Come nasce la Costituzione

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partner di progetto

VENERDÌ 6 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

60.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 6 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Leone Giovanni – Perassi – Grieco – Fabbri – Zuccarini – Ambrosini, Relatore – Mannironi – Cappi – Bozzi – Mortati – Lami Starnuti – Lussu – Vanoni – Codacci Pisanelli – La Rocca – Laconi – Di Giovanni – Conti – Targetti – Nobile.

La seduta comincia alle 16.20.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 18 del progetto:

«I Comuni sono enti autarchici dotati di tutti i poteri necessari per l’adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge.

«Soltanto la volontà delle popolazioni interessate potrà determinare la modificazione delle circoscrizioni comunali esistenti, o la creazione di nuovi Comuni».

LEONE GIOVANNI è contrario alla disposizione del capoverso, in quanto è possibile e l’esperienza ammonisce in questo senso che le popolazioni interessate siano determinate a chiedere la modificazione di circoscrizioni o la creazione di nuovi Comuni in base ad elementi (motivi sentimentali, contrasti tra Comuni, ecc.) non rispondenti alle effettive necessità locali. A suo avviso, la decisione dovrebbe essere rimessa al giudizio di un ente superiore che esaminasse la situazione obiettivamente. A tale scopo propone il seguente emendamento: «La modificazione delle circoscrizioni comunali esistenti o la creazione di nuovi Comuni è disposta dall’Assemblea regionale, a condizione che sia espressa analoga volontà dalle popolazioni interessate».

PERASSI domanda se l’ordinamento dei Comuni è materia di competenza dello Stato o della Regione; in altri termini, se deve essere disciplinato esclusivamente da leggi dello Stato, ovvero se la Regione ha, al riguardo, una competenza legislativa di integrazione.

GRIECO, circa il quesito posto dall’onorevole Perassi, osserva che, essendo la Regione disciplinata da una legge dello Stato, dovrebbero esserlo anche i Comuni.

Accetta quindi la proposta dell’onorevole Leone di lasciar decidere della creazione di nuovi Comuni e della modificazione delle circoscrizioni di quelli esistenti l’Assemblea regionale.

Quanto al primo comma suggerisce di precisare: «dotati di tutti i poteri necessari e delle condizioni per l’adempimento delle funzioni, ecc…».

FABBRI ricorda che nell’articolo 3, tra le materie di esclusiva competenza regionale, si è inclusa la voce: «modificazioni delle circoscrizioni comunali». Propone di aggiungervi l’espressione: «previa richiesta delle popolazioni interessate», sopprimendo il capoverso dell’articolo in esame.

ZUCCARINI trova che riservare al Comune un solo articolo rappresenta ben poca cosa per un argomento tanto importante. Non vede perché la Costituzione dovrebbe limitarsi ad una semplice enunciazione, quando in molte Costituzioni l’ordinamento comunale ha formato oggetto di una esplicita disciplina a sé stante.

Ricorda che il problema dell’autonomia comunale si agita da tempo e che recentemente si è ricostituita l’Associazione per le autonomie locali. L’importanza del Comune nella vita nazionale è stata sempre sentita, così come sono state sempre lamentate e denunciate le enormi difficoltà frapposte all’esplicazione della sua attività, originate soprattutto dallo scarso interesse delle popolazioni alla vita comunale disciplinata e contenuta dalla ingerenza prefettizia su tutti gli atti amministrativi e dalla uniformità della legislazione stessa in materia. Da più parti si suole lamentare che i Comuni abbiano assolto e assolvano male le loro funzioni. La verità è invece che per funzionare hanno dovuto sempre compiere miracoli, in quanto ogni loro azione era subordinata all’approvazione del Prefetto, e nessuna possibilità era lasciata alla loro iniziativa. Senza dire della assurdità della legislazione uniforme, che poneva i grandi Comuni e i piccolissimi sullo stesso piano con la stessa organizzazione e con gli stessi uffici, lasciando all’arbitrio dell’autorità centrale perfino la delimitazione dei loro confini.

Dopo queste premesse, tiene a mettere in evidenza come nel suo progetto di ordinamento regionale si affermasse – e crede che la Costituzione debba contenere una enunciazione del genere – che il Comune deve essere nell’ordinamento dello Stato italiano il «nucleo fondamentale della libertà e dei diritti del cittadino». Egli considera, infatti, il Comune, non già come centro di lotte intestine, ma come la scuola politica della Nazione. Nella sua giovinezza ha partecipato attivamente alla vita degli enti locali, rilevando che ciò che più interessava, e spesso divideva i cittadini, era la risoluzione dei problemi locali, sulla quale ogni cittadino finiva per manifestare il suo giudizio particolare e non quello del suo partito politico. Ritiene pertanto necessario affermare il carattere di autonomia del Comune ed il suo diritto di trasformare ed adattare la propria amministrazione ai bisogni ed alle esigenze locali. L’impossibilità di una amministrazione uniforme è poi resa evidente dalla diversità di ampiezza e di carattere dei Comuni; a fianco ai grandi e ai grandissimi ve ne sono di piccolissimi; alcuni amministrati fino al periodo fascista con sistemi patriarcali, che, appunto perché erano piccolissimi, avevano fatto ottima prova; altri a carattere rurale, ma ove il centro urbano tende a prevalere trascurando gli interessi rurali della periferia; altri quasi esclusivamente urbani come per le grandi città. Da ciò deriva la necessità di una organizzazione differenziata con la facoltà per ogni comune di autoregolare la propria vita amministrativa. Nel suo progetto egli si riferiva a tali possibilità e si esprimeva così:

«Art. 2. – Sulla base della situazione di fatto esistente i Comuni sono liberi di conservare e di modificare la loro struttura interna ed il loro funzionamento secondo le particolari esigenze. Nessuna restrizione potrà in ogni caso essere apportata alla partecipazione alla vita locale del cittadino e ai suoi diritti elettorali».

«Art. 3. – L’autonomia del Comune potrà svolgersi:

  1. a) nel suo ordine interno, nella ripartizione dei suoi uffici, con la creazione di amministrazioni ed anche di rappresentanze distinte per determinate frazioni del Comune, con una separazione tra zona urbana e zona rurale o con la suddivisione, per Comuni più grandi e popolosi, in rappresentanze e amministrazioni rionali distinte;
  2. b) nelle attribuzioni, con una estensione dei suoi compiti e dei suoi interventi in opere e servizi ritenuti di utilità comune;
  3. c) nei diritti della popolazione, assicurando ad una parte di essa la facoltà di separarsi dal Comune per crearne uno nuovo o per aggregarsi ad un altro vicino o di esigere una amministrazione distinta nell’ambito dello stesso Comune (è il caso di molte frazioni, le quali, essendo lontane dal centro urbano, finiscono per essere da questo trascurate);
  4. d) nei riguardi esterni, con la facoltà di unirsi ad altri nell’esercizio di determinate attività o per l’esecuzione di particolari opere o di unificare con essi, per ragioni di economia o di semplificazione, uffici e servizi amministrativi anche di carattere interno; di costituire con essi, in forma consorziale, organi di rappresentanza e di esercizio per opere e servizi in comune, di aggregarsi ad una piuttosto che ad altra Regione confinante; di scegliersi con i rapporti con la Regione e con lo Stato nazionale le sedi di ufficio a cui far capo ritenute più comode e convenienti».

Infatti anche oggi ad esempio, così per quel che riguarda le preture, come per tutte le sedi di ufficio a carattere statale, spesso si riscontra che alcuni Comuni sono assegnati arbitrariamente ad una sede mandamentale molto lontana, quando ve n’è una più vicina ma appartenente ad altra circoscrizione. Bisogna evitare che questa scelta sia lasciata al Governo centrale, che può essere influenzato da motivi politici, ed affidarla invece alla libera determinazione dei Comuni interessati.

Un’altra questione che ritiene molto importante ai fini della autonomia comunale è che venga assicurata l’autonomia amministrativa degli enti di assistenza, di previdenza e di beneficenza. Molti di questi enti durante il periodo fascista sono stati trasformati ed il loro patrimonio è stato disperso, e ridotto a poche cartelle di debito pubblico, o ne è stata mutata la destinazione. È necessario che anche tali enti, che hanno una grande importanza locale, non siano più soggetti nella loro gestione a criteri dettati dal centro, ma abbiano una gestione autonoma. A tale fine egli aveva predisposto il seguente articolo: «L’autonomia amministrativa si estende a tutti quegli Enti di assistenza, previdenza, ecc. creati con mezzi e per fini locali e che costituiscano un patrimonio che deve essere localmente conservato e tutelato.

Ove tali Enti non abbiano già amministratori propri di diritto, la nomina di questi appartiene alla rappresentanza comunale».

Altro punto infine che merita considerazione è quello dei servizi di Stato delegati al Comune. I Comuni negli ultimi tempi sono stati oberati di lavoro svolto per conto esclusivo, o quasi, dello Stato. Indubbiamente sono servizi (leva, tesseramento, ecc.) che devono essere posti alle dipendenze dei Comuni; tuttavia ritiene indispensabile affermare il principio che questi servizi, che sono propri del Comune, ma svolti nell’interesse dello Stato o di Enti parastatali, debbano essere compensati a parte. Così facendo si toglierà una delle principali cause di deficit dei bilanci comunali ed un incentivo al moltiplicarsi della burocrazia comunale.

Concludendo, dice che non presenterà speciali proposte di emendamento, ma chiede solamente che la parte relativa ai Comuni sia meglio e più estesamente compilata. Le sue proposte potrebbero così essere perfezionate ed integrate in modo da formare quattro o cinque articoli da includere nella Costituzione. Tale lavoro di redazione potrebbe eventualmente essere assolto da un ristrettissimo comitato di due o tre membri.

AMBROSINI, Relatore, risponde brevemente alle obiezioni che l’onorevole Zuccarini ha nuovamente sollevato. Questi desidererebbe che alcuni diritti dei Comuni (modificazione delle circoscrizioni, riunione di Comuni, funzionamento interno, possibilità di istituire consorzi, ecc.), che sono già disciplinati dalle leggi vigenti, venissero riconfermati in modo solenne nella Costituzione. Il Comitato invece ha ritenuto che la dizione adoperata nel primo comma dell’articolo 18 costituisse una adeguata salvaguardia di tali diritti. Anche l’onorevole Lami Starnuti, il quale aveva impostato il suo schema proprio sulla regolamentazione dell’organizzazione comunale, finì per accedere al parere prevalente nel Comitato, riconoscendo che sarebbe stato più opportuno rinviare la materia ad una apposita legge organica.

Riferendosi poi alla più radicale proposta dell’onorevole Zuccarini di dare ai Comuni la facoltà di organizzarsi e disciplinarsi nel modo che ritengano più conveniente, osserva che non è possibile accedervi senza trasformare la stessa struttura fondamentale del diritto pubblico moderno. Se si riconoscesse ai Comuni la potestà di auto organizzarsi, si creerebbe nello Stato una tale varietà di organismi municipali da far pensare a quella del medioevo. Fa presente che una siffatta potestà non è attribuita, con l’ordinamento regionale in esame, nemmeno alle Regioni, giacché l’organizzazione delle Regioni è stabilita dallo Stato nella Costituzione: sarebbe quindi inconseguente attribuirla ai Comuni. Questi debbono avere la piena autarchia, debbono cioè potersi amministrare liberamente per mezzo di organi eletti direttamente dalla popolazione; bisogna evitare di sottoporli ad eccessivi controlli mortificanti e più ancora alle interferenze e pressioni deleterie del potere politico; ma non può arrivarsi al riconoscimento del diritto di autoorganizzazione.

Ribadendone le ragioni, conclude col rilevare che le norme dell’articolo 18 del progetto sono sufficienti a garantire la libertà dei Comuni.

Quanto al quesito rivolto dall’onorevole Perassi, se, cioè, l’ordinamento comunale debba essere regolato soltanto dallo Stato o anche dalla Regione, rileva che la Sottocommissione si è già pronunciata al riguardo, ponendo tra le facoltà legislative concesse in via esclusiva alla Regione (articolo 3) soltanto quella relativa alla modificazione delle circoscrizioni comunali.

MANNIRONI concorda pienamente col Relatore, nonché con la proposta dell’onorevole Grieco di accennare alle condizioni necessarie per l’attuazione dell’autonomia comunale. Desidererebbe soltanto che tale precisazione, in quanto va riferita soprattutto ai Comuni di nuova creazione, trovasse posto nel capoverso anziché nel primo comma, dedicato a determinare genericamente i compiti del Comune.

Propone inoltre che il capoverso, oltre le ipotesi di creazione di nuovi Comuni e di modificazione di circoscrizioni, preveda anche quella della fusione di due o più Comuni in uno solo.

CAPPI, al fine di snellire il primo comma dell’articolo 18, propone – a meno che non si voglia accedere alla tesi dell’onorevole Zuccarini, dalla quale personalmente dissente, e specificare le funzioni spettanti ai Comuni per la loro natura o per disposizione di legge – di sopprimere l’espressione: «dotati di tutti i poteri necessari per l’adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge». Infatti, a suo avviso, tale dizione, dopo le parole; «I Comuni sono enti autarchici», sarebbe pleonastica, perché quando ad un ente si attribuisce una funzione, gli si debbono necessariamente attribuire anche i poteri per adempierla.

Si dichiara quindi contrario alla tesi dell’onorevole Zuccarini, sia per ragioni di forma – perché ritiene che quanto egli vorrebbe includere nella Costituzione troverebbe la sua sede più opportuna in una legge speciale – sia per ragioni di sostanza, nella convinzione che la concessione ai Comuni del diritto di auto organizzarsi porterebbe ad una disintegrazione della vita amministrativa.

BOZZI osserva che nel capo V vengono disciplinati congiuntamente la Provincia e il Comune che pur hanno due fisionomie diverse: la prima la fisionomia di semplice circoscrizione amministrativa, il secondo quella di ente autarchico di diritto pubblico. Nell’accomunamento dei due istituti ravvisa una esautorazione ulteriore del Comune, mentre egli vorrebbe vederne ampliata l’autorità.

Circa la qualifica di «enti autarchici», richiama l’attenzione sul fatto che il concetto tecnico-giuridico di autarchia è delimitato.

Viceversa i Comuni sono qualche cosa di più: sono enti autonomi, in quanto hanno la facoltà di darsi un proprio ordinamento giuridico. Ritenendo necessaria una precisazione, soprattutto in quanto le norme sui Comuni seguono, nello stesso Capo, quelle sulle Provincie, che pure sono soltanto organi di decentramento burocratico, propone di aggiungere alle parole: «enti autarchici», le altre: «autonomi».

CONTI propone di sostituire all’intitolazione del capo V: «Provincie e Comuni», l’altra: «Circoscrizioni provinciali»; e di premettere all’articolo 18 l’intitolazione: «I Comuni».

MORTATI propone di sostituire il primo comma dell’articolo 18 col seguente:

«I Comuni sono enti autarchici, dotati di autonomia e di autoorganizzazione nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato per assicurare il loro ordinamento in senso democratico, per l’adempimento dei servizi obbligatori e delle funzioni attinenti alla costituzione dello Stato».

PRESIDENTE è favorevole all’emendamento dell’onorevole Conti perché, come già si è espresso l’onorevole Bozzi, non si può dare alle Provincie la stessa rilevanza dei Comuni, che sono enti autarchici ed autonomi.

MORTATI concorda sull’opportunità, dal punto di vista sistematico, di modificare l’intitolazione del capo in esame.

PRESIDENTE crede che si possa provvedere in sede di coordinamento a ridistribuire la materia inclusa sotto il capo V, nel senso accennato dall’onorevole Conti o in altro analogo, purché le Provincie non vengano accomunate ai Comuni e alle Regioni.

(Così rimane stabilito).

Tra le altre proposte, esprime l’avviso che si debba esaminare anzitutto come la più radicale quella dell’onorevole Zuccarini di dedicare, nell’economia generale del progetto, una maggiore ampiezza alla trattazione dei Comuni, onde inserirvi le disposizioni alle quali egli ha accennato. Ricorda che alcuni colleghi hanno rilevato che parte delle disposizioni proposte sono già acquisite o alla nostra legislazione o alla tradizione della vita italiana; altri ancora hanno osservato che troverebbero sede più idonea in una legge speciale.

Pone ai voti la proposta Zuccarini.

LAMI STARNUTI dichiara di votare contro, perché, nonostante abbia sostenuto un punto di vista analogo, in seno al Comitato, rilevando, fra l’altro, la mancanza di euritmia fra le varie parti di un progetto che dedicasse un solo articolo al Comune e circa venti alla Regione, non ha poi insistito per una molteplicità di ragioni. Si riserva tuttavia di risollevare il problema in sede di discussione delle norme transitorie.

FABBRI voterà contro, ritenendo che, qualora venga ampliata, secondo il desiderio di taluni Commissari, la portata dell’articolo in esame, introducendovi il concetto dell’autonomia dei Comuni, sorga l’esigenza di limitare tale autonomia a meno di andare anche oltre le aspirazioni dell’onorevole Zuccarini e di mantenerla nell’ambito della legislazione statale.

(Non è approvata).

PRESIDENTE passando all’emendamento Mortati, segnala che esso, oltre a contenere l’affermazione del carattere autarchico ed autonomo dei Comuni, aggiunge un principio nuovo, cioè che essi sono dotati di una potestà di autoorganizzazione.

MORTATI pone in evidenza che l’accenno ad un ordinamento democratico è una garanzia utile da introdurre nella Costituzione. D’altra parte, la necessità di un ordinamento uniforme è sentita agli effetti della elezione della seconda Camera. Crede pertanto opportuno circoscrivere l’autonomia dei Comuni in questi limiti imposti dalla necessità di assolvere ad alcuni compiti che lo Stato affida loro.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che, tutto sommato, sia preferibile mantenere la formula proposta dal Comitato.

PERASSI è d’avviso che, prima di votare una qualsiasi formula, occorra dare una risposta precisa al suo quesito: se l’ordinamento dei Comuni debba essere interamente disciplinato dallo Stato o se la materia sia in parte suscettibile di integrazione da parte della Regione, e debba quindi includersi nell’articolo 4-bis.

LUSSU prospetta l’opportunità di votare la formula Mortati scindendola in due parti. Personalmente dichiara di essere favorevole alla prima, dove si afferma il concetto dell’autonomia nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato, e di non approvare la seconda, alla quale preferisce la dizione del progetto.

Conviene, in sostanza, sulla necessità di una legge speciale, parallela alla Costituzione, che regoli nelle grandi linee la vita dei Comuni e ne riconosca la completa autonomia entro determinati limiti.

MORTATI chiarisce che, nella sua proposta, il riferimento alle leggi dello Stato è fatto solo ai fini della determinazione delle funzioni dei Comuni e non del loro ordinamento.

AMBROSINI, Relatore, in merito alla proposta dell’onorevole Perassi, ricorda che personalmente aveva posto, nell’articolo 4 del suo progetto originario, la seguente voce: «Ordinamento regionale e degli enti locali».

VANONI chiede che venga chiarito in qual senso sono usati i termini: «autarchia ed autonomia».

AMBROSINI, Relatore, richiama i dispareri a cui nella dottrina ha dato luogo l’uso dei due termini ed il senso che oggi suole ad essi attribuirsi. Mentre per autarchia si intende la potestà degli enti di amministrarsi da sé stessi liberamente, di autogovernarsi, per autonomia si indica la potestà di dettarsi norme proprie, di crearsi un proprio diritto e perfino di autoorganizzarsi. La prima è una potestà amministrativa, la seconda legislativa.

Rileva che questa potestà legislativa, per quanto possa limitarsi anche a poche materie e tenersi subordinata al potere superiore dello Stato, pone l’ente che ne è investito in una posizione diversa e superiore a quella degli enti semplicemente autarchici.

VANONI ritiene che non sia sufficiente il semplice uso del termine «autonomia». A suo avviso, o si arriva a definire il concetto dell’autonomia comunale, elencando – come si è fatto per la Regione – tutte le facoltà che competono al Comune, oppure si dovrà fare un rinvio alla legge che delimiterà l’autonomia in parola. Viceversa nell’articolo 18 del progetto si dice che i Comuni saranno dotati «dei poteri necessari per l’adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge». Quindi, la legge stabilirebbe le funzioni del Comune, ma non sarebbe posta come termine che delimitasse la sua sfera di competenza e di autonomia, come invece è detto chiaramente nella formula Mortati.

LUSSU obietta che la legge, nel determinare le funzioni del Comune, determina anche i limiti dell’autonomia.

MORTATI domanda chi regolerebbe le funzioni del Comune, se la legge non dicesse niente.

VANONI precisa che la legge che attribuisce le funzioni è ambivalente, in questo senso: che può riferirsi tanto a funzioni proprie del Comune, quanto a funzioni dello Stato che questo deleghi al Comune, il quale, evidentemente, senza delega non potrebbe esercitarle (così avviene, per esempio, agli effetti della leva).

La legge a cui si fa riferimento nell’articolo 18 non avrebbe dunque di per sé stessa la capacità di delimitare l’autonomia del Comune, perché potrebbe trattarsi anche di una disposizione accidentale. Nella formula dell’onorevole Mortati, invece, si fa riferimento ad una legge apposita per la determinazione delle funzioni comunali e non a leggi occasionali.

CODACCI PISANELLI aderisce all’idea di precisare che i Comuni sono, non soltanto enti autarchici, ma anche autonomi. Circa il valore delle due espressioni, spiega che in passato la dottrina è stata alquanto divisa, ma oggi è generalmente accolto il concetto di parlare di autonomia quando le funzioni legislative sono svolte da organi diversi da quelli a cui normalmente spettano, e di autarchia quando le funzioni amministrative vengono svolte da organi diversi a quelli cui competono istituzionalmente.

D’altra parte, dicendo che il Comune è autonomo, si ammettono dei limiti, in quanto sia l’autarchia che l’autonomia presuppongono l’esistenza di un ente superiore rispetto al quale l’organo che esercita le funzioni in via eccezionale è in posizione subordinata; in altri termini, si può parlare di enti autarchici ed autonomi in quanto v’è lo Stato al disopra di essi.

AMBROSINI, Relatore, avverte che la preoccupazione maggiore del Comitato – appunto in quanto riconosceva che l’autonomia consiste nel potere di darsi delle norme ed anche di autoorganizzarsi – è stata quella di non collocare (come avrebbe voluto l’onorevole Zuccarini) le Regioni e i Comuni sullo stesso piano. Perciò crede che i Comuni debbano qualificarsi enti autonomi.

MORTATI desidera porre la questione nei suoi giusti termini. Normalmente il potere di organizzarsi e di adempiere da sé i propri compiti non implica il potere di dettarsi le proprie norme. L’opinione dominante ritiene che dal possesso da parte di un ente di facoltà particolari non discenda anche il potere di dettare norme per l’esercizio di tali facoltà particolari, per il quale perciò occorre un titolo espresso di conferimento. Ciò posto, non ci si può affidare all’equivoco o risolvere dei dubbi con la reticenza. Occorre invece definire anzitutto la questione della reciproca posizione dei due enti (Regione e Comune) e determinare i limiti della eventuale subordinazione dell’uno all’altro.

AMBROSINI, Relatore, osserva che, ove non si voglia arrivare nei riguardi del Comune ad una regolamentazione specifica, come proponeva l’onorevole Zuccarini, è preferibile rinviare la materia ad una legge speciale che, con maggiore ponderazione, decida delle singole questioni, e stabilisca i poteri da conferire all’ente con gli inevitabili limiti.

LA ROCCA desidererebbe conoscere quale preciso significato si attribuisca all’espressione: «funzioni spettanti per loro natura».

PRESIDENTE chiarisce che la natura del Comune è data da questo elemento: che un raggruppamento di persone vivono nello stesso luogo e devono necessariamente soddisfare in comune certi bisogni. V’è quindi un minimo indispensabile di servizi, senza dei quali la vita civile non potrebbe svolgersi.

Riepilogando, ricorda che le questioni da risolvere sono tre: 1°) se i Comuni debbano essere considerati, oltre che enti autarchici, anche enti autonomi; 2°) chi fissi i limiti di questa autonomia (lo Stato o le Regioni); 3°) se sia necessario specificare le funzioni nei cui confronti si esplica l’autonomia.

PERASSI insiste sulla necessità di precisare se l’ordinamento dei Comuni debba essere regolato con legge dello Stato o della Regione. Personalmente ritiene che tale compito non debba spettare in maniera esclusiva né all’uno né all’altra, ma che la Regolamentazione debba esser fatta con legge dello Stato da integrarsi con norme regionali. Propone pertanto di aggiungere all’elencazione dell’articolo 4-bis la voce: «Ordinamento dei Comuni e degli altri enti locali».

PRESIDENTE crede che per il momento si potrebbe mettere ai voti l’espressione proposta dall’onorevole Mortati: «I Comuni sono enti autarchici dotati di autonomia».

LUSSU osserva che il concetto di «autonomia» comprende quello di «autarchia», e che perciò si può usare il primo soltanto dei due termini.

PRESIDENTE riconosce che è difficile pensare ad un ente autonomo che non sia autarchico, cioè, ad un ente che abbia la facoltà di darsi delle norme e non abbia quella di applicarle nella propria amministrazione. Tuttavia la specificazione contenuta nell’emendamento Mortati è opportuna, perché, mentre l’autarchia s’intende in senso pieno, cioè in tutto l’ambito dell’attività amministrativa, nei riguardi dell’autonomia è pensabile qualche limitazione.

LACONI concorda. L’autonomia comprende anche l’autarchia se è piena, ma non se riferita a particolari materie.

CODACCI PISANELLI propone la dizione: «enti autarchici ed autonomi».

DI GIOVANNI si associa.

LACONI obietta che con tale formula non si potrebbe evitare che i limiti di cui si parlerà in seguito si riferiscano tanto all’autarchia che all’autonomia.

PRESIDENTE, posto che andrebbe riconosciuta l’autonomia dei Comuni soltanto nei confronti di certe attività, pone ai voti la formula Mortati:

«I Comuni sono enti autarchici dotati di autonomia».

Personalmente dichiara di votare in favore, anche per il fatto che nel Paese v’è una larghissima corrente popolare per l’autonomia comunale e non v’è pericolo che una simile norma preoccupi l’opinione pubblica.

(È approvata).

MORTATI rinuncia all’espressione: «e di autoorganizzazione», contenuta nella sua formula, in quanto il concetto è già implicito in quello di autonomia.

PRESIDENTE avverte che ora la Sottocommissione dovrà pronunciarsi su due formule; quella del Comitato: «dotati di tutti i poteri necessari per l’adempimento delle funzioni ad essi spettanti per loro natura o per disposizione di legge» e quella dell’onorevole Mortati: «nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato». Quanto segue, cioè: «per assicurare il loro ordinamento in senso democratico, per l’adempimento dei servizi obbligatori e delle funzioni attinenti alla costituzione dello Stato», a suo avviso, potrebbe essere soppresso.

CODACCI PISANELLI è d’accordo circa la soppressione.

AMBROSINI, Relatore, non ritorna sulle ragioni per cui dissentiva dalla proposta di qualificare i Comuni come enti autonomi; ma dal momento che questa proposta è stata approvata, ritiene necessario che si faccia espressamente richiamo ai limiti in cui l’autonomia dei Comuni deve essere contenuta secondo le norme che saranno stabilite dal legislatore, perché altrimenti si aprirebbe l’adito ad una varietà di ordinamenti comunali contraria alle attuali esigenze della vita della società nazionale.

MORTATI spiega che ha usato l’espressione: «principî fissati dalle leggi generali dello Stato», per significare che tali leggi debbono avere efficacia in tutto lo Stato.

PRESIDENTE pone ai voti la formula Mortati: «nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato».

(È approvata).

Pone in votazione la parte successiva dell’emendamento Mortati: «per assicurare il loro ordinamento in senso democratico, per l’adempimento dei servizi obbligatori e delle funzioni attinenti alla costituzione dello Stato».

(Non è approvata).

Informa che, in seguito all’esito delle votazioni, il primo comma dell’articolo 18 resta così concepito:

«I Comuni sono enti autarchici dotati di autonomia nell’ambito dei principî fissati dalle leggi generali dello Stato».

Invita i Commissari ad esprimere il loro parere sulla proposta dell’onorevole Perassi di includere fra le materie dell’articolo 4-bis la voce: «Ordinamento dei Comuni e degli altri enti locali».

Personalmente dichiara di esservi contrario, non ritenendo concepibile che i Comuni abbiano organizzazione e funzionamento diverso da località a località.

FABBRI aderisce alla proposta dell’onorevole Perassi, in quanto lascia alle Regioni la possibilità di integrare la legge dello Stato sugli enti locali.

PERASSI spiega che, parlando di ordinamento, dei Comuni, non intende riferirsi all’organizzazione comunale. In altri termini, lo Stato emanerà una legge sui Comuni e, anziché farla seguire da un regolamento che scenda nei più minuti dettagli, lascerà questo compito al potere d’integrazione della Regione.

MANNIRONI è favorevole alla proposta Perassi, giacché ritiene che, nell’ambito della legge generale dello Stato – la quale regolerà i poteri, le funzioni e, in genere, la vita del Comune – la Regione possa utilmente intervenire per dettare norme relative allo sviluppo di attività secondarie dei Comuni.

CODACCI PISANELLI non accetta l’emendamento per la gravità delle conseguenze che ne potrebbero derivare, soprattutto nel campo amministrativo, agli effetti dei controlli di legittimità e di merito (articolo 19).

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Perassi.

(Non è approvata).

Passando al capoverso dell’articolo 18, osserva che dalla formulazione del Comitato non risulta a chi spetterebbe la facoltà di modificare le circoscrizioni comunali o crearne di nuove.

FABBRI propone di sopprimere detto capoverso e di aggiungere all’articolo 3, alla voce: «modificazione delle circoscrizioni comunali» le parole: «e creazione di nuovi Comuni, sempre e in ogni caso su richiesta delle popolazioni interessate».

PERASSI propone il seguente emendamento: «La creazione di nuovi Comuni e la modificazione delle circoscrizioni comunali sono stabilite con legge della Regione, avuto riguardo ai voti delle popolazioni interessate». Conseguentemente andrebbe soppressa nell’articolo 3 la voce: «modificazione delle circoscrizioni comunali».

PRESIDENTE osserva che tutte le proposte – compresa quella del Comitato – concordano sulla necessità di una manifestazione di volontà delle popolazioni interessate per ottenere la modificazione di circoscrizioni comunali.

La formulazione del Comitato, però, potrebbe interpretarsi nel senso che sia sufficiente a promuovere queste modificazioni la sola volontà delle popolazioni interessate, senza l’intervento di altri elementi di giudizio. A suo avviso, invece, questa dovrebbe essere una condizione necessaria, ma non esclusiva, non vincolante. Infatti, per contrasti o rivalità locali possono sorgere richieste che non rispondano ad effettive necessità delle popolazioni.

FABBRI osserva che questa esigenza è soddisfatta dal suo emendamento, il quale dà alla Regione da potestà di decidere sulla richiesta delle popolazioni.

PERASSI rileva che nell’articolo 3 si attribuisce alla Regione la competenza ad emanare le norme generali in materia di modificazione delle circoscrizioni comunali, mentre nell’articolo 18 si pone un altro problema, quello di garantire al Comune il diritto di non essere toccato nella sua integrità territoriale se non con legge ed in seguito a conforme manifestazione di volontà popolare. È evidente, poi, che anche l’atto legislativo che decretasse la modificazione della circoscrizione di un Comune dovrebbe promanare dalla Regione.

CONTI e MANNIRONI aderiscono alla proposta dell’onorevole Fabbri.

PRESIDENTE obietta che le precisazioni dell’onorevole Perassi consigliano di non includere questo concetto nell’articolo 3. Ivi sono elencate le materie lasciate alla potestà della Regione – tra l’altro il potere di dettare norme in tema di modifica di circoscrizioni comunali – mentre nell’articolo 18 si allude alle leggi speciali con cui si applicano ai casi concreti le norme generali dell’articolo 3.

MORTATI aggiunge che nell’articolo 18 si ha anche una norma limitativa (la necessità del parere conforme della popolazione) di quelle generali dell’articolo 3 e quindi in quest’ultimo articolo sarebbe forse necessario farvi richiamo. Segnala poi l’opportunità di precisare se la volontà manifestata dalle popolazioni abbia un potere vincolante o meno, se cioè essa determini l’obbligo di mutare una circoscrizionale comunale. In sostanza, crede che la Sottocommissione dovrebbe pronunciarsi su tre punti: 1o) necessità della volontà delle popolazioni per determinare le modificazioni di circoscrizioni; 2°) valore di questa espressione di volontà (consultiva o deliberativa); 3°) opportunità di fissare delle condizioni generali, come, ad esempio, un quorum di votanti.

VANONI è favorevole all’inserimento del concetto nell’articolo 18, né ritiene necessario nell’articolo 3 un richiamo all’articolo 18, in quanto nella parte generale dello stesso articolo 3 già si dice: «in armonia con la Costituzione» e si esclude quindi la possibilità di discostarsi dal disposto dell’articolo 18. D’altra parte, enunciato in quest’ultimo articolo, siffatto diritto soggettivo del Comune acquisterebbe un maggior rilievo politico.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento dell’onorevole Fabbri.

(Non è approvato).

Accolto il criterio di trattare l’argomento nell’articolo 18, invita i Commissari ad esprimere il loro parere in merito alla formula Perassi.

LAMI STARNUTI preferirebbe sostituire, alle parole: «avuto riguardo», le altre: «in conformità».

TARGETTI propone la seguente dizione: «Qualsiasi modificazione delle circoscrizioni comunali o creazione di nuovi Comuni è subordinata alla volontà delle popolazioni interessate».

PRESIDENTE fa presente che occorrerebbe aggiungere: «e stabilita con legge della Regione».

TARGETTI replica che la facoltà della Regione di modificare le circoscrizioni comunali è stata già affermata nell’articolo 3.

PRESIDENTE obietta che la legge che dovrebbe determinare la modificazione di una circoscrizione non ha nulla a che vedere con la legge generale in materia, prevista nell’articolo 3. Questa dirà che cosa dovrà farsi per procedere ad una modificazione di circoscrizione; quella, applicando tali criteri, disporrà concretamente una modificazione di circoscrizione.

FABBRI osserva che, comunque, si tratta sempre di due leggi. L’obiezione del Presidente sussiste logicamente; ma non va dimenticato che anche il provvedimento con cui si attua la modificazione di una circoscrizione è un atto legislativo, non amministrativo, e come tale rientra nella competenza legislativa della Regione di cui all’articolo 3.

VANONI è favorevole all’emendamento Perassi, ma crede necessario precisare meglio la differenza tra la legge di cui parla l’articolo 3 e quella di cui parla l’articolo 18. Nell’un caso si ha una legge – di competenza esclusiva della Regione – che detta le norme mediante le quali si può realizzare la volontà delle popolazioni interessate di modificare una circoscrizione comunale (indicherà come si faranno le votazioni, quali organi della Regione dovranno controllare la regolarità della espressione di volontà, ecc.); nell’altro caso si ha un provvedimento relativo ad un Comune X, che deve assumere la forma di legge, per quanto possa dubitarsi se il contenuto sia veramente quello di porre una norma giuridica o piuttosto quello di un atto amministrativo.

LACONI non sarebbe contrario all’emendamento Perassi, se non avesse la preoccupazione delle variazioni che derivano al collegio elettorale della seconda Camera dalla modificazione di una circoscrizione comunale; soprattutto in quanto, agli effetti della elezione della seconda Camera, non si rispetta una proporzione rigida con il numero degli abitanti. Così stando le cose, preferirebbe non sottrarre allo Stato la competenza in materia.

CODACCI PISANELLI insiste affinché la formula Perassi sia così modificata: «in conformità alla maggioranza dei voti espressi, ecc.».

MORTATI fa rilevare che, adottando tale espressione, la manifestazione di volontà popolare diverrebbe vincolante.

MANNIRONI suggerisce la dizione: «su richiesta della maggioranza».

DI GIOVANNI preferirebbe dire: «subordinata alla volontà delle popolazioni interessate».

BOZZI nota che – come ha accennato l’onorevole Mortati – l’essenziale è decidere il valore da attribuire alla manifestazione di volontà della popolazione. Se dovesse costituire un obbligo per la Regione, non vi sarebbe più motivo di convocare l’Assemblea regionale e di emanare una legge; basterebbe un atto amministrativo. Se invece la richiesta della popolazione costituisse un momento della procedura e la Regione, in una sua superiore valutazione politico-amministrativa, potesse non accedere alla manifestazione di volontà popolare (personalmente sarebbe di questo parere), allora sarebbe veramente necessaria una legge, cioè una manifestazione di volontà superiore a quella delle popolazioni locali.

CONTI è dell’avviso che nessuna volontà possa considerarsi superiore a quella della popolazione, la quale deve essere arbitra di decidere come meglio creda.

NOBILE non concorda con l’onorevole Conti e si associa invece alle considerazioni dell’onorevole Bozzi. Ricorda di aver già sollevata l’obiezione, ripresa poc’anzi dall’onorevole Laconi, in merito a quello che in America viene definito «elettorato geometrico». Può darsi, cioè, che una frazione di Comune ove sia una maggioranza di un determinato partito, per far pesare il proprio voto nella elezione della seconda Camera, chieda di costituire Comune a sé. Non trova ammissibile che la Costituzione si presti a queste alchimie di carattere elettorale, consentendo che la volontà delle popolazioni faccia legge.

VANONI suggerisce l’espressione: «su proposta delle popolazioni interessate».

LAMI STARNUTI propone di dire che «non si può procedere alla modificazione di circoscrizioni comunali o alla creazione di nuovi Comuni, ove siano contrarie alla volontà della maggioranza delle popolazioni interessate».

PRESIDENTE avendo rilevato che prevale il criterio che per i provvedimenti in parola occorra la volontà della maggioranza delle popolazioni interessate, la quale tuttavia non ha un potere decisivo, ma costituisce una conditio sine qua non, pone ai voti la formula:

«La creazione di nuovi Comuni e le modificazioni di circoscrizioni comunali sono stabilite con legge della Regione, quando sia espressa analoga volontà dalle popolazioni interessate».

(È approvata).

Ricorda che, nell’assenza dell’onorevole Vanoni, in una precedente riunione si era accantonato l’esame dell’articolo 16. Apre ora la discussione su di esso:

«Per i fini a cui una Regione non potesse provvedere con i propri mezzi, sarà istituito un fondo annuale, che verrà amministrato e ripartito da un Comitato composto di un rappresentante per Regione e presieduto da un rappresentante dello Stato.

«La legge determinerà i criteri per la fissazione dei contributi delle Regioni e dello Stato al fondo e per la sua amministrazione e ripartizione».

VANONI dichiara di avere molte perplessità sulla convenienza e sulla funzionalità di un sistema di questo genere, forse perché concepisce in modo diverso il regolamento dei rapporti tra la finanza dello Stato e le finanze comunali e regionali. Crede che, ove si seguisse il criterio proposto, si creerebbe un fomite di attriti tra le Regioni, senza risolvere praticamente il problema.

Essendovi delle Regioni tanto povere da non avere i mezzi sufficienti per far fronte ai servizi specifici dell’ente Regione, si è pensato di creare un fondo tra le varie Regioni, attraverso il quale le più ricche diano dei contributi da distribuire alle più povere. Se non che non v’è bisogno di creare questo fondo, perché esiste già, comunque vengano organizzati i rapporti tra la finanza statale e la finanza regionale, ed è, in sostanza, la finanza dello Stato, la quale ha la indispensabile funzione di ripartizione in senso territoriale dei fondi che essa stessa amministra attraverso la percezione dei tributi e la redistribuzione per le spese pubbliche.

Si obietta che lo Stato è, per sua natura, centralizzatore, e potrebbe non tener conto delle esigenze autonomistiche delle singole Regioni; il che consiglierebbe di creare un fondo da amministrarsi al di fuori di esso, con l’intervento delle Regioni. Non nega la fondatezza di questo punto di vista, ma osserva, per quanto concerne la funzionalità del sistema, che le Regioni ricche troveranno tutti i pretesti per non dar niente, o ben poco, al fondo di solidarietà e nessuno potrà obbligarle ad amministrarsi in modo tale da avere dei residui da distribuire. Le Regioni povere, dal canto loro, dovranno dimostrare i propri bisogni, e dovranno quindi presentare il proprio bilancio e sottoporlo alla critica di questo organo collegiale. È soprattutto questo controllo che suscita le sue preoccupazioni, in quanto vede nella finanza regionale la maggior salvaguardia dell’autonomia degli enti locali.

A suo avviso, se si vuole creare una finanza regionale, bisogna arrivare ad un sistema di questo genere: alcuni tributi andrebbero riservati allo Stato; altri alle Regioni; altri ancora sarebbero amministrati congiuntamente dallo Stato e dalla Regione; i gettiti di tali tributi, poi, andrebbero in parte alla Regione e in parte allo Stato.

In questo senso l’esperienza della finanza tedesca è particolarmente istruttiva, onde crede opportuno ricordarne la genesi. Gli Stati tedeschi fino al 1848 erano completamente indipendenti e solo dopo tale data si è instaurata una unione doganale, che ha fatto sentire la necessità di un fondo comune alimentato con le contribuzioni dei singoli Stati. Nel 1905-1906 l’Impero che si era venuto, col 1870 e con le successive evoluzioni, rafforzando sempre più politicamente, si è dato finalmente una sua finanza, in parte indipendente da quella degli Stati, finché – dopo la guerra del 1918 – la finanza statale assunse una certa preminenza rispetto a quella dei singoli Länder. Ma sempre, in tutte le ultime fasi, si è avuta una serie di tributi amministrati contemporaneamente dallo Stato centrale e dai Länder.

Era dunque dal criterio della partecipazione dei singoli Stati all’amministrazione che discendeva quello della ripartizione secondo i bisogni locali. Ad esempio per l’imposta sugli scambi – imposta di largo gettito che corrisponde alla nostra imposta generale sulla entrata – si faceva luogo ad una di visione pro capite, assegnandone i proventi a ciascuna Regione in proporzione al numero degli abitanti. Si realizzava in questo modo una perequazione tra i vari Länder, per cui i ricchi ed eventualmente meno popolati pagavano di più e venivano ad avvantaggiarsene i più poveri. Tutto questo avveniva con elasticità e senza attriti di carattere politico.

Viceversa, teme assai che il fondo di solidarietà in esame apparentemente sembri sostenere l’autonomia, ma in realtà finisca col creare frequenti contrasti di natura politica tra le diverse Regioni, e col determinare la necessità di un controllo centrale sui bilanci nelle singole Regioni, il quale limiterebbe l’effettivo esercizio delle autonomie regionali. Preferirebbe pertanto sopprimere l’articolo 16, lasciando la possibilità di una migliore distrazione dei mezzi tributari, tra Regioni ricche e povere, sia alla articolazione sui rapporti tra uffici statali e regionali, sia alla azione effettiva dello Stato, il quale sarebbe indubbiamente portato a spendere di più per le Regioni povere.

MANNIRONI, per quanto nelle discussioni precedenti abbia genericamente accennato alla possibilità di creare un fondo di solidarietà o di compensazione, riconosce – dopo un più attento esame della pratica realizzazione del progetto – la fondatezza delle considerazioni dell’onorevole Vanoni.

In sostanza crede che si potrebbero salvaguardare l’autonomia finanziaria delle Regioni, e soprattutto i diritti e le esigenze di quelle povere, anche rapportando tutta l’organizzazione finanziaria al bilancio dello Stato.

Nel dir questo, pensa che lo Stato è come un vasto bacino di raccolta delle varie entrate, che dovrebbero poi essere ridistribuite alle Regioni, soprattutto alle più povere. Giova ricordare che le decisioni sul bilancio generale dello Stato saranno prese dall’Assemblea nazionale, in cui sono rappresentate tutte le Regioni (in modo particolare nella seconda Camera), e quindi quelle più povere non possono temere di non ottenere le integrazioni ordinarie (di quelle straordinarie sarebbe inutile preoccuparsi) di cui abbisognano. Una volta fissato il principio – se non nella Costituzione, in una legge speciale – che le Regioni devono avere un proprio bilancio e che dispongono delle entrate come meglio credono, secondo le esigenze locali; infine, una volta fissato che, in caso di deficienza di entrate, lo Stato ha l’obbligo di intervenire con una integrazione di bilancio, la autonomia finanziaria della Regione sarebbe salva. La istituzione di uno speciale fondo, una amministrazione autonoma, separata dal resto del bilancio generale dello Stato, mentre non darebbe una garanzia maggiore alle Regioni, potrebbe creare un utile o dannoso duplicato che farebbe perdere, tra l’altro, la visione unitaria del problema finanziario.

Concludendo, nota che i fautori dell’autonomia regionale anche finanziaria sono mossi dalla preoccupazione di evitare che per l’avvenire le entrate di determinate Regioni povere vengano distratte a favore di altre Regioni, che magari non ne avrebbero bisogno, o comunque mal distribuite. Ora, a ciò si sopperirebbe assicurando a ciascuna Regione la utilizzazione delle proprie entrate, e garantendo l’intervento e l’integrazione da parte dello Stato, ove siano necessari. Praticamente è molto più utile che questo distribuisca, con le erogazioni delle spese, ciò che direttamente introita colle entrate ad esso riservate. In pratica sarà molto più difficile che lo Stato riesca a incassare dalle Regioni le eccedenze eventuali dei rispettivi bilanci. Per tutto ciò non ritiene utile la creazione di non fondo speciale.

ZUCCARINI si rende conto delle preoccupazioni di ordine pratico esposte dall’onorevole Vanoni, ma si richiama al motivo per cui fu sostenuta l’opportunità del fondo di solidarietà il quale, del resto, ha un esempio negli Stati Uniti d’America, ove serve per provvedere ad esigenze di carattere straordinario (terremoti, alluvioni, ecc.).

È sembrato al Comitato che la creazione del fondo di solidarietà avrebbe avuto una grande importanza morale. Le diffidenze verso la Regione e gli allarmi e le lamentele da parte delle Regioni più povere che sono state sempre trattate male dallo Stato, hanno spinto ad escogitare il sistema in esame, il quale è sembrato tanto più opportuno dopo la guerra, che ha portato in alcune Regioni grandissime distruzioni e danni (i quali devono essere riparati e non lo possono con i soli gettiti locali) mentre altre Regioni sono state colpite in misura molto minore. Lasciando al potere centrale, come per il passato, la determinazione dei contributi di integrazione dei bilanci regionali, si ripeterebbe l’inconveniente gravissimo, che tutte le Regioni cercherebbero di attingere alle casse dello Stato.

Come regionalista, vorrebbe vedere eliminato questo inconveniente, e caldeggerebbe il criterio di creare una amministrazione autonoma, affidata, anziché allo Stato, ai rappresentanti stessi delle Regioni, in cui la destinazione dei fondi fosse deliberata dai rappresentanti delle Regioni, per andare incontro alle esigenze impreviste che si presentassero in circostanze eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.). Crede che i pericoli di rivalità e contrasti, accennati dall’onorevole Vanoni, non sussisterebbero se il fondo fosse riservato per i bisogni eccezionali.

VANONI replica che l’esempio dell’America non calza alla nostra situazione, perché la finanza americana si trova in uno stadio di evoluzione ben diverso. In America la finanza confederale è molto limitata (si è allargata solo momentaneamente per provvedere alle spese di guerra) perché i centri delle entrate e delle spese sono gli Stati. In Italia, invece, per quanto ci si possa sforzare di creare una autonomia vasta e bene articolata, si deve partire da un punto di vista diverso.

Peraltro, se il fondo dovesse servire solo per i casi eccezionali, bisognerebbe modificare la formulazione proposta. Ma sarebbe molto più serio affermare che quando una Regione si trovi colpita da una calamità, deve essere tutta la Nazione a manifestarle la sua solidarietà.

A suo avviso il sistema proposto porterà inevitabilmente queste conseguenze: o il fondo si manterrà irrilevante, sì da non corrispondere agli scopi per cui lo si è creato; o diverrà notevole e non si potranno evitare gli attriti. Quando il Comitato incaricato di amministrarlo decidesse che la Lombardia deve dare una percentuale elevata del contributo totale, questa protesterebbe, oppure presenterebbe il proprio bilancio compilato in modo da dimostrare che non può dare quanto le si chiede. D’altro canto le Regioni povere, per ottenere un contributo, cercherebbero di dimostrare, attraverso il loro bilancio, di averne bisogno. Tutto ciò non può non andare a detrimento dell’autonomia finanziaria dell’ente Regione.

CONTI si dichiara contrario all’articolo 16 e per le ragioni esposte dall’onorevole Vanoni e per altre. Rileva che, in base all’articolo 22, le Regioni si dovrebbero costituire secondo la tradizionale ripartizione geografica dell’Italia. A parte il fatto che personalmente dissente da questo criterio e vorrebbe vederne ridotto il numero, pensa che bisogna augurarsi che le Regioni nascano solide e capaci di vivere e di progredire. Ora, consentendo la formazione di tante Regioni, si facilitano le speculazioni, perché molte di esse, dopo aver chiesto di costituirsi, reclameranno continuamente dal fondo di solidarietà i mezzi per andare avanti, senza fare nemmeno il possibile per conquistarsi una vita autonoma.

PERASSI trova che le considerazioni degli onorevoli Vanoni e Conti sono interessanti e devono essere tenute in debito conto; tuttavia ritiene che, senza approfondire il dibattito su un argomento così importante, si possa raggiungere per il momento una soluzione, facendo riferimento all’articolo 8 il quale, a sua volta, rinvia ad una legge costituzionale tutta la materia della finanza regionale in coordinamento con quella dello Stato. In quella sede il problema in esame potrà essere affrontato con maggior competenza da parte dei tecnici.

TARGETTI si dichiara in gran parte d’accordo con i rilievi dell’onorevole Vanoni e prega i compilatori dell’articolo di chiarire il loro pensiero. Ritiene infatti che la soluzione possa essere diversa, a seconda dei casi a cui si intende provvedere. Se con il fondo di solidarietà si pensa soltanto di provvedere a casi eccezionali – come ha sostenuto l’onorevole Zuccarini – può ritenere opportuna la disposizione, in quanto nutre un certo scetticismo circa l’intervento dello Stato in tali circostanze. Ma v’è il dubbio che, nel pensiero dei compilatori, si sia intravista una malinconica possibilità di sopperire ai bisogni ordinari del bilancio di qualche Regione. È dunque necessario precisare se si pensa che possano costituirsi delle Regioni le quali normalmente non siano in grado di far fronte alle spese ordinarie. Ove così fosse, occorrerebbe escogitare un sistema atto a sopperire a tali bisogni senza che ciò acquistasse – come potrebbe apparire dall’articolo 16 – un sapore di beneficenza o di mutuo soccorso.

LUSSU non crede che l’argomento in discussione possa essere rinviato ad altra sede, come ha proposto l’onorevole Perassi. Ravvisa il pericolo che il moltiplicarsi di leggi speciali costituzionali possa procrastinare l’attuazione del sistema autonomistico, laddove si impone una sollecita compilazione e del testo costituzionale e delle leggi speciali. Non nasconde il timore che, mentre da un lato si aderisce ad una riforma, dall’altro la si ostacoli, rinviando a leggi particolari.

Riconosce che il problema deve essere esaminato particolarmente dai tecnici; e questa è la ragione per cui, in sede di Comitato, deferì molto all’autorità di un maestro, universalmente ammirato: l’onorevole Einaudi. Osserva peraltro che l’onorevole Vanoni, con la sua esperienza e la sua competenza, ha portato degli argomenti di indubbio valore e soprattutto ha rilevato che, attraverso il fondo di solidarietà, le singole Regioni verrebbero ad essere mortificate nella loro dignità, e limitate nell’autonomia dalla necessità di sottoporre i bilanci alla critica di un organo collegiale. Crede che un tale argomento sia tanto serio da indurre la Sottocommissione ad una ulteriore meditazione.

Nota inoltre che nell’articolo non è detto se debbano essere le singole Regioni che, anno per anno, debbano fissare il contributo da versare al fondo. A suo avviso dovrebbe provvedervi lo Stato mediante una legge finanziaria di carattere permanente.

Invita quindi i colleghi, a qualunque Regione appartengano, a meditare sulla situazione di molte Regioni del Mezzogiorno d’Italia: oggi si assiste ad una danza di miliardi distribuiti, non si sa come, dai vari Ministeri; ma purtroppo, non per malvagità di uomini, sebbene a causa dell’ingranaggio centralizzato dello Stato, si continuano a spendere somme al di là del necessario per certe Regioni, mentre si dà ben poco ad altre che finora non hanno avuto nulla. Di grandi opere pubbliche il Sud, all’infuori dell’acquedotto pugliese, non ne conosce. Non si duole che il Nord si sia arricchito, perché, con sentimento sinceramente unitario, ritiene che l’arricchimento anche di una sola parte dell’Italia contribuisca all’arricchimento di tutto il Paese, ma sente la necessità di un sistema che ponga fine a simili storture. E forse il sistema proposto dal Comitato risponderebbe allo scopo perché, sotto questo aspetto, non si può non vedervi una garanzia. Se invece così non fosse, debbono pensare i tecnici, con la loro competenza e capacità, a creare l’organismo adatto, purché si trovi un rimedio.

GRIECO, pur riconoscendo l’interferenza esistente tra la questione che si dibatte e la legge finanziaria prevista nell’articolo 8, non crede possibile rinviare la discussione in sede di esame di tale legge, perché il problema che si agita ha un carattere suo originale, oltre che politico. Condivide i sentimenti dell’onorevole Lussu e come lui è convinto che non si può continuare ad ignorare le esigenze del Mezzogiorno; tutto sta a vedere se il congegno proposto consenta di soddisfarvi.

Proprio in quanto non ne è convinto, aderisce alla proposta di soppressione dell’articolo 16, il quale muove dal sospetto che lo Stato continuerebbe ad essere ingiusto nella distribuzione del reddito nazionale. Non nega che possano anche esservi delle ragioni che giustifichino un tale sospetto, ma è certo che l’articolo 16 offre comunque uno strumento inadeguato.

Mentre dissente dall’interpretazione che ne ha dato l’onorevole Zuccarini (cioè di un fondo destinato a risolvere situazioni eccezionali), conviene coi rilievi dell’onorevole Vanoni, ai quali aggiunge che, oltre tutto, il fondo di solidarietà verrebbe istituito in un momento particolarmente difficile della nostra economia. Domanda quindi in quale organo meglio che nell’Assemblea Nazionale, che ha una visione degli interessi generali, potrebbero trovar eco i sentimenti di solidarietà. Certo non in quel piccolo Comitato irresponsabile, che dovrebbe amministrare il fondo.

Ammette di avere nelle precedenti riunioni caldeggiato la costituzione di una stanza di compensazione. Ma confessa che lo ha fatto obbedendo ad uno stimolo sentimentale, irrazionale, senza pensare alla attuazione pratica. Oggi che vi ha riflettuto, si è reso conto che la cosa non è realizzabile e che la soluzione prospettata è frutto di un esame non sufficientemente approfondito. Perciò, senza arrivare a consigliare di abbandonare l’idea, invita a studiare un congegno che realmente permetta di intimamente legare le sorti delle Regioni e, soprattutto, di andare incontro ai bisogni del Meridione.

NOBILE esprime l’avviso che il problema finanziario sia uno dei più gravi del nuovo ordinamento regionale. Si rende conto che un regionalista possa trovare di suo gradimento l’articolo 16, ma, come antiregionalista, ne auspica la soppressione. All’onorevole Zuccarini fa osservare che l’esempio degli Stati Uniti non può essere invocato, perché colà tutti gli Stati federali sono prosperi, mentre in Italia, a fianco di Regioni ricche, ve ne sono di poverissime. D’altra parte, quando si dice che lo Stato non ha fatto nulla per certe Regioni, in gran parte si esagera, perché è vero che ha fatto poco, ma non tanto poco quanto si ritiene. Prendendo, ad esempio, la costruzione di strade in Sardegna, si ha l’impressione che lo Stato non abbia provveduto abbastanza se si rapporta il chilometraggio alla superficie dell’Isola (la media nazionale è di 74 metri per chilometro quadrato e la Sardegna ne ha soltanto 57); ma se ci si riferisce al numero degli abitanti, la Sardegna balza al primo posto. Lo stesso può dirsi per le ferrovie e vale, in genere, per tutto il Mezzogiorno. Né la Sardegna poteva considerarsi in grado di pagarsi le spese necessarie per allinearsi con le altre Regioni.

Quando la Regione avrà, nel nuovo ordinamento, la facoltà legislativa, potrà disporre, senza alcun controllo da parte dello Stato, la costruzione di strade, di scuole, di ferrovie, ecc.; ma chi darà i fondi? Se è la collettività che deve contribuire, l’amministrazione regionale non può sottrarsi al controllo statale. Per queste ragioni ritiene che il fondo di solidarietà dovrebbe essere amministrato dallo Stato.

Non condivide poi l’opinione dell’onorevole Vanoni che ogni Regione sia costretta a presentare il suo bilancio. La legge potrà stabilire il contributo che dovrà versare ogni Regione (eventualmente riferito agli abitanti) ed anche i criteri per la ripartizione, fissando, una volta tanto, la proporzione per ciascuna Regione, tenuto conto dello stato di ricchezza o di povertà. Cosicché il funzionamento diverrebbe automatico e ben poco sarebbe lasciato all’arbitrio degli amministratori.

FABBRI concorda con gli onorevoli Vanoni e Grieco sulla impossibilità pratica di funzionamento del Fondo di solidarietà, come configurato nell’articolo 16. Crede fuori dubbio che il congegno sarebbe inceppato da interessi particolaristici, perché il Comitato sarebbe composto di rappresentanti delle Regioni e ciascuno di questi interverrebbe nella discussione sul contributo che dovrebbe versare la propria Regione, sul benefìcio che ne andrebbe a vantaggio delle altre, sulla esigenza della richiesta ecc. Ciò spingerebbe inevitabilmente ciascun rappresentante a cercare di dimostrare che la Regione rappresentata si trova in condizioni deficitarie o comunque tali da non potersi permettere liberalità a favore di altre.

Non arriva tuttavia alla conclusione della soppressione dell’articolo, né a quella del puro e semplice rinvio della questione all’articolo 8, in quanto che in quest’ultimo è prevista l’autonomia finanziaria delle Regioni. Ora, questa disposizione, se risponde alle aspirazioni dei regionalisti, si ritorce d’altra parte contro gli interessi delle Regioni povere. Infatti, stabilendo statutariamente l’autonomia finanziaria delle Regioni, si è implicitamente detto che, se una Regione non è in condizione di soddisfare con i propri mezzi alle proprie esigenze, non può far altro che rassegnarsi, perché ove è l’autonomia finanziaria viene a mancare il diritto a richieste d’intervento dall’esterno.

Considerato che il principio dell’autonomia rappresenterebbe questo impedimento costituzionale, ritiene necessaria la creazione di un fondo di integrazione per le Regioni povere e propone di sopprimere l’articolo 16, aggiungendo alla fine del primo comma dell’articolo 8 la seguente formula: «…la quale dovrà altresì disporre nel bilancio dello Stato la creazione di un fondo annuale di equo reparto del reddito nazionale a favore delle Regioni che non possano adeguatamente provvedere con i loro mezzi ai propri fini istituzionali».

MANNIRONI propone di sostituire all’articolo 16 il seguente:

«Una legge finanziaria di natura costituzionale regolerà il riparto delle entrate tra lo Stato, la Regione e i comuni.

«Lo Stato provvederà ad integrare i bilanci deficitari delle Regioni».

PRESIDENTE premette che è nettamente favorevole al principio sancito nell’articolo 16, ma non ha mai concepito il fondo di solidarietà come un istituto destinato a sopperire ai bisogni delle Regioni in seguito ad eventi eccezionali – nel qual caso sarebbe svuotato di ogni portata pratica – bensì come un istituto da utilizzare per le spese correnti delle Regioni.

Si è detto che occorre creare delle Regioni vitali, cioè capaci di assolvere ai compiti loro affidati. Senonché, all’atto di tradurre in realtà una simile affermazione, ci si rende conto che i compiti sono tali e tanti che talune Regioni, come ad esempio la Lucania (per quanto il suo territorio possa essere allargato, sostanzialmente la situazione non muterà), non potranno certamente migliorare il loro livello economico. Anche oggi tutte le Province ottemperano alla disposizione legislativa che le obbliga ad avere un brefotrofio, ma non può farsi un confronto tra l’organizzazione dei brefotrofi delle Province ricche dell’Italia settentrionale e quelli del Centro e del Sud. È necessario, dunque, che tutte le Regioni abbiano i mezzi indispensabili per la loro funzionalità, senza che lo Stato sia costretto ad intervenire continuamente, avocando a sé alcune funzioni.

L’importante è che i mezzi di cui il Paese dispone vengano equamente ripartiti e che questo scopo si ottenga nella maniera più dignitosa. A suo avviso, la maggior dignità che si può conferire ad un organismo politico sociale è quella di dargli la possibilità di determinare da se stesso i mezzi per vivere, dargli cioè una base democratica. Con il sistema proposto si darebbe appunto un carattere democratico ad un aspetto della vita economica del Paese.

Si è osservato che nel Comitato sarebbero posti di fronte coloro che non vogliono dare e coloro che vogliono ricevere. Indubbiamente è uno spettacolo doloroso vedere da una parte sollecitare e dall’altra rifiutare; ma non va dimenticato che purtroppo vi si deve assistere continuamente, anche nelle Assemblee legislative. Ad ogni nuova sessione della Costituente, i rappresentanti delle Regioni scarsamente fornite di mezzi fanno presente la locale situazione precaria, come nella Consulta ad ogni inizio dei lavori si udivano i discorsi dolenti dei rappresentanti dell’Italia meridionale e insulare che invocavano maggiori aiuti dello Stato, e quelli dei rappresentanti delle Regioni più provviste, rivolti a dimostrare che facevano il possibile e più del possibile.

Asserisce che l’istituto proposto, nella sua originalità, può servire a dare un carattere di maggiore dignità alle sollecitazioni e ad impedire le resistenze offerte normalmente da chi ha maggiori possibilità.

L’onorevole Nobile ha accennato ad un metodo che potrebbe essere agevolmente applicato: stabilire che una determinata percentuale degli introiti annui di ogni Regione debba essere versata al Fondo. Si è obiettato che le Regioni potrebbero cercare di alterare il loro bilancio; ma si dimentica che i bilanci stessi saranno sottoposti ad un controllo.

Concludendo, afferma che la disposizione all’articolo 16 merita di essere conservata anche per motivi politici: essa costituisce, infatti, uno dei mezzi per incominciare a ristabilire dei legami di solidarietà politica laddove, con la creazione della Regione, possono manifestarsi tendenze centrifughe, e per contare di rimediare politicamente allo stimolo di certi sentimenti egoistici, che la creazione della Regione potrà suscitare nell’animo di taluni.

VANONI desidera che sia preso atto che la sua impostazione del problema è stata esclusivamente tecnica e non politica. Ha considerato l’istituto soltanto dal punto di vista della sua utilità pratica.

Nota che il metodo consigliato dall’onorevole Nobile è, in sostanza, quello che personalmente ha sostenuto. L’essenziale è non seguire nella distribuzione un criterio politico, per evitare attriti, bensì un criterio automatico, come potrebbe essere quello di distribuire il reddito nazionale in rapporto alla popolazione. Comunque, la risoluzione del problema comporta un approfondito esame tecnico; da ciò deriva l’opportunità di rinviare la questione ad una legge speciale, sia pure di natura costituzionale, che tenga conto degli interessi generali e di quelli particolari, in modo da concedere alle Regioni l’autonomia nella spesa, escludendo in questo campo ogni intervento di altri organi.

FABBRI concorda.

La sedata termina alle 20.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Assenti: Bulloni, De Michele, Einaudi, Farini, Fuschini, Patricolo, Porzio, Tosato.