Come nasce la Costituzione

VENERDÌ 13 DICEMBRE 1946 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

4.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 13 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Potere giudiziario (Seguito della discussione)

Presidente – Castiglia, Relatore – Calamandrei, Relatore – Leone Giovanni, Relatore – Targetti – Cappi – Bozzi – Bulloni – Mannironi – Ravagnan – Di Giovanni.

La seduta comincia alle 9.

Seguito della discussione sul potere giudiziario.

PRESIDENTE ricorda che nella presente riunione dovrà continuarsi la discussione sull’articolo 1 del progetto Calamandrei e sui corrispondenti articoli dei progetti degli onorevoli Leone e Patricolo.

CASTIGLIA, Relatore, propone la seguente nuova formulazione:

«La funzione giudiziaria è esercitata dallo Stato per mezzo della Magistratura che esso istituisce.

«Le sentenze e gli altri provvedimenti giurisdizionali degli Stati stranieri, dei Tribunali ecclesiastici per gli effetti Civili, nonché le decisioni arbitrali possono nello Stato avere efficacia nei casi, nei limiti e nei modi stabiliti dalle sue leggi».

Precisa che la seconda parte della formula mira a risolvere la questione, a cui ha accennato nella precedente riunione l’onorevole Calamandrei, relativa agli effetti civili delle sentenze straniere o dei Tribunali ecclesiastici, benché sia convinto che riconoscere efficacia a queste sentenze non costituisca menomazione del principio della statualità della giurisdizione.

CALAMANDREI, Relatore, osserva innanzi tutto che nella formula proposta dall’onorevole Castiglia si parla di funzioni giudiziarie, mentre gli sembra che la Sottocommissione fosse d’accordo, come è previsto nel progetto della Corte di cassazione, di parlare di potere giudiziario, anche per la necessità di mettere tale potere sullo stesso piano degli altri due. In secondo luogo, è contrario alle specificazione del capoverso.

Non gli pare poi che si possano consacrare nella Costituzione questioni che si potrebbero considerare come un’eccezione al principio fondamentale della statualità del potere giudiziario. Ammette che, attraverso un ragionamento più o meno fondato, si possa ritenere che, se rimarrà in vigore il Concordato, il riconoscimento della esecutività delle sentenze dei Tribunali ecclesiastici in materia matrimoniale sia conciliabile col principio della statualità del potere giudiziario; ma che si voglia affermare fin d’ora nella Costituzione che non si riporrà in discussione lo stato esistente, gli sembra ecceda i compiti della Sottocommissione.

Potrebbe accettare delle modificazioni nel senso proposto dal progetto della Cassazione, che in tale materia ha formulato la seguente dizione: «Il potere giudiziario emana direttamente dalla sovranità dello Stato». A questo proposito fa rilevare che l’espressione «emana» gli sembra formalmente inadatta e sostanzialmente potrebbe far credere che la sovranità e il potere giudiziario siano due cose distinte, mentre quest’ultimo fa parte integrante della sovranità, che è costituita dalla somma dei tre poteri.

LEONE GIOVANNI, Relatore, è sostanzialmente d’accordo con l’onorevole Calamandrei nel ritenere che il capoverso dell’articolo proposto dall’onorevole Castiglia costituisca una specificazione non richiesta in sede di Costituzione. A tale proposito richiama l’attenzione sul fatto che non è questa la sede per risolvere, né in senso positivo, né in senso negativo, il problema del Concordato, il quale è di tale elevatezza che gli stessi democristiani, che per i primi sono decisi a difenderlo, non vorrebbero si risolvesse così per incidenza.

È d’accordo pure con l’onorevole Calamandrei nel considerare l’espressione «emana» come non adatta né formalmente né giuridicamente, perché il potere giudiziario non emana dalla sovranità, ma è un aspetto della sovranità.

Per questo motivo, nella sua formula non aveva definito il potere giudiziario, limitandosi ad indicarne il compito. Ad ogni modo, se si ritenesse opportuna una specificazione, metterebbe come inciso che il potere giudiziario è espressione della sovranità dello Stato, per non dare la sensazione di dare solo una definizione di carattere formale. Propone, pertanto, la seguente dizione: «Il potere giudiziario, emanazione della sovranità dello Stato, provvede alla interpretazione e applicazione del diritto per mezzo di giudici, ecc.».

PRESIDENTE propone di passare alla ultima parte dell’articolo 1, relativa alla intestazione delle sentenze, su cui si potrà più facilmente raggiungere l’accordo, per ritornare poi alla prima parte.

(Così rimane stabilito).

TARGETTI propone di sopprimere l’inciso «e gli altri provvedimenti», secondo il quale dovrebbero essere pronunziate in nome della Repubblica anche le ordinanze dei giudici, per esempio, che ammettono o non a omettono prove testimoniali. Poiché anche in precedenza tali ordinanze non erano emanate in nome del Re, non vede perché si dovrebbe ora dar loro la solennità di intestarle in nome della Repubblica.

CALAMANDREI, Relatore, precisa che l’inciso, richiamato dall’onorevole Targetti, si riferisce a quei provvedimenti che, pur non essendo sentenze, devono essere forniti della formula esecutiva.

CASTIGLIA, Relatore, ritiene che si potrebbe rimandare al Codice di procedura l’elencazione dei provvedimenti che devono essere pronunziati in nome della Repubblica.

CAPPI crede che potrebbe superarsi ogni preoccupazione, sopprimendo l’ultimo periodo e formulando così l’articolo: «Il potere giudiziario appartiene allo Stato che lo esercita in nome della Repubblica, per mezzo di giudici indipendenti, ecc.». Si affermerebbe con ciò il principio che lo Stato esercita il potere giudiziario in nome della Repubblica e si rinvierebbe al Codice di procedura il compito di stabilire i provvedimenti che dovranno essere muniti di intestazione.

TARGETTI dichiara che, se la sua proposta può dare luogo a eccessive complicazioni, è disposto anche a ritirarla.

PRESIDENTE ritiene che la dizione potrebbe essere lasciata inalterata. Al momento in cui dovrà compilarsi il Codice di procedura, potrà essere richiamato il verbale della presente riunione, dal quale risulterà che dovranno essere pronunziate in nome della Repubblica le sentenze e gli altri provvedimenti che per il passato erano pronunziati in nome del Re.

BOZZI crede che, se si facesse cenno soltanto delle sentenze, sarebbe eliminata ogni questione, ritenendo logico che gli altri provvedimenti per i quali è necessaria la formula esecutiva avranno la stessa intestazione delle sentenze.

BULLONI invece della parola «resi», direbbe «messi».

TARGETTI preferisce il termine: «pronunciati».

CALAMANDREI, Relatore, accetta il termine «pronunciati», nonché la soppressione delle parole: «e gli altri provvedimenti».

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone la dizione: «Le sentenze vengono pronunziate in nome della legge». Gli sembra che di fronte al cittadino la legge costituisca qualche cosa di più augusto che non la forma statale, la quale nella coscienza dei cittadini potrebbe anche essere discussa. Per questa sua maggiore portata vincolante, il richiamo alla legge è più efficace del richiamo alla forma dello Stato. Ritiene poi che in questo campo si dovrebbe quanto più possibile allontanarsi da quella forma che era una impostazione della istituzione monarchica a tipo feudale, nel senso di non ripetere «la Repubblica» in tutte le espressioni in cui il vecchio Statuto richiamava «il Re».

PRESIDENTE è favorevole alla formula dell’onorevole Leone.

MANNIRONI propone la seguente formula, nella quale ha cercato di sintetizzare vari articoli: «Il potere giudiziario, che deriva dalla sovranità dello Stato e che è indipendente da ogni altro suo potere, applica e interpreta imparzialmente la legge per mezzo dei giudici con sentenze e provvedimenti resi ed eseguiti in nome della legge stessa».

TARGETTI, da un punto di vista politico, preferirebbe la dizione: «Le sentenze sono pronunciate in nome della Repubblica».

RAVAGNAN è d’accordo con l’onorevole Targetti, ritenendo che dovrebbe essere eliminala qualsiasi forma che potrebbe far pensare ad un agnosticismo, per quanto riguarda la forma dello Stato.

CALAMANDREI, Relatore, alla giustificazione politica dell’onorevole Targetti, unisce una ragione di carattere giuridico. Quando i giudici pronunciano una sentenza, la pronunciano in nome di un ente avente una personalità giuridica, come è la Repubblica o lo Stato. La frase «in nome della legge» è invece solo un modo di dire che, dal punto di vista giuridico, non ha alcun significato, perché la legge non è un mandante. Quindi può, se mai, accettare si dica che le sentenze sono pronunciate in nome dello Stato, ma non in nome della legge.

LEONE GIOVANNI, Relatore, riconosce che il riferimento alla legge non ha alcun carattere concreto; ma crede che serva a conferire maggiore solennità ad alcuni atti processuali ed esecutivi in cui è necessario far sentire la forza della legge. Poiché non è necessario risalire, attraverso l’intestazione, ad un ente concreto, sarebbe indifferente dire che le sentenze siano pronunziale in nome dello Stato, o della Repubblica, o della legge; ché se si volesse comunque, nelle intestazioni delle sentenze, riferirsi ad un ente concreto, si dovrebbe dire: «In nome del Presidente della Repubblica». Ma la formula di intestazione degli atti deve essere solamente qualche cosa di simbolico; e perciò egli reputa opportuno far sentire che l’imperativo della legge è al di sopra della forma istituzionale.

BOZZI, a solo titolo di precisazione, ricorda che attualmente le sentenze si emanano in nome del popolo. Si è voluta fare così una personificazione dell’ente, in nome del quale si pronunciano le sentenze.

CAPPI propone che si adotti la formula: «Le sentenze sono pronunciate in nome del popolo».

PRESIDENTE pone in votazione l’emendamento dell’onorevole Leone: «Le sentenze sono pronunciale in nome della legge».

(Non è approvato).

Mette ai voti l’emendamento dell’onorevole Cappi: «Le sentenze sono pronunciate in nome del popolo».

(È approvato).

Riapre la discussione sulla prima parte dell’articolo.

CAPPI chiede all’onorevole Calamandrei se ritenga indispensabile la frase: «indipendenti, istituiti e ordinati secondo le norme della presente Costituzione e della legge sull’ordinamento giudiziario».

CALAMANDREI, Relatore, risponde che ritiene necessaria la parola «indipendenti», per affermare il principale carattere dei giudici, mentre l’espressione successiva serve ad evitare, come è stato fatto in altri progetti, di dover scendere ad una enumerazione dettagliata degli organi del potere giudiziario.

PRESIDENTE propone di sopprimere la parola «indipendenti», in quanto il concetto dell’indipendenza del giudice è affermato nel successivo articolo 2. Sopprimerebbe anche l’aggettivo «ordinati», sembrandogli sufficiente il termine «istituiti».

BOZZI propone la soppressione della frase «secondo le norme della presente Costituzione e della legge sull’ordinamento giudiziario».

LEONE GIOVANNI, Relatore, accogliendo il concetto dell’onorevole Calamandrei, dichiara di ritirare l’articolo 5 del suo progetto, purché rimanga inalterato il rinvio alla legge sull’ordinamento giudiziario.

Insiste sulla formulazione di cui ha dato lettura in precedenza, che considera una fusione degli articoli 1 e 5 del suo progetto e dell’articolo 1 del progetto Calamandrei:

«Il potere giudiziario, emanazione della sovranità dello Stato, provvede alla interpretazione e applicazione del diritto per mezzo di giudici istituiti secondo le norme della presente Costituzione e della legge sull’ordinamento giudiziario».

Con questa formula il potere giudiziario verrebbe inserito nell’ambito della sovranità dello Stato, dandosi, nel medesimo tempo, una definizione dei suoi compiti.

CASTIGLIA, Relatore, propone di sostituire alla parola «applicazione» l’altra: «attuazione».

CALAMANDREI, Relatore, osserva che un problema è quello di fissare la statualità della giurisdizione, ed un altro è quello di definire il contenuto del potere giudiziario. A questi due problemi ha ritenuto indispensabile destinare due articoli distinti, cioè gli articoli 1 e 2 del suo progetto. Bisogna infatti che in primo luogo venga affermata la statualità della giurisdizione, come del resto era stabilito nell’articolo 68 dello Statuto Albertino («La giustizia emana dal Re ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce»), di cui l’articolo 1 del suo progetto non è che la traduzione; e non vorrebbe che la nuova Costituzione segnasse, a questo proposito, un passo indietro rispetto alla precedente.

Ad ogni modo, è disposto a sopprimere l’avverbio «esclusivamente», e a consentire una diversa formulazione nel senso indicato dalla Corte di cassazione, cui ha fatto prima cenno, ma è assolutamente contrario alla fusione degli articoli 1 e 2. Fa infine rilevare una inesattezza nella formula da lui proposta, in quanto, nel termine «giudici» non comprendendosi comunemente il Pubblico Ministero, sarebbe stato meglio usare il termine «magistrati».

LEONE GIOVANNI, Relatore, riconosce che il problema è stato impostato esattamente dall’onorevole Calamandrei, ma dal punto di vista formale, e anche per amore di brevità, non vede la difficoltà di fondere insieme i due principî.

Quanto poi all’inesattezza a cui ha fatto cenno lo stesso onorevole Calamandrei, non sostituirebbe la parola «giudici» con il termine «magistrati», in quanto il Pubblico Ministero dovrà considerarsi come dipendente dal potere esecutivo. In ogni caso, sarebbe più appropriato parlare di «organi del potere giudiziario», nel senso che tutti i giudici sono organi di un solo potere, ma differenziati rispetto alle funzioni.

CALAMANDREI, Relatore, non sarebbe alieno a sostituire la parola «organi» a «giudici», per quanto formalmente non suoni bene, ma insiste sulla necessità di formulare separatamente i due principî. Chiede, poi, ai colleghi della Democrazia cristiana di non volere insistere, per considerazioni contingenti, su questioni che potranno essere risolte in un secondo momento.

BOZZI è d’accordo con l’onorevole Calamandrei. A suo avviso, per definire il potere giudiziario, dovrebbe essere usata una formula anche più solenne di quella usata dal Relatore; e direbbe quindi: «Il potere giudiziario è espressione della sovranità dello Stato. Esso è esercitato, ecc.».

Circa le preoccupazioni sorte nei riguardi del riconoscimento dell’esecutività delle sentenze ecclesiastiche in materia matrimoniale, tiene a mettere in evidenza che tale riconoscimento non intacca affatto il principio della statualità del potere giudiziario, perché in tanto le sentenze dei Tribunali ecclesiastici hanno vigore in Italia, in quanto lo Stato lo ha consentito, proprio nell’esercizio della sua sovranità.

BULLONI propone la dizione: «Il potere giudiziario è espressione della sovranità dello Stato».

LEONE GIOVANNI, Relatore, non trova una differenza sostanziale fra il porre tra due virgole l’affermazione che il potere giudiziario è emanazione della sovranità dello Stato e il porre il punto fermo dopo la parola: «Stato». A suo avviso, il problema è prevalentemente tecnico, anche non considerandolo nei riguardi della giurisdizione ecclesiastica, inquantoché, non essendo stati inquadrati nella sovranità dello Stato gli altri due poteri, verrebbe a mancare quella armonia che deve sussistere tra i tre poteri. A suo avviso, le esigenze formulate dalla Corte di cassazione derivano dalla preoccupazione che possa restare nella nuova Costituzione un residuo di quella mentalità che faceva dipendere il potere giudiziario dal potere esecutivo.

TARGETTI non si rende conto della ragione per la quale l’onorevole Leone insiste nella sua formulazione, in quanto che, se il concetto, invece di essere espresso nella forma di attributo, come egli propone, viene espresso con una affermazione esplicita, acquista una maggiore forza.

LEONE GIOVANNI, Relatore, dichiara che la formula che ha proposta rappresenta già una transazione, in quanto egli non riteneva definire il potere giudiziario, mentre nella Costituzione non si dà una definizione degli altri due poteri.

La Sottocommissione, quindi, dovrebbe limitarsi a stabilire il principio della statualità del potere giudiziario, lasciando alla dottrina di formulare la definizione.

RAVAGNAN trova preferibile la formula proposta dall’onorevole Calamandrei, la quale meglio precisa che il potere giudiziario appartiene allo Stato.

CALAMANDREI, Relatore, dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Bozzi così modificata:

«Il potere giudiziario appartiene alla sovranità dello Stato, che lo esercita a mezzo di magistrati istituiti secondo la presente Costituzione e la legge sull’ordinamento giudiziario».

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento dell’onorevole Leone, così formulato:

«Il potere giudiziario, emanazione della sovranità dello Stato, provvede alla interpretazione e applicazione del diritto per mezzo di giudici istituiti secondo le norme della presente Costituzione e della legge sull’ordinamento giudiziario».

(Non è approvato).

Pone in votazione la formula Bozzi-Calamandrei.

(È approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 2 del progetto Calamandrei, così formulato:

«Indipendenza funzionale dei giudici».

«I giudici, nell’esercizio delle loro funzioni, dipendono soltanto dalla legge, che essi interpretano ed applicano al caso concreto secondo la loro coscienza, in quanto la riscontrino conforme alla Costituzione.

«La stessa indipendenza hanno i magistrati del Pubblico Ministero nell’esercizio dell’azione penale e delle altre funzioni ad essi demandate dalla legge».

Avverte che tale articolo corrisponde alla prima parte dell’articolo 1 del progetto Leone:

«Il potere giudiziario provvede alla interpretazione e applicazione del diritto»;

e agli articoli 1 e 2 del progetto Patricolo:

«Art. 1. – Il potere giudiziario è indipendente da ogni altro potere dello Stato».

«Art. 2. – Il potere giudiziario provvede all’attuazione della giustizia, sia nella fase istruttoria e del giudizio, sia in quella esecutiva».

CALAMANDREI, Relatore, osserva che, mentre nell’articolo 1 dell’onorevole Patricolo si afferma in modo generico l’indipendenza del potere giudiziario, nella sua formula si sancisce il principio assai più preciso della indipendenza del giudice nell’esercizio delle sue funzioni. Nota poi che in nessuna delle altre due formulazioni si fa riferimento al controllo che deve essere esercitato dal giudice circa la conformità della legge alla Costituzione. Il suo articolo, inoltre, per comprenderne la portata, deve essere messo in relazione con il successivo articolo 3, che deferisce al solo potere legislativo l’interpretazione delle leggi con efficacia generale ed astratta, e alla sola Suprema Corte costituzionale la dichiarazione di incostituzionalità delle leggi, pure con efficacia generale ed astratta. Messa a confronto l’espressione del suo articolo: «I giudici dipendono soltanto dalla legge che essi interpretano ed applicano al caso concreto secondo la loro coscienza», con la dizione adottata negli altri due progetti, gli sembra che, anche tecnicamente, la sua formula sia la più esatta, e che sia, in particolare, troppo vago parlare di «attuazione della giustizia», come è detto nell’articolo 2 dell’onorevole Patricolo. Il giudice deve applicare la legge, che è astratta, al caso concreto, ed il verbo «applicare» ha un significato tecnico che si riferisce all’opera del giudice, sia nella fase di cognizione che in quella di esecuzione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, nota che il nucleo principale del suo articolo 1: «Il potere giudiziario provvede alla interpretazione ed applicazione del diritto», sostanzialmente è conforme al concetto dell’onorevole Calamandrei, con il quale concorda nel ritenere che la formula del progetto Patricolo sia da scartare, come troppo scolastica ed empirica.

Circa l’affermazione della dipendenza del giudice soltanto dalla legge, osserva che, sebbene sia compresa in quasi tutte le Costituzioni, essa è piuttosto negativa che positiva, nel senso che pone la non dipendenza da altri organi. Questa affermazione non gli sembra, poi, tale da richiedere una statuizione nella Costituzione, perché la dipendenza dalla legge è di tutti i cittadini in generale e quindi del magistrato in particolare. Perciò l’espressione deve considerarsi superflua, tranne che non la si ritenga necessaria per adeguarsi alle altre Costituzioni; ciò che, tuttavia, avrebbe un valore assai discutibile.

Ritiene del pari inopportuno il richiamo alla conformità della legge alla Costituzione, in primo luogo perché è implicito che possano considerarsi come vincolanti solo le leggi che entrino nell’ambito della costituzionalità, ed in secondo luogo perché gli sembra che in tal modo si entri nell’argomento relativo alla Suprema Corte costituzionale e ai modi con cui i giudici possono denunziare ad essa i conflitti tra legge e Costituzione.

Per quanto concerne l’articolo 3, riconosce esatto il principio contenuto nel primo comma, relativo alla competenza esclusiva del potere legislativo in materia di interpretazione delle leggi con efficacia generale ed astratta, ma ritiene che esso potrebbe essere rimandato alla seconda Sottocommissione, che si occupa di quel potere. Riconosce altresì l’esattezza del secondo comma, ma esprime l’avviso che l’argomento dovrebbe essere esaminato in sede di discussione della Suprema Corte costituzionale.

Circa il secondo comma dell’articolo 2, ritiene che debba essere esaminato a parte, in quanto comporta un problema centrale di notevole importanza, vale a dire se il Pubblico Ministero debba essere dipendente dal potere legislativo o da quello esecutivo.

BOZZI è d’accordo con l’onorevole Calamandrei circa l’affermazione di principio che i giudici dipendono soltanto dalla legge; ciò che, a suo giudizio, costituisce non una affermazione simbolica, ma un principio sostanziale di grande valore. Sopprimerebbe però la espressione: «in quanto la riscontrino conforme alla Costituzione», in relazione alla quale si dovrebbe affrontare un problema molto grave, cioè se il giudice, trovandosi di fronte ad una norma che ritenga incostituzionale, possa non applicare la legge, prendendo così una decisione che abbia valore solo nell’ambito delle parti, ovvero debba sospendere il giudizio e rinviare il processo. Ritiene che, fino a quando non si sia deciso se il giudice debba seguire l’una o l’altra via, non si possa pregiudicare il problema.

Por quanto riguarda l’articolo 3, condivide le osservazioni dell’onorevole Leone.

TARGETTI concorda con gli onorevoli Leone e Bozzi, nel senso di togliere al giudice di merito la facoltà di apprezzamento della conformità della norma alla Costituzione. In pratica crede che diversamente si verificherebbero inconvenienti gravissimi, per cui anche un vicepretore potrebbe da solo dichiarare la incostituzionalità di una legge.

Sebbene il principio che «i giudici nell’esercizio delle loro funzioni dipendono soltanto dalla legge» sia stato inserito in altre Costituzioni, crede che la dizione, presa in senso letterale e logico, abbia un significato abbastanza discutibile, perché, se si vuole intendere che i giudici debbono rispettare la legge, è superfluo, in quanto tutti i cittadini sono tenuti a rispettare le leggi. Propone perciò la seguente formulazione: «Nell’esercizio delle loro funzioni il magistrato e il pubblico ministero ubbidiscono soltanto alla legge e alla loro coscienza».

CALAMANDREI, Relatore, è d’accordo per il rinvio del primo comma dell’articolo 3 alla seconda Sottocommissione e del secondo comma di tale articolo alla discussione sulla Suprema Corte costituzionale. Accetta parimenti di eliminare nel primo comma dell’articolo 2 le parole: «in quanto la riscontrino conforme alla Costituzione», avvertendo però che, se al problema circa la pronuncia della incostituzionalità delle leggi sarà data una soluzione conforme alle sue proposte, proporrà di ripristinare l’inciso a cui adesso rinuncia.

Ritiene invece che sia necessario affermare, contrariamente al parere dell’onorevole Leone, il principio della dipendenza del giudice dalla legge, che ha una grande importanza anche pratica, in relazione particolarmente a quegli ordinamenti giudiziari in cui il giudice non è vincolato dalla legge, ma decide soltanto caso per caso. Cita l’esempio di quello che avveniva nei primi anni della Rivoluzione russa, in cui la norma giudiziaria nasceva di volta in volta ed il giudice, operaio o contadino, era scelto non per la sua cultura giuridica, ma per la sua sensibilità politica e per la sua coscienza proletaria.

Per quanto concerne la formula proposta dall’onorevole Targetti, fa rilevare che chi obbedisce è colui a cui la legge impone di tenere un certo comportamento, mentre il giudice, come tale, non deve obbedire alla legge, ma deve applicarla nei riguardi dell’imputato o delle parti.

TARGETTI voleva riferirsi all’obbligo del giudice di applicare la legge secondo la legge stessa.

LEONE GIOVANNI, Relatore, essendosi convinto delle osservazioni dell’onorevole Calamandrei, accetta la sua formula, anche se un po’ vaga e solenne. Sopprimerebbe però le parole: «nell’esercizio delle loro funzioni», che gli sembra restringano il concetto della indipendenza del giudice.

CALAMANDREI, Relatore, spiega che l’indipendenza del giudice deve affermarsi nel momento in cui questi esplica la sua funzione; ma per tutto il resto egli è soggetto agli obblighi del suo ufficio.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene che si potrebbe usare la seguente dizione:

«I giudici interpretano ed applicano il diritto e la legge e non dipendono che da essa».

BULLONI esprime l’avviso che la dipendenza del giudice dalla legge debba avere anche un limite, il quale non può essere altro che quello stabilito dalla costituzionalità della legge. Per questo motivo ritiene che debba essere mantenuto l’ultimo inciso del primo comma, in modo che la coscienza del giudice si sentirà vincolata alla legge soltanto quando egli avverta che è conforme alla Costituzione.

Propone il seguente emendamento formale:

«I giudici, nell’esercizio delle loro funzioni, dipendono soltanto dalla legge, che essi interpretano e applicano secondo coscienza, in quanto conforme alla Costituzione».

RAVAGNAN è favorevole allo spirito della formulazione Calamandrei e pensa che il concetto della dipendenza dei giudici soltanto dalla legge debba essere mantenuto ed anzi rafforzato. Però, invece delle parole «secondo la loro coscienza», direbbe più semplicemente «secondo coscienza», volendo alludere alla coscienza generale, mentre l’aggettivo possessivo potrebbe far pensare che il giudizio sulla interpretazione ed applicazione della legge venga lasciato all’apprezzamento individuale del magistrato.

È d’accordo per eliminare le parole «in quanto la riscontrino conforme alla Costituzione», perché il controllo da parte del giudice non potrebbe essere di merito, ma solo formale.

MANNIRONI semplificherebbe la formula nella seguente maniera: «I giudici, nell’esercizio delle loro funzioni, dipendono solo dalla legge che applicano al caso concreto». Sopprimerebbe le parole «secondo la loro coscienza», che devono intendersi sottintese, e l’ultimo inciso, che farebbe sorgere un problema assai delicato, attribuendo ai giudici un compito che sarebbe bene non fosse loro demandato.

PRESIDENTE crede che possa rimaner deciso fin d’ora che dell’articolo 3 si rinvia alla seconda Sottocommissione il primo comma e si sospende la discussione del secondo.

(Così rimane stabilito).

Per quanto riguarda l’articolo 2, mette ai voti l’emendamento dell’onorevole Targetti: «Nell’esercizio delle loro funzioni i giudici e i magistrati del Pubblico Ministero obbediscono soltanto alla legge e alla loro coscienza».

(Non è approvato).

Fa presente che dovrebbe ora votarsi l’emendamento dell’onorevole Bulloni. Poiché lo stesso Relatore Calamandrei e quasi tutti i componenti della Sezione sono d’accordo che la questione della conformità della legge alla Costituzione dovrà essere riesaminata quando si discuterà della suprema Corte costituzionale, prega l’onorevole Bulloni di volervi rinunziare.

BULLONI non insiste sul suo emendamento.

PRESIDENTE mette ai voti la formula Calamandrei, così come risulta in seguito alle successive proposte di modificazioni che sono state proposte:

«I giudici, nell’esercizio delle loro funzioni, dipendono soltanto dalla legge che interpretano e applicano secondo coscienza».

(È approvata).

Pone in discussione il secondo comma.

BOZZI pensa che, anche ammesso, come ha detto l’onorevole Leone, che il Pubblico Ministero dipende dal potere esecutivo, rimane pur fermo che esso, quando esercita l’azione penale, è parimenti indipendente.

TARGETTI ritiene che la formulazione del comma in discussione non pregiudichi la posizione del Pubblico Ministero di fronte al potere esecutivo, perché, anche se si ammette che il Pubblico Ministero dipende dal potere esecutivo, tale dipendenza non potrebbe certo costringerlo ad andare contro la legge e contro la sua coscienza. Domanda se non si potrebbe aggiungere nel primo comma, dopo la parola «giudici», le altre: «e i magistrati del Pubblico Ministero».

CALAMANDREI, Relatore, fa osservare che le parole «interpretano e applicano» non possono riferirsi al Pubblico Ministero. Se il Pubblico Ministero dovrà essere un efficace organo del potere esecutivo presso il potere giudiziario, sebbene da un lato non sia ammissibile che esso possa agire contro legge, dall’altro non può negarsi la possibilità che il Ministro della giustizia abbia a dare al Pubblico Ministero l’ordine di non agire secondo la legge. Ricorda a questo proposito che nel periodo 1920-1921, in occasione dello sciopero dei ferrovieri, qualcuno domandò perché il Pubblico Ministero non avesse agito contro gli scioperanti e l’onorevole Giolitti rispose che nei momenti in cui i reati da perseguire sono così numerosi, ragioni politiche impongono di dare ordine al Pubblico Ministero di non agire.

A suo avviso, riterrebbe opportuno il rinvio della discussione sul secondo comma.

PRESIDENTE è d’accordo.

(Così rimane stabilito).

Pone in discussione la prima parte dell’articolo 4 del progetto Calamandrei:

«Immutabilità del giudicato».

«II giudicato, contro il quale non siano più sperimentabili i rimedi giudiziari ammessi dalla legge, è immutabile; e non può essere modificato né sospeso nei suoi effetti, neanche dal potere legislativo».

BOZZI ha l’impressione che la parola «effetti», usata nei riguardi delle sentenze, sia limitativa.

CALAMANDREI, Relatore, dà lettura dell’articolo 11 del progetto della Cassazione:

«La sentenza irrevocabile non può essere annullata né modificata neppure con provvedimento legislativo, salvo i casi di revocazione in materia civile o di revocazione in materia penale.

«L’esecuzione delle sentenze irrevocabili non può essere sospesa, se non nei casi previsti dalla legge».

La ragione per cui ha usato la dizione «nei suoi effetti» è che vi possono essere dei casi in cui, non modificandosi la sentenza, interviene un provvedimento che ne modifica gli effetti. Cita ad esempio quello che avviene attualmente delle sentenze di sfratto, alle quali non si dà esecuzione.

DI GIOVANNI non trova precisa la espressione «il giudicato» e preferirebbe la dizione: «sentenze irrevocabili», oppure «sentenze passate in giudicato».

CALAMANDREI, Relatore, ritiene che la formula migliore sia «sentenze irrevocabili».

LEONE GIOVANNI, Relatore, afferma che la formula della Cassazione eliminerebbe alcuni suoi dubbi. Gli pare accettabile, infatti, la definizione «sentenza irrevocabile» e assai appropriata la frase «neppure con provvedimento legislativo». Però alle parole: «salvo i casi di revocazione, ecc.», sostituirebbe l’espressione: «salvo i casi di impugnazione straordinaria». A questo punto ritiene che dovrebbe agganciarsi il concetto che egli ha sottolineato fin dal primo giorno, relativo alla legge penale abrogativa. Propone, quindi, di dire: «salvo i casi di impugnazione straordinaria e di legge penale abrogativa».

Ritiene infine che non si possa togliere al futuro legislatore la possibilità di tener conto di particolari situazioni, per lo meno in materia penale, nelle quali sentimenti di umanità e di civiltà reclamano la sospensione dell’esecuzione del giudicato penale.

In conclusione, prenderebbe come base di discussione l’articolo 11 del progetto della Cassazione, al quale l’onorevole Calamandrei si è riferito.

La seduta termina alle 11.

Erano presenti: Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Di Giovanni, Farini, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Interviene, in sostituzione dell’onorevole Patricolo, l’onorevole Castiglia.

Assenti: Ambrosini, Laconi, Porzio.