Come nasce la Costituzione

Come nasce la Costituzione
partner di progetto

GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 1946 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

1.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Patere giudiziarie (Discussione)

Presidente – Calamandrei, Relatore – Leone, Relatore – Bozzi – Targetti.

La seduta comincia alle 9.15.

CONTI invita la Sezione ad eleggere un Presidente e un Segretario.

(Vengono eletti: l’onorevole Conti quale Presidente e l’onorevole Ambrosini quale Segretario).

Discussione sul potere giudiziario.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Patricolo, Relatore con gli onorevoli Calamandrei e Leone sull’oggetto all’ordine del giorno, ha delegato l’onorevole Castiglia a riferire per lui, essendo egli impossibilitato ad intervenire alla seduta.

CALAMANDREI, Relatore, premesso che le tre relazioni si riferiscono ai due argomenti del potere giudiziario e della Suprema Corte costituzionale, ritiene opportuno riferire prima sul potere giudiziario.

Avverte innanzi tutto che in questa materia una Commissione di magistrati della Cassazione, nominata dal Ministro della giustizia, ha elaborato un progetto che sarà utile tenere presente nel corso della discussione.

Dichiara che nella sua relazione ha preferito formulare senz’altro una serie di articoli, allo scopo di facilitare la discussione. Negli articoli proposti vi sono tuttavia alcuni punti dubbi, per i quali si prospettano varie soluzioni che i colleghi dovranno prendere in esame. Inoltre taluni articoli potranno forse trovare più opportuna collocazione nella parte riguardante i diritti dei cittadini ed altri potranno essere meglio formulati od anche soppressi. Tuttavia, dato che nella Costituzione devono essere fissati i principî fondamentali della legge sull’ordinamento giudiziario, ha ritenuto necessario, per una più esatta comprensione di quella che dovrà essere la struttura dell’ordinamento stesso, abbondare in norme concrete, pur riconoscendo che molte di esse di fatto non potranno essere accolte nella Costituzione.

Ciò premesso, fa presente che i 26 articoli da lui formulati possono ripartirsi in tre gruppi. Nel primo (articoli 1 all’11) sono comprese le norme sui principî generali e sulla natura giuridica e politica del potere giudiziario e sui rapporti fra esso e gli altri poteri, nonché quelle sui diritti dei cittadini nei confronti del potere stesso. Gli articoli riproducono in sostanza, forse con una formulazione più precisa, taluni principî già compresi nello Statuto Albertino, e non dovrebbero di conseguenza dar luogo a gravi dissensi. Richiama tuttavia l’attenzione dei colleghi sugli articoli 1 e 2 che, nel definire il principio fondamentale della statualità della giurisdizione, contengono un accenno al potere di controllo che potrà riconoscersi al magistrato in materia di costituzionalità della legge che egli deve interpretare ed applicare.

Fa inoltre notare che l’articolo 9, riguardante la irretroattività della legge penale e l’abolizione della pena di morte, dovrà probabilmente trovar posto in altra parte della Costituzione, e cioè in quella riguardante i diritti dei cittadini. Gli articoli 10 e 11 contengono invece due disposizioni nuove per il nostro diritto: il risarcimento alle vittime degli errori giudiziari o per delitti commessi da funzionari dell’ordine giudiziario e l’abolizione di ogni restrizione, motivata da ragioni fiscali, nei riguardi della produzione in giudizio di documenti e scritture a scopo probatorio.

Rileva inoltre che dissensi potranno sorgere sul capoverso dell’articolo 4, concernente la conservazione degli istituti di grazia, amnistia e indulto e sulla questione dell’organo a cui i relativi poteri dovranno essere affidati. Altre disposizioni di particolare importanza sono quelle contenute nell’articolo 2 (capoverso) e nell’articolo 8, che si riconnettono al delicatissimo problema del raccordo fra il potere giudiziario e gli altri poteri dello Stato. Il secondo gruppo di articoli (dal 12 al 15) affronta e risolve il fondamentale problema della unicità della giurisdizione. Per quanto spetti alla legge sull’ordinamento giudiziario di stabilire quali e quanti debbano essere gli organi giudiziari e come costituiti, è tuttavia necessario che nella Costituzione siano fissati i principî fondamentali. L’articolo 5, facente parte del primo gruppo di articoli esaminati, contiene il divieto di creare tribunali straordinari per giudicare su fatti già avvenuti: il primo comma dell’articolo 12 elimina le giurisdizioni speciali, le quali non sono giudici straordinari, ma giudici che, costituiti per una serie di giudizi che si prevedono come possibili nel futuro, sono tuttavia diversi dai giudici ordinari. Solo questi ultimi dovranno essere mantenuti.

Nel secondo comma dello stesso articolo 12 si sancisce l’unicità della Cassazione, questione di particolare importanza in quanto la pluralità delle Cassazioni è un mostruoso controsenso. Ricorda in proposito che la Cassazione, come è sorta in Francia e come funziona in tutti gli Stati che l’hanno adottata, è un organo istituito per mantenere l’unità dell’interpretazione giurisprudenziale, e cioè del diritto. Rappresenta quindi un grande progresso la legge del 1924 che abolì le Cassazioni regionali e le unificò. L’unità della Cassazione, posta al vertice dello Stato, deve essere soprattutto mantenuta in un ordinamento costituzionale basato sulla autonomia regionale, come sarà quello italiano, perché sarà essa che, dando un’interpretazione uniforme a quella legge comune che è il codice di tutto lo Stato, permetterà di contenere in un’unica forma giuridica le varie tendenze al decentramento giurisprudenziale, che potrebbero essere perniciose per l’unità del diritto.

Rilevando che l’articolo 13 tratta del divieto di istituire organi speciali di giurisdizione e dell’abolizione di quelli preesistenti, ritiene che tutti siano d’accordo sul divieto di istituire nell’avvenire nuove giurisdizioni speciali. Tuttavia la difficoltà consiste, nella pratica, nel sopprimere soprattutto quelle che sono sorte nel passato e che hanno acquistato, per il loro egregio funzionamento, benemerenze di carattere storico, onde non ci si può sottrarre ad una certa esitazione nell’invocarne l’abolizione.

Ricorda in proposito che le giurisdizioni speciali sorsero per ragioni di carattere sociale e giuridico, delle quali si dovrebbe tener conto ove se ne decidesse l’abolizione. Una delle ragioni fondamentali fu la necessità di sottrarre determinate categorie di giudizi a procedure troppo lunghe e formalistiche. A questa prima difficoltà si potrebbe ovviare stabilendo per tutti i processi norme procedurali più rapide. Altra esigenza sorse dal fatto che in certe cause apparve necessario il concorso, agli effetti della decisione, di elementi aventi speciale competenza tecnica in determinate materie. Tale esigenza potrebbe essere soddisfatta con il sistema, già adottato in alcuni casi, della creazione di sezioni specializzate degli organi ordinari, nelle quali, sotto la presidenza e a fianco dei magistrati, intervenisse anche un certo numero di esperti.

Ammessa quindi la possibilità di abolire le giurisdizioni speciali, resta da vedere se, tra quelle attualmente esistenti, ve ne siano alcune che debbano o meno essere mantenute. Pur avendo nella relazione posto dei punti interrogativi circa alcune eccezioni al divieto (Corte dei conti, Contenzioso tributario, Tribunali militari), egli è per la soluzione più rigorosa, e cioè per l’abolizione generale di tulle le giurisdizioni speciali. Dichiara, ad ogni modo, di essere favorevole alla soppressione delle sezioni giurisdizionali speciali del Consiglio di Stato, pur riconoscendo che quest’organo ha dato, anche nel periodo fascista, innegabili prove di fermezza, di indipendenza e di attaccamento agli elevati e delicati suoi compiti.

A suo avviso il Consiglio di Stato dovrebbe rimanere soltanto quale organo consultivo. I consiglieri di Stato diverrebbero consiglieri di cassazione ed anche nelle Corti d’appello potrebbero, per le cause tra cittadini e pubblica amministrazione, crearsi delle sezioni specializzate, i cui membri sarebbero scelti tra i consiglieri di Stato delle sezioni consultive, da trasferire nell’ordine giudiziario. A tali concetti si ispira l’articolo 20 del progetto da lui presentato.

Per quel che riguarda la Corte dei conti essa dovrebbe, a suo avviso, sussistere soltanto come organo di controllo contabile. Si dovrebbero inoltre coordinare le Commissioni delle controversie in materia tributaria con gli organi giudiziari ordinari.

Così i Tribunali militari potrebbero esser soppressi o almeno se ne potrebbe limitare il funzionamento al solo periodo di guerra.

Dichiara di essere fautore di misure così assolute, in quanto gli inconvenienti che oggi si verificano per la distinzione tra giurisdizione su diritti e giurisdizione su interessi, tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità, e di conseguenza la difficoltà di trovare un giudice per ogni categoria di cause, dimostrano come sia giunto il momento di riunire i due aspetti della stessa funzione giurisdizionale e di affidarli ad un magistrato unico, che altro non può essere se non il giudice ordinario.

Passando agli articoli 14 e 15 osserva che essi regolano i rapporti fra il potere giudiziario e quello amministrativo. La materia era fino ad ora disciplinata dalla legge del 1865, che abolì i Tribunali del Contenzioso amministrativo, stabilendo che, in tutti i casi di dissidio tra cittadini e pubbliche amministrazioni per questioni di diritto soggettivo, dovevano essere giudici i Tribunali ordinari; e ciò rappresentò invero una tappa fondamentale nella vita costituzionale italiana. Ma, oltre a tali conflitti, potevano sorgere, fra privali e pubbliche amministrazioni, anche questioni di legittimità, per le quali furono appunto create le giurisdizioni speciali del Consiglio di Stato, che da organo affiancato alle pubbliche amministrazioni, a poco a poco si trasformò in un varo giudice indipendente. Egli è personalmente d’avviso di far rientrare questa materia nella competenza del giudice ordinario.

Ricorda inoltre che nei rapporti tra pubblica amministrazione e giurisdizione si presentano molte questioni da prendere in esame: così quelle relative al potere del giudice di modificare od annullare gli atti amministrativi e le restrizioni di carattere amministrativo opposte in certi casi al diritto del cittadino di adire le vie giudiziarie (come il principio del solve et repete in materia tributaria, di cui propone l’abolizione, ed i casi frequentemente verificatisi in periodo fascista del divieto di impugnabilità, in via amministrativa ed in via giurisdizionale, di provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione).

BOZZI rileva che tale sistema non è caduto neppure oggi in disuso, e cita ad esempio il caso della legge sull’assegnazione delle terre incolte.

CALAMANDREI, Relatore, circa il terzo gruppo di articoli (dal 16 al 26), rileva che in essi è affrontato il fondamentale problema dell’autogoverno della magistratura. A suo avviso, per attuare una vera indipendenza funzionale del giudice non basta l’articolo 2 del suo progetto, in cui e affermato che «i giudici, nell’esercizio delle loro funzioni, dipendono soltanto dalla legge che essi applicano secondo la loro coscienza». L’articolo 16 determina, nelle linee generali, i limiti della sostanziale riforma, laddove l’articolo 17 precisa quali sono gli organi amministrativi della magistratura, soggiungendo (nel seconda comma) che «il Consiglio superiore della magistratura è coadiuvato nell’esercizio delle sue funzioni da apposito personale amministrativo compreso in un ruolo speciale, del quale non possono essere chiamati a far parte né i magistrati né gli altri funzionari appartenenti all’ordine giudiziario». Questa ultima disposizione è diretta ad eliminare il cosiddetto e tanto deplorato «imboscamento dei magistrati» negli uffici del Ministero.

L’autogoverno della magistratura si esplica – secondo l’articolo 16 – nel potere attribuito ad essa di compiere tutti gli atti amministrativi che attengono allo stato giuridico degli appartenenti all’ordine giudiziario, nell’esercizio della giurisdizione disciplinare nei loro riguardi, nonché nella deliberazione delle spese per il funzionamento della giustizia. In concreto, l’articolo 18 detta le norme sulla disciplina della magistratura e l’articolo 20 quello sul reclutamento dei magistrati.

Osserva in proposito che forse più nessuno oggi propugna il sistema elettivo dei magistrati che, o non ha dato buoni risultati, o si è trasformato (come è accaduto in Svizzera) in una conferma sistematica dei magistrati eletti la prima volta. D’altra parte l’elezione dei magistrati rappresenta un metodo logico e coerente ove non esiste il sistema della legalità, laddove cioè il diritto non è formulato e cristallizzato in leggi, ma vige il sistema del diritto libero. Ma nei Paesi europei (compresa oggi anche la Russia, che pure aveva adottato nel periodo rivoluzionario il criterio della formulazione giudiziaria del diritto) dove sussiste il principio della legalità, per cui la politica si trasforma in diritto attraverso gli organi legislativi e i giudici debbono limitarsi all’applicazione della legge, il metodo elettivo sarebbe a suo avviso un controsenso. E ciò anche per i gradi inferiori della magistratura (pretori e conciliatori) nei cui riguardi non mancano fautori del sistema elettivo.

Ritiene egli fermamente che il sistema migliore per la nomina dei giudici sia quello, oggi in vigore, del concorso, in quanto solo il concorso può accertare i requisiti tecnici e culturali indispensabili per il migliore espletamento delle funzioni giudiziarie. E dovrà essere la magistratura la sola competente a bandire tali concorsi, a nominare le Commissioni esaminatrici (in cui potrebbero essere inclusi anche dei professori universitari), ad accertare l’idoneità dei candidati e a formare la graduatoria dei vincitori. Infine, per conferire alla nomina un carattere di solennità, essa dovrebbe avvenire con decreto del Capo dello Stato.

Avverte che nel primo comma dell’articolo 20 è previsto anche il caso di ammissione delle donne ai concorsi, ma soggiunge che la magistratura, la quale ha avuto conoscenza del suo progetto, approvandolo in quasi tutte le parti, si è dichiarata nettamente contraria a tale disposizione. Lo stesso articolo 20 prevede la possibilità di concorsi per l’ammissione a certi speciali uffici dell’amministrazione della giustizia, per cui sia necessaria una competenza approfondita su determinate materie tecniche. Dichiara inoltre che i magistrati sono nominati a vita, salvo i limiti di età fissati dalla legge. In altra parte dell’articolo 20 è considerata infine l’eventualità di nomine eccezionali di magistrati senza concorso, di magistrati temporanei e di magistrati onorari.

L’articolo 21 riguarda le Corti d’assise e i giudici popolari, argomento del quale dovrà occuparsi quanto prima l’Assemblea Costituente, esaminando un apposito disegno di legge sottopostole dal Governo.

L’articolo 22 affronta l’importante problema delle promozioni dei magistrati, argomento quanto delicato, in quanto è strettamente connesso con quello dell’indipendenza della magistratura. Soprattutto in questo campo, infatti, possono esercitarsi illecite inframmettenze, dalle quali occorre mettere al riparo chi amministra la giustizia. È noto che il magistrato italiano, malgrado le difficili condizioni economiche in cui si dibatte è, per lo più, incorruttibile; ma non è da escludersi il timore che coloro che sono prossimi alla promozione o al trasferimento, nelle loro sentenze si lascino guidare, più che da un rigoroso senso dì giustizia, dal desiderio di procacciarsi dei titoli. Né è da trascurare che la pressione politica sul magistrato, specie nelle cause civili, può sussistere in modo rilevante; e spesso la carriera dei magistrati può dipendere da orientamenti ed influenze di organi politici. È indispensabile pertanto che la materia degli avanzamenti e dei trasferimenti sia di esclusiva competenza degli stessi organi dell’amministrazione della giustizia, in modo che i magistrati non abbiano nulla da temere o da sperare dagli uomini di Governo o da esponenti di partiti politici.

Ma, a suo avviso, bisognerebbe andare oltre, e riformare completamente la carriera giudiziaria, in quanto, anche affidando agli organi della magistratura le promozioni, il problema delle basse retribuzioni o il desiderio dell’avanzamento non impedirebbero il verificarsi, nell’interno della magistratura stessa, di quelle pressioni che si riscontrano oggi al di fuori di essa. Bisognerebbe pertanto stabilire che ai magistrati, una volta entrati nell’amministrazione della giustizia, dopo un periodo di tirocinio anche più lungo dell’attuale, fosse attribuita una determinata retribuzione, suscettibile di periodici aumenti in relazione all’anzianità, e indipendentemente dalle funzioni esercitate. Per assegnazione dei magistrati ai vari uffici giudiziari, direttivi e speciali, si potrebbe eventualmente ricorrere ad elezioni interne. Per i gradi più elevati, e specie per la Corte di cassazione, le nomine avverrebbero per cooptazione, mentre negli altri casi passaggio dalle Preture ai Tribunali e dai Tribunali alle Corti d’appello le promozioni avverrebbero attraverso scrutini di merito, fondendo insieme i criteri dell’anzianità e del merito, in base al principio che ai posti vacanti possano concorrere magistrati delle Preture o dei Tribunali che abbiano una determinata anzianità.

Richiama l’attenzione sul fatto che nell’articolo 23 viene solamente riaffermato il vecchio e tradizionale principio della inamovibilità, disciplinandolo tuttavia con norme che valgano a renderne l’applicazione più operante e rigorosa.

Passando quindi ad esaminare quello che, a suo avviso, è il punto più delicato di tutta la materia, e cioè i rapporti fra la magistratura e il Governo, rileva che, con le norme previste, si avrebbe un corpo di magistrati completamente indipendente, il quale deciderebbe delle nomine, provvederebbe alla designazione ai vari uffici, autoeserciterebbe la disciplina e delibererebbe delle spese. Con una magistratura così chiusa e appartata, si potrebbero verificare conflitti con il potere legislativo o con quello esecutivo, in quanto la magistratura potrebbe, per esempio, rifiutarsi all’applicazione di una legge o attribuirsi il potere di stabilire criteri generali di interpretazione delle leggi. Un caso del genere si verificò in Francia prima della Rivoluzione e il conflitto si trascinò a lungo tra il Governo centrale del monarca e le Corti di appello.

S’impone pertanto la ricerca di un rimedio, per il quale possono aversi tre sistemi. Il primo è di lasciare le cose allo stato attuale e con un Ministro della giustizia che risponda politicamente al Governo e alle Camere del buon funzionamento della giustizia. Rileva però che in tal caso, dovendosi attribuire al Ministro Guardasigilli determinati poteri, verrebbe meno l’assoluta indipendenza della Magistratura, la quale continuerebbe ad essere controllata da un organo politico, per il tramite del Pubblico Ministero. Il secondo sistema è di ricorrere ad una rigorosa separazione tra il potere giudiziario e quelli legislativo-esecutivo, senza alcun orbano di collegamento e con il primo Presidente della Corte di cassazione capo assoluto della magistratura. Ma anche così non si eliminerebbero tutti i pericoli, in quanto potrebbe sempre avvenire in astratto che il primo Presidente della Cassazione, unendosi agli altri magistrati, decidesse di rifiutarsi all’applicazione di una legge. Rimane allora un terzo sistema, intermedio, da lui proposto nel suo progetto, ma per il quale dichiara di avere egli stesso dei dubbi, consistente nella creazione di un «Procuratore generale commissario della giustizia» rappresentante l’organo di collegamento tra Magistratura e Governo. Tale commissario avrebbe in parte la figura del magistrato, in quanto sarebbe scelto tra i Procuratori generali della Corte d’appello o di Cassazione, e in parte quella di rappresentante politico, in quanto sarebbe nominato dal Presidente della Repubblica su designazione della Camera, prenderebbe parte alle sedute del Consiglio dei Ministri con voto consultivo e risponderebbe di fronte alle Camere del buon andamento della magistratura. Di modo che, essendo tale Commissario il capo dell’organo di accusa, con potere disciplinare sui magistrati, ove si verificassero nell’interno del corpo giudiziario inconvenienti di carattere politico, a lui potrebbe far carico di non aver saputo esercitare le sue funzioni. Qualche cosa di simile si ha nell’ordinamento inglese, con qualche differenziazione che potrebbe essere indicata, ove l’argomento dovesse essere approfondito.

Ritiene che rispetto agli inconvenienti che le altre due soluzioni indubbiamente presentano, questa terza possa essere presa in considerazione, anche perché, personalmente, non è del tutto favorevole a concedere alla Magistratura il massimo dell’indipendenza. In un momento particolarmente delicato come l’attuale, in un regime che, essendo sorto da poco e dovendo consolidarsi in un certo numero di anni, ha bisogno della assoluta fedeltà di tutti i suoi organi, potrebbe essere pericoloso riconoscere alla Magistratura un’autonomia assoluta, quando sulla fedeltà del corpo giudiziario alla Repubblica possono ancora nutrirsi dei dubbi.

Conclude rilevando che l’ultimo argomento su cui ritiene necessario richiamare l’attenzione dei colleghi è quello prospettato nell’articolo 24, e cioè l’iscrizione dei magistrati a partiti politici. La questione è fra le più discusse anche in seno alla stessa Magistratura. Mentre non mancano le ragioni che farebbero propendere per concedere una tale possibilità ai magistrati, in quanto cittadini come tutti gli altri e come tali aventi diritto ad avere opinioni politiche, specie nel nostro Paese in cui il voto politico è obbligatorio, ne esistono in contrario validissime altre che sconsiglierebbero tale concessione. La giustizia deve dare ai giudicabili un senso di assoluta tranquillità; ed essa non potrà esistere invece in chi, appartenendo ad un partito politico, si troverà, specie nei centri minori, di fronte ad un giudice iscritto a un partito diverso. Inoltre, in un ordinamento come il nostro, in cui la politica deve sfociare negli organi legislativi, che sono incaricati di trasformarla in diritto, il diritto stesso, quando viene affidato al magistrato per la sua applicazione, deve essere da lui visto solamente come tale e non come era prima di divenirlo, quando cioè era ancora politica. Per tali considerazioni egli si dichiara perplesso ed incerto fra le due soluzioni.

PRESIDENTE ringrazia l’onorevole Calamandrei della sua esauriente esposizione ed invita l’onorevole Leone ad illustrare la sua relazione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, dopo aver rilevato che su alcuni punti delle tre relazioni vi è accordo perfetto e dopo aver dichiarato di confermare quanto sui vari problemi ha già esposto nella sua relazione a stampa, soggiunge che risponderà brevemente all’onorevole Calamandrei, seguendo l’ordine degli articoli da lui proposti.

In linea di massima dichiara di consentire nelle proposte contenute nel primo gruppo di articoli (dall’l all’11), riservandosi di fare qualche osservazione particolare quando essi verranno in discussione. Desidera tuttavia soffermarsi brevemente sulla irrevocabilità del giudicato, considerata all’articolo 4, riconoscendo la necessità che essa sia fissata con una norma costituzionale. Rileva per altro l’opportunità che nel primo comma sia inclusa l’ipotesi, già contemplata nel Codice vigente, della legge abrogativa in materia penale.

Nei riguardi del secondo comma, mentre ritiene che debba essere conservato l’istituto della grazia come potere del Capo dello Stato, sostiene la necessità dell’abolizione dell’amnistia. Indipendentemente dalla concezione attuale, secondo la quale l’amnistia appare come un’elargizione che, in speciali circostanze fauste od infauste per il Paese, viene concessa dal Capo dello Stato (por cui, in caso di conservazione dell’istituto, è del parere che il potere di amnistia debba essere attribuito al legislativo), osserva che non convince, né sul piano politico né su quello strettamente giuridico, che in un certo momento lo Stato (potere esecutivo o legislativo: il problema sotto questo aspetto non muta) possa togliere carattere di reato ad un fatto che nel momento in cui fu commesso tale carattere rivestiva.

Un solo motivo può giustificare tale intervento dello Stato; ed è la considerazione di situazioni nelle quali un fatto – per intervento di nuove condizioni o di nuove visioni politico-criminali, o per nuova interpretazione delle condizioni che legittimarono la qualificazione di un fatto come reato – non presenti più le caratteristiche del reato (cioè le caratteristiche dell’antisocialità). Ma a queste situazioni corrisponde una ben altra forma di disciplina giuridica: la legge abrogativa, la quale, secondo il Codice vigente (perfettamente aderente in questo punto alla tradizione) investe perfino il giudicato, producendo pertanto un effetto perfettamente identico (se anche non più largo) all’amnistia.

Eccettuato tale caso, l’amnistia non può esprimere altra esigenze che quella di rinunzia, da parte dello Stato, al suo diritto all’esecuzione della pena (i fini sono indifferenti: pacificazione del Paese, difficoltà di giudicare una massa di reati germinata da un particolare terreno politico o sociale, esaltazione di un evento fausto o perdono in seguito ad un evento infausto). Orbene, a tale esigenza corrisponde in maniera perfetta l’istituto dell’indulto, che estingue la pena (rinunzia dello Stato alla pena) e non il reato.

A suo avviso, lo Stato – e più precisamente ciascuno dei poteri in cui la sovranità statale si snoda – non può togliere ex post ad un fatto il carattere di reato (tranne nell’ipotesi esaminata della legge abrogativa); ma può rinunziare solo alla pena.

Ciò indipendentemente dalle non facilmente regolabili questioni applicative, tra cui in particolare segnala quella della rinunziabilità o meno dell’amnistia, riuscendo egualmente insoddisfacenti la soluzione positiva o quella negativa.

A proposito del diritto al risarcimento dei danni per errori giudiziari o per delitti commessi da funzionari giudiziari, di cui si occupa l’articolo 10 delle proposte Calamandrei, è egli pure dell’avviso che il principio debba trovar posto nella Costituzione.

Circa il secondo gruppo di articoli (dal 12 al 15), dichiara di condividere il pensiero dell’onorevole Calamandrei e dell’onorevole Patricolo sulla unità della giurisdizione. Innanzi tullo, il frazionamento potrebbe prestarsi a pressioni di carattere politico e a sollecitazioni di carattere extragiudiziario. In secondo luogo, la pluralità delle giurisdizioni crea per il cittadino incertezze nei riguardi dei suoi giudici. Concorda anche sull’abolizione delle giurisdizioni straordinarie speciali precostituite per determinati conflitti giudiziari in rapporto alle persone e alle materie. Tuttavia, se talune di esse dovessero essere mantenute, propenderebbe per la conservazione del Consiglio di Stato, che ha reso ottimi servigi, e della Corte dei conti.

È favorevole alla soppressione dei Tribunali militari che, a suo avviso, potevano trovare una giustificazione quando il Paese aveva una imponente organizzazione militare, non oggi invece, date le modeste proporzioni a cui il nostro esercito dovrà essere ridotto. A parte le difficoltà derivanti dalla ampiezza della giurisdizione dei Tribunali militari, destinate ad accrescersi con la riduzione dell’esercito (ampiezza destinata a sacrificare il necessario contatto tra giudice e parte), osserva che la giustizia militare è composta tutta di elementi militari, a partire dal Presidente, i quali non offrono certo i necessari requisiti di competenza tecnica giuridica. L’esistenza di un Codice penale militare non comporta di conseguenza la necessità di un giudice speciale; e se la giurisdizione militare poté giustificarsi in passato come una conquista della casta militare per poter amministrare la giustizia nei confronti dei propri elementi, non ha più ragione d’essere in uno Stato democratico, nel quale tutti i cittadini debbono avere un’unica giurisdizione. Ritiene piuttosto che si potrebbero creare, nella giurisdizione comune, delle sezioni speciali in cui i militari, intervenendo come componenti del collegio, porterebbero il loro contributo tecnico.

In proposito richiama l’attenzione su una questione di particolare gravità, e cioè sul fatto che nei giudizi avanti il Tribunale militare recentemente istituito per i delitti di rapina e di estorsione, non è ammesso alcun diritto di impugnativa. Pur riconoscendo la gravità dei suddetti reali, ritiene inammissibile che mentre per il delitto di ingiuria esistono in Italia tre gradi di giurisdizione, per il delitto di rapina, che può comportare la pena di morte, non sia possibile impugnare la sentenza neanche per difetto di giurisdizione. Per ovviare a tanta enormità, propone l’introduzione di una nonna transitoria che sancisca, con effetto retroattivo, il diritto di impugnativa nelle giurisdizioni speciali straordinarie, almeno presso la Corte di cassazione.

A proposito delle Corti di assise, delle quali si vorrebbe, da parte del Governo, affrettare il ripristino, osserva che, essendo la materia tipicamente costituzionale, ed essendo la Costituzione in via di elaborazione, ogni decisione al riguardo da parte del Governo sarebbe contraria alla legge che regola i rapporti tra l’Assemblea Costituente e il Governo. Propone ad ogni modo per l’inquadramento unitario della Costituzione che il Presidente della Sezione chieda in Assemblea plenaria la sospensione della discussione su questa particolare materia.

BOZZI fa osservare che l’Assemblea plenaria della Costituente, quando sarà chiamata a procedere all’esame dell’apposito progetto elaborato dal Governo, potrà decidere sulla questione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, non ritiene ammissibile discutere ed approvare separatamente leggi che sono frammenti della Costituzione.

TARGETTI crede che ciò non rientri nei compiti della Sottocommissione e che la questione possa essere sollevata soltanto in Assemblea plenaria.

PRESIDENTE suggerisce di trasmettere all’Assemblea plenaria un estratto del verbale della riunione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, dichiara comunque di essere contrario alla ricostituzione delle Corti d’assise, non ritenendo che debbano esistere giudici diversi a seconda della gravità del reato e della misura della pena.

Concorda sull’articolo 15, essendo convinto che sia necessario fissare in una norma costituzionale che lo Stato non può sottoporre ad alcuna condizione l’esperimento di qualsiasi azione giudiziaria. Si dichiara invece perplesso nei riguardi delle proposte dell’onorevole Calamandrei circa la soggezione della pubblica amministrazione alla giurisdizione ordinaria, in quanto il problema è connesso a quello delle giurisdizioni amministrative.

Per quanto riguarda l’ultimo gruppo di articoli (dal 16 al 20), è d’accordo sul problema dell’autogoverno della magistratura, ritenendo che sia nei desideri di tutti avere un potere giudiziario realmente indipendente. Concorda anche nel rivendicare alla Magistratura le nomine e le promozioni dei giudici, la giurisdizione disciplinare e l’organizzazione amministrativa. Sull’abolizione della distinzione dei magistrati secondo criteri gerarchici, alla quale è favorevole, si richiama a quanto ha osservato nella sua relazione circa la necessità di questa essenziale riforma. L’ordinamento giudiziario del 1941 parlava di gradi della magistratura. Questa nomenclatura rispecchiava una visione gerarchica, che è incompatibile con l’essenza della funzione del potere giudiziario. La diversità di sfera giurisdizionale non può identificarsi con la diversità di potere. È canone universalmente accettato dalla dottrina quello dell’unità della giurisdizione: potere giudiziario in senso pieno ed assoluto è quello del conciliatore, come quello della Corte di cassazione. Da ciò discende il ripudio del concetto gerarchico del potere giudiziario e la conseguente esclusione di una ripartizione per gradi. In conformità a tale principio, conviene introdurre una visione nuova del potere giudiziario, che va pertanto distinto in organi e non in gradi. Fa osservare che con ciò si tende soprattutto a realizzare l’indipendenza da qualsiasi forza estranea al potere giudiziario per quanto attiene all’organizzazione delle promozioni e ad attuare lo sganciamento del corpo giudiziario dalla gerarchia degli altri impiegati dello Stato. Si è infatti sempre temuto il fenomeno che i funzionari statali possano basare le loro, sia pur giuste, rivendicazioni sul trattamento economico della Magistratura. Concedendo l’autogoverno finanziario al potere giudiziario, ciò non si verificherebbe più, in quanto vi sarebbero soltanto degli organi del potere giudiziario con funzioni diverse.

Dichiara inoltre di essere contrario alla elettività delle magistrature inferiori dato che il giudice delle cause di scarsa importanza è di norma un giudice prevalentemente locale e come tale il più suscettibile di influenze e pressioni. In più, è necessario che questo giudice sia un tecnico, di carriera. La giurisdizione equitativa è più delicata delle altre, in quanto consente di spaziare in una sfera di potere discrezionale che presuppone una maggiore coscienza giuridica e un alto senso di responsabilità; requisiti quelli che difficilmente possono trovarsi nei giudici elettivi. Dichiara inoltre di essere contrario alla magistratura onoraria, sia pure di grado inferiore, e di ritenere preferibile avere dei giudici conciliatori di carriera, pur riconoscendo che ciò comporterebbe un aggravio finanziario per lo Stato; preferibile anche perché ciò potrebbe contribuire alla risoluzione del problema della disoccupazione dei laureati in discipline giuridiche.

Passando ad esaminare il problema del collegamento fra potere giudiziario e Governo, osserva che con nessuno dei congegni prospettati dall’onorevole Calamandrei si elimina il pericolo che la Magistratura possa trovarsi in concilio con gli altri poteri. Nel suo progetto (art. 8), sganciata la Magistratura giudicante dal Ministro Guardasigilli, si prospetta l’ipotesi del Primo Presidente della Corte di cassazione che esercita l’alta sorveglianza su tutti gli uffici giudiziari e sugli organi giudicanti. Ritiene che questo potrebbe essere il sistema migliore, in quanto verrebbe a scindere completamente il potere giudiziario da quello esecutivo. Il congegno proposto dall’onorevole Calamandrei non è in realtà molto diverso dal suo. Il punto di disaccordo riguarda il Pubblico Ministero, che nelle sue proposte assumerebbe il netto carattere di organo del potere esecutivo. Il Pubblico Ministero rappresenta, per quanto attiene alla sua funzione di promuovere l’azione penale e di vigilanza nel processo, lo Stato nel suo diritto soggettivo di punire, con poteri che sono talvolta superiori a quelli dello stesso giudice. È quindi difficile precisarne la natura perché, ove si considerino prevalentemente le sue funzioni giudiziarie, egli appare organo del potere giudiziario; mentre, se si riguardano i suoi poteri concernenti l’iniziativa nel processo penale e la direzione della polizia giudiziaria, appare come organo di quello esecutivo. A suo avviso è indispensabile creare un maggiore e più diretto contatto fra il Pubblico Ministero e la polizia, la quale deve essere alle sue dirette dipendenze, agli effetti delle indagini che egli deve promuovere. Occorre cioè conservare al Pubblico Ministero la tipica funzione di dominus, ossia di promotore della azione penale. In tal modo, dal punto di vista giuridico-penale, sarà ricondotto il Pubblico Ministero entro i suoi propri limiti, o si preciserà di più la sua funzione di organo del potere esecutivo in quanto, nella notitia criminis o nell’accusa, egli rappresenterà lo Stato.

Concludendo sull’argomento, fa presente che la preoccupazione, condivisa anche da molti magistrati, è certo quella di rendere costoro indipendenti, ma non assolutamente distaccati dalla vita dello Stato. Mentre il progetto dell’onorevole Patricolo tende a creare un distacco netto tra Magistratura e Governo, nel suo e in quello dell’onorevole Calamandrei vi è il tentativo di conciliare le due esigenze. A suo avviso è necessario affrontare con pieno senso di responsabilità tale grave problema, per non correre il rischio di dare al Paese un potere giudiziario che o non sia sufficientemente indipendente, come è invece da tutti auspicato, o lo sia a tal punto da restare avulso dalla vita della Nazione.

A su avviso, il Pubblico Ministero può servire proprio da tramite o organo di collegamento tra potere esecutivo e potere giudiziario: in quanto promotore dell’azione penale (e, nei limiti della funzione, partecipe allo sviluppo del processo) e in quanto promotore del procedimento disciplinare a carico di magistrati, il Pubblico Ministero che – com’è chiarito nella relazione scritta, tornerebbe ad essere espressione del potere esecutivo – rappresenta presso il potere giudiziario l’organo di iniziativa e di controllo dello Stato.

In conclusione, il sistema del Relatore si presenta organicamente così: potere giudiziario indipendente (autogoverno anche finanziario) con, al sommo dell’organizzazione, il Presidente della Corte di cassazione ed il Consiglio superiore; inclusione in tale Consiglio anche di elementi eletti dalle due Camere, in modo da stabilire un primo punto di collegamento del potere giudiziario con gli altri poteri; Pubblico Ministero, privato di quelle attuali attribuzioni che lo accostano al potere giudiziario, in funzione di organo del potere esecutivo, come tale alle dipendenze del Ministro della giustizia, in modo da stabilire un secondo punto di collegamento con gli altri poteri.

È naturale che, se si accetta tale disciplina del Pubblico Ministero, pur ribadendo nella Costituzione il principio della legalità, pubblicità, ineluttabilità dell’azione penale, occorrerà esaminare l’ipotesi della mancata attivazione del processo penale. Per tale ipotesi – che nella relazione scritta è rimasta volutamente nell’ombra, per dar modo di approfondirla in caso di accettazione della natura di organo del potere esecutivo nel Pubblico Ministero – si profilano due soluzioni: o, mediante il ripudio del canone ne procedat judex ex officio, consentire al giudice, in caso di inerzia del Pubblico Ministero, di promuovere l’azione penale; ovvero rimandare alla disciplina della responsabilità dei funzionari dello Stato per la loro attività dolosa o colposa la soluzione del delicato problema.

Dichiara poi di condividere l’idea dell’onorevole Calamandrei di inserire nella Costituzione il divieto per i magistrati di appartenere a partiti politici, in quanto non basta che il giudice sia indipendente, ma occorre che tale egli sempre appaia. E ciò soprattutto in considerazione delle esigenze della cosiddetta disciplina di partito, che va rafforzandosi sempre più e che potrebbe talvolta mettere il magistrato nel più grave imbarazzo. Propone inoltre che analogo divieto sia stabilito per l’appartenenza ad associazioni segrete, le quali, dal punto di vista vincolativo, sono anche più rigide che non la disciplina di partito e che, nella maggior parte dei casi, hanno finalità politiche.

TARGETTI obietta che praticamente la proposta non è attuabile, trattandosi di organizzazioni segrete.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene che sia sufficiente sancire il divieto ed affidarsi alla coscienza dei magistrati.

Sottopone infine all’attenzione dei colleghi gli articoli finali (16-21) del suo progetto, i quali, pur non concernendo materie di competenza della Sottocommissione, dovrebbero essere, a suo avviso, inseriti nella Costituzione. Si tratta di un complesso di norme che disciplinano le garanzie del cittadino di fronte al potere giudiziario. L’articolo 16 stabilisce che non vi debbono essere limiti all’esercizio del diritto del cittadino di agire in sede giudiziaria; l’articolo 17 fissa l’identità di giurisdizione per tutte le cause; l’articolo 18 sancisce l’obbligo della motivazione per tutti i provvedimenti giurisdizionali; l’articolo 19 stabilisce la pubblicità dei procedimenti penali, mentre l’articolo 20 fissa il diritto delle parti all’assistenza di un difensore.

TARGETTI, riferendosi all’autonomia della Magistratura, rileva che l’onorevole Leone ha, nella sua relazione, accennato alla composizione di un Consiglio superiore, di cui alcuni membri dovrebbero essere eletti dalla Assemblea nazionale. Chiede all’onorevole Calamandrei come egli intenda la questione, dato che nella sua relazione non se ne parla.

CALAMANDREI, Relatore, riconoscendo che effettivamente si tratta di una lacuna, dichiara che, a suo avviso, il Consiglio dovrebbe essere composto esclusivamente di magistrati.

LEONE GIOVANNI, Relatore, precisa che nel suo progetto è prevista l’immissione nel Consiglio superiore di elementi politici in senso ampio, allo scopo di creare un maggior coordinamento tra i vari poteri.

La seduta termina alle 12.45.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Conti, Di Giovanni, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Intervenuto, in sostituzione dell’onorevole Patricolo, l’onorevole Castiglia.

Assenti: Bulloni, Farini, Porzio.

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

58.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Cappi – Laconi – perassi – mannironi – mortati – nobile – Uberti – Fabbri – Tosato – Fuschini – Ravagnan – La Rocca – Targetti – Lami Starnuti – Lussu – Zuccarini – Ambrosini, Relatore – Bordon – Bozzi – Vanoni – Conti – Codacci Pisanelli.

La seduta comincia alle 16.35.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE comunica il testo di un articolo aggiuntivo 12-bis, proposto dall’onorevole Mannironi;

«Il diritto di impugnativa (di cui al precedente articolo) è riconosciuto anche alla Regione, contro quelle leggi nazionali che si ritengano lesive dei diritti costituzionali della stessa Regione. L’Alta Corte costituzionale, cui spetta di decidere, potrà, se richiesta, sospendere l’esecutività della legge impugnata».

CAPPI lo ritiene superfluo, dal momento che vi è un’Alta Corte costituzionale alla quale tutti possono ricorrere, comprese le Regioni.

LACONI è contrario alla proposta Mannironi che, a suo parere, non solo è superflua, ma tenderebbe a porre in rilievo una specie di parità tra la Regione e lo Stato che gli sembra completamente fuori luogo.

PERASSI non crede sia da accogliere questo articolo aggiuntivo, soprattutto perché il diritto di impugnativa di cui parla il proponente non si vuol riferire al periodo di formazione delle leggi regionali di cui all’articolo precedente, ma ad una legge dello Stato già fatta. Ritiene che il problema potrà essere risolto quando si discuterà della competenza dell’Alta Corte costituzionale.

MANNIRONI ritira l’articolo aggiuntivo, riservandosi di ripresentarlo in altra sede.

MORTATI si domanda se – nell’articolo 12 – parlandosi di leggi, si sia inteso riferirsi alle leggi in senso stretto o all’attività normativa in senso generico: perché sarebbe d’opinione che, per i regolamenti delegati di cui all’articolo 4ter, si debba seguire la stessa procedura delle leggi: non così, invece, per i regolamenti interni della Regione.

NOBILE, per le considerazioni già altra volta espresse, vorrebbe compresi tra quelli che debbono essere sottoposti all’approvazione degli organi centrali, tutti i regolamenti che le Regioni fanno anche per le proprie leggi e, subordinatamente, i regolamenti che concernono la sicurezza pubblica o comunque l’interesse nazionale.

UBERTI non crede sia il caso di appesantire eccessivamente la Costituzione, introducendovi una disposizione esplicita anche per i regolamenti, perché in sostanza il regolamento non è che la esecuzione pratica di norme legislative che sono, in quanto tali, già contemplate nell’articolo.

FABBRI, considerato che la questione sollevata dall’onorevole Mortati involge un principio di giustizia amministrativa, preferirebbe rimandarne la soluzione a quando saranno stabiliti gli organi della giustizia amministrativa nell’ambito della Regione e determinate le loro funzioni; ma se si tratta dell’accertamento preventivo che il Governo fa, non è d’opinione di appesantire la procedura per la formazione di tali regolamenti, pur ritenendo necessaria una garanzia contro la loro incostituzionalità.

MANNIRONI ritiene che la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ed il controllo da parte dello Stato debbano effettuarsi soltanto per le leggi della Regione: nessun intervento dello Stato crede sia necessario per i regolamenti di leggi emanate dalla Regione e tanto meno la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato.

TOSATO, escludendo i regolamenti esecutivi di leggi regionali, vorrebbe esteso agli altri regolamenti la disamina e il controllo da parte dello Stato.

PRESIDENTE, per evitare che si creino situazioni contraddittorie nelle varie Regioni, ritiene che lo Stato debba avere una possibilità di controllo sui vari regolamenti la cui emanazione è delegata alla Regione; non trova quindi eccessivo che la procedura si svolga allo stesso modo di quella stabilita per le leggi della Regione. Chiarisce che, secondo la proposta Mortati, la procedura stabilita per le leggi deve essere seguita anche per i regolamenti delegati di cui all’articolo 4ter.

NOBILE propone un emendamento nel senso che tale procedura valga per tutti i regolamenti che le Regioni fanno anche per le proprie leggi. Subordinatamente, un secondo emendamento in base al quale la procedura stessa valga per quelli che riguardano la sicurezza pubblica o comunque l’interesse nazionale.

PRESIDENTE pone ai voti gli emendamenti dell’onorevole Nobile.

(Non sono approvati).

Mette ai voti la proposta Mortati così formulata:

«La procedura stabilita per la pubblicazione e l’impugnativa delle leggi deve essere seguita anche per i regolamenti delegati di cui all’articolo 4ter».

(È approvata).

MORTATI, riferendosi ad eventuali situazioni d’urgenza, ritiene che esse possano suggerire una procedura abbreviata per la pubblicazione delle leggi, purché il Governo sia posto nella possibilità di dare il suo consenso espresso senza attendere il compimento del termine ordinario previsto per la pubblicazione stessa. Propone perciò il seguente comma aggiuntivo:

«Ove l’Assemblea Regionale dichiari l’urgenza di una legge da essa approvata, si può procedere alla pubblicazione di questa prima del decorso del termine di cui all’articolo … se il Governo dello Stato dia il suo consenso espresso».

FUSCHINI chiede chiarimenti sulla parola «espresso» e circa la pubblicazione della legge.

PRESIDENTE risponde che «espresso» vuol significare «esplicito» e che la legge sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Mette poi in votazione questo comma aggiuntivo all’articolo 12 proposto dall’onorevole Mortati.

(È approvato).

Dovendosi ora passare all’articolo 13, avverte che l’onorevole Mortati propone di abbinarne la discussione a quella dell’articolo 15.

(Così rimane stabilito).

Dà lettura di questi due articoli nel testo del Comitato.

Art. 13. – «Il Presidente della Repubblica potrà sciogliere l’Assemblea Regionale ove questa assuma atteggiamenti contrari all’interesse nazionale ed in caso di gravi e reiterate violazioni della legge.

«La dissoluzione deve essere disposta con suo decreto motivato, su parere conforme del Consiglio di Stato in adunanza generale.

«In tal caso nomina un Commissario il quale indirà le nuove elezioni entro tre mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di scioglimento dell’Assemblea».

Art. 15. – «Quando il Presidente della Deputazione regionale assuma atteggiamenti contrari all’interesse nazionale o compia gravi e reiterate violazioni di legge, il Governo centrale ha facoltà di segnalare il caso all’Assemblea Regionale perché provveda alla sostituzione del Presidente.

«Qualora l’Assemblea non provveda, il Presidente della Repubblica può ricorrere al provvedimento della dissoluzione ai sensi dell’articolo 13».

MORTATI propone le seguente formulazione in cui sono riuniti gli articoli 13 e 15.

«Può essere disposto lo scioglimento dell’Assemblea Regionale, quando questa assuma atteggiamenti contrari all’unità nazionale o compia gravi e reiterate violazioni delle leggi generali o regionali, ed altresì nel caso che essa, nonostante la segnalazione fattale dal Governo dello Stato, non provveda alla sostituzione della Deputazione regionale o del suo Presidente, i quali si siano resi responsabili di analoghi atti o violazioni.

«Lo scioglimento è effettuato con decreto motivato del Presidente della Repubblica, su parere conforme del Senato, emesso a maggioranza assoluta dei suoi membri e con l’astensione dal voto dei rappresentanti della Regione interessata.

«Con lo stesso atto, che dispone lo scioglimento, si provvederà alla nomina di una Commissione straordinaria presieduta dal Commissario regionale e composta di quattro cittadini, eleggibili all’Assemblea Regionale. La Commissione indirà le nuove elezioni dell’Assemblea entro due mesi dalla pubblicazione dell’avviso di scioglimento sulla Gazzetta Ufficiale».

CAPPI approva sostanzialmente la proposta dell’onorevole Mortati, ma trova troppo generica e pericolosa la frase «assuma atteggiamenti contrari all’unità nazionale» e ne propone la soppressione.

Inoltre, poiché ritiene complicata la norma che, in caso di scioglimento dell’Assemblea Regionale, l’Amministrazione della Regione venga affidata ad una Commissione presieduta dal Commissario regionale, preferirebbe che si lasciasse il Commissario, invece della Commissione, aggiungendo però che esso dovrà compiere solo atti di ordinaria amministrazione ed indire le nuove elezioni nel termine di tre mesi.

RAVAGNAN, pur ritenendo implicito che l’apprezzamento degli atteggiamenti dell’Assemblea Regionale come contrari all’interesse nazionale debba spettare al Presidente della Repubblica, dichiara che ciò gli sembra un anticipo ad una discussione sui poteri del Capo dello Stato. Pensa che ad ogni modo di tale facoltà questi dovrebbe far uso dopo un voto conforme della Prima Camera. A suo parere poi le «gravi e reiterate violazioni delle legge dovrebbero essere constatate dalla Suprema Corte costituzionale. Quanto all’organo che deve dare parere sulla dissoluzione dell’Assemblea Regionale, nota che il Consiglio di Stato entra qui come cosa nuova e non ne approva l’intervento.

LA ROCCA vorrebbe fosse chiarito chi è che giudica in fatto di atteggiamenti contrari all’interesse nazionale; e se, come sembra, sarà il Presidente della Repubblica, domanda se egli è solo a giudicare o se avrà bisogno del parere di altro organo e di quale. Non approva l’inciso «atteggiamenti contrari all’unità nazionale» e trova forte anche la frase «gravi e reiterate violazioni di leggi»; gli sembra sufficiente una pura e semplice violazione di legge per richiamare all’ordine la Regione.

TARGETTI è d’accordo nel sostituire l’inciso «contrari all’interesse nazionale» con l’altro: «contrari all’unità nazionale» è pensa che si potrebbe anche omettere l’aggettivo: «reiterate», limitandosi a «gravi violazioni». Prospetta poi l’ipotesi di un’Assemblea Regionale che non procedesse all’elezione dei suoi organi e ritiene che in tal caso il Presidente della Repubblica dovrebbe procedere senz’altro allo scioglimento dell’Assemblea Regionale.

LACONI osserva come questo articolo debba riferirsi unicamente all’opera dell’Assemblea Regionale, ad un’azione di governo, cioè, che essa compirebbe in violazione alle leggi dello Stato: gli sembrano perciò eccessive le condizioni richieste per il suo scioglimento. Ritiene che basterebbe una sola di tali violazioni, ma ad ogni modo propone che invece di dire: «gravi e reiterate violazioni di legge», si dica: «gravi o reiterate».

Crede poi che una valutazione di merito nei riguardi dell’unità nazionale o degli interessi nazionali violati dovrebbe essere compiuta non dal Consiglio di Stato, di cui non vede ancora ben precisata la figura e la funzione, e neppure dall’Alta Corte costituzionale, ma dall’Assemblea Nazionale, unica rappresentante genuina della sovranità popolare e organo supremo veramente democratico che coordina tutte le attività regionali.

Desidera infine sia chiarito se la designazione dei quattro cittadini eleggibili all’Assemblea Regionale debba esser fatta dal Governo, oppure personalmente dal Capo dello Stato.

MORTATI ritiene che tale designazione debba esser fatta dal Governo; del resto, anche se fosse fatta dal Presidente della Repubblica, questi agirebbe su iniziativa del Consiglio dei Ministri.

LAMI STARNUTI accetta la proposta dell’onorevole Mortati, che demanda il parere per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale al Senato, il quale, oltre tutto, a differenza del Consiglio di Stato, è un corpo elettivo: gli sembra eccessivo richiedere il parere dell’Assemblea Nazionale.

Dà poi ragione della frase: «in caso di gravi e reiterate violazioni della legge», che fu da lui proposta in seno al Comitato per le autonomie locali perché, difensore convinto di queste autonomie, egli è in massima contrario allo scioglimento degli Enti locali, a meno che non vi sia una ripetuta violazione della legge. Dicendo: «gravi», si vuole con ciò intendere una condotta intenzionale, volontaria dell’Assemblea Regionale o dell’ente locale: una pura violazione della legge, come ad esempio la convocazione dell’Assemblea senza il rispetto dei termini, non potrebbe bastare. Non ritiene sufficiente una sola violazione, a meno che non sia gravissima. Può quindi, al massimo, consentire che si sopprima l’aggettivo «reiterate», purché sia chiaro che queste violazioni debbono essere ripetute successivamente da parte dell’Assemblea Regionale.

Circa l’espressione: «atteggiamenti contrari all’interesse nazionale», osserva che essa è derivata da un certo contrasto di opinioni in sede del Comitato, poiché a taluno sembrò poco opportuno fare nella Costituzione l’ipotesi di un’Assemblea Regionale che si dimostrasse contraria all’unità della Nazione; ma il concetto era appunto questo. Si rende conto che forse questa formula è troppo vasta e potrebbe dar luogo ad un certo arbitrio da parte del potere legislativo nel provocare lo scioglimento dell’Assemblea; ma, ciò nonostante, vi aderisce, come aderisce in tutte le sue parti all’emendamento Mortati.

LUSSU si limita a mettere in rilievo la parte di questi due articoli nella quale egli non si è trovato d’accordo col Comitato.

Ritiene necessario l’abbinamento dei due articoli proposto dall’onorevole Mortati, ma dichiara subito di esser contrario all’articolo 15, che riguarda la condotta del Presidente della Deputazione Regionale e stabilisce la procedura per addivenire alla sua sostituzione. Ciò gli sembra contrario alla dignità dell’Assemblea Regionale, che verrebbe inutilmente umiliata. Ritiene quindi che l’articolo 15 debba essere totalmente soppresso e propone il seguente emendamento:

«Il Presidente della Repubblica potrà sciogliere l’Assemblea Regionale ove questa, o la Deputazione Regionale assuma atteggiamenti contrari, ecc.».

Ricorda di avere egli stesso proposto la soppressione della formula; «contrari all’unità nazionale» e la sostituzione con l’altra: «contrari all’interesse nazionale», sembrandogli non opportuno né politicamente utile che figurasse nella Carta costituzionale l’ipotesi di una Regione che offendesse l’unità nazionale.

ZUCCARINI dichiara di aderire alle modifiche proposte dall’onorevole Cappi. Trova troppo vaga la parola: «atteggiamenti» e suggerisce di usare invece il termine «atti». Sebbene la facoltà di sciogliere l’Assemblea Regionale sia accordata al Presidente della Repubblica, ritiene che l’iniziativa debba partire da qualche organo della sovranità popolare. Crede poi che si debba togliere la parola «unità», perché, se pure questa preoccupazione di salvaguardare l’unità nazionale può essere legittima, non è opportuno che figuri in queste norme di organizzazione regionale.

MANNIRONI non approva che la Regione sia tenuta in uno stato di libertà eccessivamente vigilata; ciò che finirebbe con lo sminuire la sua figura e ferire il principio della sua autonomia. È d’accordo quindi sulla proposta dell’onorevole Mortati di sostituire, alla dizione «contrari all’interesse nazionale», l’altra: «contrari all’unità nazionale».

È anche d’accordo con l’onorevole Lussu che debba essere eliminata la parte in cui si accenna allo scioglimento dell’Assemblea Regionale solo perché essa non aderisca all’invito del Governo di sostituire il Presidente o la Deputazione. Si finirebbe altrimenti per ammettere una eccessiva ingerenza del potere centrale su un affare di competenza dell’Assemblea Regionale, che sola giudica del suo Presidente. Ritiene anch’egli che al Consiglio di Stato debba sostituirsi il Senato, per quanto riguarda il parere da richiedere preventivamente per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale. Il Senato costituisce la Camera delle Regioni ed è perciò l’organo più indicato per occuparsi delle Assemblee Regionali.

Propone infine che là dove si dice che la Commissione indirà le nuove elezioni dell’Assemblea entro due mesi dall’avviso di scioglimento, si aggiunga che la nuova Assemblea dovrà essere convocata entro un mese dal giorno delle elezioni.

AMBROSINI, Relatore, osserva che la dissoluzione deve essere prevista, perché, per quanto si voglia garantire l’autonomia delle Regioni, bisogna sempre riguardare l’interesse nazionale. La causale non deve essere, a suo avviso, una qualsiasi isolata violazione di legge, ma deve avere un carattere intenzionale di interferire su qualche cosa di essenziale: perciò si è usata l’espressione: «gravi e reiterate violazioni».

Quanto agli atti compiuti dall’Assemblea o agli atteggiamenti da essa assunti, che possano determinare lo scioglimento, espone le ragioni per le quali il Comitato preferì di adottare la formula che «siano contrari all’interesse nazionale». Ritiene che può dar luogo allo scioglimento dell’Assemblea anche il fatto che essa non riesca a costituire l’Amministrazione regionale.

Per quanto si riferisce al principio della dissoluzione, riconosce che tale misura interferisce sul sistema dell’autonomia, ma che non per ciò possa prescindersene, giacché l’autonomia va considerata non in senso illimitato e tale da contrapporsi o comunque da nuocere all’interesse generale dello Stato, sebbene in senso di armonia, di coordinazione con questo interesse e conseguentemente in modo tale da evitare qualsiasi frattura o contrapposizione.

Lo scioglimento non priva la Regione delle libertà fondamentali riconosciutele, perché lo Stato non si sostituisce ai suoi organi, in quanto è la stessa popolazione della Regione che deve procedere all’elezione della propria Assemblea e, per mezzo di questa, del proprio organo esecutivo amministrativo, cioè della Deputazione Regionale.

Per altro il Presidente della Repubblica non può procedere liberamente allo scioglimento, in quanto occorre un parere, e per giunta vincolante, del Consiglio di Stato in adunanza generale o di altro organo. Consente nell’opinione che è opportuno ricorrere ad un organo che si trovi su un piano costituzionalmente più rilevante del Consiglio di Stato; ma non è d’accordo per fare in proposito riferimento alle due Camere riunite in Assemblea Nazionale, né alla Camera dei Deputati.

Ritiene che l’organo più adatto sia la seconda Camera, il Senato, perché, per il modo stesso della sua formazione su base regionale, può dare questo parere con maggiore conoscenza di causa e maggior comprensione della portata dello scioglimento, e senza la preoccupazione di essere sospettato, in grazia appunto alla sua origine e natura regionale, di voler comprimere l’autonomia della Regione.

Non condivide d’altra parte l’idea che possa darsi allo stesso Senato, e tanto meno alla Camera dei Deputati, la facoltà di iniziativa per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale. Ritiene che la proposta debba spettare soltanto al Governo.

Passando a riguardare la posizione del Presidente della Deputazione Regionale, nota che la disposizione dell’articolo 15 del progetto del Comitato rappresenta una misura di transazione. Per le stesse ragioni per cui si consente al potere centrale dello Stato di interferire sull’esistenza dell’Assemblea Regionale, è opportuno dargli inoltre una potestà di intervento riguardo all’organo esecutivo. Ma sembrò al Comitato che dare al Presidente della Repubblica la possibilità di rimuovere senz’altro il Presidente della Deputazione Regionale importasse un’interferenza troppo forte sul potere proprio dell’Assemblea Regionale; e perciò fu d’avviso che bastasse dare al Governo la facoltà di segnalare il caso all’Assemblea Regionale, la quale ha sempre modo di provocare le dimissioni della Deputazione. Così la libertà ed il prestigio dell’Assemblea Regionale sono salvaguardati. Per queste ragioni crede che potrebbe adottarsi il sistema dei due articoli in discussione, cioè dell’articolo 13 e dell’articolo 15, magari fondendoli in uno solo.

BORDON vorrebbe arrivare alla dissoluzione dell’Assemblea solo in extremis; perciò, non di un semplice «atteggiamento» dovrebbe trattarsi, ma di vera e propria violazione di legge: direbbe quindi: «fatti o violazioni di legge». Ritiene più appropriato parlare di «unità nazionale», che non di «interesse nazionale»; preferirebbe però limitarsi al caso della violazione della Costituzione o di leggi generali dello Stato.

PERASSI ritiene che la parola «atteggiamenti» sia un po’ vaga, ma non potrebbe accedere all’idea che basti una qualsiasi violazione di legge per lo scioglimento: ricorda che anche lo scioglimento del Consiglio comunale è subordinato a persistenti violazioni di leggi.

Circa il modo e l’atto con cui lo scioglimento possa aver luogo, accede al suggerimento dell’onorevole Mortati di prevedere il parere conforme del Senato. Crede poi opportuno precisare anche quale sarà la competenza del Commissario o della Commissione straordinaria, i quali, a suo avviso, dovrebbero esercitare le attribuzioni della Deputazione Regionale. Resta a vedere se possa essere attribuito al Commissario la facoltà di emettere provvedimenti di urgenza. Vorrebbe infine che fosse precisato il termine entro il quale la nuova Assemblea debba essere convocata.

FABBRI sarebbe d’opinione di sopprimere l’articolo 15, aderendo alle considerazioni svolte dall’onorevole Lussu.

Quanto ai motivi dello scioglimento dell’Assemblea, distinguerebbe i due casi degli «interessi nazionali» e delle «violazioni di leggi». Nel primo caso, trattandosi di questioni di carattere politico, ritiene che il Governo potrebbe esercitare un suo diritto senza necessità di pareri; per la violazione di legge riterrebbe invece necessario il parere conforme del Consiglio di Stato, perché il giudizio da emettere è di carattere sostanzialmente giuridico. Propone quindi la seguente formula: «Può essere proceduto allo scioglimento dell’Assemblea Regionale per atti e provvedimenti dell’Assemblea stessa contrari agli interessi nazionali, nonché per gravi violazioni di leggi. Lo scioglimento è disposto dal Governo, nel primo caso, nell’esercizio del suo potere politico e, nel secondo caso, previo parere conforme del Consiglio di Stato in adunanza generale. Lo scioglimento è effettuato con decreto motivato del Capo dello Stato. Con lo stesso decreto che dispone lo scioglimento viene nominato un Commissario, ecc.», come al terzo comma dell’articolo 13.

LACONI desidera sia chiarito se il fatto di riservare alla seconda Camera il parere per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale non costituisca una menomazione al principio della parità tra le due Camere.

MORTATI si associa alla proposta di soppressione dell’inciso: «atteggiamenti contrari agli interessi nazionali». Limiterebbe il caso di scioglimento alle «gravi e reiterate violazioni», poiché in questo concetto rientra anche quello degli «atteggiamenti» contrari agli interessi nazionali. Si potrebbero poi aggiungere, dopo le parole: «con decreto motivato del Presidente della Repubblica», le altre: «su deliberazione del Consiglio dei Ministri».

Circa la questione sollevata dall’onorevole Laconi, osserva che la parità di attribuzioni fra le due Camere, che non significa identificazione assoluta di funzioni, vale per l’ordinaria attività legislativa, nonché per i rapporti col Governo. Qui si tratta di coordinamento degli interessi statali con quelli regionali e l’organo più abilitato a far ciò gli sembra il Senato.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta degli onorevoli Lussu e Fabbri di soppressione dell’articolo 15.

(Non è approvata).

Pone in votazione l’abbinamento degli articoli 13 e 15.

(È approvato).

Richiamando il testo proposto dall’onorevole Mortati, mette in rilievo le differenze più notevoli del testo del Relatore, ed avverte che gli onorevoli Targetti, Rossi e Di Giovanni hanno proposto il seguente emendamento aggiuntivo alla formulazione Mortati, da inserire dopo il primo comma:

«Del pari lo scioglimento può essere deciso nel caso in cui l’Assemblea Regionale non abbia provveduto, nonostante il richiamo da parte del Governo dello Stato, alla elezione della Deputazione e del Presidente».

Fa anche notare che l’inciso «assuma atteggiamenti» è stato sostituito dall’altro: «compia atti», che ha già ottenuto il quasi generale consenso. Deciderà ora la Sottocommissione se questi «atti» debbano essere contrari «all’interesse generale» o «all’unità nazionale».

LUSSU si rimette al Relatore per quanto riguarda la dizione: «atteggiamenti contrari all’unità nazionale».

ABROSINI, Relatore, preferisce che si parli di atteggiamenti o di atti contrari all’«interesse generale» e non all’«unità nazionale», giacché non ritiene opportuno che sia fatta l’ipotesi che un’Assemblea Regionale compia atti contrari all’unità nazionale.

PRESIDENTE pone ai voti la formulazione: «atti contrari all’interesse generale».

(Non è approvata).

Pone ai voti la formulazione: «atti contrari all’unità nazionale».

(È approvata).

PERASSI sulla frase: «o compia gravi e reiterate violazioni delle leggi generali o regionali», ritiene che l’aggettivo «regionale» vada al di là del pensiero dell’onorevole Mortati, perché l’Assemblea Regionale non viola una legge regionale se ne fa un’altra: direbbe se mai: «…violazione dello Statuto regionale».

PRESIDENTE mette intanto ai voti la formula: «gravi violazioni» senza altri aggettivi.

(È approvata).

BOZZI aggiungerebbe, all’aggettivo «gravi», l’altro «persistenti», dicendo: «gravi o persistenti violazioni».

LAMI STARNUTI è contrario a questa formulazione, perché l’alternativa potrebbe portare allo scioglimento dell’Assemblea per fatti anche lievi.

NOBILE non trova felice la sostituzione della parola «reiterate» con «persistenti».

VANONI se la parola «persistenti» deve sostituire quella «reiterate», vorrebbe però rimanesse chiarito che si deve trattare di una violazione ripetuta parecchie volte.

CONTI è contrario all’aggettivo «reiterate», perché ciò significa ammettere una violazione del sistema che non è ammissibile tollerare.

PRESIDENTE mette ai voti la formula alternativa: «o reiterate».

(Non è approvata).

Mette ai voti la formula del testo Mortati: «e reiterate».

(Con 14 voti favorevoli e 14 contrari, non è approvata).

MORTATI propone la formulazione: «violazioni delle leggi generali o dello Statuto regionale».

PRESIDENTE non è favorevole a questa dizione perché lo Statuto regionale deve essere emanato con una legge dello Stato.

Mette in votazione l’inciso: «o dello Statuto regionale».

(Non è approvato).

Rilegge la formulazione fin qui approvata:

«Può essere disposto lo scioglimento dell’Assemblea regionale quando questa compia atti contrari all’unità nazionale o gravi violazioni delle leggi».

Fa presente che ora si passa all’argomento che era considerato nell’articolo 15: «e altresì nel caso che essa nonostante la segnalazione fattale dal Governo, non provveda alla sostituzione della Deputazione Regionale e del suo Presidente, i quali si siano resi responsabili di analoghi atti o violazioni».

Ricorda che l’onorevole Lussu ha proposto di sopprimere tutta questa parte e pone ai voti la proposta dell’onorevole Lussu.

(Non è approvata).

Apre la discussione sulla formulazione ora letta.

LUSSU nota una contraddizione nel fatto che mentre all’Assemblea Regionale non è consentito compiere atti gravi, questo viene consentito invece alla Deputazione, la quale rimane in carica almeno fino a quando il Governo centrale non avrà invitato l’Assemblea Regionale a sostituirla.

VANONI ritiene che vi sia un errore di interpretazione del sistema da parte dell’onorevole Lussu, perché qui si prevede l’ipotesi che, o l’Assemblea non abbia avuto la sensibilità politica di rilevare la violazione compiuta dalla Deputazione Regionale o, avendola rilevata, abbia solidarizzato con essa: ed in questo caso interviene il Governo centrale. L’ipotesi prospettata invece dall’onorevole Lussu non deve essere disciplinata esplicitamente nella Costituzione, perché riguarda il normale funzionamento dell’Assemblea Regionale nei suoi rapporti con la Deputazione.

ZUCCARINI trova questa disposizione molto grave. Ritiene che si possa ammettere il principio dello scioglimento dell’Assemblea anche per le violazioni commesse dalla Deputazione, ma che non si debba dare al potere esecutivo la potestà di invitare l’Assemblea a mutare la propria Deputazione, in quanto ciò sarebbe in contrasto con il concetto della sovranità popolare.

PRESIDENTE non intende risollevare la questione già posta dall’onorevole Lussu, ma vede nella disposizione in discussione un atto di deferenza o almeno di riconoscimento del potere dell’Assemblea e della sovranità del popolo nella Regione, in quanto l’Assemblea stessa è invitata a scegliere la Deputazione dopo di aver dimesso quella che si è resa colpevole della violazione.

Pone pertanto ai voti la formulazione dell’onorevole Mortati nel testo già letto.

(È approvata).

Esaurito così il primo comma, pone ai voti l’emendamento aggiuntivo proposto dagli onorevoli Targetti, Lami Starnuti e Rossi:

«Del pari lo scioglimento può essere deciso nel caso in cui l’Assemblea Regionale non abbia provveduto, nonostante il richiamo da parte del Governo dello Stato, alla elezione della Deputazione e del Presidente».

(È approvato).

MORTATI nel secondo comma, dopo le parole: «lo scioglimento è pronunciato con decreto motivato del Presidente della Repubblica», aggiungerebbe le altre: «su decisione del Consiglio dei Ministri».

PRESIDENTE aderisce.

Ricorda poi le varie proposte di modifica alla seguente formulazione fatta dal Comitato: «su parere conforme del Consiglio di Stato in adunanza generale».

FABBRI insiste nel ritenere inutile qualsiasi parere, tanto più che esso rimane ora limitato al caso in cui lo scioglimento sia dovuto ad atti contrari all’unità nazionale.

VANONI vorrebbe fosse chiarito se il parere debba essere richiesto ad un organo di natura politica o ad un organo giurisdizionale. Crede che la Suprema Corte costituzionale di nuova creazione sia l’organo più adatto.

BOZZI non ritiene che il parere possa chiedersi al Consiglio di Stato, che, in adunanza generale, è un organo tecnico: ma osserva che anche il Senato e la Camera, in quanto organi deliberanti, non sono chiamati a dare pareri.

NOBILE lascerebbe la facoltà dello scioglimento dell’Assemblea Regionale al Governo, senza sentire il parere di altri organi, perché, di fronte ad eventuali atti di natura grave, esso può trovarsi nella necessità di agire rapidamente.

CODACCI PISANELLI spiega le ragioni per le quali il Comitato ha proposto il parere del Consiglio di Stato; e cioè perché normalmente esso è l’organo consultivo del Governo, quando questi debba compiere atti di una certa importanza.

MORTATI è contrario alla proposta dell’onorevole Nobile che può trovare sede più adatta quando si parlerà di stato di necessità o di pericolo pubblico. Ritiene che il parere sia necessario per ragioni politiche.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta che per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale sia richiesto in ogni caso un «parere».

(È approvata).

Poiché si tratta di decidere se il parere debba esser chiesto ad un organo giurisdizionale o ad un organo politico, mette ai voti la proposta che il parere sia richiesto e sia dato da un organo politico.

(È approvata).

Fa rilevare che gli organi politici sono: la prima Camera, la seconda Camera, l’Assemblea Nazionale.

Pone ai voti la proposta che lo scioglimento debba essere condizionato alla deliberazione dell’Assemblea Nazionale.

(Non è approvata).

Dichiara che personalmente è favorevole a che il parere sia dato dalla prima Camera, per le speciali situazioni che possono verificarsi, per il fatto che la seconda Camera è più interessata ai problemi regionali; tanto che l’onorevole Mortati stesso propone che i rappresentanti della Regione interessata, nella seconda Camera, debbano astenersi dal voto. Di più, questo nuovo potere dato alla seconda Camera farebbe accrescere la sua autorità nei confronti della prima e delle masse popolari in genere.

VANONI è favorevole a che il parere sia dato dal Senato perché, a suo avviso, il pericolo sta non in una attività dell’Assemblea Regionale contraria alle leggi fondamentali dello Stato, avverso la quale v’è la garanzia della Corte suprema, ma in una eventuale attività concertata del Governo e della prima Camera, che potrebbe portare alla eliminazione di fatto delle autonomie regionali attraverso successivi scioglimenti degli organi regionali. Crede perciò che la base regionale di formazione del Senato dovrebbe garantire contro queste eventualità.

NOBILE e LA ROCCA si dichiarano favorevoli alla competenza della prima Camera, che è stata eletta con suffragio universale e diretto e che non deve esser posta su un piede di inferiorità di fronte alla seconda.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta che la deliberazione per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale sia richiesta alla prima Camera.

(Non è approvata).

Pone ai voti l’inciso: «previa deliberazione conforme del Senato».

(È approvato).

Mette ai voti l’ultima parte del comma: «presa a maggioranza assoluta dei suoi membri e con l’astensione dal voto dei rappresentanti della Regione interessata».

(È approvata).

Fa notare che, nel comma seguente, l’onorevole Mortati propone la nomina di una «Commissione», invece che di un «Commissario». Pone perciò ai voti questa formulazione: «Con lo stesso atto che dispone lo scioglimento si provvederà alla nomina di una Commissione straordinaria».

(È approvata).

Circa la composizione di tale Commissione, fa notare che essa dovrebbe, secondo l’onorevole Mortati, essere «presieduta dal Commissario regionale e composta di quattro cittadini eleggibili all’Assemblea Regionale».

PERASSI, in analogia al sistema adottato dallo Statuto siciliano, propone che questa Commissione sia composta soltanto di tre membri.

MORTATI non insiste sul numero da lui proposto, purché nella Commissione vi sia una rappresentanza locale.

PRESIDENTE pone ai voti la formulazione: «di tre membri scelti fra i cittadini eleggibili all’Assemblea Regionale».

(È approvata).

Fa notare che nel comma seguente il termine di tre mesi fissato dal Comitato, entro il quale si dovranno indire le elezioni, è ridotto a due nel testo dell’onorevole Mortati.

Pone ai voti la formula: «la Commissione indirà le elezioni del decreto di scioglimento sulla Gazzetta Ufficiale».

(È approvata).

Quando al termine entro il quale dovrà convocarsi la nuova Assemblea, ritiene che esso sarà previsto o nella legge elettorale o nello Statuto regionale.

ZUCCARINI ricorda come già sia stato affermato che il Commissario, ed ora questa Commissione straordinaria, non possa compiere che atti di ordinaria amministrazione.

PRESIDENTE fa presente che circa i poteri di questa Commissione sono state presentate due formulazioni; quella che verrà approvata potrà formare oggetto di un articolo aggiuntivo 13-bis.

La prima è dell’onorevole Perassi:

«La Commissione straordinaria esercita le attribuzioni della Deputazione Regionale. In caso di urgente necessità può adottare provvedimenti in materia di bilancio di competenza dell’Assemblea, salvo ratifica».

L’altra dell’onorevole Mortati:

«La Commissione provvederà all’ordinaria amministrazione di competenza della Deputazione, salvo i provvedimenti di urgenza da sottoporre a ratifica dell’Assemblea».

VANONI desidera siano chiariti i poteri di questa Commissione; se cioè essi siano limitati alle funzioni della Deputazione o se comprendano parte o tutti quelli dell’Assemblea. Bisogna tener presente che il periodo in cui l’Assemblea è sciolta può coincidere con quello nel quale si devono, in base allo Statuto, approvare i bilanci.

LAMI STARNUTI propone di sostituire, nella proposta Mortati, alle parole: «provvedimenti di urgenza», le altre: «provvedimenti non dilazionabili».

MORTATI accetta questa variante.

PRESIDENTE delle due formulazioni presentate pone per prima ai voti quella più ampia dell’onorevole Mortati, con la modifica proposta dall’onorevole Lami Starnuti e accettata dal proponente.

(È approvata).

Dà lettura dell’articolo 13-bis che è così definitivamente formulato:

«La Commissione provvederà all’ordinaria amministrazione di competenza della Deputazione, salvo i provvedimenti non dilazionabili da sottoporre a ratifica dell’Assemblea».

Apre la discussione sull’articolo 14 del progetto del Comitato di redazione:

«Il Presidente della Deputazione Regionale rappresenta il Governo centrale nella Regione per le materie di competenza dello Stato che siano state delegate alla Regione per l’esecuzione.

«Egli è chiamato a partecipare, con voto consultivo, al Consiglio dei Ministri quando siano in discussione argomenti di speciale interesse per la Regione.

«Nel Capoluogo della Regione il Governo centrale è rappresentato da un Commissario, il quale esercita le funzioni politico-amministrative dello Stato non delegate alla Regione.

«Per gli atti dell’Amministrazione Regionale relativi a materie dallo Stato delegate alla Regione, il Commissario ne coordina l’opera in corrispondenza alle direttive generali che il Governo creda opportuno di emanare per tutte le Regioni».

MORTATI propone che il secondo comma, il quale tratta di una materia che si distingue dalle altre, sia esaminato a parte e prima degli altri.

PRESIDENTE crede che si possa accedere alla proposta Mortati.

(Così rimane stabilito).

Questo comma risulterebbe quindi così formulato: «Il Presidente della Deputazione Regionale è chiamato a partecipare con voto consultivo al Consiglio dei Ministri quando siano in discussione argomenti di speciale interesse per la Regione».

BOZZI domanda se sia un dovere o una facoltà del Consiglio dei Ministri il chiamare il Presidente della Deputazione Regionale a partecipare alle discussioni.

AMBROSINI, Relatore, chiarisce che, nell’intendimento del Comitato, si tratta di un obbligo.

LACONI fa notare la estrema genericità della frase: «argomenti di speciale interesse della Regione».

MORTATI fa presenti le conseguenze, talvolta paradossali, e tali da ripercuotersi sulla validità degli atti statali, a cui potrebbe portare questa formulazione del comma e propone o di sopprimerlo o di modificarlo così:

«Il Governo richiederà il parere della Regione prima di deliberare sulle materie che ritenga di speciale interesse regionale».

Ritiene che sarebbe preferibile eliminare tale disposizione, ma afferma che tale soluzione più radicale lo trova perplesso, data l’esistenza di una norma nello Statuto siciliano, la quale prescrive l’atto deliberativo del Presidente regionale in Consiglio dei Ministri. Vorrebbe evitare una disparità di trattamento tra le varie Regioni.

VANONI è favorevole alla soppressione di questo comma, perché stabilire l’obbligo per il Consiglio dei Ministri di chiamare il Presidente della Deputazione Regionale, potrebbe creare una complicazione anziché una semplificazione. Le funzioni del Consiglio dei Ministri nella nuova struttura dello Stato dovranno essere ridotte al minimo, mentre gli interessi della Regione sono largamente rappresentati dalla seconda Camera. Non vede perciò la necessità di questo intervento, anzi ritiene di dubbia opportunità la presenza del Presidente della Deputazione Regionale alle discussioni del Consiglio dei Ministri.

TOSATO si preoccupa della necessità di un certo collegamento tra Governo e Presidente della Deputazione Regionale: ma gli sembra preferibile rinviarlo semplicemente ad una legge con una formula più elastica la quale dica, ad esempio, che il parere del Presidente della Deputazione sarà sentito nei casi stabiliti dalla legge.

NOBILE è favorevole alla soppressione e non trova quindi necessario menzionare questa facoltà nella Costituzione, neanche facendo riferimento ad una legge speciale.

BORDON è favorevole a mantenere il comma, perché ritiene che le ragioni addotte dall’onorevole Vanoni si riferiscano soltanto ai casi d’urgenza.

MANNIRONI è d’avviso di mantenere questa disposizione, perché in molti casi sarà utile, se non necessario, sentire il parere del Capo dell’Assemblea Regionale,

PRESIDENTE dichiara il suo parere personale favorevole alla soppressione del comma. Pone ai voti la soppressione del secondo comma dell’articolo 14.

(È approvata).

Mette in discussione il primo comma dell’articolo 14.

NOBILE propone la seguente aggiunta: «Della esecuzione stessa egli risponderà al Governo centrale».

Ricorda di aver fatto notare, durante la discussione dell’articolo 11, che si era per errore omesso di far parola di una responsabilità di fronte al Governo anche nei riguardi dell’esecuzione delegata. Gli sembra questa la sede in cui se ne debba parlare.

MORTATI, data la delicatezza della materia, desidererebbe fosse chiarito se il Presidente della Deputazione regionale diventa organo dello Stato nell’esercizio di questa funzione chiamata delegata, o se la eserciti in proprio, quale organo della Regione. A seconda dell’una o dell’altra soluzione, adotterebbe due dizioni diverse. Ritiene altresì utile una precisazione preliminare, che potrebbe essere formulata nel seguente modo: «La Regione esercita con la propria organizzazione le funzioni di competenza dello Stato ad essa affidate ai sensi del precedente articolo 6», e ciò allo scopo di eliminare il pericolo, espresso come possibile da qualche collega, che si possano creare due serie di uffici, per le funzioni proprie e per quelle delegate.

Se si dovesse, delle due ipotesi sopra prospettate, accettare quella della delegazione governativa, si dovrebbe aggiungere «Il Presidente della Deputazione regionale assume per tali funzioni la rappresentanza del Governo e porta di fronte ad esso la responsabilità del loro adempimento». Se si accetta invece il criterio che il Presidente della Deputazione Regionale eserciti in proprio la funzione, cioè quale organo della Regione, si dovrebbe aggiungere: «Il Presidente della Deputazione regionale assume la titolarità di tali funzioni e ne diviene responsabile di fronte al Governo dello Stato». Nota l’importanza di questa distinzione, soprattutto ai fini dei ricorsi. La figura giuridica che viene ad assumere il Presidente della Deputazione è diversa a seconda che si consideri funzionario del Governo o della Regione.

VANONI domanda come debba intendersi questa responsabilità del Presidente della Deputazione Regionale di fronte al Governo; se cioè è una responsabilità politica o di carattere amministrativo.

MANNIRONI si dichiara favorevole alla eliminazione del principio che considera il capo della Deputazione Regionale come rappresentante del Governo in seno alla Regione, perché non ne vede la necessità né l’utilità. Una volta istituito il Commissario governativo che rappresenta il Governo in tutti i casi ed a tutti gli effetti, non vorrebbe si creasse un duplicato; tanto più che potrebbe sorgere la possibilità di contrasti pericolosi per la Regione e per l’unità dello Stato, quando si ammettesse che questo ha nella Regione due rappresentanti. La posizione dei due rappresentanti del Governo sarebbe sempre inutile e nociva, anche se ne fossero preventivamente determinate le funzioni o fossero stabilite le materie in cui ciascuno dovrebbe fungere da rappresentante del Governo. Il capo della Deputazione Regionale che rappresenti anche il Governo, ricorda troppo la figura del sindaco che è anche ufficiale del Governo. Il capo della Regione deve essere il rappresentante della Regione, non del Governo.

AMBROSINI, Relatore, espone i criteri che hanno guidato il Comitato nel delineare la figura del Presidente della Deputazione Regionale. Dato il sistema dell’autonomia, pensa che non possa essere chiamato a rispondere direttamente al Governo centrale. Rileva che l’organo centrale ha per altro la possibilità di premunirsi di fronte alle eventuali violazioni di legge commesse dal Presidente della Deputazione, soccorrendo in proposito il congegno combinato degli articoli 13 e 15 del progetto.

Quanto all’istituzione, nel capoluogo della Regione, di un Commissario del Governo chiamato a presiedere alle funzioni di competenza dello Stato, illustra le ragioni che indussero il Comitato a deliberare in tal senso. Fa notare che nel suo progetto originario egli aveva al riguardo proposto in modo alternativo l’instaurazione nella Regione di un solo organo, occupandosi del Commissario del Governo nella «variante» all’articolo 15; ma che il Comitato ritenne che potessero coesistere i due organi, cioè il Presidente della Deputazione ed il Commissario del Governo, venendo ad ognuno di essi attribuite funzioni diverse. Si arrivò così alla fusione del testo principale e della variante.

Espone le ragioni per le quali, tutto sommato, il sistema della doppia rappresentanza adottato dal Comitato è raccomandabile, dando esso la possibilità di dare nello stesso tempo soddisfazione alle diverse e complesse esigenze che debbono essere prese in considerazione.

UBERTI ritiene che la doppia rappresentanza del Governo possa essere mantenuta, data la diversità delle materie, ma anche se per le materie delegate alla Regione il Capo dell’Amministrazione regionale risponde al Governo, ciò non significa che dipenda direttamente da lui e che la sua responsabilità sia passibile di vere e proprie sanzioni.

LACONI è favorevole a che il Presidente della Deputazione sia contemporaneamente rappresentante del Governo centrale. Mette in rilievo l’aspetto bifronte che ha tutta la Regione e quindi anche la figura del Presidente della Deputazione. D’altronde, tale rappresentanza va intesa non nei confronti del Commissario, bensì verso l’amministrazione locale, nei confronti della quale il Presidente della Deputazione acquista la veste di rappresentante di quella legge generale che deve fare eseguire.

FABBRI è favorevole alla soppressione del primo comma. Si limiterebbe a dire che «nel capoluogo della Regione il Governo centrale è rappresentato da un Commissario, il quale esercita le funzioni politiche e amministrative dello Stato e corrisponde col Presidente della Deputazione Regionale per assicurare da parte dell’amministrazione locale l’adempimento delle funzioni e dei servizi delegati dal Governo centrale alle Regioni in conformità delle disposizioni della legge». Se il Presidente della Deputazione non adempie alle funzioni delegate, incorre nelle violazioni e mette in moto quelle sanzioni di cui si è parlato prima.

TOSATO anch’egli è favorevole alla soppressione del primo comma dell’articolo 14, anche perché gli sembra esista una contraddizione nei chiarimenti dati dal Relatore, secondo il quale le materie delegate alla Regione non sono delegate in senso tecnico, ma in virtù di un trasferimento di competenza. In questo caso cessa la competenza dello Stato, e comincia quella esclusiva della Regione: nel primo caso la competenza è dello Stato, mentre l’esercizio della competenza, sempre revocabile, viene assunto dalla Regione. Se si tratta di questo secondo significato, non si può parlare di rappresentanza del Governo; e perciò è favorevole alla soppressione del comma.

ZUCCARINI ha aderito alla proposta di soppressione del secondo comma ed ha presentato una aggiunta al primo comma così formulata: «In tal caso partecipa con voto consultivo al Consiglio dei Ministri». Spiega che in questo caso le materie sono ben specificate e verrebbe perciò che il rappresentante della Regione non fosse chiamato solo ad ascoltare, ma partecipasse a tutta la discussione ed anche ad eventuali deliberazioni. Non alla soppressione del primo comma dell’articolo sarebbe favorevole, ma a quella della seconda parte dell’articolo stesso, perché vede le conseguenze dei due poteri distinti nella Regione e vede accanto al Commissario una duplicazione di uffici e di servizi.

VANONI crede che se non si dice espressamente che il Presidente della Deputazione ha questa funzione di rappresentante del Governo per le materie delegate, vi potrebbe essere il dubbio che un atto compiuto dal Presidente in questa funzione di delega istituzionale sia un atto proprio del Presidente e quindi eventualmente impugnabile come tale; mentre con l’affermazione che in questo caso il Presidente esercita funzioni dello Stato, resta aperta la possibilità di tutte le impugnative in via gerarchica.

PERASSI è favorevole a mantenere il primo comma, ma, per precisarne meglio la portata, suggerisce un emendamento di forma ed una aggiunta. Anziché parlare di materie di competenza dello Stato «delegata per la esecuzione», formula forse un po’ troppo ampia, propone di dire: «per le funzioni amministrative di competenza dello Stato che siano delegate alla Regione per l’esecuzione». Si dovrebbe poi aggiungere: «Nell’esercizio di tali funzioni il Presidente è tenuto a conformarsi alle istruzioni del Governo».

LUSSU fa presente che il criterio politico seguito nella formazione di questa legge autonomistica è quello di creare un rapporto di reciproca, costante fiducia tra Regione e Governo e sarebbe errore politico negare la possibilità al Governo di delegare alla Regione alcune branche dell’Amministrazione.

UBERTI è contrario alla soppressione del comma, sia per non menomare l’importanza del Presidente della Deputazione, sia per non aumentare eccessivamente quella del Commissario governativo.

MORTATI è contrario alla soppressione del primo comma, perché ciò ingenererebbe una gran confusione circa il modo di regolare i provvedimenti relativi a queste due serie di funzioni.

PRESIDENTE pone ai voti la soppressione del primo comma dell’articolo 14.

(Non è approvata).

LACONI propone di dividere l’articolo in due parti distinte, come era originariamente, perché dalla sua lettura sembrerebbe che il rappresentante genuino e normale dello Stato nella Regione fosse il Presidente della Deputazione, mentre, almeno per le materie di cui lo Stato mantiene la competenza, il rappresentante genuino è il Commissario.

PRESIDENTE ritiene che la proposta Laconi potrà essere risollevata presso il Comitato di redazione definitiva del progetto.

Mette ai voti la prima parte del comma: «Il Presidente della Deputazione Regionale rappresenta il Governo centrale nella Regione».

(È approvata).

Fa presente che la seconda parte di questo comma è contenuta in un emendamento presentato dall’onorevole Perassi nella seguente formulazione: «…per le funzioni amministrative di competenza dello Stato che siano delegate alla Regione per l’esecuzione».

TOSATO è favorevole a questo emendamento, con l’intesa che, una volta approvato, resterà escluso l’ultimo comma del testo del Comitato.

PRESIDENTE mette ai voti la formulazione dell’onorevole Perassi testé letta.

(È approvata).

Quanto al problema delle responsabilità, non previsto nel progetto del Comitato, fa presente che esso è formulato nelle proposte degli onorevoli Nobile, Perassi e Mortati.

Proposta dell’onorevole Nobile:

«Dell’esecuzione stessa egli risponderà al Governo centrale e, per esso, al suo rappresentante nella Regione».

Proposta dell’onorevole Perassi:

«Nell’esercizio di tali funzioni esso è tenuto a conformarsi alle istruzioni del Governo».

Proposta dell’onorevole Mortati:

«Assume per tali funzioni la rappresentanza del Governo e porta di fronte ad esso la responsabilità del loro buon adempimento».

NOBILE, per semplificare, si associa alla proposta dell’onorevole Mortati, rinunziando alla propria.

TOSATO approva l’emendamento Perassi, perché per le materie delegate v’è la direttiva data direttamente dal Governo; ed inoltre perché in esso non si parla specificatamente di responsabilità.

LUSSU è contrario all’emendamento Mortati, perché ritiene che tale norma non debba trovar posto nella Costituzione, dal momento che è stato ammesso il principio che, se la Deputazione Regionale non adempie alle sue funzioni rispettando le leggi, il Governo può intervenire.

PRESIDENTE mette ai voti la formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

(Con 13 voti favorevoli e 13 contrari, non è approvata).

Mette ai voti la formulazione suggerita dall’onorevole Perassi.

(È approvata).

VANONI, circa la proposta aggiuntiva dell’onorevole Zuccarini («In tal caso partecipa con voto consultivo al Consiglio dei Ministri»), dichiara di esservi contrario, essendosi già escluso l’intervento del Presidente della Deputazione al Consiglio dei Ministri. Qui si tratta soltanto di una formula di decentramento di attività amministrativa per compiti per i quali altrimenti lo Stato dovrebbe creare un’organizzazione periferica.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta aggiuntiva dell’onorevole Zuccarini.

(Non è approvata).

Pone infine ai voti una proposta aggiuntiva dell’onorevole Mortati che però dovrebbe trovar posto all’inizio del comma e che suona così:

«La Regione esercita con la propria organizzazione le funzioni di competenza dello Stato ad essa affidate, ai sensi del precedente articolo 6».

(Non è approvata).

La seduta termina alle 20.25.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bulloni, Castiglia, Farini, Finocchiaro Aprile, Grieco, Patricolo, Porzio.

MARTEDÌ 3 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

57.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 3 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Di Giovanni – Rossi Paolo – Bozzi – Laconi – Nobile – Mortati – Ambrosini, Relatore – Mannironi – Perassi – Zuccarini – Conti – Piccioni – Tosato – Lussu – Uberti – Leone Giovanni – Fabbri – Bordon – La Rocca – Lami Starnuti.

La seduta comincia alle 16.20.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE comunica che da parte del sindaco di Terni è pervenuta una richiesta, accompagnata da apposito progetto relativo alla creazione di una nuova Regione, che dovrebbe essere denominata «Umbro Sabina». Dà incarico all’onorevole Lussu di esaminare tale questione.

Fa presente poi la necessità di proseguire i lavori della Sottocommissione con una certa sollecitudine, visto che l’esame del testo della Costituzione da parte dell’Assemblea Costituente dovrà avere inizio il 20 gennaio.

Avverte infine che l’onorevole Mortati ha presentato all’articolo 12 del progetto del Comitato, su cui verte la discussione odierna già iniziatasi nella riunione antecedente, il seguente emendamento:

«I disegni di legge approvati dall’Assemblea regionale sono comunicati al Governo, il quale, entro cinque giorni dal ricevimento, provvede alla loro inserzione nella seconda parte della Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

«Dopo trenta giorni da tale inserzione i medesimi, ove non ricorra l’applicazione del successivo comma, acquistano valore di legge e sono pubblicati, a cura del Ministro Guardasigilli, nelle forme prescritte per le leggi dello Stato.

«Nel termine di cui al precedente alinea il Governo, ove ritenga che la legge approvata sia incostituzionale, oppure riesca lesiva degli interessi della Nazione o di altre Regioni, può, con istanza motivata, richiedere un nuovo esame da parte dell’Assemblea regionale.

«Ove questa, a maggioranza assoluta dei suoi membri, rinnovi l’approvazione del progetto, o se vi introduca variazioni che siano ritenute affette da uno dei vizi indicati, il Governo, nel termine di 15 giorni dal ricevimento, ha la facoltà di proporre il ricorso, per i casi di incostituzionalità, alla Suprema Corte di Giustizia costituzionale, e, per i casi di conflitto di interessi, all’Assemblea nazionale, onde ottenere la pronuncia di invalidità del progetto.

«La procedura dell’esame innanzi all’Assemblea è regolata con apposita legge.

«Contro le leggi della Regione, pubblicate a norma del primo comma, è esperibile l’azione di incostituzionalità secondo le norme generali».

Ricorda che all’articolo 12, nella riunione antecedente, sono stati presentati anche altri emendamenti da parte degli onorevoli Rossi, Calamandrei, Nobile e Bozzi.

DI GIOVANNI propone di aggiungere alla fine dell’articolo 12 il seguente comma:

«Nelle leggi delle Regioni, là dove sono impegnati i diritti e gli interessi delle classi lavoratrici, non si possono adottare norme o creare condizioni meno favorevoli di quelle garantite dalle leggi dello Stato».

PRESIDENTE osserva che la proposta dell’onorevole Di Giovanni non è pertinente all’articolo in discussione e potrà quindi essere esaminata in altra occasione.

ROSSI PAOLO desidera rispondere ad alcune osservazioni fatte a proposito degli emendamenti da lui proposti all’articolo 12 insieme all’onorevole Calamandrei.

Gli onorevoli Tosato e Fabbri hanno disapprovato il principio per cui un disegno di legge, approvato da un’Assemblea ragionale, dovrebbe essere pubblicato due volte nella Gazzetta Ufficiale prima di diventare legge. Non vede però come si possa ovviare alla necessità di tale doppia pubblicazione, se il ricorso per l’annullamento dei progetti di legge deve essere consentito anche alle Regioni.

Gli onorevoli La Rocca e Laconi hanno sostenuto che la facoltà di impugnativa dovrebbe essere attribuita anche al Parlamento. L’attuazione di una simile proposta gli sembra assai difficile. Innanzi tutto, è da osservare che, se fosse accolta la proposta secondo cui l’Assemblea nazionale dovrebbe essere chiamata a decidere sul ricorso per motivo di conflitto di interessi, il Parlamento riunito in Assemblea nazionale verrebbe ad essere giudice e sarebbe assai strano che esso nello stesso tempo dovesse essere anche il promotore del ricorso. In secondo luogo, sarebbe assai difficile risolvere il problema della certezza dei termini, se anche al Parlamento fosse consentita la facoltà di impugnativa. A tale proposito, infatti, ci si può domandare se sia possibile imporre un termine per l’impugnazione anche al Parlamento, e se esso possa essere costretto all’osservanza di un qualsiasi termine appositamente stabilito. In terzo luogo, sorge il quesito del modo con cui dovrebbe essere esercitata la facoltà di impugnativa, se, cioè, da parte di un solo rappresentante al Parlamento o da un dato numero di deputati. Da un punto di vista pratico, poi, se la facoltà in questione dovesse essere attribuita non solo al Governo, ma anche alle singole Regioni, sarebbe del tutto inutile concederla anche al Parlamento, visto che qualsivoglia gruppo politico potrebbe sempre trovare il modo di farla esplicare o dal Governo o dalla Regione o magari da un singolo cittadino.

A proposito, infine, dell’ultimo comma dell’emendamento, l’onorevole Mortati non s’è espresso favorevolmente. Si tratta di una disposizione secondo cui alla Suprema Corte costituzionale dovrebbe essere attribuita anche la facoltà di decidere sui conflitti negativi di competenza legislativa che possono sorgere tra lo Stato e le Regioni o tra le Regioni. Fautore di una tale disposizione è stato in principal modo l’onorevole Calamandrei, il quale ha osservato che può accadere che sia la Regione che lo Stato si dichiarino incompetenti a legiferare su una determinata materia: in tal caso nessuno dei due emanerebbe un qualche provvedimento che pur potrebbe essere necessario. Per riparare ad un simile inconveniente si dovrebbe appunto far ricorso all’opera della Suprema Corte costituzionale.

Termina affermando che tra gli emendamenti da lui proposti insieme all’onorevole Calamandrei e quelli dell’onorevole Bozzi e dell’onorevole Mortati non esistono sostanziali differenze: unica disparità di criterio, quella per cui egli ha ritenuto opportuno attribuire la facoltà di impugnativa anche alle Regioni.

BOZZI è del parere che, innanzi tutto, i disegni di logge approvati dalle Assemblee regionali debbano essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Si tratta in sostanza di una inserzione che non può avere altro valore che quello di una notificazione, che è indispensabile, perché a tutti deve essere data la possibilità di venire a conoscenza dei provvedimenti adottati dalle Regioni.

Gli sembra che tutti siano d’accordo nell’ammettere che la facoltà di impugnativa possa essere esercitata in due casi: quando dal Governo i disegni di legge regionali siano ritenuti incostituzionali o siano ritenuti in conflitto con gli interessi della Nazione o di altre Regioni. La competenza nel primo caso non può spettare che alla Corte costituzionale, che è un giudice di legittimità; nel secondo, all’Assemblea nazionale che, trattandosi di una controversia di merito, dovrebbe sostituire una sua propria legge a quella adottata dalla Regione, per giungere ad un componimento degli interessi in contrasto.

Nell’emendamento da lui proposto non si prevede poi il procedimento del rinvio, che è ammesso invece nel progetto del Comitato di redazione e negli emendamenti degli onorevoli Mortati e Rossi-Calamandrei. Con tale procedimento i disegni di legge approvati dall’Assemblea regionale e trasmessi al Governo, ove questo li ritenga contrari alla Costituzione o eccedenti i limiti di competenza della Regione, possono essere rinviati alla Assemblea regionale affinché li riesamini. Tale procedimento, a suo avviso, è inutile e dannoso, perché, oltre ad essere causa di una notevole perdita di tempo, implicando la necessità di determinate pubblicazioni, acuisce anche e drammatizza il conflitto fra la Regione e lo Stato. Nel caso in cui lo Stato ritenga che un disegno di legge regionale debba essere impugnato, è meglio che esso proceda senz’altro all’impugnativa senza rinviarlo alla Regione. È stato osservato da qualcuno che con ciò si toglierebbe alla Regione la possibilità di dirimere il conflitto; ma l’osservazione non è esatta, perché è vero proprio l’opposto, in quanto la Regione, di fronte all’impugnativa dello Stato, avrebbe sempre la possibilità di ritirare il disegno di legge e con ciò cesserebbe la materia del contendere, ossia si dirimerebbe il conflitto senza esasperarlo.

Quanto alla potestà di impugnativa dei disegni di leggi regionali, è del parere che debba essere attribuita soltanto al Governo. Nell’emendamento dell’onorevole Mortati non è precluso ad ogni singolo cittadino il diritto di impugnare la legge regionale; il che è giusto, ma soltanto quando il provvedimento regionale sia diventato legge alla stessa stregua di ogni altra legge dello Stato. Ma finché ciò non avvenga, nei diversi stadi che un disegno di legge regionale deve compiere per diventare legge, l’unico organo che possa adeguatamente valutare i vizi di legittimità o di merito di un progetto di legge approvato da una Regione non può essere che il Governo. Alle Regioni dovrebbe essere conferita soltanto la facoltà di prospettare al Governo l’opportunità che esso eserciti la sua potestà di impugnativa. È per questo che nel suo emendamento è detto esplicitamente che il Governo, anche su proposta di altre Regioni, può rimettere i disegni di legge regionali all’Assemblea nazionale.

Ad attestare, infine, che sia compiuta tutta la procedura o che siano decorsi i termini per promuovere l’impugnativa, che cioè un disegno di legge regionale sia diventato legge, occorre, a suo avviso, una nuova pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, accompagnata dal visto del Ministro Guardasigilli.

LACONI osserva che ciò che più interessa è stabilire a chi competa, durante il processo di formazione della legge regionale, la facoltà di promuovere l’impugnativa: se al solo Governo o anche alle Regioni e al Parlamento. A suo avviso, tale facoltà dovrebbe essere concessa, oltre che al Governo, anche al Parlamento. Ormai quasi tutti sono d’accordo nell’ammettere che il Governo possa ricorrere, per il controllo di legittimità, alla Corte costituzionale e per il controllo di merito all’Assemblea nazionale; ma allo stato attuale non è stata ancor presa alcuna decisione relativamente alla istituzione di una Corte costituzionale. Indubbiamente occorre fare una distinzione fra il controllo di legittimità e quello di merito: non per questo, però, si dovrebbe evitare di attribuire anche all’Assemblea nazionale la facoltà di promuovere l’impugnativa contro i disegni di legge approvati dalle Assemblee regionali, così come la si vuole concedere al Governo. In proposito si potrebbe, ad esempio, stabilire di accordare la possibilità di prendere tale iniziativa a un determinato numero di membri dell’Assemblea nazionale. Così anche il Parlamento potrebbe intervenire, il che gli sembra giusto, nel processo di formazione delle leggi regionali.

NOBILE non è favorevole agli emendamenti proposti dagli onorevoli Rossi e Calamandrei, perché gli sembra che essi contengano disposizioni troppo particolareggiate e quindi non adatte a un testo costituzionale.

Per quanto riguarda la questione della pubblicazione dei disegni di legge regionali sulla Gazzetta Ufficiale, ritiene che a una prima pubblicazione al solo scopo di notifica dovrebbe seguirne una seconda, cioè dei disegni di legge diventati legge, perché è necessario che tutti abbiano la possibilità di venire a conoscenza delle leggi approvate da ciascuna Regione. In ogni modo, torna a dichiarare che non gli sembra opportuno scendere a simili particolari in un testo costituzionale.

A proposito del procedimento di rinvio, a cui l’onorevole Bozzi si è dichiarato contrario, osserva che con esso si viene ad esercitare una facoltà assai meno grave e impegnativa di quella relativa al ricorso per annullamento. Col rinvio, da parte del Governo, del disegno di legge all’Assemblea regionale, si può rendere meno aspro il conflitto tra lo Stato e la Regione: il Governo infatti può suggerire all’Assemblea regionale di apportare alcune modifiche, che potrebbero anche essere di modesta importanza, a un dato disegno di legge, che la stessa Assemblea regionale potrebbe consentire. Così può cessare ogni motivo di dissidio fra lo Stato e la Regione.

Per tali considerazioni ritiene che il principio del procedimento di rinvio dovrebbe essere accolto dalla Sottocommissione.

Si domanda infine perché non debba essere affidata anche all’Assemblea nazionale la competenza per i ricorsi di legittimità. L’unico organo competente al riguardo non può essere, a suo avviso, che l’Assemblea nazionale, ed è per questo che egli ha proposto di modificare in tal senso il secondo comma dell’articolo 12. Tutto al più si potrebbe ammettere che l’Assemblea regionale possa ricorrere alla Corte costituzionale soltanto nel caso di una deliberazione ritenuta lesiva della Costituzione.

MORTATI, circa la proposta di accordare la facoltà di impugnativa anche alle Regioni, osserva che, se essa dovesse essere accolta, occorrerebbe assimilare tale facoltà di impugnativa a quella attribuita agli altri soggetti legittimati ad agire autonomamente in caso di incostituzionalità di una legge. Pertanto non ritiene opportuno il disposto contenuto nel testo dell’articolo 12 proposto dagli onorevoli Rossi e Calamandrei, secondo cui si considera a parte la disciplina del ricorso per annullamento promosso dalle Regioni.

Non è favorevole poi, per le considerazioni già svolte dall’onorevole Rossi, alla proposta di attribuire una facoltà autonoma di impugnativa alla Assemblea nazionale.

L’onorevole Bozzi ha affermato che, in casi di conflitto di interessi tra la Regione e lo Stato o fra quella e le altre Regioni, l’Assemblea nazionale dovrebbe provvedere con una sua propria legge, sostitutiva di quella della Regione, al componimento degli interessi in contrasto. Non crede che questo punto di vista possa essere accettato perché, se l’Assemblea nazionale avesse quella facoltà che l’onorevole Bozzi intende attribuirle, essa finirebbe con l’interferire nella competenza autonoma della Regione, con uno spostamento delle competenze che sarebbe anticostituzionale. L’Assemblea nazionale, a suo avviso, in caso di conflitto di interessi, dovrebbe avere soltanto una funzione dichiarativa e mai sostitutiva. A tale proposito desidera sapere dall’onorevole Ambrosini se il problema del conflitto degli interessi fra Stato e Regione si riferisca soltanto ai casi dell’articolo 3 o anche alle disposizioni di cui agli articoli successivi.

Dubita poi, che effettivamente convenga accettare la proposta dell’onorevole Bozzi di sopprimere, nel procedimento progettato, la fase preventiva del rinvio. Con esso, infatti, è possibile dirimere le controversie tra Stato e Regione, perché questa può non dare più corso al disegno di legge che ha dato luogo alle osservazioni del Governo, o può anche modificarlo nel senso prospettato dal Governo.

Bisognerebbe inoltre risolvere il problema della promulgazione delle leggi regionali. In questo campo non crede che possa intervenire il Capo della Regione, ma sarebbe forse da accogliere la proposta dell’onorevole Tosato, secondo cui la promulgazione dovrebbe essere fatta dal Capo dello Stato, e dovrebbe precedere la pubblicazione della legge regionale da effettuare a cura del Ministro Guardasigilli. Ma anche tale soluzione lascia perplessi, perché il Capo dello Stato diventerebbe un organo regionale.

Per il termine relativo all’entrata in vigore delle leggi regionali, ritiene opportuno adottare un termine fisso, che sia il medesimo di quello stabilito per le leggi dello Stato. Nello stesso tempo però dovrebbe essere lasciato alla Regione l’apprezzamento discrezionale di ridurre o no il periodo della vacatio legis.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che la facoltà di promuovere il ricorso per annullamento contro un disegno di legge approvato dall’Assemblea regionale non ancora divenuto legge ai sensi del primo comma dell’art. 12 del progetto, non possa spettare che al Governo, secondo quanto ha proposto il Comitato di redazione. Non crede opportuno che si attribuisca lo stesso diritto alle altre Regioni, anche perché esse, come qualsiasi cittadino od ente, avrebbero il diritto di ricorrere in seguito contro la legge regionale divenuta esecutiva alla Corte costituzionale.

Egualmente non ritiene opportuna la proposta di attribuire all’Assemblea nazionale la facoltà di promuovere il ricorso per annullamento. La maggioranza dei componenti la Sottocommissione sembra ormai d’accordo nel voler affidare all’Assemblea nazionale il giudizio in materia di conflitto di interessi. Se un simile criterio fosse accolto e nello stesso tempo fosse anche accordata all’Assemblea nazionale la facoltà di promuovere l’impugnativa, si arriverebbe all’incongruenza che uno stesso organo, cioè il Parlamento riunito in Assemblea nazionale, sarebbe contemporaneamente promotore del ricorso e giudice.

Non è favorevole alla proposta dell’onorevole Bozzi di sopprimere il procedimento di rinvio. Indica le ragioni per cui con l’accoglimento di tale proposta si rischierebbe di infrenare troppo la potestà legislativa dell’Assemblea regionale.

Osserva d’altra parte che il procedimento del rinvio non inasprirebbe, ma anzi renderebbe più facile la soluzione dell’eventuale contrasto fra Stato e Regione. Il processo di formazione delle leggi, con tale procedimento, indubbiamente si fa più lungo e complesso; ma per la possibilità di uno scambio di osservazioni e di proposte fra organi centrali e regionali, può succedere che taluni progetti di legge, affrettatamente approvati dalle Assemblee regionali, siano modificati e resi così più adeguati agli stessi interessi della Regione.

Non è favorevole alla proposta dell’onorevole Nobile che la competenza in materia di risoluzione del conflitto fra Stato e Regione debba spettare soltanto all’Assemblea nazionale, perché con essa, se accolta, si interferirebbe nell’ordinamento generale dei procedimenti di impugnativa contro le leggi incostituzionali. Se a tal fine sarà istituita una Corte costituzionale, a cui ogni cittadino potrà rivolgersi in caso di violazione della Costituzione, perché non dovrebbe lo stesso organo decidere su una impugnativa promossa per eguali motivi dal Governo?

L’onorevole Laconi ha osservato che nulla ancora è stato deciso circa l’istituzione di un’Alta Corte costituzionale, quasi affermando implicitamente che, se l’Assemblea Costituente non dovesse approvare l’istituzione di tale supremo organismo, la facoltà di promuovere impugnativa e la competenza a giudicare sul conflitto non potrebbero essere attribuite che alla sola Assemblea nazionale. Ora, anche nell’ipotesi che non si addivenga alla creazione di un’Alta Corte costituzionale, il giudizio di legittimità, secondo il suo avviso, non potrebbe mai essere riservato all’Assemblea nazionale, ma dovrebbe competere al potere giudiziario. Del resto questo è il sistema che viene adottato nelle Costituzioni a tipo rigido.

L’onorevole Bozzi ha proposto che in caso di conflitto di interessi il Governo possa rinviare i disegni di legge regionali all’Assemblea nazionale e che questa debba provvedere con legge al componimento degli interessi in contrasto, che debba cioè, in concreto, sostituirsi alla Regione nell’emanare le norme legislative. Ritiene che tale potere non debba essere conferito all’Assemblea nazionale, perché con ciò il Parlamento, in funzione di legislatore ordinario, verrebbe a interferire nella sfera della competenza legislativa attribuita dalla Costituzione alle Regioni. Il fatto che una Regione abbia ecceduto dai suoi poteri non può autorizzare il Parlamento a togliere all’Assemblea regionale di quella Regione una potestà legislativa che le è propria. Il parlamento dovrebbe avere la sola potestà di invalidare le leggi della Regione che ritenesse lesive dell’interesse nazionale.

L’onorevole Mortati ha infine richiesto se la clausola della salvaguardia degli interessi nazionali si riferisca soltanto all’articolo 3 o valga anche per le disposizioni di cui agli articoli successivi. A tale domanda non si può rispondere che affermativamente, perché, se la clausola anzidetta deve sussistere per l’esercizio della maggior potestà legislativa attribuita alle Assemblee regionali a norma dell’articolo 3, essa deve sussistere anche quando la potestà normativa delle Regioni, di cui agli articoli successivi, si esplica entro limiti più circoscritti.

MANNIRONI osserva che il testo dell’articolo 12, presentato dal Comitato di redazione, è assai più semplice e schematico delle varie formulazioni dello stesso articolo proposte da alcuni colleghi. È del parere, quindi, che il testo anzidetto possa essere approvato, purché vi siano apportate alcune modificazioni.

Tra queste la più importante è quella per cui la facoltà di promuovere il ricorso dovrebbe essere attribuita non solo al Governo ma anche alle Regioni, e ciò per evidenti ragioni di reciprocità.

Non è favorevole poi alla proposta dell’onorevole Bozzi di sopprimere il procedimento del rinvio, perché con esso effettivamente, come altri ha già rilevato, si può addivenire a una conciliazione del contrasto fra lo Stato e la Regione.

Circa, infine, la proposta che le leggi regionali siano promulgate dal Capo dello Stato e vistate dal Ministro Guardasigilli, ritiene che ciò non sia necessario, perché, per provare l’autenticità delle leggi regionali, potrebbe bastare soltanto la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

PERASSI è del parere che convenga ammettere il procedimento del rinvio, così come esso è stato predisposto nel testo dell’articolo 12 del Comitato. Si tratta effettivamente di un espediente pratico ed utile per attutire i contrasti tra Stato e Regione.

Ritiene che la competenza a giudicare dei ricorsi nei casi di incostituzionalità debba spettare alla Corte di Giustizia costituzionale, mentre quella a giudicare dei ricorsi per lesione dell’interesse nazionale possa essere attribuita al Parlamento.

Circa la pubblicazione dei disegni di legge regionali, è del parere che la loro inserzione nella Gazzetta Ufficiale non sia necessaria: ciò che gli sembra indispensabile, invece, è che le Assemblee regionali trasmettano al Governo il testo dei disegni di legge da esse approvati, per dare possibilità al Governo di valersi del procedimento del rinvio, se ciò risulterà necessario. Quanto alla pubblicazione in senso proprio, ai fini cioè della conoscenza generale e della consacrazione della autenticità della legge, ritiene che dovrebbe essere fatta su un foglio o bollettino locale e dovrebbe precedere, non già la pubblicazione, ma la semplice inserzione delle leggi regionali nella Gazzetta Ufficiale. È un procedimento questo, che per alcuni atti, ad esempio per la pubblicazione dei bandi, è stato sempre usato nel nostro Paese.

Quanto alla promulgazione delle leggi regionali, non reputa opportuno che essa sia fatta dal Capo dello Stato. A suo avviso si dovrebbe affidare tale incarico al Presidente dell’Assemblea regionale, conformemente a quanto, ad esempio, avviene in Svizzera, dove le leggi federali sono pubblicate a firma del Presidente dell’Assemblea federale.

PRESIDENTE fa presente che non si può procedere all’approvazione dell’articolo 12 seguendo il testo del Comitato di redazione, perché gli articoli formulati da alcuni colleghi come emendamenti non coincidono, comma per comma, con il testo dell’articolo in esame. Converrà quindi mettere in votazione i principî relativi alle varie questioni e proposte fatte nel corso della discussione e redigere in seguito il testo definitivo dell’articolo sulla base dei principî approvati.

Mette pertanto in votazione il primo principio: che i disegni di legge, approvati dalle Assemblee regionali, debbano essere comunicati al Governo centrale.

(È approvato).

Viene ora in discussione il quesito se i disegni di legge, approvati dalle Assemblee regionali, debbano anche essere comunicati all’Assemblea nazionale, in armonia alla proposta, fatta dagli onorevoli Ravagnan e Laconi, che si dia anche all’Assemblea nazionale la possibilità di farsi parte diligente nel procedimento di impugnativa. A tale riguardo tiene ad esprimere la sua opinione personale che, come il controllo sugli atti dei Comuni sarà esercitato da un organo che potrà trovare la sua base nelle Assemblee regionali, così il controllo sugli atti delle Regioni dovrebbe essere esercitato da un organo, emanazione dell’Assemblea nazionale.

MORTATI osserva che la questione in esame è connessa con quella della pubblicazione perché, se si stabilisce che la comunicazione dei disegni di legge al Governo debba essere seguita dalla loro pubblicazione, diventa inutile che essi siano comunicati anche all’Assemblea nazionale.

BOZZI fa presente che si potrebbe stabilire che i disegni di legge debbano essere dalla Regione comunicati al Governo e dal Governo inseriti nella Gazzetta Ufficiale e comunicati all’Assemblea nazionale.

PRESIDENTE rileva che una comunicazione diretta all’Assemblea nazionale starebbe a significare che questa è investita della facoltà di promuovere il procedimento di impugnativa, secondo la proposta fatta dagli onorevoli Ravagnan e Laconi. È ciò che appunto occorre tenere presente a proposito della questione in esame.

ZUCCARINI è favorevole alla comunicazione dei disegni di legge regionali anche all’Assemblea nazionale, perché gli pare ovvio che il Parlamento abbia il pieno diritto di tenersi al corrente della legislazione regionale.

CONTI si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Zuccarini.

PICCIONI è pure favorevole alla comunicazione dei disegni di legge regionali all’Assemblea nazionale, ma con la riserva di discutere la funzione di controllo del Parlamento.

TOSATO è invece contrario a tale comunicazione, perché ciò potrebbe far supporre una antitesi fra Governo e Parlamento, ipotesi che senz’altro deve essere scartata.

LUSSU non approva il principio che i disegni di legge regionali debbano essere comunicati anche all’Assemblea nazionale, perché con ciò il Parlamento sarebbe investito di una facoltà che può essere lasciata al Governo, in quanto questo, in un regime parlamentare, rappresenta sempre la volontà della maggioranza.

AMBROSINI, Relatore, ritiene inutile la comunicazione dei disegni di legge regionali anche all’Assemblea nazionale, salvo che con ciò non si voglia ammettere pregiudizialmente la facoltà del Parlamento a promuovere l’impugnativa.

PRESIDENTE mette in votazione il principio che i disegni di legge approvati dalle Assemblee regionali debbano essere comunicati anche all’Assemblea nazionale.

(Non è approvato).

Avverte che ora è in discussione la proposta relativa alla inserzione, a cura del Governo centrale, dei disegni di legge regionali nella parte della Gazzetta Ufficiale della Repubblica destinata soltanto alle informazioni e quindi non a dare autenticità ai testi dei provvedimenti ivi pubblicati. Mette in votazione il principio che il Governo centrale deve provvedere all’inserzione dei disegni di legge regionali nel notiziario della Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

(È approvato).

Circa il termine entro cui si deve provvedere all’inserzione anzidetta, ricorda le due proposte dell’onorevole Mortati (per un termine di 5 giorni) e dell’onorevole Bozzi (per un termine di 30). Crede che sia il caso di adottare un termine di una durata intermedia, cioè di 15 giorni, e mette in votazione il principio che il Governo debba provvedere alla inserzione suddetta entro 15 giorni dalla ricevuta comunicazione dei disegni regionali.

(È approvato).

UBERTI fa presente che alcune volte il testo delle leggi può essere assai lungo. Ciò considerato, e visto anche che la Sottocommissione ha approvato il principio che in un primo tempo i disegni di legge regionali debbano essere inseriti nel notiziario della Gazzetta Ufficiale, si domanda se non sia il caso che di essi sia data informazione soltanto con un annuncio e non già nel testo integrale.

LUSSU credeva che, con l’approvazione della proposta circa l’obbligo della inserzione dei disegni di legge regionali nel notiziario della Gazzetta Ufficiale, già fosse stata risolta la questione nel senso prospettato dall’onorevole Uberti. In ogni modo, tiene a dichiarare che non è favorevole all’inserzione dei disegni di leggi regionali nel testo integrale, perché, così facendo, essi verrebbero ad essere pubblicati due volte.

AMBROSINI, Relatore, dichiara che, poiché è stato accolto dalla Sottocommissione il principio della inserzione, aderisce alla proposta dell’inserzione nella Gazzetta Ufficiale del solo annuncio dei disegni di legge regionali.

LEONE GIOVANNI è favorevole all’inserzione nella Gazzetta Ufficiale del testo integrale, perché soltanto in tal modo è possibile evitare un conflitto di legislazione tra le diverse Regioni.

LACONI è pure favorevole all’inserzione del testo integrale,

PRESIDENTE mette in votazione il principio che i disegni di legge regionali debbano essere inseriti nel notiziario della Gazzetta Ufficiale della Repubblica nel loro testo integrale.

(È approvato).

Avverte che è in discussione la questione del procedimento di rinvio, e mette in votazione l’ammissione di tale procedimento.

(È approvata).

Circa i motivi per cui si può ritenere opportuno di rinviare all’Assemblea Regionale i disegni di legge, ricorda che nel testo proposto dall’onorevole Mortati si prevedono due casi: che la legge approvata sia incostituzionale, oppure che sia lesiva degli interessi della Nazione o di altre Regioni.

MORTATI dichiara che con la parola «incostituzionale» egli intende assorbiti anche i vizi per violazione delle leggi generali dello Stato e per incompetenza, dì cui alla formulazione proposta dagli onorevoli Rossi e Calamandrei.

FABBRI fa presente che occorrerebbe usare il termine «disegno di legge» e non già quello di «legge».

NOBILE chiede la votazione per divisione, perché egli intende votare soltanto per la formula «lesiva degli interessi della Nazione».

PRESIDENTE mette in votazione il principio che possa aver luogo il procedimento di rinvio perché si ritenga incostituzionale il disegno di legge approvato dall’Assemblea regionale.

(È approvato).

Mette in votazione il principio che possa aver luogo il procedimento di rinvio perché il disegno di legge, approvato dall’Assemblea regionale, si ritenga lesivo degli interessi della Nazione.

(È approvato).

Mette in votazione il principio che possa aver luogo il procedimento di rinvio perché il disegno di legge approvato dall’Assemblea regionale si ritenga lesivo degli interessi di altre Regioni.

(È approvato).

Ricorda che sulla questione di chi possa promuovere il procedimento di rinvio è stato proposto che tale diritto spetti così al Governo, come all’Assemblea nazionale, e come pure alle stesse Regioni.

Mette in votazione il principio che il Governo abbia il diritto di promuovere il procedimento di rinvio.

(È approvato).

UBERTI ritiene che il diritto di promuovere il procedimento di rinvio debba spettare solo al Governo perché, per la presumibile brevità del termine entro cui potrà essere promosso il procedimento di rinvio, l’Assemblea nazionale non avrebbe modo di potersi riunire, e questo diritto sarebbe in pratica esercitato dalla Presidenza dell’Assemblea nazionale, il che non sarebbe opportuno.

LACONI osserva che, per evitare il sorgere dell’inconveniente accennato dall’onorevole Uberti, si potrebbe stabilire una procedura abbreviata.

TOSATO è contrario alla proposta di attribuire alla Assemblea nazionale il diritto di promuovere il procedimento di rinvio per le ragioni già esposte dall’onorevole Uberti.

AMBROSINI, Relatore, è pure contrario a che questo diritto debba spettare anche all’Assemblea nazionale.

FABBRI vi è egualmente contrario, anche perché ritiene che tale facoltà, attribuita al Governo, dovrebbe essere esercitata contemporaneamente all’altra, spettante sempre al Governo, di ricorrere, a seconda dei casi, alla Corte costituzionale o all’Assemblea nazionale. In altri termini, il Governo dovrebbe rinviare il disegno di legge all’Assemblea regionale per ragioni sostanziali, ossia adducendo quelle stesse motivazioni per cui verrebbe a ricorrere alla Corte costituzionale o all’Assemblea nazionale. Ciò servirebbe ad abbreviare la procedura legislativa.

PRESIDENTE rileva che l’osservazione dell’onorevole Fabbri è connessa con la questione relativa ai ricorsi per annullamento, su cui la Sottocommissione non ha preso ancora alcuna decisione.

ROSSI PAOLO è contrario ad attribuire all’Assemblea nazionale la facoltà di promuovere il procedimento di rinvio.

LUSSU vi è pure contrario.

NOBILE chiede che sulla questione in esame la votazione avvenga per appello nominale.

PRESIDENTE mette in votazione per appello nominale il principio che spetti anche all’Assemblea nazionale il diritto di promuovere il procedimento di rinvio.

Rispondono Sì: Grieco, Laconi, Nobile, Ravagnan, Terracini e Zuccarini.

Rispondono No: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Perassi, Rossi Paolo, Targetti, Tosato e Uberti.

(Con 6 voti favorevoli e 18 contrari, non è approvato).

PERASSI, sul quesito successivo, ritiene inconcepibile attribuire a una Regione la facoltà di rinviare all’Assemblea di un’altra Regione un disegno di legge da questa approvato.

PRESIDENTE mette in votazione il principio che spetti anche alle Regioni la facoltà di promuovere il procedimento di rinvio.

(Non è approvato).

Sulla questione se il disegno di legge, rinviato dal Governo all’Assemblea regionale, debba essere sottoposto da questa a nuovo esame, mette in votazione il principio che l’Assemblea regionale deve riprendere in esame il disegno di legge ad essa rinviato.

(È approvato).

Avverte che ora è in questione la fissazione del termine, decorrente dalla inserzione nella Gazzetta Ufficiale, entro cui il Governo può promuovere il procedimento di rinvio.

BORDON propone che il termine anzidetto sia di 15 giorni.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Bordon.

(Non è approvata).

Mette ai voti la proposta che il termine sia di 30 giorni, secondo gli emendamenti degli onorevoli Bozzi, Mortati, Rossi e Calamandrei.

(È approvata).

Avverte che è in questione il principio secondo cui l’Assemblea regionale, qualora respinga le osservazioni del Governo, debba approvare nuovamente il disegno di legge ad essa rinviato con un numero di voti che raggiunga la maggioranza assoluta dei suoi componenti. Lo mette ai voti.

(È approvato).

PERASSI osserva che occorre decidere se il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, diventi senz’altro legge oppur no.

PRESIDENTE fa presente che, secondo il parere espresso da alcuni, il disegno di legge nuovamente approvato dall’Assemblea regionale non dovrebbe diventare legge, perché ciò starebbe a significare un potere prevalente della Regione su quello dello Stato.

PERASSI rileva che, secondo il testo dell’articolo 12 proposto dal Comitato, i disegni di legge approvati nuovamente dall’Assemblea regionale diventano senz’altro leggi.

ROSSI PAOLO si richiama al testo dell’emendamento da lui proposto, secondo cui il disegno di legge nuovamente approvato dall’Assemblea regionale diventa legge, a meno che il Governo, entro 30 giorni dall’avvenuta nuova pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, non proponga ricorso per annullamento, che avrebbe effetto sospensivo. Per accelerare i tempi, propone che il termine suddetto sia ridotto a 15 giorni.

FABBRI è contrario a che il progetto, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, diventi legge, specie in considerazione del fatto che esso dovrebbe essere nuovamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dopo la nuova approvazione. Non è giusto, infatti, che i cittadini siano obbligati ad informarsi se un disegno di legge, dopo 30 giorni dalla sua pubblicazione, sia oppur no divenuto legge.

LEONE GIOVANNI osserva che sarebbe necessario coordinare l’effetto della impugnativa di fronte alla Corte costituzionale, per il caso in esame, con quanto dovrà essere stabilito da un punto di vista generale in materia di ricorsi avanti la stessa Corte costituzionale. In altri termini, non è in sede di discussione odierna che può essere risolto il quesito se l’impugnativa di una legge o di un atto amministrativo presso la Corte costituzionale debba avere carattere sospensivo o se, non avendo tale carattere, debba avere effetto retroattivo. Ciò considerato, crede opportuno sospendere ogni deliberazione sulla questione in esame, per poter conoscere quali saranno le norme che regoleranno il ricorso presso la Corte costituzionale.

LA ROCCA afferma che un’impugnativa senza effetto sospensivo sarebbe praticamente inutile e che pertanto occorre stabilire che, pendendo ricorso presso la Corte costituzionale, la legge regionale non ha efficacia esecutiva.

MANNIRONI è del parere che la legge regionale debba diventare esecutiva solo nel caso in cui il Governo non abbia proposto, nel termine ricorso per annullamento, o, prima di quel termine, quando il Governo abbia dichiarato che vi rinunzia.

PERASSI ritiene che sarebbe opportuno distinguere tra legge ed entrata in vigore della legge. Ammettendo, infatti, tale distinzione, si potrebbe stabilire che il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, diventi senz’altro legge, ma che questa non entri in vigore se, entro un dato termine, il Governo promuova il ricorso per annullamento.

LEONE GIOVANNI torna ad affermare che la questione in esame non può essere risolta, se prima non siano deliberate le norme in materia di ricorsi presso la Corte costituzionale. Fa presente che l’impugnativa contro leggi incostituzionali potrà essere promossa presso la Corte costituzionale, oltreché dal Governo, anche da ogni singolo cittadino. Quindi, tanto per quest’ultimo caso come per quello in discussione, probabilmente dovranno essere adottate identiche disposizioni. Insiste quindi nella proposta di rinvio.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che possa essere accolto il principio a cui s’ispira l’emendamento proposto dagli onorevoli Rossi e Calamandrei, secondo cui il disegno di legge, approvato nuovamente con la prescritta maggioranza qualificata dall’Assemblea regionale, diventi legge, a meno che dal Governo, entro un dato termine dall’avvenuta nuova pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, non sia stato proposto il ricorso per annullamento.

LUSSU è favorevole al principio a cui si ispira l’emendamento degli onorevoli Rossi e Calamandrei. Raccomanda, però, che in sede di definitiva formulazione del testo della Costituzione sia fissata una modalità per obbligare la Corte costituzionale a pronunciarsi nel più breve tempo possibile sulla validità della legge regionale impugnata.

MORTATI rileva che nel testo proposto dagli onorevoli Rossi e Calamandrei esiste una contraddizione; infatti, esso dice che il progetto nuovamente approvato dall’Assemblea regionale «diventa legge, a meno che il Governo non proponga il ricorso per annullamento». Ove sia proposto ricorso, quindi, il progetto non diventerebbe legge. In ogni modo ritiene che l’impugnativa promossa dal Governo non dovrebbe avere altro scopo che quello di ottenere una pronuncia dichiarativa di invalidità, non già della legge, ma del progetto riesaminato dall’Assemblea regionale. Tale caso, quindi, non dovrebbe essere assimilato ai comuni casi di incostituzionalità delle leggi. È proprio per questo che non si dovrebbe attribuire vigore di legge a un progetto che si ritenesse lesivo dell’interesse nazionale.

PRESIDENTE condivide il punto di vista espresso dall’onorevole Mortati circa la differenza tra il caso in esame e i comuni casi di incostituzionalità delle leggi.

In ogni modo, poiché l’onorevole Leone insiste nella sua proposta, la mette in votazione.

(Non è approvata).

Prima di procedere innanzi nella discussione, ritiene opportuno stabilire il principio secondo cui il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, dev’essere di nuovo comunicato al Governo, perché questo dev’essere messo in grado di sapere se le sue proposte sono state accolte dall’Assemblea regionale stessa. Mette in votazione questo principio.

(È approvato).

Si dovrebbe ora decidere se il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, debba essere oppur no pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

AMBROSINI, Relatore, osserva che la pubblicazione dovrebbe essere immediata.

NOBILE ricorda che la Sottocommissione ha già approvato il principio dell’inserzione del testo integrale del disegno di legge nel notiziario della Gazzetta Ufficiale. Per il caso in esame basterebbe quindi adottare il criterio di pubblicare soltanto le variazioni apportate dall’Assemblea regionale al testo del disegno di legge rinviato dal Governo.

PRESIDENTE, avendo riesaminata la questione, ritiene che, prima di stabilire se il disegno di legge nuovamente approvato dall’Assemblea regionale debba, o pur no essere pubblicato, convenga decidere quali debbano essere i titolari del diritto di ricorso, se, cioè, il Governo soltanto o anche l’Assemblea nazionale e le stesse Regioni. Difatti, se il diritto di impugnativa dovesse spettare soltanto al Governo, non sarebbe necessario procedere a una nuova pubblicazione del disegno di legge riesaminato dall’Assemblea regionale: per la decorrenza del termine entro cui potrebbe essere esperito il ricorso per annullamento, sarebbe sufficiente la data dell’avvenuta ricomunicazione del disegno di legge al Governo da parte dell’Assemblea regionale. Lo stesso non si potrebbe dire se i titolari del diritto di impugnativa dovessero anche essere l’Assemblea nazionale e le stesse Regioni.

Mette quindi in votazione il principio della attribuzione al Governo del diritto di impugnativa.

(È approvato).

Mette in rotazione il principio dell’attribuzione all’Assemblea nazionale del diritto di impugnativa.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio dell’attribuzione alle Regioni del diritto di impugnativa.

(Non è approvato).

Osserva che, poiché il titolare del diritto di impugnativa è soltanto il Governo, diventa inutile che il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, sia ripubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

In ogni modo, poiché qualche collega si è mostrato favorevole a tale pubblicazione, mette in votazione il principio per cui il Governo, prima che abbia reso noto se intenda o pur no valersi del diritto di ricorso, debba procedere alla pubblicazione del disegno di legge che nuovamente gli è stato trasmesso dall’Assemblea regionale.

(Non è approvato).

Avverte che è in discussione la durata del termine entro cui il Governo può esercitare il suo diritto di impugnativa. Propone che tale durata sia di 15 giorni e mette in votazione il principio che il Governo, entro 15 giorni dalla nuova comunicazione del disegno di legge fattagli dall’Assemblea regionale, possa esercitare il suo diritto di impugnativa.

(È approvato).

Fa presente che resta da decidere la questione, già precedentemente dibattuta, se il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, prima della scadenza del termine entro cui il Governo può promuovere il ricorso per annullamento, debba avere o pur no efficacia di legge. Nelle varie proposte di emendamenti all’articolo 12, implicitamente o esplicitamente si accenna alla sospensiva. Ciò considerato, e tenuto conto delle osservazioni fatte nel corso della discussione, mette in votazione il principio per cui, prima della scadenza del termine già fissato entro cui il Governo ha facoltà di esercitare il diritto di impugnativa, il disegno di legge nuovamente approvato dall’Assemblea regionale diventa legge, ma senza efficacia esecutiva.

(È approvato).

MANNIRONI propone che le leggi nuovamente approvate dall’Assemblea regionale possano diventare esecutive prima della scadenza del termine già fissato entro cui il Governo ha facoltà di promuovere il ricorso per annullamento, purché il Governo stesso, prima appunto della scadenza di tale termine, rinunzi a esercitare il diritto di impugnativa.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Mannironi.

(Non è approvata).

Fa presente che occorre ora decidere se il Governo possa ricorrere alla Corte costituzionale per motivo di incostituzionalità e all’Assemblea nazionale per motivo di lesione degli interessi della Nazione o di altre Regioni, secondo quanto è stato proposto dagli onorevoli Bozzi, Mortati, Rossi e Calamandrei. Nella proposta del Comitato si prevedeva soltanto il ricorso alla Corte costituzionale; il Relatore onorevole Ambrosini ha però dichiarato di accedere al criterio a cui si ispirano gli emendamenti degli onorevoli Bozzi, Mortati, Rossi e Calamandrei, ritenendo che tali emendamenti abbiano incontrato il favore della maggioranza dei componenti la Sottocommissione.

Ma occorre decidere prima sulla proposta dell’onorevole Nobile, secondo cui il Governo può ricorrere in ogni caso soltanto all’Assemblea nazionale. La mette in votazione.

(Non è approvata).

Mette in votazione il principio per cui il Governo può ricorrere alla Corte costituzionale per motivi di incostituzionalità e di incompetenza o all’Assemblea nazionale per casi di lesione degli interessi della Nazione o di altre Regioni.

(È approvato).

Fa presente che è ora in discussione il quesito se l’Assemblea nazionale possa semplicemente invalidare la legge o, entrando nel merito, modificarla, provvedendo con nuova legge al coordinamento degli interessi secondo la proposta dell’onorevole Bozzi.

BOZZI avverte che è stato osservato che la sua proposta urterebbe contro il principio costituzionale, già acquisito, della cosiddetta competenza legislativa esclusiva della Regione e per tale ragione essa non potrebbe essere accolta. L’obiezione non gli sembra grave perché, ammessa la regola della competenza legislativa esclusiva delle Regioni, si potrebbe stabilire una eccezione a tale regola, disponendo che l’Assemblea nazionale possa provvedere con legge al coordinamento degli interessi in conflitto. Non bisogna portare la competenza legislativa esclusiva delle Regioni sino al punto di sopprimere la potestà legislativa del Parlamento, il quale, per altro, non potrebbe limitarsi a invalidare la legge, perché non è congegnato in modo da fungere quasi come Corte di cassazione.

AMBROSINI, Relatore, sostiene che l’Assemblea nazionale deve soltanto accertare il conflitto e non provvedere nel merito, perché altrimenti sarebbe violato il principio fondamentale di cui agli articoli 3 e 4.

PERASSI è favorevole al principio che l’Assemblea nazionale debba limitarsi a pronunciare sul conflitto, senza entrare nel merito e fare una nuova legge.

LACONI concorda con l’onorevole Bozzi nel ritenere che l’Assemblea nazionale, accertata l’esistenza di un conflitto tra l’interesse della Regione e quello nazionale, debba provvedere con legge al coordinamento dei contrastanti interessi.

PRESIDENTE è d’avviso che l’Assemblea nazionale, formata anche dai membri della seconda Camera, ossia dai rappresentanti degli interessi regionali, sia l’organo più competente a provvedere anche nel merito in caso di conflitto di interessi fra Regione e Stato.

FABBRI non è favorevole al punto di vista espresso dal Presidente. Il Parlamento, riunito in Assemblea nazionale, non può avere nel caso in esame altro compito che quello di annullare la legge, se con essa si è originato un conflitto fra gli interessi della Nazione e quelli della Regione. Soltanto quando tale compito sarà esaurito, ognuna delle due Camere potrà tornare ad avere la facoltà di promuovere una nuova legge.

PRESIDENTE mette in votazione il principio secondo cui l’Assemblea nazionale deve avere soltanto la competenza d’invalidare la legge.

(È approvato).

Avverte che è ora in discussione il quesito di quale organo sia competente a decidere se il ricorso sia di competenza della Corte costituzionale o dell’Assemblea nazionale.

ROSSI PAOLO ricorda che la questione accennata dal Presidente è stata lungamente dibattuta. In un primo tempo si fu del parere che il giudice competente nel caso in esame dovesse essere l’Assemblea nazionale; poi sembrò più opportuno che dovesse essere la Corte costituzionale, visto che si trattava di risolvere un problema essenzialmente di carattere giuridico. È per questo che egli, insieme all’onorevole Calamandrei, ha proposto che, quando sia dubbio se il motivo di annullamento sia di competenza della Corte costituzionale o dell’Assemblea nazionale, il potere di decidere su tale questione debba spettare alla Corte costituzionale.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che, per non complicare il sistema in materia di ricorsi per annullamento, possa essere lasciata al Governo piena libertà di promuovere l’impugnativa, sia presso la Corte costituzionale, che presso l’Assemblea nazionale.

LEONE GIOVANNI è del parere che non possa essere lasciata al Governo questa piena libertà, perché esso è parte in causa, essendo il titolare dell’impugnativa. D’altra parte, nel caso in esame, la competenza non può essere attribuita neanche all’Assemblea nazionale, perché il Governo è espressione della maggioranza del Parlamento, e quindi l’Assemblea nazionale potrebbe avere lo stesso orientamento del Governo. L’unico giudice imparziale non può essere che la Corte costituzionale, che è al di fuori delle parti in causa. Ritiene pertanto che il ricorso debba essere sempre presentato alla Corte costituzionale, la quale, con un giudizio di delibazione, dovrebbe accertare se il ricorso sia di sua competenza o della Assemblea nazionale. Nel primo caso la Corte costituzionale naturalmente tratterrebbe presso di sé il ricorso per esprimere su di esso il suo giudizio; nel secondo, invece, dovrebbe trasmetterlo all’Assemblea nazionale.

LACONI è contrario alle proposte degli onorevoli Rossi e Leone, perché ritiene che, fra un organo democraticamente eletto dal popolo e un altro di cui ancora non è stato stabilito il modo di formazione, la preferenza debba senz’altro essere data al primo. Nel caso in esame occorre fare una questione non soltanto di competenza, ma anche di autorità, e l’autorità per dirimere un conflitto che sorga in una sede così alta e fra organi così qualificati non può averla che il Parlamento, in quanto organo rappresentante la sovranità popolare.

FABBRI è favorevole alla proposta dell’onorevole Leone, in quanto ritiene che con essa l’autorità del Parlamento non sia affatto menomata. Difatti, poiché nel caso di un’impugnativa si tratta soltanto di un giudizio che deve portare a invalidare una legge e non già a un provvedimento di merito, resta sempre intatta la facoltà del Parlamento di provvedere, nell’ambito della Costituzione, alle varie esigenze del Paese.

LUSSU si associa alla proposta dell’onorevole Leone, pur domandandosi se non sia il caso di attribuire alla sola Corte costituzionale la competenza sui ricorsi anche per motivi che non siano di legittimità. Ciò perché teme che, con il rinvio al Parlamento, la procedura per la definizione del ricorso possa diventare troppo lunga, con danno delle Regioni.

PERASSI è favorevole alla proposta degli onorevoli Rossi è Calamandrei, integrata con quella dell’onorevole Leone.

NOBILE è contrario alla proposta degli onorevoli Rossi e Calamandrei, perché ritiene che in tutti i casi la competenza debba spettare soltanto all’Assemblea nazionale.

LAMI STARNUTI osserva che il Parlamento, riunito in Assemblea nazionale, nel caso di un ricorso per annullamento, non agisce più come organo politico, ma come organo giurisdizionale. Ciò considerato, dichiara di essere favorevole al punto di vista espresso dall’onorevole Ambrosini.

MORTATI si associa alla proposta degli onorevoli Rossi e Calamandrei.

PRESIDENTE dichiara, prima di passare alla votazione delle varie proposte, di essere favorevole a quella dell’onorevole Ambrosini, secondo cui il Governo stesso verrebbe a decidere a quale fra i due organi, la Corte costituzionale e l’Assemblea nazionale, debba spettare la competenza sul ricorso.

Mette quindi in votazione la proposta dell’onorevole Leone, per cui il giudizio se il ricorso debba essere di competenza della Corte costituzionale o dell’Assemblea nazionale deve sempre spettare alla Corte costituzionale stessa.

(Non è approvata).

Mette ai voti la proposta degli onorevoli Rossi e Calamandrei per cui, quando sia dubbio se il motivo di annullamento sia di competenza della Corte costituzionale o dell’Assemblea nazionale, il potere di decidere su tale questione deve spettare alla Corte costituzionale.

(È approvata).

Mette in discussione il principio contenuto nell’ultimo comma dell’emendamento degli onorevoli Rossi e Calamandrei, per cui alla Corte costituzionale dovrebbe spettare anche la decisione sui conflitti negativi di competenza legislativa che possano sorgere tra lo Stato e le Regioni o tra Regioni.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che il caso previsto nell’ultimo comma dell’emendamento degli onorevoli Rossi e Calamandrei assai difficilmente possa verificarsi. In ogni modo, a parte tale considerazione, è del parere che il legislatore non possa mai essere obbligato ad emanare disposizioni che non ritenga opportuno adottare.

Per tali ragioni, non reputa necessario includere nella Costituzione la norma proposta dagli onorevoli Rossi e Calamandrei.

ROSSI PAOLO ritira la sua proposta.

PRESIDENTE pone in discussione la questione relativa alla pubblicazione delle leggi regionali e alla loro promulgazione.

NOBILE fa la seguente proposta:

«La legge regionale, dopo che è divenuta definitiva, verrà sancita e promulgata dal Capo dello Stato o, in nome di questi, dal Rappresentante del Governo centrale della Regione».

Sono due diverse ipotesi e pertanto chiede la votazione dell’emendamento per divisione.

PERASSI propone che le leggi regionali siano pubblicate in un foglio regionale a cura del Presidente dell’Assemblea regionale. Nella Gazzetta Ufficiale si potrebbe tutt’al più fare un’inserzione; ma la pubblicazione valida agli effetti della decorrenza del termine per l’entrata in vigore della legge dovrebbe essere quella del Bollettino Ufficiale della Regione.

PRESIDENTE ricorda che nel testo dell’emendamento dell’onorevole Bozzi, circa la questione in esame, si propone che le leggi regionali debbano essere pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica con il visto del Ministro Guardasigilli.

UBERTI non ritiene opportuno che le leggi regionali siano vistate dal Ministro Guardasigilli, perché ciò potrebbe essere causa di un ulteriore prolungamento del processo di formazione delle leggi regionali, già per se stesso abbastanza lungo e complesso. Non è d’accordo poi con l’onorevole Perassi nel ritenere che le leggi regionali debbano essere pubblicate a cura del Presidente dell’Assemblea regionale. Le leggi nazionali non sono pubblicate a cura del Presidente della Camera, e analogamente non si può attribuire l’incarico di curare la pubblicazione delle leggi regionali al Presidente dell’Assemblea regionale. Il Capo della Regione è il Presidente della Deputazione regionale ed a lui deve essere affidato il compito della pubblicazione e della promulgazione delle leggi regionali.

PERASSI è decisamente contrario a che le leggi regionali debbano essere sanzionate dal Capo dello Stato. È questo un sistema che vigeva in Austria prima dell’avvento della Repubblica e non gli sembra che sia il caso di rifarsi a tale precedente.

Per quanto riguarda l’intervento del Ministro Guardasigilli, non ne vede la necessità, tanto più se sarà accolto il principio della pubblicazione in un foglio locale come prevalente su quella della Gazzetta Ufficiale.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che le leggi regionali debbano essere pubblicate, oltre che nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, anche nel Bollettino Ufficiale della Regione, e propone di introdurre nell’articolo 12 una disposizione in tale senso.

In quanto al compito della promulgazione esso, a suo avviso, può essere affidato indifferentemente sia al Presidente dell’Assemblea regionale, che al Presidente della Deputazione regionale.

TOSATO propone una variante alla formula suggerita dall’onorevole Perassi nel senso che le leggi regionali debbano anche portare il visto del rappresentante del Governo centrale nella Regione.

PRESIDENTE mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba avvenire soltanto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba avvenire soltanto nel Bollettino Ufficiale della Regione.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba avvenire sia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica che nel Bollettino Ufficiale della Regione e che fra le due pubblicazioni la prevalenza debba spettare a quella sul Bollettino Ufficiale della Regione.

(È approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba essere accompagnata dal visto del Ministro Guardasigilli.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba essere accompagnata dalla firma del Capo dello Stato.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba essere accompagnata dalla firma del rappresentante del Governo centrale della Regione.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba essere accompagnata dalla firma del Presidente dell’Assemblea regionale.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che le leggi regionali debbano essere promulgate dal Presidente dell’Assemblea regionale e portare il visto del rappresentante del Governo centrale nella Regione.

(È approvato).

La seduta termina alle 20.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Patricolo, Porzio.

SABATO 30 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

56.

RESOCONTO SOMMARIO

DELlA SEDUTA DI SABATO 30 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Grieco – Nobile – Tosato – Ambrosini, Relatore – Fuschini – Conti – Mortati – Fabbri – Laconi – Perassi – Lussu – Zuccarini – Mannironi – Lami Starnuti – Bozzi – Ravagnan – La Rocca.

La seduta comincia alle 8.50.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE dichiara aperta la discussione sull’articolo 11 del progetto:

«Il Presidente della Deputazione rappresenta la Regione. La Deputazione è l’organo esecutivo della Regione.

«Il Presidente e i membri della Deputazione sono responsabili della condotta dell’Amministrazione di fronte all’Assemblea».

GRIECO informa che ha finora sostenuto, nei confronti delle funzioni del Presidente della Regione, una tesi diversa da quella del progetto, ma, riconoscendo che non sarebbe in armonia coi principi già approvati, ritira la sua proposta ed accetta l’attuale formulazione dell’articolo 11.

NOBILE propone un emendamento aggiuntivo, consistente nel far seguire, alle ultime parole dell’articolo, le altre: «e di fronte al Governo centrale».

Illustra la sua proposta, rilevando che la responsabilità, che si verrebbe così a stabilire anche nei confronti dello Stato, è giustificata dal fatto che la Regione può esplicare funzioni amministrative delegatele dallo Stato stesso. È logico quindi che sia chiamata a rispondere da chi le ha concesso la delega.

TOSATO nota che, in seguito all’approvazione del suo emendamento, l’articolo 9 si limita a dire che sono organi della Regione l’Assemblea regionale, il Presidente della Deputazione regionale e la Deputazione regionale; occorrerà, quindi, nell’articolo in esame, riprendere il concetto espresso nell’originario articolo 9, nel senso di precisare che il Presidente ed i membri della Deputazione sono eletti dall’Assemblea regionale, che il Presidente è il capo della Regione, la rappresenta e presiede la Deputazione regionale e che quest’ultima è l’organo esecutivo della Regione.

Propone inoltre di sopprimere il capoverso dell’articolo 11, in quanto la responsabilità del Presidente e dei membri della Deputazione verso l’Assemblea è implicita, e una proposizione del genere fa pensare ad una specie di Governo parlamentare, nell’ambito della Regione, laddove non dovrebbe esservi che un organo esecutivo della volontà dell’Assemblea.

AMBROSINI, Relatore, non crede necessaria la precisazione proposta dall’onorevole Tosato al primo comma. Se mai, andrebbe riprodotta nell’articolo 9 l’indicazione che il Presidente ed i membri della Deputazione sono eletti dall’Assemblea.

Quanto al capoverso, dichiara di non aver nulla in contrario alla soppressione.

FUSCHINI ha l’impressione che nella formula: «Il Presidente della Deputazione rappresenta la Regione. La Deputazione è l’organo esecutivo della Regione», si possa ravvisare una contrapposizione tra i due concetti; come se le funzioni del Presidente e quelle della Deputazione fossero ben distinti.

PRESIDENTE osserva che non si avrebbe più questa sensazione, se i due periodi fossero invertiti.

CONTI, al fine di evitare anche la ripetizione della parola «Regione», propone la formula: «La Deputazione è l’organo dell’amministrazione regionale. Il Presidente della Deputazione rappresenta la Regione».

MORTATI fa presente l’opportunità di prendere in considerazione eventuali limiti all’autonomia regionale in questa materia. Ricorda che la legge comunale e provinciale stabilisce che il sindaco può essere revocato con deliberazione motivata e potrebbe apparire rilevante riprodurre una norma del genere, o stabilire date maggioranze, ecc. La perplessità può sorgere sull’opportunità di disciplinare la materia in questa sede, ovvero rinviarne la disciplina agli Statuti regionali.

PRESIDENTE è dell’avviso che, una volta affermata la responsabilità del Presidente, divenga superfluo prevedere l’ipotesi della revoca, in quanto il suo operato viene così sottoposto a sindacato ed a voto di fiducia. Preferirebbe pertanto che ci si limitasse, nell’articolo in esame, a stabilire il principio elettivo.

FABBRI suggerisce di usare nell’articolo 9 l’espressione «eleggibile e revocabile dall’Assemblea», ovvero: «il mandato è revocabile».

PRESIDENTE nota che, in sostanza, la Sottocommissione è d’accordo sul concetto. Si tratterà d’inserire nell’articolo 9, nel punto più indicato, l’espressione: «Il Presidente ed i membri della Deputazione sono eletti dall’Assemblea».

Propone che a questo si provveda in sede di coordinamento.

(Così rimane stabilito).

Tornando all’articolo 11, crede che si possa essere d’accordo sull’inversione dei due periodi del primo comma. Pone quindi ai voti il comma stesso come risulterebbe formulato:

«La Deputazione è l’organo esecutivo della Regione. Il Presidente della Deputazione rappresenta la Regione».

(È approvato).

Quanto al secondo comma, ricorda che vi sono due proposte: l’una, dell’onorevole Tosato, per la soppressione; l’altra, dell’onorevole Nobile, perché vi si stabilisca che il Presidente ed i membri della Deputazione rispondono della condotta dell’amministrazione anche di fronte agli organi del potere centrale.

In merito alla prima, rileva che, non essendosi ipotizzata nell’articolo 9 la revoca del Presidente, può essere utile nell’articolo il prevederne la responsabilità di fronte all’Assemblea, nel quale concetto è implicito il voto di sfiducia e, conseguentemente, la revoca.

Quanto alla seconda proposta, avverte che all’articolo 15 si prevede la possibilità di sostituzione del Presidente su segnalazione del Governo all’Assemblea regionale, salvo il provvedimento di dissoluzione di questa da parte del Presidente della Repubblica, ove l’Assemblea stessa non provveda.

NOBILE obietta che la sostituzione del Presidente, di cui all’articolo 15, è limitata al caso che questo assuma atteggiamenti contrari all’interesse nazionale, o compia gravi e reiterate violazioni di legge, mentre nell’articolo 11 si fa l’ipotesi di cattiva amministrazione.

AMBROSINI, Relatore, invita a tener presente anche l’ultimo comma dell’articolo 14, ai termini del quale un Commissario Governativo coordina l’opera dell’Amministrazione regionale, in corrispondenza alle direttive generali che il Governo creda opportuno di emanare, per tutte le Regioni. Esprime, quindi, l’avviso che la proposta dell’onorevole Nobile turbi tutta l’euritmia del progetto, il quale è già congegnato in maniera tale da eliminare ogni preoccupazione del genere.

LACONI dissente dal Relatore ed accede alla tesi dell’onorevole Nobile, in favore della quale osserva che – a parte il fatto che l’articolo 14 non è stato ancora approvato e potrebbe esserne modificato il testo elaborato dal Comitato – è logico concedere allo Stato, che ha delegato l’amministrazione in materie di sua competenza alle Regioni, ogni possibilità di salvaguardare i propri diritti.

TOSATO rinuncia alla proposta di soppressione del comma in esame.

FUSCHINI replica all’onorevole Laconi che la responsabilità di fronte allo Stato è prevista nel Capo III, in cui si tratta dei «Rapporti fra Regione e Stato», onde la questione potrà essere presentata al momento opportuno. L’ipotesi dell’articolo in esame riguarda una responsabilità interna, nei confronti dell’Assemblea.

FABBRI non condivide l’opinione del Presidente che il concetto della responsabilità implichi quello della revoca e pertanto propone di aggiungere all’articolo 11 un comma del seguente tenore:

«Qualora, per dimissioni o revoca del mandato, la Deputazione risultasse ridotta a meno della metà, l’Assemblea non dovrà limitarsi alla surroga dei mandatari, ma procedere al loro rinnovamento totale».

PRESIDENTE spiega che, trattandosi di un organo esecutivo eletto da un’Assemblea, è pacifico che possa essere sciolto e sostituito, se lo si ritiene responsabile della propria condotta nei confronti dell’Assemblea stessa. Il che potrebbe non essere altrettanto pacifico, ove non si parlasse affatto di responsabilità.

Pone quindi ai voti il capoverso dell’articolo 11 nella forma proposta dal Comitato:

«Il Presidente ed i membri della Deputazione sono responsabili della condotta dell’amministrazione di fronte all’Assemblea».

(È approvato).

MORTATI domanda al Relatore perché, tra gli organi regionali, non si sia incluso anche il popolo come organo attivo per la formazione legislativa, attraverso il referendum; se, cioè, si sia voluto disconoscere questo diritto di intervento del popolo ovvero non se ne sia parlato per altre ragioni.

AMBROSINI, Relatore, chiarisce che il Comitato, conscio dell’attuale tendenza politica, era favorevolissimo all’istituto del referendum, ma non ha creduto di trattarne in questa sede, nella convinzione che dovesse formare oggetto di una norma generale della Costituzione, la quale trovasse poi la sua attuazione nei singoli Statuti regionali.

Ha ritenuto necessario farne espressa menzione nel progetto solo relativamente al controllo di merito sulle spese degli enti locali, per il caso che la spesa deliberata impegni il bilancio dell’Ente per una somma superiore al decimo del bilancio annuale.

MORTATI avverte che, se la Sottocommissione fosse dell’avviso di ammettere il referendum in sede di formazione legislativa, come modo di espressione della volontà della Regione, nell’articolo in esame bisognerebbe disciplinarne i casi e le modalità di esercizio, ovvero fare un rinvio alla legislazione statutaria. Infatti, anche se lo Stato non ritenesse di disciplinare per la propria attività l’esercizio del referendum, le Regioni potrebbero farlo per le materie di loro esclusiva competenza.

FUSCHINI conviene con l’onorevole Ambrosini che l’argomento debba trovare la sua disciplina in una legge generale per tutti gli organi dello Stato, a cominciare dall’Assemblea nazionale, fino alle Assemblee regionali ed anche comunali.

MORTATI esclude che vi sia un parallelismo necessario tra l’indirizzo della legislazione statale, in tema di referendum, e quello della legislazione regionale.

PERASSI ricorda di aver già avuto occasione di pronunciarsi incidentalmente in merito all’argomento, in sede di discussione sullo Statuto regionale. A suo avviso, detto Statuto deve avere la funzione di integrare le norme costituzionali sull’ordinamento regionale, eventualmente con una certa libertà di regolamentazione. Fra le materie suscettibili di regolamento nello Statuto è appunto il referendum, nel senso di stabilire i casi e le modalità per sottoporvi alcune deliberazioni, sia legislative che amministrative, degli organi della Regione. Dissente quindi dal concetto dell’onorevole Fuschini, che convenga legare la regolamentazione del referendum nell’ambito regionale alla disciplina dell’istituto stesso nello Stato. Può darsi che nella legislazione statale il referendum non abbia alcuna o abbia scarsa applicazione, il che non esclude affatto che nel campo più ristretto delle Regioni e dei Comuni possa avere vasta applicazione.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di inserire nel progetto in esame un richiamo all’istituto del referendum, salvo a rinviarne l’esplicita disciplina agli Statuti regionali.

(È approvata).

MORTATI propone la seguente formula:

«I casi e le modalità di impiego del referendum per la formazione della legge della Regione saranno regolati dagli Statuti».

FABBRI suggerisce di sostituire alle parole «dagli Statuti» le altre «dallo Statuto regionale».

TOSATO preferirebbe non limitare costituzionalmente la possibilità d’impiego del referendum al campo legislativo.

LUSSU ritiene necessario far precedere la disposizione da un articolo che spieghi cos’è il referendum.

FABBRI chiarisce che l’accenno al referendum, nell’articolo in esame, presuppone che sia già previsto in via generale dalla Costituzione come strumento per l’affermazione della volontà popolare nel quadro degli istituti democratici della Repubblica.

ZUCCARINI è pienamente d’accordo con l’onorevole Mortati e fa presente che, secondo la sua tesi, il «popolo» andrebbe considerato all’articolo 9 quale organo deliberante, e come manifestazione di governo diretto.

AMBROSINI, Relatore, nota che il popolo è già un organo sovrano, in quanto ha la funzione di eleggere l’Assemblea regionale. A suo avviso è consigliabile non allargare la dizione dell’articolo 9, ma limitarsi a trattare del referendum all’articolo 11.

ZUCCARINI preferirebbe includere il «popolo» nell’articolo 9, come organo nell’esercizio di una funzione deliberante.

PRESIDENTE crede che per il momento sia conveniente approvare il principio, salvo a trovare in sede di coordinamento una formulazione che metta in rilievo il particolare carattere, non esclusivamente funzionale, dell’istituto caldeggiato dall’onorevole Zuccarini.

PERASSI è favorevole all’emendamento aggiuntivo Mortati, ma non aderisce al concetto che esso presupponga l’adozione del referendum nella Costituzione.

AMBROSINI, Relatore, propone di sostituire all’espressione: «referendum per la formazione della legge della Regione» l’altra: «referendum popolare», per non limitarne l’applicazione al solo campo legislativo.

LACONI richiama L’attenzione sulla necessità di specificare che anche agli effetti del referendum valgono i limiti stabiliti per l’attività legislativa degli enti locali, ad evitare che una Regione indica un referendum su una materia che esorbiti dalla competenza regionale.

AMBROSINI, Relatore, obietta che ciò è ovvio. Fa presente che gli Statuti dovranno essere sottoposti (art. 21) alla ratifica del Parlamento. Conseguentemente non è il caso di avere preoccupazioni simili a quelle prospettate.

PRESIDENTE pone ai voti l’aggiunta all’articolo 11 del seguente comma:

«I casi e le modalità di applicazione del referendum popolare saranno regolati dallo Statuto regionale».

FABBRI voterà favorevolmente, con la riserva che il referendum sia ammesso nel sistema legislativo nazionale come mezzo di esplicazione della sovranità popolare.

FUSCHINI si associa, esprimendo il suo dissenso dalla tesi dell’onorevole Perassi che il referendum possa esistere per la Regione, indipendentemente dal suo riconoscimento da parte della legislazione statale. A suo avviso, tutti gli istituti, nessuno escluso, possono trovare applicazione nella Regione solo in quanto già disciplinati nell’ambito nazionale.

MANNIRONI voterà in favore, condividendo l’opinione dell’onorevole Perassi che il referendum possa sopravvivere nella Regione, anche se non sia ammesso in sede nazionale.

MORTATI concorda.

GRIECO dichiara di astenersi dal voto, riservandosi – in quanto contrario al punto di vista dell’onorevole Perassi – di riprendere la parola sull’argomento quando si discuterà dell’introduzione del referendum nella vita nazionale.

TOSATO si associa.

AMBROSINI, Relatore, voterà in favore, aderendo alla tesi dell’onorevole Perassi.

(È approvato).

PERASSI propone di aggiungere un articolo 10-bis così formulato:

«I membri dell’Assemblea regionale non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

Crede che la sua proposta non abbia bisogno di illustrazioni. A parte l’opportunità evidente della norma, una disposizione dello stesso tenore è stata già inserita nello Statuto siciliano, e non sarebbe giustificato un trattamento diverso ai membri delle altre Assemblee regionali.

NOBILE sostiene che, qualora quest’immunità venisse concessa ai deputati regionali, non vi sarebbe motivo per non estenderla anche ai consiglieri comunali.

PRESIDENTE è personalmente contrario alla proposta. Osserva che le immunità, che vengono garantite costituzionalmente ai membri delle Assemblee legislative nazionali, hanno una loro giustificazione nel carattere squisitamente politico di quegli organi legislativi, mentre le Assemblee regionali, secondo la configurazione che hanno avuta nel progetto, sono investite di una funzione legislativa, ma non per questo assumono un carattere politico. Difatti, nessuna delle materie affidate alla loro competenza ha un tipico aspetto politico, ed offre un terreno sul quale potrebbero aversi manifestazioni di tal genere da consigliare di coprire di immunità i deputati. Concedere l’immunità in parola alle Assemblee regionali equivarrebbe a politicizzarle, ponendole così sullo stesso piano di quella nazionale.

PERASSI avverte che la disposizione non avrà occasione di essere applicata nell’esercizio della funzione legislativa, bensì nell’esercizio della funzione di controllo. Se un deputato regionale, in una interpellanza, vuole esporre dei fatti relativi alla amministrazione in carica, deve essere libero di manifestare il proprio pensiero e coperto di immunità. Tale garanzia non va tanto concessa nell’interesse del singolo, quanto allo scopo del buon funzionamento all’organo collegiale. Non è che si miri a parificare i membri dell’Assemblea regionale ai deputati al Parlamento; ma solo a dare ai primi la sicurezza di non essere, ad esempio, sottoposti a procedimento disciplinare, se impiegati pubblici, quando, pronunziando un discorso, rivolgano delle accuse ad un membro della Deputazione regionale, o ad un qualsiasi funzionario regionale. Sotto questo aspetto crede che la disposizione sia indispensabile.

ZUCCARINI aggiunge che anche nei riguardi del Parlamento la immunità in parola non è stata concessa in quanto si riconosca agli uomini politici una posizione di privilegio nei confronti degli altri, ma unicamente allo scopo di garantire il libero esercizio delle funzioni di cui sono investiti. Lo stesso motivo vale anche per le Assemblee regionali e per i Consigli comunali. Ricorda che la questione ha costituito, a suo tempo, uno dei temi più dibattuti in seno all’Associazione per le autonomie comunali.

GRIECO si dichiara favorevole alla proposta Perassi.

LAMI STARNUTI concorda, in quanto ravvisa nella disposizione una garanzia di libertà per la discussione nelle Assemblee regionali. Non può infatti asserirsi che le discussioni in tale sede abbiano un carattere esclusivamente amministrativo, perché la politica spesso affiora in ogni discussione.

AMBROSINI, Relatore, aderisce alla proposta Perassi, che trova rispondente allo spirito di tutto il progetto.

PRESIDENTE pone ai voti l’articolo 10-bis proposto dall’onorevole Perassi:

«I membri dell’Assemblea regionale non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

BOZZI dichiara di votare in favore, nella considerazione che, anche nel caso di riduzione dei poteri normativi della Regione, la norma avrebbe una sua funzione.

MORTATI, anche a nome del suo gruppo, dichiara di votare favorevolmente.

(È approvato).

PERASSI presenta la proposta di aggiunta di un articolo art. 10-ter:

«L’Assemblea regionale adotta il proprio regolamento alla maggioranza assoluta dei suoi membri».

PRESIDENTE crede che questa disposizione troverebbe la sede più opportuna negli Statuti regionali.

PERASSI non ha nulla in contrario a che la norma venga rinviata agli Statuti regionali.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 12 del progetto:

«I disegni di legge approvati dall’Assemblea regionale devono essere comunicati al Governo centrale. Essi acquistano valore di legge trascorso il mese da tale comunicazione, salvo il caso in cui il Governo, ritenendo che eccedano dai limiti di competenza della Regione, o che contrastino con l’interesse nazionale o di altre Regioni, li rimandi, entro il termine suddetto, all’Assemblea regionale con le sue osservazioni.

I disegni di legge in questione possono essere ripresi in esame dall’Assemblea regionale e diventano senz’altro leggi, se questa, respingendo le osservazioni governative, li approva nuovamente con un numero di voti che raggiunga la maggioranza assoluta dei suoi componenti.

Il Governo centrale può in questo caso ricorrere alla Corte costituzionale per chiederne l’annullamento parziale o totale.

Le leggi della Regione devono essere inserite nella Raccolta Ufficiale delle leggi e decreti dello Stato e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

Avverte che su tale articolo vi sono tre proposte di emendamento.

Gli onorevoli Rossi Paolo e Calamandrei propongono la seguente nuova formulazione:

«Ogni disegno di legge approvato dalle Assemblee regionali è comunicato al Governo e diventa legge 30 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Entro questo termine il Governo può disporre il rinvio del disegno per nuovo esame, con effetto sospensivo, per uno dei seguenti motivi:

violazione della Costituzione o delle leggi generali dello Stato;

incompetenza;

contrasto con l’interesse nazionale o con quello di altre Regioni.

Se l’Assemblea regionale, cui il progetto è rimandato, lo approva nuovamente, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, il progetto diventa legge, a meno che il Governo, entro 30 giorni dalla nuova pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, non proponga ricorso per annullamento totale o parziale. Il ricorso ha effetto sospensivo.

Il ricorso per annullamento può essere proposto anche da una Regione, entro 15 giorni decorrenti dalla scadenza dei termini stabiliti dai precedenti commi, ma non ha effetto sospensivo.

Competente a decidere sul ricorso è la Suprema Corte costituzionale, per i motivi di incostituzionalità e di incompetenza, l’Assemblea nazionale per il motivo di conflitto di interessi.

Quando sia dubbio se il motivo di annullamento sia di competenza della Suprema Corte costituzionale, o dell’Assemblea nazionale, il potere di decidere su tale questione spetta alla Suprema Corte costituzionale.

Alla Suprema Corte costituzionale spetta anche la decisione sui conflitti negativi di competenza legislativa, che possono sorgere tra lo Stato e le Regioni o tra Regioni».

(Variante).

«Le deliberazioni delle Assemblee regionali dovranno essere comunicate al Governo e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, e diverranno leggi se entro 30 giorni da tale pubblicazione il Governo non ne domanda la revisione, o non ricorre alla Corte costituzionale per motivo di incompetenza o di incostituzionalità.

Nel caso che il Governo o altre Regioni propongano, entro lo stesso termine, opposizione per conflitto di interessi, la deliberazione sarà sospesa e rimessa all’Assemblea nazionale».

L’onorevole Bozzi propone che l’articolo 12 sia così formulato:

«I disegni di legge approvati dalla Regione debbono essere comunicati al Governo (centrale) ed inseriti nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica entro trenta giorni dal ricevimento.

Il Governo può domandare alla Corte Costituzionale, entro trenta giorni dalla inserzione nella Gazzetta Ufficiale, l’annullamento, totale o parziale, dei disegni di legge regionali, qualora ritenga che essi violino lo Costituzione.

Entro il termine indicato dal comma precedente, il Governo, anche su proposta di altre Regioni, può rimettere i disegni di legge regionali all’Assemblea nazionale, qualora ritenga che essi siano in conflitto con gli interessi della Nazione o di altre Regioni. L’Assemblea nazionale provvede con legge al coordinamento degli interessi.

I disegni di legge acquistano valore di legge quindici giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica con il visto del Ministro Guardasigilli».

L’onorevole Nobile propone:

Aggiunta al comma 1°: «Il rinvio per i motivi anzidetti all’Assemblea regionale può aver luogo anche su proposta dell’Assemblea nazionale».

Emendamento al comma: «I disegni di legge in questione possono essere ripresi in esame dall’Assemblea regionale, e se questa, respingendo le osservazioni governative, li approva nuovamente con un numero di voti che raggiunga la maggioranza assoluta dei suoi componenti, i detti disegni saranno ritrasmessi al Governo centrale, affinché li sottoponga all’esame ed alla decisione definitiva dell’Assemblea nazionale».

RAVAGNAN, prima di passare all’esame delle varie formulazioni, solleva una questione di principio, che ritiene debba essere risolta in via pregiudiziale. La Sottocommissione ha deciso in linea di massima che debba essere sottratta del tutto al potere esecutivo la facoltà di emanare norme legislative; viceversa in tutti gli schemi proposti si ammette che il Governo possa giudicare della costituzionalità delle leggi regionali e della competenza della Regione ad emanarle o meno. Non può non riscontrarsi una palese contraddizione nel fatto che al Governo venga negata ogni potestà legislativa e venga nel contempo riconosciuto il diritto di controllo sulla legislazione regionale.

TOSATO non approva l’articolo 12 del progetto del Comitato, in quanto darebbe vita ad una giurisdizione a carattere politico che sarebbe contraria ai principî costituzionali. Infatti, in caso di contrasto di una legge regionale con gli interessi generali della Nazione o di incompetenza, il Governo ricorrerebbe alla Corte costituzionale, la quale sarebbe così investita, non soltanto della legittimità, ma anche del merito, divenendo organo politico.

Viceversa concorda nella sostanza col testo degli onorevoli Rossi Paolo e Calamandrei, il quale distingue le leggi viziate di incostituzionalità od incompetenza da quelle contrastanti con gli interessi nazionali, demandando le prime al giudizio della Corte per le garanzie costituzionali (che dovrà così giudicare soltanto della corrispondenza dell’atto legislativo con la legge costituzionale) e le seconde alla decisione dell’Assemblea nazionale, trattandosi di materia squisitamente politica.

Non può esimersi tuttavia dal rilevare alcuni difetti anche in questa formulazione e dal disapprovarne alcuni aspetti particolari, soprattutto per quanto riguarda la pubblicazione delle leggi. Il sistema previsto è il seguente: la legge, approvata dalla Regione, viene comunicata al Governo e pubblicata anche quando il Governo stesso intenda avvalersi (entro il termine di 30 giorni dalla pubblicazione) del suo potere di ricorso: tanto è vero che nel secondo comma si parla di una nuova pubblicazione. Riterrebbe più opportuno che la legge fosse pubblicata soltanto una volta, dopo che sia trascorso il termine concesso al Governo per far uso del suo potere. In caso contrario, potrebbero verificarsi inconvenienti notevoli, in quanto non si saprebbe se contro una legge pubblicata sia stato o meno proposto ricorso.

Per ottenere quanto propone, è sufficiente sopprimere nel capoverso l’inciso: «entro 30 giorni dalla nuova pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

Quanto ai motivi di ricorso, non è favorevole alla specificazione: «per motivi di incostituzionalità e di incompetenza», e preferirebbe usare genericamente l’espressione: «violazione della Costituzione», la quale comprende anche la incompetenza.

Non approva inoltre il comma 3°, il quale ammette che il ricorso per annullamento possa essere proposto anche da una Regione, seppure senza produrre effetto sospensivo. L’attività della Regione dovrebbe, a suo avviso, limitarsi ad affiancare l’opera del Governo, per reagire, col ricorso per annullamento, contro la legge che contrasti con gli interessi nazionali o di altre Regioni.

Osserva infine che una parte molto delicata del testo è costituita dal comma 5°, secondo il quale, «quando sia dubbio se il motivo di annullamento sia di competenza della Suprema Corte costituzionale, o dell’Assemblea nazionale, il potere di decidere su tale questione spetta alla Suprema Corte costituzionale». Occorrerebbe specificare chi può avvertire il dubbio e sollevare la difficoltà, dando un potere anche alla Regione, per evitare che il Governo possa far passare per motivi di controllo futili che non lo sono, allo scopo di deferire il giudizio al Parlamento anziché alla Corte costituzionale.

PRESIDENTE invita a prendere per il momento la parola soltanto quei Commissari che hanno da fare osservazioni sull’emendamento Rossi-Calamandrei.

FABBRI avverte che in gran parte delle considerazioni che intendeva fare è stato preceduto dall’onorevole Tosato. Concorda con lui soprattutto nel ritenere che il sistema della doppia pubblicazione rappresenti un grave inconveniente pratico, perché la generalità dei cittadini, quando prende conoscenza di una legge attraverso la Gazzetta Ufficiale, ha ragione di ritenere che si tratti effettivamente di una legge e non di un provvedimento suscettibile di revisione. Occorrerebbe, quindi, che nella parte della Gazzetta Ufficiale riservata agli avvisi, fosse data notizia delle disposizioni non ancora definitive, ma che la vera e propria pubblicazione della legge con effetto vincolativo non avvenisse se non col visto del Guardasigilli e dopo trascorso il termine pel ricorso da parte del Governo.

LACONI a proposito del ricorso per annullamento nota che, secondo la proposta Rossi-Calamandrei – della quale approva il criterio di demandare il giudizio di merito all’Assemblea nazionale – il potere di ricorrere è riservato al Governo e (con termini ed effetti diversi) alle Regioni; ne rimane esclusa l’Assemblea nazionale. Dissente da questo criterio e ritiene opportuno che il ricorso possa essere promosso, come dal Governo, così dall’Assemblea nazionale.

MORTATI rileva che l’articolo nel suo complesso presenta una molteplicità di questioni. Per la rapidità della discussione consiglia di affrontare le questioni stesse una dopo l’altra, cominciando da quelle generali di principio, per passare poi a quelle di indole tecnica. Ad esempio, una pregiudiziale è quella dell’ammissione o meno del diritto di veto all’iniziativa della Regione.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Mortati circa il metodo da seguire nella discussione, ma osserva che la pregiudiziale che egli pone può considerarsi superata. Ogni Commissario è d’accordo nel riconoscere il diritto di veto ad un organo che rappresenti lo Stato nel suo complesso. Piuttosto può sorgere la questione se – come proponeva l’onorevole Ravagnan – questo potere di sindacato sull’attività legislativa della Regione, spetti all’Assemblea nazionale anziché al Governo, ovvero ad entrambi, come desidererebbe l’onorevole Laconi.

Comunque, crede sia da accogliere la proposta dell’onorevole Mortati, di risolvere prima alcune questioni di principio per vedere poi, a seconda delle soluzioni, come redigere l’articolo.

Si tratterebbe ora di individuare i vari quesiti. Personalmente ne avrebbe precisati tre:

1°) deve darsi o no il diritto di voto nei confronti della legge emanata dalla Regione?

2°) questa facoltà compete per ragioni esclusive di legittimità o anche di merito?

3°) quali organi sono competenti ad esercitare questo diritto di veto?

Correlativamente si potrebbe decidere con quali mezzi si possono portare detti organi in condizione di esercitare il diritto di veto.

MORTATI segnala una questione importante da risolvere: stabilito quale organo può normalmente esercitare l’azione di veto, decidere se questo organo della esperibilità dell’azione sia esclusivo o meno, se cioè l’azione possa essere esperita anche da altri organi.

FABBRI nota che un altro quesito potrebbe essere questo: se il ricorso debba esser fatto prima che la legge acquisti valore erga omnes, ovvero se abbia soltanto un effetto sospensivo.

MORTATI sottopone all’attenzione della Sottocommissione altri quesiti:

come debba essere fatta la pubblicazione, cioè, se pubblicazione del progetto o della legge vera e propria (infatti l’effetto sospensivo o meno dell’esercizio di veto dipende da questo);

come sia da determinare la procedura successiva al veto e l’organo di decisione nel conflitto.

PRESIDENTE, riepilogando, informa che l’esame della Sottocommissione dovrebbe vertere sui seguenti quesiti:

l°) si dà un diritto di veto?

2°) a chi compete?

3°) ha effetto sospensivo?

4°) come viene portato a conoscenza degli aventi diritto il testo della legge?

5°) si deve procedere alla pubblicazione prima che sia esperito il diritto di veto o solo dopo scaduto il termine per l’esperibilità?

6°) procedura per l’esercizio del diritto di veto.

Apre la discussione sul primo di tali quesiti, circa il quale ritiene che generalmente si sia d’accordo.

MANNIRONI esprime il parere che non debba affermarsi il principio che esiste un diritto di veto, ma è più conveniente dire che le leggi regionali acquistano efficacia erga omnes e piena esecutività solo quando siano esaurite le varie fasi di contestazione e di giudizio che verranno previste.

PRESIDENTE chiarisce che si è usata l’espressione «diritto di veto» per semplificare la discussione, ma in realtà nessuno dei testi proposti vi fa ricorso; tutti seguono il sistema più logico sostenuto dall’onorevole Mannironi.

Con questa precisazione pone ai voti il riconoscimento di un diritto di veto.

(È approvato).

LA ROCCA circa il secondo quesito, si dichiara d’accordo con l’onorevole Ravagnan, che il diritto di voto debba spettare essenzialmente al Parlamento. Non esclude tuttavia che si possa concedere lo stesso diritto anche al Governo.

PRESIDENTE, dovendosi assentare per partecipare unitamente all’onorevole Conti ad una riunione dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea, rinvia la prosecuzione dei lavori.

La seduta termina alle 11.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini. Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon.

Assenti: Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Einaudi, Farini, Finocchiaro Aprile, Leone Giovanni, Patricolo, Piccioni, Porzio, Targetti.

VENERDÌ 29 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

55.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 29 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sui lavori della Sottocommissione

Presidente – Tosato.

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Mortati – Ambrosini, Relatore – Perassi – Presidente – Conti – Grieco – Mannironi – Lami Starnuti – Lussu – Nobile – Fabbri – Zuccarini – Fuschini – Bozzi – Laconi – Vanoni – Tosato – Cappi – Uberti.

La seduta comincia allo 8.40.

Sui lavori della Sottocommissione.

PRESIDENTE, in conformità degli accordi presi nella precedente seduta, annuncia di aver predisposto gli elenchi dei componenti delle due Sezioni nelle quali sarà divisa la Sottocommissione. Ne dà lettura:

Prima Sezione: Bordon, Castiglia, Codacci Pisanelli, De Michele, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Vanoni, Zuccarini.

Seconda Sezione: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Di Giovanni, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Patricolo, Porzio, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Se non vi sono osservazioni, tali elenchi si intendono approvati.

(Sono approvati).

Circa la suddivisione delle materie, è del parere che la prima Sezione debba occuparsi di quanto concerne il potere esecutivo (Capo dello Stato e Governo) e debba anche tener presenti eventuali proposte di formazione di Consigli o Comitati, nonché il tema della revisione della Costituzione; mentre alla seconda Sezione spetterà l’esame relativo al potere giudiziario ed alla Corte di garanzia costituzionale.

Ritiene poi che quanto attiene agli organi di controllo (Consiglio di Stato e Corte dei conti) possa essere esaminato nuovamente in sede di Sottocommissione plenaria – specie se i lavori delle due Sezioni, svolgendosi con un certo parallelismo, potranno concludersi contemporaneamente – anche in considerazione delle funzioni che tali organi disimpegnano, le quali attengono al campo di attività sia dell’una che dell’altra Sezione.

TOSATO fa presente che la prima Sezione potrebbe considerare il problema degli organi di controllo dal punto di vista delle funzioni amministrative, mentre la seconda potrebbe considerarlo dal punto di vista delle funzioni giurisdizionali.

PRESIDENTE, pur concordando con l’onorevole Tosato, è del parere che la Sottocommissione possa poi, in sede plenaria, stabilire il modo di considerare questa materia.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

MORTATI domanda al Relatore – prima di passare all’esame del capo secondo – se ritenga opportuno inserire nel progetto una disposizione che preveda la costituzione di consorzi interregionali per servizi che possono interessare più Regioni (quale, ad esempio, quello della manutenzione stradale, che comporta l’acquisto di macchine costose), disposizione che potrebbe essere così formulata: «Spetta alla Regione – singolarmente o con accordi o in unione con altre Regioni in organismi consortili – l’amministrazione ecc.».

AMBROSINI, Relatore, ritiene non necessaria l’introduzione di tale norma, che può ritenersi implicita nell’economia del progetto.

MORTATI non insiste nella sua proposta, dopo i chiarimenti e le assicurazioni avute dal Relatore, pur facendo presente l’opportunità di stabilire che degli accordi interregionali sia data obbligatoriamente notizia alle autorità statali.

PERASSI fa presente l’opportunità di ammettere anche la possibilità, da parte delle Regioni, di concludere accordi per coordinare la loro attività amministrativa.

PRESIDENTE ritiene che debbano considerarsi implicite sia la possibilità di costituire consorzi, sia quella di concludere accordi, purché nei limiti della competenza concessa alle Regioni e nell’ambito dell’amministrazione.

CONTI è del parere che, al fine di preparare il materiale indispensabile alla Sottocommissione quando, all’articolo 22, si esaminerà il problema della ripartizione geografica dell’Italia, alcuni componenti della Sottocommissione stessa siano incaricati di studiarlo in rapporto alle istanze, ai memoriali, alle proposte di costituzione di nuove Regioni, che pervengono in notevole numero ai membri della Sottocommissione. Propone al riguardo il seguente ordine del giorno:

«La Sottocommissione delibera di nominare tre Relatori, per riferire sulle proposte di modificazione della ripartizione geografica della penisola pervenute ai Commissari da più parti, non potendosi opporre un rifiuto di esame alle legittime richieste di popolazioni o di loro rappresentanti nell’Assemblea».

GRIECO si dichiara contrario alla creazione di uno speciale comitato per lo studio delle sia pur numerose domande avanzate creazione di nuove Regioni, in quanto ritiene che ci si debba opporre a questa tendenza – spesso originata da interessi particolaristici – la quale arriva alla polverizzazione della Regione e distrugge il significato che è stato dato all’autonomia regionale. Cita come caso limite l’esempio dell’Emilia settentrionale, che vorrebbe dividersi dall’Emilia meridionale; questa nuova Regione, comprendente Parma, Piacenza, Modena, Reggio e – a quanto gli sembra di ricordare – anche Mantova, vorrebbe perfino lo sbocco al mare con il porto di La Spezia. È del parere che la Sottocommissione debba mantenere fermo il principio del riconoscimento delle attuali suddivisioni regionali in base al criterio storico-geografico.

MANNIRONI, a parziale modifica della proposta dell’onorevole Conti, propone che si nomini un Relatore per ognuna delle richieste provenienti da quelle zone che aspirano ad essere riconosciute come Regioni, in modo che di ogni particolare argomento venga investita l’intera Sottocommissione.

LAMI STARNUTI fa presente che il Comitato di redazione per le autonomie regionali ha fissato il criterio di massima di non procedere attualmente ad alcuna modificazione delle circoscrizioni territoriali delle Regioni, considerandole solo nella loro tradizione storico-geografica. D’altro canto rileva che la Sottocommissione non ha elementi sicuri di giudizio, perché le richieste partono speésso da enti ristretti, anche se a volte qualificati. Ritiene che l’articolo 22 formuli un programma concreto molto giudizioso, lasciando per il momento le Regioni nella loro attuale configurazione geografica e demandando alle popolazioni interessate la potestà di richiedere in un prossimo domani la creazione di nuove Regioni. Chiede pertanto che la Sottocommissione, respingendo la proposta Conti, si attenga a tale criterio.

LUSSU ricorda che quando si discusse, in linea di massima, la materia dell’articolo 22, egli formulò una riserva, avendo in animo di presentare un emendamento per il Molise che, a suo avviso, è una Regione che ha problemi particolari come la Sicilia e la Sardegna.

PRESIDENTE invita l’onorevole Lussu a non entrare nel merito della questione, limitando le sue osservazioni alla proposta Conti.

LUSSU ha dovuto fare questa precisazione, in quanto ritiene che le argomentazioni dell’onorevole Lami Starnuti, giuste nelle linee generali, non possano valere per il Molise.

NOBILE è favorevole alla creazione di un piccolo Comitato, il quale però dovrebbe limitarsi a fornire alla Sottocommissione dati e notizie senza formulare proposte precise.

FABBRI non è contrario alla proposta Conti, in quanto ritiene che i membri della seconda Sottocommissione dovrebbero essere illuminati su questo particolare argomento, così da poter affrontare con piena cognizione di causa la discussione in sede di Assemblea plenaria.

AMBROSINI, Relatore, esprime la sua perplessità sulla proposta in questione, perché non ritiene possibile raccogliere in breve periodo di tempo tutti gli elementi necessari per un giudizio ponderato.

ZUCCARINI ritiene che non sia il caso per il momento di entrare nel merito della questione, perché quando il problema verrà portato all’Assemblea plenaria, ogni interesse particolare avrà indubbiamente il suo esponente; ed anche perché molte di queste questioni sono già state prospettate in pubblicazioni messe a disposizione di tutti i membri della Sottocommissione. Si dichiara pertanto contrario alla proposta dell’onorevole Conti.

MORTATI ricorda l’ordine del giorno, votato in una delle prime sedute della Sottocommissione, concernente la raccolta di dati sull’economia e la finanza delle varie Regioni, i quali potrebbero ora dare un orientamento anche su questo problema.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Mortati che tali indagini avevano lo scopo di esaminare la possibile base economica e finanziaria delle Regioni, e non già quello di fissare criteri generali al fine di dare un orientamento per una possibile nuova ripartizione geografica della penisola. D’altra parte, gli scarsi elementi ottenuti dall’indagine disposta dalla Presidenza sono stati stampati e distribuiti a tutti i membri della Sottocommissione.

AMBROSINI, Relatore, aggiunge che l’onorevole Lussu ha provveduto ad integrare ulteriormente i dati raccolti dalla Presidenza.

PRESIDENTE fa inoltre rilevare come sarebbe necessaria la costituzione di un apposito organismo, con ampi poteri, per ottenere il materiale occorrente per condurre a termine un’indagine di questo genere, la quale si dovrà fare quando si affronterà il problema dei confini geografici delle attuali Regioni.

Ritiene che l’ordine del giorno Conti, limitato alla prima parte e cioè: «La Sottocommissione delibera di nominare tre Relatori per riferire sulle proposte di modificazione della ripartizione geografica della penisola pervenuta ai Commissari da più parti», possa rispondere alle esigenze che sono state fatte presenti.

Mette ai voti quest’ordine del giorno così ridotto.

(È approvato).

Propone che, in conformità di tale deliberazione, si dia incarico agli onorevoli Codacci Pisanelli, Fuschini e Lussu di riferire rispettivamente: l’onorevole Codacci Pisanelli per il Salento, la Daunia e il Cilento, l’onorevole Fuschini per l’Emilia e il Friuli e l’onorevole Lussu per il Molise e il Sannio.

(Così rimane stabilito).

Apre la discussione sull’articolo 9 del progetto:

«Sono organi della Regione:

1°) l’Assemblea regionale eletta a suffragio universale, uguale, diretto e segreto;

2°) la Deputazione e il Presidente regionale eletti dall’Assemblea.

Il numero dei membri dell’Assemblea, della Deputazione sarà stabilito da una legge dello Stato».

FUSCHINI, a parte il fatto che al n. 2 riterrebbe sufficiente la sola citazione della Deputazione regionale, senza nominare il Presidente, il quale, tra l’altro, avendo la rappresentanza della Regione dovrebbe – se mai – essere anteposto alla Deputazione regionale, rileva che nell’articolo in esame non è alcun accenno al sistema elettorale da adottarsi per la nomina dei membri dell’Assemblea regionale; accenno che ritiene indispensabile al fine di evitare il pericolo che nelle varie Regioni si possano adottare sistemi diversi di elezione. Prospetta quindi l’opportunità che in questa sede venga stabilito che, non solo il numero dei membri dell’Assemblea, ma anche il sistema di elezione di essi sarà determinato da una legge dello Stato; mentre è favorevole al rinvio allo Statuto di ogni Singola Regione della norma concernente il sistema di nomina della Deputazione, la quale, a differenza dell’Assemblea che ne costituisce l’organo principale, è un organo interno della Regione.

PERASSI desidererebbe che si chiarisse qual è la funzione della legge dello Stato, di cui parla l’ultimo comma dell’articolo in esame; quale la funzione dello Statuto, di cui parla l’articolo 21; quali infine le materie attinenti all’ordinamento costituzionale delle singole Regioni che siano da regolarsi dalla Costituzione.

Si domanda poi se sia proprio necessario stabilire un criterio uniforme per la legge elettorale di tutte le Regioni.

BOZZI propone che dal n. 2 sia soppressa la menzione del Presidente della Deputazione regionale. La proposta conferisce al Presidente un rilievo costituzionale autonomo, ch’egli non approva L’organo dev’essere collegiale.

MORTATI, riferendosi all’osservazione fatta dall’onorevole Fuschini, ritiene che si debbano in questa sede fissare i criteri direttivi della legge elettorale; salvo poi a consentire ad ogni Regione l’adozione dei particolari del sistema adottato.

LACONI alle osservazioni dell’onorevole Bozzi, col quale concorda, aggiunge che l’articolo 14 affida al Presidente della Deputazione regionale anche la rappresentanza del Governo centrale nella Regione, il che contrasta con i suoi poteri di mera rappresentanza.

VANONI si dichiara favorevole al concetto di enunciare il sistema elettorale da adottarsi per la nomina dei membri dell’Assemblea regionale.

A suo parere, non è sul momento il caso di fare una discussione sull’articolo 14; ma dovrebbe esser meglio determinata la figura del Presidente della Deputazione regionale, il quale, oltre ad avere un carattere di esclusiva rappresentanza, dovrà essere anche investito di funzioni ordinative.

TOSATO domanda se sia prevista la carica di Presidente per l’Assemblea regionale.

PRESIDENTE ritiene necessario che l’Assemblea abbia un proprio Presidente, il quale non si identifichi col Presidente della Deputazione, perché gli sembra assolutamente inconcepibile che una medesima persona possa contemporaneamente dirigere l’Assemblea – alla quale sono stati affidati vastissimi compiti – ed avere la responsabilità dell’Amministrazione.

Concorda poi con l’onorevole Fuschini sull’opportunità di stabilire in questa sede il sistema elettorale, fissando i criteri fondamentali a cui le Regioni dovranno attenersi.

FUSCHINI, alle considerazioni già fatte, aggiunge che non ha ritenuto opportuno fare la proposta di indicare in questa sede il sistema della rappresentanza proporzionale, perché tale indicazione non si era creduto di fissare quando si parlò dell’elezione della prima Camera.

ZUCCARINI ricorda che allora si sostenne dalla maggioranza della Sottocommissione – mentre egli era di parere assolutamente opposto – essere la proporzionale un sistema di elezione e non già un principio costituzionale; e quindi la Sottocommissione – approvando l’ordine del giorno Cappi – ritenne che le Assemblee create dalla nuova Costituzione dovessero essere elette col sistema proporzionale, e che tale sistema dovesse essere – anziché nella Costituzione – affermato nella legge elettorale.

Si domanda se non sia il caso di ritornare su tale principio, ora che si tratta di istituire un organo che concorrerà alla elezione della seconda Camera.

FUSCHINI, pur essendo un convinto proporzionalista, fa presente che potrebbe in futuro determinarsi una situazione diversa, la quale esigesse un sistema elettorale diverso da quello proporzionale; e quindi ritiene inopportuno precisare nella Costituzione quale sia il sistema da seguire nelle elezioni. Ritiene che si potrebbe stabilire in questa sede che l’Assemblea regionale viene nominata con il medesimo sistema elettorale col quale si elegge la Camera dei Deputati.

CAPPI pensa che del parere della maggioranza della Sottocommissione – favorevole al sistema proporzionale – non si possa non tener conto ora che si tratta di fissare i criteri per l’elezione dell’Assemblea regionale.

AMBROSINI, Relatore, rispondendo all’onorevole Tosato, precisa che il Comitato deliberò che dovesse farsi una distinzione fra il Presidente dell’Assemblea e il Presidente dell’organo esecutivo amministrativo, ma non ritenne opportuno dettare in questa sede una disposizione esplicita relativa al Presidente dell’Assemblea, avendo deciso che quest’ultima materia potesse meglio essere regolata nello Statuto della Regione. Dal momento però che è stato sollevato il dubbio, si dichiara favorevole a che venga affermata tassativamente la distinzione in questa sede, anche con un semplice inciso nell’articolo 9.

Aderisce poi al punto di vista manifestato dall’onorevole Vanoni, per quanto concerne l’opportunità di accantonare momentaneamente sia la discussione sulle materie che lo Stato affida alla Regione per l’esecuzione, sia quella relativa alle funzioni del Presidente della Deputazione regionale. Osserva a tale proposito che esso, pur presiedendo la Deputazione, ha una propria funzione autonoma, in quanto rappresenta la Regione. Riguardo al sistema di elezione dell’Assemblea, fa presente che nel suo progetto originario aveva proposto un sistema elettorale misto, basato sulla rappresentanza territoriale e sulla rappresentanza delle categorie della produzione e delle attività lavorative in genere. E ciò, perché riteneva e ritiene che nell’Assemblea regionale, più ancora che nella seconda Camera del Parlamento Nazionale, occorra la presenza di tecnici che siano l’espressione diretta delle categorie interessate e che possano farne sentire la voce nell’Assemblea con diretta e piena conoscenza dei problemi ed assumendone così una più precisa responsabilità. Il Comitato, però, non adottò la sua proposta e si pronunziò a maggioranza per il sistema del suffragio, sulla sola base territoriale dei collegi composti dai cittadini indifferenziati. Relativamente al concreto sistema elettorale, ritiene che non si debba ora scendere a precisazioni, e che ci si possa limitare ad affermare il principio generale che il sistema elettorale sarà quello stabilito per l’elezione della Camera dei Deputati.

FABBRI propone un emendamento all’ultimo comma dell’articolo 9, così formulato:

«Il numero dei membri dell’Assemblea e della Deputazione sarà stabilito da una legge costituzionale dello Stato, che determinerà in modo uniforme il sistema elettorale e lo Statuto delle Regioni».

MANNIRONI dichiara di essere contrario all’emendamento proposto dall’onorevole Fabbri, il quale, a suo avviso, costituisce un regresso rispetto alle norme contenute negli articoli 3, 4, 4-bis, 4-ter – nei quali sono state riconosciute alla Regione sfere di competenza legislativa (esclusiva, concorrente, di integrazione) su determinate materie – perché nega alla Regione qualsiasi potere di intervento in materia elettorale. Pur riconoscendo l’opportunità che la legge elettorale sia in armonia con i principî generali fissati da una legge dello Stato, è d’avviso che anche in questo campo la Regione debba avere un minimo di autonomia. Propone quindi che al n. 1 dell’articolo in esame si dica che l’Assemblea regionale è eletta a suffragio universale, eguale, diretto e segreto, secondo una legge che sarà votata dall’Assemblea regionale.

GRIECO, come ha già sostenuto in seno al Comitato, prospetta l’opportunità che la rappresentanza della Regione sia conferita al Presidente dell’Assemblea e non già al Presidente della Deputazione.

Concorda con l’onorevole Fuschini sulla necessità di dire in questa sede qualche cosa circa il sistema elettorale, ed a questo proposito dichiara di essere favorevole alla prima parte dell’ordine del giorno Fabbri, perché ritiene che il sistema elettorale debba essere uniforme in tutte le Regioni.

CAPPI ritiene eccessivo lasciare alla Regione la potestà di scelta del sistema elettorale della propria Assemblea, anche in considerazione del fatto che è necessario dare alle Assemblee di tutte le Regioni un carattere di omogeneità ed uniformità, perché esse costituiscono il corpo elettorale della seconda Camera.

FABBRI osserva che, nel suo emendamento, l’aggettivo «costituzionale» non avrebbe più ragione di essere.

PRESIDENTE avverte che l’emendamento Fabbri si può ridurre alla seguente formulazione: «…sarà stabilito da una legge dello Stato che determinerà in maniera uniforme il sistema elettorale».

NOBILE è contrario alla proposta Mannironi, la quale non farebbe altro che aumentare il disordine del regime regionale.

LUSSU, per eliminare l’equivoco che può sorgere dalla lettura dell’articolo e chiarire che in esso si parla del Presidente della Deputazione, propone che al n. 2 si dica: «la Deputazione e il Presidente della Deputazione regionale, ecc.».

LACONI prospetta, anzitutto, la necessità che la competenza e le attribuzioni della Deputazione regionale siano definite in modo molto più netto di quanto non avviene nel Comune o nella Provincia, perché – pur essendo contrario all’assegnazione di una potestà legislativa alla Regione – è ben lontano dall’idea di assimilare tale nuovo ente al Comune o alla Provincia.

Per eliminare la posizione ambigua in cui verrebbe a trovarsi il Presidente della Deputazione regionale, il quale cumulerebbe la carica di rappresentante della Regione nei confronti del Commissario statale con quella – conferitagli dall’articolo 14 – di rappresentante del Governo centrale nei confronti dell’Amministrazione, aderisce alla proposta dell’onorevole Grieco che mira ad evitare questo cumulo di cariche nella stessa persona, affidando la Presidenza della Regione al Presidente dell’Assemblea.

AMBROSINI, Relatore, insiste – concordando con l’onorevole Vanoni – sull’opportunità di non estendere la discussione all’articolo 14.

Quanto al merito della proposta fatta dall’onorevole Grieco, alla quale si è associato l’onorevole Laconi, ricorda che il Comitato non ritenne di accettarla, per evitare confusione di attribuzioni tra l’Assemblea regionale, la quale ha un compito legislativo normativo, e la Deputazione regionale e il suo Presidente, che hanno un compito esecutivo amministrativo. Fa presente che, secondo il sistema tradizionale, la rappresentanza è attribuita sempre all’organo esecutivo amministrativo. Aggiunge che con la proposta dell’onorevole Grieco si verrebbe a creare un sovraccarico di funzioni per il Presidente dell’Assemblea regionale; il quale, peraltro, dovendo come tale mantenersi imparziale, è bene che non abbia alcuna funzione connessa con quella amministrativa.

Per queste ragioni raccomanda alla Sottocommissione di accedere al testo deliberato dal Comitato.

TOSATO propone, in sostituzione dell’articolo 9, i seguenti tre articoli, la cui formulazione non tocca la questione dei poteri del Presidente della Deputazione regionale, la quale, a suo avviso, va collegata con il testo dell’articolo 11:

Art. 9. – «Sono organi della Regione:

  1. a) l’Assemblea regionale;
  2. b) il Presidente della Deputazione regionale;
  3. c) la Deputazione regionale».

Art. 9-bis. – «Il numero dei membri dell’Assemblea regionale e il criterio elettorale regionale sono stabiliti con legge dello Stato. Il sistema elettorale regionale sarà conforme a quello per la formazione della Camera dei Deputati».

Art. 9-ter – «L’Assemblea regionale elegge il suo Presidente e l’Ufficio di Presidenza».

PRESIDENTE, riassumendo i vari punti di vista, rileva che la proposta dell’onorevole Fuschini, di precisare in questa sede che la legge dello Stato deve stabilire anche il sistema di elezione dell’Assemblea, è compresa nell’emendamento dell’onorevole Tosato.

Quanto all’opportunità di indicare quale sistema elettorale si debba adottare, la proposta dell’onorevole Tosato precisa che tale sistema sarà conforme a quello adottato per la formazione della Camera dei Deputati.

Vi è poi la proposta dell’onorevole Fuschini di non indicare fra gli organi della Regione il Presidente della Deputazione, in quanto è sufficiente indicare la Deputazione.

FUSCHINI dichiara di non insistere su questa proposta.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Fabbri che il concetto contenuto nel suo emendamento viene ripreso nell’articolo 9-bis proposto dall’onorevole Tosato.

FABBRI dichiara di non insistere nel suo emendamento.

PRESIDENTE, quanto poi alla necessità – ravvisata da alcuni colleghi – di precisare la posizione del Presidente della Deputazione regionale, di cui parla l’articolo in esame, in rapporto ai compiti che potranno essere affidati al Presidente dell’Assemblea, fa rilevare che quest’ultimo – per il fatto di essere considerato nell’articolo 9-ter, proposto dall’onorevole Tosato – non può essere compreso tra gli organi della Regione che sono indicati all’articolo 9.

BOZZI prospetta l’opportunità di rinviare la decisione circa l’inclusione o meno, tra gli organi della Regione, del Presidente della Deputazione al momento in cui si esaminerà la formazione del Governo regionale, facendo presente che esso potrà essere inserito fra gli organi della Regione, solo se la Sottocommissione riterrà di dare al Presidente del Governo regionale una figura autonoma con propri poteri.

LUSSU ritiene che tale questione non debba essere accantonata.

AMBROSINI, Relatore, è anch’egli del parere che convenga fin d’ora affermare il principio che la Deputazione regionale è organo amministrativo esecutivo, responsabile di fronte all’Assemblea, lasciando allo Statuto delle singole Regioni il compito di stabilire i particolari del funzionamento di tale organo.

LACONI si associa alla proposta dell’onorevole Bozzi in quanto, prima di venire ad una decisione, è necessario eliminare il punto controverso, se cioè si debba considerare tra gli organi della Regione il Presidente della Deputazione o il Presidente dell’Assemblea.

PRESIDENTE, poiché la proposta di sospensiva fatta dagli onorevoli Bozzi e Laconi è stata originata, non dall’intendimento di escludere dall’elenco degli organi della Regione il Presidente della Deputazione, bensì dalla perplessità di includere o meno in tale elenco anche il Presidente dell’Assemblea, ritiene che si potrebbe votare la proposta dell’onorevole Tosato, con la riserva di lasciare in sospeso ogni decisione in merito al Presidente dell’Assemblea regionale.

Pone in votazione successivamente gli articoli 9, 9-bis, 9-ter, nel testo proposto dall’onorevole Tosato.

(Sono approvati).

PERASSI fa rilevare che, non essendo compreso nel testo ora approvato il concetto contenuto nell’ultimo comma dell’articolo del progetto del Comitato, deve ritenersi che il numero dei membri dell’Assemblea e della Deputazione non sarà stabilito da una legge dello Stato.

PRESIDENTE risponde che di ciò si potrà parlare in sede di articolo 11.

Apre ora la discussione sull’articolo 10.

«L’Assemblea regionale esercita la potestà legislativa che compete alla Regione e le facoltà di cui all’articolo 5, oltre quelle che le vengano conferite dalla legge.

«Spetta all’Assemblea regionale l’esame e l’approvazione del bilancio della Regione».

PERASSI fa presente la necessità di conferire all’Assemblea regionale anche la potestà regolamentare concernente l’esecuzione delle leggi dello Stato, mentre la potestà regolamentare in esecuzione delle leggi regionali potrà essere deferita alla Deputazione regionale.

BOZZI aderisce alla proposta dell’onorevole Perassi. Nei riguardi del secondo comma, prospetta l’opportunità di chiarire che, oltre il bilancio preventivo, l’Assemblea regionale deve esaminare ed approvare anche il rendiconto consuntivo.

TOSATO concorda con l’onorevole Perassi e, per comprendere le varie ipotesi, direbbe alla fine del primo comma: «…dalla legge e dallo Statuto».

Ritiene poi che l’osservazione fatta dall’onorevole Bozzi potrebbe essere risolta volgendo al plurale la parola «bilancio», in modo da comprendere in essa sia i preventivi che i consuntivi.

FABBRI domanda se, con l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi, rimanga riservata al Governo la facoltà di fare il regolamento delle proprie leggi, o se invece sia data possibilità a ciascuna Regione di fare un proprio regolamento per l’applicazione di tali leggi.

PERASSI ricorda all’onorevole Fabbri che, a norma dell’articolo 4-ter, le leggi dello Stato possono demandare alle Regioni il potere di emanare norme regolamentari per la loro applicazione.

LAMI STARNUTI è favorevole all’emendamento proposto dall’onorevole Perassi.

Non è invece favorevole al concetto manifestato dall’onorevole Bozzi, perché ritiene che – date le maggioranze esigue che potranno aversi in seno ad Assemblee regionali elette col sistema proporzionale – l’approvazione del consuntivo possa dar luogo a crisi amministrative a ripetizione; ritiene quindi che l’approvazione del consuntivo possa essere demandata ad una Commissione, nominata ogni anno col criterio proporzionale o con voto limitato, la quale faccia salvi i diritti di revisione e di controllo dell’Assemblea regionale.

LACONI obietta all’onorevole Lami Starnuti che la questione da lui sollevata è di carattere politico e può sorgere, non soltanto in occasione dell’approvazione del bilancio consuntivo, ma ogni qualvolta ci sia una frizione fra Assemblea e Deputazione.

Ad ogni modo, ritiene che non si debba sottrarre mai questa materia alla competenza dell’Assemblea regionale; e si dichiara quindi contrario alla proposta di rimettere l’esame dei bilanci ad una Commissione.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Laconi che non si tratta dei bilanci, ma del solo consuntivo, e che l’onorevole Lami Starnuti mirava con la sua proposta ad evitare crisi che potrebbero verificarsi per un lievissimo scarto di voti. Del resto, poiché le Commissioni sono costituite con rappresentanza proporzionale, l’equilibrio esistente in seno all’Assemblea non viene spostato.

FUSCHINI ricorda che, anche in passato, l’esame del bilancio consuntivo era sempre deferito dalla Camera dei Deputati alla Giunta del bilancio, la cui relazione veniva poi approvata – di solito senza discussione – dall’Assemblea. Non vede quindi perché non si possa seguire un sistema analogo nell’Amministrazione delle Regioni.

VANONI, dissentendo dall’onorevole Fuschini, osserva che l’approvazione del bilancio preventivo, da parte di un organo il quale non avrà la possibilità di un successivo controllo sul bilancio consuntivo, fa perdere a tale organo la maggiore parte della sua importanza politica e amministrativa.

FUSCHINI obietta che l’Assemblea legislativa opererà il suo controllo per mezzo della Giunta del bilancio.

VANONI è del parere che in sede politica si debba affermare che il controllo successivo spetta all’Assemblea, la quale lo eserciterà in quelle forme e quei modi che la consuetudine costituzionale e le necessità pratiche avranno suggerito.

UBERTI fa una distinzione tra il controllo puramente contabile ed il controllo della legittimità della spesa: il primo – di carattere economico – non dà in genere luogo a discussione e deve essere fatto da un organo tecnico, esaminando i documenti giustificativi delle spese fatte; il secondo – di carattere politico – tende ad accertare se la Deputazione è andata al di là del mandato conferitole dall’Assemblea e deve essere fatto dall’Assemblea, a meno che anche per la Regione non si istituisca un organo sul genere della Corte dei conti.

FABBRI dichiara di essere in questo caso d’accordo con l’onorevole Lami Starnuti, pur essendo per principio assolutamente contrario al sistema proporzionale.

AMBROSINI, Relatore, concorda con l’onorevole Perassi sull’opportunità di conferire all’Assemblea regionale una larga potestà normativa.

A proposito della potestà regolamentare di competenza della Regione, ricorda che il suo progetto originario diceva, al secondo comma dell’articolo 12, che «spetta alla Giunta (corrispondente alla Deputazione del testo proposto dal Comitato) la potestà regolamentare». Il Comitato però ritenne superflua tale specificazione, che non è stata quindi riportata nel testo definitivo.

Quanto al secondo comma dell’articolo 10, cioè al bilancio della Regione, il Comitato decise di adottare una dizione ampia, senza però entrare nel campo dei controlli, di cui si occupa l’articolo 19.

A suo avviso nella parola «bilancio» è da comprendere anche il «consuntivo». Non può essere dubbio che all’Assemblea regionale, la quale potrà costituire nel suo seno un organo speciale per questo esame tecnico – spetti l’ultima parola in merito.

Insiste, quindi, perché l’articolo venga approvato nel testo proposto dal Comitato di redazione.

PRESIDENTE porrà in votazione separatamente le varie frasi contenute nell’articolo del progetto e le aggiunte che sono state proposta da vari colleghi.

Mette anzitutto ai voti la prima frase dell’articolo:

«L’Assemblea regionale esercita la potestà legislativa che compete alla Regione».

(È approvata).

Pone ai voti successivamente la frase: «le facoltà di cui all’articolo 5».

(È approvata).

Mette quindi ai voti la proposta Perassi: «ed il potere regolamentare preveduto dall’articolo 4-ter».

(È approvata).

Pone in votazione la frase: «oltre a quelle facoltà che vengano a lei conferite dalla legge».

(È approvata).

FABBRI domanda se la dizione testé approvata possa dare origine al dubbio che i membri della Deputazione non abbiano diritto al voto.

PRESIDENTE fa presente che, dal momento che la Deputazione trova la sua formazione nell’interno dell’Assemblea regionale, i membri della Deputazione potranno votare come membri dell’Assemblea.

AMBROSINI, Relatore, aggiunge che, per risolvere i dubbi, si può ricorrere ai principî generali contenuti nella Costituzione dello Stato.

PRESIDENTE pone ora in discussione l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Tosato: «e dello Statuto (della Regione)».

GRIECO ritiene sufficiente la dizione approvata, perché comprensiva di tutti i poteri dell’Assemblea, e crede che l’aggiunta sia intempestiva o, comunque, non necessaria. Aggiunge che si riserva di manifestare, al momento opportuno, il suo voto contrario agli Statuti particolari delle Regioni.

PRESIDENTE fa presente che questa proposta di emendamento implica la soluzione di una questione che la Sottocommissione non ha ancora affrontato, quella cioè se le Regioni – in base all’articolo 21 – possano darsi, in conformità alle norme generali della Costituzione o di una legge dello Stato, un proprio Statuto che naturalmente potrà variare da Regione a Regione, ed assegnare all’Assemblea della Regione determinati compiti e determinate funzioni.

LACONI propone la sospensiva.

TOSATO aderisce alla richiesta fatta dall’onorevole Laconi.

PRESIDENTE pone ai voti la sospensiva, con l’intesa che questa disposizione potrà essere nuovamente presa in esame dopo l’approvazione dell’articolo 21.

(È approvata).

A proposito del secondo comma, ricorda la proposta di volgere al plurale la parola «bilancio», al fino di comprendere in tale espressione anche il consuntivo, salvo a stabilire nello Statuto della Regione come debba effettuarsi l’esame effettivo dei bilanci.

LAMI STARNUTI dichiara di essere favorevole al testo così come è stato proposto, interpretando la parola «bilancio» nel senso di bilancio preventivo.

PRESIDENTE, poiché la proposta mira proprio a chiarire che a tale parola deve darsi il significato di bilancio preventivo e di conto consuntivo, è del parere che si possa mettere ai voti tale concetto, salvo poi a concretare la formula più idonea.

VANONI fa presente che l’esatta terminologia si potrà introdurre dopo che la Sottocommissione avrà esaminato la stessa questione nei riguardi del bilancio dello Stato.

PRESIDENTE pone ai voti il secondo comma dell’articolo 10 così modificato: «Spetta all’Assemblea regionale l’esame e l’approvazione del preventivo e del consuntivo della Regione», con l’intesa che l’esatta terminologia sarà stabilita in conformità delle decisioni che la Sottocommissione riterrà di prendere quando si esaminerà il medesimo problema in sede di bilancio dello Stato.

LAMI STARNUTI dichiara di votare contro.

(È approvato).

La seduta termina alle 11.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Einaudi, Bordon.

Assenti: Bulloni, Castiglia, Codacci Pisanelli, Farini, Finocchiaro Aprile, Patricolo, Porzio.

GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

54.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Mortati – Zuccarini – Tosato – Perassi – Ambrosini, Relatore – Bozzi – Nobile – Codacci Pisanelli – Fabbri – Grieco – Di Giovanni – La Rocca – Conti – Uberti – Lussu – Lami Starnuti – Vanoni – Laconi.

Sui lavori della Sottocommissione

Presidente – Fuschini – Ambrosini – Leone Giovanni – Mortati – Calamandrei – Bozzi – Conti – Vanoni – Piccioni – Fabbri – Perassi – Targetti.

La seduta comincia alle 8.55.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE ricorda che nella riunione antecedente era stata iniziata la discussione sull’articolo 6 del progetto sull’autonomia regionale, nel quale si stabilisce che spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie di propria competenza legislativa e in quelle altre, di competenza dello Stato, che questi le affidi per l’esecuzione, in conformità a un principio di largo decentramento che sarà particolarmente determinato dalla legge. Era stato accennato da alcuni all’opportunità di attribuire alla Regione l’amministrazione soltanto nelle materie di cui agli articoli 3 e 4, mentre altri volevano esteso tale potere amministrativo anche alle materie previste negli articoli 4-bis e 4-ter. A quest’ultimo criterio appunto s’informa il seguente emendamento proposto dall’onorevole Fabbri: «Spetta alla Regione nelle varie materie ogni potere di amministrazione nella sfera della sua propria competenza legislativa nonché nei limiti delle delegazioni ricevute in proposito dallo Stato».

MORTATI osserva che la questione della determinazione della potestà amministrativa della Regione ha un aspetto pratico di notevole importanza, perché ai fini del controllo interessa sapere quali atti siano propri della Regione e quali siano da considerare delegati, essendo su questi consentito un intervento diverso dello Stato. È da domandarsi se convenga determinare con esattezza quale debba essere la sfera di attività obbligatoria per la Regione nella organizzazione degli uffici amministrativi e quale quella lasciata alla discrezionalità della Regione stessa, sempre nell’ambito delle sue competenze generali. A suo avviso sarebbe meglio limitare la potestà amministrativa della Regione alla materia di cui agli articoli 3 e 4: ma, se dovesse essere estesa alla Regione anche la competenza amministrativa in riferimento agli articoli 4-bis e 4-ter, occorrerebbe decidere se quest’altra competenza amministrativa debba considerarsi delegata o propria.

ZUCCARINI ricorda che nella riunione antecedente venne prospettata l’ipotesi di sopprimere l’ultima parte dell’articolo 6 e precisamente quella in cui si afferma la necessità di attribuire alla Regione una potestà amministrativa «in conformità a un principio di largo decentramento che sarà particolarmente determinato dalla legge». La soppressione di quest’ultima parte dell’articolo in esame sarebbe, a suo avviso, cosa assai grave. La esigenza che l’attuazione della Regione si compia con una immediata trasformazione, in senso antiburocratico e semplificatore, dell’attuale amministrazione statale, dovrebbe invece essere espressamente affermata. Con il progetto proposto dal Comitato e soprattutto con l’attribuzione alla Regione di quattro differenti potestà normative, si viene a creare un sistema abbastanza complesso per cui lo Stato, se permanesse l’attuale organizzazione burocratica, con le sue interferenze, verrebbe praticamente ad esercitare, in ultima analisi, una influenza diretta, anzi preponderante, sui compiti affidati alle Regioni. Avendo, tra l’altro, prevista l’istituzione di un Commissario del Governo nel capoluogo di ogni Regione, si potrebbe correre il rischio che venissero a costituirsi, accanto agli uffici della Regione, altri uffici dello Stato e si avesse così un appesantimento anziché una semplificazione dell’organizzazione amministrativa. Occorre quindi affermare espressamente il principio che l’istituzione dell’ente Regione deve coincidere con un largo e immediato decentramento amministrativo. Solo così si avrebbe una riduzione anziché una moltiplicazione degli uffici, moltiplicazione da deprecare per gli inevitabili danni per uno spedito e ordinato funzionamento dell’amministrazione regionale. Occorre assolutamente impedire che la riforma regionale possa fallire: ciò sarebbe imperdonabile.

Per tali considerazioni propone di sostituire al testo dell’articolo 6 un altro così concepito:

«La Regione organizza la propria amministrazione in modo da provvedere, oltre che per le materie di propria competenza, anche per quelle di competenza dello Stato e che da questo verranno ad essa delegate in conformità ad un principio di largo decentramento, che con la creazione della Regione deve trovare una immediata e pratica attuazione».

TOSATO propone, anche a nome dell’onorevole Fuschini, di sostituire al testo dell’articolo 6 un altro del seguente tenore:

«Spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie previste dagli articoli 3 e 4 e in quelle altre materie che lo Stato delegherà ad essa per attuare un effettivo decentramento amministrativo».

MORTATI ritiene che l’accenno all’attuazione di un effettivo decentramento amministrativo dovrebbe formare oggetto di un apposito articolo, da comprendersi fra le disposizioni transitorie. Dichiara quindi che, se l’emendamento dell’onorevole Tosato fosse accolto con tale riserva, egli sarebbe disposto ad associarvisi.

PERASSI ritiene, come del resto ha già rilevato l’onorevole Mortati, che l’ultima parte dell’articolo 6, in cui si afferma la necessità di un largo decentramento amministrativo, dovrebbe formare oggetto di una disposizione a sé stante da includersi fra le norme transitorie.

TOSATO dichiara, anche a nome dell’onorevole Fuschini, di essere disposto a sopprimere nel suo emendamento le parole «per attuare un effettivo decentramento amministrativo», purché sia accolta la riserva che il concetto espresso nelle parole suddette formi oggetto di un altro articolo da comprendersi fra le disposizioni transitorie.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che sia logico, una volta attribuita alla Regione la potestà legislativa su determinate materie, di affidarle per esse anche la potestà amministrativa. Per quanto poi si riferisce al conferimento della stessa potestà, riguardo a materie che sono di competenza dello Stato e che dallo Stato siano ad essa affidate per l’esecuzione, non varrebbe obiettare che l’organo esecutivo della Regione può usare male di tale potestà con atti contrari all’interesse nazionale o alle direttive della politica generale dello Stato. Il progetto dà il modo di ovviare a questo inconveniente con la disposizione dell’ultimo comma dell’articolo 14, che dà al Commissario del Governo il compito di coordinare, per tali materie, l’opera degli organi regionali in corrispondenza alle direttive generali che in proposito il Governo creda di emanare.

Riconosce che questa disposizione può non incontrare il consenso dell’onorevole Zuccarini, il quale propugna un sistema più spinto di autonomia; ma il Comitato non condivise il suo punto di vista, ritenendo che fosse opportuno dare al Governo la facoltà suaccennata.

Si rende conto, poi, del punto di vista espresso da alcuni colleghi sull’opportunità di formulare ed enunciare con un articolo autonomo il principio del decentramento contenuto nell’ultima parte dell’articolo 6; ciononostante ritiene che possa accettarsi questo testo, essendo la sua dizione abbastanza chiara ed esplicita per mostrare quale è il principio che il Costituente vuole affermare.

BOZZI propone di sostituire, nel testo dell’emendamento presentato dall’onorevole Tosato, alle parole: «Spetta alla Regione la amministrazione», le seguenti: «La Regione provvede all’amministrazione», fermo restando il seguito dell’emendamento.

La formula ch’egli propone gli sembra che metta meglio in evidenza il concetto, essenziale, che la Regione non ha facoltà di procedere o no ad organizzare l’amministrazione, ma ne ha obbligo; senza duplicazioni con gli organi amministrativi dello Stato.

TOSATO dichiara, anche a nome degli onorevoli Fuschini e Mortati, di accettare la modificazione al suo emendamento proposta dall’onorevole Bozzi.

PRESIDENTE mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Zuccarini, con cui si estendo la potestà amministrativa della Regione anche alle materie di competenza dello Stato, indipendentemente da una delega specifica che lo Stato possa fare alla Regione stessa.

NOBILE, pur essendo favorevole al decentramento di taluni servizi dello Stato, dichiara che non può ammettere il principio che lo Stato possa rinunciare alla sua opera di coordinamento e di controllo dei servizi decentrati e che quindi voterà contro l’emendamento dell’onorevole Zuccarini.

CODACCI PISANELLI dichiara di astenersi dal votare.

(Non è approvato).

PRESIDENTE mette in votazione l’emendamento degli onorevoli Tosato, Fuschini e Mortati con la modificazione proposta dall’onorevole Bozzi.

(Non è approvato).

Domanda all’onorevole Fabbri se è disposto a sostituire, nel testo del suo emendamento, alle parole «Spetta alla Regione nelle varie materie ogni potere di amministrazione», le seguenti, che erano state proposte dall’onorevole Bozzi per l’emendamento degli onorevoli Tosato, Fuschini e Mortati: «La Regione provvede all’amministrazione».

FABBRI risponde affermativamente.

PRESIDENTE mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Fabbri con la modificazione or ora indicata.

(Non è approvato).

Propone di sostituire, nel ttesto dell’articolo 6 presentato dal Comitato, alle parole: «Spetta alla Regione l’amministrazione» le seguenti, già suggerite dall’onorevole Bozzi come modificazione dell’emendamento degli onorevoli Tosalo, Fuschini e Mortati: «La Regione provvede all’amministrazione», e mette in votazione la prima parte dell’articolo in esame così formulata: «La Regione provvede all’amministrazione nelle materie di propria competenza legislativa».

GRIECO e DI GIOVANNI dichiarano di astenersi dalla votazione.

(È approvata).

PRESIDENTE propone di sostituire, nel testo dell’articolo 6 presentato dal Comitato, alle parole «ed in quelle altre materie che sono di competenza dello Stato, e che lo Stato affidi ad essa per l’esecuzione», le seguenti, che già facevano parte dell’emendamento degli onorevoli Tosato, Fuschini e Mortati: «e in quelle altre materie che lo Stato delegherà ad essa». Mette in votazione le parole anzidette.

(Sono approvate).

Ricorda che, quanto all’ultima parte dell’articolo 6, e precisamente quella in cui si fa riferimento al principio di un largo decentramento amministrativo, è stata fatta la proposta di sopprimerla, con la riserva che il concetto in essa espresso venga a formare oggetto di una disposizione a sé stante. Con tale intesa, mette in votazione la soppressione della parte anzidetta.

(È approvata).

Avverte che l’articolo 6 resta così definitivamente formulato:

«La Regione provvede all’amministrazione nelle materie di propria competenza legislativa ed in quelle altre materie che lo Stato delegherà ad essa».

Poiché l’articolo 7 del progetto resta assorbito dalle norme riguardanti la elezione della seconda Camera, mette in discussione l’articolo 8 del progetto:

«La Regione ha l’autonomia finanziaria coordinata con la finanza dello Stato e dei Comuni, secondo le norme che saranno stabilite da una legge di natura costituzionale.

«Non potranno essere istituiti dazi di importazione, di esportazione o di transito fra una Regione e l’altra, né essere presi provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale».

MORTATI osserva che nell’articolo in esame non si fa alcun accenno all’esistenza di un patrimonio della Regione, né al problema della proprietà dei beni demaniali, né alla facoltà da parte della Regione di emettere prestiti.

AMBROSINI, Relatore, dichiara che il Comitato di redazione prese in esame le questioni accennate dall’onorevole Mortati. Fu deciso, però, specialmente su indicazione dell’onorevole Einaudi, di rinviare la soluzione di tali questioni ad una legge di natura costituzionale secondo quanto stabilisce il primo comma dell’articolo in discussione; ciò perché la materia relativa alle questioni anzidette è assai complessa ed il Comitato volle evitare, data la ristrettezza del tempo assegnatogli per i suoi lavori, di addivenire a soluzioni affrettate.

LA ROCCA fa presente che occorrerà evitare che il contribuente, possa essere costretto a pagare le tasse due volte, una prima direttamente allo Stato e una seconda indirettamente alla Regione.

CONTI ritiene che nell’articolo in esame dovrebbe essere introdotta una disposizione che autorizzasse il legislatore ad emanare leggi sul trasferimento della proprietà dei beni delle Provincie dalle Provincie stesse alle Regioni. Quanto poi alla facoltà delle Regioni di emettere prestiti, su cui non sembra che si abbiano dubbi, essa dovrebbe espressamente essere stabilita in un altro articolo.

GRIECO desidera sapere se la legge di natura costituzionale con cui l’autonomia finanziaria della Regione dovrà essere coordinata, a norma dell’articolo in esame, con la finanza dello Stato e dei Comuni, dovrà essere approvata dall’Assemblea costituente.

AMBROSINI, Relatore, chiarisce che una legge, per avere carattere costituzionale, deve essere approvata dall’Assemblea costituente oppure dalle future Assemblee legislative con quel procedimento speciale che la Costituzione sarà per stabilire, appunto per differenziare lo leggi costituzionali dalle leggi ordinarie.

PRESIDENTE ritiene che, per predisporre un testo di legge sull’autonomia finanziaria delle Regioni, occorrerà senza dubbio un periodo di tempo assai più lungo di quello stabilito per la durata dei lavori dell’Assemblea costituente. Ciò considerato, potrebbe sorgere il timore che una legge di carattere costituzionale, quale dovrà essere quella sull’autonomia finanziaria delle Regioni, non potesse essere emanata, se dovesse esser sottoposta all’approvazione dell’Assemblea costituente. È questo senza dubbio il motivo che ha spinto l’onorevole Grieco a formulare la sua domanda. A tale proposito, crede di poter affermare che la Sottocommissione è orientata nel senso di includere nella Costituzione una norma, secondo cui la futura Assemblea legislativa potrà adottare leggi di carattere costituzionale, purché approvate con un determinato quorum. Pertanto si potrà anche avere, e sarà, senza dubbio il caso più probabile, una legge di carattere costituzionale sull’autonomia finanziaria delle Regioni approvata dalla futura Assemblea legislativa. Ciò non toglie che in un primo tempo non debbano subito essere assicurati alla Regione i mezzi finanziari con i quali possa immediatamente iniziare la sua nuova vita. Si potrebbe, ad esempio, stabilire a tale scopo che lo Stato concedesse un prestito a ciascuna Regione.

FABBRI propone di sostituire al primo comma dell’articolo in esame un altro così concepito:

«La Regione ha l’autonomia finanziaria subordinata alle leggi in materia dello Stato».

UBERTI ricorda che in seno al Comitato di redazione egli sostenne, riguardo al problema dell’autonomia finanziaria della Regione, la necessità che le Regioni non ricevessero contributi dallo Stato e che nel territorio di ciascuna Regione non fossero istituiti nuovi uffici di accertamento per le imposte. Egli propose, quindi, che le Regioni dovessero partecipare a tutte le entrate dello Stato per una percentuale da stabilirsi in ragione della quantità e qualità dei servizi trasferiti dallo Stato alle Ragioni stesse. Crede che questa sia l’unica via da seguire per garantire alle Regioni un’autonomia finanziaria, e perciò non può essere favorevole all’emendamento proposto dall’onorevole Fabbri.

AMBROSINI, Relatore, dichiara di non potere accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Fabbri, giacché l’espressione «La Regione ha l’autonomia finanziaria subordinata», ferirebbe troppo il concetto stesso dell’autonomia.

Invece che di «subordinazione», nell’articolo in esame si parla di «coordinazione»; col che si rispetta e si salvaguarda il principio dell’autonomia e si tiene contemporaneamente conto delle superiori esigenze di un raccordo con l’ordinamento tributario dello Stato e con quello dei Comuni.

Ciò consideralo, è del parere che la formula del primo comma dell’articolo 8 adottata dal Comitato dovrebbe essere mantenuta. Egualmente raccomandabile è il secondo comma che stabilisce dei limiti alla potestà di imposizione della Regione col farle divieto di istituire dazi di importazione, di esportazione o di transito tra una Regione e l’altra, e di prendere comunque provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale.

BOZZI propone di sostituire al primo comma dell’articolo 8, un altro così concepito:

«L’autonomia finanziaria della Regione sarà determinata con legge costituzionale, in coordinamento con l’autonomia finanziaria dello Stato e dei Comuni».

PERASSI propone che, al primo comma dell’articolo in esame, ne sia sostituito un altro del seguente tenore:

«Una legge di carattere costituzionale determinerà l’autonomia finanziaria della Regione, coordinandola con l’ordinamento tributario dei Comuni e dello Stato».

LUSSU dichiara che non voterà a favore degli emendamenti testé proposti perché, pur riaffermando il principio dell’autonomia finanziaria della Regione, non sono formulati con quelle espressioni di carattere semplice e generale che sono indispensabili in un testo costituzionale.

LAMI STARNUTI propone di far precedere le parole con cui ha inizio l’articolo in discussione («La Regione ha l’autonomia finanziaria») al testo dell’emendamento sostitutivo dell’onorevole Perassi.

BOZZI ritira il suo emendamento e si associa a quello dell’onorevole Perassi.

PRESIDENTE fa presente che il testo del primo comma dell’articolo 8, con l’emendamento sostitutivo Perassi e la modificazione proposta dall’onorevole Lami Starnuti, e con qualche altro lieve mutamento di forma accettato dall’onorevole Perassi stesso, risulterebbe così formulato:

«La Regione ha autonomia finanziaria. Una legge costituzionale ne determinerà i limiti, coordinandola con l’ordinamento tributario dei Comuni e dello Stato».

Lo mette in votazione.

(È approvato).

Avverte che con l’approvazione del testo degli onorevoli Perassi e Lami Starnuti, si intende decaduto l’emendamento sostitutivo dell’onorevole Fabbri.

Fa presente, poi, che resta ora da approvare il secondo comma dell’articolo 8.

MORTATI propone di sostituire al secondo comma dell’articolo in esame un altro così concepito:

«La Regione non potrà emettere nessuna misura atta ad ostacolare, anche indirettamente, la libera circolazione interregionale delle persone e delle cose».

AMBROSINI, Relatore, riconosce che la formulazione proposta dall’onorevole Mortati per il secondo comma dell’articolo 8 può essere opportuna, ma si preoccupa delle ripercussioni di carattere psicologico che potrebbero essere originate da essa. Da varie parti si teme che il potere tributario concesso alle Regioni possa creare delle interferenze fra una Regione e un’altra, o fra una Regione e lo Stato. Fu per dissipare tale timore che il Comitato adottò la disposizione del secondo comma dell’articolo 8 poco fa ricordata.

MORTATI osserva che dagli articoli precedenti già approvati dalla Sottocommissione non risulta che la Regione abbia un’autonomia normativa in materia finanziaria.

AMBROSINI, Relatore, dichiara che il potere normativo della Regione in materia finanziaria deriva dalla dizione del primo comma dell’articolo 8, e più chiaramente ancora dal secondo comma, che apporta dei limiti all’esercizio da parte della Regione del suo potere tributario.

MORTATI rileva che, poiché i limiti all’autonomia finanziaria della Regione saranno determinati da una legge di carattere costituzionale, questa legge potrebbe anche stabilire la soppressione del divieto relativo all’imposizione di dazi; ciò che contrasterebbe col disposto del secondo comma dell’articolo 8.

AMBROSINI, Relatore, osserva che la Sottocommissione ha soltanto il compito di formulare le norme della futura Costituzione, e non può porre quindi alcun limite alle facoltà del Costituente.

PRESIDENTE comunica che gli onorevoli Nobile, Grieco, Laconi e La Rocca propongono di aggiungere alla fine del secondo comma dell’articolo 8 le seguenti parole: «né, comunque, imposte, tasse dirette ad ostacolare, o che avessero l’effetto di ostacolare, l’introduzione e la vendita di merci provenienti da altre Regioni».

VANONI afferma che il dubbio accennato dall’onorevole Mortati che la Regione non abbia potestà finanziaria, perché ciò noti risulta dagli articoli 3 e 4, può essere eliminato, se si tiene conto delle osservazioni che in risposta all’onorevole Mortati ha fatto l’onorevole Ambrosini. Infatti, quando si parla di autonomia finanziaria della Regione, si riconosce senz’altro che essa ha la possibilità di regolare l’attività finanziaria nell’ambito del suo territorio. Se è vero, poi, che il legislatore con una legge di carattere costituzionale potrà fare tutto quello che crede, resta pur sempre fissato nella Costituzione il principio dell’autonomia finanziaria delle Regioni, che non potrà essere soppresso nemmeno con una legge di carattere costituzionale, per cui la Regione potrà sempre legiferare in materia finanziaria. Tutto ciò però dovrà risultare chiaramente nel testo della Costituzione.

Ora, per ciò che riguarda la formulazione del secondo comma dell’articolo 8, ritiene che sarebbe bene non far uso della parola «importazione», perché è un termine equivoco dal punto di vista tecnico-finanziario. Ciò che interessa è stabilire che non possa essere adottato da parte della Regione alcun provvedimento, né di natura fiscale né di qualsiasi altra natura, che possa creare ostacoli alla libera circolazione dei beni fra una Regione e l’altra.

Confidando che l’onorevole Mortati sia d’accordo, propone che l’emendamento da questi presentato sia approvato, non già come secondo comma dell’articolo in discussione, bensì come testo di una norma a sé stante, in modo che il disposto in essa contenuto si riferisca a qualsiasi provvedimento, non solo di carattere fiscale, che possa ostacolare le libera circolazione interregionale delle persone e delle cose. Per meglio spiegare il suo concetto, cita il caso di alcune norme, adottate in passato, per la protezione contro le malattie delle piante, con cui in realtà si stabilirono divieti di importazione di determinati prodotti agricoli. Occorre evitare che ciò possa ripetersi, visto che è sempre assai facile trovare delle giustificazioni di norme in realtà dirette ad impedire la libera circolazione delle merci.

LACONI, riferendosi a quanto ha accennato l’onorevole Vanoni a proposito della facilità con cui può essere ostacolata la libera circolazione delle merci, fa rilevare che attualmente l’Alto Commissariato della Sardegna, pur non avendo una potestà autonoma in materia finanziaria, trova il modo di impedire che determinati prodotti siano importati nell’Isola, imponendo l’obbligo di richiedere permessi di importazione, che sono concessi soltanto dietro pagamento di un dato contributo.

NOBILE crede che l’emendamento dell’onorevole Mortati possa essere accolto per le ragioni esposte dall’onorevole Vanoni. Dovrebbe però essere integrato da una disposizione che esplicitamente vietasse l’imposizione di tasse da parte delle Regioni. Difatti, con l’imposizione di una tassa di consumo su qualsiasi prodotto, si può raggiungere lo scopo di ostacolare la libera circolazione interregionale delle merci. È questa la ragione per cui egli, insieme agli onorevoli Grieco, Laconi e La Rocca, ha proposto di aggiungere alla fine dell’articolo 8 il periodo di cui il Presidente ha dato lettura.

MORTATI dichiara che lo scopo che l’onorevole Nobile si propone di raggiungere con il suo emendamento aggiuntivo è previsto anche nell’emendamento già da lui presentato, in quanto in esso si stabilisce che la Regione non potrà adottare alcun provvedimento che possa ostacolare, anche indirettamente, la libera circolazione interregionale delle persone e delle cose.

Circa poi le osservazioni fatte dall’onorevole Vanoni, fa presente che, se si vuole garantire in ogni caso la libera circolazione interregionale delle merci, occorre porre un limite anche nei confronti del potere costituente, adottando, cioè, il criterio di ritenerlo vincolato anche di fronte alla possibilità di una revisione costituzionale. Questo criterio trova delle applicazioni in varie Costituzioni, per quanto riguarda per esempio la forma dello Stato. Il caso in esame deve ritenersi appunto attinente al principio di forma complessiva dello Stato. Se si volesse raggiungere tale fine, sarebbe bene includere nel testo della Costituzione una precisa norma al riguardo, al che dichiara d’essere favorevole.

PRESIDENTE dichiara che la sua sensibilità politica gli impedisce di ammettere che nella Costituzione possa essere inclusa una norma nel senso indicato dall’onorevole Mortati.

MORTATI risponde che, da un punto di vista politico, in quanto il potere costituente è sempre in rapporto a determinate forze politiche, non può sussistere mai una garanzia assoluta che una data norma costituzionale non possa essere modificata. Tuttavia, una disposizione nel senso da lui indicato potrebbe avere un certo valore proprio da un punto di vista politico: essa porrebbe un limite inderogabile nei confronti del costituente, vietandogli di adottare, con una legge di carattere costituzionale, misure contrarie alla libera circolazione interregionale delle persone e delle cose.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che le disposizioni contenute nell’articolo in esame costituiscono una sicura garanzia per una libera circolazione interregionale. Ciò considerato, dichiara che non crede di accedere ad una norma formulata nel senso accennato dall’onorevole Mortati.

LAMI STARNUTI osserva che, con l’approvazione della proposta di emendamento fatta dall’onorevole Mortati, si stabilirebbe la illegittimità di tutti i dazi di esportazione. Deve allora richiamare l’attenzione sul comune di Carrara, il quale, valendosi del procedente costituito da un dazio stabilito a favore del comune di Lipari per l’esportazione della pomice, ottenne nel 1910 la possibilità di istituire una cosiddetta «tassa marmi» che, in realtà, non è se non un dazio di esportazione. Tale tassa fu imposta come un correttivo della situazione che si era venuta creando con l’applicazione di alcune leggi in materia di attribuzione del diritto enfiteutico di escavazione. Il comune di Carrara è infatti proprietario di tutte le zone marmifere locali, ma per due ordinanze, una di Maria Teresa e l’altra della contessa Ricciarda, esso ha l’obbligo di concedere in enfiteusi le cave di marmo, ricevendo come canone enfiteutico il prodotto del soprassuolo. Col passare del tempo, la situazione patrimoniale del comune di Carrara diventò particolarmente difficile perché, sebbene concessionario enfiteutico di cave che valevano molte centinaia di milioni, ricavava dai canoni enfiteutici una somma molto esigua, che nel 1910 non superava le cinquemila lire all’anno. E fu appunto per porre riparo a tale situazione che il comune di Carrara chiese ed ottenne l’istituzione di un dazio a suo favore sull’esportazione dei marmi. Ora, quale sarà la sorte del bilancio comunale di Carrara, se verrà approvato il principio della illegittimità di ogni dazio di esportazione? Si tratta di una questione assai grave che egli, come rappresentante della Toscana, si sente obbligato di sottoporre all’attenzione dei componenti la Sottocommissione.

VANONI rileva che in materia di dazi di esportazione non lievi sono le esigenze locali nel momento presente. Può ricordare, ad esempio, ciò che è avvenuto nelle Puglie durante il 1944-45: molti Comuni, visto che il vino si vendeva molto a buon mercato nel loro territorio ed era perciò acquistato da commercianti provenienti dal Nord che lo rivendevano poi a un prezzo assai elevato nelle regioni dell’Italia settentrionale, decisero di istituire dazi di esportazione su quel prodotto, approfittando del fatto che allora ogni Comune poteva emanare un proprio regolamento in materia.

Qualcosa di simile si è avuto in altro campo da parte di qualche Comune di montagna. I Comuni montani, infatti, considerano quasi sempre come un grave danno la costruzione di grandi impianti idroelettrici nel proprio territorio, perché ciò implica per l’economia locale una perdita di superficie coltivabile e un danneggiamento al sistema di irrigazione; e perciò hanno chiesto e chiedono di essere autorizzati a istituire, a compenso dei danni subiti, un dazio sulla esportazione di energia elettrica.

Ma la via giusta non è quella di imporre tributi sulla produzione, bensì quella di rivalutare i canoni che i concessionari debbono pagare per lo sfruttamento delle energie locali.

Un altro esempio è dato dalla campagna che attualmente si sta conducendo in Sicilia per un dazio di esportazione sullo zolfo. Ma, se venisse imposto anche un lievissimo dazio di esportazione sullo zolfo siciliano, il nostro Paese avrebbe assai più convenienza ad importare lo zolfo dall’America che ad usare quello siciliano.

Bisogna quindi assolutamente evitare di istituire dazi di esportazione, perché altrimenti si creano numerosi compartimenti stagni nell’economia del Paese, con gravissimo danno per la Nazione. La questione accennata dall’onorevole Lami Starnuti può risolversi soltanto rivalutando i canoni enfiteutici a favore del comune di Carrara. I dazi di esportazione nel campo internazionale sono applicati soltanto per pochissime materie e sarebbe davvero un assurdo se dovessero essere istituiti nell’ambito delle Regioni e dei Comuni.

PRESIDENTE avverto che il testo dell’emendamento proposto dall’onorevole Mortati, in sostituzione del secondo comma dell’articolo 8, per alcune modificazioni apportatevi dallo stesso onorevole Mortati, risulta così concepito:

«La Regione non potrà adottare alcun provvedimento che possa ostacolare, anche indirettamente, la libera circolazione delle persone e delle cose».

NOBILE ritira la sua proposta di emendamento, dichiarando di essere favorevole all’emendamento dell’onorevole Mortati dopo aver udito le spiegazioni che intorno ad esso ha dato lo stesso proponente.

PRESIDENTE mette ai voti il 2° comma dell’articolo 8 nella formulazione Mortati di cui ha dato lettura.

(È approvato).

Comunica che gli onorevoli Tosato, Fuschini, Mortati e Bozzi propongono di aggiungere al testo ora approvato dell’articolo 8 un altro comma così concepito:

«La Regione ha un proprio demanio e un proprio patrimonio, secondo le modalità che saranno stabilite da legge costituzionale».

Lo mette in votazione.

(È approvato).

Avverte che l’articolo 8 testé approvato resta così definitivamente formulato:

«La Regione ha autonomia finanziaria. Una legge costituzionale ne determinerà i limiti, coordinandola con l’ordinamento tributario dei comuni e dello Stato.

«La Regione non potrà adottare alcun provvedimento che possa ostacolare, anche indirettamente, la libera circolazione delle persone e delle cose.

«La Regione ha un proprio demanio e un proprio patrimonio, secondo lo modalità che saranno stabilite da legge costituzionale».

Sui lavori della Sottocommissione.

PRESIDENTE sono in discussione il modo di attuare la deliberazione approvata nell’ultima riunione della Commissione plenaria circa la suddivisione della Sottocommissione in due sezioni, una indipendente dall’altra, in quanto ciascuna presenterà il risultato dei propri lavori direttamente alla Commissione.

FUSCHINI propone che la discussione del progetto sulle autonomie locali continui ad essere fatta in seno all’intera Sottocommissione.

AMBROSINl e LEONE GIOVANNI si associano alla proposta dell’onorevole Fuschini.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Fuschini.

(È approvata).

Avverte che per la suddivisione in due Sezioni della Sottocommissione si dovrà badare non solo all’esigenza che ciascuna di esse rispecchi, entro certi limiti, la struttura politica della Sottocommissione, che è quella della Commissione e della stessa Assemblea costituente, ma anche a quella della specializzazione della materia. Difatti alla prima Sezione sarà affidato l’esame del potere esecutivo, mentre alla seconda quello del potere giudiziario. Insieme al Presidente della Commissione, ha cercato di fare una prima elencazione dei colleghi che dovrebbero essere destinati a ciascuna delle due Sezioni; ma è inteso che i colleghi hanno facoltà di optare per l’una o l’altra Sezione. Alla prima dovrebbero essere assegnati gli onorevoli Ambrosini, Bordon, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Einaudi, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Piccioni, Targetti, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini e Terracini; alla seconda, gli onorevoli Bocconi, Bozzi, Calamandrei, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Laconi, Leone, Mannironi, Patricolo, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo e Perassi.

MORTATI crede che la discussione sull’istituzione della Corte Suprema costituzionale potrebbe essere abbinata a quella sul potere giudiziario.

CALAMANDREI osserva che, in certi casi, dovrebbe essere consentito ai membri di una Sezione di partecipare ai lavori dell’altra, secondo quanto fu proposto e approvato relativamente ai rapporti fra le Sottocommissioni, ciò che però non ebbe mai pratica attuazione.

BOZZI accetta di far parte della seconda Sezione, dichiarando però che preferirebbe rimanere nel Comitato di coordinamento.

CONTI fa presento che nel periodo in cui la Sottocommissione continuerà ad esaminare la questione delle autonomie locali, le due Sezioni per il potere legislativo e per il potere esecutivo potrebbero completare i loro lavori e nel frattempo potrebbe iniziare i suoi lavori il Comitato di coordinamento e così si usufruirebbe ancora dell’opera dell’onorevole Bozzi che fa parte del Comitato anzidetto.

VANONI desidera sapere a quale Sezione sarà affidata la materia del bilancio c dei controlli sulle spese pubbliche.

MORTATI crede che la materia a cui ha accennato l’onorevole Vanoni potrebbe essere attribuita alla prima Sezione.

VANONI fa presente che nella materia anzidetta, se affidata all’esame della prima Sezione, non si avrebbe la collaborazione dell’onorevole Bozzi; il che non gli sembra opportuno.

PRESIDENTE osserva che inevitabilmente, con la suddivisione della Sottocommissione in due Sezioni, avverrà sulle prime un qualche turbamento dell’abituale partecipazione dei vari colleghi ai lavori della Sottocommissione stessa; ma crede che si potrà riparare con una riunione comune, al momento opportuno, delle due Sezioni, come già è avvenuto per la prima e la terza Sottocommissione.

PICCIONI propone che, prima della prossima riunione della Sottocommissione, si rimetta ad ogni componente la Sottocommissione un prospetto dei membri destinati all’una e all’altra Sezione e della ripartizione delle materie.

PRESIDENTE avverte che un prospetto nel senso indicato dall’onorevole Piccioni non è stato fatto perché per la sua compilazione si desiderava avere la collaborazione di tutti i componenti la Sottocommissione.

FABBRI e PERASSI desidererebbero far parte della prima Sezione.

PICCIONI propone, per conto dei rappresentanti del suo gruppo, che alla seconda Sezione siano assegnati gli onorevoli Bulloni, Cappi, Leone, Mannironi e uno dei due costituzionalisti, o l’onorevole Ambrosini o l’onorevole Mortati, sempre se i membri della seconda Sezione dovranno in tutto essere 14.

CONTI fa presente che, a cura della Presidenza della Sottocommissione, d’accordo con quella della Commissione, dovrebbe essere predisposto, oltre al prospetto accennato dall’onorevole Piccioni, anche un calendario dei lavori.

PRESIDENTE pensa che sia meglio lasciare alle due Sezioni completa autonomia, tanto più che esse dovranno rispondere direttamente alla Commissione.

TARGETTI desidererebbe far parte della seconda Sezione. Il suo posto nella prima potrebbe essere preso dall’onorevole Rossi.

PRESIDENTE invita i rappresentanti degli altri gruppi a presentare in giornata le loro proposte alla Presidenza della Commissione.

La seduta termina alle 11.45.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni e Zuccarini.

Assenti: Bordon, Castiglia, Einaudi, Farini, Finocchiaro Aprile, Mannironi, Patricolo e Porzio.

MARTEDÌ 26 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

53.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 26 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Nobile – Conti – Mortati – Mannironi – Ambrosini, Relatore – Lussu – Tosato – Calamandrei – Perassi – Bozzi – Fabbri – Uberti – Laconi – Cappi – Fuschini – Grieco – Codacci Pisanelli.

La seduta comincia alle 16.30.

 

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE ricorda che nella riunione precedente si decise l’inclusione nell’articolo 4 delle «tranvie», ma non si pervenne alla votazione su di un’altra materia proposta dall’onorevole Conti: «linee regionali automobilistiche».

NOBILE premette che le sue considerazioni si attagliano anche alle tranvie, il che potrebbe forse consigliare un ritorno sulla decisione già presa al riguardo, ad evitare un eventuale contrasto tra il criterio seguito per le linee automobilistiche e quello seguito per le tranvie.

Rileva che le leggi attualmente esistenti per i servizi del genere contengono prescrizioni di carattere tecnico rivolte, per lo più, a garantire la sicurezza dell’esercizio. Così, ad esempio, la legge sulle tranvie prescrive che la distanza fra la parte più sporgente della vettura e l’ostacolo più vicino alla linea non deve essere inferiore agli 80 centimetri. È evidente che almeno per gli aspetti tecnici della materia si impone una regolamentazione uniforme, e non è possibile che si abbiano ordinamenti differenti da una Regione all’altra. Non può togliersi allo Stato la possibilità di un controllo tecnico, sia sulla costruzione che sull’esercizio di questi mezzi di trasporto, e pertanto conclude prospettando l’opportunità di rinviare le tranvie e le linee automobilistiche regionali all’articolo 4-bis.

CONTI obietta che la riforma deve rispondere all’aspirazione di organizzare la Regione nel miglior modo possibile, con i suoi servizi, i suoi mezzi di trasporto e tutto ciò che può rendere agevole lo sviluppo della vita agricola, commerciale, industriale e artigiana.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Conti di includere, tra le materie dell’articolo 4, le «linee automobilistiche regionali».

(È approvata).

MORTATI esprime l’avviso che la disciplina degli approdi e darsene debba essere assimilata a quella dei porti e propone di includere nell’articolo 4: «approdi e darsene, in quanto non interessino la difesa nazionale o la sicurezza della navigazione marittima in generale».

PRESIDENTE, dopo aver rilevato che per il momento si è prevista soltanto l’inclusione nell’articolo 3 dei «porti lacuali», fa rilevare che la questione può lasciarsi in sospeso, per essere ripresa in esame in sedo di coordinamento.

(Così rimane stabilito).

MANNIRONI propone di includere ancora: «usi civici ed espropriazioni por pubblica utilità».

AMBROSINI, Relatore, ritiene non sia opportuno accennare agli usi civici, in quanto la legislazione vigente è intesa ad affrettarne la liquidazione definitiva.

LUSSU si dichiara favorevole all’inclusione nell’articolo in esame di queste due materie, che involgono interessi puramente locali.

PRESIDENTE, circa la liquidazione degli usi civici, afferma che una direttiva legislativa nel senso accennato dal Relatore non potrebbe essere approvata, perché gli usi civici rappresentano un grande vantaggio, particolarmente per le popolazioni povere di talune zone. Non può non considerarsi come antipopolare una legislazione che trasformi gli usi civici in proprietà privata, laddove si dovrebbe invece tendere a ricostituirli.

TOSATO osserva che la materia dell’espropriazione per pubblica utilità è molto delicata, perché connessa con i principî costituzionali sulla proprietà privata. Personalmente ritiene che per essa si richieda una legislazione uniforme da parte dello Stato, e considererebbe, quindi, ammissibile una competenza della Regione, non in sede legislativa, ma solo agli effetti della dichiarazione di pubblica utilità.

CONTI conviene col Presidente nel disapprovare la legislazione sugli usi civici di cui ha fatto cenno l’onorevole Ambrosini, e vi scorge una riprova della prepotenza, del fascismo, che ha introdotto limitazioni nell’esercizio di detti usi a favore dei proprietari, con danno rilevante delle popolazioni bisognose. Rilevato che la questione è ignorata nelle regioni dell’Italia settentrionale ma sentita, e in parte insoluta, nel Lazio e in molte regioni del meridione, e che è connessa col problema agrario, propone di riunire nell’articolo 4 gli usi civici alla voce «agricoltura», affermando, nel contempo, il diritto delle popolazioni ad essere reintegrate di quanto è stato loro rapinato dal regime fascista.

CALAMANDREI segnala che la prima legge per la liquidazione degli usi civici è prefascista.

AMBROSINI, Relatore, accenna ai poteri dei Commissari ripartitori e precisa che gli appelli avverso le loro decisioni sono devoluti non alle singole Corti di Appello, ma ad una speciale sezione della Corte d’Appello di Roma.

CALAMANDREI, riprendendo il suo dire, osserva che gli usi civici sono un istituto di carattere storico, e precisamente il residuato di alcuni diritti dei cittadini di determinale zone a far legna, raccogliere erbe, ecc. Ad un certo momento taluni usi civici sono stati liquidati nel senso che le terre ne furono liberate e attribuite in piena proprietà. Non si può dire tuttavia che la liquidazione sia avvenuta soltanto a vantaggio dei proprietari, perché talvolta essi hanno finito col perdere la proprietà.

Qualunque sia l’indirizzo politico che ha ispirato la liquidazione degli usi civici, certo è che essa è avvenuta attraverso provvedimenti giurisdizionali, cioè, sentenze passate in giudicato. Si domanda quindi se la legislazione in materia dovrebbe limitarsi agli usi civici ancora esistenti o arrivare fino ad annullare le pronunzie già avvenute; perché, se si pensasse di togliere, con una legge, efficacia ad un giudicato, indubbiamente la competenza ad emanarla non potrebbe essere della Regione, ma unicamente dello Stato.

AMBROSINI, Relatore, ricorda che il problema degli usi civici in Italia, specie nelle provincie meridionali, ha dato luogo a liti lunghe e costosissime per molti Comuni, fin dall’epoca in cui, con l’abolizione della feudalità, venne disposto lo scioglimento dei diritti promiscui, che sullo stesso terreno erano esercitati dal proprietario e dalle popolazioni del Comune nella cui circoscrizione territoriale era sito il terreno in questione. La definizione delle liti si presentava difficile, non solo riguardo al riconoscimento generico del diritti dei comunisti, il cui titolo all’esercizio degli usi civici risaliva a qualche secolo addietro o risultava a volte da una presunzione, ma anche rispetto alla quota parte del terreno da distaccare in loro favore dal complesso del fondo. Ed è per ciò che si ebbe la preoccupazione continua di arrivare alla definizione delle controversie giudiziarie, col semplificare ed abbreviare le relative procedure. La materia dal contendere si avvia, quindi, ad esaurirsi. Resta la questione della destinazione della parte dei fondi distaccata dal complesso originario ed assegnata ai Comuni come compenso proporzionato alla entità degli usi civici che spettavano alla popolazione. Tale parte potrebbe essere lottizzata, o lasciata in uso comune, o venduta. In proposito potrebbe essere utile attribuire la materia alla potestà di legislazione integrativa delle Regioni.

PRESIDENTE osserva che, dal momento che il problema degli usi civici è ancora vivo, e vi saranno ancora per decine di anni giudizi del genere pendenti davanti ai tribunali, se si ammettesse una facoltà legislativa delle Regioni sulla materia, si consentirebbe proprio ai ceti degli espropriatori – poiché essi avrebbero almeno nei primi tempi il predominio nelle Assemblee regionali – di ancor maggiormente consolidare gli atti arbitrari che hanno fin qui compiuto. Ed è per questo che ritiene che si debba lasciare la competenza in materia allo Stato, il quale non ha un diretto interesse ad assicurare ai proprietari i beni che hanno usurpato, e dà la garanzia che le popolazioni più povere siano tutelate nei loro diritti.

Pone ai voti l’inclusione nell’articolo 4 degli «usi civici».

(Non è approvata).

Pone in votazione l’inclusione nello stesso articolo della «espropriazione per causa di pubblica utilità».

(Non è approvata).

NOBILE, premesso che molti dei problemi agitati hanno un carattere squisitamente tecnico e quindi i tecnici hanno da dire la loro parola al riguardo, rileva – allo scopo di mettere in evidenza ancora una volta l’inopportunità delle elencazioni fatte negli articoli in discussione – che, mentre nell’articolo 4 sono state incluse, contrariamente al suo parere, le tranvie e le linee automobilistiche, se ne trovano invece esclusi altri mezzi di trasporto che pure sono caratteristicamente di interesse locale, quali le funivie, le slittovie, le sciovie, ccc.

CONTI, raccogliendo l’osservazione dell’onorevole Nobile, propone di includere tra le materie dell’articolo 4 anche le funivie, sciovie e slittovie.

PRESIDENTE prospetta l’opportunità di trovare una formula riassuntiva, come ad esempio: «mezzi di comunicazione di interesse locale», ovvero «servizi pubblici a trazione meccanica», ed osserva che a questo potrà provvedersi in sede di coordinamento.

(Così rimane stabilito).

PERASSI, avendo rilevato da una raccolta di leggi l’esistenza di un provvedimento, 24 aprile 1941, per la disciplina delle biblioteche dei Comuni capoluoghi di Provincia, propone di lasciare la competenza legislativa in questa materia alle Regioni, aggiungendo all’articolo 4 la voce: «biblioteche di enti locali».

LUSSU si associa.

MORTATI consiglia una formula più generica, come, ad esempio: «attività culturali».

PRESIDENTE trova l’espressione troppo vasta e pone ai voti la proposta dell’onorevole Perassi: «biblioteche di enti locali».

(È approvata).

MORTATI ricorda che, nel suo schema dell’articolo 4 seguiva, all’elencazione delle materie, un comma così concepito:

«La legge direttiva potrà fissare un congruo termine per l’emanazione delle norme di svolgimento affidate alle Regioni. In caso di mancata osservanza del termine potrà essere provveduto con legge dello Stato».

Con questa formula – che gli è stata suggerita da un’osservazione dell’onorevole Calamandrei – intendeva prevedere forse l’unica ipotesi di quello che solo impropriamente si potrebbe chiamare conflitto negativo. Un vero conflitto di questo genere non è configurabile fra organi legislativi primari, pei quali non sussiste un obbligo di agire. Invece può presentarsi opportuno prevedere il caso di inerzia della Regione in una materia, per la quale siano state emesse dallo Stato delle direttive. Evidentemente, se lo Stato emana delle norme primarie, lo fa in quanto ha interesse a che una data materia sia disciplinata ed è logico che, mancando l’attività legislativa regionale, lo Stato stesso se ne impossessi.

Avverte comunque che per il momento non intende insistere sulla sua proposta.

CALAMANDREI aggiunge che non è da escludere la possibilità di un conflitto negativo di legislazione, parallelo al conflitto negativo di giurisdizione previsto nel nostro diritto. Può darsi, ad esempio, che l’organo legislativo regionale approvi un voto sull’opportunità di disciplinare una data materia, ma nello stesso tempo ritenga che la competenza al riguardo sia dello Stato e questo a sua volta ritenga che la competenza invece appartenga alla Regione.

Per prevedere l’ipotesi, per quanto possa essere rara, a verificarsi, ha predisposto una formula che si riferisce in modo specifico all’articolo 12. Pertanto ritiene che la questione potrebbe essere rinviata nella sede.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE apre la discussione sulle materie da includere nell’articolo 4-bis, ricordando che in una precedente riunione si è prospettala l’opportunità di modificare il primo comma, già approvato, nel modo seguente: «Spetta alla Regione il potere di integrazione e regolamentare nelle seguenti materie: … (segue l’elencazione), e in quelle altre che potranno essere stabilite dalla legge, in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato».

AMBROSINI, Relatore, si dichiara favorevole al mantenimento di una potestà legislativa di integrazione, che ritiene debba costituire la parte fondamentale della funzione legislativa della Regione. Non crede però che le due potestà – di integrazione e regolamentare – possano essere assimilate, così come avverrebbe nella formula proposta.

Ricorda quanto ebbe a rilevare altra volta circa il sistema combinato dell’articolo 3 con il capoverso dell’articolo 8 e con l’articolo 12, e fa presente che nel capoverso dell’articolo 8, laddove si afferma che «non potranno essere istituiti dazi di importazione, di esportazione o di transito tra una Regione e l’altra, né essere presi provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale», può ritenersi configurata una norma di integrazione. Riafferma l’esigenza di riguardare la potestà legislativa di integrazione come istituto giuridico a sé stante.

Per quanto si riferisce al potere regolamentare, ricorda che nell’originario progetto egli aveva trattato la materia nel capoverso dell’articolo 11, ma che gli altri membri del Comitato considerarono superflua la disposizione.

MORTATI chiarisce che l’articolo 4-bis si riferisce al potere regolamentare nei confronti di leggi dello Stato e non ad un potere regolamentare autonomo, onde la necessità di un’esplicita disciplina, in sede costituzionale, quando lo si voglia conferire in una sfera diversa da quella per cui è affidato alla Regione il potere di emettere norme primarie.

AMBROSINI, Relatore, ripete che non sarebbe necessario parlare della potestà regolamentare, perché questa è compresa, come il meno nel più, nella potestà legislativa di integrazione.

PERASSI concorda con l’onorevole Ambrosini e sottolinea l’importanza di questo articolo nel sistema allo studio. La Regione esplicherà in concreto la sua particolare attività legislativa attraverso la legislazione di integrazione. È evidente che la potestà regolamentare, in quanto è connessa a quella di integrazione, in un certo senso è assorbita. Viceversa non è da escludersi l’altra ipotesi, e cioè, che lo Stato emani una legge e si limiti ad attribuire alle Regioni la competenza ad emanare il relativo regolamento.

Per quanto riguarda la potestà di integrazione, rileva che essa può presentarsi sotto diversi aspetti. Ad esempio, può anche darsi che lo Stato emani una legge nella quale disponga che certe norme in essa contenute valgono, «salve diverse disposizioni delle Regioni»; in altri termini, lo Stato può emanare delle nonne giuridiche, valevoli fino a quando le Regioni non abbiano esercitato la loro potestà di integrazione.

Soprattutto trova importante l’aggiunta: «e in quelle altre che potranno essere stabilite dalla legge, in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato», coi cui l’elencazione rimane aperta.

MORTATI non condivide l’opinione, sostenuta da taluni, che si possa fare a meno di una espressa disciplina del potere regolamentare. Poiché tale potere spetta a chi ha la competenza di emanare la legge, il conferirlo ad un altro organo costituisce una deroga al principio generale; onde, nel silenzio della Costituzione, sarebbe preclusa alla Regione la facoltà di emanare delle norme regolamentari riguardanti una legge dello Stato.

Circa la distinzione fra norme di integrazione e norme regolamentari, rileva che essa può essere intesa in senso puramente quantitativo, dipendendo dall’ampiezza dello spazio lasciato in bianco dalla normazione statale la entità del potere della Regione. Ma, come tale, la distinzione non presenta alcun rilievo. Invece una differenza qualitativa sorge quando la legge dello Stato consente alla Regione un ampliamento della sfera dalla sua normale competenza. In questo caso però, più che di potere di integrazione, si dovrebbe parlare di potere delegato. Ritiene che, anziché attardarsi nella questione terminologica, sia opportuno stabilire se alla Regione si vuole concedere il potere di oltrepassare il limite regolamentare, affidandole una competenza per cui possa, ad esempio, sancire pene che non siano contemplate nelle leggi dello Stato. Su ciò desidera richiamare l’attenzione della Sottocommissione perché, ove nella potestà integrativa si volesse far rientrare anche questa competenza di deroga al principio della statalità delle leggi in materia finanziaria o penale, bisognerebbe dirlo espressamente nella Costituzione.

TOSATO è d’accordo con l’onorevole Mortati nel ritenere che, se si vuole riconoscere alla Regione il potere di emanare regolamenti in materia disciplinata da leggi dello Stato, bisogna che tale potere sia consacrato nella Costituzione.

Per quanto riguarda la potestà di integrazione – a parte le riserve che ha avuto occasione di fare in una seduta precedente, nel senso che non vede ben chiara la distinzione fra potestà di integrazione e potestà di regolamentazione – rileva che dall’emendamento non risulta se si tratti di un potere regolamentare o di un potere legislativo.

PEPASSI chiarisce che trattasi di un potere legislativo.

TOSATO in questo caso non approva la formulazione, perché può ammettere che lo Stato attribuisca di volta in volta alla Regione una facoltà regolamentare più ampia di quella comune, ma troverebbe eccessivo concedere un potere di integrazione senza determinazione di materia o con una indicazione generica.

Comunque, se questo potere d’integrazione deve essere inteso come un potere legislativo, osserva che non può essere contemplato nella stessa disposizione e posto sullo stesso piano con un potere regolamentare. Se, invece – come ritiene più opportuno – si volesse accennare ad un potere di integrazione come ad un potere regolamentare più ampio di quello comune, bisognerebbe specificarlo in modo evidente.

BOZZI premette che, vedendo abbinata nell’articolo 4-bis la potestà di integrazione a quella di regolamentazione, aveva creduto che con la prima si intendesse un potere regolamentare più vasto. Dai chiarimenti dell’onorevole Mortati ha invece appreso che per norme integrative devono intendersi delle leggi vere e proprie – che possono derogare ai principî comuni a tutte le norme regolamentari, anche indipendenti – e cioè una specie di regolamenti delegati.

Rileva che, mettendo insieme due tipi di norme che hanno una efficacia diversa, si potrebbe determinare confusione. Per questa ragione ritiene che una potestà legislativa come quella in parola dovrebbe trovare la sua collocazione nell’articolo 4, e che occorra decidere se concepire anche una potestà legislativa di integrazione della Regione, o solo una potestà regolamentare a complemento del sistema già approvato.

AMBROSINI, Relatore, conviene che sia inopportuno riunire le due potestà nello stesso articolo. Quanto al potere legislativo di integrazione, informa che era stato concepito dal Comitato come un vero e proprio potere legislativo. Non approva, per le ragioni dette avanti, che venga ridotto od assimilato al potere regolamentare.

PERASSI crede opportuno chiarire che nell’articolo 4-bis, con la espressione «potere di integrazione», si in tende configurare una potestà legislativa. A marcare più nettamente questo concetto, esprime l’avviso che convenga non parlare contemporaneamente della potestà regolamentare, che potrà trovare la sua sede in altro articolo. Piuttosto ritiene necessario precisare che tale potestà di integrazione deve svolgersi entro i limiti indicali nell’articolo 3.

MORTATI ribadisce quanto ha già osservato, che uno dei punti più importanti da discutere è se il potere regolamentare della Regione debba essere contenuto nei limiti generali del potere regolamentare, e, quindi, non possa derogare alle leggi dello Stato, modificare pene, introdurre tributi, obblighi di servizio militare, ecc. Dal mantenimento, o meno, della potestà legislativa della Regione in questi limiti generali dipende la utilità e la possibilità pratica di distinguere le norme integrative dalle norme regolamentari.

FABBRI esprime l’avviso che la facoltà di integrazione abbia un netto carattere legislativo e quindi non possa essere associata con la facoltà regolamentare. Aggiunge che essa non può considerarsi superflua, bensì essenziale per la Regione e suscettibile di grandi sviluppi, sì che potrà spesso verificarsi l’ipotesi accennata dall’onorevole Perassi, che lo Stato nelle sue leggi usi l’espressione «salva diversa volontà espressa dalle Regioni».

Ma, poiché ritiene sia una palese discordanza il voler creare una facoltà nell’articolo 4, (contenuta nell’ambito di principî generali, ma che è indiscutibilmente di integrazione) e nell’articolo 4-bis un’altra facoltà della stessa natura e differenziata solo per l’estensione, sarebbe dell’opinione di fondere l’articolo 4 col 4-bis fermo rimanendo il principio dell’articolo 3 (legislazione esclusiva).

UBERTI si sorprende che si possa pensare di abolire il potere di integrazione per ridurlo soltanto ad un potere regolamentare. Ricorda che molte materie che si volevano includere nell’articolo 4 sono state rinviate al 4-bis, e potrebbero finire per essere sottratte alla potestà legislativa della Regione.

Insiste quindi per il mantenimento dell’articolo 4-bis nell’ultima forma proposta.

AMBROSINI, Relatore, asserisce che tutti gli inconvenienti segnalati, e le diverse formulazioni dell’articolo 4, sono una conseguenza della interpretazione che è stata data all’articolo 3; interpretazione che non corrisponde alle intenzioni, né del proponente, né del Comitato. Dichiara che nell’intendimento suo e di altri colleghi del Comitato, l’articolo 3 non deve essere inteso come consacrante un sistema di legislazione esclusiva.

PRESIDENTE riepilogando, fa presente che sull’articolo 4-bis sono state avanzate più proposte.

Una è dell’onorevole Fabbri, il quale auspica la fusione degli articoli 4 e 4-bis, ma, poiché l’articolo 4-bis trae la sua ragione d’essere da una esigenza avvertita dalla maggioranza, non crede sia il caso di metterla ai voti.

FABBRI si riserva di presentarla in altra sede.

PRESIDENTE, continuando la sua esposizione, ricorda che una seconda proposta vorrebbe fosse precisato che il potere di integrazione ha un carattere legislativo; dal che conseguirebbe la necessità di redigere un ulteriore articolo, di modo che nell’articolo 4-bis potrebbero figurare le materie per le quali si riconosce alla Regione la facoltà legislativa di integrazione, e in un articolo 4-ter figurerebbero quelle per cui le leggi dello Stato delegassero alle Regioni il potere regolamentare.

LACONI fa notare che, ora che si è giunti alla conclusione della discussione, ci si rende maggiormente conto della inconciliabilità dei due punti di vista: quello dell’onorevole Mortati, secondo cui alla Regione dovrebbero essere attribuite una legislazione esclusiva, una concorrente ed una regolamentare; e l’altro, secondo cui dovrebbe invece consacrarsi nella Costituzione una legislazione primaria della Regione, nell’ambito dei principî fissati dallo Stato, ed una regolamentare. Le due tesi hanno condotto a dei compromessi e ad una diversità nell’interpretazione dell’articolo 3, che fanno periodicamente e inevitabilmente riaffiorare i dissensi. Ora che dalla discussione emerge l’insostenibilità del compromesso, dichiara di non poter dare la sua adesione al sistema in esame e, mentre si riserva di portare la questione in altra sede, si asterrà dal partecipare alla votazione.

MORTATI replica che un articolo non può essere volato affidandosi all’interpretazione di chi l’ha redatto. Le disposizioni di legge s’interpretano obiettivamente, prescindendo dalle opinioni personali di coloro che le hanno formulate e l’interpretazione dell’articolo 3 del progetto, eseguita secondo tale criterio, conduce, contrariamente a quanto ha affermato il Relatore, a ritenere proprio della Regione una potestà legislativa esclusiva.

PRESIDENTE osserva che da tutta la discussione balza chiaro che la maggioranza della Sottocommissione ritiene che non vi sia materia che debba sfuggire ad una certa competenza della Regione, ed è soltanto necessario diversificare il grado di competenza a seconda delle materie. Ciò non toglie che la minoranza che è di contrario avviso, possa ripresentare la questione in sede di Commissione plenaria o di Assemblea Costituente, contrapponendosi alla volontà della maggioranza.

Pone pertanto ai voti la proposta di considerare il potere di integrazione e quello regolamentare come due distinti poteri attribuiti alla Regione.

MORTATI dichiara di votare favorevolmente, in quanto, nell’approvazione dell’articolo 4, si presupponeva l’esistenza di un articolo 4-bis concernente la potestà di integrazione.

(È approvata).

PRESIDENTE! pone ai voti la proposta di meglio qualificare il potere di integrazione, usando l’espressione: «potere legislativo di integrazione».

(È approvata).

Annuncia che, in seguito all’esito della votazione, la prima parte dell’articolo 4-bis risulta così concepita:

«Spetta alla Regione il potere legislativo di integrazione nelle seguenti materie».

Mette quindi in votazione l’inclusione nell’articolo in esame delle materie: «Industria e commercio».

(È approvata).

«Acque pubbliche».

(Non è approvata).

«Miniere».

(È approvata).

«Istruzione elementare».

CAPPI dichiara che voterà in favore, riservandosi però di proporre in altra sede il passaggio dell’istruzione elementare all’articolo 4.

(È approvata).

PRESIDENTE. Mette in votazione le altre voci: «Istruzione media».

(È approvata).

«Disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio».

(È approvata).

«Navigazione interna».

(È approvata).

«Igiene e sanità pubblica».

(È approvata).

Avverte che, esaurita l’elencazione delle materie, resterebbe da votare la formula proposta dall’onorevole Mortati nel suo originario articolo 4-bis: «e in quelle altre che potranno essere stabilite dalla legge in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato».

MORTATI ritira la sua proposta, che riguardava in modo particolare il potere regolamentare.

AMBROSINI, Relatore, insiste perché sia lasciata al legislatore la possibilità di fare questa delega alla Regione, nonostante l’obiezione dell’onorevole Mortati, che la Sottocommissione è stata quanto mai restia ad ammettere qualsiasi delega al potere esecutivo. Ritiene che non bisogna avere verso il legislatore a venire quella diffidenza preconcetta che è affiorata in alcune discussioni, il legislatore futuro sarà sempre l’espressione della volontà popolare. Non si dovrebbe, quindi, precludergli la possibilità, quando ritenga che sopravvenute necessità possano consigliare la delega legislativa alla Regione, di provvedere in questo senso, senza dover ricorrere al complesso meccanismo per la riforma di una norma costituzionale. Ritiene perciò che sia da preferire la formula del Comitato a quella dell’onorevole Mortati, che contiene la limitazione: «in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato».

PERASSI concorda.

NOBILE dichiara di preferire la formula Mortati.

PRESIDENTE pone ai voti l’aggiunta all’articolo 4-bis dell’espressione: «e in tutte le altre materie indicate da leggi speciali».

(È approvata).

PERASSI propone la seguente formulazione dell’articolo 4-ter:

«Le leggi dello Stato possono demandare alle Regioni il potere di emanare norme regolamentari per la loro esecuzione».

PRESIDENTE la pone ai voti.

AMBROSINI, Relatore, dichiara che voterà in favore, per quanto ritenga la norma superflua ed il potere in parola già compreso in quello concesso con l’articolo 4-bis.

(È approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 5 del progetto:

«Compete alla Regione la facoltà di proporre disegni di legge al Parlamento Nazionale.

«Il parere della Regione sarà richiesto dal Governo o dal Parlamento quando si tratti di provvedimenti o disegni di legge che la interessino particolarmente».

FUSCHINI nota che non è ben chiaro il significalo delia parola «provvedimene», la quale evidentemente è riferita al Governo, così come l’espressione «disegni di legge» è riferita al Parlamento.

PRESIDENTE osserva che, considerata la quantità di materie deferite alla potestà legislativa della Regione, è pressoché da escludere che al Governo resti un campo nel quale possa emanare provvedimenti di carattere amministrativo (poiché indubbiamente si allude a questo). Crede pertanto che si potrebbe sopprimere la parola «provvedimenti».

LUSSU è contrario alla soppressione, che lascerebbe al Governo la possibilità di prendere provvedimenti interessanti la Regione – ad esempio, provvedimenti di polizia – senza interpellarla.

FABBRI propone la soppressione del secondo comma, rilevando che, a far sentire il parere della Regione sui disegni di legge che la interessino, provvederanno i membri del Parlamento e particolarmente quelli della seconda Camera, che hanno appunto il mandato di rappresentarla. Quanto ai provvedimenti in materie di esclusiva competenza del Governo, non è pensabile che questo debba, prima di adottarli, richiedere il parere della Regione.

BOZZI si associa ed aggiunge che la formula è tanto più grave in quanto la richiesta di parere sarebbe obbligatoria.

AMBROSINI, Relatore, preferirebbe mantenere la disposizione, attenuandola, nel senso di dire «può essere richiesto».

CONTI si dichiara favorevole alla soppressione.

GRIECO vi è pure favorevole in quanto ritiene che l’obbligo che si sancisce possa disturbare i rapporti tra la Regione e il Governo, il quale, d’altro canto, non mancherà il consultare la Regione anche in assenza di una norma costituzionale di tal genere.

PRESIDENTE pone ai voti il primo comma dell’articolo 5.

(È approvato).

Pone in votazione la soppressione del secondo comma.

(È approvata).

Apre la discussione sull’articolo 6:

«Spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie di propria competenza legislativa ed in quelle altre malarie che sono di competenza dello Stato, e che lo Stato affidi ad essa per l’esecuzione, in conformità ad un principio di largo decentramento che sarà particolarmente le determinato dalla legge».

FABBRI propone di sostituire alle parole «nelle materie di propria competenza legislativa» le altre: «nella sfera della propria competenza legislativa» e di sopprimere l’ultima frase: «in conformità ad un principio di largo decentramento che sarà particolarmente determinato dalla legge».

MORTATI è contrario alla soppressione, ritenendo opportuno affermare solennemente che la costituzione dell’ente Regione ha come suo scopo principale il decentramento. Aggiungerebbe, anzi, un inciso del seguente tenore: «che troverà la sua attuazione all’atto stesso della costituzione della Regione».

Ricorda di aver già proposto, nella prima fase dei lavori, di approntare le misure atte ad ottenere che fin dalla sua prima formazione la Regione possa cominciare ad assorbire compiti attualmente dello Stato.

NOBILE concorda pienamente con l’onorevole Mortati.

FUSCHINI crede utile riconfermare il concetto di decentramento, per quanto possa desumersi da tutto il complesso di norme che costituiscono la riforma dell’ordinamento regionale. Piuttosto all’aggettivo «largo», ne sostituirebbe un altro che meglio specificasse qual genere di decentramento si intenda attuare; e sopprimerebbe l’avverbio «particolarmente» che trova superfluo.

BOZZI osserva che nella disposizione in esame si parla di materie di «propria competenza legislativa»; ma la competenza stessa, secondo il sistema approvato, è di varia natura. Crede pertanto sia da preferire un richiamo agli articoli, per evitare che sia controvertibile il riferimento all’articolo 4-bis (competenza di integrazione).

PERASSI conviene che la dizione è troppo indeterminata ed aggiunge che vi sono anche delle materie comprese nell’articolo 4 per le quali non si può stabilire in modo perentorio che tutta l’attività amministrativa passi alla Regione. Sarà forse bene lasciarne una parte allo Stato.

Circa l’affermazione del principio del decentramento, fa presente che la disposizione dovrà essere integrata da una norma transitoria che preveda, entro un corto termine, una revisione della legislazione dello Stato, per metterla in armonia con la nuova struttura consacrata dalla Costituzione.

TOSATO nota che, a norma dell’articolo 6, spetta alla Regione l’amministrazione anche di quelle materie che sono di competenza dello Stato e che lo Stato affidi ad essa per l’esecuzione. Crede che qui si imponga un chiarimento: se, cioè, resta sempre una amministrazione statale, anche quando lo Stato ne affidi l’esercizio ad organi della Regione (la quale, quindi, eserciterebbe funzioni delegate), ovvero, vi possano essere delle materie sulle quali lo Stato abbia una competenza legislativa senza averne una amministrativa. La precisazione è importante anche agli effetti dello stato giuridico degli impiegati.

AMBROSINI, Relatore, spiega che si tratta di un’amministrazione regionale per delegazione dello Stato. Aggiunge che l’articolo è collegato con i commi 3° o 4° dell’articolo 14, che suonano così:

«Nel capoluogo della Regione il Governo centrale è rappresentato da un Commissario, il quale esercita le funzioni politico-amministrativo dello Stato non delegate alla Regione».

«Per gli atti dell’Amministrazioni regionale, relativi a materie dallo Stato delegato alla Regione, il Commissario ne coordina l’opera in corrispondenza alle direttive generali che il Governo creda opportuno di emanare per tutte le Regioni».

LUSSU è favorevole al mantenimento dell’articolo nel testo redatto dal Comitato, fino alle parole «per l’esecuzione»; per il resto concorda con la proposta di soppressione dell’onorevole Fabbri, perché gli sembra che la sede non sia la più opportuna per una tale affermazione di principio.

PRESIDENTE conviene sull’opportunità di sopprimere l’ultima parte dell’articolo. Il nuovo ordinamento regionale ha la sua ragione essenziale nell’esigenza del decentramento amministrativo, e gli sembrerebbe uno sminuire questo concetto del decentramento il parlarne quasi casualmente nell’articolo 6, anziché farne oggetto di un’affermazione precisa in un punto della Costituzione in cui assuma particolare rilievo. In secondo luogo osserva che, più di qualsiasi espressione del genere, vale l’ordinamento regionale in sé stesso, che è tutta un’affermazione di decentramento in atto.

CONTI concorda ed aggiungo che occorre fare un’articolazione snella, non appesantita da un eccesso di parole.

UBERTI è contrario alla soppressione, a meno che si faccia l’affermazione del principio del decentramento in altro articolo. Teme che l’avere attribuito, su talune materie, la competenza tanto alla Regione che allo Stato, possa generare un aumento della burocrazia, con organi statali e organi regionali.

MORTATI osserva che l’ultima parte dell’articolo, di cui si chiede la soppressione, è connessa con la prima; il decentramento sarà in funzione con l’estensione che si darà alla prima parte, cioè alla sfera di competenza amministrativa della Regione. Concorda, quindi, col Presidente sull’utilità di un’affermazione a sé stante del principio di decentramento, e segnala l’opportunità di determinare la competenza amministrativa regionale mediante un preciso richiamo ad articoli. Si potrà affidare alla Regione in modo esclusivo l’amministrazione delle materie di cui agli articoli 3 e 4 – senza con ciò menomare l’autorità statale – e per le altre materie lasciare allo Stato la facoltà di delegarla o meno.

TOSATO propone la formula: «Spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie previste negli articoli 3 e 4 e in quelle, ecc.».

PERASSI rileva che la competenza amministrativa deve essere comunque limitata all’ambito del territorio regionale, e che non esiste materia per la quale si possa escludere ogni attività amministrativa dello Stato. Tra quelle dell’articolo 4, ad esempio, c’è l’agricoltura e non si può immaginare che non sussista più alcuna attività amministrativa dello Stato per questa materia, laddove oggi esiste un Ministero.

Crede perciò che si debba distinguere tra attività amministrative particolari che, in relazione alla competenza legislativa, passano alla Regione, e attività amministrative che non possono essere tolte intieramente allo Stato, anche se questo in tali materie si limiti ad emanare leggi che esigano una integrazione regionale.

AMBROSINI, Relatore, obietta che una precisazione del genere comporterebbe una nuova elencazione di materie. Meglio fare riferimento agli articoli nei quali le materie stesse sono considerate, stabilendo per quelle di cui all’articolo 3 la competenza amministrativa esclusiva della Regione e per quelle dell’articolo 4 la competenza solo nel caso di delegazione da parte dello Stato.

UBERTI insiste sul concetto che non può ammettersi che vi siano, per la stessa materia, una burocrazia statale ed una locale. Bisognerà che l’amministrazione venga concentrata nelle Regioni. Così, ad esempio, dovrà rimanere un Ministero dell’agricoltura solo per i problemi agricoli generali, ma dovranno essere gli organi locali a provvedere in concreto all’amministrazione.

PRESIDENTE dà notizia di due proposte di emendamento dell’articolo 6. Una, dell’onorevole Fabbri, è così concepita:

«Spetta alla Regione nelle varie materie ogni potere di amministrazione nella sfera della sua propria competenza legislativa, nonché nei limiti delle delegazioni ricevute in proposito dallo Stato».

L’onorevole Tosato invece propone: «Spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie previsto negli articoli 3 e 4, ed in quelle altre che lo Stato deleghi ad essa per l’esecuzione».

Nota che con quest’ultima formula si esclude – salvo delega da parte dello Stato – l’amministrazione regionale delle materie e sulle quali la Regione ha una potestà legislativa di integrazione (art. 4-bis).

LACONI ritiene inammissibile che lo Stato non possa gestire una cava, una grande azienda agricola, avere un demanio o che le biblioteche nazionali di Roma e di Firenze debbano essere amministrate dalle rispettive Regioni.

PRESIDENTE chiarisce che si fa riferimento sempre a cave, biblioteche, ecc., di esclusivo interesse regionale.

AMBROSINI, Relatore, non vede perché ci si debba preoccupare di affidare alla Regione la facoltà di amministrare, quando lo si è concessa una facoltà maggiore: quella di legiferare.

CODACCI PISANELLI rileva che, dal momento che si vuole valorizzare la Regione, sarebbe opportuno non porre limiti alla sua competenza in materia amministrativa, in quanto gli enti autarchici possono, come tali, svolgere un’attività amministrativa, in qualsiasi campo. Propone quindi di mettere in evidenza il carattere di ente autarchico, della Regione, stabilendo che, mentre la potestà legislativa può esplicarsi solo nei settori precisati dalla legge, l’attività amministrativa può esplicarsi in maniera generica.

PRESIDENTE invita l’onorevole Codacci Pisanelli a predisporre un emendamento scritto in questo senso per la prossima seduta.

La seduta termina alle 20.05.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti e Zuccarini.

Assenti: Bordon, Castiglia, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Farini, Finocchiaro Aprile, Leone Giovanni, Mannironi, Patricolo, Porzio, Ravagnan, Targetti e Vanoni.

VENERDÌ 22 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

52.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 22 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Mannironi – Einaudi – Fabbri – Nobile – Perassi – Presidente – Ambrosini, Relatore – Laconi – Mortati – Cappi – Zuccarini– Codacci Pisanelli – La Rocca – Rossi Paolo – Ravagnan – Conti – Piccioni – Lami Starnuti – Bordon – Bulloni – Tosato.

La seduta comincia alle 16.30.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

MANNIRONI ricorda la sua proposta di considerare insieme alle acque pubbliche – la cui inclusione nell’articolo 4 è stata approvata dalla Sottocommissione – anche le acque minerali e termali.

Ricorda che numerosissimi furono i tentativi, dopo il 1870, di unificare le disposizioni, riguardanti il regime delle acque minerali e termali, comprese nelle varie legislazioni dei diversi Stati italiani preesistenti all’unificazione del Regno, ma soltanto nel 1927 fu possibile al Governo regolare anche questa materia nel testo unico delle leggi minerarie. Ritiene che nulla osti oggi ad una nuova separazione della legislazione relativa alle acque minerali e termali da quella delle miniere ed alla sua inclusione nell’elenco delle materie da considerare nell’articolo 4, sia in considerazione della limitata importanza economica, sociale e politica che tali acque possono avere, sia per il fatto che lo Stato avrà sempre la possibilità di dettare al riguardo delle norme generali. Fa presente che, del resto, lo Stato si riserva su tali sorgenti soltanto una funzione di controllo generico circa l’apertura di stabilimenti e di vigilanza ai fini del pubblico interesse e dell’igiene, servizi che possono essere senza pericolo od inconvenienti esercitati dalla Regione, come l’ente che ha maggiore interesse a che queste fonti di ricchezza siano gestite nella forma più idonea per il loro più intenso sviluppo e sfruttamento.

EINAUDI per ragioni di euritmia legislativa riterrebbe più opportuno assimilare le acque minerali e termali alle miniere – in quanto ha scarsa importanza il fatto che le sostanze minerali siano allo stato solido o disciolte nell’acqua – anziché alle acque pubbliche e all’energia elettrica.

FABBRI concorda con l’onorevole Einaudi e ritiene che tanto le miniere quanto le acque minerali e termali debbano essere considerate nell’articolo 4-bis.

MANNIRONI insiste sull’opportunità di considerare le acque minerali e termali separatamente dalle miniere e di includerle nell’articolo 4.

NOBILE ritiene, invece, che questa materia debba essere assimilata alle miniere. È del parere che lo Stato non debba essere escluso dal controllo e anche dalla gestione di queste sorgenti, perché i futuri sviluppi della tecnica potrebbero far sgorgare dal sottosuolo italiano, ad esempio, una sorgente contenente sostanze tali da farle assumere un’importanza nazionale.

PERASSI ritiene che la potestà di rilasciare concessioni per l’esercizio di stabilimenti termali possa essere conferita alla Regione. Osserva d’altra parte che nulla impedirà allo Stato di costituire, per la gestione di una sorgente di particolare importanza, un ente nazionale.

PRESIDENTE è anch’egli del parere che una tale potestà legislativa possa essere attribuita, senza alcuna preoccupazione, alla Regione.

Pone ai voti l’inclusione, fra le materie considerate nell’articolo 4, delle «acque minerali e termali».

(È approvata).

Apre la discussione sulla voce «miniere».

NOBILE propone la cancellazione di questa voce dall’elenco in esame, perché ritiene che le miniere siano di interesse esclusivamente nazionale e quindi lo Stato non debba essere posto, in questo campo, in stato di inferiorità rispetto alla Regione, la quale potrebbe anche impedire lo sfruttamento di talune di queste fonti di ricchezza.

AMBROSINI, Relatore, ricorda che a base di queste norme è il presupposto della salvaguardia degli interessi nazionali; non vede quindi la ragione di escludere dall’elencazione contenuta nell’articolo 4 le miniere.

PRESIDENTE pone in votazione l’inclusione nell’articolo 4 della voce «miniere».

NOBILE domanda che la votazione abbia luogo per appello nominale.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale.

Rispondono Sì: Ambrosini, Bordon, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Mannironi, Perassi, Tosato, Uberti, Zuccarini.

Rispondono No: Bocconi, Bozzi, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini.

Si astiene: Mortati.

(Con 11 voti favorevoli, 11 contrari ed un’astensione non è approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sulla voce «riforme economiche e sociali».

FABBRI si dichiara contrario – data anche la genericità dell’espressione – a concedere alla Regione la competenza legislativa in questa materia.

LACONI osserva che tale voce aveva uno scopo, se posta in rapporto con la formulazione dell’articolo proposto dal Comitato di redazione, mentre ora, sostituita a tale formulazione quella proposta dall’onorevole Mortati, non ha più ragion d’essere.

CAPPI concorda con l’onorevole Fabbri nel ritenere troppo generica l’espressione.

MORTATI è del parere che le materie delle quali la Sottocommissione non approvi l’inclusione nell’articolo 4 possano essere di nuovo prese in considerazione quando si discuterà l’articolo, 4-bis.

AMBROSINI, Relatore, avverte che tali voci, le quali erano state studiate e vagliate singolarmente dal Comitato in rapporto alla dizione dell’articolo 4 del progetto, possono non risultare più idonee alla formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

ZUCCARINI dichiara che in sede di Comitato manifestò il suo parere sfavorevole alla inclusione di questa voce, perché si andrà molto verosimilmente verso un periodo di grandi riforme sociali, le quali non possono non avere portata ed applicazione nazionale. È favorevole al rinvio dell’esame di questo argomento a quando si discuterà l’articolo 4-bis.

MANNIRONI concorda sull’opportunità di rinviare la decisione sulle riforme economiche e sociali al momento in cui si discuterà l’articolo 4-bis.

PRESIDENTE propone che questo argomento sia rinviato a quando si prenderà in esame l’articolo 4-bis.

(Così rimane stabilito).

Pone ora in discussione la voce «ordinamento sindacale».

ZUCCARINI non riesce a pensare l’ordinamento sindacale come materia da essere disciplinata così da parte dello Stato come da parte della Regione. Per pensarlo bisognerebbe presupporre un ritorno al sistema sindacale e corporativo del fascismo. Egli è per il sindacato libero e liberamente organizzato dagli interessati. Del resto, la libertà sindacale è stata contemplata e affermata nelle deliberazioni della prima e della terza Sottocommissione, delle quali si deve tenere conto. Esclude ad ogni modo che questa materia possa essere contemplata in questo come negli altri articoli 4-bis e 4-ter.

FABBRI ritiene che le disposizioni di carattere generale sull’ordinamento sindacale siano di importanza assolutamente nazionale e che non sia il caso di interferire su di esse con provvedimenti emanati da una altra fonte legislativa. Si dichiara perciò contrario alla inclusione, nell’articolo 4, dell’ordinamento sindacale, che, se mai, potrà essere tenuto presente nell’articolo 4-bis.

PRESIDENTE premette che l’esame della struttura del sindacato nell’ambito della vita nazionale non rientra nella competenza della Sottocommissione, la quale ora deciderà soltanto se – una volta risolto il problema del riconoscimento giuridico dei sindacati, in relazione alla validità dei contratti collettivi di lavoro – sia opportuno o meno considerare compito esclusivo dello Stato quello di legiferare sui sindacati stessi. Esclude che la potestà legislativa su questa materia possa essere deferita alla Regione, anche in forma di integrazione, perché il problema del rapporto di lavoro non può trovare la sua soluzione nell’ambito regionale. Aggiunge che la registrazione – forma con la quale la terza Sottocommissione ha previsto il riconoscimento giuridico – ha carattere nazionale, così come ha carattere nazionale la Confederazione generale del lavoro.

ZUCCARINI chiarisce che il sindacato libero non esclude la possibilità dei contratti collettivi a carattere nazionale, ed anche il riconoscimento da parte dello Stato di certi diritti e di certe garanzie che dovrebbero aver vigore in tutta la Nazione. La misura ed i criteri di applicazione non possono però non tener conto delle diversità di economia e di situazione che si riscontrano nelle varie Regioni.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Zuccarini che forse a lui sfugge un elemento: mentre il rapporto di lavoro è eguale per tutti i lavoratori, diversa ne è la regolamentazione; sì che i lavoratori più progrediti sostengono le aspirazioni di quelli più arretrati, e quindi in tanto si può ottenere, per esempio, nella Campania un determinato livello di salari, in quanto nella Lombardia se ne ottiene un altro.

ZUCCARINI dice che è verissimo che ogni conquista nel campo del lavoro ha le sue benefiche ripercussioni nelle più diverse e distanti Regioni. Ma, mentre vi sono realizzazioni sociali che la legge fa benissimo a consacrare e a rendere obbligatorie, come il massimo delle ore di lavoro settimanale, le norme a tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, l’assistenza sociale, ecc., ciò che è di puro carattere sindacale, come le retribuzioni, le forme d’impiego ecc. rientra nel quadro dell’adattamento locale. Questo per tutte le attività e in special modo per ciò che si riferisce all’agricoltura, le cui situazioni sono diversissime spesso nell’ambito della stessa Regione.

CODACCI PISANELLI prospetta la opportunità di includere l’ordinamento sindacale in quest’articolo, perché – tenuto presente che nel comune si ha la riunione, in un unico ente, di tutti coloro che abitano nella stessa zona, mentre nel sindacato si ha la riunione in un unico ente di tutti quelli che esercitano lo stesso mestiere – se si è applicato il principio del decentramento per quanto riguarda i Comuni e la Regione, sarebbe necessario, per coerenza, riconoscere anche al sindacato la possibilità di autogovernarsi.

MORTATI pensa che proprio per le ragioni esposte dall’onorevole Codacci Pisanelli si possa giungere alla conclusione opposta. Se, cioè, si ammette l’autonomia per i Comuni, non vi è nessuna ragione per escluderla nei riguardi delle associazioni professionali, alle quali deve essere affidato la decisione su tutti quegli adattamenti locali di cui parlava l’onorevole Zuccarini. Quindi alla Regione non dovrebbe rimanere nessuna ragione di intervento in materia.

EINAUDI osserva che si sta parlando dell’argomento, pur nell’incertezza di quello che è stato deliberato dalle altre Sottocommissioni. Ma poiché si deve, in questa sede, decidere intorno alla competenza legislativa dello Stato o della Regione, dichiara di essere d’accordo, ma solo fino a un certo punto, con quello che ha detto il Presidente.

Richiama l’evoluzione storica dei sindacati, dal secolo passato ad oggi, dai sindacati locali di arti e mestieri, ai sindacati prima regionali e poi nazionali, evoluzione che ha permesso alla classe lavoratrice di giungere all’affermazione di quella che si chiama la regola comune, in base alla quale tutti coloro che prestano un determinato servizio debbono essere remunerati su una certa base, che rappresenta il minimo dal quale si deve partire. Dal contrasto fra il sindacato operaio – da cui è partita l’iniziativa – ed il sindacato industriale è risultato un maggiore perfezionamento dei sindacati stessi, che ha portato alla formazione di due grandi Confederazioni, quella del lavoro e quella dell’industria, tra le quali si svolgono le trattative per stabilire la regola comune. Tutto ciò ha lo scopo di spingere in alto, e non mai in basso, sia le industrie che gli operai e le industrie arretrate, che non riescono a sostenere i salari imposti dalla regola comune, sono fatalmente destinate a scomparire.

Fa presente però un grave pericolo per l’interesse collettivo: quello che le due forze monopolistiche, le quali hanno raggiunto un grado di padronanza completa rispetto ai lavoratori e ai datori di lavoro, si accordino fra loro allo scopo di massimizzare i redditi dell’una e dell’altra parte; fatto, questo, che sarebbe contrario all’interesse collettivo, perché la massimizzazione si ottiene non aumentando la produzione, ma tenendola al di sotto del normale, ciò che porta come conseguenza la disoccupazione. Ora si sta appunto entrando in questa fase, sebbene il pericolo ancora non abbia assunto forma molto imponente, ma è necessario fin da ora contrapporre altre forze, che cercano di contrastare gli eccessi dei due monopolizzatori.

Non esclude la possibilità che, attraverso la legislazione di integrazione da esaminare all’articolo 4-bis, senza ostacolare il movimento grandioso verso l’unità sindacale, si possa impedire la lesione dell’interesse della collettività; in altre parole, ritiene che gli eccessi delle organizzazioni sindacali debbano trovare qualche correttivo, e questo può essere la legislazione modificatrice affidata alle singole Regioni.

Il pericolo che conduce il mondo moderno alla ossificazione, alla decadenza economica e sociale, può essere controbilanciato da forze spontanee che possono sorgere qua e là, e il cui sviluppo una legislazione nazionale uniforme non potrebbe favorire.

LACONI ha ascoltato con molto interesse l’esposizione dell’onorevole Einaudi, ma gli sembra che essa non risponda alla questione in esame, perché il pericolo da lui prospettato si può concepire soltanto in termini astratti.

EINAUDI afferma che il pericolo è viceversa così attuale, che si sta ora verificando in Inghilterra.

LACONI spiega che egli parlava di termini astratti, perché astratta è la generalizzazione. L’onorevole Einaudi, infatti, identifica il pericolo di cui ha parlato non in particolari aggruppamenti, ma nella classe operaia in genere.

EINAUDI replica per far presente che dal 1906 al 1914 il pericolo in Italia si è verificato, quando si sono trovate in combutta le organizzazioni operaie e quelle padronali.

PRESIDENTE spiega che ciò si è verificato, perché nell’interno dei sindacati operai si sono create delle differenziazioni aristocratiche.

LACONI fa presente che un pericolo del genere di quello segnalato dall’onorevole Einaudi potrà svilupparsi in campo internazionale, ma non nell’interno del nostro Paese, essendo completamente al di fuori della reale situazione storica dell’Italia in questo momento; e comunque ritiene che a queste difficoltà non porterebbe rimedio alcuno una legislazione sindacale diversa da Regione a Regione. D’altra parte, pensa che vi sarebbe certamente una reazione da parte delle organizzazioni dei lavoratori se – attraverso una regolamentazione regionale dei problemi sindacali – si tentasse, oggi che il Paese si avvia ad una disciplina democratica, di costringere il movimento operaio entro delle strettoie e di limitare il progresso storico per cui esso va diventando un fenomeno generale nazionale.

FABBRI fa rilevare che si sta confondendo il problema giuridico dell’ordinamento sindacale, del quale ci si deve occupare, con quello della politica sindacale: il contrasto di opinioni tra l’onorevole Einaudi e l’onorevole Laconi ha attinenza al secondo problema e non ha nulla a che vedere con l’ordinamento sindacale.

LA ROCCA non vede come si possa distaccare l’ordinamento giuridico dalla politica sindacale, perché l’ordinamento giuridico non è altro che il linguaggio della legge su determinati rapporti economici e sociali.

Non crede poi, limitando l’esame al campo nazionale, che possa verificarsi l’eventualità, accennata dall’onorevole Einaudi, della conciliazione dei due termini antitetici, e cioè che la classe lavoratrice si metta d’accordo con la classe padronale ai danni della collettività. D’altra parte pensa che, se si attribuisse alla Regione potestà di legiferare in materia sindacale, si verrebbe a minare alla base quella che è la prospettiva comune di tutti i democratici, perché non è ammissibile che, mentre in una Regione si fa un determinato trattamento ad una categoria di lavoratori, in un’altra Regione se ne faccia un altro. Ritiene all’opposto che, se v’è un gruppo di lavoratori che, interpretando gli interessi di tutti gli altri, riesce a giungere ad un determinato livello, gli altri debbono avvantaggiarsi dei risultati di questa lotta e non rimanere indietro.

ROSSI PAOLO ritiene che le considerazioni dell’onorevole Einaudi portino a conclusioni opposte a quelle da lui tratte; e cioè che, quanto più vi sono regolamentazioni locali, tanto più è facile che si crei il pericolo di monopolio ai danni della collettività, donde la conseguenza che bisogna evitare tale regolamentazione locale.

PERASSI, riallacciandosi alle osservazioni dell’onorevole Fabbri, precisa che il problema da risolvere è il seguente: se le norme giuridiche relative all’ordinamento sindacale siano o meno da comprendersi tra quelle che si possono regolare con leggi regionali o se in questa materia si debba lasciare soltanto allo Stato il compito di legiferare. Personalmente ritiene che la potestà di emanare norme che regolino l’azione sindacale, lo sciopero, la serrata, i conflitti di lavoro, debba essere riservata allo Stato, in quanto in esse è previsto, ad esempio, l’intervento degli organi giudiziari, onde questa materia non può far parte dell’articolo 4; se mai, si potrà vedere se sia possibile includerla nell’articolo 4-bis.

RAVAGNAN, poiché la materia in discussione è di competenza della terza Sottocommissione, propone di sopprimere dall’articolo 4 le due voci dell’ordinamento sindacale e dei rapporti di lavoro, per evitare contrasti con le decisioni della terza Sottocommissione. Comunque, questi argomenti potranno, se mai, essere nuovamente considerati in occasione dell’esame dell’articolo 4-bis.

CONTI concorda con l’onorevole Ravagnan sull’opportunità che queste due voci vengano soppresse nell’articolo 4, in quanto ritiene che lo Stato debba entrare il meno possibile nel merito di tali materie. Rivendica però l’autonomia della Sottocommissione per quanto riguarda gli argomenti in discussione: gli eventuali contrasti potranno essere risolti in sede di Commissione plenaria.

PRESIDENTE pone il problema nei seguenti termini: quale dovrà essere l’atteggiamento della Regione, se si avrà una legislazione nazionale di carattere sindacale? Rileva, quindi, a proposito dell’affermazione dell’onorevole Ravagnan, che nella terza Sottocommissione si è discusso di un riconoscimento giuridico dei sindacati, onde, se il principio verrà accettato anche dall’Assemblea costituente, è evidente che si avrà una legislazione nazionale in materia.

Fa presente che l’inserimento nell’articolo 4 di una disposizione concernente l’ordinamento sindacale può essere uno strumento atto a spezzare l’unità del movimento sindacale su scala nazionale, strumento di cui si potranno servire coloro ai quali può interessare la polverizzazione delle organizzazioni sindacali. Per tali motivi, e convinto com’è della necessità di una sempre più larga saldatura del movimento operaio, si dichiara contrario all’inclusione dell’ordinamento sindacale fra le materie elencate nell’articolo 4.

Comunque, pone ai voti questa proposta.

LACONI chiede che la votazione si faccia per appello nominale.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale.

CODACCI PISANELLI voterà a favore del mantenimento nell’articolo 4 della voce relativa all’ordinamento sindacale, perché ritiene che i pericoli prospettati siano insussistenti, tenuto presente anche che la potestà legislativa in questo campo non potrà essere spiegata in contrasto con i principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato c con gli interessi nazionali.

FABBRI dichiara che voterà contro per i motivi già accennati.

ZUCCARINI voterà sia contro l’inclusione di tale materia nell’articolo 4, che per un suo trasferimento nell’articolo 4-bis.

MANNIRONI dichiara di aderire alla proposta dell’onorevole Ravagnan di trasferire tale materia nell’articolo 4-bis.

AMBROSINI, Relatore, dichiara di astenersi dalla votazione, in considerazione del nuovo significato assunto dall’articolo 4.

Risponde Sì: Codacci Pisanelli.

Rispondono No: Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Conti, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Zuccarini.

Si astengono: Ambrosini, Finocchiaro Aprile.

(Con 1 voto favorevole, 21 contrari e 2 astensioni non è approvata).

PRESIDENTE pone in discussione la voce «rapporti di lavoro».

PICCIONI propone che dell’argomento si tratti a proposito dell’articolo 4-bis.

PRESIDENTE concorda.

(Così rimane stabilito).

Pone in discussione la voce «disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio».

EINAUDI si dichiara contrario all’inclusione di questa materia nell’articolo 4. Ricorda di avere già manifestato altra volta la sua opinione in proposito, rilevando che la legislazione esistente in materia merita di essere conservata, pur migliorandola progressivamente. La legge vigente in materia di credito, del 1936, la quale è il risultato di un’antica esperienza e di lunghe evoluzioni che hanno portato tecnicamente a quella conclusione – salvo alcune modifiche necessarie – può essere infatti accettata anche per l’avvenire. Poiché la politica del credito non può essere fatta se non secondo determinati criteri generali, ritiene che non sia possibile stabilire una legislazione di carattere regionale su tale materia: così, la politica del tasso dello sconto, quella delle restrizioni e delle agevolazioni in materia creditizia debbono essere la logica conseguenza di direttive centrali determinate dalla situazione economica generale del Paese. Non sarebbe pensabile la coesistenza di diversi tassi di sconto nelle varie Regioni.

Fa presente la sola critica mossa a questa politica unitaria, e cioè che alcune Regioni si sarebbero in passato – e continuerebbero ad esserlo oggi – locupletate a danno dei depositi di altre Regioni; cioè che i depositi delle Regioni più povere sarebbero investiti nelle Regioni più ricche. Dà a questo proposito notizia alla Sottocommissione del risultato di alcune ricerche compiute dagli Uffici della Banca d’Italia sull’impiego dei depositi nelle varie Regioni. Premesso che i dati raccolti vanno dal 1938 al 1945 e che la percentuale degli impieghi ai depositi in tutto lo Stato alla fine del 1945 era del 41 per cento (e cioè su 100 lire di depositi ne erano impiegate solo 41 in sconti, anticipazioni, riporti, cioè in tutte le operazioni di carattere commerciale); che le operazioni di carattere commerciale non fanno capo alle sedi centrali degli istituti di credito, ma vengono decise ed eseguite dalle singole sedi locali (alle sedi centrali affluiscono solo le operazioni di carattere statale: acquisti di buoni del tesoro, depositi presso il tesoro e presso la Banca d’Italia); dà lettura delle percentuali degli impieghi, dalle quali si rileva come non vi sia alcuna Regione italiana nella quale i depositi locali siano utilizzati localmente per intero, ad eccezione della Lucania; e come in genere si riscontri una maggiore utilizzazione locale nelle regioni meridionali nei confronti delle settentrionali, le quali forniscono materia più abbondante ai depositi non utilizzali localmente, che, come tutti sanno, sono trasferiti al centro, cioè allo Stato.

PERASSI domanda se in questi dati sono compresi tutti i depositi, o soltanto i depositi presso gli istituti nazionali.

EINAUDI risponde che sono compresi tutti i depositi, incluse le banche locali. Si tratta di 411 milioni. La sola eccezione è data dalle Casse postali di risparmio, i cui fondi affluiscono alla Cassa depositi e prestiti.

MORTATI domanda all’onorevole Einaudi di chiarire le ragioni del fenomeno da lui denunciato nei riguardi della Lucania, la quale è forse la Regione più povera d’Italia.

EINAUDI fa presente che la Lucania ha pochi depositi di risparmio locale e quindi ha bisogno di ricevere, per soddisfare alle sue esigenze di credito, somme provenienti da altre Regioni; il che dimostra che non è necessaria una coattiva distribuzione regionale del credito. La distribuzione avviene spontaneamente, a seconda delle esigenze dell’industria.

Fa presente un altro pericolo che può derivare dal fatto di voler disciplinare tale materia con una legislazione di carattere locale, e cioè che la legislazione locale possa, ad un certo momento, essere dannosa agli interessi nazionali. Cita, ad esempio, quanto si verifica negli Stati Uniti – dove malgrado la tendenza a rendere federale la legislazione su questa materia, esistono ancora larghi residui di legislazione statale – in cui una disposizione statale vigente in numerosi Stati – come ad esempio, quelli di New York, Massachusetts, Chicago, New Jersey, Pennsylvania, che sono i principali centri bancari – vieta l’emissione di titoli da parte di enti internazionali, impedendo così alla Banca per la ricostruzione internazionale – finché tale divieto non sarà tolto dalle rispettive legislazioni – l’emissione di titoli, che sul mercato americano costituisce la fonte principale da cui si possono ricavare i mezzi per fare prestiti. Poiché l’Italia dovrà chiedere prestiti alla Banca della ricostruzione, è bene prendere nota dei limiti che la legislazione regionale può porre ai movimenti di capitale fra Stato e Stato e cercare noi di non porre per conto nostro impedimenti consimili.

Conclude dichiarando di non avere tuttavia difficoltà a trasferire questa materia all’articolo 4-bis.

FABBRI dichiara di essere contrario all’inclusione della disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio nell’articolo 4, per le considerazioni svolte dall’onorevole Einaudi e per quelle precedentemente fatte dall’onorevole Vanoni.

PRESIDENTE, a sostegno della tesi favorevole alla esclusione di tale materia dall’articolo 4, fa presente che, come condizione essenziale per lo sviluppo dell’economia basata sull’iniziativa di carattere privato è la massima mobilità del credito e del denaro, così per lo sviluppo dell’economia sottoposta a norme di carattere nazionale è necessario che lo Stato possa disporre delle possibilità finanziarie di tutto il Paese e quindi, essenzialmente, del credito e del risparmio.

Quanto all’assicurazione, rileva che, se vi fosse stata una legislazione di carattere regionale, non sarebbe stato possibile nel 1912 attuare la nazionalizzazione delle assicurazioni, che nel quadro della politica finanziaria e sociale d’Italia rappresenta ancora oggi un progresso così notevole: sarebbe stata sufficiente l’opposizione da parte di una Regione per ostacolare l’attuazione del progetto.

EINAUDI attira l’attenzione della Sottocommissione anche sulla riassicurazione, che oggi non è possibile fare con la semplice organizzazione di un singolo Paese, in quanto essa ha luogo fra uno Stato e l’altro.

PRESIDENTE pone ai voti l’inclusione nell’articolo 4 della disciplina del credito, del risparmio e dell’assicurazione.

(Non è approvata).

Apre ora la discussione sulla voce: «istruzione elementare».

Ricorda che su questo argomento è stata presentata dall’onorevole Mannironi la proposta di considerare nell’articolo 4 anche l’istruzione media e superiore.

NOBILE ritiene che lo Stato abbia il dovere di dare le direttive generali e i mezzi per l’istruzione elementare, pur riconoscendo che ciò espone all’inconveniente di una certa uniformità nell’insegnamento: ma rileva che questo inconveniente – che potrebbe anche non essere tale – è infinitamente minore dell’altro di attribuire alle Regioni la potestà legislativa su questa materia, per cui alcune farebbero dei progressi ed altre dei regressi. Il problema dell’analfabetismo in molte Regioni del Mezzogiorno e nelle Isole è tuttora assai grave. Esso è un problema nazionale. Non si può lasciare all’arbitrio di una singola Regione se e come affrontarlo. Vi sono contadini nel Mezzogiorno che si trovano nella impossibilità di mandare a scuola i loro bambini. È anche da notare che una scuola elementare moderna richiede mezzi finanziari notevoli, che è dovere dello Stato provvedere per assicurare a tutti i fanciulli l’educazione necessaria e la possibilità di sviluppare lo loro capacità.

Conclude esprimendo l’avviso che si debba cancellare questa voce dall’articolo 4 e considerarla invece nell’articolo 4-bis.

PERASSI, dichiarandosi contrario alla inclusione dell’istruzione elementare nell’articolo 4, ricorda l’opinione di uno dei più strenui federalisti italiani, Alberto Mario, il quale sosteneva la necessità di affidare allo Stato la potestà legislativa su tale materia.

EINAUDI è favorevole all’inclusione nell’articolo 4 dell’istruzione elementare non solo, ma anche di quella media e superiore, poiché non vede quali pericoli potrebbero derivare dal togliere l’ingerenza in questa materia allo Stato, che finora non ha fatto altro che male.

AMBROSINI, Relatore, è anche egli favorevole ad includere l’istruzione nell’articolo in esame, perché si tratta di materia che i regionalisti hanno sempre ritenuta di competenza della Regione.

CAPPI è favorevole all’inclusione della istruzione elementare e media, sia perché vede in tale inclusione una garanzia di libertà di fronte ai pericoli di uno strapotere e di un monopolio da parte dello Stato nell’istruzione, e cioè nella formazione spirituale e politica del popolo, sia perché ritiene che lo spirito di iniziativa e l’amor proprio delle Regioni possano favorire l’incremento dell’insegnamento, tanto elementare che medio.

LACONI osserva all’onorevole Einaudi che, se non vi fosse stata in Italia una scuola statale, ci si troverebbe in condizioni ancor meno felici di quelle in cui si è oggi.

Fa poi presente all’onorevole Cappi che le intromissioni da parte dello Stato, verificatesi nel passato, non sono una ragione sufficiente per giustificarne oggi l’esclusione, sia perché ora si sta creando uno Stato diverso da quello passato, sia perché può darsi il caso di dover deplorare in futuro l’operato delle Regioni, così come oggi si deplora quello che ha fatto lo Stato.

Dopo aver ricordato che il disposto dell’articolo 4 non pone alcun limite alle Regioni, ma solo allo Stato, il quale non può emanare, nei riguardi delle considerate materie, che principî direttivi, fa presente che, se si includesse questa voce nell’articolo 4, si andrebbe incontro a vere assurdità, e conclude affermando la necessità di escludere qualsiasi facoltà legislativa da parte della Regione sia nel campo dell’istruzione elementare, che in quello dell’istruzione media e universitaria.

CONTI dichiara che i repubblicani sono favorevoli all’attribuzione allo Stato della facoltà legislativa circa l’istruzione elementare, per ragioni di diverso ordine: la prima, di carattere morale e nazionale, per cui – seguendo il pensiero di Mazzini – si ritiene opportuno dare ai fanciulli una educazione uniforme dalle Alpi al Lilibeo; la seconda, di carattere quasi materiale, perché, ritenendo gli italiani poco portati alle opere educative, si riscontra la necessità che lo Stato provveda direttamente, specie là dove le Regioni sono inerti; la terza, d’ordine politico, che vede nella scuola statale uno degli anelli di congiunzione tra le varie Regioni organizzate autonomamente.

Quanto all’istruzione superiore, concorda con l’onorevole Einaudi sull’opportunità di lasciare libere le Università, perché solo nella libertà gli atenei potranno riacquistare lo sviluppo e il prestigio che hanno avuto nei secoli scorsi.

EINAUDI, considerando particolarmente l’istruzione elementare, pur riconoscendo di notevole importanza le osservazioni dell’onorevole Conti, dichiara di non ritenere l’istruzione elementare uno dei maggiori coefficienti per l’unificazione del Paese, e di credere che l’articolo 4 rispecchi bene le esigenze dello Stato, lasciando a questo la possibilità di fissare i principî direttivi in materia.

Fa presente che il passaggio dei maestri dai Comuni allo Stato è stato dannoso, perché ha finito per trasformarli in impiegati, preoccupati di gradi, di categorie e di sedi, per far tramontare la figura tradizionale del maestro, radicato sul luogo per decine e decine di anni, vero apostolo dell’educazione del popolo.

Riconosce l’opportunità che lo Stato fissi dei principî generali in base ai quali l’istruzione elementare deve essere impartita, ma è contrario a che questa dipenda interamente dallo Stato ed è perciò favorevole all’inclusione di questa materia nell’articolo 4.

FABBRI è anch’egli del parere che l’istruzione elementare obbligatoria sia inconfondibilmente una funzione specifica dei Comuni, che essi devono esplicare nell’ambito dei principî generali fissati, per esigenze di uniformità, dallo Stato.

Si dichiara quindi favorevole all’inclusione dell’istruzione elementare fra quelle elencate nell’articolo 4.

MANNIRONI all’onorevole Perassi, che ha citato l’opinione del federalista Alberto Mario, contraria al passaggio dell’istruzione elementare ai Comuni, ricorda quella di Marco Minghetti, che nel 1860, nel suo progetto concernente le autonomie regionali, prevedeva il passaggio alla Regione dell’istruzione elementare.

Ritiene poi erroneo il presupposto da cui parte l’onorevole Conti che le Regioni possano fare peggio di quanto non abbia fatto lo Stato, perché l’idea che anima i regionalisti è quella di creare un’amministrazione più vicina alle popolazioni, alla loro anima ed ai loro interessi.

Gli sembra poi incoerente quanto sostiene l’onorevole Conti quando, dopo aver affermato la necessità di affidare allo Stato la scuola elementare, vorrebbe rendere liberi gli studi universitari. Non vede la ragione di tale diversità di trattamento; perché, se si ritiene la Regione in grado di assolvere al compito dell’istruzione per ciò che riguarda le Università, a maggior ragione la si dovrebbe ritenere idonea a regolare l’insegnamento elementare.

LAMI STARNUTI rileva un equivoco in cui sono caduti gli onorevoli Einaudi, Fabbri e Mannironi, ai quali è sfuggito che l’articolo 4 conferisce potestà di legiferare alla Regione, ma non affida alla Regione l’amministrazione di una materia. L’articolo 6 conferisce alla Regione l’amministrazione nelle materie di competenza legislativa dello Stato, che lo Stato affida ad essa per l’esecuzione, in conformità ad un largo principio di decentramento; sicché in tale sede sarebbe possibile affidare alla Regione l’amministrazione delle scuole elementari, nella presunzione che, a sua volta, questa l’affidi ai Comuni.

Ad ogni modo, per le ragioni esposte dagli onorevoli Laconi e Conti, dichiara di essere contrario all’introduzione di questa materia nell’articolo 4.

PRESIDENTE rileva che l’osservazione dell’onorevole Einaudi, il quale ha parlato in senso favorevole all’attribuzione dell’istruzione elementare ai Comuni – a parte il fatto che la situazione dei maestri elementari alle dipendenze dell’amministrazione comunale non è sempre così rosea come l’onorevole Einaudi mostra di ritenere – cade, in quanto, ove si affidasse questa branca dell’educazione alla Regione, non vi sarebbe gran differenza tra il maestro impiegato dello Stato e il maestro impiegato della Regione. Anzi, il ritorno delle scuole ai Comuni – che troverebbe fra i maestri elementari una quasi unanime opposizione – se in qualche zona potrebbe significare dar nuovo impulso alla scuola, in tutte le altre vorrebbe dire il ritorno ad una situazione poco desiderabile.

Così, mentre per l’insegnamento elementare e medio ritiene non sia il caso di attribuire facoltà legislativa alle Regioni, per l’insegnamento superiore può accedere ai criteri esposti dall’onorevole Conti.

BORDON è favorevole alla formulazione del testo del progetto, alla concessione cioè della potestà legislativa concernente la scuola elementare alla Regione; ma è assolutamente contrario all’estensione di tale principio alla scuola media ed a quella superiore.

NOBILE può riconoscere fondate le osservazioni fatte dall’onorevole Einaudi, ma ritiene che agli inconvenienti da lui rilevati si potrà rimediare con una riforma.

Ricorda che oggi si deve tendere ad unire gli italiani, mentre il passaggio dell’istruzione elementare alla Regione ne accentuerebbe la divisione.

PRESIDENTE pone ai voti l’inclusione fra le materie da inserire nell’articolo 4 dell’istruzione elementare.

BULLONI domanda che si proceda alla votazione per appello nominale.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale.

Rispondono Sì: Ambrosini, Bordon, Bulloni, Cappi, Einaudi, Fabbri, Mannironi, Mortati, Piccioni, Tosato, Uberti.

Rispondono No: Bocconi, Bozzi, Conti, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Zuccarini.

(Con 11 voti favorevoli e 12 contrari, non è approvata).

Ricorda che la Sottocommissione deve decidere circa la proposta, fatta dall’onorevole Mannironi, di inserire nell’articolo 4 anche l’istruzione media e superiore.

MORTATI prospetta l’opportunità di distinguere, per quanto riguarda la scuola media, tra la scuola classica umanistica e quella tecnico-professionale.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Mortati.

Pone ai voti l’inclusione nell’articolo 4 dell’istruzione media (non tecnico-professionale).

NOBILE dichiara di astenersi dalla votazione.

(Non è approvata).

PRESIDENTE mette quindi in votazione la proposta di comprendere nell’articolo 4 l’istruzione media tecnico-professionale.

(È approvata).

NOBILE quanto all’istruzione superiore, ritiene che essa debba lasciarsi alla cura dello Stato, non solo perché questo non può rimanere estraneo a tutto ciò che concerne l’alta cultura, ma anche perché – specialmente per ciò che riguarda l’istruzione tecnica – deve adeguarsi ai bisogni economici e sociali del momento.

EINAUDI pensa che, anche introducendo l’istruzione superiore nell’elenco inserito nell’articolo 4, non si escluda la possibilità da parte dello Stato di avere propri istituti universitari; ritiene anzi possibile la coesistenza di Università statali, Università regionali ed Università semplici enti morali che vivano con propri mezzi.

Gli sembra che non esista una ragione nazionale per la quale le Università debbano essere o tutte dello Stato o tutte delle Regioni.

PRESIDENTE fa presente che l’Università fondata dallo Stato in una determinata Regione dovrà essere subordinata alla legislazione della Regione nella quale sorga.

EINAUDI non lo ritiene necessario.

MORTATI richiama l’attenzione sul fatto che ora si tratta del problema di concedere alla Regione la potestà di legiferare sulla istruzione superiore, e non di quella di istituire o meno delle Università.

PERASSI ritiene che sia più opportuno conferire la potestà legislativa su questa materia, anziché alle Regioni, allo Stato, il quale potrà favorire nella più larga misura l’autonomia universitaria; quindi, non sostituzione della legislazione regionale a quella statale, ma integrazione delle leggi statali con regolamenti e statuti universitari. Per tali ragioni si dichiara contrario all’inclusione dell’istruzione universitaria nell’articolo 4.

TOSATO concorda con l’onorevole Perassi, aggiungendo che il problema universitario non va risolto in funzione dell’autonomia regionale, ma in funzione dell’autonomia universitaria.

FABBRI concorda con l’onorevole Perassi.

AMBROSINI, Relatore, prospetta l’opportunità di sospendere l’esame di questo articolo per decidere se non sia il caso di stabilire una disposizione specifica concernente l’istruzione universitaria.

PRESIDENTE ritiene che il problema accennato dall’onorevole Ambrosini – già esaminato dalla Prima Sottocommissione – sarà affrontato in Commissione plenaria. Pensa quindi che la Sottocommissione possa ora decidere circa la questione specifica in esame.

Mette ai voti l’inclusione, tra le materie indicate nell’articolo 4, dell’istruzione universitaria.

(Non è approvata).

Ricorda la proposta fatta in una passata seduta dall’onorevole Bulloni – la quale trova corrispondenza in una formulata dall’onorevole Mannironi – di considerare nell’articolo 4 anche l’assistenza ospitaliera.

Pone ai voti tale proposta.

(È approvata).

Apre ora la discussione sulla voce «organizzazione sanitaria», che l’onorevole Mannironi propone di aggiungere all’elencazione dell’articolo 4.

FABBRI ritiene assurdo pensare ad un ordinamento legislativo regionale in questa materia, che deve invece essere regolata dallo Stato, sia per la considerazione che il ritardo da parte di una Regione nell’adottare determinate provvidenze può causare il diffondersi di un’epidemia, sia perché soltanto sul piano nazionale possono essere concepite quelle prescrizioni obbligatorie (vaccinazioni, iniezioni preventive, ecc.) a cui tutti devono sottomettersi.

NOBILE, alle considerazioni dell’onorevole Fabbri, aggiunge che un provvedimento del genere sarebbe inconcepibile in un Paese come l’Italia, dove la lotta contro la malaria è un problema d’importanza nazionale.

MANNIRONI ritira l’emendamento.

PRESIDENTE ricorda ora la proposta contenuta nella formula dell’onorevole Mortati di aggiungere all’articolo 4 le «strade ordinarie o ferrate, linee di navigazione o automobilistiche in quanto non interessino la difesa nazionale o le esigenze del traffico nazionale».

MANNIRONI ricorda di avere fatto analoga proposta, ma con la formula «trasporti e comunicazioni regionali», che gli sembra più comprensiva.

CONTI propone la seguente formula: «ferrovie secondarie e vicinali, tramvie e linee regionali automobilistiche».

FABBRI è contrario all’inclusione nell’articolo 4 di una norma del genere, perché pensa che, una volta deciso di affidare allo Stato il servizio ferroviario, questi non debba trovare concorrenti nei servizi locali.

NOBILE osserva che sarebbe un errore affidare alle Regioni la potestà legislativa sulle ferrovie, le quali, anche se soltanto secondarie, costituiscono uno dei servizi più delicati ed importanti della Nazione, ed enuncia le difficoltà, di indole tecnica e pratica, relative alla preparazione dei progetti e alla costruzione delle linee; di indole burocratica e legislativa, relative alle norme concernenti l’incolumità dei viaggiatori, ecc., difficoltà che, a suo avviso, non consentono l’attribuzione della legislazione su tale materia alle Regioni.

CONTI fa rilevare che si tratta di stabilire se il Consiglio regionale – indipendentemente dalla parte tecnica che sarà affidata ai competenti – il quale è al corrente delle necessità locali, possa deliberare la costruzione di una ferrovia.

PERASSI è del parere che la materia riguardante le ferrovie non possa essere frazionata e quindi non debba comprendersi nell’articolo 4.

PRESIDENTE ritiene opportuno che la Sottocommissione si pronunci separatamente sulle singole voci contenute nell’emendamento Conti.

Pone ai voti l’inclusione nell’articolo 4 delle ferrovie secondarie.

(Non è approvata).

Mette ai voti l’inclusione delle tramvie.

(È approvata).

Apre la discussione sulla voce: «linee regionali automobilistiche».

EINAUDI rileva che le ferrovie, alle quali fino a poco tempo fa veniva riconosciuto da tutti i trattati di economia e finanza un carattere monopolistico, sono oggi diventate industrie in concorrenza con i servizi automobilistici. Si tratta ora di decidere quale trattamento debba essere fatto alle linee automobilistiche, nel senso cioè di stabilire se esse possano continuare o meno a fare liberamente la concorrenza alle ferrovie. Fa presente la gravità di questo problema che non ha carattere locale, bensì nazionale, e quindi non può essere risolto Regione per Regione, ma in modo generale.

PRESIDENTE ritiene, data la gravità dell’argomento, opportuno rinviarne la discussione alla prossima seduta.

La seduta termina alle 17.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Calamandrei, Leone Giovanni.

Assenti: Castiglia, De Michele, Di Giovanni, Farini, Fuschini, Grieco, Lussu, Patricolo, Porzio, Targetti, Vanoni.

GIOVEDÌ 21 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

51.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 21 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Ambrosini, Relatore – Presidente – Nobile – Mortati – Perassi – Fabbri – Laconi – Tosato – Einaudi – Mannironi – Uberti – Zuccarini – Finocchiaro Aprile – Piccioni – Lussu – Conti – Cappi – Lami Starnuti – Bordon.

La seduta comincia alle 16.25.

 

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

AMBROSINI, Relatore, tiene a dichiarare che per motivo di carattere non personale preventivamente comunicato al Presidente, non poté partecipare alla discussione nel momento in cui furono proposte e votate le modificazioni apportate all’articolo 4 del progetto: se fosse stato presente, avrebbe sostenuto la necessità di approvare l’articolo 4 nel testo proposto dal Comitato di redazione.

PRESIDENTE avverte che la discussione odierna verte sulla elencazione delle materie che dovranno formare oggetto di legislazione concorrente da parte della Regione.

NOBILE propone di modificare la prima parte dell’articolo 4, già approvata, sostituendo all’espressione: «potestà legislativa nelle seguenti materie», una frase del seguente tenore: «potestà legislativa nelle materie che saranno stabilite con apposita legge dalle due Camere elettive». Con ciò non si farebbe più l’elencazione delle materie per le quali è stabilito di affidare alle Regioni la potestà legislativa cosiddetta concorrente. Spiega che la ragione principale che lo ha indotto a presentare questo emendamento sta nel fatto che è assai difficile e, nello stesso tempo, pericoloso procedere, nel corso di una breve discussione, a una simile elencazione perché vi possono essere ragioni di carattere tecnico non evidenti in un esame sommario, le quali impongano una regolamentazione uniforme per una data materia.

MORTATI osserva che la proposta di emendamento dell’onorevole Nobile non può essere accettata se si tiene presente che nell’affidare alle Regioni la potestà legislativa di cui all’articolo 4, si è voluto dare a quelle una posizione costituzionale che possa consentir loro di avere un potere normativo proprio. Pertanto, se mai un rinvio dovesse farsi per la determinazione dei limiti di tale potere normativo, dovrebbe essere fatto alla legge costituzionale, non già ad una legge speciale, che non potrebbe mai dare quella garanzia di intangibilità che si vuole accordare alla sfera di competenza stabilita per le Regioni dall’articolo 4.

NOBILE non si è soffermato, proponendo il suo emendamento, sulle questioni di carattere giuridico accennate dall’onorevole Mortati, ma non le ritiene di tale importanza da rinunciare alla sua proposta, su cui insiste.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Nobile.

(Non è approvato).

PERASSI fa presente che nella formulazione originaria dell’articolo 4, secondo il testo proposto dal Comitato di redazione, si parlava di potestà legislativa di integrazione delle norme generali da parte della Regione. Poiché però l’onorevole Mortati nella precedente riunione osservò che tale dizione non gli sembrava esatta, essa venne sostituita da un’altra, con la quale si affida alla Regione una potestà legislativa nell’ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dovere emanare per garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione. V’è ora da domandarsi se, in virtù di tale espressione, resti o meno attribuita alla Regione la competenza ad emanare norme integrative di quelle adottate con legge. A tale proposito osserva che spesso, alla fine di alcuni provvedimenti legislativi adottati in periodo di legislazione governativa, si trova un articolo in cui si stabilisce che il Governo è autorizzato ad emanare norme integrative o di attuazione, che sono diverse da quelle regolamentari; e nello stesso codice svizzero si hanno alcuni articoli, i quali attribuiscono al diritto cantonale la competenza ad emanare norme integrative persino in materie di diritto civile.

Prima di passare alla discussione dell’elencazione delle materie di cui all’articolo 4, sarebbe bene, a suo avviso, risolvere questo problema.

PRESIDENTE osserva che, se la risposta al quesito dell’onorevole Perassi fosse affermativa, si verrebbero a costituire quattro diverse potestà normative delle Regioni; e richiama sulla necessità che un testo costituzionale sia sempre redatto in maniera semplice e chiara.

FABBRI ritiene che la facoltà di emanare norme di integrazione sia prevista dall’articolo 4. Difatti una potestà legislativa concessa alla Regione nell’ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dover emanare, per garantire con una regolamentazione uniforme gli interessi unitari della Nazione, non può essere che di integrazione di quei principî direttivi, ossia delle norme emanate dallo Stato allo scopo suddetto.

LACONI osserva che, quando fu accolta la proposta fatta dall’onorevole Mortati di modificare la prima parte dell’articolo 4, la Sottocommissione partì dal presupposto di sottrarre alcune materie alla legislazione esclusiva della Regione, prevista nell’articolo 3, per farne oggetto di legislazione concorrente, secondo quanto appunto stabilisce la prima parte modificata dell’articolo 4. Non si discusse quindi sull’esatto significato di «legislazione concorrente». Ora, l’onorevole Fabbri reputa che la facoltà di emanare norme integrative rientri nella potestà legislativa concorrente affidata alla Regione nell’ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dovere emanare per garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione, perché considera i principî direttivi come norme generali dello Stato. Ma una simile questione non è stata ancora affrontata e forse l’interpretazione data dall’onorevole Fabbri all’espressione «principî direttivi» non è completamente esatta.

PRESIDENTE invita l’onorevole Mortati a dare un’interpretazione autentica sull’esatta portata della potestà legislativa attribuita alle regioni con il disposto della prima parte dell’articolo 4.

MORTATI ricorda che si è partiti dal presupposto di non affidare allo Stato il compito legislativo in tutte le materie, per non attribuire alla Regione soltanto un compito esecutivo. Si è perciò stabilito che in talune materie lo Stato possa emanare soltanto norme di orientamento, e la Regione abbia la facoltà di legiferare là dove le norme statali debbano essere adattate alle diverse esigenze delle singole Regioni.

In ogni modo, i principî direttivi sono sempre normativi; sono stabiliti con legge e sono quindi norme caratterizzate dalla genericità della statuizione al pari delle norme costituzionali, le quali pongono dei principî direttivi che vengono poi attuati dalla legge. Ciò gli sembra che non possa dar luogo a dubbi.

Piuttosto è da rilevare che l’esigenza prospettata dall’onorevole Perassi ha bisogno di essere meglio chiarita: occorre cioè precisare se ci si intenda riferire ad una facoltà di emanare norme integrative, garantita con competenza esclusiva o concorrente, oppure semplicemente alla potestà, da parte dello Stato, di delegare volta per volta tali norme di attuazione alle Regioni.

PERASSI dichiara che intendeva riferirsi ad ambedue le ipotesi prospettate dall’onorevole Mortati.

MORTATI osserva, in ogni modo, che la questione potrebbe essere risolta, consentendo al potere legislativo di delegare volta per volta alle Regioni la facoltà di emanare norme anche più ampie di quelle regolamentari. Non sarebbe necessario però includere un altro articolo nel progetto, per disciplinare il caso anzidetto, che potrebbe essere previsto nell’articolo 4-bis così modificato:

«Spetta alla Regione il potere regolamentare o di integrazione anche nelle materie che potranno essere stabilite dalle leggi».

L’unica questione che resterebbe allora da risolvere sarebbe quella di stabilire se occorre porre o meno dei limiti al legislatore ordinario in ordine a tale potere di delega.

TOSATO osserva che la proposta dell’onorevole Perassi, per quanto sia precisa, è praticamente inopportuna perché finirebbe col complicare il sistema previsto in ordine al potere normativo attribuito alle Regioni. Tale sistema infatti è abbastanza semplice: per esso alcune materie sono riservate alla competenza esclusiva delle Regioni; altre alla competenza non esclusiva (e suscettibili quindi di norme integrative o di attuazione); altre infine alla competenza puramente regolamentare. A suo avviso, il caso previsto dall’onorevole Perassi rientra nel disposto della prima parte dell’articolo 4, che stabilisce appunto l’attribuzione alle Regioni di una potestà legislativa non esclusiva. Infatti, quando si dice che in determinate materie il potere legislativo interverrà fissando dei principî direttivi, tali principî evidentemente non potranno essere che di due ordini: di ordine proibitivo, nel senso che lo Stato potrà intervenire stabilendo che su determinate materie le Regioni non potranno emanare alcuna norma; o di ordine positivo, nel qual caso lo Stato fisserà alcuni criteri di carattere generale a cui le Regioni dovranno attenersi nell’esercizio della loro potestà legislativa. In quest’ultimo caso, però, non è detto che i principî direttivi emanati dallo Stato debbano essere limitati a ciò che veramente è essenziale rispetto alla materia che dovrà essere disciplinata dalla legislazione regionale e che quindi essi non consentano un certo svolgimento legislativo, sia pure in linea di principio, di modo che la legislazione della Regione possa assumere un carattere più ampio di integrazione. Resterebbe poi sempre aperta l’ipotesi, prevista nell’articolo 4-bis, della facoltà regolamentare nelle sue varie forme di potestà regolamentare esecutiva, delegata o autonoma, per alcune materie appositamente determinate.

EINAUDI domanda come sia possibile stabilire se il legislatore nazionale, emanando principî direttivi allo scopo di garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione, sia andato oppur no oltre i limiti fissati dalla Costituzione. In altri termini, domanda come possa definirsi il principio direttivo.

MORTATI dichiara che lo si definisce in senso negativo. In ogni modo, la migliore garanzia, per l’ipotesi prevista dall’onorevole Einaudi, consiste nell’esistenza di una seconda Camera su base regionale, cioè di un organo creato proprio per tutelare gli interessi della Regione. Anche in altri Paesi è stata posta la questione relativa alla possibilità di un ricorso contenzioso da parte della Ragione per accertare se le norme direttive vadano oppur no al di là di un puro e semplice orientamento. Ma essa è stata decisa in senso negativo, per il carattere d’accertamento di merito che un’indagine in tal senso implica necessariamente.

FABBRI ritiene che ogni questione potrebbe essere risolta, se la prima parte dell’articolo 4 fosse modificata sostituendo, all’espressione «principî direttivi», la parola «norme» e facendo specifica menzione di una potestà legislativa integrativa.

Nell’articolo 4 è previsto il caso di una potestà legislativa concorrente da parte della Regione: ora, non si può concepire una legislazione concorrente con un’altra a un determinato scopo, se la seconda che concorre a quel determinato scopo non è integrativa della prima. In ogni modo, se le norme emanate dallo Stato saranno di carattere generale, ossia dei veri principî direttivi, la potestà legislativa di integrazione da parte delle Regioni sarà di più vasta portata; ma, se le norme emanate dallo Stato saranno molto specifiche, la facoltà integrativa concessa alle Regioni verrà a ridursi e sarà appena eccedente quella regolamentare.

TOSATO è contrario alla proposta dell’onorevole Fabbri, perché la potestà legislativa prevista nell’articolo 4 non è concorrente in senso tecnico. Tale potestà legislativa si ha quando su una determinata materia può intervenire, ad esempio, prima la Regione e poi, senza limiti, lo Stato e quando la norma emanata dallo Stato esclude qualsiasi altra norma adottata dalla Regione. Con l’articolo 4, invece, ci si propone di lasciare una potestà legislativa integrativa, ma propria, alla Regione: quindi l’intervento dello Stato dev’essere limitato alla determinazione di quei principî direttivi che lascino una certa possibilità di svolgimento alla legislazione locale. Se così non dovesse essere, lo Stato potrebbe intervenire liberamente nel campo della legislazione regionale e allora tanto varrebbe sopprimere l’articolo 4.

MANNIRONI concorda con quanto ha affermato l’onorevole Fabbri, nel senso che con la formula dell’articolo 4 si intenda anche il potere d’integrazione accennato dall’onorevole Perassi. In ogni modo, per evitare ogni dubbio in proposito, sarebbe meglio modificare, non già l’articolo 4, bensì l’articolo 4-bis, stabilendo esplicitamente che spetta alle Regioni il potere di integrazione delle leggi generali dello Stato e quello regolamentare esecutivo.

NOBILE osserva che occorre determinare in modo assai preciso i limiti di intervento da parte dello Stato nella legislazione regionale perché, a seconda che tali limiti siano più o meno ampi, converrà restringere o allargare l’elenco delle materie che possono formare oggetto di legislazione da parte delle Regioni. Così, se lo Stato potesse emanare disposizioni di Legge particolareggiate su questioni di interesse regionale, tanto varrebbe ridurre il numero delle materie o abolire addirittura l’elencazione di esse nell’articolo 4.

LACONI fa presente che nell’articolo 4 i limiti sono posti soltanto a carico dello Stato, mentre nell’articolo 4-bis, cadendo nell’eccesso opposto, l’attività legislativa è affidata interamente allo Stato e si attribuisce alla Regione soltanto un potere regolamentare esecutivo. Pertanto, con la formulazione dell’articolo 4 si concede troppo alla Regione, mentre con quella dell’articolo 4-bis le si concede troppo poco. Ciò considerato, sarebbe opportuno introdurre nel progetto un altro articolo: visto che non è facile addivenire ad un’elencazione di materie che possano formare oggetto separatamente, o del potere regolamentare esecutivo o della potestà di dettare norme integrative, si dovrebbe con un’altra norma prevedere una terza possibilità oltre le due anzidette.

MORTATI crede che sarebbe meglio procedere alla discussione dell’articolo 4-bis, prima di esaminare quali materie debbano essere elencate nell’articolo 4.

UBERTI rileva che l’osservazione fatta dall’onorevole Perassi, per quanto perfettamente logica, rischia di rendere troppo complesso il sistema previsto nel progetto relativamente alla potestà normativa delle Regioni. Non è pertanto favorevole all’adozione di un altro articolo nel senso indicato dall’onorevole Perassi.

NOBILE nota che, secondo la formulazione dell’articolo 4-bis, spetta alla Regione il potere regolamentare anche nelle materie per le quali i precedenti articoli consentono l’attività legislativa. Ora, se dovesse essere approvata l’elencazione delle materie per l’articolo 4 proposta dall’onorevole Mortati, fra le quali è anche quella delle strade ferrate, si arriverebbe a questo assurdo, che lo Stato non potrebbe emanare i regolamenti relativi alla sicurezza dell’esercizio ferroviario.

LACONI propone il seguente emendamento alla prima parte dell’articolo 4-bis:

«La Regione ha potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione per adattare alle condizioni locali le norme generali e direttive emanate con leggi dello Stato nelle seguenti materie e nei casi nei quali la legge ne faccia espressa delega».

MANNIRONI propone all’articolo 4-bis il seguente emendamento:

«Spetta alla Regione il potere di integrazione e regolamentare delle leggi da essa emanate e di quelle dello Stato che ne facciano espressa delega».

Con tale formula non occorrerebbe procedere ad un elencazione di materie nell’articolo 4-bis.

UBERTI propone di sostituire la prima parte dell’articolo 4-bis con la seguente:

«Spetta alla Regione il potere di integrazione e regolamentare anche in materie di competenza legislativa quando la legge dello Stato ne faccia espressa menzione».

MORTATI, per semplificare la dizione dell’articolo 4-bis, suggerisce di sopprimere in esso l’inciso «oltre che nelle materie per cui è consentita l’attività legislativa di cui al precedente articolo».

Accede poi alla proposta dell’onorevole Mannironi che in sostanza consiste nell’aggiunta del potere di integrazione alla formula da lui testé suggerita.

PRESIDENTE fa presente che nei riguardi delle quattro proposte di emendamento all’articolo 4-bis presentate dagli onorevoli Mortati, Laconi, Mannironi e Uberti, sorge il problema se per l’articolo 4-bis debba essere prevista o pur no un’elencazione di materie. Ad esempio, la formula dell’onorevole Laconi prevede la possibilità di un’elencazione, mentre ciò è escluso dalle formule degli onorevoli Mannironi e Uberti. Altra differenza è costituita dal fatto che nella formula dell’onorevole Laconi si parla di norme di integrazione e di attuazione, mentre in quella dell’onorevole Mortati soltanto di potere regolamentare e in quelle degli onorevoli Uberti e Mannironi di potere di integrazione e regolamentare. La differenza fra queste formule consisterebbe soltanto nei due termini «norme di attuazione e potere regolamentare», ma in fondo si tratta della stessa cosa. In ogni modo, poiché gli sembra che la discussione abbia assunto un carattere troppo decisamente dottrinario e astratto, ritiene opportuno sospenderla, per iniziare l’esame delle materie da elencare nell’articolo 4.

La discussione verte sulle seguenti materie: agricoltura, foreste e cave, che nel progetto del Comitato figuravano all’articolo 3, da cui sono rimaste escluse in seguito a decisione della riunione precedente.

NOBILE è contrario all’inclusione delle voci agricoltura, foreste e cave nell’elencazione di cui all’articolo 4. Troverebbe veramente strano che lo Stato non potesse emanare una legge, ad esempio, sulla protezione del patrimonio boschivo o sulla creazione di un Istituto sperimentale di agricoltura.

AMBROSINI, Relatore, è favorevole all’inclusione delle materie in esame nell’elencazione dell’articolo 4. Tiene però a dichiarare che, se fosse stato presente nella riunione precedente, avrebbe votato per la formulazione originaria dell’articolo 4 proposto dal Comitato, che, a suo avviso, era assai più semplice.

LACONI non ritiene opportuno dare alle Regioni una facoltà così ampia e indiscriminata, come è quella prevista nell’articolo 4, soprattutto in materia di agricoltura. In tale campo tutt’al più dovrebbe essere concesso alle Regioni il potere di cui all’articolo 4-bis, ossia quello regolamentare esecutivo.

ZUCCARINI rileva che le varie preoccupazioni manifestatesi nel corso della discussione sulla portata dell’articolo 4 non hanno ragione d’essere, visto che il progetto dell’ordinamento regionale, proposto dal Comitato di redazione, in sostanza non prevede la concessione alle Regioni di un’autonomia molto ampia e non mira a togliere allo Stato le sue prerogative per ciò che si riferisce alle leggi generali. Il potere centrale potrà sempre emanare una legge di carattere nazionale per il rimboschimento o la tutela dell’agricoltura. Pertanto i timori manifestati dall’onorevole Nobile non sono affatto giustificati. Quando si parla di legislazione regionale, ci si intende riferire ai problemi particolari e propri alla regione sulle particolari materie, e nessuna materia come l’agricoltura offre aspetti e problemi diversi da Regione a Regione e persino nell’ambito di una stessa Regione. Si tenga conto di quello che il progetto è veramente e delle limitazioni che esso pone all’autonomia regionale. Se la competenza delle Regioni dovesse essere ancora maggiormente ristretta, non si potrebbe parlare più di autonomia e alle Regioni non rimarrebbero che le funzioni che oggi sono attribuite alle Provincie.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione della voce «agricoltura» nell’elencazione dell’articolo 4.

(È approvata).

Mette in votazione l’inclusione della voce «foreste» nella stessa elencazione.

(È approvata).

EINAUDI ritiene che la materia delle cave non possa essere considerata separatamente da quella delle miniere e ricorda che esse sono strettamente unite nella legislazione vigente. A questa si è giunti dopo un lungo periodo di elaborazione della materia. Sulle prime la legislazione in tale campo era molto differente da Regione a Regione: in alcune Regioni si avevano leggi che si ispiravano alle più vecchie tradizioni medioevali, ossia al principio della libera ricerca del cavatore di marmo. In seguito si ebbe la legge francese del 1810, per la quale soltanto lo Stato poteva accordare la concessione del sottosuolo, pure ammettendosi qualche deroga a questo principio, inteso a rispettare il diritto di superficie. Esisteva anche la legislazione siciliana, che riconosceva l’identità della proprietà della superficie con la proprietà delle cave, ma l’esperienza dimostrò che tale principio era contrario all’interesse dello sfruttamento. Così si giunse ad unificare la legislazione.

Non crede che in questo campo sia più possibile tornare indietro: ne deriverebbe un notevole regresso economico nello sfruttamento delle miniere e delle cave. Non si tratta, in questa materia, soltanto di impartire alcuni principî direttivi; occorrono invece norme assai precise, senza le quali non è possibile conseguire il successo nell’esercizio delle miniere e delle cave. Si tratta infatti di stabilire se le miniere appartengono al proprietario della superficie o allo Stato, se lo Stato le possa esercitare direttamente o per mezzo di concessioni, se tali concessioni debbano essere perpetue o temporanee; e ciascuna di tali questioni deve essere regolata con norme precise di legge, emanate non solo in vista dell’interesse privato, ma anche e soprattutto dell’interesse collettivo. Si tratta, insomma, di una legislazione che dev’essere uniforme per tutte le Regioni. La Regione, in questo campo, può avere soltanto un certo potere di integrazione, onde la materia delle cave e delle miniere dovrebbe essere compresa nell’elencazione dell’articolo 4-bis e non in quella dell’articolo 4.

NOBILE si associa alle considerazioni svolte dall’onorevole Einaudi. La materia in esame riguarda soltanto le cave, ma essa, come giustamente ha osservato l’onorevole Einaudi, non può essere dissociata da quella delle miniere. Ora, è un assurdo pensare che in questo campo possa essere attribuita una potestà legislativa alle Regioni. Cita un esempio: oggi tutti i Paesi vanno in cerca di minerali contenenti uranio. Se tali minerali dovessero essere scoperti in una nostra Regione, lo Stato, secondo il principio fissato dall’articolo in esame, non avrebbe diritto di intervenire, eppure si tratterebbe di una scoperta che potrebbe avere enormi conseguenze da un punto di vista economico, politico e militare per il nostro Paese.

FINOCCHIARO APRILE contesta le affermazioni dell’onorevole Einaudi e tiene a dichiarare che in Sicilia si desidera vivamente ripristinare la vecchia legislazione, per cui la proprietà delle miniere spettava al proprietario della superficie. Afferma che i siciliani non possono essere favorevoli alla legislazione italiana che, per quanto riguarda l’industria zolfifera, ha arrecato notevoli danni alla Sicilia.

EINAUDI fa osservare, per amore di precisione, che il principio informatore originario nella legislazione siciliana non era affatto quello della unione della proprietà della superficie e di quella del sottosuolo. La proprietà del sottosuolo era riservata allo Stato, che ne concedeva l’uso ai privati dietro un determinato pagamento in natura, a tempi stabiliti. Col mutare dell’unità monetaria quest’obbligo dei privati cadde in desuetudine ed essi finirono così col diventare proprietari delle miniere e delle cave che originariamente erano dello Stato.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che la materia delle cave possa essere inclusa nell’elencazione dell’articolo 4, giacché così resta sempre allo Stato il diritto di emanare norme direttive in tale campo per la salvaguardia dell’interesse generale.

PICCIONI è favorevole all’inclusione della materia delle cave nell’elencazione dell’articolo 4, perché ritiene che tale materia debba essere affidata alla competenza delle Regioni, non escluse tra queste la Sicilia, la Sardegna e la Valle d’Aosta.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione della voce «cave» nell’elencazione dell’articolo 4.

(È approvata).

Fa presente che è ora in questione l’inclusione della voce «antichità e belle arti» nell’elencazione dell’articolo 4.

La mette in votazione.

NOBILE dichiara che voterà contro.

(È approvata).

Mette poi in votazione l’inclusione della voce «turismo» nella stessa elencazione.

NOBILE dichiara di votare contro.

(È approvata).

MANNIRONI propone di aggiungere, dopo la voce «turismo», la voce «spettacoli».

PRESIDENTE osserva che questa parola è troppo generica e chiede all’onorevole Mannironi di spiegare in quale senso egli la intenda.

MANNIRONI intende riferirsi alla disciplina delle sale di pubblico spettacolo.

LUSSU è favorevole alla proposta fatta dall’onorevole Mannironi, perché trova opportuno sottrarre la materia dei pubblici spettacoli allo Stato cui è oggi affidata in base a una legge fascista ancora in vigore.

CONTI crede che la questione si potrebbe risolvere includendo i pubblici spettacoli nell’elenco delle materie che possono formare oggetto del potere di integrazione da parte delle Regioni.

CAPPI propone la dizione: «concessione e disciplina delle manifestazioni artistiche».

LAMI STARNUTI suggerisce la seguente espressione: «concessione amministrativa per l’apertura delle sale di pubblico spettacolo».

LUSSU rileva che la formulazione proposta dall’onorevole Lami Starnuti ha un carattere troppo particolareggiato e quindi non può formare oggetto di una norma costituzionale.

PRESIDENTE condivide l’opinione dell’onorevole Lussu e pertanto ritiene che sia meglio prendere in considerazione la dizione generica proposta dall’onorevole Mannironi. Tiene però a dichiarare che con essa ci si può riferire a tutta una serie di iniziative legislative nel campo dei pubblici spettacoli, come, ad esempio, ai controlli di carattere artistico, a leggi di polizia e in materia fiscale, alla disciplina in genere dell’attività teatrale, cinematografica, sportiva e così via. In altri termini, accogliendo la proposta dell’onorevole Mannironi, si corre il rischio di affidare alla Regione la potestà legislativa su un settore molto largo della vita moderna e non sa quanto ciò possa essere opportuno.

NOBILE è contrario alla proposta dell’onorevole Mannironi, perché, se fosse accolta, lo Stato non avrebbe più possibilità di emanare, ad esempio, leggi speciali per indire manifestazioni artistiche di carattere internazionale, che potrebbero essere utili per richiamare nel nostro Paese turisti dalle varie parti del mondo.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione della voce «spettacoli» nell’elencazione delle materie dell’articolo 4.

(Non è approvata).

Avverte che ora è in questione l’inclusione della voce «caccia» nell’elenco delle materie di cui all’articolo 4.

La mette in votazione.

(È approvata).

La presente che si deve ora discutere dell’inclusione del termine «industria».

NOBILE comunica di avere constatato che su 68 leggi da lui esaminate, in materia industriale, soltanto 5 si riferiscono ad esigenze di carattere regionale; tutte le altre contengono norme di interesse nazionale e non già quei principî direttivi di cui fa parola l’articolo in discussione. Vi sono leggi che riguardano gli infortuni sul lavoro, i censimenti industriali, l’Ispettorato del lavoro, l’istituzione di enti a carattere nazionale come l’Ente nazionale serico e l’Ente per la produzione e l’utilizzazione della canapa, le autorizzazioni per nuovi impianti industriali, gli orari di lavoro nelle aziende industriali e così via. Si domanda come sia possibile eliminare la potestà legislativa dello Stato in queste materie: ciò andrebbe a detrimento della produzione nazionale e della ripresa del processo produttivo del Paese. Per tali considerazioni si dichiara contrario all’inclusione della voce «industria» nell’elencazione dell’articolo 4.

ZUCCARINI ritiene, contrariamente a quanto ha affermato l’onorevole Nobile, che soltanto limitando il diritto di intervento dello Stato nel campo dell’industria, potrà essere affrettata la ripresa produttiva ed economica del Paese. Crede che proprio nel campo dell’industria l’intervenzionismo statale si sia spinto di più e sia risultato più particolarmente dannoso, appunto in virtù di alcune di quelle leggi che l’onorevole Nobile ha citato per sostenere il diritto dello Stato ad essere legislatore unico su tale importante materia.

LACONI osserva che, approvando l’inclusione della voce in esame nell’elenco di materie dell’articolo 4, si impedirebbe allo Stato la creazione di enti di carattere nazionale e in genere qualsiasi iniziativa in un ramo di così vitale importanza per il Paese com’è quello industriale. Ciò potrebbe avere dannose ripercussioni sull’attività produttiva e per conseguenza sull’economia del Paese.

PRESIDENTE fa presente che, con l’inclusione della voce «industria» nell’elenco delle materie dell’articolo in esame, si escluderebbe a priori la possibilità di procedere a nazionalizzazioni; tanto è vero che in altra occasione ha sentito parlare l’onorevole Lussu di regionalizzazione e non di nazionalizzazione delle industrie.

LUSSU precisa che quando parlò di regionalizzazione dell’industria si riferì soltanto alla Sardegna, dove effettivamente alcune industrie possono essere regionalizzate. Ciò non significa per altro che egli abbia mai pensato ad una regionalizzazione dell’industria in Italia. Al contrario, ha sempre rivendicato allo Stato il diritto di procedere a socializzazioni e a nazionalizzazioni nel campo industriale.

MORTATI precisa che, attribuendo allo Stato un potere di intervento negli orientamenti generali di politica economica, non si vuole intendere altro che attribuire allo stesso Stato una facoltà legislativa che si estrinsechi in norme direttive e basilari a carattere nazionale. Pertanto l’inclusione della voce «industria» nell’elenco di materie dell’articolo in esame non escluderebbe la possibilità di socializzazioni e nazionalizzazioni.

PRESIDENTE prospetta l’ipotesi della nazionalizzazione di una singola industria.

MORTATI osserva che anche in tale ipotesi occorrerebbe una legge generale in deroga alle norme comuni e potrebbe manifestarsi l’opportunità di lasciare alla Regione in cui l’industria sorge la possibilità di adattare la deroga apportata al diritto comune ad esigenze locali.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione della voce «industria» nell’elenco dell’articolo 4.

NOBILE chiede che la votazione su questo punto si faccia per appello nominale.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale.

LUSSU dichiara di astenersi dalla votazione e che lo stesso farà per le prossime votazioni riguardanti l’inclusione delle altre materie nell’elenco dell’articolo in esame, perché ritiene che con le varie ripartizioni proposte le idee si siano piuttosto confuse anziché chiarite.

Rispondono sì: Ambrosini, Bulloni, Cappi, De Michele, Mannironi, Mortati, Piccioni, Tosato, Uberti e Zuccarini.

Rispondono no: Bocconi, Bordon, Bozzi, Conti, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo e Terracini.

Si astiene: Lussu.

(Con 10 voli favorevoli, 15 contrari e un astensione, non è approvata).

Fa presente che è ora in discussione l’inclusione della voce «commercio» nell’elencazione dell’articolo 4.

NOBILE ritiene che anche la materia del commercio debba essere riservata alla competenza dello Stato, specie ove si consideri l’assoluta necessità di una disciplina uniforme per il commercio con l’estero.

EINAUDI osserva che la materia in discussione non può formare oggetto di una legislazione regionale, perché ciò influirebbe dannosamente sui rapporti tra una Regione e l’altra e quindi su quella libertà di movimento senza cui non è possibile svolgere l’attività commerciale. Alla Regione può competere soltanto la facoltà di regolare alcuni rapporti di carattere strettamente locale, limitatamente cioè all’esercizio delle botteghe e delle aziende; ma una potestà legislativa in questa materia darebbe luogo inevitabilmente in ogni sorta di vincoli e di intralci.

UBERTI fa osservare che con l’attribuzione della potestà legislativa alle Regioni nel campo commerciale verrebbero a cessare gli interventi dello Stato nell’ambito delle esigenze locali relativamente alla materia in discussione. Basti ricordare che oggi, accanto alle Camere di commercio, esistono gli uffici provinciali del commercio, i quali sono alle dipendenze del potere centrale. Si tratta di una situazione assurda, che potrà cessare soltanto quando sia attribuita alle Regioni, in materia commerciale, la potestà legislativa di cui all’articolo 4.

LACONI rileva che, se vi è una materia che non deve essere attribuita alla competenza delle Regioni, è proprio quella commerciale. Si potrebbe obiettare che con l’articolo 8 del progetto proposto dal Comitato di redazione si provvede a vietare alle Regioni l’adozione di provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale. Ma è facile rispondere che in materia commerciale si può, con svariati modi, raggiungere determinati intenti per via indiretta.

EINAUDI riconosce esatte le considerazioni dell’onorevole Uberti in merito alla coesistenza degli Uffici provinciali di commercio e delle Camere di commercio; ma osserva che ciò non toglie che alle Regioni debba essere attribuita una competenza assai limitata in materia commerciale.

ZUCCARINI dichiara che, con l’inclusione della voce «commercio» nell’elencazione delle materie di cui all’articolo in esame, sarebbe veramente riconosciuta l’importanza che agli effetti locali hanno le Camere di commercio e sarebbero, così, eliminati quegli uffici provinciali di commercio, a cui ha fatto cenno l’onorevole Uberti. In ogni modo tiene a ricordare che con l’articolo 4 si riconosce allo Stato il diritto di emanare norme direttive generali su tutte le materie che si troveranno elencate in quell’articolo. Quindi se la voce «commercio» verrà ad essere inclusa in tale elencazione delle materie, alla Regione sarà attribuito soltanto un compito di legislazione complementare in materia commerciale, a meno che, escludendo tale voce, non si pensi di sopprimere addirittura quelle Camere di commercio che persino nella vecchia legislazione pre-fascista e poi, con altro nome, in quella fascista si riconobbero, più che utili, necessarie.

MANNIRONI concorda con le osservazioni degli onorevoli Zuccarini e Uberti e fa presente che le stesse ragioni che hanno consigliato di affidare alla competenza regionale la materia dell’agricoltura, valgono anche per una potestà legislativa in materia di commercio. Le preoccupazioni di coloro i quali temono che questa possa ostacolare la libera circolazione delle merci non hanno, a suo avviso, ragione di essere. Osserva in proposito che le Camere di commercio oggi tendono a raggrupparsi non solo nell’ambito nazionale, ma anche in quello internazionale. In ogni modo, non si tratta di attribuire alle Regioni un potere di regolamentazione generale del commercio – compito, questo, che è riservato allo Stato – ma di riconoscere alle Regioni stesse una competenza più specifica, di carattere locale, che può andare dal rilascio delle licenze sino all’anagrafe dei commercianti, questioni che non possono né devono interessare gli organi centrali dello Stato.

LACONI osserva che, ove sia attribuita alle Regioni una potestà legislativa nel campo del commercio, non è detto che esse la esercitino nel senso desiderato di favorire il commercio, indipendentemente dagli interessi locali. Ciò potrebbe anche non accadere: ed è inutile fare affidamento su una determinata linea di condotta da parte delle Regioni, quale vagheggiano gli onorevoli Zuccarini e Mannironi. Importante è decidere se si debba o pur no dare al commercio una regolamentazione regionale.

PRESIDENTE ricorda che nel corso della discussione generale più volte è stata fatta presente la necessità di attribuire ai Consigli regionali una potestà legislativa in molte delle materie che attualmente rientrano nella competenza del potere legislativo, per rendere più spedito il funzionamento del Parlamento, che oggi è chiamato a legiferare anche su questioni di minima importanza. Se si considera però l’elenco delle varie materie che finora la Sottocommissione ha deciso di affidare alla competenza delle Regioni, non si riesce facilmente ad immaginare in qual modo i Consigli regionali potranno assolvere il compito che sarà loro demandato, tanto numerose sono le materie su cui saranno chiamati ad esercitare la loro potestà legislativa.

Ciò considerato, crede opportuno non allargare oltre una certa misura questi compiti.

Osserva poi che taluni colleghi sono favorevoli ad includere la voce «commercio» in questa elencazione, forse perché si lasciano suggestionare dal cattivo funzionamento del potere centrale nel momento presente. In verità lo Stato italiano è oggi ancora disorganizzato, ma ciò col tempo dovrà cessare e allora molti degli esempi addotti a dimostrare una presunta incapacità del potere centrale a provvedere alle esigenze locali e, per contro, un’eguale presunta capacità della Regione a risolvere tutti i problemi, perderanno la loro importanza. È bene che ciò non sia dimenticato, se veramente si ha in animo di dare una effettiva efficienza alle Regioni, nel quadro di una vita nazionale ricondotta alla normalità.

Circa le Camere di commercio osserva che esse, pur avendo un largo ambito di iniziative prima del fascismo, non potevano però andare al di là di certi compiti, in quanto erano sottoposte alla legge dello Stato. Oggi, invece, le Camere di commercio vogliono arrogarsi compiti sempre più vasti: si è richiesta per loro addirittura la potestà legislativa nel campo commerciale. Che una domanda simile sia stata avanzata si può facilmente comprendere perché, quando si va oltre un certo limite relativamente al principio della unitarietà delle norme attinenti a determinati aspetti della vita nazionale, facilmente si può arrivare alle conseguenze più estreme.

Certe facoltà non possono essere attribuite alle Regioni. Una prova di ciò, ad esempio, si ha nell’adozione dei calmieri, a cui spesso sono costretti a far ricorso anche gli Stati più liberisti. Difatti, quando circa un mese fa, di fronte a una congiuntura particolarmente acuta della situazione alimentare, si cercò di adottare il sistema dei calmieri in una data Regione, per giustificarne l’abolizione si sostenne, e non a torto, che i calmieri debbono essere applicati non in una singola Regione, ma in tutto il territorio nazionale, perché altrimenti perdono di efficacia. Lo stesso si può dire per il tesseramento, che in Italia con ogni probabilità dovrà ancora durare per un certo periodo, relativamente almeno ad alcuni prodotti. Se si vuole vedere in pratica ciò che in potenza si avrebbe, attribuendo alle Regioni una potestà legislativa nel campo commerciale, basta considerare il grave inconveniente che oggi si verifica nell’ambito di una stessa Regione con i divieti di scambio delle merci, impartiti dai Prefetti, fra provincia e provincia. Se non si vuole tornare a un tipo di economia ormai superata, di carattere quasi medievale, occorre assolutamente evitare che alle Regioni sia concessa una potestà legislativa in materia di commercio.

Pone in votazione l’inclusione della voce «commercio» nell’elenco dell’articolo 4.

NOBILE chiede che la votazione si faccia per appello nominale.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale.

CONTI voterà a favore dell’inclusione della voce «commercio» nell’elenco di materie dell’articolo 4, perché ritiene che la disciplina dell’attività commerciale, a differenza di quella per l’industria, possa essere attribuita alle Regioni.

AMBROSINI, Relatore, voterà per l’attribuzione alle Regioni della potestà legislativa in materia di commercio, perché in virtù dell’articolo 4 lo Stato ha sempre il diritto di emanare norme direttive nelle varie materie affidate alla competenza regionale.

PERASSI si asterrà dal votare, perché ritiene che con la parola «commercio» sia attribuita alle Regioni una competenza troppo ampia.

Rispondono Sì: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Conti, De Michele, Mannironi, Mortati, Piccioni, Tosato, Uberti e Zuccarini.

Rispondono No: Bocconi, Bordon, Bozzi, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo e Terracini.

Si astengono: Lussu e Perassi.

(Con 11 voti favorevoli, 13 contrari e 2 astensioni, non è approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sull’inclusione della voce «acque pubbliche ed energia elettrica» nell’elencazione di materie dell’articolo 4.

NOBILE trova che, attribuendo alle Regioni la potestà legislativa in materia di energia elettrica, si andrebbe contro la realtà dei fatti, visto che l’energia elettrica prodotta in un posto può essere trasportata anche nelle località più lontane. Non si può ritenere, quindi, che la produzione dell’energia elettrica sia di interesse regionale.

CONTI riconosce che non vi possono essere dubbi sul carattere nazionale che ha la produzione dell’energia elettrica. Ciò però non si può dire per le acque pubbliche che possono essere adibite a vari usi, ad esempio a scopo di irrigazione. Bisognerebbe quindi distinguere le grandi forze idrauliche di interesse nazionale, da quelle di portata più modesta che possono essere di interesse locale.

UBERTI è favorevole all’inclusione della voce in esame nell’elenco di materie dell’articolo 4. A suo avviso lo Stato non può essere l’unico regolatore della materia in discussione, perché spesso può accadere che esso, con il pretesto dell’utilità generale, ma in realtà sotto la spinta di inconfessati interessi particolaristici, si faccia promotore di iniziative e di opere che poi arrecano gravissimi danni all’economia locale. A riprova di questa sua affermazione può citare l’esempio della diversione del fiume Adige nel lago di Garda, voluta sotto il fascismo contro la decisa opposizione di un’intera provincia.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Uberti che gli inconvenienti da lui lamentati potrebbero verificarsi assai più facilmente ove fosse attribuito alle Regioni, che sono organismi più deboli dello Stato, una potestà legislativa sulla materia in esame. A certe forti pressioni di interessi particolaristici, infatti, può meglio reagire lo Stato che non la Regione.

In ogni modo, se è vero che la costruzione di una grande opera, quale ad esempio quella di un bacino idrico, può a volte causare turbamenti agli immediati interessi di alcune persone e persino sconvolgere la natura dei luoghi in cui dev’essere eseguita, non per questo essa non dovrà essere attuata, se possa riuscire utile a tutto il Paese.

LUSSU ha già dichiarato che si asterrà dal votare sull’inclusione delle varie materie nell’elenco dell’articolo 4. In ogni modo, se dovesse votare, voterebbe contro la proposta di attribuire alle Regioni la potestà legislativa sulla materia in discussione. Il problema idraulico in Italia, infatti, non può essere risolto che da un punto di vista unitario. A tale regola si può forse fare un’eccezione soltanto per la Sicilia e la Sardegna.

LAMI STARNUTI fa osservare all’onorevole Lussu che anche per la Sicilia e la Sardegna si impone una soluzione unitaria del problema dell’energia elettrica, almeno per quel che riguarda il costo di essa. Difatti è stato proprio per l’alto prezzo di tale energia che non si è giunti a una efficiente industrializzazione del Mezzogiorno. A suo avviso, sarebbe meglio includere la voce «acque pubbliche», non già nell’elencazione delle materie dell’articolo 4, bensì in quella delle materie dell’articolo 4-bis, secondo quanto ha proposto l’onorevole Mortati.

BORDON ritiene che la questione in esame sia molto complessa e che pertanto sarebbe meglio trattare separatamente il problema delle acque pubbliche e quello dell’energia elettrica.

Per le acque pubbliche è da tener presento che esse, ad esempio, nello statuto speciale della Sicilia sono dichiarate di proprietà della Regione. Da ciò che ha udito nel corso della discussione però, gli sembra che alcuni intendano per acque pubbliche anche certe che, a suo avviso, sono acque private. Bisognerebbe quindi evitare ogni dubbio in proposito. Lo stesso si può dire per la voce «energia elettrica», con la quale non si sa se, ad esempio, si possa fare riferimento a una centrale elettrica nazionalizzata.

Ciò considerato, reputa opportuno astenersi dal votare.

MANNIRONI dichiara di essere favorevole all’inclusione della voce «acque pubbliche ed energia elettrica» nell’elenco di materie dell’articolo 4 perché, se una Regione ha la fortuna di avere acque in abbondanza e quindi la possibilità di costruirsi una centrale idroelettrica, ritiene giusto che essa abbia il vantaggio di poter distribuire la energia elettrica ai propri abitanti a un prezzo minore di quello a cui tale energia è distribuita agli abitanti di altre Regioni.

D’altra parte, poiché occorre che i bilanci regionali non siano troppo scarsamente dotati, se veramente si vuole assicurare una certa autonomia alle Regioni, sarebbe opportuno che una percentuale dell’imposta sull’energia elettrica andasse a vantaggio della Regione.

Per queste considerazioni è favorevole ad attribuire alle Regioni la potestà legislativa in materia di acque pubbliche e di energia elettrica.

EINAUDI fa osservare all’onorevole Conti che gli sviluppi della moderna tecnica richiedono un coordinamento fra lo sfruttamento delle acque a scopo d’irrigazione e quello ai fini della produzione dell’energia elettrica.

Circa poi l’attribuzione alle Regioni della potestà legislativa di cui all’articolo 4 in materia di energia elettrica, deve dire che soltanto a sentir enunciare una tale proposta gli sembra di vivere in un mondo completamente irreale. Le esigenze e la tecnica del mondo moderno impongono e facilitano il collegamento di tutti gli impianti di energia elettrica, onde uno sfruttamento soltanto locale delle acque sarebbe un assurdo.

Qualcuno ha anche accennato ai prezzi dell’energia elettrica. Ora, la loro riduzione non si potrà conseguire se non con il migliore sfruttamento delle acque, ossia con uno sfruttamento che sia possibilmente il più razionale e il più coordinato in tutta l’estensione del territorio nazionale. Chi si preoccupa, e giustamente, che siano salvaguardati gli interessi regionali non dovrebbe dimenticare che nel progetto proposto dal Comitato esiste l’articolo 5, per cui si assicura alla Regione la facoltà di proporre disegni di legge al Parlamento nazionale. Ciò potrà permettere alle Regioni di tutelare i propri interessi.

In ogni modo, soltanto con una disciplina unitaria della materia in esame potranno essere garantiti non solo gli interessi generali, ma anche quelli di carattere locale.

Per queste considerazioni si oppone all’inclusione della voce «acque pubbliche ed energia elettrica» nell’elenco di materie dell’articolo 4.

PRESIDENTE ritiene che sarebbe assai pericoloso attribuire alle Regioni una potestà legislativa sulla materia in esame. A tale proposito basta ricordare che in Umbria, da parte di alcuni interessati, s’insiste fortemente perché tale Regione non solo sia autonoma, ma possa anche unirsi ad altri territori circonvicini sì da formare un tutto unico come centro di produzione idroelettrica, con il fine dichiarato di dominare economicamente l’Italia centrale.

AMBROSINI, Relatore, propone di aggiungere alla voce «acque pubbliche ed energia elettrica», le seguenti parole: «in quanto il loro regolamento non incida sull’interesse dello Stato o di altre regioni», secondo quella che era, relativamente alla materia suddetta, la formulazione originaria della disposizione in esame.

CONTI si associa alla proposta dell’onorevole Ambrosini.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione della voce «acque pubbliche ed energia elettrica» nell’articolo 4, seguita dalle parole: «in quanto il loro regolamento non incida sull’interesse dello Stato o di altre Regioni».

PICCIONI domanda che la votazione avvenga per appello nominale.

FABBRI voterà contro, perché gli allacciamenti delle linee dell’energia elettrica sono oggi di un’urgenza di carattere nazionale.

NOBILE voterà contro per le stesse ragioni esposte dall’onorevole Fabbri.

Rispondono Sì: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Mannironi, Mortati, Perassi, Piccioni, Tosato, Uberti, Zuccarini.

Rispondono No: Bocconi, Bozzi, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini.

Si astengono: Bordon, Finocchiaro Aprile, Lussu.

(Con 13 voti favorevoli, 11 contrari e 3 astensioni, è approvata).

La seduta termina alle 20.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Targetti.

Assenti: Di Giovanni, Farini, Fuschini, Grieco, Leone Giovanni, Patricolo, Porzio, Vanoni.

MERCOLEDÌ 20 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

seconda sottocommissione

50.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 20 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Rossi Paolo – Tosato – Grieco – Nobile – Bulloni – Cappi – Codacci Pisanelli – Uberti – Conti – Fabbri – Calamandrei – Ravagnan – Lussu – Mortati – Zuccarini – Perassi – Laconi – La Rocca – Piccioni – Lami Starnuti – Mannironi – Fuschini – Bozzi – Bordon – Ambrosini, Relatore.

La seduta comincia alle 16.20.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE ricorda che debbono ora prendersi in esame le materie elencate nell’articolo 3, che formano oggetto della potestà legislativa della Regione e apre la discussione sul primo gruppo: «Agricoltura, foreste, cave e torbiere».

ROSSI PAOLO osserva che il termine «agricoltura» è troppo lato e la sua inclusione nell’articolo 3 escluderebbe che si potesse addivenire ad una riforma agraria interessante l’intiero Paese. Ne propone quindi il passaggio all’articolo 4.

TOSATO si associa.

GRIECO concorda. Non crede ammissibile, in questo campo, una potestà legislativa esclusiva della Regione, la quale contrasterebbe con l’esigenza di una legislazione agricola unitaria e permetterebbe, ad esempio, che nell’Emilia si attuasse la collettivizzazione agricola e nelle altre Regioni no. Può concepirsi al riguardo, da parte della Regione, solo una potestà normativa integrativa.

NOBILE aggiunge che l’agricoltura, e tutto ciò che ad essa si riferisce, è cosa di interesse nazionale. Il Paese non può rimanere indifferente al modo come si coltiva in una data Regione, perché, ad esempio, il trascurare la produzione del grano potrebbe significare costringere ad aumentare l’importazione dall’estero.

Lo stesso può dirsi delle foreste, che nel loro complesso costituiscono un prezioso patrimonio di tutta la Nazione, e non di una singola Regione. Così pure delle cave, che potrebbero domani fornire un metallo prezioso all’economia del Paese, e delle torbiere, il cui sfruttamento non può essere lasciato all’arbitrio delle Regioni in una Nazione così povera di combustibili come l’Italia.

BULLONI ritiene invece che se v’è materia che debba esser considerata con riguardo alle necessità locali, questa è proprio l’agricoltura. È convinto che le Regioni sapranno sfruttare nel miglior modo le loro risorse agricole nell’interesse proprio e della collettività. Né vede perché l’attribuzione della materia alla Regione potrebbe essere di ostacolo alla riforma agraria: l’Ente Regione vi provvederebbe in funzione di quel l’interesse generale che è affidato alla sua tutela.

CAPPI trova eccessivi i timori di alcuni colleghi. A suo avviso non è a pensare che la Regione possa rivoluzionare il campo agrario, né che possa giungere – come accennava l’onorevole Grieco – alla collettivizzazione o all’espropriazione della proprietà fondiaria, se nella Costituzione sia sancito il principio del diritto di proprietà privata. Né una Regione potrebbe decretare la distruzione delle sue foreste, perché ciò urterebbe contro l’interesse nazionale, e troverebbe quindi ostacolo nella legislazione statale.

CODACCI PISANELLI premette che nell’articolo 3 si è usata l’espressione «potestà legislativa» con un significato diverso da quello normale: per dare maggior rilievo al principio autonomistico, si sono adoperate parole diverse da quelle che si sarebbero dovute ai fini di una maggiore precisione scientifica.

Crede che non si debba preoccuparsi troppo del potere che si concede alle Regioni, in quanto non potrà andare contro i principî fondamentali della nostra legislazione, né contro gli interessi nazionali. Il giorno in cui una Regione abusasse della sua potestà, potrebbe il Parlamento, con una sua legge rivolta a garantire gli interessi nazionali, porle dei limiti e togliere, eventualmente, valore alle norme emanate in contrasto con gli interessi generali. Un’altra garanzia, poi, è costituita dalla Corte per il controllo sulla costituzionalità delle leggi. Crede quindi che non possa disconoscersi l’opportunità di tener conto delle esigenze locali, attribuendo alle Regioni, in via normale, l’emanazione di norme giuridiche in materia di agricoltura, foreste, cave e torbiere.

UBERTI mette in evidenza che tutto il complesso di opere per il potenziamento dell’agricoltura (lotta contro le malattie delle piante, ed in genere tutti i compiti affidati attualmente agli Ispettorati provinciali dell’agricoltura) assume aspetti notevolmente vari da regione a regione, come profonde sono anche le diversità dei contratti agrari: per cui l’insistere su una legislazione unica determinerebbe il rischio di renderne impossibile l’applicazione in tutto il territorio della Repubblica. Cita in proposito l’esempio della legge sul latifondo del 1921, che era utile per l’Italia meridionale e insulare, ma aveva scarse possibilità di applicazione nel Veneto. Così, la legislazione della Repubblica veneta in materia forestale, importantissima perché il legno era un elemento indispensabile per la vita della Repubblica, ottima per quel territorio, non avrebbe potuto estendersi a tutta l’Italia. Una legislazione di carattere regionale presenterebbe il vantaggio di una più viva aderenza alla realtà ed agli effettivi bisogni locali.

TOSATO nota che da taluno è stato affermato poc’anzi che lo Stato avrebbe il potere di dettare, qualora ne riconoscesse la opportunità, una regolamentazione uniforme anche per le materie elencate nell’articolo 3. È, invece, opinione sua e di altri colleghi che, stando alla lettera di detto articolo, ciò non sarebbe possibile. Ritiene pertanto necessario far precedere la discussione su queste materie da un chiarimento della questione e da un più approfondito esame di tutto il sistema, in modo di averne un quadro completo, tenendo altresì presente l’articolo 12.

PRESIDENTE replica che la Sottocommissione nell’approvare, nella riunione. precedente, il primo comma dell’articolo 3, ha indubbiamente tenuto presente così l’articolo 4 come l’articolo 12.

CONTI concorda sull’opportunità di conservare l’agricoltura nell’elencazione dell’articolo 3. In questa materia le situazioni locali sono talmente diverse l’una dall’altra, che difficilmente il legislatore potrebbe effettuare una riforma agraria generale. Basti considerare che 5 ettari di terreno coltivato nei Castelli Romani rendono quanto 200 ettari di terra poco fertile nella Lucania. Se vi è, dunque, un campo di attività economica per il quale molto proficua si dimostrerebbe la regolamentazione regionale, questo è proprio quello dell’agricoltura.

Lo stesso pensa nei riguardi delle foreste e delle cave e torbiere: poiché anche le cave in Italia per lo più sono di scarso interesse nazionale (come quelle di pozzolana) e di minerali di basso pregio.

Crede quindi che tutte queste materie possano essere lasciate senza timori alla potestà legislativa delle Regioni.

Propone poi – confortato dal consenso del Relatore – di aggiungere un’altra materia a quelle elencate dall’articolo 3 del progetto e cioè «ferrovie locali, tramvie e linee automobilistiche». In proposito rileva che si tratta di servizi che rispondono ad esigenze assolutamente locali, e solo la legislazione regionale potrà incrementare le iniziative e disciplinarle, mentre oggi le innumerevoli istanze per attivazione di servizi, che vengono trasmesse alla autorità centrale, finiscono per rimanere senza seguito.

FABBRI insiste per il trasferimento all’articolo 4 delle voci agricoltura e cave, nella considerazione che, con la formulazione approvala del primo comma dell’articolo 3, si escluderebbe ogni possibilità di intervento dello Stato in materie di così vitale interesse nazionale, e la potestà legislativa delle Regioni sarebbe talmente vasta da potersi considerare quasi illimitata. Non possono infatti considerarsi limiti certi quelli della «armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato, e del rispetto degli interessi nazionali». Il solo limite certo deriva dall’emendamento dell’onorevole Perassi, che impone il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato, in quanto almeno questi sono consacrati in documenti scritti.

Sostiene l’esclusione delle cave e non anche delle torbiere. Da queste ultime non si estrae che torba, la quale ha effettivamente importanza soltanto locale, mentre da molte cave si estraggono materie analoghe a quelle delle miniere, e la loro classificazione in cave dipende unicamente dalla legge mineraria.

CALAMANDREI concorda sul passaggio dell’agricoltura all’articolo 4, in quanto l’articolo 3, stabilendo la competenza legislativa esclusiva delle Regioni sulle elencate materie, determina, come è stato rilevato, l’incompetenza legislativa dello Stato sulle materie stesse, in modo che la legge che lo Stato emanasse, sia pure in via di necessità e di urgenza, su una delle materie che l’articolo 3 attribuisce alla competenza delle Regioni, sarebbe incostituzionale e dovrebbe essere annullata. Né lo Stato potrebbe richiamarsi al «rispetto dell’interesse nazionale» per emanare una legge generale anche sulle materie dell’articolo 3; perché quel motivo può dare al Governo solo il diritto di opporre il veto all’emanazione di una legge da parte della Regione, ma non può consentirgli di emanare una legge di interesse nazionale su quelle materie. Se si ammettesse un’interpretazione lata, come quella suggerita dall’onorevole Codacci Pisanelli, nel senso che lo Stato, ogni qual volta sia in gioco un interesse nazionale, possa legiferare, tanto varrebbe abolire l’articolo 3, poiché il potere normativo della Regione resterebbe limitato ai soli casi in cui lo Stato non avesse creduto di emanare leggi generali..

A queste considerazioni va aggiunto che su alcune materie incluse nell’articolo 3 – tra cui l’agricoltura – esistono molte disposizioni nei Codici, sia civile che penale, che non è ben chiaro quale sorte subirebbero. È vero che si fa riferimento ai principî generali dell’ordinamento giuridico, ma questi non possono identificarsi con le norme dei Codici; e quando si dice che la Regione dovrà legiferare nel rispetto di quei principî non s’intende alludere a quelli.

RAVAGNAN confuta l’opinione dell’onorevole Conti che, senza una legislazione agraria Regionale, non sia possibile attuare la riforma agraria, per il fatto che la materia non si presta ad una disciplina uniforme. Nessuno ha mai pensato ad una uniformità della legge per la riforma agraria, la quale può anzi benissimo contemplare, entro direttive generali, la diversità delle situazioni tra Regione e Regione. D’altro canto, talune particolarità – come il latifondo, la mezzadria, ecc. – non sono esclusive di certe località e, rimettendone la disciplina alle Regioni, potrebbero trovare ordinamenti diversi, mentre una varietà di legislazioni per fenomeni analoghi rappresenterebbe senza dubbio un’incongruenza.

Aggiunge che, oltre al caso di una Regione con una legislazione agricola molto avanzata, è da prevedere anche quello di una Regione priva di leggi sulla materia. Questo stato di cose reclama una riforma agraria, la quale non potrebbe promanare che dall’Assemblea Nazionale, in quanto ogni Regione interpreterebbe a modo suo l’interesse generale.

Non crede che possa costituire argomento persuasivo quello del ricorso di cui all’articolo 12, perché, date appunto le diversità tra Regione e Regione, i ricorsi da parte del potere centrale potrebbero divenire talmente numerosi da intralciare tutta la legislazione in materia. Insiste pertanto sulla eliminazione dell’agricoltura dall’elencazione dell’articolo 3, in modo da consentire alla Regione di legiferare in questa materia solo in attuazione delle direttive generali, che saranno veramente ispirate all’interesse nazionale.

LUSSU, tenuto conto della indecisione manifestatasi nella riunione precedente, all’atto di votare sul primo comma dell’articolo 3 e della preoccupazione odierna che la concessione della potestà legislativa alla Regione possa inceppare una legislazione unitaria da parte dello Stato, ritiene necessario chiarire che il Comitato non ha mai inteso – a suo modo di vedere – affermare la potestà da parte della Regione di avocare a sé in modo esclusivo la legiferazione delle materie in esame. Si è usata l’espressione «in armonia coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico», appunto per significare che lo Stato fissa le direttive per tutti i rami della legislazione.

MORTATI obietta che, in tal caso, l’articolo 3 non avrebbe alcuna ragione per essere distinto dall’articolo 4.

LUSSU risponde che l’integrazione di norme direttive e generali, prevista dall’articolo 4, è tutt’altra cosa dalla legislazione primaria di cui all’articolo 3.

Comunque, per eliminare le preoccupazioni di molti colleghi in merito all’agricoltura, non sarebbe alieno dall’affermare, con una formula più chiara, il concetto che tale materia è di competenza regionale, ferma tuttavia restando al Parlamento nazionale la potestà di una propria legislazione generale di principio. L’agricoltura è una di quelle materie in cui la Regione deve poter esplicare il massimo della sua originalità ed autonomia, senza attendere che intervenga per risolvere ogni piccola questione il potere centrale; moltissime sono infatti le soluzioni che possono essere date localmente su tante questioni di dettaglio, come la lotta anticrittogamica e contro le cavallette, la valorizzazione di una determinata cultura più redditizia nei confronti di un’altra, ecc.

In conclusione, crede che sull’argomento non vi sia tanto un dissenso sostanziale, quanto un modo differente di interpretazione dell’articolo 3.

MORTATI nota che le osservazioni, sostanzialmente esatte, dell’onorevole Lussu inducono a chiarire un equivoco.

L’agricoltura non può neppure essere passata senz’altro all’articolo 4, il quale, così com’è formulato, contiene due limitazioni all’attività normativa regionale, che potrebbero compromettere in modo dannoso l’opera di adattamento alle esigenze particolari: in primo luogo fa supporre che la Regione non possa legiferare nelle materie ivi elencate se non ed in quanto esista una legge generale dello Stato (quindi mancherebbe alle Regioni in queste materie il potere d’iniziativa); in secondo luogo parla di norme direttive e generali come di una sola cosa, mentre sono due cose distinte. Ritiene pertanto che occorrerebbe, anzitutto, modificare l’articolo 4 nel senso di stabilire che, nelle materie in esso previste, lo Stato può legiferare soltanto per affermare principî generali, senza entrare nei particolari che dovrebbero invece essere affidati alle Regioni; e che la Regione stessa ha il diritto di iniziativa e può quindi liberamente legiferare fino a che lo Stato non abbia emanato sulla materia le norme direttive. Modificando in tal senso l’articolo 4, verrebbero a cadere le preoccupazioni dell’onorevole Lussu e nessuno potrebbe avere difficoltà di inserirvi l’agricoltura.

Personalmente si dichiara favorevole al passaggio dell’agricoltura all’articolo 4, purché a questo si apportino le modifiche che ha prospettato.

PRESIDENTE osserva che l’intervento dell’onorevole Mortati rimette in discussione tutta la materia, mentre si era arrivati, già nella riunione precedente, alla conclusione di approvare il primo comma dell’articolo 3 e di passare all’esame delle materie da elencare.

ZUCCARINI ricorda che fin dall’inizio della discussione sull’ordinamento regionale fu riconosciuta la stretta correlazione esistente fra gli articoli 3 e 4 e crede che tale correlazione richieda un esame contemporaneo. Una volta risolte le questioni di principio, sarà molto più semplice provvedere alla classificazione delle materie.

PRESIDENTE è contrario ad accettare il suggerimento dell’onorevole Zuccarini, perché non sarebbe sufficiente neppure l’esame contemporaneo dell’articolo 4, ma bisognerebbe richiamarsi anche ad altri articoli – come l’articolo 8 e il 12 – con il che si protrarrebbe la discussione oltre il necessario.

MORTATI replica che anche dal punto di vista metodologico, e agli effetti di una maggiore rapidità della discussione, sarebbe opportuno approvare anzitutto la parte generale della regolamentazione per poi decidere della distribuzione delle materie.

Propone pertanto i seguenti emendamenti agli articoli 3 e 4 del progetto.

«Art. 3. – Omissis … nelle seguenti materie …:

1°) pesca e caccia;

2°) opere pubbliche e urbanistica;

3°) antichità e belle arti, archivi e deputazioni storiche;

4°) turismo e tutela del paesaggio; industria alberghiera;

5°) polizia locale urbana e rurale;

6°) pubblica beneficenza;

7°) organizzazione sanitaria, ospedaliera ed igienica;

8°) determinazione delle circoscrizioni comunali».

«Art. 4. – Nel rispetto della Costituzione e nell’ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dovere emanare allo scopo di garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione, compete alla Regione la potestà legislativa, nelle seguenti materie:

1°) agricoltura e foreste, zootecnia;

2°) industria;

3°) commercio;

4’) pubblica assistenza; protezione sociale;

5°) rapporti di lavoro;

6°) ordinamento degli uffici e dei servizi regionali;

7°) istruzione media, professionale e tecnica;

8°) strade ordinarie e ferrate, linee di navigazione o automobilistiche in quanto non interessino la difesa nazionale o le esigenze del traffico nazionale;

9°) porti, approdi, darsene, in quanto non interessino la difesa nazionale, o la sicurezza della navigazione marittima in generale.

«La legge direttiva potrà fissare un congruo termine per l’emanazione delle norme di svolgimento affidate alle Regioni. In caso di mancata osservanza del termine, potrà essere provveduto con legge dello Stato».

«Art. 4-bis. – Spetta alla Regione il potere regolamentare esecutivo, oltre che nelle materie per cui è consentita l’attività legislativa di cui ai precedenti articoli, anche nelle seguenti:

1°) acque pubbliche;

2°) miniere;

3°) ecc.».

Illustra la sua proposta, facendo rilevare che in essa si omette il richiamo alle norme generali – che non sono se non leggi pure e semplici senza limite di contenuto – limitando l’intervento dello Stato alla emanazione di principî direttivi. In secondo luogo, con l’espressione «che lo Stato ritenga di dovere emanare, ecc.», si ammette che la Regione possa legiferare liberamente fintantoché lo Stato non provveda ad una disciplina unitaria di carattere orientativo di determinati indirizzi. In questo modo, oltre ad eliminarsi la inesattezza dell’espressione «integrazione di norme direttive», si soddisfano le giuste esigenze poste in luce.

PRESIDENTE rileva che le proposte dell’onorevole Mortati sono intese all’allargamento della facoltà legislativa di integrazione della Regione e quindi praticamente comportano la riapertura della discussione esaurita nella seduta precedente.

Comunque, pone ai voti la proposta di sospendere l’esame delle materie da elencare all’articolo 3, per passare alla discussione della disposizione di carattere generale del primo comma dell’articolo 4.

PERASSI voterà favorevolmente alla proposta, allargandola anzi nel senso di estendere l’esame anche all’articolo 12, che pure presenta dei dubbi nella sua interpretazione.

CODACCI PISANELLI non ha alcuna difficoltà ad aderire, nonostante sia dell’avviso che la dizione dell’articolo 3 del progetto non autorizzi a parlare di una legislazione esclusiva, bensì preveda una normazione autonoma che non è detto sia esclusiva.

LUSSU dichiara di votar contro la proposta dell’onorevole Mortati, e a maggior ragione contro l’allargamento proposto dall’onorevole Perassi, in quanto ritiene che nell’articolo 3 si ipotizzi una legislazione autonoma della Regione fino a quando non intervenga una legislazione di carattere generale; la Regione cioè, ha la potestà di legiferare su determinate materie, solo in quanto lo Stato non le abbia già disciplinate.

FABBRI voterà a favore della proposta Mortati, sperando che possa giovare a chiarire un equivoco evidente, perché le precisazioni dello stesso Relatore onorevole Ambrosini sono l’antitesi di quelle fornite dall’onorevole Codacci Pisanelli, che momentaneamente lo ha sostituito nell’incarico di Relatore del Comitato di redazione. Infatti, il primo ha ammesso che la legislazione prevista nell’articolo 3 è esclusiva. Personalmente ritiene che essa sarebbe abrogativa in toto della legislazione che già esistesse nello Stato su quelle singole materie. Comunque, darà voto favorevole alla proposta nella convinzione che, finché non si conoscerà la portata differenziata di questi due articoli, non si potrà sensatamente deliberare in ordine alle materie.

(È approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sulla nuova formulazione dell’onorevole Mortati.

CONTI fa rilevare che il sistema proposto trova conforto in un precedente. Un progetto spagnolo per lo Statuto catalano consente la facoltà di fare leggi e regolamenti di valore transitorio, ove il potere centrale abbia omesso di provvedere.

LACONI nota che gli emendamenti Mortati non eliminano il pericolo che poteva scaturire da una data interpretazione dell’articolo 3, e non sopiscono le preoccupazioni dell’onorevole Lussu e di altri, che anzi la nuova formulazione dell’articolo 4 proposta serve a maggiormente precisare il significato dell’articolo 3 nel senso che l’onorevole Lussu vorrebbe escludere; cioè di impossibilità, da parte dello Stato, di intervenire con sue norme in certi campi. Quindi spingerà il giurista futuro a dare dell’articolo 3 una interpretazione che è contraria al pensiero di alcuni di coloro che hanno contribuito a redigerlo.

MORTATI tiene a precisare che, nell’approvare l’articolo 3, tutti dovevano essere consapevoli del significato letterale e logico che si desume dallo stesso suo testo, consistente nella concessione di una competenza esclusiva alla Regione. Pertanto la sua proposta di formulare diversamente l’articolo 4 non incide affatto sulla portata della decisione adottata, in seguito a votazione, sull’articolo 3.

LA ROCCA esprime la sua contrarietà alla formula Mortati, osservando che essa, anziché semplificare, complica la situazione ed aggrava le giuste preoccupazioni per la concessione di una potestà legislativa eccessivamente ampia alla Regione, senza possibilità di rimedio da parte dello Stato.

LUSSU premette che, se si è manifestato un contrasto di opinioni tra alcuni membri del Comitato, questo riguarda soltanto la interpretazione dell’articolo 3, ma non la sostanza, in quanto tutti sono d’accordo nel voler salvare l’unità legislativa nazionale e nello stesso tempo dare ampie possibilità di iniziativa e di normazione all’ente Regione. Da ciò deriva la necessità di escogitare una formula che chiarisca la situazione e dissipi le preoccupazioni, affermando la potestà di intervento dello Stato in sede di fissazione di principî generali, senza intaccare l’autonomia legislativa regionale nell’applicazione dei criteri rispondenti alle esigenze locali.

Per queste ragioni si dichiara contrario all’emendamento Mortati che, a suo avviso, non risolve la questione.

PICCIONI ritiene che le proposte dell’onorevole Mortati siano le più coerenti e quelle che meglio possono servire ad eliminare ogni equivoco. In esse si prevedono tre tipi di legislazione regionale: una potestà legislativa esclusiva (articolo 3); una potestà legislativa concorrente con quella dello Stato, il quale fissa i principî direttivi, e suppletiva di un’eventuale deficienza di legislazione generale (articolo 4); e una potestà regolamentare esecutiva (articolo 4-bis). Il problema concerne ormai soltanto le materie da attribuire a ciascuna forma di normazione, perché indubbiamente ogni Commissario ha la preoccupazione di non ferire l’integrità dello Stato e l’uniformità della disciplina dei problemi interessanti la collettività. Se si affideranno alla potestà legislativa esclusiva materie di scarso interesse generale (come la pesca, la caccia, l’urbanistica, la polizia locale e rurale, ecc.) non si lederà in alcun modo l’unità nazionale e la sovranità dello Stato.

UBERTI conviene con l’onorevole Piccioni e crede che anche l’onorevole Lussu debba riconoscere che le proposte Mortati non rappresentano una complicazione, bensì un chiarimento della questione ed un progresso nella discussione. È infatti innegabile che lo schema elaborato dal Comitato non supera le preoccupazioni dell’onorevole Calamandrei e di altri, relative alla possibilità di emanazione da parte della Regione di norme contrastanti con i Codici e con le leggi fondamentali dello Stato, nonostante il Comitato stesso fosse ben lontano dal volerlo ed avesse ritenuto di aver ovviato all’inconveniente con le espressioni: «in armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali».

NOBILE esprime il parere che gli emendamenti Mortati siano da preferirsi, soprattutto in quanto scindono il potere legislativo di integrazione della Regione dal potere regolamentare esecutivo, il quale rappresenta l’unica facoltà che, a suo avviso, potrebbe essere concessa all’ente Regione.

PERASSI aderisce alla proposta dell’onorevole Mortati e consiglia soltanto di rendere più concisa la formula dell’articolo 4, in questo senso:

«Compete alla Regione la potestà legislativa nell’ambito dei principî direttivi stabiliti da leggi dello Stato, nelle seguenti materie: …».

MORTATI insiste sull’espressione «che lo Stato ritenga di dovere emanare», per il particolare significato che essa riveste e che ha già illustrato.

PRESIDENTE, prima che la Sottocommissione si pronunci, pone in rilievo che la proposta Mortati non incide sulla votazione già effettuatasi sull’articolo 3, salvo naturalmente le modifiche nella elencazione delle materie; onde resta alla Regione un ambito di facoltà legislativa esclusiva.

Pone quindi ai voti la prima parte dell’articolo 4 nella formula proposta dall’onorevole Mortati, che rilegge:

«Nel rispetto della Costituzione e nell’ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dovere emanare allo scopo di garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione, compete alla Regione la potestà legislativa, nelle seguenti materie:».

PICCIONI voterà in favore, per le ragioni già espresse ed intendendo con questo suo voto che nella sfera dell’articolo 3 vadano comprese soltanto le materie di interesse strettamente locale.

CALAMANDREI darà voto favorevole, nella convinzione che quando si esamineranno le materie da inserire nell’articolo 3 si sarà naturalmente portati a passarle nell’articolo 4.

FABBRI si asterrà dalla votazione, per una ragione sostanzialmente identica. Poiché la legislazione prevista nell’articolo 4 Mortati è concorrente e, in un certo senso, diviene esclusiva, ove lo Stato non ritenga che vi siano interessi generali da disciplinare, tutti coloro che desideravano per alcune materie una legislazione esclusiva, senza tuttavia pregiudicare gli interessi unitari della Nazione, potrebbero convenire sull’opportunità di passare le materie stesse sotto l’articolo 4.

GRIECO e LAMI STARNUTI si associano all’onorevole Fabbri.

LUSSU dichiara di astenersi, perché non è convinto che l’articolo rappresenti un chiarimento.

(Con 13 voti favorevoli, 2 contrari e 10 astenuti, è approvata).

PRESIDENTE mette in votazione la prima parte dell’articolo 4-bis dell’onorevole Mortati che ricorda:

«Spetta alla Regione il potere regolamentare esecutivo, oltre che nelle materie per cui è consentita l’attività legislativa di cui ai precedenti articoli, anche nelle seguenti: …».

NOBILE voterà contro, perché fa richiamo alle disposizioni precedenti.

LUSSU dichiara di astenersi dal voto.

(È approvata).

PRESIDENTE avverte che ora l’esame della Sottocommissione dovrà rivolgersi alle materie da inserire nell’articolo 3 previste nel progetto, salvo ad esaminare in un secondo momento le aggiunte consigliate dall’onorevole Mortati ed eventualmente da altri. Il primo gruppo riguarda: «agricoltura e foreste, cave e torbiere». A queste l’onorevole Mannironi propone di aggiungere «le saline».

BULLONI obietta che le saline sono oggetto di monopolio dello Stato.

MANNIRONI rinuncia alla sua proposta, che si riserva di ripresentare in sede di discussione dell’articolo 4.

PRESIDENTE pone ai voti l’inclusione nell’articolo 3 delle materie: «agricoltura, foreste e cave».

(Non è approvata).

Mette ai voti l’inclusione delle «torbiere».

(È approvata).

Ricorda che il secondo gruppo di materie comprende: «strade, ponti, porti, acquedotti e lavori pubblici».

LUSSU dichiara che su nessuna delle materie previste dal progetto è disposto a votare in favore se all’articolo 3 si dà l’interpretazione di legislazione esclusiva. Non c’è materia per cui egli sia disposto a concedere alla Regione una potestà normativa assoluta ed esclusiva.

PERASSI prospetta l’opportunità di escludere le strade di interesse nazionale.

FUSCHINI si associa ed aggiunge che anche i ponti costruiti lungo le strade nazionali, i porti e gli acquedotti possono interessare più Regioni o addirittura tutta la Nazione.

NOBILE concorda.

ZUCCARINI propone di aggiungere, a questo gruppo di materie, le parole: «di carattere regionale».

BOZZI suggerisce la dizione: «viabilità e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale».

PERASSI, quanto ai «porti», consiglia la precisazione: «lacuali».

MORTATI sostituirebbe la parola «porti» con la formula; «porti, approdi, darsene, in quanto non interessino la difesa nazionale, o la sicurezza della navigazione marittima in generale». Fa presente che, ad esempio, nei porti il faro interessa la sicurezza del traffico in generale e quindi le decisioni al riguardo non possono essere lasciate all’arbitrio della Regione.

PRESIDENTE è contrario a scendere in troppi dettagli.

Pone intanto ai voti l’inclusione nell’articolo 3 delle materie: «strade, ponti, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale».

MANNIRONI voterà in favore, riservandosi di presentare a suo tempo una proposta circa la polizia stradale, per la quale ritiene indispensabile una regolamentazione unitaria da parte del potere centrale.

NOBILE voterà contro, perché gli acquedotti interessano la pubblica igiene e, sotto questo aspetto, tutta la collettività.

(È approvata).

PRESIDENTE ricorda le proposte Mortati e Perassi, relative ai porti.

ROSSI PAOLO ritiene inopportuna l’inclusione dei porti. Fa presente che tutte le coste sono demaniali ed i porti in genere non hanno solo interesse regionale, ma in taluni casi perfino internazionale. Cita ad esempio l’amministrazione del porto di Genova nella quale è rappresentata anche la Svizzera. Tale carattere possono avere anche porti lacuali.

NOBILE ricorda che i porti dipendono dal Ministero della marina. Se la loro disciplina fosse affidata alle Regioni, bisognerebbe crearvi degli uffici, aumentando quella burocrazia che si vorrebbe ridurre. È quindi contrario all’inclusione, in genere, dei porti e soggiunge che anche quelli di importanza locale possono acquistare un interesse interregionale.

LAMI STARNUTI aggiunge che non si può concepire il porto staccato dal suo arenile, che è demanio dello Stato. Non può dunque ammettersi che la Regione legiferi in via esclusiva sui porti, quando spetta allo Stato di legiferare sulle zone di accesso indispensabili al movimento dei porti stessi. Né va dimenticato un altro argomento di carattere economico: che, riservando la potestà legislativa in merito ai porti alla Regione, si offrirebbe allo Stato il motivo per non contribuire più alle spese per la loro ricostruzione.

PRESIDENTE mette ai voti l’aggiunta, alle voci già approvate, dell’altra: «porti lacuali».

(È approvata).

UBERTI propone raggiunta delle parole: «e fluviali».

PRESIDENTE la pone ai voti.

(Non è approvata).

Invita a passare all’esame delle successive materie: «pesca e caccia».

NOBILE è contrario alla loro inclusione nell’articolo 3, in quanto le considera di interesse nazionale. La caccia sportiva, ad esempio, dovrebbe essere rigorosamente proibita, mentre quella a carattere industriale dovrebbe esser regolata da leggi generali, anche per evitare la distruzione inconsiderata e dannosa di certe specie animali, che oggi spesso viene lamentata.

PERASSI propone di completare il termine «pesca» con la precisazione «nelle acque interne», escludendosi così la pesca marittima.

PRESIDENTE osserva che tale formula non sarebbe ancora sufficiente, perché generalmente la pesca nei fiumi interessa più Regioni.

Propone quindi la formula «pesca nelle acque interne di carattere regionale» e la mette ai voti.

(È approvata).

ROSSI PAOLO, quanto alla caccia, pone in rilievo che spesso gli interessi delle Regioni al riguardo sono contrastanti, in quanto la selvaggina stabile in Italia è scarsissima e la caccia si esercita in prevalenza sulle specie migratorie.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione, tra le materie dell’articolo 3, della «caccia».

(Non è approvata).

Invita la Sottocommissione ad esprimere il suo parere relativamente alla «urbanistica».

FABBRI ha l’impressione che l’urbanistica concerna quasi esclusivamente la competenza degli enti comunali.

PERASSI chiarisce che i piani regolatori debbono essere approvati con legge e quindi è logico affermare la competenza legislativa della Regione.

PRESIDENTE pone ai voti l’inclusione nell’articolo 3 di questa materia.

(È approvata).

Pone ai voti l’inclusione delle seguenti materie: «antichità e belle arti».

FUSCHINI ne propone il passaggio all’articolo 4.

NOBILE dichiara di votare contro, ritenendo assurdo supporre che in un Paese come l’Italia le antichità e belle arti possano interessare soltanto le Regioni.

(Non è approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sulla materia successiva: «turismo».

BULLONI, premesso che oggi si tende ad incrementare il turismo mediante l’apertura di case da gioco, espone la sua preoccupazione che le Regioni possano – approfittando della facoltà esclusiva che venga loro concessa – aprire nuove case da giuoco, in violazione dell’articolo 719 del Codice penale.

NOBILE aggiunge che il turismo, essendo uno dei più forti cespiti della nostra bilancia economica, assume un interesse nazionale.

MANNIRONI per ovviare al pericolo denunciato dall’onorevole Bulloni, propone di sostituire la parola: «turismo», con le altre: «vigilanza alberghiera, tutela del paesaggio e industria del forestiero».

FABBRI dichiara di esservi contrario, perché teme che si possa pregiudicare l’ambito dell’autonomia comunale.

PRESIDENTE pone ai voti l’inclusione della parola: «turismo».

(Non è approvata).

Mette in votazione la proposta di sostituire detto termine, con le parole: «tutela del paesaggio e industria alberghiera», che ritiene risponda al concetto dell’onorevole Mannironi.

(È approvata).

Mette ai voti un’altra materia da includere nell’articolo 3: «polizia locale urbana e rurale».

(È approvata).

Pone ai voti l’inclusione nell’articolo 3 della seguente materia: «beneficenza pubblica».

(È approvata).

Invita i colleghi a pronunciarsi sull’inclusione delle: «scuole professionali» nell’articolo 3.

NOBILE è contrario a che la scuola professionale formi oggetto di legislazione da parte della Regione. Può ammettere una competenza regionale sulla materia solo in sede regolamentare.

LACONI rileva che le scuole professionali conferiscono dei titoli che debbono avere una validità nazionale e non limitata all’ambito della Regione. Se la relativa normazione fosse lasciata alle Regioni, potrebbero variare da Regione a Regione i programmi, l’ordinamento scolastico, ecc., ed una Regione potrebbe sentirsi autorizzata a non riconoscere i titoli di studio rilasciati dalla scuola di un’altra.

PRESIDENTE avverte che, quando si parla di scuole professionali in genere, non bisogna pensare soltanto alle scuole di tipo artigiano ed artistico, ma aver presenti anche le scuole che attualmente si stanno attrezzando ai fini di un insegnamento più vasto, per i grandi rami dell’industria.

UBERTI si dichiara favorevole a lasciare alle Regioni la più ampia facoltà di disciplina delle scuole professionali. Confutando l’obiezione dell’onorevole Laconi, fa presente che l’assunzione di impiegati specializzati non è tanto legata al semplice possesso di un titolo, quanto alla preparazione pratica e alla provenienza da determinate scuole, di cui è nota la bontà dell’insegnamento.

LACONI segnala che da parte di taluni istituti industriali è in corso una rivendicazione per l’accesso dei loro diplomati alle Università. Perciò le scuole professionali non possono essere considerate come avulse dall’ordinamento scolastico italiano.

BORDON propone di sostituire alle parole: «scuole professionali», le altre: «scuole artigiane».

LACONI spiega che la scuola artigiana costituisce un grado di sviluppo verso la scuola professionale. Il riservare la legislazione in materia alle Regioni potrebbe costituire un danno ed una remora allo sviluppo di queste scuole.

NOBILE chiede che si voti per appello nominale sull’argomento, perché considererebbe particolarmente grave una disposizione che inibisse allo Stato di interferire nel campo dell’insegnamento professionale.

PRESIDENTE, aderendo alla richiesta dell’onorevole Nobile, pone in votazione per appello nominale l’inclusione nell’articolo 3 dell’insegnamento professionale.

Votano sì: Ambrosini, Cappi, Piccioni, Uberti e Zuccarini.

Votano no: Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, De Michele, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Mortati, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato.

Si astiene: Perassi.

(Con 5 voti favorevoli, 18 contrari e un’astensione, non è approvata).

Pone ai voti la proposta dell’onorevole Bordon di inserire nell’elenco dell’articolo 3 le parole: «scuole artigiane».

(È approvata).

Apre la discussione su un’altra materia da riservare alla potestà legislativa della Regione: «modificazione delle circoscrizioni comunali».

MANNIRONI propone di aggiungere le parole: «e provinciali».

NOBILE è contrario a consentire alle Regioni di modificare le circoscrizioni comunali, in quanto i Consigli comunali sono una delle basi di elezione della seconda Camera e potrebbe avvenire che le Assemblee regionali, a solo scopo elettorale, creassero artificiosamente nuovi comuni o modificassero le circoscrizioni di quelli esistenti.

AMBROSINI, Relatore, oppone che, a norma del capoverso dell’articolo 18, soltanto la volontà delle popolazioni interessate potrà determinare la modificazione delle circoscrizioni comunali esistenti o la creazione di nuovi comuni.

ROSSI PAOLO, circa la modificazione delle circoscrizioni provinciali, afferma che le rivalità esistenti tra le Provincie consigliano di conferire la facoltà in parola all’autorità dello Stato e di non lasciarla alle Regioni.

MANNIRONI replica che nell’Assemblea regionale sono rappresentate tutte le Provincie e d’altra parte l’organo più competente per una eventuale rettifica di confini tra Provincie è senza dubbio la Regione.

LAMI STARNUTI dubita della opportunità di attribuire alla Regione la potestà di delimitare le circoscrizioni provinciali, oltre che per le ragioni esposte dall’onorevole Rossi, anche per il fatto che nelle Provincie risiedono molti uffici governativi e per il loro ordinamento potrebbero sorgere conflitti tra Stato e Regione.

PRESIDENTE pone ai voti il testo del progetto: «modificazione delle circoscrizioni comunali».

(È approvato).

Mette in votazione l’emendamento aggiuntivo: «e provinciali».

(Non è approvato).

Essendo esaurito l’esame delle materie previste nel progetto, apre la discussione sulle proposte aggiuntive degli onorevoli Bulloni e Mortati, intese ad includere nella elencazione dell’articolo 3, la prima, le parole: «assistenza ospedaliera» e la seconda, le parole: «organizzazione sanitaria, ospedaliera ed igienica».

BULLONI precisa che, mentre l’organizzazione sanitaria ed igienica può essere effettuata sulla base di direttive generali del Governo, il problema ospedaliero, essendo soprattutto un problema finanziario e amministrativo, deve essere risolto nell’ambito della Regione, con una rigorosa disciplina che assicuri i servizi.

NOBILE non approva le proposte aggiuntive, con le quali si impedirebbe allo Stato italiano di emanare direttive in una materia per la quale è da prevedersi che l’Organizzazione delle Nazioni Unite emetterà, prima o poi, norme da osservarsi in tutto il mondo.

TOSATO replica che l’ipotesi fatta dall’onorevole Nobile è prevista nella limitazione della potestà legislativa regionale, già approvata nella riunione precedente, costituita dal rispetto degli obblighi internazionali dello Stato.

LACONI è contrario alle due proposte, ritenendo che non si possa sancire una esclusività legislativa regionale per materie, quali l’assistenza sanitaria e ospedaliera, che sono anche di interesse nazionale, come è provato dall’esistenza di grandi istituti del genere a carattere nazionale.

AMBROSINI, Relatore, è convinto che la Regione possa più oculatamente provvedere con norme legislative alle particolari necessità locali in queste materie.

NOBILE fa notare che, approvandosi la formula dell’onorevole Mortati, lo Stato non potrebbe più intervenire nella lotta contro la malaria.

MORTATI, in seguito all’obiezione dell’onorevole Nobile, modifica la sua proposta, rinunciando alla «assistenza sanitaria».

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di aggiungere alle materie elencate nell’articolo 3 la seguente: «assistenza ospedaliera o igienica», ritenendo che in questa formula sia tenuto conto delle proposte e delle osservazioni fatte.

(Non è approvata).

Dà notizia della seguente proposta aggiuntiva dell’onorevole Mannironi: «ordinamento degli uffici ed enti regionali e stato giuridico degli impiegati degli enti stessi».

LACONI esprime il suo aperto dissenso dalla proposta, la quale, se approvata, verrebbe a creare compartimenti stagni nella burocrazia, escludendo qualsiasi possibilità di trasferimento degli impiegati da una Regione all’altra e creando disparità nel trattamento economico del personale fra Regione e Regione.

MANNIRONI spiega che la sua proposta mira unicamente a riconoscere alle Regioni la competenza ad organizzare i propri uffici e a decidere dello stato giuridico e del trattamento economico dei propri impiegati. Del pari la Regione deve essere libera di dare vita a propri enti amministrativi – come consorzi, enti culturali, ecc. – stabilendone l’ordinamento e lo stato del personale. Non crede sia il caso di togliere alle Regioni la potestà legislativa esclusiva in queste materie, che sono di suo peculiare interesse.

PICCIONI si dichiara favorevole alla proposta, poiché ritiene assurdo concepire l’ente Regione autonomo, riservando allo Stato un potere di intervento diretto nell’ordinamento degli uffici ed enti regionali e nello stato giuridico ed economico del relativo personale.

FABBRI, pur concordando, ritiene superflua la proposta, in quanto è implicito che la Regione possa liberamente ordinare i propri uffici, creare i propri enti, e disciplinare lo stato giuridico ed economico del proprio personale. Nota piuttosto una discordanza nel fatto che i rapporti sindacali di lavoro vengono compresi tra le materie previste dall’articolo 4 (legislazione di integrazione), e lo stato giuridico degli impiegati tra quelle dell’articolo 3 (legislazione esclusiva).

MANNIRONI riconosce il fondamento del rilievo fatto dall’onorevole Fabbri e giustifica la sua proposta col desiderio di evitare che lo Stato, con una sua legge generale, possa modificare la disciplina di tali materie, disposta localmente dalle Regioni.

TOSATO propone di precisare: «enti amministrativi regionali».

FUSCHINI suggerisce di considerare anche lo stato economico, oltre a quello giuridico.

PERASSI invece di «impiegati», propone di dire: «dipendenti».

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di aggiungere all’elencazione dell’articolo 3 la seguente materia: «ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali e stato giuridico ed economico dei dipendenti degli stessi uffici ed enti».

(È approvata).

PRESIDENTE ricorda la proposta dell’onorevole Conti per l’inclusione delle «ferrovie locali, tramvie e linee automobilistiche».

NOBILE non ritiene che la legislazione sulle ferrovie locali e sulle tramvie si possa attribuire alla Regione. Per ovvie ragioni tecniche, tali materie richiedono una legislazione uniforme di competenza dello Stato. Per quanto riguarda le linee automobilistiche fa rilevare che spesso esse vengono sovvenzionate dallo Stato, e che vanno esaminate anche dal punto di vista di una possibile concorrenza con le ferrovie statali. Aggiunge che in tale campo attualmente si ha già un notevole decentramento, attraverso gli Ispettorati della motorizzazione civile, i quali sono organizzati abbastanza bene per potere, con adeguate modifiche, dare il migliore rendimento.

PERASSI dichiara di essere stato autorizzato dall’onorevole Conti, che ha dovuto allontanarsi, a proporre l’inserimento di tale materia nell’articolo 4, anziché nell’articolo 3.

NOBILE osserva che, mentre nell’elenco sono state incluse materie per le quali, a suo avviso, non si può affidare la legislazione alle Assemblee regionali, altre, invece, ne sono state escluse, che avrebbero potuto, senza grave danno, essere ad esse affidate. Così, ad esempio, le fiere, i mercati e le lotterie, quando abbiano importanza puramente locale.

FUSCHINI concorda, proponendo che nell’articolo 3 vengano incluse anche le «fiere e mercati». Non aggiunge le lotterie, perché queste rivestono piuttosto interesse nazionale.

PRESIDENTE pone ai voti questa proposta.

(È approvata).

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Di Giovanni, Einaudi, Farini, Leone Giovanni, Patricolo, Porzio, Targetti.