Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

25.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di associazione e ordinamento sindacale (Seguito della discussione)

Presidente – Giua – Rapelli, Correlatore – Pesenti – Colitto – Fanfani – Federici Maria – Taviani – Canevari – Merlin Angelina.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

PRESIDENTE, per l’assenza del Relatore, propone di sospendere la discussione dell’articolo 1 e di passare alla discussione degli articoli successivi nel testo proposto dall’onorevole Di Vittorio.

(Così rimane stabilito).

L’articolo 2 è così formulato:

«Il lavoro è la base fondamentale della vita e dello sviluppo della società nazionale.

«Lo Stato dovrà garantire per legge una efficace protezione sociale dei lavoratori manuali ed intellettuali.

«I sindacati dei lavoratori, quali organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori, sono riconosciuti enti d’interesse collettivo».

Osserva che il primo comma può essere soppresso, perché non indispensabile. Il secondo comma tratta materia che ha formato oggetto di articoli già discussi; quindi pensa che la discussione debba limitarsi al terzo comma.

Ricorda che fu già discusso se il sindacato debba essere unico o plurimo per ogni categoria, se vada riconosciuto come persona giuridica e, in questo caso, se vada considerato persona giuridica di diritto privato o pubblico.

Tutti furono d’accordo che principale attribuzione del sindacato debba essere la stipulazione dei contratti collettivi, e che al sindacato spetti la rappresentanza e la tutela di tutti gli appartenenti alla categoria, siano o no ad esso inscritti.

GIUA propone di conservare il secondo comma e di aggiungervi l’espressione «tanto all’interno che all’estero». In sede di coordinamento anche questo comma potrà essere eliminato, se risulterà che la materia sia già compresa in altri articoli.

RAPELLI, Correlatore, fa notare che il concetto espresso nel secondo comma è compendiato nell’articolo 5 da lui proposto e così formulato:

«Lo Stato curerà la tutela del lavoratore attraverso una protezione legislativa speciale in patria ed all’estero, concorrendo alla formazione di una regolamentazione internazionale, che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comuni ai lavoratori».

PESENTI pensa che si possa dire che lo Stato, con disposizioni legislative, curerà i diritti dei propri cittadini anche all’estero, ma non si può, nella Carta Costituzionale, stabilire che lo Stato debba concorrere alla formazione di una regolamentazione internazionale che assicuri i diritti dei lavoratori, anche se questo è uno scopo perseguibile.

RAPELLI, Correlatore, afferma che se per molto tempo alcuni Stati rifiutarono la loro adesione alle convenzioni di Ginevra sulla protezione del lavoro, è un dovere fondamentale per l’Italia favorire una regolamentazione internazionale del lavoro ed impegnarsi ad aderirvi. Solo così possono mettersi su un piede di eguaglianza i lavoratori dei vari Paesi, ricchi o poveri che siano, e possono eliminarsi le conseguenze di una concorrenza che potrebbe riuscire dannosa alla salute degli operai, perché effettuata con l’inosservanza dell’orario di lavoro e con la trascuratezza di determinate norme igieniche. Ricorda che la stessa Costituzione di Weimar stabiliva un tale impegno.

PESENTI chiede perché l’Italia debba assumersi questo obbligo con la Costituzione.

RAPELLI, Correlatore, nota che non si può ignorare che oggi questa regolamentazione internazionale del lavoro è una realtà. Se con essa si adottasse la settimana di 40 ore lavorative, l’Italia ne avrebbe un beneficio interno, perché avrebbe la possibilità di impiegare un maggior numero di lavoratori.

PRESENTI è d’accordo che sarebbe un beneficio, ma fa l’ipotesi che di cinquanta Stati solo trentacinque abbiano aderito alla convenzione delle 40 ore e altri 15 invece adottino la settimana di 48 o 50 ore. L’Italia, impegnata a rispettare la convenzione, potrebbe subire un danno nella sua economia. Per questa ragione non ritiene opportuno stabilire simili impegni nella Costituzione.

RAPELLI, Correlatore, osserva che non è garanzia sufficiente lasciare alla legge di stabilire tale impegno. Se, come avvenuto sotto il fascismo, nel Parlamento si determinasse una situazione di predominio di interessi diversi da quelli dei lavoratori, basterebbe una nuova legge a negare la validità di una convenzione internazionale che provvedesse alla tutela più completa dei lavoratori.

GIUA propone che il terzo comma dell’articolo 2 proposto dall’onorevole Di Vittorio sia così formulato: «Sarà cura dello Stato di favorire una regolamentazione internazionale che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune a tutti i lavoratori».

COLITTO, poiché lo Stato deve sempre intervenire per proteggere i lavoratori, ritiene inutile tale comma; esso è una ripetizione generica di quanto, in modo specifico, è stato detto in altri articoli.

RAPELLI, Correlatore, obietta che in questi articoli certi problemi, quale ad esempio quello degli infortuni, dell’igiene negli stabilimenti, delle malattie professionali, non sono tenuti nella dovuta considerazione.

FANFANI fa rilevare che sono in discussione due problemi distinti: l’uno adombrato nel secondo comma dell’articolo Di Vittorio e nella prima parte dell’articolo 5 dell’onorevole Rapelli, che è quasi un appunto a quello che la Sottocommissione ha statuito, riconoscendo alcuni diritti generici dei lavoratori, ma non specificando nulla circa la protezione del lavoratore contro tutta una serie di danni diretti o indiretti alla sua salute, che hanno origine da determinate circostanze di lavoro; l’altro, accennato dal Rapelli, e contrastato dal Pesanti, per impegnare lo Stato italiano a collaborare alla stipulazione di una convenzione internazionale per la protezione dei lavoratori, e ad applicare obbligatoriamente in Italia gli eventuali accordi più favorevoli ai lavoratori italiani.

COLITTO riferendosi al primo problema accennato, legge il capoverso dell’articolo 3 approvato: «Ogni cittadino che, a motivo dell’età, dello stato fisico o mentale o di contingenze di carattere generale, si trovi nell’impossibilità di lavorare, ha diritto di ottenere dalla collettività mezzi adeguati di assistenza»; e l’ultima parte del 4°: «Istituzioni previdenziali, assistenziali e scolastiche, predisposte od integrate, ove occorra, dallo Stato, devono tutelare ogni madre e la vita e lo sviluppo di ogni fanciullo».

RAPELLI, Correlatore, osserva che qui si parla di problemi assistenziali e previdenziali, mentre la protezione del lavoratore si basa essenzialmente sull’orario, sulla sicurezza e sull’igiene del lavoro; e questa parte della legislazione protettiva non è stata finora considerata.

PRESIDENTE aggiunge che quando si è parlato di istituzioni previdenziali si è fatto particolare riferimento alla protezione della maternità e dell’infanzia. La protezione del lavoratore, oggetto di una vasta legislazione, deve essere consacrata nella Costituzione. Si chiede se a questo risponde completamente la prima parte dell’articolo Rapelli: «Lo Stato curerà la tutela del lavoratore attraverso una protezione legislativa speciale in patria e all’estero».

Nella seconda parte, poi, dello stesso articolo si considera una forma speciale di tutela consistente nella collaborazione ad una regolamentazione internazionale di protezione del lavoro. Ritiene che la proposta dell’onorevole Giua ovvierebbe al pericolo accennato dall’onorevole Pesenti, perché lascia al legislatore italiano la valutazione della opportunità di applicare o meno la regolamentazione internazionale.

GIUA dà lettura dell’articolo completo formulato secondo la sua proposta:

«Lo Stato dovrà garantire per legge una efficace protezione sociale dei lavoratori manuali ed intellettuali.

«I sindacati dei lavoratori, quali organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori, sono riconosciuti enti di interesse collettivo.

«Sarà compito dello Stato di favorire una regolamentazione internazionale che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune ai lavoratori».

FANFANI fa rilevare la disarmonia dell’articolo, dove si parla di garanzia dei singoli lavoratori e di riconoscimento di sindacati. Propone che i commi ai quali accennava l’onorevole Giua, relativi alla protezione integrale dei lavoratori siano aggiunti, come terzo comma, al primo articolo già approvato; si discuterà poi il problema dei sindacati.

L’articolo risulterebbe così formulato:

«Ogni cittadino ha il dovere ed il diritto di lavorare conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta.

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro e predispone i mezzi necessari al suo godimento.

«Lo Stato curerà la tutela del lavoratore attraverso una protezione legislativa speciale in patria ed all’estero».

A proposito di questo terzo comma, ricorda che la prima Sottocommissione in un articolo, in cui si fa cenno della protezione dei lavoratori, ha specificato il problema delle ferie, dell’orario, ecc.

COLITTO ricorda che la formula adottata dalla prima Sottocommissione è la seguente: «Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere attività o di esplicare funzioni idonee allo sviluppo economico»; ma rileva che in essa non si parla di protezione dei lavoratori.

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Lombardo proponeva la seguente formula: «È compito dello Stato assicurare il rispetto delle condizioni dell’igiene e della sicurezza del lavoro, nonché di provvedere all’organizzazione del servizio di protezione sociale. La legge provvede alla tutela delle condizioni igieniche e morali delle donne e dei minori».

Inoltre l’onorevole Togliatti ha proposto il seguente articolo: «Il lavoro nelle sue diverse forme è protetto dallo Stato, il quale interverrà per assicurare l’assistenza degli invalidi ed inabili. Tutti i cittadini hanno diritto alle assicurazioni sociali. La legislazione sociale garantisce l’assicurazione contro gli infortuni, le malattie, la disoccupazione, l’invalidità e la vecchiaia; protegge in modo particolare il lavoro delle donne e dei minori; stabilisce la durata della giornata lavorativa, il salario minimo individuale. È organizzata una speciale tutela del lavoro italiano all’estero».

Afferma che queste sono tutte affermazioni esatte che, sia pure in sintesi, dovrebbero essere riprodotte.

Ritiene esauriente la prima parte dello articolo proposto dall’onorevole Rapelli.

COLITTO si dichiara favorevole alla proposta Fanfani di aggiungere un capoverso all’articolo primo approvato, e propone che si dica: «Lo Stato provvederà altresì, con speciali norme, alla protezione del lavoro».

PRESIDENTE aggiungerebbe: «in patria ed all’estero».

GIUA ritiene necessario parlare della regolamentazione internazionale – come propone l’onorevole Rapelli – che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune ai lavoratori.

COLITTO propone la formula: «Lo Stato provvederà altresì, con speciali norme, alla protezione del lavoro e favorirà una regolamentazione internazionale che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune ai lavoratori».

FANFANI fa rilevare che dire «un minimo di diritti comune» potrebbe far pensare che ci si contenti di molto poco, e potrebbe essere interpretato a svantaggio dei nostri lavoratori. Basterebbe dite «favorirà una apposita regolamentazione internazionale».

FEDERICI MARIA direbbe «la migliore regolamentazione».

FANFANI nota che in tal caso si parlerebbe del massimo, non più del minimo. E poiché nell’articolo si parla del diritto al lavoro, si domanda se la protezione vada accordata al lavoro od al lavoratore.

COLITTO risponde che va accordata all’uno ed all’altro.

FANFANI, siccome si vogliono adombrare i concetti dell’igiene, della sicurezza, della protezione sociale, trova opportuno riferirsi al lavoratore e dire:

«La Repubblica provvederà, con speciali norme, alla protezione del lavoratore».

PRESIDENTE aggiungerebbe subito dopo: «e favorirà ogni regolamentazione internazionale diretta a tale scopo».

COLITTO preferirebbe dire soltanto: «e favorirà ogni relativa regolamentazione internazionale», collocandosi la formula alla fine dell’ultimo comma del primo articolo.

PRESIDENTE, a suo avviso, se ne dovrebbe fare il terzo comma del terzo articolo.

FANFANI aderisce alla proposta del Presidente, nel senso che la formula testé discussa diventi il terzo comma dell’articolo 3.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE dà lettura del testo del comma quale risulta dalla discussione fin qui svoltasi: «La Repubblica provvederà, con speciali norme, alla protezione del lavoratore e favorirà ogni relativa regolamentazione internazionale».

TAVIANI è contrario all’aggettivo «relativa», in quanto potrebbe determinare nel grosso pubblico errate interpretazioni.

COLITTO ritiene che si possa anche dire: «ogni regolamentazione internazionale diretta a tale fine».

PRESIDENTE pone ai voti la formula concordata che diventa il terzo comma del terzo articolo già approvato:

«La Repubblica provvederà, con speciali norme, alla protezione del lavoratore e favorirà ogni regolamentazione internazionale diretta a tal fine».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione il terzo comma dello articolo 2 proposto dall’onorevole Di Vittorio:

«I sindacati dei lavoratori, quali organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori, sono riconosciuti enti di interesse collettivo».

Avverte che la discussione dovrà svolgersi in relazione anche all’articolo 2 proposto dall’onorevole Rapelli:

«Apposita legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali per la stipulazione dei contratti di lavoro, aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti delle categorie stesse».

Ritiene che debba anzitutto essere chiarita la natura giuridica del sindacato, nel senso che, definendo i sindacati enti di interesse collettivo, si intenda dire che sono enti di diritto pubblico, di diritto privato o di diritto misto.

COLITTO ritiene che spetti alla legislazione ordinaria e non alla Costituzione di precisare la natura giuridica dell’associazione professionale. Eventualmente potranno precisarla anche la dottrina e la giurisprudenza.

PRESIDENTE sarebbe d’accordo, se non occorresse rispondere a questa domanda: come rendere obbligatorio il contratto collettivo di lavoro – la cui stipulazione è la funzione preminente del sindacato – anche per i non iscritti, prescindendo da un riconoscimento giuridico delle associazioni professionali?

Secondo il suo avviso, la Costituzione deve consacrare il riconoscimento giuridico del sindacato come premessa indispensabile alla obbligatorietà erga omnes dei contratti collettivi di lavoro, tralasciando di decidere la questione se debba trattarsi di un ente di diritto pubblico o di un ente di diritto privato.

COLITTO pensa che il problema potrebbe essere risolto, aggiungendosi al comma da lui proposto nella seduta antimeridiana: «l’associazione professionale è liberà» un secondo comma, che stabilisca l’obbligatorietà del contratto collettivo di lavoro nei confronti di tutti gli appartenenti alle categorie per le quali è stipulato.

Non ritiene consigliabile ogni ulteriore specificazione, poiché in questo caso bisognerebbe dettare tutta la disciplina dell’ordinamento sindacale; disciplina che, per la mutevolezza che la caratterizza, va riservata alla legislazione ordinaria.

Non si nasconde che, anche la semplice enunciazione della obbligatorietà erga omnes dei contratti collettivi di lavoro, presuppone risolti taluni fondamentali aspetti della questione, come l’efficacia dei contratti in relazione alle persone, e la determinazione di quale fra più sindacati coesistenti per una medesima categoria (coesistenza resa possibile dall’affermato principio della libertà associativa professionale) possa stipulare i contratti collettivi di lavoro; aspetti la cui risoluzione, almeno in gran parte, compete alla legislazione ordinaria. Bisognerebbe anche accennare alle formalità da osservare, perché il contratto collettivo regolarmente stipulato tra due associazioni professionali sia obbligatorio.

FANFANI concorda sulla inopportunità di specificare nella Costituzione la natura giuridica del sindacato. È sufficiente sancire il principio del riconoscimento giuridico.

Quanto all’altro principio, quello della obbligatorietà dei contratti di lavoro, avverte che la delicatezza dell’argomento richiede una seria analisi ed una certa prudenza nella scelta delle parole. Ricorda, infatti, come i principî che pare siano accolti dalla maggioranza della Sottocommissione, fino a questo momento, non siano del tutto conseguenti. Si è detto che il diritto di associazione è libero, e ciò presuppone che per una categoria possono esservi più associazioni sindacali; si è quindi detto che a tutte le associazioni sindacali viene riconosciuta la personalità giuridica; si è detto, infine, che ai sindacati giuridicamente riconosciuti è attribuito il compito di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatorio per tutti gli appartenenti alla categoria, siano o non iscritti al sindacato stipulante. Affermati questi concetti, ne verrebbe che per una categoria vi sarebbero tre o quattro contratti collettivi tutti obbligatori.

PRESIDENTE condivide le preoccupazioni degli onorevoli Colitto e Fanfani. Taluni sostengono che, in caso di pluralità di sindacati, il compito della stipulazione dei contratti collettivi debba spettare a quello che raccoglie un maggior numero di iscritti; ma indubbiamente questa soluzione presenta degli inconvenienti.

Comunica che gli è pervenuta la seguente proposta di formulazione dell’articolo:

«L’organizzazione sindacale è libera. I sindacati hanno soltanto l’obbligo della registrazione presso organi del lavoro, locali e nazionali, composti di delegati dei sindacati in proporzione del numero degli iscritti.

«I contratti collettivi di lavoro, stipulati da tali organi, hanno efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiscono».

COLITTO considera inaccettabile questa formulazione, anche perché, indipendentemente dalla sostanza, non è chiara: si parla infatti di «organi», presso i quali si dovrebbero registrare i sindacati e afferma che tali organi, non i sindacati, avrebbero il compito della stipulazione dei contratti collettivi di lavoro.

PRESIDENTE constata l’accordo sulla opportunità di ammettere il riconoscimento giuridico dei sindacati senza precisarne la natura giuridica. A questo scopo pensa che dovrebbe sopprimersi, perché equivoca, l’espressione «enti di interesse collettivo» e semplificare la norma dicendo che alla associazione professionale viene riconosciuta la personalità giuridica. Senza una personalità giuridica il sindacato non può infatti obbligarsi giuridicamente e di conseguenza stipulare i contratti di lavoro.

Il primo problema da risolvere è pertanto quello proposto dagli onorevoli Colitto e Fanfani, di stabilire come si possa pervenire ad un unico contratto collettivo di lavoro nella coesistenza, consentita dalla libertà sindacale, di più associazioni professionali per una stessa categoria.

FANFANI ritiene che vi sia l’accordo nel fondere la terza parte dell’articolo 2 con la prima parte dell’articolo 3 proposti dall’onorevole Di Vittorio. Ne risulta la seguente formula:

«Ai sindacati dei lavoratori, quali organi di difesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori è riconosciuta la personalità giuridica».

COLITTO dichiara di non essere d’accordo, perché là dove l’articolo afferma che il sindacato ha la tutela dei lavoratori, dice cosa inutile, ciò essendo ovvio. Nega poi la opportunità di affermare nella Costituzione la natura giuridica del sindacato, pensando essere meglio lasciarne la determinazione alla legge, nonché alla elaborazione della dottrina e della giurisprudenza.

PRESIDENTE osserva che a dare il riconoscimento della personalità giuridica basta la registrazione, la quale però non dà carattere pubblicistico all’ente.

COLITTO osserva che questo concetto della registrazione è del tutto nuovo.

Esistono gli uffici provinciali del lavoro, i quali non hanno ancora una disciplina legislativa: solo di recente è stato emanato un decreto, che riguarda il personale. Tali uffici sono sorti in base ad un bando alleato.

Si chiede: quando si dice che deve esserci la registrazione, che cosa si intende dire? E se, invece di registrazione, si ritenesse opportuno il semplice deposito? Trattasi di dettagli, di cui non è assolutamente il caso di fare cenno nella Costituzione.

FANFANI consente che nella Costituzione non vadano fissate le modalità per il riconoscimento, ma non crede che nascerebbero inconvenienti se si stabilisse per tutti i sindacati il riconoscimento della personalità giuridica.

GIUA vorrebbe che fosse specificato il riconoscimento della Confederazione generale del lavoro, che è l’ente giuridico che riunisce i sindacati. Quindi i contratti di lavoro dovrebbero essere stipulati dai sindacali riconosciuti ed aderenti alla Confederazione stessa. O si giunge a questa formulazione, o si accetta una formulazione generica.

Non tenendo conto della Confederazione generale del lavoro, si mostra di ignorare una realtà che esiste da diverso tempo, e si meraviglia come di fronte ai colleghi Di Vittorio e Rapelli, abbia proprio lui dovuto fare questa proposta.

FANFANI osserva che, a suo avviso, non si può, in due o tre articoli, adombrare tutto l’ordinamento sindacale. Conviene fissare alcuni punti badando di non commettere errori.

PRESIDENTE legge gli articoli 30 e 31 del progetto di Costituzione francese che non fu approvato:

«Art. 30. – Ognuno ha il diritto di difendere i propri interessi a mezzo dell’azione sindacale.

«Ognuno è libero di aderire ad un sindacato di sua scelta o di non aderire ad alcuno».

«Art. 31. – Ogni lavoratore ha diritto di partecipare, per tramite dei suoi delegati, alla determinazione collettiva delle condizioni di lavoro, così come alle funzioni di direzione e di gestione dell’impresa».

FANFANI osserva che i francesi escono da tutt’altra esperienza della nostra. Vi sono da noi vecchio posizioni che vanno abbattute.

PRESIDENTE ricorda che il contratto collettivo di lavoro, oltre che dalla legge speciale, è anche considerato dal Codice civile.

COLITTO ritiene che, rientrando la stipulazione del contratto collettivo di lavoro tra i poteri dell’associazione professionale, basterebbe dire: «L’associazione professionale è libera; la legge ne preciserà i poteri».

PRESIDENTE vorrebbe però consacrare nella Costituzione la conquista del contratto collettivo di lavoro, perché non possa, in avvenire, una legge abolirlo.

RAPELLI, Correlatore, osserva che si sono fatti articoli nei quali si parla di diritti; poi si ammette che ci possa essere una regolamentazione supplementare attraverso i contratti collettivi di lavoro, i quali, avendo validità per tutti, diventano norme. Perciò la funzione di cui si deve preoccupare la Costituzione non è tanto quella delle associazioni professionali, quanto di dare ai lavoratori la possibilità legale di vedere difesi i loro diritti, sanciti da contralti collettivi, che devono impegnare tutta la categoria degli appartenenti ai sindacati che li stipulano.

COLITTO aggiungerebbe alle parole: «l’associazione professionale è libera; la legge ne preciserà i poteri», le altre: «Il contratto collettivo di lavoro ha valore di legge».

FANFANI, dopo: «L’associazione professionale è libera», inserirebbe una formulazione del tipo dell’articolo 2 della proposta Rapelli, che è così concepito:

«Apposita legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali per la stipulazione dei contratti di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti delle categorie stesse».

In tal modo non sarebbe pregiudicata la questione del riconoscimento dell’unico sindacato al quale è demandata la facoltà di stipulare il contratto collettivo.

COLITTO obietta che «la formazione delle rappresentanze unitarie» può aver luogo anche ad altri fini.

FANFANI precisa che per quanto riguarda la stipulazione del contratto collettivo ci si appella alla legge che disciplinerà le rappresentanze.

PRESIDENTE all’onorevole Colitto, che propone di dire «ha valore di legge», fa notare che il nostro diritto civile ha risolto già la questione.

COLITTO risponde che l’aveva risolta in quanto, allorché fu preparato il Codice civile, il sindacato era unico.

Aggiunge che il termine «rappresentanze» fa pensare a rappresentanti scelti da tutte le associazioni professionali, mentre il contratto collettivo di lavoro deve essere stipulato da quelle associazioni cui la legge riconosce la capacità.

CANEVARI osserva che se la Sottocommissione vuole arrivare ad una conclusione, occorre far precedere la discussione sui sindacati.

Ricorda come era stata concretata in periodo clandestino, d’accordo con la Democrazia Cristiana, l’organizzazione sindacale. Il sindacato era formato dai lavoratori che spontaneamente vi aderivano, ma sostenuto con il contributo obbligatorio di tutti i lavoratori della categoria. Si trattava di sindacato unico, e la legge poteva riconoscergli la facoltà di fare il contratto collettivo di lavoro. Ma sorse opposizione da patte dell’onorevole Di Vittorio per il Partito comunista e si giunse al temperamento che i tre partiti costituissero una commissione di rappresentanti. Nacque così la Confederazione generale del lavoro. Ora occorre stabilire se si deve riconoscere, come egli pensa, un solo sindacato aperto a tutti, e che agisca nei modi indicati.

RAPELLI, Correlatore, fa notare che si giungerebbe ad un sindacato anagrafico, al comune dei lavoratori.

CANEVARI aggiunge che la loro concezione non negava la costituzione di sindacati liberi, ma voleva che la legge ne riconoscesse uno, quello che rappresentava la maggioranza.

GIUA è del parere che, prima di venire ad una soluzione definitiva, occorra conoscere con precisione le direttive del proprio partito. A suo avviso il sindacato plurimo non può essere che causa di incertezze. Se esisterà l’organizzazione sindacale dei datori di lavoro tanto meglio, altrimenti la Confederazione generale del lavoro stipulerà i contratti collettivi con le singole industrie o gruppi di industrie. Ma per far ciò occorre, come già ha detto, inserire nella Carta costituzionale il riconoscimento della Confederazione generale del lavoro.

CANEVARI si associa alla proposta dell’onorevole Giua.

RAPELLI, Correlatore, non ritiene accettabile senz’altro la proposta Giua.

La Confederazione generale del lavoro è un ente associativo volontario e la Costituzione non può inquadrarlo senz’altro nello Stato. La stessa Confederazione può non può avere interesse a questo riconoscimento giuridico.

Uno dei postulati della regolamentazione del lavoro è la libertà sindacale; e anche la lesi dell’onorevole Di Vittorio, che vi debba essere un sindacato maggioritario, è contro il principio della libertà di associazione.

Oggi la Confederazione del lavoro costituisce la rappresentanza unitaria dei lavoratori, appunto perché non vi sono associazioni concorrenti. Il contratto collettivo, poi, potrebbe anche essere opera di legge e c’è una scuola socialista che tende ad assicurare, attraverso la legge, le condizioni generali di lavoro. L’orario di lavoro, ad esempio, è un fatto protettivo del quale deve preoccuparsi lo Stato.

In sostanza la Sottocommissione deve studiare quali sono gli obiettivi che la Costituzione dovrà assicurare; la legge determinerà poi come potrà essere formata la rappresentanza unitaria delle varie categorie.

GIUA ripete che, a suo avviso, il riconoscimento giuridico, stabilito nella prima parte di questo articolo, debba farsi per quei sindacati che aderiscono alla Confederazione generale del lavoro. Nessuno mette in dubbio che vi sia la libertà di organizzazione; possiamo stabilirla nella Costituzione; però la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro deve avvenire attraverso i sindacati che aderiscono alla Confederazione.

Se dal punto di vista giuridico nessuno può negare la possibilità dei sindacati plurimi, dal punto di vista pratico si chiede che cosa succederebbe se vi fossero tre o quattro Confederazioni del lavoro. Risulterebbero svalutati i contratti collettivi e tutte le conquiste delle classi lavoratrici.

I datori di lavoro possono anche non costituire una Confederazione dell’industria. Si possono stabilire con la «Fiat» dei contratti di lavoro, come con ogni altra categoria di datori di lavoro.

PRESIDENTE osserva che nell’ambito di una stessa categoria si avrebbero sperequazioni enormi.

GIUA risponde che i contratti collettivi di lavoro possono anche essere stipulati con i singoli industriali, ma da un organismo nazionale, perché i contratti stessi debbono poi valere per tutta la nazione.

RAPELLI, Correlatore, accetta il concetto di rappresentanza unitaria, ma la Confederazione generale del lavoro ha attualmente un carattere molto diverso da quello che l’onorevole Giua vorrebbe assegnarle.

MERLIN ANGELINA, riconosce tutta l’importanza della discussione, ma chiede che sia rinviata per dar modo a ciascuno di conoscere le direttive del proprio partito in merito.

PRESIDENTE rilegge le tre proposte pervenute alla Presidenza.

La prima dice:

«L’organizzazione sindacale è libera. I sindacati hanno soltanto l’obbligo della registrazione presso gli organi del lavoro locali e nazionali, composti di delegati dei sindacati in proporzione del numero degli iscritti.

«I contratti collettivi di lavoro stipulati da tali organi hanno efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiscono».

La seconda proposta presentata dall’onorevole Colitto dice:

«L’associazione professionale è libera. La legge ne preciserà i poteri. Il contratto collettivo di lavoro ha valore di legge».

La terza proposta presentata dall’onorevole Rapelli dice:

«L’associazione per la difesa dei propri interessi economici, professionali e sindacali è libera. La legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali e le norme per la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie stesse».

COLITTO osserva che la Sottocommissione è chiamata a fissare delle linee programmatiche in materia sindacale. Pensa che basti affermare che l’associazione professionale è libera. Provvederà poi la legislazione a determinarne i poteri. Anche la legislazione dirà quali delle associazioni costituitesi nell’ambito delle categorie potranno stipulare il contratto collettivo di lavoro e le formalità da osservarsi perché il contratto collettivo possa dirsi regolarmente stipulato ed efficace. È opportuno però, a suo avviso, fermare fin d’ora nella Costituzione la norma che il contratto collettivo di lavoro dovrà avere valore di legge.

Insiste perciò perché la Sottocommissione approvi l’articolo da lui proposto.

PRESIDENTE ritiene che l’articolo proposto dall’onorevole Colitto non sia in contrasto con la proposta dell’onorevole Rapelli. Comunque, data l’ora tarda, rinvia il seguito della discussione alla seduta del giorno successivo.

La seduta termina alle 19.45.

Erano presenti: Canevari, Colitto, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Pesenti, Rapelli, Taviani.

Assenti giustificati: Dominedò, Molè.

Assenti: Assennato, Lombardo, Noce Teresa, Paratore, Togni.