Come nasce la Costituzione

VENERDÌ 13 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

65.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 13 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL DEPUTATO PERASSI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Mortati – Perassi – Laconi – Mannironi – Bozzi – Lussu – Fabbri – Uberti – Codacci Pisanelli – Bulloni – Lami Starnuti – Ravagnan.

La seduta comincia alle 11.10.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE riapre la discussione sull’articolo 19, ricordando che si è già deciso di esaminare partitamente il controllo sugli atti delle Regioni e quello sugli atti dei Comuni e degli altri enti locali. Per quanto concerne gli atti delle Regioni, si è giunti alla conclusione di ammettere un controllo di legittimità, e non un controllo di merito, e che l’organo incaricato di esercitarlo fosse esterno alle Regioni stesse. Si è quindi posta la questione del referendum, e l’onorevole Mortati ha fatto presente il suo punto di vista che l’istituto dovesse avere una configurazione propria ed essere disciplinato in un’altra parte del progetto, e precisamente là dove si tratta della formazione delle leggi regionali.

Ricorda che nel capo: «Organi della Regione», all’articolo 11, si è introdotta la seguente norma, partendo dal presupposto che il popolo, attraverso il referendum, può considerarsi organo deliberante: «I casi e le modalità di applicazione del referendum popolare saranno regolati dallo Statuto regionale». Nell’articolo 19, invece, il referendum viene previsto come mezzo per il controllo di merito su determinate deliberazioni delle Regioni.

MORTATI fa presente che, a stretto rigore, nell’articolo 19 il referendum non è considerato come un mezzo di controllo, bensì come una condizione che fa venir meno il controllo di merito.

Comunque, l’importante nel momento attuale è decidere se si vuole condizionare l’eseguibilità di certe deliberazioni delle Regioni al previo consenso del corpo elettorale e se si preferisce parlarne nella Costituzione o limitarsi, in questa, ad un rinvio agli Statuti regionali.

PERASSI esprime l’avviso che, con la formula ricordata dal Presidente, il problema sia già risolto nel senso che competa agli Statuti regionali la determinazione degli atti per la cui formazione si deve esigere il concorso integrativo del voto popolare (a titolo consultivo o a titolo obbligatorio). Nell’articolo in esame si potrebbe quindi richiamare la deliberazione già presa.

LACONI sostiene che la disciplina del referendum, sia che lo si concepisca come strumento di controllo, che come mezzo di consultazione, non può essere rimessa agli Statuti, che possono essere diversi da Regione a Regione. Trattandosi di un istituto democratico, deve essere regolato nella Costituzione o in una legge costituzionale con norme identiche per tutta la Nazione. A suo parere, la sede più appropriata per parlare del referendum sarebbe appunto l’articolo 19, concernente il controllo sugli atti delle Regioni e degli enti locali, in modo da configurarlo come una forma di controllo più estesa, in quanto egli non ammette che il corpo elettorale possa venire considerato come un organo legiferante (articolo 11).

Riassume pertanto il suo pensiero in merito al referendum popolare, nei seguenti punti: 1°) escludere il rinvio agli Statuti regionali; 2°) far riferimento invece ad una legge di carattere costituzionale, ovvero – se si preferisce affermare il principio nella Carta costituzionale – trattarne nell’articolo 19.

MANNIRONI propone la seguente formula: «Quando lo richiedano la maggioranza assoluta della Assemblea regionale o un ventesimo degli elettori, la decisione su determinati progetti può essere rimessa al referendum popolare».

MORTATI chiede all’onorevole Mannironi se intende riferirsi ad atti legislativi o amministrativi.

MANNIRONI si dichiara disposto a modificare il suo testo nel senso di precisare «atti d’amministrazione».

BOZZI osserva che l’Assemblea regionale non è un organo di carattere amministrativo.

PRESIDENTE ritiene che il ricorso al referendum sia da ammettere, in determinate circostanze, su qualsiasi deliberazione della Assemblea regionale.

LUSSU si duole che si deliberi su una questione così importante in assenza del Relatore.

Venendo a parlare del referendum, dichiara di consentire che si parli di questa manifestazione di volontà popolare come di un controllo, per quanto effettivamente non lo sia, ma di ritenere inconcepibile che possa applicarsi anche nei riguardi dell’attività legislativa delle Regioni. Ciò svuoterebbe di ogni contenuto l’articolo 12.

Pertanto crede che la proposta dell’onorevole Mannironi debba riferirsi esclusivamente agli atti amministrativi che incidano in modo grave sul bilancio regionale. Teme piuttosto che, essendosi adottato il criterio del controllo da parte di un organo al di fuori della Regione, possa verificarsi un contrasto tra la volontà espressa dal popolo mediante il referendum e quella espressa dall’organo di controllo esterno. Invita quindi i colleghi ad esaminare bene tutti gli aspetti del problema, prima di approvare la coesistenza delle due forme di controllo.

MANNIRONI non condivide le preoccupazioni dell’onorevole Lussu in quanto le due forme di controllo concernono, l’una la legittimità dell’atto e l’altra il merito.

Fa notare che l’istituto del referendum è usato in Nazioni democratiche, come la Svizzera, e potrà essere molto utile anche nelle nostre Regioni, poiché, creandosi un nuovo organismo, la classe dirigente sarà sprovvista di esperienza, e nelle incertezze e nei contrasti non v’è miglior giudice del popolo, consultato attraverso al referendum.

FABBRI conviene, in via di massima, con i concetti espressi dall’onorevole Perassi, che sia, cioè, sufficiente la formula introdotta nell’articolo 11; ma dissente da lui quando concepisce gli Statuti regionali come ordinamenti deliberati da ogni singola Regione. A suo avviso, l’attività delle Regioni in questo campo dovrebbe essere limitata alla integrazione della legge comunale e regionale emanata dallo Stato.

Soprattutto non gli sembra che sia opportuno parlare del referendum nell’articolo in esame per un’altra considerazione: esso non può ritenersi senz’altro sostitutivo del controllo e non può avere un carattere risolutivo, giacché gli atti sottoposti a referendum in quanto possono comportare una spesa eccessiva o violare una legge dello Stato potrebbero a loro volta trovare una remora in sede di controllo di legittimità.

PRESIDENTE aderisce sostanzialmente alla proposta Mannironi, della quale, tuttavia, non approva il criterio di richiedere per il ricorso al referendum la maggioranza assoluta dell’Assemblea regionale. Posto che, se mai, il referendum è una garanzia della minoranza – sempre che sia notevole – propone di diminuire il quorum ai due quinti dell’Assemblea regionale.

Nota quindi che con l’espressione «può essere rimessa» resta condizionata l’accettazione del referendum che, invece, una volta richiesto da quella determinata percentuale di Deputati, non può non essere accordato.

Concludendo, informa che, qualora venisse accolto il suo punto di vista, il comma dovrebbe essere così formulato: «Quando lo richiedano i due quinti dell’Assemblea regionale o un ventesimo degli elettori, la decisione, sui determinati atti amministrativi è rimessa al referendum popolare».

MANNIRONT, nel dichiarare che non ha difficoltà ad accettare le modifiche proposte dal Presidente, spiega che ha suggerito la richiesta della maggioranza assoluta dell’Assemblea per impedire che alla consultazione popolare si ricorra con estrema facilità.

PERASSI domanda all’onorevole Mannironi se nella sua proposta il referendum ha un valore decisivo o consultivo.

MANNIRONI risponde che avrebbe valore decisivo.

UBERTI nota che, avendo la Sottocommissione modificata l’impostazione del progetto elaborato dal Comitato di redazione, forse questo accenno al referendum nell’articolo 19 non ha più ragione d’essere, e si delinea la necessità di redigere un apposito articolo per tale istituto. Certo è che il referendum corrisponde allo spirito della riforma dell’ordinamento regionale, in quanto mira a realizzare una democrazia diretta e a far partecipare più ampiamente il popolo alla vita amministrativa locale. Piuttosto è difficile stabilire in quali occasioni può indirsi il referendum (il Comitato ne aveva segnalata una soltanto) ed a questo proposito trova giusta l’idea dell’onorevole Perassi di lasciare che, secondo quanto già deliberato, i casi e le modalità di applicazione del referendum popolare siano regolati dagli Statuti regionali.

PRESIDENTE concorda nel ritenere che il referendum debba essere applicato soprattutto nella Regione, in quanto soltanto una larga prassi nell’ambito regionale e comunale potrà farne avvertire l’utilità in sede nazionale: l’applicazione più facile e quindi più frequente che può farsene negli ambienti ristretti fa sviluppare la tendenza a maneggiare questo strumento di intervento diretto del popolo. Comunque, l’affermazione che nell’ordinamento regionale debba usarsi il referendum è contenuta nel comma già votato.

PERASSI osserva che si potrà calcare maggiormente l’affermazione; ma insiste nel ritenere che sia meglio lasciare agli Statuti regionali la determinazione dei casi in cui il referendum sarà applicato e del suo valore (obbligatorio o consultivo).

Ciò non toglie che personalmente sia perfettamente d’accordo nel ritenere essenziale nell’ordinamento regionale una larga applicazione del referendum.

MORTATI propone la formulazione seguente:

«Oltre che nei casi che saranno fissati dalla legge o dallo Statuto regionale, la Deputazione regionale potrà subordinare all’approvazione popolare l’esecuzione di determinate misure. Tale approvazione dovrà essere effettuata quando la richiedano i due quinti dei componenti l’Assemblea, oppure un decimo degli elettori della Regione. La richiesta di cui al secondo comma sospende l’esecuzione della misura».

PRESIDENTE crede che si potrebbe adottare la seguente dizione:

«Sugli atti della Assemblea regionale, quando abbiano carattere legislativo o comunque impegnino il bilancio annuo per più di un decimo delle entrate e per oltre cinque anni, ove sia richiesto da almeno due quinti dell’Assemblea o da un ventesimo degli elettori, dovrà procedersi a referendum popolare, sospensivo della esecutività dell’atto».

Pone in evidenza che in questa sua formula si riprende l’elemento condizionativo del referendum consigliato dal Comitato, in quanto le proposte del Comitato stesso sono frutto di un esame approfondito e di calcoli che la Sottocommissione non ha certamente avuto agio di fare nella odierna breve discussione.

BOZZI crede che la Sottocommissione debba per il momento limitarsi ad esaminare l’opportunità di utilizzare l’istituto del referendum come strumento di controllo amministrativo, senza trattenersi sulle sue applicazioni nel campo legislativo, di cui si è già parlato.

Osserva quindi che non può escludersi che l’Assemblea regionale emani degli atti che nella sostanza siano amministrativi, ma questo sarebbe un fatto eccezionale, perché di regola gli atti amministrativi della Regione saranno emanati dalla Deputazione regionale.

Accede quindi sostanzialmente alla proposta dell’onorevole Mortati, la quale consta di tre parti: nella prima si prevede che la legge o lo Statuto regionale possano stabilire dei casi in cui si debba ricorrere al referendum come mezzo di controllo preventivo (prima che l’atto spieghi la sua efficacia); nella seconda parte si aggiunge che il referendum può essere richiesto dalla Deputazione regionale, cioè dal potere esecutivo della Regione; nella terza si precisa che il potere di indire il referendum può competere anche all’Assemblea regionale e alla popolazione.

Pensa che quest’ultima ipotesi sia diversa dalle precedenti, in quanto la consultazione popolare non avrebbe più un carattere preventivo, perché evidentemente l’atto amministrativo emanato avrebbe già spiegato la sua efficacia; basti pensare che per raccogliere le firme di un ventesimo degli elettori occorrerà un tempo considerevole. Si avrebbe dunque una forma di controllo successivo, a parte il fatto che la richiesta di referendum avrebbe efficacia sospensiva sull’atto.

Riepilogando, pone in evidenza che nella proposta dell’onorevole Mortati si prevedono: A) una forma di controllo preventivo: 1°) nei casi stabiliti dalla legge; 2°) nei casi stabiliti dallo Statuto; 3°) quando lo richieda la Deputazione regionale; B) una forma di controllo successivo, con effetto sospensivo della esecutività degli atti: 1°) in seguito a richiesta di un determinato quorum dell’organo legislativo della Regione; 2°) in seguito a richiesta di una determinata frazione della popolazione.

PRESIDENTE, premesso che la Sottocommissione ha già manifestato l’avviso che il referendum sia utile nella vita della Regione, avverte che ora dovrebbe pronunziarsi su una questione più precisa: se, cioè, si vuole ammettere il referendum come mezzo di controllo sugli atti amministrativi della Regione.

Aggiunge che personalmente ritiene che gli atti amministrativi della Regione non promanano esclusivamente dalla Deputazione regionale, ma anche dall’Assemblea regionale, per quanto formalmente possano assumere la veste di leggi.

MORTATI, in seguito alle osservazioni del Presidente, propone di modificare la formula che personalmente ha proposto, sostituendo alle parole: «la Deputazione regionale», le altre: «l’autorità competente ad emettere il provvedimento».

CODACCI PISANELLI sostiene che anche per gli atti amministrativi emanati dall’Assemblea regionale debbono valere i criteri fin qui seguiti per gli atti sostanzialmente amministrativi emanati dall’Assemblea nazionale, che tuttavia, nonostante il loro contenuto, non si possono considerare come atti amministrativi, perché quella che prevale è la forma.

In sostanza è il fondamentale principio della divisione dei poteri che si ripercuote sull’ordinamento regionale, facendo sì che ciascuna delle funzioni sovrane venga esercitata esclusivamente da un determinato organismo.

Perciò, quando si parla del referendum come strumento di controllo sugli atti amministrativi, ci si deve riferire soltanto a quegli atti amministrativi regionali che siano tali anche nella forma.

FABBRI, rilevate le difficoltà in cui si dibatte la Sottocommissione nell’attuale discussione, per il fatto che spesso gli atti amministrativi si traducono in leggi formali e si è già studiato tutto un sistema di controllo dell’attività legislativa delle Regioni (articolo 12), propone di disciplinare il referendum popolare in un titolo a sé stante con una formulazione generica, la quale si adatti sia al campo legislativo che a quello amministrativo, e ne consenta l’applicazione tanto alle Regioni che ai Comuni.

Così il referendum, nel campo legislativo costituirà uno degli elementi coadiutori per la formazione della legge, e non escluderà il successivo controllo, previsto dall’articolo 12, nell’eventualità che la manifestazione di volontà popolare contrasti con l’interesse nazionale o con le norme costituzionali; in sede di atti amministrativi, in quanto produce effetto sospensivo, servirà a conferire una maggiore serietà agli atti stessi senza sottrarli ad un eventuale controllo di legittimità o di merito.

MORTATI concorda con l’onorevole Fabbri e riafferma che non bisogna confondere il controllo col referendum, perché costituiscono istituti e momenti diversi.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di dedicare un titolo speciale al referendum popolare.

(È approvata).

Ricorda che, circa l’organo cui compete il controllo di legittimità sugli atti delle Regioni, si è deciso soltanto che debba essere esterno alla Regione, cioè statale. Resta quindi da vedere se debba essere un organo di carattere burocratico, o di carattere elettivo, ovvero anche di carattere misto.

FABBRI ricorda una sua proposta di articolo 19, che affidava il controllo sugli atti della Regione al Commissario del Governo unitamente al Consiglio di Stato.

LACONI osserva che, se si pensa di creare un organo speciale per il controllo sugli atti amministrativi delle Regioni, il momento è opportuno per discuterne; ma, se si pensa di demandare tale controllo agli organi (Corte dei conti e Consiglio di Stato) che dovranno controllare tutta l’attività amministrativa dello Stato, occorre rinviare la discussione a quando se ne sarà decisa la struttura.

PRESIDENTE trova fondata l’osservazione dell’onorevole Laconi, ma fa rilevare che essa cade di fronte alla sua proposta di votare soltanto sui criteri di composizione dell’organo di controllo.

Pone quindi ai voti il principio che il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione venga esercitato da un organo di carattere burocratico, in altri termini, da un organo governativo, formato da funzionari di carriera.

(Non è approvato).

MORTATI, prima di votare sulla composizione a base esclusivamente elettiva dell’organo di controllo, crede necessario un chiarimento: se, cioè, per organo elettivo si intenda un organo politico. Non riterrebbe, infatti, opportuno creare un organismo di controllo con criteri di partito.

PRESIDENTE risponde che, una volta escluso il carattere burocratico, l’organo di controllo necessariamente deve essere elettivo, salvo a vedere (eventualmente rinviando, per questo, alla legge) come sarà eletto e da chi.

FABBRI, trattandosi di un organo i cui componenti dovrebbero avere una specifica competenza, per giudicare sulla legittimità degli atti della Regione, non vede come potrebbe essere composto su base puramente elettiva.

Aggiunge che la votazione precedente ha avuto il significato di escludere un controllo esercitato da funzionari di carriera; ma questo non vuol dire che si escluda un controllo esercitato da organi giurisdizionali comunque costituiti, come potrebbero esserlo una sezione speciale della Corte dei conti o del Consiglio di Stato.

PRESIDENTE spiega che, parlando di funzionari di carriera, ha inteso riferirsi anche ai magistrati della Corte dei conti o del Consiglio di Stato, i quali hanno anch’essi tale qualifica. Comunque, qualora l’onorevole Fabbri ritenga che la Sottocommissione debba pronunciarsi anche in merito a quest’altro quesito – se, cioè, l’organo di controllo possa essere costituito di magistrati – non ha niente in contrario a porlo in votazione.

UBERTI premette che ha l’impressione che qualcuno dei Commissari pensi di trasferire nell’ambito regionale l’attuale Giunta provinciale amministrativa. Richiama quindi l’attenzione della Sottocommissione sopra un altro organo, indicato nell’articolo successivo del progetto, che potrebbe essere utilizzato agli effetti del controllo in esame: la Corte di giustizia amministrativa. Tale organo avrebbe, fra l’altro, il necessario carattere di indipendenza dal potere esecutivo della Regione.

FABBRI pone in evidenza che la Corte di giustizia amministrativa, secondo il disposto dell’articolo 20, emette decisioni impugnabili dinanzi al Consiglio di Stato.

CODACCI PISANELLI sostiene che il richiamo alla Corte di giustizia amministrativa non è esatto, perché essa è stata istituita allo scopo di esercitare un controllo giurisdizionale, mentre ora si sta parlando di controllo amministrativo: il che è una cosa sostanzialmente diversa.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Codacci Pisanelli e mette ai voti la proposta che l’organo di controllo, secondo le spiegazioni date dall’onorevole Fabbri, sia costituito esclusivamente da magistrati.

(Non è approvata).

Pone ai voti il quesito se l’organo di controllo debba essere costituito esclusivamente su base elettiva, demandando alla legge la determinazione delle modalità per la sua costituzione.

(Non è approvato).

Dichiara che personalmente ritiene che l’organo di controllo debba essere costituito non esclusivamente, ma in maggioranza su base elettiva. Invita quindi la Sottocommissione a pronunciarsi su quest’altro quesito, avvertendo che, nel caso venga respinto, resterà aperta la strada alle altre soluzioni.

BULLONI osserva che l’essenziale è che l’organo sia capace di esplicare le sue specifiche competenze, e questo potrà ottenersi anche con un organo elettivo, stabilendo dei requisiti di eleggibilità.

MORTATI obietta che il primo requisito al quale deve aspirarsi è l’imparzialità e l’obiettività.

PRESIDENTE replica che si deve generalmente partire dal presupposto che tutte le persone chiamate a ricoprire pubblici uffici siano imparziali. Tuttavia non si potrà trovare nessuno che sia nella condizione di dare assoluta garanzia di imparzialità. Lo stesso criterio della eleggibilità implica una certa concorrenza nella nomina, in merito alla quale certamente non ci si baserà soltanto sul requisito della competenza, perché in questo caso diverrebbe un semplice concorso per titoli. Accettare il principio della eleggibilità vuol dire ammettere una certa coloritura che, se non può dirsi proprio politica, è evidentemente di posizioni particolari.

Mette pertanto ai voti la proposta che l’organo di controllo sia in maggioranza elettivo.

(È approvata).

Una volta decisi i criteri per la composizione dell’organo di controllo, crede che si possa rinviare alla legge lo stabilire i modi di elezione, senza entrare in una specificazione ulteriore che potrebbe essere inopportuna, vincolando eccessivamente il legislatore.

Mette quindi ai voti la proposta che le modalità di elezione e di funzionamento di questo organo di controllo, formato sulle basi indicate dalla Sottocommissione, siano rinviate alla legge.

(È approvata).

Passando al controllo sugli atti dei Comuni e degli enti locali, pone ai voti la proposta che sugli stessi venga esercitato un controllo di legittimità.

(È approvata).

Apre la discussione sulla opportunità o meno di ammettere anche un controllo di merito sugli atti dei Comuni e degli enti locali.

CODACCI PISANELLI, benché sia stato escluso il controllo di merito sugli atti delle Regioni, desidera richiamare l’attenzione della Sottocommissione sulla opportunità di ammettere un controllo di merito almeno per gli atti dei Comuni. Ciò non significa che vorrebbe vederlo esercitato in ogni caso, bensì limitatamente a quei casi particolari che potranno essere determinati. La pratica dimostra quanto l’abolizione del controllo di merito possa essere pericolosa.

Aggiunge che il conferimento ad un organo della potestà di controllo non implica che l’organo stesso si sostituisca al Comune. Il controllo può essere ammesso anche come semplice possibilità di annullamento dell’articolo, con rinvio all’autorità che precedentemente lo aveva emanato, di modo che l’atto stesso rimanga proprio dell’autorità che lo ha emanato.

LAMI STARNUTI si richiama a quanto ebbe a dire nella seduta precedente in relazione al controllo di merito sulle Regioni. È, cioè, contrario ad ammettere anche nei riguardi degli atti amministrativi dei Comuni un qualsiasi controllo di merito, in quanto offenderebbe la libertà della vita amministrativa dei Comuni. Tutta la tradizione democratica e liberale italiana è contraria all’assoggettamento degli enti locali a questa forma di controllo. Si richiama alle proposte che ha avanzato nella seduta precedente, le quali, scartate per le Regioni, potrebbero forse essere riprese in considerazione per i Comuni.

A suo parere lo stesso organo di vigilanza sugli atti della Regione (senza creare un duplicato) dovrebbe essere investito della facoltà di chiedere all’autorità deliberante del Comune il riesame nel merito della deliberazione.

RAVAGNAN si associa all’onorevole Lami Starnuti e chiede ai sostenitori del controllo di merito sugli atti amministrativi dei Comuni di citare esempi di casi in cui gli atti stessi dovrebbero essere assoggettati al controllo. Dichiara che personalmente non saprebbe indicarne.

Solleva quindi un’altra obiezione, di ordine pratico. Premesso che l’organismo che dovrebbe esercitare il controllo sui Comuni dovrebbe essere un organismo regionale, rileva che vi sono delle Regioni che hanno più di 500 Comuni. Il controllo di merito sui loro atti amministrativi comporterebbe una tale remora al loro funzionamento da paralizzare l’attività comunale.

FABBRI chiarisce che, ad esempio, un atto del Comune da assoggettare a controllo dovrebbe essere la deliberazione relativa al taglio di boschi.

CONTI cita l’esempio di un Comune il quale dal 1925 non presenta il proprio bilancio alle autorità competenti.

BOZZI dichiara che, per le ragioni già esposte nella seduta precedente, ritiene che la questione dovrebbe essere risolta stabilendo un controllo di legittimità su tutti gli atti dei Comuni e un controllo di merito in casi stabiliti dalla legge. Aggiunge che, se l’onorevole Ravagnan desidera degli esempi, non è difficile trovarne: contratti di locazione eccedenti una certa cifra, taglio di boschi, ecc. Quanto poi alla struttura del controllo, crede che potrebbe consistere nell’obbligo per il Comune di sottoporre le proprie deliberazioni ad un parere non vincolante. Questo criterio, respinto nella seduta precedente quasi a parità di voti, per gli atti della Regione, potrebbe essere ripreso in esame per gli atti dei Comuni.

Per quanto attiene all’organo che deve esercitare il controllo, dissente dall’opinione espressa dall’onorevole Lami Starnuti. L’organo di controllo sui Comuni e sugli enti locali non può essere, a suo avviso, lo stesso organo statale a carattere in maggioranza elettivo, che esercita il suo controllo sugli atti della Regione, ma deve essere un organo regionale, appunto per il carattere di enti autarchici che viene giustamente riconosciuto nel nuovo ordinamento regionale e in vista dei fini pubblici che la Regione persegue. Non condivide inoltre l’opinione di coloro i quali temono che, in questo modo, si venga a determinare un accentramento regionale. Nulla vieta che si possano decentrare anche queste forme di controllo.

LAMI STARNUTI spiega che la sua proposta di creare un solo organo di controllo, sia per la legittimità che per il merito, è ispirato a ragioni di economia di lavoro. Non è concepibile che l’amministrazione locale stabilisca da sé quali sono le deliberazioni da inviare all’esame, perché ogni deliberazione può essere contraria alla legge. Quindi è necessario che l’organo che esercita la funzione di vigilanza riceva tutte le deliberazioni senza alcuna esclusione; e allora, se le deve esaminare sotto il profilo della legittimità, le potrà esaminare anche sotto quello del merito.

BOZZI precisa che intendeva dire che l’organo di controllo sui Comuni deve essere diverso da quello di controllo sulle Regioni.

PRESIDENTE, dovendo assentarsi, prega, col consenso della Sottocommissione, l’onorevole Perassi di sostituirlo.

PRESIDENTE ritiene che, per proseguire con ordine nella discussione, sia necessario separare i problemi. Per il momento conviene discutere unicamente dell’opportunità di un controllo di merito; successivamente sarà esaminato il problema dell’organo che dovrà esercitare il controllo di legittimità, ed eventualmente quello di merito.

LUSSU non dubita che vi siano dei casi in cui è indispensabile che sia esercitato sugli atti dei Comuni un controllo di merito. Ad esempio, un caso in cui si impone può essere quello di un Comune il quale voglia spendere una cifra elevata per fare un acquedotto di suo uso esclusivo, mentre vi è tutta un’organizzazione di Comuni finitimi che intendono costituire un consorzio e quindi compiere un’opera di portata più vasta, ripartendo la spesa e realizzando così un’economia.

Dichiara di aderire, pertanto, all’opinione dell’onorevole Codacci Pisanelli di ammettere il controllo di merito relativamente ad alcuni atti bene specificati dei Comuni, soprattutto in quanto molti piccoli Comuni debbono ancora formarsi un’esperienza nel campo amministrativo e sarebbe eccessivo rinunciare senz’altro ad un controllo di merito.

Esprime infine la sua sorpresa, di fronte alla proposta dell’onorevole Lami Starnuti di una forma di controllo consultivo esercitato dallo stesso organismo di vigilanza sugli atti delle Regioni, il quale – come è noto – avrebbe un carattere esterno alle Regioni stesse, cioè statale. A suo avviso, per evitare lungaggini burocratiche, il controllo in parola non dovrebbe essere esercitato se non da un organismo regionale.

La seduta termina alle 13.

Erano presenti: Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti.

In congedo: Ambrosini.

Assenti: Cappi, Castiglia, Einaudi, Fuschini, Patricolo, Piccioni, Porzio, Targetti, Vanoni, Zuccarini.

VENERDÌ 13 DICEMBRE 1946 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

4.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 13 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Potere giudiziario (Seguito della discussione)

Presidente – Castiglia, Relatore – Calamandrei, Relatore – Leone Giovanni, Relatore – Targetti – Cappi – Bozzi – Bulloni – Mannironi – Ravagnan – Di Giovanni.

La seduta comincia alle 9.

Seguito della discussione sul potere giudiziario.

PRESIDENTE ricorda che nella presente riunione dovrà continuarsi la discussione sull’articolo 1 del progetto Calamandrei e sui corrispondenti articoli dei progetti degli onorevoli Leone e Patricolo.

CASTIGLIA, Relatore, propone la seguente nuova formulazione:

«La funzione giudiziaria è esercitata dallo Stato per mezzo della Magistratura che esso istituisce.

«Le sentenze e gli altri provvedimenti giurisdizionali degli Stati stranieri, dei Tribunali ecclesiastici per gli effetti Civili, nonché le decisioni arbitrali possono nello Stato avere efficacia nei casi, nei limiti e nei modi stabiliti dalle sue leggi».

Precisa che la seconda parte della formula mira a risolvere la questione, a cui ha accennato nella precedente riunione l’onorevole Calamandrei, relativa agli effetti civili delle sentenze straniere o dei Tribunali ecclesiastici, benché sia convinto che riconoscere efficacia a queste sentenze non costituisca menomazione del principio della statualità della giurisdizione.

CALAMANDREI, Relatore, osserva innanzi tutto che nella formula proposta dall’onorevole Castiglia si parla di funzioni giudiziarie, mentre gli sembra che la Sottocommissione fosse d’accordo, come è previsto nel progetto della Corte di cassazione, di parlare di potere giudiziario, anche per la necessità di mettere tale potere sullo stesso piano degli altri due. In secondo luogo, è contrario alle specificazione del capoverso.

Non gli pare poi che si possano consacrare nella Costituzione questioni che si potrebbero considerare come un’eccezione al principio fondamentale della statualità del potere giudiziario. Ammette che, attraverso un ragionamento più o meno fondato, si possa ritenere che, se rimarrà in vigore il Concordato, il riconoscimento della esecutività delle sentenze dei Tribunali ecclesiastici in materia matrimoniale sia conciliabile col principio della statualità del potere giudiziario; ma che si voglia affermare fin d’ora nella Costituzione che non si riporrà in discussione lo stato esistente, gli sembra ecceda i compiti della Sottocommissione.

Potrebbe accettare delle modificazioni nel senso proposto dal progetto della Cassazione, che in tale materia ha formulato la seguente dizione: «Il potere giudiziario emana direttamente dalla sovranità dello Stato». A questo proposito fa rilevare che l’espressione «emana» gli sembra formalmente inadatta e sostanzialmente potrebbe far credere che la sovranità e il potere giudiziario siano due cose distinte, mentre quest’ultimo fa parte integrante della sovranità, che è costituita dalla somma dei tre poteri.

LEONE GIOVANNI, Relatore, è sostanzialmente d’accordo con l’onorevole Calamandrei nel ritenere che il capoverso dell’articolo proposto dall’onorevole Castiglia costituisca una specificazione non richiesta in sede di Costituzione. A tale proposito richiama l’attenzione sul fatto che non è questa la sede per risolvere, né in senso positivo, né in senso negativo, il problema del Concordato, il quale è di tale elevatezza che gli stessi democristiani, che per i primi sono decisi a difenderlo, non vorrebbero si risolvesse così per incidenza.

È d’accordo pure con l’onorevole Calamandrei nel considerare l’espressione «emana» come non adatta né formalmente né giuridicamente, perché il potere giudiziario non emana dalla sovranità, ma è un aspetto della sovranità.

Per questo motivo, nella sua formula non aveva definito il potere giudiziario, limitandosi ad indicarne il compito. Ad ogni modo, se si ritenesse opportuna una specificazione, metterebbe come inciso che il potere giudiziario è espressione della sovranità dello Stato, per non dare la sensazione di dare solo una definizione di carattere formale. Propone, pertanto, la seguente dizione: «Il potere giudiziario, emanazione della sovranità dello Stato, provvede alla interpretazione e applicazione del diritto per mezzo di giudici, ecc.».

PRESIDENTE propone di passare alla ultima parte dell’articolo 1, relativa alla intestazione delle sentenze, su cui si potrà più facilmente raggiungere l’accordo, per ritornare poi alla prima parte.

(Così rimane stabilito).

TARGETTI propone di sopprimere l’inciso «e gli altri provvedimenti», secondo il quale dovrebbero essere pronunziate in nome della Repubblica anche le ordinanze dei giudici, per esempio, che ammettono o non a omettono prove testimoniali. Poiché anche in precedenza tali ordinanze non erano emanate in nome del Re, non vede perché si dovrebbe ora dar loro la solennità di intestarle in nome della Repubblica.

CALAMANDREI, Relatore, precisa che l’inciso, richiamato dall’onorevole Targetti, si riferisce a quei provvedimenti che, pur non essendo sentenze, devono essere forniti della formula esecutiva.

CASTIGLIA, Relatore, ritiene che si potrebbe rimandare al Codice di procedura l’elencazione dei provvedimenti che devono essere pronunziati in nome della Repubblica.

CAPPI crede che potrebbe superarsi ogni preoccupazione, sopprimendo l’ultimo periodo e formulando così l’articolo: «Il potere giudiziario appartiene allo Stato che lo esercita in nome della Repubblica, per mezzo di giudici indipendenti, ecc.». Si affermerebbe con ciò il principio che lo Stato esercita il potere giudiziario in nome della Repubblica e si rinvierebbe al Codice di procedura il compito di stabilire i provvedimenti che dovranno essere muniti di intestazione.

TARGETTI dichiara che, se la sua proposta può dare luogo a eccessive complicazioni, è disposto anche a ritirarla.

PRESIDENTE ritiene che la dizione potrebbe essere lasciata inalterata. Al momento in cui dovrà compilarsi il Codice di procedura, potrà essere richiamato il verbale della presente riunione, dal quale risulterà che dovranno essere pronunziate in nome della Repubblica le sentenze e gli altri provvedimenti che per il passato erano pronunziati in nome del Re.

BOZZI crede che, se si facesse cenno soltanto delle sentenze, sarebbe eliminata ogni questione, ritenendo logico che gli altri provvedimenti per i quali è necessaria la formula esecutiva avranno la stessa intestazione delle sentenze.

BULLONI invece della parola «resi», direbbe «messi».

TARGETTI preferisce il termine: «pronunciati».

CALAMANDREI, Relatore, accetta il termine «pronunciati», nonché la soppressione delle parole: «e gli altri provvedimenti».

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone la dizione: «Le sentenze vengono pronunziate in nome della legge». Gli sembra che di fronte al cittadino la legge costituisca qualche cosa di più augusto che non la forma statale, la quale nella coscienza dei cittadini potrebbe anche essere discussa. Per questa sua maggiore portata vincolante, il richiamo alla legge è più efficace del richiamo alla forma dello Stato. Ritiene poi che in questo campo si dovrebbe quanto più possibile allontanarsi da quella forma che era una impostazione della istituzione monarchica a tipo feudale, nel senso di non ripetere «la Repubblica» in tutte le espressioni in cui il vecchio Statuto richiamava «il Re».

PRESIDENTE è favorevole alla formula dell’onorevole Leone.

MANNIRONI propone la seguente formula, nella quale ha cercato di sintetizzare vari articoli: «Il potere giudiziario, che deriva dalla sovranità dello Stato e che è indipendente da ogni altro suo potere, applica e interpreta imparzialmente la legge per mezzo dei giudici con sentenze e provvedimenti resi ed eseguiti in nome della legge stessa».

TARGETTI, da un punto di vista politico, preferirebbe la dizione: «Le sentenze sono pronunciate in nome della Repubblica».

RAVAGNAN è d’accordo con l’onorevole Targetti, ritenendo che dovrebbe essere eliminala qualsiasi forma che potrebbe far pensare ad un agnosticismo, per quanto riguarda la forma dello Stato.

CALAMANDREI, Relatore, alla giustificazione politica dell’onorevole Targetti, unisce una ragione di carattere giuridico. Quando i giudici pronunciano una sentenza, la pronunciano in nome di un ente avente una personalità giuridica, come è la Repubblica o lo Stato. La frase «in nome della legge» è invece solo un modo di dire che, dal punto di vista giuridico, non ha alcun significato, perché la legge non è un mandante. Quindi può, se mai, accettare si dica che le sentenze sono pronunciate in nome dello Stato, ma non in nome della legge.

LEONE GIOVANNI, Relatore, riconosce che il riferimento alla legge non ha alcun carattere concreto; ma crede che serva a conferire maggiore solennità ad alcuni atti processuali ed esecutivi in cui è necessario far sentire la forza della legge. Poiché non è necessario risalire, attraverso l’intestazione, ad un ente concreto, sarebbe indifferente dire che le sentenze siano pronunziale in nome dello Stato, o della Repubblica, o della legge; ché se si volesse comunque, nelle intestazioni delle sentenze, riferirsi ad un ente concreto, si dovrebbe dire: «In nome del Presidente della Repubblica». Ma la formula di intestazione degli atti deve essere solamente qualche cosa di simbolico; e perciò egli reputa opportuno far sentire che l’imperativo della legge è al di sopra della forma istituzionale.

BOZZI, a solo titolo di precisazione, ricorda che attualmente le sentenze si emanano in nome del popolo. Si è voluta fare così una personificazione dell’ente, in nome del quale si pronunciano le sentenze.

CAPPI propone che si adotti la formula: «Le sentenze sono pronunciate in nome del popolo».

PRESIDENTE pone in votazione l’emendamento dell’onorevole Leone: «Le sentenze sono pronunciale in nome della legge».

(Non è approvato).

Mette ai voti l’emendamento dell’onorevole Cappi: «Le sentenze sono pronunciate in nome del popolo».

(È approvato).

Riapre la discussione sulla prima parte dell’articolo.

CAPPI chiede all’onorevole Calamandrei se ritenga indispensabile la frase: «indipendenti, istituiti e ordinati secondo le norme della presente Costituzione e della legge sull’ordinamento giudiziario».

CALAMANDREI, Relatore, risponde che ritiene necessaria la parola «indipendenti», per affermare il principale carattere dei giudici, mentre l’espressione successiva serve ad evitare, come è stato fatto in altri progetti, di dover scendere ad una enumerazione dettagliata degli organi del potere giudiziario.

PRESIDENTE propone di sopprimere la parola «indipendenti», in quanto il concetto dell’indipendenza del giudice è affermato nel successivo articolo 2. Sopprimerebbe anche l’aggettivo «ordinati», sembrandogli sufficiente il termine «istituiti».

BOZZI propone la soppressione della frase «secondo le norme della presente Costituzione e della legge sull’ordinamento giudiziario».

LEONE GIOVANNI, Relatore, accogliendo il concetto dell’onorevole Calamandrei, dichiara di ritirare l’articolo 5 del suo progetto, purché rimanga inalterato il rinvio alla legge sull’ordinamento giudiziario.

Insiste sulla formulazione di cui ha dato lettura in precedenza, che considera una fusione degli articoli 1 e 5 del suo progetto e dell’articolo 1 del progetto Calamandrei:

«Il potere giudiziario, emanazione della sovranità dello Stato, provvede alla interpretazione e applicazione del diritto per mezzo di giudici istituiti secondo le norme della presente Costituzione e della legge sull’ordinamento giudiziario».

Con questa formula il potere giudiziario verrebbe inserito nell’ambito della sovranità dello Stato, dandosi, nel medesimo tempo, una definizione dei suoi compiti.

CASTIGLIA, Relatore, propone di sostituire alla parola «applicazione» l’altra: «attuazione».

CALAMANDREI, Relatore, osserva che un problema è quello di fissare la statualità della giurisdizione, ed un altro è quello di definire il contenuto del potere giudiziario. A questi due problemi ha ritenuto indispensabile destinare due articoli distinti, cioè gli articoli 1 e 2 del suo progetto. Bisogna infatti che in primo luogo venga affermata la statualità della giurisdizione, come del resto era stabilito nell’articolo 68 dello Statuto Albertino («La giustizia emana dal Re ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce»), di cui l’articolo 1 del suo progetto non è che la traduzione; e non vorrebbe che la nuova Costituzione segnasse, a questo proposito, un passo indietro rispetto alla precedente.

Ad ogni modo, è disposto a sopprimere l’avverbio «esclusivamente», e a consentire una diversa formulazione nel senso indicato dalla Corte di cassazione, cui ha fatto prima cenno, ma è assolutamente contrario alla fusione degli articoli 1 e 2. Fa infine rilevare una inesattezza nella formula da lui proposta, in quanto, nel termine «giudici» non comprendendosi comunemente il Pubblico Ministero, sarebbe stato meglio usare il termine «magistrati».

LEONE GIOVANNI, Relatore, riconosce che il problema è stato impostato esattamente dall’onorevole Calamandrei, ma dal punto di vista formale, e anche per amore di brevità, non vede la difficoltà di fondere insieme i due principî.

Quanto poi all’inesattezza a cui ha fatto cenno lo stesso onorevole Calamandrei, non sostituirebbe la parola «giudici» con il termine «magistrati», in quanto il Pubblico Ministero dovrà considerarsi come dipendente dal potere esecutivo. In ogni caso, sarebbe più appropriato parlare di «organi del potere giudiziario», nel senso che tutti i giudici sono organi di un solo potere, ma differenziati rispetto alle funzioni.

CALAMANDREI, Relatore, non sarebbe alieno a sostituire la parola «organi» a «giudici», per quanto formalmente non suoni bene, ma insiste sulla necessità di formulare separatamente i due principî. Chiede, poi, ai colleghi della Democrazia cristiana di non volere insistere, per considerazioni contingenti, su questioni che potranno essere risolte in un secondo momento.

BOZZI è d’accordo con l’onorevole Calamandrei. A suo avviso, per definire il potere giudiziario, dovrebbe essere usata una formula anche più solenne di quella usata dal Relatore; e direbbe quindi: «Il potere giudiziario è espressione della sovranità dello Stato. Esso è esercitato, ecc.».

Circa le preoccupazioni sorte nei riguardi del riconoscimento dell’esecutività delle sentenze ecclesiastiche in materia matrimoniale, tiene a mettere in evidenza che tale riconoscimento non intacca affatto il principio della statualità del potere giudiziario, perché in tanto le sentenze dei Tribunali ecclesiastici hanno vigore in Italia, in quanto lo Stato lo ha consentito, proprio nell’esercizio della sua sovranità.

BULLONI propone la dizione: «Il potere giudiziario è espressione della sovranità dello Stato».

LEONE GIOVANNI, Relatore, non trova una differenza sostanziale fra il porre tra due virgole l’affermazione che il potere giudiziario è emanazione della sovranità dello Stato e il porre il punto fermo dopo la parola: «Stato». A suo avviso, il problema è prevalentemente tecnico, anche non considerandolo nei riguardi della giurisdizione ecclesiastica, inquantoché, non essendo stati inquadrati nella sovranità dello Stato gli altri due poteri, verrebbe a mancare quella armonia che deve sussistere tra i tre poteri. A suo avviso, le esigenze formulate dalla Corte di cassazione derivano dalla preoccupazione che possa restare nella nuova Costituzione un residuo di quella mentalità che faceva dipendere il potere giudiziario dal potere esecutivo.

TARGETTI non si rende conto della ragione per la quale l’onorevole Leone insiste nella sua formulazione, in quanto che, se il concetto, invece di essere espresso nella forma di attributo, come egli propone, viene espresso con una affermazione esplicita, acquista una maggiore forza.

LEONE GIOVANNI, Relatore, dichiara che la formula che ha proposta rappresenta già una transazione, in quanto egli non riteneva definire il potere giudiziario, mentre nella Costituzione non si dà una definizione degli altri due poteri.

La Sottocommissione, quindi, dovrebbe limitarsi a stabilire il principio della statualità del potere giudiziario, lasciando alla dottrina di formulare la definizione.

RAVAGNAN trova preferibile la formula proposta dall’onorevole Calamandrei, la quale meglio precisa che il potere giudiziario appartiene allo Stato.

CALAMANDREI, Relatore, dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Bozzi così modificata:

«Il potere giudiziario appartiene alla sovranità dello Stato, che lo esercita a mezzo di magistrati istituiti secondo la presente Costituzione e la legge sull’ordinamento giudiziario».

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento dell’onorevole Leone, così formulato:

«Il potere giudiziario, emanazione della sovranità dello Stato, provvede alla interpretazione e applicazione del diritto per mezzo di giudici istituiti secondo le norme della presente Costituzione e della legge sull’ordinamento giudiziario».

(Non è approvato).

Pone in votazione la formula Bozzi-Calamandrei.

(È approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 2 del progetto Calamandrei, così formulato:

«Indipendenza funzionale dei giudici».

«I giudici, nell’esercizio delle loro funzioni, dipendono soltanto dalla legge, che essi interpretano ed applicano al caso concreto secondo la loro coscienza, in quanto la riscontrino conforme alla Costituzione.

«La stessa indipendenza hanno i magistrati del Pubblico Ministero nell’esercizio dell’azione penale e delle altre funzioni ad essi demandate dalla legge».

Avverte che tale articolo corrisponde alla prima parte dell’articolo 1 del progetto Leone:

«Il potere giudiziario provvede alla interpretazione e applicazione del diritto»;

e agli articoli 1 e 2 del progetto Patricolo:

«Art. 1. – Il potere giudiziario è indipendente da ogni altro potere dello Stato».

«Art. 2. – Il potere giudiziario provvede all’attuazione della giustizia, sia nella fase istruttoria e del giudizio, sia in quella esecutiva».

CALAMANDREI, Relatore, osserva che, mentre nell’articolo 1 dell’onorevole Patricolo si afferma in modo generico l’indipendenza del potere giudiziario, nella sua formula si sancisce il principio assai più preciso della indipendenza del giudice nell’esercizio delle sue funzioni. Nota poi che in nessuna delle altre due formulazioni si fa riferimento al controllo che deve essere esercitato dal giudice circa la conformità della legge alla Costituzione. Il suo articolo, inoltre, per comprenderne la portata, deve essere messo in relazione con il successivo articolo 3, che deferisce al solo potere legislativo l’interpretazione delle leggi con efficacia generale ed astratta, e alla sola Suprema Corte costituzionale la dichiarazione di incostituzionalità delle leggi, pure con efficacia generale ed astratta. Messa a confronto l’espressione del suo articolo: «I giudici dipendono soltanto dalla legge che essi interpretano ed applicano al caso concreto secondo la loro coscienza», con la dizione adottata negli altri due progetti, gli sembra che, anche tecnicamente, la sua formula sia la più esatta, e che sia, in particolare, troppo vago parlare di «attuazione della giustizia», come è detto nell’articolo 2 dell’onorevole Patricolo. Il giudice deve applicare la legge, che è astratta, al caso concreto, ed il verbo «applicare» ha un significato tecnico che si riferisce all’opera del giudice, sia nella fase di cognizione che in quella di esecuzione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, nota che il nucleo principale del suo articolo 1: «Il potere giudiziario provvede alla interpretazione ed applicazione del diritto», sostanzialmente è conforme al concetto dell’onorevole Calamandrei, con il quale concorda nel ritenere che la formula del progetto Patricolo sia da scartare, come troppo scolastica ed empirica.

Circa l’affermazione della dipendenza del giudice soltanto dalla legge, osserva che, sebbene sia compresa in quasi tutte le Costituzioni, essa è piuttosto negativa che positiva, nel senso che pone la non dipendenza da altri organi. Questa affermazione non gli sembra, poi, tale da richiedere una statuizione nella Costituzione, perché la dipendenza dalla legge è di tutti i cittadini in generale e quindi del magistrato in particolare. Perciò l’espressione deve considerarsi superflua, tranne che non la si ritenga necessaria per adeguarsi alle altre Costituzioni; ciò che, tuttavia, avrebbe un valore assai discutibile.

Ritiene del pari inopportuno il richiamo alla conformità della legge alla Costituzione, in primo luogo perché è implicito che possano considerarsi come vincolanti solo le leggi che entrino nell’ambito della costituzionalità, ed in secondo luogo perché gli sembra che in tal modo si entri nell’argomento relativo alla Suprema Corte costituzionale e ai modi con cui i giudici possono denunziare ad essa i conflitti tra legge e Costituzione.

Per quanto concerne l’articolo 3, riconosce esatto il principio contenuto nel primo comma, relativo alla competenza esclusiva del potere legislativo in materia di interpretazione delle leggi con efficacia generale ed astratta, ma ritiene che esso potrebbe essere rimandato alla seconda Sottocommissione, che si occupa di quel potere. Riconosce altresì l’esattezza del secondo comma, ma esprime l’avviso che l’argomento dovrebbe essere esaminato in sede di discussione della Suprema Corte costituzionale.

Circa il secondo comma dell’articolo 2, ritiene che debba essere esaminato a parte, in quanto comporta un problema centrale di notevole importanza, vale a dire se il Pubblico Ministero debba essere dipendente dal potere legislativo o da quello esecutivo.

BOZZI è d’accordo con l’onorevole Calamandrei circa l’affermazione di principio che i giudici dipendono soltanto dalla legge; ciò che, a suo giudizio, costituisce non una affermazione simbolica, ma un principio sostanziale di grande valore. Sopprimerebbe però la espressione: «in quanto la riscontrino conforme alla Costituzione», in relazione alla quale si dovrebbe affrontare un problema molto grave, cioè se il giudice, trovandosi di fronte ad una norma che ritenga incostituzionale, possa non applicare la legge, prendendo così una decisione che abbia valore solo nell’ambito delle parti, ovvero debba sospendere il giudizio e rinviare il processo. Ritiene che, fino a quando non si sia deciso se il giudice debba seguire l’una o l’altra via, non si possa pregiudicare il problema.

Por quanto riguarda l’articolo 3, condivide le osservazioni dell’onorevole Leone.

TARGETTI concorda con gli onorevoli Leone e Bozzi, nel senso di togliere al giudice di merito la facoltà di apprezzamento della conformità della norma alla Costituzione. In pratica crede che diversamente si verificherebbero inconvenienti gravissimi, per cui anche un vicepretore potrebbe da solo dichiarare la incostituzionalità di una legge.

Sebbene il principio che «i giudici nell’esercizio delle loro funzioni dipendono soltanto dalla legge» sia stato inserito in altre Costituzioni, crede che la dizione, presa in senso letterale e logico, abbia un significato abbastanza discutibile, perché, se si vuole intendere che i giudici debbono rispettare la legge, è superfluo, in quanto tutti i cittadini sono tenuti a rispettare le leggi. Propone perciò la seguente formulazione: «Nell’esercizio delle loro funzioni il magistrato e il pubblico ministero ubbidiscono soltanto alla legge e alla loro coscienza».

CALAMANDREI, Relatore, è d’accordo per il rinvio del primo comma dell’articolo 3 alla seconda Sottocommissione e del secondo comma di tale articolo alla discussione sulla Suprema Corte costituzionale. Accetta parimenti di eliminare nel primo comma dell’articolo 2 le parole: «in quanto la riscontrino conforme alla Costituzione», avvertendo però che, se al problema circa la pronuncia della incostituzionalità delle leggi sarà data una soluzione conforme alle sue proposte, proporrà di ripristinare l’inciso a cui adesso rinuncia.

Ritiene invece che sia necessario affermare, contrariamente al parere dell’onorevole Leone, il principio della dipendenza del giudice dalla legge, che ha una grande importanza anche pratica, in relazione particolarmente a quegli ordinamenti giudiziari in cui il giudice non è vincolato dalla legge, ma decide soltanto caso per caso. Cita l’esempio di quello che avveniva nei primi anni della Rivoluzione russa, in cui la norma giudiziaria nasceva di volta in volta ed il giudice, operaio o contadino, era scelto non per la sua cultura giuridica, ma per la sua sensibilità politica e per la sua coscienza proletaria.

Per quanto concerne la formula proposta dall’onorevole Targetti, fa rilevare che chi obbedisce è colui a cui la legge impone di tenere un certo comportamento, mentre il giudice, come tale, non deve obbedire alla legge, ma deve applicarla nei riguardi dell’imputato o delle parti.

TARGETTI voleva riferirsi all’obbligo del giudice di applicare la legge secondo la legge stessa.

LEONE GIOVANNI, Relatore, essendosi convinto delle osservazioni dell’onorevole Calamandrei, accetta la sua formula, anche se un po’ vaga e solenne. Sopprimerebbe però le parole: «nell’esercizio delle loro funzioni», che gli sembra restringano il concetto della indipendenza del giudice.

CALAMANDREI, Relatore, spiega che l’indipendenza del giudice deve affermarsi nel momento in cui questi esplica la sua funzione; ma per tutto il resto egli è soggetto agli obblighi del suo ufficio.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene che si potrebbe usare la seguente dizione:

«I giudici interpretano ed applicano il diritto e la legge e non dipendono che da essa».

BULLONI esprime l’avviso che la dipendenza del giudice dalla legge debba avere anche un limite, il quale non può essere altro che quello stabilito dalla costituzionalità della legge. Per questo motivo ritiene che debba essere mantenuto l’ultimo inciso del primo comma, in modo che la coscienza del giudice si sentirà vincolata alla legge soltanto quando egli avverta che è conforme alla Costituzione.

Propone il seguente emendamento formale:

«I giudici, nell’esercizio delle loro funzioni, dipendono soltanto dalla legge, che essi interpretano e applicano secondo coscienza, in quanto conforme alla Costituzione».

RAVAGNAN è favorevole allo spirito della formulazione Calamandrei e pensa che il concetto della dipendenza dei giudici soltanto dalla legge debba essere mantenuto ed anzi rafforzato. Però, invece delle parole «secondo la loro coscienza», direbbe più semplicemente «secondo coscienza», volendo alludere alla coscienza generale, mentre l’aggettivo possessivo potrebbe far pensare che il giudizio sulla interpretazione ed applicazione della legge venga lasciato all’apprezzamento individuale del magistrato.

È d’accordo per eliminare le parole «in quanto la riscontrino conforme alla Costituzione», perché il controllo da parte del giudice non potrebbe essere di merito, ma solo formale.

MANNIRONI semplificherebbe la formula nella seguente maniera: «I giudici, nell’esercizio delle loro funzioni, dipendono solo dalla legge che applicano al caso concreto». Sopprimerebbe le parole «secondo la loro coscienza», che devono intendersi sottintese, e l’ultimo inciso, che farebbe sorgere un problema assai delicato, attribuendo ai giudici un compito che sarebbe bene non fosse loro demandato.

PRESIDENTE crede che possa rimaner deciso fin d’ora che dell’articolo 3 si rinvia alla seconda Sottocommissione il primo comma e si sospende la discussione del secondo.

(Così rimane stabilito).

Per quanto riguarda l’articolo 2, mette ai voti l’emendamento dell’onorevole Targetti: «Nell’esercizio delle loro funzioni i giudici e i magistrati del Pubblico Ministero obbediscono soltanto alla legge e alla loro coscienza».

(Non è approvato).

Fa presente che dovrebbe ora votarsi l’emendamento dell’onorevole Bulloni. Poiché lo stesso Relatore Calamandrei e quasi tutti i componenti della Sezione sono d’accordo che la questione della conformità della legge alla Costituzione dovrà essere riesaminata quando si discuterà della suprema Corte costituzionale, prega l’onorevole Bulloni di volervi rinunziare.

BULLONI non insiste sul suo emendamento.

PRESIDENTE mette ai voti la formula Calamandrei, così come risulta in seguito alle successive proposte di modificazioni che sono state proposte:

«I giudici, nell’esercizio delle loro funzioni, dipendono soltanto dalla legge che interpretano e applicano secondo coscienza».

(È approvata).

Pone in discussione il secondo comma.

BOZZI pensa che, anche ammesso, come ha detto l’onorevole Leone, che il Pubblico Ministero dipende dal potere esecutivo, rimane pur fermo che esso, quando esercita l’azione penale, è parimenti indipendente.

TARGETTI ritiene che la formulazione del comma in discussione non pregiudichi la posizione del Pubblico Ministero di fronte al potere esecutivo, perché, anche se si ammette che il Pubblico Ministero dipende dal potere esecutivo, tale dipendenza non potrebbe certo costringerlo ad andare contro la legge e contro la sua coscienza. Domanda se non si potrebbe aggiungere nel primo comma, dopo la parola «giudici», le altre: «e i magistrati del Pubblico Ministero».

CALAMANDREI, Relatore, fa osservare che le parole «interpretano e applicano» non possono riferirsi al Pubblico Ministero. Se il Pubblico Ministero dovrà essere un efficace organo del potere esecutivo presso il potere giudiziario, sebbene da un lato non sia ammissibile che esso possa agire contro legge, dall’altro non può negarsi la possibilità che il Ministro della giustizia abbia a dare al Pubblico Ministero l’ordine di non agire secondo la legge. Ricorda a questo proposito che nel periodo 1920-1921, in occasione dello sciopero dei ferrovieri, qualcuno domandò perché il Pubblico Ministero non avesse agito contro gli scioperanti e l’onorevole Giolitti rispose che nei momenti in cui i reati da perseguire sono così numerosi, ragioni politiche impongono di dare ordine al Pubblico Ministero di non agire.

A suo avviso, riterrebbe opportuno il rinvio della discussione sul secondo comma.

PRESIDENTE è d’accordo.

(Così rimane stabilito).

Pone in discussione la prima parte dell’articolo 4 del progetto Calamandrei:

«Immutabilità del giudicato».

«II giudicato, contro il quale non siano più sperimentabili i rimedi giudiziari ammessi dalla legge, è immutabile; e non può essere modificato né sospeso nei suoi effetti, neanche dal potere legislativo».

BOZZI ha l’impressione che la parola «effetti», usata nei riguardi delle sentenze, sia limitativa.

CALAMANDREI, Relatore, dà lettura dell’articolo 11 del progetto della Cassazione:

«La sentenza irrevocabile non può essere annullata né modificata neppure con provvedimento legislativo, salvo i casi di revocazione in materia civile o di revocazione in materia penale.

«L’esecuzione delle sentenze irrevocabili non può essere sospesa, se non nei casi previsti dalla legge».

La ragione per cui ha usato la dizione «nei suoi effetti» è che vi possono essere dei casi in cui, non modificandosi la sentenza, interviene un provvedimento che ne modifica gli effetti. Cita ad esempio quello che avviene attualmente delle sentenze di sfratto, alle quali non si dà esecuzione.

DI GIOVANNI non trova precisa la espressione «il giudicato» e preferirebbe la dizione: «sentenze irrevocabili», oppure «sentenze passate in giudicato».

CALAMANDREI, Relatore, ritiene che la formula migliore sia «sentenze irrevocabili».

LEONE GIOVANNI, Relatore, afferma che la formula della Cassazione eliminerebbe alcuni suoi dubbi. Gli pare accettabile, infatti, la definizione «sentenza irrevocabile» e assai appropriata la frase «neppure con provvedimento legislativo». Però alle parole: «salvo i casi di revocazione, ecc.», sostituirebbe l’espressione: «salvo i casi di impugnazione straordinaria». A questo punto ritiene che dovrebbe agganciarsi il concetto che egli ha sottolineato fin dal primo giorno, relativo alla legge penale abrogativa. Propone, quindi, di dire: «salvo i casi di impugnazione straordinaria e di legge penale abrogativa».

Ritiene infine che non si possa togliere al futuro legislatore la possibilità di tener conto di particolari situazioni, per lo meno in materia penale, nelle quali sentimenti di umanità e di civiltà reclamano la sospensione dell’esecuzione del giudicato penale.

In conclusione, prenderebbe come base di discussione l’articolo 11 del progetto della Cassazione, al quale l’onorevole Calamandrei si è riferito.

La seduta termina alle 11.

Erano presenti: Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Di Giovanni, Farini, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Interviene, in sostituzione dell’onorevole Patricolo, l’onorevole Castiglia.

Assenti: Ambrosini, Laconi, Porzio.

GIOVEDÌ 12 DICEMBRE 1946 (Prima sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

64.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 12 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Fabbri – Bozzi – Lami Starnuti – Codacci Pisanelli – Mannironi – Mortati – Lussu – Laconi – Tosato – Nobile – Perassi – Bordon – Uberti – Conti – Targetti – Di Giovanni.

La seduta comincia alle 11.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE comunica che, a proposito dell’articolo 19, il cui esame si è iniziato nella precedente seduta, sono stati presentati in aggiunta a quelli proposti ieri dagli onorevoli Fabbri e Tosato i seguenti emendamenti dagli onorevoli Bozzi e Mortati:

Emendamento proposto dall’onorevole Bozzi:

I – «Il controllo di legittimità sulle deliberazioni dei Comuni e degli enti pubblici locali esistenti nella Regione è esercitato da un organo composto di membri in maggioranza elettivi e presieduto dal Commissario del Governo.

«La legge stabilirà le modalità di costituzione e di funzionamento dell’organo di controllo, nonché i casi in cui esso potrà esser chiamato ad esprimere parere, non vincolante, sul merito delle deliberazioni dei Comuni e degli altri enti pubblici indicati nel comma precedente».

  1. – «Il controllo di legittimità sui regolamenti della Regione e sulle deliberazioni di essa che importano gestione del bilancio sarà esercitato da una delegazione composta di magistrati del Consiglio di Stato e della Corte dei conti della Repubblica, nonché di cittadini designati dall’Assemblea regionale.

«La legge stabilirà le modalità di Costituzione e di funzionamento della delegazione, nonché i casi in cui questa potrà esser chiamata ad esprimere parere, non vincolante, sul merito delle deliberazioni della Regione».

Emendamento proposto dall’onorevole Mortati:

«Sugli atti amministrativi della Regione, che rientrino nella competenza di questa, ed ai quali essa provvede con propri fondi, sarà esercitato, di norma, soltanto il controllo di legittimità da parte di appositi organi interni alla Regione, posti in condizione di assoluta indipendenza dal Governo regionale.

«Il Commissario del Governo può proporre giudizio innanzi al tribunale amministrativo della Regione per far dichiarare l’illegittimità degli atti amministrativi del Governo regionale.

«La richiesta che la Regione faccia di contributi a carico del fondo di solidarietà dovrà essere accompagnata dall’esibizione dei bilanci e dei documenti contabili necessari a consentire, attraverso l’esame di legittimità e di merito della spesa, il giudizio sui motivi del disavanzo. I contributi saranno negati quando tale disavanzo sia dovuto a gestione illegale o gravemente deficiente».

Fa presente l’opportunità che la Sottocommissione si pronunci sui seguenti punti: in via pregiudiziale, se debba o meno esercitarsi un controllo sugli atti amministrativi della Regione; in secondo luogo, se tale controllo debba limitarsi alla legittimità od estendersi anche al merito, e, se quest’ultima ipotesi verrà accolta, su quali atti tale controllo di merito debba esercitarsi; in terzo luogo, quale debba essere l’organo preposto all’esercizio del controllo, ossia se debba trattarsi di un organo di carattere interno od esterno, cioè regionale o statale; quale, infine, debba essere la composizione dell’organo, cioè se elettivo in tutto o in parte, se debba avere carattere prevalentemente burocratico, ecc.

FABBRI è del parere che si debba procedere ad una votazione anche sul quesito se sia opportuno riservare alla legge la determinazione delle materie soggette al controllo di merito.

PRESIDENTE, poiché la discussione generale può considerarsi chiusa, pone ai voti il primo principio, cioè che debba esercitarsi un controllo su quegli atti (amministrativi e relativi al bilancio) della Regione, i quali, non avendo carattere di legge, non sono sottoposti ai controlli stabiliti dal progetto per l’attività legislativa.

(È approvato).

Mette in votazione la prima parte del secondo principio, cioè che sia opportuno stabilire un controllo di legittimità.

(È approvato).

Apre quindi la discussione sulla seconda parte del secondo quesito, cioè sull’opportunità di istituire anche un controllo di merito.

BOZZI dichiara di essere, in linea di massima, non favorevole alla introduzione di un controllo di merito sugli atti della Regione, se tale controllo s’intende nel senso di attribuire all’organo controllante la potestà di non approvare per valutazioni di merito o di convenienza amministrativa in genere un atto della Regione. Sarebbe invece favorevole ad un controllo di merito che si potesse configurare sotto una forma di collaborazione, nel senso che sugli atti che, in base alla legge, potranno o dovranno essere trasmessi all’organo di controllo, questo esprimerà il suo parere non vincolante nei confronti dell’ente che ha emesso l’atto amministrativo, il quale sarà così libero di seguire o meno il parere espresso da questo organo, facendo rilevare che, in caso di parere negativo, l’organo deliberante assumerà 1a responsabilità dell’atto. Ritiene tale forma di controllo di merito utile alla buona amministrazione della Regione; e propone il seguente emendamento in sostituzione di quello di cui precedentemente il Presidente ha dato lettura:

«La legge stabilirà i casi in cui gli atti della Regione debbano essere inviati all’organo di controllo, affinché esso esprima il suo parere sul merito di essi. Il parere dell’organo di controllo non è vincolante per la Regione».

LAMI STARNUTI si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Bozzi, in quanto è convinto, anche per esperienza personale, della scarsa utilità del controllo di merito; ed aggiunge che è suo intendimento proporre che gli stessi criteri, accennati dall’onorevole Bozzi, per la Regione, siano adottati anche per il controllo di merito del Comune.

CODACCI PISANELLI è del parere che la prevenzione contro il controllo di merito non sia del tutto giustificata, pur riconoscendo che qualche volta esso abbia portato ad abusi.

Rileva poi che se si accogliesse una proposta del genere di quella accennata dall’onorevole Bozzi, non si potrebbe più parlare di una funzione di controllo, bensì di una funzione consultiva.

D’altra parte, poiché l’invalidità di un atto amministrativo può derivare tanto da vizi di legittimità quanto da vizi di merito, è del parere che non sia opportuno limitare il controllo alla sola legittimità ed escluderlo per quanto riguardo il merito. Dichiara quindi di essere favorevole all’introduzione del controllo di merito, naturalmente limitato a casi tassativamente indicati.

MANNIRONI si dichiara contrario al principio generale di stabilire il controllo di merito sugli atti amministrativi della Regione; ciò che, a suo parere, menomerebbe la libertà e l’autonomia della Regione stessa.

È invece favorevole ad una forma di controllo del genere di quella adombrata nella proposta dell’onorevole Mortati, limitato cioè a quegli atti per i quali, eccedendosi le possibilità ordinarie del bilancio, si dà alla Regione la facoltà di attingere fondi dal bilancio dello Stato o dal fondo di solidarietà regionale.

FABBRI ribadisce il concetto già espresso circa l’opportunità di riservare alla legge speciale l’indicazione degli atti sottoposti al controllo di merito, da limitarsi ad un campo ristrettissimo.

Dichiara poi che, a suo parere, tale controllo di merito non dovrebbe essere vincolante nel senso di avere carattere sostitutivo, ma nel senso che l’atto non possa essere eseguibile se non abbia riportato l’approvazione da parte dell’organo controllante.

Pur riconoscendo che, in alcuni casi, il controllo di merito può risolversi in un controllo di legittimità specialmente quando l’organo controllante non ha il potere di sostituire la sua deliberazione a quella dell’organo controllato, ritiene che non sia il caso di abbandonare il criterio di distinzione tra legittimità e merito sostituendolo con un’interpretazione più lata di quello che è il controllo di legittimità.

MORTATI, premesso che la questione potrebbe essere risolta più facilmente se si conoscesse qual è l’organo di controllo, dichiara che, in linea di massima, l’attività della Regione dovrebbe essere, a suo avviso, sottratta al controllo di merito.

Concorda con coloro che tendono ad assimilare il controllo di legittimità a quello di merito, ma osserva che i due controlli, pur potendosi assimilare dal punto di vista teorico, richiedono attitudini diverse ed influiscono diversamente sulla libertà dell’organo controllato; ed appunto perché il controllo di merito incide più profondamente su tale libertà, è del parere di escluderlo in linea di massima.

Aggiunge che l’apprezzamento sul merito – che affiderebbe al medesimo organo a cui è affidato il giudizio di legittimità – dovrebbe essere comunicato anche al Commissario del Governo, il che consentirebbe a quest’ultimo di fare eventuali segnalazioni che potrebbero giovare al Governo centrale.

Dichiara poi che l’unico possibile sindacato nel merito su atti molto importanti (come, ad esempio, la municipalizzazione dei servizi pubblici) è costituito dal referendum, e si domanda se non sarebbe questa la sede più opportuna per inserire un accenno a questa forma di controllo preventivo su certe deliberazioni, affidato allo stesso popolo attraverso il referendum.

LUSSU è contrario all’istituzione del controllo di merito sugli atti della Regione, perché ritiene inceppi ogni possibilità di rapida attività; è invece favorevole al referendum – che pensa sia l’unico controllo che dia affidamento – a cui si possano sottoporre gli atti più rilevanti. D’altronde, anche senza istituire un apposito organo, il controllo di merito ha egualmente luogo e si esplica attraverso il sindacato dell’opinione pubblica, il giudizio dei tecnici, le discussioni che hanno luogo all’Assemblea regionale, ecc.

Dichiara infine di essere contrario a che l’organo di controllo sulla legittimità esprima il suo giudizio anche sul merito.

LACONI, insieme ai colleghi del suo Gruppo, è favorevole, limitatamente alla Regione, all’istituzione di un controllo di merito entro limiti preveduti in una legge speciale sugli atti amministrativi, esercitato da un organo che abbia una investitura democratica superiore a quella dell’ente Regione.

Per i Comuni, il controllo non è necessario, dato il ristretto campo di interessi in cui sono limitati i loro poteri; mentre la mancanza assoluta di un controllo sugli atti della Regione alla quale è stata concessa notevole ampiezza di poteri potrebbe essere gravida di pericoli.

TOSATO è anch’egli favorevole all’abolizione, in linea di massima, del controllo di merito sugli atti definitivi amministrativi della Regione; ma rileva che tale abolizione non importa necessariamente l’abolizione di eventuali controlli di merito che la Regione stessa potrà esercitare sugli atti emanati dai suoi organi locali.

È del parere che al sistema del controllo di merito si debba sostituire un’attività consultiva, anche obbligatoria, sugli atti più importanti della Regione.

Concorda infine con l’onorevole Mortati sull’opportunità di stabilire da quale organo sarà esercitato il controllo di merito, prima di decidere sull’abolizione o meno del controllo stesso.

NOBILE presenta il seguente ordine del giorno:

«La Commissione afferma che sugli atti amministrativi della Regione si debba esercitare anche un controllo di merito con le limitazioni e modalità che verranno fissate dalla legge».

PERASSI propone il seguente emendamento:

«I controlli sugli atti amministrativi della Regione saranno esercitati nei modi e nei limiti stabiliti da una legge di carattere costituzionale».

LUSSU è contrario alla proposta dell’onorevole Perassi, perché ritiene che la Sottocommissione debba affrontare e risolvere ora il problema, proponendo conclusioni concrete.

PRESIDENTE dichiara anzitutto di dissentire dall’osservazione fatta dall’onorevole Lussu, il quale ha prima affermato di ritenere sostitutivo al controllo di merito quello generico dell’opinione pubblica, perché questa contrariamente a quanto si ritiene possa fare un organo di controllo di merito pur pronunciandosi sfavorevolmente su una particolare decisione, non ha la possibilità di arrestarne l’attuazione.

Né ritiene sia da accogliere la proposta dell’onorevole Mannironi, secondo la quale dovrebbero essere sottoposti al controllo soltanto quegli atti con i quali si autorizza la Regione ad attingere somme dal fondo di solidarietà fra le Regioni, perché in tal modo si sottolineerebbe lo stato di inferiorità in cui una Regione si trova nei riguardi delle altre, più favorite dalla natura o dalla loro struttura economica o sociale.

Osserva poi che, a suo avviso, non rientra nel tema ora in discussione l’accenno fatto dall’onorevole Tosato circa il controllo di merito che la Regione eserciterà sugli organi amministrativi decentrati regionali, perché in tal caso si ha un controllo di carattere interno, a carattere, più che altro, ispettivo permanente e di sovrintendenza su atti dei quali la Regione risponde sia di fronte all’Assemblea regionale ed agli abitanti che di fronte allo Stato. Si tratta ora, invece, di decidere se l’organo di controllo debba avere carattere interno o esterno, se cioè debba essere emanazione della Regione o dello Stato.

PERASSI dichiara che le notevoli difficoltà che si incontrerebbero, se si volesse affrontare in pieno questo problema ed arrivare ad una regolamentazione precisa della materia, lo hanno spinto a presentare la sua proposta di emendamento che contiene due affermazioni di principio: anzitutto quella di fissare l’esistenza di un controllo sugli atti della Regione, lasciando impregiudicata la questione se tale controllo debba essere di legittimità od anche di merito; quindi l’altra di stabilire se il regime del controllo sarà disciplinato da una legge costituzionale, rispettando così il principio dell’autonomia della Regione per cui sarebbe opportuno disciplinare tale materia nel campo costituzionale.

BORDON è contrario alla proposta Perassi, la quale, non specificando di quale forma di controllo si tratti, può far ritenere che in essa sia compreso anche il controllo di merito, sulla cui inclusione la Sottocommissione non si è ancora pronunciata.

UBERTI fa presente che l’articolo proposto dal Comitato di redazione contiene in parte le premesse da cui è partito l’onorevole Perassi, perché si limita ad affermare i principî, senza scendere a dettagli. Trova opportuno tale criterio, perché, se si stabilisse nella Costituzione l’organizzazione di un istituto che poi in pratica risultasse non rispondente alle necessità, sarebbe necessario, per modificare tali norme, mettere in moto la procedura per la riforma costituzionale.

CONTI osserva che, trattandosi di una Costituzione rigida, è opportuno limitarsi a stabilire in essa soltanto i principî generali, rinviando l’applicazione del sistema alla legge costituzionale.

MORTATI è contrario alla proposta dell’onorevole Perassi, perché omette alcuni elementi fondamentali quali il carattere interno o esterno dell’organo di controllo, la specificazione se trattisi di controllo di legittimità o anche di merito che sarebbe necessario, a suo avviso, fissare nella Costituzione.

FABBRI, pur riconoscendo che il medesimo concetto informatore ha ispirato tanto la sua proposta quanto quella dell’onorevole Perassi, dichiara di ritenere quest’ultima evasiva a tal punto da non risolvere il problema che invece dovrebbe avere qui la sua soluzione, anche in termini generici, sia precisando quali sono gli organi di controllo, sia distinguendo il controllo di legittimità, che deve essere generale, da quello di merito, che deve essere limitato a singoli atti da determinarsi dalla legge costituzionale.

NOBILE osserva che, se si ponesse ai voti la proposta dell’onorevole Perassi, la Sottocommissione tornerebbe implicitamente a pronunciarsi ancora sul controllo di legittimità, a proposito del quale ha già manifestato il suo parere.

LACONI fa presente che la proposta dell’onorevole Perassi avrebbe dovuto essere presentata all’inizio dell’esame dell’articolo 19 e non quando la Sottocommissione si era già pronunciata sul controllo di legittimità. Ritiene che a questo punto della discussione, la Sottocommissione non possa astenersi dal pronunciarsi su due questioni che, a suo parere, non devono essere rimandate alla legge costituzionale: se debba mantenersi, con le opportune limitazioni, il controllo di merito, e se la funzione del controllo debba essere esercitata dall’interno o dall’esterno. Aggiunge che non avrebbe nulla in contrario a rinviare ad una legge le norme sull’organizzazione del controllo.

PRESIDENTE, integrando opportunamente l’ordine del giorno Perassi, pensa che si potrebbe trovare un’intesa su questa base: controllo di legittimità su tutti gli atti amministrativi della Regione e controllo di merito su atti particolari, tassativamente indicati in base all’entità degli impegni che essi comportano; controllo da esplicarsi da organi in maggioranza elettivi, di carattere o emanazione nazionale, nei modi e nei limiti stabiliti da una legge costituzionale.

BOZZI fa presente la necessità di chiarire se i membri in maggioranza elettivi dell’organo di controllo debbano essere eletti dalla Regione; e se il potere dell’organo che esercita il controllo di merito sia tale da porre un arresto al provvedimento.

TARGETTI prospetta l’opportunità che, contemporaneamente all’accoglimento del concetto del controllo di merito, se ne indichino anche i limiti, perché, approvando la Sottocommissione l’estensione pura e semplice del controllo anche al merito, con intesa di stabilire con successive votazioni la delimitazione dei confini entro i quali tale controllo si esplica o il rinvio di tale delimitazione ad una legge speciale, si corre il rischio che, non raggiungendosi la maggioranza in tali votazioni, la norma rimanga limitata ad una generica affermazione dell’estensione del controllo anche al merito.

PRESIDENTE ricorda che due proposte sono state presentate per definire il modo in cui il controllo di merito deve esercitarsi. Anzitutto vi è quella Mortati, secondo la quale il controllo di merito deve aver luogo nei casi in cui la Regione faccia richiesta di un contributo a carico del fondo di solidarietà regionale.

MORTATI, a proposito della sua proposta, osserva che egli fa distinzione fra controllo di merito interno della Regione e controllo da parte di organi superiori, cioè dello Stato, che dovrebbe aver luogo appunto quando si avesse una richiesta di contributo a carico del fondo di solidarietà.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Mortati che, dalla lettura del primo comma del suo emendamento, non risulta che gli organi interni della Regione possano esercitare anche il controllo di merito.

MORTATI risponde che, con l’espressione «…sarà esercitato, di norma, soltanto il controllo di legittimità», intendeva significare che eccezionalmente tali organi possano esercitare anche il controllo di merito.

Ad ogni modo, per chiarire meglio il concetto, non ha nulla in contrario ad aggiungere alla fine del comma il seguente periodo:

«I casi in cui eccezionalmente si potrà far luogo a controllo interno di merito saranno considerati da apposita legge».

PRESIDENTE ricorda poi la proposta dell’onorevole Bozzi, il quale suggerisce che il controllo di merito si traduca in pratica in una forma non vincolante di parere. Osserva che da ciò consegue che, se l’organo che ha proceduto alla deliberazione non ritiene di prendere in considerazione il parere negativo dell’organo di controllo e non procede egli stesso all’annullamento della deliberazione, questa sarà sempre valida.

LAMI STARNUTI domanda all’onorevole Bozzi se consente a trasformare la sua formula nella seguente, che raccoglie l’adesione anche dei colleghi Targetti, Bocconi e Rossi:

«Per le deliberazioni amministrative sottoposte dalla legge a controllo di merito, l’organo di tutela ha soltanto facoltà di chiedere al Consiglio dell’ente deliberante, con istanza motivata, il riesame della deliberazione».

BOZZI dichiara di accettare la dizione proposta dall’onorevole Lami Starnuti, osservando che il suo concetto è quello di istituire un organo che collabori a questo scopo con la Regione ed il cui parere non sia vincolante per la Regione stessa.

PERASSI osserva che questo meccanismo presuppone che si conosca qual è l’organo che esercita questo controllo, se cioè si tratti di un organo interno od esterno alla Regione.

NOBILE rileva che si tratterebbe di un organo consultivo e non di controllo.

LUSSU non può aderire alla proposta degli onorevoli Bozzi e Lami Starnuti perché, a suo parere, l’unico organo che può esercitare un controllo efficace è l’Assemblea regionale, alla quale non si può negare fiducia, così come, su un piano più alto, non si nega fiducia al potere di controllo del Parlamento.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Bozzi-Lami Starnuti nella formulazione poc’anzi enunciata dall’onorevole Lami Starnuti.

(Non è approvata).

Fa presente che si tratta ora di decidere se l’organo di controllo debba essere interno od esterno.

NOBILE ritiene che debba essere esterno.

LUSSU è di parere opposto a quello dell’onorevole Nobile.

PRESIDENTE mette ai voti il concetto che l’organo di controllo debba essere interno.

(Non è approvato).

Mette ai voti il concetto opposto, cioè che l’organo di controllo debba essere esterno.

(È approvato).

Fa presente che ora si tratta di decidere se vi debba essere un controllo di merito su una parte degli atti della Regione.

Osserva in proposito che praticamente l’organo che esercita il controllo di merito si sostituisce all’organo deliberante in quanto la sua decisione può modificare quella dell’organo deliberante stesso.

FABBRI osserva che, a suo avviso, l’organo di controllo o approva o disapprova l’atto della Regione, ma non si sostituisce ad essa.

CODACCI PISANELLI si associa alla considerazione dell’onorevole Fabbri, in quanto è anch’egli del parere che non vi sia una sostituzione della volontà del controllante alla volontà del controllato.

PRESIDENTE chiarisce che si tratta soltanto di una sostituzione di fatto.

LACONI spiega che la parola «sostituzione» non va intesa nel senso che l’organo di controllo si sostituisca all’organo deliberante integrando, o modificando e dando forza esecutiva al provvedimento; bensì nel senso che la volontà dell’organo superiore prevale su quella dell’organo inferiore, non approvando l’atto, lo annulla; ma niente impedisce alla Regione di modificare l’atto non approvato e di ripresentarlo una seconda volta.

TOSATO riconosce che, in pura teoria, l’organo che controlla sul merito non si sostituisce all’organo attivo; ma in pratica si hanno sempre delle approvazioni condizionate. Si associa perciò a quanto è stato detto dal Presidente.

Desidera anche far presente, prima che si proceda alla votazione, l’estrema contradizione che risulterebbe da un eventuale risultato positivo di essa, perché, contrariamente a quanto si è stabilito negli articoli precedentemente approvati circa la potestà legislativa della Regione, si ammetterebbe ora il controllo di merito sugli atti amministrativi della Regione stessa.

TARGETTI si associa all’osservazione dell’onorevole Tosato.

NOBILE domanda che la votazione abbia luogo per appello nominale.

PRESIDENTE pone ai voti per appello nominale il concetto di «controllo di merito nel senso testé chiarito dall’onorevole Tosato.

Rispondono sì: Bocconi, Bulloni, Codacci Pisanelli, Fabbri, Farini, Grieco, Laconi, Nobile, Ravagnan, Terracini.

Rispondono no: Bordon, Bozzi, Conti, Di Giovanni, Lami Starnuti, Lussu, Mannironi, Mortati, Perassi, Tosato, Uberti.

Si astengono: Rossi, Targetti.

(Con 10 voti favorevoli, 11 contrari e 2 astensioni, non è approvato).

Fa presente che l’esito della votazione ha stabilito che non vi sarà controllo in merito.

TOSATO, dato l’esito della votazione, prospetta l’opportunità di prendere nuovamente in esame la proposta presentata dagli onorevoli Bozzi e Lami Starnuti.

MORTATI osserva che in tal modo si abbandonerebbe la tesi del controllo sostitutivo per accedere a quella del controllo consultivo.

FABBRI fa le sue riserve circa la teoria del controllo sostitutivo.

PRESIDENTE spiega che in pratica la deliberazione, presa dalla Deputazione regionale e non approvata dall’organo di controllo, non è applicabile.

FABBRI replica che non è applicabile finché non verrà modificata.

PRESIDENTE fa notare che, in tal caso, si tratterà di una nuova deliberazione, diversa dalla prima che non esiste più; quindi la volontà dell’organo di controllo si è sostituita a quella dell’organo deliberante.

LAMI STARNUTI ricorda all’onorevole Fabbri che non è mai accaduto nel nostro sistema amministrativo che l’organo controllante abbia omesso di accompagnare l’atto respinto con le proprie osservazioni in contrario.

PRESIDENTE riassume la discussione ed illustra la proposta fatta dall’onorevole Tosato, il quale, domandando la ripresa in esame della formula Bozzi-Lami Starnuti, mira a sostituire l’introduzione del controllo sul merito – a cui la Commissione non è stata favorevole – con una forma di consultazione non vincolante sulle questioni di merito, così come la formula Bozzi-Lami Starnuti proponeva.

Pone ai voti la proposta Tosato di tornare sulla proposta Bozzi-Lami Starnuti.

(È approvata).

DI GIOVANNI fa presente che, essendo stato dalla Sottocommissione respinto il concetto del controllo di merito, tale espressione non ha più ragion d’essere nella formula Bozzi-Lami Starnuti.

FABBRI aggiunge che l’organo di tutela non esiste e quindi sarebbe opportuno modificare in tal senso la proposta.

TARGETTI direbbe in fine «il riesame nel merito della deliberazione».

BOZZI, invece di «Consiglio dell’ente deliberante», direbbe più genericamente «all’autorità deliberante».

PRESIDENTE dà lettura della proposta Bozzi-Lami Starnuti, così come risulta formulata tenendo presenti i suggerimenti fatti dai colleghi:

«Per le deliberazioni amministrative indicate dalla legge, l’organo di vigilanza ha facoltà di chiedere all’autorità deliberante, con istanza motivata, il riesame nel merito della deliberazione».

FABBRI vi è contrario, perché ritiene che tale istituto inadeguato all’importanza dell’organo deliberante snaturerebbe il concetto dell’esame di merito.

PRESIDENTE vi è pure contrario e si riserva di presentare in sede opportuna una proposta sul controllo di merito.

NOBILE si associa al Presidente.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Bozzi-Lami Starnuti di cui ha testé dato lettura.

(Con 11 noti favorevoli e 11 contrari, non è approvata).

Dato l’esito della votazione, osserva che la conclusione a cui si è giunti è che esiste soltanto un controllo di legittimità su tutti gli atti della Regione.

PERASSI dichiara che, votando a favore del controllo di legittimità, non intendeva affermare il principio che ogni atto amministrativo della Regione debba essere sottoposto ad un controllo esterno di legittimità. Ritiene che lo stabilire quali atti debbano essere soggetti a tale controllo sia una questione da esaminare e da risolvere con una legge nazionale o regionale.

CODACCI PISANELLI propone la formula seguente: «Su tutti gli atti amministrativi regionali, salvo quelli che saranno esonerati dalla legge…», facendo presente l’opportunità di non riferirsi ogni volta alla legge costituzionale, per evitare che – procedendosi in materia amministrativa molto spesso a modificazioni – si abbia un’inflazione di leggi costituzionali.

LACONI propone la seguente dizione nel primo comma dell’articolo 19:

«Sugli atti delle Regioni sarà esercitato il controllo di legittimità nei casi preveduti dalla legge».

CODACCI PISANELLI aderisce a questa formula.

BOZZI vi è anch’egli favorevole.

PRESIDENTE pone ai voti la formula proposta dall’onorevole Laconi.

(È approvata).

Apre ora la discussione sul terzo e quarto comma del progetto, concernenti il referendum popolare.

LUSSU fa presente che il referendum non è un vero e proprio controllo di merito, ma una forma che molto gli si avvicina e che costituisce una ottima garanzia. Aggiunge che il fatto di non aver ammesso il controllo di merito non deve far sì che ora si escluda il referendum, per mezzo del quale è data agli interessati la possibilità di esprimere il loro pensiero.

PERASSI osserva che il fatto che il referendum sia stato compreso nell’articolo 19 del progetto e sia stato quindi collocato insieme con la questione del controllo di merito, che la Sottocommissione non ha accolto, non deve far ritenere che anche di esso non si debba più parlare. Dichiara invece che la questione del referendum rimane impregiudicata e dovrà essere esaminata e risolta in sede appropriata.

BOZZI concorda con l’onorevole Perassi nel ritenere che il referendum non possa sostituire il controllo di merito e debba quindi essere considerato a parte.

PRESIDENTE crede che il fatto di comprendere il referendum nel medesimo articolo che concerne i controlli non possa affatto pregiudicare la questione. Del resto, pur riconoscendo che il referendum non è un controllo necessario, rileva che esso può essere considerato tale in talune circostanze, affinché l’atto raggiunga la sua piena validità (nel qual caso si può concepire il referendum come il momento della perfezione dell’atto, in quanto implica l’intervento di una volontà esterna). Fa inoltre presente che v’è un punto di contatto fra controllo e referendum nella procedura degli organi della Regione, nella quale è previsto l’intervento di qualche cosa che è al di fuori degli organi stessi, come la volontà dei cittadini o il controllo di legittimità. Non avrebbe quindi difficoltà a vedere disciplinato il referendum nell’articolo 19.

PERASSI, premesso che il referendum si può concepire secondo l’esperienza svizzera, o come concorso necessario alla formazione di un atto o come concorso facoltativo (come nel caso in discussione), è del parere che in questa sede si possa approvare il principio del referendum, salvo a regolare negli Statuti regionali le materie per le quali debba farsi luogo ad esso, sia nella forma obbligatoria che in quella facoltativa.

PRESIDENTE concorda sull’opportunità che la Sottocommissione approvi il concetto informatore del referendum e suggerisce la seguente formulazione:

«Quando il Corpo deliberante lo decida o quando venga richiesto da un ventesimo degli elettori, le deliberazioni (e con questa parola intende riferirsi a decisioni già adottate e quindi si indica il referendum come atto a posteriori) devono essere sottoposte a referendum nei casi indicati dallo Statuto».

La seduta termina alle 13.

Erano presenti: Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti.

In congedo: Ambrosini, Einaudi.

Assenti: Cappi, De Michele, Fuschini, Patricolo, Piccioni, Porzio, Vanoni, Zuccarini.

GIOVEDÌ 12 DICEMBRE 1946 (Seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

3.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 12 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Potere giudiziario (Seguito della discussione)

Presidente – Leone Giovanni, Relatore – Bozzi – Calamandrei, Relatore – Targetti – Uberti – Ravagnan – Mannironi – Castiglia, Relatore – Di Giovanni – Laconi – Cappi – Bulloni.

La seduta comincia alle 9.

Seguito della discussione sul potere giudiziario.

PRESIDENTE ricorda che la Sezione aveva stabilito di procedere ad un esame degli articoli proposti, al fine anche di precisare quale di essi si ritenesse opportuno rinviare ad altre Sottocommissioni per la loro migliore collocazione nella Costituzione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone di iniziare l’esame degli articoli 18, 24, 26, 23 e 25 della relazione Patricolo, perché ritiene che potrebbero essere rinviati ad altra Sottocommissione.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 18:

«Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla giustizia».

LEONE GIOVANNI, Relatore, fa rilevare che questo articolo corrisponde all’articolo 16 del suo progetto: «Nessun divieto o limite può essere posto all’esercizio del diritto di agire in sede giudiziaria».

BOZZI obietta che questo articolo non tratta precisamente della stessa cosa, per quanto sia connesso con l’ultimo comma dell’articolo 15 del progetto Calamandrei: «Nessuna autorizzazione è necessaria per agire in via civile o in via penale contro i pubblici funzionari per responsabilità assunte nell’esercizio delle loro funzioni». A suo avviso, l’articolo 16 dell’onorevole Leone potrebbe essere aggiunto come secondo comma dell’articolo 18 in discussione.

Afferma che tutte le restrizioni attualmente vigenti devono cadere, come quella, ad esempio, che vieta di procedere nei confronti degli agenti di pubblica sicurezza secondo il Codice penale senza una speciale autorizzazione dell’autorità.

LEONE GIOVANNI, Relatore, pensa che il concetto ispiratore dell’articolo in discussione e del corrispondente articolo dell’onorevole Calamandrei non sia precisamente quello al quale è informato il suo articolo 16. Egli era preoccupato dal timore che in sede processuale si potesse eludere questa eguaglianza di carattere sostanziale, stabilendo nella legge processuale dei limiti all’esercizio di determinate azioni.

L’onorevole Bozzi indicava un altro concetto, pure apprezzabile: quello di impedire che vengano poste delle condizioni alla procedibilità, nei riguardi di certe categorie di persone, come è appunto il caso degli appartenenti alla pubblica sicurezza, in quanto oggi lo Stato può impedire che la giustizia abbia il suo corso nei confronti di determinale persone.

Propone di fondere i due concetti nello stesso articolo, formandone due commi distinti. L’articolo così formulalo dovrebbe trovar posto nella prima parte della Costituzione, dove si statuisce sui diritti del cittadino. Nella parte invece che definisce il potere giudiziario occorre limitare le disposizioni a quanto concerne il complesso delle funzioni con le quali tale potere si esercita, infatti nella sua relazione vi è un paragrafo in cui si fissano le garanzie giurisdizionali per il cittadino.

CALAMANDREI, Relatore, è favorevole alla inserzione, fra i diritti del cittadino, di una norma corrispondente all’articolo 18 del progetto Patricolo, quantunque ritenga che questa norma sia già compresa in quella votata dalla prima Sottocommissione e che afferma che «tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge» e quindi, a fortiori, di fronte alla giustizia, attraverso la quale la legge si applica.

Nulla in contrario, quindi, a che si menzioni questa eguaglianza anche nei confronti dei giudici; ma tiene a far rilevare quale sia la portata pratica di questo principio: se si vuol dire che sono vietate le giurisdizioni speciali o straordinarie, v’è, a questo proposito, la norma nella parte che si riferisce all’ordinamento giudiziario. Quanto ai rapporti tra potere giudiziario e potere amministrativo, la relativa norma dovrebbe essere collocata dopo quelle che si riferiscono alla formulazione generale attinente al potere giudiziario. Ma vi sono giurisdizioni che non rientrano in quelle ricordate, e questo è il caso delle giurisdizioni ecclesiastiche. In materia matrimoniale il fatto che certi cittadini, per chiedere l’annullamento del matrimonio, debbano adire non i Tribunali dello Stato, ma quelli della Chiesa, ed altri possano invece adire i Tribunali dello Stato, costituisce una norma che va contro il principio della eguaglianza dei cittadini di fronte alla giustizia, in quanto pone due giustizie, quella ecclesiastica e quella civile, aperte ai cittadini.

Pur dichiarandosi favorevole a tale principio, invita i colleghi a ben ponderare la portala di questi articoli.

TARGETTI ritiene opportuno, prima di iniziare la discussione di merito sui problemi indicati, che la Sezione si metta d’accordo su un principio generale, cioè sulla necessità che la Costituzione comprenda anche in questa parte un numero di articoli molto minore di quelli presentati, limitandosi a quello che è strettamente attinente all’esercizio della funzione giurisdizionale. I progetti in discussione, invece, contengono molte norme che troveranno la loro più corretta collocazione, o nel Codice penale, o nella legge sull’ordinamento giudiziario.

PRESIDENTE fa rilevare che è appunto questa discriminazione il fine da raggiungere con la delibazione degli articoli presentati.

BOZZI trova esatto quanto dice l’onorevole Targetti; le norme della Costituzione riguardanti il potere giudiziario debbono essere limitate; ma la discussione ha lo scopo di giungere ad una discriminazione fra quello che va inserito nella parte generale e quello che deve trovar posto nelle disposizioni che la Sezione è chiamata a preparare. Ma anche degli articoli che si intende rinviare al Comitato di redazione è opportuno procedere ad una formulazione concreta.

TARGETTI osserva che, per giungere ad una formulazione concreta, occorre discutere sul merito, mentre la discussione dovrebbe essere riservata soltanto a quegli articoli che riflettono la materia assegnata alla Sezione.

PRESIDENTE conviene con l’onorevole Targetti, ma fa osservare che, per guadagnare tempo, è opportuno considerare il contenuto degli articoli per poterne definire la relativa collocazione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, fa rilevare che l’onorevole Targetti ha sollevato due questioni: una di impostazione generale delle norme sul potere giudiziario, delle quali vorrebbe ridurre il numero, e l’altra su quelle norme che dovrebbero essere di pertinenza di altre Sottocommissioni. Poiché si ha notizia di norme elaborate e approvate da altre Sottocommissioni, di queste è inutile ripetere l’esame, ma ove se ne manifesti un profilo nuovo, è doveroso segnalarlo a quelle Sottocommissioni.

Alcuni degli articoli dei progetti riferentisi al potere giudiziario potranno cadere, ma non va dimenticato che a questo tema va data la maggiore estensione, perché la Magistratura ne aspetta una formulazione completa. Se, in definitiva, si elaborerà una Costituzione alquanto diffusa, non sarà un male, perché fissare un principio lasciandone alla legge la disciplina, data la rigidità della Costituzione, può diventare inutile, in quanto sarà facile, con la legge, eluderlo. Quindi preferirebbe che, norma per norma, fosse stabilito quali saranno lasciate fuori della Costituzione e rinviate alla legge sull’ordinamento giudiziario.

CALAMANDREI, Relatore, riterrebbe opportuno cominciare l’esame degli articoli senza indugiarsi in una discussione sui criteri da seguire.

TARGETTI aggiunge che il dissenso può nascere sulla sorte che si vuol riservare a questi articoli; di questo la Sezione non dovrebbe occuparsi, perché il fatto di rinviarli ad una Sottocommissione non implica un giudizio sulla materia.

UBERTI, per evitare che questa discussione si prolunghi, propone che, di tutti gli articoli proposti, si esaminino quelli che riguardano l’organizzazione del potere giudiziario, e si trascurino gli altri che trattano materie non sottoposte all’esame della Sezione.

RAVAGNAN si associa a quanto hanno detto il Presidente e il Relatore. Fa presente che forse la Costituzione, nella sua parte riguardante il potere giudiziario, condurrà alla riforma dei Codici, e allora occorrerà preoccuparsi che il futuro legislatore trovi delle indicazioni precise sulla via da seguire.

MANNIRONI ritiene che molte delle norme fissate negli articoli progettali troverebbero il loro posto più adatto nei Codici.

BOZZI, per riunire in un’unica disposizione i due principî, che tutti i cittadini sono eguali dinanzi alla legge, e che i cittadini, per far valere i loro diritti, non hanno bisogno di eventuali autorizzazioni, propone di formulare con gli articoli 16 della relazione Leone, 18 della relazione Patricolo e ultimo comma dell’articolo 15 della relazione Calamandrei, un solo articolo così concepito:

«Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge e possono far valere i loro diritti o interessi innanzi ai Tribunali senza limitazioni o speciali autorizzazioni».

LEONE GIOVANNI, Relatore, accetta l’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi.

Poiché nell’articolo dell’onorevole Calamandrei si afferma un principio che risponde d’una esigenza di carattere morale ed anche economico nei rapporti tra cittadino e giustizia, crede che lo si potrebbe riportare nell’articolo in discussione.

CALAMANDREI, Relatore, è favorevole all’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi. Quanto alla proposta relativa all’articolo 15 del suo progetto fatta dall’onorevole Leone, preferirebbe che se ne discutesse al momento opportuno, perché ha dei riferimenti alla tutela giudiziaria e al potere amministrativo.

TARGETTI è contrario all’emendamento Bozzi, perché pensa che là dove si tratta del potere giudiziario non dovrebbero essere fissate norme ad esso estranee.

BOZZI fa osservare che l’articolo da lui proposto dovrà essere rinviato ad altra Sottocommissione.

TARGETTI si dichiara contrario anche a questo.

CASTIGLIA, Relatore, è favorevole all’emendamento proposto.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone che si voti l’articolo proposto e lo si trasmetta poi alla Presidenza, che dovrà decidere a quale Sottocommissione dovrà essere rinviato.

TARGETTI si chiede come si possa approvare una norma che dovrebbe essere poi trasmessa ad altra Sottocommissione affinché la introduca nella Costituzione.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Targetti che la Sezione è una Commissione di studio.

Pone ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi.

UBERTI dichiara che voterà contro, perché non ritiene che riguardi materia costituzionale.

(È approvato).

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 24 del progetto Patricolo.

«Un fatto di natura esclusivamente politica non può costituire reato. Il movente politico non esclude il reato comune, ma non può costituire aggravante».

CALAMANDREI, Relatore, propone che sugli articoli 23, 24, 25 e 26 del progetto Patricolo e sull’articolo 9 del suo progetto sia fatta un’unica discussione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, teme che una siffatta discussione possa riuscire disordinata.

DI GIOVANNI osserva che il contenuto degli articoli citati rientra nel campo penale.

PRESIDENTE risponde che, poiché gli articoli sono stati formulati, debbono pur essere esaminati.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ricorda che quanto è stabilito negli articoli dal 23 al 26 del progetto Patricolo, ai quali corrisponde l’articolo 9 del progetto Calamandrei, è stato già deciso dalla prima Sottocommissione.

Pensa che si potrebbe pregare il Presidente di passare questi articoli alla Commissione, affinché siano sottoposti al Comitato di coordinamento.

CALAMANDREI, Relatore, fa rilevare che anche se la materia è stata già esaminata dalla prima e dalla terza Sottocommissione, è compito della Sezione, prima di inviarla al Comitato di redazione, di cercarne la migliore formulazione, per contribuire ad accelerare il lavoro.

BOZZI osserva che l’onorevole Targetti ha sollevato una questione sostanziale quando ha detto che si tratta di materia che non può entrare nella Costituzione. Recenti esperienze, però, dimostrano che è necessario inserire questi principî nella Costituzione.

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 23 del progetto Patricolo:

«Il cittadino non può esser punito per un fatto che nel tempo in cui fu commesso non era espressamente considerato dalla legge come reato»; e sulla prima parte dell’articolo 9 del progetto Calamandrei:

 

«Irretroattività della legge penale:

abolizione della pena di morte».

 

«Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge vigente al tempo in cui è stato commesso, né con pene che non siano da essa stabilite; nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato».

LEONE GIOVANNI, Relatore, è favorevole alla formula dell’on. Calamandrei e pensa che possa essere approvata perché più completa.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo 9 del progetto Calamandrei.

(È approvata).

Mette ai voti il suo rinvio al Comitato di redazione.

(È approvato).

Apre la discussione sul capoverso dell’articolo 9 del progetto Calamandrei:

«La pena di morte è abolita, e non potrà essere ristabilita neanche per legge, all’infuori dei casi in cui sia dichiarato lo stato di pericolo pubblico o lo stato di guerra, secondo le disposizioni della presente Costituzione»;

e sull’articolo 25 del progetto Patricolo:

«Nessun cittadino può essere punito con la pena capitale, se non durante lo stato di guerra e quegli stati di emergenza nei quali vige la legge marziale».

LEONE GIOVANNI, Relatore, premette che è stato sempre contrario alla pena di morte, ma pensa che occorra preoccuparsi, specialmente in un periodo come l’attuale, di un dopoguerra non ancora in via di sistemazione, della possibilità che lo Stato debba aver bisogno di ricorrere a quella sanzione per gravissime forme di delitti. Tanto questo è vero che, nonostante che con la legge Tupini sia stata abolita la pena di morte, per certe forme di delitti si è dovuto prevederne il ripristino. L’ambiente sociale non è ancora normalizzato e non si può impedire allo Stato di applicare tale sanzione per certe forme di delitto.

Propone quindi che sia dato allo Stato il potere di adottare, in casi eccezionali, la pena di morte, mediante legge votata a maggioranza parlamentare qualificata, in modo che non si debba eventualmente procedere ad una revisione della Costituzione. È inoltre d’avviso di inserire una norma transitoria, con validità retroattiva, diretta ad instaurare una forma straordinaria di impugnazione per le sentenze emanate da quelle giurisdizioni speciali o straordinarie attualmente esistenti e disciplinate senza alcun controllo della Corte di Cassazione.

LACONI è d’opinione che la Sezione dovrebbe approvare una formulazione più semplice, ad esempio: «La pena di morte è abolita», in modo da evitare una discussione dettagliata sulla materia. Le riserve dell’onorevole Leone potrebbero poi essere presentate in altra sede.

DI GIOVANNI si dichiara contrario a tale compromesso, ritenendo che la Sezione debba approvare una formula completa, analoga a quella proposta dall’onorevole Calamandrei. Non aderisce, inoltre, alle idee dell’onorevole Leone in quanto, se si lasciasse al potere esecutivo la facoltà di applicare, con una qualsiasi procedura, la pena di morte, il principio della sua abolizione sarebbe praticamente reso inutile.

CAPPI, premettendo di essere favorevole alla abolizione della pena di morte, chiede all’onorevole Calamandrei a quali disposizioni della Costituzione egli intenda riferirsi nell’ultima parte dell’articolo 9 da lui proposto.

CALAMANDREI, Relatore, risponde che nella Costituzione dovranno evidentemente essere contemplate norme relative allo stato di guerra e di pericolo pubblico, così come lo sono nelle altre Costituzioni.

CAPPI fa osservare che, con ciò, si subordina l’esistenza della pena di morte a norme che devono ancora essere sancite nella Costituzione.

MANNIRONI ritiene che si debba approvare un testo di articolo compiutamente formulato, salvo a introdurre poi, come disposizione transitoria, la proposta dell’onorevole Leone.

Dichiara di preferire, all’articolo proposto dall’onorevole Calamandrei, quello dell’onorevole Patricolo che, in luogo della dizione vaga ed imprecisa «in caso di pericolo pubblico o di stato di guerra secondo le disposizioni della presente Costituzione», parla espressamente di stato di guerra e stati di emergenza nei quali vige la legge marziale.

BOZZI fa notare che la dizione Patricolo non ha carattere tecnico giuridico e, di conseguenza, non potrebbe essere inserita nella Costituzione; mentre quella di Calamandrei esprime un concetto squisitamente giuridico. Ricorda che, in determinati casi e per particolari circostanze, deve essere proclamato nel territorio dello Stato o di una Regione lo stato di pericolo pubblico; e allora si determinano vincoli e imposizioni e può rendersi necessaria l’applicazione della pena di morte.

Concordando con quanto ha detto l’onorevole Leone, dichiara che, pur essendo contrario alla pena di morte, perché la pena deve essere prevalentemente educativa, pensa che questa possa essere adottata in casi eccezionali, oltre a quelli previsti dall’onorevole Calamandrei, con una legge votata a maggioranza qualificata. In tal modo si avrebbe la massima garanzia nei riguardi del legislatore e verrebbe tolta allo Stato la possibilità di ricorrere alla dichiarazione di pericolo pubblico al fine di applicare la pena di morte.

BULLONI è favorevole alla formulazione Calamandrei, essendo d’avviso che si debba sancire senza riserve l’abolizione della pena di morte, per non indebolire la solennità dell’affermazione stessa.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Leone ha presentato il seguente emendamento: «La pena di morte potrà essere statuita solo con legge votata a maggioranza qualificata (da stabilirsi), tranne che per i reati politici».

CASTIGLIA, Relatore, è favorevole all’emendamento Leone, ma ritiene che debba essere coordinato con il capoverso dell’articolo 9 Calamandrei. Rileva tuttavia che la frase riguardante i reati politici potrebbe prestarsi ad interpretazioni opposte.

LEONE GIOVANNI, Relatore, fa osservare che la sua formula tende a semplificare in concreto la procedura per stabilire, in casi eccezionali, la pena di morte, senza dover ricorrere a modifiche della Costituzione; ma lascia, nello stesso tempo, al principio dell’abolizione della pena di morte la solennità voluta da tutti.

Ritenendo giusta l’osservazione dell’onorevole Castiglia, dichiara di modificare l’emendamento nel modo seguente: «La pena di morte potrà essere stabilita solo con legge votata a maggioranza qualificata (da stabilirsi) e in nessun caso per reati politici».

PRESIDENTE pone anzitutto in votazione la frase:

«La pena di morte è abolita».

(È approvata).

LEONE GIOVANNI, Relatore, chiede che sia consacrato a verbale che egli ha votato favorevolmente.

MANNIRONI domanda se l’emendamento Leone si debba intendere come sostitutivo o aggiuntivo dell’articolo Calamandrei.

LEONE GIOVANNI, Relatore, riconoscendo necessarie le due eccezioni previste dall’onorevole Calamandrei, ritiene che il suo emendamento debba considerarsi aggiuntivo.

PRESIDENTE, data la precisazione dell’onorevole Leone, pone in votazione il seguito dell’articolo Calamandrei:

«e non potrà essere ristabilita neanche per legge, all’infuori dei casi in cui sia dichiarato lo stato di pericolo pubblico o lo stato di guerra, secondo le disposizioni della presente Costituzione».

(È approvato).

Pone in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Leone:

«La pena di morte potrà essere ristabilita solo con legge votata a maggioranza qualificata (da stabilirsi) e in nessun caso per reati politici».

UBERTI dichiara di votare contro, perché contrario ad introdurre nella Costituzione qualsiasi norma tendente al ristabilimento della pena di morte.

TARGETT1 si asterrà dalla votazione per i motivi già indicati e in particolare perché ritiene che l’argomento del sistema delle pene e della pena di morte esuli completamente dalla materia in esame.

(Non è approvato).

LEONE GIOVANNI, Relatore, poiché la Sezione non ha creduto di accettare la sua proposta, chiede che il Presidente si faccia interprete, nel modo che riterrà più opportuno, presso il Governo affinché sia riveduta la legge istitutiva dei Tribunali militari straordinari, con la quale è stata ripristinata la pena di morte, senza possibilità di impugnativa neppure per difetto di giurisdizione. Ricorda in proposito che il Capo provvisorio dello Stato ha recentemente convertito in ergastolo la pena capitalo irrogata da uno di quei Tribunali, il che sta a dimostrare che la sua coscienza di giurista si è ribellata all’eccezionalità della procedura.

PRESIDENTE assicura l’onorevole Leone che, tramite il Presidente della Commissione per la Costituzione, farà pervenire al Governo la sua raccomandazione.

Pone quindi in votazione il rinvio dell’articolo approvato al Comitato di redazione.

(È approvato).

Apre la discussione sull’articolo 24 della relazione Patricolo:

«Un fatto di natura esclusivamente politica non può costituire reato.

«Il movente politico non esclude il reato comune, ma non può costituire aggravante».

CALAMANDREI, Relatore, si dichiara contrario ad includere tale articolo nella Costituzione.

BULLONI è d’accordo con l’onorevole Calamandrei.

CASTIGLIA, Relatore, sostituendo nelle funzioni di Relatore l’onorevole Patricolo, dichiara di ritirare l’articolo in discussione.

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 26 della relazione Patricolo:

«Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità della personalità umana».

Non essendovi osservazioni, lo pone ai voti, con l’intesa di rinviarlo al Comitato di redazione.

(È approvato).

Apre la discussione sull’articolo 10 della relazione Calamandrei:

«Risarcimento alle vittime

degli errori giudiziari».

«Lo Stato risarcirà i cittadini dei danni da essi risentiti per errori giudiziari o per delitti commessi dai funzionari giudiziari, nei limiti e con le modalità stabilite dalla legge».

BOZZI chiede che cosa si intenda per delitti commessi dai funzionari giudiziari.

CALAMANDREI, Relatore, risponde citando l’esempio di un giudice che si lasci corrompere nell’esercizio delle sue funzioni.

BOZZI fa osservare che tale genere di delitto è imputabile a qualsiasi funzionario che lo commetta.

DI GIOVANNI crede in questo caso si voglia affermare la responsabilità dello Stato verso i cittadini danneggiati da delitti commessi dai funzionari giudiziari.

BOZZI chiede allora che la discussione venga rinviata, essendo sua intenzione di proporre sull’argomento una formulazione più ampia, comprendente anche i fatti colposi.

LEONE GIOVANNI, Relatore, dichiara di approvare il principio innovativo dell’onorevole Calamandrei, che concede una riparazione alle vittime di errori giudiziari. Ritiene tuttavia che, dato che la prima Sottocommissione ha affermato in un articolo il principio della responsabilità dello Stato per i danni prodotti dai suoi funzionari, sia necessario rinviare la discussione per prendere visione della formula approvata e per ascoltare le proposte dell’onorevole Bozzi.

PRESIDENTE, accogliendo il desiderio espresso, rinvia la discussione sull’articolo 10, invitando l’onorevole Bozzi a riferire su di esso in una successiva seduta.

Apre la discussione sull’articolo 11 della relazione Calamandrei:

 

«Gratuità della giustizia».

«La giustizia è gratuita per i cittadini indigenti, nei limiti e con le modalità stabilite dalla legge.

«La produzione in giudizio di documenti e scritture a scopo probatorio non può essere assoggettata a restrizioni motivate da ragioni di carattere tributario».

BULLONI dichiara di essere d’accordo sul principio che la produzione in giudizio di documenti non sia sottoposta a restrizioni in sede penale; mentre in sede civile le norme restrittive dovrebbero sussistere per ragioni di carattere fiscale.

LEONE GIOVANNI, Relatore, è favorevole alla proposta Calamandrei, facendo presente che spesso l’orientamento della giustizia viene deviato dalla necessità delle parti di rinunciare alla presentazione di atti decisivi, per ragioni fiscali.

DI GIOVANNI concorda con quanto ha detto l’onorevole Leone, ricordando l’iniquità della disposizione per la quale in materia civile il magistrato non può tener conto dei documenti non regolarizzati dal punto di vista fiscale.

MANNIRONI dichiara di essere contrario al principio contenuto nel secondo comma, in quanto, se venisse applicato, il fisco ne subirebbe un grave danno. La legge non vieta alle parti di produrre in giudizio i documenti ritenuti necessari, ma prescrive che la parte che vuol far valere un diritto debba sottostare a determinati obblighi fiscali. Non ritiene che ciò sia così grave da giustificare il provvedimento proposto, che andrebbe contro l’interesse dello Stato, facendo anche presente che per gli indigenti esiste la legge sul gratuito patrocinio, che esenta anche dalla spesa di registrazione degli atti.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ribadendo la sua tesi, sostiene la necessità di togliere qualsiasi limite all’azione del magistrato nell’accertamento della verità. Non pensa che vi possa essere danno per il fisco, perché la produzione in giudizio di documenti esenti da bollo non impedisce che in sede di registrazione della sentenza si possano imporre obblighi fiscali.

La proposta Calamandrei tende ad evitare che le parti debbano sopportare a priori gravami fiscali, ed a lasciar loro la possibilità di presentare tutti quei documenti che possano interessare e facilitare lo svolgimento del processo.

PRESIDENTE pone ai voti il primo comma dell’articolo:

«La giustizia è gratuita per i cittadini indigenti nei limiti e con le modalità stabilite dalla legge».

(È approvato).

Pone in votazione il secondo comma:

«La produzione in giudizio di documenti e scritture a scopo probatorio non può essere assoggettata a restrizioni motivate da ragioni di carattere tributario».

MANNIRONI dichiara di votare contro, non ritenendo che la materia sia da inserire nella Costituzione.

BULLONI dichiara pure di votare contro per le ragioni esposte in precedenza.

(È approvato).

PRESIDENTE pone in votazione il rinvio dell’articolo approvato al Comitato di redazione.

(È approvato).

Apre la discussione sui primi due commi dell’articolo 15 della relazione Calamandrei:

«Divieto di limitazioni

alla tutela giurisdizionale».

«La tutela giurisdizionale, accordata in via generale dalla legge per tutti gli atti della pubblica amministrazione, non può neanche per legge essere soppressa o limitata per determinate categorie di atti.

«Nelle controversie di diritto tributario è abolita la limitazione per la quale gli atti di opposizione dei contribuenti non sono ammissibili in giudizio, se non preceduti dal pagamento del tributo».

BOZZI ritiene che il primo comma potrebbe essere aggiunto all’articolo, precedentemente approvato, sull’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

CALAMANDREI, Relatore, accetta questa proposta.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta dell’onorevole Bozzi.

(È approvata).

DI GIOVANNI ritiene che il seconda comma debba essere aggiunto all’articolo 11 della relazione Calamandrei, già approvato, riguardante la gratuità della giustizia.

LEONE GIOVANNI, Relatore, pensa che anche il secondo comma dovrebbe essere aggiunto all’articolo riguardante l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, in quanto applicazione dello stesso principio. In tal modo si avrebbe un articolo completo, che nella prima parte affermerebbe l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; nella seconda il divieto di limitazione della tutela giurisdizionale e nella terza il principio che nelle controversie in materia tributaria non è ammesso vincolo alcuno per gli atti di opposizione del contribuente.

Dichiara di essere favorevole ai principî espressi nel comma in discussione, ritenendo che l’imposizione da parte dello Stato del principio del solve et repete rappresenta un’ingiustizia, in quanto molto spesso i cittadini sono costretti a rinunciare al ricorso per l’impossibilità di pagare determinati tributi.

DI GIOVANNI si associa alla proposta Leone, rinunciando alla propria.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta dell’onorevole Leone di aggiungere il secondo comma in esame al primo articolo, approvato e inviato al Comitato di redazione.

(È approvata).

Avverte che, essendo esaurito l’esame degli articoli da rinviare al Comitato di redazione, si passerà alla discussione delle materie riguardanti specificatamente il potere giudiziario.

Apre quindi la discussione sull’articolo 1 del progetto Calamandrei:

«Statualità della giurisdizione;

intestazione delle sentenze».

«Il potere giudiziario appartiene esclusivamente allo Stato che lo esercita per mezzo di giudici indipendenti, istituiti e ordinati secondo le norme della presente Costituzione e della legge sull’ordinamento giudiziario. Le sentenze e gli altri provvedimenti dei giudici sono resi in nome della Repubblica».

BOZZI approva il principio, ma fa presente, per lealtà, che la formulazione potrebbe far sorgere dubbi (che, secondo lui, tuttavia, non avrebbero seria ragion d’essere) sulla validità, ad esempio, delle giurisdizioni non statali in materia matrimoniale o ecclesiastica.

LEONE GIOVANNI, Relatore, riconosce che la definizione della statualità della giurisdizione può correre il rischio segnalato dall’onorevole Bozzi. Per la giurisdizione ecclesiastica però non si richiede un giudizio di delibazione.

Si domanda se, ai fini dei rapporti internazionali derivanti dal Concordato e anche per altri rapporti internazionali, valga la pena di stabilire questo principio della statualità.

Quello che a lui sembra indispensabile è di definire il potere giudiziario c di stabilire, sia pure con una definizione approssimativa, quale è la funzione del potere giudiziario. Il dire semplicemente che appartiene esclusivamente allo Stato potrebbe far sorgere, nei non tecnici, il sospetto che dipenda dal potere esecutivo. Occorre quindi sganciare il concetto di potere giudiziario da quello di potere dello Stato, per non ingenerare confusione nel grosso pubblico. E ciò tanto più in quanto non sono stati ricollegati allo Stato gli altri due poteri. Propone pertanto che nella definizione che ne dà l’onorevole Calamandrei il potere giudiziario sia sganciato dal riferimento allo Stato.

BOZZI crede necessaria l’affermazione della statualità del potere giudiziario, tanto più in quanto si profila un ordinamento regionale. La giurisdizione emana dallo Stato, ed è bene affermarlo nella Costituzione.

CALAMANDREI, Relatore, prima di tutto propone di intitolare la parte della Costituzione che riguarda il potere giudiziario con l’espressione «Del potere giudiziario». Avverte poi che nell’articolo 1 si afferma il principio della statualità della giurisdizione, ma non si affronta il problema della definizione di quello che sia il potere giudiziario: la definizione è riservata all’articolo 2.

L’affermazione della statualità della giurisdizione esisteva già nello Statuto Albertino, che diceva: «La giustizia emana dal Re»; ed era stata introdotta nella Carta costituzionale per ragioni storiche, perché prima della Rivoluzione francese la giurisdizione veniva talvolta esercitata anche da enti o da corporazioni e le cariche giudiziarie avevano carattere patrimoniale. A fortiori è necessario affermare questo principio in un ordinamento che sarà fondato sulle autonomie regionali.

A questo punto si affacciano problemi di carattere contingente. Affermato questo principio, nascerà la questione se con esso siano conciliabili i vari casi di sentenze di cui si riconosce l’efficacia, per quanto emanate da autorità non statali. Poi il problema delle sentenze straniere nei giudizi di delibazione; il problema delle sentenze dei Tribunali ecclesiastici, che sono sottoposte per la trascrizione alla Corte di appello. Finora, nonostante che questo principio fosse già affermato nello Statuto, è stata data applicazione alle sentenze dei Tribunali ecclesiastici.

DI GIOVANNI dichiara di essere d’accordo nell’affermazione del principio, ma sostituirebbe all’espressione «appartiene allo Stato» la seguente: «è emanazione diretta della sovranità dello Stato».

Anche nel caso accennato dall’onorevole Leone, lo Stato afferma la propria sovranità attraverso il giudizio di delibazione.

CALAMANDREI, Relatore, alla parola «emanazione» preferirebbe l’altra: «manifestazione».

BOZZI propone che sia tolto l’avverbio «esclusivamente», perché gli sembra che diminuisca il valore dell’affermazione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, insiste nelle sue riserve circa la necessità e la opportunità di un’espressione che affermi l’appartenenza allo Stato del potere giudiziario. Agli onorevoli Bozzi e Calamandrei, i quali ritengono che l’affermazione di questo principio sia necessaria, poiché la nuova Costituzione pone le autonomie regionali, osserva che non v’è dubbio che il potere giudiziario debba essere dello Stato, ma non perciò occorre dirlo: la natura dell’istituto si ricava dalla sua disciplina e, quando nell’articolo che riguarda il potere giudiziario di regionalismo non si parla, resterà affermato tacitamente che il potere giudiziario non subisce influenze da parte di organizzazioni amministrative decentrate dello Stato.

Il secondo rilievo che si fa è che il principio della statualità era già affermato nello Statuto Albertino; ma a questo proposito fa rilevare che lo Statuto Albertino non era una Costituzione rigida, tanto che lentamente alcune sue disposizioni furono modificate o abrogate: quindi questo non è un argomento decisivo. A quale finalità si obbedisce stabilendo esplicitamente la statualità? Se è per precisare che si tratta di una emanazione dello Stato, ritiene che la parola «appartiene» sia la più esatta, e preferibile a «manifestazione». Ma, ripete, che si tratti di uno dei poteri dello Stato risulta dalla sua disciplina: è uno dei tre poteri tradizionali, attraverso i quali si afferma la sovranità dello Stato.

Più che stabilire questo principio, sarebbe conveniente definire la giurisdizione e stabilire la sua normale funzione, anche nei confronti dell’autorità esecutiva.

La seduta termina alle 11.

Erano presenti: Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Di Giovanni, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Interviene, in sostituzione dell’onorevole Patricolo, l’onorevole Castiglia.

Assenti: Ambrosini, Porzio.

MERCOLEDÌ 11 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

63.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 11 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Bozzi – Nobile – Bulloni – Tosato – Ravagnan – Mortati – Mannironi – Fabbri.

La seduta comincia alle 8.55.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE apre nuovamente la discussione, già iniziata, sull’articolo 19 del progetto, facendo presente l’opportunità, poiché in questo articolo sono riuniti problemi analoghi, ma pertinenti a diversi enti, di esaminare tali problemi partitamente.

BOZZI osserva che nei riguardi di questo problema, che è uno dei più interessanti che concernano la Regione, si sono manifestate due tendenze: la prima che mira a sottrarre nella maggior misura possibile gli enti pubblici, e le Regioni in particolare, al controllo; l’altra che ritiene invece che un controllo vi debba essere, sia pure in misura limitata.

Dopo aver ricordato che il regime fascista aveva esasperato il controllo statale, soffocando l’autarchia e l’autonomia degli enti comunali e provinciali, perché tale controllo – che sui Comuni e sulle Provincie era esercitato dall’organo burocratico statale, cioè dal Prefetto – non era soltanto di legittimità, ma anche di merito e, per determinate materie, era esercitato anche dalla Giunta provinciale amministrativa, dichiara di ritenere necessario il controllo per due ordini di considerazioni: per la natura di enti autarchici e autonomi insieme, riconosciuta tanto al Comune quanto alla Regione, e per la concezione dello Stato di diritto, che dev’essere riaffermata. Osserva in proposito che la nozione dell’autarchia e dell’autonomia importa – rispettivamente nel campo dell’amministrazione per l’autarchia e nel campo normativo per la autonomia – che questi enti pubblici abbiano una particolare capacità di regolare da sé i propri interessi, per il raggiungimento di fini che tuttavia non sono esclusivi loro, ma sono anche comuni allo Stato, o meglio rispetto ai quali lo Stato non è estraneo; ed aggiunge che la necessità di un controllo dipende anche dalla concezione dello stato di diritto, il quale importa, nell’interesse della generalità, una determinata sorveglianza affinché tutte le attività pubbliche siano conformi al diritto.

Distingue gli enti locali e i Comuni dalle Regioni, ed osserva che l’articolo 19 si è ispirato ad una direttiva, a suo parere, esatta: quella di stabilire alcuni principî fondamentali e di rinviare i dettagli alla legge. Riconosce infatti che questa materia, ampia, delicata e complessa, dovrà essere regolata da norme inserite nella legge comunale e regionale, ma ritiene che nella presente sede si debba esaminare il quesito se siano da inserire nella Costituzione disposizioni direttive, alle quali il futuro legislatore ordinario dovrà, nella materia di cui si discute, improntare la sua attività.

Dopo aver distinto il controllo di legittimità da quello di merito, osserva che opportunamente l’articolo 19 non ha posto alcuna limitazione al controllo di legittimità, il quale non deve dare preoccupazioni, perché l’organo controllante esprime in questo settore un giudizio puramente logico e svolge un’attività vincolata dalla legge, in quanto si limita ad esaminare se gli atti sottoposti al suo controllo sono o meno conformi alla legge; mentre nel controllo di merito si fa una valutazione dell’opportunità dell’atto, una valutazione più penetrante, nella quale l’organo di controllo può sostituirsi all’organo controllato e porre la sua valutazione discrezionale al posto di quella dell’organo controllato.

Dichiara di essere favorevole al mantenimento del controllo di legittimità; ed aggiunge che il titolare di questa attività di controllo deve essere un organo che rappresenti gli interessi comuni alla Regione e agli enti comunali, cioè un organo governativo.

Pone poi in evidenza la diversità esistente fra i Comuni e gli altri enti che vivono nella Regione, da un lato, e la Regione stessa dall’altro; e manifesta l’opinione che rispetto ai Comuni ed agli altri enti locali che vivono nella Regione, quella nozione dell’autarchia che è stata affermata e ribadita si atteggi in modo diverso da quella in cui si atteggia rispetto alle Regioni; perché, mentre rispetto alle Regioni l’autarchia si ha solo nei confronti dello Stato e vi è una comunanza di fini fra l’ente Regione e l’ente Stato, per i Comuni e per gli altri enti locali minori, che vivono nella Regione, questa comunanza di fini non si ha soltanto nei riguardi dello Stato, ma anche rispetto alla Regione; questi enti pubblici minori, infatti, devono svolgere la loro attività di amministrazione e la loro attività normativa in conformità ai fini pubblici che persegue l’ente Regione.

Alla domanda se il controllo che si deve esercitare sugli atti dei Comuni e degli altri enti pubblici che vivono nella Regione debba essere affidato allo stesso organo che esercita il controllo sugli atti della Regione risponde negativamente. Egli affiderebbe il controllo sull’attività pubblica dei Comuni e degli enti minori che vivono nella Regione ad un organo collegiale, eletto democraticamente in una maniera che si potrà studiare in seguito, il che costituirebbe veramente una forma nuova, di cui si potrebbe tentare l’esperimento e suscettibile di più larghi sviluppi e di più ampie applicazioni. Tale organo collegiale, presieduto da quello che è stato chiamato il Commissario del Governo per garantire la tutela dell’interesse statale, dovrebbe esercitare sempre un controllo di legittimità, ma potrebbe anche per talune materie, la cui determinazione si potrà affidare alla legge speciale, estendere la sua competenza anche al merito. Osserva, a questo proposito, che il controllo di merito per casi determinati e più rilevanti non dovrebbe destare quelle preoccupazioni che giustamente desta nel momento presente, in cui l’attività dei Comuni è imbrigliata e soffocata dal controllo di merito esercitato dal Prefetto, organo del centralismo statale; esso dovrebbe essere esercitato dalla Regione, alla quale deve stare a cuore che i Comuni e gli altri enti minori svolgano la loro attività in modo conforme agli interessi amministrativi e normativi della Regione stessa, per mezzo di un organo eletto democraticamente, che darebbe la garanzia che questo controllo sia veramente fatto nell’interesse della generalità.

Per quanto attiene alla Regione, è del parere che il controllo debba essere organizzato diversamente; e, al riguardo, si richiama a due ordini di attività, a suo avviso, importantissime.

Ricorda anzitutto che in base all’articolo 10 del progetto, i bilanci debbono essere portati all’esame ed all’approvazione dell’Assemblea regionale; ma è necessario che si faccia un esame e si eserciti un controllo – così come al centro oggi la Corte dei conti esercitava il controllo di legittimità, o meglio di legalità, sugli atti di gestione del bilancio – anche sugli atti di gestione del bilancio regionale e su tutti quegli atti che danno conto di come il pubblico denaro viene gestito. Ritiene che la forma più spiccata di garanzia, per assicurare la conformità dei singoli atti, consista in un esame preventivo, che si compia, cioè, prima che la violazione avvenga, perché la vera ragione d’essere dei controlli sta nella loro preventività rispetto all’esecuzione dell’atto. Prospetta quindi l’opportunità di fissare nella Costituzione l’istituzione di un organo di controllo sugli atti di gestione del bilancio della Regione, affinché i cittadini della Regione stessa siano sicuri che le somme che versano sono bene amministrate e spese secondo il piano esposto ed approvato nel bilancio.

Cita in secondo luogo un’altra categoria di attività normative, costituita dai regolamenti; e fa presente che, mentre per le leggi il progetto prevede varie cautele che giungono fino all’annullamento secondo una certa procedura, per i regolamenti ciò non è stato considerato e non si è stabilito alcun controllo.

Premesso che sulla potestà normativa dello Stato affidata al potere esecutivo è richiesto obbligatoriamente il parere del Consiglio di Stato, il che costituisce una forma di controllo sui regolamenti, osserva che per quanto riguarda la Regione i regolamenti non sono emanati dal potere esecutivo regionale, cioè dalla Deputazione, ma – e ciò costituisce già una forma di garanzia – dall’Assemblea regionale. Si domanda quali saranno i rimedi preventivi, o repressivi, nel caso che il regolamento superi i limiti propri dell’attività regolamentare. Può ricorrersi, come per le leggi, alla Corte costituzionale? Questo si vedrà in seguito; ma il ricorso, se pure sarà ammesso contro il regolamento violatore della legge, avrà carattere successivo, sarà determinato da un interesse individuale, in quanto l’applicazione del regolamento avrà avuto corso e il turbamento dell’ordinamento giuridico sarà avvenuto; e quindi il successivo annullamento determinerà una nuova scossa e quell’incertezza dell’ordinamento dei rapporti giuridici che è quanto di più deleterio si possa immaginare per una società civile.

Ritiene quindi necessario prevedere nella Costituzione una forma di controllo, sia pure attraverso il parere preventivo di un organo (che si determinerà in seguito) non solo sull’attività normativa esecutiva regolamentare, ma su tutto quel complesso di atti altrettanto importanti, come contratti di grande rilevanza, atti di regionalizzazione, ecc., per i quali sarà altrettanto necessario ed utile avere il parere ed il controllo di un organo.

A suo avviso, adunque, per i Comuni e per gli enti minori questo controllo dovrebbe essere esercitato da un organo collegiale, eletto democraticamente nelle forme che si stabiliranno poi. Per la Regione potrebbe essere esercitato per gli atti di gestione del bilancio da una Sezione della Corte dei conti (come è previsto nel regolamento dello Statuto siciliano); e per gli atti amministrativi regolamentari più importanti (che potranno essere determinati in seguito) questa funzione di controllo preventivo potrebbe essere demandata, attraverso l’imposizione di una richiesta di parere obbligatorio, ad una Sezione speciale del Consiglio di Stato. In tal modo si attuerebbe anche una forma di decentramento degli organi consultivi e di controllo speciali, salvo a vedere se a questi organi si debba affidare, come è previsto dall’articolo 20, anche una funzione giurisdizionale. Ricorda che l’onorevole Calamandrei, in seno alla Sezione che si occupa del potere giudiziario, ha proposto che le funzioni giurisdizionali, tanto del Consiglio di Stato quanto della Corte dei conti, siano soppresse e deferite alla autorità giudiziaria. Ritiene quindi che di questo tema non ci si possa occupare fino a quando quella Sezione non avrà fatto conoscere le proprie deliberazioni.

Concludendo, esprime parere favorevole alla linea di massima seguita dal progetto, cioè di fissare in questo articolo i principî fondamentali, rinviando la determinazione dei casi, le modalità e le ulteriori precisazioni alla legge, perché ritiene opportuno che fin d’ora siano fissate nell’atto costituzionale le direttive che il legislatore ordinario dovrà seguire.

Dichiara poi di essere d’accordo su quanto è proposto per il referendum, salvo a discutere sul numero delle persone che lo dovranno chiedere.

NOBILE propone un emendamento al secondo comma dell’articolo 19, così formulato: «Si farà luogo al controllo di merito limitatamente all’accertamento che l’atto non contrasti con gli interessi nazionali, oppure quando si tratti, ecc.».

Ritiene necessario che analogamente a quanto il progetto stabilisce per le leggi anche per gli atti compiuti dalla Regione si stabilisca una forma di controllo. Cita al riguardo numerosi esempi di atti e di regolamenti, che potrebbero essere formulati dalla Regione in modo tale da contrastare con l’interesse nazionale.

Dichiara di concordare con l’onorevole Bozzi sull’opportunità che il controllo debba precedere, e non seguire, il fatto compiuto e conclude che tale controllo preventivo deve essere esercitato dal Governo centrale o da un organo da questo dipendente.

BULLONI ritiene pleonastico l’emendamento proposto dall’onorevole Nobile, perché, una volta ammesso il controllo di legittimità, si deve supporre la conformità degli atti della Regione alle leggi, non potendosi pensare che siano stati emanati provvedimenti in contrasto con l’interesse nazionale, in relazione al quale l’onorevole Nobile vorrebbe introdurre il controllo di merito.

TOSATO ritiene fuori discussione che vi debba essere un controllo sulle attività delle Regioni e dei Comuni, sia dal punto della legittimità che da quello del merito. Tuttavia gli sembra che in questa materia occorra distinguere il controllo da effettuare sulle Regioni da quello che deve essere effettuato sopra i Comuni. L’onorevole Bozzi, nella sua esposizione, ha messo invece sullo stesso piano il controllo sulle Regioni e quello sui Comuni. Ora, se è esatto che, da un punto di vista generale, le Regioni, dovendosi considerare enti autarchici con manifestazioni di autonomia, si trovano sotto un certo profilo rispetto allo Stato in una posizione di subordinazione che giustifica un controllo, non si può tuttavia non tener conto del fatto che i caratteri dell’autonomia regionale e l’organizzazione data alle Regioni sono tali per cui in materia di controllo non si può assolutamente parificare la Regione al Comune.

La questione principale, perciò, non riguarda l’esistenza o meno del controllo, ma il soggetto del potere di controllo.

Per quanto concerne le Regioni, salvo per le manifestazioni più importanti, come l’attività legislativa per la quale è già stata approvata una determinata disciplina, il controllo sugli atti, a suo modo di vedere, dovrebbe essere di carattere interno, dovrebbe cioè emanare da organi facenti parte essenziale della stessa organizzazione delle Regioni.

Quindi se, in un certo senso, può accettare i suggerimenti dell’onorevole Bozzi circa la necessità di controlli, sia preventivi che consultivi, sulla gestione finanziaria, sui regolamenti e su certi contratti di particolare importanza per le Regioni, crede però che tale necessità potrebbe essere soddisfatta con la creazione nell’ambito regionale di particolari organi, sia di consulenza che di controllo. Si eviterebbe così il pericolo che, attraverso questa estensione di controlli e di partecipazione indiretta dello Stato alle attività delle Regioni, si ponessero le Regioni stesse nellattuale posizione dei Comuni, i quali, pur avendo una personalità giuridica, in sostanza sono organi indiretti dell’amministrazione statale. Infatti, ammettendosi un controllo dello Stato sulle Regioni, si avrebbe come risultato un semplice decentramento burocratico e verrebbe meno la vera e propria essenza dell’autonomia regionale.

Per quanto riguarda, invece, i Comuni, ritiene che i controlli possano essere esercitati da organi esterni ad essi, o statali o regionali. A tale proposito, nel caso che l’attribuzione del controllo fosse demandata alle Regioni piuttosto che allo Stato, si domanda se in tal modo non sarebbe messa in pericolo l’autonomia comunale.

RAVAGNAN concorda con l’onorevole Bozzi e in parte con l’onorevole Tosato, nel senso che riconosce, da un lato, la necessità di controlli e, dall’altro, l’opportunità di una distinzione tra Comuni e Regioni.

Per quanto riguarda i Comuni, ammette la necessità di un controllo di legittimità e in certi casi anche di merito. Circa l’organo che deve essere titolare di questo controllo esprime l’avviso che dovrebbe essere elettivo ed esterno, ma sempre nell’ambito della Regione, come l’attuale Giunta provinciale amministrativa, se diventasse elettiva. Tuttavia, piuttosto che della Costituzione, ritiene che la questione potrebbe formare oggetto della futura legge comunale e regionale.

Per quanto riguarda il controllo sulle Regioni, prega i colleghi di voler maggiormente approfondire la questione. Personalmente non è d’accordo con l’onorevole Tosato che il controllo sulle Regioni debba essere effettuato nel loro interno, in relazione specialmente al carattere che esse hanno assunto, quasi di piccoli Stati di una federazione, per cui il controllo, sia di legittimità che di merito, è necessario che non sia affidato ad organi interni delle Regioni, ma ad organi esterni.

MORTATI crede che considerare la Regione solamente come un ente autarchico sia contrario allo spirito della Costituzione, perché quando si dà alla Regione una sfera di autonomia costituzionale, la si pone in una posizione differente da quella di un comune ente autarchico. Ammessa questa più ampia autonomia della Regione, dovrebbe rientrare nella sua competenza anche la materia dei controlli.

Distinguerebbe tuttavia gli atti che la Regione compie con la gestione di fondi propri, dagli atti che compie con la gestione di fondi statali nel caso, che è stato previsto, di bilancio non autosufficiente. Bisognerebbe quindi fare una distinzione tra controlli ordinari della Regione, che dovrebbero essere interni alla Regione stessa, e controlli straordinari (richiesti dall’andamento irregolare o non autosufficiente della gestione ordinaria), che dovrebbero essere demandati allo Stato.

Per quanto riguarda la gestione ordinaria, crede che si potrebbe trovare una via di conciliazione nel senso che il controllo potrebbe essere esercitato dalla Corte dei conti, alla quale si dovrebbe attribuire la duplice veste di organo statale al centro e di organo della Regione, sotto la forma di sezioni speciali, alla periferia. Questa ipotesi potrà più facilmente avverarsi se, come si prevede, la Corte dei conti da organo burocratico governativo diverrà organo para-parlamentare.

Si domanda, poi, se il controllo sulla attività regionale debba essere preventivo. A suo avviso, vi sono molte ragioni per rispondere affermativamente, ma non sa se sia il caso che la Corte dei conti esamini in via preventiva la legittimità degli atti delle Regioni. In ordine a questo problema sarebbe anzitutto da precisare che, ammesso un controllo preventivo di legalità della Corte, non vi sarebbe luogo anche ad un analogo intervento preliminare del Consiglio di Stato, neppure nella materia regolamentare. A parte ciò, osserva che il controllo preventivo o deve esercitarsi al centro della Regione, ed allora si determina un intralcio al rapido corso degli atti che dovrebbero confluire al centro per essere sottoposti a controllo. O invece si decentra creando uffici periferici della Corte in centri minori delle Regioni ed allora sorge il pericolo che questi uffici, allontanandosi dal centro, perdano di efficacia, di indipendenza e non siano così più rispondenti all’esigenza di un effettivo controllo. Quindi, se si vuole un controllo preventivo, bisogna porsi il quesito del modo di conciliarlo col principio del decentramento.

Per le gestioni esercitate dalle Regioni con fondi non propri, si deve invece ammettere un controllo statale postumo, non solo di legittimità, ma anche di merito. Senza di che non si eliminerebbe l’inconveniente della finanza allegra, che fino ad oggi è stato prerogativa di numerosi comuni.

Il decentramento, infatti, per essere educativo dovrebbe affermare il principio che, nel caso di cattiva gestione, i danni sono a carico degli stessi cittadini che in tal modo, per non correre pericoli, saranno portati a scegliersi dei buoni amministratori. Lo Stato dovrebbe intervenire solo quando il deficit dipendesse da eventi eccezionali o da una non perfetta corrispondenza della previsione della legge finanziaria tra le entrate e le spese. Le effettive ragioni del disavanzo potrebbero essere segnalate al Governo dall’unico funzionario che nella Regione rappresenta lo Stato.

MANNIRONI concorda con l’onorevole Tosato per quanto riguarda il controllo da esercitarsi sugli enti che vivono nell’interno della Regione e in particolar modo sui Comuni. Ricorda che, parlandosi della soppressione della Provincia e della Prefettura, si era prevista la sopravvivenza di una Giunta elettiva quale organo decentrato della Regione, e manifesta l’avviso che il controllo di legittimità e di merito da effettuare sui Comuni potrebbe essere deferito alla competenza di questa Giunta, che dovrebbe funzionare come emanazione della Regione.

Non vede la ragione della perplessità dell’onorevole Tosato circa la convenienza di deferire il controllo sui Comuni allo Stato o alle Regioni. Affermato il principio che l’autonomia della Regione deve essere fatta salva, gli sembra che il controllo sugli enti interni, anche per ragioni di pratica amministrazione, dovrebbe essere esercitato dalla Regione stessa, eventualmente per mezzo della Giunta di cui prima ha fatto cenno.

Per il controllo sulle Regioni, nei riguardi dell’attività principale che è quella normativa, gli sembra che sia stato già sufficientemente provveduto col precedente articolo 12. Per quanto invece concerne gli atti amministrativi, ritiene che l’opera delle Sezioni speciali della Corte dei conti nelle Regioni possa essere sufficiente allo scopo. Al fine di eliminare ogni preoccupazione, proporrebbe di adottare la norma dello Statuto siciliano, secondo la quale i magistrati della Corte dei conti che agiscono nelle Sezioni speciali regionali possono essere nominati di comune accordo dal Governo e dagli organi regionali. In questa maniera la Regione avrebbe una certa interferenza ed un potere di controllo sulla nomina dei magistrati che esercitano nel suo seno questa delicata funzione.

FABBRI propone che l’articolo 18 sia sostituito dal seguente:

«Una legge costituzionale dichiarerà che gli atti della Regione, dei Comuni e degli enti locali sono sottoposti al controllo di legittimità e stabilirà quali atti di particolare rilevanza economica siano sottoposti altresì al controllo di merito.

«Il controllo sugli atti della Regione sarà distribuito dalla legge costituzionale tra il Commissario del Governo nella Regione e il Consiglio di Stato e questa legge regolerà il controllo sugli atti dei Comuni e degli enti locali, devolvendolo ad una Giunta regionale amministrativa composta di un numero di membri non inferiore a 12, eletti per tre quarti dalla Deputazione regionale e per un quarto dal Commissario del Governo nella Regione. Questa Giunta potrà essere divisa in sezioni».

PRESIDENTE dubita della opportunità di scendere nella Costituzione ad una minuta specificazione circa l’attuazione pratica del controllo e gli organi che dovranno esercitarlo. La critica mossa spesso, sia nell’Assemblea Costituente, sia fuori di essa, all’eccessiva minuzia delle disposizioni, se talvolta è esagerata, in questo caso avrebbe una giustificazione.

Esprime pertanto la convinzione che l’articolo in esame debba limitarsi ad affermare alcuni dei principî generali che già sono stati tratteggiati dai colleghi che hanno interloquito.

Entrando nel merito, osserva che è una contradizione in termini parlare di un controllo dall’interno. La natura umana non consente una forma di autocontrollo in un organismo collettivo: l’esperienza ammaestra che ogni organismo può essere controllato da un altro, ma in se stesso non trova freni alla sua azione. D’altro canto, se si pensa ad un controllo, è perché si parte dal presupposto che questi enti possano violare norme generali o eccedere i limiti della loro specifica competenza; il che significherebbe che essi non sono riusciti a identificare i confini del proprio campo d’azione, mentre chi è al di fuori può farlo, in quanto ha una visione più completa. Ritiene quindi che il controllo su organismi amministrativi, sia pure autarchici ed autonomi, non possa essere esercitato che da organi che si trovino ad un livello superiore ed abbiano una maggiore autorità. Più che di controllo dall’esterno, parlerebbe dunque di controllo che proviene dall’alto.

A suo avviso, nell’articolo in esame dovrebbe essere affermato: in primo luogo, che le Regioni, i Comuni e gli altri enti locali debbono essere subordinati ad un controllo, oppure – se dispiace parlare di subordinazione – che si esercita un controllo sugli atti delle Regioni, Comuni ed enti locali; in secondo luogo, che tale controllo è di legittimità e, solo in casi particolari specificatamente indicati, di merito; in terzo luogo, che il controllo stesso deve costituire l’elemento unificatore di questi enti, i quali, dalle disposizioni statutarie, vengono costituiti in modo tale da mirare, sia pure inconsapevolmente, ad una forma di distacco e di disunione.

Per quanto concerne i Comuni, pensa che sia necessario concedere loro una maggiore autonomia e quindi la più larga possibilità di movimento nel campo amministrativo, con l’unico limite di un controllo da parte della Regione (eventualmente con accorgimenti che ne consentano il decentramento); riguardo alle Regioni, invece, crede sia da affermare la loro subordinazione ad un controllo da parte dello Stato, salvo a decidere dell’organo che dovrebbe esercitarlo, se, cioè, dovrebbe essere uno degli organi esistenti (Corte dei conti o Consiglio di Stato) o un organo appositamente costituito. Né quest’ultima ipotesi andrebbe scartata per la preoccupazione di realizzare una economia burocratica, quando una tale preoccupazione in altri casi non è stata avvertita e sarebbe ingiustificata nella fattispecie.

Altro elemento da tener presente è che un siffatto organo dovrebbe essere completamente, o quasi (perché occorre anche una certa esperienza specifica, che non si può sempre trovare attraverso ad un’elezione), di carattere elettivo. Con ciò si dissiperebbero i timori di un organo di carattere burocratico, poiché a questo normalmente si è portati a pensare tutte le volte che si parla di controllo dall’alto. Ora, mentre l’organo incaricato del controllo sugli atti dei Comuni sarebbe inserito nel quadro dell’Assemblea regionale, quello per le Regioni dovrebbe avere un legame diretto col Parlamento. In quanto poi una funzione di controllo esercitata dalla seconda Camera si avvicinerebbe – per la composizione di questa a base regionale – a quel tipo di controllo su se stesso che personalmente non sa concepire, a suo avviso questa particolare attività nei confronti delle Regioni dovrebbe essere affidata alla prima Camera.

Comunque, nella Costituzione si dovrebbero inserire solo alcune affermazioni di principio, che potrebbero poi trovare il loro sviluppo in una legge speciale.

Comprende l’atteggiamento di quei Commissari che caldeggiano una forma di autocontrollo, inquantoché in un ordinamento in cui le Regioni assumono, se non addirittura la forma di piccoli Stati, molti di quei poteri che normalmente sono riservati allo Stato, per una certa logica del sistema si può pensare ad un controllo che parta dall’interno. Tuttavia ritiene che in certi casi non si debba essere schiavi della logica, la quale può portare talvolta a conclusioni che vengano avvertite come politicamente pericolose. Ora, il sistema regionale ha insiti in sé certi pericoli (che potranno pure non svilupparsi), per cui può essere opportuno porre alcuni argini a questo pericolo potenziale.

TOSATO propone la seguente formulazione:

«I controlli sui regolamenti regionali delle leggi regionali e sugli atti amministrativi delle Regioni saranno esercitati da organi regionali che saranno organizzati con leggi dello Stato.

«La legge dello Stato provvederà pure all’organizzazione degli organi consultivi della Regione».

La seduta termina alle 10.30.

Erano presenti: Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Favini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Ambrosini, Calamandrei, Conti, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Vanoni.

LUNEDÌ 9 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

62.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 9 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Mortati – Ambrosini, Relatore – Vanoni – Perassi – Conti – Lussu – Fabbri – Nobile – Laconi – Targetti – Grieco – Tosato – Di Giovanni.

La seduta comincia alle 9.15.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE, prima di procedere alla votazione sulle proposte relative all’articolo 16, mette in discussione l’articolo 19.

«Sugli atti delle Regioni, dei Comuni e degli enti locali in genere sarà esercitato il controllo di legittimità.

«Si farà luogo al controllo di merito quando si tratti di deliberazioni che impegnino il bilancio dell’ente oltre i 5 anni in misura superiore al decimo delle entrate annuali ordinarie. Tale controllo non avrà luogo quando il corpo deliberante desideri sottoporre la deliberazione a referendum popolare.

«Il referendum dovrà essere indetto quando sia richiesto da un ventesimo degli elettori entro un mese dalla pubblicazione della deliberazione».

MORTATI ritiene necessario distinguere tra i vari enti contemplati in questo articolo per fare un trattamento diverso nei riguardi del controllo dei loro atti. Crederebbe opportuno poi indicare gli organi che esercitano questo controllo, distinguendo tra controllo di merito e di legittimità; e vedere quali atti debbano essere sottoposti all’uno e quali all’altro. Chiede al Relatore una chiarificazione al riguardo.

AMBROSINI, Relatore, ricorda le difficoltà sorte in sede di Comitato durante la discussione di questo articolo e l’opposizione di alcuni ad ogni controllo, come contrario al principio della autonomia. Altri invece, lui compreso, lo ritenevano necessario per un sano principio di buona amministrazione e anche di democrazia. Raggiunto l’accordo sul controllo di legittimità, solo a stento si arrivò ad ammettere quello di merito, limitatamente alle deliberazioni che impegnassero il bilancio dell’ente oltre i 5 anni in misura superiore al decimo delle entrate annuali dell’ente stesso. Nessun accordo fu possibile, invece, sugli organi di controllo: ed a ciò egli attribuisce anche la mancanza di una distinzione tra i vari enti. Spiega così come il Comitato, nella redazione dell’articolo, si sia attenuto a quel minimo sul quale l’accordo fu possibile.

Dichiara la sua opinione personale: che debba farsi una distinzione tra i vari enti; che debba ammettersi per gli enti locali un controllo di merito; che gli organi di controllo possano essere diversi per i diversi enti e che per la Regione non possa esservi che un organo di controllo centrale, o derivante dal Senato, o composto di elementi in maggioranza elettivi, purché affiancati da elementi tecnici e da esponenti della burocrazia, i quali, mentre assicurano la continuità del controllo e la uniformità dei criteri di applicazione, posseggono quella indiscutibile competenza che non sempre si trova fra gli elementi elettivi. Crede che un organo così fatto dia affidamento di soddisfare alle varie esigenze.

VANONI propone di sospendere la discussione su questo articolo per dar modo di intervenire all’onorevole Bozzi, oggi assente, che ha una competenza specifica in materia.

PRESIDENTE, aderendo alla richiesta dell’onorevole Vanoni, sospende la discussione dell’articolo 19, per riprendere l’esame delle proposte riguardanti gli articoli 16 e 8.

PERASSI chiede in via pregiudiziale se non sia il caso di prevedere una disposizione che stabilisca quale dovrà essere il patrimonio della Regione al momento della sua costituzione, sia per l’attribuzione dei beni dello Stato, sia per la devoluzione alla Regione dei beni delle Provincie in conseguenza della loro soppressione.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che per i beni della Provincia non possa esservi dubbio che vadano devoluti alla Regione e che non sia necessaria in proposito una norma espressa.

PERASSI conviene che la materia riguardante i beni delle Provincie possa formare oggetto delle norme di attuazione, ma crede che quella riguardante i beni dello Stato debba esser discussa in questa sede.

VANONI, sotto l’aspetto costituzionale, vede solo la questione della distribuzione dei beni demaniali tra Stato e Regione; di quei beni, cioè, che portano in sé la natura specifica di appartenenza ad un ente pubblico. Per i beni patrimoniali disponibili occorrerà fare un’indagine sulla loro origine, per vedere se sono afferenti alla economia della Regione o ad un interesse di carattere generale, nel qual caso dovrebbero rimanere allo Stato; per i beni patrimoniali indisponibili, bisognerà vedere se il servizio a cui sono legati è di interesse statale o regionale ed attribuirli di conseguenza allo Stato o alla Regione.

A ciò si dovrà, a suo parere, provvedere con una legge speciale transitoria e poi mediante convenzioni tra Stato e Regioni.

PRESIDENTE osserva che il problema del demanio è stato già considerato al primo capoverso dell’articolo 8.

Da lettura dell’ordine del giorno da lui ieri formulato:

«La Sottocommissione decide di sopprimere il Capo IV (art. 16) e di approvare un emendamento aggiuntivo all’articolo 8 nel quale sia ripreso il concetto di solidarietà interregionale espresso nell’articolo 16, adeguandolo alle disposizioni in quello contenute».

CONTI propone che, invece di dire: «decide di sopprimere», si dica: «decide di sostituire».

PRESIDENTE concorda.

LUSSU vorrebbe si dicesse che la nuova formulazione debba essere inclusa nell’articolo 8, perché essa potrebbe trovare altrove posto più appropriato, considerato che il fondo può derivare da una organizzazione del potere centrale.

PRESIDENTE osserva come il pensiero di numerosi colleghi fosse quello di non annullare il concetto di solidarietà interregionale. Pone pertanto ai voti l’ordine del giorno così emendato:

«La Sottocommissione decide di sostituire al Capo IV (art. 16) un emendamento aggiuntivo all’articolo 8, nel quale sia ripreso, adeguandolo alle disposizioni in quest’ultimo contenute, il concetto di solidarietà interregionale».

(È approvato).

Fa presente che si tratta ora di trovare una formulazione da inserire nell’articolo 8 e dà lettura della proposta Mortati:

«L’ordinamento tributario della Regione sarà determinato con legge costituzionale che lo coordinerà con l’ordinamento tributario dei Comuni e dello Stato e si ispirerà a criteri di redistribuzione del reddito nazionale, allo scopo di attuare una perequazione interregionale».

CONTI, per chiarire che si tratta di una perequazione ordinaria di ogni esercizio, direbbe: una «normale» o «ordinaria» perequazione interregionale.

VANONI osserva che tale concetto deriva implicitamente dal fatto che l’organizzazione di questi rapporti tributari sarà effettuata da una legge costituzionale permanente nel tempo: ciò che però non esclude un provvedimento transitorio di perequazione straordinaria all’inizio della costituzione della Regione.

MORTATI crede si potrebbe chiarire che in questo articolo è prevista una legge costituzionale, la quale è destinata a disciplinare le singole leggi particolari e quindi anche le leggi di bilancio.

FABBRI pensa che, prima di passare alla votazione, si dovrebbe decidere sulla questione sostanziale: se vi deve o meno essere un fondo di solidarietà. Ricorda che egli si è dichiarato contrario a questo fondo, che poteva lasciare adito a competizioni tra le Regioni, ma favorevole ad un fondo che costituisse un punto d’appoggio per uno stanziamento annuale di bilancio, perché, una volta stabilita l’autonomia amministrativa e finanziaria della Regione, il meccanismo della legge di bilancio non potrebbe altrimenti ammettere criteri speciali a favore di una determinata Regione. Aveva in proposito suggerito un emendamento che potrà riprendere, qualora la Commissione decida l’istituzione di questo fondo: in caso contrario voterà la proposta Mortati.

PRESIDENTE dà lettura della proposta Fabbri:

«…la quale dovrà altresì disporre nel bilancio dello Stato lo stanziamento annuale di uno speciale fondo di solidarietà regionale per l’equo reparto, deliberato dal Parlamento, del reddito della Nazione, a favore delle Regioni che non possano adeguatamente provvedere con i loro mezzi ai propri fini istituzionali».

Ne mette in evidenza i criteri che lo differenziano dal concetto che fu già espresso dall’onorevole Vanoni.

VANONI vorrebbe che nella Costituzione si affermasse il principio della redistribuzione interregionale, senza scegliere perentoriamente tra i vari strumenti che sono a disposizione della Finanza, perché la Costituzione è una legge permanente, mentre i rapporti tra i vari strumenti della redistribuzione devono modificarsi nel tempo e secondo le opportunità. Tanto più crede che ciò si debba affermare, se si tiene conto della situazione transitoria in cui ora si trova il bilancio dello Stato e degli oneri che deriveranno dal trattato di pace, per cui non sarà possibile che il bilancio sopporti una spesa di immediata perequazione. Non vorrebbe che si polarizzasse tutta l’attività di redistribuzione in questo unico istituto e ritiene che una legge speciale potrà meglio disciplinare questa materia, facendo opera molto più utile anche dal punto di vista tecnico. Ritiene però che tutto questo debba essere fatto in modo da rispondere a quell’indirizzo di carattere politico che egli accetta e che desidera venga sottolineato nella Costituzione. E poiché preferisce una formula meno precisa e più ampia, nell’aggiunta proposta all’articolo 8, invece di dire che l’ordinamento tributario della Regione deve essere coordinato con l’ordinamento tributario dello Stato e dei Comuni, direbbe che va coordinato «con la finanza dello Stato e dei Comuni».

NOBILE ripresenta il suo emendamento all’articolo 16, che non ebbe seguito quando fu presa la decisione di sopprimere tale articolo, decisione che poi si convenne di considerare non presa: «Per lo sviluppo delle Regioni economicamente e socialmente più arretrate, sarà istituito un fondo annuale che verrà amministrato dallo Stato. A questo fondo contribuiranno tutte le Regioni in proporzione dei loro redditi e della loro popolazione, secondo i criteri fissati dalla legge. Una legge determinerà per ogni 5 anni i criteri per la ripartizione del fondo di cui al primo comma».

Fa notare che qui è posta chiaramente la questione del Mezzogiorno e delle Isole, alla quale crede opportuno sia dato rilievo nella Carta costituzionale. Si dichiara comunque disposto a votare anche emendamento Mortati.

MORTATI ritiene che prima si debba votare la modifica dell’articolo 8, che riguarda il procedimento normale, e poi prendere in considerazione l’ordine del giorno dell’onorevole Nobile, che involge un problema di carattere diverso.

LACONI trova giusta questa distinzione, ma non vede quale difficoltà possa esservi per includere nella Costituzione un impegno dello Stato a fare una determinata politica verso il Mezzogiorno.

PRESIDENTE osserva che ora si tratta di stabilire norme che debbono valere per tutte le Regioni. Una proposta come quella dell’onorevole Nobile potrebbe trovar posto più adatto o nel preambolo, o nel capitolo della Costituzione se vi sarà che tratti della finanza dello Stato.

AMBROSINI, Relatore, consente, rilevando che si è tutti d’accordo sulla sostanza e che neppure le argomentazioni dell’onorevole Vanoni contrastano con la proposta Nobile. Pensa che nella Costituzione potrà trovar posto una norma che ponga la soluzione definitiva del problema del Mezzogiorno.

CONTI sarebbe disposto a votare le proposte dell’onorevole Fabbri e dell’onorevole Mortati, ma dubita che si possa inserire nel preambolo una questione così importante come quella del Mezzogiorno.

LUSSU crede che l’onorevole Fabbri abbia posto bene il problema e teme che, malgrado le buone intenzioni, la proposta dell’onorevole Mortati possa condurre ad una situazione molto difficile; e così pure che le argomentazioni di carattere tecnico dell’onorevole Vanoni servano in sostanza ad eludere il problema. Non val nulla fare delle affermazioni di carattere tributario o includere in un preambolo una questione come quella del Mezzogiorno, se non si crea con la Carta costituzionale uno strumento molto preciso da cui risulti l’impegno dello Stato ed il diritto delle Regioni ad avere i contributi indispensabili per risolvere i problemi locali. Ricorda le inutili promesse fatte sempre dai Governi al Mezzogiorno, ma non è d’accordo con l’onorevole Nobile che si debba parlare nella Costituzione di Regioni «economicamente e socialmente arretrate». Deve aggiungere che non vede finora una garanzia che si avrà una politica veramente costruttiva nel senso che tutti reclamano.

VANONI osserva all’onorevole Lussu che proprio creando il fondo di solidarietà si elude il problema senza risolverlo. A proposito della questione del Mezzogiorno, ricorda come da 40 anni, fino al recente finanziamento per la ricostruzione delle industrie, in tutte le leggi per opere pubbliche si sia fatta salva una quota per le provincie meridionali e le Isole; e come recentemente in Sardegna, di un miliardo assegnato si siano spesi solo 7 milioni. È un problema, questo, che lo angustia da vari anni; ma egli crede che un rimedio si possa trovare non in prese di posizioni inconsistenti, bensì nella creazione di strumenti veramente efficaci, che rispondano alle necessità locali, e nella esecuzione di piani organici, i quali, evitando un inutile sperpero di fondi, portino veramente ad un miglioramento della situazione. Ritiene che l’Italia, uscita dalla guerra con un patrimonio in gran parte distrutto e quindi con risorse limitate, non possa ripetere l’errore del passato di ripartire le sue scarse risorse con un criterio automatico fra tutte le Regioni, ma debba concentrarle di volta in volta in una determinata zona, per ottenere la risoluzione integrale dei problemi che ivi si presentano. Afferma la necessità di un impegno politico di tutti i partiti di modificare le condizioni economiche e sociali del Mezzogiorno: se si è convinti della necessità di questo impegno, ritiene che si possa giungere alla soluzione del problema, o facendone menzione nel preambolo, o prevedendolo in una norma di carattere transitorio, o facendone oggetto di un provvedimento concreto.

È convinto che, costituendo il fondo di solidarietà e stanziando delle cifre in favore di una determinata Regione, si dà solo l’impressione di risolvere il problema che poi, in fatto, non è e non può essere risolto, anche perché l’intervento dello Stato si limita in tal modo alla sola cifra stanziata. Sarebbe, a suo parere, molto più serio dire che la soluzione dei problemi di determinate Regioni deve essere finanziata col fondo complessivo messo a disposizione di tutti. Vorrebbe perciò che si distinguesse nettamente la materia costituzionale, che è permanente, dalla materia politica che ogni giorno si trasforma: anche scritto nella Costituzione, il fondo di solidarietà non sarebbe sufficiente, se domani l’orientamento politico portasse ad eludere l’applicazione della norma.

All’osservazione che fu fatta dall’onorevole Lussu che i meridionali sono più lenti ad utilizzare le provvidenze statali, risponde che ciò può valere per il passato, ma che domani, con l’istituzione dell’ente Regione, non si potenzieranno gli interventi in astratto, disposti dall’amministrazione statale: le organizzazioni sindacali si faranno vive e, se esisterà l’appoggio politico da tutti auspicato, il Mezzogiorno avrà nettamente la preminenza negli stanziamenti. Certamente, un’opera darà risultati più rapidi ed efficaci in una zona già più progredita, che non in una più arretrata; ma le difficoltà saranno superate considerando il problema sotto l’aspetto politico, perché ci si convincerà della necessità di questa opera per il nostro Paese, se si vuole che esso continui ad essere un elemento di qualche rilievo nella politica mondiale.

TARGETTI propone il seguente emendamento: «A favore delle Regioni che non possono far fronte con le proprie risorse alle spese di propria competenza, dovrà essere costituito un fondo speciale mediante contributo delle Regioni e dello Stato. La legge stabilirà i criteri per la determinazione di tali contributi, l’amministrazione e l’erogazione del fondo».

PRESIDENTE ritiene che la proposta degli onorevoli Vanoni e Mortati, la quale considera il problema da un punto di vista più ampio, e le proposte degli onorevoli Fabbri e Nobile, che lo considerano da un punto di vista più immediato e ristretto, non siano in contraddizione fra loro.

Rileva le differenze esistenti fra le proposte Fabbri, Nobile e Targetti, ma osserva che tutte insistono sulla costituzione di questo Fondo e che ciò, a suo parere, ha un valore politico, in quanto affermazione del principio che le Regioni non si considerano divise e sciolte da ogni vincolo di solidarietà.

MORTATI rileva che tra la sua proposta e le altre non esiste contraddizione, se il Fondo deve provvedere non alla gestione ordinaria, ma alle grandi opere di trasformazione; altrimenti contraddizione v’è, perché nella proposta formulata d’accordo con l’onorevole Vanoni si affida il congegno al fattore tributario ed in questo congegno il Fondo non trova più posto.

Osserva che il sistema regionale, nel suo complesso, dovrebbe fare raggiungere l’equilibrio fra i vari enti in esso compresi, in primo luogo mirando a che ogni Regione costituisca un organismo autosufficiente per quanto riguarda le mansioni ordinarie, ed in secondo luogo attraverso il congegno di una finanza perequativa. Non dovrebbe avvenire che vi siano Regioni le quali istituzionalmente non siano messe in condizione di potere adempiere alle loro mansioni ordinarie con i mezzi messi a loro disposizione dalla legge finanziaria dello Stato.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Mortati che il congegno sarà molteplice e che questa finanza perequativa va considerata nei limiti della modificata struttura economica della Regione, per porla in condizioni di sopperire alle proprie esigenze. Avrà però carattere transitorio, sia pure a lunga scadenza; e ricorda a questo proposito che nell’emendamento dell’onorevole Nobile si propone che i criteri di ripartizione del fondo siano determinati per quinquenni dalla legge.

FABBRI, dal momento che si è istituita l’autonomia regionale, tributaria e finanziaria, in condizioni di enorme differenza tra Regioni povere e Regioni ricche, ritiene indispensabile che, in aggiunta all’indirizzo finanziario della politica tributaria nazionale, si abbia il riconoscimento preciso che queste Regioni devono poter contare su un fondo di solidarietà con stanziamenti annui indirizzati precisamente a far fronte ai loro fini istituzionali. Ciò non ritiene incompatibile con l’indirizzo generale della politica finanziaria dello Stato.

NOBILE nella impostazione del problema del Mezzogiorno dichiara che ha fatto questione non di parole, ma di sostanza; perciò ritiene che, al più, nel suo emendamento si potrebbe sopprimere la parola «socialmente» (più arretrate). Ma desidera chiarire che esiste una differenza sostanziale fra il suo emendamento e quello dell’onorevole Fabbri; infatti, mentre secondo la proposta Fabbri tutti i cittadini verrebbero egualmente gravati per costituire il fondo di solidarietà, egli ha affermato il concetto di una vera solidarietà fra le Regioni, perché le più ricche contribuirebbero allo sviluppo di quelle più povere.

PRESIDENTE avverte che le proposte degli onorevoli Vanoni e Mortati sono state fuse in un’unica formulazione; le proposte Fabbri, Nobile e Targetti si presentano invece separatamente; ma egli ha concretato una formula che le riassume, del seguente tenore:

«A favore delle Regioni che non possono far fronte con le proprie risorse alle spese di loro competenza, dovrà essere costituito un fondo speciale mediante contributi delle Regioni e dello Stato, il cui riparto sarà deliberato dal Parlamento».

Nota che si potrebbe aggiungere: «Una legge stabilirà per ogni quinquennio i criteri per la determinazione di tali contributi, l’amministrazione e l’erogazione del fondo».

TARDETTI, poiché il termine è di competenza della legge, crede inutile parlare di quinquennio.

LACONI fa notare che si introduce qui un concetto meccanico puramente aritmetico nella ripartizione del reddito nazionale; e gli sembra che ciò costituisca, più che una facilitazione, un impedimento ad una politica di finanziamento di un largo complesso di opere per il Mezzogiorno.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta di aggiunta all’articolo 8 fatta dagli onorevoli Vanoni e Mortati, che è la seguente:

«Questa sarà determinata nei suoi limiti da una legge costituzionale che, coordinandola con la finanza dello Stato e dei Comuni, dovrà essere ispirata a criteri di redistribuzione del reddito nazionale allo scopo di attuare una perequazione interregionale».

(È approvata).

Invita la Sottocommissione a pronunciarsi sull’emendamento aggiuntivo, che riassume le proposte degli onorevoli Fabbri, Nobile e Targetti, del quale ha dato lettura.

VANONI vi è contrario, perché vede in questo sistema una menomazione dell’autonomia regionale, dal momento che il controllo, comunque effettuato, costituisce sempre un intervento nella indipendenza economico-finanziaria delle Regioni.

CONTI, considerato il carattere politico che si vuol dare al voto, dichiara che voterà a favore, affinché non si pensi neppure lontanamente che un repubblicano, antico sostenitore dei diritti del Mezzogiorno, si sia comunque opposto ad una esigenza dell’Italia meridionale.

MORTATI è contrario all’emendamento aggiuntivo, anzitutto perché non crede opportuno fissare nella Costituzione un sistema rigido di riparazione di eventuali deficit, e poi perché ciò gli appare in contradizione con l’aggiunta all’articolo 8 ora approvata, che vuole risolvere in sede di ripartizione tributaria, con maggior rispetto delle autonomie locali, il problema della perequazione economica delle Regioni.

GRIECO per le ragioni già esposte è contrario alla formula proposta, che ritiene contenga elementi inutili ed inefficaci per i fini da raggiungere e comporti anche un controllo da parte dello Stato.

LUSSU non ha preoccupazioni circa l’essenza dell’autonomia regionale, convinto che con ciò non resta escluso quel maggiore apporto a cui ha accennato l’onorevole Vanoni, cioè l’intervento dello Stato per vere e proprie grandi opere di trasformazione del Mezzogiorno. Desidera però che si parli soltanto del concorso dello Stato; altrimenti voterà contro.

PERASSI dichiara che si asterrà dal voto, perché, essendosi già votato il concetto che una legge costituzionale dovrà regolare questi problemi, in essa potranno essere disciplinati con maggior libertà tutti gli espedienti utili, senza irrigidirsi nella formula di quest’articolo.

TOSATO è pure contrario all’emendamento aggiuntivo, perché, a suo avviso, la questione ha carattere esclusivamente tecnico ed è stata già risolta dall’emendamento degli onorevoli Vanoni e Mortati.

PRESIDENTE mette in votazione il testo dell’emendamento, che potrà trovar posto nell’articolo 8, subito dopo l’altro or ora approvato, e che, dopo le osservazioni fatte, resta così definitivamente formulato:

«A favore delle Regioni che non possano far fronte con le proprie risorse alle spese di loro competenza dovrà essere costituito un fondo speciale mediante contributi delle Regioni e dello Stato, il cui riparto sarà deliberato con legge dal Parlamento».

(Con 12 voti favorevoli e 7 contrari, è approvato).

Comunica che, in seguito alle votazioni fatte, l’articolo 8 resta così definitivamente formulato:

«La Regione ha autonomia finanziaria.

«Questa sarà determinata nei suoi limiti da una legge costituzionale che, coordinandola con la finanza dello Stato e dei Comuni, dovrà essere ispirata a criteri di redistribuzione del reddito nazionale allo scopo di attuare una perequazione interregionale.

«A favore delle Regioni che non possano far fronte con le proprie risorse alle spese di loro competenza, dovrà essere costituito un fondo speciale mediante contributi delle Regioni e dello Stato, il cui reparto sarà deliberato con legge dal Parlamento.

«La Regione ha un proprio demanio e un proprio patrimonio, secondo le modalità che saranno stabilite da legge costituzionale.

«La Regione non potrà adottare alcun provvedimento che possa ostacolare, anche indirettamente, la libera circolazione delle persone e delle cose».

MORTATI, a proposito dell’impegno che dovrebbe essere assunto dallo Stato di sopperire alle necessità delle Regioni meno sviluppate con un piano di lavori stabilito in modo largo e comprensivo, propone di adottare una risoluzione, salvo poi a vedere come inserirla nel testo della Costituzione.

LACONI farebbe in essa esplicita menzione del Mezzogiorno.

MORTATI consente; e poiché una norma transitoria non corrisponde all’indole di questa risoluzione, pensa che essa potrebbe trovar posto o nell’articolo 2, dove si fa menzione di situazioni particolari, oppure nel preambolo alla Costituzione.

PRESIDENTE crede che si possa esser d’accordo sulla seguente formula:

«La seconda Sottocommissione, alla chiusura del lavoro di articolazione del titolo dedicato alla creazione dell’ente regionale, afferma il dovere dello Stato di procedere all’atto stesso della costituzione delle Regioni, alla formulazione di un piano per la trasformazione delle attuali condizioni economico-sociali delle Regioni meridionali ed insulari da attuare dallo Stato con provvedimenti continuativi, adeguati all’urgenza della trasformazione stessa».

La pone ai voti.

(È approvata all’unanimità).

DI GIOVANNI ricorda una sua proposta di articolo aggiuntivo nel senso che le leggi regionali in materia di lavoro non possano stabilire per i lavoratori condizioni meno vantaggiose di quelle risultanti da leggi generali dello Stato, e fa osservare che nello Statuto regionale siciliano vi è una clausola dello stesso tenore.

PRESIDENTE ricorda che a suo tempo la Sottocommissione escluse dalla potestà legislativa ed anche integrativa delle Regioni le materie relative all’ordinamento sindacale ed ai rapporti di lavoro; e che finora si è stabilita tutta una serie di norme positive per la Regione, senza alcuna elencazione di divieti. Ritiene però che nessuno dei colleghi sia contrario al concetto espresso dall’onorevole Di Giovanni: propone quindi di rinviare la questione, pregando al tempo stesso il proponente di redigere una formulazione precisa e di suggerire, al momento opportuno, il punto in cui potrebbe essere inserita.

La seduta termina alle 11.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Vanoni.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Castiglia, De Michele, Farini, Fuschini, Leone Giovanni, Mannironi, Patricolo, Porzio, Uberti, Zuccarini.

SABATO 7 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

61.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 7 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Conti – Vanoni – La Rocca – Cappi – Mortati – Zuccarini – Ambrosini, Relatore – Laconi – Nobile – Lussu – Perassi – Mannironi – Fabbri – Grieco.

La seduta comincia alle 9.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE avverte che è ancora in discussione l’articolo 16 del progetto sull’autonomia regionale.

CONTI osserva che la materia dell’articolo in esame ha una grandissima importanza per l’effettiva soluzione del problema delle autonomie regionali, e dichiara che, in riferimento appunto alla soluzione di tale problema, non crede possano essere accolti i criteri a cui si ispira l’articolo 16, né quelli, analoghi, finora proposti per una sua nuova formulazione. La storia della dominazione monarchica in Italia ha dimostrato che non esiste possibilità di vita per la Nazione, se lo Stato non è organizzato razionalmente in relazione alle condizioni storiche, etnografiche, geografiche, spirituali del Paese. In altri termini, per un migliore assetto dell’organizzazione statale, occorre tenere presente il fatto che in Italia non si ha un popolo, ma esistono tanti popoli diversi, benché accomunati dalla stessa storia, dalle stesse tradizioni; fatto, questo, che la dinastia di Casa Savoia, con il suo spirito militaresco, con i suoi governi tendenti a realizzare una forma di Stato rigidamente accentratrice, non ha mai voluto comprendere. Per questo la monarchia sabauda è stata la rovina dell’Italia ed ha trattato spietatamente come una terra di conquista il Mezzogiorno, nei confronti delle cui popolazioni tanti torti ha avuto lo Stato italiano. Ora è giunto il tempo di ripararvi; ma la soluzione dei problemi del Mezzogiorno non può essere conseguita facendo ricorso al sistema delle leggi speciali, che era quello del paternalismo monarchico.

Le leggi speciali adottate, ad esempio, per la Basilicata, dopo un viaggio compiuto dall’onorevole Zanardelli in quella Regione, stanno a testimoniare che con questo mezzo non si raggiunge mai alcun pratico risultato: la Basilicata, infatti, ottenne soltanto la costruzione di una breve linea ferroviaria a cremagliera ed altre modeste provvidenze di carattere esclusivamente locale; ma il problema dell’arretrato sviluppo della Regione rimase insoluto. Ora, con la costituzione di un fondo speciale di solidarietà fra le Regioni, così come dispone l’articolo in esame, si ritorna a quel sistema di interventi proprio dei governi del vecchio Stato italiano, ond’egli ritiene che il principio della istituzione di un tale fondo non possa essere accolto. Al che occorre aggiungere le giuste considerazioni svolte nella precedente riunione dall’onorevole Vanoni, sulla possibilità che abbiano a sorgere vere e proprie risse, nel momento della ripartizione del fondo, fra i rappresentanti delle varie Regioni.

Il problema del Mezzogiorno, secondo il suo parere, non può essere risolto che con l’ordinamento dello Stato su base regionale. Ma anche a questo proposito bisogna parlare con la dovuta franchezza: si deve evitare di addivenire alla creazione di Regioni solo per il capriccio di crearle. In questo modo le Regioni non potrebbero mai diventare organismi efficienti e vitali e la riforma sarebbe destinata a un sicuro fallimento. Le Regioni devono essere costituite su una solida base, con sicure possibilità di vita; e si dovrà in qualche caso, come ad esempio per gli Abruzzi e Molise, giungere ad una modificazione delle vecchie circoscrizioni regionali; ma oltre a questo si deve studiare ed attuare, nel più breve tempo possibile, tutto un grande piano, a carattere nazionale, di opere di bonifica, di irrigazione, di rimboschimento, di sistemazione ferroviaria e stradale, per far sì che le Regioni del Mezzogiorno siano poste rapidamente in condizioni di parità con quelle del Settentrione.

Soltanto se si parte da queste premesse, si può avere una fondata speranza nel successo della riforma delle autonomie regionali.

Ciò considerato, egli è contrario al testo dell’articolo in esame, col quale non si giunge alla soluzione radicale del problema dell’autonomia delle Regioni.

VANONI desidera rispondere ad alcuni colleghi che, nella riunione passata, gli hanno domandato in qual modo il nuovo sistema finanziario dello Stato possa determinare una ripartizione del reddito nazionale per far fronte alle esigenze delle Regioni più povere.

Si deve a tal fine tener presente che l’attività finanziaria dello Stato comprende il governo delle entrate e quello delle spese. Per ciò che concerne le entrate è probabile – e con ragione si dice che è probabile, perché molte delle affermazioni presentate come certezze dai meridionalisti sono forse interpretazioni più sentimentali che scientifiche di alcuni dati – che il sistema tributario ancora vigente in Italia abbia condotto al risultato di sottrarre ricchezze alle Regioni più povere, mettendole a disposizione di alcune attività di spesa dello Stato centralizzalo, cosa che poi si è risolta in favore delle Regioni più attive dal punto di vista economico, ossia di quelle più ricche. Dato che il nostro sistema tributario è fondamentalmente reale, cioè si basa sulle imposte fondiarie più che su quelle mobiliari, la proprietà fondiaria pagava la maggior parte delle imposte, il cui importo era poi distribuito fra le varie Regioni secondo criteri di opportunità politica ed economica, onde la ricchezza fondiaria del Sud ha sopportato gran parte degli oneri per la costruzione della nuova attrezzatura economica e industriale del Paese.

Ora, se con il nuovo ordinamento regionale veramente si vuole favorire le Regioni più povere, basterà adottare un sistema che sia decisamente l’opposto di quello finora seguito; si dovrà stabilire il principio che le imposte reali, quella prediale e quella sui fabbricati, debbono spettare esclusivamente alla competenza delle Regioni e dei Comuni. Il gettito dell’imposta di ricchezza mobile, invece, dovrebbe essere ripartito fra la Regione e lo Stato, perché la ricchezza mobiliare, che deriva da attività industriali, commerciali e di lavoro, è quella che più risente dell’attività economica di tutta la nazione.

Come imposta, poi, di carattere nazionale dovrebbe essere istituita quella sul reddito complessivo, accompagnata da un’imposta personale sul patrimonio ai fini della redistribuzione della ricchezza – esigenza altamente sociale che non può non essere oggi tenuta in debito conto.

Ma occorre fare un altro passo innanzi, ai fini di accentuare il processo della redistribuzione territoriale del reddito: occorre perfezionare il sistema di determinazione e di percezione delle cosiddette imposte sugli affari. Molte critiche sono mosse da parte dei socialisti a tale imposta, in quanto con essa praticamente si tassa la categoria dei consumatori, attraverso la tassazione degli scambi commerciali e della cifra degli affari e della produzione. Sta di fatto però che in tutti gli Stati, anche in quelli governati dai socialisti, si è fatto e si fa ricorso a questa imposta. In ogni modo, se è vero che con le imposte sugli affari si colpisce il consumo, è anche vero che esse, da un punto di vista politico, possono giustificarsi in quanto, attuandosi opportuni congegni, i consumi possono essere diversamente colpiti a seconda della loro minore o maggiore utilità. Ciò che più interessa è che le imposte sugli affari consentono la possibilità di una larga redistribuzione regionale del loro gettito e, per ottenere questo risultato, occorrerebbe stabilire che ogni singola Regione dovrà partecipare con lo Stato al loro gettito, in relazione al numero dei suoi abitanti. Con tale sistema sarebbero prelevate dalle Regioni più ricche cospicue somme, che sarebbero poi redistribuite in modo uniforme fra le varie Regioni in relazione all’entità delle rispettive popolazioni.

Ogni Regione, così, per l’automatismo della ripartizione del gettito di queste imposte, sarebbe assolutamente indipendente da qualsiasi intervento di altri organi, col vantaggio inoltre di non incorrere in alcuna spesa per poter percepire quelle somme a cui, per disposizione di legge, avrebbe diritto. Questo criterio, del resto, fu seguito per un certo tempo anche in Italia, quando si stabilì che per una parte preventivamente fissata il gettito del monopolio dei tabacchi fosse attribuito ai Comuni in relazione al numero dei loro abitanti. Sarà bene battere questa strada, se si vuole avere un’amministrazione finanziaria semplice ed efficiente, senza duplicati di organismi per accertare e prelevare tributi, e se nello stesso tempo si vuole assicurare alle Regioni e ai Comuni quella indipendenza finanziaria su cui più che altro si basa un’effettiva autonomia regionale.

Si raggiungerebbe infine un altro vantaggio, che pure ha la sua notevole importanza, ossia che la partecipazione al gettito delle imposte avverrebbe in base a criteri tecnici predeterminati, in base ad un’esatta valutazione obiettiva delle varie attività assoggettabili alle imposte e dei diversi fabbisogni regionali. Ciò varrebbe a conferire maggiore dignità alle Regioni destinate a ricevere, perché la parte del gettito delle imposte che sarebbe loro attribuita sarebbe determinata in base ad una valutazione politica, sociale ed economica delle loro necessità, cioè, come un loro diritto, e nello stesso tempo sarebbe eliminato ogni motivo di risentimento da parte delle Regioni obbligate a dare.

V’è poi l’altro aspetto dell’attività finanziaria, quello, cioè, relativo alle spese.

Anche su questo punto bisogna essere molto chiari. Non si può immaginare che la massima parte della spesa pubblica possa essere sostenuta dalle Regioni: si avrà sempre una preminenza dello Stato nelle spese pubbliche e ciò non solo in relazione ad alcune spese indispensabili da un punto di vista unitario, come sono quelle per la rappresentanza all’estero o per la difesa nazionale, ma anche in rapporto a certe esigenze produttive e sociali che le Regioni da sole non potrebbero assolutamente soddisfare. Per quanto si sia affermato che la materia dell’agricoltura è prevalentemente di competenza regionale, nessuno potrà nascondersi che i grandi piani di bonifica e di irrigazione non potranno essere compiuti se non con il concorso dello Stato.

Anche nel campo delle spese occorrerà dunque guardare alle situazioni particolari da un punto di vista generale. Se non si raggiungerà questa visione più ampia delle varie opportunità che potranno presentarsi, si determineranno incomprensioni ed attriti fra Regione e Regione. È questa la sua più assillante preoccupazione.

A suo avviso, il fondo di solidarietà, così come sarebbe costituito secondo il testo dell’articolo 16 o le relative proposte di emendamento, presenta sempre l’inconveniente di favorire il sorgere di inutili e poco edificanti discussioni fra le diverse Regioni. Ciò che più interessa per ora è affermare, senza pregiudicare con una data soluzione il problema da un punto di vista tecnico, che la legge costituzionale di cui all’articolo 8, in base a cui la Regione dovrà avere l’autonomia finanziaria, dovrà tener conto della improrogabile necessità politica della redistribuzione regionale dei tributi secondo i criteri esposti.

Ma può essere affermato un concetto simile in un testo costituzionale? A tale domanda non possono rispondere che i competenti in diritto costituzionale. Dal canto suo egli non può far altro che esprimere il voto che l’Assemblea Costituente, prima di ultimare i suoi lavori, approvi un testo di legge che possa consentire alle Regioni di vivere autonomamente anche nel campo finanziario. La Sottocommissione pertanto farebbe bene ad affermare che, quanto più rapidamente sia possibile, deve esser costituita una Commissione per lo studio del problema dell’autonomia finanziaria delle Regioni.

LA ROCCA è favorevole al concetto informatore dell’articolo 16, salvo a vedere in concreto quale potrà essere la sua migliore formulazione. L’unica sua preoccupazione è che il nuovo ordinamento dello Stato su base regionale possa accrescere anziché diminuire la disparità di condizioni fra il Mezzogiorno e il Settentrione. La costituzione di un fondo di solidarietà fra le Regioni dovrebbe, quindi, consentire alle Regioni meno progredite di ottenere gli aiuti necessari per portarsi allo stesso livello delle altre. Ciò considerato, il fondo anzidetto non dovrebbe servire soltanto a fornire di mezzi necessari le Regioni colpite da eccezionali calamità pubbliche.

Le proposte fatte dall’onorevole Vanoni, in merito ad una riforma del sistema tributario, indubbiamente rispondono alle aspirazioni di tutti, ma non si vede come possano essere subito tradotte in realtà; ed è per questa considerazione che egli non crede si possa fare a meno di questo fondo di solidarietà, che, a suo avviso, dovrebbe essere costituito in base a contributi regionali proporzionali alle entrate delle singole Regioni.

CAPPI constata che la questione in esame è del massimo interesse: bisogna, infatti, raggiungere lo scopo che le Regioni più povere ed arretrate possano portarsi il più rapidamente che sia possibile allo stesso livello di vita di quelle più ricche e progredite. A tal fine occorre assolutamente che nella Costituzione sia sancito il principio della solidarietà nazionale fra le Regioni, per consentire a quelle più povere di essere fornite dei mezzi necessari, in base ad una precisa norma di carattere costituzionale.

Per quanto, poi, riguarda la formulazione del principio, gli sembra che il testo proposto dall’onorevole Mannironi sia il più consigliabile nella sua efficace brevità. A suo avviso, infatti, basta affermare il concetto che lo Stato dovrà integrare i bilanci deficitari delle Regioni; né occorre precisare altro nella Costituzione.

MORTATI propone di sopprimere il Capo IV con l’articolo 16 e di apportare un’aggiunta all’articolo 8 così concepita: «…da una legge costituzionale, la quale si ispirerà a criteri di redistribuzione del reddito nazionale allo scopo di attuare una perequazione interregionale». La sua proposta è motivata dalla convinzione che la sede più opportuna per la soluzione del problema in esame non possa essere che il Parlamento, non già il Comitato, che, secondo il disposto dell’articolo in questione, dovrebbe amministrare e ripartire il fondo di solidarietà e che, composto di un rappresentante per ciascuna Regione, verrebbe malamente a sostituire la seconda Camera, nel seno della quale le Regioni hanno ben più efficiente possibilità di difesa dei propri interessi.

ZUCCARINI ritiene che, da un punto di vista politico, sia indispensabile affermare nella Costituzione il principio della solidarietà nazionale fra le Regioni, in modo da impegnare le Regioni stesse in un’opera quanto mai necessaria per portare il più rapidamente possibile le più indigenti e arretrate allo stesso livello di vita di quelle più prospere e progredite. È proprio in considerazione di ciò che, a suo avviso, è preferibile che ogni deliberazione relativamente all’erogazione dei fondi venga presa da un ente che rappresenti tutte le Regioni anziché dallo Stato. In tale modo si renderanno partecipi le Regioni stesse ad un’opera di soccorso immediato delle più prospere a favore di quelle più povere.

Un altro fatto poi occorre tener presente, ed è che non è consentito dilazionare troppo nel tempo l’esecuzione di quelle opere eccezionali che sono assolutamente necessarie per migliorare la situazione delle Regioni meno progredite. Le considerazioni svolte dall’onorevole Vanoni sono senza dubbio apprezzabili; ma per giungere a una trasformazione del sistema tributario, così come è stato dall’onorevole Vanoni indicato, occorrerà attendere molti anni. Ora, affinché l’ordinamento regionale possa praticamente essere attuato, è invece necessario provvedere senza ritardi alle più urgenti esigenze di certe Regioni. Non si risolve il problema formulando voti su ciò che dovrà avvenire e che poi non è quello che avverrà. Il principio della redistribuzione del reddito nazionale allo scopo di giungere ad una perequazione interregionale riguarda il futuro, non il passato: per riparare rapidamente ai torti compiuti nel passato in danno di alcune Regioni non si può adottare altro criterio che quello di un fondo di solidarietà fra le Regioni, e non già di compensazione per i bilanci deficitari, secondo quanto è previsto dall’articolo 16. Per tali ragioni dichiara di essere favorevole al mantenimento dell’articolo anzidetto, però modificato nel modo che da lui viene proposto.

AMBROSINI, Relatore, fa osservare che nel testo originario dell’articolo 16 era prevista l’istituzione di una Camera di compensazione, destinata ad integrare, con un fondo speciale, le finanze delle Regioni deficitarie, cioè a provvedere ai loro bilanci normali. Per considerazioni, poi, di indole non solo politica ma anche tecnica (queste ultime lumeggiate specialmente dall’onorevole Einaudi) la maggioranza dei componenti il Comitato di redazione finì con l’accedere al criterio informatore dell’articolo ora in discussione. Egli stesso, per seguire il deliberato della maggioranza, formulò il testo dell’articolo anzidetto, pur temendo che con il suo accoglimento potessero sorgere gli inconvenienti accennati dall’onorevole Vanoni, cioè diffidenze e attriti fra Regione e Regione nel momento della ripartizione dei fondi. In questo senso, nel trasmettere lo schema di progetto sulle autonomie regionali al Presidente, egli tenne a dichiarare che non era convinto della opportunità di inserire nella Costituzione il testo dell’articolo in esame, così come era stato deliberato.

Riesaminando tutta la questione, osserva però che occorre affrontarla per arrivare all’adozione di un sistema che corregga ed anzi ponga riparo agli errori ed alle ingiustizie passate nei riguardi delle Regioni insulari e del Mezzogiorno in genere.

Rispondendo ai chiarimenti richiestigli sulla portata dell’articolo 16 del progetto, dichiara che il Comitato intese riferirsi principalmente alla necessità di andare incontro, per mezzo del fondo di solidarietà, alle Regioni che non potessero provvedere coi propri mezzi a quelle grandi opere pubbliche, a quelle istituzioni ospedaliere, scolastiche, all’assistenza, ecc., che sono indispensabili nella vita della società moderna.

A questo proposito, ripigliando l’argomento a cui da varie parti s’è accennato, mette ancora in rilievo la condizione di disagio e di depauperamento nella quale sono venute a trovarsi lo Regioni mono favorite, a causa del sistema economico-sociale e più particolarmente tributario e finanziario instaurato nel Paese dal momento stesso della unificazione. Ricorda la prosperità che in quel momento esisteva nel Mezzogiorno. È naturalmente lieto del meraviglioso sviluppo del Nord; ma si rammarica che lo stesso sviluppo non sia avvenuto nel Sud, in dipendenza della disparità suindicata di trattamento. Perciò occorre che il problema sia affrontalo e risolto. Osserva che il congegno dell’articolo 10 non è nemmeno adeguato, e che è opportuno che si addivenga all’adozione di un sistema più radicale e più organico, che dia la possibilità di riparare agli errori ed alle ingiustizie passate per stabilire effettivamente una veridica solidarietà fra le Regioni. È questo concetto di ristabilimento e di reintegrazione dei diritti delle Regioni finora sacrificate o trascurale che bisogna affermare, e non quello di una specie di beneficenza o di soccorso che le Regioni più ricche elargirebbero a quelle più povere; concetto quest’ultimo che nessuno nelle Isole e nel Mezzogiorno accetterebbe.

Il principio deve essere affermato nella Costituzione, affidandosene magari la determinazione ed il sistema di attuazione concreta ad una legge di carattere costituzionale, che dovrebbe emanare questa stessa Assemblea costituzionale.

Richiama l’articolo 8 del progetto, che, a proposito dell’autonomia finanziaria della Regione, rimanda ad una legge costituzionale ed osserva che in essa potrà contemporaneamente venire disciplinato il principio suddetto. Insiste sulla necessità che tale legge costituzionale venga subito elaborata secondo i principî esposti dall’onorevole Vanoni, giacché se non si provvede presto al regolamento di tutta la materia finanziaria si può correre il rischio di far fallire la stessa riforma dell’ordinamento regionale.

LACONI osserva che tra i rappresentanti dei diversi gruppi politici, in seno alla Sottocommissione, non esiste una grande disparità di vedute intorno alla necessità, ormai riconosciuta da tutti, di perseguire in futuro una politica economica più vantaggiosa di quella passata nei confronti delle Regioni del Mezzogiorno. Si è anche tutti d’accordo che tale politica economica debba essere controllata dallo Stato e inquadrata nel sistema generale della finanza statale. Se si fosse tenuto conto dei punti d’accordo, la discussione forse sarebbe stata assai più breve.

NOBILE propone di sostituire al testo dell’articolo 16 un altro così concepito:

«Per lo sviluppo delle Regioni economicamente e socialmente più arretrate sarà istituito un fondo annuale che verrà amministrato dallo Stato.

«A questo fondo contribuiranno tutte le Regioni in proporzione dei loro redditi e della loro popolazione, secondo i criteri fissati dalla legge.

«Una legge determinerà per ogni quinquennio i criteri per la ripartizione tra le Regioni del fondo di cui al primo comma».

AMBROSINI, Relatore, ribadisce i concetti esposti nel precedente intervento, notando che essi corrispondono sostanzialmente a quelli affermati dagli onorevoli Mortati e Vanoni. Ritiene che essi possano essere formulati in un articolo che segna immediatamente l’articolo 8, che tratta della finanza delle Regioni. Si domanda se non sia il caso di mantenere nello stesso tempo il principio affermato dell’articolo 16 proposto dal Comitato, con un inciso del seguente tenore: «con la costituzione di un apposito fondo di solidarietà».

VANONI non crede opportuno introdurre nella Carta costituzionale una norma con cui si costituisca un fondo di solidarietà fra le Regioni, perché una Carta costituzionale è sempre una legge che presumibilmente deve avere un lungo periodo di durata. Non è dubbio che, nella fase iniziale di costituzione della Regione, lo Stato dovrà creare un apposito fondo per formare i capitali di avviamento delle Regioni; ma ciò potrà esser disposto con leggi transitorie e non è opportuno sia sancito con norme di carattere permanente in una Costituzione.

Prega quindi i colleghi di aderire all’emendamento proposto dall’onorevole Mortati, in cui è espresso un concetto sul quale tutti possono essere d’accordo, che la nuova finanza dello Stato dovrà essere una finanza riparatrice del passato e distributrice del reddito nazionale fra le varie Regioni. L’affermazione di questo principio avrebbe un alto significato politico, su cui tutti sono d’accordo, e nello stesso tempo presenterebbe il vantaggio di non vincolare il futuro ad una soluzione del problema che può essere accettabile nel momento presente, ma che forse non lo sarebbe più nell’avvenire.

CONTI domanda se con la parola «perequazione», contenuta nell’emendamento dell’onorevole Mortati, si voglia alludere ad un concetto di riparazione. Se così fosse, non sarebbe favorevole all’emendamento anzidetto.

VANONI spiega che, con la parola «perequazione», si vuol alludere ad una perequazione in senso economico, vale a dire che le Regioni più povere debbano essere sorrette dalle più ricche.

LUSSU è favorevole al mantenimento dell’articolo 16. Propone però che nel primo comma, alle parole «amministrato e ripartito da un Comitato composto da un rappresentante per Regione e presieduto da un rappresentante dello Stato», siano sostituite le seguenti: «composto e ripartito dalle Commissioni finanza e tesoro delle due Camere»; e che nel secondo comma siano soppresse le parole «delle Regioni dello Stato».

PERASSI crede opportuno sia messa in votazione la proposta di sostituire al testo dell’articolo 16 del progetto quello dell’emendamento dell’onorevole Mortati, salvo poi a coordinare la formulazione di questo emendamento, se fosse approvato, con quella dell’articolo 8.

AMBROSINI, Relatore, è favorevole alla proposta dell’onorevole Perassi, purché sia contemporaneamente stabilito che il testo dell’emendamento dell’onorevole Mortati dovrà essere coordinato con quello dell’articolo 8.

PRESIDENTE fa osservare che dovrà porre prima ai voti la soppressione del capo IV dell’articolo 16, perché non può mettere in votazione contemporaneamente la proposta di fare una aggiunta all’articolo 8, visto che riguardo a tale proposta si hanno vari emendamenti ispirati a criteri diversi e quindi non si può dare per accettato in precedenza uno qualsiasi di essi.

LUSSU voterà contro questa proposta.

CONTI si asterrà da questa votazione, perché, se la proposta di soppressione fosse accolta senza la contemporanea accettazione dell’aggiunta all’articolo 8 suggerita dall’onorevole Mortati, egli si troverebbe nella situazione di aver votato contro la sua convinzione, che sia necessario stabilire per le Regioni più povere un largo intervento da parte dello Stato.

VANONI osserva che la procedura di votazione dove sempre aver lo scopo di far emergere la volontà dei votanti. Ora, ha l’impressione che, con la procedura di votazione proposta dal Presidente, il raggiungimento di tale scopo sia reso assai difficile.

NOBILE dichiara che, se sarà approvata la soppressione dell’articolo 16, egli ripresenterà in Commissione plenaria l’emendamento già da lui proposto, al momento in cui si discuterà l’articolo 8.

MANNIRONI si asterrà dalla votazione sulla soppressione dell’articolo 16. In ogni modo, se tale proposta sarà accolta, egli insisterà affinché il suo emendamento sia messo in votazione.

FABBRI dichiara che, essendo favorevole al principio dell’istituzione di un fondo di solidarietà nazionale, voterà contro la soppressione dell’articolo 16, pur proponendo che l’amministrazione di quel fondo sia regolata dalla legge costituzionale di cui all’articolo 8.

AMBROSINI, Relatore, si asterrà dalla votazione per le ragioni illustrate dall’onorevole Conti.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta di soppressione del capo IV e dell’articolo 16.

(Non è approvata).

Avverte che, dei vari emendamenti all’articolo 16, converrà mettere prima in votazione quello proposto dall’onorevole Nobile e più precisamente il primo comma di esso, secondo il quale il fondo di solidarietà dovrebbe essere amministrato soltanto dallo Stato e non già anche dalle Regioni, come invece è disposto nell’articolo presentato dal Comitato.

LUSSU dichiara, pur aderendo al concetto a cui si ispira l’emendamento dell’onorevole Nobile, di preferire il testo proposto dal Comitato. Non ritiene opportuno parlare di Regioni più arretrate e quindi voterà contro l’emendamento in questione.

NOBILE osserva che la dizione proposta dal Comitato è, a suo avviso, troppo vaga e generica. Il problema del Mezzogiorno esiste ed è meglio dirlo chiaramente.

PRESIDENTE mette in votazione il primo comma dell’emendamento dell’onorevole Nobile.

(Non è approvato).

Mette in votazione il criterio indicato dall’onorevole Zuccarini per un emendamento al primo comma dell’articolo 16, nel senso che sia creato un fondo di solidarietà tra le Regioni, ma non già di compensazione per i bilanci deficitari, bensì per impegnare le Regioni stesse in un’opera tendente a portare sollecitamente le più indigenti ed arretrate allo stesso livello di quelle più prospere e progredite.

LUSSU voterà contro la proposta Zuccarini, perché ritiene che il primo comma dell’articolo proposto dal Comitato sia più rispondente alle esigenze da tutti avvertite circa la questione in esame.

(Non è approvato).

VANONI deve fare un’esplicita dichiarazione circa il modo con cui si è svolta la votazione su parte della proposta dell’onorevole Mortati. Ritiene infatti che, se l’intera proposta dell’onorevole Mortati fosse stata messa in votazione, sicuramente sarebbe stata approvata dalla Sottocommissione. Per una questione di forma, quindi, la Sottocommissione è andata oltre alla questione di sostanza. Ciò considerato, si riserva, con i rappresentanti del suo gruppo, di ripresentare la proposta anzidetta nella Commissione plenaria ed eventualmente in seno alla stessa Assemblea costituente.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che le osservazioni dell’onorevole Vanoni debbano essere prese in debita considerazione. Poiché la Sottocommissione può anche ritornare sulle sue decisioni, e visto che la proposta di soppressione dell’articolo 16, fatta dall’onorevole Mortati, era accompagnata da un’altra proposta relativa ad un’aggiunta da apportare all’articolo 8, con cui si afferma il principio di una redistribuzione del reddito nazionale allo scopo di ottenere una perequazione interregionale, fa rilevare l’opportunità di procedere ad un’altra votazione, e presenta in questo senso una esplicita richiesta.

GRIECO osserva che alcuni colleghi si sono assentati e che quindi non sarebbe corretto procedere ad un’altra votazione. Dichiara comunque di aderire esplicitamente alla proposta di emendamento presentata dall’onorevole Mortati.

PRESIDENTE, a seguito delle osservazioni fatte, e poiché è suo intendimento che la volontà della Sottocommissione si manifesti nel modo più preciso, propone di considerare come non avvenuta la votazione sulla proposta della pura e semplice soppressione dell’articolo 16.

(Così rimane stabilito).

Avverte che la Sottocommissione, nella prossima riunione, dovrà quindi procedere ad un’altra votazione, la quale potrebbe farsi sul seguente ordine del giorno:

«La Sottocommissione decide di sopprimere il capo IV, articolo 16, e di approvare un emendamento aggiuntivo dell’articolo 8, nel quale sia ripreso il concetto di solidarietà interregionale espresso nell’articolo 16, adeguandolo alle disposizioni in quello contenute»

La seduta termina alle 12.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Vanoni e Zuccarini.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bulloni, Calamandrei, Castiglia, De Michele, Farini, Fuschini, Leone Giovanni, Patricolo, Piccioni, Porzio e Uberti.

VENERDÌ 6 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

60.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 6 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Leone Giovanni – Perassi – Grieco – Fabbri – Zuccarini – Ambrosini, Relatore – Mannironi – Cappi – Bozzi – Mortati – Lami Starnuti – Lussu – Vanoni – Codacci Pisanelli – La Rocca – Laconi – Di Giovanni – Conti – Targetti – Nobile.

La seduta comincia alle 16.20.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 18 del progetto:

«I Comuni sono enti autarchici dotati di tutti i poteri necessari per l’adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge.

«Soltanto la volontà delle popolazioni interessate potrà determinare la modificazione delle circoscrizioni comunali esistenti, o la creazione di nuovi Comuni».

LEONE GIOVANNI è contrario alla disposizione del capoverso, in quanto è possibile e l’esperienza ammonisce in questo senso che le popolazioni interessate siano determinate a chiedere la modificazione di circoscrizioni o la creazione di nuovi Comuni in base ad elementi (motivi sentimentali, contrasti tra Comuni, ecc.) non rispondenti alle effettive necessità locali. A suo avviso, la decisione dovrebbe essere rimessa al giudizio di un ente superiore che esaminasse la situazione obiettivamente. A tale scopo propone il seguente emendamento: «La modificazione delle circoscrizioni comunali esistenti o la creazione di nuovi Comuni è disposta dall’Assemblea regionale, a condizione che sia espressa analoga volontà dalle popolazioni interessate».

PERASSI domanda se l’ordinamento dei Comuni è materia di competenza dello Stato o della Regione; in altri termini, se deve essere disciplinato esclusivamente da leggi dello Stato, ovvero se la Regione ha, al riguardo, una competenza legislativa di integrazione.

GRIECO, circa il quesito posto dall’onorevole Perassi, osserva che, essendo la Regione disciplinata da una legge dello Stato, dovrebbero esserlo anche i Comuni.

Accetta quindi la proposta dell’onorevole Leone di lasciar decidere della creazione di nuovi Comuni e della modificazione delle circoscrizioni di quelli esistenti l’Assemblea regionale.

Quanto al primo comma suggerisce di precisare: «dotati di tutti i poteri necessari e delle condizioni per l’adempimento delle funzioni, ecc…».

FABBRI ricorda che nell’articolo 3, tra le materie di esclusiva competenza regionale, si è inclusa la voce: «modificazioni delle circoscrizioni comunali». Propone di aggiungervi l’espressione: «previa richiesta delle popolazioni interessate», sopprimendo il capoverso dell’articolo in esame.

ZUCCARINI trova che riservare al Comune un solo articolo rappresenta ben poca cosa per un argomento tanto importante. Non vede perché la Costituzione dovrebbe limitarsi ad una semplice enunciazione, quando in molte Costituzioni l’ordinamento comunale ha formato oggetto di una esplicita disciplina a sé stante.

Ricorda che il problema dell’autonomia comunale si agita da tempo e che recentemente si è ricostituita l’Associazione per le autonomie locali. L’importanza del Comune nella vita nazionale è stata sempre sentita, così come sono state sempre lamentate e denunciate le enormi difficoltà frapposte all’esplicazione della sua attività, originate soprattutto dallo scarso interesse delle popolazioni alla vita comunale disciplinata e contenuta dalla ingerenza prefettizia su tutti gli atti amministrativi e dalla uniformità della legislazione stessa in materia. Da più parti si suole lamentare che i Comuni abbiano assolto e assolvano male le loro funzioni. La verità è invece che per funzionare hanno dovuto sempre compiere miracoli, in quanto ogni loro azione era subordinata all’approvazione del Prefetto, e nessuna possibilità era lasciata alla loro iniziativa. Senza dire della assurdità della legislazione uniforme, che poneva i grandi Comuni e i piccolissimi sullo stesso piano con la stessa organizzazione e con gli stessi uffici, lasciando all’arbitrio dell’autorità centrale perfino la delimitazione dei loro confini.

Dopo queste premesse, tiene a mettere in evidenza come nel suo progetto di ordinamento regionale si affermasse – e crede che la Costituzione debba contenere una enunciazione del genere – che il Comune deve essere nell’ordinamento dello Stato italiano il «nucleo fondamentale della libertà e dei diritti del cittadino». Egli considera, infatti, il Comune, non già come centro di lotte intestine, ma come la scuola politica della Nazione. Nella sua giovinezza ha partecipato attivamente alla vita degli enti locali, rilevando che ciò che più interessava, e spesso divideva i cittadini, era la risoluzione dei problemi locali, sulla quale ogni cittadino finiva per manifestare il suo giudizio particolare e non quello del suo partito politico. Ritiene pertanto necessario affermare il carattere di autonomia del Comune ed il suo diritto di trasformare ed adattare la propria amministrazione ai bisogni ed alle esigenze locali. L’impossibilità di una amministrazione uniforme è poi resa evidente dalla diversità di ampiezza e di carattere dei Comuni; a fianco ai grandi e ai grandissimi ve ne sono di piccolissimi; alcuni amministrati fino al periodo fascista con sistemi patriarcali, che, appunto perché erano piccolissimi, avevano fatto ottima prova; altri a carattere rurale, ma ove il centro urbano tende a prevalere trascurando gli interessi rurali della periferia; altri quasi esclusivamente urbani come per le grandi città. Da ciò deriva la necessità di una organizzazione differenziata con la facoltà per ogni comune di autoregolare la propria vita amministrativa. Nel suo progetto egli si riferiva a tali possibilità e si esprimeva così:

«Art. 2. – Sulla base della situazione di fatto esistente i Comuni sono liberi di conservare e di modificare la loro struttura interna ed il loro funzionamento secondo le particolari esigenze. Nessuna restrizione potrà in ogni caso essere apportata alla partecipazione alla vita locale del cittadino e ai suoi diritti elettorali».

«Art. 3. – L’autonomia del Comune potrà svolgersi:

  1. a) nel suo ordine interno, nella ripartizione dei suoi uffici, con la creazione di amministrazioni ed anche di rappresentanze distinte per determinate frazioni del Comune, con una separazione tra zona urbana e zona rurale o con la suddivisione, per Comuni più grandi e popolosi, in rappresentanze e amministrazioni rionali distinte;
  2. b) nelle attribuzioni, con una estensione dei suoi compiti e dei suoi interventi in opere e servizi ritenuti di utilità comune;
  3. c) nei diritti della popolazione, assicurando ad una parte di essa la facoltà di separarsi dal Comune per crearne uno nuovo o per aggregarsi ad un altro vicino o di esigere una amministrazione distinta nell’ambito dello stesso Comune (è il caso di molte frazioni, le quali, essendo lontane dal centro urbano, finiscono per essere da questo trascurate);
  4. d) nei riguardi esterni, con la facoltà di unirsi ad altri nell’esercizio di determinate attività o per l’esecuzione di particolari opere o di unificare con essi, per ragioni di economia o di semplificazione, uffici e servizi amministrativi anche di carattere interno; di costituire con essi, in forma consorziale, organi di rappresentanza e di esercizio per opere e servizi in comune, di aggregarsi ad una piuttosto che ad altra Regione confinante; di scegliersi con i rapporti con la Regione e con lo Stato nazionale le sedi di ufficio a cui far capo ritenute più comode e convenienti».

Infatti anche oggi ad esempio, così per quel che riguarda le preture, come per tutte le sedi di ufficio a carattere statale, spesso si riscontra che alcuni Comuni sono assegnati arbitrariamente ad una sede mandamentale molto lontana, quando ve n’è una più vicina ma appartenente ad altra circoscrizione. Bisogna evitare che questa scelta sia lasciata al Governo centrale, che può essere influenzato da motivi politici, ed affidarla invece alla libera determinazione dei Comuni interessati.

Un’altra questione che ritiene molto importante ai fini della autonomia comunale è che venga assicurata l’autonomia amministrativa degli enti di assistenza, di previdenza e di beneficenza. Molti di questi enti durante il periodo fascista sono stati trasformati ed il loro patrimonio è stato disperso, e ridotto a poche cartelle di debito pubblico, o ne è stata mutata la destinazione. È necessario che anche tali enti, che hanno una grande importanza locale, non siano più soggetti nella loro gestione a criteri dettati dal centro, ma abbiano una gestione autonoma. A tale fine egli aveva predisposto il seguente articolo: «L’autonomia amministrativa si estende a tutti quegli Enti di assistenza, previdenza, ecc. creati con mezzi e per fini locali e che costituiscano un patrimonio che deve essere localmente conservato e tutelato.

Ove tali Enti non abbiano già amministratori propri di diritto, la nomina di questi appartiene alla rappresentanza comunale».

Altro punto infine che merita considerazione è quello dei servizi di Stato delegati al Comune. I Comuni negli ultimi tempi sono stati oberati di lavoro svolto per conto esclusivo, o quasi, dello Stato. Indubbiamente sono servizi (leva, tesseramento, ecc.) che devono essere posti alle dipendenze dei Comuni; tuttavia ritiene indispensabile affermare il principio che questi servizi, che sono propri del Comune, ma svolti nell’interesse dello Stato o di Enti parastatali, debbano essere compensati a parte. Così facendo si toglierà una delle principali cause di deficit dei bilanci comunali ed un incentivo al moltiplicarsi della burocrazia comunale.

Concludendo, dice che non presenterà speciali proposte di emendamento, ma chiede solamente che la parte relativa ai Comuni sia meglio e più estesamente compilata. Le sue proposte potrebbero così essere perfezionate ed integrate in modo da formare quattro o cinque articoli da includere nella Costituzione. Tale lavoro di redazione potrebbe eventualmente essere assolto da un ristrettissimo comitato di due o tre membri.

AMBROSINI, Relatore, risponde brevemente alle obiezioni che l’onorevole Zuccarini ha nuovamente sollevato. Questi desidererebbe che alcuni diritti dei Comuni (modificazione delle circoscrizioni, riunione di Comuni, funzionamento interno, possibilità di istituire consorzi, ecc.), che sono già disciplinati dalle leggi vigenti, venissero riconfermati in modo solenne nella Costituzione. Il Comitato invece ha ritenuto che la dizione adoperata nel primo comma dell’articolo 18 costituisse una adeguata salvaguardia di tali diritti. Anche l’onorevole Lami Starnuti, il quale aveva impostato il suo schema proprio sulla regolamentazione dell’organizzazione comunale, finì per accedere al parere prevalente nel Comitato, riconoscendo che sarebbe stato più opportuno rinviare la materia ad una apposita legge organica.

Riferendosi poi alla più radicale proposta dell’onorevole Zuccarini di dare ai Comuni la facoltà di organizzarsi e disciplinarsi nel modo che ritengano più conveniente, osserva che non è possibile accedervi senza trasformare la stessa struttura fondamentale del diritto pubblico moderno. Se si riconoscesse ai Comuni la potestà di auto organizzarsi, si creerebbe nello Stato una tale varietà di organismi municipali da far pensare a quella del medioevo. Fa presente che una siffatta potestà non è attribuita, con l’ordinamento regionale in esame, nemmeno alle Regioni, giacché l’organizzazione delle Regioni è stabilita dallo Stato nella Costituzione: sarebbe quindi inconseguente attribuirla ai Comuni. Questi debbono avere la piena autarchia, debbono cioè potersi amministrare liberamente per mezzo di organi eletti direttamente dalla popolazione; bisogna evitare di sottoporli ad eccessivi controlli mortificanti e più ancora alle interferenze e pressioni deleterie del potere politico; ma non può arrivarsi al riconoscimento del diritto di autoorganizzazione.

Ribadendone le ragioni, conclude col rilevare che le norme dell’articolo 18 del progetto sono sufficienti a garantire la libertà dei Comuni.

Quanto al quesito rivolto dall’onorevole Perassi, se, cioè, l’ordinamento comunale debba essere regolato soltanto dallo Stato o anche dalla Regione, rileva che la Sottocommissione si è già pronunciata al riguardo, ponendo tra le facoltà legislative concesse in via esclusiva alla Regione (articolo 3) soltanto quella relativa alla modificazione delle circoscrizioni comunali.

MANNIRONI concorda pienamente col Relatore, nonché con la proposta dell’onorevole Grieco di accennare alle condizioni necessarie per l’attuazione dell’autonomia comunale. Desidererebbe soltanto che tale precisazione, in quanto va riferita soprattutto ai Comuni di nuova creazione, trovasse posto nel capoverso anziché nel primo comma, dedicato a determinare genericamente i compiti del Comune.

Propone inoltre che il capoverso, oltre le ipotesi di creazione di nuovi Comuni e di modificazione di circoscrizioni, preveda anche quella della fusione di due o più Comuni in uno solo.

CAPPI, al fine di snellire il primo comma dell’articolo 18, propone – a meno che non si voglia accedere alla tesi dell’onorevole Zuccarini, dalla quale personalmente dissente, e specificare le funzioni spettanti ai Comuni per la loro natura o per disposizione di legge – di sopprimere l’espressione: «dotati di tutti i poteri necessari per l’adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge». Infatti, a suo avviso, tale dizione, dopo le parole; «I Comuni sono enti autarchici», sarebbe pleonastica, perché quando ad un ente si attribuisce una funzione, gli si debbono necessariamente attribuire anche i poteri per adempierla.

Si dichiara quindi contrario alla tesi dell’onorevole Zuccarini, sia per ragioni di forma – perché ritiene che quanto egli vorrebbe includere nella Costituzione troverebbe la sua sede più opportuna in una legge speciale – sia per ragioni di sostanza, nella convinzione che la concessione ai Comuni del diritto di auto organizzarsi porterebbe ad una disintegrazione della vita amministrativa.

BOZZI osserva che nel capo V vengono disciplinati congiuntamente la Provincia e il Comune che pur hanno due fisionomie diverse: la prima la fisionomia di semplice circoscrizione amministrativa, il secondo quella di ente autarchico di diritto pubblico. Nell’accomunamento dei due istituti ravvisa una esautorazione ulteriore del Comune, mentre egli vorrebbe vederne ampliata l’autorità.

Circa la qualifica di «enti autarchici», richiama l’attenzione sul fatto che il concetto tecnico-giuridico di autarchia è delimitato.

Viceversa i Comuni sono qualche cosa di più: sono enti autonomi, in quanto hanno la facoltà di darsi un proprio ordinamento giuridico. Ritenendo necessaria una precisazione, soprattutto in quanto le norme sui Comuni seguono, nello stesso Capo, quelle sulle Provincie, che pure sono soltanto organi di decentramento burocratico, propone di aggiungere alle parole: «enti autarchici», le altre: «autonomi».

CONTI propone di sostituire all’intitolazione del capo V: «Provincie e Comuni», l’altra: «Circoscrizioni provinciali»; e di premettere all’articolo 18 l’intitolazione: «I Comuni».

MORTATI propone di sostituire il primo comma dell’articolo 18 col seguente:

«I Comuni sono enti autarchici, dotati di autonomia e di autoorganizzazione nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato per assicurare il loro ordinamento in senso democratico, per l’adempimento dei servizi obbligatori e delle funzioni attinenti alla costituzione dello Stato».

PRESIDENTE è favorevole all’emendamento dell’onorevole Conti perché, come già si è espresso l’onorevole Bozzi, non si può dare alle Provincie la stessa rilevanza dei Comuni, che sono enti autarchici ed autonomi.

MORTATI concorda sull’opportunità, dal punto di vista sistematico, di modificare l’intitolazione del capo in esame.

PRESIDENTE crede che si possa provvedere in sede di coordinamento a ridistribuire la materia inclusa sotto il capo V, nel senso accennato dall’onorevole Conti o in altro analogo, purché le Provincie non vengano accomunate ai Comuni e alle Regioni.

(Così rimane stabilito).

Tra le altre proposte, esprime l’avviso che si debba esaminare anzitutto come la più radicale quella dell’onorevole Zuccarini di dedicare, nell’economia generale del progetto, una maggiore ampiezza alla trattazione dei Comuni, onde inserirvi le disposizioni alle quali egli ha accennato. Ricorda che alcuni colleghi hanno rilevato che parte delle disposizioni proposte sono già acquisite o alla nostra legislazione o alla tradizione della vita italiana; altri ancora hanno osservato che troverebbero sede più idonea in una legge speciale.

Pone ai voti la proposta Zuccarini.

LAMI STARNUTI dichiara di votare contro, perché, nonostante abbia sostenuto un punto di vista analogo, in seno al Comitato, rilevando, fra l’altro, la mancanza di euritmia fra le varie parti di un progetto che dedicasse un solo articolo al Comune e circa venti alla Regione, non ha poi insistito per una molteplicità di ragioni. Si riserva tuttavia di risollevare il problema in sede di discussione delle norme transitorie.

FABBRI voterà contro, ritenendo che, qualora venga ampliata, secondo il desiderio di taluni Commissari, la portata dell’articolo in esame, introducendovi il concetto dell’autonomia dei Comuni, sorga l’esigenza di limitare tale autonomia a meno di andare anche oltre le aspirazioni dell’onorevole Zuccarini e di mantenerla nell’ambito della legislazione statale.

(Non è approvata).

PRESIDENTE passando all’emendamento Mortati, segnala che esso, oltre a contenere l’affermazione del carattere autarchico ed autonomo dei Comuni, aggiunge un principio nuovo, cioè che essi sono dotati di una potestà di autoorganizzazione.

MORTATI pone in evidenza che l’accenno ad un ordinamento democratico è una garanzia utile da introdurre nella Costituzione. D’altra parte, la necessità di un ordinamento uniforme è sentita agli effetti della elezione della seconda Camera. Crede pertanto opportuno circoscrivere l’autonomia dei Comuni in questi limiti imposti dalla necessità di assolvere ad alcuni compiti che lo Stato affida loro.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che, tutto sommato, sia preferibile mantenere la formula proposta dal Comitato.

PERASSI è d’avviso che, prima di votare una qualsiasi formula, occorra dare una risposta precisa al suo quesito: se l’ordinamento dei Comuni debba essere interamente disciplinato dallo Stato o se la materia sia in parte suscettibile di integrazione da parte della Regione, e debba quindi includersi nell’articolo 4-bis.

LUSSU prospetta l’opportunità di votare la formula Mortati scindendola in due parti. Personalmente dichiara di essere favorevole alla prima, dove si afferma il concetto dell’autonomia nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato, e di non approvare la seconda, alla quale preferisce la dizione del progetto.

Conviene, in sostanza, sulla necessità di una legge speciale, parallela alla Costituzione, che regoli nelle grandi linee la vita dei Comuni e ne riconosca la completa autonomia entro determinati limiti.

MORTATI chiarisce che, nella sua proposta, il riferimento alle leggi dello Stato è fatto solo ai fini della determinazione delle funzioni dei Comuni e non del loro ordinamento.

AMBROSINI, Relatore, in merito alla proposta dell’onorevole Perassi, ricorda che personalmente aveva posto, nell’articolo 4 del suo progetto originario, la seguente voce: «Ordinamento regionale e degli enti locali».

VANONI chiede che venga chiarito in qual senso sono usati i termini: «autarchia ed autonomia».

AMBROSINI, Relatore, richiama i dispareri a cui nella dottrina ha dato luogo l’uso dei due termini ed il senso che oggi suole ad essi attribuirsi. Mentre per autarchia si intende la potestà degli enti di amministrarsi da sé stessi liberamente, di autogovernarsi, per autonomia si indica la potestà di dettarsi norme proprie, di crearsi un proprio diritto e perfino di autoorganizzarsi. La prima è una potestà amministrativa, la seconda legislativa.

Rileva che questa potestà legislativa, per quanto possa limitarsi anche a poche materie e tenersi subordinata al potere superiore dello Stato, pone l’ente che ne è investito in una posizione diversa e superiore a quella degli enti semplicemente autarchici.

VANONI ritiene che non sia sufficiente il semplice uso del termine «autonomia». A suo avviso, o si arriva a definire il concetto dell’autonomia comunale, elencando – come si è fatto per la Regione – tutte le facoltà che competono al Comune, oppure si dovrà fare un rinvio alla legge che delimiterà l’autonomia in parola. Viceversa nell’articolo 18 del progetto si dice che i Comuni saranno dotati «dei poteri necessari per l’adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge». Quindi, la legge stabilirebbe le funzioni del Comune, ma non sarebbe posta come termine che delimitasse la sua sfera di competenza e di autonomia, come invece è detto chiaramente nella formula Mortati.

LUSSU obietta che la legge, nel determinare le funzioni del Comune, determina anche i limiti dell’autonomia.

MORTATI domanda chi regolerebbe le funzioni del Comune, se la legge non dicesse niente.

VANONI precisa che la legge che attribuisce le funzioni è ambivalente, in questo senso: che può riferirsi tanto a funzioni proprie del Comune, quanto a funzioni dello Stato che questo deleghi al Comune, il quale, evidentemente, senza delega non potrebbe esercitarle (così avviene, per esempio, agli effetti della leva).

La legge a cui si fa riferimento nell’articolo 18 non avrebbe dunque di per sé stessa la capacità di delimitare l’autonomia del Comune, perché potrebbe trattarsi anche di una disposizione accidentale. Nella formula dell’onorevole Mortati, invece, si fa riferimento ad una legge apposita per la determinazione delle funzioni comunali e non a leggi occasionali.

CODACCI PISANELLI aderisce all’idea di precisare che i Comuni sono, non soltanto enti autarchici, ma anche autonomi. Circa il valore delle due espressioni, spiega che in passato la dottrina è stata alquanto divisa, ma oggi è generalmente accolto il concetto di parlare di autonomia quando le funzioni legislative sono svolte da organi diversi da quelli a cui normalmente spettano, e di autarchia quando le funzioni amministrative vengono svolte da organi diversi a quelli cui competono istituzionalmente.

D’altra parte, dicendo che il Comune è autonomo, si ammettono dei limiti, in quanto sia l’autarchia che l’autonomia presuppongono l’esistenza di un ente superiore rispetto al quale l’organo che esercita le funzioni in via eccezionale è in posizione subordinata; in altri termini, si può parlare di enti autarchici ed autonomi in quanto v’è lo Stato al disopra di essi.

AMBROSINI, Relatore, avverte che la preoccupazione maggiore del Comitato – appunto in quanto riconosceva che l’autonomia consiste nel potere di darsi delle norme ed anche di autoorganizzarsi – è stata quella di non collocare (come avrebbe voluto l’onorevole Zuccarini) le Regioni e i Comuni sullo stesso piano. Perciò crede che i Comuni debbano qualificarsi enti autonomi.

MORTATI desidera porre la questione nei suoi giusti termini. Normalmente il potere di organizzarsi e di adempiere da sé i propri compiti non implica il potere di dettarsi le proprie norme. L’opinione dominante ritiene che dal possesso da parte di un ente di facoltà particolari non discenda anche il potere di dettare norme per l’esercizio di tali facoltà particolari, per il quale perciò occorre un titolo espresso di conferimento. Ciò posto, non ci si può affidare all’equivoco o risolvere dei dubbi con la reticenza. Occorre invece definire anzitutto la questione della reciproca posizione dei due enti (Regione e Comune) e determinare i limiti della eventuale subordinazione dell’uno all’altro.

AMBROSINI, Relatore, osserva che, ove non si voglia arrivare nei riguardi del Comune ad una regolamentazione specifica, come proponeva l’onorevole Zuccarini, è preferibile rinviare la materia ad una legge speciale che, con maggiore ponderazione, decida delle singole questioni, e stabilisca i poteri da conferire all’ente con gli inevitabili limiti.

LA ROCCA desidererebbe conoscere quale preciso significato si attribuisca all’espressione: «funzioni spettanti per loro natura».

PRESIDENTE chiarisce che la natura del Comune è data da questo elemento: che un raggruppamento di persone vivono nello stesso luogo e devono necessariamente soddisfare in comune certi bisogni. V’è quindi un minimo indispensabile di servizi, senza dei quali la vita civile non potrebbe svolgersi.

Riepilogando, ricorda che le questioni da risolvere sono tre: 1°) se i Comuni debbano essere considerati, oltre che enti autarchici, anche enti autonomi; 2°) chi fissi i limiti di questa autonomia (lo Stato o le Regioni); 3°) se sia necessario specificare le funzioni nei cui confronti si esplica l’autonomia.

PERASSI insiste sulla necessità di precisare se l’ordinamento dei Comuni debba essere regolato con legge dello Stato o della Regione. Personalmente ritiene che tale compito non debba spettare in maniera esclusiva né all’uno né all’altra, ma che la Regolamentazione debba esser fatta con legge dello Stato da integrarsi con norme regionali. Propone pertanto di aggiungere all’elencazione dell’articolo 4-bis la voce: «Ordinamento dei Comuni e degli altri enti locali».

PRESIDENTE crede che per il momento si potrebbe mettere ai voti l’espressione proposta dall’onorevole Mortati: «I Comuni sono enti autarchici dotati di autonomia».

LUSSU osserva che il concetto di «autonomia» comprende quello di «autarchia», e che perciò si può usare il primo soltanto dei due termini.

PRESIDENTE riconosce che è difficile pensare ad un ente autonomo che non sia autarchico, cioè, ad un ente che abbia la facoltà di darsi delle norme e non abbia quella di applicarle nella propria amministrazione. Tuttavia la specificazione contenuta nell’emendamento Mortati è opportuna, perché, mentre l’autarchia s’intende in senso pieno, cioè in tutto l’ambito dell’attività amministrativa, nei riguardi dell’autonomia è pensabile qualche limitazione.

LACONI concorda. L’autonomia comprende anche l’autarchia se è piena, ma non se riferita a particolari materie.

CODACCI PISANELLI propone la dizione: «enti autarchici ed autonomi».

DI GIOVANNI si associa.

LACONI obietta che con tale formula non si potrebbe evitare che i limiti di cui si parlerà in seguito si riferiscano tanto all’autarchia che all’autonomia.

PRESIDENTE, posto che andrebbe riconosciuta l’autonomia dei Comuni soltanto nei confronti di certe attività, pone ai voti la formula Mortati:

«I Comuni sono enti autarchici dotati di autonomia».

Personalmente dichiara di votare in favore, anche per il fatto che nel Paese v’è una larghissima corrente popolare per l’autonomia comunale e non v’è pericolo che una simile norma preoccupi l’opinione pubblica.

(È approvata).

MORTATI rinuncia all’espressione: «e di autoorganizzazione», contenuta nella sua formula, in quanto il concetto è già implicito in quello di autonomia.

PRESIDENTE avverte che ora la Sottocommissione dovrà pronunciarsi su due formule; quella del Comitato: «dotati di tutti i poteri necessari per l’adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge» e quella dell’onorevole Mortati: «nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato». Quanto segue, cioè: «per assicurare il loro ordinamento in senso democratico, per l’adempimento dei servizi obbligatori e delle funzioni attinenti alla costituzione dello Stato», a suo avviso, potrebbe essere soppresso.

CODACCI PISANELLI è d’accordo circa la soppressione.

AMBROSINI, Relatore, non ritorna sulle ragioni per cui dissentiva dalla proposta di qualificare i Comuni come enti autonomi; ma dal momento che questa proposta è stata approvata, ritiene necessario che si faccia espressamente richiamo ai limiti in cui l’autonomia dei Comuni deve essere contenuta secondo le norme che saranno stabilite dal legislatore, perché altrimenti si aprirebbe l’adito ad una varietà di ordinamenti comunali contraria alle attuali esigenze della vita della società nazionale.

MORTATI spiega che ha usato l’espressione: «principî fissati dalle leggi generali dello Stato», per significare che tali leggi debbono avere efficacia in tutto lo Stato.

PRESIDENTE pone ai voti la formula Mortati: «nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato».

(È approvata).

Pone in votazione la parte successiva dell’emendamento Mortati: «per assicurare il loro ordinamento in senso democratico, per l’adempimento dei servizi obbligatori e delle funzioni attinenti alla costituzione dello Stato».

(Non è approvata).

Informa che, in seguito all’esito delle votazioni, il primo comma dell’articolo 18 resta così concepito:

«I Comuni sono enti autarchici dotati di autonomia nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato».

Invita i Commissari ad esprimere il loro parere sulla proposta dell’onorevole Perassi di includere fra le materie dell’articolo 4-bis la voce: «Ordinamento dei Comuni e degli altri enti locali».

Personalmente dichiara di esservi contrario, non ritenendo concepibile che i Comuni abbiano organizzazione e funzionamento diverso da località a località.

FABBRI aderisce alla proposta dell’onorevole Perassi, in quanto lascia alle Regioni la possibilità di integrare la legge dello Stato sugli enti locali.

PERASSI spiega che, parlando di ordinamento, dei Comuni, non intende riferirsi all’organizzazione comunale. In altri termini, lo Stato emanerà una legge sui Comuni e, anziché farla seguire da un regolamento che scenda nei più minuti dettagli, lascerà questo compito al potere d’integrazione della Regione.

MANNIRONI è favorevole alla proposta Perassi, giacché ritiene che, nell’ambito della legge generale dello Stato – la quale regolerà i poteri, le funzioni e, in genere, la vita del Comune – la Regione possa utilmente intervenire per dettare norme relative allo sviluppo di attività secondarie dei Comuni.

CODACCI PISANELLI non accetta l’emendamento per la gravità delle conseguenze che ne potrebbero derivare, soprattutto nel campo amministrativo, agli effetti dei controlli di legittimità e di merito (articolo 19).

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Perassi.

(Non è approvata).

Passando al capoverso dell’articolo 18, osserva che dalla formulazione del Comitato non risulta a chi spetterebbe la facoltà di modificare le circoscrizioni comunali o crearne di nuove.

FABBRI propone di sopprimere detto capoverso e di aggiungere all’articolo 3, alla voce: «modificazione delle circoscrizioni comunali» le parole: «e creazione di nuovi Comuni, sempre e in ogni caso su richiesta delle popolazioni interessate».

PERASSI propone il seguente emendamento: «La creazione di nuovi Comuni e la modificazione delle circoscrizioni comunali sono stabilite con legge della Regione, avuto riguardo ai voti delle popolazioni interessate». Conseguentemente andrebbe soppressa nell’articolo 3 la voce: «modificazione delle circoscrizioni comunali».

PRESIDENTE osserva che tutte le proposte – compresa quella del Comitato – concordano sulla necessità di una manifestazione di volontà delle popolazioni interessate per ottenere la modificazione di circoscrizioni comunali.

La formulazione del Comitato, però, potrebbe interpretarsi nel senso che sia sufficiente a promuovere queste modificazioni la sola volontà delle popolazioni interessate, senza l’intervento di altri elementi di giudizio. A suo avviso, invece, questa dovrebbe essere una condizione necessaria, ma non esclusiva, non vincolante. Infatti, per contrasti o rivalità locali possono sorgere richieste che non rispondano ad effettive necessità delle popolazioni.

FABBRI osserva che questa esigenza è soddisfatta dal suo emendamento, il quale dà alla Regione da potestà di decidere sulla richiesta delle popolazioni.

PERASSI rileva che nell’articolo 3 si attribuisce alla Regione la competenza ad emanare le norme generali in materia di modificazione delle circoscrizioni comunali, mentre nell’articolo 18 si pone un altro problema, quello di garantire al Comune il diritto di non essere toccato nella sua integrità territoriale se non con legge ed in seguito a conforme manifestazione di volontà popolare. È evidente, poi, che anche l’atto legislativo che decretasse la modificazione della circoscrizione di un Comune dovrebbe promanare dalla Regione.

CONTI e MANNIRONI aderiscono alla proposta dell’onorevole Fabbri.

PRESIDENTE obietta che le precisazioni dell’onorevole Perassi consigliano di non includere questo concetto nell’articolo 3. Ivi sono elencate le materie lasciate alla potestà della Regione – tra l’altro il potere di dettare norme in tema di modifica di circoscrizioni comunali – mentre nell’articolo 18 si allude alle leggi speciali con cui si applicano ai casi concreti le norme generali dell’articolo 3.

MORTATI aggiunge che nell’articolo 18 si ha anche una norma limitativa (la necessità del parere conforme della popolazione) di quelle generali dell’articolo 3 e quindi in quest’ultimo articolo sarebbe forse necessario farvi richiamo. Segnala poi l’opportunità di precisare se la volontà manifestata dalle popolazioni abbia un potere vincolante o meno, se cioè essa determini l’obbligo di mutare una circoscrizionale comunale. In sostanza, crede che la Sottocommissione dovrebbe pronunciarsi su tre punti: 1o) necessità della volontà delle popolazioni per determinare le modificazioni di circoscrizioni; 2°) valore di questa espressione di volontà (consultiva o deliberativa); 3°) opportunità di fissare delle condizioni generali, come, ad esempio, un quorum di votanti.

VANONI è favorevole all’inserimento del concetto nell’articolo 18, né ritiene necessario nell’articolo 3 un richiamo all’articolo 18, in quanto nella parte generale dello stesso articolo 3 già si dice: «in armonia con la Costituzione» e si esclude quindi la possibilità di discostarsi dal disposto dell’articolo 18. D’altra parte, enunciato in quest’ultimo articolo, siffatto diritto soggettivo del Comune acquisterebbe un maggior rilievo politico.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento dell’onorevole Fabbri.

(Non è approvato).

Accolto il criterio di trattare l’argomento nell’articolo 18, invita i Commissari ad esprimere il loro parere in merito alla formula Perassi.

LAMI STARNUTI preferirebbe sostituire, alle parole: «avuto riguardo», le altre: «in conformità».

TARGETTI propone la seguente dizione: «Qualsiasi modificazione delle circoscrizioni comunali o creazione di nuovi Comuni è subordinata alla volontà delle popolazioni interessate».

PRESIDENTE fa presente che occorrerebbe aggiungere: «e stabilita con legge della Regione».

TARGETTI replica che la facoltà della Regione di modificare le circoscrizioni comunali è stata già affermata nell’articolo 3.

PRESIDENTE obietta che la legge che dovrebbe determinare la modificazione di una circoscrizione non ha nulla a che vedere con la legge generale in materia, prevista nell’articolo 3. Questa dirà che cosa dovrà farsi per procedere ad una modificazione di circoscrizione; quella, applicando tali criteri, disporrà concretamente una modificazione di circoscrizione.

FABBRI osserva che, comunque, si tratta sempre di due leggi. L’obiezione del Presidente sussiste logicamente; ma non va dimenticato che anche il provvedimento con cui si attua la modificazione di una circoscrizione è un atto legislativo, non amministrativo, e come tale rientra nella competenza legislativa della Regione di cui all’articolo 3.

VANONI è favorevole all’emendamento Perassi, ma crede necessario precisare meglio la differenza tra la legge di cui parla l’articolo 3 e quella di cui parla l’articolo 18. Nell’un caso si ha una legge – di competenza esclusiva della Regione – che detta le norme mediante le quali si può realizzare la volontà delle popolazioni interessate di modificare una circoscrizione comunale (indicherà come si faranno le votazioni, quali organi della Regione dovranno controllare la regolarità della espressione di volontà, ecc.); nell’altro caso si ha un provvedimento relativo ad un Comune X, che deve assumere la forma di legge, per quanto possa dubitarsi se il contenuto sia veramente quello di porre una norma giuridica o piuttosto quello di un atto amministrativo.

LACONI non sarebbe contrario all’emendamento Perassi, se non avesse la preoccupazione delle variazioni che derivano al collegio elettorale della seconda Camera dalla modificazione di una circoscrizione comunale; soprattutto in quanto, agli effetti della elezione della seconda Camera, non si rispetta una proporzione rigida con il numero degli abitanti. Così stando le cose, preferirebbe non sottrarre allo Stato la competenza in materia.

CODACCI PISANELLI insiste affinché la formula Perassi sia così modificata: «in conformità alla maggioranza dei voti espressi, ecc.».

MORTATI fa rilevare che, adottando tale espressione, la manifestazione di volontà popolare diverrebbe vincolante.

MANNIRONI suggerisce la dizione: «su richiesta della maggioranza».

DI GIOVANNI preferirebbe dire: «subordinata alla volontà delle popolazioni interessate».

BOZZI nota che – come ha accennato l’onorevole Mortati – l’essenziale è decidere il valore da attribuire alla manifestazione di volontà della popolazione. Se dovesse costituire un obbligo per la Regione, non vi sarebbe più motivo di convocare l’Assemblea regionale e di emanare una legge; basterebbe un atto amministrativo. Se invece la richiesta della popolazione costituisse un momento della procedura e la Regione, in una sua superiore valutazione politico-amministrativa, potesse non accedere alla manifestazione di volontà popolare (personalmente sarebbe di questo parere), allora sarebbe veramente necessaria una legge, cioè una manifestazione di volontà superiore a quella delle popolazioni locali.

CONTI è dell’avviso che nessuna volontà possa considerarsi superiore a quella della popolazione, la quale deve essere arbitra di decidere come meglio creda.

NOBILE non concorda con l’onorevole Conti e si associa invece alle considerazioni dell’onorevole Bozzi. Ricorda di aver già sollevata l’obiezione, ripresa poc’anzi dall’onorevole Laconi, in merito a quello che in America viene definito «elettorato geometrico». Può darsi, cioè, che una frazione di Comune ove sia una maggioranza di un determinato partito, per far pesare il proprio voto nella elezione della seconda Camera, chieda di costituire Comune a sé. Non trova ammissibile che la Costituzione si presti a queste alchimie di carattere elettorale, consentendo che la volontà delle popolazioni faccia legge.

VANONI suggerisce l’espressione: «su proposta delle popolazioni interessate».

LAMI STARNUTI propone di dire che «non si può procedere alla modificazione di circoscrizioni comunali o alla creazione di nuovi Comuni, ove siano contrarie alla volontà della maggioranza delle popolazioni interessate».

PRESIDENTE avendo rilevato che prevale il criterio che per i provvedimenti in parola occorra la volontà della maggioranza delle popolazioni interessate, la quale tuttavia non ha un potere decisivo, ma costituisce una conditio sine qua non, pone ai voti la formula:

«La creazione di nuovi Comuni e le modificazioni di circoscrizioni comunali sono stabilite con legge della Regione, quando sia espressa analoga volontà dalle popolazioni interessate».

(È approvata).

Ricorda che, nell’assenza dell’onorevole Vanoni, in una precedente riunione si era accantonato l’esame dell’articolo 16. Apre ora la discussione su di esso:

«Per i fini a cui una Regione non potesse provvedere con i propri mezzi, sarà istituito un fondo annuale, che verrà amministrato e ripartito da un Comitato composto di un rappresentante per Regione e presieduto da un rappresentante dello Stato.

«La legge determinerà i criteri per la fissazione dei contributi delle Regioni e dello Stato al fondo e per la sua amministrazione e ripartizione».

VANONI dichiara di avere molte perplessità sulla convenienza e sulla funzionalità di un sistema di questo genere, forse perché concepisce in modo diverso il regolamento dei rapporti tra la finanza dello Stato e le finanze comunali e regionali. Crede che, ove si seguisse il criterio proposto, si creerebbe un fomite di attriti tra le Regioni, senza risolvere praticamente il problema.

Essendovi delle Regioni tanto povere da non avere i mezzi sufficienti per far fronte ai servizi specifici dell’ente Regione, si è pensato di creare un fondo tra le varie Regioni, attraverso il quale le più ricche diano dei contributi da distribuire alle più povere. Se non che non v’è bisogno di creare questo fondo, perché esiste già, comunque vengano organizzati i rapporti tra la finanza statale e la finanza regionale, ed è, in sostanza, la finanza dello Stato, la quale ha la indispensabile funzione di ripartizione in senso territoriale dei fondi che essa stessa amministra attraverso la percezione dei tributi e la redistribuzione per le spese pubbliche.

Si obietta che lo Stato è, per sua natura, centralizzatore, e potrebbe non tener conto delle esigenze autonomistiche delle singole Regioni; il che consiglierebbe di creare un fondo da amministrarsi al di fuori di esso, con l’intervento delle Regioni. Non nega la fondatezza di questo punto di vista, ma osserva, per quanto concerne la funzionalità del sistema, che le Regioni ricche troveranno tutti i pretesti per non dar niente, o ben poco, al fondo di solidarietà e nessuno potrà obbligarle ad amministrarsi in modo tale da avere dei residui da distribuire. Le Regioni povere, dal canto loro, dovranno dimostrare i propri bisogni, e dovranno quindi presentare il proprio bilancio e sottoporlo alla critica di questo organo collegiale. È soprattutto questo controllo che suscita le sue preoccupazioni, in quanto vede nella finanza regionale la maggior salvaguardia dell’autonomia degli enti locali.

A suo avviso, se si vuole creare una finanza regionale, bisogna arrivare ad un sistema di questo genere: alcuni tributi andrebbero riservati allo Stato; altri alle Regioni; altri ancora sarebbero amministrati congiuntamente dallo Stato e dalla Regione; i gettiti di tali tributi, poi, andrebbero in parte alla Regione e in parte allo Stato.

In questo senso l’esperienza della finanza tedesca è particolarmente istruttiva, onde crede opportuno ricordarne la genesi. Gli Stati tedeschi fino al 1848 erano completamente indipendenti e solo dopo tale data si è instaurata una unione doganale, che ha fatto sentire la necessità di un fondo comune alimentato con le contribuzioni dei singoli Stati. Nel 1905-1906 l’Impero che si era venuto, col 1870 e con le successive evoluzioni, rafforzando sempre più politicamente, si è dato finalmente una sua finanza, in parte indipendente da quella degli Stati, finché – dopo la guerra del 1918 – la finanza statale assunse una certa preminenza rispetto a quella dei singoli Länder. Ma sempre, in tutte le ultime fasi, si è avuta una serie di tributi amministrati contemporaneamente dallo Stato centrale e dai Länder.

Era dunque dal criterio della partecipazione dei singoli Stati all’amministrazione che discendeva quello della ripartizione secondo i bisogni locali. Ad esempio per l’imposta sugli scambi – imposta di largo gettito che corrisponde alla nostra imposta generale sulla entrata – si faceva luogo ad una di visione pro capite, assegnandone i proventi a ciascuna Regione in proporzione al numero degli abitanti. Si realizzava in questo modo una perequazione tra i vari Länder, per cui i ricchi ed eventualmente meno popolati pagavano di più e venivano ad avvantaggiarsene i più poveri. Tutto questo avveniva con elasticità e senza attriti di carattere politico.

Viceversa, teme assai che il fondo di solidarietà in esame apparentemente sembri sostenere l’autonomia, ma in realtà finisca col creare frequenti contrasti di natura politica tra le diverse Regioni, e col determinare la necessità di un controllo centrale sui bilanci nelle singole Regioni, il quale limiterebbe l’effettivo esercizio delle autonomie regionali. Preferirebbe pertanto sopprimere l’articolo 16, lasciando la possibilità di una migliore distrazione dei mezzi tributari, tra Regioni ricche e povere, sia alla articolazione sui rapporti tra uffici statali e regionali, sia alla azione effettiva dello Stato, il quale sarebbe indubbiamente portato a spendere di più per le Regioni povere.

MANNIRONI, per quanto nelle discussioni precedenti abbia genericamente accennato alla possibilità di creare un fondo di solidarietà o di compensazione, riconosce – dopo un più attento esame della pratica realizzazione del progetto – la fondatezza delle considerazioni dell’onorevole Vanoni.

In sostanza crede che si potrebbero salvaguardare l’autonomia finanziaria delle Regioni, e soprattutto i diritti e le esigenze di quelle povere, anche rapportando tutta l’organizzazione finanziaria al bilancio dello Stato.

Nel dir questo, pensa che lo Stato è come un vasto bacino di raccolta delle varie entrate, che dovrebbero poi essere ridistribuite alle Regioni, soprattutto alle più povere. Giova ricordare che le decisioni sul bilancio generale dello Stato saranno prese dall’Assemblea nazionale, in cui sono rappresentate tutte le Regioni (in modo particolare nella seconda Camera), e quindi quelle più povere non possono temere di non ottenere le integrazioni ordinarie (di quelle straordinarie sarebbe inutile preoccuparsi) di cui abbisognano. Una volta fissato il principio – se non nella Costituzione, in una legge speciale – che le Regioni devono avere un proprio bilancio e che dispongono delle entrate come meglio credono, secondo le esigenze locali; infine, una volta fissato che, in caso di deficienza di entrate, lo Stato ha l’obbligo di intervenire con una integrazione di bilancio, la autonomia finanziaria della Regione sarebbe salva. La istituzione di uno speciale fondo, una amministrazione autonoma, separata dal resto del bilancio generale dello Stato, mentre non darebbe una garanzia maggiore alle Regioni, potrebbe creare un utile o dannoso duplicato che farebbe perdere, tra l’altro, la visione unitaria del problema finanziario.

Concludendo, nota che i fautori dell’autonomia regionale anche finanziaria sono mossi dalla preoccupazione di evitare che per l’avvenire le entrate di determinate Regioni povere vengano distratte a favore di altre Regioni, che magari non ne avrebbero bisogno, o comunque mal distribuite. Ora, a ciò si sopperirebbe assicurando a ciascuna Regione la utilizzazione delle proprie entrate, e garantendo l’intervento e l’integrazione da parte dello Stato, ove siano necessari. Praticamente è molto più utile che questo distribuisca, con le erogazioni delle spese, ciò che direttamente introita colle entrate ad esso riservate. In pratica sarà molto più difficile che lo Stato riesca a incassare dalle Regioni le eccedenze eventuali dei rispettivi bilanci. Per tutto ciò non ritiene utile la creazione di non fondo speciale.

ZUCCARINI si rende conto delle preoccupazioni di ordine pratico esposte dall’onorevole Vanoni, ma si richiama al motivo per cui fu sostenuta l’opportunità del fondo di solidarietà il quale, del resto, ha un esempio negli Stati Uniti d’America, ove serve per provvedere ad esigenze di carattere straordinario (terremoti, alluvioni, ecc.).

È sembrato al Comitato che la creazione del fondo di solidarietà avrebbe avuto una grande importanza morale. Le diffidenze verso la Regione e gli allarmi e le lamentele da parte delle Regioni più povere che sono state sempre trattate male dallo Stato, hanno spinto ad escogitare il sistema in esame, il quale è sembrato tanto più opportuno dopo la guerra, che ha portato in alcune Regioni grandissime distruzioni e danni (i quali devono essere riparati e non lo possono con i soli gettiti locali) mentre altre Regioni sono state colpite in misura molto minore. Lasciando al potere centrale, come per il passato, la determinazione dei contributi di integrazione dei bilanci regionali, si ripeterebbe l’inconveniente gravissimo, che tutte le Regioni cercherebbero di attingere alle casse dello Stato.

Come regionalista, vorrebbe vedere eliminato questo inconveniente, e caldeggerebbe il criterio di creare una amministrazione autonoma, affidata, anziché allo Stato, ai rappresentanti stessi delle Regioni, in cui la destinazione dei fondi fosse deliberata dai rappresentanti delle Regioni, per andare incontro alle esigenze impreviste che si presentassero in circostanze eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.). Crede che i pericoli di rivalità e contrasti, accennati dall’onorevole Vanoni, non sussisterebbero se il fondo fosse riservato per i bisogni eccezionali.

VANONI replica che l’esempio dell’America non calza alla nostra situazione, perché la finanza americana si trova in uno stadio di evoluzione ben diverso. In America la finanza confederale è molto limitata (si è allargata solo momentaneamente per provvedere alle spese di guerra) perché i centri delle entrate e delle spese sono gli Stati. In Italia, invece, per quanto ci si possa sforzare di creare una autonomia vasta e bene articolata, si deve partire da un punto di vista diverso.

Peraltro, se il fondo dovesse servire solo per i casi eccezionali, bisognerebbe modificare la formulazione proposta. Ma sarebbe molto più serio affermare che quando una Regione si trovi colpita da una calamità, deve essere tutta la Nazione a manifestarle la sua solidarietà.

A suo avviso il sistema proposto porterà inevitabilmente queste conseguenze: o il fondo si manterrà irrilevante, sì da non corrispondere agli scopi per cui lo si è creato; o diverrà notevole e non si potranno evitare gli attriti. Quando il Comitato incaricato di amministrarlo decidesse che la Lombardia deve dare una percentuale elevata del contributo totale, questa protesterebbe, oppure presenterebbe il proprio bilancio compilato in modo da dimostrare che non può dare quanto le si chiede. D’altro canto le Regioni povere, per ottenere un contributo, cercherebbero di dimostrare, attraverso il loro bilancio, di averne bisogno. Tutto ciò non può non andare a detrimento dell’autonomia finanziaria dell’ente Regione.

CONTI si dichiara contrario all’articolo 16 e per le ragioni esposte dall’onorevole Vanoni e per altre. Rileva che, in base all’articolo 22, le Regioni si dovrebbero costituire secondo la tradizionale ripartizione geografica dell’Italia. A parte il fatto che personalmente dissente da questo criterio e vorrebbe vederne ridotto il numero, pensa che bisogna augurarsi che le Regioni nascano solide e capaci di vivere e di progredire. Ora, consentendo la formazione di tante Regioni, si facilitano le speculazioni, perché molte di esse, dopo aver chiesto di costituirsi, reclameranno continuamente dal fondo di solidarietà i mezzi per andare avanti, senza fare nemmeno il possibile per conquistarsi una vita autonoma.

PERASSI trova che le considerazioni degli onorevoli Vanoni e Conti sono interessanti e devono essere tenute in debito conto; tuttavia ritiene che, senza approfondire il dibattito su un argomento così importante, si possa raggiungere per il momento una soluzione, facendo riferimento all’articolo 8 il quale, a sua volta, rinvia ad una legge costituzionale tutta la materia della finanza regionale in coordinamento con quella dello Stato. In quella sede il problema in esame potrà essere affrontato con maggior competenza da parte dei tecnici.

TARGETTI si dichiara in gran parte d’accordo con i rilievi dell’onorevole Vanoni e prega i compilatori dell’articolo di chiarire il loro pensiero. Ritiene infatti che la soluzione possa essere diversa, a seconda dei casi a cui si intende provvedere. Se con il fondo di solidarietà si pensa soltanto di provvedere a casi eccezionali – come ha sostenuto l’onorevole Zuccarini – può ritenere opportuna la disposizione, in quanto nutre un certo scetticismo circa l’intervento dello Stato in tali circostanze. Ma v’è il dubbio che, nel pensiero dei compilatori, si sia intravista una malinconica possibilità di sopperire ai bisogni ordinari del bilancio di qualche Regione. È dunque necessario precisare se si pensa che possano costituirsi delle Regioni le quali normalmente non siano in grado di far fronte alle spese ordinarie. Ove così fosse, occorrerebbe escogitare un sistema atto a sopperire a tali bisogni senza che ciò acquistasse – come potrebbe apparire dall’articolo 16 – un sapore di beneficenza o di mutuo soccorso.

LUSSU non crede che l’argomento in discussione possa essere rinviato ad altra sede, come ha proposto l’onorevole Perassi. Ravvisa il pericolo che il moltiplicarsi di leggi speciali costituzionali possa procrastinare l’attuazione del sistema autonomistico, laddove si impone una sollecita compilazione e del testo costituzionale e delle leggi speciali. Non nasconde il timore che, mentre da un lato si aderisce ad una riforma, dall’altro la si ostacoli, rinviando a leggi particolari.

Riconosce che il problema deve essere esaminato particolarmente dai tecnici; e questa è la ragione per cui, in sede di Comitato, deferì molto all’autorità di un maestro, universalmente ammirato: l’onorevole Einaudi. Osserva peraltro che l’onorevole Vanoni, con la sua esperienza e la sua competenza, ha portato degli argomenti di indubbio valore e soprattutto ha rilevato che, attraverso il fondo di solidarietà, le singole Regioni verrebbero ad essere mortificate nella loro dignità, e limitate nell’autonomia dalla necessità di sottoporre i bilanci alla critica di un organo collegiale. Crede che un tale argomento sia tanto serio da indurre la Sottocommissione ad una ulteriore meditazione.

Nota inoltre che nell’articolo non è detto se debbano essere le singole Regioni che, anno per anno, debbano fissare il contributo da versare al fondo. A suo avviso dovrebbe provvedervi lo Stato mediante una legge finanziaria di carattere permanente.

Invita quindi i colleghi, a qualunque Regione appartengano, a meditare sulla situazione di molte Regioni del Mezzogiorno d’Italia: oggi si assiste ad una danza di miliardi distribuiti, non si sa come, dai vari Ministeri; ma purtroppo, non per malvagità di uomini, sebbene a causa dell’ingranaggio centralizzato dello Stato, si continuano a spendere somme al di là del necessario per certe Regioni, mentre si dà ben poco ad altre che finora non hanno avuto nulla. Di grandi opere pubbliche il Sud, all’infuori dell’acquedotto pugliese, non ne conosce. Non si duole che il Nord si sia arricchito, perché, con sentimento sinceramente unitario, ritiene che l’arricchimento anche di una sola parte dell’Italia contribuisca all’arricchimento di tutto il Paese, ma sente la necessità di un sistema che ponga fine a simili storture. E forse il sistema proposto dal Comitato risponderebbe allo scopo perché, sotto questo aspetto, non si può non vedervi una garanzia. Se invece così non fosse, debbono pensare i tecnici, con la loro competenza e capacità, a creare l’organismo adatto, purché si trovi un rimedio.

GRIECO, pur riconoscendo l’interferenza esistente tra la questione che si dibatte e la legge finanziaria prevista nell’articolo 8, non crede possibile rinviare la discussione in sede di esame di tale legge, perché il problema che si agita ha un carattere suo originale, oltre che politico. Condivide i sentimenti dell’onorevole Lussu e come lui è convinto che non si può continuare ad ignorare le esigenze del Mezzogiorno; tutto sta a vedere se il congegno proposto consenta di soddisfarvi.

Proprio in quanto non ne è convinto, aderisce alla proposta di soppressione dell’articolo 16, il quale muove dal sospetto che lo Stato continuerebbe ad essere ingiusto nella distribuzione del reddito nazionale. Non nega che possano anche esservi delle ragioni che giustifichino un tale sospetto, ma è certo che l’articolo 16 offre comunque uno strumento inadeguato.

Mentre dissente dall’interpretazione che ne ha dato l’onorevole Zuccarini (cioè di un fondo destinato a risolvere situazioni eccezionali), conviene coi rilievi dell’onorevole Vanoni, ai quali aggiunge che, oltre tutto, il fondo di solidarietà verrebbe istituito in un momento particolarmente difficile della nostra economia. Domanda quindi in quale organo meglio che nell’Assemblea Nazionale, che ha una visione degli interessi generali, potrebbero trovar eco i sentimenti di solidarietà. Certo non in quel piccolo Comitato irresponsabile, che dovrebbe amministrare il fondo.

Ammette di avere nelle precedenti riunioni caldeggiato la costituzione di una stanza di compensazione. Ma confessa che lo ha fatto obbedendo ad uno stimolo sentimentale, irrazionale, senza pensare alla attuazione pratica. Oggi che vi ha riflettuto, si è reso conto che la cosa non è realizzabile e che la soluzione prospettata è frutto di un esame non sufficientemente approfondito. Perciò, senza arrivare a consigliare di abbandonare l’idea, invita a studiare un congegno che realmente permetta di intimamente legare le sorti delle Regioni e, soprattutto, di andare incontro ai bisogni del Meridione.

NOBILE esprime l’avviso che il problema finanziario sia uno dei più gravi del nuovo ordinamento regionale. Si rende conto che un regionalista possa trovare di suo gradimento l’articolo 16, ma, come antiregionalista, ne auspica la soppressione. All’onorevole Zuccarini fa osservare che l’esempio degli Stati Uniti non può essere invocato, perché colà tutti gli Stati federali sono prosperi, mentre in Italia, a fianco di Regioni ricche, ve ne sono di poverissime. D’altra parte, quando si dice che lo Stato non ha fatto nulla per certe Regioni, in gran parte si esagera, perché è vero che ha fatto poco, ma non tanto poco quanto si ritiene. Prendendo, ad esempio, la costruzione di strade in Sardegna, si ha l’impressione che lo Stato non abbia provveduto abbastanza se si rapporta il chilometraggio alla superficie dell’Isola (la media nazionale è di 74 metri per chilometro quadrato e la Sardegna ne ha soltanto 57); ma se ci si riferisce al numero degli abitanti, la Sardegna balza al primo posto. Lo stesso può dirsi per le ferrovie e vale, in genere, per tutto il Mezzogiorno. Né la Sardegna poteva considerarsi in grado di pagarsi le spese necessarie per allinearsi con le altre Regioni.

Quando la Regione avrà, nel nuovo ordinamento, la facoltà legislativa, potrà disporre, senza alcun controllo da parte dello Stato, la costruzione di strade, di scuole, di ferrovie, ecc.; ma chi darà i fondi? Se è la collettività che deve contribuire, l’amministrazione regionale non può sottrarsi al controllo statale. Per queste ragioni ritiene che il fondo di solidarietà dovrebbe essere amministrato dallo Stato.

Non condivide poi l’opinione dell’onorevole Vanoni che ogni Regione sia costretta a presentare il suo bilancio. La legge potrà stabilire il contributo che dovrà versare ogni Regione (eventualmente riferito agli abitanti) ed anche i criteri per la ripartizione, fissando, una volta tanto, la proporzione per ciascuna Regione, tenuto conto dello stato di ricchezza o di povertà. Cosicché il funzionamento diverrebbe automatico e ben poco sarebbe lasciato all’arbitrio degli amministratori.

FABBRI concorda con gli onorevoli Vanoni e Grieco sulla impossibilità pratica di funzionamento del Fondo di solidarietà, come configurato nell’articolo 16. Crede fuori dubbio che il congegno sarebbe inceppato da interessi particolaristici, perché il Comitato sarebbe composto di rappresentanti delle Regioni e ciascuno di questi interverrebbe nella discussione sul contributo che dovrebbe versare la propria Regione, sul benefìcio che ne andrebbe a vantaggio delle altre, sulla esigenza della richiesta ecc. Ciò spingerebbe inevitabilmente ciascun rappresentante a cercare di dimostrare che la Regione rappresentata si trova in condizioni deficitarie o comunque tali da non potersi permettere liberalità a favore di altre.

Non arriva tuttavia alla conclusione della soppressione dell’articolo, né a quella del puro e semplice rinvio della questione all’articolo 8, in quanto che in quest’ultimo è prevista l’autonomia finanziaria delle Regioni. Ora, questa disposizione, se risponde alle aspirazioni dei regionalisti, si ritorce d’altra parte contro gli interessi delle Regioni povere. Infatti, stabilendo statutariamente l’autonomia finanziaria delle Regioni, si è implicitamente detto che, se una Regione non è in condizione di soddisfare con i propri mezzi alle proprie esigenze, non può far altro che rassegnarsi, perché ove è l’autonomia finanziaria viene a mancare il diritto a richieste d’intervento dall’esterno.

Considerato che il principio dell’autonomia rappresenterebbe questo impedimento costituzionale, ritiene necessaria la creazione di un fondo di integrazione per le Regioni povere e propone di sopprimere l’articolo 16, aggiungendo alla fine del primo comma dell’articolo 8 la seguente formula: «…la quale dovrà altresì disporre nel bilancio dello Stato la creazione di un fondo annuale di equo reparto del reddito nazionale a favore delle Regioni che non possano adeguatamente provvedere con i loro mezzi ai propri fini istituzionali».

MANNIRONI propone di sostituire all’articolo 16 il seguente:

«Una legge finanziaria di natura costituzionale regolerà il riparto delle entrate tra lo Stato, la Regione e i comuni.

«Lo Stato provvederà ad integrare i bilanci deficitari delle Regioni».

PRESIDENTE premette che è nettamente favorevole al principio sancito nell’articolo 16, ma non ha mai concepito il fondo di solidarietà come un istituto destinato a sopperire ai bisogni delle Regioni in seguito ad eventi eccezionali – nel qual caso sarebbe svuotato di ogni portata pratica – bensì come un istituto da utilizzare per le spese correnti delle Regioni.

Si è detto che occorre creare delle Regioni vitali, cioè capaci di assolvere ai compiti loro affidati. Senonché, all’atto di tradurre in realtà una simile affermazione, ci si rende conto che i compiti sono tali e tanti che talune Regioni, come ad esempio la Lucania (per quanto il suo territorio possa essere allargato, sostanzialmente la situazione non muterà), non potranno certamente migliorare il loro livello economico. Anche oggi tutte le Province ottemperano alla disposizione legislativa che le obbliga ad avere un brefotrofio, ma non può farsi un confronto tra l’organizzazione dei brefotrofi delle Province ricche dell’Italia settentrionale e quelli del Centro e del Sud. È necessario, dunque, che tutte le Regioni abbiano i mezzi indispensabili per la loro funzionalità, senza che lo Stato sia costretto ad intervenire continuamente, avocando a sé alcune funzioni.

L’importante è che i mezzi di cui il Paese dispone vengano equamente ripartiti e che questo scopo si ottenga nella maniera più dignitosa. A suo avviso, la maggior dignità che si può conferire ad un organismo politico sociale è quella di dargli la possibilità di determinare da se stesso i mezzi per vivere, dargli cioè una base democratica. Con il sistema proposto si darebbe appunto un carattere democratico ad un aspetto della vita economica del Paese.

Si è osservato che nel Comitato sarebbero posti di fronte coloro che non vogliono dare e coloro che vogliono ricevere. Indubbiamente è uno spettacolo doloroso vedere da una parte sollecitare e dall’altra rifiutare; ma non va dimenticato che purtroppo vi si deve assistere continuamente, anche nelle Assemblee legislative. Ad ogni nuova sessione della Costituente, i rappresentanti delle Regioni scarsamente fornite di mezzi fanno presente la locale situazione precaria, come nella Consulta ad ogni inizio dei lavori si udivano i discorsi dolenti dei rappresentanti dell’Italia meridionale e insulare che invocavano maggiori aiuti dello Stato, e quelli dei rappresentanti delle Regioni più provviste, rivolti a dimostrare che facevano il possibile e più del possibile.

Asserisce che l’istituto proposto, nella sua originalità, può servire a dare un carattere di maggiore dignità alle sollecitazioni e ad impedire le resistenze offerte normalmente da chi ha maggiori possibilità.

L’onorevole Nobile ha accennato ad un metodo che potrebbe essere agevolmente applicato: stabilire che una determinata percentuale degli introiti annui di ogni Regione debba essere versata al Fondo. Si è obiettato che le Regioni potrebbero cercare di alterare il loro bilancio; ma si dimentica che i bilanci stessi saranno sottoposti ad un controllo.

Concludendo, afferma che la disposizione all’articolo 16 merita di essere conservata anche per motivi politici: essa costituisce, infatti, uno dei mezzi per incominciare a ristabilire dei legami di solidarietà politica laddove, con la creazione della Regione, possono manifestarsi tendenze centrifughe, e per contare di rimediare politicamente allo stimolo di certi sentimenti egoistici, che la creazione della Regione potrà suscitare nell’animo di taluni.

VANONI desidera che sia preso atto che la sua impostazione del problema è stata esclusivamente tecnica e non politica. Ha considerato l’istituto soltanto dal punto di vista della sua utilità pratica.

Nota che il metodo consigliato dall’onorevole Nobile è, in sostanza, quello che personalmente ha sostenuto. L’essenziale è non seguire nella distribuzione un criterio politico, per evitare attriti, bensì un criterio automatico, come potrebbe essere quello di distribuire il reddito nazionale in rapporto alla popolazione. Comunque, la risoluzione del problema comporta un approfondito esame tecnico; da ciò deriva l’opportunità di rinviare la questione ad una legge speciale, sia pure di natura costituzionale, che tenga conto degli interessi generali e di quelli particolari, in modo da concedere alle Regioni l’autonomia nella spesa, escludendo in questo campo ogni intervento di altri organi.

FABBRI concorda.

La sedata termina alle 20.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Assenti: Bulloni, De Michele, Einaudi, Farini, Fuschini, Patricolo, Porzio, Tosato.

VENERDÌ 6 DICEMBRE 1946 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

2.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 6 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Potere giudiziario (Seguito della discussione)

Castiglia, Relatore – Laconi – Presidente.

La seduta comincia alle 11.30.

Seguito della discussione sul potere giudiziario.

CASTIGLIA, Relatore, dichiara che riassumerà a grandi linee la relazione dell’onorevole Patricolo, assente, e farà nello stesso tempo le sue personali osservazioni sulle diverse proposte degli onorevoli Patricolo, Calamandrei e Leone.

Rileva che la caratteristica della relazione Patricolo consiste nel fatto che essa si ispira al più rigoroso principio della divisione dei poteri, soprattutto nella parte centrale che attiene all’ordinamento del potere giudiziario: solo così, egli afferma, si può garantire ordine e libertà attraverso il diritto ed attuare la difesa della libertà e dell’autorità contro l’invadenza ed i tentativi di sopraffazione. Ma l’applicazione completa della divisione dei poteri porta ad un nuovo orientamento, a svincolare, cioè, la Magistratura dal potere esecutivo.

Nota che nel primo articolo è sancito il principio dell’indipendenza del potere giudiziario da ogni altro potere dello Stato: e questo articolo si completa con il terzo, con il quale potrebbe essere fuso, in cui si definiscono gli organi del potere giudiziario (Magistratura, polizia giudiziaria, amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena). Nell’articolo 2 invece si afferma con preciso linguaggio scientifico la funzione del potere giudiziario, che è quella di provvedere alla «attuazione della giustizia». Ritiene che a questo punto si potrebbe opportunamente inserire l’articolo 3 del testo proposto dall’onorevole Calamandrei, che fissa la competenza esclusiva del potere legislativo per l’interpretazione delle leggi, e quella della Suprema Corte costituzionale per la dichiarazione della loro incostituzionalità.

Osserva che l’articolo 6 del progetto Patricolo attribuisce al potere giudiziario tutte le funzioni giurisdizionali dello Stato, salvo quelle della Suprema Corte costituzionale; mentre l’articolo 7, che fa divieto di istituire organi giurisdizionali speciali, straordinari o eccezionali, si riconnette all’articolo 13 del progetto Calamandrei, con la sola differenza che questo va anche più oltre, in quanto prevede l’abolizione degli organi speciali giurisdizionali già esistenti.

Fa poi notare che lo stesso articolo 7 del testo Patricolo va integrato col successivo articolo 9 col quale potrebbe fondersi, in quanto con questo si stabiliscono le materie per le quali la Magistratura è competente a giudicare (civile, penale, amministrativa, militare, del lavoro).

Dichiara che, per quanto riguarda il Consiglio di Stato, dissente dal concetto espresso dall’onorevole Patricolo, come da quello dell’onorevole Calamandrei, ritenendo che si debbano conservare anche le Sezioni giurisdizionali di questo organo, non solo per la considerazione che il Consiglio di Stato, anche durante il periodo fascista, è stato esempio di indipendenza di giudizio, presidio e garanzia di giustizia, ma anche perché, a suo avviso, la conservazione non violerebbe il principio della unicità giurisdizionale. D’altra parte non vorrebbe affidare la materia contenziosa amministrativa alla giurisdizione ordinaria, perché questa tutela i diritti soggettivi, mentre il Consiglio di Stato cura gli interessi legittimi. Inoltre, dato il carattere generale della competenza, quella amministrativa è da ritenersi una giurisdizione ordinaria completa, parallela a quella civile e penale. Fa poi presente che la scissione delle funzioni consultive da quelle giurisdizionali potrebbe costituire un pericolo per la stessa unicità della funzione giurisdizionale, in quanto si avrebbero due diverse giurisdizioni, che si occuperebbero della stessa materia, il che non sarebbe raccomandabile, anche tenendo conto del fatto che le questioni soggette alle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato non sono soltanto di puro diritto, ma anche di merito. Che se poi queste funzioni si affidassero ad una sezione della Corte di cassazione, si verrebbero a svisare con la competenza su questioni di fatto, l’orientamento e le funzioni della Cassazione. Vorrebbe quindi la conservazione delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, il quale però, allo scopo di garantire la unicità della giurisdizione, potrebbe esser posto alle dipendenze del Ministero della giustizia.

Si dichiara poi contrario all’abolizione della Corte dei conti.

Per quanto riguardai Tribunali militari, riassume le ragioni esposte dall’onorevole Leone per giustificare la sua proposta di abolizione, e dichiara che è d’accordo con lui solo nel concetto che l’esistenza di un Codice penale militare non importa l’istituzione di un giudice specializzato; ma vorrebbe conservati i Tribunali militari, perché potenziano la disciplina militare, che deve essere ferrea anche per un piccolo esercito. L’inconveniente lamentato della vastità di giurisdizione dei Tribunali militari, per cui praticamente ogni cittadino può essere sottoposto alla loro competenza, crede potrebbe essere in gran parte ridotto, se si lasciasse ai Tribunali militari la sola competenza a giudicare dei reati militari commessi da militari. Lo stesso deve dirsi per la lamentata prevalenza dei giudici militari, perché nel nuovo ordinamento potrà essere chiamato a presiederli un magistrato appartenente al ruolo della giustizia militare, ruolo che vorrebbe mantenuto. Contesta che i Tribunali militari siano una conquista della casta militare. Non vorrebbe la costituzione di sezioni militari nei Tribunali ordinari, proposta dall’onorevole Leone, per non svisare la fisionomia di questi e non creare una maggiore frammentarietà delle funzioni giudiziarie; senza contare il pericolo di vedere sorgere altre sezioni (amministrative, annonarie, per le vertenze sui fitti, ecc.) con grave pregiudizio per l’amministrazione della giustizia.

Esamina poi il problema della unicità della Cassazione, ed afferma che il ripristino delle Cassazioni regionali, che funzionarono egregiamente prima del 1923, non può essere ostacolato dal timore di una minaccia all’unicità della giurisdizione: se così fosse, si dovrebbero abolire le varie Sezioni della Cassazione unica, spesso discordi nella soluzione di problemi anche fondamentali, tanto che si è dovuto costituire l’ufficio del massimario. Inoltre la ricostituzione delle Cassazioni regionali darebbe la possibilità ai cittadini delle più remote località di adire la Cassazione con maggior facilità e minore spesa.

Tornando al testo dell’onorevole Patricolo, nota che all’articolo 10, relativo al controllo sulla costituzionalità delle leggi, fa riscontro l’articolo 27 del testo Calamandrei, che, a suo avviso, è da preferirsi, perché più completo; che gli articoli 11, 12 e 13, i quali regolano la pubblicità e la motivazione delle sentenze, contengono disposizioni simili a quelle degli altri progetti; mentre gli articoli 15, 16 e 17, insieme all’articolo 4, fissano le norme relative all’organizzazione del potere giudiziario.

Dichiara in proposito di essere favorevole con l’onorevole Patricolo ad ammettere l’accesso alla Magistratura soltanto mediante concorso: quindi, è contrario alla elettività dei magistrati, anche dei giudici minori (conciliatore, pretore), in quanto, essendo questi più vicini al popolo e ai litiganti, debbono essere assolutamente preservati da ogni pressione di carattere politico.

Non aderirebbe alla fusione del giudice conciliatore col pretore che, a suo avviso, hanno funzioni molto diverse: basti pensare alla competenza dei pretori in maniera penale. Sulla questione del pretore onorario, è di opinione che l’istituto possa essere conservato, sia perché ha funzionato abbastanza bene, sia per l’aggravio che altrimenti dovrebbe subire lo Stato.

Nega infine che le donne possano essere ammesse ai concorsi per la Magistratura.

Dichiara di essere contrario alla disposizione contenuta nell’articolo 20 del testo Calamandrei, che prevede il caso dell’ammissione, mediante concorso, a determinati uffici della Magistratura, per i quali si richiede una preparazione approfondita su materie specifiche, di candidati forniti di speciali titoli scientifici o professionali, perché ritiene che non si debba operare una fusione fra Magistratura ed elementi ad essa estranei e che si possa invece di volta in volta udire il parere degli esperti.

Per quanto riguarda la carriera dei magistrati, è d’accordo con l’onorevole Patricolo che il problema non riveste carattere costituzionale. Lascerebbe alla legge sull’ordinamento giudiziario di stabilire le norme particolari sulla carriera, ispirandosi ai criteri esposti dagli altri Relatori, che condivide.

Rileva che l’articolo 16 del progetto Patricolo, circa il problema dell’inamovibilità, differisce dall’articolo 23 del progetto Calamandrei, in quanto nel primo l’inamovibilità è prevista dopo tre anni di servizio, mentre nel secondo è fissata dal giorno dell’ingresso del magistrato in carriera; e si dichiara favorevole a quest’ultima formulazione.

Fa inoltre notare che la norma dell’articolo 17 dei progetto Patricolo, riguardante l’immunità del magistrato, non gli sembra contemplata negli altri due progetti: ritiene tale immunità una garanzia della sua indipendenza. Anzi, a questo proposito dichiara che egli è per una formulazione più ampia di tutte le garanzie che debbono circondare il magistrato, per metterlo in grado di esercitare le sue funzioni con assoluta indipendenza.

Ciò lo conduce a parlare del modo come attuare l’indipendenza della Magistratura dal potere esecutivo, punto di dissenso tra i vari Relatori. Egli non ha dubbi sul legalitarismo della Magistratura, che ha sempre conservato la sua integrità morale e politica, reagendo a tutti i tentativi di sopraffazione e di asservimento; ma tra i sistemi proposti circa l’organo di collegamento tra la Magistratura e gli altri poteri, preferisce quello dell’onorevole Patricolo, perché non gli sembra che gli altri riescano a dare alla Magistratura piena indipendenza. Infatti l’onorevole Leone vuol togliere al Pubblico Ministero i poteri giudiziari – e con ciò la Magistratura continuerà ancora a dipendere dal potere esecutivo – mentre l’onorevole Calamandrei vorrebbe istituire un Procuratore generale commissario, il che non farebbe che spostare il rapporto di subordinazione della Magistratura dal Ministro a questo Procuratore generale commissario di giustizia, lasciando sussistere, in fondo, gli stessi inconvenienti, anche perché esso – sempre a capo degli uffici del Pubblico Ministero – sarebbe nominato dal Presidente della Repubblica su una terna proposta dalla Camera dei Deputati, onde questa nomina sarebbe influenzata da ragioni politiche.

Fa osservare invece che l’onorevole Patricolo vorrebbe affidare questa funzione di collegamento con gli altri poteri al Capo del potere giudiziario (art. 4), il quale sarebbe eletto da tutto il complesso dei magistrati, e quindi senza subire pressioni del potere esecutivo. Esso perciò costituirebbe il Ministro non politico della giustizia. Non condivide le preoccupazioni dell’onorevole Leone, il quale teme che questo Capo del potere giudiziario non adempia alle funzioni di controllo; ritiene invece con l’onorevole Patricolo che tale soluzione rappresenti la conclusione logica del principio della più assoluta divisione dei poteri.

È d’accordo con l’onorevole Calamandrei che il principio dell’immutabilità del giudicato debba essere sancito nella Costituzione; mentre non vede le ragioni della opposizione dell’onorevole Leone all’istituto dell’amnistia. Ritiene l’amnistia un istituto che possa dare dei beneficî: perciò lo vorrebbe mantenuto, purché l’amnistia abbia carattere di assoluta eccezionalità e sia concessa con legge dal Parlamento.

Si dichiara d’accordo con l’onorevole Leone sul principio della legge abrogativa; così pure approva completamente l’articolo 15 del testo Calamandrei, riguardante il divieto di limitazioni della tutela giurisdizionale.

Per quanto riguarda l’articolo 17 dello stesso testo, relativo agli organi amministrativi della Magistratura, conviene che il fatto di chiamare dei magistrati a prestar servizio presso il Ministero costituisce un danno, ma non vorrebbe d’altra parte che tali organi amministrativi comprendessero elementi estranei alla Magistratura.

È anche d’accordo sul divieto di iscrizione dei magistrati a partiti politici e di appartenenza ad associazioni segrete: se anche in pratica sarà di difficile attuazione, crede che tale divieto debba essere sancito come principio di carattere generale.

Per quanto infine riguarda i giudici popolari, ritiene con l’onorevole Leone che non debba essere consentita l’esistenza di tre gradi di giurisdizione per i reati minori e di un solo grado per i maggiori (poiché non sempre si possono profilare alla Cassazione motivi di nullità di sentenze di Corte d’assise). Si dichiara perciò favorevole o all’istituzione di una Corte criminale con doppio grado di giurisdizione o ad affidare il giudizio sui fatti più gravi a delle sezioni di Tribunale e poi di Corte d’appello, A suo avviso, il giudizio di un magistrato – che è giudice di fatto e di diritto – dà maggiore garanzia di giustizia di un giudizio di Corte d’assise, che può essere influenzato da ragioni politiche o private e perché spesso i giudici popolari non sono tecnici e non hanno la mentalità del magistrato. Ritiene perciò che il problema debba essere accantonato, in attesa che l’Assemblea plenaria si pronunci sulla questione delle Corti d’assise.

LACONI, per facilitare la discussione, propone che si predisponga un testo comparato dei tre progetti.

PRESIDENTE ritiene opportuna la proposta e si riserva di tradurla in atto.

La seduta termina alle 12.45.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Conti, Di Giovanni, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Interviene, in sostituzione dell’onorevole Patricolo, l’onorevole Castiglia.

Assenti: Bulloni, Farini, Porzio.

GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

59.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Ravagnan – Ambrosini, Relatore – Uberti – Mannironi – Bozzi – Perassi – Mortati – Laconi – Bordon – Lussu – Uberti – Tosato – Fuschini – Conti – Targetti – Lami Starnuti – Fabbri – Zuccarini – La Rocca.

Sui lavori della Sottocommissione.

Nobile – Presidente – Fabbri.

La seduta comincia alle 16.30.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE apre la discussione sul terzo comma dell’articolo 14:

«Per gli atti dell’Amministrazione regionale relativi a materie dallo Stato delegate alla Regione, il Commissario ne coordina l’opera in corrispondenza alle direttive generali che il Governo creda opportuno di emanare per tutte le Regioni».

RAVAGNAN desidera sapere quali sono le «funzioni politico-amministrative dello Stato non delegate alla Regione.

AMBROSINI, Relatore, risponde all’onorevole Ravagnan che tutti quei compiti che non sono espressamente assegnati alla Regione a norma dei precedenti articoli 3, 4, 4-bis e 6 spettano allo Stato, all’inverso di quanto avviene nel sistema federale, nel quale competono allo Stato centrale soltanto le funzioni tassativamente indicate nella Costituzione, restando tutte le altre nella competenza degli Stati membri. Chiarendo la portata della differenza, rileva che il sistema regionale proposto dal Comitato si allontana da quello federale e non intacca l’essenza della concezione unitaria dello Stato.

UBERTI è favorevole al concetto informatore della disposizione del progetto, sia perché con essa si viene implicitamente a confermare la soppressione della carica di Prefetto, sia perché si dà al Governo la possibilità di avere un proprio rappresentante, il quale non soltanto curerà l’espletamento delle funzioni affidate allo Stato, ma potrà anche vigilare in senso generico sull’attività della Regione.

MANNIRONI, poiché la disposizione del terzo comma non è altro che una conseguenza di quella approvata al primo comma, si dichiara ad essa favorevole. Fa presente che in tal modo sarà possibile realizzare una prima forma di decentramento amministrativo, che si dovrebbe accompagnare all’istituzione dell’ente Regione; e che è necessario quanto il decentramento istituzionale che si va creando colla Regione. In secondo luogo il Commissario, oltre alla funzione di osservatore cui ha accennato l’onorevole Uberti, potrà anche avere una utile funzione di coordinamento per quei compiti che lo Stato delegherà alla Regione, e nell’attività di tutti i vari uffici statali esistenti nella Regione.

BOZZI osserva che, una volta stabilito il principio che il Presidente della Deputazione regionale rappresenta il Governo centrale per le funzioni che dallo Stato siano delegate alla Regione, è necessario completare il sistema fissando il concetto che per le funzioni non delegate il Governo centrale è rappresentato dal Commissario, al quale si potrà attribuire – e la disposizione del primo comma già approvata non lo esclude – anche una funzione di coordinamento per l’attività delegata dallo Stato alla Regione e di composizione di eventuali conflitti.

PERASSI fa presente che l’emendamento da lui proposto e approvato dalla Sottocommissione nella passata seduta, il quale aveva lo scopo di stabilire in modo inequivocabile che il Presidente della Deputazione regionale ha l’obbligo di conformarsi alle istruzioni governative per ciò che concerne l’esercizio delle funzioni amministrative delegate, lascia del tutto impregiudicata la questione della istituzione e dei poteri del Commissario.

Non crede possa prescindersi dalla necessità di creare nel capoluogo di ogni Regione un organo che rappresenti il Governo centrale, anzitutto perché ad esso dovrà necessariamente essere affidata una parte delle funzioni di carattere amministrativo che oggi sono esercitate dai Prefetti, e in secondo luogo perché il Commissario dovrebbe costituire lo strumento più idoneo per attuare una forma di decentramento amministrativo nel senso di affidare ad esso funzioni ora esercitate al centro mediante decreti ministeriali o del Capo dello Stato.

Quanto ai poteri da conferire al Commissario, è favorevole alla proposta di affidare ad esso anche la vigilanza sulle attività politico-amministrative devolute alla Regione.

Dichiara perciò di essere in tal senso favorevole al principio a cui si ispira il progetto.

MORTATI dichiara di essere anch’egli favorevole al concetto informatore della disposizione. Poiché in pratica il Commissario non eserciterà personalmente tali funzioni, ma si limiterà a dirigere queste attività, propone che alle parole: «esercita le funzioni», si sostituiscano le altre: «presiede alle funzioni»; così come nel comma successivo poiché l’opera del Commissario non si può limitare al solo coordinamento, ma si estenderà anche alla vigilanza, farebbe precedere le parole: «coordina l’opera», dalle altre: «vigila e».

Aggiunge che rimane ora da chiarire se i provvedimenti del Presidente della Deputazione regionale abbiano bisogno, per essere definitivi, dell’approvazione o del visto del Commissario; e da stabilire se l’ultimo grado gerarchico sia il Ministro o il Commissario.

LACONI, ammesso il principio della opportunità di una rappresentanza statale nella Regione, prospetta l’ipotesi che essa sia costituita non da un Commissario il quale, così come è concepito ora, ha molta rassomiglianza col Prefetto, ma da un organo collegiale, composto dei rappresentanti delle varie amministrazioni statali, il quale permetterebbe di raggiungere delle garanzie che non potrebbero aversi attraverso la figura di un Commissario.

BORDON è favorevole all’idea manifestata dall’onorevole Laconi, la quale potrebbe essere concretata nel seguente emendamento sostitutivo del terzo comma ora in esame:

«Nel capoluogo della Regione il Governo centrale è rappresentato da un Comitato di coordinamento che esercita le funzioni di Stato non delegate alla Regione.

«Il Comitato è composto da un rappresentante del Ministero dell’interno che lo presiede, da un rappresentante del Ministero del tesoro e da un rappresentante della Regione, nominato dall’Assemblea regionale fra persone ad essa estranee».

PRESIDENTE fa presente che i punti sui quali la Sottocommissione deve dare il suo parere sono i seguenti: se il Governo centrale debba avere una propria rappresentanza nella Regione; se tale rappresentanza debba essere costituita da una persona o da un organo collegiale; se infine si debbano determinare le funzioni da attribuire a tale rappresentante.

Esprime il suo parere favorevole al primo punto; e concorda con l’onorevole Mortati circa l’opportunità di sostituire alle parole: «esercita le funzioni», le altre: «presiede alle funzioni».

Manifesta poi la sua perplessità circa gli aggettivi: «politico-amministrative» e proporrebbe che, così come si è sempre parlato in genere di attività delegate, si debba anche ora adattare la semplice dizione: «funzioni dello Stato non delegate», sopprimendo gli aggettivi.

Pone in votazione il principio pregiudiziale che nella Regione debba aversi una rappresentanza del Governo centrale.

(È approvato).

Mette in votazione il principio che tale rappresentanza debba essere costituita da un Commissario (con la riserva di fissare in seguito la denominazione che si riterrà più opportuna) e non da un Collegio, come hanno proposto gli onorevoli Laconi e Bordon.

(È approvato).

Mette quindi ai voti la proposta dell’onorevole Mortati di sostituire alle parole: «esercita le funzioni», le altre: «presiede alle funzioni».

(È approvata).

Ricorda la proposta di soppressione delle parole: «politico-amministrative», facendo presente che tali funzioni non saranno suscettibili di aumento di numero per il solo fatto di non essere qualificate nel testo dell’articolo.

PERASSI fa presente che, ad esempio, tutto ciò che riguarda l’andamento amministrativo della giustizia è al di fuori della competenza regionale, così come è attualmente al di fuori della competenza del Prefetto.

PRESIDENTE osserva che la norma generale dell’indipendenza della Magistratura ha vigore sia rispetto alle amministrazioni locali che nei riguardi del Governo centrale. È quindi del parere che non vi sia necessità di ulteriori specificazioni.

AMBROSINI, Relatore, ritiene eccessivo il timore che la locuzione: «funzioni politiche» richiami l’idea del Prefetto; e, d’altra parte, rileva che indubbiamente alcune funzioni politiche, che ora sono di competenza del Prefetto, saranno attribuite al Commissario.

LUSSU ricorda che il Comitato di redazione fu unanime nel votare la soppressione delle Prefetture e dei Prefetti e dichiara di essere favorevole al testo del progetto, perché teme che la soppressione degli aggettivi «politico-amministrativi» possa far sorgere il dubbio che si vogliano dare in questo caso al Commissario poteri più ampi di quelli stabiliti nel progetto.

UBERTI è del parere che la soppressione proposta non possa dar luogo ad alcun inconveniente.

PRESIDENTE pone ai voti la soppressione degli aggettivi «politico-amministrative».

(È approvata).

Dà lettura del terzo comma (divenuto secondo, dopo la soppressione del secondo comma del testo del progetto), così come è stato approvato dalla Sottocommissione:

«Nel capoluogo della Regione il Governo centrale è rappresentato da un Commissario il quale presiede alle funzioni dello Stato, non delegate alla Regione».

Apre la discussione sull’ultimo comma dell’articolo 14:

«Per gli atti dell’Amministrazione regionale relativi a materie dallo Stato delegate alla Regione, il Commissario ne coordina l’opera in corrispondenza alle direttive generali che il Governo creda opportuno di emanare per tutte le Regioni».

Avverte che l’onorevole Mortati ha proposto l’aggiunta delle parole: «vigila e», prima dell’altra: «coordina». Pone ai voti questa proposta.

(È approvata).

TOSATO rileva che, a suo parere, tale comma è inutile perché, una volta stabilito nel primo comma che le Regioni, nell’esercizio dell’attività delegata, devono subordinarsi alle direttive del Governo, è chiaro che questo eserciterà poteri di direzione e di vigilanza sia direttamente che attraverso Commissari regionali.

FUSCHINI propone la soppressione delle ultime parole del comma: «per tutte le Regioni», in quanto vi possono essere disposizioni opportune per alcune Regioni, ma inopportune per altre.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta soppressiva dell’onorevole Fuschini.

(È approvata).

CONTI ritiene che la seconda parte del comma potrebbe essere così formulata: «…il Commissario ne coordina e vigila l’opera in corrispondenza alle direttive generali del Governo».

PRESIDENTE, tenendo presenti le proposte testé formulate, propone la seguente dizione del comma:

«Il Commissario coordina e vigila gli atti dell’Amministrazione regionale relativi a materie dallo Stato delegate alla Regione in corrispondenza alle direttive generali del Governo».

La pone ai voti.

(È approvata).

Ricorda che l’articolo 15 è stato fuso con l’articolo 13 ed apre la discussione sull’articolo 16:

«Per i fini a cui una Regione non potesse provvedere con i propri mezzi, sarà istituito un fondo annuale, che verrà amministrato e ripartito da un Comitato, composto di un rappresentante per Regione e presieduto da un rappresentante dello Stato.

«La legge determinerà i criteri per la fissazione dei contributi delle Regioni e dello Stato al fondo e per la sua amministrazione e ripartizione».

MORTATI propone che l’esame dell’articolo 16 venga rinviato, non essendo presente l’onorevole Vanoni particolarmente versato in materia economico-finanziaria.

PRESIDENTE accoglie la proposta dell’onorevole Mortati ed apre la discussione sull’articolo 17:

«Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale secondo l’ordinamento che verrà stabilito dalla legge.

«La circoscrizione provinciale potrà essere (Variante: sarà) suddivisa in circoscrizioni minori per l’attuazione di un ulteriore decentramento.

«In ogni circoscrizione provinciale sarà istituita una Giunta con i poteri che verranno stabiliti dalla legge».

FUSCHINI domanda al Relatore chiarimenti circa il modo di formazione ed i compiti della Giunta provinciale.

MANNIRONI domanda se la legge che stabilirà i poteri della Giunta sarà una legge ordinaria o di natura costituzionale.

AMBROSINI, Relatore, ricorda che, in seno al Comitato, la costituzione della Giunta fu decisa allo scopo di attenuare gli effetti e le reazioni conseguenti alla soppressione della Provincia come ente e conseguentemente della rappresentanza della popolazione locale e precisamente del Consiglio provinciale. Con l’istituzione di una Giunta, il Comitato pensò che si potesse dare voce e peso alla volontà della popolazione, evitando che i servizi da esplicarsi nell’ambito della circoscrizione provinciale rimanessero di dominio esclusivo della burocrazia.

Stabilito l’accordo sulla instaurazione della Giunta, non si arrivò tuttavia ad accordarsi sul modo della sua costituzione; per questa e per altre ragioni si ritenne opportuno rimandare il regolamento della materia ad una legge speciale.

PERASSI, poiché con l’articolo in esame la Provincia cessa di essere ente autonomo e diventa una circoscrizione amministrativa, un organo, cioè, di decentramento della Regione, ritiene più opportuno regolarne l’ordinamento non già con una legge, bensì nello Statuto di ciascuna Regione, per rendere possibile – per coerenza al sistema in base al quale si riconosce a ciascuna Regione un’esigenza diversa da quella delle altre – un’organizzazione degli uffici locali non uniforme, ma aderente ai vari bisogni. Propone perciò il seguente emendamento:

«L’ordinamento amministrativo della Regione sarà stabilito dallo Statuto in conformità a principî di largo decentramento».

Aggiunge che per i medesimi motivi ritiene che anche l’istituzione ed i poteri della Giunta, di cui si parla nell’ultimo comma di questo articolo, debbano essere regolati nello Statuto della Regione.

TARGETTI ritiene che il problema dell’abolizione della Provincia – che è di importanza maggiore di quella che non sembri a prima vista – sarà certamente ripresentato in sede di Commissione plenaria e di Costituente.

Dichiara poi di ritenere grave il fatto che – abolita la Provincia come ente autonomo – si pensi a costituire una Giunta, che non si sa come sorga e come debba funzionare.

FUSCHINI ritiene che la Sottocommissione non abbia valutato tutte le conseguenze che possono derivare dalla soppressione della Provincia, ai cui organi si sostituisce la Giunta con origini e poteri non troppo chiaramente formulati. Sostiene l’opportunità che la Provincia sia conservata, in sede di disposizioni transitorie, finché non sia organizzata la Regione, perché di tale organo già costituito questa potrà utilmente servirsi, salvo poi a sopprimere la Provincia quando – avendo la Regione raggiunto un completo sviluppo – sia divenuta effettivamente una superfetazione.

UBERTI fa presente che la Giunta provinciale – la cui esigenza è sorta per colmare il vuoto che si verrebbe a determinare nella Provincia con la soppressione della Prefettura – dovrebbe essere l’esecutrice locale di tutte le deliberazioni regionali, organo di coordinamento, di vigilanza, di rappresentanza; mentre sarebbe affidata alla Regione la rappresentanza politica, sarebbe unificato nella Regione il bilancio e soppresso il Consiglio provinciale, che troverebbe il corrispondente organo nell’Assemblea ragionale. Aggiunge che l’istituzione di tale Giunta si è resa necessaria anche per evitare che all’accentramento statale si sostituisca un accentramento regionale.

Circa il sistema di nomina della Giunta, è del parere che fra le due tendenze – quella che affiderebbe la nomina alla Regione e l’altra che l’affiderebbe agli enti locali – possa trovar posto una terza soluzione, e cioè che la designazione spetti ai Comuni e la nomina sia affidata alle Regioni. Pensa che, in tal modo, sarebbe possibile contemperare la duplice esigenza di non rompere l’unità dell’ente Regione, che deve essere un organismo vivo e vitale, e di dare una rappresentanza alle forze locali, che devono realizzare questo decentramento amministrativo.

Propone pertanto il seguente emendamento sostitutivo dell’ultimo comma dell’articolo in esame:

«In ogni circoscrizione provinciale sarà istituita una Giunta che presieda e coordini i servizi amministrativi nella Provincia. Sarà nominata dalla Deputazione regionale, su designazione dei Comuni della Provincia».

LAMI STARNUTI ricorda che, in seno al Comitato, si addivenne alla deliberazione di creare la Giunta provinciale essenzialmente per una ragione politica, al fine cioè, di colmare il vuoto che si sarebbe determinato fra la Regione e il Comune, vuoto che avrebbe prodotto un’inevitabile turbamento nella popolazione del capoluogo. Si ritenne che, specie nelle Regioni molto estese, fosse opportuno istituire, oltre l’ufficio burocratico, una rappresentanza delle Amministrazioni regionali.

Riconosce che gli appunti mossi dall’onorevole Fuschini sono in parte esatti, ma ritiene che il fatto che in seno al Comitato di redazione siano sorte delle divergenze in proposito non deve impedire che la Sottocommissione esamini le varie tendenze per scegliere poi quel modo di formazione e l’attribuzione di quei poteri che riterrà più convenienti.

Fa presente che, a suo avviso, la Giunta dovrebbe essere nominata dall’Assemblea regionale e dovrebbe avere i poteri di presiedere e coordinare – o semplicemente coordinare – l’attività degli uffici regionali decentrati: quindi potere di sudditanza rispetto all’amministrazione regionale e non potere di iniziativa o anche discrezionale.

Richiama infine l’attenzione sul secondo comma dell’articolo, in virtù del quale dovrebbero sorgere circoscrizioni analoghe ai circondari e quindi aversi uffici decentrati non solo nel capoluogo della Provincia, ma anche in centri minori distanti dal capoluogo, uffici il cui coordinamento nelle circoscrizioni provinciali dovrebbe essere presieduto ed attuato dalla Giunta.

LUSSU ricorda di essere stato il solo, in sede di Comitato, a votare contro la conservazione della Provincia come circoscrizione amministrativa di decentramento regionale, perché – a parte il fatto che al capoluogo di Provincia non può derivare da tale soppressione alcun danno materiale, essendo l’allarme di cui si è parlato soltanto di carattere psicologico – partiva del principio che alla Provincia dovesse subentrare una serie di organismi intermedi (distretti o circondari) costituiti su nuove basi, in rapporto alle esigenze economiche, geografiche e sociali della zona, intorno ai quali si sarebbe sviluppato il vero decentramento regionale.

È anche del parere che la discussione sulla Giunta provinciale che egli concepisce come puro organo burocratico esecutivo, non eletto dai Consigli comunali, ma creato dall’ente Regione sarà più facile quando si sarà chiarita la questione delle circoscrizioni minori intermedie.

FABBRI constata che, come risulta dalle dichiarazioni di vari oratori, l’ultimo comma dell’articolo 17 è il frutto di un compromesso, e dichiara che, a suo parere, l’ente autonomo Regione, una volta costituito, ha il diritto di istituire in vari centri della circoscrizione delle Giunte, stabilendo il loro modo di composizione ed i loro compiti. Rileva però che, fissando nella Costituzione l’esistenza delle Giunte, si limitano le facoltà dell’ente Regione da un lato, e dall’altro sorge la necessità di stabilire nella stessa Carta costituzionale il modo di formazione e i poteri di tali Giunte. La logica del sistema della Carta costituzionale esige che si precisino il modo di origine (che a suo parere deve aversi su basi elettive) ed i poteri (che limiterebbe alla sola facoltà di vigilanza) della Giunta.

Propone perciò il seguente emendamento:

«In ogni circoscrizione provinciale sarà istituita una Giunta elettiva con poteri in ogni caso di vigilanza sullo svolgimento locale dei servizi amministrativi della Regione e con funzioni altresì esecutive di decentramento burocratico, in quanto intervengano deliberazioni per questo scopo dalla Deputazione regionale. Il numero dei componenti, il modo di elezione e la funzione di vigilanza della Giunta saranno regolati dalla legge in materia».

ZUCCARINI dichiara che, a suo parere, oltre alle circoscrizioni minori, costituite da consorzi di Comuni i quali provvedono insieme a determinati bisogni e servizi, dovrebbero aversi circoscrizioni più grandi che, in relaziono alla loro estensione territoriale, possono essere anche chiamate provinciali, le quali dovrebbero assolvere tra l’altro alla funzione di portare alla Regione la voce degli interessi locali. Non è possibile concepire la Regione come un’altra forma di accentramento per cui tutto si fa al centro e tutto dal centro dipende. Di qui la sua preoccupazione che alla Regione si arrivi attraverso gradini locali: primo fra questi il Comune: di qui la sua idea che i servizi della Regione siano gestiti, sorvegliati, amministrati, senza creare nuovi enti autonomi, attraverso le rappresentanze dirette dei Comuni che a quelle circoscrizioni fanno capo, e questo tanto per le circoscrizioni minori (raggruppamenti di comuni) quanto per quelle più grandi (Provincie). Ritiene che tali rappresentanze, in quanto espressioni comunali, sarebbero le più qualificate per discutere i problemi particolari di determinate zone.

Fa presente che, se invece si facesse della Giunta un organo nominato dalla Regione, non sempre si avrebbe una rappresentanza locale rispondente alle locali esigenze, in quanto la Regione potrebbe avere una sua amministrazione determinata dai partiti, e cioè ispirata da criteri politici i quali, probabilmente, nella loro formazione e nel loro peso non sarebbero i medesimi per ciascuna provincia. Ritiene quindi da scartare l’idea che la nomina debba essere fatta dalla Regione, anche per evitare il rischio di avere una Giunta rappresentante una combinazione politica diversa da quella che esiste localmente. Insiste quindi sull’opportunità che tali organi di rappresentanza siano nominati dai Comuni magari con un sistema di elezioni di secondo grado e con una delega di poteri.

LA ROCCA è contrario al metodo seguito fin qui dalla Sottocommissione nell’esaminare il problema della Regione, perché preferirebbe che nella Costituzione si dessero solo direttive generali, senza entrare in dettagli. In modo particolare, dell’articolo in esame sarebbe stato opportuno fare una formulazione generica, lasciando alla pratica e alla esperienza avvenire tutto il resto. Osserva in proposito che praticamente la Provincia non è stata soppressa, ma rimane come organo di decentramento e come sede di uffici burocratici; e che si andrebbe contro questo principio accettando la costituzione della Giunta, la quale in definitiva sarebbe la stessa cosa della Deputazione provinciale. Propone pertanto la soppressione del terzo comma.

MORTATI osserva che si sono manifestate due tendenze sull’interpretazione di questo articolo. Alcuni lo considerano opportuno solo in quanto dà alle Provincie una specie di compenso morale per la perdita dell’autarchia. Altri invece lo considerano come veramente necessario per una ragione attinente alle esigenze organizzative del nuovo Stato. A suo avviso, l’articolo 17 ha una grande importanza nella determinazione della fisionomia generale della Regione e intende significare che, creando la Regione, non si vuol determinare un nuovo accentramento. All’uomo si dovrebbe però espressamente specificare nella Costituzione che l’ente Regione sarà ordinato nel suo interno secondo un criterio di decentramento, sicché gli organi centrali della Regione abbiano solamente una funzione di direzione, di impulso, mentre l’attività esecutiva e di attuazione dovrà essere affidata a organi di decentramento.

Rileva che, a questo punto, si affaccia l’altro problema del modo come dev’essere attuato il decentramento: decentramento burocratico, oppure no? Afferma che la Regione non deve nominare propri funzionari da inviare nelle circoscrizioni minori, ma deve attuare un decentramento che abbia un carattere di maggiore avvicinamento degli organi agli interessi locali, e da questo punto di vista ritiene che la creazione di una Giunta potrebbe essere feconda di buoni risultati. In altri termini, così facendo, ci si avvicina alla caratteristica dell’ordinamento inglese, che affida delle funzioni statali ad organi locali, ai quali sono preposti funzionari elettivi che godono la fiducia della popolazione.

Insiste nell’affermare che la soluzione prospettata si presenta indubbiamente feconda di risultati, rilevando che tale sistema dovrebbe essere adottato, oltre che per le Provincie, anche per gli enti minori.

Per quanto poi riguarda la pratica attuazione di tali criteri, ritiene che, una volta applicato il principio nella Costituzione, la materia possa esser riservata alle norme degli istituti regionali, così come ha proposto l’onorevole Perassi.

Presenta, insieme all’onorevole Zuccarini, il seguente emendamento sostitutivo dell’articolo 17 proposto dal Comitato di redazione:

«I compiti amministrativi di cui la Regione è titolare ai sensi dell’articolo 6 sono da questa esercitati secondo un principio di decentramento.

«Gli organi di decentramento diversi dai Comuni saranno stabiliti dagli Statuti regionali, in conformità alle richieste dei Comuni interessati.

«Ai servizi affidati agli organi medesimi è preposto un Consiglio eletto dalle Amministrazioni comunali, comprese nella circoscrizione assegnata ad essi, che serve da tramite fra gli interessi locali e la Regione».

MANNIRONI dalla discussione fin qui svoltasi ha tratto il convincimento che l’articolo 17 è di una importanza rilevante, in quanto il pubblico non si preoccupa tanto di sapere che cosa sarà la Regione, quanto della sorte che subiranno gli enti minori; onde la necessità per la Sottocommissione di preoccuparsi di dare una struttura a questi organi minori.

Si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole La Rocca di sopprimere il terzo comma, così come ritiene inopportuno lasciare inalterata l’attuale formulazione, soprattutto dopo le dichiarazioni degli onorevoli Ambrosini e Lami Starnuti.

AMBROSINI, Relatore, precisa che nel Comitato di redazione si erano formate varie correnti circa il criterio di composizione degli organi in parola, e che non fu possibile raggiungere una maggioranza. Aggiunge che queste varie correnti sono state rappresentate principalmente dagli onorevoli Lussu e Zuccarini da una parte, e, per l’opinione contraria, dagli onorevoli Lami Starnuti e Uberti.

MANNIRONI prende atto del chiarimento, ma afferma di rimanere perplesso, in quanto ritiene che non basti creare la Giunta, ma occorra precisarne la composizione e i compiti.

A proposito dell’emendamento Uberti, fa rilevare che la Giunta non può essere nominata dalla Deputazione, ma deve essere un organo elettivo, che goda la fiducia delle popolazioni che deve amministrare.

Ricorda che già in sede di articolo 1 la Sottocommissione ha risolto il quesito concernente le Provincie, approvando un emendamento in forza del quale «la Provincia è riconosciuta come circoscrizione amministrativa di decentramento regionale».

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Mannironi, ma rileva che le proposte che tendono a dare alla Giunta una base elettiva non fanno altro che riaprire la questione, poiché evidentemente ad una Giunta a carattere elettivo, la quale oltre alle funzioni del coordinamento e della sorveglianza dei servizi abbia anche quella di rappresentare gli interessi locali, devono fornirsi i mezzi per soddisfare tali esigenze: cioè proprie entrate e proprio bilancio.

Fa quindi presente la necessità di procedere ad una scelta: o si è favorevoli alla conservazione della Provincia, ed allora è opportuno conservare l’istituto già in atto; o si accoglie il criterio opposto al quale personalmente è favorevole, ed allora non è il caso né di proporre né di accettare la costituzione di Giunte di carattere elettivo.

Rispondendo all’onorevole Fuschini, spiega che quanto egli suggeriva è stato tenuto presente nella norma transitoria, in cui si prevede il progressivo passaggio dall’organo provinciale a quello regionale, passaggio che richiederà per la sua effettuazione un periodo di tempo piuttosto lungo.

Poiché come è stato già detto il quesito sulla conservazione o meno della Provincia come ente autonomo è stato già risolto in sede di articolo 1, la prima parte del primo comma dell’articolo 17, così come il primo comma dell’emendamento sostitutivo proposto dagli onorevoli Mortati e Zuccarini, non hanno più ragion d’essere.

Quanto alla seconda parte del primo comma dell’articolo 17 del progetto, rileva che essa deferisce alla legge la determinazione degli ordinamenti decentrati regionali, mentre la proposta Mortati-Zuccarini deferisce agli Statuti regionali, in conformità delle richieste dei comuni interessati, la determinazione degli organi di decentramento, e la proposta Perassi, riprendendo il medesimo concetto, dice che «l’ordinamento amministrativo della Regione verrà stabilito dallo Statuto in conformità a principî di largo decentramento».

Fa quindi presente che si tratta di stabilire se l’ordinamento degli organi di decentramento delle Regioni debba essere stabilito dalla legge o dagli Statuti regionali, avvertendo che nel primo caso ci si baserà sulle circoscrizioni provinciali, mentre nel secondo tali nuclei di decentramento saranno stabiliti di volta in volta in conformità delle richieste ai Comuni interessati e, appunto per questo, potranno avere carattere mutevole.

MORTATI domanda se con la parola «Provincie» si intende una circoscrizione generica suscettibile di essere variamente configurata, perché in tal caso potrebbe accadere che la Regione dividesse in due una Provincia su richiesta delle popolazioni interessate.

PRESIDENTE risponde che quando si parla di Provincia si allude alle attuali Provincie, salvo le modificazioni marginali che non cambiano il loro carattere.

Aggiunge che nel progetto Mortati-Zuccarini si superano queste difficoltà, perché si parla di «organi di decentramento diversi dai Comuni», senza entrare in particolari. Del resto, uno degli questi organi potrebbe anche essere la Provincia, se tutti i Comuni che la compongono esprimessero il desiderio di rimanere uniti in quel nucleo.

Superata all’articolo 1 la prima questione, se la Provincia sia o meno ente autarchico, si presentano successivamente le altre: se la Regione debba avere un ordinamento amministrativo informato a principî di vasto decentramento; se – come propone il Comitato – la prima base di tale decentramento sia costituita dalle Provincie; se la circoscrizione di decentramento regionale possa essere suddivisa in circoscrizioni minori; se l’organo che deve essere preposto a questo nucleo decentrato debba essere determinato nella sua formazione e nelle sue funzioni. Osserva in proposito che, appunto in connessione con la prima questione da risolvere, si presenta il quesito già accennato, e cioè se l’ordinamento degli organi di decentramento diversi dai Comuni debba essere stabilito dalla legge o dagli Statuti.

LUSSU dichiara di essere favorevole al principio che gli organi di decentramento debbano essere stabiliti dagli Statuti regionali.

AMBROSINI, Relatore, è contrario agli emendamenti proposti e favorevole al testo proposto dal Comitato.

PRESIDENTE pone ai voti il concetto che ordinamento degli organi di decentramento diversi dai Comuni deve essere stabilito dagli Statuti regionali, principio corrispondente a quello contenuto tanto nell’emendamento Mortati-Zuccarini quanto in quello Perassi.

(Non è approvato).

Dato l’esito della votazione, constata che la Sottocommissione è favorevole alla dizione contenuta nel testo del progetto predisposto dal Comitato, e cioè al concetto che l’ordinamento di tali organi sarà stabilito dalla legge.

Considera ora la seconda questione, e cioè se tale decentramento debba avere come primo gradino la Provincia, facendo presente che la proposta Mortati-Zuccarini che parla di «organi di decentramento diversi dai Comuni» considera un decentramento che sale dal basso, mentre quella del Comitato parte dal principio di un decentramento dall’alto.

Pone ai voti la proposta di emendamento Mortati-Zuccarini.

(Non è approvata).

Fa presente che con ciò deve intendersi approvata la formula del Comitato, che considera la Provincia come la prima base del decentramento regionale.

Passa ora al secondo comma dell’articolo 17 proposto dal Comitato, in luogo del quale propone la seguente dizione:

«La Regione può suddividere le circoscrizioni provinciali in circoscrizioni minori per l’attuazione di un ulteriore decentramento».

Aggiunge che le varie suddivisioni amministrative che si realizzano nell’interno della Regione non saranno elencate nello Statuto, ma in una legge emanata dall’Assemblea regionale.

FABBRI afferma che, a suo avviso, i criteri con cui la Regione può fissare le circoscrizioni minori dovrebbero essere determinati dalle leggi dello Stato e non dalle deliberazioni delle singole Ragioni.

PRESIDENTE ritiene che si possa superare tale difficoltà indicando il tipo di circoscrizione minore, dicendo cioè che la Regione potrà suddividersi in circondari.

LUSSU ritiene pericolosa tale dizione, che farebbe tornare alla mente il vecchio circondario e quindi impedirebbe la costituzione spontanea di nuclei formati da cinque o sei Comuni.

PRESIDENTE, a parte il fatto che non è pensabile che nell’interno della Regione si possa formare uno sminuzzamento di nuclei decentrati, osserva che la questione del nome ha scarsa importanza, perché potrà essere sempre sostituito.

In tale intesa, pone ai voti il secondo comma dell’articolo nella seguente formulazione:

«La Regione può suddividere le circoscrizioni provinciali in circondari per l’attuazione di un ulteriore decentramento».

(È approvato).

Considera ora il terzo comma dell’articolo 17 del progetto formulato dal Comitato, così concepito:

«In ogni circoscrizione provinciale sarà istituita una Giunta con i poteri che saranno stabiliti dalla legge».

Ricorda l’emendamento degli onorevoli Mortati e Zuccarini («Ai servizi affidati agli organi medesimi è preposto un Consiglio eletto dalle Amministrazioni comunali comprese nella circoscrizione assegnata ad essi, che serve da tramite fra gli interessi locali e la Regione»), la proposta dell’onorevole Uberti («In ogni circoscrizione provinciale sarà istituita una Giunta che presiede e coordina i servizi amministrativi regionali nella Provincia. Sarà nominata dalla Deputazione regionale su designazione dei Comuni della Provincia») e la proposta dell’onorevole Fabbri («In ogni circoscrizione provinciale sarà istituita una Giunta elettiva con poteri in ogni caso di vigilanza sullo svolgimento locale dei servizi amministrativi della Regione e con funzioni altresì esecutive di decentramento burocratico, in quanto intervengano deliberazioni per questo scopo dalla Deputazione regionale. Il numero dei componenti, il modo di elezione e la funzione di vigilanza della Giunta saranno regolati dalla legge in materia») e fa presente che l’elemento differenziatore fra gli emendamenti e il progetto sta in questo: che il progetto rimette alla legge la determinazione dei poteri, mentre gli emendamenti ritengono che debba subito indicarsi che questi organi vengono costituiti per mezzo di elezioni.

MORTATI spiega che con il suo emendamento il sistema non è limitato alle sole Provincie, ma è esteso a tutti gli enti di decentramento.

LUSSU è del parere che si possa chiarire l’emendamento Fabbri dicendo: «…sarà istituita una Giunta di nomina della Deputazione regionale, nella forma che sarà stabilita dalla legge».

PERASSI ricorda che, in virtù di un articolo già approvato, nel quale si riconosce alla Regione la competenza legislativa di stabilire il proprio ordinamento e i propri uffici, la competenza a stabilire la composizione e le funzioni delle Giunte che sono organi della Regione dovrebbe essere della Regione stessa.

FABBRI ricorda all’onorevole Perassi quanto ha precedentemente affermato e cioè che, se si considera tale Giunta nella Carta costituzionale, è necessario dire qual è il modo della sua formazione e quali sono i suoi compiti: cioè, a suo parere, che deve essere elettiva ed avere funzioni di vigilanza.

PRESIDENTE ritiene non valida l’osservazione fatta dall’onorevole Perassi, perché la Giunta anche se non elettiva è un organo diverso da quello che normalmente viene considerato un ufficio e quindi non può essere compreso nell’ordinamento degli uffici, considerato nell’articolo ricordato dall’onorevole Perassi.

LUSSU concorda col Presidente e fa presenti i gravi inconvenienti che deriverebbero dal fatto di lasciare l’ordinamento delle Giunte all’arbitrio delle Regioni, le quali le organizzerebbero in modo diverso l’una dall’altra.

PERASSI, pur riconoscendo l’opportunità di porre qualche limite, avverte che, in definitiva, l’ordinamento delle Giunte sarà oggetto di una legge regionale.

PRESIDENTE pone le varie questioni: deve esservi una Giunta? deve questa esistere soltanto nella maggiore circoscrizione (la Provincia) od anche nelle altre? deve rimandarsi alla legge la determinazione del modo di formazione e dei poteri della Giunta?

Mette in votazione il principio che debba procedersi alla creazione di una Giunta nelle circoscrizioni provinciali.

(È approvato).

Pone ai voti il principio che tale organo debba aversi anche nelle circoscrizioni minori decentrate.

(Non è approvato).

Pone ai voti il principio che nella Costituzione debbano stabilirsi il modo di formazione ed i poteri della Giunta.

(È approvato).

Passa poi a considerare particolarmente la prima subordinata, quella cioè concernente il modo di elezione della Giunta.

MORTATI dichiara di associarsi alla proposta dell’onorevole Uberti.

PRESIDENTE fa presente che, in tal modo, si aggiungerà un’altra elezione alle numerose di cui è già stato caricato il testo costituzionale.

LACONI osserva che vi può essere una terza soluzione, quella cioè che eleggendosi l’Assemblea regionale da Collegi provinciali la rappresentanza di ogni Provincia venga dall’Assemblea regionale delegata ad esercitare determinate funzioni nella Provincia. Aggiunge che in tal modo si avrebbe una composizione della Giunta corrispondente alla situazione politica della Provincia.

PRESIDENTE, a parte il fatto che in tal modo si suddividerebbe il Consiglio regionale in una serie di gruppi provinciali, crede che una norma del genere difficilmente potrebbe rientrare in questo Capo, in quanto costituirebbe, se mai, un’indicazione circa il sistema elettorale dell’Assemblea regionale.

Pone ai voti il principio che le Giunte debbano avere carattere elettivo.

(È approvato).

Apre la discussione sulla proposta dell’onorevole Fabbri: «Il numero dei componenti, il modo di elezione e la funzione di vigilanza della Giunta saranno regolati dalla legge».

MORTATI è contrario a tale proposta, perché ritiene che l’elezione debba esser fatta da un Collegio elettorale che rappresenti le popolazioni.

PERASSI vi è pure contrario, perché ritiene che non possa rinviarsi alla legge la determinazione del sistema di elezione e l’indicazione del tipo della competenza di vigilanza.

UBERTI attribuirebbe alla Giunta il potere di presiedere e vigilare.

FABBRI ritiene che, come punto di partenza, alla Giunta debbano attribuirsi soltanto poteri di vigilanza; naturalmente, in seguito, la Regione potrà, se lo riterrà opportuno, attribuirgliene degli altri.

LAMI STARNUTI è favorevole all’emendamento Uberti, purché si sostituisca alla parola: «Deputazione», l’altra: «Assemblea».

UBERTI accetta la proposta; in tal modo si dirà che la Giunta «sarà nominata dall’Assemblea regionale su designazione dei Comuni della Provincia».

PERASSI propone che si dica: «in ogni circoscrizione provinciale sarà istituita una Giunta elettiva con poteri di vigilanza, secondo le norme stabilite dallo Statuto».

PRESIDENTE fa presente che, a suo avviso, non si può affidare alla Regione la statuizione di un sistema di elezione, perché tra le materie di competenza della Regione non ve n’è alcuna che implichi la facoltà di redigere una legge elettorale.

PERASSI ritiene che non vi sia nulla di male nell’affidare tale incarico alla Regione, dal momento che si tratta dell’elezione di un organo locale.

FABBRI rileva che il punto di divergenza è il seguente: mentre la sua proposta rimette tale facoltà alla legge, quella dell’onorevole Perassi l’affida allo Statuto regionale.

AMBROSINI, Relatore, potrebbe essere favorevole alla proposta dell’onorevole Perassi se si parlasse soltanto di «poteri», sopprimendo le parole: «di vigilanza», le quali costituirebbero una limitazione all’attività della Giunta.

MANNIRONI è di parere contrario, perché ritiene che non si possa rinviare ad altra sede la determinazione delle funzioni dell’organo che si sta creando.

PRESIDENTE pone in luce la questione pregiudiziale, se si ritenga opportuno che nella Carta costituzionale si parli dei «poteri» della Giunta (i quali saranno poi stabiliti dalla legge o dallo Statuto regionale). Mette ai voti questo concetto.

(È approvato).

Prospetta ora il problema se tali poteri debbano essere stabiliti dalla legge (come propone l’onorevole Fabbri) o dallo Statuto regionale (come suggerisce l’onorevole Perassi).

CONTI è favorevole alla proposta dell’onorevole Perassi, in quanto ritiene che una legge dello Stato non debba occuparsi di problemi di così scarsa importanza.

FABBRI, come ha già accennato illustrando la sua proposta, è del parere che le Regioni possano in seguito deliberare autonomamente, ma che al principio si debba partire da norme uniformi per tutte le Regioni.

LAMI STARNUTI è favorevole alla proposta Fabbri.

MANNIRONI concorda con l’onorevole Lami Starnuti.

AMBROSINI, Relatore, è favorevole al principio che, data l’ampiezza generica dei poteri da accordare alla Giunta, tale questione debba essere regolata dalla legge.

LUSSU si associa all’onorevole Ambrosini.

PRESIDENTE dichiara di essere anch’egli favorevole a che la determinazione di questi poteri sia affidata alla legge.

Pone in votazione il principio che i poteri della Giunta debbano essere stabiliti dallo Statuto regionale.

(Non è approvato).

Mette ai voti il principio opposto, cioè che i poteri della Giunta siano da determinare dalla legge.

(È approvato).

Fa presente che ora si tratta di precisare se il sistema di elezione debba essere stabilito dallo Statuto regionale o dalla legge.

Mette ai voti la tesi che le Giunte debbano essere elette nei modi indicati nello Statuto regionale.

(Non è approvata).

Pone in votazione la tesi opposta, che il sistema di elezione della Giunta debba essere stabilito dalla legge.

(È approvata).

Dà quindi lettura del terzo comma, ultimo dell’articolo 17, nel testo approvato dalla Sottocommissione:

«In ogni circoscrizione provinciale sarà istituita una Giunta elettiva i cui modi di elezione e i cui poteri saranno stabiliti dalla legge».

Sui lavori della Sottocommissione.

NOBILE propone il seguente ordine del giorno firmato anche dagli onorevoli Ravagnan, La Rocca e Conti che tende a rendere più celere lo svolgimento dei lavori della Sottocommissione:

«La Sottocommissione, ravvisando la necessità urgente di affrettare i propri lavori sull’ordinamento regionale, delibera che d’ora in avanti la discussione dei singoli articoli avverrà soltanto sugli emendamenti presentati per iscritto. Su ciascun emendamento potrà parlare per non oltre cinque minuti solo il Commissario che lo ha presentato.

«Non saranno ammesse dichiarazioni di voto».

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Nobile ed ai colleghi le difficoltà che si incontrerebbero, se si volesse applicare in modo rigoroso e tassativo quest’ordine del giorno.

FABBRI propone che tale ordine del giorno sia convertito in raccomandazione.

NOBILE aderisce alla proposta dell’onorevole Fabbri.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Calamandrei, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bulloni, Cappi, Castiglia, Farini, Grieco, Patricolo, Piccioni, Porzio, Vanoni.