Come nasce la Costituzione

SABATO 7 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

61.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 7 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Conti – Vanoni – La Rocca – Cappi – Mortati – Zuccarini – Ambrosini, Relatore – Laconi – Nobile – Lussu – Perassi – Mannironi – Fabbri – Grieco.

La seduta comincia alle 9.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE avverte che è ancora in discussione l’articolo 16 del progetto sull’autonomia regionale.

CONTI osserva che la materia dell’articolo in esame ha una grandissima importanza per l’effettiva soluzione del problema delle autonomie regionali, e dichiara che, in riferimento appunto alla soluzione di tale problema, non crede possano essere accolti i criteri a cui si ispira l’articolo 16, né quelli, analoghi, finora proposti per una sua nuova formulazione. La storia della dominazione monarchica in Italia ha dimostrato che non esiste possibilità di vita per la Nazione, se lo Stato non è organizzato razionalmente in relazione alle condizioni storiche, etnografiche, geografiche, spirituali del Paese. In altri termini, per un migliore assetto dell’organizzazione statale, occorre tenere presente il fatto che in Italia non si ha un popolo, ma esistono tanti popoli diversi, benché accomunati dalla stessa storia, dalle stesse tradizioni; fatto, questo, che la dinastia di Casa Savoia, con il suo spirito militaresco, con i suoi governi tendenti a realizzare una forma di Stato rigidamente accentratrice, non ha mai voluto comprendere. Per questo la monarchia sabauda è stata la rovina dell’Italia ed ha trattato spietatamente come una terra di conquista il Mezzogiorno, nei confronti delle cui popolazioni tanti torti ha avuto lo Stato italiano. Ora è giunto il tempo di ripararvi; ma la soluzione dei problemi del Mezzogiorno non può essere conseguita facendo ricorso al sistema delle leggi speciali, che era quello del paternalismo monarchico.

Le leggi speciali adottate, ad esempio, per la Basilicata, dopo un viaggio compiuto dall’onorevole Zanardelli in quella Regione, stanno a testimoniare che con questo mezzo non si raggiunge mai alcun pratico risultato: la Basilicata, infatti, ottenne soltanto la costruzione di una breve linea ferroviaria a cremagliera ed altre modeste provvidenze di carattere esclusivamente locale; ma il problema dell’arretrato sviluppo della Regione rimase insoluto. Ora, con la costituzione di un fondo speciale di solidarietà fra le Regioni, così come dispone l’articolo in esame, si ritorna a quel sistema di interventi proprio dei governi del vecchio Stato italiano, ond’egli ritiene che il principio della istituzione di un tale fondo non possa essere accolto. Al che occorre aggiungere le giuste considerazioni svolte nella precedente riunione dall’onorevole Vanoni, sulla possibilità che abbiano a sorgere vere e proprie risse, nel momento della ripartizione del fondo, fra i rappresentanti delle varie Regioni.

Il problema del Mezzogiorno, secondo il suo parere, non può essere risolto che con l’ordinamento dello Stato su base regionale. Ma anche a questo proposito bisogna parlare con la dovuta franchezza: si deve evitare di addivenire alla creazione di Regioni solo per il capriccio di crearle. In questo modo le Regioni non potrebbero mai diventare organismi efficienti e vitali e la riforma sarebbe destinata a un sicuro fallimento. Le Regioni devono essere costituite su una solida base, con sicure possibilità di vita; e si dovrà in qualche caso, come ad esempio per gli Abruzzi e Molise, giungere ad una modificazione delle vecchie circoscrizioni regionali; ma oltre a questo si deve studiare ed attuare, nel più breve tempo possibile, tutto un grande piano, a carattere nazionale, di opere di bonifica, di irrigazione, di rimboschimento, di sistemazione ferroviaria e stradale, per far sì che le Regioni del Mezzogiorno siano poste rapidamente in condizioni di parità con quelle del Settentrione.

Soltanto se si parte da queste premesse, si può avere una fondata speranza nel successo della riforma delle autonomie regionali.

Ciò considerato, egli è contrario al testo dell’articolo in esame, col quale non si giunge alla soluzione radicale del problema dell’autonomia delle Regioni.

VANONI desidera rispondere ad alcuni colleghi che, nella riunione passata, gli hanno domandato in qual modo il nuovo sistema finanziario dello Stato possa determinare una ripartizione del reddito nazionale per far fronte alle esigenze delle Regioni più povere.

Si deve a tal fine tener presente che l’attività finanziaria dello Stato comprende il governo delle entrate e quello delle spese. Per ciò che concerne le entrate è probabile – e con ragione si dice che è probabile, perché molte delle affermazioni presentate come certezze dai meridionalisti sono forse interpretazioni più sentimentali che scientifiche di alcuni dati – che il sistema tributario ancora vigente in Italia abbia condotto al risultato di sottrarre ricchezze alle Regioni più povere, mettendole a disposizione di alcune attività di spesa dello Stato centralizzalo, cosa che poi si è risolta in favore delle Regioni più attive dal punto di vista economico, ossia di quelle più ricche. Dato che il nostro sistema tributario è fondamentalmente reale, cioè si basa sulle imposte fondiarie più che su quelle mobiliari, la proprietà fondiaria pagava la maggior parte delle imposte, il cui importo era poi distribuito fra le varie Regioni secondo criteri di opportunità politica ed economica, onde la ricchezza fondiaria del Sud ha sopportato gran parte degli oneri per la costruzione della nuova attrezzatura economica e industriale del Paese.

Ora, se con il nuovo ordinamento regionale veramente si vuole favorire le Regioni più povere, basterà adottare un sistema che sia decisamente l’opposto di quello finora seguito; si dovrà stabilire il principio che le imposte reali, quella prediale e quella sui fabbricati, debbono spettare esclusivamente alla competenza delle Regioni e dei Comuni. Il gettito dell’imposta di ricchezza mobile, invece, dovrebbe essere ripartito fra la Regione e lo Stato, perché la ricchezza mobiliare, che deriva da attività industriali, commerciali e di lavoro, è quella che più risente dell’attività economica di tutta la nazione.

Come imposta, poi, di carattere nazionale dovrebbe essere istituita quella sul reddito complessivo, accompagnata da un’imposta personale sul patrimonio ai fini della redistribuzione della ricchezza – esigenza altamente sociale che non può non essere oggi tenuta in debito conto.

Ma occorre fare un altro passo innanzi, ai fini di accentuare il processo della redistribuzione territoriale del reddito: occorre perfezionare il sistema di determinazione e di percezione delle cosiddette imposte sugli affari. Molte critiche sono mosse da parte dei socialisti a tale imposta, in quanto con essa praticamente si tassa la categoria dei consumatori, attraverso la tassazione degli scambi commerciali e della cifra degli affari e della produzione. Sta di fatto però che in tutti gli Stati, anche in quelli governati dai socialisti, si è fatto e si fa ricorso a questa imposta. In ogni modo, se è vero che con le imposte sugli affari si colpisce il consumo, è anche vero che esse, da un punto di vista politico, possono giustificarsi in quanto, attuandosi opportuni congegni, i consumi possono essere diversamente colpiti a seconda della loro minore o maggiore utilità. Ciò che più interessa è che le imposte sugli affari consentono la possibilità di una larga redistribuzione regionale del loro gettito e, per ottenere questo risultato, occorrerebbe stabilire che ogni singola Regione dovrà partecipare con lo Stato al loro gettito, in relazione al numero dei suoi abitanti. Con tale sistema sarebbero prelevate dalle Regioni più ricche cospicue somme, che sarebbero poi redistribuite in modo uniforme fra le varie Regioni in relazione all’entità delle rispettive popolazioni.

Ogni Regione, così, per l’automatismo della ripartizione del gettito di queste imposte, sarebbe assolutamente indipendente da qualsiasi intervento di altri organi, col vantaggio inoltre di non incorrere in alcuna spesa per poter percepire quelle somme a cui, per disposizione di legge, avrebbe diritto. Questo criterio, del resto, fu seguito per un certo tempo anche in Italia, quando si stabilì che per una parte preventivamente fissata il gettito del monopolio dei tabacchi fosse attribuito ai Comuni in relazione al numero dei loro abitanti. Sarà bene battere questa strada, se si vuole avere un’amministrazione finanziaria semplice ed efficiente, senza duplicati di organismi per accertare e prelevare tributi, e se nello stesso tempo si vuole assicurare alle Regioni e ai Comuni quella indipendenza finanziaria su cui più che altro si basa un’effettiva autonomia regionale.

Si raggiungerebbe infine un altro vantaggio, che pure ha la sua notevole importanza, ossia che la partecipazione al gettito delle imposte avverrebbe in base a criteri tecnici predeterminati, in base ad un’esatta valutazione obiettiva delle varie attività assoggettabili alle imposte e dei diversi fabbisogni regionali. Ciò varrebbe a conferire maggiore dignità alle Regioni destinate a ricevere, perché la parte del gettito delle imposte che sarebbe loro attribuita sarebbe determinata in base ad una valutazione politica, sociale ed economica delle loro necessità, cioè, come un loro diritto, e nello stesso tempo sarebbe eliminato ogni motivo di risentimento da parte delle Regioni obbligate a dare.

V’è poi l’altro aspetto dell’attività finanziaria, quello, cioè, relativo alle spese.

Anche su questo punto bisogna essere molto chiari. Non si può immaginare che la massima parte della spesa pubblica possa essere sostenuta dalle Regioni: si avrà sempre una preminenza dello Stato nelle spese pubbliche e ciò non solo in relazione ad alcune spese indispensabili da un punto di vista unitario, come sono quelle per la rappresentanza all’estero o per la difesa nazionale, ma anche in rapporto a certe esigenze produttive e sociali che le Regioni da sole non potrebbero assolutamente soddisfare. Per quanto si sia affermato che la materia dell’agricoltura è prevalentemente di competenza regionale, nessuno potrà nascondersi che i grandi piani di bonifica e di irrigazione non potranno essere compiuti se non con il concorso dello Stato.

Anche nel campo delle spese occorrerà dunque guardare alle situazioni particolari da un punto di vista generale. Se non si raggiungerà questa visione più ampia delle varie opportunità che potranno presentarsi, si determineranno incomprensioni ed attriti fra Regione e Regione. È questa la sua più assillante preoccupazione.

A suo avviso, il fondo di solidarietà, così come sarebbe costituito secondo il testo dell’articolo 16 o le relative proposte di emendamento, presenta sempre l’inconveniente di favorire il sorgere di inutili e poco edificanti discussioni fra le diverse Regioni. Ciò che più interessa per ora è affermare, senza pregiudicare con una data soluzione il problema da un punto di vista tecnico, che la legge costituzionale di cui all’articolo 8, in base a cui la Regione dovrà avere l’autonomia finanziaria, dovrà tener conto della improrogabile necessità politica della redistribuzione regionale dei tributi secondo i criteri esposti.

Ma può essere affermato un concetto simile in un testo costituzionale? A tale domanda non possono rispondere che i competenti in diritto costituzionale. Dal canto suo egli non può far altro che esprimere il voto che l’Assemblea Costituente, prima di ultimare i suoi lavori, approvi un testo di legge che possa consentire alle Regioni di vivere autonomamente anche nel campo finanziario. La Sottocommissione pertanto farebbe bene ad affermare che, quanto più rapidamente sia possibile, deve esser costituita una Commissione per lo studio del problema dell’autonomia finanziaria delle Regioni.

LA ROCCA è favorevole al concetto informatore dell’articolo 16, salvo a vedere in concreto quale potrà essere la sua migliore formulazione. L’unica sua preoccupazione è che il nuovo ordinamento dello Stato su base regionale possa accrescere anziché diminuire la disparità di condizioni fra il Mezzogiorno e il Settentrione. La costituzione di un fondo di solidarietà fra le Regioni dovrebbe, quindi, consentire alle Regioni meno progredite di ottenere gli aiuti necessari per portarsi allo stesso livello delle altre. Ciò considerato, il fondo anzidetto non dovrebbe servire soltanto a fornire di mezzi necessari le Regioni colpite da eccezionali calamità pubbliche.

Le proposte fatte dall’onorevole Vanoni, in merito ad una riforma del sistema tributario, indubbiamente rispondono alle aspirazioni di tutti, ma non si vede come possano essere subito tradotte in realtà; ed è per questa considerazione che egli non crede si possa fare a meno di questo fondo di solidarietà, che, a suo avviso, dovrebbe essere costituito in base a contributi regionali proporzionali alle entrate delle singole Regioni.

CAPPI constata che la questione in esame è del massimo interesse: bisogna, infatti, raggiungere lo scopo che le Regioni più povere ed arretrate possano portarsi il più rapidamente che sia possibile allo stesso livello di vita di quelle più ricche e progredite. A tal fine occorre assolutamente che nella Costituzione sia sancito il principio della solidarietà nazionale fra le Regioni, per consentire a quelle più povere di essere fornite dei mezzi necessari, in base ad una precisa norma di carattere costituzionale.

Per quanto, poi, riguarda la formulazione del principio, gli sembra che il testo proposto dall’onorevole Mannironi sia il più consigliabile nella sua efficace brevità. A suo avviso, infatti, basta affermare il concetto che lo Stato dovrà integrare i bilanci deficitari delle Regioni; né occorre precisare altro nella Costituzione.

MORTATI propone di sopprimere il Capo IV con l’articolo 16 e di apportare un’aggiunta all’articolo 8 così concepita: «…da una legge costituzionale, la quale si ispirerà a criteri di redistribuzione del reddito nazionale allo scopo di attuare una perequazione interregionale». La sua proposta è motivata dalla convinzione che la sede più opportuna per la soluzione del problema in esame non possa essere che il Parlamento, non già il Comitato, che, secondo il disposto dell’articolo in questione, dovrebbe amministrare e ripartire il fondo di solidarietà e che, composto di un rappresentante per ciascuna Regione, verrebbe malamente a sostituire la seconda Camera, nel seno della quale le Regioni hanno ben più efficiente possibilità di difesa dei propri interessi.

ZUCCARINI ritiene che, da un punto di vista politico, sia indispensabile affermare nella Costituzione il principio della solidarietà nazionale fra le Regioni, in modo da impegnare le Regioni stesse in un’opera quanto mai necessaria per portare il più rapidamente possibile le più indigenti e arretrate allo stesso livello di vita di quelle più prospere e progredite. È proprio in considerazione di ciò che, a suo avviso, è preferibile che ogni deliberazione relativamente all’erogazione dei fondi venga presa da un ente che rappresenti tutte le Regioni anziché dallo Stato. In tale modo si renderanno partecipi le Regioni stesse ad un’opera di soccorso immediato delle più prospere a favore di quelle più povere.

Un altro fatto poi occorre tener presente, ed è che non è consentito dilazionare troppo nel tempo l’esecuzione di quelle opere eccezionali che sono assolutamente necessarie per migliorare la situazione delle Regioni meno progredite. Le considerazioni svolte dall’onorevole Vanoni sono senza dubbio apprezzabili; ma per giungere a una trasformazione del sistema tributario, così come è stato dall’onorevole Vanoni indicato, occorrerà attendere molti anni. Ora, affinché l’ordinamento regionale possa praticamente essere attuato, è invece necessario provvedere senza ritardi alle più urgenti esigenze di certe Regioni. Non si risolve il problema formulando voti su ciò che dovrà avvenire e che poi non è quello che avverrà. Il principio della redistribuzione del reddito nazionale allo scopo di giungere ad una perequazione interregionale riguarda il futuro, non il passato: per riparare rapidamente ai torti compiuti nel passato in danno di alcune Regioni non si può adottare altro criterio che quello di un fondo di solidarietà fra le Regioni, e non già di compensazione per i bilanci deficitari, secondo quanto è previsto dall’articolo 16. Per tali ragioni dichiara di essere favorevole al mantenimento dell’articolo anzidetto, però modificato nel modo che da lui viene proposto.

AMBROSINI, Relatore, fa osservare che nel testo originario dell’articolo 16 era prevista l’istituzione di una Camera di compensazione, destinata ad integrare, con un fondo speciale, le finanze delle Regioni deficitarie, cioè a provvedere ai loro bilanci normali. Per considerazioni, poi, di indole non solo politica ma anche tecnica (queste ultime lumeggiate specialmente dall’onorevole Einaudi) la maggioranza dei componenti il Comitato di redazione finì con l’accedere al criterio informatore dell’articolo ora in discussione. Egli stesso, per seguire il deliberato della maggioranza, formulò il testo dell’articolo anzidetto, pur temendo che con il suo accoglimento potessero sorgere gli inconvenienti accennati dall’onorevole Vanoni, cioè diffidenze e attriti fra Regione e Regione nel momento della ripartizione dei fondi. In questo senso, nel trasmettere lo schema di progetto sulle autonomie regionali al Presidente, egli tenne a dichiarare che non era convinto della opportunità di inserire nella Costituzione il testo dell’articolo in esame, così come era stato deliberato.

Riesaminando tutta la questione, osserva però che occorre affrontarla per arrivare all’adozione di un sistema che corregga ed anzi ponga riparo agli errori ed alle ingiustizie passate nei riguardi delle Regioni insulari e del Mezzogiorno in genere.

Rispondendo ai chiarimenti richiestigli sulla portata dell’articolo 16 del progetto, dichiara che il Comitato intese riferirsi principalmente alla necessità di andare incontro, per mezzo del fondo di solidarietà, alle Regioni che non potessero provvedere coi propri mezzi a quelle grandi opere pubbliche, a quelle istituzioni ospedaliere, scolastiche, all’assistenza, ecc., che sono indispensabili nella vita della società moderna.

A questo proposito, ripigliando l’argomento a cui da varie parti s’è accennato, mette ancora in rilievo la condizione di disagio e di depauperamento nella quale sono venute a trovarsi lo Regioni mono favorite, a causa del sistema economico-sociale e più particolarmente tributario e finanziario instaurato nel Paese dal momento stesso della unificazione. Ricorda la prosperità che in quel momento esisteva nel Mezzogiorno. È naturalmente lieto del meraviglioso sviluppo del Nord; ma si rammarica che lo stesso sviluppo non sia avvenuto nel Sud, in dipendenza della disparità suindicata di trattamento. Perciò occorre che il problema sia affrontalo e risolto. Osserva che il congegno dell’articolo 10 non è nemmeno adeguato, e che è opportuno che si addivenga all’adozione di un sistema più radicale e più organico, che dia la possibilità di riparare agli errori ed alle ingiustizie passate per stabilire effettivamente una veridica solidarietà fra le Regioni. È questo concetto di ristabilimento e di reintegrazione dei diritti delle Regioni finora sacrificate o trascurale che bisogna affermare, e non quello di una specie di beneficenza o di soccorso che le Regioni più ricche elargirebbero a quelle più povere; concetto quest’ultimo che nessuno nelle Isole e nel Mezzogiorno accetterebbe.

Il principio deve essere affermato nella Costituzione, affidandosene magari la determinazione ed il sistema di attuazione concreta ad una legge di carattere costituzionale, che dovrebbe emanare questa stessa Assemblea costituzionale.

Richiama l’articolo 8 del progetto, che, a proposito dell’autonomia finanziaria della Regione, rimanda ad una legge costituzionale ed osserva che in essa potrà contemporaneamente venire disciplinato il principio suddetto. Insiste sulla necessità che tale legge costituzionale venga subito elaborata secondo i principî esposti dall’onorevole Vanoni, giacché se non si provvede presto al regolamento di tutta la materia finanziaria si può correre il rischio di far fallire la stessa riforma dell’ordinamento regionale.

LACONI osserva che tra i rappresentanti dei diversi gruppi politici, in seno alla Sottocommissione, non esiste una grande disparità di vedute intorno alla necessità, ormai riconosciuta da tutti, di perseguire in futuro una politica economica più vantaggiosa di quella passata nei confronti delle Regioni del Mezzogiorno. Si è anche tutti d’accordo che tale politica economica debba essere controllata dallo Stato e inquadrata nel sistema generale della finanza statale. Se si fosse tenuto conto dei punti d’accordo, la discussione forse sarebbe stata assai più breve.

NOBILE propone di sostituire al testo dell’articolo 16 un altro così concepito:

«Per lo sviluppo delle Regioni economicamente e socialmente più arretrate sarà istituito un fondo annuale che verrà amministrato dallo Stato.

«A questo fondo contribuiranno tutte le Regioni in proporzione dei loro redditi e della loro popolazione, secondo i criteri fissati dalla legge.

«Una legge determinerà per ogni quinquennio i criteri per la ripartizione tra le Regioni del fondo di cui al primo comma».

AMBROSINI, Relatore, ribadisce i concetti esposti nel precedente intervento, notando che essi corrispondono sostanzialmente a quelli affermati dagli onorevoli Mortati e Vanoni. Ritiene che essi possano essere formulati in un articolo che segna immediatamente l’articolo 8, che tratta della finanza delle Regioni. Si domanda se non sia il caso di mantenere nello stesso tempo il principio affermato dell’articolo 16 proposto dal Comitato, con un inciso del seguente tenore: «con la costituzione di un apposito fondo di solidarietà».

VANONI non crede opportuno introdurre nella Carta costituzionale una norma con cui si costituisca un fondo di solidarietà fra le Regioni, perché una Carta costituzionale è sempre una legge che presumibilmente deve avere un lungo periodo di durata. Non è dubbio che, nella fase iniziale di costituzione della Regione, lo Stato dovrà creare un apposito fondo per formare i capitali di avviamento delle Regioni; ma ciò potrà esser disposto con leggi transitorie e non è opportuno sia sancito con norme di carattere permanente in una Costituzione.

Prega quindi i colleghi di aderire all’emendamento proposto dall’onorevole Mortati, in cui è espresso un concetto sul quale tutti possono essere d’accordo, che la nuova finanza dello Stato dovrà essere una finanza riparatrice del passato e distributrice del reddito nazionale fra le varie Regioni. L’affermazione di questo principio avrebbe un alto significato politico, su cui tutti sono d’accordo, e nello stesso tempo presenterebbe il vantaggio di non vincolare il futuro ad una soluzione del problema che può essere accettabile nel momento presente, ma che forse non lo sarebbe più nell’avvenire.

CONTI domanda se con la parola «perequazione», contenuta nell’emendamento dell’onorevole Mortati, si voglia alludere ad un concetto di riparazione. Se così fosse, non sarebbe favorevole all’emendamento anzidetto.

VANONI spiega che, con la parola «perequazione», si vuol alludere ad una perequazione in senso economico, vale a dire che le Regioni più povere debbano essere sorrette dalle più ricche.

LUSSU è favorevole al mantenimento dell’articolo 16. Propone però che nel primo comma, alle parole «amministrato e ripartito da un Comitato composto da un rappresentante per Regione e presieduto da un rappresentante dello Stato», siano sostituite le seguenti: «composto e ripartito dalle Commissioni finanza e tesoro delle due Camere»; e che nel secondo comma siano soppresse le parole «delle Regioni dello Stato».

PERASSI crede opportuno sia messa in votazione la proposta di sostituire al testo dell’articolo 16 del progetto quello dell’emendamento dell’onorevole Mortati, salvo poi a coordinare la formulazione di questo emendamento, se fosse approvato, con quella dell’articolo 8.

AMBROSINI, Relatore, è favorevole alla proposta dell’onorevole Perassi, purché sia contemporaneamente stabilito che il testo dell’emendamento dell’onorevole Mortati dovrà essere coordinato con quello dell’articolo 8.

PRESIDENTE fa osservare che dovrà porre prima ai voti la soppressione del capo IV dell’articolo 16, perché non può mettere in votazione contemporaneamente la proposta di fare una aggiunta all’articolo 8, visto che riguardo a tale proposta si hanno vari emendamenti ispirati a criteri diversi e quindi non si può dare per accettato in precedenza uno qualsiasi di essi.

LUSSU voterà contro questa proposta.

CONTI si asterrà da questa votazione, perché, se la proposta di soppressione fosse accolta senza la contemporanea accettazione dell’aggiunta all’articolo 8 suggerita dall’onorevole Mortati, egli si troverebbe nella situazione di aver votato contro la sua convinzione, che sia necessario stabilire per le Regioni più povere un largo intervento da parte dello Stato.

VANONI osserva che la procedura di votazione dove sempre aver lo scopo di far emergere la volontà dei votanti. Ora, ha l’impressione che, con la procedura di votazione proposta dal Presidente, il raggiungimento di tale scopo sia reso assai difficile.

NOBILE dichiara che, se sarà approvata la soppressione dell’articolo 16, egli ripresenterà in Commissione plenaria l’emendamento già da lui proposto, al momento in cui si discuterà l’articolo 8.

MANNIRONI si asterrà dalla votazione sulla soppressione dell’articolo 16. In ogni modo, se tale proposta sarà accolta, egli insisterà affinché il suo emendamento sia messo in votazione.

FABBRI dichiara che, essendo favorevole al principio dell’istituzione di un fondo di solidarietà nazionale, voterà contro la soppressione dell’articolo 16, pur proponendo che l’amministrazione di quel fondo sia regolata dalla legge costituzionale di cui all’articolo 8.

AMBROSINI, Relatore, si asterrà dalla votazione per le ragioni illustrate dall’onorevole Conti.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta di soppressione del capo IV e dell’articolo 16.

(Non è approvata).

Avverte che, dei vari emendamenti all’articolo 16, converrà mettere prima in votazione quello proposto dall’onorevole Nobile e più precisamente il primo comma di esso, secondo il quale il fondo di solidarietà dovrebbe essere amministrato soltanto dallo Stato e non già anche dalle Regioni, come invece è disposto nell’articolo presentato dal Comitato.

LUSSU dichiara, pur aderendo al concetto a cui si ispira l’emendamento dell’onorevole Nobile, di preferire il testo proposto dal Comitato. Non ritiene opportuno parlare di Regioni più arretrate e quindi voterà contro l’emendamento in questione.

NOBILE osserva che la dizione proposta dal Comitato è, a suo avviso, troppo vaga e generica. Il problema del Mezzogiorno esiste ed è meglio dirlo chiaramente.

PRESIDENTE mette in votazione il primo comma dell’emendamento dell’onorevole Nobile.

(Non è approvato).

Mette in votazione il criterio indicato dall’onorevole Zuccarini per un emendamento al primo comma dell’articolo 16, nel senso che sia creato un fondo di solidarietà tra le Regioni, ma non già di compensazione per i bilanci deficitari, bensì per impegnare le Regioni stesse in un’opera tendente a portare sollecitamente le più indigenti ed arretrate allo stesso livello di quelle più prospere e progredite.

LUSSU voterà contro la proposta Zuccarini, perché ritiene che il primo comma dell’articolo proposto dal Comitato sia più rispondente alle esigenze da tutti avvertite circa la questione in esame.

(Non è approvato).

VANONI deve fare un’esplicita dichiarazione circa il modo con cui si è svolta la votazione su parte della proposta dell’onorevole Mortati. Ritiene infatti che, se l’intera proposta dell’onorevole Mortati fosse stata messa in votazione, sicuramente sarebbe stata approvata dalla Sottocommissione. Per una questione di forma, quindi, la Sottocommissione è andata oltre alla questione di sostanza. Ciò considerato, si riserva, con i rappresentanti del suo gruppo, di ripresentare la proposta anzidetta nella Commissione plenaria ed eventualmente in seno alla stessa Assemblea costituente.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che le osservazioni dell’onorevole Vanoni debbano essere prese in debita considerazione. Poiché la Sottocommissione può anche ritornare sulle sue decisioni, e visto che la proposta di soppressione dell’articolo 16, fatta dall’onorevole Mortati, era accompagnata da un’altra proposta relativa ad un’aggiunta da apportare all’articolo 8, con cui si afferma il principio di una redistribuzione del reddito nazionale allo scopo di ottenere una perequazione interregionale, fa rilevare l’opportunità di procedere ad un’altra votazione, e presenta in questo senso una esplicita richiesta.

GRIECO osserva che alcuni colleghi si sono assentati e che quindi non sarebbe corretto procedere ad un’altra votazione. Dichiara comunque di aderire esplicitamente alla proposta di emendamento presentata dall’onorevole Mortati.

PRESIDENTE, a seguito delle osservazioni fatte, e poiché è suo intendimento che la volontà della Sottocommissione si manifesti nel modo più preciso, propone di considerare come non avvenuta la votazione sulla proposta della pura e semplice soppressione dell’articolo 16.

(Così rimane stabilito).

Avverte che la Sottocommissione, nella prossima riunione, dovrà quindi procedere ad un’altra votazione, la quale potrebbe farsi sul seguente ordine del giorno:

«La Sottocommissione decide di sopprimere il capo IV, articolo 16, e di approvare un emendamento aggiuntivo dell’articolo 8, nel quale sia ripreso il concetto di solidarietà interregionale espresso nell’articolo 16, adeguandolo alle disposizioni in quello contenute»

La seduta termina alle 12.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Vanoni e Zuccarini.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bulloni, Calamandrei, Castiglia, De Michele, Farini, Fuschini, Leone Giovanni, Patricolo, Piccioni, Porzio e Uberti.