Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

31.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL DEPUTATO GIUA

INDICE

Controllo sociale dell’attività economica (Seguito della discussione)

Presidente – Fanfani, Relatore – Molè – Noce Teresa – Merlin Angelina – Canevari – Pesenti – Marinaro.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sul controllo sociale dell’attività economica.

PRESIDENTE ricorda che nella seduta antimeridiana l’onorevole Pesenti aveva proposto che la Sottocommissione, per ora, non approvasse alcun articolo in merito alla relazione Fanfani e rinviasse al coordinamento ogni decisione. Chiede ai colleghi quale sia il loro intendimento.

FANFANI, Relatore, ritiene il procedimento singolare e nuovo. Per conto suo non pretende di aver fatto cosa intangibile, anzi, pensa che, sia in sede di coordinamento nell’interno della Sottocommissione, come in sede di riunione plenaria della Commissione, come in sede di Costituente, le modificazioni gioveranno moltissimo, non per rivoluzionare, ma per perfezionare; ma appunto per agevolare queste modificazioni occorrerà presentare una proposta concreta. Ciò è tanto più necessario in quanto la prima Sottocommissione, che studia materie analoghe a quelle della terza, avrà preso qualche decisione.

MOLÈ pensa che occorra giungere ad una conclusione su questo argomento, che è di competenza più della terza Sottocommissione, che della prima.

PRESIDENTE aggiunge che un articolo dell’onorevole Togliatti su questo problema è stato preso in esame dalla prima Sottocommissione.

FANFANI, Relatore, osserva che si tratta non di un articolo, ma di un progetto dell’onorevole Togliatti, e pare che questi abbia dichiarato di rinunziarvi.

PRESIDENTE invita l’onorevole Fanfani ad illustrare l’articolo da lui proposto.

FANFANI, Relatore, legge il primo articolo che aveva proposto nella seduta antimeridiana: «L’attività economica, privata e pubblica, nelle forme tecniche più efficienti e razionali, deve rivolgersi a provvedere ogni cittadino dei beni necessari al suo benessere e la società di quelli utili al bene comune. A tal fine, l’attività privata, ammessa e protetta, è armonizzata a fini sociali da forme diverse di controllo periferiche e centrali, determinate dalla legge».

Osserva che in questo articolo non si accenna minimamente a nessuna forma concreta e si lascia completamente aperta la strada.

MOLÈ propone che invece di: «ogni cittadino», si dica «i cittadini».

NOCE TERESA teme che la frase: «nelle forme tecniche più efficienti e razionali» si possa interpretare restrittivamente, nel senso che si consideri soltanto quell’attività che ha quelle forme più efficienti e razionali.

FANFANI, Relatore, fa considerare che il periodo non termina con quella frase. È un inciso che ha lo scopo di affermare che l’attività privata e pubblica deve rivolgersi a provvedere i cittadini dei beni necessari al loro benessere «nelle forme tecniche più efficienti e razionali», spingendo così chi controlla a far muovere l’attività in questo senso.

Pensa tuttavia che la frase si possa spostare, e dire: «L’attività economica, privata e pubblica, deve rivolgersi nelle forme tecniche più efficienti e razionali».

NOCE TERESA preferirebbe togliere l’inciso.

FANFANI, Relatore, rilegge l’articolo così modificato:

«L’attività economica, privata e pubblica, deve tendere a provvedere i cittadini dei beni necessari al loro benessere e la società di quelli utili al bene comune. A tal fine l’attività privata, ammessa e protetta, è armonizzata a fini sociali da forme diverse di controllo periferico e centrale, determinate dalla legge».

MERLIN ANGELINA osserva che il concetto espresso dall’inciso «ammessa e protetta» dovrebbe essere espresso in altra forma.

PRESIDENTE, poiché è stato stabilito in altra articolazione, propone di eliminare l’inciso.

FANFANI, Relatore, legge la seconda parte dell’articolo così modificata:

«A tale scopo l’attività privata è armonizzata a fini sociali da forme diverse di controllo periferico e centrale determinate dalla legge».

PRESIDENTE pone ai voti tutto l’articolo.

(È approvato all’unanimità).

FANFANI, Relatore, legge il secondo articolo da lui proposto:

«Al controllo sociale dell’attività economica, pubblica e privata, e al coordinamento della legislazione relativa presiedono – (o attendono) – Consigli economici regionali e nazionali costituiti con rappresentanze professionali e sindacali».

In ordine all’osservazione dell’onorevole Pesenti di non determinare troppo, si rimette all’avviso della Sottocommissione.

PRESIDENTE chiede se il Consiglio nazionale è unico.

FANFANI, Relatore, risponde che si tratta di un’espressione generica, in quanto ve ne è uno nazionale e ve ne può essere uno per ogni regione.

MOLÈ osserva che dicendo «presiedono al coordinamento della legislazione relativa», si creerebbe un organo superiore alla funzione legislativa, cioè un organo di revisione legislativa. Preferirebbe dire «concorrono a coordinare».

FANFANI, Relatore, propone di dire: «al coordinamento», invece di: «alla preparazione».

PRESIDENTE specificherebbe dicendo: «un Consiglio nazionale e i consigli economici regionali».

CANEVARI, poiché non si sa quello che stabilirà la legge, direbbe: «Consigli economici centrali e periferici».

FANFANI, Relatore, preferirebbe tornare alla formula suggerita dall’onorevole Giua, dove si parlava di un Consiglio economico nazionale e di enti a carattere regionale.

MERLIN ANGELINA direbbe: «di enti a carattere economico, nazionali e regionali».

PRESIDENTE fa rilevare che la Costituente non ha ancora preso decisioni circa l’ente regione.

MOLÈ nota che anche se si fosse sicuri della istituzione della regione, non si conoscerebbe il funzionamento dei suoi organi.

PESENTI chiede se questi Consigli economici saranno Consigli per categoria, cioè corporazioni. Una volta ideata la funzione, nascerà poi l’organo.

FANFANI, Relatore, osserva che se così fosse, la Costituzione si farebbe molto semplicemente.

È una novità della nostra Costituzione stabilire la creazione di un organo, che coordini le attività economiche, che pianifichi o programmizzi le attività economiche.

PESENTI propone che si dica: «un organo che coordini le attività economiche», e potrebbe essere lo stesso Comitato interministeriale per la ricostruzione (C.I.R.)

FANFANI, Relatore, fa considerare che nel secondo comma dell’articolo approvato si è detto tutto: «A tale scopo l’attività privata è armonizzata a fini sociali da forme diverse di controllo periferico e centrale, determinate dalla legge».

NOCE TERESA propone di omettere l’espressione «periferico e centrale».

FANFANI, Relatore, obietta che non si può parlare di un controllo locale, prescindendo da una organizzazione centrale che coordini. Perciò insiste sull’espressione «periferico e centrale».

Pensa che un articolo speciale sui Consigli economici sarà necessario, anche se non sarà formulato dalla terza Sottocommissione.

Legge l’articolo modificato:

«Al controllo sociale dell’attività economica, pubblica e privata, ed alla preparazione della legislazione relativa attendono Consigli economici regionali e nazionali, costituiti con rappresentanze professionali e sindacali».

MERLIN ANGELINA chiede di sostituire la parola «attendono».

FANFANI, Relatore, suggerisce la parola «partecipano».

Inoltre aggiungerebbe: «con eventuali corrispondenti organi periferici».

MARINARO propone: «partecipano organi che potranno essere stabiliti dalla legge», senza parlare di Consigli nazionali.

FANFANI, Relatore, osserva che in tal caso si ripete una cosa a cui si fa già riferimento nel secondo comma dell’articolo precedente.

PESENTI fa presente che, per quello che riguarda il credito, in Francia è stato creato un Consiglio superiore del credito.

Anche in Italia si potrebbero avere un Consiglio del credito ed uno del lavoro.

MERLIN ANGELINA osserva che si potrebbe parlare di: «organismi nazionali e periferici», oppure sopprimere la frase.

FANFANI, Relatore, obietta che con la soppressione si può dar luogo a vantaggi, ma anche a svantaggi.

CANEVARI si dichiara favorevole alla soppressione.

FANFANI, Relatore, nota che con l’articolo proposto si vuol creare un organo che concorre non solo alla coordinazione, ma anche alla preparazione di quelle che saranno le disposizioni che gli organi competenti determineranno in sede politica per la vita economica del Paese.

NOCE TERESA trova questo pericoloso.

FANFANI, Relatore, ritiene che non sia affatto pericoloso. Tutti i Paesi hanno sentito la necessità di mettere accanto ad organi legislativi e deliberativi degli organi tecnici, e si chiede se è possibile che proprio sul terreno economico non esista da noi un Comitato economico che prenda in mano la situazione, e la sottragga ai molti avvocati che popolano le assemblee legislative.

NOCE TERESA teme che questi Consigli economici possano cadere nelle mani di due o trecento capitalisti.

FANFANI, Relatore, osserva che ad evitare questo pericolo aveva proposto la frase, che poi ha tolto, «con rappresentanze professionali e sindacali».

PESENTI fa rilevare che un Consiglio economico complessivo inevitabilmente formerà una seconda o terza Camera, sia pure di carattere consultivo. Questo Consiglio economico si dovrebbe interessare di cooperazione e di tutti gli altri campi e settori economici, ed una qualsiasi legge di carattere economico dovrebbe essere sottoposta a questo complesso Consiglio, che diverrebbe una specie di Parlamento consultivo.

La legge dovrebbe, a suo avviso, ammettere la necessità del controllo, ma di un controllo funzionale per settore, lasciando il controllo politico al solo Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE ritiene opportuna la proposta. Si tratta di una nuova forma di controllo che può anche costituire uno stimolo all’attività.

PESENTI si richiama alla Costituzione francese dove c’è, oltre ad un Consiglio superiore del credito, il Comitato dei piani; ma sono due forme staccate che non costituiscono un unico Consiglio economico. Egli personalmente non si ritiene in grado di fissare un principio così preciso: preferisce fissare prima il criterio del controllo che si organizzi settore per settore; in seguito si potrà prendere una decisione. L’essenziale è che lo Stato italiano diventi uno Stato democratico, popolare e non ci siano più i gruppi monopolistici di una volta. La forma tecnica migliore sarà certamente trovata, e sarà allora che si studierà se i singoli settori debbano costituire un Consiglio economico. Fissare un principio così preciso nella Carta costituzionale gli sembra pericoloso, tanto più che si potrebbe dire che quello che è stato respinto dalla seconda Sottocommissione viene riproposto dalla terza.

FANFANI, Relatore, non ritiene che si tratti di qualche cosa di simile a quello che è stato proposto dalla seconda Sottocommissione. A suo avviso, il giorno in cui si voglia seriamente coordinare l’attività economica, non si potrà continuare col Comitato interministeriale per la ricostruzione, che fu certo ideato come Consiglio tecnico del Governo, ma che in pratica non ha dato i risultati che se ne attendevano.

Se l’attività economica nazionale deve essere orientata e controllata, senza che vada soggetta a salti bruschi, non bastano gli organi normali che in sede della seconda Sottocommissione si stanno precisando: Presidente della Repubblica, Governo, prima e seconda Camera (anche se per ipotesi la seconda Camera deve avere rappresentanza proporzionale). L’esperienza insegna che occorre qualche cosa di più efficiente che non sia un Parlamento – indipendentemente dalle forme politiche e costituzionali che assumerà lo Stato – e tanto più, a suo avviso, in quanto pensa a forme democratiche e popolari dell’organizzazione costituzionale.

Dubita se sia opportuno rinunziare del tutto a porre una formula nella Carta costituzionale che faccia conoscere a quanti esamineranno il lavoro ora in svolgimento, che in sede di terza Sottocommissione la questione è stata agitata. Probabilmente sarà uno degli articoli che potrà cadere, ma prima di dire che non si debba formulare prega la Commissione di riflettere, nonostante tutte le preoccupazioni dell’onorevole Pesenti.

Dà lettura della sua proposta: «Al controllo sociale dell’attività economica, pubblica e privata, e alla preparazione della legislazione relativa partecipa un Consiglio economico nazionale, con eventuali corrispondenti organi periferici».

PESENTI osserva che nella Carta costituzionale non si può usare la parola «eventuali».

FANFANI, Relatore, allo scopo di porre bene in chiaro la comune perplessità e di far rilevare l’accordo sull’esistenza del problema, pensa che sia opportuno lasciare in sospeso la questione per riprenderla in sede di coordinamento.

PRESIDENTE avverte che il Presidente della Commissione della Costituzione ha stabilito di distribuire il progetto degli articoli approvati e delle proposte fatte sui vari articoli prima che sia convocata l’Assemblea della Commissione. Vi sarà quindi la possibilità di rivedere tutti questi argomenti. Il coordinamento finale sarà fatto da un Comitato rappresentativo delle vane tendenze.

Si potrebbe, intanto, riprendere in esami l’argomento del credito, sul quale riferì l’onorevole Marinaro.

MARINARO dichiara di associarsi alle considerazioni fatte dall’onorevole Togni e aggiunge che, data l’importanza del settore economico e dati i concetti innovatori che non trovano precedenti nella legislazione, cioè la distribuzione del credito con criteri funzionali, vede l’opportunità di includere una disposizione che consacri questo indirizzo unitario, per l’esercizio del credito, nella Carta costituzionale.

Propone il seguente articolo: «Lo Stato stimola, coordina e controlla il risparmio. L’esercizio del credito è parimenti sottoposto al controllo dello Stato, che ne disciplina la distribuzione con criteri funzionali e territoriali».

PESENTI dichiara di non essere contrario al concetto. Al momento del coordinamento si potrà vedere se c’è la necessità di fare un apposito articolo, o di raccomandarne il criterio informatore perché sia inserito altrove. Se si fa un articolo sul credito occorrerebbe farne per altri settori.

Visto che nella proposta si parla soltanto del sistema bancario, propone di fare un passo avanti accennando all’investimento. Oltre la Banca c’è la Borsa, ci sono altri sistemi di finanziamento e di emissione particolari. Nessuna emissione di titoli fatta da privati, o altrimenti, può avvenire senza controllo, senza autorizzazione. È questa una difesa del risparmio.

FANFANI, Relatore, comprende questa disciplina relativamente alla politica degli investimenti, ma non relativamente al credito ed al consumo.

PESENTI ritiene che la frase «criteri funzionali» possa far sorgere il dubbio che, trattandosi di credito per l’agricoltura, di credito per l’industria, si voglia alludere anche necessariamente alla formazione di organi speciali.

Infatti c’è una corrente che vorrebbe creare una Banca per ogni settore, fare cioè una specializzazione del credito.

FANFANI, Relatore, non trova troppo felice la formula dell’articolo.

MARINARO precisa così la formula: «Lo Stato stimola, coordina e controlla il risparmio.

«L’esercizio del credito è parimenti sottoposto a controllo dello Stato, al fine di disciplinarne la distribuzione con criteri funzionali e territoriali».

PRESIDENTE pone ai voti l’articolo.

(È approvato all’unanimità).

Dà infine lettura dell’articolo proposto dall’onorevole Fanfani, che sarà suggerito dalla terza Sottocommissione per una precisazione in sede di coordinamento: «Un Consiglio economico nazionale attende al controllo sociale dell’attività economica pubblica e privata e partecipa alla preparazione della legislazione relativa».

La seduta termina alle 18.40

Sono presenti: Canevari, Fanfani, Federici Maria, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Molè, Noce Teresa, Pesenti, Rapelli.

Assenti giustificati: Dominedò, Ghidini.

Assenti: Assennato, Colitto, Lombardo. Paratore, Taviani, Togni.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

30.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 16 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Controllo sociale dell’attività economica (Seguito della discussione)

Presidente – Marinaro – Pesenti – Giua – Fanfani, Relatore – Togni.

La seduta comincia alle 10.45.

Seguito della discussione sul controllo sociale dell’attività economica.

PRESIDENTE dato che l’onorevole Marinaro ha chiesto che nella parte riguardante il controllo sia inserito un articolo sul credito, lo invita ad illustrare il suo punto di vista.

MARINARO pone in luce che ove si ravvisi la necessità dell’intervento dello Stato nel campo del credito e della raccolta del risparmio, sorge il problema di stabilire in quale modo e fino a quale punto tale azione debba essere esercitata, senza intralciare il buon andamento delle aziende di credito, e cioè senza spingere l’ingerenza dello Stato fino a burocratizzare le aziende stesse, le quali per loro natura, per le finalità che perseguono e per le delicate funzioni che sono chiamate a svolgere, debbono avere la maggiore libertà d’azione possibile.

A tale riguardo afferma che, mentre da un lato scarsissime sono le titubanze circa il controllo statale per ciò che concerne la proporzione fra investimento e liquidità, la formazione delle riserve, e il rapporto fra patrimonio e passività, molto discutibile è, invece, l’obbligatorietà di norme minuziose che limitino, soprattutto se al di fuori del campo degli investimenti, l’iniziativa degli organi direttivi e amministrativi delle aziende di credito, alla cui responsabilità debbono essere affidate l’organizzazione tecnico-contabile e la gestione amministrativa.

La parte preminente del problema in esame concerne, a suo avviso, la distribuzione del credito, che dovrebbe essere disciplinata dallo Stato in senso funzionale e territoriale.

In sostanza, occorre assicurare il migliore impiego del risparmio in rapporto ai bisogni regionali, e stimolare e potenziare i rami di industria e di commercio che maggiormente interessino l’economia del Paese.

Quanto alla distribuzione funzionale, bisogna tener presente che l’elemento su cui si impernia l’organizzazione creditizia è il «termine», il quale va inteso come mezzo di sincronizzazione fra raccolta di risparmio (depositi) e impiego del medesimo. E poiché gli utenti del credito – a seconda dello scopo perseguito dalla loro attività – hanno bisogno di credito a breve, a media ed a lunga scadenza, l’organizzazione creditizia deve fondarsi su tre tipi di aziende classificate in relazione al suddetto termine.

Non molto rigida e profonda dovrebbe essere la distinzione fra aziende dei primi due tipi, benché talvolta l’estensione delle operazioni di medio termine alle aziende che raccolgono risparmio a breve termine non sia scevra di pericoli. Infatti il credito a medio termine può spesso divenire, per la sua stessa natura, credito a lungo termine, dando origine a situazioni di immobilizzo con conseguenti perdite. Ad ogni modo, non si dovrebbe ravvisare alcun impedimento a consentire l’estensione dell’azione creditizia degli istituti a breve termine a tutto il ciclo produttivo.

Sempre in tema di ordinamento funzionale, dichiara di non ritenere utile la creazione di banche specializzate, classificate per rami di attività economica. Pur non negando i pregi della specializzazione, i suoi difetti, anche se non sono molti, sono però assai gravi. Basti pensare al fatto che la banca specializzata è vincolata ai perturbamenti dell’attività economica, oggetto della sua specializzazione, per poter dedurre tutta la serietà dei pericoli ai quali viene ad essere esposta senza alcuna difesa, mancando ad essa la possibilità di trovare una compensazione in altri campi, non essendo, per la sua natura, in condizione di distribuire il credito fra diversi rami di attività.

Un altro grave inconveniente della specializzazione va ricercato nel fatto che il richiedente di fido, una volta che la banca alla quale è obbligato a rivolgersi, data l’attività economica da lui esercitata, glielo abbia negato, non può richiederlo ad altre banche, essendo a queste vietato di concedere fidi a clienti che esercitano un’attività economica diversa da quelle per cui sono state create.

Aggiunge, infine, la considerazione che ogni attività economica, avendo un periodo di maggiore necessità di capitali, che evidentemente non coincide con quello di altre attività, dalla specializzazione verrebbe come conseguenza che nello stesso spazio di tempo in alcune banche la situazione di liquidità sarebbe scarsa, mentre in altre sarebbe eccessiva.

A giudizio suo, pertanto, non è la specializzazione di banche quella che può dar luogo ad un’efficace disciplina del credito, ma, ferma restando la distinzione tra aziende a breve, a medio ed a lungo termine, tale disciplina potrebbe raggiungersi mediante l’istituzione di un organo centrale di «manovra del credito». Tale organo distribuirebbe il credito per le varie attività economiche in relazione sia all’importanza di ciascuna di queste nel quadro dell’economia generale del Paese, che alle necessità delle economie regionali ed alle disponibilità delle varie aziende bancarie di ciascuna regione. Come si vede, nella manovra del credito dovrebbe entrare in funzione anche il concetto della distribuzione territoriale, intesa però nel senso sopra accennato.

In particolare ritiene che in base ad apposite statistiche, le quali dovrebbero essere periodicamente predisposte, potrebbero essere determinate le direttive della distribuzione degli investimenti bancari, che, sia per quanto riguarda l’importo per rami di attività, sia nel volume totale, invece di essere affidati alle iniziative delle singole amministrazioni e delle direzioni delle banche, sarebbero disciplinati nell’interesse dell’economia del Paese, vista però in funzione dei bisogni delle zone in cui ciascuna banca raccoglie i depositi ed opera.

Nell’attuazione di questa disciplina funzionale e territoriale, crede non debba temersi che le aziende di credito possano perdere la loro individualità, diventando passivi strumenti di esecuzione nelle mani dei dirigenti di un organo estraneo alle banche stesse, perché tale disciplina regolerebbe solo a grandi linee le direttive di marcia del credito, senza entrare nella competenza e quindi nell’iniziativa delle direzioni locali delle banche.

In conclusione, propone che nella Costituzione sia inserito un articolo del seguente tenore:

«Lo Stato stimola, coordina e controlla il risparmio. L’esercizio del credito è parimenti sottoposto a controllo dello Stato, al fine di disciplinarne la distribuzione con criteri funzionali e territoriali».

Riassumendo: il risparmio dovrebbe essere in tutti i modi stimolato, coordinato e controllato dallo Stato; la distribuzione del credito dovrebbe avvenire secondo criteri di funzionalità e di territorialità.

Conclude affermando che il risparmio ed il credito debbono essere armi in mani dello Stato le quali, se manovrate bene, potranno giovare in grande misura alla ripresa economica. Considera inutile scendere ai dettagli e prevedere fin da ora gli organi con i quali lo Stato potrà esercitare la sua vigilanza sul risparmio e sulla sua distribuzione, essendo importante, per il momento, di affermare il principio.

PESENTI rileva che, affermandosi il principio generico del controllo su tutta la attività economica, debba considerarsi compreso anche quello, particolare, del controllo sulla attività creditizia.

Qualora tuttavia la Sottocommissione credesse di dover scendere al particolare e di contemplare in un apposito comma il controllo sul risparmio e sul credito, in funzione sociale, si dichiara d’accordo con l’onorevole Marinaro.

GIUA non può non accettare i principî esposti nella precedente riunione dal Relatore Fanfani, i quali collimano con gli insegnamenti di Carlo Marx, che nel «Capitale» ha affermato che la società socialistica sarà l’erede di una società capitalistica pletorica. Quindi tutto quello che vale a sviluppare la produzione – e di conseguenza anche la stessa società capitalistica – non può non essere accettato.

Dà lettura della seguente formulazione, che vuole soltanto essere un contributo con intenti chiarificativi, alle conclusioni cui perverrà la Sottocommissione:

«Allo scopo di incrementare la produzione dei beni nell’interesse della comunità, la Repubblica protegge, oltre l’iniziativa privata, anche quella cooperativa e statale, mercé il controllo dell’attività economica della Nazione. La legge regolerà la creazione del Consiglio economico nazionale, del Consiglio nazionale del lavoro e di enti a carattere regionale atti a favorire il razionale sviluppo delle aziende industriali, agricole e del credito».

In tale formulazione ha voluto insistere sul concetto della razionalizzazione, che è ormai acquisito anche dalle società più tipicamente capitalistiche, come gli Stati Uniti d’America e l’Inghilterra. I liberoscambisti possono, a suo avviso, mettersi il cuore in pace, perché, per quanta propaganda facciano, la razionalizzazione dell’industria, intesa nel senso di un inserimento nella produzione capitalistica del concetto di massa, è ormai una innegabile necessità. Accogliendosi il criterio della razionalizzazione dell’economia in senso nazionale, verrebbe implicitamente ad essere risolta anche la vessata questione del problema meridionale.

FANFANI, Relatore, osserva che la prima parte del suo articolo, più o meno rimaneggiata, è stata riportata nelle varie formulazioni proposte da altri membri della Sottocommissione; della seconda parte, che deve ormai considerarsi superata, basta tenere presente l’accenno ai consigli economici, cioè a quegli organismi che, in particolare, devono esercitare un’attività coordinatrice delle iniziative private e pubbliche in materia economica.

Tenendo presente anche la proposta dell’onorevole Giua, avrebbe concretato una nuova formulazione, distinta in due parti che possono costituire due articoli, come sarebbe suo desiderio, ovvero due commi dello stesso articolo. La prima parte si ispira ai seguenti concetti: 1°) che l’attività, sia privata che pubblica, deve avere come fine precipuo di mettere, nelle forme più razionali e più efficienti, la maggior quantità possibile di beni a disposizione dei singoli cittadini per il loro benessere e della collettività nel suo complesso, sia per provvedere al suo funzionamento, sia per gli aiuti che deve fornire ai singoli; 2°) che l’attività privata, pur ammessa e protetta, non essendo capace da sola a raggiungere tutti i fini sociali, deve essere armonizzata, coordinata e controllata da organi speciali periferici e centrali.

In relazione a questi concetti, la prima parte è così formulata: «L’attività economica, privata e pubblica, nelle forme tecniche più efficienti e razionali, deve rivolgersi a provvedere ogni cittadino dei beni necessari al suo benessere e la società di quelli utili al bene comune. A tal fine l’attività privata, ammessa e protetta, è finalizzata ai fini sociali da forme diverse di controllo periferico e centrale, determinate dalla legge».

Circa il controllo del credito, è del parere che esso possa ritenersi conglobato nella dizione di carattere generale che ha proposto. In un primo tempo aveva formulato sulla materia un articolo speciale, ma gli è sorto il dubbio che, non prevedendosi un analogo controllo per altri rami di attività, si svisava tutto il problema e si correva il rischio, come è stato da più parti rilevato, o di creare un organismo manchevole, ovvero di aprire la strada ad un’unica possibilità, cioè a quella della gestione collettiva del credito da parte dello Stato, con le conseguenze che è facile immaginare.

Premesso che con le sue proposte non intende precludere la possibilità all’onorevole Marinaro di fare, circa il controllo del credito, delle proposte specifiche che volentieri prenderà in esame, passa alla seconda parte della sua formulazione.

In questa si è preoccupato di far risaltare la necessità che nel nostro ordinamento giuridico-costituzionale si debba accennare non soltanto ad un Consiglio nazionale, ma anche a Consigli regionali, senza scendere ad ulteriori specificazioni e salvo vedere, in sede di coordinamento, se si dovrà inserire nei singoli articoli qualche accenno più specifico ad organi periferici di controllo.

Questa seconda parte è del seguente tenore: «Al controllo sociale dell’attività economica pubblica e privata e al coordinamento della legislazione relativa presiedono Consigli economici regionali e nazionali costituiti con rappresentanze professionali e sindacali».

TOGNI a suo avviso, l’onorevole Fanfani ha fatto un gran passo innanzi verso quella che sarà la formula definitiva, in quanto i due articoli che ha proposti svolgono esattamente il tema del controllo sociale dell’attività economica che gli era stato assegnato. Esprime però il parere che non si debba lasciar cadere il problema del controllo del credito, anche se può sembrare in certo modo non opportuno dare ad esso una specifica considerazione. Bisogna, infatti, rendersi conto che il credito ha un valore particolare, soprattutto se attuato nella forma di rispondenza funzionale e territoriale, che si potrebbe del resto estendere anche a tutte le altre attività. Sarebbe quindi dell’opinione di includere in questi due articoli, o in un articolo a parte, le proposte dell’onorevole Marinaro.

Preciserebbe, inoltre, assai chiaramente il riferimento agli organi periferici e centrali di controllo, i quali – per ripetere le parole dell’onorevole Marinaro – dovranno servire per stimolare, controllare e coordinare, perifericamente e centralmente le singole attività della produzione e del lavoro. La Sottocommissione, però, anche prendendo in considerazione la proposta dell’onorevole Fanfani, farà un lavoro incompleto se non affronterà in un modo più chiaro la questione dei rapporti tra capitale e lavoro, tra – come si diceva nel primo testo dell’onorevole Fanfani – la gestione, la proprietà, gli utili e la partecipazione dei lavoratori all’azienda.

A tale proposito dichiara di non essere completamente d’accordo sul testo dell’articolo approvato circa i consigli di gestione. Ritiene, infatti, che su un problema tanto vivamente sentito dalle masse lavoratrici non sia possibile limitarsi solo a stabilire per il lavoratore il diritto di partecipare all’azienda, lasciando alla legge di fissare i modi e i limiti dell’applicazione di tale diritto. Per completare quella formulazione, che deve considerarsi come un semplice anticipo, domanda che sia ripresa la discussione, che gli sembra sia stata troncata con una troppo affrettata approvazione, riservandosi, appena possibile, di presentare una proposta precisa al riguardo.

PRESIDENTE fa osservare che non può parlarsi di decisione affrettata, perché alla redazione dell’articolo si è arrivati dopo matura discussione. Ad ogni modo, l’onorevole Togni ha sempre la possibilità di formulare tutte le proposte che crede in tema di controllo della attività economica.

GIUA rileva che nella formulazione da lui proposta aveva incluso anche un accenno al Consiglio nazionale del lavoro, non tanto in relazione alla stipulazione dei contratti collettivi, quanto perché tale organo avrebbe potuto colmare nella Carta costituzionale la gravissima lacuna dell’igiene sociale, introducendo quelle garanzie che sono necessarie per arrivare ad una razionale organizzazione della produzione. Come chimico si riferisce particolarmente agli operai di alcune industrie chimiche, i quali, se abbandonati alla libera iniziativa privata, potrebbero essere condannati a gravissime malattie professionali. Prega il collega Fanfani di tener conto di questa particolare esigenza.

FANFANI, Relatore, ricorda che in una delle precedenti riunioni, parlandosi delle convenzioni internazionali, si tenne specificatamente presente il problema dell’igiene del lavoro, abbinandolo, anche nella formula adottata, a quello della sicurezza. Personalmente sarebbe favorevole a rivedere la dizione per inserire la parola «igiene».

PRESIDENTE crede che la preoccupazione dell’onorevole Giua possa essere eliminata dal comma aggiunto al terzo articolo: «La Repubblica provvederà con speciali norme alla protezione del lavoratore e favorirà ogni regolamentazione internazionale diretta a tal fine».

GIUA trova che questa formula è troppo generica.

PESENTI è del parere che le proposte fatte per il tema in esame, anche quelle presentate dall’onorevole Fanfani, siano da accogliere come espressione di concetti generali, rinviando la precisa formulazione in sede di un successivo coordinamento dei lavori della Sottocommissione. Osserva, inoltre, che per quel che riguarda la Carta costituzionale si dovrà tener presente il testo delle altre Costituzioni, nel senso di limitarsi ad una formulazione generica per evitare specificazioni che possano far correre il rischio di troppo rapidi mutamenti, specialmente per quanto riguarda le denominazioni di determinati organi.

GIUA crede che sulla necessità di una Costituzione generica siano tutti d’accordo. Cita, in proposito, il pensiero dell’onorevole Togliatti, quale risulta dall’ultimo numero di «Rinascita» in relazione al quarto congresso dei Soviet.

PRESIDENTE rinvia la riunione al pomeriggio.

La seduta termina alle 12.20.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Molè, Noce Teresa, Pesenti, Togni.

Erano assenti: Colitto, Lombardo, Paratore, Rapelli, Taviani.

In congedo: Dominedò.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

29.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di associazione e ordinamento sindacale (Rinvio della discussione)

Assennato, Relatore – Presidente – Fanfani – Canevari – Giua – Rapelli, Correlatore.

Controllo sociale dell’attività economica (Discussione)

Fanfani, Relatore – Giua – Pesenti – Presidente.

La seduta comincia alle 17.15.

Rinvio della discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

ASSENNATO, Relatore, afferma che prima di riprendere in esame le proposte Rapelli e Fanfani, al fine di impegnare con la Costituzione il futuro legislatore ad essere fedele osservante della libera vita democratica delle associazioni sindacali, occorre precisare bene i principî che si vogliono inserire nella Carta costituzionale.

Non ritiene appropriato per la redazione della Carta costituzionale inserire una formula con la quale i principî essenziali entrerebbero, per sottinteso o per via implicita, laddove è doveroso che tali principî siano dichiarati apertamente, in modo che il legislatore futuro, se mal disposto, non possa trovare complicità in formulazioni sottintese od involute, ma si trovi costretto ad assumere la responsabilità di violare un principio apertamente professato dalla Carta costituzionale.

Sul preambolo della libertà di organizzazione sindacale giustamente tutti si sono trovati d’accordo. La coerenza esige però che se, come nelle proposte Rapelli e Fanfani, si ritiene che alle organizzazioni sindacali debba essere riconosciuta personalità giuridica, questo non deve risultare soltanto come implicito contenuto della obbligatorietà del contratto collettivo, ma deve essere apertamente dichiarato. Né può sconsigliare tale riconoscimento la preoccupazione che si possa dar luogo ad interferenza o controllo dello Stato nella vita dell’organizzazioni sindacali, perché bisogna preavvertire il legislatore futuro che il riconoscimento è formulato nell’interesse della libera vita democratica delle organizzazioni sindacali e non già per attenuare in qualche modo l’indipendenza, l’autonomia e la libertà delle organizzazioni stesse.

Non trova opportuno, anche da un punto di vista tecnico, di parlare di contratto collettivo, senza prima dichiarare quali siano i contraenti, i quali è assurdo che possano essere considerati soltanto in funzione della obbligatorietà del contratto collettivo, perché l’associazione sindacale può, attraverso la personalità giuridica, possedere e negoziare in quanto tale. L’importante è che in sede costituzionale si precisi che il riconoscimento giuridico non implica una dichiarazione di ente pubblico e, quindi, una sottoposizione al controllo dello Stato o di altra autorità tutoria.

Dall’impostazione di principio ben profilata possono conseguire pericoli di gran lunga inferiori a quelli che possono presentarsi attraverso una formulazione involuta, da cui quei principî possono soltanto dedursi per via implicita. Indubbiamente, in sede costituzionale deve farsi menzione della obbligatorietà dei contratti; ma non deducendola dal principio della personalità giuridica, sibbene per l’eccezionalità degli effetti vincolanti della rappresentanza di categoria.

La dichiarazione di riconoscimento dovrà quindi stabilire, in sostanza, l’indipendenza del sindacato da ogni vigilanza o controllo tutorio, che possa comunque interferire e turbare la vita libera e democratica delle associazioni.

Poiché il Relatore Di Vittorio, di cui ha fatto le veci in sua assenza, si è attenuto a tali criteri, sia nella sua relazione che nelle articolazioni formulate, appare opportuno – e ne fa preghiera alla Commissione – che, essendo tornato l’onorevole Di Vittorio, sia esaminata, col concorso dei due esponenti della Confederazione del lavoro, la relazione stessa e si decida la via da seguire.

Propone una sospensiva, in modo da consentire all’onorevole Di Vittorio di rientrare nella Commissione.

PRESIDENTE pensa che, essendo virtualmente ormai l’onorevole Assennato fuori della Sottocommissione, accettando la sua proposta di rimettere la discussione a quando sia presente l’onorevole Di Vittorio, bisognerebbe o passare immediatamente alla discussione sul controllo economico-sociale, oppure rinviare le sedute.

FANFANI non dubita che, tornato l’onorevole Di Vittorio, sarebbe opportuno approfittare della sua presenza; però si chiede se tutta la discussione svoltasi finora debba considerarsi inutile.

CANEVARI, giacché risulta che l’onorevole Di Vittorio è tornato, dichiara di essere favorevole alla proposta di sospensiva.

GUIA aderisce alla proposta di sospensiva.

L’onorevole Di Vittorio, rappresentante della Confederazione generale del lavoro, potrà esprimere il suo pensiero sulla formulazione finora proposta, e ciò impedirà che in Assemblea sorgano discussioni fra gli stessi componenti della Commissione.

Poiché poi per discutere la relazione Fanfani occorrerà tener conto anche della discussione sull’azione sindacale, propone di rinviare i lavori della Sottocommissione al giorno 22.

PRESIDENTE dichiara di non poter accedere a questa richiesta, essendo impegnato verso l’Assemblea, attraverso la Commissione plenaria della Costituzione, e personalmente verso il Presidente Ruini, a compiere i lavori nel termine stabilito.

RAPELLI, Correlatore, desidera precisare, riferendosi ad un’affermazione precedente dell’onorevole Assennato, che né lui, né l’onorevole Di Vittorio rappresentano, in seno alla Sottocommissione, la Confederazione generale del lavoro.

ASSENNATO, Relatore, rileva che le sue parole intendevano semplicemente riferirsi alla competenza specifica degli onorevoli Rapelli e Di Vittorio, considerata la loro qualità di segretari della Confederazione generale del lavoro.

GIUA preferirebbe che i due segretari della Confederazione del lavoro fossero effettivamente portavoce dei desiderata della classe operaia.

PRESIDENTE ritiene che la Sottocommissione sia d’accordo nel rinviare la discussione a quando sarà presente l’onorevole Di Vittorio.

(Così rimane stabilito).

Discussione sul controllo sociale dell’attività economica.

FANFANI, Relatore, dichiara che si limiterà ad illustrare alcuni punti della sua relazione che gli sembrano di particolare importanza, non ai fini della discussione, ma ai fini dell’impostazione che ha creduto opportuno dare alla relazione.

Il problema del controllo sociale della attività economica è certamente complicato dal fatto che oggi – e non soltanto in Italia, ma in tutti i Paesi del mondo, meno uno – si vive in una economia di trapasso, non si è più in un’economia i cui dirigenti, i cui regolamentatori o legislatori credono al principio individualistico, liberistico; ma non si è nemmeno arrivati ad un’economia in cui totalmente si è abbandonato il criterio individualistico e liberistico. Tentativi diversi, fatti in parecchi Paesi, ora dal punto di vista di un’ideologia totalitaria di tipo fascista, ora dal punto di vista di un’ideologia democratica di tipo più o meno liberale, fanno vedere come, da circa trentacinque anni a questa parte, per motivi di guerra, per motivi di passaggio dall’economia di guerra all’economia di pace, o per le conseguenze dell’economia di guerra, si è tentato a varie riprese di risolvere il problema – che a qualcuno sembra insolubile – di controllare, dal punto di vista sociale, lo sviluppo dell’attività economica, senza accedere totalmente ad un’economia collettiva o collettivizzata, e senza d’altra parte lasciare totalmente libere le forze individualistiche, ma cercando di sfruttarle, disciplinandole e regolandole ai fini di raggiungere determinati obiettivi sociali che, abbandonata l’ideologia di Adamo Smith, si è ritenuto non possano essere raggiunti, qualora le forze e le iniziative individuali siano totalmente libere.

Si sono avute varie forme di controllo sociale sulla vita economica dei singoli gruppi.

Questi controlli sono fondamentalmente di due tipi: uno che si vuol realizzare in un ambiente politico non di libertà, nel quale i cittadini non siano chiamati a controllare politicamente i controllatori dell’attività economica; e un altro, esercitato o attuato in Paesi in cui, creati gli organi di controllo dell’attività economica, si consente che i cittadini, organizzati politicamente in partiti od in associazioni, attraverso gli organi normali di controllo dell’attività governativa e attraverso la libera stampa, sorveglino l’attività di coloro che sono preposti al controllo dell’attività economica.

Fa rilevare che, prescindendo da quello che è stato ideato e fatto in Russia, e osservando le varie esperienze che sono state fatte nei Paesi così detti occidentali, il grande problema che sembra aver afflitto l’Occidente è stato quello di vedere fino a che punto è possibile effettuare il controllo sull’attività economica senza menomare la libertà politica. I Paesi che sembrano aver realizzato più profondamente il sistema del controllo, ad un certo momento hanno pensato bene di eliminare la libertà politica, perché con la libertà politica sembrava loro di non poter realizzare nessun controllo. Ma l’accettazione del sistema di controllo economico, con l’abbandono del sistema di controllo politico, e quindi della libertà politica, fatalmente ha trasformato la politica di controllo economico da una politica diretta al bene della collettività, intesa come complesso di individui, in una politica diretta a fini di potenza, dei quali non rispondevano più le singole persone, ma soltanto uno o pochissimi.

Nei Paesi democratici, preoccupati di salvaguardare la libertà politica, pur menomando la libertà economica, si è arrivati a forme miste. Non ritiene sia per ora possibile dire esattamente quali risultati abbiano dato l’uno e l’altro tipo sul puro terreno economico; quali invece abbiano dato sul terreno politico, purtroppo proprio gli italiani – e i tedeschi forse anche di più – possono dire.

Se questo è avvenuto nel campo storico dei fatti, in quello delle teorie si è avuta un’evoluzione anche in questo senso; sicché pensa che tra le cose più interessanti, ma non definitive, sono quegli orientamenti che nelle varie scuole o correnti di dottrine economiche si sono verificati, e perfino nel seno della stessa corrente liberale si sono avuti quei tentativi – che possono sembrare addirittura strani – della cosiddetta ricerca della terza via. Essi, in sostanza, vogliono tendere a trovare come si può esercitare un controllo, così detto conforme – conforme a certe regole, a certi ideali di concorrenza, di minimo prezzo o di efficienza produttiva – rispettando la libertà politica.

Gli sembra che oggi in Italia, per un complesso di cose, per lo stesso schieramento politico e per la linea politica adottata dal partito che potrebbe e dovrebbe essere il più interessato ad un mutamento radicale della vita economica, il partito comunista, ci si orienti tutti più o meno su questa strada: di tentare un controllo dell’attività economica, mantenendolo negli schemi della libertà politica.

C’è al fondo di questo orientamento l’idea che, abbandonati a se stessi, gli uomini non possano arrivare, di squilibrio in squilibrio, a raggiungere una situazione di equilibrio, di armonia e di benessere sociale; ma che ciascun uomo abbandonato a se stesso, libero di sfruttare le forze naturali, di regolare i propri istinti come meglio crede, possa forse illudersi, per un tempo più o meno breve, di realizzare il suo benessere – grettamente inteso, di potenziare le sue attività – ancora grettamente intese – ma in definitiva non arrivare certamente ad una situazione di coordinamento, benefica per tutta quanta la società. Ed è in vista di questo che gli uomini tornano a ripetersi una domanda migliaia di volte ripetuta nel corso dei secoli: può esistere cioè un armonizzatore preventivo di questi squilibri, o un coordinatore che corregga, all’origine almeno, gli squilibri stessi?

La risposta che più o meno tutti dànno oggi è che questo coordinamento è necessario e che questo coordinatore si può determinare.

Sul come, nascono i dissensi.

Sempre in questa economia di trapasso – non accenna a quella collettivizzata del tutto – i metodi che si possono adottare per controllare l’attività economica e coordinarla, sembrano essere fondamentalmente due: il metodo di coloro i quali dicono: creiamo un organo centrale, che sarà forzatamente di tipo burocratico; regoliamo un po’ tutta l’attività economica, pur riconoscendo – salvo i regimi totalitari di tipo nazista e fascista – che questo organo centrale possa essere controllato dall’opinione pubblica e dagli organi legislativi normali. Il secondo metodo è quello di coloro i quali dicono: no! Attenti che l’organo centrale, al di fuori di una economia non collettivizzata, è molto pericoloso. Proprio in una economia non collettivizzata il controllo nella forma più efficace può essere esercitato, anziché dal centro, dalla periferia o per lo meno da settori periferici più o meno concentrici, finché si arriva anche ad un organo centrale.

È nato così il problema di organizzare un controllo non burocratico, ma democratico; problema che è stato imposto dalla necessità di far sì che questo controllo non sia meno competente dell’attività individuale, né meno interessato di essa, e che sia tempestivo. Parte per tradizione, parte per constatazione di quello che si verifica nel mondo, gli uomini di oggi non si fidano di un organo di controllo puramente burocratico, tanto che hanno inventato premi di interessamento, negli stessi organismi burocratici, perché si snelliscano e riescano a dare una certa spinta alle imprese o attività che ricadono sotto la loro sfera di azione.

Non conosce, fra tutte le teorie e tutti gli abbozzi di teorizzazione di questa forma di controllo, niente di più ardito di quello che è stato tentato da un gruppo di economisti americani in questi ultimi venti anni, e, proprio basandosi sulle loro realizzazioni, ha osservato nella sua relazione come, una volta premesso che il controllo sociale oggi è indispensabile, perché l’attività economica torni a beneficio di tutti i partecipanti alla vita nazionale, esso darebbe luogo a gravissimi inconvenienti, ove non fosse organizzato in un ambiente di libertà politica.

Data questa premessa, ha creduto opportuno sottolineare come il controllo debba obbedire ad altre cinque caratteristiche che non sono sua invenzione, ma che già sono indicate dal tentativo americano.

Il controllo deve essere competente, cioè deve essere esercitato da chi se ne intende e non da burocrati; deve essere interessato, cioè deve essere esercitato da chi ha interesse diverso, diretto al buon andamento dell’attività da regolare; deve essere decentrato, cioè esercitato non dalla capitale o da pochi uffici centrali, ma possibilmente nel luogo in cui si svolge l’attività, o almeno per rami di questa; deve essere democratico, cioè esercitato da uomini designati dagli organi interessati e, quando occorra, da tutti i cittadini; infine deve essere multiforme, cioè esercitato secondo le modalità che per ciascun tipo di attività risultino più efficaci.

Ha spiegato nella relazione a quali vantaggi dia luogo un controllo con queste caratteristiche, e non si ripeterà.

Aggiunge che vi sono momenti distinti in cui il controllo deve essere esercitato; vi è innanzi tutto un momento produttivo all’origine, nel seno stesso dei centri in cui si svolge la vita economica, ed in questa fase bisogna realizzare il controllo nelle varie forme che l’esperienza suggerirà. C’è un secondo momento, non più nell’interno di ciascuno dei singoli centri, ma negli ambienti che abbracciano questi vari centri, e qui sorge un problema di coordinamento di queste attività produttive. Vi è un terzo momento, relativo alla distribuzione e al consumo (consumo in senso economico) della ricchezza prodotta.

A suo avviso, per quanto riguarda il primo momento, cioè il momento in cui nasce l’attività produttiva, un controllo interessato, democratico, competente, può essere eseguito innanzi tutto attraverso la partecipazione dei lavoratori alla vita intima dell’impresa. È del parere che nella fase attuale non ci si possa limitare, e sia un errore limitarsi, alla semplice azione dei consigli di gestione. Dal momento che il Consiglio di amministrazione esiste ed esercita una certa attività ed influenza, è ancora del parere che convenga approfittare anche di questo organo, immettendo in esso, con funzioni deliberative, non pochi lavoratori, ma, se è necessario, la metà, o anche di più, come preparazione di quella che gli pare possa essere un’azienda-tipo di domani, cioè un’impresa o in forma cooperativa, o in forma tale per cui la proprietà risulti nelle mani dei lavoratori. Ma questo è un problema complesso e si limita ad accennarlo.

Un controllo interessato, democratico, competente, può inoltre ottenersi con la costituzione di altri organi di controllo, oltre che con la partecipazione al consiglio di amministrazione e quindi con la costituzione di appositi consigli di gestione (quanto al termine da usare è convinto che per precisione tecnica sarebbe meglio dire «Consiglio di efficienza») per esercitare il controllo nella fase tecnico-amministrativa, mentre la partecipazione al consiglio di amministrazione serve per il controllo tecnico-economico.

Una terza modalità di controllo che abbia le caratteristiche suddette è la socializzazione vera e propria di certe imprese, con determinate caratteristiche che consentano di socializzarle senza danno per la collettività, perché lo scopo, evidentemente, è quello di accrescere il benessere di tutti i lavoratori, e ogni forma che diminuisca l’attività produttiva e aumenti il costo di esercizio è una forma di controllo deleteria perché preparatoria della miseria, non del benessere.

Occorrerebbe, infine, la partecipazione agli utili, non per aumentare il reddito del lavoratore (e di qui il dissenso con la onorevole Noce), ma come forma di avviamento all’utilizzazione di un reddito supernormale, per l’avviamento alla comproprietà dell’impresa da parte della comunità e non dei singoli.

Il complesso della discussione svoltasi non gli ha consentito di scendere a particolari, ma non crede che la partecipazione agli utili possa dare un beneficio serio ai lavoratori. Sono state fatte esperienze in America e si è arrivati alla conclusione che se si fossero divisi gli utili di una certa azienda, si sarebbe aumentato il reddito di mezza giornata all’anno per ogni singolo lavoratore. Viceversa se questa massa di utili è affidata al corpo dei lavoratori, le cose possono cambiare.

Comunque, è d’accordo nel ritenere che questo è un fine più remoto, un avvio ad una certa trasformazione dell’impresa, che non si può realizzare oggi nello stato attuale. Ma il giorno in cui vi fosse una economia così ben controllata, in cui l’utile di congiuntura sparisce ed è fisso il capitale, il problema della partecipazione agli utili sarebbe già risolto per se stesso.

Premessa necessaria ad ogni attività di controllo su questi centri produttivi, è una revisione contabile delle aziende. Se non si arriva alla tipizzazione della contabilità delle imprese – (ed ormai tutti sanno quanto poco ci si possa fidare dei bilanci, delle relazioni dei sindaci, ecc.) – in modo che il bilancio sia un documento facilmente accessibile ad apposite commissioni ed agli uffici fiscali, si sarà perso il tempo e si sarà fatta un’impalcatura che finirà per rovinare l’industria italiana.

Tutte le forme di controllo possono essere ottimi strumenti, ma senza la chiarezza del bilancio si perderà il tempo e sarà inutile parlarne. Del resto è interessante notare come questa revisione contabile delle aziende, ad opera di appositi collegi pubblici, si sia presentata contemporaneamente in due Paesi che avevano aspirazioni totalmente diverse. Innanzi tutto in Germania, dove il nazismo l’ha sfruttata ai suoi fini, ma dove bisogna riconoscere che ha servito molto bene per attuare una politica di stabilizzazione di prezzi. Si è presentata poi in America, dove non si aveva l’idea di farla servire come strumento politico, ma come strumento di moralità tributaria e fiscale e come strumento di lotta contro il monopolismo.

Ritiene che nella fase attuale – ed attuale non vuol dire di quest’anno o del prossimo, ma di questo ciclo storico in cui viviamo – un controllo esercitato in queste cinque direzioni possa essere sufficiente.

C’è il secondo momento del controllo sociale, in cui non occorre più guardare alla periferia di ciascun centro produttivo, non occorre più chiamare il lavoratore o il consumatore a controllare insieme al fornitore di capitali; ma è il momento in cui si tratta di considerare nel complesso l’attività produttiva nazionale, per coordinarla nello sforzo fatto dalle singole unità e per coordinarla nel mondo. Sorge di qui il problema del commercio internazionale, che ritiene inutile trattare per il momento.

I mezzi naturali di questo coordinamento li vede e li enuncia in ordine inverso a quello seguito nella relazione: anzitutto nell’insieme delle varie disposizioni generali che regolano la vita giuridico-costituzionale del nostro Paese. Quando furono dettate norme sul diritto alla vita, senza volerlo forse, si sono anche determinate certe forme di controllo dell’attività economica; quando si parla, o si parlerà e statuirà qualche cosa circa il problema sindacale, senza volerlo, o volendolo, certamente si stabiliranno anche delle forme di controllo; quando si rivendica alla collettività il dovere di provvedere alla vita di tutta una categoria di cittadini che per età o per stato fisico, o per altri accidenti si trovino nella condizione di non poter provvedere al proprio lavoro ed al sostentamento della propria persona, si stabiliscono forme di controllo.

GIUA chiede con quali organi.

FANFANI, Relatore, chiarisce che si tratta degli organi che saranno previsti dalla attuazione di questo diritto; quindi l’Istituto delle assicurazioni, le mutue e, in genere, tutti gli istituti di assistenza.

Osserva che quando si sente parlare di controllo sociale, molti si insospettiscono, ma in realtà una forma di controllo c’è sempre stata. Gli organi centrali esecutivi o di vigilanza dei Ministeri hanno sempre esercitata una forma di controllo dell’attività economica.

Infine, la costituzione di un Consiglio economico nazionale, al quale già nelle riunioni precedenti si è dato il nome di Consiglio del lavoro – nome poco appropriato, perché può far nascere l’impressione che si limiti ad un settore più che ad un altro – e che, se ci sarà un ordinamento regionale, potrebbe avere delle anticipazioni in consigli economici regionali.

Pensa che si possano avere buone ragioni per non accettare la sua esemplificazione, che però non presenta nulla di tassativo.

Questi consigli sarebbero costituiti dai rappresentanti degli interessi della produzione in seno agli organi collegiali o regionali. Nell’ipotesi che gli organi collegiali siano di formazione mista e quindi nell’interno di questi organi collegiali esistano anche rappresentanti eletti direttamente dai sindacati o dalle associazioni professionali di determinate categorie, si potrebbero costituire con questi elementi, anziché con l’elezione di secondo grado, commissioni speciali aventi lo scopo specifico di esercitare funzioni consultive degli organi esecutivi, funzioni di iniziativa e di controllo rispetto agli organi legislativi, normali funzioni di coordinamento di tutta l’azione pubblica, coordinatrice ed integratrice delle attività economiche, con particolare riguardo al settore del credito. È del parere che nella forma di economia in cui si vive lo strumento certo per predisporre tutte le coordinazioni dell’attività economica sia anche costituito dalla politica del credito e degli investimenti.

Infine, il terzo momento di controllo sociale dell’attività economica potrebbe esercitarsi con prelevamenti fiscali in genere, graduati e diretti allo scopo di finanziare la attività pubblica, di impedire l’azione monopolizzatrice, di evitare accumulazioni di ricchezza, ecc.

Pensa, per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza, che possa essere un mezzo straordinario di riforma sociale quello di far sì che, in occasione del trasferimento di ricchezza a titolo ereditario, si stabilisca una limitazione alla facoltà di testare. Una prima quota della ricchezza andrebbe al bilancio dello Stato – e questo già avviene – una seconda quota di ricchezza resterebbe libera, a disposizione del testatore per i suoi familiari (e qui si può graduare a seconda del numero e dell’età dei familiari). Una terza quota, di cui la disponibilità è lasciata anche al testatore – per incoraggiare il risparmio ed il sacrificio che ha preparato l’eredità – destinata non ad usi individuali, bensì ad usi sociali. Il testatore avrebbe facoltà di distribuire questa ricchezza a favore di opere pubbliche, o di associazioni, o di istituzioni di solidarietà sociale, stabilite dai competenti organi.

La distribuzione sarebbe già prevista entro un certo limite, cosicché chi ne beneficia sarebbe anche la società. Se la società fosse bene organizzata, effettivamente tutta quanta la ricchezza si dovrebbe distribuire in funzione delle capacità, dei meriti e delle necessità. Che una grande quantità di ricchezza si accumuli nelle mani di un individuo può derivare da colpi di fortuna o da speciali virtù risparmiatorie, ma può pensarsi che possa derivare anche da altre ragioni. Si potrebbe stabilire anche che la terza quota, destinata alle opere pubbliche, possa essere destinata ai collaboratori nel campo del lavoro, perché, evidentemente, se in trenta o quarant’anni un individuo ha potuto accumulare una grande ricchezza, in questa destinazione si avrebbe una forma di restituzione ai lavoratori, ai quali questa ricchezza sarebbe stata sottratta.

Non è questo un ritorno al Medio Evo, ma il riconoscimento di un certo spirito correttivo, perché c’è nell’umanità questo tentativo di correggere ogni tanto le deviazioni. Se non si riesce a correggere prima determinate forme della società, si deve arrivare ad un correttivo in seguito.

Infine, limiti speciali di acquisto di beni, specialmente strumentali (terra, impianti), riservati generalmente, entro certi limiti, a tutti, ed oltre certi limiti, al dominio delle collettività minori (comunità professionali, municipio) e maggiori (regioni, Stato).

Afferma che tutte queste cose non è necessario siano inserite nella Costituzione; è certo però, che nella Costituzione uno o più articoli i quali stabiliscano che senza un controllo sociale dell’attività economica non è possibile arrivare a realizzare il benessere di tutti i cittadini, è bene che vi siano. È opportuno considerare che si profilano già delle istituzioni che si possono ritenere permanenti per un cento numero di anni durante il nostro ciclo storico, e tali da essere consacrate nella Costituzione, affinché il legislatore costruisca lo Stato, e l’ordinamento giuridico su questa base, utilizzandole.

Per il resto pensa che forse l’Assemblea Costituente dovrà emanare apposite leggi disciplinatrici dell’attività produttiva: costituzione dell’impresa, costituzione degli organi collegiali e regionali della seconda Camera, regolamento dei casi di socializzazione della impresa e del trasferimento della ricchezza.

Nella relazione ha formulato il seguente articolo che oggi gli pare difettoso soprattutto per ragioni tecniche.

«L’attività economica privata e pubblica è diretta a provvedere ogni cittadino dei beni utili al suo benessere ed alla piena espansione della sua personalità. A tal fine la Repubblica ammette e protegge l’iniziativa privata, armonizzandone gli sviluppi in senso sociale, oltre che con le varie disposizioni generali a protezione del diritto alla vita ed all’espansione della persona, mediante: partecipazione dei lavoratori (ed ove del caso degli utenti) alla gestione, alla proprietà, agli utili delle imprese; la tipizzazione contabile e la pubblica revisione aziendale; l’azione generale di appositi consigli economici, in seno agli organi rappresentativi regionali e alla seconda Camera; il prelievo fiscale; la limitazione all’acquisto e al trasferimento della proprietà, la socializzazione delle imprese non gestibili dai privati con comune vantaggio.»

Riconosce che la materia di questo articolo si trova già distribuita in parecchi degli articoli precedentemente discussi, sicché probabilmente, in sede di coordinamento, se ne potrebbe fare a meno, salvo a lasciare la parte teorica, in cui si enuncia la necessità di questo controllo ed il dovere per lo Stato di provvedervi nelle forme migliori.

Ad ogni modo, dalla discussione potranno derivare formulazioni che siano, se non nella sostanza, diverse nella forma.

GIUA senza entrare in merito alla discussione, pensa che la formulazione dell’articolo debba essere modificata. Prega quindi il Relatore di proporre, nella prossima riunione, un’altra formulazione che tenga conto dell’impostazione teorica dei suoi principî e, nello stesso tempo, abbandoni tutte quelle altre determinazioni che sono già comprese in altri articoli e in parte anche nel lavoro fatto dalla prima Sottocommissione.

FANFANI, Relatore, per non ripetere l’errore commesso di formulare l’articolo senza aver prima sentito quanto era stato deciso nella prima Sottocommissione, prega l’onorevole Giua e gli altri membri di attendere per lo meno fino a quando la discussione in materia sia giunta ad un grado tale di maturazione da suggerirgli gli spunti per una formulazione che risponda all’opinione dei più.

PESENTI ha ascoltato con interesse la relazione dell’onorevole Fanfani ma si chiede a quali conclusioni avrebbe portato questa discussione sulle possibilità di un controllo democratico della produzione. Chiede se il controllo della produzione può avvenire soltanto con un sistema socialista, che tolga cioè la possibilità di investimento ai privati, o con il sistema nel quale noi viviamo, e se può essere un controllo democratico o un controllo autoritario. A suo avviso il nocciolo della tesi del Fanfani è proprio che la produzione non è fine a se stessa, ma serve per la comunità. È questo un punto fondamentale. Poi vi è l’altro che, appunto, la comunità deve controllare perché questi fini siano raggiunti. Questo principio fondamentale è bene che sia affermato nella Carta costituzionale, e potrebbe trovar posto dove si afferma il carattere sociale della proprietà.

Propone che in quella sede si dica: «La produzione (o l’attività economica) deve essere indirizzata a fini sociali e la comunità deve controllare a ché questi fini siano raggiunti.».

PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione.

La seduta termina alle 19.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Merlin Angelina, Molè, Pesenti, Rapelli, Togni.

Assente giustificato: Dominedò.

Assenti: Colitto, Lombardo, Marinaro, Noce Teresa, Paratore, Taviani.

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

28.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di associazione e ordinamento sindacale (Seguito della discussione)

Presidente – Assennato, Relatore – Merlin Angelina – Fanfani – Molè – Canevari – Rapelli, Correlatore – Giua – Colitto – Pesenti.

La seduta comincia alle 10.30.

Seguito della discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

PRESIDENTE riassume brevemente per l’onorevole Assennato, che sostituisce l’onorevole Di Vittorio nelle funzioni di Relatore, la discussione svoltasi nelle ultime riunioni.

ASSENNATO, Relatore, ritiene che il concetto contenuto nell’articolo 1 della relazione dell’onorevole Di Vittorio sia stato trascurato nelle formulazioni adottate. Rileva, innanzi tutto, come sia tradizionale, nella legislazione italiana, il considerare gli stranieri alla stessa stregua dei lavoratori italiani.

PRESIDENTE ricorda che in materia è stata fatta al terzo articolo, approvato dalla Sottocommissione, una aggiunta così formulata: «La Repubblica provvederà con speciali norme alla protezione dei lavoratori e favorirà ogni regolamentazione internazionale diretta a tal fine».

MERLIN ANGELINA non crede che sia la stessa cosa.

FANFANI fa presente che l’affermazione generica: «l’associazione sindacale è libera» va intesa nel senso che di tale libertà godono tutti i lavoratori di qualunque razza e nazionalità, che svolgano attività economica all’interno del Paese.

MOLÈ è del parere che sia sufficiente, allo scopo che si prefigge l’onorevole Di Vittorio, la solenne dichiarazione dei diritti dei lavoratori, senza ripetere ad ogni articolo la medesima affermazione.

PRESIDENTE è dello stesso avviso, ricordando che la prima Sottocommissione ha già approvato un articolo a tale proposito.

ASSENNATO, Relatore, osserva che la Sottocommissione non ha ritenuto di porre l’accento sulla legalità del diritto di associazione e sulla necessità che tale diritto non venga limitato dagli eventuali scopi sociali, religiosi o filosofici che l’associazione alla quale appartiene il lavoratore potrebbe perseguire, oltre quelli economici.

FANFANI pensa che in tal modo si passi dal campo sociale-economico a quello politico, complicando inutilmente le cose.

ASSENNATO, Relatore, aggiunge che non esiste nelle varie formulazioni un riconoscimento del lavoro così esplicito come nella relazione Di Vittorio, dove all’articolo 2 è detto: «Il lavoro è la base fondamentale della vita e dello sviluppo della società nazionale». Una affermazione di tale natura non crede che possa essere ritenuta pleonastica.

FANFANI ricorda che un riconoscimento del lavoro è già contenuto nel primo articolo approvato dalla Sottocommissione.

ASSENNATO, Relatore, non ritiene che nell’argomento in discussione possa omettersi la precisa statuizione che «il lavoro è la base fondamentale della vita e dello sviluppo della società nazionale». Questa affermazione deve costituire, anzi, la premessa e la ragione per cui lo Stato riconosce al sindacato la personalità e gli attribuisce il potere di stipulare contratti collettivi aventi valore giuridico.

In particolare, avendo notato che in una delle formulazioni si afferma che i sindacati hanno soltanto l’obbligo della registrazione presso gli organi del lavoro, fa rilevare che non si può accennare soltanto al fatto materiale della registrazione, senza stabilire che ai sindacati è riconosciuta la personalità giuridica, come è previsto nell’articolo 3 della relazione Di Vittorio, anche se il riconoscimento avrà valore ai soli effetti della stipulazione dei contratti collettivi. È logico, infatti, che i sindacati, per potere avere tale facoltà, debbano essere forniti, quali contraenti, di personalità giuridica.

PRESIDENTE fa presente che nella discussione era prevalso il concetto di demandare alla legge il riconoscimento della personalità giuridica, che eventualmente potrebbe essere anche concesso a tutti gli effetti. Quindi, senza parlare di riconoscimento della personalità giuridica, basterebbe stabilire che i sindacati hanno l’obbligo di registrarsi.

ASSENNATO, Relatore, crede che anche il rappresentante della Confederazione generale del lavoro non desideri un riconoscimento a tutti gli effetti.

MOLÈ ritiene che in materia si debba lasciare una certa latitudine, nel senso che se si costituiranno parecchi sindacati non potrà darsi a tutti lo stesso riconoscimento.

CANEVARI, richiamandosi alla formula presentata dall’onorevole Di Vittorio, circa il riconoscimento dei sindacati come enti con personalità giuridica, osserva che praticamente potrebbe verificarsi l’eventualità di diversi sindacati, i quali, avendo eguale riconoscimento giuridico, potranno tutti avere la facoltà di stipulare contratti collettivi.

ASSENNATO, Relatore, propone la formula seguente: «La legge stabilirà i termini per il riconoscimento giuridico dei sindacati, ai fini della stipulazione di contratti collettivi di lavoro, che dovranno avere efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria».

PRESIDENTE osserva che la personalità giuridica concessa al fine unico della stipulazione dei contratti collettivi di lavoro non sarebbe consona ai principi giuridici.

Preferisce, pertanto, la seguente formula, proposta dall’onorevole Rapelli e modificata durante la discussione, sulla quale la Sottocommissione nella precedente riunione si era trovata prevalentemente d’accordo:

«L’organizzazione sindacale è libera.

«Al fine della stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, che dovranno avere efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria, la legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie di ciascuna e detterà le norme relative».

Con questa formula, si presuppone la personalità giuridica dei sindacati, si sancisce la obbligatorietà dei contratti collettivi per tutti gli appartenenti alla categoria e si rinviano alla legge ordinaria i particolari di applicazione.

Circa il primo comma, si domanda se sia preferibile dire «associazione» oppure «organizzazione».

ASSENNATO, Relatore, preferisce il termine «organizzazione».

RAPELLI, Correlatore, è dello stesso avviso.

FANFANI e MERLIN ANGELINA propongono che si parli di associazioni professionali oltre che di organizzazioni sindacali.

COLITTO è contrario, sembrandogli una ripetizione.

GIUA ricorda che già nella prima Sottocommissione si è definito come libero il diritto di associazione.

PRESIDENTE ritiene che l’espressione «organizzazione sindacale» sia comprensiva anche delle organizzazioni professionali.

Mette ai voti il primo comma, così formulato: «L’organizzazione sindacale è libera».

(È approvato).

Pone quindi in discussione il secondo comma della formula di cui ha dato precedentemente lettura.

COLITTO osserva che non è opportuno limitare l’intervento della legge alla sola indicazione del modo di formazione delle rappresentanze di ciascuna categoria. Tale intervento potrebbe essere indispensabile anche in altri casi, come nella concessione ai sindacati della facoltà di imporre i contributi, necessari per la vita stessa delle associazioni, a tutti gli appartenenti alla categoria. Per questo motivo aveva proposto la formula: «la legge ne determinerà i poteri». Sarebbe perciò spinto a votare contro la proposta dell’onorevole Rapelli, se fosse sicuro che il suo voto apparisse dettato dal desiderio di veder nella Carta costituzionale una norma che rispondesse ad una particolare necessità delle associazioni professionali. Ma, poiché è possibile che venga data al suo voto un’altra interpretazione, ritiene meglio approvare la proposta Rapelli, sicuro che o in sede di coordinazione degli articoli, o in sede di Costituente, la norma sarà resa più idonea a regolare il funzionamento dei sindacati.

Per maggiore precisione, proporrebbe però la seguente dizione:

«Al fine della stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, che dovranno avere efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria, la legge regola la formazione della rappresentanza unitaria degli appartenenti a ciascuna categoria.»

Non ritiene opportuno che sia aggiunta la frase: «detterà le norme relative», in quanto appare inutile se oggetto di tali norme è il regolamento della rappresentanza, vaga ed indeterminata se riferibile ad altro.

PRESIDENTE fa rilevare all’onorevole Colitto che, parlandosi di «norme», in sostanza si vuole che la legge stabilisca una regolamentazione. Eventualmente si potrebbe dire: «stabilirà la regolamentazione relativa ai contratti collettivi di lavoro».

ASSENNATO, Relatore, nota che un dubbio solo può sorgere dalla formulazione dello onorevole Rapelli, cioè che la rappresentanza e il modo della sua formazione siano fissate, in virtù della legge, dall’alto.

RAPELLI, Correlatore, per venire incontro alla preoccupazione dell’onorevole Colitto, aggiungerebbe la seguente espressione: «relativa alla loro nomina e al loro funzionamento».

PRESIDENTE ritiene che se da un lato si vuole impedire che lo Stato emani in questo campo norme di diritto sostanziale, è necessario dall’altro dargli la facoltà di fissare le norme di carattere procedurale. La stessa pluralità sindacale rende necessario l’intervento della legge, che però deve essere circoscritto alla materia procedurale.

ASSENNATO, Relatore, fa presente che all’articolo 3 il Relatore Di Vittorio, nel demandare alla legge le condizioni del riconoscimento dei sindacati, pone come preminente anche la garanzia della loro indipendenza, autonomia e libertà.

Quando invece si dice che la legge regolerà la formazione della rappresentanza unitaria delle varie categorie professionali, non si dà alcuna garanzia ai sindacati circa la loro indipendenza, autonomia e libertà.

MOLÈ non ritiene che possa verificarsi il pericolo a cui ha accennato l’onorevole Assennato. Nota invece una lieve sconcordanza nella formulazione dell’onorevole DI Vittorio, perché mentre si riconosce la personalità giuridica ai sindacati – a cui la legge deve garantire l’autonomia, l’indipendenza e la libertà – non è invece espresso il criterio che debba trattarsi di una rappresentanza unitaria. Se, infatti, si riconosce il sindacato e non si dichiara che deve avere una rappresentanza unitaria, si viene a togliere la possibilità al contratto collettivo di avere valore di legge. Con la formulazione proposta dall’onorevole Rapelli, si prevede invece una rappresentanza unitaria, ma in tal caso verrebbero a cadere, per il fatto stesso di tale unicità, la libertà e l’autonomia dei vari sindacati.

RAPELLI, Correlatore, obietta che la sua formulazione tende a consolidare l’attuale organizzazione unitaria della Confederazione generale del lavoro, dandole il valore di rappresentanza. È chiaro infatti che una rappresentanza unitaria deve avere il consenso di tutti i lavoratori.

PESENTI pensa che la possibilità del riconoscimento e della garanzia dell’autonomia e della libertà debba essere garantita a tutti i sindacati. Una questione differente è quella relativa agli effetti del contratto collettivo di lavoro, nei cui riguardi gli sembra che la dizione proposta non sia molto chiara.

ASSENNATO, Relatore, propone che dopo le parole «la legge» sia fatta la seguente aggiunta: «rispettando l’indipendenza, l’autonomia e la libertà dei sindacati». Bisogna, infatti, che nella Costituzione sia chiaramente affermato che la legge in questo campo dovrà sempre sottostare ai suddetti tre canoni fondamentali.

RAPELLI, Correlatore, dichiara di non aver difficoltà ad accettare l’aggiunta proposta.

PRESIDENTE è del parere che il concetto sia già contenuto nel primo comma, dove si afferma che l’organizzazione sindacale è libera.

MOLÈ non crede che alla legge, che è una volontà sovrana, possano essere imposti tali limiti, senza che subisca una menomazione nella sua stessa essenza. Se si parla di libertà in senso assoluto, già costituisce una violenza lo stabilire l’obbligatorietà del contratto collettivo per tutti gli appartenenti alla stessa categoria, in quanto vi è da parte della minoranza l’obbligo di sottostare ai voleri della maggioranza.

ASSENNATO, Relatore, crede che per procedere con un certo ordine bisognerebbe prima affermare il principio del riconoscimento della personalità dei sindacati, garantendone l’indipendenza, l’autonomia e la libertà. Fatta tale premessa potrà stabilirsi che ai sindacati così riconosciuti è attribuita la facoltà di stipulare contratti collettivi di lavoro, aventi efficacia giuridica per tutti gli appartenenti alla categoria.

COLITTO trova assurdo che si possa, nell’ambito delle categorie, riconoscere una infinità di persone giuridiche, quando poi in definitiva una sola persona giuridica può espletare quello che è il compito fondamentale dell’associazione professionale, cioè la stipulazione dei contratti collettivi.

ASSENNATO, Relatore, ripete che la sua preoccupazione è che lo Stato possa valersi dei suoi poteri per intervenire nell’attività sindacale.

FANFANI è del parere che con l’affermazione, di cui al primo comma, sia già chiaramente stabilito il principio della libertà di organizzazione sindacale. Pretendere che la legge non possa intervenire nell’attività sindacale, significherebbe arrivare allo sgretolamento dello stesso Stato.

GIUA non comprende quale risultato voglia raggiungere l’onorevole Assennato con la sua formulazione, in quanto, secondo lo spirito dell’articolo 3 della relazione Di Vittorio, la non ingerenza dello Stato dovrebbe riferirsi anche ai sindacati dei datori di lavoro.

ASSENNATO, Relatore, risponde che il primo risultato dovrebbe essere quello che nessun Ministro dell’interno potesse nominare un commissario in un sindacato.

PRESIDENTE pone in rilievo che tutte le associazioni sia politiche, sia culturali che di altro genere, sono soggette alla legge di pubblica sicurezza, pur essendo perfettamente libere.

FANFANI riconosce fondata la preoccupazione dell’onorevole Assennato che dal Governo possa essere stabilito un criterio di formazione per la determinazione delle rappresentanze unitarie di categoria, contrariamente a quella che potrebbe essere la volontà dei sindacati.

Per ovviare, almeno in parte, a questo pericolo, propone la seguente formulazione: «La legge determinerà i modi secondo i quali i sindacati esistenti concorreranno alla costituzione delle rappresentanze unitarie di categoria, ecc.».

In tal modo si vincola la legge, nel senso che questa deve tener conto che la rappresentanza scaturisce dal sindacato.

ASSENNATO, Relatore, per non correre il rischio di arrivare alla formulazione di articoli improvvisati e per potere trovare una dizione che appaghi tutte le esigenze, prega di rinviare al pomeriggio l’ulteriore discussione.

CANEVARI è del parere di lasciare alla legge la più ampia libertà di provvedere in materia, a seconda delle condizioni dei tempi e a seconda dello sviluppo dei sindacati. Poiché crede fermamente all’efficacia, alla bontà e all’utilità di un sindacato libero, ma unico, che abbia la funzione di stipulare i contratti collettivi, non può accettare nessuna modifica che limiti la possibilità alla legge di intervenire e provvedere a seconda delle necessità del momento.

FANFANI osserva che la sua formula non pone alcuna limitazione alla legge, ma solo mira ad ovviare al pericolo che lo Stato possa determinare le rappresentanze di categorie, indipendentemente dai sindacati. D’altra parte non ritiene che con la formula «rappresentanza unitaria di categoria» si possa arrivare ad un sindacato unico e libero.

RAPELLI, Correlatore, pensa che non si tenga sufficientemente conto della dinamica sindacale, che porta fatalmente alla rappresentanza unitaria.

PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione al pomeriggio.

La seduta termina alle 12.25.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Colitto, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Molè, Pesenti, Rapelli.

Erano assenti: Lombardo, Noce Teresa, Paratore, Taviani, Togni.

In congedo: Dominedò.

LUNEDÌ 14 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

27.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 14 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di associazione c ordinamento sindacale (Seguito della discussione)

Colitto – Marinaro – Presidente – Giua – Pesenti – Canevari – Molè – Rapelli, Correlatore.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

COLITTO dichiara che intende apportare alcune modifiche formali all’articolo da lui proposto. Tale articolo dovrebbe essere, a suo avviso, così formulato: «L’associazione professionale è libera. La legge ne determina i poteri. Il contratto collettivo di lavoro ha efficacia di legge».

MARINARO ritiene che dovrebbe risultare ben chiaro dalla discussione precedentemente svoltasi che nessuna situazione di preminenza si riconosce alle associazioni dei lavoratori rispetto a quelle dei datori di lavoro.

Gli interessi della classe lavoratrice non hanno un fine egoistico; in linea di massima coincidono con quelli generali della Nazione, e se si concretano nel maggiore sviluppo della economia nazionale e nell’incessante aumento della produzione e in un maggiore arricchimento del Paese, è evidente che questi sono anche interessi dei datori di lavoro.

L’aver riconosciuto il diritto di proprietà a cui è inscindibilmente connessa la libertà di privata iniziativa, fa sì che il concetto di produzione e di produttore abbracci indistintamente datori di lavoro e lavoratori. Infine, il concetto di preminenza, anche se non esplicitamente enunciato, in luogo di quello di parità o pariteticità, che dovrebbe invece chiaramente risultare, sarebbe in contrasto con la base democratica del nuovo Stato, sia che la rappresentanza degli interessi debba svolgersi ed agire sul terreno della collaborazione, sia su quello della lotta di classe.

Quanto al nuovo ordinamento sindacale (minute precisazioni sulla natura e funzione del sindacato, registrazione delle associazioni professionali, istituzione di un Consiglio nazionale del lavoro, contratto collettivo, ecc.), non gli sembra opportuno scendere a norme dettagliate, che debbono essere invece rinviate alla legge speciale. Pertanto, tenute presenti le proposte dei Relatori Di Vittorio e Rapelli, propone che, in sostituzione dell’ultimo comma dell’articolo 2, dell’intero articolo 3 e dell’intero articolo 5 di cui alla relazione Di Vittorio, sia inserita nella Costituzione la seguente norma:

«Alle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, quali organi di auto-difesa e di tutela dei diritti ed interessi economici, professionali e morali delle categorie per cui sono costituite, è garantita l’indipendenza, l’autonomia e la libertà nello svolgimento della loro attività, secondo le norme che saranno fissate dalla legge.

«Le suddette associazioni saranno in particolare chiamate a partecipare pariteticamente con i propri rappresentanti in tutti gli organi, enti e istituti a carattere consultivo e deliberativo che abbiano attinenza con gli interessi della produzione nazionale dal punto di vista sindacale, sociale ed economico».

PRESIDENTE fa rilevare all’onorevole Marinaro che, mentre dice essere suo intendimento di non voler scendere a troppi particolari e di attenersi ad una enunciazione generica, nell’ultima parte delle sue dichiarazioni le specificazioni sono numerose.

Per quanto riguarda la prima parte della sua dichiarazione, quella cioè relativa alla preminenza o meno da darsi ai sindacati dei lavoratori in confronto a quelli dei datori di lavoro – della quale gli sarà dato atto in verbale – osserva che questa enunciazione, che indubbiamente ricorre nella relazione Di Vittorio, non si ritrova nella articolazione proposta e quindi non è necessario che formi oggetto di discussione.

MARINARO riconosce esatto quanto ha detto il Presidente, ma tutta la relazione dell’onorevole Di Vittorio è informata a questo concetto della prevalenza dei sindacati dei lavoratori su quelli dei datori di lavoro, ed è lo spirito della relazione che detta la norma. Ma sta di fatto che anche nell’articolazione è racchiuso implicitamente questo concetto, perché all’ultimo comma dell’articolo 2 si dice che i sindacati dei lavoratori sono organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici professionali e morali, ecc., e si parla esclusivamente dei lavoratori.

PRESIDENTE osserva che la Sottocommissione, per quanto riguarda l’azione sindacale, si è limitata ad approvare un articolo. È stato poi stabilito che un altro articolo riguardi i contratti collettivi di lavoro. Tutto il resto dell’articolazione dell’onorevole Di Vittorio cade, perché è trasfuso in questi due articoli. Quindi la questione della preminenza non c’è più. Se è poi vero che l’onorevole Di Vittorio, dice che deve darsi la preminenza ai sindacati dei lavoratori, è anche vero non essere ingiusta siffatta pretesa, perché i proprietari, per il fatto stesso che sono proprietari, hanno già una loro preminenza.

MARINARO su questo punto desidera che si pronunci la Commissione.

GIUA osserva che il Presidente, preoccupato di evitare una discussione sopra questo argomento, ha cercato di dare una risposta evasiva all’onorevole Marinaro. Ma le dichiarazioni dell’onorevole Marinaro sono gravissime, rispetto alla Costituzione dell’Italia repubblicana, perché non rientrano nello spirito di questa Costituzione, e ne sono anzi la negazione. Comprende che, da un punto di vista astratto, oggi che non siamo in regime socialista, ci si possa mettere anche dal punto di vista della difesa degli interessi dei proprietari e soprattutto delle classi cosiddette produttrici, ed insiste sul «cosiddette» perché la storia ha dimostrato che queste classi non sono state produttrici altro che nel senso economico, non nel senso di giustizia, come si deve intendere nella nuova Costituzione. Difendere le classi produttrici in senso astratto significa tornare indietro di quasi un secolo e annullare lo sforzo fatto dalle classi lavoratrici per inserirsi nel quadro politico della vita della Nazione e per acquistare quel posto che oggi la nuova Costituzione dovrà fissare.

Il problema delle organizzazioni sindacali è un problema storico che non può essere valutato in altra maniera che ponendosi dal lato della difesa di queste classi, appunto perché le classi produttrici hanno mancato al loro scopo. Queste, nel periodo fascista, hanno difeso gli interessi di alcuni gruppi che, cercando di speculare sul potere dello Stato che avevano in mano, hanno trascinato le classi lavoratrici in uno stato di disagio tale che rasentava quasi lo stato di schiavitù.

Non ritiene accettabili oggi le affermazioni dell’onorevole Marinaro perché non abbiamo in Italia classi produttrici sane e, quindi, classi lavoratrici sane; le classi produttrici non sono tali da poter essere riconosciute giuridicamente; e, quando le classi lavoratrici chiedono il riconoscimento della loro organizzazione, lo fanno non perché vogliano mettersi alla pari delle classi produttrici, cioè delle classi capitaliste, ma perché vogliono sostituire queste classi che hanno mancato allo scopo. Ecco perché nella Costituzione si chiede una riforma agraria, una riforma industriale che siano un avvio verso l’inserimento delle classi lavoratrici nei fattori produttivi, per giungere all’annullamento più o meno completo della classe capitalista e alla formazione delle nuove classi che usciranno dalle organizzazioni sindacali.

Pensa che se si accettasse lo spirito che ha dettato la dichiarazione dell’onorevole Marinaro, si andrebbe contro il progresso, e poiché egli è per il progresso e vuole che questa ascesa delle classi lavoratrici non sia un’ascesa di un colpo di forza, ma un’ascesa che dimostri a tutto il popolo italiano che le classi lavoratrici intendono dirigere la produzione, prega i colleghi di fare una esplicita dichiarazione che sia la negazione di quella fatta dall’onorevole Marinaro.

PESENTI fa notare che la sua appartenenza al partito comunista è già un indice chiaro del suo pensiero; farà, perciò, soltanto una brevissima dichiarazione. Nella relazione Di Vittorio l’affermazione che le classi lavoratrici debbono avere un posto preminente e che le organizzazioni di categoria o professionali dei datori di lavoro non hanno bisogno di difesa giuridica, gli pare evidente. È quindi pienamente favorevole alla tesi dell’onorevole Di Vittorio, confermata dall’onorevole Giua.

COLITTO pensa che l’onorevole Giua si sia lasciato trascinare dalla sua ideologia fuori del tema di cui la Commissione si sta occupando. Il tema è quello della organizzazione sindacale. Ora, quando si è d’accordo nel riconoscere l’istituto del contratto collettivo di lavoro, non si può non mettere sullo stesso piano, per lo meno nel campo del lavoro, le associazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro. Se si affermasse che nella legislazione italiana esiste il contratto collettivo di lavoro e, d’altra parte, si dichiarasse che le associazioni dei lavoratori hanno nel campo del lavoro una preminenza nei confronti delle associazioni dei datori di lavoro, si distruggerebbe con tale enunciato la esistenza di quell’istituto giuridico che è il contratto collettivo di lavoro.

Per quanto si riferisce alla formulazione dell’articolo fatta dall’onorevole Marinaro, ritiene che, quando si afferma che l’associazione professionale è libera, si dice che possono costituirsi associazioni di lavoratori e di datori di lavoro e si dice anche che l’associazione è indipendente e autonoma.

CANEVARI ritiene oziosa la presente discussione. Si domanda se c’è bisogno, per fare il contratto collettivo con la Fiat, che ci sia in un sindacato la rappresentanza della Fiat. La Fiat occupa diecine di migliaia di operai.

Di questi c’è una parte che rappresenta la maggioranza o che rappresenta un sindacato che ha le caratteristiche per fare il contratto di lavoro, ed è questo sindacato, in rappresentanza di diecine di migliaia di operai, che stabilisce un contratto e quel contratto è un contratto collettivo, perché interessa la collettività dei lavoratori che lavorano nella Fiat.

Quando si dice: «L’associazione per la tutela degli interessi economici, professionali e sindacali è libera» si intendono tutte le associazioni, quelle operaie e quelle dei datori di lavoro. Non si dice che il contratto collettivo deve essere fatto esclusivamente dai sindacati di operai. Nella dizione proposta dall’onorevole Rapelli è detto: «Apposita legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali per la stipulazione dei contratti di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti delle categorie stesse», e non si esclude che vi partecipino eventuali sindacati di datori di lavoro.

Conclude dichiarando di ritirare il suo articolo, per quanto si riferisce a questa parte, e di associarsi alla proposta Rapelli, perché la trova semplice, chiara e tale da concludere la discussione.

COLITTO rileva che l’onorevole Canevari ha un’idea del contratto collettivo di lavoro tutta personale. Quello di cui ha parlato non è contratto collettivo, ma contratto individuale, anche se stipulato da due collettività.

MOLÈ si chiede se la discussione sia opportuna o se sia oziosa. Per suo conto riconosce la preminenza del lavoro e riconosce i diritti degli altri, in quanto possono sorgere delle possibilità di conciliazione di interessi.

La necessità di affermare questa pariteticità può sorgere nel momento in cui la lotta fra i due interessi debba essere risoluta con l’intervento di un’altra autorità, che è lo Stato; ed allora occorre preoccuparsi di stabilire come deve essere costituito l’organo chiamato a dare la sentenza. Quindi la discussione si potrà fare quando si dovrà determinare in che maniera debbono essere risolti questi contrasti.

PESENTI rileva che la discussione di carattere interpretativo politico è stata sollevata dall’onorevole Marinaro. In essa era necessario intervenire perché, se è vero che la formulazione è molto ampia, sta di fatto che poi, nell’interpretazione, si terrà conto di quanto è stato detto in questa occasione.

Pensa, come l’onorevole Giua, che la Carta costituzionale debba avere un’impronta di difesa della grande maggioranza; ma questo non appare nella formulazione quando si parla dell’associazione sindacale libera, oppure quando si dice che la legge determinerà come si forma il contratto collettivo. Appariva invece nell’articolo 2 dell’onorevole Di Vittorio, in cui si dichiarava che queste associazioni di lavoratori erano enti di interesse collettivo. Era un’espressione che non aveva nessun significato giuridico, ma costituiva un’affermazione degli interessi preminenti che avevano queste organizzazioni dei lavoratori. Perciò, per evitare ogni questione di principio e per fare una formulazione giuridica, si sopprima pure l’affermazione contenuta nell’articolo 2 dell’onorevole Di Vittorio, ma una volta sollevata la questione, occorre affermare nella Carta costituzionale l’importanza di queste associazioni di lavoratori. E se la preminenza dei sindacati dei lavoratori non è affermata giuridicamente parlando del contratto collettivo di lavoro potrà essere stabilita quando si tratterà della formazione del Consiglio nazionale del lavoro.

RAPELLI, Correlatore, nota che nessuno contesta all’imprenditore il diritto di associazione. È chiaro che nella contrattazione collettiva vi sono due parti contrapposte; perciò nella sua formulazione è sottinteso che vi sarà una rappresentanza dei lavoratori ed una rappresentanza di datori di opera. L’orientamento che, più che dagli articoli, traspare dalla relazione Di Vittorio è rivolto ad un criterio di solidarietà la più ampia possibilile, con una preminenza soprattutto sociale del lavoro. Spiega che con ciò non si vuole la diminutio capitis di determinati interessi; il contratto collettivo di lavoro è concepito come una fase di trasformazione verso il contratto di società. Se fosse possibile giungere ai contratti di impresa si rafforzerebbe il criterio di solidarietà.

MARINARO afferma che, poiché nella relazione Di Vittorio si imposta il problema sindacale prevalentemente sul terreno della produzione e del maggiore sviluppo dell’economia nazionale, gli è parso evidente che, siccome la produzione e lo sviluppo dell’economia nazionale interessano in eguale misura lavoratori e datori di lavoro, fosse necessario stabilire una pariteticità delle rappresentanze delle une e delle altre associazioni.

Le dichiarazioni degli onorevoli Giua, Molè e Pesenti trasportano il problema nel campo politico, ammettendo che debba esservi una preminenza delle associazioni dei lavoratori, mentre il problema va esaminato e risolto esclusivamente dal punto di vista economico; perciò insiste nel chiedere che sia affermato fin d’ora il principio della pariteticità.

PRESIDENTE, poiché, come accennava l’onorevole Pesenti, la discussione può influire sulla interpretazione della Carta costituzionale, riconosce l’opportunità che ognuno esprima la sua opinione.

Aderisce ai concetti espressi dall’onorevole Giua, perché il lavoro è la base della organizzazione della società moderna. Si dichiara contrario a fare un’affermazione precisa di pariteticità, perché, avendo demandato alla legge di determinare le modalità della formazione delle rappresentanze unitarie, sarà la legge a decidere anche sulla pariteticità.

Dichiara di rinunciare all’articolo da lui proposto e dà lettura di quelli degli onorevoli Colitto, Rapelli e Marinaro.

L’onorevole Colitto propone:

«L’associazione sindacale è libera. La legge ne determina i poteri. Il contratto collettivo di lavoro ha efficacia di legge».

L’onorevole Rapelli propone:

«L’associazione sindacale è libera. Per la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, che dovranno avere efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla stessa categoria, la legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali e detterà le norme relative».

L’onorevole Marinaro propone:

«Alle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, quali organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori per cui sono costituite, è garantita l’indipendenza, l’autonomia e la libertà nello svolgimento della loro attività, secondo le norme che saranno fissate dalla legge.

«Le suddette associazioni saranno in particolare chiamate a partecipare pariteticamente, con propri rappresentanti, in tutti gli organi, enti e istituti a carattere consultivo e deliberativo che abbiano attinenza con gli interessi della produzione nazionale dal punto di vista sindacale, sociale ed economico».

Dichiara che voterà la proposta Rapelli perché, pur concordando in sostanza con quella dell’onorevole Colitto, gli sembra più intonata al sistema finora seguito, essendo meno schematica e lasciando piena libertà alla legge di stabilire le norme.

CANEVARI dichiara che voterà la proposta Rapelli, la quale, pur demandando alla legislazione ordinaria la determinazione dei poteri dei sindacati, contempla fin d’ora quello di rappresentanza della categoria e quindi della stipulazione dei contratti collettivi.

PESENTI, per una mozione d’ordine, osserva che non si possono mettere in votazione i tre articoli proposti, dei quali il Presidente ha dato lettura, perché manca l’onorevole Assennato, Relatore in sostituzione dell’onorevole Di Vittorio.

Comunque, fra i tre articoli proposti, preferisce quello dell’onorevole Rapelli per le considerazioni accennate dall’onorevole Canevari.

PRESIDENTE riconosce l’opportunità di rimandare la votazione a quando sarà presente il Relatore.

COLITTO dichiara che non può votare favorevolmente all’articolo proposto dall’onorevole Rapelli, perché, pur essendo d’accordo con lui circa la sostanza, gli sembra che esso restringa troppo l’intervento della legge in danno delle associazioni sindacali.

MOLÈ dichiara di essere contrario, perché la legge può stabilire l’unicità dei sindacati o il sindacato plurimo, ma non può limitare i poteri del sindacato nella esplicazione della sua azione economico-sociale.

PRESIDENTE rinvia in seguito della discussione.

La seduta termina alle 18.30.

Erano presenti: Canevari, Colitto, Ghidini, Giua, Marinaro, Molè, Pesenti, Rapelli.

Assenti giustificati: Assennato, Dominedò.

Assenti: Fanfani, Federici Maria, Lombardo, Merlin Angelina, Noce Teresa, Paratore, Taviani, Togni.

SABATO 12 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

26.

RESOCONTO SOMMARIO

DELIA SEDUTA DI SABATO 12 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di associazione e ordinamento sindacale (Seguito della discussione)

Giua – Molè – Rapelli, Correlatore – Colitto – Pesenti – Presidente – Fanfani – Canevari.

La seduta comincia alle 10.20.

Seguito della discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

GIUA, dopo aver ricordato che nella riunione precedente sostenne la opportunità di demandare la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro alla Confederazione generale del lavoro, dichiara di aver modificato il suo punto di vista e di ritenere più idoneo allo scopo il Consiglio nazionale del lavoro, di cui vede proposta la creazione e il riconoscimento giuridico, negli articoli 5 del progetto Di Vittorio e 4 del progetto Rapelli.

Soggiunge che non si tratterebbe, in fondo, di una innovazione, ma di ridare vita ad un organismo che preesisteva al fascismo e che assumerebbe il carattere di organo statale riconosciuto, con funzioni giuridiche. Esso potrebbe altresì nominare delle Commissioni prendendo dai sindacati liberi quei rappresentanti che formerebbero il collegio giudicante. La sua proposta trova giustificazione anche nel fatto che la stipulazione dei contratti collettivi non potrebbe essere demandata ai sindacati riconosciuti – come vorrebbe l’onorevole Di Vittorio – senza correre il rischio di ingenerare confusione e contrasti di interessi, data la molteplicità dei sindacati stessi.

MOLÈ obietta che prima di affidare funzioni di una tale delicatezza ad un organo bisognerebbe sapere come è costituito e che cosa rappresenta.

RAPELLI, Correlatore, aderisce alla proposta dell’onorevole Giua, che non trova contrastante con quella che personalmente ha fatto, di lasciare alla legge il compito di disciplinare la formazione delle rappresentanze unitarie e delle varie categorie professionali e dettare le norme per la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie stesse.

Il Consiglio nazionale del lavoro e i Consigli locali del lavoro (provinciali se si mantiene la provincia, regionali in caso contrario) potrebbero agevolmente assumere la rappresentanza unitaria delle categorie professionali. Il punto fondamentale, e che presenta maggiori difficoltà, è quello della composizione e quindi della proporzione tra le varie categorie professionali. Nota, in proposito, che secondo il sistema corporativo fascista, gli organi sindacali erano costituiti col criterio della pariteticità – tanti datori di lavoro e tanti lavoratori – mentre attualmente si sostiene il criterio della prevalenza nella rappresentanza dei lavoratori.

COLITTO, riportandosi alle sue dichiarazioni della seduta precedente, torna a rilevare che, a suo avviso, la Costituzione deve affermare il principio della libertà sindacale, allontanandosi così dalla opinione di quegli organizzatori e studiosi, che tendono, invece, ad una forma di sindacato obbligatorio o ad iscrizione obbligatoria, inteso come servizio pubblico di carattere generale. A questo ordine di idee si ispira la prima parte dell’articolo che ha proposto: «L’associazione professionale è libera». La formula è così lata che ben può, attraverso ad essa, dirsi riconosciuto il diritto di appartenere ad organizzazioni sindacali a tutti i lavoratori, anche se dipendenti dallo Stato e dagli altri enti pubblici, innovandosi così al sistema in vigore nel passato regime.

Volendolo, del resto, la Costituzione potrebbe affermare tale diritto esplicitamente, aggiungendo al primo comma proposto le seguenti parole: «È riconosciuto a tutti i lavoratori, anche se dipendenti dallo Stato e dagli altri enti pubblici, il diritto di appartenere ad organizzazioni sindacali». Aggiunge che, affermato il principio della libertà sindacale, la Costituente può affrontare e risolvere i problemi che in materia di solito vengono formulati, o rimandarne la soluzione alla legislazione. Si tratterebbe, come è noto:

  1. a) di definire i rapporti tra le associazioni professionali ed i partiti politici, riconoscendo o meno che esse agiscono in posizione di indipendenza di fronte a questi, per quanto la realtà ammonisca che, nonostante ogni sforzo, l’indesiderata interferenza di natura politica, tenuta fuori ufficialmente dalla porta, trova sempre modo di rientrare dalla finestra;
  2. b) di precisare i rapporti tra le associazioni professionali e lo Stato, ritenendosi da alcuni necessario il riconoscimento giuridico di tali associazioni, data la necessità che sia data esecutività obbligatoria alle convenzioni collettive e che le associazioni nominino direttamente i propri rappresentanti negli istituti e negli enti che interessano i lavoratori in quanto tali e vedendosi da parte delle associazioni padronali nel riconoscimento stesso un controllo ed un freno all’attività sindacale operaia e da altri considerandosi inutile o, peggio, dannoso, temendosi, con una eccessiva inframmettenza dello Stato, limitazioni della libertà delle organizzazioni sindacali ed il soffocamento del dinamismo proprio di una libera e naturale associazione dal meccanicismo di una inevitabile burocrazia;
  3. c) di fissare il criterio da adottarsi per il riconoscimento giuridico delle associazioni professionali, introducendosi o meno nella vita sindacale la formula «pluralità nell’unità»;
  4. d) di precisare a quale associazione dovrebbe essere riconosciuta la potestà di stipulare contratti collettivi ed il campo di efficacia di questi nel tempo, nello spazio e relativamente allo persone;
  5. e) di indicare chi sia competente ad emanare regolamenti collettivi nel caso in cui manchino associazioni professionali rappresentative;
  6. f) di stabilire se i contributi sindacali debbano essere obbligatori o volontari od in parte obbligatori ed in parte volontari;
  7. g) di regolare l’intervento dello Stato nel campo del lavoro, auspicandosi da molti la fusione degli attuali ispettorati del lavoro e uffici del lavoro in un nuovo organo, il cui compito principale dovrebbe essere quello di far applicare la legislazione del lavoro, senza mai entrare nel campo propriamente sindacale.

Personalmente ritiene opportuno lasciare alla legislazione la soluzione di tali problemi, e rileva che la proposta Rapelli ne risolverebbe qualcuno e lascerebbe del tutto insoluti gli altri. Perciò suggerisce la formula: «La legislazione determinerà i poteri della associazione professionale», che è tale, a suo avviso, da comprendere esplicitamente ed implicitamente le questioni di cui ha fatto cenno.

Considera altresì opportuno che sia precisato fin da ora il campo di efficacia giuridica delle contrattazioni collettive. Di qui l’ultima parte del suo articolo.

Non comprende come si possa demandare al Consiglio nazionale del lavoro la formazione di contratti di lavoro, perché il contratto collettivo presuppone l’esistenza di due parti in contrasto e non sarebbe più un contratto, quando venisse fuori da un collegio.

GIUA obietta che nel Consiglio nazionale del lavoro sono i rappresentanti delle due parti, e comunque l’importante è che il contratto collettivo abbia valore di legge.

COLITTO replica che il contratto collettivo ha una configurazione tecnico-giuridica precisa, per cui non può essere fatto da un collegio, il quale potrebbe, se mai, emanare delle norme.

PESENTI concorda con l’onorevole Colitto che, mentre il contratto collettivo è il risultato di un accordo fra due parti in contrasto, il deliberato del Consiglio nazionale del lavoro – organo al di sopra delle parti – avrebbe il carattere di norma giuridica.

MOLÈ dissente, ritenendo che conservi la natura di contratto per la sua origine e la materia che disciplina. Conviene altresì con l’onorevole Giua che la cosa che più interessa è che abbia valore nei confronti di tutti.

GIUA precisa che, il fatto stesso che si è usata la denominazione «contratto collettivo», sta ad indicare che in fondo non si ha un contratto vero e proprio, nel senso di accordo fra le parti, ma una norma giuridica obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie interessate. Ripete che, d’altro canto, nulla vieta che il Consiglio nazionale del lavoro nomini, per la stipula, delle Commissioni paritetiche con l’inclusione del rappresentante del Governo.

COLITTO richiama l’attenzione dell’onorevole Giua sul fatto che la differenza tra contratto individuale e contratto collettivo è nell’oggetto, in quanto il primo regola un rapporto in atto e il secondo un rapporto futuro, se ed in quanto avrà vita. Insiste che è inconcepibile che si possa parlare di contratto collettivo senza l’esistenza di due parti contrapposte e nel Consiglio nazionale del lavoro vi possono essere i rappresentanti di due categorie contrapposte, ma non due parti. Cita l’esempio della magistratura del lavoro, in cui si hanno i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori unitamente ad un magistrato di carriera, e la magistratura dà vita collegialmente ad un pronunziato che potrà avere tutte le denominazioni possibili, ma non quella di contratto.

Rileva altresì che, quando si dice che il contratto collettivo ha valore di norma giuridica, si afferma una cosa esatta, ma non si dice niente di nuovo. Infatti anche il contratto individuale è una norma giuridica, considerato che tale espressione significa regola di condotta.

GIUA pone in rilievo che la sua proposta si fonda sulla preoccupazione che possa nascere confusione, una volta ammesso il sindacato plurimo, circa la competenza di un sindacato piuttosto che un altro a stipulare il contratto collettivo.

COLITTO in proposito rileva che secondo alcuni la competenza sarebbe delle associazioni più numerose, secondo altri sempre delle associazioni più numerose con rappresentanza delle minoranze, mentre altri ancora pongono il quesito se le associazioni più numerose debbano essere tenute presenti in limine, oppure ogni volta che si stipulano i contratti collettivi.

Comunque, a suo avviso, è questa una materia la cui regolamentazione potrà essere riservata alle leggi e, per quel che riguarda la Costituzione, è sufficiente l’affermazione che alla legislazione ordinaria è demandato di precisare i compiti e i poteri (che non sono soltanto quello della stipulazione dei contratti collettivi, ma anche fiscali, di collocamento, ecc.) delle associazioni professionali.

PESENTI riafferma che non si può dare ad un organismo statale il compito di fare contratti collettivi, senza snaturarli.

PRESIDENTE si associa. Perché fosse conservata la natura contrattuale, occorrerebbe che il Consiglio nazionale del lavoro fosse composto soltanto da rappresentanze paritetiche delle due parti, senza alcun elemento estraneo. In ogni altra ipotesi, non di un contratto si dovrebbe parlare, ma di una legge.

MOLÈ rileva che il problema non è di forma, ma di sostanza.

Ammessa la rappresentanza paritetica nel Consiglio nazionale del lavoro, la decisione sarebbe nelle mani del rappresentante del Governo, il quale solo potrebbe fare maggioranza. Quindi l’intervento di un organo dello Stato sarebbe decisivo. Ora si tratta di vedere se si vuol la libertà sindacale vera e propria o se si preferisce l’intervento statale.

FANFANI invita a tener presente che si è concordata l’introduzione nella Costituzione di una norma nella quale si consacra il diritto di libera associazione sindacale. Questa libertà sarebbe soltanto teorica se nella funzione sindacale più importante si ammettesse la sovrapposizione di un intervento statale.

GIUA pensa che il Consiglio nazionale del lavoro dovrebbe essere istituito soprattutto in previsione della nazionalizzazione dei grandi complessi industriali. Si domanda come si regolerebbero, ad esempio, i rapporti di lavoro con i chimici della Montecatini se questa venisse nazionalizzata. Lo Stato potrebbe intervenire o no?

COLITTO osserva che lo Stato può intervenire sempre che vuole, in materia di lavoro, mediante le leggi. Questo però non significa che debba normalmente intervenire nella stipulazione dei contratti di lavoro.

PESENTI precisa che nella ipotesi prospettata dall’onorevole Giua il contratto collettivo di lavoro verrebbe stipulato dal Consiglio di amministrazione della Montecatini, ancorché nazionalizzata; a meno che per nazionalizzazione non si intenda una vera e propria statizzazione sul tipo delle aziende dei monopoli di Stato. La funzione del Consiglio nazionale potrebbe rimanere quella di intervenire come prima istanza, in caso di controversie, per tentare un risolvimento pacifico, restando in ogni caso aperto – trattandosi di diritti soggettivi – l’adito alla magistratura.

RAPELLI, Correlatore, esprime l’avviso che, ammettendo l’intervento del Consiglio nazionale del lavoro nella regolamentazione dei rapporti di lavoro, si ottenga il duplice vantaggio di una sede certa per le contrattazioni e della rappresentanza unitaria e legale delle varie categorie professionali. Si tratta di scegliere fra libertà sindacale assoluta e sindacato unico riconosciuto. La libertà sindacale ha i suoi svantaggi. Ad esempio, potrebbero verificarsi situazioni secessionistiche in seno ai sindacati; una agitazione fallita potrebbe determinare l’esodo in massa degli iscritti da un sindacato ad un altro. Quando vi sia invece un organo legale permanente che sovraintenda alle discussioni fra le parti e legittimi il contratto stipulato, la cosa è diversa. Il contratto intanto diverrebbe norma inderogabile.

CANEVARI dubita che la discussione possa divenire più aderente alla realtà e dare risultati concreti finché non si abbiano idee chiare sui sindacati.

Ricorda che nella riunione precedente si affermò il principio della libertà di associazione professionale e quindi – venutosi a parlare del contratto collettivo – espresse il suo personale avviso che esso, per poter avere efficacia vincolativa erga omnes, dovesse essere stipulato da un sindacato unico, in rappresentanza degli interessi di una determinata categoria, e dai rappresentanti dei datori di lavoro.

Passando alla proposta in esame, dichiara di concordare sulla opportunità di ricostituire il Consiglio nazionale del lavoro e, ricordandone il funzionamento passato, sottolinea il fatto che in esso non erano rappresentati i sindacati di scarsa importanza, ma solo quelli inquadrati nella Confederazione generale del lavoro. Ricostituendo tale Consiglio gli si dovrebbe affidare non soltanto il compito di legiferare o di fare proposte di legge in materia sociale, ma anche di discutere i problemi del lavoro e stipulare i contratti collettivi. Sarebbe altresì l’organo più idoneo per il riconoscimento dei sindacati qualificati per la rappresentanza di determinate categorie. Le sue decisioni dovrebbero essere bene accette e riconosciute da tutti, in quanto emesse da un organismo composto dalla rappresentanza proporzionale dei lavoratori e dei datori di lavoro e al di sopra di ogni tendenza politica. Per queste considerazioni e per la premessa che, al fine di non rompere la tanto auspicata e finalmente raggiunta unità sindacale, è da caldeggiare il riconoscimento del sindacato unico e libero, propone i seguenti due articoli:

«Art. 1. – L’associazione per la tutela degli interessi economici, professionali e sindacali, è libera».

«Art. 2. – La legge provvederà al riconoscimento dei sindacati professionali, ai quali è attribuito il compito di stipulare contratti collettivi di lavoro, aventi efficacia giuridica per tutti gli appartenenti alla categoria, alla quale ogni contratto si riferisce.

«Per legge sarà costituito il Consiglio nazionale del lavoro, nel quale saranno proporzionalmente rappresentate, con il Governo, le forze produttive della Nazione, per la regolamentazione dei sindacati professionali, il loro riconoscimento, l’eventuale stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, la elaborazione della legislazione sociale adeguata ai bisogni dei lavoratori, nell’interesse generale, e la sua applicazione».

PRESIDENTE nota che la parola «eventuale» non indica con chiarezza in quali casi sarebbe demandata al Consiglio nazionale la regolamentazione delle condizioni di lavoro. Forse l’onorevole Canevari vorrebbe che si lasciasse in un primo momento libertà ai sindacati di contrattare tra di loro, ma in tal caso occorrerebbe specificare, ad evitare conflitti di competenza, quando si verifica l’eventualità dell’intervento del Consiglio.

GIUA considera il capoverso del secondo articolo dell’onorevole Canevari una formulazione peggiorata dell’articolo 5 dell’onorevole Di Vittorio, che legge:

«Ai sindacati professionali è riconosciuto il diritto di contribuire direttamente alla elaborazione di una legislazione sociale adeguata ai bisogni dei lavoratori – e a controllarne l’applicazione – mediante la costituzione di un Consiglio nazionale del lavoro nel quale siano rappresentate, con il Governo, tutte le forze produttrici della Nazione, in misura che tenga conto dell’efficienza numerica di ciascuna di esse».

PRESIDENTE dà lettura di una sua formulazione nella quale ha tentato di tenere conto delle diverse tendenze:

«Il diritto di libera associazione sindacale è garantito.

«Alle associazioni sindacali, democraticamente organizzate, senza distinzioni che escludano frazioni delle categorie interessate, sono riconosciute, a norma di legge, funzioni di rappresentanza di categorie. I contratti di lavoro da esse stipulati nei modi stabiliti dalla legge, hanno efficacia vincolante generale (o, per tutti gli appartenenti alla categoria)».

CANEVARI obietta che così tutti i sindacati che includessero nel loro statuto alcune belle frasi alludenti a principî democratici potrebbero avere il riconoscimento. Viceversa, sarebbe da auspicare il riconoscimento di un sindacato solo per ogni categoria che, oltre ad essere democraticamente costituito, rappresenti la grande maggioranza degli interessati e su ciò basi il potere vincolante delle sue decisioni.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Canevari se non ha niente in contrario a modificare la sua formula in maniera da conferire un carattere di accessorietà, e non di eventualità, all’intervento del Consiglio nazionale del lavoro. In altri termini, ove le parti non riescano a mettersi d’accordo, interviene questo organismo che è al disopra di esse.

CANEVARI rileva che questo appunto si proponeva di stabilire e la formula che ha improvvisato non ha pienamente risposto alle sue intenzioni. Chiarisce altresì che affermando che il Consiglio nazionale del lavoro provvede alla elaborazione della legislazione, non ha inteso escludere il diritto dei sindacati di contribuire direttamente in quest’opera; ma solo che le norme di carattere sociale, anche se d’iniziativa dei sindacati professionali, dovrebbero passare per il tramite del Consiglio.

PRESIDENTE informa che il capoverso dell’articolo 2 dell’onorevole Canevari potrebbe essere modificato nel modo seguente:

«Per legge sarà costituito il Consiglio nazionale del lavoro, nel quale saranno proporzionalmente rappresentate col Governo le forze produttive della Nazione per la elaborazione della legislazione sociale, per la regolamentazione dei sindacati professionali, il loro riconoscimento e la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro nei casi di mancato accordo fra le rappresentanze delle categorie interessate».

PESENTI non trova di suo gradimento l’espressione «la elaborazione della legislazione sociale» per il suo carattere esclusivo. Preferirebbe si parlasse di «contributo alla elaborazione».

CANEVARI suggerisce la formula: «per collaborare alla formazione della legislazione sociale».

FANFANI osserva che qui il Consiglio nazionale del lavoro verrebbe nominato per la prima volta. Della questione non si è parlato prima d’ora, e data la vastità del problema, potrebbero determinarsi lacune considerevoli. Per esempio, si dovrebbe esaminare anche l’opportunità di costituire dei Consigli economici generali per il controllo di tutta l’attività economica delle associazioni professionali.

COLITTO ritiene che non possano essere approvati gli articoli proposti dall’onorevole Canevari. Quanto al primo basta, a suo avviso, affermare che l’associazione professionale è libera; non è necessario aggiungere «per la tutela degli interessi economici professionali e sindacali», perché, a parte la chiara tautologia, è evidente che ogni associazione professionale sorge costituzionalmente con fini di tutela degli interessi professionali, e quindi anche economici, degli associati. Ciò vale anche per il 1° comma dell’articolo proposto dall’onorevole Ghidini.

Quanto al secondo articolo, osserva anzitutto che non è la legge che può provvedere al riconoscimento giuridico dei sindacati; la legge può solo stabilire le condizioni, concorrendo le quali, un’associazione professionale può essere riconosciuta. Leggendolo poi si riporta l’impressione che i sindacati professionali legalmente riconosciuti abbiano il solo compito di stipulare contratti collettivi. È anche erroneo parlare di contratti che si riferiscono ad una categoria, riferendosi essi sempre a due o più categorie. Non ritiene neanche che si possa parlare di Consiglio nazionale del lavoro avente funzioni legislative, sia pure solo in materia di lavoro, perché con ciò si verrebbe ad attuare un sistema tricamerale. Non si oppone a che si crei un Consiglio nazionale del lavoro col compito di preparare o gettare le basi intendendosi così la parola «elaborazione» della legislazione sociale.

Considera altresì errato parlare di stipulazione di contratti collettivi di lavoro da parte di un collegio: ove manchi l’accordo, non può la materia essere disciplinata che da una legge.

Infine, mentre non comprende quale particolare concetto voglia affermare il Presidente con le parole «democraticamente organizzate», riferite alle associazioni sindacali, rileva che, secondo la sua dizione, tutte le associazioni professionali dovrebbero essere giuridicamente riconosciute, laddove il legislatore potrebbe stabilire diversamente.

PESENTI, rilevato che sul principio generate del diritto di associazione tutti sono di accordo, per quel che riguarda la sua attuazione disapprova la concisione della formula Colitto; meglio è abbondare, parlando anche di interessi economici.

Per quanto attiene al riconoscimento, preferisce la dizione Di Vittorio, che è più ampia e rende possibile il riconoscimento di molti sindacati, oltre ad affermare giustamente che la legge ne fisserà le condizioni. Infatti la legge non riconosce, ma può fissare le condizioni per il riconoscimento, che è un atto amministrativo.

Conviene con l’onorevole Colitto sulla opportunità di usare una formula con la quale non si dia l’impressione di voler fare del Consiglio nazionale del lavoro un organo legislativo. Conviene altresì sulla obiezione che un contratto collettivo che fosse imposto da un organo dello Stato non sarebbe più tale, ma diventerebbe un arbitrato o qualcosa del genere. Pertanto suggerirebbe di usare un’espressione che suoni press’a poco così: «concorrerà alla formulazione della legislazione sociale».

RAPELLI, Correlatore, insiste sull’importanza di stabilire in via preliminare chi ha il diritto della rappresentanza unitaria della categoria; in altri termini, chi ha il diritto di firmare. È una specie di verifica dei poteri, di fronte a contratti collettivi firmati da rappresentanti non autorizzati a farlo.

PESENTI domanda se per le associazioni il riconoscimento voglia significare potere di stipulare contratti collettivi. Ha infatti l’impressione che, secondo alcuni colleghi, il riconoscimento potrebbe essere concesso ad una pluralità di sindacati, ma la possibilità di stipulare contratti collettivi soltanto ad alcuni.

RAPELLI, Correlatore, precisa che se tutte le associazioni fossero abilitate a stipulare contratti collettivi, non si potrebbe a questi riconoscere un potere vincolante nei riguardi di tutta la categoria. Bisogna dunque che un solo ente abbia la rappresentanza unitaria di una pluralità di organizzazioni sindacali. All’uopo ritiene accettabile la formula Canevari.

COLITTO osserva che la necessità di creare una rappresentanza – sulla quale concorda – non è soddisfatta dalla formula in esame, che non indica come tale rappresentanza dovrebbe costituirsi. Dovrà perciò essere sempre la legge a stabilirlo.

GIUA insiste sul suo punto di vista. Pur convenendo che la Costituzione debba sancire soltanto i principî generali, ritiene che non debba tuttavia cadere nell’astrazione. Pertanto, per risolvere il problema, una volta ammesso il sindacato plurimo, bisogna accedere alla creazione di un organo al di sopra delle parti, che abbia il potere di stipulare, magari in seconda istanza, i contratti collettivi.

PRESIDENTE replica che in tal caso non dovrebbe più parlarsi di contratto e occorrerebbe precisare il carattere di accessorietà di un tale potere. A suo avviso sarebbe preferibile dire che spetta al Consiglio nazionale del lavoro di stabilire le norme regolatrici delle condizioni di lavoro, e alle categorie interessate di stipulare fra loro i contratti collettivi.

PESENTI osserva che se si adottasse la formula Rapelli occorrerebbe precisare che la legge determina le rappresentanze unitarie delle categorie solo allo scopo della stipulazione dei contratti collettivi.

PRESIDENTE rileva che ormai le idee sono abbastanza chiare e non resta che trovare una dizione che risponda alle esigenze prospettate, salvo a pronunciarsi sulla proposta dell’onorevole Giua di rimettere in via accessoria al Consiglio nazionale del lavoro la stipulazione dei contratti collettivi.

Rinvia quindi il seguito dei lavori alle ore 17 di lunedì 14 ottobre.

La seduta termina alle 12.30.

Erano presenti: Canevari, Colitto, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Merlin Angelina, Marinaro, Molè, Pesenti, Rapelli, Taviani.

Erano assenti: Assennato, Dominedò, Lombardo, Noce Teresa, Paratore, Togni.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

25.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di associazione e ordinamento sindacale (Seguito della discussione)

Presidente – Giua – Rapelli, Correlatore – Pesenti – Colitto – Fanfani – Federici Maria – Taviani – Canevari – Merlin Angelina.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

PRESIDENTE, per l’assenza del Relatore, propone di sospendere la discussione dell’articolo 1 e di passare alla discussione degli articoli successivi nel testo proposto dall’onorevole Di Vittorio.

(Così rimane stabilito).

L’articolo 2 è così formulato:

«Il lavoro è la base fondamentale della vita e dello sviluppo della società nazionale.

«Lo Stato dovrà garantire per legge una efficace protezione sociale dei lavoratori manuali ed intellettuali.

«I sindacati dei lavoratori, quali organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori, sono riconosciuti enti d’interesse collettivo».

Osserva che il primo comma può essere soppresso, perché non indispensabile. Il secondo comma tratta materia che ha formato oggetto di articoli già discussi; quindi pensa che la discussione debba limitarsi al terzo comma.

Ricorda che fu già discusso se il sindacato debba essere unico o plurimo per ogni categoria, se vada riconosciuto come persona giuridica e, in questo caso, se vada considerato persona giuridica di diritto privato o pubblico.

Tutti furono d’accordo che principale attribuzione del sindacato debba essere la stipulazione dei contratti collettivi, e che al sindacato spetti la rappresentanza e la tutela di tutti gli appartenenti alla categoria, siano o no ad esso inscritti.

GIUA propone di conservare il secondo comma e di aggiungervi l’espressione «tanto all’interno che all’estero». In sede di coordinamento anche questo comma potrà essere eliminato, se risulterà che la materia sia già compresa in altri articoli.

RAPELLI, Correlatore, fa notare che il concetto espresso nel secondo comma è compendiato nell’articolo 5 da lui proposto e così formulato:

«Lo Stato curerà la tutela del lavoratore attraverso una protezione legislativa speciale in patria ed all’estero, concorrendo alla formazione di una regolamentazione internazionale, che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comuni ai lavoratori».

PESENTI pensa che si possa dire che lo Stato, con disposizioni legislative, curerà i diritti dei propri cittadini anche all’estero, ma non si può, nella Carta Costituzionale, stabilire che lo Stato debba concorrere alla formazione di una regolamentazione internazionale che assicuri i diritti dei lavoratori, anche se questo è uno scopo perseguibile.

RAPELLI, Correlatore, afferma che se per molto tempo alcuni Stati rifiutarono la loro adesione alle convenzioni di Ginevra sulla protezione del lavoro, è un dovere fondamentale per l’Italia favorire una regolamentazione internazionale del lavoro ed impegnarsi ad aderirvi. Solo così possono mettersi su un piede di eguaglianza i lavoratori dei vari Paesi, ricchi o poveri che siano, e possono eliminarsi le conseguenze di una concorrenza che potrebbe riuscire dannosa alla salute degli operai, perché effettuata con l’inosservanza dell’orario di lavoro e con la trascuratezza di determinate norme igieniche. Ricorda che la stessa Costituzione di Weimar stabiliva un tale impegno.

PESENTI chiede perché l’Italia debba assumersi questo obbligo con la Costituzione.

RAPELLI, Correlatore, nota che non si può ignorare che oggi questa regolamentazione internazionale del lavoro è una realtà. Se con essa si adottasse la settimana di 40 ore lavorative, l’Italia ne avrebbe un beneficio interno, perché avrebbe la possibilità di impiegare un maggior numero di lavoratori.

PRESENTI è d’accordo che sarebbe un beneficio, ma fa l’ipotesi che di cinquanta Stati solo trentacinque abbiano aderito alla convenzione delle 40 ore e altri 15 invece adottino la settimana di 48 o 50 ore. L’Italia, impegnata a rispettare la convenzione, potrebbe subire un danno nella sua economia. Per questa ragione non ritiene opportuno stabilire simili impegni nella Costituzione.

RAPELLI, Correlatore, osserva che non è garanzia sufficiente lasciare alla legge di stabilire tale impegno. Se, come avvenuto sotto il fascismo, nel Parlamento si determinasse una situazione di predominio di interessi diversi da quelli dei lavoratori, basterebbe una nuova legge a negare la validità di una convenzione internazionale che provvedesse alla tutela più completa dei lavoratori.

GIUA propone che il terzo comma dell’articolo 2 proposto dall’onorevole Di Vittorio sia così formulato: «Sarà cura dello Stato di favorire una regolamentazione internazionale che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune a tutti i lavoratori».

COLITTO, poiché lo Stato deve sempre intervenire per proteggere i lavoratori, ritiene inutile tale comma; esso è una ripetizione generica di quanto, in modo specifico, è stato detto in altri articoli.

RAPELLI, Correlatore, obietta che in questi articoli certi problemi, quale ad esempio quello degli infortuni, dell’igiene negli stabilimenti, delle malattie professionali, non sono tenuti nella dovuta considerazione.

FANFANI fa rilevare che sono in discussione due problemi distinti: l’uno adombrato nel secondo comma dell’articolo Di Vittorio e nella prima parte dell’articolo 5 dell’onorevole Rapelli, che è quasi un appunto a quello che la Sottocommissione ha statuito, riconoscendo alcuni diritti generici dei lavoratori, ma non specificando nulla circa la protezione del lavoratore contro tutta una serie di danni diretti o indiretti alla sua salute, che hanno origine da determinate circostanze di lavoro; l’altro, accennato dal Rapelli, e contrastato dal Pesanti, per impegnare lo Stato italiano a collaborare alla stipulazione di una convenzione internazionale per la protezione dei lavoratori, e ad applicare obbligatoriamente in Italia gli eventuali accordi più favorevoli ai lavoratori italiani.

COLITTO riferendosi al primo problema accennato, legge il capoverso dell’articolo 3 approvato: «Ogni cittadino che, a motivo dell’età, dello stato fisico o mentale o di contingenze di carattere generale, si trovi nell’impossibilità di lavorare, ha diritto di ottenere dalla collettività mezzi adeguati di assistenza»; e l’ultima parte del 4°: «Istituzioni previdenziali, assistenziali e scolastiche, predisposte od integrate, ove occorra, dallo Stato, devono tutelare ogni madre e la vita e lo sviluppo di ogni fanciullo».

RAPELLI, Correlatore, osserva che qui si parla di problemi assistenziali e previdenziali, mentre la protezione del lavoratore si basa essenzialmente sull’orario, sulla sicurezza e sull’igiene del lavoro; e questa parte della legislazione protettiva non è stata finora considerata.

PRESIDENTE aggiunge che quando si è parlato di istituzioni previdenziali si è fatto particolare riferimento alla protezione della maternità e dell’infanzia. La protezione del lavoratore, oggetto di una vasta legislazione, deve essere consacrata nella Costituzione. Si chiede se a questo risponde completamente la prima parte dell’articolo Rapelli: «Lo Stato curerà la tutela del lavoratore attraverso una protezione legislativa speciale in patria e all’estero».

Nella seconda parte, poi, dello stesso articolo si considera una forma speciale di tutela consistente nella collaborazione ad una regolamentazione internazionale di protezione del lavoro. Ritiene che la proposta dell’onorevole Giua ovvierebbe al pericolo accennato dall’onorevole Pesenti, perché lascia al legislatore italiano la valutazione della opportunità di applicare o meno la regolamentazione internazionale.

GIUA dà lettura dell’articolo completo formulato secondo la sua proposta:

«Lo Stato dovrà garantire per legge una efficace protezione sociale dei lavoratori manuali ed intellettuali.

«I sindacati dei lavoratori, quali organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori, sono riconosciuti enti di interesse collettivo.

«Sarà compito dello Stato di favorire una regolamentazione internazionale che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune ai lavoratori».

FANFANI fa rilevare la disarmonia dell’articolo, dove si parla di garanzia dei singoli lavoratori e di riconoscimento di sindacati. Propone che i commi ai quali accennava l’onorevole Giua, relativi alla protezione integrale dei lavoratori siano aggiunti, come terzo comma, al primo articolo già approvato; si discuterà poi il problema dei sindacati.

L’articolo risulterebbe così formulato:

«Ogni cittadino ha il dovere ed il diritto di lavorare conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta.

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro e predispone i mezzi necessari al suo godimento.

«Lo Stato curerà la tutela del lavoratore attraverso una protezione legislativa speciale in patria ed all’estero».

A proposito di questo terzo comma, ricorda che la prima Sottocommissione in un articolo, in cui si fa cenno della protezione dei lavoratori, ha specificato il problema delle ferie, dell’orario, ecc.

COLITTO ricorda che la formula adottata dalla prima Sottocommissione è la seguente: «Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere attività o di esplicare funzioni idonee allo sviluppo economico»; ma rileva che in essa non si parla di protezione dei lavoratori.

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Lombardo proponeva la seguente formula: «È compito dello Stato assicurare il rispetto delle condizioni dell’igiene e della sicurezza del lavoro, nonché di provvedere all’organizzazione del servizio di protezione sociale. La legge provvede alla tutela delle condizioni igieniche e morali delle donne e dei minori».

Inoltre l’onorevole Togliatti ha proposto il seguente articolo: «Il lavoro nelle sue diverse forme è protetto dallo Stato, il quale interverrà per assicurare l’assistenza degli invalidi ed inabili. Tutti i cittadini hanno diritto alle assicurazioni sociali. La legislazione sociale garantisce l’assicurazione contro gli infortuni, le malattie, la disoccupazione, l’invalidità e la vecchiaia; protegge in modo particolare il lavoro delle donne e dei minori; stabilisce la durata della giornata lavorativa, il salario minimo individuale. È organizzata una speciale tutela del lavoro italiano all’estero».

Afferma che queste sono tutte affermazioni esatte che, sia pure in sintesi, dovrebbero essere riprodotte.

Ritiene esauriente la prima parte dello articolo proposto dall’onorevole Rapelli.

COLITTO si dichiara favorevole alla proposta Fanfani di aggiungere un capoverso all’articolo primo approvato, e propone che si dica: «Lo Stato provvederà altresì, con speciali norme, alla protezione del lavoro».

PRESIDENTE aggiungerebbe: «in patria ed all’estero».

GIUA ritiene necessario parlare della regolamentazione internazionale – come propone l’onorevole Rapelli – che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune ai lavoratori.

COLITTO propone la formula: «Lo Stato provvederà altresì, con speciali norme, alla protezione del lavoro e favorirà una regolamentazione internazionale che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune ai lavoratori».

FANFANI fa rilevare che dire «un minimo di diritti comune» potrebbe far pensare che ci si contenti di molto poco, e potrebbe essere interpretato a svantaggio dei nostri lavoratori. Basterebbe dite «favorirà una apposita regolamentazione internazionale».

FEDERICI MARIA direbbe «la migliore regolamentazione».

FANFANI nota che in tal caso si parlerebbe del massimo, non più del minimo. E poiché nell’articolo si parla del diritto al lavoro, si domanda se la protezione vada accordata al lavoro od al lavoratore.

COLITTO risponde che va accordata all’uno ed all’altro.

FANFANI, siccome si vogliono adombrare i concetti dell’igiene, della sicurezza, della protezione sociale, trova opportuno riferirsi al lavoratore e dire:

«La Repubblica provvederà, con speciali norme, alla protezione del lavoratore».

PRESIDENTE aggiungerebbe subito dopo: «e favorirà ogni regolamentazione internazionale diretta a tale scopo».

COLITTO preferirebbe dire soltanto: «e favorirà ogni relativa regolamentazione internazionale», collocandosi la formula alla fine dell’ultimo comma del primo articolo.

PRESIDENTE, a suo avviso, se ne dovrebbe fare il terzo comma del terzo articolo.

FANFANI aderisce alla proposta del Presidente, nel senso che la formula testé discussa diventi il terzo comma dell’articolo 3.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE dà lettura del testo del comma quale risulta dalla discussione fin qui svoltasi: «La Repubblica provvederà, con speciali norme, alla protezione del lavoratore e favorirà ogni relativa regolamentazione internazionale».

TAVIANI è contrario all’aggettivo «relativa», in quanto potrebbe determinare nel grosso pubblico errate interpretazioni.

COLITTO ritiene che si possa anche dire: «ogni regolamentazione internazionale diretta a tale fine».

PRESIDENTE pone ai voti la formula concordata che diventa il terzo comma del terzo articolo già approvato:

«La Repubblica provvederà, con speciali norme, alla protezione del lavoratore e favorirà ogni regolamentazione internazionale diretta a tal fine».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione il terzo comma dello articolo 2 proposto dall’onorevole Di Vittorio:

«I sindacati dei lavoratori, quali organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori, sono riconosciuti enti di interesse collettivo».

Avverte che la discussione dovrà svolgersi in relazione anche all’articolo 2 proposto dall’onorevole Rapelli:

«Apposita legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali per la stipulazione dei contratti di lavoro, aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti delle categorie stesse».

Ritiene che debba anzitutto essere chiarita la natura giuridica del sindacato, nel senso che, definendo i sindacati enti di interesse collettivo, si intenda dire che sono enti di diritto pubblico, di diritto privato o di diritto misto.

COLITTO ritiene che spetti alla legislazione ordinaria e non alla Costituzione di precisare la natura giuridica dell’associazione professionale. Eventualmente potranno precisarla anche la dottrina e la giurisprudenza.

PRESIDENTE sarebbe d’accordo, se non occorresse rispondere a questa domanda: come rendere obbligatorio il contratto collettivo di lavoro – la cui stipulazione è la funzione preminente del sindacato – anche per i non iscritti, prescindendo da un riconoscimento giuridico delle associazioni professionali?

Secondo il suo avviso, la Costituzione deve consacrare il riconoscimento giuridico del sindacato come premessa indispensabile alla obbligatorietà erga omnes dei contratti collettivi di lavoro, tralasciando di decidere la questione se debba trattarsi di un ente di diritto pubblico o di un ente di diritto privato.

COLITTO pensa che il problema potrebbe essere risolto, aggiungendosi al comma da lui proposto nella seduta antimeridiana: «l’associazione professionale è liberà» un secondo comma, che stabilisca l’obbligatorietà del contratto collettivo di lavoro nei confronti di tutti gli appartenenti alle categorie per le quali è stipulato.

Non ritiene consigliabile ogni ulteriore specificazione, poiché in questo caso bisognerebbe dettare tutta la disciplina dell’ordinamento sindacale; disciplina che, per la mutevolezza che la caratterizza, va riservata alla legislazione ordinaria.

Non si nasconde che, anche la semplice enunciazione della obbligatorietà erga omnes dei contratti collettivi di lavoro, presuppone risolti taluni fondamentali aspetti della questione, come l’efficacia dei contratti in relazione alle persone, e la determinazione di quale fra più sindacati coesistenti per una medesima categoria (coesistenza resa possibile dall’affermato principio della libertà associativa professionale) possa stipulare i contratti collettivi di lavoro; aspetti la cui risoluzione, almeno in gran parte, compete alla legislazione ordinaria. Bisognerebbe anche accennare alle formalità da osservare, perché il contratto collettivo regolarmente stipulato tra due associazioni professionali sia obbligatorio.

FANFANI concorda sulla inopportunità di specificare nella Costituzione la natura giuridica del sindacato. È sufficiente sancire il principio del riconoscimento giuridico.

Quanto all’altro principio, quello della obbligatorietà dei contratti di lavoro, avverte che la delicatezza dell’argomento richiede una seria analisi ed una certa prudenza nella scelta delle parole. Ricorda, infatti, come i principî che pare siano accolti dalla maggioranza della Sottocommissione, fino a questo momento, non siano del tutto conseguenti. Si è detto che il diritto di associazione è libero, e ciò presuppone che per una categoria possono esservi più associazioni sindacali; si è quindi detto che a tutte le associazioni sindacali viene riconosciuta la personalità giuridica; si è detto, infine, che ai sindacati giuridicamente riconosciuti è attribuito il compito di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatorio per tutti gli appartenenti alla categoria, siano o non iscritti al sindacato stipulante. Affermati questi concetti, ne verrebbe che per una categoria vi sarebbero tre o quattro contratti collettivi tutti obbligatori.

PRESIDENTE condivide le preoccupazioni degli onorevoli Colitto e Fanfani. Taluni sostengono che, in caso di pluralità di sindacati, il compito della stipulazione dei contratti collettivi debba spettare a quello che raccoglie un maggior numero di iscritti; ma indubbiamente questa soluzione presenta degli inconvenienti.

Comunica che gli è pervenuta la seguente proposta di formulazione dell’articolo:

«L’organizzazione sindacale è libera. I sindacati hanno soltanto l’obbligo della registrazione presso organi del lavoro, locali e nazionali, composti di delegati dei sindacati in proporzione del numero degli iscritti.

«I contratti collettivi di lavoro, stipulati da tali organi, hanno efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiscono».

COLITTO considera inaccettabile questa formulazione, anche perché, indipendentemente dalla sostanza, non è chiara: si parla infatti di «organi», presso i quali si dovrebbero registrare i sindacati e afferma che tali organi, non i sindacati, avrebbero il compito della stipulazione dei contratti collettivi di lavoro.

PRESIDENTE constata l’accordo sulla opportunità di ammettere il riconoscimento giuridico dei sindacati senza precisarne la natura giuridica. A questo scopo pensa che dovrebbe sopprimersi, perché equivoca, l’espressione «enti di interesse collettivo» e semplificare la norma dicendo che alla associazione professionale viene riconosciuta la personalità giuridica. Senza una personalità giuridica il sindacato non può infatti obbligarsi giuridicamente e di conseguenza stipulare i contratti di lavoro.

Il primo problema da risolvere è pertanto quello proposto dagli onorevoli Colitto e Fanfani, di stabilire come si possa pervenire ad un unico contratto collettivo di lavoro nella coesistenza, consentita dalla libertà sindacale, di più associazioni professionali per una stessa categoria.

FANFANI ritiene che vi sia l’accordo nel fondere la terza parte dell’articolo 2 con la prima parte dell’articolo 3 proposti dall’onorevole Di Vittorio. Ne risulta la seguente formula:

«Ai sindacati dei lavoratori, quali organi di difesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori è riconosciuta la personalità giuridica».

COLITTO dichiara di non essere d’accordo, perché là dove l’articolo afferma che il sindacato ha la tutela dei lavoratori, dice cosa inutile, ciò essendo ovvio. Nega poi la opportunità di affermare nella Costituzione la natura giuridica del sindacato, pensando essere meglio lasciarne la determinazione alla legge, nonché alla elaborazione della dottrina e della giurisprudenza.

PRESIDENTE osserva che a dare il riconoscimento della personalità giuridica basta la registrazione, la quale però non dà carattere pubblicistico all’ente.

COLITTO osserva che questo concetto della registrazione è del tutto nuovo.

Esistono gli uffici provinciali del lavoro, i quali non hanno ancora una disciplina legislativa: solo di recente è stato emanato un decreto, che riguarda il personale. Tali uffici sono sorti in base ad un bando alleato.

Si chiede: quando si dice che deve esserci la registrazione, che cosa si intende dire? E se, invece di registrazione, si ritenesse opportuno il semplice deposito? Trattasi di dettagli, di cui non è assolutamente il caso di fare cenno nella Costituzione.

FANFANI consente che nella Costituzione non vadano fissate le modalità per il riconoscimento, ma non crede che nascerebbero inconvenienti se si stabilisse per tutti i sindacati il riconoscimento della personalità giuridica.

GIUA vorrebbe che fosse specificato il riconoscimento della Confederazione generale del lavoro, che è l’ente giuridico che riunisce i sindacati. Quindi i contratti di lavoro dovrebbero essere stipulati dai sindacali riconosciuti ed aderenti alla Confederazione stessa. O si giunge a questa formulazione, o si accetta una formulazione generica.

Non tenendo conto della Confederazione generale del lavoro, si mostra di ignorare una realtà che esiste da diverso tempo, e si meraviglia come di fronte ai colleghi Di Vittorio e Rapelli, abbia proprio lui dovuto fare questa proposta.

FANFANI osserva che, a suo avviso, non si può, in due o tre articoli, adombrare tutto l’ordinamento sindacale. Conviene fissare alcuni punti badando di non commettere errori.

PRESIDENTE legge gli articoli 30 e 31 del progetto di Costituzione francese che non fu approvato:

«Art. 30. – Ognuno ha il diritto di difendere i propri interessi a mezzo dell’azione sindacale.

«Ognuno è libero di aderire ad un sindacato di sua scelta o di non aderire ad alcuno».

«Art. 31. – Ogni lavoratore ha diritto di partecipare, per tramite dei suoi delegati, alla determinazione collettiva delle condizioni di lavoro, così come alle funzioni di direzione e di gestione dell’impresa».

FANFANI osserva che i francesi escono da tutt’altra esperienza della nostra. Vi sono da noi vecchio posizioni che vanno abbattute.

PRESIDENTE ricorda che il contratto collettivo di lavoro, oltre che dalla legge speciale, è anche considerato dal Codice civile.

COLITTO ritiene che, rientrando la stipulazione del contratto collettivo di lavoro tra i poteri dell’associazione professionale, basterebbe dire: «L’associazione professionale è libera; la legge ne preciserà i poteri».

PRESIDENTE vorrebbe però consacrare nella Costituzione la conquista del contratto collettivo di lavoro, perché non possa, in avvenire, una legge abolirlo.

RAPELLI, Correlatore, osserva che si sono fatti articoli nei quali si parla di diritti; poi si ammette che ci possa essere una regolamentazione supplementare attraverso i contratti collettivi di lavoro, i quali, avendo validità per tutti, diventano norme. Perciò la funzione di cui si deve preoccupare la Costituzione non è tanto quella delle associazioni professionali, quanto di dare ai lavoratori la possibilità legale di vedere difesi i loro diritti, sanciti da contralti collettivi, che devono impegnare tutta la categoria degli appartenenti ai sindacati che li stipulano.

COLITTO aggiungerebbe alle parole: «l’associazione professionale è libera; la legge ne preciserà i poteri», le altre: «Il contratto collettivo di lavoro ha valore di legge».

FANFANI, dopo: «L’associazione professionale è libera», inserirebbe una formulazione del tipo dell’articolo 2 della proposta Rapelli, che è così concepito:

«Apposita legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali per la stipulazione dei contratti di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti delle categorie stesse».

In tal modo non sarebbe pregiudicata la questione del riconoscimento dell’unico sindacato al quale è demandata la facoltà di stipulare il contratto collettivo.

COLITTO obietta che «la formazione delle rappresentanze unitarie» può aver luogo anche ad altri fini.

FANFANI precisa che per quanto riguarda la stipulazione del contratto collettivo ci si appella alla legge che disciplinerà le rappresentanze.

PRESIDENTE all’onorevole Colitto, che propone di dire «ha valore di legge», fa notare che il nostro diritto civile ha risolto già la questione.

COLITTO risponde che l’aveva risolta in quanto, allorché fu preparato il Codice civile, il sindacato era unico.

Aggiunge che il termine «rappresentanze» fa pensare a rappresentanti scelti da tutte le associazioni professionali, mentre il contratto collettivo di lavoro deve essere stipulato da quelle associazioni cui la legge riconosce la capacità.

CANEVARI osserva che se la Sottocommissione vuole arrivare ad una conclusione, occorre far precedere la discussione sui sindacati.

Ricorda come era stata concretata in periodo clandestino, d’accordo con la Democrazia Cristiana, l’organizzazione sindacale. Il sindacato era formato dai lavoratori che spontaneamente vi aderivano, ma sostenuto con il contributo obbligatorio di tutti i lavoratori della categoria. Si trattava di sindacato unico, e la legge poteva riconoscergli la facoltà di fare il contratto collettivo di lavoro. Ma sorse opposizione da patte dell’onorevole Di Vittorio per il Partito comunista e si giunse al temperamento che i tre partiti costituissero una commissione di rappresentanti. Nacque così la Confederazione generale del lavoro. Ora occorre stabilire se si deve riconoscere, come egli pensa, un solo sindacato aperto a tutti, e che agisca nei modi indicati.

RAPELLI, Correlatore, fa notare che si giungerebbe ad un sindacato anagrafico, al comune dei lavoratori.

CANEVARI aggiunge che la loro concezione non negava la costituzione di sindacati liberi, ma voleva che la legge ne riconoscesse uno, quello che rappresentava la maggioranza.

GIUA è del parere che, prima di venire ad una soluzione definitiva, occorra conoscere con precisione le direttive del proprio partito. A suo avviso il sindacato plurimo non può essere che causa di incertezze. Se esisterà l’organizzazione sindacale dei datori di lavoro tanto meglio, altrimenti la Confederazione generale del lavoro stipulerà i contratti collettivi con le singole industrie o gruppi di industrie. Ma per far ciò occorre, come già ha detto, inserire nella Carta costituzionale il riconoscimento della Confederazione generale del lavoro.

CANEVARI si associa alla proposta dell’onorevole Giua.

RAPELLI, Correlatore, non ritiene accettabile senz’altro la proposta Giua.

La Confederazione generale del lavoro è un ente associativo volontario e la Costituzione non può inquadrarlo senz’altro nello Stato. La stessa Confederazione può non può avere interesse a questo riconoscimento giuridico.

Uno dei postulati della regolamentazione del lavoro è la libertà sindacale; e anche la lesi dell’onorevole Di Vittorio, che vi debba essere un sindacato maggioritario, è contro il principio della libertà di associazione.

Oggi la Confederazione del lavoro costituisce la rappresentanza unitaria dei lavoratori, appunto perché non vi sono associazioni concorrenti. Il contratto collettivo, poi, potrebbe anche essere opera di legge e c’è una scuola socialista che tende ad assicurare, attraverso la legge, le condizioni generali di lavoro. L’orario di lavoro, ad esempio, è un fatto protettivo del quale deve preoccuparsi lo Stato.

In sostanza la Sottocommissione deve studiare quali sono gli obiettivi che la Costituzione dovrà assicurare; la legge determinerà poi come potrà essere formata la rappresentanza unitaria delle varie categorie.

GIUA ripete che, a suo avviso, il riconoscimento giuridico, stabilito nella prima parte di questo articolo, debba farsi per quei sindacati che aderiscono alla Confederazione generale del lavoro. Nessuno mette in dubbio che vi sia la libertà di organizzazione; possiamo stabilirla nella Costituzione; però la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro deve avvenire attraverso i sindacati che aderiscono alla Confederazione.

Se dal punto di vista giuridico nessuno può negare la possibilità dei sindacati plurimi, dal punto di vista pratico si chiede che cosa succederebbe se vi fossero tre o quattro Confederazioni del lavoro. Risulterebbero svalutati i contratti collettivi e tutte le conquiste delle classi lavoratrici.

I datori di lavoro possono anche non costituire una Confederazione dell’industria. Si possono stabilire con la «Fiat» dei contratti di lavoro, come con ogni altra categoria di datori di lavoro.

PRESIDENTE osserva che nell’ambito di una stessa categoria si avrebbero sperequazioni enormi.

GIUA risponde che i contratti collettivi di lavoro possono anche essere stipulati con i singoli industriali, ma da un organismo nazionale, perché i contratti stessi debbono poi valere per tutta la nazione.

RAPELLI, Correlatore, accetta il concetto di rappresentanza unitaria, ma la Confederazione generale del lavoro ha attualmente un carattere molto diverso da quello che l’onorevole Giua vorrebbe assegnarle.

MERLIN ANGELINA, riconosce tutta l’importanza della discussione, ma chiede che sia rinviata per dar modo a ciascuno di conoscere le direttive del proprio partito in merito.

PRESIDENTE rilegge le tre proposte pervenute alla Presidenza.

La prima dice:

«L’organizzazione sindacale è libera. I sindacati hanno soltanto l’obbligo della registrazione presso gli organi del lavoro locali e nazionali, composti di delegati dei sindacati in proporzione del numero degli iscritti.

«I contratti collettivi di lavoro stipulati da tali organi hanno efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiscono».

La seconda proposta presentata dall’onorevole Colitto dice:

«L’associazione professionale è libera. La legge ne preciserà i poteri. Il contratto collettivo di lavoro ha valore di legge».

La terza proposta presentata dall’onorevole Rapelli dice:

«L’associazione per la difesa dei propri interessi economici, professionali e sindacali è libera. La legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali e le norme per la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie stesse».

COLITTO osserva che la Sottocommissione è chiamata a fissare delle linee programmatiche in materia sindacale. Pensa che basti affermare che l’associazione professionale è libera. Provvederà poi la legislazione a determinarne i poteri. Anche la legislazione dirà quali delle associazioni costituitesi nell’ambito delle categorie potranno stipulare il contratto collettivo di lavoro e le formalità da osservarsi perché il contratto collettivo possa dirsi regolarmente stipulato ed efficace. È opportuno però, a suo avviso, fermare fin d’ora nella Costituzione la norma che il contratto collettivo di lavoro dovrà avere valore di legge.

Insiste perciò perché la Sottocommissione approvi l’articolo da lui proposto.

PRESIDENTE ritiene che l’articolo proposto dall’onorevole Colitto non sia in contrasto con la proposta dell’onorevole Rapelli. Comunque, data l’ora tarda, rinvia il seguito della discussione alla seduta del giorno successivo.

La seduta termina alle 19.45.

Erano presenti: Canevari, Colitto, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Pesenti, Rapelli, Taviani.

Assenti giustificati: Dominedò, Molè.

Assenti: Assennato, Lombardo, Noce Teresa, Paratore, Togni.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

24.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Comunicazioni del Presidente

Presidente

Sui lavori della Sottocommissione

Merlin Angelina – Presidente – Taviani.

Intrapresa economica (Seguito della discussione)

Presidente – Pesenti, Relatore – Paratore – Taviani – Giua – Colitto – Corbi – Merlin Angelina – Marinaro – Fanfani.

Diritto di associazione e ordinamento sindacale (Discussione)

Presidente – Pesenti – Giua – Fanfani – Paratore – Canevari – Colitto – Taviani.

La seduta comincia alle 10.20.

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE comunica che è rientrato a far parte della Sottocommissione l’onorevole Pesenti, che era stato temporaneamente sostituito dall’onorevole Corbi.

Sui lavori della Sottocommissione.

MERLIN ANGELINA propone di intensificare al massimo i lavori della Sottocommissione, anche con sedute notturne, diminuendo invece il numero delle giornate di riunione, onde permettere ai componenti della Sottocommissione di partecipare alla campagna per le elezioni amministrative, attualmente in atto, dando così loro il modo di svolgere nel Paese la necessaria opera di persuasione.

PRESIDENTE, premesso che i lavori per la Costituzione devono avere la precedenza su qualsiasi altra attività, non ritiene che il lavoro della Sottocommissione possa intensificarsi ulteriormente, dato che già sono state fissate due sedute giornaliere.

TAVIANI propone che sia limitato a quindici minuti il tempo assegnato ad ogni oratore.

PRESIDENTE non crede che si possano fissare dei limiti di tempo agli oratori, perché la pratica ha dimostrato che tali limiti non si sono mai potuti rispettare.

Seguito della discussione sull’intrapresa economica.

PRESIDENTE ricorda che nella precedente riunione tutti si erano dichiarati favorevoli, per evidenti finalità, all’intervento dei lavoratori nella gestione delle aziende. Si tratta ora di vedere se questo diritto dei lavoratori debba essere articolato nella Costituzione, in modo da tracciare una via che impegni il legislatore futuro, ovvero possa essere consacrato in linea di principio, lasciando libertà alla legislazione ordinaria di fissarne il contenuto e i limiti.

Invita l’onorevole Pesenti ad illustrare il suo punto di vista.

PESENTI, Relatore, ritiene che la Costituzione debba limitarsi soltanto ad un principio fondamentale, cioè all’affermazione che al lavoratore è riconosciuto il diritto di partecipare alla direzione dell’impresa. Per direzione intende sia il Consiglio di amministrazione, che la direzione generale, o qualsiasi altro organismo dell’impresa. La Carta costituzionale non può, infatti, entrare nel campo della legislazione particolare, senza rischiare da un lato di diventare affetta da elefantiasi e dall’altro di affermare criteri che inevitabilmente, col mutare delle situazioni, saranno soggetti a revisione a breve scadenza.

Il nuovo principio che la Costituzione deve affermare in questo campo è che la direzione dell’impresa non è più affidata esclusivamente al proprietario, ma che in essa viene ammessa la partecipazione delle forze del lavoro. I particolari di applicazione di questo principio saranno di competenza della futura Assemblea legislativa, in seno alla quale ciascuno cercherà di far prevalere il proprio punto di vista.

PARATORE condivide il punto di vista dell’onorevole Pesenti, che la Costituzione debba limitarsi all’affermazione del principio intorno al quale vi è già un consenso unanime. Anche l’uomo più retrogrado deve oggi ammettere che il rapporto fra il lavoratore e la direzione dell’azienda non può limitarsi al salario, ma che è necessario, invece, arrivare alla collaborazione, nell’interesse dell’azienda e dell’economia del Paese. Preferirebbe soltanto che nell’articolo si parlasse di «gestione» invece che «direzione».

PRESIDENTE ricorda le varie proposte in materia. Una è quella contenuta nella relazione dell’onorevole Pesenti così formulata: «Per garantire lo sviluppo economico del Paese e per assicurare nell’interesse nazionale l’esercizio del diritto e delle forme di proprietà previste dalla legge, lo Stato assicura al lavoratore il diritto di partecipare alle funzioni di direzione dell’impresa, siano esse aziende private, pubbliche o sotto il controllo della Nazione».

Vi è poi la proposta dell’onorevole Lombardo: «È diritto dei lavoratori di partecipare con propri organi e propri rappresentanti alla conduzione delle imprese in cui prestano la loro opera».

Infine vi è quella della relazione dell’onorevole Di Vittorio, che è del seguente tenore: «Ai lavoratori di aziende di ogni genere, aventi almeno 50 dipendenti, è riconosciuto il diritto di partecipare alla gestione dell’azienda mediante appositi Consigli di gestione, le cui norme costitutive ed i cui compiti saranno fissati dalla legge».

Tutti questi articoli si trovano nell’ordine di idee indicato dagli onorevoli Paratore e Pesenti: affermare cioè il principio, senza impegnare l’avvenire in particolari determinazioni.

D’accordo con l’onorevole Giua, propone la formula seguente che ritiene riassuntiva del pensiero di tutti:

«È diritto dei lavoratori partecipare con propri delegati alla conduzione delle aziende ove prestano la loro opera.

La legge stabilisce i limiti di applicazione del diritto, la costituzione e le attribuzioni dell’organo a ciò predisposto».

Fa presente che nella formulazione proposta si è evitato di proposito di parlare in modo specifico di consigli di gestione, o di usare altri termini, per non pregiudicare quella che potrà essere fa futura denominazione.

PESENTI, Relatore, osserva che tlte formulazione è soggettiva, in quanto riguarda il riconoscimento di un diritto al lavoratore, mentre quella da lui proposta è oggettiva, riferendosi ad un interesse generale dello Stato e non al diritto del singolo.

TAVIANI concorda sul principio di non scendere nei dettagli, in quanto la situazione nel campo industriale è talmente mutevole da non poter legare un testo costituzionale a fattori contingenti. Riconosce la fondatezza dell’osservazione dell’onorevole Pesenti, perché se da un lato quello che importa è il diritto del lavoratore, dall’altro è evidente che la meta finale deve essere il bene comune. Compito della Sottocommissione sarebbe, in questo caso, di conciliare l’interesse particolare del lavoratore, ed il suo conseguente diritto, con l’interesse generale della collettività.

Accetterebbe quindi la formulazione soggettiva Ghidini-Giua, inserendo nella prima parte anche l’elemento oggettivo dell’articolazione Pesenti, non parlando però né di conduzione, né di direzione, ma semplicemente di gestione. Semplificherebbe, poi, la seconda parte, su cui particolarmente dichiara di concordare, nel modo seguente: «La legge determina i modi e i limiti di applicazione del diritto».

PARATORE dichiara di essere d’accordo.

PESENTI, Relatore, concorda, pur ritenendo che in tal modo si verrebbe ad appesantire il testo della Costituzione.

GIUA ritiene che la prima parte della formulazione proposta dall’onorevole Pesenti non sia adatta per una Costituzione; per questo motivo, d’accordo col Presidente, ha proposto la nuova formulazione che riassume, in sintesi, articoli di altre costituzioni moderne. Concorda, invece, con la seconda parte di tale formulazione e, pur rilevando che il termine «conduzione» potrebbe essere accettato, non si dimostra contrario a parlare di gestione.

PRESIDENTE dichiara di aderire alle osservazioni dell’onorevole Giua.

PESENTI, Relatore, per introdurre un elemento oggettivo nella dizione Ghidini-Giua direbbe: «Lo Stato assicura al lavoratore il diritto di partecipare, ecc.».

PRESIDENTE concorda.

COLITTO si associa all’onorevole Giua, perché ritiene che non sia il caso di indicare nella Costituzione le finalità per le quali un diritto si afferma. Non vede, poi, una sostanziale differenza fra le formulazioni degli onorevoli Pesenti e Ghidini. Pensa, pertanto, che, eliminata l’enunciazione delle predette finalità, si possa inserire nella Costituzione un articolo in materia, adottandosi o la formula dell’onorevole Ghidini, o quella dell’onorevole Pesenti. Solo sostituirebbe il termine «conduzione» con «gestione».

CORBI preferirebbe «gestione» perché è un termine che è entrato ormai nell’uso comune.

MERLIN ANGELINA si associa all’onorevole Colitto, in quanto non vede la ragione per cui si debba parlare di diritti oggettivi e soggettivi. Ritiene necessario far prevalere il principio che si debbano affermare i diritti del lavoro, comprendendo in essi sia quelli del lavoratore, che quelli della collettività.

MARINARO ricorda che nella penultima seduta fu presentato un ordine del giorno dell’onorevole Fanfani in cui erano fissati i criteri ai quali avrebbe dovuto informarsi la discussione successiva. Si chiede se la Sottocommissione intenda o meno abbandonare tale ordine del giorno.

Ritiene che tutti siano d’accordo sulla opportunità di accordare alle classi lavoratrici il diritto ai rendersi conto dell’andamento delle industrie e di controllarle, ma ritiene parimenti opportuno indicare la forma di tale controllo che, a suo avviso, senza dar luogo ad inconvenienti, potrebbe giovare al consolidamento ed al migliore sviluppo della produzione ed esercitare un’azione regolatrice e pacificatrice fra capitale e lavoro. Ciò premesso, propone il seguente articolo: «Tutte le imprese industriali sono sottoposte a controllo tecnico ed amministrativo da parte dei lavoratori maggiormente interessati e raccolti in sindacati di categoria addetti all’industria. La legge determinerà le forme, i modi ed i limiti di tale controllo».

PRESIDENTE esprime l’avviso che la formulazione proposta dall’onorevole Marinaro, parlando solo di imprese industriali e di un controllo tecnico ed amministrativo da parte dei lavoratori «maggiormente interessati», iscritti nei sindacati industriali, limiti alquanto la portata della disposizione.

COLITTO sopprimerebbe nell’articolo Ghidini-Giua le parole «con propri delegati», essendo già questa una precisazione che dovrebbe essere riservata alla legge ordinaria.

PARATORE si dichiara contrario all’articolo dell’onorevole Marinaro, principalmente perché dalla collaborazione si passa al controllo, che è una forma anch’essa di collaborazione, ma assai pericolosa. Forse l’onorevole Marinaro ha creduto di attenuare la portata della disposizione, mentre, piuttosto che limitarla, si verrebbero a creare infinite complicazioni, specialmente dal punto di vista tecnico.

Ricorda che, nell’altro dopo-guerra, dopo la famosa occupazione delle fabbriche, la Commissione paritetica, istituita da Giolitti, fra la Confederazione del lavoro e la Confederazione dell’industria, non essendo giunta, come era prevedibile, ad un accordo, ognuno dei due organi presentò un progetto con relativa relazione. La Confederazione bianca presentò, a sua volta, un progetto di legge che era il più estremista, arrivando all’azionariato sociale, alla partecipazione agli utili ed alla possibilità per i lavoratori di giungere col tempo anche alla proprietà dell’azienda. Benché questi tre progetti e relative relazioni fossero stati presentati alla Camera, unitamente al progetto del Capo del Governo, nessuna delle parti interessate chiese che il proprio progetto fosse messo all’ordine del giorno. Questo sta a dimostrare la difficoltà e la complessità del problema, tenendo anche presente che qualunque formulazione può rappresentare una limitazione a destra o a sinistra.

Esprime l’avviso che con lo sviluppo industriale di oggi, il problema potrebbe essere utilmente risolto sulla base di una collaborazione nella gestione, da attuarsi anche gradualmente:

Riconosce la difficoltà di fissare il modo; come questa collaborazione possa esplicarsi, ma ritiene che un’utile base possa trovarsi nell’esperienza delle Commissioni interne che hanno già dato risultati favorevoli sia dal punto di vista tecnico, che amministrativo.

I consigli di gestione possono essere utili e dovranno essere liberamente eletti, ma difficilissima cosa sarà fissarne la facoltà e i modi di composizione. Quanto alla partecipazione ai consigli di amministrazione, ricorda che nella migliore delle ipotesi i rappresentanti dei lavoratori hanno fatto la figura di comparse.

Prega il collega Marinaro di considerare queste sue osservazioni, che sono frutto dell’esperienza di un vecchio parlamentare ed anche dell’esperienza industriale quotidiana.

MARINARO è spiacente di trovarsi in disaccordo su questo argomento con un maestro in materia, quale l’onorevole Paratore. In verità, ritiene che la sua formula attenui, piuttosto che aggravare la situazione. Infatti quando si dice che i rappresentanti delle classi lavoratrici hanno il diritto di partecipare alla gestione dell’azienda, si dà ai lavoratori il diritto di partecipare anche ai consigli di amministrazione, con voto deliberativo; almeno secondo le intenzioni dei democristiani.

La sua formula invece tende a precisare che la collaborazione dei lavoratori debba limitarsi soltanto al controllo tecnico e amministrativo, come del resto era previsto, se non erra, nel progetto di legge presentato dall’onorevole Giolitti dopo l’occupazione delle fabbriche.

Data l’attuale situazione, la quale non consente più di negare ai lavoratori la conoscenza dello svolgimento dell’industria, dei risultati dell’esercizio e delle ultime conquiste tecniche, ritiene che tutti potrebbero essere d’accordo sulla necessità di un controllo tecnico ed amministrativo, per consentire ai lavoratori di intervenire tempestivamente e di dare i necessari suggerimenti, al fine di migliorare l’industria. Invece la partecipazione alla gestione dell’azienda può essere una facoltà di assai più ampia portata, che non era prevista nemmeno dal progetto Giolitti del 1921.

Comunque se, in seguito alle osservazioni dell’onorevole Paratore, la Commissione ritiene che la formula di partecipazione alla gestione attenui, piuttosto che aggravare, la situazione dell’industria, si dichiara anche egli favorevole a tale soluzione. Conferma però il suo punto di vista, che cioè sarebbe stato preferibile precisare, in sede costituzionale, il diritto dei lavoratori al solo controllo tecnico-amministrativo, delimitando così il campo al futuro legislatore per la regolamentazione di tutta questa delicata materia.

PARATORE ribadisce il concetto che nell’interesse di una azienda sia molto più utile la collaborazione che il controllo, il quale, potendo esplicarsi anche col veto, potrebbe causare il caos nell’industria. È necessario, invece, creare, nell’interesse dell’azienda, una collaborazione pacifica che in un domani può anche arrivare alla parte tecnica.

MARINARO non è d’accordo che il controllo si possa risolvere anche in un veto; ma ad ogni modo dichiara di ritirare il suo articolo.

FANFANI è convinto, nonostante le gravi difficoltà alle quali accennava l’onorevole Paratore, che la strada del progresso sociale ed economico sia ancora indicata dal complesso dei progetti presentati nel 1921 ed in base ai quali bisognava allora, e bisogna ora, spianare la strada alla partecipazione integrale dei lavoratori all’azienda.

Per questo motivo nell’ultima riunione aveva prospettato l’opportunità che nella Costituzione non si precludesse la strada ad uno sviluppo della legislazione in quel senso. A tale proposito, l’espressione «gestione» sembrandogli di significato troppo esclusivo, pregherebbe di trovare un termine più lato.

Domanda, infine, se la Commissione ritenga superfluo specificare che trattasi di lavoratori «di ogni categoria».

GIUA non ritiene necessaria tale specificazione.

PARATORE fa presente la difficoltà di trovare una espressione diversa di «gestione». Personalmente è convinto che tale termine sia il più completo.

PRESIDENTE in relazione alle varie proposte, ritiene che l’articolo potrebbe essere così formulato: «Lo Stato assicura il diritto dei lavoratori di partecipare alla gestione delle aziende ove prestano la loro opera. La legge stabilisce i modi e i limiti di applicazione del diritto».

COLITTO, per euritmia, modificherebbe così l’ultima parte: «La legge stabilisce i modi e i limiti di tale partecipazione».

PRESIDENTE, non variando il significato, preferisce la dizione dianzi proposta. Mette ai voti l’articolo.

FANFANI dichiara di votare l’articolo e di approvarne la terminologia, intendendo, però – (e gli sembra che molti consentano con lui) – che la parola «gestione» non precluda ogni altro modo di partecipazione alla vita attiva delle imprese e che riguardi i lavoratori di ogni categoria.

TAVIANI si associa interamente alla dichiarazione dell’onorevole Fanfani.

(L’articolo è approvato all’unanimità).

Discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

PRESIDENTE, in assenza del Relatore Assennato e del Correlatore Rapelli, ravvisa l’opportunità di prendere in esame gli articoli proposti degli onorevoli Di Vittorio, già Relatore, e Rapelli, Correlatore.

Il primo articolo proposto dall’onorevole Di Vittorio è il seguente:

«Il diritto di associazione è riconosciuto a tutti i cittadini d’ambo i sessi ed agli stranieri residenti legalmente sul territorio nazionale, senza distinzione di razza.

«Tale diritto è garantito dalla legge e non potrà essere limitato dagli scopi politici, sociali, religiosi o filosofici che persegue l’associazione».

Il primo articolo proposto dall’onorevole Rapelli è il seguente:

«È garantito ad ognuno, ed a tutte le professioni, la libertà di associazione per la difesa ed il miglioramento delle condizioni di lavoro e della vita economica».

PESENTI formulerebbe così l’articolo:

«Il diritto di associazione è riconosciuto a tutti indipendentemente e senza distinzioni di nazionalità».

GIUA ricorda che sullo stesso argomento la prima Sottocommissione ha approvato il seguente articolo:

«Il diritto di associarsi senza autorizzazione e per fini che non contrastino con la legge penale è riconosciuto a tutti. Le associazioni che perseguono fini politici mediante una organizzazione militare sono vietate».

FANFANI fa presente che, secondo le intenzioni dell’onorevole Di Vittorio, il diritto di associazione sindacale deve essere bensì compreso nel quadro del diritto di associazione in genere, ma con una particolare specificazione, conseguente alle caratteristiche che ne determinano l’essenza.

Propone il seguente comma da aggiungere alla fine dell’articolo già approvato dalla prima Sottocommissione sul diritto di associazione:

«Il diritto di associazione per la tutela dei propri interessi economici e professionali è riconosciuto a tutti coloro i quali partecipano all’attività economica».

Tale norma, non facendo particolari specificazioni, sottintende, a suo giudizio, che il diritto di associarsi sindacalmente è riconosciuto non soltanto ai cittadini italiani, ma anche agli stranieri, e comunque in assoluta indipendenza da presupposti di sesso o di razza.

PARATORE nota che nella formula proposta dall’onorevole Fanfani, non risultando specificato il carattere sindacale, dovrebbe presumersi che la norma potesse applicarsi anche ad associazioni, ad esempio, di esportatori, le quali, pure se rivolte alla tutela di interessi economici collettivi, non rivestono però le caratteristiche di associazioni sindacali.

CANEVARI concorda.

COLITTO afferma che, a suo giudizio, il termine «professionale» equivale a «sindacale». È convinto che il medesimo concetto che l’onorevole Fanfani vuole affermare possa essere reso più sinteticamente mediante la seguente formulazione: «L’associazione professionale (o sindacale) è libera».

TAVIANI non concorda. Le associazioni di utenti, ad esempio, non sono organizzazioni professionali, per quanto perseguano la tutela di interessi economici collettivi. Parlerebbe quindi di associazioni professionali e sindacali.

COLITTO risponde che le associazioni di utenti non sono associazioni professionali.

PESENTI propone: «L’associazione per la tutela degli interessi economici è libera».

TAVIANI, fondendo le proposte Fanfani e Pesenti, l’articolo potrebbe essere così formulato:

«L’associazione per la tutela dei propri interessi economici e professionali è libera».

CANEVARI direbbe: «L’associazione per la tutela dei propri interessi economici professionali e sindacali è libera».

PRESIDENTE assicura che delle varie proposte sarà dato atto a verbale. Deve tuttavia rinviare ogni decisione, data l’assenza dei due Relatori. Apre intanto la discussione sull’articolo 2 della relazione Di Vittorio, di cui dà lettura:

«Il lavoro è la base della vita e dello sviluppo della società nazionale. Lo Stato dovrà garantire per legge una efficace protezione sociale dei lavoratori manuali ed intellettuali. I sindacati dei lavoratori, quali organi di auto-difesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici professionali e morali dei lavoratori, sono riconosciuti enti di interesse collettivo».

PESENTI domanda quale sia il significato della espressione «enti di interesse collettivo».

COLITTO esprime l’avvisto che sarebbe più opportuno rimandare la discussione a quando saranno presenti i Relatori. Ad ogni modo ritiene inutile precisare nella Costituzione la natura giuridica delle associazioni professionali, perché le stesse saranno o meno, enti di diritto pubblico, a seconda della legislazione che disciplinerà la materia e, quindi, a seconda dei compiti che avranno e dei controlli cui saranno sottoposte.

PRESIDENTE rinvia la discussione al pomeriggio alle 17.

La seduta termina alle 11.15.

Erano presenti: Canevari, Colitto, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Paratore, Pesenti, Taviani.

Era presente autorizzato l’onorevole: Corbi.

Erano assenti: Assennato, Lombardo, Noce Teresa, Rapelli, Togni.

In congedo: Dominedò, Molè.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 4 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

23.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 4 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà e intrapresa economica (Seguito della discussione)

Corbi, Relatore – Togni – Marinaro – Dominedò, Correlatore – Noce Teresa – Presidente.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà e sull’intrapresa economica.

CORBI, Relatore, ritiene che dalla discussione del mattino siano emersi i seguenti cinque punti fondamentali: i consigli di gestione come organi paritetici di direzione tecnica del processo produttivo: immissione dei lavoratori nei consigli di amministrazione; partecipazione dei lavoratori alle sedute dei consigli di amministrazione, con voto consultivo o deliberativo; forme di azionariato operaio; partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali.

Premesso che condivide il punto di vista dell’onorevole Fanfani circa la necessità di far partecipare gli operai, i tecnici e gli impiegati alla direzione tecnica del processo produttivo, dichiara di dissentirne per quanto invece riguarda le altre forme di partecipazione dei lavoratori alla attività dell’impresa nei suoi vari aspetti.

In particolare è molto scettico sui concreti benefici che potrebbero derivare agli operai dall’azionariato e dalla partecipazione agli utili. Qualora questi diritti fossero accolti, i datori di lavoro potrebbero pretendere sia che i miglioramenti salariali fossero subordinati e condizionati alla riuscita della impresa, così come avviene per il capitale, sia di decurtare salari e stipendi, a compenso degli utili concessi, sia che la retribuzione fosse da considerarsi come un anticipo in conto della liquidazione annuale degli utili. I datori di lavoro, inoltre, potrebbero anche pretendere, e non del tutto a torto, che il diritto alla partecipazione agli utili non fosse concesso a tutti i dipendenti ma soltanto a quelli la cui attività rappresentasse un contributo concreto al buon successo dell’impresa. Fatalmente si giungerebbe così a paralizzare l’azione sindacale dei lavoratori, in virtù di un mirifico miglioramento, che il più delle volte potrebbe rivelarsi puramente illusorio, ma che costituirebbe un mezzo efficace per sedare lo spirito di attività sindacale delle masse lavoratrici, che verrebbero col tempo a trovarsi divise in due caste: una di lavoratori privilegiati, vera aristocrazia operaia ligia alle classi padronali, l’altra di lavoratori dimenticati e sfruttati.

Ritiene, comunque, che la questione della partecipazione agli utili possa essere messa in discussione soltanto dopo un più completo esperimento dei consigli di gestione; del pari l’azionariato, il quale offre aspetti ancor più delicati e complessi, potrà essere discusso solo dopo che siano stati constatati i benefici e gli inconvenienti della partecipazione agli utili e dopo che i consigli di gestione si siano sicuramente affermati come strumenti idonei alla formazione di capacità direttive, non soltanto tecniche, ma anche amministrative.

Fa notare che attualmente la partecipazione operaia ai consigli di amministrazione con potere deliberativo non è richiesta né voluta dai lavoratori, i quali, d’altra parte, non si sentirebbero sufficientemente garantiti e soddisfatti da una partecipazione con voto soltanto consultivo, qualora fossero chiamati a partecipare agli utili o all’azionariato. Del resto, se si esaminano gli istituti introdotti nelle legislazioni straniere che presentano caratteri di analogia con i consigli di gestione, si trova che hanno caratteristiche simili a quelle che la Confederazione generale italiana del lavoro vorrebbe attribuire ai consigli di gestione.

TOGNI rileva che la Confederazione generale italiana del lavoro non ha ancora ufficialmente precisato le proprie richieste in merito alla composizione e ai poteri dei consigli di gestione. Su questi elementi gradirebbe dall’onorevole Corbi una precisazione.

CORBI, Relatore, ripete quanto ha esposto nella precedente riunione.

Il consiglio di gestione, premesso che deve essere paritetico, con un presidente eletto dai suoi componenti, il cui parere dovrebbe avere la prevalenza nelle questioni controverse, deve avere un duplice carattere: deliberativo per quanto riguarda l’orientamento e lo sviluppo della capacità produttiva dell’azienda, l’impiego delle materie prime, i problemi dei costi e dei prezzi, le assunzioni e i licenziamenti del personale; consultivo in relazione alla partecipazione dei dipendenti al consiglio di amministrazione.

TOGNI domanda se la partecipazione al consiglio di amministrazione si intende riferita a tutto il consiglio di gestione, e in quali materie si esplichi la sua funzione consultiva; se e quali siano le facoltà di questo consiglio per quanto riguarda il potere esecutivo dell’azienda, rappresentato normalmente dal direttore o dai capi servizio.

CORBI, Relatore, precisa che alle riunioni del consiglio di amministrazione partecipa solo una rappresentanza. Il carattere consultivo del consiglio di gestione si esplica in primo luogo in materia amministrativa ed in secondo luogo per rendersi conto dell’ammontare degli utili, far proposte sul loro impiego, controllare i bilanci, verificare il conto profitti e perdite ecc. Circa il potere esecutivo dell’azienda, il consiglio di gestione interviene su alcuni argomenti con potere discrezionale e su altri con potere consultivo, come ha già spiegato.

TOGNI teme si faccia confusione circa l’ordinamento interno di un’azienda. Rientrano nei compiti del consiglio di amministrazione, che deve considerarsi come il potere legislativo, l’orientamento e lo sviluppo dell’azienda, i problemi dei costi e dei prezzi, le assunzioni e i licenziamenti, mentre la direzione, o potere esecutivo, è costituita da coloro che applicano le disposizioni.

Tenendo presente questa distinzione, qualora si arrivasse all’assurdo di un consiglio di gestione che potesse interferire in quella che è la fase esecutiva dell’ordine, non si farebbe altro che creare una confusione nell’interno dell’azienda ed un continuo intralcio alla sua attività.

CORBI, Relatore, chiede a sua volta all’onorevole Togni quali, secondo lui, dovrebbero essere le funzioni e gli attributi dei consigli di gestione, perché se non ha male interpretato il suo pensiero, gli sembra che sarebbero svuotati di ogni contenuto.

TOGNI risponde che è intenzione del suo gruppo di costituire condizioni tali da portare il rapporto di lavoro da subordinato ad un piano di associazione, negando che ci possa essere una inconciliabilità di interessi tra i così detti datori di lavoro e i così detti lavoratori.

Secondo tale intenzione, i lavoratori dovrebbero partecipare al consiglio di amministrazione, che è la più alta gerarchia dell’azienda, in modo quindi che dividano la responsabilità, dispongano anch’essi della vita dell’azienda stessa, e partecipino alla emanazione di quegli ordini che passano al potere esecutivo, nei riguardi del quale i lavoratori, attraverso i consigli di gestione, dovrebbero avere solo facoltà consultive per non creare duplicazioni di poteri. Data questa premessa, ne viene, come logica conseguenza, una partecipazione anche ai vantaggi e cioè agli utili dell’azienda stessa, che avrebbe, in ultima analisi, come limite la partecipazione alla proprietà.

Se i consigli di gestione non vogliono assumere la loro parte di responsabilità, sarebbe impropria la loro denominazione, mentre, secondo la concezione del suo gruppo, i lavoratori avrebbero un effettivo controllo, una effettiva partecipazione, un effettivo interesse, una effettiva proprietà.

MARINARO desidererebbe conoscere come si concreterebbe la responsabilità dei lavoratori.

TOGNI considera giusta l’osservazione, ma si dichiara convinto che i lavoratori potranno veramente rispondere a questa responsabilità con la loro esperienza e con il loro interesse diretto, perché vivendo in un’azienda e sapendo che essa è già parte della loro vita, nonché delle loro possibilità e dei loro diritti che crescono in ragione dell’anzianità di ciascuno, avranno per l’azienda un attaccamento tale da poter sostituire, in fondo, la normale garanzia che possono dare certi amministratori che, molte volte, hanno più denari che competenza.

MARINARO domanda ancora quale responsabilità assumerebbero i lavoratori in caso di fallimento dell’azienda.

DOMINEDÒ, Correlatore, ritiene che in questo caso non assumerebbero alcuna responsabilità giuridica.

TOGNI precisa però che una responsabilità comincerebbe a sorgere quando questi partecipanti alla amministrazione dell’azienda avessero anche una parte di proprietà. In fondo, non dovrebbe esistere divario tra la posizione di questi amministratori operai e quella dei normali amministratori.

NOCE TERESA, nella riunione del mattino, ha seguito con molto interesse l’intervento dell’onorevole Fanfani, ha ammirato lo spirito con cui egli ha sviscerato tutti gli aspetti della questione, e riconosce che alcune sue preoccupazioni, di carattere sociale ed etico l’hanno trovata pienamente consenziente. Non può però condividere alcuni aspetti da lui trattati e nel rispondergli chiarirà anche, in modo inequivocabile, la divergenza di opinioni esistente fra comunisti e democristiani. Limiterà la sua esposizione alla partecipazione dei lavoratori agli utili ed ai consigli di amministrazione.

I comunisti sono contrari alla partecipazione dei lavoratori agli utili, perché vogliono evitare una divisione non solo all’interno della classe operaia, ma anche tra la classe operaia e la classe lavoratrice. Fa questa distinzione, perché una cosa è la classe operaia ed un’altra è la classe lavoratrice, a cui appartiene anche il datore di lavoro che è un lavoratore allo stesso titolo dell’operaio, senza però appartenere alla classe operaia.

Tale divisione, a suo avviso, sarebbe motivata dal fatto che l’operaio, quando partecipasse agli utili dell’azienda, sarebbe inevitabilmente portato a considerarla come parte di se stesso, arrecando così in seno anche alla classe operaia quella corsa al profitto, che caratterizza la società capitalistica attuale. In concreto, gli operai di una data officina avrebbero interesse a lavorare in modo da ottenere i più alti profitti, anche se questo risultato fosse contrario agli interessi di altri componenti della classe operaia, o di altri lavoratori. Cita l’esempio degli operai tessili che già godono di condizioni di favore e che se fossero ammessi alla partecipazione agli utili, potrebbero essere portati a produrre una accentuazione nella corsa al rialzo dei prezzi, creando così una divisione tra essi e la collettività nazionale.

D’altra parte, se il sistema si estendesse, data la differenza di utili delle varie aziende, si verrebbero a costituire delle aristocrazie operaie che si metterebbero in contrapposizione con altri lavoratori meno favoriti. Oltre a questo motivo, i comunisti sono contrari alla partecipazione agli utili, perché questa, in fondo, è una caratteristica della ideologia corporativa, la quale tendeva alla collaborazione delle classi sul terreno dello sfruttamento, e della corsa al profitto capitalistico, tra operai e datori di lavoro.

L’istituzione dei consigli di gestione, secondo il punto di vista comunista, deve avere invece lo scopo di collaborare coi datori di lavoro in senso produttivo, non per attuare una corsa al profitto capitalistico, ma nell’interesse della collettività. Per profitti capitalistici, oltre quelli di congiuntura, a cui ha accennato l’onorevole Fanfani, si devono intendere anche gli utili che sorpassino un certo livello, i quali oltre che al datore di lavoro, dovrebbero andare a beneficio della collettività sotto forma di riduzione di prezzi. È anche sotto questa forma che va inteso il concetto di solidarietà nazionale, affinché non sia una parola vuota di senso.

Oltre che per la riduzione dei prezzi, tali utili potrebbero essere impiegati per provvidenze di carattere sociale, non circoscritte però ai soli operai di una data industria o officina, come nidi per bambini, scuole professionali, scuole di perfezionamento e scuole tecniche.

Ha voluto precisare il punto di vista dei comunisti perché, rendendosi conto delle preoccupazioni che alcuni aspetti di questo problema potevano determinare nei colleghi democristiani, le pareva che tali aspetti non fossero stati veduti sufficientemente, sotto il profilo specialmente della solidarietà sociale.

Per quanto, poi, concerne i consigli di amministrazione, i comunisti sono contrari ad una partecipazione ad essi dei lavoratori in genere, mentre sono favorevoli a farvi partecipare un rappresentante del consiglio di gestione.

Nel primo caso, infatti, premesso che un consiglio di amministrazione è il consesso dei dirigenti amministrativi che rappresentano il capitale, gli operai, mentre da un lato si renderebbero corresponsabili di fronte ai loro compagni delle decisioni adottate in quella sede, non avrebbero d’altra parte sufficiente voce in capitolo per poter opporsi alle deliberazioni, o per poterne condividere la responsabilità.

Differente è invece la questione se al consiglio di amministrazione partecipa il rappresentante del consiglio di gestione, in quanto egli rappresenta già un collegio in cui sono stati dibattuti quegli stessi problemi che formeranno oggetto di discussione nel consiglio di amministrazione, in seno al quale porterà il parere dell’organo che rappresenta, senza tuttavia impegnarne la responsabilità.

Tale rappresentante naturalmente non deve avere voto deliberativo, perché non può assumersi la responsabilità di eventuali decisioni che siano contrarie agli interessi degli operai. Potrebbe forse accettare il voto deliberativo soltanto se nel consiglio di amministrazione vi fossero tanti rappresentanti operai quanti sono rappresentanti datori di lavoro. Ma poiché si è ancora troppo lontani da questa mèta, e per il momento si può solo fare una questione di rappresentanza, questa non essendo in grado di decidere, non può assumersi la correlativa responsabilità.

Dove, a suo parere, i consigli di gestione dovrebbero avere un’influenza determinante è proprio nei casi di licenziamento e di assunzione; nella migliore utilizzazione delle materie prime, nell’incremento della produzione e in genere in tutti quei problemi in cui veramente possono esprimere un parere ed assumersi una responsabilità. Non parla di consigli di gestione ideali, ma si riferisce a consigli che esistono e che si interessano di tutte le questioni di produzione, di vendita, di importazioni e di esportazioni.

In sostanza gli operai vogliono attuare con i datori di lavoro una collaborazione tecnica e produttiva per il miglior andamento della azienda e non per il suo maggior sfruttamento.

Per questi motivi, ritiene che la Sottocommissione dovrebbe sancire con un articolo breve e sintetico, il diritto della partecipazione degli operai, degli impiegati e dei tecnici a collaborare con i datori di lavoro, nell’interesse della collettività.

PRESIDENTE, tra le due opposte tendenze, si limiterebbe ad affermare il diritto generico dei lavoratori ad entrare nella vita della azienda.

DOMINEDÒ, Correlatore, ritiene che per stabilire la possibilità di giungere ad una conclusione la quale rappresenti un punto di accordo tra le due diverse tendenze, sia necessario approfondire i rispettivi due angoli visuali. A suo giudizio, i cinque punti esposti dall’onorevole Corbi possono essere ridotti ai tre seguenti: 1°) partecipazione alla titolarità; 2°) partecipazione all’esercizio (costituzione di consigli di gestione e immissione nei consigli di amministrazione); 3°) partecipazione agli utili.

Il partecipazionismo alla titolarità, dal punto di vista del suo gruppo, deve essere ritenuto come una mèta fondamentale, poiché, se non si mira ad un collettivismo totale, deve restare aperta la possibilità ai lavoratori di diventare proprietari dell’azienda.

Circa il partecipazionismo all’esercizio, in riguardo alla costituzione dei consigli di gestione, domanda come si concilierebbe il potere deliberativo di questo organo, quale è stato illustrato dall’onorevole Corbi (orientamento e sviluppo produttivo dell’azienda, costi e prezzi, destinazione delle materie prime, assunzione e licenziamento del personale), con la funzione deliberativa ordinaria del consiglio di amministrazione, nonché con la necessità di una correlativa responsabilità anche dal punto di vista giuridico. Poste queste domande, avanza l’ipotesi se non sia il caso di pensare a una diversa struttura dei consigli di gestione, fondata sul concetto che questi consigli potrebbero essere organi di consulenza tecnica per rafforzare l’unità e la solidarietà aziendale: cioè organi di efficienza piuttosto che di gestione.

In riguardo, poi, alla possibile partecipazione al consiglio di amministrazione, ritiene che le contrarie argomentazioni della onorevole Noce siano probanti solo in quanto si consideri isolatamente questa forma di partecipazionismo che invece deve essere inquadrata con le altre due forme.

Infatti, se da un lato si tende alla graduale immissione dei lavoratori nella titolarità oltre che nell’esercizio della azienda, nel medesimo tempo si vengono a creare i presupposti per cui rappresentanti del patrimonio sociale o aziendale diventerebbero gli stessi lavoratori trasformatisi in comproprietari, essendosi favorito l’accesso alla proprietà oltre che alla gestione. Verrebbe così a cadere la sostanza delle obbiezioni sollevate dalla onorevole Noce su questo punto.

Parimenti, per quanto attiene alla partecipazione agli utili aziendali, non gli sembrano probanti le obbiezioni facenti perno sul pericolo di un’eventuale scissione della classe operaia, sia per un motivo analogo al precedente (cioè perché si considera l’innovazione singola, avulsa dalle altre), sia perché, a rigore, se l’affermazione fosse rispondente a verità, sarebbe così grave da ferire non solo il partecipazionismo agli utili ed alla gestione, ma altresì il partecipazionismo alla stessa proprietà. Infatti, anche nel caso in cui il lavoratore fosse immesso nella titolarità delle aziende, si potrebbe verificare egualmente la ipotesi deprecata dalla onorevole Noce, cioè la corsa al profitto capitalistico nell’ambito di una singola azienda, aprendo così un solco fra gli interessi dei lavoratori da essa dipendenti e quelli appartenenti ad altri complessi aziendali. Pertanto, se le obbiezioni poste chiaramente in evidenza dalla discussione, in riguardo alla partecipazione dei lavoratori agli utili, fossero probanti, esse finirebbero per incrinare il fenomeno stesso della elevazione dei lavoratori e della loro partecipazione ad una singola azienda privata, perfettamente degna di essere tutelata in quanto rispondente ad una funzione sociale. Né, a rigore, resterebbe altra soluzione, in ultima analisi, che quella di un collettivismo totale e livellatore, il quale, anche da un punto di vista umano ed etico, non costituirebbe allora la via più idonea per la redenzione del lavoro.

PRESIDENTE, come ha già detto, si limiterebbe ad affermare il diritto generico dei lavoratori di partecipare alla vita dell’azienda. All’incirca formulerebbe così l’articolo:

«È diritto dei lavoratori di partecipare con i propri delegati alla conduzione dell’impresa in cui prestino la loro attività. L’organo formato dai delegati del capitale e dai delegati del lavoro verrà regolato dalla legge nella sua costituzione e nelle sue attribuzioni».

CORBI, Relatore, dichiara di essere d’accordo sulla formulazione proposta dal Presidente.

PRESIDENTE rinvia la riunione a venerdì 11 alle ore 10.

La seduta termina alle 19.30.

Erano presenti: Assennato, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Canevari, Colitto, Merlin Angelina, Molè.

Assenti: Giua, Lombardo, Paratore, Rapelli.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 4 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

22.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 4 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà e intrapresa economica (Seguito della discussione)

Togni – Noce Teresa – Presidente – Fanfani – Corbi, Relatore – Assennato – Dominedò, Correlatore – Marinaro.

La seduta comincia alle 10.15.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà e sull’intrapresa economica.

TOGNI propone che, prima di trattare dei consigli di gestione, sia svolta e discussa la relazione Fanfani sul controllo dell’attività economica, in quanto i consigli di gestione rappresentano un elemento di tale controllo.

NOCE TERESA è d’avviso di abbinare le due discussioni sul controllo e sui consigli di gestione.

PRESIDENTE osserva che quello dei consigli di gestione è un problema che ha dei limiti precisi.

FANFANI, pur ritenendo che si possa parlare dei consigli di gestione anche astraendo da ogni altro problema, osserva che, poiché la Commissione dovrà discutere anche il problema del controllo, di cui uno degli strumenti è il consiglio di gestione, sarebbe opportuno abbinare le discussioni.

CORBI, Relatore, concorda con l’onorevole Fanfani nel ritenere che i due argomenti possano essere trattati contemporaneamente.

Per quanto riguarda i consigli di gestione, dichiara di aver poco da aggiungere a quanto ha detto nella sua precedente relazione. Propone quindi che, avendo già egli nelle grandi linee trattato il suo tema, altrettanto faccia l’onorevole Fanfani per la parte che lo riguarda, in modo da porre i colleghi in condizioni di discutere su entrambi i problemi. La discussione dovrebbe fornire l’orientamento per le prossime riunioni.

FANFANI è d’avviso che ciò non sia possibile, in quanto il problema del controllo è un problema finale in relazione a quelli finora discussi. È finale anche rispetto all’organizzazione sindacale, in quanto questa, a seconda che sia impostata in un modo o nell’altro, porterà ad un orientamento che consentirà l’utilizzazione di certi mezzi in un senso o in un altro. Per ragioni di opportunità pratiche, insiste che siano esauriti tutti gli aspetti relativi alla disciplina della vita economica, per poi passare all’esame delle misure relative al controllo generale.

Siccome l’argomento relativo al consiglio di gestione, come argomento che si inquadra nel problema del controllo, potrebbe venire discusso in quella sede, la discussione odierna potrebbe vertere sull’argomento relativo all’azione sindacale.

ASSENNATO fa presente che, non essendo all’ordine del giorno il problema sindacale, del quale egli è Relatore in sostituzione dell’onorevole Di Vittorio, non gli è possibile svolgere la relazione, non avendola ancora portata a termine.

TOGNI ritiene che nell’esaminare i singoli argomenti si debba seguire anche un ordine logico per ridurre al minimo la possibilità di ritornare sulle decisioni prese e per dare un coordinamento logico e giusto alla materia. Dato che nei giorni scorsi si è parlato della proprietà, si dovrebbe ora trattare di quei limiti dell’autonomia della proprietà che riguardano anche il controllo sociale e delle forme per realizzare questo controllo.

A suo avviso, nella seduta odierna si dovrebbe affrontare la relazione sul controllo sociale dell’attività economica e, successivamente, la discussione sui consigli di gestione che, a suo parere, è integrativa, per passare infine alla parte sindacale.

PRESIDENTE fa presente che l’ultimo tema è quello dei controlli economici, ed è stato posto per ultimo a ragion veduta e per decisione presa dalla Sottocommissione, in quanto rappresenta un coronamento degli altri temi.

Ritiene che il tema dei consigli di gestione sia così circoscritto da poter essere trattato anche a parte. Vuol dire che poi sarà ripreso e l’onorevole Fanfani potrà svolgere al riguardo la sua relazione. Per questo motivo ritiene che si possa dare senz’altro la parola all’onorevole Corbi.

CORBI, Relatore, fa presente che nella sua precedente relazione ha già trattato dei consigli di gestione, spiegando le ragioni per le quali ravvisa la necessità che i lavoratori prendano parte attiva alla direzione della azienda. Crede però opportuno sottoporre all’attenzione della Sottocommissione l’articolo proposto, il quale riassume e concreta l’argomento stesso:

«Per garantire lo sviluppo economico del Paese e per assicurare nell’interesse nazionale l’esercizio del diritto e delle forme di proprietà previste dalla legge, lo Stato assicura al lavoratore il diritto di partecipare alle funzioni di direzione delle imprese, siano esse aziende private, pubbliche, o sotto il controllo della Nazione».

Ricorda che nel corso della sua precedente relazione, l’onorevole Colitto osservò che sarebbe stato più opportuno togliere la premessa di questo articolo, cioè l’indicazione dei fini e delle ragioni che consigliavano l’istituzione di questo nuovo organo e di dire, in una maniera più semplice, che lo Stato assicurava al lavoratore il diritto di partecipare alle funzioni di direzione dell’impresa o usare qualche equivalente espressione.

Osserva che, allo scopo di una maggiore chiarezza, si sono precisati i motivi che consigliano di far partecipare i lavoratori con funzioni direttive all’impresa stessa. Tali premesse sono necessarie anche perché non avvengano equivoci sul carattere e sulla natura di tale partecipazione.

Fu fatta inoltre qualche osservazione sulle parole «direzione dell’impresa», ritenendo più opportuno parlare senz’altro di «consigli di gestione». Non trova difficoltà ad accettare questa dizione, ma ritiene che la parola «direzione» sia più comprensiva e perciò meglio rispondente allo scopo; la dizione «consigli di gestione» limiterebbe lo sviluppo, nell’avvenire, di quelle che possono essere e forme di partecipazione alla direzione dell’impresa. Oggi i consigli di gestione sono cosa ben definita; sono il portato di un’esperienza già fatta in Italia ed è giusto che ad essi ci si riferisca; però fin d’ora si deve prevedere che non costituiscano un punto di arrivo, ma un punto di partenza per raggiungere una maggiore partecipazione e responsabilità dei lavoratori nella vita economica del Paese. Perciò preferisce la parola «direzione», che apre una nuova via e non vincola lo sviluppo conseguente di una maggiore libertà del lavoro.

DOMINEDÒ, Correlatore, riferendosi a quanto già rilevato nella precedente seduta, osserva che, pur sentendo vivamente l’esigenza dell’afflusso dei lavoratori nella funzione amministrativa dell’azienda, tale afflusso dovrebbe tuttavia essere regolato nel modo più idoneo, nell’interesse dell’unità e della forza aziendale e quindi, in ultima analisi, nell’interesse del lavoratore stesso. Ritiene a tal fine che si debba conciliare la duplice esigenza dell’aspirazione della classe lavoratrice a partecipare alla vita interna dell’impresa, con quella dell’unità direttiva da parte dell’imprenditore, cui è affidata la responsabilità aziendale. L’eventuale punto di incontro tra le due esigenze, entrambe socialmente rilevanti, sta, a suo avviso, nel conferire al lavoratore una funzione di consulenza tecnica piuttosto che di deliberazione vincolante: e ciò anche sulla scorta di precedenti esperienze storiche, a cominciare da quella russa, che, con la riforma costituzionale del 1934, ha circoscritto i consigli di gestione nell’interesse dell’unità direttiva entro limiti analoghi o ancora più ristretti di quelli accennati. Sotto questo profilo si potrebbero altresì tener presenti le esperienze dei comitati misti di produzione anglo-americani che possono rispondere alla finalità di rafforzamento della compagine aziendale nell’interesse comune e, quindi, degli stessi lavoratori che vi partecipano, posti così in grado di fruire maggiormente di quel principio di cointeressenza o partecipazione agli utili che socialmente si deve favorire.

TOGNI si rende ben conto dell’esigenza fatta presente nella relazione Corbi e da tempo sentita nei rapporti di lavoro, di una diversa e maggiore partecipazione dei lavoratori alla vita e alle responsabilità aziendali, esigenza che si identifica nella legittima associazione dei lavoratori ad una diversa e più elevata loro condizione morale, sociale ed anche economica. È però ovvio che tale partecipazione deve essere conciliata con altre esigenze insopprimibili, sia di carattere economico che tecnico. Di carattere economico, perché non si deve perdere di vista l’esigenza della produzione, soprattutto in questa fase prevedibilmente lunga di assestamento dell’economia italiana, tendente ad evitare che la produzione stessa possa essere ritardata o comunque compromessa o pregiudicata da intralci e sovrastrutture, mentre deve essere facilitata dall’apporto di competenze tecniche, che possono derivare anche dalla massa dei normali lavoratori. Di carattere tecnico, cioè quella riguardante l’impossibilità o quanto meno il pregiudizio, che deriva all’azienda da una direzione in condominio. Bisogna su questo intendersi chiaramente, per non fare il danno della produzione e, quindi, della collettività e del Paese e per dare ai lavoratori – intesi nel senso più lato e quindi di tutte le categorie – delle soddisfazioni non puramente teoriche e platoniche, con l’aggravante di un’assunzione di responsabilità che in determinati casi può anche non essere rispondente alle possibilità dei lavoratori stessi.

Con questo intende meglio precisare che occorre tener presente l’esigenza di una direzione unica, pur affiancata dalla collaborazione e dalla consulenza di altri organi che possono essere opportunamente creati, ma che non debbono comunque sostituirsi nella direzione o costituirne un duplicato. Tuttavia ritiene che i lavoratori possano assumere un’utile funzione nella gestione aziendale ed avere la loro parte di responsabilità concretata attraverso la consulenza. Per tali motivi è d’opinione che nella formulazione non si possa usare il termine «consigli di gestione», che è equivoco e che va al di là, sia nella forma che nella sostanza, degli scopi che si vogliono raggiungere. Gestione significa amministrazione, e allora il consiglio di gestione non sarebbe che un doppione del consiglio di amministrazione. Dovrà escogitarsi quindi un’altra formula, come ad esempio, «consiglio di consulenza» o altro.

Osserva, infine, che occorre indirizzare i lavoratori alla ricerca del meglio nel processo produttivo, alla valorizzazione delle loro possibilità e capacità tecniche di competenza e di controllo nel rispetto delle superiori esigenze del complesso aziendale; e per ciò fare, si possono creare organismi che affianchino la direzione della impresa o il datore di lavoro a seconda della organizzazione aziendale esercitando un’opera di controllo, di suggerimento e di consulenza, che deve in certo modo anche consentire alla massa dei lavoratori di potere arrivare anche ai più alti gradi direttivi dell’azienda e nello stesso tempo mantenere nei diretti responsabili della produzione quel prestigio che deriva dall’esperienza e dalla responsabilità. Se il datore di lavoro seguirà i consigli ed i suggerimenti, si avrà, attraverso questa forma di collaborazione, una maggiore partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda; in caso contrario il datore di lavoro, discostandosi dai suggerimenti, assumerà una maggiore responsabilità che lo impegnerà maggiormente e comunque lo obbligherà ad un più severo esame dei suoi atti e delle sue iniziative.

NOCE TERESA rileva che l’argomento in discussione è della massima importanza e richiama l’attenzione di tutto il popolo italiano; è quindi pacifico che un articolo su questo tema deve trovar posto nella Costituzione. Non concorda con le affermazioni dell’onorevole Togni e rileva che, se un difetto v’è nella formulazione dell’onorevole Corbi, è proprio l’omissione della dizione «consigli di gestione».

Pensa che non si possa equiparare il termine «gestione» all’altro «amministrazione», rilevando che alla parola «gestione» viene fatta precedere l’altra di «consigli» che, anche da un punto di vista etimologico, sta a indicare una funzione di consulenza.

L’argomento dei consigli di gestione è stato ampiamente discusso insieme con gli interessati – operai, tecnici, impiegati – e si è venuti nella conclusione che i consigli non debbono intervenire obbligatoriamente, ma debbono semplicemente «consigliare» la direzione dell’azienda. Può darsi che il termine non sia esatto, ma il senso è questo: la «gestione» è stata anche estesa dal settore amministrativo al campo tecnico e produttivo. Gli operai, i tecnici, gli impiegati sono tutti d’accordo nel ritenere che nel processo produttivo vi sia qualche manchevolezza e si commettano a volte errori che vanno a danno dei lavoratori; ecco perché viene richiesta l’istituzione dei consigli di gestione. Rileva che attualmente in Italia quegli industriali che hanno aderito alla costituzione dei consigli di gestione ne sono rimasti soddisfatti, mentre dove i consigli sono stati osteggiati, la produzione non va avanti.

Concludendo, propone che all’articolo dell’onorevole Corbi si aggiungano in fine, dopo le parole «sotto il controllo della Nazione», le altre: «mediante l’istituzione di consigli di gestione, dove siano rappresentati operai, tecnici ed impiegati per il controllo della produzione, nell’interesse di tutta la collettività».

PRESIDENTE rileva l’accordo generale sul diritto dei lavoratori ad intervenire nella vita delle aziende. Non vi è accordo invece sulla natura di questo intervento, in quanto taluni temono che una accentuata partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese possa essere di intralcio alla attività dei dirigenti aziendali.

Quanto alla formula proposta dalla onorevole Noce, osserva che essa contiene enunciazioni di carattere programmatico e finalistico le quali, per la loro intrinseca natura, sono sempre incerte e si prestano a più interpretazioni; col pericolo quindi di una limitazione, all’atto pratico, delle finalità desiderate. Certamente colla espressione «Consiglio di gestione» si vuol superare il concetto di semplice funzione consultiva, ma tale dizione può prestarsi a diverse interpretazioni, contenendo in sé una sintesi che da sola non è sufficiente a precisarne il significato.

Ritiene che il compito di determinare le funzioni dei consigli di gestione spetti non alla Costituzione, ma alla legislazione ordinaria. La Costituzione deve limitarsi ad affermare il diritto dei lavoratori di partecipare alla vita aziendale, avendosi di mira un triplice ordine di interessi, cioè quello dei lavoratori, dell’azienda e della collettività. Ma questi interessi, che non è facile armonizzare fra loro in una formulazione sintetica, devono ritenersi finalità presupposte e non essere specificati nella Costituzione, anche perché non è possibile prevedere gli sviluppi futuri della vita delle aziende.

Cita, fra le varie formulazioni, come la più sintetica e meno impegnativa, quella proposta nella relazione dell’onorevole Di Vittorio, così concepita: «Ai lavoratori di aziende di ogni genere aventi almeno 50 dipendenti, è riconosciuto il diritto di partecipare alla gestione dell’azienda mediante appositi consigli di gestione, le cui norme costitutive ed i cui compiti saranno fissati dalla legge».

Dichiara di preferire tale formulazione alle altre, eccezione fatta per la specificazione del numero minimo di lavoratori, dettaglio che dovrebbe essere determinato a suo tempo dalla legislazione ordinaria.

Segnala inoltre, come degno di essere tenuto presente, l’articolo contenuto nel primo progetto della Costituzione francese, che per altro non trovasi riprodotto nel nuovo progetto: «Ogni lavoratore ha diritto di partecipare, per il tramite dei suoi delegati, alla determinazione collettiva delle condizioni di lavoro, così come alle funzioni di direzione e di gestione delle imprese, aziende private e servizi pubblici».

Propone infine la seguente formulazione, che pensa sia ispirata anche ad un concetto di maggiore libertà democratica: «È diritto dei lavoratori partecipare con i propri delegati alla conduzione delle imprese cui prestano la propria opera».

TOGNI pensa che l’andamento della discussione abbia confermato l’opportunità di prendere come base la relazione dell’onorevole Fanfani. Con i termini di gestione, amministrazione, consulenza, non si esaurisce l’esigenza di partecipazione più intima e socialmente più equa dei lavoratori alla vita aziendale.

La onorevole Noce ha ritenuto di trovare nel termine «consigli» qualche cosa che chiarisse il successivo termine di gestione. Dichiara di non poter accettare questa tesi, in quanto la parola «consiglio» significa un consesso, un collegio, un complesso di individui, non di funzioni.

In merito all’articolo proposto dall’onorevole Corbi, nel quale si parla di funzioni di direzione dell’impresa, osserva che praticamente i lavoratori partecipano già in qualche modo alla direzione, la quale è impersonata da quei lavoratori che la onorevole Noce chiama tecnici ma che, sindacalmente parlando, sono i dirigenti, categoria questa ben definita nel fatto in relazione alle esplicate funzioni, sia sotto il profilo giuridico.

Con l’articolo proposto dall’onorevole Corbi si è invece voluto intendere un condominio di direzione delle aziende. Ora, quale dirigente di azienda, osserva che di questa categoria si preoccupa, non sotto il profilo politico, ma sotto quello tecnico, della possibilità di realizzare un condominio di poteri e quindi di responsabilità. Infatti, sotto il profilo politico, personalmente si dichiara favorevole anche ad una immissione in massa dei lavoratori nei consigli di amministrazione; questo non significa che il consiglio di amministrazione si sostituisca alla direzione vera e propria. Ma sotto il profilo di esigenze tecniche, ritiene che non sia concepibile, né tecnicamente, né socialmente, il condominio di responsabilità in una azienda.

La onorevole Noce ha parlato di taluni consigli di gestione esistenti in Italia. Afferma, in proposito, che di consigli di gestione, esattamente nel senso che vorrebbe l’articolo, non ne esistono in Italia.

A suo avviso, non si deve creare qualche cosa di equivoco, ma di concreto per i lavoratori e dare un apporto costruttivo alle aziende perché escano dalla situazione di incertezza amministrativa interna, per avviarsi verso quella normalità, nella quale tutte le forze del lavoro devono portare la loro esperienza e responsabilità.

FANFANI riconosce che il collega Corbi si è venuto a trovare con le mani legate dalla relazione e dalle proposte dell’onorevole Pesenti. Tutte le critiche che gli vengono fatte dovrebbero tener conto che, per dovere di colleganza, l’onorevole Corbi, sostituendo l’onorevole Pesenti, deve sostenerne la tesi.

Ciò premesso, esaminando la proposta fatta dall’onorevole Corbi, ritiene che gli scopi enunciati nella prima parte dell’articolo non siano ben chiariti. Infatti il diritto riconosciuto in questa norma al lavoratore è un diritto limitato – almeno nella espressione – alla sola direzione, e potrebbe riportare in sede costituzionale una discussione assai lunga, che, in sede politica, fu fatta a partire dal 26 aprile 1945 – il giorno dopo la liberazione – a Milano e poi in altre città d’Italia, quando di fronte all’idea di immettere i lavoratori nella vita intima tecnico-amministrativa dell’azienda, gli imprenditori obiettarono che si sarebbe spezzata l’unità direzionale; polemica che è in parte finita con riconoscimento dell’unità di comando dell’azienda. Pertanto, a suo avviso, converrebbe usare un’espressione che non riportasse all’origine il problema, ma tenesse conto del punto al quale è ora giunto.

Passando a considerare l’articolo nel suo complesso, osserva che se si dedica un intero articolo alla partecipazione dei lavoratori alle sorti dell’impresa, non sia possibile tenersi troppo sulle generali su questi punti in cui si innova, rispetto all’esperienza passata.

Proprio su questo terreno, che è nuovo per la nostra legislazione e per la nostra vita economica, non si possono formulare disposizioni analitiche, ma pur si deve tentare di inquadrare tutto il problema. Invita quindi i colleghi a chiarire bene il loro pensiero; quanto più saranno lunghe ed esaurienti le discussioni in sede di Sottocommissione, tanto più brevi saranno quelle in Assemblea plenaria.

Afferma che proprio in un’economia nella quale finora, per gli articoli già approvati, è riconosciuta anche la proprietà privata dell’impresa, non vede perché non si debbano tener presenti altre forme e altri modi di costringere la proprietà dell’impresa ad esercitare, ad adempiere, od assumere la sua funzione sociale, oltre alla forma, brevemente accennata, della partecipazione alla direzione. Se a metà dell’Ottocento il disagio dei lavoratori poteva ritenersi limitato semplicemente alle deficienti condizioni di trattamento economico, oggi, anche in seguito allo sviluppo e alla divulgazione delle teorie sociali, che hanno dato ai lavoratori la coscienza dei loro diritti di uomini, essi non si sentono tanto menomati dal fatto di non ricevere il giusto salario, quanto dal vedere misconosciuta la loro intelligenza e capacità di compartecipare e decidere delle sorti della impresa dove prestano la loro opera. Questa insofferenza del lavoratore deriva in primo luogo dal fatto che per un ritardo dello sviluppo giuridico, inadeguato rispetto allo sviluppo economico e culturale, si menoma la sua dignità e personalità, togliendogli la decisione delle proprie sorti, che dipendono dallo svolgimento dell’attività aziendale. In secondo luogo, deriva dal timore della discontinuità del lavoro e quindi dalla paura della disoccupazione; quindi, aspirazione ad una certa continuità di lavoro o per lo meno alla formazione di una riserva che entri in funzione nel momento di una crisi e consenta al lavoratore di non trovarsi all’improvviso sul lastrico. Terzo: la corresponsione di retribuzioni, che non si sa quanto rispondano a giustizia; se il lavoratore potesse partecipare alla determinazione delle retribuzioni, si adatterebbe anche alla loro limitazione, se ne riconoscesse la necessità per garantire la continuità del lavoro; oggi invece deve accettare una retribuzione che non sa per quanta parte garantisca la continuità del lavoro e per quanta parte vada ad aumentare i profitti del datore di lavoro. Quarto, l’intima ribellione contro i profitti di congiuntura, incamerati dagli imprenditori e non condivisi dai lavoratori che, poiché si tratta di profitti di congiuntura, dovrebbero avere su di essi gli stessi diritti che hanno gli imprenditori.

Occorre quindi eliminare queste cause di disagio, perché, pur prescindendo da una ragione di giustizia, non è possibile tralasciare le ragioni di utilità e di efficienza. In questa condizione le imprese non raggiungeranno il massimo di produttività, né la società avrà la possibilità di uno sviluppo graduale e progressivo.

Mezzo elementare per assicurare un tenore di vita confacente alla dignità di uomini e per garantire una certa continuità di lavoro è il ricorso alle associazioni sindacali, strumento moderno di lotta, ma anche di garanzia, che la società ha escogitato per far sì che milioni di uomini non restino in balìa di altri uomini. Occorre poi predisporre la coordinazione di tutte le attività economiche per prevenire la disoccupazione e la crisi. La tecnica economica e politica in determinati Paesi ha insegnato che la disoccupazione e la crisi possono essere prevenute ed allora, senza preoccupazione per il colore politico di tali Paesi, si debbono studiare i metodi seguiti, e applicarli se essi rispondono allo scopo. Si dovrebbe inoltre predisporre il modo di accumulo di quelle famose riserve che, nell’eventualità disgraziata che non si riesca a prevenire le crisi e la disoccupazione, entrino in funzione per far sì che la gente non muoia di fame; tali riserve possono essere costituite con i sistemi dell’assicurazione e della prevenzione, o con l’accesso alla proprietà, intesa questa non soltanto nel senso immobiliare, ma soprattutto nel senso mobiliare di disponibilità dei mezzi di acquisto di beni che diano possibilità di vita.

Passando a trattare il problema della partecipazione del lavoratore agli utili dell’azienda, ricorda che fu di moda mezzo secolo fa considerarlo come lo strumento unico e quasi esclusivo di risoluzione della questione sociale; oggi tale infatuazione è svanita. Tuttavia come mezzo sussidiario, in un’economia mista, come quella prevista con la Costituzione, non si può rinunciare a questo espediente della partecipazione agli utili, che può consentire un controllo dell’accumulazione capitalistica, e costituire un riconoscimento del diritto che hanno tutti gli uomini di beneficiare di colpi di fortuna inaspettati.

Per ultimo si pone il problema di riconoscere e rispettare la dignità del lavoratore, in quanto uomo intelligente, che ha un proprio destino terreno del quale è giusto che concorra a determinare lo svolgimento almeno quanto gli altri uomini, che insieme con lui lavorano nello stesso campo.

Per questo motivo, crede che provvedimento decisivo per eliminare questo aspetto intellettuale e spirituale del disagio, sarà quello di immettere al vivo il lavoratore negli organi dirigenti dell’impresa. Il problema sotto questo profilo ha due aspetti: l’aspetto economico-amministrativo, controllato oggi esclusivamente dai consigli di amministrazione (cioè dai rappresentanti dei proprietari), nei quali si dovrebbero immettere anche i rappresentanti dei lavoratori. Vi è poi l’aspetto tecnico-direttivo, di efficienza, di produttività e di razionalizzazione del lavoro. Qui il consiglio di amministrazione misto, come è stato immaginato, nomina un fiduciario, cioè il direttore dell’impresa. Ma questo fiduciario dovrà essere affiancato dal consiglio, dall’aiuto e dall’assistenza di coloro che, se non predispongono i piani, tuttavia ogni giorno, provandone l’efficacia, ne vedono i difetti. Per questo affiancamento l’opera della direzione risulterà più illuminata e più rispettosa non soltanto dei criteri di produttività, ma anche di quelli di rispetto della persona fisica, morale e spirituale del lavoratore.

All’obiezione dell’impreparazione dei lavoratori a partecipare ai consigli di amministrazione, risponde che normalmente il lavoratore ne sa più dei consiglieri di amministrazione stessi; ad ogni modo non è detto che non si possa provvedere alla loro preparazione. Infatti, le scuole aziendali devono servire anche alla preparazione tecnico-amministrativa dei lavoratori che domani entreranno in seno al consiglio di amministrazione. In attesa di una diffusa cultura tecnico-amministrativa dei lavoratori si potrà richiedere per la loro elezione determinate qualifiche, come quelle di aver frequentato dei corsi o di avere una certa anzianità nelle aziende. È un processo logico analogo a quello che ha portato al suffragio universale.

A chi prospetta il pericolo e la paura dei capitali, fa notare che la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione può costituire anziché un pericolo, una garanzia. Questo appare tanto più vero considerando che sinora si sono opposti alla partecipazione dei lavoratori ai consigli di amministrazione più i rappresentanti della Camera del Lavoro o quelli del Partito comunista che i rappresentanti del capitale.

Osserva che se i rappresentanti dei lavoratori venissero immessi nei consigli di amministrazione solo per fare gli osservatori o in condizione di minorità, la cosa si trasformerebbe in una burla.

Va tenuto anche presente che si è all’inizio, ma che lo sviluppo finale si avrà, a suo avviso, mediante l’istituto della progressiva partecipazione della comunità dei lavoratori alla proprietà dell’impresa; ciò vuol dire che l’immissione dei lavoratori sarà originariamente una partecipazione di minoranza, ma che poi si raggiungerà la parità che avrà, come inevitabile sviluppo, la partecipazione totale dei lavoratori ai consigli di amministrazione.

Altra obiezione che viene fatta a questa partecipazione è la necessità del mantenimento del segreto di fabbrica. In un primo momento tale problema, data l’impreparazione di alcuni elementi, potrà essere delicato, ma poi gli stessi lavoratori rappresentanti si convinceranno che il segreto dell’impresa è il loro segreto e ogni inconveniente sarà così eliminato.

Quanto alla partecipazione del capitale straniero, dichiara di essere convinto che esso non teme il consiglio o la cooperazione dei lavoratori. L’esperienza inglese e quella americana stanno a dimostrarlo. I comitati misti, di cui si è fatto una magnifica esperienza durante la guerra in Inghilterra ed anche prima nel Canada, stanno a dimostrare come il capitale straniero tema i disordini e l’imprevisto, ma non la collaborazione, da qualunque parte essa venga.

Fa presente che una conseguenza della partecipazione dei lavoratori ai consigli di amministrazione sarà la limitazione degli utili: ma nello stesso tempo si avrà una maggior garanzia di continuità di lavoro ed il capitale straniero preferirà sempre un utile modesto ma di sicuro avvenire, ad un utile alto che possa improvvisamente cessare. Né si deve temere che il capitale straniero sia scoraggiato dal graduale accesso della comunità dei lavoratori alla comproprietà, in quanto i capitalisti stranieri hanno in questo ultimo secolo fatto una grande esperienza, cioè che la vita degli investimenti stranieri in un determinato Paese è brevissima. I Paesi nuovi, non appena si sono irrobustiti, trovano sempre un pretesto giuridico per nazionalizzare ogni cosa. È recente l’esempio del Messico e della Romania. Forse questa è la ragione per la quale i grandi Paesi capitalisti ed investitori cercano sempre di far precedere e far accompagnare l’investimento da garanzie politico-militari.

Ritiene che se si potesse, in un piano ben stabilito alle origini del graduale passaggio della proprietà alla comunità, prospettare la durata di questo investimento e le possibilità di disinvestimento, si offrirebbe al capitale straniero una garanzia molto maggiore di quella che è rappresentata da una disposizione legislativa che può mutare col mutare della maggioranza del Parlamento. Torna ad affermare quindi di non temere la partecipazione dei lavoratori alla vita e alla sorte delle imprese e chiede che essa non sia limitata all’aspetto direzionale. Dato lo stadio di sviluppo dell’economia italiana, propone che questa partecipazione sia estesa all’amministrazione economica (consigli di amministrazione), alla conduzione tecnica (affiancando la direzione con consigli che si possono chiamare di efficienza), agli utili eccezionali delle imprese e alla comproprietà delle imprese stesse.

A conclusione di quanto ha esposto proporrà un ordine del giorno.

MARINARO, prima di passare all’ordine del giorno, chiede di conoscere quale sia il pensiero dell’onorevole Fanfani in merito alla responsabilità che i lavoratori assumerebbero nelle amministrazioni.

FANFANI risponde che la responsabilità delle decisioni che i lavoratori prenderanno nei consigli di amministrazione non si paga solo con perdita di capitale, ma anche mediante la non ricezione di retribuzione o con perdita di lavoro. Quindi i rischi a cui vanno incontro i lavoratori sono molto più gravi di quelli della proprietà. Il problema è grave e va considerato nel suo complesso per evitare gli inconvenienti a cui può dar luogo, prima di prendere una decisione.

Appunto per questo propone il seguente ordine del giorno che non è sospensivo, ma è un invito ad un approfondimento della questione:

«In attesa che sia svolta e discussa la relazione sul controllo sociale dell’attività economica, la terza Sottocommissione, udita la relazione Corbi sui consigli di gestione, chiede che al momento opportuno sia statuita una norma la quale precisi i diritti dei lavoratori (tecnici, impiegati, operai) ed eventualmente degli utenti (per alcune imprese di servizi), a partecipare con rappresentanti democraticamente eletti all’amministrazione delle imprese, ad affiancare con appositi Consigli la direzione tecnica delle aziende, ed infine determini la partecipazione dei lavoratori ed eventualmente degli utenti agli utili delle imprese ed agevoli nei casi favorevoli il passaggio della proprietà delle imprese alle comunità dei lavoratori ed eventualmente anche degli utenti».

ASSENNATO fa rilevare un inconveniente di carattere immorale, quello dei sopraprofitti di guerra. Non gli sembra che sia un modo di risolverlo estendendo il beneficio alla massa dei lavoratori.

FANFANI, premesso che il controllo dell’economia dovrebbe evitare gli extra profitti, qualora però ci siano, dato che l’inconveniente, andando a beneficio in una sola categoria, creerebbe il presupposto di un’alterazione dell’equilibrio sociale, ritiene opportuno che in questo caso si riconosca per legge la necessità di farne partecipi tutti i lavoratori.

Questa distribuzione potrebbe essere operata anche per mezzo di un’imposta; però l’imposta finirà per polverizzare tutto e il lavoratore del gruppo più interessato vedrà che, nonostante l’imposta, parte di questi extra profitti vanno all’imprenditore e a lui non resterà che l’illusione che una parte del beneficio vada ai lavoratori.

TOGNI riconosce che l’onorevole Fanfani ha fatto una esposizione completa e ha esaminato tutti gli aspetti del problema; personalmente poi lo ringrazia perché in modo completo ha accolto e trasformato nella sua formulazione quella che era ed è la sua preoccupazione, ed è lieto che egli abbia parlato di consiglio che affianca la direzione per dare aiuto, assistenza ecc. Però non condivide una responsabilità diretta tecnico-amministrativa, in quanto questa responsabilità è inscindibile e risale in maniera più vasta al consiglio di amministrazione, al quale i lavoratori potranno affluire.

Per ciò che riguarda il rispetto della persona del lavoratore che si attiene alle condizioni del lavoratore dell’azienda, va tenuto presente che questo compito è ormai di fatto, e presto lo sarà di diritto, in gran parte assegnato alle commissioni interne, le quali hanno la funzione di affiancamento della direzione per quanto riguarda le condizioni dei lavoratori nell’ambito aziendale. Si dichiara favorevole ad accogliere l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Fanfani, con talune lievi modifiche. La prima riguarda la dizione «direzione tecnica» che sostituirebbe col termine «direzione», nel senso che la direzione non è soltanto tecnica, ma anche amministrativa e commerciale, cioè la direzione in senso lato, l’organo esecutivo del consiglio di amministrazione. La seconda modifica è relativa alle tre categorie: tecnici, impiegati ed operai, nella quale il termine «tecnico» può trarre in inganno, dato che esistono i tecnici non di categoria, mentre qui ci si riferisce alla categoria dei dirigenti. Sostituirebbe quindi con la parola «dirigenti» il termine «tecnici».

FANFANI fa presente che in tal caso bisognerebbe specificare che i dirigenti non siano i proprietari.

TOGNI a questo riguardo pensa che bisogna riferirsi a quella che è la situazione di fatto.

Una terza modifica si riferisce alla nomina diretta dei rappresentanti nei consigli, i quali dovrebbero essere democraticamente eletti dalle singole categorie. Con questo si porterebbe un elemento di chiarificazione, perché è evidente che le singole categorie debbono proporre la nomina dei propri rappresentanti nel consiglio, nell’ambito dei propri appartenenti.

CORBI, Relatore, poiché l’onorevole Fanfani nella sua ampia, chiara e limpida esposizione ha esposto il suo modo di vedere, dichiara che, in qualità di Relatore, preciserà alcuni aspetti del problema, perché la discussione possa incamminarsi verso una conclusione.

Si riferisce innanzitutto ad un’osservazione dell’onorevole Togni, il quale si è domandato come dovessero essere composti i consigli di gestione, ed ha citato il caso della Fiat di Torino, che presenta il carattere di un consiglio di gestione misto tra datori di lavoro e lavoratori, impiegati, reduci ecc. Dichiara subito che egli intende per consiglio di gestione non un consiglio composto esclusivamente di dipendenti, ma un consiglio del quale facciano parte e dipendenti e dirigenti, e anche rappresenti la classe padronale dell’azienda stessa. Le funzioni di questi consigli di gestione, a suo modo di vedere, debbono avere due aspetti fondamentali: uno deliberativo e uno consultivo. Deliberativo per quanto riguarda l’orientamento e lo sviluppo della capacità produttiva dell’azienda, mentre sul problema dei costi e dei prezzi, sulla assunzione e licenziamento del personale, sull’impiego delle materie prime e, per quanto riguarda la partecipazione al consiglio di amministrazione, ai consigli di gestione dovrebbe essere dato soltanto parere consultivo. Mandato consultivo dovrebbero avere per conoscere gli utili creati dall’azienda e fare proposte sul loro impiego, per controllare il bilancio e il conto profitti e perdite.

Concorda sulla prima parte dell’ordine del giorno Fanfani, dove propone di abbinare la discussione sui consigli di gestione con quella del controllo, ma dichiara di non poter accettare pienamente la seconda, in quanto ritiene che non si sia con ciò conclusa la discussione sui consigli di gestione, e che su alcuni punti e funzioni si debba ancora discutere. È soprattutto la parte riguardante la partecipazione agli utili, alla proprietà e anche il potere deliberativo nei consigli di amministrazione che lo lascia molto dubbioso. Ritiene quindi che la proposta dell’onorevole Fanfani debba essere tenuta presente e discussa, ma che non si possa per ora votare il suo ordine del giorno, perché darebbe come risoluto un problema che dalla risoluzione è ancora lontano.

Osserva che l’onorevole Fanfani ha fatto una premessa molto giusta rilevando come, per dovere di colleganza, egli abbia presentato l’articolo così come era stato formulato dal collega Pesenti. Ma ciò non significa che questo articolo sia intangibile e che non si possa trovare un modo di esprimersi che meglio risponda ai desideri comuni.

PRESIDENTE è d’avviso che l’articolo sia redatto benissimo, meno la parola «direzione» che ritiene troppo limitativa.

FANFANI dichiara che non era nelle sue intenzioni di imporre un articolo sotto forma di ordine del giorno.

Tenendo conto delle osservazioni fatte, propone che nel suo ordine del giorno si dica: «chiede che al momento opportuno sia discussa (e non statuita) una norma la quale precisi i diritti dei lavoratori, ed eventualmente degli utenti, a partecipare all’amministrazione dell’impresa».

CORBI, Relatore, propone un altro ordine del giorno così formulato: «La terza Sottocommissione, udita la relazione Corbi, decide di discutere contemporaneamente il problema dei consigli di gestione e il problema del controllo di cui è Relatore l’onorevole Fanfani».

FANFANI ritiene che sia inutile parlare del controllo, senza prima aver discusso la relazione in materia sindacale.

PRESIDENTE fa presente che si era già deciso di discutere soltanto dei consigli di gestione e che, se si deve votare un articolo, deve riguardare tale argomento.

TAVIANI non crede che si possa fare un solo articolo esclusivamente per i consigli di gestione. Se un tale articolo fosse messo in votazione, egli voterebbe contro. L’argomento può trovare invece posto in un articolo di carattere generale che tratti della partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale e del controllo dello Stato.

PRESIDENTE rileva che molte Costituzioni moderne hanno dedicato un articolo a tale argomento.

DOMINEDÒ, Correlatore, propone che nella seduta pomeridiana si affronti il tema dei consigli di gestione con l’intesa che, se la discussione metta in evidenza che, insieme all’intervento dei lavoratori nella consulenza tecnica dell’azienda, si debba tener conto anche di un intervento nel consiglio di amministrazione o di altre forme di partecipazione, queste materie saranno pure oggetto di discussione.

(Resta così stabilito).

PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione alla seduta pomeridiana.

La seduta termina alle 13.10.

Erano presenti: Assennato, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Rapelli, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Canevari, Colitto, Merlin Angelina, Molè.

Assenti: Giua, Lombardo e Paratore.