ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
TERZA SOTTOCOMMISSIONE
22.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 4 OTTOBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI
INDICE
Diritto di proprietà e intrapresa economica (Seguito della discussione)
Togni – Noce Teresa – Presidente – Fanfani – Corbi, Relatore – Assennato – Dominedò, Correlatore – Marinaro.
La seduta comincia alle 10.15.
Seguito della discussione sul diritto di proprietà e sull’intrapresa economica.
TOGNI propone che, prima di trattare dei consigli di gestione, sia svolta e discussa la relazione Fanfani sul controllo dell’attività economica, in quanto i consigli di gestione rappresentano un elemento di tale controllo.
NOCE TERESA è d’avviso di abbinare le due discussioni sul controllo e sui consigli di gestione.
PRESIDENTE osserva che quello dei consigli di gestione è un problema che ha dei limiti precisi.
FANFANI, pur ritenendo che si possa parlare dei consigli di gestione anche astraendo da ogni altro problema, osserva che, poiché la Commissione dovrà discutere anche il problema del controllo, di cui uno degli strumenti è il consiglio di gestione, sarebbe opportuno abbinare le discussioni.
CORBI, Relatore, concorda con l’onorevole Fanfani nel ritenere che i due argomenti possano essere trattati contemporaneamente.
Per quanto riguarda i consigli di gestione, dichiara di aver poco da aggiungere a quanto ha detto nella sua precedente relazione. Propone quindi che, avendo già egli nelle grandi linee trattato il suo tema, altrettanto faccia l’onorevole Fanfani per la parte che lo riguarda, in modo da porre i colleghi in condizioni di discutere su entrambi i problemi. La discussione dovrebbe fornire l’orientamento per le prossime riunioni.
FANFANI è d’avviso che ciò non sia possibile, in quanto il problema del controllo è un problema finale in relazione a quelli finora discussi. È finale anche rispetto all’organizzazione sindacale, in quanto questa, a seconda che sia impostata in un modo o nell’altro, porterà ad un orientamento che consentirà l’utilizzazione di certi mezzi in un senso o in un altro. Per ragioni di opportunità pratiche, insiste che siano esauriti tutti gli aspetti relativi alla disciplina della vita economica, per poi passare all’esame delle misure relative al controllo generale.
Siccome l’argomento relativo al consiglio di gestione, come argomento che si inquadra nel problema del controllo, potrebbe venire discusso in quella sede, la discussione odierna potrebbe vertere sull’argomento relativo all’azione sindacale.
ASSENNATO fa presente che, non essendo all’ordine del giorno il problema sindacale, del quale egli è Relatore in sostituzione dell’onorevole Di Vittorio, non gli è possibile svolgere la relazione, non avendola ancora portata a termine.
TOGNI ritiene che nell’esaminare i singoli argomenti si debba seguire anche un ordine logico per ridurre al minimo la possibilità di ritornare sulle decisioni prese e per dare un coordinamento logico e giusto alla materia. Dato che nei giorni scorsi si è parlato della proprietà, si dovrebbe ora trattare di quei limiti dell’autonomia della proprietà che riguardano anche il controllo sociale e delle forme per realizzare questo controllo.
A suo avviso, nella seduta odierna si dovrebbe affrontare la relazione sul controllo sociale dell’attività economica e, successivamente, la discussione sui consigli di gestione che, a suo parere, è integrativa, per passare infine alla parte sindacale.
PRESIDENTE fa presente che l’ultimo tema è quello dei controlli economici, ed è stato posto per ultimo a ragion veduta e per decisione presa dalla Sottocommissione, in quanto rappresenta un coronamento degli altri temi.
Ritiene che il tema dei consigli di gestione sia così circoscritto da poter essere trattato anche a parte. Vuol dire che poi sarà ripreso e l’onorevole Fanfani potrà svolgere al riguardo la sua relazione. Per questo motivo ritiene che si possa dare senz’altro la parola all’onorevole Corbi.
CORBI, Relatore, fa presente che nella sua precedente relazione ha già trattato dei consigli di gestione, spiegando le ragioni per le quali ravvisa la necessità che i lavoratori prendano parte attiva alla direzione della azienda. Crede però opportuno sottoporre all’attenzione della Sottocommissione l’articolo proposto, il quale riassume e concreta l’argomento stesso:
«Per garantire lo sviluppo economico del Paese e per assicurare nell’interesse nazionale l’esercizio del diritto e delle forme di proprietà previste dalla legge, lo Stato assicura al lavoratore il diritto di partecipare alle funzioni di direzione delle imprese, siano esse aziende private, pubbliche, o sotto il controllo della Nazione».
Ricorda che nel corso della sua precedente relazione, l’onorevole Colitto osservò che sarebbe stato più opportuno togliere la premessa di questo articolo, cioè l’indicazione dei fini e delle ragioni che consigliavano l’istituzione di questo nuovo organo e di dire, in una maniera più semplice, che lo Stato assicurava al lavoratore il diritto di partecipare alle funzioni di direzione dell’impresa o usare qualche equivalente espressione.
Osserva che, allo scopo di una maggiore chiarezza, si sono precisati i motivi che consigliano di far partecipare i lavoratori con funzioni direttive all’impresa stessa. Tali premesse sono necessarie anche perché non avvengano equivoci sul carattere e sulla natura di tale partecipazione.
Fu fatta inoltre qualche osservazione sulle parole «direzione dell’impresa», ritenendo più opportuno parlare senz’altro di «consigli di gestione». Non trova difficoltà ad accettare questa dizione, ma ritiene che la parola «direzione» sia più comprensiva e perciò meglio rispondente allo scopo; la dizione «consigli di gestione» limiterebbe lo sviluppo, nell’avvenire, di quelle che possono essere e forme di partecipazione alla direzione dell’impresa. Oggi i consigli di gestione sono cosa ben definita; sono il portato di un’esperienza già fatta in Italia ed è giusto che ad essi ci si riferisca; però fin d’ora si deve prevedere che non costituiscano un punto di arrivo, ma un punto di partenza per raggiungere una maggiore partecipazione e responsabilità dei lavoratori nella vita economica del Paese. Perciò preferisce la parola «direzione», che apre una nuova via e non vincola lo sviluppo conseguente di una maggiore libertà del lavoro.
DOMINEDÒ, Correlatore, riferendosi a quanto già rilevato nella precedente seduta, osserva che, pur sentendo vivamente l’esigenza dell’afflusso dei lavoratori nella funzione amministrativa dell’azienda, tale afflusso dovrebbe tuttavia essere regolato nel modo più idoneo, nell’interesse dell’unità e della forza aziendale e quindi, in ultima analisi, nell’interesse del lavoratore stesso. Ritiene a tal fine che si debba conciliare la duplice esigenza dell’aspirazione della classe lavoratrice a partecipare alla vita interna dell’impresa, con quella dell’unità direttiva da parte dell’imprenditore, cui è affidata la responsabilità aziendale. L’eventuale punto di incontro tra le due esigenze, entrambe socialmente rilevanti, sta, a suo avviso, nel conferire al lavoratore una funzione di consulenza tecnica piuttosto che di deliberazione vincolante: e ciò anche sulla scorta di precedenti esperienze storiche, a cominciare da quella russa, che, con la riforma costituzionale del 1934, ha circoscritto i consigli di gestione nell’interesse dell’unità direttiva entro limiti analoghi o ancora più ristretti di quelli accennati. Sotto questo profilo si potrebbero altresì tener presenti le esperienze dei comitati misti di produzione anglo-americani che possono rispondere alla finalità di rafforzamento della compagine aziendale nell’interesse comune e, quindi, degli stessi lavoratori che vi partecipano, posti così in grado di fruire maggiormente di quel principio di cointeressenza o partecipazione agli utili che socialmente si deve favorire.
TOGNI si rende ben conto dell’esigenza fatta presente nella relazione Corbi e da tempo sentita nei rapporti di lavoro, di una diversa e maggiore partecipazione dei lavoratori alla vita e alle responsabilità aziendali, esigenza che si identifica nella legittima associazione dei lavoratori ad una diversa e più elevata loro condizione morale, sociale ed anche economica. È però ovvio che tale partecipazione deve essere conciliata con altre esigenze insopprimibili, sia di carattere economico che tecnico. Di carattere economico, perché non si deve perdere di vista l’esigenza della produzione, soprattutto in questa fase prevedibilmente lunga di assestamento dell’economia italiana, tendente ad evitare che la produzione stessa possa essere ritardata o comunque compromessa o pregiudicata da intralci e sovrastrutture, mentre deve essere facilitata dall’apporto di competenze tecniche, che possono derivare anche dalla massa dei normali lavoratori. Di carattere tecnico, cioè quella riguardante l’impossibilità o quanto meno il pregiudizio, che deriva all’azienda da una direzione in condominio. Bisogna su questo intendersi chiaramente, per non fare il danno della produzione e, quindi, della collettività e del Paese e per dare ai lavoratori – intesi nel senso più lato e quindi di tutte le categorie – delle soddisfazioni non puramente teoriche e platoniche, con l’aggravante di un’assunzione di responsabilità che in determinati casi può anche non essere rispondente alle possibilità dei lavoratori stessi.
Con questo intende meglio precisare che occorre tener presente l’esigenza di una direzione unica, pur affiancata dalla collaborazione e dalla consulenza di altri organi che possono essere opportunamente creati, ma che non debbono comunque sostituirsi nella direzione o costituirne un duplicato. Tuttavia ritiene che i lavoratori possano assumere un’utile funzione nella gestione aziendale ed avere la loro parte di responsabilità concretata attraverso la consulenza. Per tali motivi è d’opinione che nella formulazione non si possa usare il termine «consigli di gestione», che è equivoco e che va al di là, sia nella forma che nella sostanza, degli scopi che si vogliono raggiungere. Gestione significa amministrazione, e allora il consiglio di gestione non sarebbe che un doppione del consiglio di amministrazione. Dovrà escogitarsi quindi un’altra formula, come ad esempio, «consiglio di consulenza» o altro.
Osserva, infine, che occorre indirizzare i lavoratori alla ricerca del meglio nel processo produttivo, alla valorizzazione delle loro possibilità e capacità tecniche di competenza e di controllo nel rispetto delle superiori esigenze del complesso aziendale; e per ciò fare, si possono creare organismi che affianchino la direzione della impresa o il datore di lavoro a seconda della organizzazione aziendale esercitando un’opera di controllo, di suggerimento e di consulenza, che deve in certo modo anche consentire alla massa dei lavoratori di potere arrivare anche ai più alti gradi direttivi dell’azienda e nello stesso tempo mantenere nei diretti responsabili della produzione quel prestigio che deriva dall’esperienza e dalla responsabilità. Se il datore di lavoro seguirà i consigli ed i suggerimenti, si avrà, attraverso questa forma di collaborazione, una maggiore partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda; in caso contrario il datore di lavoro, discostandosi dai suggerimenti, assumerà una maggiore responsabilità che lo impegnerà maggiormente e comunque lo obbligherà ad un più severo esame dei suoi atti e delle sue iniziative.
NOCE TERESA rileva che l’argomento in discussione è della massima importanza e richiama l’attenzione di tutto il popolo italiano; è quindi pacifico che un articolo su questo tema deve trovar posto nella Costituzione. Non concorda con le affermazioni dell’onorevole Togni e rileva che, se un difetto v’è nella formulazione dell’onorevole Corbi, è proprio l’omissione della dizione «consigli di gestione».
Pensa che non si possa equiparare il termine «gestione» all’altro «amministrazione», rilevando che alla parola «gestione» viene fatta precedere l’altra di «consigli» che, anche da un punto di vista etimologico, sta a indicare una funzione di consulenza.
L’argomento dei consigli di gestione è stato ampiamente discusso insieme con gli interessati – operai, tecnici, impiegati – e si è venuti nella conclusione che i consigli non debbono intervenire obbligatoriamente, ma debbono semplicemente «consigliare» la direzione dell’azienda. Può darsi che il termine non sia esatto, ma il senso è questo: la «gestione» è stata anche estesa dal settore amministrativo al campo tecnico e produttivo. Gli operai, i tecnici, gli impiegati sono tutti d’accordo nel ritenere che nel processo produttivo vi sia qualche manchevolezza e si commettano a volte errori che vanno a danno dei lavoratori; ecco perché viene richiesta l’istituzione dei consigli di gestione. Rileva che attualmente in Italia quegli industriali che hanno aderito alla costituzione dei consigli di gestione ne sono rimasti soddisfatti, mentre dove i consigli sono stati osteggiati, la produzione non va avanti.
Concludendo, propone che all’articolo dell’onorevole Corbi si aggiungano in fine, dopo le parole «sotto il controllo della Nazione», le altre: «mediante l’istituzione di consigli di gestione, dove siano rappresentati operai, tecnici ed impiegati per il controllo della produzione, nell’interesse di tutta la collettività».
PRESIDENTE rileva l’accordo generale sul diritto dei lavoratori ad intervenire nella vita delle aziende. Non vi è accordo invece sulla natura di questo intervento, in quanto taluni temono che una accentuata partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese possa essere di intralcio alla attività dei dirigenti aziendali.
Quanto alla formula proposta dalla onorevole Noce, osserva che essa contiene enunciazioni di carattere programmatico e finalistico le quali, per la loro intrinseca natura, sono sempre incerte e si prestano a più interpretazioni; col pericolo quindi di una limitazione, all’atto pratico, delle finalità desiderate. Certamente colla espressione «Consiglio di gestione» si vuol superare il concetto di semplice funzione consultiva, ma tale dizione può prestarsi a diverse interpretazioni, contenendo in sé una sintesi che da sola non è sufficiente a precisarne il significato.
Ritiene che il compito di determinare le funzioni dei consigli di gestione spetti non alla Costituzione, ma alla legislazione ordinaria. La Costituzione deve limitarsi ad affermare il diritto dei lavoratori di partecipare alla vita aziendale, avendosi di mira un triplice ordine di interessi, cioè quello dei lavoratori, dell’azienda e della collettività. Ma questi interessi, che non è facile armonizzare fra loro in una formulazione sintetica, devono ritenersi finalità presupposte e non essere specificati nella Costituzione, anche perché non è possibile prevedere gli sviluppi futuri della vita delle aziende.
Cita, fra le varie formulazioni, come la più sintetica e meno impegnativa, quella proposta nella relazione dell’onorevole Di Vittorio, così concepita: «Ai lavoratori di aziende di ogni genere aventi almeno 50 dipendenti, è riconosciuto il diritto di partecipare alla gestione dell’azienda mediante appositi consigli di gestione, le cui norme costitutive ed i cui compiti saranno fissati dalla legge».
Dichiara di preferire tale formulazione alle altre, eccezione fatta per la specificazione del numero minimo di lavoratori, dettaglio che dovrebbe essere determinato a suo tempo dalla legislazione ordinaria.
Segnala inoltre, come degno di essere tenuto presente, l’articolo contenuto nel primo progetto della Costituzione francese, che per altro non trovasi riprodotto nel nuovo progetto: «Ogni lavoratore ha diritto di partecipare, per il tramite dei suoi delegati, alla determinazione collettiva delle condizioni di lavoro, così come alle funzioni di direzione e di gestione delle imprese, aziende private e servizi pubblici».
Propone infine la seguente formulazione, che pensa sia ispirata anche ad un concetto di maggiore libertà democratica: «È diritto dei lavoratori partecipare con i propri delegati alla conduzione delle imprese cui prestano la propria opera».
TOGNI pensa che l’andamento della discussione abbia confermato l’opportunità di prendere come base la relazione dell’onorevole Fanfani. Con i termini di gestione, amministrazione, consulenza, non si esaurisce l’esigenza di partecipazione più intima e socialmente più equa dei lavoratori alla vita aziendale.
La onorevole Noce ha ritenuto di trovare nel termine «consigli» qualche cosa che chiarisse il successivo termine di gestione. Dichiara di non poter accettare questa tesi, in quanto la parola «consiglio» significa un consesso, un collegio, un complesso di individui, non di funzioni.
In merito all’articolo proposto dall’onorevole Corbi, nel quale si parla di funzioni di direzione dell’impresa, osserva che praticamente i lavoratori partecipano già in qualche modo alla direzione, la quale è impersonata da quei lavoratori che la onorevole Noce chiama tecnici ma che, sindacalmente parlando, sono i dirigenti, categoria questa ben definita nel fatto in relazione alle esplicate funzioni, sia sotto il profilo giuridico.
Con l’articolo proposto dall’onorevole Corbi si è invece voluto intendere un condominio di direzione delle aziende. Ora, quale dirigente di azienda, osserva che di questa categoria si preoccupa, non sotto il profilo politico, ma sotto quello tecnico, della possibilità di realizzare un condominio di poteri e quindi di responsabilità. Infatti, sotto il profilo politico, personalmente si dichiara favorevole anche ad una immissione in massa dei lavoratori nei consigli di amministrazione; questo non significa che il consiglio di amministrazione si sostituisca alla direzione vera e propria. Ma sotto il profilo di esigenze tecniche, ritiene che non sia concepibile, né tecnicamente, né socialmente, il condominio di responsabilità in una azienda.
La onorevole Noce ha parlato di taluni consigli di gestione esistenti in Italia. Afferma, in proposito, che di consigli di gestione, esattamente nel senso che vorrebbe l’articolo, non ne esistono in Italia.
A suo avviso, non si deve creare qualche cosa di equivoco, ma di concreto per i lavoratori e dare un apporto costruttivo alle aziende perché escano dalla situazione di incertezza amministrativa interna, per avviarsi verso quella normalità, nella quale tutte le forze del lavoro devono portare la loro esperienza e responsabilità.
FANFANI riconosce che il collega Corbi si è venuto a trovare con le mani legate dalla relazione e dalle proposte dell’onorevole Pesenti. Tutte le critiche che gli vengono fatte dovrebbero tener conto che, per dovere di colleganza, l’onorevole Corbi, sostituendo l’onorevole Pesenti, deve sostenerne la tesi.
Ciò premesso, esaminando la proposta fatta dall’onorevole Corbi, ritiene che gli scopi enunciati nella prima parte dell’articolo non siano ben chiariti. Infatti il diritto riconosciuto in questa norma al lavoratore è un diritto limitato – almeno nella espressione – alla sola direzione, e potrebbe riportare in sede costituzionale una discussione assai lunga, che, in sede politica, fu fatta a partire dal 26 aprile 1945 – il giorno dopo la liberazione – a Milano e poi in altre città d’Italia, quando di fronte all’idea di immettere i lavoratori nella vita intima tecnico-amministrativa dell’azienda, gli imprenditori obiettarono che si sarebbe spezzata l’unità direzionale; polemica che è in parte finita con riconoscimento dell’unità di comando dell’azienda. Pertanto, a suo avviso, converrebbe usare un’espressione che non riportasse all’origine il problema, ma tenesse conto del punto al quale è ora giunto.
Passando a considerare l’articolo nel suo complesso, osserva che se si dedica un intero articolo alla partecipazione dei lavoratori alle sorti dell’impresa, non sia possibile tenersi troppo sulle generali su questi punti in cui si innova, rispetto all’esperienza passata.
Proprio su questo terreno, che è nuovo per la nostra legislazione e per la nostra vita economica, non si possono formulare disposizioni analitiche, ma pur si deve tentare di inquadrare tutto il problema. Invita quindi i colleghi a chiarire bene il loro pensiero; quanto più saranno lunghe ed esaurienti le discussioni in sede di Sottocommissione, tanto più brevi saranno quelle in Assemblea plenaria.
Afferma che proprio in un’economia nella quale finora, per gli articoli già approvati, è riconosciuta anche la proprietà privata dell’impresa, non vede perché non si debbano tener presenti altre forme e altri modi di costringere la proprietà dell’impresa ad esercitare, ad adempiere, od assumere la sua funzione sociale, oltre alla forma, brevemente accennata, della partecipazione alla direzione. Se a metà dell’Ottocento il disagio dei lavoratori poteva ritenersi limitato semplicemente alle deficienti condizioni di trattamento economico, oggi, anche in seguito allo sviluppo e alla divulgazione delle teorie sociali, che hanno dato ai lavoratori la coscienza dei loro diritti di uomini, essi non si sentono tanto menomati dal fatto di non ricevere il giusto salario, quanto dal vedere misconosciuta la loro intelligenza e capacità di compartecipare e decidere delle sorti della impresa dove prestano la loro opera. Questa insofferenza del lavoratore deriva in primo luogo dal fatto che per un ritardo dello sviluppo giuridico, inadeguato rispetto allo sviluppo economico e culturale, si menoma la sua dignità e personalità, togliendogli la decisione delle proprie sorti, che dipendono dallo svolgimento dell’attività aziendale. In secondo luogo, deriva dal timore della discontinuità del lavoro e quindi dalla paura della disoccupazione; quindi, aspirazione ad una certa continuità di lavoro o per lo meno alla formazione di una riserva che entri in funzione nel momento di una crisi e consenta al lavoratore di non trovarsi all’improvviso sul lastrico. Terzo: la corresponsione di retribuzioni, che non si sa quanto rispondano a giustizia; se il lavoratore potesse partecipare alla determinazione delle retribuzioni, si adatterebbe anche alla loro limitazione, se ne riconoscesse la necessità per garantire la continuità del lavoro; oggi invece deve accettare una retribuzione che non sa per quanta parte garantisca la continuità del lavoro e per quanta parte vada ad aumentare i profitti del datore di lavoro. Quarto, l’intima ribellione contro i profitti di congiuntura, incamerati dagli imprenditori e non condivisi dai lavoratori che, poiché si tratta di profitti di congiuntura, dovrebbero avere su di essi gli stessi diritti che hanno gli imprenditori.
Occorre quindi eliminare queste cause di disagio, perché, pur prescindendo da una ragione di giustizia, non è possibile tralasciare le ragioni di utilità e di efficienza. In questa condizione le imprese non raggiungeranno il massimo di produttività, né la società avrà la possibilità di uno sviluppo graduale e progressivo.
Mezzo elementare per assicurare un tenore di vita confacente alla dignità di uomini e per garantire una certa continuità di lavoro è il ricorso alle associazioni sindacali, strumento moderno di lotta, ma anche di garanzia, che la società ha escogitato per far sì che milioni di uomini non restino in balìa di altri uomini. Occorre poi predisporre la coordinazione di tutte le attività economiche per prevenire la disoccupazione e la crisi. La tecnica economica e politica in determinati Paesi ha insegnato che la disoccupazione e la crisi possono essere prevenute ed allora, senza preoccupazione per il colore politico di tali Paesi, si debbono studiare i metodi seguiti, e applicarli se essi rispondono allo scopo. Si dovrebbe inoltre predisporre il modo di accumulo di quelle famose riserve che, nell’eventualità disgraziata che non si riesca a prevenire le crisi e la disoccupazione, entrino in funzione per far sì che la gente non muoia di fame; tali riserve possono essere costituite con i sistemi dell’assicurazione e della prevenzione, o con l’accesso alla proprietà, intesa questa non soltanto nel senso immobiliare, ma soprattutto nel senso mobiliare di disponibilità dei mezzi di acquisto di beni che diano possibilità di vita.
Passando a trattare il problema della partecipazione del lavoratore agli utili dell’azienda, ricorda che fu di moda mezzo secolo fa considerarlo come lo strumento unico e quasi esclusivo di risoluzione della questione sociale; oggi tale infatuazione è svanita. Tuttavia come mezzo sussidiario, in un’economia mista, come quella prevista con la Costituzione, non si può rinunciare a questo espediente della partecipazione agli utili, che può consentire un controllo dell’accumulazione capitalistica, e costituire un riconoscimento del diritto che hanno tutti gli uomini di beneficiare di colpi di fortuna inaspettati.
Per ultimo si pone il problema di riconoscere e rispettare la dignità del lavoratore, in quanto uomo intelligente, che ha un proprio destino terreno del quale è giusto che concorra a determinare lo svolgimento almeno quanto gli altri uomini, che insieme con lui lavorano nello stesso campo.
Per questo motivo, crede che provvedimento decisivo per eliminare questo aspetto intellettuale e spirituale del disagio, sarà quello di immettere al vivo il lavoratore negli organi dirigenti dell’impresa. Il problema sotto questo profilo ha due aspetti: l’aspetto economico-amministrativo, controllato oggi esclusivamente dai consigli di amministrazione (cioè dai rappresentanti dei proprietari), nei quali si dovrebbero immettere anche i rappresentanti dei lavoratori. Vi è poi l’aspetto tecnico-direttivo, di efficienza, di produttività e di razionalizzazione del lavoro. Qui il consiglio di amministrazione misto, come è stato immaginato, nomina un fiduciario, cioè il direttore dell’impresa. Ma questo fiduciario dovrà essere affiancato dal consiglio, dall’aiuto e dall’assistenza di coloro che, se non predispongono i piani, tuttavia ogni giorno, provandone l’efficacia, ne vedono i difetti. Per questo affiancamento l’opera della direzione risulterà più illuminata e più rispettosa non soltanto dei criteri di produttività, ma anche di quelli di rispetto della persona fisica, morale e spirituale del lavoratore.
All’obiezione dell’impreparazione dei lavoratori a partecipare ai consigli di amministrazione, risponde che normalmente il lavoratore ne sa più dei consiglieri di amministrazione stessi; ad ogni modo non è detto che non si possa provvedere alla loro preparazione. Infatti, le scuole aziendali devono servire anche alla preparazione tecnico-amministrativa dei lavoratori che domani entreranno in seno al consiglio di amministrazione. In attesa di una diffusa cultura tecnico-amministrativa dei lavoratori si potrà richiedere per la loro elezione determinate qualifiche, come quelle di aver frequentato dei corsi o di avere una certa anzianità nelle aziende. È un processo logico analogo a quello che ha portato al suffragio universale.
A chi prospetta il pericolo e la paura dei capitali, fa notare che la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione può costituire anziché un pericolo, una garanzia. Questo appare tanto più vero considerando che sinora si sono opposti alla partecipazione dei lavoratori ai consigli di amministrazione più i rappresentanti della Camera del Lavoro o quelli del Partito comunista che i rappresentanti del capitale.
Osserva che se i rappresentanti dei lavoratori venissero immessi nei consigli di amministrazione solo per fare gli osservatori o in condizione di minorità, la cosa si trasformerebbe in una burla.
Va tenuto anche presente che si è all’inizio, ma che lo sviluppo finale si avrà, a suo avviso, mediante l’istituto della progressiva partecipazione della comunità dei lavoratori alla proprietà dell’impresa; ciò vuol dire che l’immissione dei lavoratori sarà originariamente una partecipazione di minoranza, ma che poi si raggiungerà la parità che avrà, come inevitabile sviluppo, la partecipazione totale dei lavoratori ai consigli di amministrazione.
Altra obiezione che viene fatta a questa partecipazione è la necessità del mantenimento del segreto di fabbrica. In un primo momento tale problema, data l’impreparazione di alcuni elementi, potrà essere delicato, ma poi gli stessi lavoratori rappresentanti si convinceranno che il segreto dell’impresa è il loro segreto e ogni inconveniente sarà così eliminato.
Quanto alla partecipazione del capitale straniero, dichiara di essere convinto che esso non teme il consiglio o la cooperazione dei lavoratori. L’esperienza inglese e quella americana stanno a dimostrarlo. I comitati misti, di cui si è fatto una magnifica esperienza durante la guerra in Inghilterra ed anche prima nel Canada, stanno a dimostrare come il capitale straniero tema i disordini e l’imprevisto, ma non la collaborazione, da qualunque parte essa venga.
Fa presente che una conseguenza della partecipazione dei lavoratori ai consigli di amministrazione sarà la limitazione degli utili: ma nello stesso tempo si avrà una maggior garanzia di continuità di lavoro ed il capitale straniero preferirà sempre un utile modesto ma di sicuro avvenire, ad un utile alto che possa improvvisamente cessare. Né si deve temere che il capitale straniero sia scoraggiato dal graduale accesso della comunità dei lavoratori alla comproprietà, in quanto i capitalisti stranieri hanno in questo ultimo secolo fatto una grande esperienza, cioè che la vita degli investimenti stranieri in un determinato Paese è brevissima. I Paesi nuovi, non appena si sono irrobustiti, trovano sempre un pretesto giuridico per nazionalizzare ogni cosa. È recente l’esempio del Messico e della Romania. Forse questa è la ragione per la quale i grandi Paesi capitalisti ed investitori cercano sempre di far precedere e far accompagnare l’investimento da garanzie politico-militari.
Ritiene che se si potesse, in un piano ben stabilito alle origini del graduale passaggio della proprietà alla comunità, prospettare la durata di questo investimento e le possibilità di disinvestimento, si offrirebbe al capitale straniero una garanzia molto maggiore di quella che è rappresentata da una disposizione legislativa che può mutare col mutare della maggioranza del Parlamento. Torna ad affermare quindi di non temere la partecipazione dei lavoratori alla vita e alla sorte delle imprese e chiede che essa non sia limitata all’aspetto direzionale. Dato lo stadio di sviluppo dell’economia italiana, propone che questa partecipazione sia estesa all’amministrazione economica (consigli di amministrazione), alla conduzione tecnica (affiancando la direzione con consigli che si possono chiamare di efficienza), agli utili eccezionali delle imprese e alla comproprietà delle imprese stesse.
A conclusione di quanto ha esposto proporrà un ordine del giorno.
MARINARO, prima di passare all’ordine del giorno, chiede di conoscere quale sia il pensiero dell’onorevole Fanfani in merito alla responsabilità che i lavoratori assumerebbero nelle amministrazioni.
FANFANI risponde che la responsabilità delle decisioni che i lavoratori prenderanno nei consigli di amministrazione non si paga solo con perdita di capitale, ma anche mediante la non ricezione di retribuzione o con perdita di lavoro. Quindi i rischi a cui vanno incontro i lavoratori sono molto più gravi di quelli della proprietà. Il problema è grave e va considerato nel suo complesso per evitare gli inconvenienti a cui può dar luogo, prima di prendere una decisione.
Appunto per questo propone il seguente ordine del giorno che non è sospensivo, ma è un invito ad un approfondimento della questione:
«In attesa che sia svolta e discussa la relazione sul controllo sociale dell’attività economica, la terza Sottocommissione, udita la relazione Corbi sui consigli di gestione, chiede che al momento opportuno sia statuita una norma la quale precisi i diritti dei lavoratori (tecnici, impiegati, operai) ed eventualmente degli utenti (per alcune imprese di servizi), a partecipare con rappresentanti democraticamente eletti all’amministrazione delle imprese, ad affiancare con appositi Consigli la direzione tecnica delle aziende, ed infine determini la partecipazione dei lavoratori ed eventualmente degli utenti agli utili delle imprese ed agevoli nei casi favorevoli il passaggio della proprietà delle imprese alle comunità dei lavoratori ed eventualmente anche degli utenti».
ASSENNATO fa rilevare un inconveniente di carattere immorale, quello dei sopraprofitti di guerra. Non gli sembra che sia un modo di risolverlo estendendo il beneficio alla massa dei lavoratori.
FANFANI, premesso che il controllo dell’economia dovrebbe evitare gli extra profitti, qualora però ci siano, dato che l’inconveniente, andando a beneficio in una sola categoria, creerebbe il presupposto di un’alterazione dell’equilibrio sociale, ritiene opportuno che in questo caso si riconosca per legge la necessità di farne partecipi tutti i lavoratori.
Questa distribuzione potrebbe essere operata anche per mezzo di un’imposta; però l’imposta finirà per polverizzare tutto e il lavoratore del gruppo più interessato vedrà che, nonostante l’imposta, parte di questi extra profitti vanno all’imprenditore e a lui non resterà che l’illusione che una parte del beneficio vada ai lavoratori.
TOGNI riconosce che l’onorevole Fanfani ha fatto una esposizione completa e ha esaminato tutti gli aspetti del problema; personalmente poi lo ringrazia perché in modo completo ha accolto e trasformato nella sua formulazione quella che era ed è la sua preoccupazione, ed è lieto che egli abbia parlato di consiglio che affianca la direzione per dare aiuto, assistenza ecc. Però non condivide una responsabilità diretta tecnico-amministrativa, in quanto questa responsabilità è inscindibile e risale in maniera più vasta al consiglio di amministrazione, al quale i lavoratori potranno affluire.
Per ciò che riguarda il rispetto della persona del lavoratore che si attiene alle condizioni del lavoratore dell’azienda, va tenuto presente che questo compito è ormai di fatto, e presto lo sarà di diritto, in gran parte assegnato alle commissioni interne, le quali hanno la funzione di affiancamento della direzione per quanto riguarda le condizioni dei lavoratori nell’ambito aziendale. Si dichiara favorevole ad accogliere l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Fanfani, con talune lievi modifiche. La prima riguarda la dizione «direzione tecnica» che sostituirebbe col termine «direzione», nel senso che la direzione non è soltanto tecnica, ma anche amministrativa e commerciale, cioè la direzione in senso lato, l’organo esecutivo del consiglio di amministrazione. La seconda modifica è relativa alle tre categorie: tecnici, impiegati ed operai, nella quale il termine «tecnico» può trarre in inganno, dato che esistono i tecnici non di categoria, mentre qui ci si riferisce alla categoria dei dirigenti. Sostituirebbe quindi con la parola «dirigenti» il termine «tecnici».
FANFANI fa presente che in tal caso bisognerebbe specificare che i dirigenti non siano i proprietari.
TOGNI a questo riguardo pensa che bisogna riferirsi a quella che è la situazione di fatto.
Una terza modifica si riferisce alla nomina diretta dei rappresentanti nei consigli, i quali dovrebbero essere democraticamente eletti dalle singole categorie. Con questo si porterebbe un elemento di chiarificazione, perché è evidente che le singole categorie debbono proporre la nomina dei propri rappresentanti nel consiglio, nell’ambito dei propri appartenenti.
CORBI, Relatore, poiché l’onorevole Fanfani nella sua ampia, chiara e limpida esposizione ha esposto il suo modo di vedere, dichiara che, in qualità di Relatore, preciserà alcuni aspetti del problema, perché la discussione possa incamminarsi verso una conclusione.
Si riferisce innanzitutto ad un’osservazione dell’onorevole Togni, il quale si è domandato come dovessero essere composti i consigli di gestione, ed ha citato il caso della Fiat di Torino, che presenta il carattere di un consiglio di gestione misto tra datori di lavoro e lavoratori, impiegati, reduci ecc. Dichiara subito che egli intende per consiglio di gestione non un consiglio composto esclusivamente di dipendenti, ma un consiglio del quale facciano parte e dipendenti e dirigenti, e anche rappresenti la classe padronale dell’azienda stessa. Le funzioni di questi consigli di gestione, a suo modo di vedere, debbono avere due aspetti fondamentali: uno deliberativo e uno consultivo. Deliberativo per quanto riguarda l’orientamento e lo sviluppo della capacità produttiva dell’azienda, mentre sul problema dei costi e dei prezzi, sulla assunzione e licenziamento del personale, sull’impiego delle materie prime e, per quanto riguarda la partecipazione al consiglio di amministrazione, ai consigli di gestione dovrebbe essere dato soltanto parere consultivo. Mandato consultivo dovrebbero avere per conoscere gli utili creati dall’azienda e fare proposte sul loro impiego, per controllare il bilancio e il conto profitti e perdite.
Concorda sulla prima parte dell’ordine del giorno Fanfani, dove propone di abbinare la discussione sui consigli di gestione con quella del controllo, ma dichiara di non poter accettare pienamente la seconda, in quanto ritiene che non si sia con ciò conclusa la discussione sui consigli di gestione, e che su alcuni punti e funzioni si debba ancora discutere. È soprattutto la parte riguardante la partecipazione agli utili, alla proprietà e anche il potere deliberativo nei consigli di amministrazione che lo lascia molto dubbioso. Ritiene quindi che la proposta dell’onorevole Fanfani debba essere tenuta presente e discussa, ma che non si possa per ora votare il suo ordine del giorno, perché darebbe come risoluto un problema che dalla risoluzione è ancora lontano.
Osserva che l’onorevole Fanfani ha fatto una premessa molto giusta rilevando come, per dovere di colleganza, egli abbia presentato l’articolo così come era stato formulato dal collega Pesenti. Ma ciò non significa che questo articolo sia intangibile e che non si possa trovare un modo di esprimersi che meglio risponda ai desideri comuni.
PRESIDENTE è d’avviso che l’articolo sia redatto benissimo, meno la parola «direzione» che ritiene troppo limitativa.
FANFANI dichiara che non era nelle sue intenzioni di imporre un articolo sotto forma di ordine del giorno.
Tenendo conto delle osservazioni fatte, propone che nel suo ordine del giorno si dica: «chiede che al momento opportuno sia discussa (e non statuita) una norma la quale precisi i diritti dei lavoratori, ed eventualmente degli utenti, a partecipare all’amministrazione dell’impresa».
CORBI, Relatore, propone un altro ordine del giorno così formulato: «La terza Sottocommissione, udita la relazione Corbi, decide di discutere contemporaneamente il problema dei consigli di gestione e il problema del controllo di cui è Relatore l’onorevole Fanfani».
FANFANI ritiene che sia inutile parlare del controllo, senza prima aver discusso la relazione in materia sindacale.
PRESIDENTE fa presente che si era già deciso di discutere soltanto dei consigli di gestione e che, se si deve votare un articolo, deve riguardare tale argomento.
TAVIANI non crede che si possa fare un solo articolo esclusivamente per i consigli di gestione. Se un tale articolo fosse messo in votazione, egli voterebbe contro. L’argomento può trovare invece posto in un articolo di carattere generale che tratti della partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale e del controllo dello Stato.
PRESIDENTE rileva che molte Costituzioni moderne hanno dedicato un articolo a tale argomento.
DOMINEDÒ, Correlatore, propone che nella seduta pomeridiana si affronti il tema dei consigli di gestione con l’intesa che, se la discussione metta in evidenza che, insieme all’intervento dei lavoratori nella consulenza tecnica dell’azienda, si debba tener conto anche di un intervento nel consiglio di amministrazione o di altre forme di partecipazione, queste materie saranno pure oggetto di discussione.
(Resta così stabilito).
PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione alla seduta pomeridiana.
La seduta termina alle 13.10.
Erano presenti: Assennato, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Rapelli, Taviani, Togni.
Assenti giustificati: Canevari, Colitto, Merlin Angelina, Molè.
Assenti: Giua, Lombardo e Paratore.