cave e torbiere;

turismo e industria alberghiera;

caccia;

acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida sull’interesse nazionale e su quello di altre Regioni;

acque minerali e termali;

tranvie;

linee automobilistiche regionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

CAROLEO. I miei voti sono stati accolti nel nuovo testo proposto dalla Commissione, dovrei quindi rinunziare al mio emendamento ed aderire alla nuova formulazione della Commissione.

Le mie preoccupazioni non si riferivano alla qualità e quantità dei poteri da conferire alla Regione. Io sono stato un fervente autonomista e regionalista; ma mi sono sempre preoccupato dell’unità e dell’integrità dello Stato; e mi sono preoccupato principalmente della integrità di quel potere legislativo centrale, che deve essere per intero devoluto al Parlamento. Ora, attraverso il nuovo testo della Commissione si unificano le potestà e le materie e si stabilisce il principio, per me fondamentale, che il potere legislativo conferito alle Regioni è un potere subordinato. Ciò ha particolare importanza e si vedrà specialmente quando discuteremo sui sistemi di controllo da esercitarsi, sulla potestà legislativa regionale e quando stabiliremo a quali organi potrà spettare il diritto di elevare eventuali conflitti dinanzi alla Corte costituzionale o dinanzi all’altro organo che costituzionalmente avrà il compito di risolvere le varie divergenze a proposito di sconfinamento di poteri legislativi.

Ripeto che vedo detta mia preoccupazione superata dal nuovo testo della Commissione; quindi non ho ragione di insistere nei miei emendamenti e dichiaro, senz’altro, che intendo approvare, così come è, il testo concordato.

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

Sostituirlo col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme giuridiche, nell’ambito della Costituzione e nei limiti della legislazione generale dello Stato, che ne assicuri unicità d’indirizzo, nelle seguenti materie:

ordinamento degli enti e degli uffici dipendenti, e stato giuridico ed economico del personale;

circoscrizioni comunali nell’ambito del territorio regionale;

agricoltura e foreste;

contratti agrari;

usi civici;

caccia e pesca;

miniere, cave, torbiere, saline, acque minerali e termali;

strade, porti, acquedotti, argini, ponti, bonifiche ed altri lavori pubblici, a esclusivo carico della Regione e d’interesse regionale; e relative espropriazioni per pubblica utilità;

navigazione interna, lacuale e di cabotaggio;

urbanistica, e tutela del paesaggio;

turismo e industria alberghiera;

manifestazioni ricreative e sportive;

polizia locale, urbana e rurale;

assistenza e beneficenza pubblica;

istruzione professionale ed artigiana;

biblioteche e musei di enti locali;

istituti di credito e di risparmio regionali, purché esercitati nelle forme della cooperazione e del risparmio;

linee e mezzi di trasporto a carattere locale;

fiere e mercati;

edilizia;

licenze di esercizio;

ogni altra materia indicata dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODIGNOLA. Avrei rinunciato senz’altro a parlare, se il nuovo testo della Commissione avesse offerto una formulazione più chiara, più accettabile dei limiti di competenza regionale. Mi pare che le due correnti fondamentali rimaste ora in lizza indichino queste due soluzioni: o che la legislazione si limiti a funzioni d’integrazione e d’attuazione, vale a dire che la Regione si limiti ad adottare, nel campo di determinate materie, la legislazione dello Stato alle necessità locali; o che invece – ed è la proposta della Commissione – la Regione possa, sempre nell’ambito di quella materia, legiferare liberamente, entro le direttive o i principî generali stabiliti con leggi della Repubblica.

Ora mi pare che già altri abbiano avanzato delle obiezioni circa il significato, dal punto di vista giuridico dell’espressione «direttive o principî generali stabiliti per legge». O noi intendiamo con essa riferirci alla nozione di principî generali di diritto, che è nozione vastissima, la quale in sostanza escluderebbe la possibilità effettiva di una legislazione diretta dello Stato su queste materie, e questo mi pare non si possa accettare, perché non possiamo ammettere che esistano materie sulle quali lo Stato non abbia facoltà alcuna di legiferare; oppure vogliamo dire che lo Stato conserva sempre la facoltà di intervenire legislativamente, ma dove esso non interviene può, su queste materie, intervenire la Regione. In quest’ultimo caso, tanto varrebbe affermare che la Regione ha facoltà di emanare norme giuridiche nei limiti della legislazione dello Stato.

Mi pare, dunque, che stiamo cercando una formula complicata e difficile per spiegare un concetto che è semplice ed evidente. Se siamo d’accordo su questo principio, che non esiste nessuna materia su cui la Regione sia sola a legiferare, per la quale, cioè, abbia competenza esclusiva, allora la soluzione non può essere che questa: lo Stato può continuare a legiferare sulle materie dell’articolo 109, ma la Regione può e deve, su quelle medesime materie, legiferare largamente nei limiti in cui non legiferi lo Stato.

Poc’anzi è stato detto: su tutte queste materie esiste già una legislazione. Benissimo. E noi non possiamo volere che tutta la legislazione dello Stato già in vigore sia abbandonata. La legislazione dello Stato resta quella che è. Le norme che stiamo ora predisponendo varranno piuttosto per determinare i limiti entro i quali lo Stato dovrà legiferare per l’avvenire, senza per questo distruggere l’ordinamento giuridico esistente. Mi pare, dunque, che l’unica soluzione, direi elementare, semplice di questo problema, sia quella di riconoscere alle Regioni la facoltà di emanare norme giuridiche nell’ambito di determinate materie, fermo restando il principio che su quelle medesime materie lo Stato mantiene la sua potestà legislativa ordinaria. Manterrei, quindi, la proposta di emendamento da me fatta, che cioè «la Regione ha potestà di emanare norme giuridiche nell’ambito della Costituzione e nei limiti della legislazione dello Stato, che ne assicuri unicità di indirizzo, nelle seguenti materie».

PRESIDENTE. Abbiamo così esaurito l’esame di tutti gli emendamenti relativi alla natura della potestà normativa concessa alla Regione. Restano ancora da svolgere tutti quegli emendamenti che erano stati presentati agli articoli 109, 110 e 111 relativi all’elencazione delle materie; ma essi formeranno argomento di discussione successiva.

Il seguito della discussione è, pertanto, rinviato ad altra seduta.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno: a) per conoscere quali sono le disposizioni di legge che consentirono di mettere a disposizione del Partito democratico cristiano le forze di polizia, per presidiare, nella giornata di domenica, 29 giugno, la Piazza San Marco di Venezia; b) sugli incidenti che si svolsero, sempre a Venezia, nella mattinata di domenica, 29 giugno.

«Pellegrini».

«Al Ministro dell’interno, per sapere se è a conoscenza della vile aggressione perpetrata domenica 29 giugno ai danni di 60 democristiani, comprese donne e bambini, mentre pacificamente attraversavano il paese di Marmore, o per conoscere, altresì, quali provvedimenti ha preso od intende prendere per l’incolumità dei cittadini fatti segno a violenze derivate da volontà preordinata ad impedire la libera manifestazione delle opinioni politiche.

«Coccia».

«All’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere i motivi per i quali i competenti uffici assegnano alla provincia di Napoli miscele di farine non idonee ad una razionale panificazione, ottenendo in conseguenza il risultato di lasciare oggi, 1° luglio, come riferiscono i giornali del mattino, la città di Napoli senza pane.

«Mazza».

«Al Ministro delle finanze, per conoscere se non creda di proporre che sia sollecitamente stabilita la facoltà dei comuni minerari di applicare una equa imposta sulla produzione mineraria che si estrae dal loro territorio; e ciò in considerazione dei gravi oneri che dallo svolgersi dell’attività industriale derivano a tali comuni, dell’esiguo apporto tributario dato alla vita locale dalla stessa industria e dei rilevanti utili che questa realizza.

«Corsi».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. A quest’ultima interrogazione risponderò nella prima seduta dedicata alle interrogazioni. Delle altre darò comunicazione ai Ministri competenti perché facciano sapere quando intendono rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Mi permetto di suggerire che si faccia una discussione organica su di un solo problema: per esempio sulle autonomie, o sulle questioni finanziarie, o sull’imposta patrimoniale, e non si spezzi la discussione trattando la mattina un argomento ed il pomeriggio un altro.

Così tutti sappiamo, per esempio, che il giovedì, il venerdì ed il sabato si discute, poniamo il problema dell’imposta patrimoniale, oppure quello delle autonomie in modo che tutti possiamo, nella seduta della mattina ed in quella pomeridiana, dedicare il nostro tempo ed il nostro studio a questo problema unitariamente, senza spezzare il lavoro della mattina con un altro totalmente opposto che si svolge nel pomeriggio. Io credo che, seguendo questo mio suggerimento, si guadagnerebbe in economia ed in utilità per la discussione.

PRESIDENTE. Vorrei osservare che tradizionalmente, quando la normale Assemblea legislativa tiene due sedute, vi è un argomento nella seduta della mattina, ed un argomento diverso in quella del pomeriggio. Sappiamo anche che gli esperti dicono che ciò serve a tener fresca la mente. Se si tratta di stabilire qual è la materia alla quale sono destinate le due sedute della giornata – nei casi in cui teniamo due sedute nella stessa giornata – è facile mettersi d’accordo. Oggi, ad esempio, l’ordine del giorno recava nella seduta del mattino il progetto sulla imposta patrimoniale, ed in quella del pomeriggio il seguito della discussione sul progetto di Costituzione. È quindi agevole prepararsi per queste discussioni sapendo che – salvo diversa disposizione che vorrà stabilire l’Assemblea – la seduta del mattino è normalmente dedicata alla patrimoniale e quella del pomeriggio al progetto di Costituzione.

Secondo il mio avviso personale, è opportuno che in tutti quei giorni in cui terremo due sedute giornaliere, almeno una seduta sia dedicata al progetto di Costituzione, dato che questa è la nostra funzione principale. Propongo quindi di seguire, anche per i giorni futuri, lo stesso metodo.

Onorevole Lussu, se lei intende fare una proposta diversa saranno i colleghi a decidere. Diversamente resta inteso che domani vi saranno due sedute: alle 10 per continuare la discussione sull’imposta straordinaria sul patrimonio e alle 17 per l’elezione di un Vicepresidente, in sostituzione dell’onorevole Tupini, nominato Ministro, e per il seguito della discussione del progetto di Costituzione.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali relazioni esistano tra l’inchiesta condotta sulla amministrazione degli Ospedali riuniti di Perugia e la disastrosa alienazione di un vasto tenimento agricolo, di antichissima proprietà dell’Istituto, intorno alla quale pende una grave causa avanti al Consiglio di Stato.

«Vernocchi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere quali provvedimenti intende adottare per reintegrare nei diritti che ad essi competono in quanto militari i giovani delle classi 1924 e 1925 residenti nella provincia di Cuneo, i quali nell’agosto 1943 vennero chiamati con cartolina precetto del Distretto militare di Cuneo, arruolati nella IV Armata, assegnati alla costruzione di opere militari sulla costa francese alle dipendenze del Genio militare, fatti prigionieri dai tedeschi, e una volta tornati in Italia dopo la liberazione furono considerati internati civili in forza di un ingiusto provvedimento che, allo scopo di sanare l’iniqua irregolarità di quella precettazione avente un preciso carattere di obbligo militare, viene ora a defraudare, migliaia di giovani dei diritti loro spettanti per il servizio prestato e per la prigionia subita in quanto rivestivano, in fatto e in diritto, la incontestabile qualifica di militari.

«Giolitti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali siano i provvedimenti presi a favore della categoria dei pensionati statali, che, dopo aver servito lo Stato, languono ora nella miseria.

«In particolare l’interrogante chiede di conoscere se e quali provvedimenti sono stati adottati o sono in corso di attuazione relativamente:

1°) all’entità dello stipendio;

2°) all’indennità di contingenza;

3°) alla 13ᵃ mensilità;

4°) al premio della Repubblica;

5°) all’indennità carovita;

6°) al libretto ferroviario;

tenendo presente che il diverso trattamento fatto agli impiegati, operai, reduci e partigiani, pensionati militari e delle ferrovie, ecc., genera disagi ed agitazioni in tutti coloro che vedono calpestato e per essi dimenticato il tanto conclamato uguale trattamento sociale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni della recente nomina di un Comitato di Ministri per l’esame delle opposizioni presentate ai sensi del decreto-legge presidenziale 25 giugno 1946 da funzionari civili e militari dal I al IV grado incluso, collocati a riposo nel gennaio 1945 d’autorità del Presidente del Consiglio dei Ministri in forza del decreto legislativo luogotenenziale 11 ottobre 1944, n. 257.

«Le opposizioni, di che trattasi, furono presentate da circa un anno, dai funzionari predetti, avverso il provvedimento che nei loro confronti fu deliberato prima delle sentenze delle competenti Commissioni di epurazione, con evidente sperequazione di trattamento in confronto a coloro che furono colpiti dalla legge Sforza e dalla legge Nenni.

«Poiché i vari Ministri, cui i ricorsi anzi cennati furono inoltrati, già da molto tempo li hanno trasmessi alla Presidenza del Consiglio, corredati dei loro pareri, dopo averli rigorosamente vagliati e fatti vagliare da apposite Commissioni, e poiché la Presidenza del Consiglio, a sua volta, tutte le opposizioni ha sottoposto all’esame di una Commissione nominata dal Presidente del Consiglio, e composta da un magistrato di Corte di appello, da un consigliere di Stato e dall’avvocato generale dello Stato, non si comprende la ragione della successiva recente nomina di un Comitato di Ministri per altro esame delle opposizioni stesse.

«La grave condizione di disagio morale e materiale, nella quale da tre anni versano ottimi funzionari civili e militari colpiti da una ingiusta disposizione, conseguente alla faziosa politica del Paese; il fatto che la più gran parte di essi è stata unanimemente prosciolta da ogni addebito in sede epurativa, e che per molti è stato anzi riconosciuto il merito partigiano, consentono all’interrogante di rilevare che la recente nomina del Comitato dei Ministri, per ulteriore esame dei giudizi già espressi dalle varie Commissioni, nominate dai singoli Ministri e dalla Presidenza del Consiglio, rappresenta un inutile quanto dannoso sistema defatigatorio, che esaspera la paziente attesa di tanti benemeriti funzionari già prosciolti dalla Commissione di epurazione da qualsiasi addebito.

«L’interrogante chiede di sapere se, in considerazione delle ragioni anzicennate e delle dichiarazioni fatte recentemente davanti all’Assemblea Costituente, nel senso che tutti i ricorsi di coloro che sono stati ingiustamente colpiti da provvedimenti epurativi saranno rapidamente esaminati e conclusi, l’onorevole Presidente del Consiglio non ritenga giusto deliberare senz’altro sulle opposizioni di cui è caso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se, in considerazione delle attuali favorevoli condizioni, non ritiene opportuno provvedere sollecitamente alla nomina di unico commissario nazionale per regolare il consumo della energia elettrica in tutto il paese, in modo da evitare che nel prossimo inverno si ripetano le dolorose condizioni degli anni scorsi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Barbareschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere a qual punto sono le trattative per l’aumento delle misere pensioni attualmente corrisposte ai pensionati dell’Istituto della previdenza sociale; e per chiedergli se, nell’attesa della riforma generale della previdenza, non ritiene opportuno provvedere intanto alla unificazione degli attuali contributi previdenziali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Barbareschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non intenda stabilire che la concessione del sovraprezzo di lire 300 per ogni quintale di grano consegnato all’ammasso sia prorogata fino al 15 agosto come fu fatto lo scorso anno, specie avuto riguardo agli agricoltori delle zone collinose dell’Italia centrale e tenendoconto che ragioni climatiche e topografiche e la stessa scarsezza di macchine trebbiatrici, unita alle peggiori condizioni di viabilità non permettono loro di mietere e di consegnare in tempo. Tale provvedimento eliminerebbe una grave ingiustizia a danno degli agricoltori meno fortunati e più disagiati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zuccarini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno ed onesto sgravare dalle imposte erariali di reddito agrario i comuni di Leinì, Volpiano, Borgaro, Caselle, San Benigno, Brandizzo, Lombardore, Foglizzo, Settimo, Conengo, Vallo, Rodallo, Mazzè, comuni che nei primi di giugno ebbero i raccolti totalmente distrutti dalla grandine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Stella».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le cause che ritardano la ripresa e la condotta a termine dei lavori per la costruzione della strada di serie n. 161 (Valico Lagastrello-Aulla) da parecchi anni interrotti con inutile aggravio di danni e spese, tenendo conto:

  1. a) che un tale inspiegabile stato di inerzia, che i competenti uffici del Genio civile non solo non si adoperano sufficientemente ad eliminare, ma che con la loro indecisione minacciano di cristallizzare, ha provocato e continua a provocare nelle popolazioni interessate un vivo senso di disagio e malcontento che occorre superare, ridando ad esse, con un opportuno e decisivo intervento, fiducia nella capacità e volontà dello Stato a comprendere e a risolvere i problemi che le riguardano;
  2. b) che la costruzione della strada in oggetto riveste particolare interesse di utilità generale, essendo destinata a collegare tra di loro le provincie di Massa Carrara, La Spezia, Parma, Reggio Emilia e a valorizzare vaste zone montane capaci di considerevoli attività produttive, sia nel campo agricolo che industriale, che le mancanti comunicazioni stradali hanno, sino ad oggi, impedito di sorgere o di svilupparsi in modo adeguato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri Filippo».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non ritenga opportuno prorogare l’efficacia della legge 8 aprile 1937, n. 631, almeno per quanto ha riguardo alle cooperative, almeno fino al 31 giugno 1948, in considerazione che col 30 giugno 1947 è scaduta l’efficacia delle sue disposizioni, nonché dei successivi decreti riguardanti la tassa proporzionale di registro in relazione ad anticipazioni o finanziamenti concessi ad aziende o enti dipendenti, derivanti da fornitura di qualsiasi genere e considerato anche che di detta legge traggono oggi vantaggio le nascenti cooperative edili ed affini nel procurare gli indispensabili finanziamenti senza oneri troppo gravosi e che la garanzia data alle banche colla cessione dei crediti è l’unica forma che consenta possibilità di finanziamento, e quindi possibilità di vita alle cooperative. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bianchi Costantino, Roselli».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

  1. – Votazione per la nomina di un Vicepresidente.
  2. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 1° LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processo verbale:

Romano                                                                                                            

Presidente                                                                                                        

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (Discussione):

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

Tonello                                                                                                            

Canepa                                                                                                              

Macrelli                                                                                                          

Valiani                                                                                                             

Bertone                                                                                                            

Uberti                                                                                                               

La seduta comincia alle 10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

ROMANO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROMANO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, vorrei osservare che una notevole parte della stampa si è dichiarata poco sodisfatta di quanto l’Assemblea ha deliberato nella seduta di sabato scorso. Infatti, leggendo la relazione degli Undici si ha l’impressione di vedere il medico, il quale si avvicina all’ammalato, constata che gli organi sono sani, ma ritiene, in via di principio, di dettare dei farmaci per lui. Il farmaco che ha consigliato la Commissione degli Undici… (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Romano, mi pare che quello che lei sta dicendo non entri nel processo verbale. Lei intende fare un discorso politico.

ROMANO. Onorevole Presidente, mi ascolti prima! Io non intendo fare un discorso politico, ma un rilievo: sono stati approvati ordini del giorno con i quali si è girato intorno alla questione e non si è colpito nel segno; onde la ragione della non soddisfazione da parte di certa stampa, onde la necessità di mettere in evidenza… (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Questo non è possibile: non è compito dell’Assemblea. Noi non facciamo polemiche con la stampa. Chi vuol farne si serva di un giornale.

ROMANO. Questa non è una polemica con la stampa. Sono stati approvati tre ordini del giorno, ed io intendo soltanto dire che non si è colpito nel segno perché, all’atto della liberazione, vennero distribuiti dai C.L.N. tutte quelle presidenze, tutti quei Commissariati che costano milioni allo Stato. È giusto che, dopo la deliberazione degli Undici, tutti i deputati investiti di cariche le depongano per salvare l’onore dell’Assemblea, perché noi, per l’interesse di pochi, non vogliamo subire il disprezzo sull’Assemblea (Rumori a sinistra), e non si deve far tacere un deputato che vuol mettere a nudo le ragioni che hanno gettato nel discredito questa Assemblea.

Si è parlato del divieto di promozione degli impiegati. Qui si guarda il pelo e non si colpisce il trave.

Una voce al centro. È giusto!

ROMANO. Questo entra nel processo verbale. Bisogna mettere da parte tutti i commissariati e tutte le presidenze e bisogna ripetere quello che disse Vincenzo Cuoco in un salotto napoletano: «Il deputato che veramente merita la stima del popolo è quello che entra nel Parlamento povero e ne esce poverissimo». Ed oggi questo purtroppo non si verifica più. Solo questo volevo dire. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Arcangeli e Molè.

(Sono concessi).

Discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente la istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevoli colleghi, desideravo far precedere la discussione da alcune brevi dichiarazioni, a nome del Governo, riservandomi di parlare più diffusamente a chiusura della discussione generale, che sta per aprirsi questa mattina.

Il decreto del 29 marzo 1947 rappresenta l’epilogo di più di due anni di studi che presso il Ministero delle finanze si sono susseguiti, durante le diverse gestioni del Ministero stesso. Il provvedimento è stato approvato dal Consiglio dei Ministri all’unanimità e, con la unanimità dei consensi del Governo di allora, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 marzo; con la sua pubblicazione e col decorso dei 15 giorni stabiliti, è diventato efficiente, salva la portata dell’articolo 77, relativa alla convalida da parte dell’Assemblea. Il nuovo Governo aveva non soltanto il diritto ma il dovere di curare l’esecuzione del decreto, salvo, naturalmente, gli emendamenti che possono essere deliberati dall’Assemblea; ne aveva il dovere, anche per non fare forse il gioco di non sopite correnti e di non sopite forze che avrebbero voluto, con argomentazioni di ordine giuridico, ritardare ancora l’applicazione di questo tributo straordinario. Il Governo, però, fin dai primi contatti avuti con la Commissione parlamentare di finanza per l’esame del disegno di legge sottoposto all’Assemblea, aveva dichiarato e dichiara ancora oggi che desidera tener conto di tutto il contributo di collaborazione che può essere dato affinché questo decreto sia il meno imperfetto possibile. Il Governo ha ringraziato la Commissione parlamentare di finanza per la collaborazione data. Il complesso degli emendamenti proposti dalla Commissione, in linea di massima, incontra il gradimento del Governo. Ed è per questo che io vorrei pregare l’onorevole Presidente di voler mettere in discussione, senz’altro, il testo di legge già emendato, secondo le proposte della Commissione di finanza. Penso che a questo modo molte discussioni potranno essere evitate e quindi potrà essere reso più sollecito il compito dell’Assemblea. Il Governo si riserva, naturalmente, di esprimere il proprio pensiero su qualche particolare emendamento. Il Governo desidera, in questo momento, rinnovare l’assicurazione che esso ha un solo desiderio: che su questo disegno di legge la discussione sia la più ampia possibile, sia la più proficua possibile. Il Governo terrà conto di tutte le modifiche che saranno deliberate dall’Assemblea. Non dico con questo che una cosa lapalissiana, perché è evidente che il Governo non può che accogliere quello che l’Assemblea avrà deliberato, ma desidero soprattutto riferirmi allo spirito che l’Assemblea rivelerà in sede di discussione. Ed è di questo spirito che il Governo desidera tener conto in sede di applicazione pratica del decreto. Si tratta del principale tributo della finanza straordinaria: di quel tributo che, come giustamente ha accennato nel suo intervento di pochi giorni fa il Presidente della Commissione parlamentare della finanza, deve raggiungere un triplice scopo: avere una funzione di ponte in sede strettamente fiscale, in questo periodo in cui la finanza straordinaria sta cercando il suo definitivo assestamento; essere strumento di giustizia sociale chiamando la classe più abbiente al compito della ricostruzione; e nello stesso tempo esercitare una funzione anti-inflazionistica.

Il Governo ringrazia la Commissione, ed in particolar modo il Relatore, per il contributo dato, e ringrazia fin da questo momento gli onorevoli colleghi per l’opera preziosa che vorranno dare al perfezionamento di questo disegno di legge. (Applausi al centro).

TONELLO. Chiedo di parlare sulle dichiarazioni del Governo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Se non ho mal capito, il Governo si propone di passare direttamente alla discussione dei singoli articoli.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze non ha detto questo, ma ha dichiarato di accettare, in sostanza, il testo proposto dalla Commissione.

CANEPA. Chiedo di parlare sulle dichiarazioni del Governo.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEPA. Io non entro nel merito: soltanto mi faccio portavoce del desiderio di molti contribuenti di vedere prorogato il termine per la denuncia dal 13 al 31 del corrente mese.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Effettivamente il Ministero delle finanze ha riconosciuto di non avere il potere di iniziativa di prorogare questo termine in modo formale: sarebbe necessario un provvedimento legislativo, e d’altra parte non sarebbe stato molto corretto nei confronti dell’Assemblea di inserire un decreto legislativo a modifica del decreto 29 marzo, mentre questo si trova davanti all’Assemblea per la convalida.

Si è risolto il problema in sede amministrativa comunicando a tutti gli uffici delle imposte che, in attesa del termine che sarà definitivamente stabilito dall’Assemblea, vengano considerate tempestive le dichiarazioni che saranno presentate entro il 31 luglio. È una formula che non è inconsueta nell’attività finanziaria italiana. Io mi auguro che, prima del 31 luglio, l’Assemblea stabilisca il termine definitivo.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale. Il primo degli iscritti a parlare presente nell’Aula è l’onorevole Macrelli. Ha facoltà di parlare.

MACRELLI. Onorevoli colleghi, assistiamo anche questa mattina ad un fatto al quale ormai siamo abituati: alla ecatombe degli oratori iscritti a discutere su questo progetto importante, che viene finalmente al nostro esame ed alla nostra approvazione. Il fatto trova però una giustificazione ed ha anche un suo particolare significato. Voi ricorderete: eravamo alla vigilia delle ferie pasquali; ci fu allora una interrogazione presentata dall’onorevole Nitti. Egli chiedeva che il Governo facesse una esposizione generale sulla situazione dal punto di vista economico-finanziario: e Governo ed Assemblea furono unanimi nel decidere che, superate le vacanze pasquali, si procedesse subito alla discussione sulla politica generale del Governo in materia finanziaria ed anche sull’imposta straordinaria patrimoniale.

Vi furono allora molti iscritti a parlare, appunto perché pensavano che ad un certo momento la discussione avrebbe investito tutta l’opera, tutta l’attività del Governo.

Sopravvenne invece la crisi. Voi tutti conoscete gli avvenimenti di questi ultimi giorni e quindi la ragione per cui oggi gli iscritti sono diminuiti di numero. Ecco perché io sono diventato l’oratore destinato ad aprire per primo il fuoco di questa battaglia verbale.

C’è una ragione personale che mi indusse allora ad iscrivermi nella discussione generale, ragione personale che permane anche oggi. L’Assemblea probabilmente ricorda che io, in qualità di Ministro, ad un certo momento fui nominato Presidente del Comitato per la propaganda del Prestito per la ricostruzione.

Voi ricorderete naturalmente, onorevoli colleghi, il decreto del 26 ottobre 1946 del Capo dello Stato, concernente l’emissione di tale Prestito. L’articolo 2 di quel decreto parlava delle condizioni in favore di coloro che avrebbero sottoscritto al Prestito e al primo capoverso diceva: «Ai fini tutti di cui al primo comma del presente articolo, i titoli sono esenti da obbligo di denuncia». E non basta, perché c’era stato un impegno preciso, formale, da parte del Governo, assunto – vi dico anche la data – l’11 ottobre 1946 dal Consiglio dei Ministri.

Ognuno può far fede sull’autenticità, sulla verità di quanto dico: vedo sui banchi vicini l’onorevole Bertone che credo potrà confermare quanto io dichiaro in questo momento: un impegno preciso dunque che il cambio della moneta doveva essere abbinato all’imposta straordinaria; e tutto questo, badate, messo in relazione al Prestito che stava per lanciarsi.

Fu questo, anzi, uno dei tanti elementi, starei per dire il principale degli elementi su cui venne impostata la propaganda per il Prestito nel Paese.

In quell’occasione il Comitato nazionale di propaganda, che era presieduto da me, emise perfino una serie di pubblicazioni: fra l’altro, un libretto che fu distribuito a tutti i deputati dell’Assemblea. Era un libretto di istruzioni sul Prestito, era un’indicazione per la propaganda che si doveva fare nel Paese. C’erano cifre dolorose, gravi, che indicavano cioè quello che aveva fatto la guerra, quello che aveva distrutto questo turbine di ferro e di fuoco; erano segnate le rovine non soltanto morali, ma soprattutto materiali, in ogni campo dell’attività. Ma c’erano anche altre cifre più confortevoli, quelle che indicavano la ripresa, sia pur lenta, ma continua, del nostro Paese.

Ad un certo momento noi avevamo segnato sul libretto d’istruzioni queste parole che io richiamo alla vostra attenzione: «Va inoltre rammentato che nell’annunciare remissione del Prestito per la ricostruzione il Governo ha voluto assumere l’impegno solenne di effettuare, appena in grado, il cambio della moneta. Ha voluto cioè dichiarare, al fine che non sorgano più dubbi, che le speciali ampie agevolazioni fiscali consentite ai titoli del Prestito saranno riservate esclusivamente ai titoli stessi e che i biglietti di banca, come ogni altra forma di ricchezza, comprese le merci, che non sarà così semplice come si suppone sottrarre all’indagine del fisco, saranno colpiti dall’istituenda imposta patrimoniale. Non appena le condizioni tecniche lo consentiranno, i possessori di biglietti saranno perciò chiamati a denunciarli per il cambio con nuovi biglietti approntati. Il biglietto di banca perde, di conseguenza, la sua caratteristica di consentire l’occultamento delle proprie fortune al fisco e ai terzi, e questa caratteristica viene assunta esclusivamente dai titoli del Prestito della ricostruzione, con questa differenza: che mentre l’occultamento dei biglietti, quando era possibile, era eseguito nei confronti del fisco contro le disposizioni di legge e, quindi, manteneva sempre il detentore dei biglietti stessi esposto al pericolo di nuovi accertamenti e multe, la non denuncia dei titoli del Prestito è ammessa dalla legge stessa».

E il Paese, nonostante quello che si è detto in contrario, nonostante le critiche che si son volute fare a questo proposito, rispose; e rispose largamente, date le condizioni del momento, all’appello che veniva dal Governo.

Il Prestito ha dato 231 miliardi, dei quali 112 in contanti, 16 con buoni ordinari del tesoro, 79 con buoni poliennali, 24 con la conversione di debiti statali ratizzati per forniture militari.

Il risultato è stato quale ragionevolmente si poteva prevedere: ha dato circa il 12 per cento sul complesso dei depositi fiduciari di 650 miliardi, e della circolazione di 450.

È la media dei prestiti passati: il prestito Soleri lo superò alquanto, perché emesso in un momento di stasi dell’economia, quando i depositi privati erano fermi in banca e le banche li versavano alla Banca d’Italia, unica forma d’impiego utile in quel periodo.

Adesso l’economia privata è in ripresa e le banche tengono a disposizione di essa una quota assai maggiore dei depositi.

Il prestito Nitti del 1919 (sono dati che ho voluto assumere direttamente presso la Banca d’Italia) dette circa 7 miliardi in contanti – cifra cospicua – ma fu emesso a 87,50 e stette aperto sei mesi.

Il prestito attuale, invece, fu emesso al 3,50, fu aperto 44 giorni. A parte la sottoscrizione in contanti, la conversione di quasi 100 miliardi di buoni ordinari e poliennali al 5 per cento, mentre sgravò il bilancio di quasi due miliardi di interessi, lo liberò dal pericolo di rimborsi per cifre ingenti a brevissime scadenze, che probabilmente non si sarebbero potuti fare se, non con un aumento della circolazione.

La cassa della Tesoreria era all’estremo, quando fu emesso il Prestito. Il Ministro Bertone me ne può dare atto; egli trovò in cassa al 20 settembre 5 miliardi; dopo avere nei cinque mei di sua gestione pagato cifre fortissime di spese straordinarie, lasciò al successore circa 30 miliardi di cassa.

Rispondono a verità queste cifre, onorevole Bertone?

BERTONE. 32 miliardi.

MACRELLI. Durante il Prestito la sottoscrizione a buoni ordinari fu quasi nulla, il che prova che i risparmiatori preferirono il redimibile, accompagnato da vantaggi fiscali, ai buoni di più alto interesse. Non solo, ma poiché qualcuno ha voluto scrivere e proclamare che il Prestito ha favorito gli speculatori, i borsaneristi, ecco la smentita più chiara e patente. Ancora una volta io ho chiesto i dati alla Banca d’Italia. Me li ha forniti, gentilmente, di persona, l’onorevole Einaudi, prima di salire ai fastigi e ai fastidi (Ilarità) del potere.

Ecco i risultati provvisori, che non sono gli ultimi dati, perché si riferiscono a poco prima della crisi; sono i risultati provvisori della sottoscrizione in contanti al Prestito distinti per importo. I dati si riferiscono a 42 istituti consorziati su un totale di 60; per 109,4 miliardi di contante sottoscritto su un totale di 112 miliardi.

Vi prego di seguire, onorevoli colleghi, queste cifre che hanno un grande significato ed un valore profondamente morale.

Fino a 10.000 lire il numero di sottoscrittori è stato di 1 milione e 3600; ecco dunque i piccoli risparmiatori, e cioè operai, lavoratori, impiegati, modesti funzionari, quelli che sentono veramente la necessità dell’ora che volge, quelli che in ogni momento sono pronti anche e sacrificarsi materialmente quando è in giuoco l’avvenire della Patria. (Applausi).

Di fronte a questa cifra imponente per il suo valore e per il suo significato – la ripeto ancora una volta 1.003.600 – voi trovate: da lire 11.000 a 25.000, sottoscrittori 205.100; da lire 26.000 a 50.000, sottoscrittori 191.500; da lire 51.000 a 100.000, sottoscrittori 118.300; da lire 101.000 a 250.000, sottoscrittori 62.400; da lire 251.000 a 1.000.000, sottoscrittori 43.100; da lire 1.000.000 a 10.000.000, sottoscrittori 7400; oltre 10.000.000, sottoscrittori 413.

E allora che cosa vi dicono queste cifre, onorevoli colleghi? Che coloro che hanno contribuito, che coloro che hanno dato allo Stato in un momento di grave bisogno, in un momento di pericolo, come al solito, sono stati – ripeto – i piccoli risparmiatori. Con quale ricompensa? Abbiamo il coraggio di dire la verità: non abbiamo mantenuto fede all’impegno assunto. Non voglio indagare e discutere le ragioni ed i motivi che sono già stati esposti, ma che non mi hanno convinto e credo non abbiano convinto la maggioranza della nostra Assemblea. È vero che è venuto successivamente il decreto Campilli: lo abbiamo letto, lo abbiamo commentato per conto nostro. Non sappiamo però se abbia trovato ancora la sua applicazione; non sappiamo se dovrà venire davanti all’Assemblea Costituente e quale sorte avrà; anzi aspettiamo dal Governo una spiegazione in proposito. Comunque, consentitemi di dirlo, il fatto è grave: è grave per il passato, perché abbiamo mancato ad un impegno assunto; ed è grave per l’avvenire, perché io penso che ad un certo momento questo od altri Governi dovranno lanciare nuovi prestiti per sanare la situazione finanziaria; ed allora chi crederà più loro, se abbiamo già mancato una volta alla parola, se non abbiamo voluto mantenere gli impegni assunti formalmente davanti al Paese? Ecco perché io vorrei una parola rassicurante da parte del Governo anche a questo proposito, seppure l’argomento che io tratto ora non si attenga in pieno al progetto di legge che stiamo discutendo. Che cosa del resto dovrei dirvi di questo progetto, onorevoli colleghi? Io non sono un tecnico, non sono uno specialista in materia finanziaria. Ci sono i tecnici che parlano; ci sono gli uomini che si nascondono dietro le astrazioni scientifiche: noi ci inchiniamo. Però io ricordo quello che diceva un giorno Clemenceau a proposito della guerra: «La guerra è una cosa troppo seria per affidarla solo ai generali». Starei per dire la stessa cosa anche per quel che riguarda la politica finanziaria. Guardiamoci dal seguire troppo quelli che sono gli assiomi, gli aforismi, starei per dire i «diktat» della scienza. Certe volte la scienza è in contrasto con la realtà della vita pratica quotidiana, che ci afferra con tutte le sue esigenze e le sue necessità. E quando io sento dal banco del Governo e dai banchi dell’Assemblea ripetere questo concetto: «Una volta che stiamo discutendo la legge sull’imposta patrimoniale straordinaria non possiamo e non dobbiamo più parlare di cambio della moneta», io dico, cari signori, che questa mi sembra una eresia, se non scientifica, pratica.

Negli altri Paesi che sono stati colpiti dalla guerra come l’Italia, che hanno avuto vicissitudini dolorose e tristi come l’Italia, che pure si trovano in condizioni economiche, se non finanziarie, migliori dell’Italia, è stato possibile applicare il cambio della moneta senza l’abbinamento con l’imposta patrimoniale. Perché allora non si può adottare lo stesso provvedimento anche in Italia? E avrebbe un grande significato, il provvedimento, onorevoli colleghi! E così mi riallaccio un po’ finalmente, al progetto di legge attuale. Ci sono ragioni d’ordine materiale ossia finanziarie: lo Stato ha il diritto ed il dovere di incassare più che sia possibile. Sta bene! Il progetto di legge che viene presentato si potrebbe prestare a critiche, dal punto di vista tecnico e dal punto di vista politico. Io non le farò.

Io mi attengo alla relazione perspicua dell’amico onorevole La Malfa, il quale, al momento opportuno, spiegherà, dirà il significato di quella sua relazione, che, se non erro, è diventata una relazione di minoranza o quasi.

LA MALFA, Relatore. No, no.

MACRELLI. Io ho avuto questa impressione. Ad ogni modo, meglio così. Ma, ad un certo momento, c’è stato per aria qualche cosa che non abbiamo ben capito. Lo stesso Governo, per bocca del Ministro, onorevole Pella, oggi dice di accettare le proposte della Commissione di finanza e tesoro. Una volta che il Governo è così acquiescente, significa che l’imposta, così come è varata, dovrà essere da noi approvata; nessun dubbio in proposito.

Ricordate che, quando, alla vigilia di Pasqua, discutemmo di quello che avrebbe dovuto essere poi il dibattito ampio in seno all’Assemblea, dicemmo: discutiamo pure la politica del Governo in linea generale, ma non intendiamo fermare neanche di un attimo i provvedimenti straordinari e, fra tutti, questo decreto, perché lo Stato abbia i mezzi necessari per affrontare i gravi problemi che incombono.

Dunque, dicevo, approviamo. È necessaria questa legge. La modificherete; ma l’importante è che essa venga applicata. Lo Stato ha bisogno di denaro.

Tutti devono pagare. Ecco dove io fermo la mia e la vostra attenzione: tutti devono pagare. Ma con questo decreto non pagheranno tutti. Io non ho potuto fare dei calcoli; avrei voluto e dovuto; ma il mio turno è venuto improvvisamente: ero il ventiduesimo iscritto, sono diventato il primo. Ecco quello che succede di tanto in tanto; allora bisogna parlare impreparati o con appunti raccolti rapidamente. Avrei voluto approntare dati statistici a questo proposito.

Quanti sono quelli che pagheranno l’imposta straordinaria sul patrimonio? Ci sono delle esenzioni? Sono giuste queste esenzioni?

Se è vero che tutti devono contribuire, esenzioni se ne devono ammettere solo in casi veramente eccezionali; soltanto dal punto di vista morale possono esserci enti che, per necessità contingenti, per gli scopi che perseguono, possono anche essere esentati.

Ma la norma generale deve essere questa: tutti devono pagare. Quando dico «tutti», ritorno al mio pensiero di prima: e quelli che hanno accumulato il denaro e lo hanno nascosto? E quelli che hanno vissuto ai margini della vita e del Codice penale?

Una voce. Quelli non pagano.

MACRELLI. Perché non pagano? Questa è la domanda che si fanno tutti; e si ritorna così al mio pensiero, a quello che è stato l’assillo della mia attività, e come ministro e come deputato. Se è vero che devono pagare tutti, devono a maggior ragione pagare quelli che hanno accumulato la ricchezza speculando sul dolore e sui sacrifici degli altri. Questa è l’affermazione che deve fare oggi l’Assemblea Costituente, discutendo questo progetto di legge. (Approvazioni).

Onorevoli colleghi, io non ho da aggiungere altro. Voglio ricordare soltanto a voi ed a me stesso che proprio in questi ultimi giorni noi abbiamo approvato l’articolo 51-bis della Carta costituzionale, affermando un principio altamente morale: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva».

Ora, se è vero che nella Carta costituzionale, che deve essere la Magna Carta delle libertà italiane, unanimi abbiamo approvato questo principio, diamo la dimostrazione al Paese che la nostra Carta costituzionale non è una raccolta di affermazioni teoriche, di principî astratti. Bisogna applicarli i principî. Cominciamo da questo. È l’occasione che si presenta, onorevoli colleghi; diamo questa dimostrazione al Paese che attende con fiducia la nostra opera. Ma la fiducia per l’opera della Costituente sarà ancora maggiore quando noi avremo dato questa prova tangibile della nostra volontà.

Se è vero che il principio è stato consacrato, noi dobbiamo tradurlo nella realtà pratica ed allora avremo veramente bene meritato del Paese e della Repubblica. (Vivi applausi Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Valiani. Ne ha facoltà.

VALIANI. Onorevoli colleghi, a chi gli parlava di questioni ideologiche rispetto alla scienza economica, Maffeo Pantaleoni soleva rispondere che di scienza economica non ve ne era che una sola, quella vera. Un giorno qualcuno gli chiese se intendesse estendere questo giudizio anche all’esistenza di una politica economica, se cioè di politiche economiche reali potessero esservene parecchie o una sola, ed egli rispose che se gli uomini fossero in genere ragionevoli (e fra gli uomini comprendeva i membri del Governo e del Parlamento) anche di politica economica in un determinato periodo storico, in una determinata realtà storica, ve ne sarebbe una sola.

Così non era, perché, evidentemente uomini, Governo, Parlamento, ragionevoli non erano.

Mi è venuto in mente questo aneddoto, perché col presupposto che gli uomini siano ragionevoli (uomini, Governo, Costituente) nessuno potrebbe dar torto all’onorevole Nitti quando dice che le imposte si pagano sul reddito e non sul patrimonio.

Questo è, direi, l’A, B, C, della vita economica, quando si tratta di uomini che agiscono secondo il calcolo economico normale.

Io rappresento un Gruppo che è di sinistra; tuttavia quando il Governo De Gasperi, formato dopo le elezioni, un anno fa, presentò il suo programma nel quale figurava l’imposta straordinaria sul patrimonio, io parlando qui, misi subito in rilievo che siccome le imposte si pagano sul reddito e non sul patrimonio, da questa imposta straordinaria sul patrimonio sarebbero venuti fuori soltanto complicazioni, mentre, invece, urgeva in quel momento rendere effettivo il pagamento dei tributi ordinari, sia elevando le aliquote, sia accertando effettivamente i nuovi redditi. Inoltre era urgente in quel momento, ed era ancora possibile, operare delle confische, perché se le imposte non si possono pagare sul patrimonio per ovvie ragioni economiche e pratiche che non starò a ripetere, perché tutti le conoscono (e ad ogni modo le ripeterà l’onorevole Nitti), confische patrimoniali sono invece necessarie quando si tratta di incrementi patrimoniali dovuti a fattori speculativi, monopolistici, congiunture politiche o di guerra, ecc.

Ora direi che c’era ancora, un anno fa, una cambiale d’onore della Repubblica, o se si vuole, delle forze politico-sociali che hanno portato alla vittoria della Repubblica in Italia. Questa cambiale d’onore era la confisca dei profitti di regime e di guerra.

Questa confisca, che poteva forse rendere superflua l’imposta straordinaria sul patrimonio, non è stata, però, operata, ed oggi effettivamente sarebbe quasi utopistico farsi ancora illusioni sulla confisca degli incrementi patrimoniali illeciti o comunque dovuti a situazioni politiche e belliche transitorie che hanno costituito posizioni di privilegio per certuni.

È evidente che, intanto, l’inflazione stessa – che non può essere misurata soltanto con l’aumento della circolazione monetaria (160 miliardi da un anno a questa parte) ma si misura con l’aumento dei prezzi delle merci, ecc. – rende molto meno consistente il valore effettivo che si potrebbe ancora riscuotere con le confische. Ma poi c’è anche una situazione politica combinata. Saremmo degli ingenui se credessimo che il Governo (che si è costituito con l’appoggio di forze politiche che hanno difeso coloro che hanno approfittato di quelle congiunture favorevoli) intende realmente procedere alle suddette confische. Quindi, mentre di fronte ad un Governo il quale avesse proceduto a quelle confische (e non vi ha proceduto neppure il Governo nel quale era rappresentata la sinistra dell’Assemblea, il Governo del 2 giugno) noi potevamo benissimo aderire alla tesi della scienza e, direi, di una politica economica logica, per cui bisogna pagare l’imposta sul reddito, e non sul patrimonio, rispetto a questo Governo di colore noi ci troviamo nella situazione di dover esigere che esso applichi il progetto in discussione, pur con tutti gli inconvenienti che esso presenta.

Noi voteremo in linea di principio per il rafforzamento di esso progetto perché la situazione delle finanze dello Stato è ormai pessima e perché non speriamo più nel risveglio del Governo, risveglio che ci si potrebbe attendere soltanto da un Governo che non poggi sulle classi che principalmente devono pagare e che poggi invece sulle masse lavoratrici realmente interessate alla stabilizzazione della moneta. Quindi, di fronte ad un Governo, qual è l’attuale, di fronte alla situazione pessima sotto ogni aspetto che è venuta a determinarsi, io non posso esigere altro se non che non si attenui molto e piuttosto si rafforzi il progetto. Si è fatto qualche cosa nel campo del pagamento delle imposte ordinarie sul reddito. L’onorevole Scoccimarro, l’onorevole Campilli e l’onorevole Pella si sono succeduti e qualche cosa hanno fatto, però siamo ancora molto lontani dalle necessità. Siamo molto indietro rispetto a tutti i Paesi europei, non uno escluso, ed allora, in questa situazione, con questa mancanza di volontà politica ferma di colpire le classi che hanno più approfittato delle congiunture belliche e fasciste, e di fronte alla situazione del bilancio dello Stato, non c’è che da correre ai ripari con le misure complicate che qui si presentano.

Io stesso cercherò, e altri lo faranno con maggior competenza dopo di me, di far vedere che molte di queste misure sono illogiche. Tuttavia potremo ammettere attenuazioni soltanto là dove si possa documentare che l’imposta, così come è concepita qui, non può essere effettivamente riscossa. Ci sono, a questo proposito, segnalazioni che vengono da parte di uffici tributari i quali ci dicono: badate, determinati lavori sono eccessivi per noi e si disorganizza tutto se dobbiamo fare determinati accertamenti che superano le nostre possibilità. Ma anche tali attenuazioni, a mio giudizio, possono essere concesse solo se, in compenso, ci sono degli inasprimenti.

Evidentemente le imposte si pagano sul reddito, ma la carenza di una politica economica dì risanamento ha fatto sì che oggi ci troviamo di fronte, nel Paese e nella vita economica, a due specie di redditi diversi l’uno dall’altro e di cui l’uno sfugge completamente al fisco. Sono redditi, questi ultimi, a cui accennava poco fa l’onorevole Macrelli. Però, francamente, non voglio pormi davanti a questi redditi solo in atteggiamento di protesta e di condanna morale. Bisogna anche darsi una spiegazione economica del perché gran parte del reddito che si produce in Italia è costituito oggi da redditi speculativi, oggi che non c’è più la congiuntura dell’autarchia, del fascismo e della guerra. La ragione è una sola: che si è fatta una politica di aumento dei costi di produzione, per cui oggi l’imprenditore piccolo e medio, industriale e commerciale e via dicendo, si trova di fronte a questa situazione che, se cerca di produrre redditi normali, non ci riesce e perde. Guadagna in denaro, è vero, ma non riesce a ricostituire le scorte e subisce una perdita.

E non si può pretendere che si produca a perdita, perché ciò vuol dire andare verso il fallimento. Invece, se puntano su redditi speculativi, gli imprenditori guadagnano e si arricchiscono. E voi non potete cambiare il cervello degli uomini e non potete pretendere che, quando si può guadagnare, si perda.

E se fate una politica economica per cui col lavoro normale si perde (anche se si guadagna in danaro si perde in sostanza), mentre col lavoro speculativo si guadagna, anche la gente animata dalle migliori intenzioni morali e da spirito patriottico, disposta di nuovo a difendere con le armi la patria, se ha una azienda esplica spesso oggi la sua attività in modo che parte del profittò sfugga al fisco, perché prodotto in violazione dei vincoli al commercio interno ed estero.

Prendete soltanto questo caso che è fondamentale: il corso della nostra moneta rispetto alle monete estere. Il cambio a 225 col dollaro fu uno degli errori fondamentali della nostra politica economica. Fissare a 225 il cambio col dollaro, in una situazione in cui il rapporto fra costi di produzione in America e in Italia determinava un cambio di 400 circa, fu un errore di cui – se non sono male informato – sono responsabili Corbino ed Einaudi. Possiamo prescindere dalle loro persone, perché si tratta pur sempre di illustri economisti e, se hanno commesso questi errori, era perché la situazione generale confondeva le idee e, nel complesso, il Governo mancava di chiaroveggenza. L’errore fu commesso e questo errore si aggravò, ed il divario tra la quotazione ufficiale del dollaro, anche corretta come accade oggi nella maggior parte dei casi, per via del 50 per cento agli esportatori, si accrebbe via via.

In questa situazione chiunque lavora con l’estero, o anche senza lavorare con l’estero si serve di materie prime che provengono dall’estero a cominciare dal carbone, si trova in una falsa posizione di partenza per cui, se vuole comprare materie prime conteggiate a 225, non vi riesce, a meno che non sia molto in alto nella lista delle assegnazioni governative. E questo non è il caso dei piccoli e dei medi industriali; i quali se vogliono vendere i loro prodotti conteggiando le materie prime e il carbone a 225 o anche a 400, finiscono col vendere sotto costo e perciò conteggiano il dollaro a 700 o 800 inducendo i grossi a fare altrettanto. Su questa situazione falsa, i grossi, e qualche volta non solo i grossi imprenditori ma quelli che hanno potuto avere assegnazioni a costo ufficiale, hanno fatto profitti enormi, perché, evidentemente, il prezzo delle merci è determinato dalla legge della domanda e dell’offerta e nessuno vende al di sotto di come il mercato è disposto a pagare; ma vende piuttosto come se il dollaro per le materie prime l’avesse pagato a 800. Da parte loro i piccoli e i medi si trovano in una situazione per cui debbono arrangiarsi, perché se non si arrangiassero – e arrangiarsi significa non camminare sul sentiero della legalità fiscale – si troverebbero in una situazione di inferiorità.

Prendete il cambio della moneta. Io non condivido lo scetticismo di Einaudi a questo proposito. Del resto il professor Bresciani Turroni, in un articolo sul Corriere della Sera di due giorni fa, ricorda il Belgio, dove il Governatore della Banca Nazionale ha resistito a tutti gli assalti, ed anche agli assalti di chi consiglia di non spendere 16 miliardi per un’operazione di dubbia riuscita. Conviene resistere a tutti i dubbi quando si tratta di operazioni essenziali per il risanamento della situazione finanziaria. Del resto le interrogazioni di ieri sera sulla moneta falsa o rubata in circolazione, o contrabbandata dall’estero, dimostrano che questo provvedimento era necessario anche dal punto di vista statistico. Naturalmente, quello che interessa è il punto di vista economico e quello tributario.

L’onorevole Einaudi dice – e su questo non ha torto – che il cambio della moneta colpirebbe i medi anziché i grossi. Tenete presente che se il cambio della moneta colpisce i piccoli, colpisce essenzialmente quei piccoli e quei medi imprenditori e contadini che hanno fatto profitti in questi ultimi anni. Invece la presente imposta patrimoniale colpirà solo i piccoli e i medi, specialmente proprietari di immobili, che profitti non ne hanno quasi fatto; colpirà specialmente il Sud e le Isole.

Si trattava col cambio di un provvedimento che poteva avere effetti risanatori antinflazionistici in quanto togliesse veramente della moneta circolante, e quindi agisse sui prezzi. Qui, invece, si tassano maggiormente dei piccoli e dei medi che non hanno fatto profitti di congiuntura, senza che ciò agisca in senso deflazionistico sui prezzi. Perché si dice che si venderanno dei fondi, delle case, dei terreni e che quindi i prezzi diminuiranno, ma per vendere bisogna trovare dei compratori e non si venderà tanto quanto, piuttosto, si contrarranno debiti. Per contrarre debiti, ci vorranno emissioni di crediti, operazioni di moneta bancaria, ecc. Perciò il provvedimento odierno non ha altre giustificazioni antinflazionistiche se non quella di alleviare la situazione del Tesoro. Dobbiamo dunque concludere che, siccome non si è fatta la politica che si doveva fare, ormai non resta che applicare questo provvedimento.

Ci sono poi le evasioni di capitali all’estero, di cui spesso si parla qui in Assemblea, e che noi abbiamo denunciato fino dal primo semestre del 1946. Oggi si confessano cifre cospicue, fino a sessanta milioni di dollari. Ora questo provvedimento, non colpisce i capitali che sono evasi, e non induce neppure coloro che hanno esportato dei capitali a reintrodurli e a reinvestirli. Non è un provvedimento che si possa considerare come di normalizzazione della vita economica. Si dice che i capitali sono fuggiti per ragioni politiche, e questo è solo parzialmente vero. Io non credo eccessivamente ai mezzi puramente politici di operare sulla economia, e non credo che basti avere la fiducia politica dei possidenti perché paghino le imposte.

Le evasioni di capitali sono dovute ad una falsa situazione economica. È stato più redditizio ad un certo momento lasciare dei capitali a New York, anziché farli restare qui. È vero, mancava una polizia degli scambi con l’estero e delle valute, però non è mai una polizia che tiene in mano una situazione economica. Sono le tendenze effettive di un mercato di capitali, di valute e di merci, che regolano la situazione economica. Se non vengono altri provvedimenti, quei capitali non rientreranno, o rientreranno solo quando la normalizzazione sarà prodotta dalle fasi ulteriori dell’inflazione; si sa che l’inflazione produce una determinata congiuntura che finisce con i fallimenti, ed i fallimenti finiscono per normalizzare. Perché la paralisi della vita economica – che non si vuole affrontare con il cambio della moneta, col controllo dei depositi bancari, ecc., con la tassazione degli enti collettivi – questa politica di normalizzazione che non si vuole affrontare con provvedimenti economici adeguati, porterà ad un fallimento, un giorno o l’altro. E a questi fatti dovete aggiungere la crisi economica degli Stati Uniti, che ha colpito per esempio tutta l’industria tessile, e che ha preoccupato e preoccupa, perché i giornali hanno colà la consegna – dite preghiera, perché non ci sono disposizioni sulla stampa – di non parlarne. Tale crisi, se non prendete provvedimenti per normalizzare la vita economica, la normalizzerà con i fallimenti. E disgraziatamente, in quel caso, ci saranno anche fallimenti per effetto di questa legge.

Per queste ragioni è urgente che questa legge sia varata subito, al più presto, e che le riscossioni avvengano subito; e credo che la Commissione di finanza abbia fatto bene a dare tutte le facilitazioni per il riscatto anticipato, e credo che bisognerebbe insistere ancora in questo senso.

Riconosco senz’altro giusta l’osservazione fatta sulla stampa, soprattutto da parte dei meridionali, che questa legge colpisce particolarmente la proprietà immobiliare, il cui peso specifico è superiore nel sud del nostro Paese. È verissimo; però non siamo più in grado di fare altro, perché i bisogni della Tesoreria sono quelli che sono, i bisogni dello Stato sono quelli che sono: si comprimeranno le spese, ma chissà quando. Per il momento, come membro della Commissione finanza e tesoro, vedo che anche dopo la creazione del Ministero del bilancio le spese aumentano: i provvedimenti, anche posteriori alla crisi di Governo, sono tutti provvedimenti che in una forma o nell’altra significano aumento di spese, spese militari ed altre. Le amministrazioni tutte vogliono spendere i soldi non potuti spendere nel periodo precedente o nel periodo di bilancio che viene a scadere adesso: quanto non hanno speso nel 1946-47 vogliono spendere nel 1947-48, e questo è un aumento di spesa per il nuovo bilancio. La compressione delle spese è un lodevole intento dell’onorevole Einaudi, e noi non dubitiamo che egli farà del suo meglio. Però, per il momento, non si verifica.

La situazione dello Stato è tale per cui i colleghi del Sud devono rassegnarsi; però credo che essi dovrebbero associarsi a noi per chiedere che, dal momento che si tassano severamente le proprietà immobiliari, che sono prevalenti nel Mezzogiorno rispetto all’insieme della vita economica, si tassino severamente anche le attività delle società industriali e commerciali di peso specifico maggiore nel Nord.

Vengo alla questione della tassazione degli enti collettivi. Quando essa fu portata davanti alla Commissione di finanza, vi fu una discussione tra due colleghi, credo gli onorevoli Scoca e Pesenti, per stabilire se, in linea teorica, gli enti collettivi costituiscano – ai fini fiscali – qualche cosa di diverso dalle singole persone che ne sono proprietarie. Evidentemente, dal punto di vista teorico, inclinerei piuttosto verso la tesi dell’onorevole Scoca, cioè non inclinerei verso la tesi che in Italia il professor Griziotti ha reso popolare, essere cioè il patrimonio degli enti collettivi diverso dal patrimonio degli azionisti. Però questa è una considerazione teorica, che vale, come tutte le leggi economiche, nella misura in cui gli uomini agiscono per calcolo economico normale, cioè non si costituiscono posizioni speciali di privilegio o di monopolio.

So bene che le attività economiche messesi sui binari del privilegio, del monopolio o della speculazione, vi si sono messe appunto per la mancanza di una sana politica economica e non per solo la cattiva volontà o per l’animo corrotto dei singoli. Ma di queste attività particolari che falsano la vita economica, hanno profittato maggiormente società industriali e commerciali, e specialmente le più grandi; e, avendone profittato in modo particolare, devono rassegnarsi a subire l’ingiustizia teorica di essere tassate, dopo che si sono già tassati i singoli azionisti. Del resto, la cosa è ovvia: prendete il corso delle azioni, che si riferisce in questa legge, ad un semestre e precisamente ad un semestre anteriore a molte rivalutazioni avvenute dopo e a molti aumenti nei corsi che si sono prodotti posteriormente. Questo è inevitabile che sia accaduto, perché è chiaro che bisogna pur prendere un semestre e fissare i corsi sulla base dei quali debbono esser poi condotti gli accertamenti.

Ma questo lo sapeva anche la borsa; e le rivalutazioni e gli aumenti dei titoli hanno avuto luogo in gran parte dopo. Adesso siamo di nuovo in un periodo di ribasso in borsa; ma c’è stato un periodo di grandi rialzi, c’è stato un periodo di grandi utili, in cui hanno avuto luogo poderosi consolidamenti col rialzo dei titoli delle società che hanno fatto guadagni reali nella loro attività degli ultimi mesi e anni.

L’onorevole De Gasperi ha mostrato di essere eccessivamente allarmato di ciò; è perfettamente normale ciò che è successo nei mesi di aprile e di maggio. Se si deve condannare qualche cosa, è la politica economica che rende necessari questi metodi per il consolidamento, da parte delle grandi società, dei guadagni fatti con la congiuntura industriale e commerciale.

Comunque, vi sono state grosse rivalutazioni che hanno avuto luogo posteriormente allo spirare del semestre preso come base nella odierna imposta.

Ebbene: come saranno colpite queste rivalutazioni? Quando si discusse di ciò in Commissione, l’onorevole Campilli, allora Ministro delle finanze e del tesoro, in presenza dell’onorevole Pella, disse: «Io mi impegno a presentare un progetto sulle rivalutazioni».

PELLA, Ministro delle finanze. Impegno che è stato mantenuto.

VALIANI. Però è stato rinviato per via della crisi che aveva anche essa interferenze con la vita economica, tanto vero che l’onorevole De Gasperi ne ha preso il pretesto dai fattorini, dalle dattilografe e dalle signore che giuocano in borsa. Ora, se la crisi di Governo si fosse prodotta per ragioni esclusivamente politiche, noi potremmo dire che si giustifica il rinvio del provvedimento, ma poiché le ragioni delle crisi sono anche, indiscutibilmente di natura economica, bisognerebbe che quel provvedimento che colpisce le rivalutazioni fosse già approvato dal Governo. Se fosse già approvato dal Governo, io non presenterei l’emendamento che invece presenterò. Ma quel provvedimento invece non c’è, o per lo meno può darsi che venga troppo tardi. Ecco perché io penso che sia necessario stabilire il principio della tassazione degli enti collettivi.

Per necessità di Stato noi ci siamo messi sulla via delle ingiustizie: facciamo almeno in modo che esse servano a qualche cosa e diano il massimo possibile allo Stato.

Ci sono poi gli enti ecclesiastici; se si tratta di enti che compiono esclusivamente un’opera di beneficenza, religiosa, di culto, evidentemente si tratta di attività non tassabili; se però vi sono invece degli enti religiosi i quali hanno svolto un’attività economica, allora questa deve essere tassata. E non importa l’indagare perché l’abbiano svolta: io posso anche ammettere che l’abbiano svolta per tutelare un patrimonio che giovi agli orfani, ai poveri, che, data l’inflazione e data la contingenza, ogni ente religioso si sia dovuto preoccupare di quello che stava accadendo, abbia dovuto tutelare patrimoni tramandati da secoli o da decenni.

Una volta che si entra nell’ordine di idee di tassare il patrimonio, gli istituti e gli enti religiosi devono anch’essi sottostarvi. Ci sono le necessità dello Stato!

Non si può procedere unilateralmente; ma ci sono enti ecclesiastici che hanno avuto e continuano ad avere funzioni di banchieri, che comprano e vendono divise estere. Non gliene faccio torto perché capisco che, come ogni singolo vuol difendere il patrimonio da tramandare ai suoi figli, anch’essi si preoccupano di tutelare il loro patrimonio.

Dove ci sono incrementi dovuti al fatto di saper amministrare accortamente il proprio patrimonio, questi incrementi devono essere tassati, anche se di enti religiosi.

Le modalità della tassazione degli enti ecclesiastici si negozieranno con gli interessati, si stabiliranno limitatamente a quegli enti che abbiano profittato della contingenza. Se ne può discutere con l’altra parte contraente del Concordato. Ripeto, se gli enti religiosi hanno svolto un’attività puramente religiosa, spirituale, di beneficenza, non si possono tassare. Però è inutile che ci bendiamo gli occhi sugli altri. Piuttosto negoziamo la cosa con la Santa Sede per ciò che riguarda il Concordato.

Altra questione: azioni non quotate in borsa. Anche qui l’onorevole Campilli aveva fatto delle promesse che – non per colpa sua – finora non si sono realizzate, per cui il testo che noi abbiamo accettato in Commissione, e che alla Commissione sembrava adeguato date quelle promesse, oggi non mi sembra più tale. Ci sono industrie, ad esempio di Prato e di Biella, che hanno fatto grandi profitti, ma le cui azioni non sono quotate in borsa.

PELLA, Ministro delle finanze. Il provvedimento è pronto, ma credo che interesserà poco Prato e poco Biella.

VALIANI. Va bene, non ritenevo che si dovesse fare un provvedimento solo per Prato e per Biella, che sono delle simpatiche città, ma per rutta l’Italia.

Ho richiamato Prato e Biella, perché tutti hanno nella mente ciò che voglio dire: società importanti, ma con azioni non quotate in borsa.

Ora, se il provvedimento c’è, vorrei che il provvedimento fosse comunicato all’Assemblea prima del voto. Se poi il provvedimento non fosse approvato e – per qualche nuova crisi di Governo – al posto del Ministro Pella venisse un altro, forse che noi non avremmo sempre una responsabilità davanti allo Stato? È vero che il concetto di Staro è decaduto, disgraziatamente, come se si potesse fare a meno del prestigio dello Stato; ma vi sono dei limiti che devono essere difesi da noi! Noi siamo qui per questo! Noi non siamo qui per difendere interessi particolari; ma siamo qui fondamentalmente per impedire che lo Stato si disgreghi e per ricostruirlo, altrimenti non ha senso tutto quello che abbiamo fatto, e tutte le giustificazioni che possiamo addurre come uomini politici cadono.

Dobbiamo quindi fare in modo che i provvedimenti che sono nell’interesse dello Stato vengano sottratti alle vicende delle crisi governative che sono il risultato di un rapporto di forze fra classi e partiti. Perciò io insisto che questo provvedimento, piccolo ma importante, riguardante le azioni non quotate in borsa, sia pubblicato prima del voto su questa legge.

Passiamo ora ad altro argomento: denaro, gioielli, depositi bancari. La Commissione ha portato alcuni cambiamenti rispetto al progetto governativo. Credo che questi cambiamenti siano in meglio, ma la situazione non è ancora sodisfacente, perché, senza il cambio della moneta, si conteggia per esempio, per un patrimonio fino a 50 milioni il 6 per cento in denaro e depositi; oltre 50 milioni il 10 per cento. Mi pare che questa sia una situazione di favore per i patrimoni dai 10 ai 50 milioni.

Bisogna d’altra parte considerare che oltre i 50 milioni difficilmente si ha molto denaro contante, ma si hanno degli assegni, dei depositi bancari. Oggi ci sono singoli assegni per miliardi: cosa che un tempo non si sarebbe creduto. Anche qui bisogna dire che la Banca d’Italia non ha fatto che pochissimo per intervenire, e noi non siamo ancora rassicurati: non abbiamo ancora visto che l’onorevole Einaudi abbia cambiato i suoi criteri. L’onorevole Einaudi ha scritto cose bellissime sulla condotta stoica della guerra, ma non ha seguito una condotta politica molto stoica come Governatore della Banca d’Italia. Egli dice che non bisogna turbare la vita economica. Ma non bisogna nemmeno rischiare il fallimento per non turbare la vita economica.

Dunque, tornando alla questione, noi possiamo anche lasciare il 10 per cento per i patrimoni oltre 50 milioni, ma occorre la possibilità di accertare i depositi bancari. È vero, c’è la questione del segreto bancario la cui violazione porterebbe certamente un turbamento.

Ma in questa legge si prescrive che i funzionari dell’amministrazione delle imposte devono fare accertamenti da per tutto e di qualsiasi genere, anche sui documenti ed atti di enti pubblici e di privati. Essi hanno il diritto di farsi rilasciare copie, di indagare nel modo più ampio. Immaginate che turbamento porta tutto questo. Tenete conto come i registri siano tenuti da parte di moltissime ditte piccole e medie e grandi, appunto perché la loro attività non è sempre perfettamente in linea con la legge. Ora se tutto questo noi facciamo con un criterio tanto severo, non si comprende poi perché ci si debba arrestare di fronte al segreto bancario: il turbamento economico non sarebbe molto maggiore. Non sarebbe dunque giusto, ed io dichiaro che voterò contro il mantenimento del segreto bancario. Forse portiamo un turbamento ulteriore, ma almeno otteniamo un gettito adeguato e controlliamo i depositi bancari e i conti correnti bancari. Troviamo il modo: è possibile farlo senza paralizzare eccessivamente la vita economica. È stato fatto in altre nazioni; non c’è ragione perché non si possa fare qui. Credo che nessuno di noi possa avere dei dubbi sul fatto che il regime che ci ha preceduto e che abbiamo combattuto con le armi, se si fosse trovato in questa situazione, avrebbe violato il segreto bancario. Non lasciamo che su di noi ci sia la taccia di essere stati meno energici, meno solleciti e inflessibili nella difesa degli interessi dello Stato.

Torno alla categoria dai 10 ai 50 milioni: 6 per cento. Sono considerati il denaro, i depositi, i titoli di credito al portatore. Questa categoria, in generale, ha parecchi meriti: sono i contadini che hanno risparmiato e tesaurizzato denaro. È una delle poche cose di cui si è giovata l’economia italiana: una delle poche cose salutari. Un giorno o l’altro questo denaro rientrerà però in circolazione e determinerà l’inflazione più completa, se non si provvede in tempo. Il conteggio del 6 per cento è insufficiente.

C’è naturalmente una categoria di proprietari di immobili per cui è eccessivo anche il 6 per cento; bisogna trovare il modo che ci sia la differenziazione a favore di questa categoria.

Società non anonime: certamente queste società hanno guadagnato anch’esse del denaro. Tuttavia non è molto logico che siano trattate tanto peggio delle società anonime. Queste società non anonime e non soggette all’imposta di negoziazione devono dichiarare il loro patrimonio con l’indicazione delle quote spettanti ai singoli soci fermo l’obbligo ai soci di comprendere le rispettive quote nella dichiarazione individuale del loro patrimonio. Le sanzioni più severe sono applicabili in confronto delle società anzidette.

Ora questi accertamenti sono al di sopra delle possibilità della nostra Amministrazione; e sono queste le cose che spaventano.

Gli uffici tributari già sanno come le cose potrebbero andare. Ognuno farà le dichiarazioni che vorrà fare. Se si vuole che queste società paghino, bisogna provare loro che pagano anche le altre.

Se le società anonime sono risparmiate, salvo per il corso medio delle azioni nel semestre preso come base, queste società non anonime cercheranno di resistere al fisco; e questo non sarà in grado di colpirle, perché sono troppe, e gli uffici tributari si troveranno in una situazione impossibile.

Perciò, se volete che tutte queste cose siano efficaci, dovete accettare la proposta, già fatta in seno alla Commissione, di colpire anche gli enti collettivi. Se no, tutte queste cose finiranno con lo spappolarsi; rimarrà allora colpita la pura e nuda proprietà immobiliare. Se non colpite gli enti collettivi, se non andate ad accertare i depositi bancari, finiranno con lo sfuggire anche gli enti non collettivi, anche le imprese personali industriali e commerciali; finiranno con lo sfuggire tutti, fuorché i proprietari di case e terreni.

O colpite dove c’è effettivamente un incremento patrimoniale, o non colpirete in nessun’altra parte, se non la proprietà immobiliare.

Si capisce che tutto questo urta contro i principî. L’onorevole Nitti ha dimostrato che tutto il provvedimento urta contro i principî; ma siccome ormai bisogna votare, voteremo in modo che il provvedimento serva allo Stato nella massima misura possibile.

Altre considerazioni.

Sono preoccupato dell’articolo 48, sia nella dizione originaria che in quella della Commissione, per il possibile rinvio del pagamento dell’imposta.

Temo che questo possa suscitare una zona di interessi, che finirà col desiderare l’inflazione.

Ammettendo il pagamento dilazionato, se l’inflazione ha il suo corso, i contribuenti finiranno col non pagare niente o pochissimo.

Io credo che la dilazione sia giusta per la categoria dei piccoli proprietari di immobili, che avrebbe diritto anche ad altre facilitazioni: per esempio ad un maggiore abbattimento alla base.

Si può elevare di qualcosa l’abbattimento alla base, ma non per arrivare ai 20 milioni, come diceva l’onorevole Corbino. Altre facilitazioni si possono dare. Questa della dilazione è però una facilitazione pericolosa, perché interessa all’inflazione proprio i contadini, proprietari di terre, cioè la gente che costituisce il nerbo della vita economica italiana, gente diversa dal fattorino e dalla dattilografa speculatrice, che invece non determina – credo l’onorevole De Gasperi lo sappia anche se finge di non saperlo – l’andamento delle cose; questa gente, invece, lo determina.

Se le categorie rurali finiscono con l’essere interessate all’inflazione, perché questa farà in modo che esse non debbano pagare il tributo, che si considera gravoso, esse agiranno in senso inflazionistico. Queste sono categorie che, a differenza del fattorino e della dattilografa, sono in grado di agire in senso inflazionistico, perché sono produttori di beni o di servizi; e perché possono ai loro prezzi, che preparano in base ai costi di produzione, aggiungere il peso dell’imposta.

Ricordate: quando si fa un preventivo anche il peso delle imposte rientra nel costo di produzione.

Perciò questo articolo 48 mi pare che vada riveduto.

E alcune considerazioni finali sugli articoli 56 e 75. L’articolo 56 prevede delle penalità. Queste penalità sono troppo lievi. Sono multe da lire 10 mila a lire 5 milioni, per chi occulta una parte del proprio patrimonio. Ma si possono guadagnare molto di più di 5 milioni, e siccome gli uomini non sono frati (cosa che una volta si è constatata rispetto agli operatori di borsa)…

PELLA, Ministro delle finanze. L’articolo 55 prevede le frodi vere e proprie.

VALI ANI. Soltanto, onorevole Pella, vi è modo di occultare una parte del patrimonio, senza che ciò poi appaia come frode. Questi sono accorgimenti elementari per ogni società commerciale ed industriale, forse più difficili per una azienda agricola, ma anche in questa si può occultare una parte del patrimonio in base a una determinata stima, che nessun avvocato potrà dimostrare che sia una vera e propria frode.

Credo che le penalità per qualsiasi dichiarazione che poi non corrisponda alla stima che ne darà il fisco debbano essere superiori alle previste. Tanto il giudizio lo daranno il fisco, la magistratura; non è che voi oggi condanniate nessuno, ma per lo meno stabilite dei termini di pena per cui domani il fisco e la magistratura abbiano un’arma in mano; così non ne hanno nessuna, perché i casi veramente fraudolenti sono quei casi che non si possono provare quasi mai.

E poi ancora l’articolo 75: «Il Ministro per le finanze e tesoro è autorizzato a presentare un provvedimento per la riorganizzazione dei ruoli del personale dell’Amministrazione provinciale delle imposte dirette in relazione alle esigenze di servizio conseguenti all’applicazione del presente decreto».

Evidentemente se non presenta presto questo provvedimento, tutta l’imposta è stata inutile e dannosa, perché si finisce soltanto con il complicare il lavoro già esistente.

Io penso che, per quanto questo provvedimento richieda meditazione e maturazione, esso debba venire davanti all’Assemblea, o meglio davanti alla Commissione finanze e tesoro, il più presto possibile. Bisognerebbe stabilire un limite di tempo, perché nell’Amministrazione di questo Stato è prevalsa l’abitudine di dire: sì, faremo questo, faremo quest’altro, e poi passa un anno, ne passano tre e non se ne fa niente.

Io credo che la ragione della crisi morale dello Stato che si ripercuote sui contribuenti vada ricercata essenzialmente in questa abitudine di decidere tante cose e poi non applicarle. Non è che gli italiani siano diventati più malvagi per effetto delle sofferenze e delle privazioni. In fondo il Paese è quello che è sempre stato, ma, quando si governa annunciando continuamente dei provvedimenti che non vengono mai applicati o vengono revocati, si finisce con il dare la sensazione del disordine morale e amministrativo. Io ho paura che questa imposta vada in applicazione disordinatamente.

Una voce dal centro. Ma chi l’ha fatta l’imposta?

VALIANI. L’hanno fatta Scoccimarro, Campilli, Pella, Scoca, tutti quelli che ci hanno lavorato…

SCOCA. Io non c’entro!

VALIANI. Scoca non c’entra, è giusto; c’entra la Commissione di cui io stesso faccio parte. La forza politica della Commissione non è sufficiente però a far prevalere questa imposta nella realtà. Ci vuole la maggioranza o, diciamo più esattamente, la Democrazia cristiana. Bisogna che la Democrazia cristiana sappia resistere agli assalti che le verranno da parte della destra economica, assalti che saranno tanto più pericolosi in quanto si basano su argomenti teoricamente logici. La cattiva politica economica finora fatta ha dato per risultato di dar armi ed argomenti in mano alla destra economica.

Riepilogo: rivalutazioni, imposta di negoziazione, riorganizzazione degli uffici tributari sono provvedimenti per cui bisogna fissare un limite di tempo che garantisca la loro sollecita approvazione. Bisogna decidere che li debba approvare ancora questa Assemblea Costituente dato che ormai, malauguratamente, essa ha prorogato i suoi poteri al 31 dicembre. Altrimenti questa imposta andrebbe in applicazione e gli uffici tributari non sarebbero in grado di farla rispettare. Questa non è un’esagerazione; disgraziatamente così è avvenuto per troppe cose, nel nostro Paese, da tre, quattro anni, e forse anche da dieci a questa parte! (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bertone. Ne ha facoltà.

BERTONE. Onorevoli colleghi, io manifesto sommessamente l’opinione che l’Assemblea farebbe buona cosa a rinunciare alla discussione generale ed a passare senz’altro alla discussione degli articoli del decreto. Una discussione generale si ravviserebbe Utile ed indispensabile forse su un punto solo, se si discutesse dell’opportunità di varare o di rimandare l’imposta patrimoniale; ma poiché mi pare che l’Assemblea sia concorde in tutti i settori che l’imposta patrimoniale va deliberata, le differenze possono venire nei dettagli, negli articoli, e su questi discuteremo uno per uno. Gli stessi discorsi che abbiamo sentito stamane, uno dell’onorevole Macrelli e l’altro dall’onorevole Valiani, mi danno la conferma della bontà di questa mia opinione, perché gli argomenti addotti dall’onorevole Macrelli per rimettere in discussione il non avvenuto cambio della moneta e le conseguenze che ne sono derivate daranno luogo ad ampia discussione quando esamineremo gli articoli 22, 25, 27 e 33 e anche l’articolo che riguarda le sanzioni; e gli argomenti addotti dall’onorevole Valiani sulla mancata ricerca dei depositi bancari e rivalorizzazione degli impianti industriali sono contemplati negli articoli che discuteremo più adeguatamente, quando gli stessi articoli verranno in discussione. Mi pare che qui ripetiamo l’errore fatto nella discussione generale sul progetto di Costituzione per cui abbiamo perso quaranta giorni a discutere in linea generale i principî che poi sono stati ridiscussi uno per uno da tutti gli oratori quando si è passati all’esame degli articoli.

Quello che è detto oggi in sede di discussione generale sarà ripetuto invariabilmente quando riesamineremo gli articoli, ed allora tanto vale non perdere tempo prezioso, perché non ne abbiamo troppo a nostra disposizione, e concretamente esaminare i problemi, uno per uno a mano a mano che si presentano con gli articoli. Faremo così opera utile, concreta e preziosa. A questo fine do io stesso il buon esempio, rinunciando a parlare nella discussione generale, mentre mi riservo di parlare sugli articoli del progetto quando verranno in esame. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone non fa comunque una proposta di chiusura. Rimandiamo il seguito della discussione ad altra seduta.

UBERTI. Ma sono appena le 12!

PRESIDENTE. Vi sono iscritti a parlare che non sono presenti, e forse alcuni vorranno prendere la parola, come, per esempio, l’onorevole Nitti, che in questo momento è tornato da una riunione della Commissione dei Trattati e che non credo sia in condizioni di poter parlare adesso, dopo aver discusso anche in quella Commissione. Se qualche collega vorrà proporre la chiusura, potrà farlo liberamente.

UBERTI. Come risulta dal resoconto sommario di ieri, l’onorevole Presidente che presiedeva la seduta aveva preso l’impegno che si sarebbe deciso ora se si debba discutere l’imposta patrimoniale anche nelle sedute pomeridiane.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, si tratta di essere ossequienti ad un metodo della nostra Assemblea. L’ordine del giorno si fissa nella seduta pomeridiana e quello che lei ha detto ora lo potrà dire nel pomeriggio, alla fine della seduta. In quella sede, l’ordine del giorno per i giorni successivi potrà essere concordato come ella desidera. In questo momento, non posso ascoltare la sua richiesta.

La seduta termina alle 12.