Come nasce la Costituzione

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VENERDÌ 24 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

ADUNANZA PLENARIA

18.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 24 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI

INDICE

Disposizioni generali del progetto di Costituzione (Esame degli articoli)

Presidente – Targetti – Fabbri – Lussu – Togliatti – Fanfani – Conti – Dominedò – Perassi – Dossetti – Einaudi – Tosato – Grassi – Leone Giovanni – Moro – Cevolotto – Terracini – Nobile – Giua – Fuschini – Laconi – Uberti – Mancini – Lucifero – Bozzi – Cappi – La Pira – Corsanego.

La seduta comincia alle 10.20.

Esame degli articoli delle disposizioni generali del progetto di Costituzione.

PRESIDENTE avverte la Commissione che essendo stata rinviata la discussione sulla questione generale concernente la composizione della seconda Camera, ed essendo in corso di elaborazione l’articolo riguardante i rapporti dello Stato con le altre Chiese, affidato agli onorevoli Terracini e Dossetti, si prosegue nell’esame dell’articolazione, iniziato nella seduta di mercoledì.

Ricorda che con un ordine del giorno Conti, Togliatti e Cevolotto, approvato dalla Commissione, si stabilì che il Comitato di redazione dovesse provvedere soltanto ad un coordinamento formale, lasciando le questioni di sostanza all’Assemblea, mentre la Commissione plenaria avrebbe cercato di non entrare troppo in dettagli per non ritardare il lavoro.

Si stabilì altresì che gli emendamenti dovessero essere presentati per iscritto. Dove non vi fossero stati emendamenti, gli articoli si sarebbero ritenuti senz’altro approvati.

Proseguendo nella discussione sul primo articolo, riepiloga le ragioni che hanno indotto il Comitato di redazione a stabilire la formulazione proposta.

Il Comitato di redazione ha riscontrato che il testo approvato dalla prima Sottocommissione presentava notevoli pregi. Sono stati però sollevati alcuni dubbi, soprattutto di forma, poi riconosciuti fondati dalle varie parti. Si è, per esempio, riconosciuto opportuno dire nel primo comma: «L’Italia» invece di: «Lo Stato italiano», adottando perciò la formula: «L’Italia è Repubblica democratica», in quanto dicendo: «Stato italiano» l’idea della Repubblica era già compresa. Avverte in proposito che il Comitato di redazione ha ritenuto opportuno che si parli sempre di Repubblica, in modo che questa parola rimanga come espressione generale in sostituzione di «Stato italiano».

TARGETTI direbbe meglio, nel primo comma: «L’Italia è una Repubblica».

PRESIDENTE fa presente che le questioni puramente letterarie potranno essere rinviate ad una successiva definizione.

Il secondo comma era stato proposto dalla prima Sottocommissione nei seguenti termini:

«Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese».

Nel Comitato di redazione, però, si è ritenuto opportuno dire che il lavoro è il fondamento dell’organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica e non che lo Stato italiano ha per fondamento il lavoro. È una questione di forma, che però ha un certo valore.

Nel secondo articolo, poi, il testo della prima Sottocommissione diceva:

«La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico formato dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi».

È sembrato al Comitato di redazione che il richiamo alla sovranità dello Stato potesse dar luogo ad equivoci ed essere interpretata nel senso fascista, per cui tutto deriva dallo Stato. È stata quindi adottata l’espressione: «La sovranità emana dal popolo», esprimente un concetto che è alla base di tutte le Costituzioni.

Riguardo all’ultima parte del secondo articolo della Sottocommissione: «Tutti i poteri emanano dal popolo, che li esercita direttamente o mediante rappresentanti da esso eletti», è sembrato che questo concetto fosse compreso già nell’altro: «La sovranità emana dal popolo».

D’altra parte, si è ritenuto necessario fare anche riferimento alle leggi, cosicché l’articolo adottato dal Comitato di redazione, ha avuto la seguente formulazione comprensiva dei concetti accennati, espressi nei due articoli della prima Sottocommissione:

«L’Italia è Repubblica democratica.

«La sua sovranità emana dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi.

«Il lavoro è l’essenziale fondamento dell’organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica italiana».

Personalmente, non avrebbe difficoltà ad adottare anche la formula: «Repubblica dei lavoratori»; osserva però che essa, essendo usata nelle Costituzioni russa e jugoslava, si riferisce ad una forma particolare, che non è propria dell’Italia. Comunque, la Commissione ha già deciso in merito.

FABBRI ricorda che nella seduta di mercoledì, dopo l’approvazione del primo comma, si era passati a discutere sul secondo. Qualche Commissario aveva proposto di tornare al testo originario della prima Sottocommissione. In questa ipotesi, egli aveva proposto di sostituire la parola «cittadini» alla parola «lavoratori».

Non essendo stato deciso se debba rimanere il testo del Comitato di redazione o quello della prima Sottocommissione, la questione è ancora impregiudicata.

PRESIDENTE fa presente la necessità di non soffermarsi troppo sulle questioni formali, aggiungendo che nel Comitato di redazione si era rimasti d’accordo di trovare una formula che esprimesse in breve i concetti della sovranità popolare e del lavoro come base della organizzazione dello Stato, fondendo i due articoli proposti dalla prima Sottocommissione.

LUSSU precisa che la sua proposta era di adottare come secondo comma il testo proposto dalla prima Sottocommissione: «Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori alla organizzazione economica, sociale e politica del Paese», e come terzo comma il secondo proposto dal Comitato di redazione e cioè:

«La sua sovranità emana dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi».

Aveva proposto infine la soppressione dell’ultimo comma del testo del Comitato e dell’articolo 2 proposto dalla Sottocommissione.

L’onorevole Tosato, a sua volta, proponeva dopo il comma: «L’Italia è Repubblica democratica» di ripristinare gli articoli 1 e 2 proposti dalla Sottocommissione.

A questo punto la discussione è stata sospesa.

PRESIDENTE sottopone alla Commissione la proposta dell’onorevole Lussu, salvo la formulazione del comma, che potrebbe essere: «L’organizzazione economica, politica e sociale della Repubblica ha per fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori».

TOGLIATTI sottolinea la necessità di tener conto della sostanza, evitando che, con il pretesto della forma, la Commissione sia messa continuamente di fronte a nuove formulazioni, ognuna differente dalle altre.

Vi sarà poi un Comitato che curerà la forma.

PRESIDENTE osserva che la questione si riduce a decidere se deve essere prima espresso il riferimento al lavoro o quello alla sovranità popolare.

Ricorda che al Comitato di redazione è parso che storicamente, poiché la sovranità popolare è base dell’ordinamento di tutte le Repubbliche democratiche, questo concetto dovesse andar prima; e dovesse accentuarsi dopo, il concetto del lavoro.

TOGLIATTI ricorda che nella prima Sottocommissione, dopo lungo dibattito, essendo stata respinta la formula: «Repubblica di lavoratori», venne considerato opportuno aggiungere, immediatamente dopo la definizione di Repubblica democratica, la formula riferentesi al lavoro come fondamento dello Stato, ed in questo tutti si trovarono d’accordo dal momento che era stata respinta la formula precedente.

In ciò sta il motivo della connessione fra il primo ed il secondo comma.

PRESIDENTE risponde all’onorevole Togliatti che il Comitato di redazione si inspirò invece al concetto che la sovranità popolare è la base fondamentale della Repubblica, e che la qualificazione del lavoro dovesse essere aggiunta dopo, per dare un tono particolare alla Repubblica italiana.

FANFANI è d’avviso che la novità nella Costituzione non sia tanto il concetto della sovranità che risiede nel popolo, quanto la caratterizzazione della Repubblica con il suo fondamento sul lavoro. Insiste quindi perché si torni al testo della prima Sottocommissione, con qualche eventuale modifica.

PRESIDENTE, riassumendo le varie proposte presentate, rileva che il testo dell’articolo potrebbe essere il seguente:

«L’Italia è Repubblica democratica. Essa ha per fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese. La sovranità emana dal popolo e si esercita nella forma e nei limiti della Costituzione e delle leggi».

CONTI osserva che l’aggettivo «concreta» è inutile.

PRESIDENTE fa presente che esso potrebbe essere sostituito con «effettiva».

Rimane in sospeso l’emendamento Fabbri, il quale propone di sostituire la parola «cittadini» alla parola «lavoratori».

FABBRI non ha nessuna difficoltà ad ammettere che il fondamento dello Stato è il lavoro, e la necessità del suo emendamento non sarebbe sorta se fosse rimasto il testo proposto dal Comitato di redazione, secondo il quale il lavoro è l’essenziale fondamento dell’organizzazione dello Stato. Quando invece si viene a parlare dei soggetti dell’organizzazione economica, sociale e politica, questi non possono essere soltanto i lavoratori, ma sono tutti i cittadini. Quando si tratta di andare sotto le armi, o di pagare le imposte, il manifesto si rivolge ai cittadini; quando il lavoratore va a riposo o l’impiegato in pensione, non perde la qualità e non deve perdere i diritti del cittadino.

La Repubblica democratica deve – a suo avviso – comprendere l’universalità dei cittadini; l’emendamento proposto risponde appunto alla necessità di affermare questo principio.

DOMINEDÒ preferisce l’espressione «cittadini» a quella «lavoratori», perché meglio rispondente all’esigenza di affermare una concezione solidarista in luogo di quella classista.

PRESIDENTE pone ai voti per alzata di mano l’emendamento dell’onorevole Fabbri.

(Segue la votazione per alzata di mano).

FABBRI domanda la votazione per appello nominale.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Fabbri che, poiché si è già in votazione, la sua richiesta non può essere accolta.

Constata che l’emendamento Fabbri è respinto avendo avuto parità di voti favorevoli e contrari.

Pone ai voti l’articolo 1 nel seguente testo definitivo:

«L’Italia è Repubblica democratica. Essa ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

«La sovranità emana dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi».

(È approvato).

PERASSI si riserva di proporre, in altra sede, la dizione: «nei limiti della Costituzione e delle altre leggi ad essa conformi», come era nel testo della prima Sottocommissione.

PRESIDENTE avverte che, non essendovi proposte di emendamenti od osservazioni sull’articolo 2, questo si intende approvato nel testo proposto dal Comitato di redazione.

Segue l’articolo 3:

«Le norme del diritto delle genti, generalmente riconosciute, sono considerate parte integrante del diritto italiano».

Avverte che su questo articolo, gli onorevoli Perassi, Ambrosini, Cevolotto, Tosato, Mortati, Targetti, Terracini, Grassi e Bozzi hanno presentato un emendamento tendente a sostituire l’articolo con il seguente:

«L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute».

PERASSI dà ragione dell’emendamento facendo presente anzitutto come da esso esuli qualsiasi significato politico. L’articolo 3, comunque formulato, tende ad istituire quello che si può chiamare un dispositivo di adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale generale. Questo concetto – sul quale ritiene che tutti siano d’accordo – è stato espresso nell’articolo 3, proposto dalla Sottocommissione e dal Comitato di redazione adottato, riprendendo testualmente la formulazione dell’articolo 4 della Costituzione di Weimar.

L’emendamento sostitutivo presentato da lui e da altri colleghi non ha se non una portata formale. Osserva al riguardo che la stessa dottrina tedesca rilevò che l’articolo 4 della Costituzione di Weimar ha una formulazione impropria, in quanto non è esatto che una norma di diritto internazionale passi così come è nel diritto interno di uno Stato. Porta il tipico esempio di una di quelle poche norme internazionali generalmente riconosciute, quella cioè che obbliga gli Stati ad esentare gli agenti diplomatici dalla giurisdizione civile e penale. Ora, qual è la norma che in corrispondenza con quella norma del diritto internazionale si inserisce automaticamente nell’ordinamento giuridico interno per effetto dell’articolo della Costituzione del quale si discute? È una norma processuale che si indirizza agli organi giurisdizionali dello Stato ed ai privati. Non si tratta, quindi, di un passaggio della stessa norma da un ordinamento all’altro. Si ha, invece, la creazione nel diritto interno di una norma che è bensì correlativa a quella internazionale, ma non è identica. Infatti, l’articolo 4 della Costituzione di Weimar, nonostante la sua formulazione, è stato definito un «trasformatore permanente».

Ciò posto, ferma restando l’idea fondamentale, cioè che si vuole fare in modo che l’ordinamento giuridico italiano si adatti automaticamente, ossia senza bisogno di un atto legislativo al diritto internazionale generale, è opportuno che questo concetto sia espresso con una norma formulata in maniera tecnicamente appropriata. A ciò i proponenti dell’emendamento hanno ritenuto provvedere con la formulazione proposta: «l’ordinamento giuridico italiano si conforma (è sottinteso automaticamente) alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute». Rileva che è stata adottata la dizione: «diritto internazionale», anziché quella di: «diritto delle genti», perché quest’ultima non corrisponde alla nostra terminologia usuale. Anche la Francia, in cui più generalmente è usata questa espressione, nella sua Costituzione usa invece la dizione di diritto internazionale. La formula proposta si trova anche nel preambolo della nuova Costituzione francese.

Ritiene che la Commissione, tenute presenti le spiegazioni date, vorrà accogliere l’emendamento che, per ragioni di pura tecnica giuridica, egli ed i suoi colleghi hanno creduto opportuno presentare.

DOSSETTI premette che egli non ha alcuno speciale attaccamento alla formula proposta dalla prima Sottocommissione, facendo presente che, come Correlatore su questo argomento, aveva presentato una formula diversa che avrebbe evitate le giuste osservazioni fatte dall’onorevole Perassi alla formula definitivamente adottata. Tale formula era modellata sullo schema di quella proposta dai professori Ago e Morelli nella relazione su questo argomento della Commissione del Ministero della Costituente.

Esprime peraltro il dubbio che la formula proposta con l’emendamento affermi sì l’adattamento necessario del diritto interno al diritto internazionale, ma non serva invece all’adattamento automatico, se per adattamento automatico si intenda un adattamento del diritto interno al diritto internazionale che operi senza bisogno di una norma specifica che trasporti la norma del diritto internazionale nel diritto interno. Gli sembra che la formula che viene ora proposta affermi la necessità di una conformazione del diritto interno al diritto internazionale, senza operare necessariamente un adattamento automatico sì da far ritenere necessaria una norma la quale operi il trapasso per la singola disposizione.

Se l’onorevole Perassi esclude questo dubbio, si rimette al suo giudizio; purché sia ben chiaro che si vota per un adattamento automatico che operi all’infuori di una norma specifica che travasi la norma del diritto internazionale nel diritto interno.

EINAUDI osserva che nelle parole: «si conforma» non v’è niente di automatico; e gli sembra che con la dizione proposta nell’emendamento si richieda sempre una legge interna che di volta in volta operi questo travasamento.

L’espressione potrebbe dunque, a suo avviso, dar luogo in avvenire a dei dubbi.

DOSSETTI ricorda che la formula accennata, da lui ripresa nella relazione, era approssimativamente la seguente:

«Le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute fanno parte dell’ordinamento interno dello Stato, senza che occorra emanarle con apposito atto».

Gli sembra questa una formula forse anche un po’ contorta, ma che riproduce il principio non solo dell’adattamento necessario, ma anche quello dell’adattamento automatico.

TOGLIATTI ricorda che la questione fu discussa lungamente nella prima Sottocommissione, e ne sottolinea l’importanza per l’avvenire dello Stato italiano, in quanto si tratta di adottare una formula che, automaticamente, porta alcune norme di diritto internazionale ad entrare a far parte del nostro diritto.

A suo avviso; la formula dell’onorevole Perassi che si riferisce al diritto internazionale, è più elastica, e – in sostanza – lascia aperta la possibilità di un atto interno di volontà sovrana; mentre adottando la formula Dossetti, riferentesi al diritto delle genti in generale, e non a norme concrete di diritto internazionale quali possono risultare da strumenti internazionali di altre Potenze o anche di una associazione di altre Potenze, occorrerà un atto della nostra volontà per l’adesione.

PERASSI osserva che sostanzialmente non vi è differenza tra le due espressioni: con esse si intende alludere esclusivamente alle norme del diritto internazionale generale, non alle norme che siano poste da accordi internazionali bilaterali o collettivi. L’adattamento del diritto interno italiano a norme derivanti da trattati bilaterali o collettivi non è regolato da questo articolo; sarà attuato secondo altri procedimenti.

Ciò che si vuole qui stabilire – e su questo punto non comprende perché sia sorto equivoco – è precisamente l’adattamento automatico del diritto interno a quello internazionale generale. Questo era il significato dell’articolo 4 della Costituzione di Weimar. Ed egli crede che nel suo emendamento sia espressa in maniera sufficientemente chiara il carattere automatico dell’adattamento, nel senso che questo si compie per effetto diretto della norma della Costituzione, senza, cioè, che occorra di volta in volta un atto interno di legislazione. L’articolo, che si inserisce nella Costituzione, è un dispositivo tale che, funzionando automaticamente, tiene l’ordinamento giuridico in un equilibrio continuo e perfetto col diritto internazionale generale. Per modo che, il giorno in cui per ipotesi si avesse una modificazione della norma citata come esempio, cioè dell’obbligo internazionale di concedere le esenzioni dalla giurisdizione civile e penale agli agenti diplomatici, automaticamente l’ordinamento interno italiano si conformerebbe alla nuova disposizione.

TOSATO è d’accordo con l’onorevole Perassi.

Ritiene che il termine «diritto internazionale» sia più esatto che non quello «diritto delle genti» e che vi sia il concetto di adattamento automatico nelle parole «si conforma». Soltanto, per maggiore chiarezza, domanda se non sarebbe opportuno modificare le parole «si conforma» nelle altre «è conforme».

GRASSI crede che il termine «si conforma» dia maggiormente l’idea della continuità del dispositivo.

LEONE GIOVANNI è d’avviso che per affermare il concetto dell’ingresso automatico delle norme di diritto internazionale riconosciute nel nostro ordinamento giuridico, la formula più idonea sia quella adottata nel testo della prima Sottocommissione, sostituendo peraltro l’espressione «diritto delle genti» con quella «diritto internazionale».

PRESIDENTE chiede all’onorevole Perassi se accetta la modifica proposta dall’onorevole Tosato: «è conforme», anziché «si conforma».

PERASSI non accetta la modifica in quanto ritiene più rispondente l’espressione «si conforma», facendo rilevare che essa si riferisce all’ordinamento giuridico interno, non allo Stato, onde esprime in maniera indubbia il carattere automatico dell’adattamento.

LUSSU è favorevole alla proposta di tornare al testo proposto dalla Sottocommissione che ritiene esprima meglio il pensiero dell’onorevole Perassi che non l’emendamento dallo stesso presentato. Il diritto internazionale non è infatti una creazione estranea alla volontà, nella fattispecie, dello Stato italiano, perché, quand’anche ciò fosse, lo Stato italiano avrebbe un dovere interno di farlo suo. Osserva che i trattati internazionali possono influire sul diritto internazionale senza che siano la stessa cosa: così, nel 1815, il Congresso di Vienna; così, nel 1919-20, il Trattato di Versailles hanno influito sul diritto internazionale, pur essendo distinti da esso. Il diritto internazionale è una creazione alla quale prendono parte tutti gli Stati civili; ma se anche uno Stato civile non vi intervenisse, esso ha l’obbligo verso la civiltà di un adattamento interno, e non già di una applicazione automatica. È chiaro allora che l’emendamento dell’onorevole Perassi risponde sì al pensiero che ha espresso, ma ciò è chiarito già nell’articolo 3 proposto. Dichiara pertanto che voterà a favore dell’emendamento dell’onorevole Perassi, interpretandolo però nel senso che esso non abbia valore di automatismo.

PERASSI fa presente che può essere strano che il presentatore di un emendamento debba essere costretto a fare una dichiarazione di voto. Ma, dopo la dichiarazione dell’onorevole Lussu, dichiara a sua volta di votare l’emendamento presentato da lui e da altri colleghi, precisando che con esso si è precisamente inteso creare un dispositivo di adattamento automatico del diritto italiano al diritto internazionale generalmente riconosciuto.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento dell’onorevole Perassi, tendente a sostituire l’articolo 3 proposto con il seguente:

«L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute».

(È approvato).

Segue l’articolo 4:

«L’Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, le limitazioni di sovranità necessarie ad un’organizzazione internazionale che assicuri la pace e la giustizia per i popoli».

Avverte che su questo articolo l’onorevole Lussu ha presentato un emendamento, consistente nel sostituire all’espressione: «organizzazione internazionale» l’altra: «organizzazione europea ed internazionale».

LUSSU chiarisce lo spirito del suo emendamento, che è l’espressione del desiderio manifestato da alcune correnti politiche esistenti in Italia ed anche da parecchi colleghi dell’Assemblea costituente. Il desiderio è quello di non escludere la possibilità che, in un futuro prossimo o lontano, sia possibile dare un’organizzazione federalistica all’Europa. Per questa esigenza, appunto, sarebbe opportuno introdurre nella Costituzione questo riferimento ad una concezione federalistica limitata eventualmente anche all’ambito europeo.

MORO, mentre è d’accordo sulla sostanza della proposta Lussu, in quanto tutti desiderano un’organizzazione internazionale, limitata magari all’Europa, non crede che fare nell’articolo un richiamo espresso a questa concezione sia conveniente. Dicendo infatti. «internazionale», sono già comprese tutte le ipotesi, e quindi anche quella prospettata dall’onorevole Lussu.

LUSSU osserva che il testo dell’articolo trova rispondenza in quanto è detto, sia pure con formula differente, nel preambolo della Costituzione francese, ove si stabilisce che la Francia consente a tutte le limitazioni della sua sovranità che sono necessarie all’organizzazione della difesa della pace. Si sa però che in Francia le correnti federalistiche non esistono, mentre sono esistite e tuttora esistono in Italia. È spiegabile quindi che in Francia questo concetto non sia stato fissato nella Carta costituzionale, mentre in Italia, se non vi si facesse espresso riferimento, si darebbe l’impressione che tali aspirazioni non trovino alcun consenso.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento presentato dall’onorevole Lussu.

(Non è approvato).

Ricorda che, per quanto riguarda il successivo articolo 5 – approvato in una delle ultime sedute – era rimasta sospesa l’aggiunta di un ultimo comma relativo ai rapporti tra lo Stato e le Chiese diverse dalla cattolica. Era stato presentato in proposito un comma aggiuntivo dall’onorevole Terracini, la cui definitiva formulazione era stata deferita ad un piccolo Comitato.

Dà lettura del testo:

«Le altre confessioni religiose hanno il diritto di organizzarsi secondo proprî statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese, ove lo richieggano, con le loro rappresentanze».

Pone ai voti l’ultimo comma dell’articolo 5 così formulato.

(È approvato).

MORO solleva una eccezione circa la collocazione del comma. Se esso viene posto alla fine dell’articolo 5, sta bene; altrimenti occorrerà dire: «le confessioni», anziché: «le altre confessioni».

CEVOLOTTO è d’opinione che il comma approvato debba essere collocato al termine dell’articolo 5, altrimenti perderebbe tutto il suo significato.

TERRACINI dichiara anch’egli di essere convinto che il posto idoneo del comma sia alla fine dell’articolo 5.

MORO, dopo la dichiarazione dell’onorevole Terracini, ritira la sua eccezione.

DOSSETTI propone si faccia riserva del definitivo collocamento dell’articolo.

CEVOLOTTO è d’accordo. Propone di mantenere per ora l’attuale collocamento dell’articolo, salvo a spostarlo nel caso dovesse sorgere una questione di carattere generale.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE sottopone all’esame della Commissione l’articolo 6 così formulato:

«Per tutelare i principî sacri ed inviolabili di autonomia e dignità della persona, e di umanità e giustizia fra gli uomini, la Repubblica italiana garantisce ai singoli ed alle formazioni sociali ove si svolge la loro personalità i diritti di libertà e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale».

Avverte che l’onorevole Cevolotto ha presentato un emendamento tendente a sopprimere il presente articolo, nonché il successivo articolo 7, rinviando al preambolo le dichiarazioni in essi contenute.

CEVOLOTTO, senza rinunciare alla sua proposta, si propone di riprenderla, se del caso, quando sarà stata adottata una decisione sulla questione di premettere o meno un preambolo alla Costituzione.

PRESIDENTE comunica che, all’articolo 6, vi è un emendamento dell’onorevole Nobile che vorrebbe la soppressione delle parole: «autonomia e».

Ricorda all’onorevole Nobile che su questo articolo è intervenuto un accordo in sede di Comitato di redazione fra le varie correnti ivi rappresentate e che il significato dato alla parola «autonomia» è quello letterale, nel senso, cioè, che l’uomo può agire secondo coscienza; il che non toglie però che lo Stato possa imporre dei limiti.

NOBILE fa presente che nel proporre il suo emendamento è stato mosso dalla considerazione che la Costituzione deve essere intelligibile per tutti i cittadini di qualsiasi classe sociale e grado di cultura. Invece il testo dell’articolo in discussione lascia perplessi anche persone di cultura. Con l’occasione, richiama l’attenzione sull’ultima parte dell’articolo dove è detto: «e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale», rilevando come anche questa dizione sia poco chiara.

Comunque, non insiste nel suo emendamento.

DOSSETTI desidera avanzare una riserva circa quelle limitazioni che nel nuovo articolo sono state poste dal Comitato di redazione rispetto al testo originario formulato dalla Sottocommissione. Si dichiara d’accordo su tutte le modificazioni ad eccezione di quella finale, là dove è detto: «ove si svolge la loro personalità i diritti di libertà», in quanto la ritiene una modificazione più di sostanza che di forma. Le garanzie previste dal testo della Sottocommissione investivano tutti i diritti e non soltanto quelli strettamente qualificati secondo la classificazione tradizionale «diritti di libertà» così come risulterebbe dal nuovo testo.

Pur accettando la formulazione proposta dal Comitato di redazione – alla quale riconosce una maggiore giuridicità – è d’avviso che sarebbe opportuno tentare di trovare una formula che tenesse conto delle sue osservazioni.

PRESIDENTE esprime l’opinione che il Comitato di redazione abbia voluto maggiormente specificare e non limitare.

DOSSETTI osserva che se si è d’accordo sulla sostanza, la questione potrebbe senz’altro essere risolta in sede di ulteriore revisione degli articoli.

NOBILE, dovendosi procedere ad una revisione sia pure formale, prega di tener presenti anche le sue osservazioni.

PRESIDENTE dichiara che l’articolo 6 si intende approvato, salvo a procedere successivamente ad una revisione formale tenendo conto delle osservazioni degli onorevoli Dossetti e Nobile.

(Così rimane stabilito).

Avverte che l’articolo 7, sul quale non sono stati proposti emendamenti, si intende approvato.

Pone in discussione l’articolo 8:

«La libertà personale è inviolabile.

«Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione e perquisizione personale o del domicilio, di sequestro e controllo della corrispondenza, né qualsiasi altra restrizione della libertà, se non per atto dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

«In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, la polizia può prendere misure provvisorie di sicurezza, che devono essere comunicate entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria; e se questa non le convalida nei termini di legge, sono revocate e restano prive di ogni effetto.

«È punita ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».

Informa che su questo articolo l’onorevole Perassi aveva proposto il seguente emendamento:

Nel secondo comma, sopprimere le parole: «di sequestro o controllo della corrispondenza».

Inserire, come articolo separato (8-bis) l’articolo approvato in merito dalla prima Sottocommissione:

«La libertà e la segretezza di comunicazione e di corrispondenza in qualsiasi forma sono garantite.

«Può derogarsi a questa disposizione solo per motivata decisione dell’autorità giudiziaria.

«La legge può stabilire limitazioni ed istituire censure per il tempo di guerra.

«La divulgazione di notizie per tal modo conosciute è vietata».

Con tale emendamento, l’onorevole Perassi tendeva a dividere ancora una volta i tre tipi di inviolabilità: della persona, del domicilio, della corrispondenza. Ha fatto osservare peraltro al proponente che l’unificazione ha il vantaggio di considerare un istituto fondamentale, che è una novità per la Costituzione, per cui la polizia non potrà prendere nessun provvedimento, ad esempio, di sequestro di corrispondenza senza darne notizia all’autorità giudiziaria che esercita un sindacato.

Poiché però nel testo proposto dall’onorevole Perassi vi era il principio che l’atto dell’autorità giudiziaria deve essere motivato, ritiene si possa in questo senso modificare il secondo comma dell’articolo 8, dicendosi nell’inciso: «se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria».

L’emendamento Perassi considerava anche il caso di guerra, ma è evidente che in tal caso verranno modificate tanto le norme sulla corrispondenza, quanto quelle sull’arresto e sulle perquisizioni. Quindi è inutile parlarne in un testo costituzionale.

L’onorevole Perassi, accettando il suo punto di vista, ha limitato il suo emendamento alla modifica al secondo comma relativo alla specificazione della motivazione per l’atto dell’autorità giudiziaria.

GIUA ritiene che il terzo comma dell’articolo 8 sia confuso ed inutile, e fa osservare che, in pratica, le cose si svolgono ben diversamente. Difatti, ognuno sa quello che avviene in materia di corrispondenza, e tutti coloro che hanno subito processi in periodo fascista sanno che la corrispondenza era controllata, ma che regolarmente i destinatari ricevevano le lettere che erano state loro spedite, beninteso dopo che la polizia ne aveva dedotte le notizie che le interessavano.

Quindi in questo articolo – a suo avviso – si dà prova di una grande ingenuità, perché quando si dà la possibilità alla polizia di aprire la corrispondenza privata, gli organi di pubblica sicurezza non hanno più alcun interesse a trasmetterla alla Magistratura.

Occorre quindi decidere: o stabilire che la polizia non può violare il segreto epistolare, oppure dire che la Magistratura sarà garante per il cittadino italiano di questa violazione della corrispondenza privata.

Propone di eliminare il terzo comma dell’articolo.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Giua che, non essendo stato presentato un emendamento scritto, la sua proposta non può essere presa in considerazione.

Fa presente comunque che, per i casi di assoluta urgenza, non si può negare alla polizia la facoltà di adottare misure provvisorie di sicurezza, con la cautela di una comunicazione all’autorità giudiziaria. Stabilire che la polizia non possa arrestare o perquisire il domicilio o aprire eventualmente una corrispondenza per poter scoprire un delitto, sarebbe una ingenuità che non può essere affermata. Ciò che importa è che di questi atti sia data immediatamente notizia all’autorità giudiziaria.

GIUA osserva che quanto ha detto il Presidente è affermato nel secondo comma, mentre il terzo gli sembra inutile.

PRESIDENTE è d’avviso che anche il terzo rappresenti una conquista, perché in sostanza asserisce che la polizia non può compiere un atto senza il controllo dell’autorità giudiziaria.

GIUA insiste nella sua osservazione, per quanto si riferisce alla corrispondenza privata, rilevando che non si può dare alla polizia la possibilità di aprire corrispondenza privata inviandola alle autorità giudiziarie, in considerazione anche del fatto che potrebbe trattarsi di desumere dalla corrispondenza notizie politiche.

CONTI si associa alle considerazioni fatte dall’onorevole Giua. È convinto che la polizia continuerà in pratica a fare quello che ha sempre fatto, violando tutte le corrispondenze che crederà; ma ritiene che sia inopportuno ammettere il principio. La violazione della corrispondenza è un delitto che non può essere ammesso e sancito dall’Assemblea costituente.

EINAUDI si associa anch’egli alle preoccupazioni dell’onorevole Giua, e fa presente l’opportunità di aggiungere nell’articolo un riferimento alle intercettazioni telefoniche.

FUSCHINI si associa, sottolineando la necessità che l’articolo si riferisca tanto alla corrispondenza, quanto alle comunicazioni in genere.

PRESIDENTE constata che l’avviso di molti Commissari è per il ritorno alla proposta Perassi di compilare un nuovo articolo. Propone di accogliere tale proposta dando mandato per la compilazione dell’articolo stesso al proponente insieme con i componenti del Comitato di redazione.

(La Commissione concorda).

LACONI richiama l’attenzione sulla necessità di dire: «di sequestro o controllo» anziché: «di sequestro e controllo».

PRESIDENTE avverte trattarsi di un errore di stampa che è stato già corretto.

DOSSETTI sottolinea la necessità di fissare un principio che serva di norma direttiva al Comitato di redazione.

FANFANI è d’avviso che la Commissione debba decidere subito se è il caso di accettare o meno il testo formulato dalla prima Sottocommissione.

UBERTI osserva che con la proposta della Sottocommissione si stabilisce l’assoluta segretezza della corrispondenza, e non si può ammettere che la polizia, in qualsiasi momento, possa intervenire ad intercettare la corrispondenza. Si tratta di difendere una garanzia sostanziale, altrimenti la Costituzione verrebbe meno ad una delle esigenze essenziali per cui viene creata.

MANCINI ricorda l’esigenza di tutelare anche la segretezza delle comunicazioni telefoniche.

PRESIDENTE, constata che la Commissione concorda dal principio e propone che la formulazione sia demandata al Comitato di redazione.

(Così rimane stabilito).

Comunica che l’articolo 9, sul quale non vi sono emendamenti, si intende approvato.

Segue l’articolo 10:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero cui vengono negati nel proprio Paese i diritti di libertà garantiti dall’Italia, ha diritto di asilo nel territorio italiano».

Avverte che su questo articolo l’onorevole Perassi ha presentato un emendamento, proponendo di sostituire le parole: «diritti fondamentali di libertà» oppure: «i diritti di libertà sanciti dalla presente Costituzione», alle altre :«i diritti di libertà garantiti dall’Italia».

LUCIFERO preferirebbe la formula: «i diritti di libertà garantiti dalla presente Costituzione», che ritiene tecnicamente più esatta e che è del resto la dizione classica che si ritrova in tutte le Costituzioni moderne.

BOZZI propone: «i diritti di libertà sanciti dalla Costituzione», togliendo: «presente».

TERRACINI sottolinea la necessità di esaminare attentamente, nei suoi risultati concreti e possibili, la disposizione dell’articolo.

Dirà subito che egli è per il più largo diritto di asilo. Pensa, tuttavia, che questa latitudine non debba essere assolutamente senza confini. Si domanda chi possa vedersi negati nel proprio Paese i diritti di libertà garantiti dalla nostra Costituzione, e risponde che oggi non si tratta soltanto di uomini che abbiano combattuto per questi diritti di libertà. È nota la situazione dell’Italia, e si sa quanto numerose siano le persone le quali, avendo combattuto nei loro Paesi contro i diritti di libertà democratica, e non trovandosi perciò a loro agio in quei Paesi dove questi diritti hanno finito per trionfare, hanno cercato invece asilo in Italia ove, legalmente od illegalmente, sono tollerate.

Esprime il timore che con una formula della Costituzione così ampia ed indeterminata, praticamente ci si ponga nella condizione di essere obbligati ad accogliere in Italia tutti quegli elementi i quali, in altri Paesi, avendo combattuto contro la democrazia, vengano poi in Italia a cercare protezione.

Richiama l’attenzione sulla formula contenuta nel preambolo della Costituzione della Repubblica francese. La Francia è sempre stata terra di asilo, e di questo anche innumerevoli italiani, che hanno combattuto contro il fascismo, hanno goduto. Non c’è da preoccuparsi quindi che in quel Paese si debba restringere questo diritto. Ora, la formula adottata nel preambolo della Costituzione francese dice: «Ogni uomo il quale è perseguitato a causa della sua azione a favore della libertà ha diritto di asilo sul territorio della Repubblica». Questa dizione – che egli adotterebbe – autorizza eventualmente a quelle discriminazioni che ritiene saranno necessarie proprio per garantire agli italiani quelle libertà democratiche che altri possano venire giustamente od ingiustamente ad invocare da noi.

UBERTI teme che una discriminazione in materia di libertà non sia possibile. La libertà non si può difendere che integralmente e senza alcuna limitazione. Il giorno in cui il potere politico potesse in qualsiasi modo discriminare, si aprirebbe la tomba alla libertà.

TERRACINI osserva che l’onorevole Uberti ha sbagliato l’oggetto della discussione: qui si parla non della libertà, ma del diritto di asilo.

CAPPI chiede all’onorevole Terracini se la sua preoccupazione non potrebbe svanire di fronte a questa considerazione: l’Italia può concedere il diritto di asilo a tutti, ma questo non significa che sia concessa allo straniero piena libertà di esplicare attività politiche nel nostro Paese. Nulla vieta che si adotti, come in Svizzera, una norma per cui lo straniero, e particolarmente quello a cui è stato dato un asilo politico, non possa esplicare attività politiche nel Paese che lo ospita.

LUSSU osserva che chi è stato in esilio è particolarmente sensibile alla questione ed è d’avviso che la nostra Costituzione non possa contenere un articolo più restrittivo di quello contenuto nella Costituzione francese. Questa dice che qualunque uomo perseguitato a causa della sua azione a favore della libertà ha diritto di asilo sul territorio della Repubblica. Lo stesso pensiero è nell’articolo 10 proposto. Ritiene che la nostra Costituzione debba adottare un ampio criterio al riguardo, rimanendo naturalmente, per tutti, l’obbligo di rispettare la legge del Paese che concede l’asilo.

È pertanto favorevole al testo Perassi.

LACONI, in aggiunta a quanto ha esposto l’onorevole Terracini, nota che nella nostra Costituzione sarà negata una libertà che nella Costituzione di altri Paesi, per diverse ragioni storiche, è riconosciuta: la libertà cioè per i fascisti e per il fascismo. In altri Paesi, per le diverse situazioni storiche in cui sono venuti a trovarsi, questa libertà, nei confronti del fascismo, o di altri movimenti politici, non è e non sarà negata. Ed egli si domanda come si possa non tener conto di particolari esigenze storiche che, come hanno costretto l’Italia ad introdurre nella sua Costituzione una misura del genere, possano costringere altri Paesi ad introdurre altre misure di un genere analogo. Ritiene impossibile non prospettare l’eventualità che, ad un determinato momento, l’Italia, vincolata da un articolo della sua Costituzione, debba costituire asilo per determinati gruppi politici i quali rappresentano un pericolo per il loro Paese. Ciò rende indispensabile l’introduzione nella Costituzione di una modificazione, che la stessa Francia – che non ha avuto l’esperienza fascista – ha introdotto, che renda positiva la valutatone dei casi particolari che possono essere oggetto di esame.

Non si può riconoscere a chiunque, per qualsiasi atteggiamento politico, il diritto di asilo indiscriminato nel nostro Paese. Si può riconoscerlo a coloro che si sono battuti per la libertà, a coloro che hanno partecipato alla lotta contro istituzioni reazionarie che legavano o vincolavano la libertà, contro le dittature, ma non è opportuno introdurre nella Costituzione una formula che sia assolutamente indiscriminata.

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Terracini ha così formulato la sua proposta di emendamento della seconda proposizione dell’articolo: «Lo straniero perseguitato a causa della sua azione in favore della libertà, ha diritto di asilo nel territorio italiano».

Comunica inoltre che l’onorevole Perassi ha proposto il seguente comma aggiuntivo: «Non è ammessa l’estradizione per reati politici».

LUSSU osserva che questo comma aggiuntivo è pleonastico, in quanto è una conseguenza del diritto di asilo.

TERRACINI sottopone alla Commissione un esempio pratico. Nella eventualità di un crollo del regime franchista, se si stabilisse in Italia un diritto di asilo indiscriminato, vi sarebbero migliaia di spagnoli compromessi in qualche modo col franchismo che abbandonerebbero la Spagna inondando il nostro Paese. Ritiene che, per fronteggiare tale eventualità, bisognerebbe adottare misure precauzionali: e poiché non vorrebbe fossero misure di polizia, pensa che sarebbe opportuno inserire nella Costituzione una norma generale limitativa.

LUSSU osserva che l’esempio dell’onorevole Terracini non è sufficiente a chiarire il problema, poiché è certo che se il regime franchista cade, non verrà negato nella Spagna il diritto di libertà; altrimenti sarebbe inutile che cadesse il regime franchista.

UBERTI ritiene pericolose le esemplificazioni. L’onorevole Terracini ha fatto l’esempio della Spagna, egli potrebbe fare quello della Jugoslavia. Cittadini jugoslavi fuggono dal loro Paese; ed allora bisognerebbe discutere se v’è o no la libertà in Jugoslavia. Si domanda come lo Stato italiano potrebbe dichiarare se esiste o meno la libertà in un determinato Paese.

GRASSI pensa che la libertà o si concepisce per tutti, o non ha alcun senso ed alcuna ragione politica. Come ha giustamente osservato l’onorevole Lussu, se il regime franchista in Ispagna crolla, dovrà stabilirsi in quel Paese un regime di libertà e non un sistema totalitario in senso diverso. Sostiene l’impossibilità e l’inopportunità di addentrarsi in una discussione sui sistemi totalitari di destra o di sinistra: occorre dire nella Costituzione che il diritto d’asilo vige per tutti i perseguitati politici nel loro Paese, o non parlarne affatto. Se si vuole però fare un passo avanti nella Costituzione e mostrarsi generosi, si deve ammettere che tutti gli uomini, di qualunque credo politico, perseguitati nel loro Paese, possano trovare asilo nel nostro Paese, altrimenti è meglio non parlare affatto della questione perché si verrebbe a vulnerare il principio fondamentale della libertà, compiendo un atto anti-giuridico ed anti-politico.

LA PIRA aderisce alle osservazioni dell’onorevole Grassi, anche per una ragione umana. Ricorda l’origine del diritto d’asilo: come anticamente tutte le persone, qualunque fosse il loro colore, appena giungevano in quel tale recinto della chiesa, avevano la vita garantita, così anche ora vi deve essere questo senso di libertà per ogni creatura. Il concetto d’asilo è legato a questo concetto del valore sacro degli uomini.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento Perassi, che riguarda una semplice chiarificazione, nella seguente formulazione definitiva: sostituire le parole: «i diritti di libertà sanciti dalla Costituzione italiana», alle altre: «i diritti di libertà garantiti dall’Italia».

(È approvato).

Pone ai voti l’emendamento Terracini, tendente a sostituire l’ultima proposizione dell’articolo con la seguente:

«Lo straniero, perseguitato a causa della sua azione in favore della libertà, ha diritto di asilo nel territorio italiano».

(Non è approvato).

Vi è infine il comma aggiuntivo proposto dall’onorevole Perassi: «Non è ammessa l’estradizione per reati politici». Avverte che alcuni commissari suggeriscono, e l’onorevole Perassi accetta, di completarlo così: «Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici». Ricorda che l’onorevole Lussu ha osservato che nella concessione del diritto di asilo è compresa anche l’esclusione dell’estradizione. La formula – egli ha detto – potrebbe essere pleonastica e toglierebbe qualche cosa all’ampiezza del diritto d’asilo, con tutto il suo alone giuridico, sentimentale e politico. Comunque, pone in discussione l’emendamento aggiuntivo Perassi così formulato: «Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

LACONI domanda che cosa si intenda per reati politici, osservando che non è chiara la dizione in quanto potrebbe far pensare anche a reati commessi in Italia.

PERASSI dà ragione del suo emendamento, ricordando come nel Codice penale Zanardelli questo principio fosse solennemente affermato, mentre è scomparso nel Codice attuale, dovuto al regime fascista. Oggi, dunque, secondo il Codice, l’estradizione per reati politici sarebbe ammessa. Questa affermazione, fortunatamente, non ha trovato riscontro nella prassi, in quanto tutti i trattati internazionali, stipulati dopo l’entrata in vigore del Codice fascista, hanno espressamente incluso nelle loro disposizioni il principio che l’estradizione per reati politici non è consentita.

Per rispondere ad una domanda fatta dall’onorevole Laconi, ricorda che l’estradizione ha luogo soltanto nell’ipotesi di un reato commesso o nello Stato che richiede l’estradizione o in un terzo Stato; non mai in Italia, perché in questa ipotesi è lo Stato italiano che punisce il fatto secondo la sua legge penale. Su questo non vi è dubbio.

Dichiara di aver fatto la sua proposta non sapendo se in sede di prima Sottocommissione la questione sia stata sollevata o meno.

CORSANEGO osserva che la questione non fu nella prima Sottocommissione sollevata, perché il principio è così universalmente ammesso che non si ritenne necessario occuparsene.

CAPPI si associa alle ragioni esposte dall’onorevole Perassi. Fa presente che il diritto d’asilo, oltre a riguardare stranieri venuti in Italia perché perseguitati per ragioni politiche, può comprendere anche stranieri da anni trasferitisi nel nostro Paese, e per i quali potrebbe essere richiesta l’estradizione per un reato politico anche a distanza di anni.

PRESIDENTE osserva che con l’aggiunta delle parole «dello straniero», non si contempla il caso dell’italiano che abbia commesso reati politici.

CORSANEGO fa presente che l’estradizione del cittadino è proibita dal Codice anche nel caso di reati comuni.

PERASSI ricorda che nel vecchio Codice Zanardelli il principio era stabilito in maniera assoluta: «non è ammessa l’estradizione del cittadino». Nel Codice attuale questo principio è stato attenuato, disponendosi che: «Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali». Osserva che, in massima, i trattati internazionali escludono l’estradizione dei rispettivi cittadini; e anche quelli conclusi dopo l’entrata in vigore del Codice nuovo contengono questo principio. Non è però esclusa in maniera assoluta la possibilità che si faccia qualche trattato di estradizione con Paesi esteri nei quali questo principio non vige. Recentemente, anzi, un’eccezione a questo principio è stata introdotta nei confronti degli Stati Uniti, in quanto si è chiarito un accordo internazionale, già esistente da tempo e che di questa questione non parlava, nel senso di ammettere reciprocamente l’estradizione dei cittadini. Questo si ricollega a tutto il sistema penale anglo-americano, che è diverso dal nostro.

Comunque, è una questione che merita di essere posta, qualunque ne sia la soluzione, tanto più se essa non è stata ancora sollevata in sede di prima Sottocommissione. Si tratta, pertanto, di due problemi diversi: uno riguarda il divieto dell’estradizione per reati politici, l’altro l’affermazione o meno del principio dell’esclusione dell’estradizione, in qualunque caso, per il cittadino.

MORO chiarisce che il secondo problema, quello cioè dell’estradizione del cittadino, è stato sollevato in sede di prima Sottocommissione e risolto in senso negativo per una ragione di opportunità, in quanto all’atto stesso in cui esso veniva sancito, si sarebbero dovuti consegnare i criminali di guerra; e quindi il principio sarebbe stato infirmato nello stesso momento in cui veniva formulato.

PRESIDENTE osserva che la questione potrà essere sollevata in altra sede. Pone ai voti il comma aggiuntivo dell’onorevole Perassi:

«Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

EINAUDI e NOBILE dichiarano che voteranno a favore dell’emendamento.

LUSSU sottolinea la necessità di un riferimento alla attività per cui è stato concesso il diritto di asilo.

LUCIFERO dichiara di astenersi dalla votazione. È d’accordo sulla necessità di concedere il diritto d’asilo per colui che sia perseguitato, per colui a cui sia negata la libertà. Ma di fronte alla questione del reato politico ci si trova in una posizione dottrinale ampiamente discussa. È difficile definire dove il reato diventa essenzialmente politico o dove resta essenzialmente reato.

Pensa comunque che si tratti più di una materia riguardante i Codici che non la Costituzione.

(L’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Perassi è approvato).

PRESIDENTE comunica che gli articoli da 11 a 14 non sono stati oggetto di emendamenti ed osservazioni e pertanto si intendono approvati.

(La Commissione concorda).

La seduta termina alle 12.40.

Erano presenti: Amadei, Ambrosini, Basso, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Canevari, Cappi, Cevolotto, Codacci Pisanelli, Conti, Corsanego, De Michele, De Vita, Di Vittorio, Dominedò, Dossetti, Einaudi, Fabbri, Fanfani, Farini, Federici Maria, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Giua, Grassi, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, La Pira, La Rocca, Leone Giovanni, Lombardo, Lucifero, Lussu, Mancini, Mannironi, Marinaro, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Pesenti, Perassi, Piccioni, Repelli, Ravagnan, Rossi, Ruini, Targetti, Terracini, Togliatti, Togni, Tosato, Tupini, Uberti, Vanoni.

Erano assenti: Bordon, Calamandrei, Cannizzo, Caristia, Castiglia, Colitto, Di Giovanni, Lami Starnuti, Marchesi, Merlin Angelina, Molè, Paratore, Porzio, Taviani, Zuccarini.

Assente giustificato: Ghidini.