ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
ADUNANZA PLENARIA
19.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI SABATO 25 GENNAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI
INDICE
Comunicazione del Presidente
Presidente.
Divieto di stampa e di altre manifestazioni di pensiero a tutela della morale pubblica
Presidente – Nobile – Lussu – Merlin Umberto – Moro – Terracini – Lucifero – Tupini – Fabbri – Giua – La Rocca– Rossi Paolo – Codacci Pisanelli – Laconi – Dominedò – Cevolotto – Perassi – De Vita.
Divieto di concessione e di uso di titoli nobiliari
Presidente – Nobile – Grieco – Lucifero – Moro – Mannironi – Terracini – Lussu – Perassi – Targetti – Laconi – Fabbri.
Tutela della salute e igiene pubblica
Presidente.
Responsabilità penale e pene
Presidente – Nobile – Cevolotto – Bozzi – Rossi Paolo – Moro – Targetti – Bulloni – Tupini – Fuschini –Terracini – Grassi – Cevolotto – Mastrojanni – Dominedò – Lussu.
La seduta comincia alle 10.30.
Comunicazione del Presidente.
PRESIDENTE comunica che, in sostituzione degli onorevoli Caristia e Vanoni, sono stati chiamati a far parte della Commissione gli onorevoli Froggio e Gotelli Angela.
Divieto di stampa e di altre manifestazioni di pensiero a tutela della morale pubblica.
PRESIDENTE avverte che occorre esaminare l’ultimo comma dell’articolo 15 delle Disposizioni generali, nel testo approvato dal Comitato di redazione:
«A tutela della morale pubblica e contro le oscenità, la legge può consentire misure preventive e limitazioni per le manifestazioni di pensiero compiute con la stampa e con altri mezzi di diffusione».
Gli onorevoli Nobile e Terracini hanno proposto di sostituire il comma col seguente:
«Sono vietate la stampa e la diffusione di giornali, riviste e libri pornografici. La legge stabilirà a tale scopo le misure adeguate».
L’onorevole Lussu ha poi proposto di sopprimere le parole: «e contro le oscenità».
NOBILE non è per spirito di puritanismo che egli ed il collega Terracini si sono indotti a presentare questo emendamento. In questi anni di dopoguerra si è verificato un vero dilagare di stampa pornografica: giornali, riviste, libri, il cui successo finanziario riposa sull’attrazione maggiore o minore che essi esercitano sugli istinti più bassi dell’uomo. È questo veramente uno dei cattivi usi che il popolo italiano ha fatto e fa della riconquistata libertà. In un periodo di tempo in cui non si stampavano libri scolastici per mancanza di carta, la carta si trovava invece in abbondanza per siffatte sconce pubblicazioni.
Come italiano si è sentito umiliato che un Paese di antica e grande civiltà, e per di più cattolico, sia, in questo campo, superato da altri Paesi, come, ad esempio dalla Russia sovietica. Perché in Russia, per quello che gli consta personalmente, non si ha alcun esempio di libri, riviste o giornali pornografici, e nemmeno di spettacoli scurrili teatrali o cinematografici.
Si dirà che sarebbe stata sufficiente la formula proposta dal Comitato di redazione, che prevede la possibilità di misure restrittive. Ma gli sembra che se nella Costituzione si parla di oscenità e pornografia, se ne deve parlare soltanto per condannare e proibire tassativamente.
L’onorevole Mortati ha giustamente osservato in altra occasione che la Costituzione deve avere anche un carattere pedagogico e deve riflettere la situazione attuale del Paese.
Egli e il collega Terracini vogliono che la Costituzione stabilisca una norma, la quale dica chiaramente che la Repubblica italiana non tollererà che la privata iniziativa si possa esplicare in imprese pubblicistiche che cerchino facili guadagni corrompendo e depravando la gioventù.
Confida, dunque, che la Commissione vorrà approvare l’emendamento presentato; e ad ogni modo chiede che esso sia votato per appello nominale.
LUSSU non vede l’opportunità che nella Costituzione si parli di oscenità, di pornografia, come non si parla di tratta delle bianche, di prostituzione, di borsa nera. Sono stati introdotti nel progetto elementi che daranno luogo senza dubbio a critiche. Pensa, in sostanza, che la dizione: «a tutela della morale pubblica» sia sufficiente e risponda alle esigenze morali che tutti sentono.
MERLIN UMBERTO dichiara di essere favorevole all’emendamento presentato dagli onorevoli Nobile e Terracini, anzitutto per la forma precisa del divieto. Una Costituzione deve essere letta, intesa subito da tutti, con chiarezza. Quanto alla opportunità di tale norma rileva che oggi in Italia si stampano quarantadue riviste pornografiche – il calcolo è stato fatto da un giornalista di «Civiltà Cattolica» – una peggiore dell’altra, con illustrazioni addirittura oscene. Se qualcuno avesse la pazienza di mettersi vicino ad un’edicola per osservare chi sono gli acquirenti di queste riviste pornografiche, vedrebbe che sono purtroppo per lo più giovinette e giovinetti delle scuole medie, i quali leggono poi avidamente quelle riviste e se le rubano l’uno con l’altro. Qui non è questione di libertà, ma di licenza: esclude in modo assoluto che qualcuno possa ammettere l’esistenza di queste riviste che non hanno alcun pregio dal punto di vista dell’arte, e che portano conseguenze esiziali per la gioventù, eccitandone i sensi ed insegnando le peggiori brutture. Ritiene pertanto che la formula degli onorevoli Nobile e Terracini interpreti pienamente, sotto questo riguardo, l’aspettativa del Paese.
Osserva soltanto che qui si parla esclusivamente di stampa e diffusione di giornali, riviste e libri pornografici. Siccome vi possono essere altri mezzi di diffusione, pensa che si debba trovare una formula più comprensiva. Non si possono ammettere, per esempio, spettacoli cinematografici immorali. Quindi si riserva di proporre un emendamento aggiuntivo.
MORO accetta sostanzialmente l’emendamento presentato dagli onorevoli Terracini e Nobile, in quanto corrisponde alla esigenza chiara ed urgente di porre un freno alla stampa pornografica e agli spettacoli osceni. L’onorevole Lussu vorrebbe che non si parlasse di queste cose cattive; ma, purtroppo, nella vita esistono ed è compito della legge di reprimerle.
Accoglie altresì la proposta dell’onorevole Merlin di estendere il divieto ad altre manifestazioni. Osserva però che non si tratta soltanto di stabilire il carattere illecito della stampa pornografica; bisogna dare alla pubblica sicurezza la possibilità di reprimerla drasticamente, impedendo che queste licenziose manifestazioni raggiungano il loro effetto nei confronti del pubblico. Pensa pertanto che non sarebbe soddisfatta l’esigenza altamente morale, di cui si sono fatti espressione gli onorevoli Nobile e Terracini, se non si stabilissero criteri molto precisi per realizzare, almeno con il sequestro preventivo, lo scopo cui si tende.
TERRACINI, a proposito delle osservazioni che sono state mosse allo scopo di adeguare l’emendamento proposto ad altre forme di manifestazione del pensiero, pensa che si potrebbe adottare questa formula: «La legge stabilirà, a tale scopo, le misure adeguate, disponendo misure preventive e limitazioni nei confronti di altri mezzi di diffusione». Si riprenderebbe in tal modo la formulazione precisa proposta dalla prima Sottocommissione.
NOBILE propone di aggiungere al comma: «Sono altresì vietate le altre manifestazioni di oscenità».
LUCIFERO ricorda che già in sede di Sottocommissione votò contro il comma in esame e non già perché non sia perfettamente d’accordo che le oscenità vadano vietate; ma perché ricorda, come nel caso di Madame Bovary, che vere opere d’arte, le quali non avevano nulla di immorale, furono bollate con questo mezzo. Ora, l’emendamento dell’onorevole Terracini aggrava sempre di più la questione. Si associa, pertanto, alla proposta dell’onorevole Lussu.
TUPINI, senza ripetere le ragioni che il collega Merlin e il collega Moro hanno addotto a favore dell’emendamento proposto dagli onorevoli Nobile e Terracini, né quelle per le quali essi hanno invocato un’integrazione della formula, propone che la prima parte del comma proposto sia così completata: «Sono vietate la stampa e la diffusione di giornali, riviste e libri pornografici ed ogni altra forma di manifestazione contraria alla pubblica moralità».
FABBRI chiede quali provvedimenti siano previsti contro i divieti abusivi.
PRESIDENTE. La legge stabilirà a tale scopo le misure adeguate.
FABBRI osserva che contro le pubblicazioni di cui si parla nel comma sarebbero previste misure preventive: occorrerebbe, quindi, l’imprimatur per i libri!
Dichiara di essere contrario non solo all’emendamento, ma anche al testo proposto.
GIUA riconosce che si trova in una posizione difficile, dovendo opporsi all’emendamento, poiché dal punto di vista morale è pienamente d’accordo con tutti i Commissari. In realtà non si tratta di discutere di morale; si preoccupa piuttosto che nell’emendamento si accenna ai libri. Ora un uomo della sensibilità dell’onorevole Terracini dovrebbe rendersi conto delle conseguenze che una norma di tal genere avrebbe nei confronti di tutta la letteratura passata. Ha pensato l’onorevole Terracini all’impossibilità per uno studioso di consultare una edizione completa del Decamerone? Evidentemente, qualora si approvi la formula proposta, non solo i libri che si pubblicheranno, ma anche quelli pubblicati, devono essere messi fuori circolazione, o anche distrutti completamente. Come si può pensare, d’altra parte, di annullare alcuni periodi storici nei quali si sia manifestata, sia pure in forma patologica, l’arte di alcuni autori?
Pensa, in conclusione, che si debbano vietare soltanto i giornali e le riviste.
LA ROCCA pensa che non si debba confondere l’arte con la pornografia, che devono essere tenute nettamente distinte. Ricorda che Flaubert, in una lettera a Maupassant a proposito di un processo intentato contro quest’ultimo per una famosa novella, scrisse una frase che, a suo parere, decide la questione: «La poesia, come il sole, mette dell’oro anche sul letamaio». Non bisogna confondere l’arte con la sua degenerazione. Non intende parlare dell’Orlando Furioso, né delle novelle del Boccaccio o di tutta la novellistica della Rinascita, che è espressione schietta della vita italiana di quel tempo. Egli va oltre: potrebbe dire della Mandragola di Machiavelli, o addirittura di certe pagine dell’Aretino, ricche d’immagini così plastiche e carnali e che tuttavia, a chi è fornito di senso estetico, non sentono di pornografia. Si tratta di due cose nettamente distinte. La pornografia alla quale accenna l’emendamento è eccitamento per l’eccitamento, è pervertimento. Su questo punto bisogna essere nettamente contrari. Ma occorre anche badare a non imbavagliale l’arte, solo perché vi sono dei nasi a cui puzzano le rose e le viole.
Diversamente, bisognerebbe mettere sotto il moggio il meglio, forse, della letteratura greca e di quella latina, e occorrerebbe avere degli scrupoli avanti di entrare in una galleria o in un museo. Non la materia sensuale è pericolosa; è il modo di sentirla e di trattarla.
ROSSI PAOLO non crede che la distinzione tra l’arte e la pornografia sia facile; si tratta, al contrario, di una questione che ha affaticato le menti superiori in tutte le epoche. Vi è una tale confusione fra pornografia e arte che anche oggi, dopo secoli, di fronte a talune opere, nessun giudice è in grado di dire se si tratti di pornografia o di arte.
Ricorda soltanto il ridicolo di cui si coperse l’intera Francia ufficiale non solo con il processo Flaubert, ma con il processo Baudelaire, che fu il più grande poeta del secolo scorso in Francia e che fu condannato.
Ora non si preoccupa tanto dell’emendamento, perché pornografia e oscenità possono trovare una definizione giuridica la cui applicazione dovrebbe essere lasciata alla sapienza e al senso estetico dei commissari di pubblica sicurezza; ma del fatto che nel testo non si parla soltanto di oscenità, ma si parla di tutela della morale pubblica.
È poi da considerare la gravità della questione sotto un altro profilo: vi sono dei Paesi, per esempio la Svizzera, dove è stata proibita nei Cantoni la diffusione delle teorie marxiste, perché considerate immorali. Richiama quindi l’attenzione sulla gravità del problema che la Commissione è chiamata a risolvere.
CODACCI PISANELLI pensa che si potrebbe richiamare un vecchio concetto molto diffuso nei precedenti legislativi, usando l’espressione: «ed ogni altra forma di manifestazione contraria al buon costume».
LA ROCCA osserva che l’espressione «buon costume» può dar luogo ad arbitrio.
LACONI pensa che le considerazioni esposte da alcuni colleghi per quanto riguarda i libri siano fondate. Gli esempi addotti non sono, a suo parere, molto felici, perché, riferendosi ad opere del passato, portano ad escludere istintivamente tali opere che sono decorate dalla qualifica dell’arte. È invece da considerare tutta la letteratura moderna, contemporanea. È noto che molte opere della letteratura francese possono essere introdotte in Italia soltanto nella lingua originale e non nella traduzione integrale. Ritiene pertanto sia preferibile introdurre il concetto dello scopo che porta gli autori a scrivere in un determinato modo, per distinguere le pubblicazioni che hanno fine artistico e culturale dalle altre che hanno scopi di eccitazioni dei sensi.
NOBILE formulerebbe il comma nel seguente modo:
«Sono vietate la stampa e la diffusione di giornali, riviste e libri pornografici. Sono altresì vietate tutte le altre forme di manifestazione pornografica a scopo di speculazione, compresi i libri».
DOMINEDÒ pensa che sia opportuno affidare al Comitato di redazione la stesura dell’articolo, perché vi è qualche aspetto della dizione che può suscitare delle perplessità.
ROSSI PAOLO propone, in via pregiudiziale, la soppressione del comma in esame.
LUCIFERO dichiara di associarsi.
CEVOLOTTO dichiara di essere favorevole alla proposta e si associa alle osservazioni dell’onorevole Rossi. In realtà si sta commettendo l’errore di introdurre nella Costituzione tutto quello che dovrebbe formare oggetto di leggi particolari. Vi è una situazione di stampa pornografica in questo momento, ed è sperabile che sia transitoria, come vi è una esplosione di criminalità contro le persone, che ha anch’essa un carattere contingente; ma ciò non vuol dire che se ne debba tener conto nella Costituzione.
FABBRI voterà per la proposta di soppressione, anche perché è già previsto il sequestro preventivo delle pubblicazioni senza bisogno dell’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, ma che deve essere seguito da un regolare giudizio. Non vede pertanto la necessità di introdurre nella Costituzione una norma che non sarebbe rispondente ad un ordinamento libero di stampa.
NOBILE chiede la votazione per appello nominale.
PERASSI si associa alle osservazioni fatte dagli onorevoli Cevolotto e Fabbri.
DE VITA si associa.
LUSSU voterà in favore della soppressione del comma.
LA ROCCA è favorevole alla soppressione.
MORO dichiara di votare contro la proposta di soppressione.
PRESIDENTE pone ai voti per appello nominale la proposta di soppressione dell’ultimo comma dell’articolo 15.
(Segue la votazione nominale).
Rispondono sì: Bocconi, Cevolotto, De Vita, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Giua, Lami Starnuti, La Rocca, Lucifero, Lussu, Mancini, Mastrojanni, Rossi Paolo, Targetti.
Rispondono no: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Corsanego, De Michele, Dominedò, Federici Maria, Fuschini, Gotelli Angela, Grieco, Laconi, La Pira, Mannironi, Merlin Umberto, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Ravagnan, Ruini, Taviani, Terracini, Tosato, Tupini, Uberti.
Si astengono: Bozzi, Marinaro, Perassi.
Comunica il risultato della votazione nominale:
Presenti e votanti 44
Voti favorevoli 15
Voti contrari 26
Astenuti 3
(La Commissione non approva).
Si potrebbe ora, come ha proposto l’onorevole Dominedò, affidare al Comitato di redazione la stesura di una norma, che la Commissione esaminerà.
(Così rimane stabilito).
Divieto di concessione e di uso di titoli mobiliari.
PRESIDENTE avverte che vi è da esaminare il secondo comma dell’articolo 16, cosi formulato:
«È vietata la concessione di titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».
L’onorevole Nobile propone che si dica: «È vietata la concessione e l’uso dei titoli nobiliari».
NOBILE non avrebbe immaginato, quando ha presentato questo emendamento, di sollevare una così vivace reazione; a giudicare dai commenti della stampa ed anche da qualche telefonata anonima giuntagli, ritiene di aver messo le mani in un vespaio. Dichiara che non ha nulla contro i quarantamila gentiluomini che sono iscritti nel Libro d’oro che la Consulta araldica pubblica, come è noto, a spese dell’erario; e non ha nemmeno nulla contro gli altri, assai più numerosi, che, pur non avendo l’onore di comparire in quell’aureo libro, tuttavia si compiacciono di fregiarsi di titoli altisonanti. Non gli preme affatto che uno si faccia chiamare visconte, o marchese, o duca, o principe, o magari grande di Spagna, o conte palatino.
Se la prima Sottocommissione avesse taciuto su questo argomento, non se ne sarebbe meravigliato e non avrebbe trovato nulla da ridire, perché è convinto che quel fondamentale rinnovamento del nostro Paese, che pur deve avvenire, spazzerà via come cosa morta tutte queste cianfrusaglie di titoli ed orpelli da salotto. Ma la Sottocommissione ha sentito il bisogno di occuparsene; essa ha creduto di vietare che la Repubblica democratica possa, niente di meno, seguendo l’andazzo dei tempi fascisti, concedere titoli nobiliari. Un tale divieto è perfino superfluo, perché sarebbe veramente ridicolo ed assurdo che ad una Repubblica, e ad una Repubblica fondata a metà del secolo ventesimo, fosse riconosciuta tale facoltà. Ma allora è ovvio che si debba aggiungere il divieto altresì dell’uso dei titoli esistenti, perché, se questo non avvenisse, si giungerebbe alla conclusione assurda di conferire un maggior valore a quelli elargiti con tanta generosità dal fascismo. I vari conti, marchesi, duchi e principi creati da Mussolini sarebbero invero riconoscenti della sicurezza loro data dalla Costituzione che altri non possono aggiungersi nel Libro d’oro della nobiltà italiana. Questo certamente non era, e non è, nelle intenzioni della Sottocommissione che ha formulato questa norma costituzionale, e perciò gli è sembrato ovvio che si dovesse aggiungere che, non solo è vietato concedere nuovi titoli, ma anche usare quelli esistenti.
Purtroppo vi è ancora tanto spagnolismo nel sangue e nei costumi italiani che sarebbe davvero ora di fare uno sforzo per liberarsene. In Italia chi non è eccellenza, o onorevole, o duca, o marchese, o commendatore, o magari cavaliere, è davvero un pover’uomo. Sarebbe ora che si usassero esclusivamente quei titoli che sono conquista della propria attività e che in tal senso sono i soli che veramente siano onorifici. In Italia si è giunti a questo anacronismo, che esiste un solenne organismo ufficiale, la Consulta araldica, che si occupa della nobiltà, e nientemeno essa è presieduta dal Primo Ministro. Non riesce davvero ad immaginarsi che il Capo del Governo di una Repubblica fondata essenzialmente sul lavoro, come è stato dichiarato in un articolo già approvato, si debba occupare di cose che, piaccia o non piaccia, sono un avanzo di tempi feudali.
Questa Consulta araldica è una cosa seria come è organizzata: è costituita da quattordici Consultori ed ha alle proprie dipendenze ben dodici Commissioni regionali: servizio importante se si deve giudicare dalle numerose pubblicazioni da essa edite. Non si è voluto chiamare la Repubblica «Repubblica dei lavoratori», ma nemmeno si può ammettere che essa diventi Repubblica di nobili. In pieno regime fascista, nel 1929, si poteva leggere nella «Rivista Araldica» che la nobiltà italiana doveva nientemeno essere considerata come un vero e proprio corpo giuridico e morale, con funzioni e prerogative speciali, e come conseguenza si chiedeva che essa avesse il suo posto di diritto e di fatto nei gradi supremi dello Stato e della società nazionale, e si invocavano a tale scopo provvidenze morali ed economiche. Una tale richiesta era la logica conseguenza di ciò che aveva dichiarato Mussolini nella sua relazione al re sull’ordinamento dello stato nobiliare italiano, ordinamento che i nobili italiani considerano come la Carta costituzionale della nobiltà italiana.
«Questo nuovo ordinamento – diceva Mussolini nella relazione – costituirà uno strumento validissimo per la maggiore elevazione spirituale e morale dell’aristocrazia italiana, la quale, attraverso una gloriosa storia millenaria, conserva le più elette virtù della stirpe e continua a tenere il primo posto nell’ascensione della Patria ai più alti destini».
Quello che le famiglie nobili italiane hanno fatto nei secoli scorsi è compito della storia di stabilire e ricordare; ma i discendenti di quelle famiglie l’Italia democratica del secolo ventesimo li deve giudicare per quello che essi daranno di contributo alla vita politica e sociale del Paese.
Confida che l’aggiunta proposta sia approvata dalla Commissione; ma nel caso che la proposta non fosse accolta, chiederà che sia messo in votazione, per appello nominale, un altro emendamento che presenta in via subordinata e che suona cosi: «Tutti i titoli nobiliari concessi dal Governo fascista sono abrogati. Una legge sancirà pene contro chi ne faccia uso».
PRESIDENTE, circa la questione della Consulta araldica, ricorda all’onorevole Nobile che si era deciso che il problema sarebbe stato trattato nella discussione delle norme transitorie.
GRIECO dichiara di non essere favorevole all’emendamento dell’onorevole Nobile, ritenendo che la norma proposta dal Comitato di redazione sia più che sufficiente. Quando si dice che «è vietata la concessione di titoli nobiliari», è evidente che, come logica conseguenza, si arriverà alla soppressione della Consulta araldica, e basterà che se ne occupino le disposizioni transitorie.
All’onorevole Nobile dispiace che vi sia della gente la quale faccia uso di titoli nobiliari; ma se un cittadino italiano ama farsi chiamare principe, ciò rappresenta una piccola vanità, un trastullo, e fra le libertà che sono state conquistate vi è anche quella di trastullarsi, senza che per questo sia necessario introdurre un divieto nella Costituzione. Forse l’onorevole Nobile è preoccupato della inflazione di titoli nobiliari nel Mezzogiorno, in gran parte forse non legittimi ai tempi in cui la verifica della legittimità nobiliare era in uso; ma si tratta di un problema di costume politico.
Si consideri, poi, che ad un eventuale divieto dovrebbe corrispondere una sanzione. Ed allora, che cosa succederebbe in Italia? Sarebbe una cosa difficile perseguire i contravventori di questa norma costituzionale.
LUCIFERO non si preoccupa eccessivamente dell’una o dell’altra formula, convinto come è che la storia non si cancella. Vorrebbe soltanto fare una osservazione di carattere tecnico, cioè che la Repubblica non potrebbe mai concedere titoli nobiliari, perché questa concessione è un residuo storico, è un fatto feudale. Quindi il pericolo di questa concessione non esiste, perché manca nella Repubblica la possibilità di dare titoli.
Quanto all’uso, alla proibizione o non proibizione, occorre considerare – come è accaduto in Francia – che si tratta di disposizioni che nella pratica sono difficilmente applicabili; e ciò esautora non quella determinata legge, ma la legge in generale. Siano o no aboliti i titoli nobiliari, pensa che non si sposti nulla nella realtà dei fatti, perché la tradizione storica impegna le persone sulla via più difficile, non sulla più facile.
MORO richiama l’attenzione sul fatto che il divieto dell’uso dei titoli nobiliari, senza che vi sia una sanzione, creerebbe una situazione per la quale si manifesta inopportuno l’emendamento Nobile. In sostanza, con la formula adottata, dopo lunga discussione, nella prima Sottocommissione, si è voluto soltanto, del titolo nobiliare, garantire il nome, come una applicazione particolare del principio generale sancito per cui il diritto al nome è costituzionalmente garantito. Si è voluto, in fondo, che il predicato del titolo nobiliare, che è nome, sia garantito come parte del nome. Ora, se si vuole stabilire una norma che abolisca la Consulta araldica, demandando la tutela del nome alle norme generali, non ha alcuna difficoltà che sia posta nelle disposizioni finali della Costituzione.
MANNIRONI, poiché ritiene che la materia non debba far parte della Costituzione, propone che il secondo comma dell’articolo 16 sia soppresso.
NOBILE chiarisce che non avrebbe sollevato la questione, se il secondo comma dell’articolo 16, così come è stato formulato, non si risolvesse in una valorizzazione dei titoli elargiti dal Governo fascista.
TERRACINI dichiara che voterà contro la soppressione, poiché ritiene che questa disposizione, come alcune altre del testo costituzionale, che in altri ambienti storici e politici potrebbero apparire superflue, siano necessarie proprio per il loro valore storico e politico.
LUSSU dichiara di essere contrario alla soppressione della norma, ma prega il Comitato di redazione di trovare una formulazione più chiara. Si parla di «predicati», termine non facilmente intelligibile da tutti.
PRESIDENTE ricorda che la formula adottata aveva raccolto l’adesione delle varie correnti sia in sede di Sottocommissione, che di Comitato di redazione. Ad ogni modo si potrebbe modificare.
Pone ora ai voti la proposta di soppressione del secondo comma.
(Non è approvata).
PERASSI sopprimerebbe la prima parte del secondo comma: «È vietata la concessione di titoli nobiliari», che non ritiene necessaria, formulando il comma stesso nel seguente modo: «I predicati dei titoli nobiliari attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».
PRESIDENTE osserva che si tratta di un nuovo emendamento.
Pone intanto ai voti l’emendamento Nobile.
TARGETTI dichiara di votare contro l’emendamento, riservandosi, però, di proporre, fra le norme transitorie, la dichiarazione di nullità di tutti i titoli nobiliari concessi dal regime fascista.
LACONI, pur votando contro l’emendamento Nobile, ritiene che debba essere non soltanto vietata la concessione di nuovi titoli nobiliari, ma anche il riconoscimento da parte della Repubblica di quelli esistenti. Pensa che questa seconda parte sia implicita nell’abolizione della Consulta araldica, che sarà stabilita nelle norme transitorie.
PRESIDENTE mette in votazione l’emendamento Nobile.
(Non è approvato).
PERASSI pensa che sia da escludere che la Repubblica possa concedere titoli nobiliari. Si potrebbe, pertanto, sopprimere la prima parte del comma, adottando la formula: «I predicati dei titoli nobiliari attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».
TERRACINI osserva che il significato dell’emendamento Perassi è che, non essendo stato indicato alcuno che abbia la competenza di concedere i titoli, manchi l’esercizio di questa facoltà. Ora, se è vero che nel passato il diritto di concedere titoli era riconosciuto al re, e che nelle attribuzioni del Presidente della Repubblica non si è accennato a nulla di analogo, resta sempre la possibilità che domani, per iniziativa parlamentare o del Governo repubblicano, si presenti un progetto di legge che conceda il titolo nobiliare ad una determinata persona, per speciali benemerenze. Occorre pertanto stabilire che non è possibile una tale concessione e che quindi iniziative legislative di questo genere non possono essere ammesse. Ritiene quindi che la prima parte del comma debba essere mantenuta.
MORO si associa alle osservazioni dell’onorevole Terracini.
LUCIFERO osserva che non vi è più in Italia l’autorità che possa dare titoli nobiliari. Vorrebbe evitare che nella Costituzione si riscontrassero delle inesattezze tecniche. Crede quindi che la proposta dell’onorevole Perassi sia giustissima proprio dal punto di vista tecnico e darà voto favorevole.
PRESIDENTE pone ai voti la proposta Perassi di sopprimere l’espressione: «È vietata la concessione di titoli nobiliari» e lasciare la formula: «I predicati dei titoli nobiliari attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».
(La proposta è approvata).
NOBILE dichiara che lo scopo del suo intervento non riguarda i vecchi titoli nobiliari, ma quelli creati dal fascismo. Perciò ha presentato, in via subordinata, il seguente emendamento, che può essere inserito tra le disposizioni transitorie:
«Tutti i titoli nobiliari concessi dal governo fascista sono abrogati. Una legge sancisce pene contro chi ne faccia uso».
LACONI ritiene che il secondo comma, con la soppressione della prima parte, debba essere fuso con l’articolo già previsto nelle norme transitorie per l’abolizione della Consulta araldica. Conseguentemente potrà parlarsi di abolizione dei titoli nobiliari concessi dal fascismo.
NOBILE non crede che abolendo la Consulta araldica cadano i titoli nobiliari concessi dal fascismo.
FABBRI pensa che il secondo comma trovi la propria sede opportuna nell’articolo 16. Essendosi nel primo comma affermato che nessuno può essere privato per motivi politici del proprio nome, si specifica in che modo si deve intendere il predicato dei titoli nobiliari attualmente esistenti.
È poi favorevole ad una disposizione, da inserire fra le norme transitorie, in base alla quale siano soppressi i titoli nobiliari concessi in regime fascista, poiché egli ritiene che in quel periodo le funzioni del re siano state obliterate dalle passioni popolari del fascismo.
MORO è d’accordo che occorra una disposizione per abolire i titoli nobiliari concessi dal fascismo; però non nasconde una certa ripugnanza a che una norma di tal genere compaia nella Costituzione, per quanto vi siano disposizioni finali che si riferiscono a fatti contingenti.
LACONI pensa che con la introduzione della norma proposta dall’onorevole Nobile si venga ad ammettere un riconoscimento dei titoli nobiliari da parte dello Stato. Ora è stato ammesso che non vi possa essere concessione di titoli del genere da parte dello Stato repubblicano. Resta la questione del riconoscimento o meno dei titoli esistenti, questione che si risolve attraverso l’abolizione della Consulta araldica e con la specificazione che i predicati attualmente esistenti sono considerati soltanto come parte del nome. Conseguentemente si potrà stabilire l’abolizione dei titoli nobiliari concessi dal fascismo.
PRESIDENTE. Come è stato rilevato, l’emendamento dell’onorevole Nobile per l’abolizione dei titoli nobiliari concessi dal fascismo fa sorgere il dubbio che tutti gli altri titoli abbiano ancora vigore; mentre lo spirito della disposizione approvata, sia pure nella forma più ellittica dell’onorevole Perassi, è che i titoli del passato non valgono più come titoli nobiliari. Pensa pertanto che la questione dei titoli nobiliari fascisti possa essere regolata, con opportuna norma, in sede transitoria. L’onorevole Laconi sostiene, d’altra parte, che ridotta la disposizione alla formula che riguarda soltanto i predicati dei titoli nobiliari, è opportuno che sia messa in relazione a tutto ciò che riguarda il riconoscimento dei titoli nobiliari in sede di Consulta araldica.
NOBILE non ha difficoltà a rimettere la sua proposta al Comitato di redazione perché trovi la formula opportuna che si ispiri al concetto da lui sostenuto.
PRESIDENTE pone ai voti la proposta di rinviare la questione al Comitato perché esamini quali norme potranno essere introdotte, sentiti naturalmente i proponenti, onorevoli Nobile e Laconi.
(La proposta è approvata).
Tutela della salute e igiene pubblica.
PRESIDENTE avverte che il Comitato di redazione è stato officiato dai colleghi che fanno parte del gruppo parlamentare medico di prendere in esame alcune disposizioni relative alla tutela della salute e dell’igiene pubblica.
L’onorevole Ambrosini ha, in proposito, proposto di inserire dopo l’articolo 16 i seguenti tre articoli:
- – «Lo Stato tutela la salute come un diritto essenziale e fondamentale di ogni essere umano e come interesse della collettività; promuove lo sviluppo della coscienza igienica; assicura le condizioni necessarie perché l’assistenza sanitaria si effettui in modo adeguato per tutti».
- – «Lo Stato assolve tali compiti per mezzo dei sanitari, mediante appositi istituti di previdenza facenti capo ad un unico organo centrale tecnico-sanitario, distinto dagli altri organi del potere esecutivo».
- – «Nessun cittadino può essere sottoposto a pratiche sanitarie non autorizzate dalla legge; la quale non potrà mai consentire che le pratiche sanitarie siano esplicate oltre i limiti imposti dal rispetto della personalità umana».
Pensa che sia opportuno rinviare la questione all’esame del Comitato di redazione.
(Così rimane stabilito).
Responsabilità penale e pene.
PRESIDENTE passa all’esame dell’articolo 19, così formulato:
«Nessuno può essere distolto dal suo giudice naturale, precostituito per legge; né può essere punito se non in virtù di una legge già in vigore prima del fatto commesso e con la pena in essa prevista, salvo che la legge posteriore sia più favorevole al reo».
L’onorevole Leone Giovanni ha proposto di dividere l’articolo in due commi, trattandosi di concetti ben distinti. Si tratta di concetti che hanno un valore attuale, dopo le dolorose esperienze fatte in tanti anni.
Pensa che la proposta possa essere accolta.
(È approvata).
Segue l’articolo 20, del seguente tenore:
«La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole, fino alla condanna definitiva.
«Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono ricorrere a trattamenti crudeli e disumani.
«Non è ammessa la pena di morte. Possono far eccezione soltanto i Codici militari di guerra».
Gli onorevoli Nobile e Terracini hanno proposto di sostituire gli ultimi due commi con i seguenti:
«Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana. Esse devono avere come fine precipuo la rieducazione del condannato allo scopo di farne un elemento utile alla società.
«Le pene restrittive della libertà personale non potranno superare la durata di quindici anni.
«La pena di morte potrà essere ammessa solo nei Codici militari, limitatamente al periodo di guerra; ed eccezionalmente anche per reati comuni, nel caso di omicidi efferati che sollevino la pubblica indignazione».
L’onorevole Lussu ha poi proposto di sopprimere l’ultimo comma che prevede l’abolizione della pena di morte. Crede pertanto che egli intenda riammettere tale pena.
Seguono alcuni emendamenti proposti dall’onorevole Leone Giovanni:
Il primo ha un valore puramente formale; egli propone infatti di sostituire le parole: «e non possono ricorrere a trattamenti crudeli e disumani» con le seguenti: «e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».
Col secondo emendamento propone che la pena di morte sia abolita soltanto per i reati politici.
Col terzo emendamento propone di aggiungere all’articolo il seguente comma: «La detenzione preventiva è ammessa solo per i delitti più gravi e non può ledere la dignità della persona umana».
Si presenta anzitutto la questione delle pene. Si propone cioè di sostituire al divieto delle pene crudeli e disumane, la formula che: «le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana. Esse devono avere come fine precipuo la rieducazione del condannato allo scopo di farne un elemento utile alla società». A questo proposito vi è l’emendamento di forma dell’onorevole Leone: «e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».
NOBILE. È sembrato che parlare di «trattamenti crudeli e disumani» dia quasi il pretesto per usarli, e ritiene perciò molto più rispondente ed ampia la formula: «Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana».
Nell’articolo proposto dal Comitato di redazione si dice che: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». Ha creduto di dire in modo più chiaro ed esplicito: «Esse devono avere come fine precipuo la rieducazione del condannato allo scopo di farne un elemento utile alla società».
CEVOLOTTO intende chiarire perché – a parte le formule che possono essere accettate o meno – in seno alla prima Sottocommissione non si è voluto risolvere la questione della finalità della pena. La pena ha – secondo alcuni – un fine di intimidazione; secondo altri, un fine di prevenzione; secondo altri ancora, deve avere soltanto il fine della rieducazione del colpevole. Si è voluto evitare di accettare nella Costituzione una di queste teorie, trattandosi di materia di Codice penale. Ecco perché si è usata la parola: «tendere»; perché si è voluto dire, in un senso altamente sociale e umano, che una delle finalità della pena in tutti i casi deve essere la rieducazione del condannato.
BOZZI pensa che la formula proposta dagli onorevoli Nobile e Terracini non sia molto felice, perché il fatto stesso della pena è già qualche cosa che intacca questo patrimonio morale che è la dignità umana. Ora il concetto che si deve esprimere, a suo parere, riguarda, quasi direbbe, il trattamento fisico; cioè che la pena deve essere scontata con modalità tali che non siano disumane, crudeli.
ROSSI PAOLO trova che la prima parte dell’emendamento degli onorevoli Nobile e Terracini: «Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana» è, nella sua formulazione, molto più elevata dell’altro testo. Dove non è d’accordo, è nel periodo che segue: «Esse debbono avere come fine precipuo la rieducazione del condannato allo scopo di farne un elemento utile alla società». È bene che la Costituzione sia ottimista; ma bisogna che non sia ingenua. È noto, infatti, che la rieducazione è uno degli scopi della pena, ma purtroppo né l’unico, né il principale. Lo scopo principale della pena è scientificamente la difesa sociale, e tutti sanno che è impossibile parlare seriamente di rieducazione, quando si tratti di condannati a venti o trenta anni. Non vorrebbe quindi che fosse introdotto un concetto così ingenuo e roseo nella Costituzione. Si potrebbe pertanto dire: «Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana e debbono tendere alla rieducazione del condannato, in quanto possibile».
MORO ritiene che si debba adottare la formula proposta dal Comitato di redazione: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». Nella seconda parte pensa che sia bene mettere in rilievo che sono le pene, in quanto eseguite, che non debbono essere in contrasto con la dignità umana. È perciò favorevole all’emendamento dell’onorevole Leone, che sostituisce al vocabolo «ricorrere» l’altro «consistere», e adopera l’espressione più felice: «in trattamenti contrari al senso di umanità».
TARGETTI prende occasione dalla seconda parte dell’emendamento, relativa alla finalità delle pene, per richiamare l’attenzione dei proponenti sull’opportunità di rinviare le loro proposte all’Assemblea costituente, per la semplice ragione che le discussioni in sede di Commissione debbono necessariamente essere brevi, per disposizione di regolamento. Ora crede che ciascun Commissario, quale che sia il suo orientamento, debba riconoscere che con la proposta in esame si risolvono con una discussione affrettata questioni annose. Quando i colleghi che hanno proposto l’emendamento hanno accennato, ad esempio, al limite massimo della detenzione, che hanno previsto in quindici anni, essi hanno toccato un problema della più grande importanza, che non si può discutere se non inquadrandolo in tutto l’ordinamento penitenziario.
BULLONI è favorevole all’emendamento Nobile-Terracini, in quanto considera anche l’esenzione dalle pene, giacché si richiama il futuro legislatore alla necessità di considerare il trattamento del detenuto che sta espiando una pena. Non solo, infatti, la pena può in se stessa offendere la dignità umana, ma anche, qualche volta, il modo come il detenuto è trattato. È contrario al testo proposto dal Comitato di redazione: «e non possono ricorrere a trattamenti crudeli e disumani», perché ciò è entrato ormai nella coscienza universale.
PRESIDENTE pensa che nella espressione: «senso di umanità» sia compreso anche il concetto della dignità umana. D’altronde questa ultima espressione è stata già usata in materia di diritti dell’uomo. Ritiene, pertanto, che gli onorevoli Nobile e Terracini possano accedere alla formula: «e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». Si potrebbe, se mai, aggiungere: «e di dignità».
NOBILE non intende rinunziare all’espressione: «lesive della dignità umana», perché ognuno può commettere un errore e incappare nel codice: la dignità umana deve essere tuttavia rispettata.
TUPINI è contrario alla formula proposta dagli onorevoli Nobile e Terracini, in quanto ritiene che l’espressione adottata dal Comitato di redazione: «Le pene… non possono ricorrere a trattamenti crudeli e disumani» sia il modo migliore per salvaguardare la dignità umana.
PRESIDENTE pone ai voti la formula: «Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana».
(Non è approvata).
Pone ai voti l’emendamento dell’onorevole Leone Giovanni: «e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».
TUPINI voterà contro l’emendamento, perché prospetta una forma molto più generica di quella approvata dalla prima Sottocommissione.
(È approvato).
È da esaminarsi ora il secondo comma dell’emendamento Nobile-Terracini: «Le pene restrittive della libertà personale non potranno superare la durata di quindici anni».
Osserva che si tratta di questione che dovrà essere risolta in sede di Codice penale e prega i proponenti di rinviarla. Tutt’al più potrebbe essere tenuto presente che insieme all’abolizione della pena di morte si stabilisca anche l’abolizione dell’ergastolo, perché sono entrambi sullo stesso piano d’idee.
FUSCHINI non crede che si possano risolvere, in sede di Commissione, questioni così gravi ed importanti che implicano la necessità di un esame approfondito e ponderato, e quindi di una seria preparazione.
TERRACINI pensa che l’argomentazione dell’onorevole Fuschini non possa accettarsi: altrimenti in sede di Assemblea costituente non sarà possibile presentare alcun emendamento, mentre è evidente che ogni membro può proporre emendamenti, anche sulle materie che hanno formato oggetto di accurato esame da parte delle Sottocommissioni. Si è rimasti d’intesa, e l’Assemblea costituente lo ha detto chiaramente, che la Commissione dei settantacinque doveva proporre un progetto di Costituzione. Ciò significa che durante lo sviluppo dei lavori i membri della Costituente possono fare proposte di modifica anche su materie scartate dalle Commissioni o non prese in considerazione.
Non ha nulla in contrario a che si rinvii questa discussione, se ventiquattro o quarantotto ore possono servire ad una migliore preparazione; ed è pronto a veder respinto l’emendamento; ma non crede che esso sia stato proposto in sede incompetente.
Non è esatto che si tratti di una questione riguardante esclusivamente il Codice penale, perché altrimenti anche l’abolizione della pena di morte dovrebbe essere riservata al Codice penale. Vi sono problemi i quali, pur dando origine a disposizioni del Codice penale, sono da inserire nella Costituzione. Così è stato fatto per la questione dei figli illegittimi, che è stata considerata innanzi tutto per la sua portata di carattere generale.
Il problema particolare che ha affrontato insieme con l’onorevole Nobile, proponendo la sostituzione degli ultimi due commi dell’articolo 20, sta soprattutto nel capoverso, in cui si afferma «che le pene restrittive della libertà personale non potranno superare la durata di quindici anni».
È un’affermazione che può parere di carattere nuovo, per lo meno in un consesso legislativo italiano, ma rientra in un ordine di problemi già affrontati da altri Paesi e verso la cui soluzione crede che si orienterà il progresso sociale nel mondo.
La proposta, d’altra parte, si ricollega alle affermazioni or ora approvate. Visto che si è parlato di una tendenzialità educativa delle pene, intende affermare che se le pene detentive superano un certo limite, non soltanto cessa la possibilità che esse abbiano una capacità educativa, ma, al contrario, sono fonte di un processo di abbrutimento progressivo. Bisogna dire schiettamente che le pene sono una ritorsione della società di fronte al delitto e togliere quel velame moralistico di cui si vorrebbero coprire. Si dica pure che sono forme di difese sociali, che giungono fino alla soppressione e all’uccisione dell’individuo. Ma se si vuoi dare un contenuto umano alle pene, occorre che esse abbiano anche questo elemento fondamentale. Basterebbe visitare una casa penale per constatare che le persone rinchiuse, dopo vent’anni, sono completamente abbrutite. Prolungata per tanto tempo, la pena detentiva porta a questo processo di deformazione.
Si tratta, dunque, di evitare questo gravissimo inconveniente e di essere coerenti con la prima affermazione. Ha proposto che le pene non superino 15 anni, ma questo termine può essere modificato, purché si affermi il principio che le pene debbano avere un limite commisurato alla durata della vita umana e allo scopo per cui sono inflitte.
Se si crede di non doverne parlare nella Costituzione, sarà bene tener presente che non se ne parlerà nemmeno in alcun’altra sede. Si stabilisca allora soltanto il diritto della difesa sociale contro la violazione delle leggi.
GRASSI nota che le parole eloquenti e sincere dell’onorevole Terracini mostrano l’importanza e la gravità dell’argomento. Ritiene che in sede di Costituzione non si possa entrare nei particolari del sistema di pene, perché altrimenti bisognerebbe modificare tutti i Codici, e in questa materia non sono possibili improvvisazioni.
Vorrebbe, pertanto, pregare l’onorevole Terracini, pur rendendo omaggio alle sue abili argomentazioni, di tener presente che in questo momento si è in tema di affermazione delle libertà, di cui sono stati stabiliti i principî fondamentali. Il legislatore di domani dovrà affrontare i problemi concreti. Quindi sarà bene rinviare l’argomento alla legislazione penale, tenendo conto delle osservazioni fatte.
FUSCHINI intende chiarire all’onorevole Terracini che il tema da lui proposto merita la massima considerazione da parte del legislatore; ma siccome i componenti della Commissione dei settantacinque non hanno avuto la possibilità di esaminare preventivamente le proposte della prima Sottocommissione, a cui è stato affidato il primo studio sui problemi dei diritti e delle libertà, ritiene opportuno che la Sottocommissione medesima esprima anche su questo argomento il suo parere.
Si rende conto della nobiltà dei sentimenti che animano la proposta dell’onorevole Terracini, proposta che apprezza ed ammira. Pensa peraltro che una decisione sia presa sulla scorta di un nuovo parere della prima Sottocommissione che ha discusso tutto il problema.
CEVOLOTTO ricorda che la prima Sottocommissione ha preso in esame, sotto certi aspetti, anche questo problema, perché ha discussa la questione dell’ergastolo ed ha ritenuto che il problema non sia materia di Costituzione. Il problema è di una gravità enorme e molte delle considerazioni dell’onorevole Terracini hanno un valore essenziale; ma osserva che, limitando le pene detentive ad un massimo di 15 anni, non vi sarebbe più relazione con gli articoli che regolano l’amnistia e l’indulto. È evidente che, con un paio di indulti, i 15 anni si ridurrebbero a due o tre soltanto.
Si è dunque di fronte ad un problema che implica tutto il sistema delle pene, e che è per conseguenza problema di legislazione penale. Non ritiene che sia il caso di discuterlo in sede di Costituzione, anche perché sarebbe una questione che dovrebbe essere dibattuta a lungo, e per la quale ritiene che nemmeno l’Assemblea costituente sia la sede più adatta, perché è una questione che ha troppi lati tecnici.
Ad ogni modo questo non è in contradizione col fatto che si sia riaffermato il principio dell’abolizione della pena di morte. L’abolizione della pena di morte è una delle conquiste della civiltà italiana, ed è stato un male che ad un certo momento ciò si sia dimenticato. Si è voluto riaffermare la necessità della pena di morte di fronte all’efferatezza di certi delitti; ma il legislatore italiano considera con serenità anche i fatti contingenti, riaffermando il principio che non si ha il diritto di disporre della vita degli altri.
NOBILE rileva che il principio contenuto nell’emendamento proposto è talmente rivoluzionario che, come ha messo in rilievo l’onorevole Terracini, deve dare tutto un indirizzo nuovo alla legislazione e non può non formare oggetto della Costituzione. Tuttavia non si tratta di un salto nel buio. Vi è un grande esempio in questo campo, ed è proprio quello della Russia. Il Codice penale russo, se non è stato modificato in quest’ultimo tempo, non comporta una pena superiore ai 10 anni. Questa è la massima pena che si può infliggere per un delitto comune. La pena di morte era prevista soltanto per i delitti di tradimento verso lo Stato. Orbene, i risultati che si sono avuti in Russia sono veramente sorprendenti e tali da costituire un esempio degno di considerazione.
MORO non può non essere sensibile ai motivi altamente umani che hanno ispirato la proposta degli onorevoli Terracini e Nobile, ma d’altra parte crede che questo sia un problema sociale ed umano. Occorre considerare la situazione del Paese. Non si risolve in sede di legislazione penale un problema umano di questa portata. Non si tratta di definire una pena entro certi limiti, ma di creare una tale struttura sociale, un tale costume, per cui il sistema degli illeciti e delle pene venga ad essere configurato in una luce nuova, nell’ambito di una società diversa da quella attuale. La legislazione dovrà registrare e, come noi si spera, anche promuovere, entro certi limiti, una diversa situazione sociale del Paese e prendere tutte le misure adeguate.
Diceva l’onorevole Terracini che se si pone la possibilità di una pena estremamente lunga nel tempo, si dà in sostanza alla pena il valore di una pura difesa sociale, e nell’ambito della difesa sociale ogni cosa è possibile, anche la soppressione della persona colpevole. Non crede che ciò sia del tutto esatto. Certamente le finalità della difesa sociale entrano nella considerazione del legislatore penale. Pur essendo sostenitore delle finalità emendative della pena, ritiene che la rieducazione del reo si compia attraverso la detenzione, in quanto attraverso la pena si realizza un emendamento della personalità umana. Ora, determinare fino a che punto la pena debba punire allo scopo di emendare è compito di dosaggio talmente delicato e legato ad un tale complesso di elementi, che si può dare soltanto una indicazione di massima, lasciando al legislatore di valutare il problema.
MASTROJANNI in sede di prima Sottocommissione fece delle raccomandazioni anche per quanto tratta l’abrogazione della parte generale del Codice penale vigente, specie riguardo all’imputabilità, alla recidiva, ecc. Condivide appieno quanto ha affermato l’onorevole Terracini, cioè che in sede costituzionale si debba fissare il limite massimo della pena afflittiva, perché avendo discusso delle libertà individuali, non vi è, a suo parere, sede più adatta per potere fissare il limite massimo entro il quale la libertà privata può essere tolta.
Nega poi che si tratti di un istituto che debba essere considerato dai tecnici esclusivamente, perché il legislatore, allorché si tratta di irrogare le pene più gravi, ha voluto che insieme ai tecnici sedessero i giurati, segno evidente che non solo i tecnici, ma anche i cittadini debbono poter intervenire con la loro sensibilità per mitigare i rigori della pena. Ora le preoccupazioni che sono state affacciate in relazione all’eventualità dell’amnistia o dell’indulto, che possono ridurre al minimo la pena afflittiva da scontarsi, non hanno consistenza, perché l’indulto e l’amnistia saranno dati in limiti esigui e sempre condizionati alla pena massima.
Che i limiti attualmente fissati dal Codice siano aberranti e crudeli, è un fatto. La personalità umana, quando è a contatto con tristi ambienti, si corrode, si disgrega, specie se la sensibilità è accentuata. Solamente coloro che sono corazzati resistono alla corrosione di quell’ambiente. Qualora si dovesse rimandare lo studio e lo svolgimento di questo problema importantissimo ai tecnici, non si caverebbe un ragno dal buco, perché i tecnici, legati alle dottrine, sono nell’impossibilità di adeguare il sistema delle pene a quelle che sono le esigenze spirituali dell’umanità, ma devono necessariamente attenersi, per non tradire il loro insegnamento e i loro orientamenti, a determinate esigenze.
Conclude dichiarando di essere favorevole all’emendamento Nobile-Terracini.
PRESIDENTE avverte che vi è una proposta dell’onorevole Grassi, di rinviare l’argomento al sistema delle leggi penali, in quanto ritiene che non rientri nella materia costituzionale.
NOBILE, per le considerazioni esposte dall’onorevole Mastrojanni, ritiene che si tratti di materia costituzionale.
DOMINEDÒ, in linea di principio, pur ritenendo che la materia della irrogazione della pena nei suoi sistemi e nei suoi dettagli appartenga alla sede legislativa, deve dire per schiettezza che, a suo parere, un aspetto potrebbe essere considerato in sede costituzionale, cioè quello della eventuale determinazione di un limite onde si possa rivedere in sede costituzionale il problema dell’ergastolo.
LUSSU, coerentemente alla proposta di abolizione della pena di morte, voterà a favore del rinvio al legislatore penale.
TUPINI, votando a favore della proposta Grassi, intende approvare la formula proposta dalla prima Sottocommissione ed accolta nella successiva formula del Comitato di redazione, in quanto, essendosi sufficientemente discusso in seno alla prima Sottocommissione il problema ed essendosi persino proposta dall’onorevole Togliatti l’abolizione dell’ergastolo, si ritenne che non fosse materia da definire in sede costituzionale e che fosse sufficiente stabilire il concetto generale che le pene tendono alla rieducazione del reo ed escludono trattamenti inumani e crudeli.
PRESIDENTE pone ai voti la proposta Grassi.
(È approvata).
La seduta termina alle 13.10.
Erano presenti: Ambrosini, Basso, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Canevari, Cappi, Cevolotto, Codacci Pisanelli, Corsanego, De Michele, De Vita, Dominedò, Fabbri, Farini, Federici Maria, Fuschini, Giua, Gotelli Angela, Grassi, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Pira, La Rocca, Lombardo, Lucifero, Lussu, Mancini, Mannironi, Marinaro, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Nobile, Noce Teresa, Perassi, Pesenti, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Targetti, Taviani, Terracini, Tosato, Tupini, Uberti.
Assente giustificato: Ghidini.
Erano assenti: Amadei, Bordon, Calamandrei, Cannizzo, Castiglia, Colitto, Conti, Di Giovanni, Di Vittorio, Dossetti, Einaudi, Fanfani, Finocchiaro Aprile, Froggio, Iotti Leonilde, Leone Giovanni, Marchesi, Merlin Lina, Molè, Mortati, Paratore, Piccioni, Porzio, Rapelli, Togliatti, Togni, Zuccarini.