Come nasce la Costituzione

SABATO 30 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

56.

RESOCONTO SOMMARIO

DELlA SEDUTA DI SABATO 30 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Grieco – Nobile – Tosato – Ambrosini, Relatore – Fuschini – Conti – Mortati – Fabbri – Laconi – Perassi – Lussu – Zuccarini – Mannironi – Lami Starnuti – Bozzi – Ravagnan – La Rocca.

La seduta comincia alle 8.50.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE dichiara aperta la discussione sull’articolo 11 del progetto:

«Il Presidente della Deputazione rappresenta la Regione. La Deputazione è l’organo esecutivo della Regione.

«Il Presidente e i membri della Deputazione sono responsabili della condotta dell’Amministrazione di fronte all’Assemblea».

GRIECO informa che ha finora sostenuto, nei confronti delle funzioni del Presidente della Regione, una tesi diversa da quella del progetto, ma, riconoscendo che non sarebbe in armonia coi principi già approvati, ritira la sua proposta ed accetta l’attuale formulazione dell’articolo 11.

NOBILE propone un emendamento aggiuntivo, consistente nel far seguire, alle ultime parole dell’articolo, le altre: «e di fronte al Governo centrale».

Illustra la sua proposta, rilevando che la responsabilità, che si verrebbe così a stabilire anche nei confronti dello Stato, è giustificata dal fatto che la Regione può esplicare funzioni amministrative delegatele dallo Stato stesso. È logico quindi che sia chiamata a rispondere da chi le ha concesso la delega.

TOSATO nota che, in seguito all’approvazione del suo emendamento, l’articolo 9 si limita a dire che sono organi della Regione l’Assemblea regionale, il Presidente della Deputazione regionale e la Deputazione regionale; occorrerà, quindi, nell’articolo in esame, riprendere il concetto espresso nell’originario articolo 9, nel senso di precisare che il Presidente ed i membri della Deputazione sono eletti dall’Assemblea regionale, che il Presidente è il capo della Regione, la rappresenta e presiede la Deputazione regionale e che quest’ultima è l’organo esecutivo della Regione.

Propone inoltre di sopprimere il capoverso dell’articolo 11, in quanto la responsabilità del Presidente e dei membri della Deputazione verso l’Assemblea è implicita, e una proposizione del genere fa pensare ad una specie di Governo parlamentare, nell’ambito della Regione, laddove non dovrebbe esservi che un organo esecutivo della volontà dell’Assemblea.

AMBROSINI, Relatore, non crede necessaria la precisazione proposta dall’onorevole Tosato al primo comma. Se mai, andrebbe riprodotta nell’articolo 9 l’indicazione che il Presidente ed i membri della Deputazione sono eletti dall’Assemblea.

Quanto al capoverso, dichiara di non aver nulla in contrario alla soppressione.

FUSCHINI ha l’impressione che nella formula: «Il Presidente della Deputazione rappresenta la Regione. La Deputazione è l’organo esecutivo della Regione», si possa ravvisare una contrapposizione tra i due concetti; come se le funzioni del Presidente e quelle della Deputazione fossero ben distinti.

PRESIDENTE osserva che non si avrebbe più questa sensazione, se i due periodi fossero invertiti.

CONTI, al fine di evitare anche la ripetizione della parola «Regione», propone la formula: «La Deputazione è l’organo dell’amministrazione regionale. Il Presidente della Deputazione rappresenta la Regione».

MORTATI fa presente l’opportunità di prendere in considerazione eventuali limiti all’autonomia regionale in questa materia. Ricorda che la legge comunale e provinciale stabilisce che il sindaco può essere revocato con deliberazione motivata e potrebbe apparire rilevante riprodurre una norma del genere, o stabilire date maggioranze, ecc. La perplessità può sorgere sull’opportunità di disciplinare la materia in questa sede, ovvero rinviarne la disciplina agli Statuti regionali.

PRESIDENTE è dell’avviso che, una volta affermata la responsabilità del Presidente, divenga superfluo prevedere l’ipotesi della revoca, in quanto il suo operato viene così sottoposto a sindacato ed a voto di fiducia. Preferirebbe pertanto che ci si limitasse, nell’articolo in esame, a stabilire il principio elettivo.

FABBRI suggerisce di usare nell’articolo 9 l’espressione «eleggibile e revocabile dall’Assemblea», ovvero: «il mandato è revocabile».

PRESIDENTE nota che, in sostanza, la Sottocommissione è d’accordo sul concetto. Si tratterà d’inserire nell’articolo 9, nel punto più indicato, l’espressione: «Il Presidente ed i membri della Deputazione sono eletti dall’Assemblea».

Propone che a questo si provveda in sede di coordinamento.

(Così rimane stabilito).

Tornando all’articolo 11, crede che si possa essere d’accordo sull’inversione dei due periodi del primo comma. Pone quindi ai voti il comma stesso come risulterebbe formulato:

«La Deputazione è l’organo esecutivo della Regione. Il Presidente della Deputazione rappresenta la Regione».

(È approvato).

Quanto al secondo comma, ricorda che vi sono due proposte: l’una, dell’onorevole Tosato, per la soppressione; l’altra, dell’onorevole Nobile, perché vi si stabilisca che il Presidente ed i membri della Deputazione rispondono della condotta dell’amministrazione anche di fronte agli organi del potere centrale.

In merito alla prima, rileva che, non essendosi ipotizzata nell’articolo 9 la revoca del Presidente, può essere utile nell’articolo il prevederne la responsabilità di fronte all’Assemblea, nel quale concetto è implicito il voto di sfiducia e, conseguentemente, la revoca.

Quanto alla seconda proposta, avverte che all’articolo 15 si prevede la possibilità di sostituzione del Presidente su segnalazione del Governo all’Assemblea regionale, salvo il provvedimento di dissoluzione di questa da parte del Presidente della Repubblica, ove l’Assemblea stessa non provveda.

NOBILE obietta che la sostituzione del Presidente, di cui all’articolo 15, è limitata al caso che questo assuma atteggiamenti contrari all’interesse nazionale, o compia gravi e reiterate violazioni di legge, mentre nell’articolo 11 si fa l’ipotesi di cattiva amministrazione.

AMBROSINI, Relatore, invita a tener presente anche l’ultimo comma dell’articolo 14, ai termini del quale un Commissario Governativo coordina l’opera dell’Amministrazione regionale, in corrispondenza alle direttive generali che il Governo creda opportuno di emanare, per tutte le Regioni. Esprime, quindi, l’avviso che la proposta dell’onorevole Nobile turbi tutta l’euritmia del progetto, il quale è già congegnato in maniera tale da eliminare ogni preoccupazione del genere.

LACONI dissente dal Relatore ed accede alla tesi dell’onorevole Nobile, in favore della quale osserva che – a parte il fatto che l’articolo 14 non è stato ancora approvato e potrebbe esserne modificato il testo elaborato dal Comitato – è logico concedere allo Stato, che ha delegato l’amministrazione in materie di sua competenza alle Regioni, ogni possibilità di salvaguardare i propri diritti.

TOSATO rinuncia alla proposta di soppressione del comma in esame.

FUSCHINI replica all’onorevole Laconi che la responsabilità di fronte allo Stato è prevista nel Capo III, in cui si tratta dei «Rapporti fra Regione e Stato», onde la questione potrà essere presentata al momento opportuno. L’ipotesi dell’articolo in esame riguarda una responsabilità interna, nei confronti dell’Assemblea.

FABBRI non condivide l’opinione del Presidente che il concetto della responsabilità implichi quello della revoca e pertanto propone di aggiungere all’articolo 11 un comma del seguente tenore:

«Qualora, per dimissioni o revoca del mandato, la Deputazione risultasse ridotta a meno della metà, l’Assemblea non dovrà limitarsi alla surroga dei mandatari, ma procedere al loro rinnovamento totale».

PRESIDENTE spiega che, trattandosi di un organo esecutivo eletto da un’Assemblea, è pacifico che possa essere sciolto e sostituito, se lo si ritiene responsabile della propria condotta nei confronti dell’Assemblea stessa. Il che potrebbe non essere altrettanto pacifico, ove non si parlasse affatto di responsabilità.

Pone quindi ai voti il capoverso dell’articolo 11 nella forma proposta dal Comitato:

«Il Presidente ed i membri della Deputazione sono responsabili della condotta dell’amministrazione di fronte all’Assemblea».

(È approvato).

MORTATI domanda al Relatore perché, tra gli organi regionali, non si sia incluso anche il popolo come organo attivo per la formazione legislativa, attraverso il referendum; se, cioè, si sia voluto disconoscere questo diritto di intervento del popolo ovvero non se ne sia parlato per altre ragioni.

AMBROSINI, Relatore, chiarisce che il Comitato, conscio dell’attuale tendenza politica, era favorevolissimo all’istituto del referendum, ma non ha creduto di trattarne in questa sede, nella convinzione che dovesse formare oggetto di una norma generale della Costituzione, la quale trovasse poi la sua attuazione nei singoli Statuti regionali.

Ha ritenuto necessario farne espressa menzione nel progetto solo relativamente al controllo di merito sulle spese degli enti locali, per il caso che la spesa deliberata impegni il bilancio dell’Ente per una somma superiore al decimo del bilancio annuale.

MORTATI avverte che, se la Sottocommissione fosse dell’avviso di ammettere il referendum in sede di formazione legislativa, come modo di espressione della volontà della Regione, nell’articolo in esame bisognerebbe disciplinarne i casi e le modalità di esercizio, ovvero fare un rinvio alla legislazione statutaria. Infatti, anche se lo Stato non ritenesse di disciplinare per la propria attività l’esercizio del referendum, le Regioni potrebbero farlo per le materie di loro esclusiva competenza.

FUSCHINI conviene con l’onorevole Ambrosini che l’argomento debba trovare la sua disciplina in una legge generale per tutti gli organi dello Stato, a cominciare dall’Assemblea nazionale, fino alle Assemblee regionali ed anche comunali.

MORTATI esclude che vi sia un parallelismo necessario tra l’indirizzo della legislazione statale, in tema di referendum, e quello della legislazione regionale.

PERASSI ricorda di aver già avuto occasione di pronunciarsi incidentalmente in merito all’argomento, in sede di discussione sullo Statuto regionale. A suo avviso, detto Statuto deve avere la funzione di integrare le norme costituzionali sull’ordinamento regionale, eventualmente con una certa libertà di regolamentazione. Fra le materie suscettibili di regolamento nello Statuto è appunto il referendum, nel senso di stabilire i casi e le modalità per sottoporvi alcune deliberazioni, sia legislative che amministrative, degli organi della Regione. Dissente quindi dal concetto dell’onorevole Fuschini, che convenga legare la regolamentazione del referendum nell’ambito regionale alla disciplina dell’istituto stesso nello Stato. Può darsi che nella legislazione statale il referendum non abbia alcuna o abbia scarsa applicazione, il che non esclude affatto che nel campo più ristretto delle Regioni e dei Comuni possa avere vasta applicazione.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di inserire nel progetto in esame un richiamo all’istituto del referendum, salvo a rinviarne l’esplicita disciplina agli Statuti regionali.

(È approvata).

MORTATI propone la seguente formula:

«I casi e le modalità di impiego del referendum per la formazione della legge della Regione saranno regolati dagli Statuti».

FABBRI suggerisce di sostituire alle parole «dagli Statuti» le altre «dallo Statuto regionale».

TOSATO preferirebbe non limitare costituzionalmente la possibilità d’impiego del referendum al campo legislativo.

LUSSU ritiene necessario far precedere la disposizione da un articolo che spieghi cos’è il referendum.

FABBRI chiarisce che l’accenno al referendum, nell’articolo in esame, presuppone che sia già previsto in via generale dalla Costituzione come strumento per l’affermazione della volontà popolare nel quadro degli istituti democratici della Repubblica.

ZUCCARINI è pienamente d’accordo con l’onorevole Mortati e fa presente che, secondo la sua tesi, il «popolo» andrebbe considerato all’articolo 9 quale organo deliberante, e come manifestazione di governo diretto.

AMBROSINI, Relatore, nota che il popolo è già un organo sovrano, in quanto ha la funzione di eleggere l’Assemblea regionale. A suo avviso è consigliabile non allargare la dizione dell’articolo 9, ma limitarsi a trattare del referendum all’articolo 11.

ZUCCARINI preferirebbe includere il «popolo» nell’articolo 9, come organo nell’esercizio di una funzione deliberante.

PRESIDENTE crede che per il momento sia conveniente approvare il principio, salvo a trovare in sede di coordinamento una formulazione che metta in rilievo il particolare carattere, non esclusivamente funzionale, dell’istituto caldeggiato dall’onorevole Zuccarini.

PERASSI è favorevole all’emendamento aggiuntivo Mortati, ma non aderisce al concetto che esso presupponga l’adozione del referendum nella Costituzione.

AMBROSINI, Relatore, propone di sostituire all’espressione: «referendum per la formazione della legge della Regione» l’altra: «referendum popolare», per non limitarne l’applicazione al solo campo legislativo.

LACONI richiama L’attenzione sulla necessità di specificare che anche agli effetti del referendum valgono i limiti stabiliti per l’attività legislativa degli enti locali, ad evitare che una Regione indica un referendum su una materia che esorbiti dalla competenza regionale.

AMBROSINI, Relatore, obietta che ciò è ovvio. Fa presente che gli Statuti dovranno essere sottoposti (art. 21) alla ratifica del Parlamento. Conseguentemente non è il caso di avere preoccupazioni simili a quelle prospettate.

PRESIDENTE pone ai voti l’aggiunta all’articolo 11 del seguente comma:

«I casi e le modalità di applicazione del referendum popolare saranno regolati dallo Statuto regionale».

FABBRI voterà favorevolmente, con la riserva che il referendum sia ammesso nel sistema legislativo nazionale come mezzo di esplicazione della sovranità popolare.

FUSCHINI si associa, esprimendo il suo dissenso dalla tesi dell’onorevole Perassi che il referendum possa esistere per la Regione, indipendentemente dal suo riconoscimento da parte della legislazione statale. A suo avviso, tutti gli istituti, nessuno escluso, possono trovare applicazione nella Regione solo in quanto già disciplinati nell’ambito nazionale.

MANNIRONI voterà in favore, condividendo l’opinione dell’onorevole Perassi che il referendum possa sopravvivere nella Regione, anche se non sia ammesso in sede nazionale.

MORTATI concorda.

GRIECO dichiara di astenersi dal voto, riservandosi – in quanto contrario al punto di vista dell’onorevole Perassi – di riprendere la parola sull’argomento quando si discuterà dell’introduzione del referendum nella vita nazionale.

TOSATO si associa.

AMBROSINI, Relatore, voterà in favore, aderendo alla tesi dell’onorevole Perassi.

(È approvato).

PERASSI propone di aggiungere un articolo 10-bis così formulato:

«I membri dell’Assemblea regionale non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

Crede che la sua proposta non abbia bisogno di illustrazioni. A parte l’opportunità evidente della norma, una disposizione dello stesso tenore è stata già inserita nello Statuto siciliano, e non sarebbe giustificato un trattamento diverso ai membri delle altre Assemblee regionali.

NOBILE sostiene che, qualora quest’immunità venisse concessa ai deputati regionali, non vi sarebbe motivo per non estenderla anche ai consiglieri comunali.

PRESIDENTE è personalmente contrario alla proposta. Osserva che le immunità, che vengono garantite costituzionalmente ai membri delle Assemblee legislative nazionali, hanno una loro giustificazione nel carattere squisitamente politico di quegli organi legislativi, mentre le Assemblee regionali, secondo la configurazione che hanno avuta nel progetto, sono investite di una funzione legislativa, ma non per questo assumono un carattere politico. Difatti, nessuna delle materie affidate alla loro competenza ha un tipico aspetto politico, ed offre un terreno sul quale potrebbero aversi manifestazioni di tal genere da consigliare di coprire di immunità i deputati. Concedere l’immunità in parola alle Assemblee regionali equivarrebbe a politicizzarle, ponendole così sullo stesso piano di quella nazionale.

PERASSI avverte che la disposizione non avrà occasione di essere applicata nell’esercizio della funzione legislativa, bensì nell’esercizio della funzione di controllo. Se un deputato regionale, in una interpellanza, vuole esporre dei fatti relativi alla amministrazione in carica, deve essere libero di manifestare il proprio pensiero e coperto di immunità. Tale garanzia non va tanto concessa nell’interesse del singolo, quanto allo scopo del buon funzionamento all’organo collegiale. Non è che si miri a parificare i membri dell’Assemblea regionale ai deputati al Parlamento; ma solo a dare ai primi la sicurezza di non essere, ad esempio, sottoposti a procedimento disciplinare, se impiegati pubblici, quando, pronunziando un discorso, rivolgano delle accuse ad un membro della Deputazione regionale, o ad un qualsiasi funzionario regionale. Sotto questo aspetto crede che la disposizione sia indispensabile.

ZUCCARINI aggiunge che anche nei riguardi del Parlamento la immunità in parola non è stata concessa in quanto si riconosca agli uomini politici una posizione di privilegio nei confronti degli altri, ma unicamente allo scopo di garantire il libero esercizio delle funzioni di cui sono investiti. Lo stesso motivo vale anche per le Assemblee regionali e per i Consigli comunali. Ricorda che la questione ha costituito, a suo tempo, uno dei temi più dibattuti in seno all’Associazione per le autonomie comunali.

GRIECO si dichiara favorevole alla proposta Perassi.

LAMI STARNUTI concorda, in quanto ravvisa nella disposizione una garanzia di libertà per la discussione nelle Assemblee regionali. Non può infatti asserirsi che le discussioni in tale sede abbiano un carattere esclusivamente amministrativo, perché la politica spesso affiora in ogni discussione.

AMBROSINI, Relatore, aderisce alla proposta Perassi, che trova rispondente allo spirito di tutto il progetto.

PRESIDENTE pone ai voti l’articolo 10-bis proposto dall’onorevole Perassi:

«I membri dell’Assemblea regionale non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

BOZZI dichiara di votare in favore, nella considerazione che, anche nel caso di riduzione dei poteri normativi della Regione, la norma avrebbe una sua funzione.

MORTATI, anche a nome del suo gruppo, dichiara di votare favorevolmente.

(È approvato).

PERASSI presenta la proposta di aggiunta di un articolo art. 10-ter:

«L’Assemblea regionale adotta il proprio regolamento alla maggioranza assoluta dei suoi membri».

PRESIDENTE crede che questa disposizione troverebbe la sede più opportuna negli Statuti regionali.

PERASSI non ha nulla in contrario a che la norma venga rinviata agli Statuti regionali.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 12 del progetto:

«I disegni di legge approvati dall’Assemblea regionale devono essere comunicati al Governo centrale. Essi acquistano valore di legge trascorso il mese da tale comunicazione, salvo il caso in cui il Governo, ritenendo che eccedano dai limiti di competenza della Regione, o che contrastino con l’interesse nazionale o di altre Regioni, li rimandi, entro il termine suddetto, all’Assemblea regionale con le sue osservazioni.

I disegni di legge in questione possono essere ripresi in esame dall’Assemblea regionale e diventano senz’altro leggi, se questa, respingendo le osservazioni governative, li approva nuovamente con un numero di voti che raggiunga la maggioranza assoluta dei suoi componenti.

Il Governo centrale può in questo caso ricorrere alla Corte costituzionale per chiederne l’annullamento parziale o totale.

Le leggi della Regione devono essere inserite nella Raccolta Ufficiale delle leggi e decreti dello Stato e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

Avverte che su tale articolo vi sono tre proposte di emendamento.

Gli onorevoli Rossi Paolo e Calamandrei propongono la seguente nuova formulazione:

«Ogni disegno di legge approvato dalle Assemblee regionali è comunicato al Governo e diventa legge 30 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Entro questo termine il Governo può disporre il rinvio del disegno per nuovo esame, con effetto sospensivo, per uno dei seguenti motivi:

violazione della Costituzione o delle leggi generali dello Stato;

incompetenza;

contrasto con l’interesse nazionale o con quello di altre Regioni.

Se l’Assemblea regionale, cui il progetto è rimandato, lo approva nuovamente, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, il progetto diventa legge, a meno che il Governo, entro 30 giorni dalla nuova pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, non proponga ricorso per annullamento totale o parziale. Il ricorso ha effetto sospensivo.

Il ricorso per annullamento può essere proposto anche da una Regione, entro 15 giorni decorrenti dalla scadenza dei termini stabiliti dai precedenti commi, ma non ha effetto sospensivo.

Competente a decidere sul ricorso è la Suprema Corte costituzionale, per i motivi di incostituzionalità e di incompetenza, l’Assemblea nazionale per il motivo di conflitto di interessi.

Quando sia dubbio se il motivo di annullamento sia di competenza della Suprema Corte costituzionale, o dell’Assemblea nazionale, il potere di decidere su tale questione spetta alla Suprema Corte costituzionale.

Alla Suprema Corte costituzionale spetta anche la decisione sui conflitti negativi di competenza legislativa, che possono sorgere tra lo Stato e le Regioni o tra Regioni».

(Variante).

«Le deliberazioni delle Assemblee regionali dovranno essere comunicate al Governo e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, e diverranno leggi se entro 30 giorni da tale pubblicazione il Governo non ne domanda la revisione, o non ricorre alla Corte costituzionale per motivo di incompetenza o di incostituzionalità.

Nel caso che il Governo o altre Regioni propongano, entro lo stesso termine, opposizione per conflitto di interessi, la deliberazione sarà sospesa e rimessa all’Assemblea nazionale».

L’onorevole Bozzi propone che l’articolo 12 sia così formulato:

«I disegni di legge approvati dalla Regione debbono essere comunicati al Governo (centrale) ed inseriti nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica entro trenta giorni dal ricevimento.

Il Governo può domandare alla Corte Costituzionale, entro trenta giorni dalla inserzione nella Gazzetta Ufficiale, l’annullamento, totale o parziale, dei disegni di legge regionali, qualora ritenga che essi violino lo Costituzione.

Entro il termine indicato dal comma precedente, il Governo, anche su proposta di altre Regioni, può rimettere i disegni di legge regionali all’Assemblea nazionale, qualora ritenga che essi siano in conflitto con gli interessi della Nazione o di altre Regioni. L’Assemblea nazionale provvede con legge al coordinamento degli interessi.

I disegni di legge acquistano valore di legge quindici giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica con il visto del Ministro Guardasigilli».

L’onorevole Nobile propone:

Aggiunta al comma 1°: «Il rinvio per i motivi anzidetti all’Assemblea regionale può aver luogo anche su proposta dell’Assemblea nazionale».

Emendamento al comma: «I disegni di legge in questione possono essere ripresi in esame dall’Assemblea regionale, e se questa, respingendo le osservazioni governative, li approva nuovamente con un numero di voti che raggiunga la maggioranza assoluta dei suoi componenti, i detti disegni saranno ritrasmessi al Governo centrale, affinché li sottoponga all’esame ed alla decisione definitiva dell’Assemblea nazionale».

RAVAGNAN, prima di passare all’esame delle varie formulazioni, solleva una questione di principio, che ritiene debba essere risolta in via pregiudiziale. La Sottocommissione ha deciso in linea di massima che debba essere sottratta del tutto al potere esecutivo la facoltà di emanare norme legislative; viceversa in tutti gli schemi proposti si ammette che il Governo possa giudicare della costituzionalità delle leggi regionali e della competenza della Regione ad emanarle o meno. Non può non riscontrarsi una palese contraddizione nel fatto che al Governo venga negata ogni potestà legislativa e venga nel contempo riconosciuto il diritto di controllo sulla legislazione regionale.

TOSATO non approva l’articolo 12 del progetto del Comitato, in quanto darebbe vita ad una giurisdizione a carattere politico che sarebbe contraria ai principî costituzionali. Infatti, in caso di contrasto di una legge regionale con gli interessi generali della Nazione o di incompetenza, il Governo ricorrerebbe alla Corte costituzionale, la quale sarebbe così investita, non soltanto della legittimità, ma anche del merito, divenendo organo politico.

Viceversa concorda nella sostanza col testo degli onorevoli Rossi Paolo e Calamandrei, il quale distingue le leggi viziate di incostituzionalità od incompetenza da quelle contrastanti con gli interessi nazionali, demandando le prime al giudizio della Corte per le garanzie costituzionali (che dovrà così giudicare soltanto della corrispondenza dell’atto legislativo con la legge costituzionale) e le seconde alla decisione dell’Assemblea nazionale, trattandosi di materia squisitamente politica.

Non può esimersi tuttavia dal rilevare alcuni difetti anche in questa formulazione e dal disapprovarne alcuni aspetti particolari, soprattutto per quanto riguarda la pubblicazione delle leggi. Il sistema previsto è il seguente: la legge, approvata dalla Regione, viene comunicata al Governo e pubblicata anche quando il Governo stesso intenda avvalersi (entro il termine di 30 giorni dalla pubblicazione) del suo potere di ricorso: tanto è vero che nel secondo comma si parla di una nuova pubblicazione. Riterrebbe più opportuno che la legge fosse pubblicata soltanto una volta, dopo che sia trascorso il termine concesso al Governo per far uso del suo potere. In caso contrario, potrebbero verificarsi inconvenienti notevoli, in quanto non si saprebbe se contro una legge pubblicata sia stato o meno proposto ricorso.

Per ottenere quanto propone, è sufficiente sopprimere nel capoverso l’inciso: «entro 30 giorni dalla nuova pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

Quanto ai motivi di ricorso, non è favorevole alla specificazione: «per motivi di incostituzionalità e di incompetenza», e preferirebbe usare genericamente l’espressione: «violazione della Costituzione», la quale comprende anche la incompetenza.

Non approva inoltre il comma 3°, il quale ammette che il ricorso per annullamento possa essere proposto anche da una Regione, seppure senza produrre effetto sospensivo. L’attività della Regione dovrebbe, a suo avviso, limitarsi ad affiancare l’opera del Governo, per reagire, col ricorso per annullamento, contro la legge che contrasti con gli interessi nazionali o di altre Regioni.

Osserva infine che una parte molto delicata del testo è costituita dal comma 5°, secondo il quale, «quando sia dubbio se il motivo di annullamento sia di competenza della Suprema Corte costituzionale, o dell’Assemblea nazionale, il potere di decidere su tale questione spetta alla Suprema Corte costituzionale». Occorrerebbe specificare chi può avvertire il dubbio e sollevare la difficoltà, dando un potere anche alla Regione, per evitare che il Governo possa far passare per motivi di controllo futili che non lo sono, allo scopo di deferire il giudizio al Parlamento anziché alla Corte costituzionale.

PRESIDENTE invita a prendere per il momento la parola soltanto quei Commissari che hanno da fare osservazioni sull’emendamento Rossi-Calamandrei.

FABBRI avverte che in gran parte delle considerazioni che intendeva fare è stato preceduto dall’onorevole Tosato. Concorda con lui soprattutto nel ritenere che il sistema della doppia pubblicazione rappresenti un grave inconveniente pratico, perché la generalità dei cittadini, quando prende conoscenza di una legge attraverso la Gazzetta Ufficiale, ha ragione di ritenere che si tratti effettivamente di una legge e non di un provvedimento suscettibile di revisione. Occorrerebbe, quindi, che nella parte della Gazzetta Ufficiale riservata agli avvisi, fosse data notizia delle disposizioni non ancora definitive, ma che la vera e propria pubblicazione della legge con effetto vincolativo non avvenisse se non col visto del Guardasigilli e dopo trascorso il termine pel ricorso da parte del Governo.

LACONI a proposito del ricorso per annullamento nota che, secondo la proposta Rossi-Calamandrei – della quale approva il criterio di demandare il giudizio di merito all’Assemblea nazionale – il potere di ricorrere è riservato al Governo e (con termini ed effetti diversi) alle Regioni; ne rimane esclusa l’Assemblea nazionale. Dissente da questo criterio e ritiene opportuno che il ricorso possa essere promosso, come dal Governo, così dall’Assemblea nazionale.

MORTATI rileva che l’articolo nel suo complesso presenta una molteplicità di questioni. Per la rapidità della discussione consiglia di affrontare le questioni stesse una dopo l’altra, cominciando da quelle generali di principio, per passare poi a quelle di indole tecnica. Ad esempio, una pregiudiziale è quella dell’ammissione o meno del diritto di veto all’iniziativa della Regione.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Mortati circa il metodo da seguire nella discussione, ma osserva che la pregiudiziale che egli pone può considerarsi superata. Ogni Commissario è d’accordo nel riconoscere il diritto di veto ad un organo che rappresenti lo Stato nel suo complesso. Piuttosto può sorgere la questione se – come proponeva l’onorevole Ravagnan – questo potere di sindacato sull’attività legislativa della Regione, spetti all’Assemblea nazionale anziché al Governo, ovvero ad entrambi, come desidererebbe l’onorevole Laconi.

Comunque, crede sia da accogliere la proposta dell’onorevole Mortati, di risolvere prima alcune questioni di principio per vedere poi, a seconda delle soluzioni, come redigere l’articolo.

Si tratterebbe ora di individuare i vari quesiti. Personalmente ne avrebbe precisati tre:

1°) deve darsi o no il diritto di voto nei confronti della legge emanata dalla Regione?

2°) questa facoltà compete per ragioni esclusive di legittimità o anche di merito?

3°) quali organi sono competenti ad esercitare questo diritto di veto?

Correlativamente si potrebbe decidere con quali mezzi si possono portare detti organi in condizione di esercitare il diritto di veto.

MORTATI segnala una questione importante da risolvere: stabilito quale organo può normalmente esercitare l’azione di veto, decidere se questo organo della esperibilità dell’azione sia esclusivo o meno, se cioè l’azione possa essere esperita anche da altri organi.

FABBRI nota che un altro quesito potrebbe essere questo: se il ricorso debba esser fatto prima che la legge acquisti valore erga omnes, ovvero se abbia soltanto un effetto sospensivo.

MORTATI sottopone all’attenzione della Sottocommissione altri quesiti:

come debba essere fatta la pubblicazione, cioè, se pubblicazione del progetto o della legge vera e propria (infatti l’effetto sospensivo o meno dell’esercizio di veto dipende da questo);

come sia da determinare la procedura successiva al veto e l’organo di decisione nel conflitto.

PRESIDENTE, riepilogando, informa che l’esame della Sottocommissione dovrebbe vertere sui seguenti quesiti:

l°) si dà un diritto di veto?

2°) a chi compete?

3°) ha effetto sospensivo?

4°) come viene portato a conoscenza degli aventi diritto il testo della legge?

5°) si deve procedere alla pubblicazione prima che sia esperito il diritto di veto o solo dopo scaduto il termine per l’esperibilità?

6°) procedura per l’esercizio del diritto di veto.

Apre la discussione sul primo di tali quesiti, circa il quale ritiene che generalmente si sia d’accordo.

MANNIRONI esprime il parere che non debba affermarsi il principio che esiste un diritto di veto, ma è più conveniente dire che le leggi regionali acquistano efficacia erga omnes e piena esecutività solo quando siano esaurite le varie fasi di contestazione e di giudizio che verranno previste.

PRESIDENTE chiarisce che si è usata l’espressione «diritto di veto» per semplificare la discussione, ma in realtà nessuno dei testi proposti vi fa ricorso; tutti seguono il sistema più logico sostenuto dall’onorevole Mannironi.

Con questa precisazione pone ai voti il riconoscimento di un diritto di veto.

(È approvato).

LA ROCCA circa il secondo quesito, si dichiara d’accordo con l’onorevole Ravagnan, che il diritto di voto debba spettare essenzialmente al Parlamento. Non esclude tuttavia che si possa concedere lo stesso diritto anche al Governo.

PRESIDENTE, dovendosi assentare per partecipare unitamente all’onorevole Conti ad una riunione dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea, rinvia la prosecuzione dei lavori.

La seduta termina alle 11.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini. Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon.

Assenti: Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Einaudi, Farini, Finocchiaro Aprile, Leone Giovanni, Patricolo, Piccioni, Porzio, Targetti.

VENERDÌ 29 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

55.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 29 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sui lavori della Sottocommissione

Presidente – Tosato.

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Mortati – Ambrosini, Relatore – Perassi – Presidente – Conti – Grieco – Mannironi – Lami Starnuti – Lussu – Nobile – Fabbri – Zuccarini – Fuschini – Bozzi – Laconi – Vanoni – Tosato – Cappi – Uberti.

La seduta comincia allo 8.40.

Sui lavori della Sottocommissione.

PRESIDENTE, in conformità degli accordi presi nella precedente seduta, annuncia di aver predisposto gli elenchi dei componenti delle due Sezioni nelle quali sarà divisa la Sottocommissione. Ne dà lettura:

Prima Sezione: Bordon, Castiglia, Codacci Pisanelli, De Michele, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Vanoni, Zuccarini.

Seconda Sezione: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Di Giovanni, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Patricolo, Porzio, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Se non vi sono osservazioni, tali elenchi si intendono approvati.

(Sono approvati).

Circa la suddivisione delle materie, è del parere che la prima Sezione debba occuparsi di quanto concerne il potere esecutivo (Capo dello Stato e Governo) e debba anche tener presenti eventuali proposte di formazione di Consigli o Comitati, nonché il tema della revisione della Costituzione; mentre alla seconda Sezione spetterà l’esame relativo al potere giudiziario ed alla Corte di garanzia costituzionale.

Ritiene poi che quanto attiene agli organi di controllo (Consiglio di Stato e Corte dei conti) possa essere esaminato nuovamente in sede di Sottocommissione plenaria – specie se i lavori delle due Sezioni, svolgendosi con un certo parallelismo, potranno concludersi contemporaneamente – anche in considerazione delle funzioni che tali organi disimpegnano, le quali attengono al campo di attività sia dell’una che dell’altra Sezione.

TOSATO fa presente che la prima Sezione potrebbe considerare il problema degli organi di controllo dal punto di vista delle funzioni amministrative, mentre la seconda potrebbe considerarlo dal punto di vista delle funzioni giurisdizionali.

PRESIDENTE, pur concordando con l’onorevole Tosato, è del parere che la Sottocommissione possa poi, in sede plenaria, stabilire il modo di considerare questa materia.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

MORTATI domanda al Relatore – prima di passare all’esame del capo secondo – se ritenga opportuno inserire nel progetto una disposizione che preveda la costituzione di consorzi interregionali per servizi che possono interessare più Regioni (quale, ad esempio, quello della manutenzione stradale, che comporta l’acquisto di macchine costose), disposizione che potrebbe essere così formulata: «Spetta alla Regione – singolarmente o con accordi o in unione con altre Regioni in organismi consortili – l’amministrazione ecc.».

AMBROSINI, Relatore, ritiene non necessaria l’introduzione di tale norma, che può ritenersi implicita nell’economia del progetto.

MORTATI non insiste nella sua proposta, dopo i chiarimenti e le assicurazioni avute dal Relatore, pur facendo presente l’opportunità di stabilire che degli accordi interregionali sia data obbligatoriamente notizia alle autorità statali.

PERASSI fa presente l’opportunità di ammettere anche la possibilità, da parte delle Regioni, di concludere accordi per coordinare la loro attività amministrativa.

PRESIDENTE ritiene che debbano considerarsi implicite sia la possibilità di costituire consorzi, sia quella di concludere accordi, purché nei limiti della competenza concessa alle Regioni e nell’ambito dell’amministrazione.

CONTI è del parere che, al fine di preparare il materiale indispensabile alla Sottocommissione quando, all’articolo 22, si esaminerà il problema della ripartizione geografica dell’Italia, alcuni componenti della Sottocommissione stessa siano incaricati di studiarlo in rapporto alle istanze, ai memoriali, alle proposte di costituzione di nuove Regioni, che pervengono in notevole numero ai membri della Sottocommissione. Propone al riguardo il seguente ordine del giorno:

«La Sottocommissione delibera di nominare tre Relatori, per riferire sulle proposte di modificazione della ripartizione geografica della penisola pervenute ai Commissari da più parti, non potendosi opporre un rifiuto di esame alle legittime richieste di popolazioni o di loro rappresentanti nell’Assemblea».

GRIECO si dichiara contrario alla creazione di uno speciale comitato per lo studio delle sia pur numerose domande avanzate creazione di nuove Regioni, in quanto ritiene che ci si debba opporre a questa tendenza – spesso originata da interessi particolaristici – la quale arriva alla polverizzazione della Regione e distrugge il significato che è stato dato all’autonomia regionale. Cita come caso limite l’esempio dell’Emilia settentrionale, che vorrebbe dividersi dall’Emilia meridionale; questa nuova Regione, comprendente Parma, Piacenza, Modena, Reggio e – a quanto gli sembra di ricordare – anche Mantova, vorrebbe perfino lo sbocco al mare con il porto di La Spezia. È del parere che la Sottocommissione debba mantenere fermo il principio del riconoscimento delle attuali suddivisioni regionali in base al criterio storico-geografico.

MANNIRONI, a parziale modifica della proposta dell’onorevole Conti, propone che si nomini un Relatore per ognuna delle richieste provenienti da quelle zone che aspirano ad essere riconosciute come Regioni, in modo che di ogni particolare argomento venga investita l’intera Sottocommissione.

LAMI STARNUTI fa presente che il Comitato di redazione per le autonomie regionali ha fissato il criterio di massima di non procedere attualmente ad alcuna modificazione delle circoscrizioni territoriali delle Regioni, considerandole solo nella loro tradizione storico-geografica. D’altro canto rileva che la Sottocommissione non ha elementi sicuri di giudizio, perché le richieste partono speésso da enti ristretti, anche se a volte qualificati. Ritiene che l’articolo 22 formuli un programma concreto molto giudizioso, lasciando per il momento le Regioni nella loro attuale configurazione geografica e demandando alle popolazioni interessate la potestà di richiedere in un prossimo domani la creazione di nuove Regioni. Chiede pertanto che la Sottocommissione, respingendo la proposta Conti, si attenga a tale criterio.

LUSSU ricorda che quando si discusse, in linea di massima, la materia dell’articolo 22, egli formulò una riserva, avendo in animo di presentare un emendamento per il Molise che, a suo avviso, è una Regione che ha problemi particolari come la Sicilia e la Sardegna.

PRESIDENTE invita l’onorevole Lussu a non entrare nel merito della questione, limitando le sue osservazioni alla proposta Conti.

LUSSU ha dovuto fare questa precisazione, in quanto ritiene che le argomentazioni dell’onorevole Lami Starnuti, giuste nelle linee generali, non possano valere per il Molise.

NOBILE è favorevole alla creazione di un piccolo Comitato, il quale però dovrebbe limitarsi a fornire alla Sottocommissione dati e notizie senza formulare proposte precise.

FABBRI non è contrario alla proposta Conti, in quanto ritiene che i membri della seconda Sottocommissione dovrebbero essere illuminati su questo particolare argomento, così da poter affrontare con piena cognizione di causa la discussione in sede di Assemblea plenaria.

AMBROSINI, Relatore, esprime la sua perplessità sulla proposta in questione, perché non ritiene possibile raccogliere in breve periodo di tempo tutti gli elementi necessari per un giudizio ponderato.

ZUCCARINI ritiene che non sia il caso per il momento di entrare nel merito della questione, perché quando il problema verrà portato all’Assemblea plenaria, ogni interesse particolare avrà indubbiamente il suo esponente; ed anche perché molte di queste questioni sono già state prospettate in pubblicazioni messe a disposizione di tutti i membri della Sottocommissione. Si dichiara pertanto contrario alla proposta dell’onorevole Conti.

MORTATI ricorda l’ordine del giorno, votato in una delle prime sedute della Sottocommissione, concernente la raccolta di dati sull’economia e la finanza delle varie Regioni, i quali potrebbero ora dare un orientamento anche su questo problema.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Mortati che tali indagini avevano lo scopo di esaminare la possibile base economica e finanziaria delle Regioni, e non già quello di fissare criteri generali al fine di dare un orientamento per una possibile nuova ripartizione geografica della penisola. D’altra parte, gli scarsi elementi ottenuti dall’indagine disposta dalla Presidenza sono stati stampati e distribuiti a tutti i membri della Sottocommissione.

AMBROSINI, Relatore, aggiunge che l’onorevole Lussu ha provveduto ad integrare ulteriormente i dati raccolti dalla Presidenza.

PRESIDENTE fa inoltre rilevare come sarebbe necessaria la costituzione di un apposito organismo, con ampi poteri, per ottenere il materiale occorrente per condurre a termine un’indagine di questo genere, la quale si dovrà fare quando si affronterà il problema dei confini geografici delle attuali Regioni.

Ritiene che l’ordine del giorno Conti, limitato alla prima parte e cioè: «La Sottocommissione delibera di nominare tre Relatori per riferire sulle proposte di modificazione della ripartizione geografica della penisola pervenuta ai Commissari da più parti», possa rispondere alle esigenze che sono state fatte presenti.

Mette ai voti quest’ordine del giorno così ridotto.

(È approvato).

Propone che, in conformità di tale deliberazione, si dia incarico agli onorevoli Codacci Pisanelli, Fuschini e Lussu di riferire rispettivamente: l’onorevole Codacci Pisanelli per il Salento, la Daunia e il Cilento, l’onorevole Fuschini per l’Emilia e il Friuli e l’onorevole Lussu per il Molise e il Sannio.

(Così rimane stabilito).

Apre la discussione sull’articolo 9 del progetto:

«Sono organi della Regione:

1°) l’Assemblea regionale eletta a suffragio universale, uguale, diretto e segreto;

2°) la Deputazione e il Presidente regionale eletti dall’Assemblea.

Il numero dei membri dell’Assemblea, della Deputazione sarà stabilito da una legge dello Stato».

FUSCHINI, a parte il fatto che al n. 2 riterrebbe sufficiente la sola citazione della Deputazione regionale, senza nominare il Presidente, il quale, tra l’altro, avendo la rappresentanza della Regione dovrebbe – se mai – essere anteposto alla Deputazione regionale, rileva che nell’articolo in esame non è alcun accenno al sistema elettorale da adottarsi per la nomina dei membri dell’Assemblea regionale; accenno che ritiene indispensabile al fine di evitare il pericolo che nelle varie Regioni si possano adottare sistemi diversi di elezione. Prospetta quindi l’opportunità che in questa sede venga stabilito che, non solo il numero dei membri dell’Assemblea, ma anche il sistema di elezione di essi sarà determinato da una legge dello Stato; mentre è favorevole al rinvio allo Statuto di ogni Singola Regione della norma concernente il sistema di nomina della Deputazione, la quale, a differenza dell’Assemblea che ne costituisce l’organo principale, è un organo interno della Regione.

PERASSI desidererebbe che si chiarisse qual è la funzione della legge dello Stato, di cui parla l’ultimo comma dell’articolo in esame; quale la funzione dello Statuto, di cui parla l’articolo 21; quali infine le materie attinenti all’ordinamento costituzionale delle singole Regioni che siano da regolarsi dalla Costituzione.

Si domanda poi se sia proprio necessario stabilire un criterio uniforme per la legge elettorale di tutte le Regioni.

BOZZI propone che dal n. 2 sia soppressa la menzione del Presidente della Deputazione regionale. La proposta conferisce al Presidente un rilievo costituzionale autonomo, ch’egli non approva L’organo dev’essere collegiale.

MORTATI, riferendosi all’osservazione fatta dall’onorevole Fuschini, ritiene che si debbano in questa sede fissare i criteri direttivi della legge elettorale; salvo poi a consentire ad ogni Regione l’adozione dei particolari del sistema adottato.

LACONI alle osservazioni dell’onorevole Bozzi, col quale concorda, aggiunge che l’articolo 14 affida al Presidente della Deputazione regionale anche la rappresentanza del Governo centrale nella Regione, il che contrasta con i suoi poteri di mera rappresentanza.

VANONI si dichiara favorevole al concetto di enunciare il sistema elettorale da adottarsi per la nomina dei membri dell’Assemblea regionale.

A suo parere, non è sul momento il caso di fare una discussione sull’articolo 14; ma dovrebbe esser meglio determinata la figura del Presidente della Deputazione regionale, il quale, oltre ad avere un carattere di esclusiva rappresentanza, dovrà essere anche investito di funzioni ordinative.

TOSATO domanda se sia prevista la carica di Presidente per l’Assemblea regionale.

PRESIDENTE ritiene necessario che l’Assemblea abbia un proprio Presidente, il quale non si identifichi col Presidente della Deputazione, perché gli sembra assolutamente inconcepibile che una medesima persona possa contemporaneamente dirigere l’Assemblea – alla quale sono stati affidati vastissimi compiti – ed avere la responsabilità dell’Amministrazione.

Concorda poi con l’onorevole Fuschini sull’opportunità di stabilire in questa sede il sistema elettorale, fissando i criteri fondamentali a cui le Regioni dovranno attenersi.

FUSCHINI, alle considerazioni già fatte, aggiunge che non ha ritenuto opportuno fare la proposta di indicare in questa sede il sistema della rappresentanza proporzionale, perché tale indicazione non si era creduto di fissare quando si parlò dell’elezione della prima Camera.

ZUCCARINI ricorda che allora si sostenne dalla maggioranza della Sottocommissione – mentre egli era di parere assolutamente opposto – essere la proporzionale un sistema di elezione e non già un principio costituzionale; e quindi la Sottocommissione – approvando l’ordine del giorno Cappi – ritenne che le Assemblee create dalla nuova Costituzione dovessero essere elette col sistema proporzionale, e che tale sistema dovesse essere – anziché nella Costituzione – affermato nella legge elettorale.

Si domanda se non sia il caso di ritornare su tale principio, ora che si tratta di istituire un organo che concorrerà alla elezione della seconda Camera.

FUSCHINI, pur essendo un convinto proporzionalista, fa presente che potrebbe in futuro determinarsi una situazione diversa, la quale esigesse un sistema elettorale diverso da quello proporzionale; e quindi ritiene inopportuno precisare nella Costituzione quale sia il sistema da seguire nelle elezioni. Ritiene che si potrebbe stabilire in questa sede che l’Assemblea regionale viene nominata con il medesimo sistema elettorale col quale si elegge la Camera dei Deputati.

CAPPI pensa che del parere della maggioranza della Sottocommissione – favorevole al sistema proporzionale – non si possa non tener conto ora che si tratta di fissare i criteri per l’elezione dell’Assemblea regionale.

AMBROSINI, Relatore, rispondendo all’onorevole Tosato, precisa che il Comitato deliberò che dovesse farsi una distinzione fra il Presidente dell’Assemblea e il Presidente dell’organo esecutivo amministrativo, ma non ritenne opportuno dettare in questa sede una disposizione esplicita relativa al Presidente dell’Assemblea, avendo deciso che quest’ultima materia potesse meglio essere regolata nello Statuto della Regione. Dal momento però che è stato sollevato il dubbio, si dichiara favorevole a che venga affermata tassativamente la distinzione in questa sede, anche con un semplice inciso nell’articolo 9.

Aderisce poi al punto di vista manifestato dall’onorevole Vanoni, per quanto concerne l’opportunità di accantonare momentaneamente sia la discussione sulle materie che lo Stato affida alla Regione per l’esecuzione, sia quella relativa alle funzioni del Presidente della Deputazione regionale. Osserva a tale proposito che esso, pur presiedendo la Deputazione, ha una propria funzione autonoma, in quanto rappresenta la Regione. Riguardo al sistema di elezione dell’Assemblea, fa presente che nel suo progetto originario aveva proposto un sistema elettorale misto, basato sulla rappresentanza territoriale e sulla rappresentanza delle categorie della produzione e delle attività lavorative in genere. E ciò, perché riteneva e ritiene che nell’Assemblea regionale, più ancora che nella seconda Camera del Parlamento Nazionale, occorra la presenza di tecnici che siano l’espressione diretta delle categorie interessate e che possano farne sentire la voce nell’Assemblea con diretta e piena conoscenza dei problemi ed assumendone così una più precisa responsabilità. Il Comitato, però, non adottò la sua proposta e si pronunziò a maggioranza per il sistema del suffragio, sulla sola base territoriale dei collegi composti dai cittadini indifferenziati. Relativamente al concreto sistema elettorale, ritiene che non si debba ora scendere a precisazioni, e che ci si possa limitare ad affermare il principio generale che il sistema elettorale sarà quello stabilito per l’elezione della Camera dei Deputati.

FABBRI propone un emendamento all’ultimo comma dell’articolo 9, così formulato:

«Il numero dei membri dell’Assemblea e della Deputazione sarà stabilito da una legge costituzionale dello Stato, che determinerà in modo uniforme il sistema elettorale e lo Statuto delle Regioni».

MANNIRONI dichiara di essere contrario all’emendamento proposto dall’onorevole Fabbri, il quale, a suo avviso, costituisce un regresso rispetto alle norme contenute negli articoli 3, 4, 4-bis, 4-ter – nei quali sono state riconosciute alla Regione sfere di competenza legislativa (esclusiva, concorrente, di integrazione) su determinate materie – perché nega alla Regione qualsiasi potere di intervento in materia elettorale. Pur riconoscendo l’opportunità che la legge elettorale sia in armonia con i principî generali fissati da una legge dello Stato, è d’avviso che anche in questo campo la Regione debba avere un minimo di autonomia. Propone quindi che al n. 1 dell’articolo in esame si dica che l’Assemblea regionale è eletta a suffragio universale, eguale, diretto e segreto, secondo una legge che sarà votata dall’Assemblea regionale.

GRIECO, come ha già sostenuto in seno al Comitato, prospetta l’opportunità che la rappresentanza della Regione sia conferita al Presidente dell’Assemblea e non già al Presidente della Deputazione.

Concorda con l’onorevole Fuschini sulla necessità di dire in questa sede qualche cosa circa il sistema elettorale, ed a questo proposito dichiara di essere favorevole alla prima parte dell’ordine del giorno Fabbri, perché ritiene che il sistema elettorale debba essere uniforme in tutte le Regioni.

CAPPI ritiene eccessivo lasciare alla Regione la potestà di scelta del sistema elettorale della propria Assemblea, anche in considerazione del fatto che è necessario dare alle Assemblee di tutte le Regioni un carattere di omogeneità ed uniformità, perché esse costituiscono il corpo elettorale della seconda Camera.

FABBRI osserva che, nel suo emendamento, l’aggettivo «costituzionale» non avrebbe più ragione di essere.

PRESIDENTE avverte che l’emendamento Fabbri si può ridurre alla seguente formulazione: «…sarà stabilito da una legge dello Stato che determinerà in maniera uniforme il sistema elettorale».

NOBILE è contrario alla proposta Mannironi, la quale non farebbe altro che aumentare il disordine del regime regionale.

LUSSU, per eliminare l’equivoco che può sorgere dalla lettura dell’articolo e chiarire che in esso si parla del Presidente della Deputazione, propone che al n. 2 si dica: «la Deputazione e il Presidente della Deputazione regionale, ecc.».

LACONI prospetta, anzitutto, la necessità che la competenza e le attribuzioni della Deputazione regionale siano definite in modo molto più netto di quanto non avviene nel Comune o nella Provincia, perché – pur essendo contrario all’assegnazione di una potestà legislativa alla Regione – è ben lontano dall’idea di assimilare tale nuovo ente al Comune o alla Provincia.

Per eliminare la posizione ambigua in cui verrebbe a trovarsi il Presidente della Deputazione regionale, il quale cumulerebbe la carica di rappresentante della Regione nei confronti del Commissario statale con quella – conferitagli dall’articolo 14 – di rappresentante del Governo centrale nei confronti dell’Amministrazione, aderisce alla proposta dell’onorevole Grieco che mira ad evitare questo cumulo di cariche nella stessa persona, affidando la Presidenza della Regione al Presidente dell’Assemblea.

AMBROSINI, Relatore, insiste – concordando con l’onorevole Vanoni – sull’opportunità di non estendere la discussione all’articolo 14.

Quanto al merito della proposta fatta dall’onorevole Grieco, alla quale si è associato l’onorevole Laconi, ricorda che il Comitato non ritenne di accettarla, per evitare confusione di attribuzioni tra l’Assemblea regionale, la quale ha un compito legislativo normativo, e la Deputazione regionale e il suo Presidente, che hanno un compito esecutivo amministrativo. Fa presente che, secondo il sistema tradizionale, la rappresentanza è attribuita sempre all’organo esecutivo amministrativo. Aggiunge che con la proposta dell’onorevole Grieco si verrebbe a creare un sovraccarico di funzioni per il Presidente dell’Assemblea regionale; il quale, peraltro, dovendo come tale mantenersi imparziale, è bene che non abbia alcuna funzione connessa con quella amministrativa.

Per queste ragioni raccomanda alla Sottocommissione di accedere al testo deliberato dal Comitato.

TOSATO propone, in sostituzione dell’articolo 9, i seguenti tre articoli, la cui formulazione non tocca la questione dei poteri del Presidente della Deputazione regionale, la quale, a suo avviso, va collegata con il testo dell’articolo 11:

Art. 9. – «Sono organi della Regione:

  1. a) l’Assemblea regionale;
  2. b) il Presidente della Deputazione regionale;
  3. c) la Deputazione regionale».

Art. 9-bis. – «Il numero dei membri dell’Assemblea regionale e il criterio elettorale regionale sono stabiliti con legge dello Stato. Il sistema elettorale regionale sarà conforme a quello per la formazione della Camera dei Deputati».

Art. 9-ter – «L’Assemblea regionale elegge il suo Presidente e l’Ufficio di Presidenza».

PRESIDENTE, riassumendo i vari punti di vista, rileva che la proposta dell’onorevole Fuschini, di precisare in questa sede che la legge dello Stato deve stabilire anche il sistema di elezione dell’Assemblea, è compresa nell’emendamento dell’onorevole Tosato.

Quanto all’opportunità di indicare quale sistema elettorale si debba adottare, la proposta dell’onorevole Tosato precisa che tale sistema sarà conforme a quello adottato per la formazione della Camera dei Deputati.

Vi è poi la proposta dell’onorevole Fuschini di non indicare fra gli organi della Regione il Presidente della Deputazione, in quanto è sufficiente indicare la Deputazione.

FUSCHINI dichiara di non insistere su questa proposta.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Fabbri che il concetto contenuto nel suo emendamento viene ripreso nell’articolo 9-bis proposto dall’onorevole Tosato.

FABBRI dichiara di non insistere nel suo emendamento.

PRESIDENTE, quanto poi alla necessità – ravvisata da alcuni colleghi – di precisare la posizione del Presidente della Deputazione regionale, di cui parla l’articolo in esame, in rapporto ai compiti che potranno essere affidati al Presidente dell’Assemblea, fa rilevare che quest’ultimo – per il fatto di essere considerato nell’articolo 9-ter, proposto dall’onorevole Tosato – non può essere compreso tra gli organi della Regione che sono indicati all’articolo 9.

BOZZI prospetta l’opportunità di rinviare la decisione circa l’inclusione o meno, tra gli organi della Regione, del Presidente della Deputazione al momento in cui si esaminerà la formazione del Governo regionale, facendo presente che esso potrà essere inserito fra gli organi della Regione, solo se la Sottocommissione riterrà di dare al Presidente del Governo regionale una figura autonoma con propri poteri.

LUSSU ritiene che tale questione non debba essere accantonata.

AMBROSINI, Relatore, è anch’egli del parere che convenga fin d’ora affermare il principio che la Deputazione regionale è organo amministrativo esecutivo, responsabile di fronte all’Assemblea, lasciando allo Statuto delle singole Regioni il compito di stabilire i particolari del funzionamento di tale organo.

LACONI si associa alla proposta dell’onorevole Bozzi in quanto, prima di venire ad una decisione, è necessario eliminare il punto controverso, se cioè si debba considerare tra gli organi della Regione il Presidente della Deputazione o il Presidente dell’Assemblea.

PRESIDENTE, poiché la proposta di sospensiva fatta dagli onorevoli Bozzi e Laconi è stata originata, non dall’intendimento di escludere dall’elenco degli organi della Regione il Presidente della Deputazione, bensì dalla perplessità di includere o meno in tale elenco anche il Presidente dell’Assemblea, ritiene che si potrebbe votare la proposta dell’onorevole Tosato, con la riserva di lasciare in sospeso ogni decisione in merito al Presidente dell’Assemblea regionale.

Pone in votazione successivamente gli articoli 9, 9-bis, 9-ter, nel testo proposto dall’onorevole Tosato.

(Sono approvati).

PERASSI fa rilevare che, non essendo compreso nel testo ora approvato il concetto contenuto nell’ultimo comma dell’articolo del progetto del Comitato, deve ritenersi che il numero dei membri dell’Assemblea e della Deputazione non sarà stabilito da una legge dello Stato.

PRESIDENTE risponde che di ciò si potrà parlare in sede di articolo 11.

Apre ora la discussione sull’articolo 10.

«L’Assemblea regionale esercita la potestà legislativa che compete alla Regione e le facoltà di cui all’articolo 5, oltre quelle che le vengano conferite dalla legge.

«Spetta all’Assemblea regionale l’esame e l’approvazione del bilancio della Regione».

PERASSI fa presente la necessità di conferire all’Assemblea regionale anche la potestà regolamentare concernente l’esecuzione delle leggi dello Stato, mentre la potestà regolamentare in esecuzione delle leggi regionali potrà essere deferita alla Deputazione regionale.

BOZZI aderisce alla proposta dell’onorevole Perassi. Nei riguardi del secondo comma, prospetta l’opportunità di chiarire che, oltre il bilancio preventivo, l’Assemblea regionale deve esaminare ed approvare anche il rendiconto consuntivo.

TOSATO concorda con l’onorevole Perassi e, per comprendere le varie ipotesi, direbbe alla fine del primo comma: «…dalla legge e dallo Statuto».

Ritiene poi che l’osservazione fatta dall’onorevole Bozzi potrebbe essere risolta volgendo al plurale la parola «bilancio», in modo da comprendere in essa sia i preventivi che i consuntivi.

FABBRI domanda se, con l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi, rimanga riservata al Governo la facoltà di fare il regolamento delle proprie leggi, o se invece sia data possibilità a ciascuna Regione di fare un proprio regolamento per l’applicazione di tali leggi.

PERASSI ricorda all’onorevole Fabbri che, a norma dell’articolo 4-ter, le leggi dello Stato possono demandare alle Regioni il potere di emanare norme regolamentari per la loro applicazione.

LAMI STARNUTI è favorevole all’emendamento proposto dall’onorevole Perassi.

Non è invece favorevole al concetto manifestato dall’onorevole Bozzi, perché ritiene che – date le maggioranze esigue che potranno aversi in seno ad Assemblee regionali elette col sistema proporzionale – l’approvazione del consuntivo possa dar luogo a crisi amministrative a ripetizione; ritiene quindi che l’approvazione del consuntivo possa essere demandata ad una Commissione, nominata ogni anno col criterio proporzionale o con voto limitato, la quale faccia salvi i diritti di revisione e di controllo dell’Assemblea regionale.

LACONI obietta all’onorevole Lami Starnuti che la questione da lui sollevata è di carattere politico e può sorgere, non soltanto in occasione dell’approvazione del bilancio consuntivo, ma ogni qualvolta ci sia una frizione fra Assemblea e Deputazione.

Ad ogni modo, ritiene che non si debba sottrarre mai questa materia alla competenza dell’Assemblea regionale; e si dichiara quindi contrario alla proposta di rimettere l’esame dei bilanci ad una Commissione.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Laconi che non si tratta dei bilanci, ma del solo consuntivo, e che l’onorevole Lami Starnuti mirava con la sua proposta ad evitare crisi che potrebbero verificarsi per un lievissimo scarto di voti. Del resto, poiché le Commissioni sono costituite con rappresentanza proporzionale, l’equilibrio esistente in seno all’Assemblea non viene spostato.

FUSCHINI ricorda che, anche in passato, l’esame del bilancio consuntivo era sempre deferito dalla Camera dei Deputati alla Giunta del bilancio, la cui relazione veniva poi approvata – di solito senza discussione – dall’Assemblea. Non vede quindi perché non si possa seguire un sistema analogo nell’Amministrazione delle Regioni.

VANONI, dissentendo dall’onorevole Fuschini, osserva che l’approvazione del bilancio preventivo, da parte di un organo il quale non avrà la possibilità di un successivo controllo sul bilancio consuntivo, fa perdere a tale organo la maggiore parte della sua importanza politica e amministrativa.

FUSCHINI obietta che l’Assemblea legislativa opererà il suo controllo per mezzo della Giunta del bilancio.

VANONI è del parere che in sede politica si debba affermare che il controllo successivo spetta all’Assemblea, la quale lo eserciterà in quelle forme e quei modi che la consuetudine costituzionale e le necessità pratiche avranno suggerito.

UBERTI fa una distinzione tra il controllo puramente contabile ed il controllo della legittimità della spesa: il primo – di carattere economico – non dà in genere luogo a discussione e deve essere fatto da un organo tecnico, esaminando i documenti giustificativi delle spese fatte; il secondo – di carattere politico – tende ad accertare se la Deputazione è andata al di là del mandato conferitole dall’Assemblea e deve essere fatto dall’Assemblea, a meno che anche per la Regione non si istituisca un organo sul genere della Corte dei conti.

FABBRI dichiara di essere in questo caso d’accordo con l’onorevole Lami Starnuti, pur essendo per principio assolutamente contrario al sistema proporzionale.

AMBROSINI, Relatore, concorda con l’onorevole Perassi sull’opportunità di conferire all’Assemblea regionale una larga potestà normativa.

A proposito della potestà regolamentare di competenza della Regione, ricorda che il suo progetto originario diceva, al secondo comma dell’articolo 12, che «spetta alla Giunta (corrispondente alla Deputazione del testo proposto dal Comitato) la potestà regolamentare». Il Comitato però ritenne superflua tale specificazione, che non è stata quindi riportata nel testo definitivo.

Quanto al secondo comma dell’articolo 10, cioè al bilancio della Regione, il Comitato decise di adottare una dizione ampia, senza però entrare nel campo dei controlli, di cui si occupa l’articolo 19.

A suo avviso nella parola «bilancio» è da comprendere anche il «consuntivo». Non può essere dubbio che all’Assemblea regionale, la quale potrà costituire nel suo seno un organo speciale per questo esame tecnico – spetti l’ultima parola in merito.

Insiste, quindi, perché l’articolo venga approvato nel testo proposto dal Comitato di redazione.

PRESIDENTE porrà in votazione separatamente le varie frasi contenute nell’articolo del progetto e le aggiunte che sono state proposta da vari colleghi.

Mette anzitutto ai voti la prima frase dell’articolo:

«L’Assemblea regionale esercita la potestà legislativa che compete alla Regione».

(È approvata).

Pone ai voti successivamente la frase: «le facoltà di cui all’articolo 5».

(È approvata).

Mette quindi ai voti la proposta Perassi: «ed il potere regolamentare preveduto dall’articolo 4-ter».

(È approvata).

Pone in votazione la frase: «oltre a quelle facoltà che vengano a lei conferite dalla legge».

(È approvata).

FABBRI domanda se la dizione testé approvata possa dare origine al dubbio che i membri della Deputazione non abbiano diritto al voto.

PRESIDENTE fa presente che, dal momento che la Deputazione trova la sua formazione nell’interno dell’Assemblea regionale, i membri della Deputazione potranno votare come membri dell’Assemblea.

AMBROSINI, Relatore, aggiunge che, per risolvere i dubbi, si può ricorrere ai principî generali contenuti nella Costituzione dello Stato.

PRESIDENTE pone ora in discussione l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Tosato: «e dello Statuto (della Regione)».

GRIECO ritiene sufficiente la dizione approvata, perché comprensiva di tutti i poteri dell’Assemblea, e crede che l’aggiunta sia intempestiva o, comunque, non necessaria. Aggiunge che si riserva di manifestare, al momento opportuno, il suo voto contrario agli Statuti particolari delle Regioni.

PRESIDENTE fa presente che questa proposta di emendamento implica la soluzione di una questione che la Sottocommissione non ha ancora affrontato, quella cioè se le Regioni – in base all’articolo 21 – possano darsi, in conformità alle norme generali della Costituzione o di una legge dello Stato, un proprio Statuto che naturalmente potrà variare da Regione a Regione, ed assegnare all’Assemblea della Regione determinati compiti e determinate funzioni.

LACONI propone la sospensiva.

TOSATO aderisce alla richiesta fatta dall’onorevole Laconi.

PRESIDENTE pone ai voti la sospensiva, con l’intesa che questa disposizione potrà essere nuovamente presa in esame dopo l’approvazione dell’articolo 21.

(È approvata).

A proposito del secondo comma, ricorda la proposta di volgere al plurale la parola «bilancio», al fino di comprendere in tale espressione anche il consuntivo, salvo a stabilire nello Statuto della Regione come debba effettuarsi l’esame effettivo dei bilanci.

LAMI STARNUTI dichiara di essere favorevole al testo così come è stato proposto, interpretando la parola «bilancio» nel senso di bilancio preventivo.

PRESIDENTE, poiché la proposta mira proprio a chiarire che a tale parola deve darsi il significato di bilancio preventivo e di conto consuntivo, è del parere che si possa mettere ai voti tale concetto, salvo poi a concretare la formula più idonea.

VANONI fa presente che l’esatta terminologia si potrà introdurre dopo che la Sottocommissione avrà esaminato la stessa questione nei riguardi del bilancio dello Stato.

PRESIDENTE pone ai voti il secondo comma dell’articolo 10 così modificato: «Spetta all’Assemblea regionale l’esame e l’approvazione del preventivo e del consuntivo della Regione», con l’intesa che l’esatta terminologia sarà stabilita in conformità delle decisioni che la Sottocommissione riterrà di prendere quando si esaminerà il medesimo problema in sede di bilancio dello Stato.

LAMI STARNUTI dichiara di votare contro.

(È approvato).

La seduta termina alle 11.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Einaudi, Bordon.

Assenti: Bulloni, Castiglia, Codacci Pisanelli, Farini, Finocchiaro Aprile, Patricolo, Porzio.

GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

54.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Mortati – Zuccarini – Tosato – Perassi – Ambrosini, Relatore – Bozzi – Nobile – Codacci Pisanelli – Fabbri – Grieco – Di Giovanni – La Rocca – Conti – Uberti – Lussu – Lami Starnuti – Vanoni – Laconi.

Sui lavori della Sottocommissione

Presidente – Fuschini – Ambrosini – Leone Giovanni – Mortati – Calamandrei – Bozzi – Conti – Vanoni – Piccioni – Fabbri – Perassi – Targetti.

La seduta comincia alle 8.55.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE ricorda che nella riunione antecedente era stata iniziata la discussione sull’articolo 6 del progetto sull’autonomia regionale, nel quale si stabilisce che spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie di propria competenza legislativa e in quelle altre, di competenza dello Stato, che questi le affidi per l’esecuzione, in conformità a un principio di largo decentramento che sarà particolarmente determinato dalla legge. Era stato accennato da alcuni all’opportunità di attribuire alla Regione l’amministrazione soltanto nelle materie di cui agli articoli 3 e 4, mentre altri volevano esteso tale potere amministrativo anche alle materie previste negli articoli 4-bis e 4-ter. A quest’ultimo criterio appunto s’informa il seguente emendamento proposto dall’onorevole Fabbri: «Spetta alla Regione nelle varie materie ogni potere di amministrazione nella sfera della sua propria competenza legislativa nonché nei limiti delle delegazioni ricevute in proposito dallo Stato».

MORTATI osserva che la questione della determinazione della potestà amministrativa della Regione ha un aspetto pratico di notevole importanza, perché ai fini del controllo interessa sapere quali atti siano propri della Regione e quali siano da considerare delegati, essendo su questi consentito un intervento diverso dello Stato. È da domandarsi se convenga determinare con esattezza quale debba essere la sfera di attività obbligatoria per la Regione nella organizzazione degli uffici amministrativi e quale quella lasciata alla discrezionalità della Regione stessa, sempre nell’ambito delle sue competenze generali. A suo avviso sarebbe meglio limitare la potestà amministrativa della Regione alla materia di cui agli articoli 3 e 4: ma, se dovesse essere estesa alla Regione anche la competenza amministrativa in riferimento agli articoli 4-bis e 4-ter, occorrerebbe decidere se quest’altra competenza amministrativa debba considerarsi delegata o propria.

ZUCCARINI ricorda che nella riunione antecedente venne prospettata l’ipotesi di sopprimere l’ultima parte dell’articolo 6 e precisamente quella in cui si afferma la necessità di attribuire alla Regione una potestà amministrativa «in conformità a un principio di largo decentramento che sarà particolarmente determinato dalla legge». La soppressione di quest’ultima parte dell’articolo in esame sarebbe, a suo avviso, cosa assai grave. La esigenza che l’attuazione della Regione si compia con una immediata trasformazione, in senso antiburocratico e semplificatore, dell’attuale amministrazione statale, dovrebbe invece essere espressamente affermata. Con il progetto proposto dal Comitato e soprattutto con l’attribuzione alla Regione di quattro differenti potestà normative, si viene a creare un sistema abbastanza complesso per cui lo Stato, se permanesse l’attuale organizzazione burocratica, con le sue interferenze, verrebbe praticamente ad esercitare, in ultima analisi, una influenza diretta, anzi preponderante, sui compiti affidati alle Regioni. Avendo, tra l’altro, prevista l’istituzione di un Commissario del Governo nel capoluogo di ogni Regione, si potrebbe correre il rischio che venissero a costituirsi, accanto agli uffici della Regione, altri uffici dello Stato e si avesse così un appesantimento anziché una semplificazione dell’organizzazione amministrativa. Occorre quindi affermare espressamente il principio che l’istituzione dell’ente Regione deve coincidere con un largo e immediato decentramento amministrativo. Solo così si avrebbe una riduzione anziché una moltiplicazione degli uffici, moltiplicazione da deprecare per gli inevitabili danni per uno spedito e ordinato funzionamento dell’amministrazione regionale. Occorre assolutamente impedire che la riforma regionale possa fallire: ciò sarebbe imperdonabile.

Per tali considerazioni propone di sostituire al testo dell’articolo 6 un altro così concepito:

«La Regione organizza la propria amministrazione in modo da provvedere, oltre che per le materie di propria competenza, anche per quelle di competenza dello Stato e che da questo verranno ad essa delegate in conformità ad un principio di largo decentramento, che con la creazione della Regione deve trovare una immediata e pratica attuazione».

TOSATO propone, anche a nome dell’onorevole Fuschini, di sostituire al testo dell’articolo 6 un altro del seguente tenore:

«Spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie previste dagli articoli 3 e 4 e in quelle altre materie che lo Stato delegherà ad essa per attuare un effettivo decentramento amministrativo».

MORTATI ritiene che l’accenno all’attuazione di un effettivo decentramento amministrativo dovrebbe formare oggetto di un apposito articolo, da comprendersi fra le disposizioni transitorie. Dichiara quindi che, se l’emendamento dell’onorevole Tosato fosse accolto con tale riserva, egli sarebbe disposto ad associarvisi.

PERASSI ritiene, come del resto ha già rilevato l’onorevole Mortati, che l’ultima parte dell’articolo 6, in cui si afferma la necessità di un largo decentramento amministrativo, dovrebbe formare oggetto di una disposizione a sé stante da includersi fra le norme transitorie.

TOSATO dichiara, anche a nome dell’onorevole Fuschini, di essere disposto a sopprimere nel suo emendamento le parole «per attuare un effettivo decentramento amministrativo», purché sia accolta la riserva che il concetto espresso nelle parole suddette formi oggetto di un altro articolo da comprendersi fra le disposizioni transitorie.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che sia logico, una volta attribuita alla Regione la potestà legislativa su determinate materie, di affidarle per esse anche la potestà amministrativa. Per quanto poi si riferisce al conferimento della stessa potestà, riguardo a materie che sono di competenza dello Stato e che dallo Stato siano ad essa affidate per l’esecuzione, non varrebbe obiettare che l’organo esecutivo della Regione può usare male di tale potestà con atti contrari all’interesse nazionale o alle direttive della politica generale dello Stato. Il progetto dà il modo di ovviare a questo inconveniente con la disposizione dell’ultimo comma dell’articolo 14, che dà al Commissario del Governo il compito di coordinare, per tali materie, l’opera degli organi regionali in corrispondenza alle direttive generali che in proposito il Governo creda di emanare.

Riconosce che questa disposizione può non incontrare il consenso dell’onorevole Zuccarini, il quale propugna un sistema più spinto di autonomia; ma il Comitato non condivise il suo punto di vista, ritenendo che fosse opportuno dare al Governo la facoltà suaccennata.

Si rende conto, poi, del punto di vista espresso da alcuni colleghi sull’opportunità di formulare ed enunciare con un articolo autonomo il principio del decentramento contenuto nell’ultima parte dell’articolo 6; ciononostante ritiene che possa accettarsi questo testo, essendo la sua dizione abbastanza chiara ed esplicita per mostrare quale è il principio che il Costituente vuole affermare.

BOZZI propone di sostituire, nel testo dell’emendamento presentato dall’onorevole Tosato, alle parole: «Spetta alla Regione la amministrazione», le seguenti: «La Regione provvede all’amministrazione», fermo restando il seguito dell’emendamento.

La formula ch’egli propone gli sembra che metta meglio in evidenza il concetto, essenziale, che la Regione non ha facoltà di procedere o no ad organizzare l’amministrazione, ma ne ha obbligo; senza duplicazioni con gli organi amministrativi dello Stato.

TOSATO dichiara, anche a nome degli onorevoli Fuschini e Mortati, di accettare la modificazione al suo emendamento proposta dall’onorevole Bozzi.

PRESIDENTE mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Zuccarini, con cui si estendo la potestà amministrativa della Regione anche alle materie di competenza dello Stato, indipendentemente da una delega specifica che lo Stato possa fare alla Regione stessa.

NOBILE, pur essendo favorevole al decentramento di taluni servizi dello Stato, dichiara che non può ammettere il principio che lo Stato possa rinunciare alla sua opera di coordinamento e di controllo dei servizi decentrati e che quindi voterà contro l’emendamento dell’onorevole Zuccarini.

CODACCI PISANELLI dichiara di astenersi dal votare.

(Non è approvato).

PRESIDENTE mette in votazione l’emendamento degli onorevoli Tosato, Fuschini e Mortati con la modificazione proposta dall’onorevole Bozzi.

(Non è approvato).

Domanda all’onorevole Fabbri se è disposto a sostituire, nel testo del suo emendamento, alle parole «Spetta alla Regione nelle varie materie ogni potere di amministrazione», le seguenti, che erano state proposte dall’onorevole Bozzi per l’emendamento degli onorevoli Tosato, Fuschini e Mortati: «La Regione provvede all’amministrazione».

FABBRI risponde affermativamente.

PRESIDENTE mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Fabbri con la modificazione or ora indicata.

(Non è approvato).

Propone di sostituire, nel ttesto dell’articolo 6 presentato dal Comitato, alle parole: «Spetta alla Regione l’amministrazione» le seguenti, già suggerite dall’onorevole Bozzi come modificazione dell’emendamento degli onorevoli Tosalo, Fuschini e Mortati: «La Regione provvede all’amministrazione», e mette in votazione la prima parte dell’articolo in esame così formulata: «La Regione provvede all’amministrazione nelle materie di propria competenza legislativa».

GRIECO e DI GIOVANNI dichiarano di astenersi dalla votazione.

(È approvata).

PRESIDENTE propone di sostituire, nel testo dell’articolo 6 presentato dal Comitato, alle parole «ed in quelle altre materie che sono di competenza dello Stato, e che lo Stato affidi ad essa per l’esecuzione», le seguenti, che già facevano parte dell’emendamento degli onorevoli Tosato, Fuschini e Mortati: «e in quelle altre materie che lo Stato delegherà ad essa». Mette in votazione le parole anzidette.

(Sono approvate).

Ricorda che, quanto all’ultima parte dell’articolo 6, e precisamente quella in cui si fa riferimento al principio di un largo decentramento amministrativo, è stata fatta la proposta di sopprimerla, con la riserva che il concetto in essa espresso venga a formare oggetto di una disposizione a sé stante. Con tale intesa, mette in votazione la soppressione della parte anzidetta.

(È approvata).

Avverte che l’articolo 6 resta così definitivamente formulato:

«La Regione provvede all’amministrazione nelle materie di propria competenza legislativa ed in quelle altre materie che lo Stato delegherà ad essa».

Poiché l’articolo 7 del progetto resta assorbito dalle norme riguardanti la elezione della seconda Camera, mette in discussione l’articolo 8 del progetto:

«La Regione ha l’autonomia finanziaria coordinata con la finanza dello Stato e dei Comuni, secondo le norme che saranno stabilite da una legge di natura costituzionale.

«Non potranno essere istituiti dazi di importazione, di esportazione o di transito fra una Regione e l’altra, né essere presi provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale».

MORTATI osserva che nell’articolo in esame non si fa alcun accenno all’esistenza di un patrimonio della Regione, né al problema della proprietà dei beni demaniali, né alla facoltà da parte della Regione di emettere prestiti.

AMBROSINI, Relatore, dichiara che il Comitato di redazione prese in esame le questioni accennate dall’onorevole Mortati. Fu deciso, però, specialmente su indicazione dell’onorevole Einaudi, di rinviare la soluzione di tali questioni ad una legge di natura costituzionale secondo quanto stabilisce il primo comma dell’articolo in discussione; ciò perché la materia relativa alle questioni anzidette è assai complessa ed il Comitato volle evitare, data la ristrettezza del tempo assegnatogli per i suoi lavori, di addivenire a soluzioni affrettate.

LA ROCCA fa presente che occorrerà evitare che il contribuente, possa essere costretto a pagare le tasse due volte, una prima direttamente allo Stato e una seconda indirettamente alla Regione.

CONTI ritiene che nell’articolo in esame dovrebbe essere introdotta una disposizione che autorizzasse il legislatore ad emanare leggi sul trasferimento della proprietà dei beni delle Provincie dalle Provincie stesse alle Regioni. Quanto poi alla facoltà delle Regioni di emettere prestiti, su cui non sembra che si abbiano dubbi, essa dovrebbe espressamente essere stabilita in un altro articolo.

GRIECO desidera sapere se la legge di natura costituzionale con cui l’autonomia finanziaria della Regione dovrà essere coordinata, a norma dell’articolo in esame, con la finanza dello Stato e dei Comuni, dovrà essere approvata dall’Assemblea costituente.

AMBROSINI, Relatore, chiarisce che una legge, per avere carattere costituzionale, deve essere approvata dall’Assemblea costituente oppure dalle future Assemblee legislative con quel procedimento speciale che la Costituzione sarà per stabilire, appunto per differenziare lo leggi costituzionali dalle leggi ordinarie.

PRESIDENTE ritiene che, per predisporre un testo di legge sull’autonomia finanziaria delle Regioni, occorrerà senza dubbio un periodo di tempo assai più lungo di quello stabilito per la durata dei lavori dell’Assemblea costituente. Ciò considerato, potrebbe sorgere il timore che una legge di carattere costituzionale, quale dovrà essere quella sull’autonomia finanziaria delle Regioni, non potesse essere emanata, se dovesse esser sottoposta all’approvazione dell’Assemblea costituente. È questo senza dubbio il motivo che ha spinto l’onorevole Grieco a formulare la sua domanda. A tale proposito, crede di poter affermare che la Sottocommissione è orientata nel senso di includere nella Costituzione una norma, secondo cui la futura Assemblea legislativa potrà adottare leggi di carattere costituzionale, purché approvate con un determinato quorum. Pertanto si potrà anche avere, e sarà, senza dubbio il caso più probabile, una legge di carattere costituzionale sull’autonomia finanziaria delle Regioni approvata dalla futura Assemblea legislativa. Ciò non toglie che in un primo tempo non debbano subito essere assicurati alla Regione i mezzi finanziari con i quali possa immediatamente iniziare la sua nuova vita. Si potrebbe, ad esempio, stabilire a tale scopo che lo Stato concedesse un prestito a ciascuna Regione.

FABBRI propone di sostituire al primo comma dell’articolo in esame un altro così concepito:

«La Regione ha l’autonomia finanziaria subordinata alle leggi in materia dello Stato».

UBERTI ricorda che in seno al Comitato di redazione egli sostenne, riguardo al problema dell’autonomia finanziaria della Regione, la necessità che le Regioni non ricevessero contributi dallo Stato e che nel territorio di ciascuna Regione non fossero istituiti nuovi uffici di accertamento per le imposte. Egli propose, quindi, che le Regioni dovessero partecipare a tutte le entrate dello Stato per una percentuale da stabilirsi in ragione della quantità e qualità dei servizi trasferiti dallo Stato alle Ragioni stesse. Crede che questa sia l’unica via da seguire per garantire alle Regioni un’autonomia finanziaria, e perciò non può essere favorevole all’emendamento proposto dall’onorevole Fabbri.

AMBROSINI, Relatore, dichiara di non potere accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Fabbri, giacché l’espressione «La Regione ha l’autonomia finanziaria subordinata», ferirebbe troppo il concetto stesso dell’autonomia.

Invece che di «subordinazione», nell’articolo in esame si parla di «coordinazione»; col che si rispetta e si salvaguarda il principio dell’autonomia e si tiene contemporaneamente conto delle superiori esigenze di un raccordo con l’ordinamento tributario dello Stato e con quello dei Comuni.

Ciò consideralo, è del parere che la formula del primo comma dell’articolo 8 adottata dal Comitato dovrebbe essere mantenuta. Egualmente raccomandabile è il secondo comma che stabilisce dei limiti alla potestà di imposizione della Regione col farle divieto di istituire dazi di importazione, di esportazione o di transito tra una Regione e l’altra, e di prendere comunque provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale.

BOZZI propone di sostituire al primo comma dell’articolo 8, un altro così concepito:

«L’autonomia finanziaria della Regione sarà determinata con legge costituzionale, in coordinamento con l’autonomia finanziaria dello Stato e dei Comuni».

PERASSI propone che, al primo comma dell’articolo in esame, ne sia sostituito un altro del seguente tenore:

«Una legge di carattere costituzionale determinerà l’autonomia finanziaria della Regione, coordinandola con l’ordinamento tributario dei Comuni e dello Stato».

LUSSU dichiara che non voterà a favore degli emendamenti testé proposti perché, pur riaffermando il principio dell’autonomia finanziaria della Regione, non sono formulati con quelle espressioni di carattere semplice e generale che sono indispensabili in un testo costituzionale.

LAMI STARNUTI propone di far precedere le parole con cui ha inizio l’articolo in discussione («La Regione ha l’autonomia finanziaria») al testo dell’emendamento sostitutivo dell’onorevole Perassi.

BOZZI ritira il suo emendamento e si associa a quello dell’onorevole Perassi.

PRESIDENTE fa presente che il testo del primo comma dell’articolo 8, con l’emendamento sostitutivo Perassi e la modificazione proposta dall’onorevole Lami Starnuti, e con qualche altro lieve mutamento di forma accettato dall’onorevole Perassi stesso, risulterebbe così formulato:

«La Regione ha autonomia finanziaria. Una legge costituzionale ne determinerà i limiti, coordinandola con l’ordinamento tributario dei Comuni e dello Stato».

Lo mette in votazione.

(È approvato).

Avverte che con l’approvazione del testo degli onorevoli Perassi e Lami Starnuti, si intende decaduto l’emendamento sostitutivo dell’onorevole Fabbri.

Fa presente, poi, che resta ora da approvare il secondo comma dell’articolo 8.

MORTATI propone di sostituire al secondo comma dell’articolo in esame un altro così concepito:

«La Regione non potrà emettere nessuna misura atta ad ostacolare, anche indirettamente, la libera circolazione interregionale delle persone e delle cose».

AMBROSINI, Relatore, riconosce che la formulazione proposta dall’onorevole Mortati per il secondo comma dell’articolo 8 può essere opportuna, ma si preoccupa delle ripercussioni di carattere psicologico che potrebbero essere originate da essa. Da varie parti si teme che il potere tributario concesso alle Regioni possa creare delle interferenze fra una Regione e un’altra, o fra una Regione e lo Stato. Fu per dissipare tale timore che il Comitato adottò la disposizione del secondo comma dell’articolo 8 poco fa ricordata.

MORTATI osserva che dagli articoli precedenti già approvati dalla Sottocommissione non risulta che la Regione abbia un’autonomia normativa in materia finanziaria.

AMBROSINI, Relatore, dichiara che il potere normativo della Regione in materia finanziaria deriva dalla dizione del primo comma dell’articolo 8, e più chiaramente ancora dal secondo comma, che apporta dei limiti all’esercizio da parte della Regione del suo potere tributario.

MORTATI rileva che, poiché i limiti all’autonomia finanziaria della Regione saranno determinati da una legge di carattere costituzionale, questa legge potrebbe anche stabilire la soppressione del divieto relativo all’imposizione di dazi; ciò che contrasterebbe col disposto del secondo comma dell’articolo 8.

AMBROSINI, Relatore, osserva che la Sottocommissione ha soltanto il compito di formulare le norme della futura Costituzione, e non può porre quindi alcun limite alle facoltà del Costituente.

PRESIDENTE comunica che gli onorevoli Nobile, Grieco, Laconi e La Rocca propongono di aggiungere alla fine del secondo comma dell’articolo 8 le seguenti parole: «né, comunque, imposte, tasse dirette ad ostacolare, o che avessero l’effetto di ostacolare, l’introduzione e la vendita di merci provenienti da altre Regioni».

VANONI afferma che il dubbio accennato dall’onorevole Mortati che la Regione non abbia potestà finanziaria, perché ciò noti risulta dagli articoli 3 e 4, può essere eliminato, se si tiene conto delle osservazioni che in risposta all’onorevole Mortati ha fatto l’onorevole Ambrosini. Infatti, quando si parla di autonomia finanziaria della Regione, si riconosce senz’altro che essa ha la possibilità di regolare l’attività finanziaria nell’ambito del suo territorio. Se è vero, poi, che il legislatore con una legge di carattere costituzionale potrà fare tutto quello che crede, resta pur sempre fissato nella Costituzione il principio dell’autonomia finanziaria delle Regioni, che non potrà essere soppresso nemmeno con una legge di carattere costituzionale, per cui la Regione potrà sempre legiferare in materia finanziaria. Tutto ciò però dovrà risultare chiaramente nel testo della Costituzione.

Ora, per ciò che riguarda la formulazione del secondo comma dell’articolo 8, ritiene che sarebbe bene non far uso della parola «importazione», perché è un termine equivoco dal punto di vista tecnico-finanziario. Ciò che interessa è stabilire che non possa essere adottato da parte della Regione alcun provvedimento, né di natura fiscale né di qualsiasi altra natura, che possa creare ostacoli alla libera circolazione dei beni fra una Regione e l’altra.

Confidando che l’onorevole Mortati sia d’accordo, propone che l’emendamento da questi presentato sia approvato, non già come secondo comma dell’articolo in discussione, bensì come testo di una norma a sé stante, in modo che il disposto in essa contenuto si riferisca a qualsiasi provvedimento, non solo di carattere fiscale, che possa ostacolare le libera circolazione interregionale delle persone e delle cose. Per meglio spiegare il suo concetto, cita il caso di alcune norme, adottate in passato, per la protezione contro le malattie delle piante, con cui in realtà si stabilirono divieti di importazione di determinati prodotti agricoli. Occorre evitare che ciò possa ripetersi, visto che è sempre assai facile trovare delle giustificazioni di norme in realtà dirette ad impedire la libera circolazione delle merci.

LACONI, riferendosi a quanto ha accennato l’onorevole Vanoni a proposito della facilità con cui può essere ostacolata la libera circolazione delle merci, fa rilevare che attualmente l’Alto Commissariato della Sardegna, pur non avendo una potestà autonoma in materia finanziaria, trova il modo di impedire che determinati prodotti siano importati nell’Isola, imponendo l’obbligo di richiedere permessi di importazione, che sono concessi soltanto dietro pagamento di un dato contributo.

NOBILE crede che l’emendamento dell’onorevole Mortati possa essere accolto per le ragioni esposte dall’onorevole Vanoni. Dovrebbe però essere integrato da una disposizione che esplicitamente vietasse l’imposizione di tasse da parte delle Regioni. Difatti, con l’imposizione di una tassa di consumo su qualsiasi prodotto, si può raggiungere lo scopo di ostacolare la libera circolazione interregionale delle merci. È questa la ragione per cui egli, insieme agli onorevoli Grieco, Laconi e La Rocca, ha proposto di aggiungere alla fine dell’articolo 8 il periodo di cui il Presidente ha dato lettura.

MORTATI dichiara che lo scopo che l’onorevole Nobile si propone di raggiungere con il suo emendamento aggiuntivo è previsto anche nell’emendamento già da lui presentato, in quanto in esso si stabilisce che la Regione non potrà adottare alcun provvedimento che possa ostacolare, anche indirettamente, la libera circolazione interregionale delle persone e delle cose.

Circa poi le osservazioni fatte dall’onorevole Vanoni, fa presente che, se si vuole garantire in ogni caso la libera circolazione interregionale delle merci, occorre porre un limite anche nei confronti del potere costituente, adottando, cioè, il criterio di ritenerlo vincolato anche di fronte alla possibilità di una revisione costituzionale. Questo criterio trova delle applicazioni in varie Costituzioni, per quanto riguarda per esempio la forma dello Stato. Il caso in esame deve ritenersi appunto attinente al principio di forma complessiva dello Stato. Se si volesse raggiungere tale fine, sarebbe bene includere nel testo della Costituzione una precisa norma al riguardo, al che dichiara d’essere favorevole.

PRESIDENTE dichiara che la sua sensibilità politica gli impedisce di ammettere che nella Costituzione possa essere inclusa una norma nel senso indicato dall’onorevole Mortati.

MORTATI risponde che, da un punto di vista politico, in quanto il potere costituente è sempre in rapporto a determinate forze politiche, non può sussistere mai una garanzia assoluta che una data norma costituzionale non possa essere modificata. Tuttavia, una disposizione nel senso da lui indicato potrebbe avere un certo valore proprio da un punto di vista politico: essa porrebbe un limite inderogabile nei confronti del costituente, vietandogli di adottare, con una legge di carattere costituzionale, misure contrarie alla libera circolazione interregionale delle persone e delle cose.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che le disposizioni contenute nell’articolo in esame costituiscono una sicura garanzia per una libera circolazione interregionale. Ciò considerato, dichiara che non crede di accedere ad una norma formulata nel senso accennato dall’onorevole Mortati.

LAMI STARNUTI osserva che, con l’approvazione della proposta di emendamento fatta dall’onorevole Mortati, si stabilirebbe la illegittimità di tutti i dazi di esportazione. Deve allora richiamare l’attenzione sul comune di Carrara, il quale, valendosi del procedente costituito da un dazio stabilito a favore del comune di Lipari per l’esportazione della pomice, ottenne nel 1910 la possibilità di istituire una cosiddetta «tassa marmi» che, in realtà, non è se non un dazio di esportazione. Tale tassa fu imposta come un correttivo della situazione che si era venuta creando con l’applicazione di alcune leggi in materia di attribuzione del diritto enfiteutico di escavazione. Il comune di Carrara è infatti proprietario di tutte le zone marmifere locali, ma per due ordinanze, una di Maria Teresa e l’altra della contessa Ricciarda, esso ha l’obbligo di concedere in enfiteusi le cave di marmo, ricevendo come canone enfiteutico il prodotto del soprassuolo. Col passare del tempo, la situazione patrimoniale del comune di Carrara diventò particolarmente difficile perché, sebbene concessionario enfiteutico di cave che valevano molte centinaia di milioni, ricavava dai canoni enfiteutici una somma molto esigua, che nel 1910 non superava le cinquemila lire all’anno. E fu appunto per porre riparo a tale situazione che il comune di Carrara chiese ed ottenne l’istituzione di un dazio a suo favore sull’esportazione dei marmi. Ora, quale sarà la sorte del bilancio comunale di Carrara, se verrà approvato il principio della illegittimità di ogni dazio di esportazione? Si tratta di una questione assai grave che egli, come rappresentante della Toscana, si sente obbligato di sottoporre all’attenzione dei componenti la Sottocommissione.

VANONI rileva che in materia di dazi di esportazione non lievi sono le esigenze locali nel momento presente. Può ricordare, ad esempio, ciò che è avvenuto nelle Puglie durante il 1944-45: molti Comuni, visto che il vino si vendeva molto a buon mercato nel loro territorio ed era perciò acquistato da commercianti provenienti dal Nord che lo rivendevano poi a un prezzo assai elevato nelle regioni dell’Italia settentrionale, decisero di istituire dazi di esportazione su quel prodotto, approfittando del fatto che allora ogni Comune poteva emanare un proprio regolamento in materia.

Qualcosa di simile si è avuto in altro campo da parte di qualche Comune di montagna. I Comuni montani, infatti, considerano quasi sempre come un grave danno la costruzione di grandi impianti idroelettrici nel proprio territorio, perché ciò implica per l’economia locale una perdita di superficie coltivabile e un danneggiamento al sistema di irrigazione; e perciò hanno chiesto e chiedono di essere autorizzati a istituire, a compenso dei danni subiti, un dazio sulla esportazione di energia elettrica.

Ma la via giusta non è quella di imporre tributi sulla produzione, bensì quella di rivalutare i canoni che i concessionari debbono pagare per lo sfruttamento delle energie locali.

Un altro esempio è dato dalla campagna che attualmente si sta conducendo in Sicilia per un dazio di esportazione sullo zolfo. Ma, se venisse imposto anche un lievissimo dazio di esportazione sullo zolfo siciliano, il nostro Paese avrebbe assai più convenienza ad importare lo zolfo dall’America che ad usare quello siciliano.

Bisogna quindi assolutamente evitare di istituire dazi di esportazione, perché altrimenti si creano numerosi compartimenti stagni nell’economia del Paese, con gravissimo danno per la Nazione. La questione accennata dall’onorevole Lami Starnuti può risolversi soltanto rivalutando i canoni enfiteutici a favore del comune di Carrara. I dazi di esportazione nel campo internazionale sono applicati soltanto per pochissime materie e sarebbe davvero un assurdo se dovessero essere istituiti nell’ambito delle Regioni e dei Comuni.

PRESIDENTE avverto che il testo dell’emendamento proposto dall’onorevole Mortati, in sostituzione del secondo comma dell’articolo 8, per alcune modificazioni apportatevi dallo stesso onorevole Mortati, risulta così concepito:

«La Regione non potrà adottare alcun provvedimento che possa ostacolare, anche indirettamente, la libera circolazione delle persone e delle cose».

NOBILE ritira la sua proposta di emendamento, dichiarando di essere favorevole all’emendamento dell’onorevole Mortati dopo aver udito le spiegazioni che intorno ad esso ha dato lo stesso proponente.

PRESIDENTE mette ai voti il 2° comma dell’articolo 8 nella formulazione Mortati di cui ha dato lettura.

(È approvato).

Comunica che gli onorevoli Tosato, Fuschini, Mortati e Bozzi propongono di aggiungere al testo ora approvato dell’articolo 8 un altro comma così concepito:

«La Regione ha un proprio demanio e un proprio patrimonio, secondo le modalità che saranno stabilite da legge costituzionale».

Lo mette in votazione.

(È approvato).

Avverte che l’articolo 8 testé approvato resta così definitivamente formulato:

«La Regione ha autonomia finanziaria. Una legge costituzionale ne determinerà i limiti, coordinandola con l’ordinamento tributario dei comuni e dello Stato.

«La Regione non potrà adottare alcun provvedimento che possa ostacolare, anche indirettamente, la libera circolazione delle persone e delle cose.

«La Regione ha un proprio demanio e un proprio patrimonio, secondo lo modalità che saranno stabilite da legge costituzionale».

Sui lavori della Sottocommissione.

PRESIDENTE sono in discussione il modo di attuare la deliberazione approvata nell’ultima riunione della Commissione plenaria circa la suddivisione della Sottocommissione in due sezioni, una indipendente dall’altra, in quanto ciascuna presenterà il risultato dei propri lavori direttamente alla Commissione.

FUSCHINI propone che la discussione del progetto sulle autonomie locali continui ad essere fatta in seno all’intera Sottocommissione.

AMBROSINl e LEONE GIOVANNI si associano alla proposta dell’onorevole Fuschini.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Fuschini.

(È approvata).

Avverte che per la suddivisione in due Sezioni della Sottocommissione si dovrà badare non solo all’esigenza che ciascuna di esse rispecchi, entro certi limiti, la struttura politica della Sottocommissione, che è quella della Commissione e della stessa Assemblea costituente, ma anche a quella della specializzazione della materia. Difatti alla prima Sezione sarà affidato l’esame del potere esecutivo, mentre alla seconda quello del potere giudiziario. Insieme al Presidente della Commissione, ha cercato di fare una prima elencazione dei colleghi che dovrebbero essere destinati a ciascuna delle due Sezioni; ma è inteso che i colleghi hanno facoltà di optare per l’una o l’altra Sezione. Alla prima dovrebbero essere assegnati gli onorevoli Ambrosini, Bordon, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Einaudi, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Piccioni, Targetti, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini e Terracini; alla seconda, gli onorevoli Bocconi, Bozzi, Calamandrei, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Laconi, Leone, Mannironi, Patricolo, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo e Perassi.

MORTATI crede che la discussione sull’istituzione della Corte Suprema costituzionale potrebbe essere abbinata a quella sul potere giudiziario.

CALAMANDREI osserva che, in certi casi, dovrebbe essere consentito ai membri di una Sezione di partecipare ai lavori dell’altra, secondo quanto fu proposto e approvato relativamente ai rapporti fra le Sottocommissioni, ciò che però non ebbe mai pratica attuazione.

BOZZI accetta di far parte della seconda Sezione, dichiarando però che preferirebbe rimanere nel Comitato di coordinamento.

CONTI fa presento che nel periodo in cui la Sottocommissione continuerà ad esaminare la questione delle autonomie locali, le due Sezioni per il potere legislativo e per il potere esecutivo potrebbero completare i loro lavori e nel frattempo potrebbe iniziare i suoi lavori il Comitato di coordinamento e così si usufruirebbe ancora dell’opera dell’onorevole Bozzi che fa parte del Comitato anzidetto.

VANONI desidera sapere a quale Sezione sarà affidata la materia del bilancio c dei controlli sulle spese pubbliche.

MORTATI crede che la materia a cui ha accennato l’onorevole Vanoni potrebbe essere attribuita alla prima Sezione.

VANONI fa presente che nella materia anzidetta, se affidata all’esame della prima Sezione, non si avrebbe la collaborazione dell’onorevole Bozzi; il che non gli sembra opportuno.

PRESIDENTE osserva che inevitabilmente, con la suddivisione della Sottocommissione in due Sezioni, avverrà sulle prime un qualche turbamento dell’abituale partecipazione dei vari colleghi ai lavori della Sottocommissione stessa; ma crede che si potrà riparare con una riunione comune, al momento opportuno, delle due Sezioni, come già è avvenuto per la prima e la terza Sottocommissione.

PICCIONI propone che, prima della prossima riunione della Sottocommissione, si rimetta ad ogni componente la Sottocommissione un prospetto dei membri destinati all’una e all’altra Sezione e della ripartizione delle materie.

PRESIDENTE avverte che un prospetto nel senso indicato dall’onorevole Piccioni non è stato fatto perché per la sua compilazione si desiderava avere la collaborazione di tutti i componenti la Sottocommissione.

FABBRI e PERASSI desidererebbero far parte della prima Sezione.

PICCIONI propone, per conto dei rappresentanti del suo gruppo, che alla seconda Sezione siano assegnati gli onorevoli Bulloni, Cappi, Leone, Mannironi e uno dei due costituzionalisti, o l’onorevole Ambrosini o l’onorevole Mortati, sempre se i membri della seconda Sezione dovranno in tutto essere 14.

CONTI fa presente che, a cura della Presidenza della Sottocommissione, d’accordo con quella della Commissione, dovrebbe essere predisposto, oltre al prospetto accennato dall’onorevole Piccioni, anche un calendario dei lavori.

PRESIDENTE pensa che sia meglio lasciare alle due Sezioni completa autonomia, tanto più che esse dovranno rispondere direttamente alla Commissione.

TARGETTI desidererebbe far parte della seconda Sezione. Il suo posto nella prima potrebbe essere preso dall’onorevole Rossi.

PRESIDENTE invita i rappresentanti degli altri gruppi a presentare in giornata le loro proposte alla Presidenza della Commissione.

La seduta termina alle 11.45.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni e Zuccarini.

Assenti: Bordon, Castiglia, Einaudi, Farini, Finocchiaro Aprile, Mannironi, Patricolo e Porzio.

MARTEDÌ 26 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

53.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 26 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Nobile – Conti – Mortati – Mannironi – Ambrosini, Relatore – Lussu – Tosato – Calamandrei – Perassi – Bozzi – Fabbri – Uberti – Laconi – Cappi – Fuschini – Grieco – Codacci Pisanelli.

La seduta comincia alle 16.30.

 

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE ricorda che nella riunione precedente si decise l’inclusione nell’articolo 4 delle «tranvie», ma non si pervenne alla votazione su di un’altra materia proposta dall’onorevole Conti: «linee regionali automobilistiche».

NOBILE premette che le sue considerazioni si attagliano anche alle tranvie, il che potrebbe forse consigliare un ritorno sulla decisione già presa al riguardo, ad evitare un eventuale contrasto tra il criterio seguito per le linee automobilistiche e quello seguito per le tranvie.

Rileva che le leggi attualmente esistenti per i servizi del genere contengono prescrizioni di carattere tecnico rivolte, per lo più, a garantire la sicurezza dell’esercizio. Così, ad esempio, la legge sulle tranvie prescrive che la distanza fra la parte più sporgente della vettura e l’ostacolo più vicino alla linea non deve essere inferiore agli 80 centimetri. È evidente che almeno per gli aspetti tecnici della materia si impone una regolamentazione uniforme, e non è possibile che si abbiano ordinamenti differenti da una Regione all’altra. Non può togliersi allo Stato la possibilità di un controllo tecnico, sia sulla costruzione che sull’esercizio di questi mezzi di trasporto, e pertanto conclude prospettando l’opportunità di rinviare le tranvie e le linee automobilistiche regionali all’articolo 4-bis.

CONTI obietta che la riforma deve rispondere all’aspirazione di organizzare la Regione nel miglior modo possibile, con i suoi servizi, i suoi mezzi di trasporto e tutto ciò che può rendere agevole lo sviluppo della vita agricola, commerciale, industriale e artigiana.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Conti di includere, tra le materie dell’articolo 4, le «linee automobilistiche regionali».

(È approvata).

MORTATI esprime l’avviso che la disciplina degli approdi e darsene debba essere assimilata a quella dei porti e propone di includere nell’articolo 4: «approdi e darsene, in quanto non interessino la difesa nazionale o la sicurezza della navigazione marittima in generale».

PRESIDENTE, dopo aver rilevato che per il momento si è prevista soltanto l’inclusione nell’articolo 3 dei «porti lacuali», fa rilevare che la questione può lasciarsi in sospeso, per essere ripresa in esame in sedo di coordinamento.

(Così rimane stabilito).

MANNIRONI propone di includere ancora: «usi civici ed espropriazioni por pubblica utilità».

AMBROSINI, Relatore, ritiene non sia opportuno accennare agli usi civici, in quanto la legislazione vigente è intesa ad affrettarne la liquidazione definitiva.

LUSSU si dichiara favorevole all’inclusione nell’articolo in esame di queste due materie, che involgono interessi puramente locali.

PRESIDENTE, circa la liquidazione degli usi civici, afferma che una direttiva legislativa nel senso accennato dal Relatore non potrebbe essere approvata, perché gli usi civici rappresentano un grande vantaggio, particolarmente per le popolazioni povere di talune zone. Non può non considerarsi come antipopolare una legislazione che trasformi gli usi civici in proprietà privata, laddove si dovrebbe invece tendere a ricostituirli.

TOSATO osserva che la materia dell’espropriazione per pubblica utilità è molto delicata, perché connessa con i principî costituzionali sulla proprietà privata. Personalmente ritiene che per essa si richieda una legislazione uniforme da parte dello Stato, e considererebbe, quindi, ammissibile una competenza della Regione, non in sede legislativa, ma solo agli effetti della dichiarazione di pubblica utilità.

CONTI conviene col Presidente nel disapprovare la legislazione sugli usi civici di cui ha fatto cenno l’onorevole Ambrosini, e vi scorge una riprova della prepotenza, del fascismo, che ha introdotto limitazioni nell’esercizio di detti usi a favore dei proprietari, con danno rilevante delle popolazioni bisognose. Rilevato che la questione è ignorata nelle regioni dell’Italia settentrionale ma sentita, e in parte insoluta, nel Lazio e in molte regioni del meridione, e che è connessa col problema agrario, propone di riunire nell’articolo 4 gli usi civici alla voce «agricoltura», affermando, nel contempo, il diritto delle popolazioni ad essere reintegrate di quanto è stato loro rapinato dal regime fascista.

CALAMANDREI segnala che la prima legge per la liquidazione degli usi civici è prefascista.

AMBROSINI, Relatore, accenna ai poteri dei Commissari ripartitori e precisa che gli appelli avverso le loro decisioni sono devoluti non alle singole Corti di Appello, ma ad una speciale sezione della Corte d’Appello di Roma.

CALAMANDREI, riprendendo il suo dire, osserva che gli usi civici sono un istituto di carattere storico, e precisamente il residuato di alcuni diritti dei cittadini di determinale zone a far legna, raccogliere erbe, ecc. Ad un certo momento taluni usi civici sono stati liquidati nel senso che le terre ne furono liberate e attribuite in piena proprietà. Non si può dire tuttavia che la liquidazione sia avvenuta soltanto a vantaggio dei proprietari, perché talvolta essi hanno finito col perdere la proprietà.

Qualunque sia l’indirizzo politico che ha ispirato la liquidazione degli usi civici, certo è che essa è avvenuta attraverso provvedimenti giurisdizionali, cioè, sentenze passate in giudicato. Si domanda quindi se la legislazione in materia dovrebbe limitarsi agli usi civici ancora esistenti o arrivare fino ad annullare le pronunzie già avvenute; perché, se si pensasse di togliere, con una legge, efficacia ad un giudicato, indubbiamente la competenza ad emanarla non potrebbe essere della Regione, ma unicamente dello Stato.

AMBROSINI, Relatore, ricorda che il problema degli usi civici in Italia, specie nelle provincie meridionali, ha dato luogo a liti lunghe e costosissime per molti Comuni, fin dall’epoca in cui, con l’abolizione della feudalità, venne disposto lo scioglimento dei diritti promiscui, che sullo stesso terreno erano esercitati dal proprietario e dalle popolazioni del Comune nella cui circoscrizione territoriale era sito il terreno in questione. La definizione delle liti si presentava difficile, non solo riguardo al riconoscimento generico del diritti dei comunisti, il cui titolo all’esercizio degli usi civici risaliva a qualche secolo addietro o risultava a volte da una presunzione, ma anche rispetto alla quota parte del terreno da distaccare in loro favore dal complesso del fondo. Ed è per ciò che si ebbe la preoccupazione continua di arrivare alla definizione delle controversie giudiziarie, col semplificare ed abbreviare le relative procedure. La materia dal contendere si avvia, quindi, ad esaurirsi. Resta la questione della destinazione della parte dei fondi distaccata dal complesso originario ed assegnata ai Comuni come compenso proporzionato alla entità degli usi civici che spettavano alla popolazione. Tale parte potrebbe essere lottizzata, o lasciata in uso comune, o venduta. In proposito potrebbe essere utile attribuire la materia alla potestà di legislazione integrativa delle Regioni.

PRESIDENTE osserva che, dal momento che il problema degli usi civici è ancora vivo, e vi saranno ancora per decine di anni giudizi del genere pendenti davanti ai tribunali, se si ammettesse una facoltà legislativa delle Regioni sulla materia, si consentirebbe proprio ai ceti degli espropriatori – poiché essi avrebbero almeno nei primi tempi il predominio nelle Assemblee regionali – di ancor maggiormente consolidare gli atti arbitrari che hanno fin qui compiuto. Ed è per questo che ritiene che si debba lasciare la competenza in materia allo Stato, il quale non ha un diretto interesse ad assicurare ai proprietari i beni che hanno usurpato, e dà la garanzia che le popolazioni più povere siano tutelate nei loro diritti.

Pone ai voti l’inclusione nell’articolo 4 degli «usi civici».

(Non è approvata).

Pone in votazione l’inclusione nello stesso articolo della «espropriazione per causa di pubblica utilità».

(Non è approvata).

NOBILE, premesso che molti dei problemi agitati hanno un carattere squisitamente tecnico e quindi i tecnici hanno da dire la loro parola al riguardo, rileva – allo scopo di mettere in evidenza ancora una volta l’inopportunità delle elencazioni fatte negli articoli in discussione – che, mentre nell’articolo 4 sono state incluse, contrariamente al suo parere, le tranvie e le linee automobilistiche, se ne trovano invece esclusi altri mezzi di trasporto che pure sono caratteristicamente di interesse locale, quali le funivie, le slittovie, le sciovie, ccc.

CONTI, raccogliendo l’osservazione dell’onorevole Nobile, propone di includere tra le materie dell’articolo 4 anche le funivie, sciovie e slittovie.

PRESIDENTE prospetta l’opportunità di trovare una formula riassuntiva, come ad esempio: «mezzi di comunicazione di interesse locale», ovvero «servizi pubblici a trazione meccanica», ed osserva che a questo potrà provvedersi in sede di coordinamento.

(Così rimane stabilito).

PERASSI, avendo rilevato da una raccolta di leggi l’esistenza di un provvedimento, 24 aprile 1941, per la disciplina delle biblioteche dei Comuni capoluoghi di Provincia, propone di lasciare la competenza legislativa in questa materia alle Regioni, aggiungendo all’articolo 4 la voce: «biblioteche di enti locali».

LUSSU si associa.

MORTATI consiglia una formula più generica, come, ad esempio: «attività culturali».

PRESIDENTE trova l’espressione troppo vasta e pone ai voti la proposta dell’onorevole Perassi: «biblioteche di enti locali».

(È approvata).

MORTATI ricorda che, nel suo schema dell’articolo 4 seguiva, all’elencazione delle materie, un comma così concepito:

«La legge direttiva potrà fissare un congruo termine per l’emanazione delle norme di svolgimento affidate alle Regioni. In caso di mancata osservanza del termine potrà essere provveduto con legge dello Stato».

Con questa formula – che gli è stata suggerita da un’osservazione dell’onorevole Calamandrei – intendeva prevedere forse l’unica ipotesi di quello che solo impropriamente si potrebbe chiamare conflitto negativo. Un vero conflitto di questo genere non è configurabile fra organi legislativi primari, pei quali non sussiste un obbligo di agire. Invece può presentarsi opportuno prevedere il caso di inerzia della Regione in una materia, per la quale siano state emesse dallo Stato delle direttive. Evidentemente, se lo Stato emana delle norme primarie, lo fa in quanto ha interesse a che una data materia sia disciplinata ed è logico che, mancando l’attività legislativa regionale, lo Stato stesso se ne impossessi.

Avverte comunque che per il momento non intende insistere sulla sua proposta.

CALAMANDREI aggiunge che non è da escludere la possibilità di un conflitto negativo di legislazione, parallelo al conflitto negativo di giurisdizione previsto nel nostro diritto. Può darsi, ad esempio, che l’organo legislativo regionale approvi un voto sull’opportunità di disciplinare una data materia, ma nello stesso tempo ritenga che la competenza al riguardo sia dello Stato e questo a sua volta ritenga che la competenza invece appartenga alla Regione.

Per prevedere l’ipotesi, per quanto possa essere rara, a verificarsi, ha predisposto una formula che si riferisce in modo specifico all’articolo 12. Pertanto ritiene che la questione potrebbe essere rinviata nella sede.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE apre la discussione sulle materie da includere nell’articolo 4-bis, ricordando che in una precedente riunione si è prospettala l’opportunità di modificare il primo comma, già approvato, nel modo seguente: «Spetta alla Regione il potere di integrazione e regolamentare nelle seguenti materie: … (segue l’elencazione), e in quelle altre che potranno essere stabilite dalla legge, in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato».

AMBROSINI, Relatore, si dichiara favorevole al mantenimento di una potestà legislativa di integrazione, che ritiene debba costituire la parte fondamentale della funzione legislativa della Regione. Non crede però che le due potestà – di integrazione e regolamentare – possano essere assimilate, così come avverrebbe nella formula proposta.

Ricorda quanto ebbe a rilevare altra volta circa il sistema combinato dell’articolo 3 con il capoverso dell’articolo 8 e con l’articolo 12, e fa presente che nel capoverso dell’articolo 8, laddove si afferma che «non potranno essere istituiti dazi di importazione, di esportazione o di transito tra una Regione e l’altra, né essere presi provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale», può ritenersi configurata una norma di integrazione. Riafferma l’esigenza di riguardare la potestà legislativa di integrazione come istituto giuridico a sé stante.

Per quanto si riferisce al potere regolamentare, ricorda che nell’originario progetto egli aveva trattato la materia nel capoverso dell’articolo 11, ma che gli altri membri del Comitato considerarono superflua la disposizione.

MORTATI chiarisce che l’articolo 4-bis si riferisce al potere regolamentare nei confronti di leggi dello Stato e non ad un potere regolamentare autonomo, onde la necessità di un’esplicita disciplina, in sede costituzionale, quando lo si voglia conferire in una sfera diversa da quella per cui è affidato alla Regione il potere di emettere norme primarie.

AMBROSINI, Relatore, ripete che non sarebbe necessario parlare della potestà regolamentare, perché questa è compresa, come il meno nel più, nella potestà legislativa di integrazione.

PERASSI concorda con l’onorevole Ambrosini e sottolinea l’importanza di questo articolo nel sistema allo studio. La Regione esplicherà in concreto la sua particolare attività legislativa attraverso la legislazione di integrazione. È evidente che la potestà regolamentare, in quanto è connessa a quella di integrazione, in un certo senso è assorbita. Viceversa non è da escludersi l’altra ipotesi, e cioè, che lo Stato emani una legge e si limiti ad attribuire alle Regioni la competenza ad emanare il relativo regolamento.

Per quanto riguarda la potestà di integrazione, rileva che essa può presentarsi sotto diversi aspetti. Ad esempio, può anche darsi che lo Stato emani una legge nella quale disponga che certe norme in essa contenute valgono, «salve diverse disposizioni delle Regioni»; in altri termini, lo Stato può emanare delle nonne giuridiche, valevoli fino a quando le Regioni non abbiano esercitato la loro potestà di integrazione.

Soprattutto trova importante l’aggiunta: «e in quelle altre che potranno essere stabilite dalla legge, in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato», coi cui l’elencazione rimane aperta.

MORTATI non condivide l’opinione, sostenuta da taluni, che si possa fare a meno di una espressa disciplina del potere regolamentare. Poiché tale potere spetta a chi ha la competenza di emanare la legge, il conferirlo ad un altro organo costituisce una deroga al principio generale; onde, nel silenzio della Costituzione, sarebbe preclusa alla Regione la facoltà di emanare delle norme regolamentari riguardanti una legge dello Stato.

Circa la distinzione fra norme di integrazione e norme regolamentari, rileva che essa può essere intesa in senso puramente quantitativo, dipendendo dall’ampiezza dello spazio lasciato in bianco dalla normazione statale la entità del potere della Regione. Ma, come tale, la distinzione non presenta alcun rilievo. Invece una differenza qualitativa sorge quando la legge dello Stato consente alla Regione un ampliamento della sfera dalla sua normale competenza. In questo caso però, più che di potere di integrazione, si dovrebbe parlare di potere delegato. Ritiene che, anziché attardarsi nella questione terminologica, sia opportuno stabilire se alla Regione si vuole concedere il potere di oltrepassare il limite regolamentare, affidandole una competenza per cui possa, ad esempio, sancire pene che non siano contemplate nelle leggi dello Stato. Su ciò desidera richiamare l’attenzione della Sottocommissione perché, ove nella potestà integrativa si volesse far rientrare anche questa competenza di deroga al principio della statalità delle leggi in materia finanziaria o penale, bisognerebbe dirlo espressamente nella Costituzione.

TOSATO è d’accordo con l’onorevole Mortati nel ritenere che, se si vuole riconoscere alla Regione il potere di emanare regolamenti in materia disciplinata da leggi dello Stato, bisogna che tale potere sia consacrato nella Costituzione.

Per quanto riguarda la potestà di integrazione – a parte le riserve che ha avuto occasione di fare in una seduta precedente, nel senso che non vede ben chiara la distinzione fra potestà di integrazione e potestà di regolamentazione – rileva che dall’emendamento non risulta se si tratti di un potere regolamentare o di un potere legislativo.

PEPASSI chiarisce che trattasi di un potere legislativo.

TOSATO in questo caso non approva la formulazione, perché può ammettere che lo Stato attribuisca di volta in volta alla Regione una facoltà regolamentare più ampia di quella comune, ma troverebbe eccessivo concedere un potere di integrazione senza determinazione di materia o con una indicazione generica.

Comunque, se questo potere d’integrazione deve essere inteso come un potere legislativo, osserva che non può essere contemplato nella stessa disposizione e posto sullo stesso piano con un potere regolamentare. Se, invece – come ritiene più opportuno – si volesse accennare ad un potere di integrazione come ad un potere regolamentare più ampio di quello comune, bisognerebbe specificarlo in modo evidente.

BOZZI premette che, vedendo abbinata nell’articolo 4-bis la potestà di integrazione a quella di regolamentazione, aveva creduto che con la prima si intendesse un potere regolamentare più vasto. Dai chiarimenti dell’onorevole Mortati ha invece appreso che per norme integrative devono intendersi delle leggi vere e proprie – che possono derogare ai principî comuni a tutte le norme regolamentari, anche indipendenti – e cioè una specie di regolamenti delegati.

Rileva che, mettendo insieme due tipi di norme che hanno una efficacia diversa, si potrebbe determinare confusione. Per questa ragione ritiene che una potestà legislativa come quella in parola dovrebbe trovare la sua collocazione nell’articolo 4, e che occorra decidere se concepire anche una potestà legislativa di integrazione della Regione, o solo una potestà regolamentare a complemento del sistema già approvato.

AMBROSINI, Relatore, conviene che sia inopportuno riunire le due potestà nello stesso articolo. Quanto al potere legislativo di integrazione, informa che era stato concepito dal Comitato come un vero e proprio potere legislativo. Non approva, per le ragioni dette avanti, che venga ridotto od assimilato al potere regolamentare.

PERASSI crede opportuno chiarire che nell’articolo 4-bis, con la espressione «potere di integrazione», si in tende configurare una potestà legislativa. A marcare più nettamente questo concetto, esprime l’avviso che convenga non parlare contemporaneamente della potestà regolamentare, che potrà trovare la sua sede in altro articolo. Piuttosto ritiene necessario precisare che tale potestà di integrazione deve svolgersi entro i limiti indicali nell’articolo 3.

MORTATI ribadisce quanto ha già osservato, che uno dei punti più importanti da discutere è se il potere regolamentare della Regione debba essere contenuto nei limiti generali del potere regolamentare, e, quindi, non possa derogare alle leggi dello Stato, modificare pene, introdurre tributi, obblighi di servizio militare, ecc. Dal mantenimento, o meno, della potestà legislativa della Regione in questi limiti generali dipende la utilità e la possibilità pratica di distinguere le norme integrative dalle norme regolamentari.

FABBRI esprime l’avviso che la facoltà di integrazione abbia un netto carattere legislativo e quindi non possa essere associata con la facoltà regolamentare. Aggiunge che essa non può considerarsi superflua, bensì essenziale per la Regione e suscettibile di grandi sviluppi, sì che potrà spesso verificarsi l’ipotesi accennata dall’onorevole Perassi, che lo Stato nelle sue leggi usi l’espressione «salva diversa volontà espressa dalle Regioni».

Ma, poiché ritiene sia una palese discordanza il voler creare una facoltà nell’articolo 4, (contenuta nell’ambito di principî generali, ma che è indiscutibilmente di integrazione) e nell’articolo 4-bis un’altra facoltà della stessa natura e differenziata solo per l’estensione, sarebbe dell’opinione di fondere l’articolo 4 col 4-bis fermo rimanendo il principio dell’articolo 3 (legislazione esclusiva).

UBERTI si sorprende che si possa pensare di abolire il potere di integrazione per ridurlo soltanto ad un potere regolamentare. Ricorda che molte materie che si volevano includere nell’articolo 4 sono state rinviate al 4-bis, e potrebbero finire per essere sottratte alla potestà legislativa della Regione.

Insiste quindi per il mantenimento dell’articolo 4-bis nell’ultima forma proposta.

AMBROSINI, Relatore, asserisce che tutti gli inconvenienti segnalati, e le diverse formulazioni dell’articolo 4, sono una conseguenza della interpretazione che è stata data all’articolo 3; interpretazione che non corrisponde alle intenzioni, né del proponente, né del Comitato. Dichiara che nell’intendimento suo e di altri colleghi del Comitato, l’articolo 3 non deve essere inteso come consacrante un sistema di legislazione esclusiva.

PRESIDENTE riepilogando, fa presente che sull’articolo 4-bis sono state avanzate più proposte.

Una è dell’onorevole Fabbri, il quale auspica la fusione degli articoli 4 e 4-bis, ma, poiché l’articolo 4-bis trae la sua ragione d’essere da una esigenza avvertita dalla maggioranza, non crede sia il caso di metterla ai voti.

FABBRI si riserva di presentarla in altra sede.

PRESIDENTE, continuando la sua esposizione, ricorda che una seconda proposta vorrebbe fosse precisato che il potere di integrazione ha un carattere legislativo; dal che conseguirebbe la necessità di redigere un ulteriore articolo, di modo che nell’articolo 4-bis potrebbero figurare le materie per le quali si riconosce alla Regione la facoltà legislativa di integrazione, e in un articolo 4-ter figurerebbero quelle per cui le leggi dello Stato delegassero alle Regioni il potere regolamentare.

LACONI fa notare che, ora che si è giunti alla conclusione della discussione, ci si rende maggiormente conto della inconciliabilità dei due punti di vista: quello dell’onorevole Mortati, secondo cui alla Regione dovrebbero essere attribuite una legislazione esclusiva, una concorrente ed una regolamentare; e l’altro, secondo cui dovrebbe invece consacrarsi nella Costituzione una legislazione primaria della Regione, nell’ambito dei principî fissati dallo Stato, ed una regolamentare. Le due tesi hanno condotto a dei compromessi e ad una diversità nell’interpretazione dell’articolo 3, che fanno periodicamente e inevitabilmente riaffiorare i dissensi. Ora che dalla discussione emerge l’insostenibilità del compromesso, dichiara di non poter dare la sua adesione al sistema in esame e, mentre si riserva di portare la questione in altra sede, si asterrà dal partecipare alla votazione.

MORTATI replica che un articolo non può essere volato affidandosi all’interpretazione di chi l’ha redatto. Le disposizioni di legge s’interpretano obiettivamente, prescindendo dalle opinioni personali di coloro che le hanno formulate e l’interpretazione dell’articolo 3 del progetto, eseguita secondo tale criterio, conduce, contrariamente a quanto ha affermato il Relatore, a ritenere proprio della Regione una potestà legislativa esclusiva.

PRESIDENTE osserva che da tutta la discussione balza chiaro che la maggioranza della Sottocommissione ritiene che non vi sia materia che debba sfuggire ad una certa competenza della Regione, ed è soltanto necessario diversificare il grado di competenza a seconda delle materie. Ciò non toglie che la minoranza che è di contrario avviso, possa ripresentare la questione in sede di Commissione plenaria o di Assemblea Costituente, contrapponendosi alla volontà della maggioranza.

Pone pertanto ai voti la proposta di considerare il potere di integrazione e quello regolamentare come due distinti poteri attribuiti alla Regione.

MORTATI dichiara di votare favorevolmente, in quanto, nell’approvazione dell’articolo 4, si presupponeva l’esistenza di un articolo 4-bis concernente la potestà di integrazione.

(È approvata).

PRESIDENTE! pone ai voti la proposta di meglio qualificare il potere di integrazione, usando l’espressione: «potere legislativo di integrazione».

(È approvata).

Annuncia che, in seguito all’esito della votazione, la prima parte dell’articolo 4-bis risulta così concepita:

«Spetta alla Regione il potere legislativo di integrazione nelle seguenti materie».

Mette quindi in votazione l’inclusione nell’articolo in esame delle materie: «Industria e commercio».

(È approvata).

«Acque pubbliche».

(Non è approvata).

«Miniere».

(È approvata).

«Istruzione elementare».

CAPPI dichiara che voterà in favore, riservandosi però di proporre in altra sede il passaggio dell’istruzione elementare all’articolo 4.

(È approvata).

PRESIDENTE. Mette in votazione le altre voci: «Istruzione media».

(È approvata).

«Disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio».

(È approvata).

«Navigazione interna».

(È approvata).

«Igiene e sanità pubblica».

(È approvata).

Avverte che, esaurita l’elencazione delle materie, resterebbe da votare la formula proposta dall’onorevole Mortati nel suo originario articolo 4-bis: «e in quelle altre che potranno essere stabilite dalla legge in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato».

MORTATI ritira la sua proposta, che riguardava in modo particolare il potere regolamentare.

AMBROSINI, Relatore, insiste perché sia lasciata al legislatore la possibilità di fare questa delega alla Regione, nonostante l’obiezione dell’onorevole Mortati, che la Sottocommissione è stata quanto mai restia ad ammettere qualsiasi delega al potere esecutivo. Ritiene che non bisogna avere verso il legislatore a venire quella diffidenza preconcetta che è affiorata in alcune discussioni, il legislatore futuro sarà sempre l’espressione della volontà popolare. Non si dovrebbe, quindi, precludergli la possibilità, quando ritenga che sopravvenute necessità possano consigliare la delega legislativa alla Regione, di provvedere in questo senso, senza dover ricorrere al complesso meccanismo per la riforma di una norma costituzionale. Ritiene perciò che sia da preferire la formula del Comitato a quella dell’onorevole Mortati, che contiene la limitazione: «in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato».

PERASSI concorda.

NOBILE dichiara di preferire la formula Mortati.

PRESIDENTE pone ai voti l’aggiunta all’articolo 4-bis dell’espressione: «e in tutte le altre materie indicate da leggi speciali».

(È approvata).

PERASSI propone la seguente formulazione dell’articolo 4-ter:

«Le leggi dello Stato possono demandare alle Regioni il potere di emanare norme regolamentari per la loro esecuzione».

PRESIDENTE la pone ai voti.

AMBROSINI, Relatore, dichiara che voterà in favore, per quanto ritenga la norma superflua ed il potere in parola già compreso in quello concesso con l’articolo 4-bis.

(È approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 5 del progetto:

«Compete alla Regione la facoltà di proporre disegni di legge al Parlamento Nazionale.

«Il parere della Regione sarà richiesto dal Governo o dal Parlamento quando si tratti di provvedimenti o disegni di legge che la interessino particolarmente».

FUSCHINI nota che non è ben chiaro il significalo delia parola «provvedimene», la quale evidentemente è riferita al Governo, così come l’espressione «disegni di legge» è riferita al Parlamento.

PRESIDENTE osserva che, considerata la quantità di materie deferite alla potestà legislativa della Regione, è pressoché da escludere che al Governo resti un campo nel quale possa emanare provvedimenti di carattere amministrativo (poiché indubbiamente si allude a questo). Crede pertanto che si potrebbe sopprimere la parola «provvedimenti».

LUSSU è contrario alla soppressione, che lascerebbe al Governo la possibilità di prendere provvedimenti interessanti la Regione – ad esempio, provvedimenti di polizia – senza interpellarla.

FABBRI propone la soppressione del secondo comma, rilevando che, a far sentire il parere della Regione sui disegni di legge che la interessino, provvederanno i membri del Parlamento e particolarmente quelli della seconda Camera, che hanno appunto il mandato di rappresentarla. Quanto ai provvedimenti in materie di esclusiva competenza del Governo, non è pensabile che questo debba, prima di adottarli, richiedere il parere della Regione.

BOZZI si associa ed aggiunge che la formula è tanto più grave in quanto la richiesta di parere sarebbe obbligatoria.

AMBROSINI, Relatore, preferirebbe mantenere la disposizione, attenuandola, nel senso di dire «può essere richiesto».

CONTI si dichiara favorevole alla soppressione.

GRIECO vi è pure favorevole in quanto ritiene che l’obbligo che si sancisce possa disturbare i rapporti tra la Regione e il Governo, il quale, d’altro canto, non mancherà il consultare la Regione anche in assenza di una norma costituzionale di tal genere.

PRESIDENTE pone ai voti il primo comma dell’articolo 5.

(È approvato).

Pone in votazione la soppressione del secondo comma.

(È approvata).

Apre la discussione sull’articolo 6:

«Spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie di propria competenza legislativa ed in quelle altre malarie che sono di competenza dello Stato, e che lo Stato affidi ad essa per l’esecuzione, in conformità ad un principio di largo decentramento che sarà particolarmente le determinato dalla legge».

FABBRI propone di sostituire alle parole «nelle materie di propria competenza legislativa» le altre: «nella sfera della propria competenza legislativa» e di sopprimere l’ultima frase: «in conformità ad un principio di largo decentramento che sarà particolarmente determinato dalla legge».

MORTATI è contrario alla soppressione, ritenendo opportuno affermare solennemente che la costituzione dell’ente Regione ha come suo scopo principale il decentramento. Aggiungerebbe, anzi, un inciso del seguente tenore: «che troverà la sua attuazione all’atto stesso della costituzione della Regione».

Ricorda di aver già proposto, nella prima fase dei lavori, di approntare le misure atte ad ottenere che fin dalla sua prima formazione la Regione possa cominciare ad assorbire compiti attualmente dello Stato.

NOBILE concorda pienamente con l’onorevole Mortati.

FUSCHINI crede utile riconfermare il concetto di decentramento, per quanto possa desumersi da tutto il complesso di norme che costituiscono la riforma dell’ordinamento regionale. Piuttosto all’aggettivo «largo», ne sostituirebbe un altro che meglio specificasse qual genere di decentramento si intenda attuare; e sopprimerebbe l’avverbio «particolarmente» che trova superfluo.

BOZZI osserva che nella disposizione in esame si parla di materie di «propria competenza legislativa»; ma la competenza stessa, secondo il sistema approvato, è di varia natura. Crede pertanto sia da preferire un richiamo agli articoli, per evitare che sia controvertibile il riferimento all’articolo 4-bis (competenza di integrazione).

PERASSI conviene che la dizione è troppo indeterminata ed aggiunge che vi sono anche delle materie comprese nell’articolo 4 per le quali non si può stabilire in modo perentorio che tutta l’attività amministrativa passi alla Regione. Sarà forse bene lasciarne una parte allo Stato.

Circa l’affermazione del principio del decentramento, fa presente che la disposizione dovrà essere integrata da una norma transitoria che preveda, entro un corto termine, una revisione della legislazione dello Stato, per metterla in armonia con la nuova struttura consacrata dalla Costituzione.

TOSATO nota che, a norma dell’articolo 6, spetta alla Regione l’amministrazione anche di quelle materie che sono di competenza dello Stato e che lo Stato affidi ad essa per l’esecuzione. Crede che qui si imponga un chiarimento: se, cioè, resta sempre una amministrazione statale, anche quando lo Stato ne affidi l’esercizio ad organi della Regione (la quale, quindi, eserciterebbe funzioni delegate), ovvero, vi possano essere delle materie sulle quali lo Stato abbia una competenza legislativa senza averne una amministrativa. La precisazione è importante anche agli effetti dello stato giuridico degli impiegati.

AMBROSINI, Relatore, spiega che si tratta di un’amministrazione regionale per delegazione dello Stato. Aggiunge che l’articolo è collegato con i commi 3° o 4° dell’articolo 14, che suonano così:

«Nel capoluogo della Regione il Governo centrale è rappresentato da un Commissario, il quale esercita le funzioni politico-amministrativo dello Stato non delegate alla Regione».

«Per gli atti dell’Amministrazioni regionale, relativi a materie dallo Stato delegato alla Regione, il Commissario ne coordina l’opera in corrispondenza alle direttive generali che il Governo creda opportuno di emanare per tutte le Regioni».

LUSSU è favorevole al mantenimento dell’articolo nel testo redatto dal Comitato, fino alle parole «per l’esecuzione»; per il resto concorda con la proposta di soppressione dell’onorevole Fabbri, perché gli sembra che la sede non sia la più opportuna per una tale affermazione di principio.

PRESIDENTE conviene sull’opportunità di sopprimere l’ultima parte dell’articolo. Il nuovo ordinamento regionale ha la sua ragione essenziale nell’esigenza del decentramento amministrativo, e gli sembrerebbe uno sminuire questo concetto del decentramento il parlarne quasi casualmente nell’articolo 6, anziché farne oggetto di un’affermazione precisa in un punto della Costituzione in cui assuma particolare rilievo. In secondo luogo osserva che, più di qualsiasi espressione del genere, vale l’ordinamento regionale in sé stesso, che è tutta un’affermazione di decentramento in atto.

CONTI concorda ed aggiungo che occorre fare un’articolazione snella, non appesantita da un eccesso di parole.

UBERTI è contrario alla soppressione, a meno che si faccia l’affermazione del principio del decentramento in altro articolo. Teme che l’avere attribuito, su talune materie, la competenza tanto alla Regione che allo Stato, possa generare un aumento della burocrazia, con organi statali e organi regionali.

MORTATI osserva che l’ultima parte dell’articolo, di cui si chiede la soppressione, è connessa con la prima; il decentramento sarà in funzione con l’estensione che si darà alla prima parte, cioè alla sfera di competenza amministrativa della Regione. Concorda, quindi, col Presidente sull’utilità di un’affermazione a sé stante del principio di decentramento, e segnala l’opportunità di determinare la competenza amministrativa regionale mediante un preciso richiamo ad articoli. Si potrà affidare alla Regione in modo esclusivo l’amministrazione delle materie di cui agli articoli 3 e 4 – senza con ciò menomare l’autorità statale – e per le altre materie lasciare allo Stato la facoltà di delegarla o meno.

TOSATO propone la formula: «Spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie previste negli articoli 3 e 4 e in quelle, ecc.».

PERASSI rileva che la competenza amministrativa deve essere comunque limitata all’ambito del territorio regionale, e che non esiste materia per la quale si possa escludere ogni attività amministrativa dello Stato. Tra quelle dell’articolo 4, ad esempio, c’è l’agricoltura e non si può immaginare che non sussista più alcuna attività amministrativa dello Stato per questa materia, laddove oggi esiste un Ministero.

Crede perciò che si debba distinguere tra attività amministrative particolari che, in relazione alla competenza legislativa, passano alla Regione, e attività amministrative che non possono essere tolte intieramente allo Stato, anche se questo in tali materie si limiti ad emanare leggi che esigano una integrazione regionale.

AMBROSINI, Relatore, obietta che una precisazione del genere comporterebbe una nuova elencazione di materie. Meglio fare riferimento agli articoli nei quali le materie stesse sono considerate, stabilendo per quelle di cui all’articolo 3 la competenza amministrativa esclusiva della Regione e per quelle dell’articolo 4 la competenza solo nel caso di delegazione da parte dello Stato.

UBERTI insiste sul concetto che non può ammettersi che vi siano, per la stessa materia, una burocrazia statale ed una locale. Bisognerà che l’amministrazione venga concentrata nelle Regioni. Così, ad esempio, dovrà rimanere un Ministero dell’agricoltura solo per i problemi agricoli generali, ma dovranno essere gli organi locali a provvedere in concreto all’amministrazione.

PRESIDENTE dà notizia di due proposte di emendamento dell’articolo 6. Una, dell’onorevole Fabbri, è così concepita:

«Spetta alla Regione nelle varie materie ogni potere di amministrazione nella sfera della sua propria competenza legislativa, nonché nei limiti delle delegazioni ricevute in proposito dallo Stato».

L’onorevole Tosato invece propone: «Spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie previsto negli articoli 3 e 4, ed in quelle altre che lo Stato deleghi ad essa per l’esecuzione».

Nota che con quest’ultima formula si esclude – salvo delega da parte dello Stato – l’amministrazione regionale delle materie e sulle quali la Regione ha una potestà legislativa di integrazione (art. 4-bis).

LACONI ritiene inammissibile che lo Stato non possa gestire una cava, una grande azienda agricola, avere un demanio o che le biblioteche nazionali di Roma e di Firenze debbano essere amministrate dalle rispettive Regioni.

PRESIDENTE chiarisce che si fa riferimento sempre a cave, biblioteche, ecc., di esclusivo interesse regionale.

AMBROSINI, Relatore, non vede perché ci si debba preoccupare di affidare alla Regione la facoltà di amministrare, quando lo si è concessa una facoltà maggiore: quella di legiferare.

CODACCI PISANELLI rileva che, dal momento che si vuole valorizzare la Regione, sarebbe opportuno non porre limiti alla sua competenza in materia amministrativa, in quanto gli enti autarchici possono, come tali, svolgere un’attività amministrativa, in qualsiasi campo. Propone quindi di mettere in evidenza il carattere di ente autarchico, della Regione, stabilendo che, mentre la potestà legislativa può esplicarsi solo nei settori precisati dalla legge, l’attività amministrativa può esplicarsi in maniera generica.

PRESIDENTE invita l’onorevole Codacci Pisanelli a predisporre un emendamento scritto in questo senso per la prossima seduta.

La seduta termina alle 20.05.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti e Zuccarini.

Assenti: Bordon, Castiglia, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Farini, Finocchiaro Aprile, Leone Giovanni, Mannironi, Patricolo, Porzio, Ravagnan, Targetti e Vanoni.

VENERDÌ 22 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

52.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 22 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Mannironi – Einaudi – Fabbri – Nobile – Perassi – Presidente – Ambrosini, Relatore – Laconi – Mortati – Cappi – Zuccarini– Codacci Pisanelli – La Rocca – Rossi Paolo – Ravagnan – Conti – Piccioni – Lami Starnuti – Bordon – Bulloni – Tosato.

La seduta comincia alle 16.30.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

MANNIRONI ricorda la sua proposta di considerare insieme alle acque pubbliche – la cui inclusione nell’articolo 4 è stata approvata dalla Sottocommissione – anche le acque minerali e termali.

Ricorda che numerosissimi furono i tentativi, dopo il 1870, di unificare le disposizioni, riguardanti il regime delle acque minerali e termali, comprese nelle varie legislazioni dei diversi Stati italiani preesistenti all’unificazione del Regno, ma soltanto nel 1927 fu possibile al Governo regolare anche questa materia nel testo unico delle leggi minerarie. Ritiene che nulla osti oggi ad una nuova separazione della legislazione relativa alle acque minerali e termali da quella delle miniere ed alla sua inclusione nell’elenco delle materie da considerare nell’articolo 4, sia in considerazione della limitata importanza economica, sociale e politica che tali acque possono avere, sia per il fatto che lo Stato avrà sempre la possibilità di dettare al riguardo delle norme generali. Fa presente che, del resto, lo Stato si riserva su tali sorgenti soltanto una funzione di controllo generico circa l’apertura di stabilimenti e di vigilanza ai fini del pubblico interesse e dell’igiene, servizi che possono essere senza pericolo od inconvenienti esercitati dalla Regione, come l’ente che ha maggiore interesse a che queste fonti di ricchezza siano gestite nella forma più idonea per il loro più intenso sviluppo e sfruttamento.

EINAUDI per ragioni di euritmia legislativa riterrebbe più opportuno assimilare le acque minerali e termali alle miniere – in quanto ha scarsa importanza il fatto che le sostanze minerali siano allo stato solido o disciolte nell’acqua – anziché alle acque pubbliche e all’energia elettrica.

FABBRI concorda con l’onorevole Einaudi e ritiene che tanto le miniere quanto le acque minerali e termali debbano essere considerate nell’articolo 4-bis.

MANNIRONI insiste sull’opportunità di considerare le acque minerali e termali separatamente dalle miniere e di includerle nell’articolo 4.

NOBILE ritiene, invece, che questa materia debba essere assimilata alle miniere. È del parere che lo Stato non debba essere escluso dal controllo e anche dalla gestione di queste sorgenti, perché i futuri sviluppi della tecnica potrebbero far sgorgare dal sottosuolo italiano, ad esempio, una sorgente contenente sostanze tali da farle assumere un’importanza nazionale.

PERASSI ritiene che la potestà di rilasciare concessioni per l’esercizio di stabilimenti termali possa essere conferita alla Regione. Osserva d’altra parte che nulla impedirà allo Stato di costituire, per la gestione di una sorgente di particolare importanza, un ente nazionale.

PRESIDENTE è anch’egli del parere che una tale potestà legislativa possa essere attribuita, senza alcuna preoccupazione, alla Regione.

Pone ai voti l’inclusione, fra le materie considerate nell’articolo 4, delle «acque minerali e termali».

(È approvata).

Apre la discussione sulla voce «miniere».

NOBILE propone la cancellazione di questa voce dall’elenco in esame, perché ritiene che le miniere siano di interesse esclusivamente nazionale e quindi lo Stato non debba essere posto, in questo campo, in stato di inferiorità rispetto alla Regione, la quale potrebbe anche impedire lo sfruttamento di talune di queste fonti di ricchezza.

AMBROSINI, Relatore, ricorda che a base di queste norme è il presupposto della salvaguardia degli interessi nazionali; non vede quindi la ragione di escludere dall’elencazione contenuta nell’articolo 4 le miniere.

PRESIDENTE pone in votazione l’inclusione nell’articolo 4 della voce «miniere».

NOBILE domanda che la votazione abbia luogo per appello nominale.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale.

Rispondono Sì: Ambrosini, Bordon, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Mannironi, Perassi, Tosato, Uberti, Zuccarini.

Rispondono No: Bocconi, Bozzi, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini.

Si astiene: Mortati.

(Con 11 voti favorevoli, 11 contrari ed un’astensione non è approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sulla voce «riforme economiche e sociali».

FABBRI si dichiara contrario – data anche la genericità dell’espressione – a concedere alla Regione la competenza legislativa in questa materia.

LACONI osserva che tale voce aveva uno scopo, se posta in rapporto con la formulazione dell’articolo proposto dal Comitato di redazione, mentre ora, sostituita a tale formulazione quella proposta dall’onorevole Mortati, non ha più ragion d’essere.

CAPPI concorda con l’onorevole Fabbri nel ritenere troppo generica l’espressione.

MORTATI è del parere che le materie delle quali la Sottocommissione non approvi l’inclusione nell’articolo 4 possano essere di nuovo prese in considerazione quando si discuterà l’articolo, 4-bis.

AMBROSINI, Relatore, avverte che tali voci, le quali erano state studiate e vagliate singolarmente dal Comitato in rapporto alla dizione dell’articolo 4 del progetto, possono non risultare più idonee alla formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

ZUCCARINI dichiara che in sede di Comitato manifestò il suo parere sfavorevole alla inclusione di questa voce, perché si andrà molto verosimilmente verso un periodo di grandi riforme sociali, le quali non possono non avere portata ed applicazione nazionale. È favorevole al rinvio dell’esame di questo argomento a quando si discuterà l’articolo 4-bis.

MANNIRONI concorda sull’opportunità di rinviare la decisione sulle riforme economiche e sociali al momento in cui si discuterà l’articolo 4-bis.

PRESIDENTE propone che questo argomento sia rinviato a quando si prenderà in esame l’articolo 4-bis.

(Così rimane stabilito).

Pone ora in discussione la voce «ordinamento sindacale».

ZUCCARINI non riesce a pensare l’ordinamento sindacale come materia da essere disciplinata così da parte dello Stato come da parte della Regione. Per pensarlo bisognerebbe presupporre un ritorno al sistema sindacale e corporativo del fascismo. Egli è per il sindacato libero e liberamente organizzato dagli interessati. Del resto, la libertà sindacale è stata contemplata e affermata nelle deliberazioni della prima e della terza Sottocommissione, delle quali si deve tenere conto. Esclude ad ogni modo che questa materia possa essere contemplata in questo come negli altri articoli 4-bis e 4-ter.

FABBRI ritiene che le disposizioni di carattere generale sull’ordinamento sindacale siano di importanza assolutamente nazionale e che non sia il caso di interferire su di esse con provvedimenti emanati da una altra fonte legislativa. Si dichiara perciò contrario alla inclusione, nell’articolo 4, dell’ordinamento sindacale, che, se mai, potrà essere tenuto presente nell’articolo 4-bis.

PRESIDENTE premette che l’esame della struttura del sindacato nell’ambito della vita nazionale non rientra nella competenza della Sottocommissione, la quale ora deciderà soltanto se – una volta risolto il problema del riconoscimento giuridico dei sindacati, in relazione alla validità dei contratti collettivi di lavoro – sia opportuno o meno considerare compito esclusivo dello Stato quello di legiferare sui sindacati stessi. Esclude che la potestà legislativa su questa materia possa essere deferita alla Regione, anche in forma di integrazione, perché il problema del rapporto di lavoro non può trovare la sua soluzione nell’ambito regionale. Aggiunge che la registrazione – forma con la quale la terza Sottocommissione ha previsto il riconoscimento giuridico – ha carattere nazionale, così come ha carattere nazionale la Confederazione generale del lavoro.

ZUCCARINI chiarisce che il sindacato libero non esclude la possibilità dei contratti collettivi a carattere nazionale, ed anche il riconoscimento da parte dello Stato di certi diritti e di certe garanzie che dovrebbero aver vigore in tutta la Nazione. La misura ed i criteri di applicazione non possono però non tener conto delle diversità di economia e di situazione che si riscontrano nelle varie Regioni.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Zuccarini che forse a lui sfugge un elemento: mentre il rapporto di lavoro è eguale per tutti i lavoratori, diversa ne è la regolamentazione; sì che i lavoratori più progrediti sostengono le aspirazioni di quelli più arretrati, e quindi in tanto si può ottenere, per esempio, nella Campania un determinato livello di salari, in quanto nella Lombardia se ne ottiene un altro.

ZUCCARINI dice che è verissimo che ogni conquista nel campo del lavoro ha le sue benefiche ripercussioni nelle più diverse e distanti Regioni. Ma, mentre vi sono realizzazioni sociali che la legge fa benissimo a consacrare e a rendere obbligatorie, come il massimo delle ore di lavoro settimanale, le norme a tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, l’assistenza sociale, ecc., ciò che è di puro carattere sindacale, come le retribuzioni, le forme d’impiego ecc. rientra nel quadro dell’adattamento locale. Questo per tutte le attività e in special modo per ciò che si riferisce all’agricoltura, le cui situazioni sono diversissime spesso nell’ambito della stessa Regione.

CODACCI PISANELLI prospetta la opportunità di includere l’ordinamento sindacale in quest’articolo, perché – tenuto presente che nel comune si ha la riunione, in un unico ente, di tutti coloro che abitano nella stessa zona, mentre nel sindacato si ha la riunione in un unico ente di tutti quelli che esercitano lo stesso mestiere – se si è applicato il principio del decentramento per quanto riguarda i Comuni e la Regione, sarebbe necessario, per coerenza, riconoscere anche al sindacato la possibilità di autogovernarsi.

MORTATI pensa che proprio per le ragioni esposte dall’onorevole Codacci Pisanelli si possa giungere alla conclusione opposta. Se, cioè, si ammette l’autonomia per i Comuni, non vi è nessuna ragione per escluderla nei riguardi delle associazioni professionali, alle quali deve essere affidato la decisione su tutti quegli adattamenti locali di cui parlava l’onorevole Zuccarini. Quindi alla Regione non dovrebbe rimanere nessuna ragione di intervento in materia.

EINAUDI osserva che si sta parlando dell’argomento, pur nell’incertezza di quello che è stato deliberato dalle altre Sottocommissioni. Ma poiché si deve, in questa sede, decidere intorno alla competenza legislativa dello Stato o della Regione, dichiara di essere d’accordo, ma solo fino a un certo punto, con quello che ha detto il Presidente.

Richiama l’evoluzione storica dei sindacati, dal secolo passato ad oggi, dai sindacati locali di arti e mestieri, ai sindacati prima regionali e poi nazionali, evoluzione che ha permesso alla classe lavoratrice di giungere all’affermazione di quella che si chiama la regola comune, in base alla quale tutti coloro che prestano un determinato servizio debbono essere remunerati su una certa base, che rappresenta il minimo dal quale si deve partire. Dal contrasto fra il sindacato operaio – da cui è partita l’iniziativa – ed il sindacato industriale è risultato un maggiore perfezionamento dei sindacati stessi, che ha portato alla formazione di due grandi Confederazioni, quella del lavoro e quella dell’industria, tra le quali si svolgono le trattative per stabilire la regola comune. Tutto ciò ha lo scopo di spingere in alto, e non mai in basso, sia le industrie che gli operai e le industrie arretrate, che non riescono a sostenere i salari imposti dalla regola comune, sono fatalmente destinate a scomparire.

Fa presente però un grave pericolo per l’interesse collettivo: quello che le due forze monopolistiche, le quali hanno raggiunto un grado di padronanza completa rispetto ai lavoratori e ai datori di lavoro, si accordino fra loro allo scopo di massimizzare i redditi dell’una e dell’altra parte; fatto, questo, che sarebbe contrario all’interesse collettivo, perché la massimizzazione si ottiene non aumentando la produzione, ma tenendola al di sotto del normale, ciò che porta come conseguenza la disoccupazione. Ora si sta appunto entrando in questa fase, sebbene il pericolo ancora non abbia assunto forma molto imponente, ma è necessario fin da ora contrapporre altre forze, che cercano di contrastare gli eccessi dei due monopolizzatori.

Non esclude la possibilità che, attraverso la legislazione di integrazione da esaminare all’articolo 4-bis, senza ostacolare il movimento grandioso verso l’unità sindacale, si possa impedire la lesione dell’interesse della collettività; in altre parole, ritiene che gli eccessi delle organizzazioni sindacali debbano trovare qualche correttivo, e questo può essere la legislazione modificatrice affidata alle singole Regioni.

Il pericolo che conduce il mondo moderno alla ossificazione, alla decadenza economica e sociale, può essere controbilanciato da forze spontanee che possono sorgere qua e là, e il cui sviluppo una legislazione nazionale uniforme non potrebbe favorire.

LACONI ha ascoltato con molto interesse l’esposizione dell’onorevole Einaudi, ma gli sembra che essa non risponda alla questione in esame, perché il pericolo da lui prospettato si può concepire soltanto in termini astratti.

EINAUDI afferma che il pericolo è viceversa così attuale, che si sta ora verificando in Inghilterra.

LACONI spiega che egli parlava di termini astratti, perché astratta è la generalizzazione. L’onorevole Einaudi, infatti, identifica il pericolo di cui ha parlato non in particolari aggruppamenti, ma nella classe operaia in genere.

EINAUDI replica per far presente che dal 1906 al 1914 il pericolo in Italia si è verificato, quando si sono trovate in combutta le organizzazioni operaie e quelle padronali.

PRESIDENTE spiega che ciò si è verificato, perché nell’interno dei sindacati operai si sono create delle differenziazioni aristocratiche.

LACONI fa presente che un pericolo del genere di quello segnalato dall’onorevole Einaudi potrà svilupparsi in campo internazionale, ma non nell’interno del nostro Paese, essendo completamente al di fuori della reale situazione storica dell’Italia in questo momento; e comunque ritiene che a queste difficoltà non porterebbe rimedio alcuno una legislazione sindacale diversa da Regione a Regione. D’altra parte, pensa che vi sarebbe certamente una reazione da parte delle organizzazioni dei lavoratori se – attraverso una regolamentazione regionale dei problemi sindacali – si tentasse, oggi che il Paese si avvia ad una disciplina democratica, di costringere il movimento operaio entro delle strettoie e di limitare il progresso storico per cui esso va diventando un fenomeno generale nazionale.

FABBRI fa rilevare che si sta confondendo il problema giuridico dell’ordinamento sindacale, del quale ci si deve occupare, con quello della politica sindacale: il contrasto di opinioni tra l’onorevole Einaudi e l’onorevole Laconi ha attinenza al secondo problema e non ha nulla a che vedere con l’ordinamento sindacale.

LA ROCCA non vede come si possa distaccare l’ordinamento giuridico dalla politica sindacale, perché l’ordinamento giuridico non è altro che il linguaggio della legge su determinati rapporti economici e sociali.

Non crede poi, limitando l’esame al campo nazionale, che possa verificarsi l’eventualità, accennata dall’onorevole Einaudi, della conciliazione dei due termini antitetici, e cioè che la classe lavoratrice si metta d’accordo con la classe padronale ai danni della collettività. D’altra parte pensa che, se si attribuisse alla Regione potestà di legiferare in materia sindacale, si verrebbe a minare alla base quella che è la prospettiva comune di tutti i democratici, perché non è ammissibile che, mentre in una Regione si fa un determinato trattamento ad una categoria di lavoratori, in un’altra Regione se ne faccia un altro. Ritiene all’opposto che, se v’è un gruppo di lavoratori che, interpretando gli interessi di tutti gli altri, riesce a giungere ad un determinato livello, gli altri debbono avvantaggiarsi dei risultati di questa lotta e non rimanere indietro.

ROSSI PAOLO ritiene che le considerazioni dell’onorevole Einaudi portino a conclusioni opposte a quelle da lui tratte; e cioè che, quanto più vi sono regolamentazioni locali, tanto più è facile che si crei il pericolo di monopolio ai danni della collettività, donde la conseguenza che bisogna evitare tale regolamentazione locale.

PERASSI, riallacciandosi alle osservazioni dell’onorevole Fabbri, precisa che il problema da risolvere è il seguente: se le norme giuridiche relative all’ordinamento sindacale siano o meno da comprendersi tra quelle che si possono regolare con leggi regionali o se in questa materia si debba lasciare soltanto allo Stato il compito di legiferare. Personalmente ritiene che la potestà di emanare norme che regolino l’azione sindacale, lo sciopero, la serrata, i conflitti di lavoro, debba essere riservata allo Stato, in quanto in esse è previsto, ad esempio, l’intervento degli organi giudiziari, onde questa materia non può far parte dell’articolo 4; se mai, si potrà vedere se sia possibile includerla nell’articolo 4-bis.

RAVAGNAN, poiché la materia in discussione è di competenza della terza Sottocommissione, propone di sopprimere dall’articolo 4 le due voci dell’ordinamento sindacale e dei rapporti di lavoro, per evitare contrasti con le decisioni della terza Sottocommissione. Comunque, questi argomenti potranno, se mai, essere nuovamente considerati in occasione dell’esame dell’articolo 4-bis.

CONTI concorda con l’onorevole Ravagnan sull’opportunità che queste due voci vengano soppresse nell’articolo 4, in quanto ritiene che lo Stato debba entrare il meno possibile nel merito di tali materie. Rivendica però l’autonomia della Sottocommissione per quanto riguarda gli argomenti in discussione: gli eventuali contrasti potranno essere risolti in sede di Commissione plenaria.

PRESIDENTE pone il problema nei seguenti termini: quale dovrà essere l’atteggiamento della Regione, se si avrà una legislazione nazionale di carattere sindacale? Rileva, quindi, a proposito dell’affermazione dell’onorevole Ravagnan, che nella terza Sottocommissione si è discusso di un riconoscimento giuridico dei sindacati, onde, se il principio verrà accettato anche dall’Assemblea costituente, è evidente che si avrà una legislazione nazionale in materia.

Fa presente che l’inserimento nell’articolo 4 di una disposizione concernente l’ordinamento sindacale può essere uno strumento atto a spezzare l’unità del movimento sindacale su scala nazionale, strumento di cui si potranno servire coloro ai quali può interessare la polverizzazione delle organizzazioni sindacali. Per tali motivi, e convinto com’è della necessità di una sempre più larga saldatura del movimento operaio, si dichiara contrario all’inclusione dell’ordinamento sindacale fra le materie elencate nell’articolo 4.

Comunque, pone ai voti questa proposta.

LACONI chiede che la votazione si faccia per appello nominale.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale.

CODACCI PISANELLI voterà a favore del mantenimento nell’articolo 4 della voce relativa all’ordinamento sindacale, perché ritiene che i pericoli prospettati siano insussistenti, tenuto presente anche che la potestà legislativa in questo campo non potrà essere spiegata in contrasto con i principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato c con gli interessi nazionali.

FABBRI dichiara che voterà contro per i motivi già accennati.

ZUCCARINI voterà sia contro l’inclusione di tale materia nell’articolo 4, che per un suo trasferimento nell’articolo 4-bis.

MANNIRONI dichiara di aderire alla proposta dell’onorevole Ravagnan di trasferire tale materia nell’articolo 4-bis.

AMBROSINI, Relatore, dichiara di astenersi dalla votazione, in considerazione del nuovo significato assunto dall’articolo 4.

Risponde Sì: Codacci Pisanelli.

Rispondono No: Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Conti, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Zuccarini.

Si astengono: Ambrosini, Finocchiaro Aprile.

(Con 1 voto favorevole, 21 contrari e 2 astensioni non è approvata).

PRESIDENTE pone in discussione la voce «rapporti di lavoro».

PICCIONI propone che dell’argomento si tratti a proposito dell’articolo 4-bis.

PRESIDENTE concorda.

(Così rimane stabilito).

Pone in discussione la voce «disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio».

EINAUDI si dichiara contrario all’inclusione di questa materia nell’articolo 4. Ricorda di avere già manifestato altra volta la sua opinione in proposito, rilevando che la legislazione esistente in materia merita di essere conservata, pur migliorandola progressivamente. La legge vigente in materia di credito, del 1936, la quale è il risultato di un’antica esperienza e di lunghe evoluzioni che hanno portato tecnicamente a quella conclusione – salvo alcune modifiche necessarie – può essere infatti accettata anche per l’avvenire. Poiché la politica del credito non può essere fatta se non secondo determinati criteri generali, ritiene che non sia possibile stabilire una legislazione di carattere regionale su tale materia: così, la politica del tasso dello sconto, quella delle restrizioni e delle agevolazioni in materia creditizia debbono essere la logica conseguenza di direttive centrali determinate dalla situazione economica generale del Paese. Non sarebbe pensabile la coesistenza di diversi tassi di sconto nelle varie Regioni.

Fa presente la sola critica mossa a questa politica unitaria, e cioè che alcune Regioni si sarebbero in passato – e continuerebbero ad esserlo oggi – locupletate a danno dei depositi di altre Regioni; cioè che i depositi delle Regioni più povere sarebbero investiti nelle Regioni più ricche. Dà a questo proposito notizia alla Sottocommissione del risultato di alcune ricerche compiute dagli Uffici della Banca d’Italia sull’impiego dei depositi nelle varie Regioni. Premesso che i dati raccolti vanno dal 1938 al 1945 e che la percentuale degli impieghi ai depositi in tutto lo Stato alla fine del 1945 era del 41 per cento (e cioè su 100 lire di depositi ne erano impiegate solo 41 in sconti, anticipazioni, riporti, cioè in tutte le operazioni di carattere commerciale); che le operazioni di carattere commerciale non fanno capo alle sedi centrali degli istituti di credito, ma vengono decise ed eseguite dalle singole sedi locali (alle sedi centrali affluiscono solo le operazioni di carattere statale: acquisti di buoni del tesoro, depositi presso il tesoro e presso la Banca d’Italia); dà lettura delle percentuali degli impieghi, dalle quali si rileva come non vi sia alcuna Regione italiana nella quale i depositi locali siano utilizzati localmente per intero, ad eccezione della Lucania; e come in genere si riscontri una maggiore utilizzazione locale nelle regioni meridionali nei confronti delle settentrionali, le quali forniscono materia più abbondante ai depositi non utilizzali localmente, che, come tutti sanno, sono trasferiti al centro, cioè allo Stato.

PERASSI domanda se in questi dati sono compresi tutti i depositi, o soltanto i depositi presso gli istituti nazionali.

EINAUDI risponde che sono compresi tutti i depositi, incluse le banche locali. Si tratta di 411 milioni. La sola eccezione è data dalle Casse postali di risparmio, i cui fondi affluiscono alla Cassa depositi e prestiti.

MORTATI domanda all’onorevole Einaudi di chiarire le ragioni del fenomeno da lui denunciato nei riguardi della Lucania, la quale è forse la Regione più povera d’Italia.

EINAUDI fa presente che la Lucania ha pochi depositi di risparmio locale e quindi ha bisogno di ricevere, per soddisfare alle sue esigenze di credito, somme provenienti da altre Regioni; il che dimostra che non è necessaria una coattiva distribuzione regionale del credito. La distribuzione avviene spontaneamente, a seconda delle esigenze dell’industria.

Fa presente un altro pericolo che può derivare dal fatto di voler disciplinare tale materia con una legislazione di carattere locale, e cioè che la legislazione locale possa, ad un certo momento, essere dannosa agli interessi nazionali. Cita, ad esempio, quanto si verifica negli Stati Uniti – dove malgrado la tendenza a rendere federale la legislazione su questa materia, esistono ancora larghi residui di legislazione statale – in cui una disposizione statale vigente in numerosi Stati – come ad esempio, quelli di New York, Massachusetts, Chicago, New Jersey, Pennsylvania, che sono i principali centri bancari – vieta l’emissione di titoli da parte di enti internazionali, impedendo così alla Banca per la ricostruzione internazionale – finché tale divieto non sarà tolto dalle rispettive legislazioni – l’emissione di titoli, che sul mercato americano costituisce la fonte principale da cui si possono ricavare i mezzi per fare prestiti. Poiché l’Italia dovrà chiedere prestiti alla Banca della ricostruzione, è bene prendere nota dei limiti che la legislazione regionale può porre ai movimenti di capitale fra Stato e Stato e cercare noi di non porre per conto nostro impedimenti consimili.

Conclude dichiarando di non avere tuttavia difficoltà a trasferire questa materia all’articolo 4-bis.

FABBRI dichiara di essere contrario all’inclusione della disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio nell’articolo 4, per le considerazioni svolte dall’onorevole Einaudi e per quelle precedentemente fatte dall’onorevole Vanoni.

PRESIDENTE, a sostegno della tesi favorevole alla esclusione di tale materia dall’articolo 4, fa presente che, come condizione essenziale per lo sviluppo dell’economia basata sull’iniziativa di carattere privato è la massima mobilità del credito e del denaro, così per lo sviluppo dell’economia sottoposta a norme di carattere nazionale è necessario che lo Stato possa disporre delle possibilità finanziarie di tutto il Paese e quindi, essenzialmente, del credito e del risparmio.

Quanto all’assicurazione, rileva che, se vi fosse stata una legislazione di carattere regionale, non sarebbe stato possibile nel 1912 attuare la nazionalizzazione delle assicurazioni, che nel quadro della politica finanziaria e sociale d’Italia rappresenta ancora oggi un progresso così notevole: sarebbe stata sufficiente l’opposizione da parte di una Regione per ostacolare l’attuazione del progetto.

EINAUDI attira l’attenzione della Sottocommissione anche sulla riassicurazione, che oggi non è possibile fare con la semplice organizzazione di un singolo Paese, in quanto essa ha luogo fra uno Stato e l’altro.

PRESIDENTE pone ai voti l’inclusione nell’articolo 4 della disciplina del credito, del risparmio e dell’assicurazione.

(Non è approvata).

Apre ora la discussione sulla voce: «istruzione elementare».

Ricorda che su questo argomento è stata presentata dall’onorevole Mannironi la proposta di considerare nell’articolo 4 anche l’istruzione media e superiore.

NOBILE ritiene che lo Stato abbia il dovere di dare le direttive generali e i mezzi per l’istruzione elementare, pur riconoscendo che ciò espone all’inconveniente di una certa uniformità nell’insegnamento: ma rileva che questo inconveniente – che potrebbe anche non essere tale – è infinitamente minore dell’altro di attribuire alle Regioni la potestà legislativa su questa materia, per cui alcune farebbero dei progressi ed altre dei regressi. Il problema dell’analfabetismo in molte Regioni del Mezzogiorno e nelle Isole è tuttora assai grave. Esso è un problema nazionale. Non si può lasciare all’arbitrio di una singola Regione se e come affrontarlo. Vi sono contadini nel Mezzogiorno che si trovano nella impossibilità di mandare a scuola i loro bambini. È anche da notare che una scuola elementare moderna richiede mezzi finanziari notevoli, che è dovere dello Stato provvedere per assicurare a tutti i fanciulli l’educazione necessaria e la possibilità di sviluppare lo loro capacità.

Conclude esprimendo l’avviso che si debba cancellare questa voce dall’articolo 4 e considerarla invece nell’articolo 4-bis.

PERASSI, dichiarandosi contrario alla inclusione dell’istruzione elementare nell’articolo 4, ricorda l’opinione di uno dei più strenui federalisti italiani, Alberto Mario, il quale sosteneva la necessità di affidare allo Stato la potestà legislativa su tale materia.

EINAUDI è favorevole all’inclusione nell’articolo 4 dell’istruzione elementare non solo, ma anche di quella media e superiore, poiché non vede quali pericoli potrebbero derivare dal togliere l’ingerenza in questa materia allo Stato, che finora non ha fatto altro che male.

AMBROSINI, Relatore, è anche egli favorevole ad includere l’istruzione nell’articolo in esame, perché si tratta di materia che i regionalisti hanno sempre ritenuta di competenza della Regione.

CAPPI è favorevole all’inclusione della istruzione elementare e media, sia perché vede in tale inclusione una garanzia di libertà di fronte ai pericoli di uno strapotere e di un monopolio da parte dello Stato nell’istruzione, e cioè nella formazione spirituale e politica del popolo, sia perché ritiene che lo spirito di iniziativa e l’amor proprio delle Regioni possano favorire l’incremento dell’insegnamento, tanto elementare che medio.

LACONI osserva all’onorevole Einaudi che, se non vi fosse stata in Italia una scuola statale, ci si troverebbe in condizioni ancor meno felici di quelle in cui si è oggi.

Fa poi presente all’onorevole Cappi che le intromissioni da parte dello Stato, verificatesi nel passato, non sono una ragione sufficiente per giustificarne oggi l’esclusione, sia perché ora si sta creando uno Stato diverso da quello passato, sia perché può darsi il caso di dover deplorare in futuro l’operato delle Regioni, così come oggi si deplora quello che ha fatto lo Stato.

Dopo aver ricordato che il disposto dell’articolo 4 non pone alcun limite alle Regioni, ma solo allo Stato, il quale non può emanare, nei riguardi delle considerate materie, che principî direttivi, fa presente che, se si includesse questa voce nell’articolo 4, si andrebbe incontro a vere assurdità, e conclude affermando la necessità di escludere qualsiasi facoltà legislativa da parte della Regione sia nel campo dell’istruzione elementare, che in quello dell’istruzione media e universitaria.

CONTI dichiara che i repubblicani sono favorevoli all’attribuzione allo Stato della facoltà legislativa circa l’istruzione elementare, per ragioni di diverso ordine: la prima, di carattere morale e nazionale, per cui – seguendo il pensiero di Mazzini – si ritiene opportuno dare ai fanciulli una educazione uniforme dalle Alpi al Lilibeo; la seconda, di carattere quasi materiale, perché, ritenendo gli italiani poco portati alle opere educative, si riscontra la necessità che lo Stato provveda direttamente, specie là dove le Regioni sono inerti; la terza, d’ordine politico, che vede nella scuola statale uno degli anelli di congiunzione tra le varie Regioni organizzate autonomamente.

Quanto all’istruzione superiore, concorda con l’onorevole Einaudi sull’opportunità di lasciare libere le Università, perché solo nella libertà gli atenei potranno riacquistare lo sviluppo e il prestigio che hanno avuto nei secoli scorsi.

EINAUDI, considerando particolarmente l’istruzione elementare, pur riconoscendo di notevole importanza le osservazioni dell’onorevole Conti, dichiara di non ritenere l’istruzione elementare uno dei maggiori coefficienti per l’unificazione del Paese, e di credere che l’articolo 4 rispecchi bene le esigenze dello Stato, lasciando a questo la possibilità di fissare i principî direttivi in materia.

Fa presente che il passaggio dei maestri dai Comuni allo Stato è stato dannoso, perché ha finito per trasformarli in impiegati, preoccupati di gradi, di categorie e di sedi, per far tramontare la figura tradizionale del maestro, radicato sul luogo per decine e decine di anni, vero apostolo dell’educazione del popolo.

Riconosce l’opportunità che lo Stato fissi dei principî generali in base ai quali l’istruzione elementare deve essere impartita, ma è contrario a che questa dipenda interamente dallo Stato ed è perciò favorevole all’inclusione di questa materia nell’articolo 4.

FABBRI è anch’egli del parere che l’istruzione elementare obbligatoria sia inconfondibilmente una funzione specifica dei Comuni, che essi devono esplicare nell’ambito dei principî generali fissati, per esigenze di uniformità, dallo Stato.

Si dichiara quindi favorevole all’inclusione dell’istruzione elementare fra quelle elencate nell’articolo 4.

MANNIRONI all’onorevole Perassi, che ha citato l’opinione del federalista Alberto Mario, contraria al passaggio dell’istruzione elementare ai Comuni, ricorda quella di Marco Minghetti, che nel 1860, nel suo progetto concernente le autonomie regionali, prevedeva il passaggio alla Regione dell’istruzione elementare.

Ritiene poi erroneo il presupposto da cui parte l’onorevole Conti che le Regioni possano fare peggio di quanto non abbia fatto lo Stato, perché l’idea che anima i regionalisti è quella di creare un’amministrazione più vicina alle popolazioni, alla loro anima ed ai loro interessi.

Gli sembra poi incoerente quanto sostiene l’onorevole Conti quando, dopo aver affermato la necessità di affidare allo Stato la scuola elementare, vorrebbe rendere liberi gli studi universitari. Non vede la ragione di tale diversità di trattamento; perché, se si ritiene la Regione in grado di assolvere al compito dell’istruzione per ciò che riguarda le Università, a maggior ragione la si dovrebbe ritenere idonea a regolare l’insegnamento elementare.

LAMI STARNUTI rileva un equivoco in cui sono caduti gli onorevoli Einaudi, Fabbri e Mannironi, ai quali è sfuggito che l’articolo 4 conferisce potestà di legiferare alla Regione, ma non affida alla Regione l’amministrazione di una materia. L’articolo 6 conferisce alla Regione l’amministrazione nelle materie di competenza legislativa dello Stato, che lo Stato affida ad essa per l’esecuzione, in conformità ad un largo principio di decentramento; sicché in tale sede sarebbe possibile affidare alla Regione l’amministrazione delle scuole elementari, nella presunzione che, a sua volta, questa l’affidi ai Comuni.

Ad ogni modo, per le ragioni esposte dagli onorevoli Laconi e Conti, dichiara di essere contrario all’introduzione di questa materia nell’articolo 4.

PRESIDENTE rileva che l’osservazione dell’onorevole Einaudi, il quale ha parlato in senso favorevole all’attribuzione dell’istruzione elementare ai Comuni – a parte il fatto che la situazione dei maestri elementari alle dipendenze dell’amministrazione comunale non è sempre così rosea come l’onorevole Einaudi mostra di ritenere – cade, in quanto, ove si affidasse questa branca dell’educazione alla Regione, non vi sarebbe gran differenza tra il maestro impiegato dello Stato e il maestro impiegato della Regione. Anzi, il ritorno delle scuole ai Comuni – che troverebbe fra i maestri elementari una quasi unanime opposizione – se in qualche zona potrebbe significare dar nuovo impulso alla scuola, in tutte le altre vorrebbe dire il ritorno ad una situazione poco desiderabile.

Così, mentre per l’insegnamento elementare e medio ritiene non sia il caso di attribuire facoltà legislativa alle Regioni, per l’insegnamento superiore può accedere ai criteri esposti dall’onorevole Conti.

BORDON è favorevole alla formulazione del testo del progetto, alla concessione cioè della potestà legislativa concernente la scuola elementare alla Regione; ma è assolutamente contrario all’estensione di tale principio alla scuola media ed a quella superiore.

NOBILE può riconoscere fondate le osservazioni fatte dall’onorevole Einaudi, ma ritiene che agli inconvenienti da lui rilevati si potrà rimediare con una riforma.

Ricorda che oggi si deve tendere ad unire gli italiani, mentre il passaggio dell’istruzione elementare alla Regione ne accentuerebbe la divisione.

PRESIDENTE pone ai voti l’inclusione fra le materie da inserire nell’articolo 4 dell’istruzione elementare.

BULLONI domanda che si proceda alla votazione per appello nominale.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale.

Rispondono Sì: Ambrosini, Bordon, Bulloni, Cappi, Einaudi, Fabbri, Mannironi, Mortati, Piccioni, Tosato, Uberti.

Rispondono No: Bocconi, Bozzi, Conti, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Zuccarini.

(Con 11 voti favorevoli e 12 contrari, non è approvata).

Ricorda che la Sottocommissione deve decidere circa la proposta, fatta dall’onorevole Mannironi, di inserire nell’articolo 4 anche l’istruzione media e superiore.

MORTATI prospetta l’opportunità di distinguere, per quanto riguarda la scuola media, tra la scuola classica umanistica e quella tecnico-professionale.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Mortati.

Pone ai voti l’inclusione nell’articolo 4 dell’istruzione media (non tecnico-professionale).

NOBILE dichiara di astenersi dalla votazione.

(Non è approvata).

PRESIDENTE mette quindi in votazione la proposta di comprendere nell’articolo 4 l’istruzione media tecnico-professionale.

(È approvata).

NOBILE quanto all’istruzione superiore, ritiene che essa debba lasciarsi alla cura dello Stato, non solo perché questo non può rimanere estraneo a tutto ciò che concerne l’alta cultura, ma anche perché – specialmente per ciò che riguarda l’istruzione tecnica – deve adeguarsi ai bisogni economici e sociali del momento.

EINAUDI pensa che, anche introducendo l’istruzione superiore nell’elenco inserito nell’articolo 4, non si escluda la possibilità da parte dello Stato di avere propri istituti universitari; ritiene anzi possibile la coesistenza di Università statali, Università regionali ed Università semplici enti morali che vivano con propri mezzi.

Gli sembra che non esista una ragione nazionale per la quale le Università debbano essere o tutte dello Stato o tutte delle Regioni.

PRESIDENTE fa presente che l’Università fondata dallo Stato in una determinata Regione dovrà essere subordinata alla legislazione della Regione nella quale sorga.

EINAUDI non lo ritiene necessario.

MORTATI richiama l’attenzione sul fatto che ora si tratta del problema di concedere alla Regione la potestà di legiferare sulla istruzione superiore, e non di quella di istituire o meno delle Università.

PERASSI ritiene che sia più opportuno conferire la potestà legislativa su questa materia, anziché alle Regioni, allo Stato, il quale potrà favorire nella più larga misura l’autonomia universitaria; quindi, non sostituzione della legislazione regionale a quella statale, ma integrazione delle leggi statali con regolamenti e statuti universitari. Per tali ragioni si dichiara contrario all’inclusione dell’istruzione universitaria nell’articolo 4.

TOSATO concorda con l’onorevole Perassi, aggiungendo che il problema universitario non va risolto in funzione dell’autonomia regionale, ma in funzione dell’autonomia universitaria.

FABBRI concorda con l’onorevole Perassi.

AMBROSINI, Relatore, prospetta l’opportunità di sospendere l’esame di questo articolo per decidere se non sia il caso di stabilire una disposizione specifica concernente l’istruzione universitaria.

PRESIDENTE ritiene che il problema accennato dall’onorevole Ambrosini – già esaminato dalla Prima Sottocommissione – sarà affrontato in Commissione plenaria. Pensa quindi che la Sottocommissione possa ora decidere circa la questione specifica in esame.

Mette ai voti l’inclusione, tra le materie indicate nell’articolo 4, dell’istruzione universitaria.

(Non è approvata).

Ricorda la proposta fatta in una passata seduta dall’onorevole Bulloni – la quale trova corrispondenza in una formulata dall’onorevole Mannironi – di considerare nell’articolo 4 anche l’assistenza ospitaliera.

Pone ai voti tale proposta.

(È approvata).

Apre ora la discussione sulla voce «organizzazione sanitaria», che l’onorevole Mannironi propone di aggiungere all’elencazione dell’articolo 4.

FABBRI ritiene assurdo pensare ad un ordinamento legislativo regionale in questa materia, che deve invece essere regolata dallo Stato, sia per la considerazione che il ritardo da parte di una Regione nell’adottare determinate provvidenze può causare il diffondersi di un’epidemia, sia perché soltanto sul piano nazionale possono essere concepite quelle prescrizioni obbligatorie (vaccinazioni, iniezioni preventive, ecc.) a cui tutti devono sottomettersi.

NOBILE, alle considerazioni dell’onorevole Fabbri, aggiunge che un provvedimento del genere sarebbe inconcepibile in un Paese come l’Italia, dove la lotta contro la malaria è un problema d’importanza nazionale.

MANNIRONI ritira l’emendamento.

PRESIDENTE ricorda ora la proposta contenuta nella formula dell’onorevole Mortati di aggiungere all’articolo 4 le «strade ordinarie o ferrate, linee di navigazione o automobilistiche in quanto non interessino la difesa nazionale o le esigenze del traffico nazionale».

MANNIRONI ricorda di avere fatto analoga proposta, ma con la formula «trasporti e comunicazioni regionali», che gli sembra più comprensiva.

CONTI propone la seguente formula: «ferrovie secondarie e vicinali, tramvie e linee regionali automobilistiche».

FABBRI è contrario all’inclusione nell’articolo 4 di una norma del genere, perché pensa che, una volta deciso di affidare allo Stato il servizio ferroviario, questi non debba trovare concorrenti nei servizi locali.

NOBILE osserva che sarebbe un errore affidare alle Regioni la potestà legislativa sulle ferrovie, le quali, anche se soltanto secondarie, costituiscono uno dei servizi più delicati ed importanti della Nazione, ed enuncia le difficoltà, di indole tecnica e pratica, relative alla preparazione dei progetti e alla costruzione delle linee; di indole burocratica e legislativa, relative alle norme concernenti l’incolumità dei viaggiatori, ecc., difficoltà che, a suo avviso, non consentono l’attribuzione della legislazione su tale materia alle Regioni.

CONTI fa rilevare che si tratta di stabilire se il Consiglio regionale – indipendentemente dalla parte tecnica che sarà affidata ai competenti – il quale è al corrente delle necessità locali, possa deliberare la costruzione di una ferrovia.

PERASSI è del parere che la materia riguardante le ferrovie non possa essere frazionata e quindi non debba comprendersi nell’articolo 4.

PRESIDENTE ritiene opportuno che la Sottocommissione si pronunci separatamente sulle singole voci contenute nell’emendamento Conti.

Pone ai voti l’inclusione nell’articolo 4 delle ferrovie secondarie.

(Non è approvata).

Mette ai voti l’inclusione delle tramvie.

(È approvata).

Apre la discussione sulla voce: «linee regionali automobilistiche».

EINAUDI rileva che le ferrovie, alle quali fino a poco tempo fa veniva riconosciuto da tutti i trattati di economia e finanza un carattere monopolistico, sono oggi diventate industrie in concorrenza con i servizi automobilistici. Si tratta ora di decidere quale trattamento debba essere fatto alle linee automobilistiche, nel senso cioè di stabilire se esse possano continuare o meno a fare liberamente la concorrenza alle ferrovie. Fa presente la gravità di questo problema che non ha carattere locale, bensì nazionale, e quindi non può essere risolto Regione per Regione, ma in modo generale.

PRESIDENTE ritiene, data la gravità dell’argomento, opportuno rinviarne la discussione alla prossima seduta.

La seduta termina alle 17.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Calamandrei, Leone Giovanni.

Assenti: Castiglia, De Michele, Di Giovanni, Farini, Fuschini, Grieco, Lussu, Patricolo, Porzio, Targetti, Vanoni.

GIOVEDÌ 21 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

51.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 21 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Ambrosini, Relatore – Presidente – Nobile – Mortati – Perassi – Fabbri – Laconi – Tosato – Einaudi – Mannironi – Uberti – Zuccarini – Finocchiaro Aprile – Piccioni – Lussu – Conti – Cappi – Lami Starnuti – Bordon.

La seduta comincia alle 16.25.

 

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

AMBROSINI, Relatore, tiene a dichiarare che per motivo di carattere non personale preventivamente comunicato al Presidente, non poté partecipare alla discussione nel momento in cui furono proposte e votate le modificazioni apportate all’articolo 4 del progetto: se fosse stato presente, avrebbe sostenuto la necessità di approvare l’articolo 4 nel testo proposto dal Comitato di redazione.

PRESIDENTE avverte che la discussione odierna verte sulla elencazione delle materie che dovranno formare oggetto di legislazione concorrente da parte della Regione.

NOBILE propone di modificare la prima parte dell’articolo 4, già approvata, sostituendo all’espressione: «potestà legislativa nelle seguenti materie», una frase del seguente tenore: «potestà legislativa nelle materie che saranno stabilite con apposita legge dalle due Camere elettive». Con ciò non si farebbe più l’elencazione delle materie per le quali è stabilito di affidare alle Regioni la potestà legislativa cosiddetta concorrente. Spiega che la ragione principale che lo ha indotto a presentare questo emendamento sta nel fatto che è assai difficile e, nello stesso tempo, pericoloso procedere, nel corso di una breve discussione, a una simile elencazione perché vi possono essere ragioni di carattere tecnico non evidenti in un esame sommario, le quali impongano una regolamentazione uniforme per una data materia.

MORTATI osserva che la proposta di emendamento dell’onorevole Nobile non può essere accettata se si tiene presente che nell’affidare alle Regioni la potestà legislativa di cui all’articolo 4, si è voluto dare a quelle una posizione costituzionale che possa consentir loro di avere un potere normativo proprio. Pertanto, se mai un rinvio dovesse farsi per la determinazione dei limiti di tale potere normativo, dovrebbe essere fatto alla legge costituzionale, non già ad una legge speciale, che non potrebbe mai dare quella garanzia di intangibilità che si vuole accordare alla sfera di competenza stabilita per le Regioni dall’articolo 4.

NOBILE non si è soffermato, proponendo il suo emendamento, sulle questioni di carattere giuridico accennate dall’onorevole Mortati, ma non le ritiene di tale importanza da rinunciare alla sua proposta, su cui insiste.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Nobile.

(Non è approvato).

PERASSI fa presente che nella formulazione originaria dell’articolo 4, secondo il testo proposto dal Comitato di redazione, si parlava di potestà legislativa di integrazione delle norme generali da parte della Regione. Poiché però l’onorevole Mortati nella precedente riunione osservò che tale dizione non gli sembrava esatta, essa venne sostituita da un’altra, con la quale si affida alla Regione una potestà legislativa nell’ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dovere emanare per garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione. V’è ora da domandarsi se, in virtù di tale espressione, resti o meno attribuita alla Regione la competenza ad emanare norme integrative di quelle adottate con legge. A tale proposito osserva che spesso, alla fine di alcuni provvedimenti legislativi adottati in periodo di legislazione governativa, si trova un articolo in cui si stabilisce che il Governo è autorizzato ad emanare norme integrative o di attuazione, che sono diverse da quelle regolamentari; e nello stesso codice svizzero si hanno alcuni articoli, i quali attribuiscono al diritto cantonale la competenza ad emanare norme integrative persino in materie di diritto civile.

Prima di passare alla discussione dell’elencazione delle materie di cui all’articolo 4, sarebbe bene, a suo avviso, risolvere questo problema.

PRESIDENTE osserva che, se la risposta al quesito dell’onorevole Perassi fosse affermativa, si verrebbero a costituire quattro diverse potestà normative delle Regioni; e richiama sulla necessità che un testo costituzionale sia sempre redatto in maniera semplice e chiara.

FABBRI ritiene che la facoltà di emanare norme di integrazione sia prevista dall’articolo 4. Difatti una potestà legislativa concessa alla Regione nell’ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dover emanare, per garantire con una regolamentazione uniforme gli interessi unitari della Nazione, non può essere che di integrazione di quei principî direttivi, ossia delle norme emanate dallo Stato allo scopo suddetto.

LACONI osserva che, quando fu accolta la proposta fatta dall’onorevole Mortati di modificare la prima parte dell’articolo 4, la Sottocommissione partì dal presupposto di sottrarre alcune materie alla legislazione esclusiva della Regione, prevista nell’articolo 3, per farne oggetto di legislazione concorrente, secondo quanto appunto stabilisce la prima parte modificata dell’articolo 4. Non si discusse quindi sull’esatto significato di «legislazione concorrente». Ora, l’onorevole Fabbri reputa che la facoltà di emanare norme integrative rientri nella potestà legislativa concorrente affidata alla Regione nell’ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dovere emanare per garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione, perché considera i principî direttivi come norme generali dello Stato. Ma una simile questione non è stata ancora affrontata e forse l’interpretazione data dall’onorevole Fabbri all’espressione «principî direttivi» non è completamente esatta.

PRESIDENTE invita l’onorevole Mortati a dare un’interpretazione autentica sull’esatta portata della potestà legislativa attribuita alle regioni con il disposto della prima parte dell’articolo 4.

MORTATI ricorda che si è partiti dal presupposto di non affidare allo Stato il compito legislativo in tutte le materie, per non attribuire alla Regione soltanto un compito esecutivo. Si è perciò stabilito che in talune materie lo Stato possa emanare soltanto norme di orientamento, e la Regione abbia la facoltà di legiferare là dove le norme statali debbano essere adattate alle diverse esigenze delle singole Regioni.

In ogni modo, i principî direttivi sono sempre normativi; sono stabiliti con legge e sono quindi norme caratterizzate dalla genericità della statuizione al pari delle norme costituzionali, le quali pongono dei principî direttivi che vengono poi attuati dalla legge. Ciò gli sembra che non possa dar luogo a dubbi.

Piuttosto è da rilevare che l’esigenza prospettata dall’onorevole Perassi ha bisogno di essere meglio chiarita: occorre cioè precisare se ci si intenda riferire ad una facoltà di emanare norme integrative, garantita con competenza esclusiva o concorrente, oppure semplicemente alla potestà, da parte dello Stato, di delegare volta per volta tali norme di attuazione alle Regioni.

PERASSI dichiara che intendeva riferirsi ad ambedue le ipotesi prospettate dall’onorevole Mortati.

MORTATI osserva, in ogni modo, che la questione potrebbe essere risolta, consentendo al potere legislativo di delegare volta per volta alle Regioni la facoltà di emanare norme anche più ampie di quelle regolamentari. Non sarebbe necessario però includere un altro articolo nel progetto, per disciplinare il caso anzidetto, che potrebbe essere previsto nell’articolo 4-bis così modificato:

«Spetta alla Regione il potere regolamentare o di integrazione anche nelle materie che potranno essere stabilite dalle leggi».

L’unica questione che resterebbe allora da risolvere sarebbe quella di stabilire se occorre porre o meno dei limiti al legislatore ordinario in ordine a tale potere di delega.

TOSATO osserva che la proposta dell’onorevole Perassi, per quanto sia precisa, è praticamente inopportuna perché finirebbe col complicare il sistema previsto in ordine al potere normativo attribuito alle Regioni. Tale sistema infatti è abbastanza semplice: per esso alcune materie sono riservate alla competenza esclusiva delle Regioni; altre alla competenza non esclusiva (e suscettibili quindi di norme integrative o di attuazione); altre infine alla competenza puramente regolamentare. A suo avviso, il caso previsto dall’onorevole Perassi rientra nel disposto della prima parte dell’articolo 4, che stabilisce appunto l’attribuzione alle Regioni di una potestà legislativa non esclusiva. Infatti, quando si dice che in determinate materie il potere legislativo interverrà fissando dei principî direttivi, tali principî evidentemente non potranno essere che di due ordini: di ordine proibitivo, nel senso che lo Stato potrà intervenire stabilendo che su determinate materie le Regioni non potranno emanare alcuna norma; o di ordine positivo, nel qual caso lo Stato fisserà alcuni criteri di carattere generale a cui le Regioni dovranno attenersi nell’esercizio della loro potestà legislativa. In quest’ultimo caso, però, non è detto che i principî direttivi emanati dallo Stato debbano essere limitati a ciò che veramente è essenziale rispetto alla materia che dovrà essere disciplinata dalla legislazione regionale e che quindi essi non consentano un certo svolgimento legislativo, sia pure in linea di principio, di modo che la legislazione della Regione possa assumere un carattere più ampio di integrazione. Resterebbe poi sempre aperta l’ipotesi, prevista nell’articolo 4-bis, della facoltà regolamentare nelle sue varie forme di potestà regolamentare esecutiva, delegata o autonoma, per alcune materie appositamente determinate.

EINAUDI domanda come sia possibile stabilire se il legislatore nazionale, emanando principî direttivi allo scopo di garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione, sia andato oppur no oltre i limiti fissati dalla Costituzione. In altri termini, domanda come possa definirsi il principio direttivo.

MORTATI dichiara che lo si definisce in senso negativo. In ogni modo, la migliore garanzia, per l’ipotesi prevista dall’onorevole Einaudi, consiste nell’esistenza di una seconda Camera su base regionale, cioè di un organo creato proprio per tutelare gli interessi della Regione. Anche in altri Paesi è stata posta la questione relativa alla possibilità di un ricorso contenzioso da parte della Ragione per accertare se le norme direttive vadano oppur no al di là di un puro e semplice orientamento. Ma essa è stata decisa in senso negativo, per il carattere d’accertamento di merito che un’indagine in tal senso implica necessariamente.

FABBRI ritiene che ogni questione potrebbe essere risolta, se la prima parte dell’articolo 4 fosse modificata sostituendo, all’espressione «principî direttivi», la parola «norme» e facendo specifica menzione di una potestà legislativa integrativa.

Nell’articolo 4 è previsto il caso di una potestà legislativa concorrente da parte della Regione: ora, non si può concepire una legislazione concorrente con un’altra a un determinato scopo, se la seconda che concorre a quel determinato scopo non è integrativa della prima. In ogni modo, se le norme emanate dallo Stato saranno di carattere generale, ossia dei veri principî direttivi, la potestà legislativa di integrazione da parte delle Regioni sarà di più vasta portata; ma, se le norme emanate dallo Stato saranno molto specifiche, la facoltà integrativa concessa alle Regioni verrà a ridursi e sarà appena eccedente quella regolamentare.

TOSATO è contrario alla proposta dell’onorevole Fabbri, perché la potestà legislativa prevista nell’articolo 4 non è concorrente in senso tecnico. Tale potestà legislativa si ha quando su una determinata materia può intervenire, ad esempio, prima la Regione e poi, senza limiti, lo Stato e quando la norma emanata dallo Stato esclude qualsiasi altra norma adottata dalla Regione. Con l’articolo 4, invece, ci si propone di lasciare una potestà legislativa integrativa, ma propria, alla Regione: quindi l’intervento dello Stato dev’essere limitato alla determinazione di quei principî direttivi che lascino una certa possibilità di svolgimento alla legislazione locale. Se così non dovesse essere, lo Stato potrebbe intervenire liberamente nel campo della legislazione regionale e allora tanto varrebbe sopprimere l’articolo 4.

MANNIRONI concorda con quanto ha affermato l’onorevole Fabbri, nel senso che con la formula dell’articolo 4 si intenda anche il potere d’integrazione accennato dall’onorevole Perassi. In ogni modo, per evitare ogni dubbio in proposito, sarebbe meglio modificare, non già l’articolo 4, bensì l’articolo 4-bis, stabilendo esplicitamente che spetta alle Regioni il potere di integrazione delle leggi generali dello Stato e quello regolamentare esecutivo.

NOBILE osserva che occorre determinare in modo assai preciso i limiti di intervento da parte dello Stato nella legislazione regionale perché, a seconda che tali limiti siano più o meno ampi, converrà restringere o allargare l’elenco delle materie che possono formare oggetto di legislazione da parte delle Regioni. Così, se lo Stato potesse emanare disposizioni di Legge particolareggiate su questioni di interesse regionale, tanto varrebbe ridurre il numero delle materie o abolire addirittura l’elencazione di esse nell’articolo 4.

LACONI fa presente che nell’articolo 4 i limiti sono posti soltanto a carico dello Stato, mentre nell’articolo 4-bis, cadendo nell’eccesso opposto, l’attività legislativa è affidata interamente allo Stato e si attribuisce alla Regione soltanto un potere regolamentare esecutivo. Pertanto, con la formulazione dell’articolo 4 si concede troppo alla Regione, mentre con quella dell’articolo 4-bis le si concede troppo poco. Ciò considerato, sarebbe opportuno introdurre nel progetto un altro articolo: visto che non è facile addivenire ad un’elencazione di materie che possano formare oggetto separatamente, o del potere regolamentare esecutivo o della potestà di dettare norme integrative, si dovrebbe con un’altra norma prevedere una terza possibilità oltre le due anzidette.

MORTATI crede che sarebbe meglio procedere alla discussione dell’articolo 4-bis, prima di esaminare quali materie debbano essere elencate nell’articolo 4.

UBERTI rileva che l’osservazione fatta dall’onorevole Perassi, per quanto perfettamente logica, rischia di rendere troppo complesso il sistema previsto nel progetto relativamente alla potestà normativa delle Regioni. Non è pertanto favorevole all’adozione di un altro articolo nel senso indicato dall’onorevole Perassi.

NOBILE nota che, secondo la formulazione dell’articolo 4-bis, spetta alla Regione il potere regolamentare anche nelle materie per le quali i precedenti articoli consentono l’attività legislativa. Ora, se dovesse essere approvata l’elencazione delle materie per l’articolo 4 proposta dall’onorevole Mortati, fra le quali è anche quella delle strade ferrate, si arriverebbe a questo assurdo, che lo Stato non potrebbe emanare i regolamenti relativi alla sicurezza dell’esercizio ferroviario.

LACONI propone il seguente emendamento alla prima parte dell’articolo 4-bis:

«La Regione ha potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione per adattare alle condizioni locali le norme generali e direttive emanate con leggi dello Stato nelle seguenti materie e nei casi nei quali la legge ne faccia espressa delega».

MANNIRONI propone all’articolo 4-bis il seguente emendamento:

«Spetta alla Regione il potere di integrazione e regolamentare delle leggi da essa emanate e di quelle dello Stato che ne facciano espressa delega».

Con tale formula non occorrerebbe procedere ad un elencazione di materie nell’articolo 4-bis.

UBERTI propone di sostituire la prima parte dell’articolo 4-bis con la seguente:

«Spetta alla Regione il potere di integrazione e regolamentare anche in materie di competenza legislativa quando la legge dello Stato ne faccia espressa menzione».

MORTATI, per semplificare la dizione dell’articolo 4-bis, suggerisce di sopprimere in esso l’inciso «oltre che nelle materie per cui è consentita l’attività legislativa di cui al precedente articolo».

Accede poi alla proposta dell’onorevole Mannironi che in sostanza consiste nell’aggiunta del potere di integrazione alla formula da lui testé suggerita.

PRESIDENTE fa presente che nei riguardi delle quattro proposte di emendamento all’articolo 4-bis presentate dagli onorevoli Mortati, Laconi, Mannironi e Uberti, sorge il problema se per l’articolo 4-bis debba essere prevista o pur no un’elencazione di materie. Ad esempio, la formula dell’onorevole Laconi prevede la possibilità di un’elencazione, mentre ciò è escluso dalle formule degli onorevoli Mannironi e Uberti. Altra differenza è costituita dal fatto che nella formula dell’onorevole Laconi si parla di norme di integrazione e di attuazione, mentre in quella dell’onorevole Mortati soltanto di potere regolamentare e in quelle degli onorevoli Uberti e Mannironi di potere di integrazione e regolamentare. La differenza fra queste formule consisterebbe soltanto nei due termini «norme di attuazione e potere regolamentare», ma in fondo si tratta della stessa cosa. In ogni modo, poiché gli sembra che la discussione abbia assunto un carattere troppo decisamente dottrinario e astratto, ritiene opportuno sospenderla, per iniziare l’esame delle materie da elencare nell’articolo 4.

La discussione verte sulle seguenti materie: agricoltura, foreste e cave, che nel progetto del Comitato figuravano all’articolo 3, da cui sono rimaste escluse in seguito a decisione della riunione precedente.

NOBILE è contrario all’inclusione delle voci agricoltura, foreste e cave nell’elencazione di cui all’articolo 4. Troverebbe veramente strano che lo Stato non potesse emanare una legge, ad esempio, sulla protezione del patrimonio boschivo o sulla creazione di un Istituto sperimentale di agricoltura.

AMBROSINI, Relatore, è favorevole all’inclusione delle materie in esame nell’elencazione dell’articolo 4. Tiene però a dichiarare che, se fosse stato presente nella riunione precedente, avrebbe votato per la formulazione originaria dell’articolo 4 proposto dal Comitato, che, a suo avviso, era assai più semplice.

LACONI non ritiene opportuno dare alle Regioni una facoltà così ampia e indiscriminata, come è quella prevista nell’articolo 4, soprattutto in materia di agricoltura. In tale campo tutt’al più dovrebbe essere concesso alle Regioni il potere di cui all’articolo 4-bis, ossia quello regolamentare esecutivo.

ZUCCARINI rileva che le varie preoccupazioni manifestatesi nel corso della discussione sulla portata dell’articolo 4 non hanno ragione d’essere, visto che il progetto dell’ordinamento regionale, proposto dal Comitato di redazione, in sostanza non prevede la concessione alle Regioni di un’autonomia molto ampia e non mira a togliere allo Stato le sue prerogative per ciò che si riferisce alle leggi generali. Il potere centrale potrà sempre emanare una legge di carattere nazionale per il rimboschimento o la tutela dell’agricoltura. Pertanto i timori manifestati dall’onorevole Nobile non sono affatto giustificati. Quando si parla di legislazione regionale, ci si intende riferire ai problemi particolari e propri alla regione sulle particolari materie, e nessuna materia come l’agricoltura offre aspetti e problemi diversi da Regione a Regione e persino nell’ambito di una stessa Regione. Si tenga conto di quello che il progetto è veramente e delle limitazioni che esso pone all’autonomia regionale. Se la competenza delle Regioni dovesse essere ancora maggiormente ristretta, non si potrebbe parlare più di autonomia e alle Regioni non rimarrebbero che le funzioni che oggi sono attribuite alle Provincie.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione della voce «agricoltura» nell’elencazione dell’articolo 4.

(È approvata).

Mette in votazione l’inclusione della voce «foreste» nella stessa elencazione.

(È approvata).

EINAUDI ritiene che la materia delle cave non possa essere considerata separatamente da quella delle miniere e ricorda che esse sono strettamente unite nella legislazione vigente. A questa si è giunti dopo un lungo periodo di elaborazione della materia. Sulle prime la legislazione in tale campo era molto differente da Regione a Regione: in alcune Regioni si avevano leggi che si ispiravano alle più vecchie tradizioni medioevali, ossia al principio della libera ricerca del cavatore di marmo. In seguito si ebbe la legge francese del 1810, per la quale soltanto lo Stato poteva accordare la concessione del sottosuolo, pure ammettendosi qualche deroga a questo principio, inteso a rispettare il diritto di superficie. Esisteva anche la legislazione siciliana, che riconosceva l’identità della proprietà della superficie con la proprietà delle cave, ma l’esperienza dimostrò che tale principio era contrario all’interesse dello sfruttamento. Così si giunse ad unificare la legislazione.

Non crede che in questo campo sia più possibile tornare indietro: ne deriverebbe un notevole regresso economico nello sfruttamento delle miniere e delle cave. Non si tratta, in questa materia, soltanto di impartire alcuni principî direttivi; occorrono invece norme assai precise, senza le quali non è possibile conseguire il successo nell’esercizio delle miniere e delle cave. Si tratta infatti di stabilire se le miniere appartengono al proprietario della superficie o allo Stato, se lo Stato le possa esercitare direttamente o per mezzo di concessioni, se tali concessioni debbano essere perpetue o temporanee; e ciascuna di tali questioni deve essere regolata con norme precise di legge, emanate non solo in vista dell’interesse privato, ma anche e soprattutto dell’interesse collettivo. Si tratta, insomma, di una legislazione che dev’essere uniforme per tutte le Regioni. La Regione, in questo campo, può avere soltanto un certo potere di integrazione, onde la materia delle cave e delle miniere dovrebbe essere compresa nell’elencazione dell’articolo 4-bis e non in quella dell’articolo 4.

NOBILE si associa alle considerazioni svolte dall’onorevole Einaudi. La materia in esame riguarda soltanto le cave, ma essa, come giustamente ha osservato l’onorevole Einaudi, non può essere dissociata da quella delle miniere. Ora, è un assurdo pensare che in questo campo possa essere attribuita una potestà legislativa alle Regioni. Cita un esempio: oggi tutti i Paesi vanno in cerca di minerali contenenti uranio. Se tali minerali dovessero essere scoperti in una nostra Regione, lo Stato, secondo il principio fissato dall’articolo in esame, non avrebbe diritto di intervenire, eppure si tratterebbe di una scoperta che potrebbe avere enormi conseguenze da un punto di vista economico, politico e militare per il nostro Paese.

FINOCCHIARO APRILE contesta le affermazioni dell’onorevole Einaudi e tiene a dichiarare che in Sicilia si desidera vivamente ripristinare la vecchia legislazione, per cui la proprietà delle miniere spettava al proprietario della superficie. Afferma che i siciliani non possono essere favorevoli alla legislazione italiana che, per quanto riguarda l’industria zolfifera, ha arrecato notevoli danni alla Sicilia.

EINAUDI fa osservare, per amore di precisione, che il principio informatore originario nella legislazione siciliana non era affatto quello della unione della proprietà della superficie e di quella del sottosuolo. La proprietà del sottosuolo era riservata allo Stato, che ne concedeva l’uso ai privati dietro un determinato pagamento in natura, a tempi stabiliti. Col mutare dell’unità monetaria quest’obbligo dei privati cadde in desuetudine ed essi finirono così col diventare proprietari delle miniere e delle cave che originariamente erano dello Stato.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che la materia delle cave possa essere inclusa nell’elencazione dell’articolo 4, giacché così resta sempre allo Stato il diritto di emanare norme direttive in tale campo per la salvaguardia dell’interesse generale.

PICCIONI è favorevole all’inclusione della materia delle cave nell’elencazione dell’articolo 4, perché ritiene che tale materia debba essere affidata alla competenza delle Regioni, non escluse tra queste la Sicilia, la Sardegna e la Valle d’Aosta.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione della voce «cave» nell’elencazione dell’articolo 4.

(È approvata).

Fa presente che è ora in questione l’inclusione della voce «antichità e belle arti» nell’elencazione dell’articolo 4.

La mette in votazione.

NOBILE dichiara che voterà contro.

(È approvata).

Mette poi in votazione l’inclusione della voce «turismo» nella stessa elencazione.

NOBILE dichiara di votare contro.

(È approvata).

MANNIRONI propone di aggiungere, dopo la voce «turismo», la voce «spettacoli».

PRESIDENTE osserva che questa parola è troppo generica e chiede all’onorevole Mannironi di spiegare in quale senso egli la intenda.

MANNIRONI intende riferirsi alla disciplina delle sale di pubblico spettacolo.

LUSSU è favorevole alla proposta fatta dall’onorevole Mannironi, perché trova opportuno sottrarre la materia dei pubblici spettacoli allo Stato cui è oggi affidata in base a una legge fascista ancora in vigore.

CONTI crede che la questione si potrebbe risolvere includendo i pubblici spettacoli nell’elenco delle materie che possono formare oggetto del potere di integrazione da parte delle Regioni.

CAPPI propone la dizione: «concessione e disciplina delle manifestazioni artistiche».

LAMI STARNUTI suggerisce la seguente espressione: «concessione amministrativa per l’apertura delle sale di pubblico spettacolo».

LUSSU rileva che la formulazione proposta dall’onorevole Lami Starnuti ha un carattere troppo particolareggiato e quindi non può formare oggetto di una norma costituzionale.

PRESIDENTE condivide l’opinione dell’onorevole Lussu e pertanto ritiene che sia meglio prendere in considerazione la dizione generica proposta dall’onorevole Mannironi. Tiene però a dichiarare che con essa ci si può riferire a tutta una serie di iniziative legislative nel campo dei pubblici spettacoli, come, ad esempio, ai controlli di carattere artistico, a leggi di polizia e in materia fiscale, alla disciplina in genere dell’attività teatrale, cinematografica, sportiva e così via. In altri termini, accogliendo la proposta dell’onorevole Mannironi, si corre il rischio di affidare alla Regione la potestà legislativa su un settore molto largo della vita moderna e non sa quanto ciò possa essere opportuno.

NOBILE è contrario alla proposta dell’onorevole Mannironi, perché, se fosse accolta, lo Stato non avrebbe più possibilità di emanare, ad esempio, leggi speciali per indire manifestazioni artistiche di carattere internazionale, che potrebbero essere utili per richiamare nel nostro Paese turisti dalle varie parti del mondo.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione della voce «spettacoli» nell’elencazione delle materie dell’articolo 4.

(Non è approvata).

Avverte che ora è in questione l’inclusione della voce «caccia» nell’elenco delle materie di cui all’articolo 4.

La mette in votazione.

(È approvata).

La presente che si deve ora discutere dell’inclusione del termine «industria».

NOBILE comunica di avere constatato che su 68 leggi da lui esaminate, in materia industriale, soltanto 5 si riferiscono ad esigenze di carattere regionale; tutte le altre contengono norme di interesse nazionale e non già quei principî direttivi di cui fa parola l’articolo in discussione. Vi sono leggi che riguardano gli infortuni sul lavoro, i censimenti industriali, l’Ispettorato del lavoro, l’istituzione di enti a carattere nazionale come l’Ente nazionale serico e l’Ente per la produzione e l’utilizzazione della canapa, le autorizzazioni per nuovi impianti industriali, gli orari di lavoro nelle aziende industriali e così via. Si domanda come sia possibile eliminare la potestà legislativa dello Stato in queste materie: ciò andrebbe a detrimento della produzione nazionale e della ripresa del processo produttivo del Paese. Per tali considerazioni si dichiara contrario all’inclusione della voce «industria» nell’elencazione dell’articolo 4.

ZUCCARINI ritiene, contrariamente a quanto ha affermato l’onorevole Nobile, che soltanto limitando il diritto di intervento dello Stato nel campo dell’industria, potrà essere affrettata la ripresa produttiva ed economica del Paese. Crede che proprio nel campo dell’industria l’intervenzionismo statale si sia spinto di più e sia risultato più particolarmente dannoso, appunto in virtù di alcune di quelle leggi che l’onorevole Nobile ha citato per sostenere il diritto dello Stato ad essere legislatore unico su tale importante materia.

LACONI osserva che, approvando l’inclusione della voce in esame nell’elenco di materie dell’articolo 4, si impedirebbe allo Stato la creazione di enti di carattere nazionale e in genere qualsiasi iniziativa in un ramo di così vitale importanza per il Paese com’è quello industriale. Ciò potrebbe avere dannose ripercussioni sull’attività produttiva e per conseguenza sull’economia del Paese.

PRESIDENTE fa presente che, con l’inclusione della voce «industria» nell’elenco delle materie dell’articolo in esame, si escluderebbe a priori la possibilità di procedere a nazionalizzazioni; tanto è vero che in altra occasione ha sentito parlare l’onorevole Lussu di regionalizzazione e non di nazionalizzazione delle industrie.

LUSSU precisa che quando parlò di regionalizzazione dell’industria si riferì soltanto alla Sardegna, dove effettivamente alcune industrie possono essere regionalizzate. Ciò non significa per altro che egli abbia mai pensato ad una regionalizzazione dell’industria in Italia. Al contrario, ha sempre rivendicato allo Stato il diritto di procedere a socializzazioni e a nazionalizzazioni nel campo industriale.

MORTATI precisa che, attribuendo allo Stato un potere di intervento negli orientamenti generali di politica economica, non si vuole intendere altro che attribuire allo stesso Stato una facoltà legislativa che si estrinsechi in norme direttive e basilari a carattere nazionale. Pertanto l’inclusione della voce «industria» nell’elenco di materie dell’articolo in esame non escluderebbe la possibilità di socializzazioni e nazionalizzazioni.

PRESIDENTE prospetta l’ipotesi della nazionalizzazione di una singola industria.

MORTATI osserva che anche in tale ipotesi occorrerebbe una legge generale in deroga alle norme comuni e potrebbe manifestarsi l’opportunità di lasciare alla Regione in cui l’industria sorge la possibilità di adattare la deroga apportata al diritto comune ad esigenze locali.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione della voce «industria» nell’elenco dell’articolo 4.

NOBILE chiede che la votazione su questo punto si faccia per appello nominale.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale.

LUSSU dichiara di astenersi dalla votazione e che lo stesso farà per le prossime votazioni riguardanti l’inclusione delle altre materie nell’elenco dell’articolo in esame, perché ritiene che con le varie ripartizioni proposte le idee si siano piuttosto confuse anziché chiarite.

Rispondono sì: Ambrosini, Bulloni, Cappi, De Michele, Mannironi, Mortati, Piccioni, Tosato, Uberti e Zuccarini.

Rispondono no: Bocconi, Bordon, Bozzi, Conti, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo e Terracini.

Si astiene: Lussu.

(Con 10 voli favorevoli, 15 contrari e un astensione, non è approvata).

Fa presente che è ora in discussione l’inclusione della voce «commercio» nell’elencazione dell’articolo 4.

NOBILE ritiene che anche la materia del commercio debba essere riservata alla competenza dello Stato, specie ove si consideri l’assoluta necessità di una disciplina uniforme per il commercio con l’estero.

EINAUDI osserva che la materia in discussione non può formare oggetto di una legislazione regionale, perché ciò influirebbe dannosamente sui rapporti tra una Regione e l’altra e quindi su quella libertà di movimento senza cui non è possibile svolgere l’attività commerciale. Alla Regione può competere soltanto la facoltà di regolare alcuni rapporti di carattere strettamente locale, limitatamente cioè all’esercizio delle botteghe e delle aziende; ma una potestà legislativa in questa materia darebbe luogo inevitabilmente in ogni sorta di vincoli e di intralci.

UBERTI fa osservare che con l’attribuzione della potestà legislativa alle Regioni nel campo commerciale verrebbero a cessare gli interventi dello Stato nell’ambito delle esigenze locali relativamente alla materia in discussione. Basti ricordare che oggi, accanto alle Camere di commercio, esistono gli uffici provinciali del commercio, i quali sono alle dipendenze del potere centrale. Si tratta di una situazione assurda, che potrà cessare soltanto quando sia attribuita alle Regioni, in materia commerciale, la potestà legislativa di cui all’articolo 4.

LACONI rileva che, se vi è una materia che non deve essere attribuita alla competenza delle Regioni, è proprio quella commerciale. Si potrebbe obiettare che con l’articolo 8 del progetto proposto dal Comitato di redazione si provvede a vietare alle Regioni l’adozione di provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale. Ma è facile rispondere che in materia commerciale si può, con svariati modi, raggiungere determinati intenti per via indiretta.

EINAUDI riconosce esatte le considerazioni dell’onorevole Uberti in merito alla coesistenza degli Uffici provinciali di commercio e delle Camere di commercio; ma osserva che ciò non toglie che alle Regioni debba essere attribuita una competenza assai limitata in materia commerciale.

ZUCCARINI dichiara che, con l’inclusione della voce «commercio» nell’elencazione delle materie di cui all’articolo in esame, sarebbe veramente riconosciuta l’importanza che agli effetti locali hanno le Camere di commercio e sarebbero, così, eliminati quegli uffici provinciali di commercio, a cui ha fatto cenno l’onorevole Uberti. In ogni modo tiene a ricordare che con l’articolo 4 si riconosce allo Stato il diritto di emanare norme direttive generali su tutte le materie che si troveranno elencate in quell’articolo. Quindi se la voce «commercio» verrà ad essere inclusa in tale elencazione delle materie, alla Regione sarà attribuito soltanto un compito di legislazione complementare in materia commerciale, a meno che, escludendo tale voce, non si pensi di sopprimere addirittura quelle Camere di commercio che persino nella vecchia legislazione pre-fascista e poi, con altro nome, in quella fascista si riconobbero, più che utili, necessarie.

MANNIRONI concorda con le osservazioni degli onorevoli Zuccarini e Uberti e fa presente che le stesse ragioni che hanno consigliato di affidare alla competenza regionale la materia dell’agricoltura, valgono anche per una potestà legislativa in materia di commercio. Le preoccupazioni di coloro i quali temono che questa possa ostacolare la libera circolazione delle merci non hanno, a suo avviso, ragione di essere. Osserva in proposito che le Camere di commercio oggi tendono a raggrupparsi non solo nell’ambito nazionale, ma anche in quello internazionale. In ogni modo, non si tratta di attribuire alle Regioni un potere di regolamentazione generale del commercio – compito, questo, che è riservato allo Stato – ma di riconoscere alle Regioni stesse una competenza più specifica, di carattere locale, che può andare dal rilascio delle licenze sino all’anagrafe dei commercianti, questioni che non possono né devono interessare gli organi centrali dello Stato.

LACONI osserva che, ove sia attribuita alle Regioni una potestà legislativa nel campo del commercio, non è detto che esse la esercitino nel senso desiderato di favorire il commercio, indipendentemente dagli interessi locali. Ciò potrebbe anche non accadere: ed è inutile fare affidamento su una determinata linea di condotta da parte delle Regioni, quale vagheggiano gli onorevoli Zuccarini e Mannironi. Importante è decidere se si debba o pur no dare al commercio una regolamentazione regionale.

PRESIDENTE ricorda che nel corso della discussione generale più volte è stata fatta presente la necessità di attribuire ai Consigli regionali una potestà legislativa in molte delle materie che attualmente rientrano nella competenza del potere legislativo, per rendere più spedito il funzionamento del Parlamento, che oggi è chiamato a legiferare anche su questioni di minima importanza. Se si considera però l’elenco delle varie materie che finora la Sottocommissione ha deciso di affidare alla competenza delle Regioni, non si riesce facilmente ad immaginare in qual modo i Consigli regionali potranno assolvere il compito che sarà loro demandato, tanto numerose sono le materie su cui saranno chiamati ad esercitare la loro potestà legislativa.

Ciò considerato, crede opportuno non allargare oltre una certa misura questi compiti.

Osserva poi che taluni colleghi sono favorevoli ad includere la voce «commercio» in questa elencazione, forse perché si lasciano suggestionare dal cattivo funzionamento del potere centrale nel momento presente. In verità lo Stato italiano è oggi ancora disorganizzato, ma ciò col tempo dovrà cessare e allora molti degli esempi addotti a dimostrare una presunta incapacità del potere centrale a provvedere alle esigenze locali e, per contro, un’eguale presunta capacità della Regione a risolvere tutti i problemi, perderanno la loro importanza. È bene che ciò non sia dimenticato, se veramente si ha in animo di dare una effettiva efficienza alle Regioni, nel quadro di una vita nazionale ricondotta alla normalità.

Circa le Camere di commercio osserva che esse, pur avendo un largo ambito di iniziative prima del fascismo, non potevano però andare al di là di certi compiti, in quanto erano sottoposte alla legge dello Stato. Oggi, invece, le Camere di commercio vogliono arrogarsi compiti sempre più vasti: si è richiesta per loro addirittura la potestà legislativa nel campo commerciale. Che una domanda simile sia stata avanzata si può facilmente comprendere perché, quando si va oltre un certo limite relativamente al principio della unitarietà delle norme attinenti a determinati aspetti della vita nazionale, facilmente si può arrivare alle conseguenze più estreme.

Certe facoltà non possono essere attribuite alle Regioni. Una prova di ciò, ad esempio, si ha nell’adozione dei calmieri, a cui spesso sono costretti a far ricorso anche gli Stati più liberisti. Difatti, quando circa un mese fa, di fronte a una congiuntura particolarmente acuta della situazione alimentare, si cercò di adottare il sistema dei calmieri in una data Regione, per giustificarne l’abolizione si sostenne, e non a torto, che i calmieri debbono essere applicati non in una singola Regione, ma in tutto il territorio nazionale, perché altrimenti perdono di efficacia. Lo stesso si può dire per il tesseramento, che in Italia con ogni probabilità dovrà ancora durare per un certo periodo, relativamente almeno ad alcuni prodotti. Se si vuole vedere in pratica ciò che in potenza si avrebbe, attribuendo alle Regioni una potestà legislativa nel campo commerciale, basta considerare il grave inconveniente che oggi si verifica nell’ambito di una stessa Regione con i divieti di scambio delle merci, impartiti dai Prefetti, fra provincia e provincia. Se non si vuole tornare a un tipo di economia ormai superata, di carattere quasi medievale, occorre assolutamente evitare che alle Regioni sia concessa una potestà legislativa in materia di commercio.

Pone in votazione l’inclusione della voce «commercio» nell’elenco dell’articolo 4.

NOBILE chiede che la votazione si faccia per appello nominale.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale.

CONTI voterà a favore dell’inclusione della voce «commercio» nell’elenco di materie dell’articolo 4, perché ritiene che la disciplina dell’attività commerciale, a differenza di quella per l’industria, possa essere attribuita alle Regioni.

AMBROSINI, Relatore, voterà per l’attribuzione alle Regioni della potestà legislativa in materia di commercio, perché in virtù dell’articolo 4 lo Stato ha sempre il diritto di emanare norme direttive nelle varie materie affidate alla competenza regionale.

PERASSI si asterrà dal votare, perché ritiene che con la parola «commercio» sia attribuita alle Regioni una competenza troppo ampia.

Rispondono Sì: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Conti, De Michele, Mannironi, Mortati, Piccioni, Tosato, Uberti e Zuccarini.

Rispondono No: Bocconi, Bordon, Bozzi, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo e Terracini.

Si astengono: Lussu e Perassi.

(Con 11 voti favorevoli, 13 contrari e 2 astensioni, non è approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sull’inclusione della voce «acque pubbliche ed energia elettrica» nell’elencazione di materie dell’articolo 4.

NOBILE trova che, attribuendo alle Regioni la potestà legislativa in materia di energia elettrica, si andrebbe contro la realtà dei fatti, visto che l’energia elettrica prodotta in un posto può essere trasportata anche nelle località più lontane. Non si può ritenere, quindi, che la produzione dell’energia elettrica sia di interesse regionale.

CONTI riconosce che non vi possono essere dubbi sul carattere nazionale che ha la produzione dell’energia elettrica. Ciò però non si può dire per le acque pubbliche che possono essere adibite a vari usi, ad esempio a scopo di irrigazione. Bisognerebbe quindi distinguere le grandi forze idrauliche di interesse nazionale, da quelle di portata più modesta che possono essere di interesse locale.

UBERTI è favorevole all’inclusione della voce in esame nell’elenco di materie dell’articolo 4. A suo avviso lo Stato non può essere l’unico regolatore della materia in discussione, perché spesso può accadere che esso, con il pretesto dell’utilità generale, ma in realtà sotto la spinta di inconfessati interessi particolaristici, si faccia promotore di iniziative e di opere che poi arrecano gravissimi danni all’economia locale. A riprova di questa sua affermazione può citare l’esempio della diversione del fiume Adige nel lago di Garda, voluta sotto il fascismo contro la decisa opposizione di un’intera provincia.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Uberti che gli inconvenienti da lui lamentati potrebbero verificarsi assai più facilmente ove fosse attribuito alle Regioni, che sono organismi più deboli dello Stato, una potestà legislativa sulla materia in esame. A certe forti pressioni di interessi particolaristici, infatti, può meglio reagire lo Stato che non la Regione.

In ogni modo, se è vero che la costruzione di una grande opera, quale ad esempio quella di un bacino idrico, può a volte causare turbamenti agli immediati interessi di alcune persone e persino sconvolgere la natura dei luoghi in cui dev’essere eseguita, non per questo essa non dovrà essere attuata, se possa riuscire utile a tutto il Paese.

LUSSU ha già dichiarato che si asterrà dal votare sull’inclusione delle varie materie nell’elenco dell’articolo 4. In ogni modo, se dovesse votare, voterebbe contro la proposta di attribuire alle Regioni la potestà legislativa sulla materia in discussione. Il problema idraulico in Italia, infatti, non può essere risolto che da un punto di vista unitario. A tale regola si può forse fare un’eccezione soltanto per la Sicilia e la Sardegna.

LAMI STARNUTI fa osservare all’onorevole Lussu che anche per la Sicilia e la Sardegna si impone una soluzione unitaria del problema dell’energia elettrica, almeno per quel che riguarda il costo di essa. Difatti è stato proprio per l’alto prezzo di tale energia che non si è giunti a una efficiente industrializzazione del Mezzogiorno. A suo avviso, sarebbe meglio includere la voce «acque pubbliche», non già nell’elencazione delle materie dell’articolo 4, bensì in quella delle materie dell’articolo 4-bis, secondo quanto ha proposto l’onorevole Mortati.

BORDON ritiene che la questione in esame sia molto complessa e che pertanto sarebbe meglio trattare separatamente il problema delle acque pubbliche e quello dell’energia elettrica.

Per le acque pubbliche è da tener presento che esse, ad esempio, nello statuto speciale della Sicilia sono dichiarate di proprietà della Regione. Da ciò che ha udito nel corso della discussione però, gli sembra che alcuni intendano per acque pubbliche anche certe che, a suo avviso, sono acque private. Bisognerebbe quindi evitare ogni dubbio in proposito. Lo stesso si può dire per la voce «energia elettrica», con la quale non si sa se, ad esempio, si possa fare riferimento a una centrale elettrica nazionalizzata.

Ciò considerato, reputa opportuno astenersi dal votare.

MANNIRONI dichiara di essere favorevole all’inclusione della voce «acque pubbliche ed energia elettrica» nell’elenco di materie dell’articolo 4 perché, se una Regione ha la fortuna di avere acque in abbondanza e quindi la possibilità di costruirsi una centrale idroelettrica, ritiene giusto che essa abbia il vantaggio di poter distribuire la energia elettrica ai propri abitanti a un prezzo minore di quello a cui tale energia è distribuita agli abitanti di altre Regioni.

D’altra parte, poiché occorre che i bilanci regionali non siano troppo scarsamente dotati, se veramente si vuole assicurare una certa autonomia alle Regioni, sarebbe opportuno che una percentuale dell’imposta sull’energia elettrica andasse a vantaggio della Regione.

Per queste considerazioni è favorevole ad attribuire alle Regioni la potestà legislativa in materia di acque pubbliche e di energia elettrica.

EINAUDI fa osservare all’onorevole Conti che gli sviluppi della moderna tecnica richiedono un coordinamento fra lo sfruttamento delle acque a scopo d’irrigazione e quello ai fini della produzione dell’energia elettrica.

Circa poi l’attribuzione alle Regioni della potestà legislativa di cui all’articolo 4 in materia di energia elettrica, deve dire che soltanto a sentir enunciare una tale proposta gli sembra di vivere in un mondo completamente irreale. Le esigenze e la tecnica del mondo moderno impongono e facilitano il collegamento di tutti gli impianti di energia elettrica, onde uno sfruttamento soltanto locale delle acque sarebbe un assurdo.

Qualcuno ha anche accennato ai prezzi dell’energia elettrica. Ora, la loro riduzione non si potrà conseguire se non con il migliore sfruttamento delle acque, ossia con uno sfruttamento che sia possibilmente il più razionale e il più coordinato in tutta l’estensione del territorio nazionale. Chi si preoccupa, e giustamente, che siano salvaguardati gli interessi regionali non dovrebbe dimenticare che nel progetto proposto dal Comitato esiste l’articolo 5, per cui si assicura alla Regione la facoltà di proporre disegni di legge al Parlamento nazionale. Ciò potrà permettere alle Regioni di tutelare i propri interessi.

In ogni modo, soltanto con una disciplina unitaria della materia in esame potranno essere garantiti non solo gli interessi generali, ma anche quelli di carattere locale.

Per queste considerazioni si oppone all’inclusione della voce «acque pubbliche ed energia elettrica» nell’elenco di materie dell’articolo 4.

PRESIDENTE ritiene che sarebbe assai pericoloso attribuire alle Regioni una potestà legislativa sulla materia in esame. A tale proposito basta ricordare che in Umbria, da parte di alcuni interessati, s’insiste fortemente perché tale Regione non solo sia autonoma, ma possa anche unirsi ad altri territori circonvicini sì da formare un tutto unico come centro di produzione idroelettrica, con il fine dichiarato di dominare economicamente l’Italia centrale.

AMBROSINI, Relatore, propone di aggiungere alla voce «acque pubbliche ed energia elettrica», le seguenti parole: «in quanto il loro regolamento non incida sull’interesse dello Stato o di altre regioni», secondo quella che era, relativamente alla materia suddetta, la formulazione originaria della disposizione in esame.

CONTI si associa alla proposta dell’onorevole Ambrosini.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione della voce «acque pubbliche ed energia elettrica» nell’articolo 4, seguita dalle parole: «in quanto il loro regolamento non incida sull’interesse dello Stato o di altre Regioni».

PICCIONI domanda che la votazione avvenga per appello nominale.

FABBRI voterà contro, perché gli allacciamenti delle linee dell’energia elettrica sono oggi di un’urgenza di carattere nazionale.

NOBILE voterà contro per le stesse ragioni esposte dall’onorevole Fabbri.

Rispondono Sì: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Mannironi, Mortati, Perassi, Piccioni, Tosato, Uberti, Zuccarini.

Rispondono No: Bocconi, Bozzi, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini.

Si astengono: Bordon, Finocchiaro Aprile, Lussu.

(Con 13 voti favorevoli, 11 contrari e 3 astensioni, è approvata).

La seduta termina alle 20.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Targetti.

Assenti: Di Giovanni, Farini, Fuschini, Grieco, Leone Giovanni, Patricolo, Porzio, Vanoni.

MERCOLEDÌ 20 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

seconda sottocommissione

50.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 20 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Rossi Paolo – Tosato – Grieco – Nobile – Bulloni – Cappi – Codacci Pisanelli – Uberti – Conti – Fabbri – Calamandrei – Ravagnan – Lussu – Mortati – Zuccarini – Perassi – Laconi – La Rocca – Piccioni – Lami Starnuti – Mannironi – Fuschini – Bozzi – Bordon – Ambrosini, Relatore.

La seduta comincia alle 16.20.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE ricorda che debbono ora prendersi in esame le materie elencate nell’articolo 3, che formano oggetto della potestà legislativa della Regione e apre la discussione sul primo gruppo: «Agricoltura, foreste, cave e torbiere».

ROSSI PAOLO osserva che il termine «agricoltura» è troppo lato e la sua inclusione nell’articolo 3 escluderebbe che si potesse addivenire ad una riforma agraria interessante l’intiero Paese. Ne propone quindi il passaggio all’articolo 4.

TOSATO si associa.

GRIECO concorda. Non crede ammissibile, in questo campo, una potestà legislativa esclusiva della Regione, la quale contrasterebbe con l’esigenza di una legislazione agricola unitaria e permetterebbe, ad esempio, che nell’Emilia si attuasse la collettivizzazione agricola e nelle altre Regioni no. Può concepirsi al riguardo, da parte della Regione, solo una potestà normativa integrativa.

NOBILE aggiunge che l’agricoltura, e tutto ciò che ad essa si riferisce, è cosa di interesse nazionale. Il Paese non può rimanere indifferente al modo come si coltiva in una data Regione, perché, ad esempio, il trascurare la produzione del grano potrebbe significare costringere ad aumentare l’importazione dall’estero.

Lo stesso può dirsi delle foreste, che nel loro complesso costituiscono un prezioso patrimonio di tutta la Nazione, e non di una singola Regione. Così pure delle cave, che potrebbero domani fornire un metallo prezioso all’economia del Paese, e delle torbiere, il cui sfruttamento non può essere lasciato all’arbitrio delle Regioni in una Nazione così povera di combustibili come l’Italia.

BULLONI ritiene invece che se v’è materia che debba esser considerata con riguardo alle necessità locali, questa è proprio l’agricoltura. È convinto che le Regioni sapranno sfruttare nel miglior modo le loro risorse agricole nell’interesse proprio e della collettività. Né vede perché l’attribuzione della materia alla Regione potrebbe essere di ostacolo alla riforma agraria: l’Ente Regione vi provvederebbe in funzione di quel l’interesse generale che è affidato alla sua tutela.

CAPPI trova eccessivi i timori di alcuni colleghi. A suo avviso non è a pensare che la Regione possa rivoluzionare il campo agrario, né che possa giungere – come accennava l’onorevole Grieco – alla collettivizzazione o all’espropriazione della proprietà fondiaria, se nella Costituzione sia sancito il principio del diritto di proprietà privata. Né una Regione potrebbe decretare la distruzione delle sue foreste, perché ciò urterebbe contro l’interesse nazionale, e troverebbe quindi ostacolo nella legislazione statale.

CODACCI PISANELLI premette che nell’articolo 3 si è usata l’espressione «potestà legislativa» con un significato diverso da quello normale: per dare maggior rilievo al principio autonomistico, si sono adoperate parole diverse da quelle che si sarebbero dovute ai fini di una maggiore precisione scientifica.

Crede che non si debba preoccuparsi troppo del potere che si concede alle Regioni, in quanto non potrà andare contro i principî fondamentali della nostra legislazione, né contro gli interessi nazionali. Il giorno in cui una Regione abusasse della sua potestà, potrebbe il Parlamento, con una sua legge rivolta a garantire gli interessi nazionali, porle dei limiti e togliere, eventualmente, valore alle norme emanate in contrasto con gli interessi generali. Un’altra garanzia, poi, è costituita dalla Corte per il controllo sulla costituzionalità delle leggi. Crede quindi che non possa disconoscersi l’opportunità di tener conto delle esigenze locali, attribuendo alle Regioni, in via normale, l’emanazione di norme giuridiche in materia di agricoltura, foreste, cave e torbiere.

UBERTI mette in evidenza che tutto il complesso di opere per il potenziamento dell’agricoltura (lotta contro le malattie delle piante, ed in genere tutti i compiti affidati attualmente agli Ispettorati provinciali dell’agricoltura) assume aspetti notevolmente vari da regione a regione, come profonde sono anche le diversità dei contratti agrari: per cui l’insistere su una legislazione unica determinerebbe il rischio di renderne impossibile l’applicazione in tutto il territorio della Repubblica. Cita in proposito l’esempio della legge sul latifondo del 1921, che era utile per l’Italia meridionale e insulare, ma aveva scarse possibilità di applicazione nel Veneto. Così, la legislazione della Repubblica veneta in materia forestale, importantissima perché il legno era un elemento indispensabile per la vita della Repubblica, ottima per quel territorio, non avrebbe potuto estendersi a tutta l’Italia. Una legislazione di carattere regionale presenterebbe il vantaggio di una più viva aderenza alla realtà ed agli effettivi bisogni locali.

TOSATO nota che da taluno è stato affermato poc’anzi che lo Stato avrebbe il potere di dettare, qualora ne riconoscesse la opportunità, una regolamentazione uniforme anche per le materie elencate nell’articolo 3. È, invece, opinione sua e di altri colleghi che, stando alla lettera di detto articolo, ciò non sarebbe possibile. Ritiene pertanto necessario far precedere la discussione su queste materie da un chiarimento della questione e da un più approfondito esame di tutto il sistema, in modo di averne un quadro completo, tenendo altresì presente l’articolo 12.

PRESIDENTE replica che la Sottocommissione nell’approvare, nella riunione. precedente, il primo comma dell’articolo 3, ha indubbiamente tenuto presente così l’articolo 4 come l’articolo 12.

CONTI concorda sull’opportunità di conservare l’agricoltura nell’elencazione dell’articolo 3. In questa materia le situazioni locali sono talmente diverse l’una dall’altra, che difficilmente il legislatore potrebbe effettuare una riforma agraria generale. Basti considerare che 5 ettari di terreno coltivato nei Castelli Romani rendono quanto 200 ettari di terra poco fertile nella Lucania. Se vi è, dunque, un campo di attività economica per il quale molto proficua si dimostrerebbe la regolamentazione regionale, questo è proprio quello dell’agricoltura.

Lo stesso pensa nei riguardi delle foreste e delle cave e torbiere: poiché anche le cave in Italia per lo più sono di scarso interesse nazionale (come quelle di pozzolana) e di minerali di basso pregio.

Crede quindi che tutte queste materie possano essere lasciate senza timori alla potestà legislativa delle Regioni.

Propone poi – confortato dal consenso del Relatore – di aggiungere un’altra materia a quelle elencate dall’articolo 3 del progetto e cioè «ferrovie locali, tramvie e linee automobilistiche». In proposito rileva che si tratta di servizi che rispondono ad esigenze assolutamente locali, e solo la legislazione regionale potrà incrementare le iniziative e disciplinarle, mentre oggi le innumerevoli istanze per attivazione di servizi, che vengono trasmesse alla autorità centrale, finiscono per rimanere senza seguito.

FABBRI insiste per il trasferimento all’articolo 4 delle voci agricoltura e cave, nella considerazione che, con la formulazione approvala del primo comma dell’articolo 3, si escluderebbe ogni possibilità di intervento dello Stato in materie di così vitale interesse nazionale, e la potestà legislativa delle Regioni sarebbe talmente vasta da potersi considerare quasi illimitata. Non possono infatti considerarsi limiti certi quelli della «armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato, e del rispetto degli interessi nazionali». Il solo limite certo deriva dall’emendamento dell’onorevole Perassi, che impone il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato, in quanto almeno questi sono consacrati in documenti scritti.

Sostiene l’esclusione delle cave e non anche delle torbiere. Da queste ultime non si estrae che torba, la quale ha effettivamente importanza soltanto locale, mentre da molte cave si estraggono materie analoghe a quelle delle miniere, e la loro classificazione in cave dipende unicamente dalla legge mineraria.

CALAMANDREI concorda sul passaggio dell’agricoltura all’articolo 4, in quanto l’articolo 3, stabilendo la competenza legislativa esclusiva delle Regioni sulle elencate materie, determina, come è stato rilevato, l’incompetenza legislativa dello Stato sulle materie stesse, in modo che la legge che lo Stato emanasse, sia pure in via di necessità e di urgenza, su una delle materie che l’articolo 3 attribuisce alla competenza delle Regioni, sarebbe incostituzionale e dovrebbe essere annullata. Né lo Stato potrebbe richiamarsi al «rispetto dell’interesse nazionale» per emanare una legge generale anche sulle materie dell’articolo 3; perché quel motivo può dare al Governo solo il diritto di opporre il veto all’emanazione di una legge da parte della Regione, ma non può consentirgli di emanare una legge di interesse nazionale su quelle materie. Se si ammettesse un’interpretazione lata, come quella suggerita dall’onorevole Codacci Pisanelli, nel senso che lo Stato, ogni qual volta sia in gioco un interesse nazionale, possa legiferare, tanto varrebbe abolire l’articolo 3, poiché il potere normativo della Regione resterebbe limitato ai soli casi in cui lo Stato non avesse creduto di emanare leggi generali..

A queste considerazioni va aggiunto che su alcune materie incluse nell’articolo 3 – tra cui l’agricoltura – esistono molte disposizioni nei Codici, sia civile che penale, che non è ben chiaro quale sorte subirebbero. È vero che si fa riferimento ai principî generali dell’ordinamento giuridico, ma questi non possono identificarsi con le norme dei Codici; e quando si dice che la Regione dovrà legiferare nel rispetto di quei principî non s’intende alludere a quelli.

RAVAGNAN confuta l’opinione dell’onorevole Conti che, senza una legislazione agraria Regionale, non sia possibile attuare la riforma agraria, per il fatto che la materia non si presta ad una disciplina uniforme. Nessuno ha mai pensato ad una uniformità della legge per la riforma agraria, la quale può anzi benissimo contemplare, entro direttive generali, la diversità delle situazioni tra Regione e Regione. D’altro canto, talune particolarità – come il latifondo, la mezzadria, ecc. – non sono esclusive di certe località e, rimettendone la disciplina alle Regioni, potrebbero trovare ordinamenti diversi, mentre una varietà di legislazioni per fenomeni analoghi rappresenterebbe senza dubbio un’incongruenza.

Aggiunge che, oltre al caso di una Regione con una legislazione agricola molto avanzata, è da prevedere anche quello di una Regione priva di leggi sulla materia. Questo stato di cose reclama una riforma agraria, la quale non potrebbe promanare che dall’Assemblea Nazionale, in quanto ogni Regione interpreterebbe a modo suo l’interesse generale.

Non crede che possa costituire argomento persuasivo quello del ricorso di cui all’articolo 12, perché, date appunto le diversità tra Regione e Regione, i ricorsi da parte del potere centrale potrebbero divenire talmente numerosi da intralciare tutta la legislazione in materia. Insiste pertanto sulla eliminazione dell’agricoltura dall’elencazione dell’articolo 3, in modo da consentire alla Regione di legiferare in questa materia solo in attuazione delle direttive generali, che saranno veramente ispirate all’interesse nazionale.

LUSSU, tenuto conto della indecisione manifestatasi nella riunione precedente, all’atto di votare sul primo comma dell’articolo 3 e della preoccupazione odierna che la concessione della potestà legislativa alla Regione possa inceppare una legislazione unitaria da parte dello Stato, ritiene necessario chiarire che il Comitato non ha mai inteso – a suo modo di vedere – affermare la potestà da parte della Regione di avocare a sé in modo esclusivo la legiferazione delle materie in esame. Si è usata l’espressione «in armonia coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico», appunto per significare che lo Stato fissa le direttive per tutti i rami della legislazione.

MORTATI obietta che, in tal caso, l’articolo 3 non avrebbe alcuna ragione per essere distinto dall’articolo 4.

LUSSU risponde che l’integrazione di norme direttive e generali, prevista dall’articolo 4, è tutt’altra cosa dalla legislazione primaria di cui all’articolo 3.

Comunque, per eliminare le preoccupazioni di molti colleghi in merito all’agricoltura, non sarebbe alieno dall’affermare, con una formula più chiara, il concetto che tale materia è di competenza regionale, ferma tuttavia restando al Parlamento nazionale la potestà di una propria legislazione generale di principio. L’agricoltura è una di quelle materie in cui la Regione deve poter esplicare il massimo della sua originalità ed autonomia, senza attendere che intervenga per risolvere ogni piccola questione il potere centrale; moltissime sono infatti le soluzioni che possono essere date localmente su tante questioni di dettaglio, come la lotta anticrittogamica e contro le cavallette, la valorizzazione di una determinata cultura più redditizia nei confronti di un’altra, ecc.

In conclusione, crede che sull’argomento non vi sia tanto un dissenso sostanziale, quanto un modo differente di interpretazione dell’articolo 3.

MORTATI nota che le osservazioni, sostanzialmente esatte, dell’onorevole Lussu inducono a chiarire un equivoco.

L’agricoltura non può neppure essere passata senz’altro all’articolo 4, il quale, così com’è formulato, contiene due limitazioni all’attività normativa regionale, che potrebbero compromettere in modo dannoso l’opera di adattamento alle esigenze particolari: in primo luogo fa supporre che la Regione non possa legiferare nelle materie ivi elencate se non ed in quanto esista una legge generale dello Stato (quindi mancherebbe alle Regioni in queste materie il potere d’iniziativa); in secondo luogo parla di norme direttive e generali come di una sola cosa, mentre sono due cose distinte. Ritiene pertanto che occorrerebbe, anzitutto, modificare l’articolo 4 nel senso di stabilire che, nelle materie in esso previste, lo Stato può legiferare soltanto per affermare principî generali, senza entrare nei particolari che dovrebbero invece essere affidati alle Regioni; e che la Regione stessa ha il diritto di iniziativa e può quindi liberamente legiferare fino a che lo Stato non abbia emanato sulla materia le norme direttive. Modificando in tal senso l’articolo 4, verrebbero a cadere le preoccupazioni dell’onorevole Lussu e nessuno potrebbe avere difficoltà di inserirvi l’agricoltura.

Personalmente si dichiara favorevole al passaggio dell’agricoltura all’articolo 4, purché a questo si apportino le modifiche che ha prospettato.

PRESIDENTE osserva che l’intervento dell’onorevole Mortati rimette in discussione tutta la materia, mentre si era arrivati, già nella riunione precedente, alla conclusione di approvare il primo comma dell’articolo 3 e di passare all’esame delle materie da elencare.

ZUCCARINI ricorda che fin dall’inizio della discussione sull’ordinamento regionale fu riconosciuta la stretta correlazione esistente fra gli articoli 3 e 4 e crede che tale correlazione richieda un esame contemporaneo. Una volta risolte le questioni di principio, sarà molto più semplice provvedere alla classificazione delle materie.

PRESIDENTE è contrario ad accettare il suggerimento dell’onorevole Zuccarini, perché non sarebbe sufficiente neppure l’esame contemporaneo dell’articolo 4, ma bisognerebbe richiamarsi anche ad altri articoli – come l’articolo 8 e il 12 – con il che si protrarrebbe la discussione oltre il necessario.

MORTATI replica che anche dal punto di vista metodologico, e agli effetti di una maggiore rapidità della discussione, sarebbe opportuno approvare anzitutto la parte generale della regolamentazione per poi decidere della distribuzione delle materie.

Propone pertanto i seguenti emendamenti agli articoli 3 e 4 del progetto.

«Art. 3. – Omissis … nelle seguenti materie …:

1°) pesca e caccia;

2°) opere pubbliche e urbanistica;

3°) antichità e belle arti, archivi e deputazioni storiche;

4°) turismo e tutela del paesaggio; industria alberghiera;

5°) polizia locale urbana e rurale;

6°) pubblica beneficenza;

7°) organizzazione sanitaria, ospedaliera ed igienica;

8°) determinazione delle circoscrizioni comunali».

«Art. 4. – Nel rispetto della Costituzione e nell’ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dovere emanare allo scopo di garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione, compete alla Regione la potestà legislativa, nelle seguenti materie:

1°) agricoltura e foreste, zootecnia;

2°) industria;

3°) commercio;

4’) pubblica assistenza; protezione sociale;

5°) rapporti di lavoro;

6°) ordinamento degli uffici e dei servizi regionali;

7°) istruzione media, professionale e tecnica;

8°) strade ordinarie e ferrate, linee di navigazione o automobilistiche in quanto non interessino la difesa nazionale o le esigenze del traffico nazionale;

9°) porti, approdi, darsene, in quanto non interessino la difesa nazionale, o la sicurezza della navigazione marittima in generale.

«La legge direttiva potrà fissare un congruo termine per l’emanazione delle norme di svolgimento affidate alle Regioni. In caso di mancata osservanza del termine, potrà essere provveduto con legge dello Stato».

«Art. 4-bis. – Spetta alla Regione il potere regolamentare esecutivo, oltre che nelle materie per cui è consentita l’attività legislativa di cui ai precedenti articoli, anche nelle seguenti:

1°) acque pubbliche;

2°) miniere;

3°) ecc.».

Illustra la sua proposta, facendo rilevare che in essa si omette il richiamo alle norme generali – che non sono se non leggi pure e semplici senza limite di contenuto – limitando l’intervento dello Stato alla emanazione di principî direttivi. In secondo luogo, con l’espressione «che lo Stato ritenga di dovere emanare, ecc.», si ammette che la Regione possa legiferare liberamente fintantoché lo Stato non provveda ad una disciplina unitaria di carattere orientativo di determinati indirizzi. In questo modo, oltre ad eliminarsi la inesattezza dell’espressione «integrazione di norme direttive», si soddisfano le giuste esigenze poste in luce.

PRESIDENTE rileva che le proposte dell’onorevole Mortati sono intese all’allargamento della facoltà legislativa di integrazione della Regione e quindi praticamente comportano la riapertura della discussione esaurita nella seduta precedente.

Comunque, pone ai voti la proposta di sospendere l’esame delle materie da elencare all’articolo 3, per passare alla discussione della disposizione di carattere generale del primo comma dell’articolo 4.

PERASSI voterà favorevolmente alla proposta, allargandola anzi nel senso di estendere l’esame anche all’articolo 12, che pure presenta dei dubbi nella sua interpretazione.

CODACCI PISANELLI non ha alcuna difficoltà ad aderire, nonostante sia dell’avviso che la dizione dell’articolo 3 del progetto non autorizzi a parlare di una legislazione esclusiva, bensì preveda una normazione autonoma che non è detto sia esclusiva.

LUSSU dichiara di votar contro la proposta dell’onorevole Mortati, e a maggior ragione contro l’allargamento proposto dall’onorevole Perassi, in quanto ritiene che nell’articolo 3 si ipotizzi una legislazione autonoma della Regione fino a quando non intervenga una legislazione di carattere generale; la Regione cioè, ha la potestà di legiferare su determinate materie, solo in quanto lo Stato non le abbia già disciplinate.

FABBRI voterà a favore della proposta Mortati, sperando che possa giovare a chiarire un equivoco evidente, perché le precisazioni dello stesso Relatore onorevole Ambrosini sono l’antitesi di quelle fornite dall’onorevole Codacci Pisanelli, che momentaneamente lo ha sostituito nell’incarico di Relatore del Comitato di redazione. Infatti, il primo ha ammesso che la legislazione prevista nell’articolo 3 è esclusiva. Personalmente ritiene che essa sarebbe abrogativa in toto della legislazione che già esistesse nello Stato su quelle singole materie. Comunque, darà voto favorevole alla proposta nella convinzione che, finché non si conoscerà la portata differenziata di questi due articoli, non si potrà sensatamente deliberare in ordine alle materie.

(È approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sulla nuova formulazione dell’onorevole Mortati.

CONTI fa rilevare che il sistema proposto trova conforto in un precedente. Un progetto spagnolo per lo Statuto catalano consente la facoltà di fare leggi e regolamenti di valore transitorio, ove il potere centrale abbia omesso di provvedere.

LACONI nota che gli emendamenti Mortati non eliminano il pericolo che poteva scaturire da una data interpretazione dell’articolo 3, e non sopiscono le preoccupazioni dell’onorevole Lussu e di altri, che anzi la nuova formulazione dell’articolo 4 proposta serve a maggiormente precisare il significato dell’articolo 3 nel senso che l’onorevole Lussu vorrebbe escludere; cioè di impossibilità, da parte dello Stato, di intervenire con sue norme in certi campi. Quindi spingerà il giurista futuro a dare dell’articolo 3 una interpretazione che è contraria al pensiero di alcuni di coloro che hanno contribuito a redigerlo.

MORTATI tiene a precisare che, nell’approvare l’articolo 3, tutti dovevano essere consapevoli del significato letterale e logico che si desume dallo stesso suo testo, consistente nella concessione di una competenza esclusiva alla Regione. Pertanto la sua proposta di formulare diversamente l’articolo 4 non incide affatto sulla portata della decisione adottata, in seguito a votazione, sull’articolo 3.

LA ROCCA esprime la sua contrarietà alla formula Mortati, osservando che essa, anziché semplificare, complica la situazione ed aggrava le giuste preoccupazioni per la concessione di una potestà legislativa eccessivamente ampia alla Regione, senza possibilità di rimedio da parte dello Stato.

LUSSU premette che, se si è manifestato un contrasto di opinioni tra alcuni membri del Comitato, questo riguarda soltanto la interpretazione dell’articolo 3, ma non la sostanza, in quanto tutti sono d’accordo nel voler salvare l’unità legislativa nazionale e nello stesso tempo dare ampie possibilità di iniziativa e di normazione all’ente Regione. Da ciò deriva la necessità di escogitare una formula che chiarisca la situazione e dissipi le preoccupazioni, affermando la potestà di intervento dello Stato in sede di fissazione di principî generali, senza intaccare l’autonomia legislativa regionale nell’applicazione dei criteri rispondenti alle esigenze locali.

Per queste ragioni si dichiara contrario all’emendamento Mortati che, a suo avviso, non risolve la questione.

PICCIONI ritiene che le proposte dell’onorevole Mortati siano le più coerenti e quelle che meglio possono servire ad eliminare ogni equivoco. In esse si prevedono tre tipi di legislazione regionale: una potestà legislativa esclusiva (articolo 3); una potestà legislativa concorrente con quella dello Stato, il quale fissa i principî direttivi, e suppletiva di un’eventuale deficienza di legislazione generale (articolo 4); e una potestà regolamentare esecutiva (articolo 4-bis). Il problema concerne ormai soltanto le materie da attribuire a ciascuna forma di normazione, perché indubbiamente ogni Commissario ha la preoccupazione di non ferire l’integrità dello Stato e l’uniformità della disciplina dei problemi interessanti la collettività. Se si affideranno alla potestà legislativa esclusiva materie di scarso interesse generale (come la pesca, la caccia, l’urbanistica, la polizia locale e rurale, ecc.) non si lederà in alcun modo l’unità nazionale e la sovranità dello Stato.

UBERTI conviene con l’onorevole Piccioni e crede che anche l’onorevole Lussu debba riconoscere che le proposte Mortati non rappresentano una complicazione, bensì un chiarimento della questione ed un progresso nella discussione. È infatti innegabile che lo schema elaborato dal Comitato non supera le preoccupazioni dell’onorevole Calamandrei e di altri, relative alla possibilità di emanazione da parte della Regione di norme contrastanti con i Codici e con le leggi fondamentali dello Stato, nonostante il Comitato stesso fosse ben lontano dal volerlo ed avesse ritenuto di aver ovviato all’inconveniente con le espressioni: «in armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali».

NOBILE esprime il parere che gli emendamenti Mortati siano da preferirsi, soprattutto in quanto scindono il potere legislativo di integrazione della Regione dal potere regolamentare esecutivo, il quale rappresenta l’unica facoltà che, a suo avviso, potrebbe essere concessa all’ente Regione.

PERASSI aderisce alla proposta dell’onorevole Mortati e consiglia soltanto di rendere più concisa la formula dell’articolo 4, in questo senso:

«Compete alla Regione la potestà legislativa nell’ambito dei principî direttivi stabiliti da leggi dello Stato, nelle seguenti materie: …».

MORTATI insiste sull’espressione «che lo Stato ritenga di dovere emanare», per il particolare significato che essa riveste e che ha già illustrato.

PRESIDENTE, prima che la Sottocommissione si pronunci, pone in rilievo che la proposta Mortati non incide sulla votazione già effettuatasi sull’articolo 3, salvo naturalmente le modifiche nella elencazione delle materie; onde resta alla Regione un ambito di facoltà legislativa esclusiva.

Pone quindi ai voti la prima parte dell’articolo 4 nella formula proposta dall’onorevole Mortati, che rilegge:

«Nel rispetto della Costituzione e nell’ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dovere emanare allo scopo di garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione, compete alla Regione la potestà legislativa, nelle seguenti materie:».

PICCIONI voterà in favore, per le ragioni già espresse ed intendendo con questo suo voto che nella sfera dell’articolo 3 vadano comprese soltanto le materie di interesse strettamente locale.

CALAMANDREI darà voto favorevole, nella convinzione che quando si esamineranno le materie da inserire nell’articolo 3 si sarà naturalmente portati a passarle nell’articolo 4.

FABBRI si asterrà dalla votazione, per una ragione sostanzialmente identica. Poiché la legislazione prevista nell’articolo 4 Mortati è concorrente e, in un certo senso, diviene esclusiva, ove lo Stato non ritenga che vi siano interessi generali da disciplinare, tutti coloro che desideravano per alcune materie una legislazione esclusiva, senza tuttavia pregiudicare gli interessi unitari della Nazione, potrebbero convenire sull’opportunità di passare le materie stesse sotto l’articolo 4.

GRIECO e LAMI STARNUTI si associano all’onorevole Fabbri.

LUSSU dichiara di astenersi, perché non è convinto che l’articolo rappresenti un chiarimento.

(Con 13 voti favorevoli, 2 contrari e 10 astenuti, è approvata).

PRESIDENTE mette in votazione la prima parte dell’articolo 4-bis dell’onorevole Mortati che ricorda:

«Spetta alla Regione il potere regolamentare esecutivo, oltre che nelle materie per cui è consentita l’attività legislativa di cui ai precedenti articoli, anche nelle seguenti: …».

NOBILE voterà contro, perché fa richiamo alle disposizioni precedenti.

LUSSU dichiara di astenersi dal voto.

(È approvata).

PRESIDENTE avverte che ora l’esame della Sottocommissione dovrà rivolgersi alle materie da inserire nell’articolo 3 previste nel progetto, salvo ad esaminare in un secondo momento le aggiunte consigliate dall’onorevole Mortati ed eventualmente da altri. Il primo gruppo riguarda: «agricoltura e foreste, cave e torbiere». A queste l’onorevole Mannironi propone di aggiungere «le saline».

BULLONI obietta che le saline sono oggetto di monopolio dello Stato.

MANNIRONI rinuncia alla sua proposta, che si riserva di ripresentare in sede di discussione dell’articolo 4.

PRESIDENTE pone ai voti l’inclusione nell’articolo 3 delle materie: «agricoltura, foreste e cave».

(Non è approvata).

Mette ai voti l’inclusione delle «torbiere».

(È approvata).

Ricorda che il secondo gruppo di materie comprende: «strade, ponti, porti, acquedotti e lavori pubblici».

LUSSU dichiara che su nessuna delle materie previste dal progetto è disposto a votare in favore se all’articolo 3 si dà l’interpretazione di legislazione esclusiva. Non c’è materia per cui egli sia disposto a concedere alla Regione una potestà normativa assoluta ed esclusiva.

PERASSI prospetta l’opportunità di escludere le strade di interesse nazionale.

FUSCHINI si associa ed aggiunge che anche i ponti costruiti lungo le strade nazionali, i porti e gli acquedotti possono interessare più Regioni o addirittura tutta la Nazione.

NOBILE concorda.

ZUCCARINI propone di aggiungere, a questo gruppo di materie, le parole: «di carattere regionale».

BOZZI suggerisce la dizione: «viabilità e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale».

PERASSI, quanto ai «porti», consiglia la precisazione: «lacuali».

MORTATI sostituirebbe la parola «porti» con la formula; «porti, approdi, darsene, in quanto non interessino la difesa nazionale, o la sicurezza della navigazione marittima in generale». Fa presente che, ad esempio, nei porti il faro interessa la sicurezza del traffico in generale e quindi le decisioni al riguardo non possono essere lasciate all’arbitrio della Regione.

PRESIDENTE è contrario a scendere in troppi dettagli.

Pone intanto ai voti l’inclusione nell’articolo 3 delle materie: «strade, ponti, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale».

MANNIRONI voterà in favore, riservandosi di presentare a suo tempo una proposta circa la polizia stradale, per la quale ritiene indispensabile una regolamentazione unitaria da parte del potere centrale.

NOBILE voterà contro, perché gli acquedotti interessano la pubblica igiene e, sotto questo aspetto, tutta la collettività.

(È approvata).

PRESIDENTE ricorda le proposte Mortati e Perassi, relative ai porti.

ROSSI PAOLO ritiene inopportuna l’inclusione dei porti. Fa presente che tutte le coste sono demaniali ed i porti in genere non hanno solo interesse regionale, ma in taluni casi perfino internazionale. Cita ad esempio l’amministrazione del porto di Genova nella quale è rappresentata anche la Svizzera. Tale carattere possono avere anche porti lacuali.

NOBILE ricorda che i porti dipendono dal Ministero della marina. Se la loro disciplina fosse affidata alle Regioni, bisognerebbe crearvi degli uffici, aumentando quella burocrazia che si vorrebbe ridurre. È quindi contrario all’inclusione, in genere, dei porti e soggiunge che anche quelli di importanza locale possono acquistare un interesse interregionale.

LAMI STARNUTI aggiunge che non si può concepire il porto staccato dal suo arenile, che è demanio dello Stato. Non può dunque ammettersi che la Regione legiferi in via esclusiva sui porti, quando spetta allo Stato di legiferare sulle zone di accesso indispensabili al movimento dei porti stessi. Né va dimenticato un altro argomento di carattere economico: che, riservando la potestà legislativa in merito ai porti alla Regione, si offrirebbe allo Stato il motivo per non contribuire più alle spese per la loro ricostruzione.

PRESIDENTE mette ai voti l’aggiunta, alle voci già approvate, dell’altra: «porti lacuali».

(È approvata).

UBERTI propone raggiunta delle parole: «e fluviali».

PRESIDENTE la pone ai voti.

(Non è approvata).

Invita a passare all’esame delle successive materie: «pesca e caccia».

NOBILE è contrario alla loro inclusione nell’articolo 3, in quanto le considera di interesse nazionale. La caccia sportiva, ad esempio, dovrebbe essere rigorosamente proibita, mentre quella a carattere industriale dovrebbe esser regolata da leggi generali, anche per evitare la distruzione inconsiderata e dannosa di certe specie animali, che oggi spesso viene lamentata.

PERASSI propone di completare il termine «pesca» con la precisazione «nelle acque interne», escludendosi così la pesca marittima.

PRESIDENTE osserva che tale formula non sarebbe ancora sufficiente, perché generalmente la pesca nei fiumi interessa più Regioni.

Propone quindi la formula «pesca nelle acque interne di carattere regionale» e la mette ai voti.

(È approvata).

ROSSI PAOLO, quanto alla caccia, pone in rilievo che spesso gli interessi delle Regioni al riguardo sono contrastanti, in quanto la selvaggina stabile in Italia è scarsissima e la caccia si esercita in prevalenza sulle specie migratorie.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione, tra le materie dell’articolo 3, della «caccia».

(Non è approvata).

Invita la Sottocommissione ad esprimere il suo parere relativamente alla «urbanistica».

FABBRI ha l’impressione che l’urbanistica concerna quasi esclusivamente la competenza degli enti comunali.

PERASSI chiarisce che i piani regolatori debbono essere approvati con legge e quindi è logico affermare la competenza legislativa della Regione.

PRESIDENTE pone ai voti l’inclusione nell’articolo 3 di questa materia.

(È approvata).

Pone ai voti l’inclusione delle seguenti materie: «antichità e belle arti».

FUSCHINI ne propone il passaggio all’articolo 4.

NOBILE dichiara di votare contro, ritenendo assurdo supporre che in un Paese come l’Italia le antichità e belle arti possano interessare soltanto le Regioni.

(Non è approvata).

PRESIDENTE apre la discussione sulla materia successiva: «turismo».

BULLONI, premesso che oggi si tende ad incrementare il turismo mediante l’apertura di case da gioco, espone la sua preoccupazione che le Regioni possano – approfittando della facoltà esclusiva che venga loro concessa – aprire nuove case da giuoco, in violazione dell’articolo 719 del Codice penale.

NOBILE aggiunge che il turismo, essendo uno dei più forti cespiti della nostra bilancia economica, assume un interesse nazionale.

MANNIRONI per ovviare al pericolo denunciato dall’onorevole Bulloni, propone di sostituire la parola: «turismo», con le altre: «vigilanza alberghiera, tutela del paesaggio e industria del forestiero».

FABBRI dichiara di esservi contrario, perché teme che si possa pregiudicare l’ambito dell’autonomia comunale.

PRESIDENTE pone ai voti l’inclusione della parola: «turismo».

(Non è approvata).

Mette in votazione la proposta di sostituire detto termine, con le parole: «tutela del paesaggio e industria alberghiera», che ritiene risponda al concetto dell’onorevole Mannironi.

(È approvata).

Mette ai voti un’altra materia da includere nell’articolo 3: «polizia locale urbana e rurale».

(È approvata).

Pone ai voti l’inclusione nell’articolo 3 della seguente materia: «beneficenza pubblica».

(È approvata).

Invita i colleghi a pronunciarsi sull’inclusione delle: «scuole professionali» nell’articolo 3.

NOBILE è contrario a che la scuola professionale formi oggetto di legislazione da parte della Regione. Può ammettere una competenza regionale sulla materia solo in sede regolamentare.

LACONI rileva che le scuole professionali conferiscono dei titoli che debbono avere una validità nazionale e non limitata all’ambito della Regione. Se la relativa normazione fosse lasciata alle Regioni, potrebbero variare da Regione a Regione i programmi, l’ordinamento scolastico, ecc., ed una Regione potrebbe sentirsi autorizzata a non riconoscere i titoli di studio rilasciati dalla scuola di un’altra.

PRESIDENTE avverte che, quando si parla di scuole professionali in genere, non bisogna pensare soltanto alle scuole di tipo artigiano ed artistico, ma aver presenti anche le scuole che attualmente si stanno attrezzando ai fini di un insegnamento più vasto, per i grandi rami dell’industria.

UBERTI si dichiara favorevole a lasciare alle Regioni la più ampia facoltà di disciplina delle scuole professionali. Confutando l’obiezione dell’onorevole Laconi, fa presente che l’assunzione di impiegati specializzati non è tanto legata al semplice possesso di un titolo, quanto alla preparazione pratica e alla provenienza da determinate scuole, di cui è nota la bontà dell’insegnamento.

LACONI segnala che da parte di taluni istituti industriali è in corso una rivendicazione per l’accesso dei loro diplomati alle Università. Perciò le scuole professionali non possono essere considerate come avulse dall’ordinamento scolastico italiano.

BORDON propone di sostituire alle parole: «scuole professionali», le altre: «scuole artigiane».

LACONI spiega che la scuola artigiana costituisce un grado di sviluppo verso la scuola professionale. Il riservare la legislazione in materia alle Regioni potrebbe costituire un danno ed una remora allo sviluppo di queste scuole.

NOBILE chiede che si voti per appello nominale sull’argomento, perché considererebbe particolarmente grave una disposizione che inibisse allo Stato di interferire nel campo dell’insegnamento professionale.

PRESIDENTE, aderendo alla richiesta dell’onorevole Nobile, pone in votazione per appello nominale l’inclusione nell’articolo 3 dell’insegnamento professionale.

Votano sì: Ambrosini, Cappi, Piccioni, Uberti e Zuccarini.

Votano no: Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, De Michele, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Mortati, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato.

Si astiene: Perassi.

(Con 5 voti favorevoli, 18 contrari e un’astensione, non è approvata).

Pone ai voti la proposta dell’onorevole Bordon di inserire nell’elenco dell’articolo 3 le parole: «scuole artigiane».

(È approvata).

Apre la discussione su un’altra materia da riservare alla potestà legislativa della Regione: «modificazione delle circoscrizioni comunali».

MANNIRONI propone di aggiungere le parole: «e provinciali».

NOBILE è contrario a consentire alle Regioni di modificare le circoscrizioni comunali, in quanto i Consigli comunali sono una delle basi di elezione della seconda Camera e potrebbe avvenire che le Assemblee regionali, a solo scopo elettorale, creassero artificiosamente nuovi comuni o modificassero le circoscrizioni di quelli esistenti.

AMBROSINI, Relatore, oppone che, a norma del capoverso dell’articolo 18, soltanto la volontà delle popolazioni interessate potrà determinare la modificazione delle circoscrizioni comunali esistenti o la creazione di nuovi comuni.

ROSSI PAOLO, circa la modificazione delle circoscrizioni provinciali, afferma che le rivalità esistenti tra le Provincie consigliano di conferire la facoltà in parola all’autorità dello Stato e di non lasciarla alle Regioni.

MANNIRONI replica che nell’Assemblea regionale sono rappresentate tutte le Provincie e d’altra parte l’organo più competente per una eventuale rettifica di confini tra Provincie è senza dubbio la Regione.

LAMI STARNUTI dubita della opportunità di attribuire alla Regione la potestà di delimitare le circoscrizioni provinciali, oltre che per le ragioni esposte dall’onorevole Rossi, anche per il fatto che nelle Provincie risiedono molti uffici governativi e per il loro ordinamento potrebbero sorgere conflitti tra Stato e Regione.

PRESIDENTE pone ai voti il testo del progetto: «modificazione delle circoscrizioni comunali».

(È approvato).

Mette in votazione l’emendamento aggiuntivo: «e provinciali».

(Non è approvato).

Essendo esaurito l’esame delle materie previste nel progetto, apre la discussione sulle proposte aggiuntive degli onorevoli Bulloni e Mortati, intese ad includere nella elencazione dell’articolo 3, la prima, le parole: «assistenza ospedaliera» e la seconda, le parole: «organizzazione sanitaria, ospedaliera ed igienica».

BULLONI precisa che, mentre l’organizzazione sanitaria ed igienica può essere effettuata sulla base di direttive generali del Governo, il problema ospedaliero, essendo soprattutto un problema finanziario e amministrativo, deve essere risolto nell’ambito della Regione, con una rigorosa disciplina che assicuri i servizi.

NOBILE non approva le proposte aggiuntive, con le quali si impedirebbe allo Stato italiano di emanare direttive in una materia per la quale è da prevedersi che l’Organizzazione delle Nazioni Unite emetterà, prima o poi, norme da osservarsi in tutto il mondo.

TOSATO replica che l’ipotesi fatta dall’onorevole Nobile è prevista nella limitazione della potestà legislativa regionale, già approvata nella riunione precedente, costituita dal rispetto degli obblighi internazionali dello Stato.

LACONI è contrario alle due proposte, ritenendo che non si possa sancire una esclusività legislativa regionale per materie, quali l’assistenza sanitaria e ospedaliera, che sono anche di interesse nazionale, come è provato dall’esistenza di grandi istituti del genere a carattere nazionale.

AMBROSINI, Relatore, è convinto che la Regione possa più oculatamente provvedere con norme legislative alle particolari necessità locali in queste materie.

NOBILE fa notare che, approvandosi la formula dell’onorevole Mortati, lo Stato non potrebbe più intervenire nella lotta contro la malaria.

MORTATI, in seguito all’obiezione dell’onorevole Nobile, modifica la sua proposta, rinunciando alla «assistenza sanitaria».

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di aggiungere alle materie elencate nell’articolo 3 la seguente: «assistenza ospedaliera o igienica», ritenendo che in questa formula sia tenuto conto delle proposte e delle osservazioni fatte.

(Non è approvata).

Dà notizia della seguente proposta aggiuntiva dell’onorevole Mannironi: «ordinamento degli uffici ed enti regionali e stato giuridico degli impiegati degli enti stessi».

LACONI esprime il suo aperto dissenso dalla proposta, la quale, se approvata, verrebbe a creare compartimenti stagni nella burocrazia, escludendo qualsiasi possibilità di trasferimento degli impiegati da una Regione all’altra e creando disparità nel trattamento economico del personale fra Regione e Regione.

MANNIRONI spiega che la sua proposta mira unicamente a riconoscere alle Regioni la competenza ad organizzare i propri uffici e a decidere dello stato giuridico e del trattamento economico dei propri impiegati. Del pari la Regione deve essere libera di dare vita a propri enti amministrativi – come consorzi, enti culturali, ecc. – stabilendone l’ordinamento e lo stato del personale. Non crede sia il caso di togliere alle Regioni la potestà legislativa esclusiva in queste materie, che sono di suo peculiare interesse.

PICCIONI si dichiara favorevole alla proposta, poiché ritiene assurdo concepire l’ente Regione autonomo, riservando allo Stato un potere di intervento diretto nell’ordinamento degli uffici ed enti regionali e nello stato giuridico ed economico del relativo personale.

FABBRI, pur concordando, ritiene superflua la proposta, in quanto è implicito che la Regione possa liberamente ordinare i propri uffici, creare i propri enti, e disciplinare lo stato giuridico ed economico del proprio personale. Nota piuttosto una discordanza nel fatto che i rapporti sindacali di lavoro vengono compresi tra le materie previste dall’articolo 4 (legislazione di integrazione), e lo stato giuridico degli impiegati tra quelle dell’articolo 3 (legislazione esclusiva).

MANNIRONI riconosce il fondamento del rilievo fatto dall’onorevole Fabbri e giustifica la sua proposta col desiderio di evitare che lo Stato, con una sua legge generale, possa modificare la disciplina di tali materie, disposta localmente dalle Regioni.

TOSATO propone di precisare: «enti amministrativi regionali».

FUSCHINI suggerisce di considerare anche lo stato economico, oltre a quello giuridico.

PERASSI invece di «impiegati», propone di dire: «dipendenti».

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di aggiungere all’elencazione dell’articolo 3 la seguente materia: «ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali e stato giuridico ed economico dei dipendenti degli stessi uffici ed enti».

(È approvata).

PRESIDENTE ricorda la proposta dell’onorevole Conti per l’inclusione delle «ferrovie locali, tramvie e linee automobilistiche».

NOBILE non ritiene che la legislazione sulle ferrovie locali e sulle tramvie si possa attribuire alla Regione. Per ovvie ragioni tecniche, tali materie richiedono una legislazione uniforme di competenza dello Stato. Per quanto riguarda le linee automobilistiche fa rilevare che spesso esse vengono sovvenzionate dallo Stato, e che vanno esaminate anche dal punto di vista di una possibile concorrenza con le ferrovie statali. Aggiunge che in tale campo attualmente si ha già un notevole decentramento, attraverso gli Ispettorati della motorizzazione civile, i quali sono organizzati abbastanza bene per potere, con adeguate modifiche, dare il migliore rendimento.

PERASSI dichiara di essere stato autorizzato dall’onorevole Conti, che ha dovuto allontanarsi, a proporre l’inserimento di tale materia nell’articolo 4, anziché nell’articolo 3.

NOBILE osserva che, mentre nell’elenco sono state incluse materie per le quali, a suo avviso, non si può affidare la legislazione alle Assemblee regionali, altre, invece, ne sono state escluse, che avrebbero potuto, senza grave danno, essere ad esse affidate. Così, ad esempio, le fiere, i mercati e le lotterie, quando abbiano importanza puramente locale.

FUSCHINI concorda, proponendo che nell’articolo 3 vengano incluse anche le «fiere e mercati». Non aggiunge le lotterie, perché queste rivestono piuttosto interesse nazionale.

PRESIDENTE pone ai voti questa proposta.

(È approvata).

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Di Giovanni, Einaudi, Farini, Leone Giovanni, Patricolo, Porzio, Targetti.

MARTEDÌ 19 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

49.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 19 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Zuccarini – Tosato – Bozzi – Calamandrei – Fabbri – Nobile – Cappi – Mannironi – La Rocca – Conti – Lussu – Laconi – Vanoni – Mortati – Bulloni – Perassi – Lami Starnuti – Ambrosini, Relatore – Piccioni.

La seduta comincia alle 16.25.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE comunica che, a proposito dell’articolo 3 del progetto elaborato dal Comitato di redazione per l’autonomia regionale – del quale si era iniziato l’esame nell’ultima seduta – è stato presentato dagli onorevoli Laconi, Lami Starnuti, Bozzi, Ravagnan, Targetti, Fabbri, La Rocca, Nobile, Rossi Paolo, Bocconi, Finocchiaro Aprile e Calamandrei, il seguente emendamento:

«I sottoscritti, salva ogni altra proposta relativa alla materia da attribuirsi alle Regioni, chiedono che alla prima parte dell’articolo 3 del progetto sia sostituita la seguente formulazione:

«La Regione ha la potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione per adattare alle condizioni locali le norme generali e direttive emanate con legge dello Stato. Tale facoltà si esercita, oltre che nelle materie i cui servizi possono passare alla Regione, nelle altre che, pur entro i limiti dell’interesse regionale, concernono: …».

L’emendamento dovrà poi essere integrato con l’elencazione delle materie.

ZUCCARINI ricorda che nell’ultima seduta egli e l’onorevole Mortati avevano sostenuto il concetto che gli articoli 3 e 4 dovessero essere esaminati insieme e proposto che si addivenisse alla formulazione di un solo articolo, considerando la ripartizione delle materie fatta dal progetto come arbitraria ed inaccettabile.

Aggiunge di avere osservato fra l’altro che non si comprende perché nell’articolo 3 sia stata compresa, come materia di legislazione esclusiva della Regione, l’agricoltura, mentre l’industria si trovi inclusa nell’articolo 4. A suo avviso, alla Regione dovrebbe competere, entro i limiti delle leggi generali dello Stato, piena libertà legislativa. Prega pertanto il Presidente di far sì che la discussione odierna verta sulla proposta di fusione dei due articoli già presentata nella seduta precedente e comunque che la discussione venga fatta sui due articoli unitamente.

TOSATO osserva che nel progetto sono preveduti due tipi di legislazione regionale e cioè un’attività legislativa primaria, considerata dagli articoli 3 e 12, ed una secondaria, considerata dall’articolo 4.

A suo avviso, l’articolo 3, combinato con l’articolo 12, non prevede una legislazione esclusiva – come è stato affermato da qualcuno – perché la legislazione di cui all’articolo 3 trova un limite non soltanto nei principî fondamentali della Costituzione e nell’ordinamento giuridico dello Stato, ma anche negli interessi nazionali, tanto è vero che l’articolo 12 stabilisce che, quando il Governo centrale ritenga che le norme giuridiche con forza di legge approvate dall’Assemblea regionale contrastino con l’interesse nazionale, può rinviare i provvedimenti con le sue osservazioni all’Assemblea regionale, che potrà, approvandoli nuovamente, farli senz’altro diventare legge. È ben vero che rimane sempre salvo il diritto del Governo centrale di ricorrere alla Corte costituzionale; ma a questo punto sorge il dubbio se tale ricorso possa farsi soltanto per motivi di legittimità – in quanto il Governo ritenga che le norme giuridiche emanate dalla Regione siano contrarie alla Costituzione o ai principi generali dell’ordinamento giuridico – oppure anche per motivi di merito, il che, peraltro, darebbe luogo ad una legislazione del tutto nuova in Italia.

Chiede che su questo punto sia fornito un chiarimento perché, qualora si ammettesse il ricorso anche per motivi di merito, si potrebbe pensare che la legislazione prevista dall’articolo 3 combinato con l’articolo 12, più che una legislazione primaria, sia una vera e propria legislazione esclusiva.

BOZZI riconosce che il Comitato di redazione ha compiuto uno sforzo apprezzabile nel tentativo di sistemare la difficile materia delle attribuzioni legislative della Regione. Tuttavia, il piano proposto non garantisce la certezza nelle fonti di produzione giuridica; può creare pericoli di conflitto di competenza normativa fra Stato e Regione e instabilità nell’ordinamento giuridico.

Rileva che bisogna tener fede a due principî fondamentali: salvaguardare quello che è stato definito nell’articolo 2 «il quadro dell’unità ed indivisibilità dello Stato», ossia la sovranità dello Stato, che trova la sua prima manifestazione nella potestà legislativa; affidare, d’altra parte, alla Regione, secondo l’orientamento fissato nell’ordine del giorno Piccioni, la regolamentazione autonoma dei propri particolari interessi.

L’articolo 3, proposto dal Comitato, assegna alla Regione una sfera di competenza esclusiva. Ciò significa che lo Stato, nelle materie indicate, non ha potere di legiferare, nemmeno con norme di carattere direttivo o generale, esso può soltanto esaminare i disegni di legge approvati dalle Assemblee regionali e proporne l’annullamento alla Corte costituzionale, qualora ritenga che essi siano contrari alla Costituzione, ai principî fondamentali dell’ordinamento giuridico o agli interessi nazionali. Lo Stato, cioè, interviene successivamente, e deve instaurare un giudizio. Secondo il suo punto di vista, questa forma di non intervento legislativo dello Stato non è ammissibile; incrina l’unità dello Stato, anche sotto il profilo della unitarietà del processo economico-produttivo. Scorrendo le materie affidate alla competenza esclusiva della Regione, nota che fra esse è l’agricoltura. Ne deriva che lo Stato non potrebbe dettare norme generali e comuni a tutto il territorio nazionale in tema di riforma agraria. Si potrebbe avere la collettivizzazione in Emilia, e non, ad esempio, in Toscana.

Prospetta l’opportunità di regolare con una sola e chiara norma le attribuzioni legislative della Regione. Secondo il suo parere bisogna escludere che la Regione abbia un ambito di materie nelle quali possa legiferare senza che lo Stato abbia potere d’intervento. Occorrerebbe, piuttosto, determinare largamente una sfera di materie, per le quali lo Stato abbia soltanto la potestà di dettare norme direttive o generali, e la Regione di emanare le norme necessarie per l’attuazione o l’integrazione, al fine di adattare le leggi statali alle esigenze peculiari regionali. Le norme direttive sono quei principî che di per sé non sono suscettibili di applicazione, ma che hanno bisogno appunto di ulteriori norme che li specifichino, conformandovisi; le norme generali rappresentano, invece, una forma di più penetrante legiferazione, che tuttavia lascia margini in bianco per gli adattamenti a situazioni particolari. Precisa che, in tal guisa, lo Stato potrebbe intervenire in modo più o meno penetrante, secondo una sua discrezionale valutazione di politica legislativa (e vi sarebbe al riguardo la garanzia del Senato regionale); alla Regione, d’altra parte, sarebbe riservata una sfera di competenza esclusiva nell’ambito dell’attuazione o dell’integrazione delle leggi direttive o generali emanate dallo Stato.

Rileva poi l’opportunità di completare le ipotesi previste dall’articolo 12 con una norma che stabilisca il diritto, azionabile, della Regione verso lo Stato, nel caso che questo, nell’esplicazione della sua potestà legislativa, ecceda dai limiti della legiferazione semplicemente direttiva o generale nella sfera di materie assegnate.

Infine, quanto al quesito sollevato dall’onorevole Tosato, osserva che è esatto distinguere, in tema di articolo 12, fra violazione di competenza ed esame del merito; sono situazioni giuridiche che comportano valutazioni diverse, e diversi dovrebbero essere gli organi chiamati a compierle. Tuttavia, a volte la questione pregiudiziale è intimamente collegata con la questione di merito. Ad esempio, il limite dell’interesse nazionale posto dall’articolo 3 involge una questione di merito, che si risolve però in una questione di competenza. Se la Corte costituzionale accerta che un disegno di legge regionale ha violato l’interesse nazionale, accerta necessariamente che la Regione ha ecceduto dai limiti della sua competenza normativa.

Propone, comunque, che di questi più particolari problemi si discuta quando verrà in esame l’articolo 12.

CALAMANDREI, esaminando la materia dei conflitti, osserva che nel progetto non è regolata l’ipotesi di un conflitto negativo, il caso cioè che tanto il Governo centrale quanto l’Assemblea regionale si ritengano incompetenti a deliberare su una determinata materia.

Si domanda poi, esaminando l’ipotesi di conflitto positivo prevista dall’articolo 12, per quale ragione il compilatore del progetto – dovendo scegliere fra l’opinione del Governo centrale e quella dell’Assemblea regionale – abbia dato la prevalenza al punto di vista della seconda. Prospetta l’opportunità che in casi del genere si invochi – per la risoluzione del conflitto – l’intervento di un terzo organo e che, nell’attesa, il progetto di legge in contestazione rimanga in sospeso; e quindi suggerisce che all’articolo 12 si stabilisca che se l’Assemblea regionale, respingendo le osservazioni governative, insiste nel suo punto di vista, si apra il conflitto davanti alla Corte costituzionale.

FABBRI dichiara di aver sottoscritto l’ordine del giorno presentato, in quanto ha sempre ritenuto che la potestà delle Regioni debba essere limitata esclusivamente a norme di attuazione e di integrazione.

Riprendendo il concetto della possibilità di conflitto tra le leggi della Regione e le leggi dello Stato – che a suo parere dovrebbero essere preminenti – fa un’osservazione di carattere pratico e di natura contingente e politica: si domanda cioè se la legislazione esclusiva su determinate materie, ipotizzata per la Regione, implichi l’abrogazione automatica di tutto l’imponente complesso di leggi statali concernenti dette materie. Pur ritenendo assurda una simile tesi, domanda in proposito un chiarimento.

Fa presente la necessità da parte degli organi statali di coordinare e snellire l’attuale complesso legislativo sulle materie indicate nel progetto, al fine di conservare soltanto i principî basilari di cui l’attività normativa della Regione stabilirà l’applicazione e l’attuazione. Raccomanda altresì che si proceda gradualmente all’attuazione di questa riforma, al fine di evitare il formarsi di situazioni tumultuarie ed il sorgere di conflitti tra l’organo legislativo centrale e quelli periferici.

NOBILE, parlando contro l’articolo 3 del progetto, osserva che, sotto il profilo politico, la ripartizione legislativa tra lo Stato e le Regioni porterebbe inevitabilmente a sviluppare la tendenza di queste verso un sistema federale e condurrebbe quindi alla disgregazione dell’unità nazionale. Sotto il profilo economico, rileva che non si può ammettere che la legiferazione su materie di importanza vitale per l’intera Nazione sia attribuita alle Regioni.

All’osservazione del Relatore che, per giustificare la creazione del nuovo ente autarchico, sostiene che le funzioni che si vogliono trasferire dal centro alla periferia non potrebbero essere attribuite alla Provincia, in quanto riguardano interessi che trascendono l’ambito provinciale, risponde che tale presunzione si ritorce contro il sistema regionalistico, perché oggi gli interessi economici tendono ad allargare sempre più la loro sfera di attività.

Scorge, poi, una contraddizione tra la tesi sostenuta dal Relatore, secondo cui la tendenza odierna unificatrice sarebbe utile solo riguardo ai fini da raggiungere e non già nei confronti dei congegni di esecuzione, e il disposto dell’articolo 3 che conferisce alla Regione potestà legislativa su materie di importanza fondamentale, e non dà allo Stato la possibilità di regolare tali materie per i fini generali da raggiungere.

Ritiene poi assurda l’elencazione fatta negli articoli 3 e 4. Col primo di questi articoli si concede alle Regioni nientedimeno che il diritto esclusivo di legiferare su materie di importanza fondamentale per tutta la Nazione, quali, ad esempio, l’agricoltura, le foreste, le strade, i ponti, gli acquedotti. Su questioni così vitali per il Paese si avrebbero quindi diciotto legislazioni differenti!

È del parere che la legislazione primaria si debba riservare esclusivamente allo Stato, e che anche la regolamentazione – almeno per certe materie – debba in molti casi essergli attribuita. A suo avviso, è imprudente fare nella Costituzione un elenco delle materie di interesse locale, la cui disciplina giuridica si ritiene opportuno decentrare, perché ciò che oggi interessa lo Stato potrebbe domani divenire di interesse locale, o viceversa.

L’articolo 3, come è formulato, rappresenta uno sconvolgimento dell’attuale organizzazione statale, i cui meccanismi hanno bisogno di essere riformati e riordinati, e non già sconvolti. Tutti riconoscono la necessità di decentralizzare le funzioni dello Stato. Ma l’articolo 3 decentralizza proprio ciò che non va decentralizzato: il potere legislativo, che, per la sua stessa natura, deve conservare un carattere unitario. Approvando l’articolo 3, anziché ridurre e semplificare i meccanismi amministrativi, se ne accrescerebbe il numero.

Sostiene che il progetto proposto – il quale rappresenta un vero e proprio anacronismo storico – non solo non è democratico, ma è profondamente antidemocratico; e cita, a sostegno della sua opinione, quanto scrive in proposito un’illustre regionalista, Pietro Bertolini.

Gli sembra infine illusorio il concetto di taluni, secondo cui il frazionamento del Paese in regioni autonome, dotate di larghi poteri legislativi, possa costituire una garanzia contro eventuali rivoluzioni o colpi di Stato, perché ritiene che un’esperienza troppo audace – mentre non porterebbe alcuna conseguenza, se fatta nell’ambito ristretto di una Provincia o di un Comune – operata nell’ambito di una Regione, che rappresenta la diciottesima parte del territorio dello Stato, potrebbe rischiare di compromettere l’unità nazionale.

Conclude dichiarando di essersi limitato a sottoscrivere l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Laconi ed altri, al quale aderisce subordinatamente, in quanto, a suo parere, anche la regolamentazione da affidare alle Regioni dovrebbe essere assai limitata.

CAPPI, dopo aver rilevato come gli interventi di alcuni oratori abbiano avuto il merito di mettere a fuoco il dissenso concettuale esistente in seno alla Sottocommissione circa il principio regionalistico, dichiara, rispondendo all’onorevole Nobile, di dubitare che si possa combattere quel principio con una elencazione di inconvenienti, i quali potranno essere eliminati in seguito, secondo quanto l’esperienza consiglierà.

Ritiene di estrema facilità la soluzione del quesito posto dall’onorevole Fabbri, in quanto la legislazione statale relativa alle materie per le quali la potestà legislativa è stata concessa alle Regioni rimarrà in vigore fino a quando una determinata Regione, ritenendola non più rispondente ai propri bisogni, si varrà del potere legislativo concessole per abrogarla.

Osserva poi che il punto di vista dell’onorevole Bozzi, secondo il quale lo Stato deve fare le leggi direttive e le Regioni hanno un potere integrativo di regolamentazione – oltre a far sorgere la domanda se varrebbe la pena di apportare mutamenti così profondi nella struttura dello Stato per dare alla Regione un semplice potere di regolamentazione – non è, a suo parere, molto chiaro. Non vede infatti come sia possibile emanare una legge direttiva – la cui formulazione l’onorevole Bozzi affiderebbe allo Stato – dal momento che i principî direttivi sono contenuti nella Costituzione e le leggi hanno sempre un contenuto concreto; né comprende quale possa essere il contenuto di un potere di integrazione della legge, perché, se consisterà nella facoltà di modificare la legge precedente, darà luogo ad una nuova legge e quindi in pratica sarà potere legislativo.

Riafferma quindi l’opportunità che alla Regione sia concesso, pur entro determinati limiti, un vero e proprio potere legislativo.

MANNIRONI riconosce la gravità della questione sollevata dall’onorevole Bozzi, il quale ha fatto presente che, con l’approvazione integrale del testo del progetto, sarebbe preclusa allo Stato ogni possibilità di occuparsi della riforma agraria; ma osserva che a tale inconveniente si potrebbe rimediare aggiungendo la materia della riforma agraria a quelle elencate nell’articolo 4.

Rispondendo poi all’onorevole Nobile, contesta che tutte le strade abbiano interesse nazionale; ad ogni modo, ritiene che si possa aggiungere alla dizione del progetto, là dove si parla di «strade, ponti, porti, acquedotti e lavori pubblici», la specificazione «che non siano d’interesse nazionale».

CONTI fa rilevare che nel medesimo articolo è già detto che la potestà legislativa deve esplicarsi «nel rispetto degli interessi nazionali».

MANNIRONI ritiene comunque non inutile la specificazione da lui suggerita.

Assolutamente ingiustificata crede poi la preoccupazione dell’onorevole Nobile, che la legislazione varia e contrastante che potrebbe derivare dal fatto di aver concesso la potestà legislativa primaria alle Regioni possa determinare delle incrinature nella compattezza dello Stato. Le materie attribuite alla competenza esclusiva delle Regioni riguardano, infatti, aspetti locali della vita economico-amministrativa; e questi possono essere regolati dalle rispettive Regioni in forma autonoma, senza che la varietà legislativa che ne risulterà possa intaccare l’unicità della legislazione statale.

Dichiara perciò di essere favorevole al testo dell’articolo proposto dal Comitato, salvo lievi ritocchi di forma.

LA ROCCA si dichiara contrario alla formulazione dell’articolo 3, il cui accoglimento darebbe origine ad una serie di legislazioni discordanti, tali da minacciare l’unità nazionale. Riconosce che ogni Regione ha delle esigenze e delle aspirazioni proprie, delle quali non si può non tener conto; ma ritiene che non si debba, partendo da questo presupposto, lasciar libera la Regione di legiferare, senza possibilità da parte dello Stato di intervenire in modo positivo, su materie di notevole importanza nazionale, quali l’agricoltura, i porti, ecc.

È quindi del parere che si debba tener conto di tali necessità particolari, ma senza esporsi al pericolo di scardinare il potere centrale e di spezzare l’unità economica e politica della Nazione.

LUSSU non vede come la norma sottoposta all’esame della Sottocommissione possa costituire un pericolo per l’unità nazionale e per la struttura generale dello Stato e si meraviglia, anzi, dell’atteggiamento assunto al riguardo dai gruppi socialista e comunista, tanto più che ritiene esservi, più che un dissenso, un malinteso su questa questione.

Premesso che la legge sulla riforma agraria costituisce evidentemente un provvedimento fondamentale e, come tale, deve essere studiato e approvato dal Parlamento nazionale, rileva che la citazione dell’agricoltura nell’articolo 3 è da intendere, a suo avviso, nel senso che ogni Regione deve essere lasciata libera di interpretare e di attuare, secondo le proprie particolari esigenze, le direttive di carattere tecnico date sul piano generale.

Così, per ciò che riguarda le belle arti, la caccia, la pesca e le altre materie considerate nell’articolo 3, ritiene che la Regione, con la possibilità concessale di interpretazione delle norme generali e di adattamento di queste alle proprie esigenze, non distrugga affatto l’autorità centrale, né rechi alcun pregiudizio all’unità nazionale.

Si dichiara convinto che le organizzazioni socialiste, superato il periodo in cui non erano che opposizione, divenute maggioranza anche nel nostro Paese, saranno tratte ad affrontare e risolvere i problemi dell’ora con la consapevolezza che si vive oggi in un nuovo mondo.

Con tale spirito dichiara di essere favorevole alla formulazione proposta dal Comitato di redazione.

LACONI, a proposito di quanto ha detto l’onorevole Tosato nei riguardi dell’articolo 12, osserva che il ricorso per annullamento alla Corte costituzionale può farsi soltanto per motivi di legittimità e quindi, in caso di dissenso sul merito, la prevalenza dell’Assemblea regionale sarebbe assoluta; donde la conclusione che si rimette alla Regione una legislazione di carattere assolutamente esclusivo.

Rileva che gli inconvenienti pratici derivano dal fatto che si sostengono principî storicamente e logicamente incongruenti. Si vuole imporre alla Nazione uno schema di ordinamento non studiato su problemi ed esigenze reali e attuali, ma derivante da schemi logici preformati o da particolari esigenze di ordine politico, che non coincidono con quelle nazionali e democratiche.

Rispondendo all’onorevole Lussu, esprime il parere che nel momento attuale il processo di unificazione culturale, politica ed economica del Paese sia giunto ad un punto tale da escludere la necessità di larghe autonomie legislative per la maggior parte delle regioni. Sussiste invece la necessità di un largo decentramento. Ritiene però che ad alcune Regioni, nelle quali tale processo di unificazione non si è ancora compiuto, sia opportuno lasciare la possibilità di risolvere direttamente i loro problemi affinché possano entrare in forma autonoma nel circolo della vita nazionale. Così, ad esempio, la Sardegna si trova, per ragioni che ha già illustrato in una precedente seduta, in una situazione diversa da altre Regioni, la quale richiede soluzioni speciali.

All’onorevole Mannironi, che proponeva di fare una eccezione per la riforma agraria, osserva che tale riforma è costituita da un complesso di leggi, e che quando si riconosce allo Stato questa facoltà normativa si torna nel concetto di una potestà di integrazione.

VANONI rileva che, per poter avere un quadro delle materie citate negli articoli 3 e 4 che fosse corrispondente alle condizioni storiche ed alle necessità economiche del Paese, sarebbe necessario introdurvi qualche variante.

Riconosce che, per quanto riguarda la delicata questione della legislazione in materia di agricoltura e foreste, non si possono non tener presenti due esigenze vive nella storia nazionale: quella di liberare le Regioni dal vizio del centralismo e quella di conservare unito il complesso economico nazionale, la cui rottura potrebbe essere molto pericolosa. Prospetta la necessità di trovare una soluzione tale da permettere all’attività legislativa in materia agricola di tener conto delle esigenze locali estremamente diverse da una regione all’altra; e sarebbe favorevole a trasferire la citazione dell’agricoltura e foreste dall’articolo 3 all’articolo 4.

Aggiungerebbe nell’elenco delle materie citate nell’articolo 3 l’igiene e la sanità pubblica, circa le quali ritiene che una diversità di legislazione da regione a regione prepari un miglioramento di vita – da tutti auspicato – del popolo italiano; tanto più che la legislazione unica, la quale tendeva allo scopo di portare tutto il Paese al medesimo livello, non ha dato i risultati desiderati.

Non vede poi perché non si voglia lasciare alle Regioni la possibilità di integrare le leggi statali, oltre che in materia di istruzione elementare, anche per ciò che riguarda le scuole medie e universitarie. A tale proposito ricorda la cattiva prova data dalla legislazione unica, i cui tentativi per risolvere il problema universitario hanno sempre urtato contro tradizioni e resistenze locali; mentre cita l’organizzazione esemplare data all’istruzione elementare, e in parte a quella post-elementare, dal comune di Milano, sotto l’amministrazione socialista, nel periodo precedente il fascismo, modello di organizzazione per una grande città industriale moderna, tesa verso uno sviluppo sociale di grande avvenire.

È del parere che, nei limiti di una legge generale che garantisca un minimo di sicurezza e di serietà, quello dell’istruzione sia un campo nel quale il regionalismo si può affermare in modo deciso. Non è possibile infatti stabilire un unico sistema di istruzione in un Paese le cui varie zone si trovano in gradi diversi di evoluzione sociale ed hanno proprie esigenze, le quali richiedono propri tipi di istruzione che possono essere disciplinati da una legislazione di carattere regionale.

Un dubbio solleva circa l’opportunità di separare le scuole professionali dalle altre, separazione operata nel progetto con l’intento di affidare le prime alla competenza esclusiva della Regione. Fa presente a tale riguardo che l’istruzione professionale – che il fascismo tentò invano di estendere – è un’esigenza viva del Paese, il quale deve tendere a sostituire la massa dei lavoratori non qualificati con una classe di lavoratori qualificati che siano veramente la forza e il nerbo della Nazione. Ritiene che affidare l’ordinamento di queste scuole alle iniziative regionali possa suscitare qualche preoccupazione, mentre uno stimolo dal centro potrebbe, in questo caso, essere utile. Una volta ammesso, come fa il progetto, che l’istruzione richiede l’intervento del centro e della Regione, è del parere di non separare il problema della scuola professionale da quello generale dell’istruzione, che ha le medesime esigenze, anzi ne ha una maggiore per ciò che riguarda le scuole professionali. Aggiunge di non presentare per ora proposte di modificazioni, in quanto ritiene che la discussione potrà portare altri chiarimenti in proposito.

Non è invece favorevole alla citazione, nell’articolo 4, della disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio, che sono attività che tendono ad andare al di là di ogni confine, la cui legislazione non può essere che nazionale, se non si vogliono creare fratture nell’ambiente economico di tutta la Nazione. Coglie l’occasione per far presente la gravità dell’errore in cui cadono coloro che – specie nelle provincie meridionali – vorrebbero, attraverso una legislazione particolare, evitare l’esodo del risparmio verso zone dell’Italia settentrionale, perché il risparmio deve essere investito là dove è più utile e più domandato, dove migliori sono le condizioni per l’investimento. Si potrà, se mai, auspicare che lo Stato operi in modo da creare anche nelle provincie meridionali occasioni di impiego utile e sicuro del risparmio, sì da determinare una corrente inversa degli investimenti.

In linea di massima, è d’accordo sull’elencazione delle altre materie comprese negli articoli 3 e 4 del progetto.

MORTATI fa presente come molti dei dissensi siano originati dal fatto di aver compreso nel medesimo elenco materie per le quali l’iniziativa locale si può considerare sufficiente a soddisfare l’interesse pubblico, e materie che non possono essere affidate in modo esclusivo alle Regioni. In considerazione di ciò, pensa che sia opportuno procedere alla rielaborazione degli articoli 3 e 4 in base ad una triplice distinzione, a seconda che si tratti di materie che possono senza preoccupazioni affidarsi in modo esclusivo alla Regione, o che dovrebbero esser regolate dallo Stato limitatamente alla determinazione dei criteri direttivi o principî generali, o che infine dovrebbero rimanere affidate alle Regioni soltanto per ciò che concerne la potestà regolamentare.

Contrariamente a quanto è stato sostenuto da altri, ritiene che la distinzione fra norme direttive e norme che, essendo generali, non consentono altra successiva normazione se non quella regolamentare, sia praticamente rilevante e ricorda precedenti legislativi – come quello della Costituzione di Weimar – che distinguono due specie di legislazioni: una, in cui lo Stato si limita a porre principî generali ed un’altra, in cui esso interviene in modo più particolare senza limiti giuridicamente apprezzabili nella materia da regolare.

Rileva che la norma direttiva differisce dall’altra appunto perché si limita a sancire principî generali, lasciando un margine di libertà alle Regioni per tutto ciò che riguarda gli adattamenti alle situazioni specifiche, mentre la norma emessa in esecuzione di direttive differisce dalla norma regolamentare appunto per la latitudine che le è consentita nell’esecuzione delle medesime.

Prospetta inoltre l’opportunità di determinare una competenza esclusiva dello Stato per talune materie (strade di interesse militare, porti di particolare importanza, ecc.) e di porre qualche limite circa la delega della potestà legislativa che, in base alla formulazione dell’articolo 4 del progetto, verrebbe fatta dal Parlamento nazionale alle Regioni.

PERASSI presenta il seguente emendamento alla prima parte dell’articolo 3: dopo le parole «e nel rispetto degli interessi nazionali», aggiungere le altre: «e degli obblighi internazionali dello Stato».

ZUCCARINI osserva che la sua proposta è ispirata dalla preoccupazione che egli ha, ed in altre occasioni ha manifestato, di realizzare un sistema di autonomie eguale per tutte le Regioni, eliminando la distinzione fra alcune Regioni che verrebbero dotate di una vera e propria autonomia comprendente una potestà di legislazione, e tutte le altre Regioni alle quali verrebbe concessa invece una potestà limitata, tanto da fare di esse solo degli organi di decentramento amministrativo.

Non può intanto nascondere la sua meraviglia di fronte al fatto che i più convinti assertori dell’autonomia, mentre ne pretendono una privilegiata per alcune Regioni, e precisamente gli onorevoli Laconi e Finocchiaro Aprile per le loro isole, si preoccupino poi di limitare l’autonomia di tutte le altre. Dichiara di non poter accettare la loro tesi, perché se l’autonomia giova alla Sicilia e alla Sardegna – come essi sostengono – per potersi elevare e sviluppare come non hanno potuto fare nello Stato centralizzato, non è possibile sostenere che la stessa autonomia, se venisse concessa alle altre Regioni, determinerebbe un arretramento dalle posizioni economicamente e culturalmente più avanzate in cui queste ora si trovano. Non si capisce, cioè, come ciò che si reputa necessario per certe Regioni debba risultare dannoso e deprecabile per tutte le altre.

Riferendosi all’articolo 3, fa presente che in seno al Comitato di redazione, sostenendo una tesi opposta a quella caldeggiata dall’onorevole Grieco, il quale era del parere di trasferire nella elencazione dell’articolo 4 tutte le materie elencate nell’articolo 3, propose di riunire nell’articolo 3 anche le materie indicate dall’articolo 4. Fa rilevare che tale proposta non significherebbe affatto spingere l’autonomia fino al punto di prescindere dagli interessi generali e dalle leggi generali dello Stato. Nel suo progetto è infatti precisato che le leggi di carattere generale sono di competenza dello Stato che, nell’Assemblea legislativa, ne determina i principî, le finalità e i criteri direttivi, mentre è lasciato alle Regioni l’applicarle con criteri e mezzi propri, quindi con una applicazione che può essere diversa da Regione a Regione, in funzione delle necessità locali. Per le materie che sono invece di esclusivo interesse locale, la potestà legislativa della Regione deve essere piena: ciò non esclude che lo Stato possa comunque emanare leggi generali riguardanti, ad esempio, le strade e i porti di importanza nazionale oltre che locale e regionale.

Non crede poi, contrariamente a ciò che sostiene l’onorevole Vanoni, che l’intervento dello Stato sull’istituzione e l’ordinamento delle scuole professionali, particolarmente di quelle agricole, possa risultare più proficuo di quello delle iniziative regionali e locali. Ricorda che Ghino Valenti, che fu un grande competente in economia agraria, sosteneva proprio la necessità che l’iniziativa in quanto si riferisce all’insegnamento agricolo, come per tutto ciò che riguarda l’agricoltura, fosse lasciata alle Regioni. Egli invocava anzi il regionalismo – e pubblicò anche degli scritti in proposito – soprattutto in funzione della risoluzione dei problemi agricoli.

A suo avviso, la stessa cosa può ripetersi per le materie del commercio e dell’industria. È vero che l’articolo 4 riserva una potestà legislativa di integrazione alle Regioni su altre materie, come ad esempio, le miniere, ritiene tuttavia preferibile l’emanazione di leggi regionali anche per le miniere, a completamento e perfezionamento di una legge generale.

Fa inoltre presente come nel suo progetto fosse anche specificato che alla Regione spettava di legiferare su tutte le materie che lo Stato non avocasse a sé con una legge del Parlamento. Concludendo, si dichiara contrario a mantenere con gli articoli 3 e 4 una competenza della Regione diversa a seconda delle materie, giacché qualunque classificazione risulterebbe arbitraria.

Osserva infine che l’articolo 12 può essere benissimo esaminato a parte e afferma che il suo progetto, per quanto non sia stato accettato come base per le proposte che in merito alla Regione sono state presentate, non solo non avrebbe favorito la disgregazione d’Italia, ma avrebbe servito invece a rafforzare maggiormente l’unità nazionale.

BULLONI, rispondendo all’onorevole La Rocca, il quale ha affermato di veder minacciata l’unità dello Stato attraverso l’applicazione delle norme dell’articolo 3, osserva che non bisogna confondere l’unità statale con l’accentramento burocratico, il quale ultimo si può eliminare soltanto con una riforma sostanziale. Non è del parere dell’onorevole La Rocca che, per avvalorare il suo asserto, ha affermato che, demandando alla Regione la facoltà di legiferare in materia agraria, la riforma agraria in Italia non sarebbe più realizzabile; rileva anzi che l’autonomia regionale, risvegliando le iniziative locali in relazione ai bisogni delle singoli Regioni, sarà un mezzo per attuare meglio la riforma agraria, nel rispetto delle esigenze locali.

Non comprende come l’onorevole Laconi abbia voluto affermare che l’istituzione della Regione è addirittura contraria alla democrazia. Se democrazia è governo di popolo, ccon l’istituzione della Regione la democrazia non può essere contrastata, appunto perché il regionalismo avvicina sempre più il Governo al popolo.

Circa gli articoli 3 e 4, si dichiara d’accordo, in linea di massima, con gli onorevoli Zuccarini e Vanoni. Ai rilievi fatti da quest’ultimo riterrebbe opportuno aggiungerne un altro: quello di veder considerata in modo particolare l’assistenza sanitaria e ospedaliera.

Propone il seguente emendamento sostitutivo dei due articoli: «Compete alla Regione la potestà legislativa nelle seguenti materie, in armonia con la Costituzione, con le leggi generali e con i principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali: …».

Fa presente che, evidentemente, là dove lo Stato, ritiene di dettare norme di carattere generale, la Regione dovrà attuare questi principî, mentre là dove lo Stato non ritiene di emanare tali norme, la Regione avrà la potestà di legiferare.

PERASSI, a proposito della questione se alla Regione debba attribuirsi una potestà legislativa primaria, secondo il disposto dell’articolo 3, ricorda quanto ha detto l’onorevole Laconi, secondo il quale i limiti di tale potestà sarebbero gli stessi che incontra la legge dello Stato ed afferma che ciò è, a suo avviso, inesatto: l’articolo 3 infatti, oltre ai limiti che funzionano anche per la legge dello Stato (cioè il rispetto della Costituzione), ne considera altri afferenti all’attività legislativa della Regione e cioè: i principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato ed il rispetto degli interessi nazionali. Resta però aperta la questione di sapere quali siano le materie rispetto alle quali la Regione ha una competenza di legislazione primaria. A questo riguardo reputa forse opportuno che le singole materie siano esaminate separatamente, considerato anche che la discussione fin qui svoltasi ha fatto sentire la necessità di alcune precisazioni, in modo da non dare l’impressione che tutte le materie indicate siano, interamente e senza restrizione alcuna, riservate alla competenza regionale.

Dà ragione dell’emendamento aggiuntivo da lui proposto, inteso a porre ancora un limite alla competenza regionale per quanto riguarda gli obblighi internazionali dello Stato, osservando che per alcune delle materie indicate potranno intervenire accordi internazionali che devono impegnare sempre la legislazione dello Stato, e quindi anche quella delle Regioni.

MORTATI fa presente l’opportunità che il rispetto delle convenzioni internazionali sia considerato tra i principî generali dell’ordinamento.

PERASSI risponde che è meglio fissare tale concetto in questa sede, salvo a provvedere ad una migliore collocazione in sede di ordinamento.

LAMI STARNUTI manifesta la propria avversione agli articoli del progetto, contro i quali aveva già votato in sede di Comitato. Dichiara di aver accettato la proposta Laconi, che potrebbe diventare materia di compromesso fra le due tendenze manifestatesi in seno alla Sottocommissione, in quanto essa racchiude quasi completamente la sostanza dell’emendamento Bulloni, cioè la concessione alla Regione della potestà di integrare le leggi dello Stato per adattarle alle esigenze locali. A tal proposito osserva che l’emendamento Bulloni, pur facendo qualche passo sulla strada del compromesso, potrebbe dar luogo a qualche complicazione e contrasto, per quanto di non difficile soluzione, tra lo Stato e le Regioni; e fa presente come non sia opportuno tenere il Paese in un perpetuo stato di contrasti.

Illustra lo scopo della riforma, che ha soprattutto carattere amministrativo e di decentramento, al fine di liberare l’amministrazione centrale di tutto ciò che supera la sua capacità di decisione e di esecuzione, per trasferirlo agli enti locali dove tali bisogni sono sorti ed esigono una immediata soddisfazione. Invita i colleghi del gruppo democratico-cristiano ad abbandonare ogni idea di potestà legislativa, divenuta inutile nei limiti in cui la presenta l’onorevole Bulloni nella sua formula.

BULLONI avverte che la sua proposta ha un valore puramente personale.

LAMI STARNUTI, concludendo, fa presente l’opportunità di fondere la prima parte degli articoli 3 e 4; ed aggiunge che, se nell’articolo 3 alla Regione dovrà assegnarsi soltanto una potestà integrativa, la prima parte dell’articolo 4 non avrà più ragion d’essere. Sostiene che anche i due elenchi di materie dovranno essere fusi – previo esame di ogni voce – perché non è favorevole a che la potestà integrativa della Regione si svolga su tutte le materie elencate negli articoli 3 e 4 del progetto. Solo così sarà possibile fare della Regione un ente robusto, di grande influenza nella vita politica e amministrativa del Paese.

AMBROSINI, Relatore, ritiene anzi tutto far presente, rispondendo ai rilievi fatti dagli onorevoli Laconi e Nobile, che il progetto non presenta alcun pericolo per la compagine dello Stato, ma che anzi tende a rinsaldarla, giacché la riforma regionale è concepita ed intesa, siccome altre volte ha detto, a decongestionare l’organismo centrale dello Stato e a renderlo così più efficiente nel perseguimento degli scopi essenziali, mentre d’altra parte le Regioni, potenziate nelle loro energie, coopererebbero più volenterosamente all’opera comune di ricostruzione del Paese.

Rileva che i passi della sua relazione, a cui ha fatto riferimento l’onorevole Nobile, non si prestano all’impressione che egli sembra averne avuta, che importino cioè la giustificazione del passaggio alla Regione soltanto di funzioni prevalentemente esecutive ed amministrative. Nella relazione infatti è espressamente propugnato il principio dell’attribuzione alla Regione di un certo potere legislativo, con il chiarimento esplicito che è proprio in ciò che consiste la differenza dal sistema proposto dall’onorevole Lami Starnuti, giacché è proprio col conferimento della potestà legislativa che si darebbe alla Regione una funzione che non hanno gli enti autarchici, e che da questi andrebbe a differenziarli.

Deve, d’altra parte, rilevare che il progetto non consacra affatto un sistema simile o analogo al sistema federalistico, anche soltanto larvato. Nella relazione ne ha detto le ragioni, dando la dimostrazione di questa affermazione, e non crede perciò necessario di ripetersi. Basta far presente che non ha accolta la proposta, presentata dall’onorevole Zuccarini nel paragrafo 29 del suo schema di progetto, di indicare tassativamente le materie di competenza legislativa dello Stato e di attribuire conseguentemente tutte le altre materie alla competenza legislativa della Regione, perché tale proposta importava un richiamo al sistema proprio dello Stato federale. Nel progetto del Comitato, corrispondente a quello da lui elaborato, si adatta invece il sistema inverso, indicandosi tassativamente quali sono le materie di competenza legislativa della Regione e lasciandosi quindi tutte le altre allo Stato. E si ha inoltre di più, giacché l’esercizio della potestà legislativa da parte dell’Assemblea Regionale deve svolgersi entro determinati limiti ed è soggetto al potere di coordinamento dello Stato.

Per quanto si riferisce alle materie di cui all’articolo 3, la Regione può legiferare, ma entro certi limiti, e precisamente: in armonia anzitutto con la Costituzione ed i principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato, ed inoltre (e si ha qui un limite più profondo, di merito) «nel rispetto degli interessi nazionali». Per quanto riguarda poi le materie di cui all’articolo 4, la Regione ha una potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con legge dello Stato. Anche qui non vi è quindi il pericolo che possano mettersi in essere una congerie di leggi regionali contrastanti, giacché la varietà della legislazione rifletterà le particolari condizioni locali, ma uniformandosi alle norme generali fissate con le sue leggi dallo Stato.

Riferendosi alla proposta già presentata dall’onorevole Grieco e fatta ora propria dall’onorevole Lami Starnuti, di fondere cioè la prima parte degli articoli 3 e 4, dando alla Regione per tutte le materie in essi indicate una potestà legislativa soltanto di integrazione, riconosce che forse, con questo emendamento, non si apporterebbe un colpo mortale al proposto sistema della riforma regionale, giacché nel quadro dell’articolo 3 il potere dell’Assemblea Regionale ha, come si è detto, dei notevoli limiti sia formali, quanto alla competenza, che di merito, specie riguardo al rispetto dovuto agli interessi nazionali.

Malgrado ciò, non si sente di rinunciare all’articolo 3, perché con una simile rinuncia, si ridurrebbe troppo il potere di autonomia della Regione.

Per altro, se la differenza fra il congegno dell’articolo 3 e quello dell’articolo 4 non è molto rilevante, non vede il motivo per cui l’onorevole Lami Starnuti ed i colleghi che assecondano la sua proposta di emendamento debbano tanto insistervi chiedendo la soppressione dell’articolo 3.

Aggiunge, allo scopo di cercare di dissipare le preoccupazioni da essi manifestate a proposito di tale articolo 3, che la valutazione di esso deve esser fatta tenendo presenti altre disposizioni successive del progetto, e specialmente quella del capoverso dell’articolo 8 – con la quale si vieta tassativamente alla Regione di istituire dazi di importazione, di esportazione o di transito fra una Regione e l’altra, e di prendere comunque provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale – e più ancora la disposizione dell’articolo 12, con la quale si determina la potestà che spetta al Governo centrale di interferire nell’esercizio dell’attività legislativa dell’Assemblea Regionale, quando i disegni di legge da essa approvati esorbitino dai limiti della sua competenza o contrastino con l’interesse di altre Regioni o dello Stato in generale. Rammenta che, in proposito, aveva proposto un altro sistema di coordinamento fra il potere della Regione e quello dello Stato, ancora più profondo di quello adottato dal Comitato, nel senso che la decisione sui contrasti per il merito delle leggi regionali in questione fosse affidato al Parlamento Nazionale, mentre resterebbe alla Corte costituzionale la competenza a decidere per le questioni soltanto di legittimità.

Sull’adozione o meno dell’uno o dell’altro sistema, o di un altro ancora fra quelli proposti e che figurano come «varianti» all’articolo 12 del progetto, si potrà tornare a discutere.

Gli sembra comunque che l’interesse del potere centrale dello Stato sia salvaguardato in ogni caso, quale che sarà il sistema specifico che verrà prescelto. E se è salvaguardato, e sicuramente salvaguardato, l’interesse dello Stato, trova che sarebbe possibile a tutti i colleghi di accettare, oltre l’articolo 4, anche l’articolo 3.

Desidera far presente alla Sottocommissione l’opportunità che esamini il sistema dei due articoli e che voti su di esso in via di massima, senza preoccuparsi troppo in questo primo momento delle singole materie tassativamente indicate in ciascuno dei due articoli, giacché il numero di tali materie potrebbe essere diminuito od aumentato, e potrebbesi inoltre trasportare qualche materia dall’uno all’altro articolo, senza infrangere o comunque cambiare il congegno e l’essenza del sistema. È adunque principalmente al sistema che bisogna riguardare, prima di arrivare alla votazione, e non solo al sistema isolato degli articoli 3 e 4, ma anche al sistema dell’articolo 8 e più ancora dell’articolo 12, che ne costituiscono un’integrazione essenziale.

Quando si tengono presenti le disposizioni combinate di tutti gli articoli suddetti, allora non solo è possibile augurarsi e fondatamente sperare che diminuiscano le apprensioni manifestate circa l’articolo 3, ma è anche possibile affermare senza tenia di esagerazione che la differenza fra il sistema del progetto e quello sostenuto dall’onorevole Lami Starnuti – che dal punto di vista teorico può apparire rilevante – si riduce in concreto a ben poco, e che quindi è possibile arrivare ad un incontro delle due correnti.

Per altro non esita a riconoscere che il progetto, come egli lo elaborò e come poi fu approvato con emendamenti ed aggiunte dal Comitato, è il frutto di parecchie transazioni intese a conciliare i diversi punti di vista in un sistema complessivo armonico. Non condivide pertanto l’apprezzamento dell’onorevole Zuccarini, ma ritiene all’inverso che il progetto è tanto più apprezzabile e presumibilmente più aderente alla realtà, in quanto concilia le diverse esigenze, specialmente in ciò che riguarda l’interesse generale dello Stato e quello particolare delle Regioni, dando però sempre la prevalenza all’interesse dello Stato. Ed è per ciò che insiste affinché sia approvato.

Passando ad alcuni punti particolari, risponde affermativamente al dubbio sollevato dall’onorevole Tosato, se cioè il ricorso che il Governo ha facoltà di avanzare avverso le leggi regionali possa investirle anche nel merito. Osserva in proposito che il testo dell’articolo 12 è esplicito, perché esso non parla soltanto dei limiti di competenza, e quindi di legittimità, ma comprende, con la espressione «che contrastino con l’interesse nazionale o di altre Regioni», anche il merito.

LACONI osserva che l’interesse nazionale è richiamato soltanto per quello che riguarda il Governo.

AMBROSINI, Relatore, ripete e chiarisce ancora che il Governo potrà interferire sulla legge regionale non solo per questioni di legittimità, ma anche per questioni di merito.

All’onorevole Calamandrei fa notare che il conflitto negativo non è stato regolato dal Comitato, perché difficilmente si verificherà, mentre molto più probabile si presenta l’ipotesi del conflitto positivo.

Quanto all’altra osservazione relativa all’attribuzione al Governo di un intervento soltanto repressivo, anche in riguardo alle leggi regionali che eccedano dai limiti di competenza della Regione, fa osservare che, in una «variante» all’articolo 12, aveva prospettato anche il sistema del veto preventivo; ma che il Comitato ritenne di attenersi al sistema dell’articolo 12 del progetto attuale, per la considerazione che un intervento preventivo avrebbe interferito troppo e troppo diminuito il sistema dell’autonomia.

Dichiara da ultimo di accedere alla proposta fatta dall’onorevole Perassi relativamente all’aggiunta: «e nel rispetto… degli obblighi internazionali dello Stato».

Concludendo, riafferma che il sistema adottato dal Comitato risponde alle varie esigenze e le armonizza, e che pertanto può essere accolto senza preoccupazioni, giacché non lede affatto gli interessi generali dello Stato.

PRESIDENTE, riassumendo la discussione, illustra le due tendenze manifestatesi in seno alla Sottocommissione: da un lato quella che vuole attribuire alla Regione due distinte facoltà – una legislativa ed una integrativa – la quale sostiene la necessità di fare due articoli separati; dall’altro quella, caldeggiata dall’onorevole Zuccarini (il quale sostiene nel suo ordine del giorno che alla Regione deve competere esclusivamente una potestà legislativa) e dall’onorevole Laconi ed altri (i quali ritengono che alla regione competa soltanto una facoltà di carattere integrativo), secondo la quale, essendo una sola la facoltà – che si può sviluppare più o meno largamente – attribuita alla Regione, non è più necessario fare due articoli separati, i quali possono quindi fondersi in uno.

Prospetta l’opportunità di votare pregiudizialmente, senza fare riferimento ad un testo specifico di emendamenti, una formula come la seguente: «La Regione ha soltanto potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione», con l’intesa che, se tale principio sarà approvato, gli articoli 3 e 4 si fonderanno e si procederà all’esame dell’elencazione delle materie; mentre, se sarà respinto, si passerà alla votazione degli articoli così come sono stati proposti dal Comitato.

FABBRI, premesso che il primo passo che farà l’ente Regione dopo la sua instaurazione (e conseguente soppressione della Provincia) sarà quello di assumere in sede regionale tutte le facoltà che aveva la Provincia per i servizi specifici dell’ente autonomo Provincia, solleva l’obiezione che, con la dizione «soltanto potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione», si vengano ad attribuire alla Regione minori compiti di quelli che attualmente ha la Provincia, i quali sono appunto quelli di un ente autonomo.

AMBROSINI, Relatore, osserva che nelle norme transitorie si provvederà a risolvere l’obiezione mossa dall’onorevole Fabbri.

LACONI domanda che, seguendo la procedura finora seguita dalla Sottocommissione, venga posto in votazione l’emendamento da lui e da altri colleghi presentato.

CONTI concorda con l’onorevole Laconi.

PRESIDENTE, aderendo alla richiesta fatta dagli onorevoli Laconi e Conti, pone in votazione l’emendamento presentato dall’onorevole Laconi e da altri colleghi, mirante a sostituire alla prima parte dell’articolo 3 del progetto la seguente formulazione:

«La Regione ha la potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione per adattare alle condizioni locali le norme generali e direttive emanate con legge dello Stato. Tale facoltà si esercita, oltre che nelle materie i cui servizi possono passare alla Regione, nelle altre che, pur sempre entro i limiti dell’interesse regionale, concernono: …».

PICCIONI dichiara di votare contro questo emendamento, perché ferisce sostanzialmente la precedente deliberazione della Sottocommissione, la quale parlava di enti autonomi con specificazione concreta di potestà legislativa; perché è nettamente in contrasto con la disposizione dell’articolo 3 che il Comitato, incaricato di redigere il progetto, aveva elaborato e approvato in maggioranza: e infine perché con una disposizione simile non si potrà dar vita ad un ente atto a trasformare in un ordinamento veramente regionale in senso democratico e decentralizzato l’ordinamento centralizzato dello Stato.

AMBROSINI, Relatore, dichiara di votare contro l’emendamento perché esso è contrario al principio al quale il Comitato si è ispirato quando è stato affrontato il problema. Ricorda che l’onorevole Grieco nel suo progetto all’articolo 4 proponeva: «Sono materie di competenza della Regione le strade, i ponti, gli acquedotti, i porti di importanza non nazionale, i lavori pubblici di interesse non nazionale, la pesca, le acque interne, le antichità e belle arti, il turismo, la pubblica beneficenza ecc.»; riconosceva, cioè, alla Regione la potestà legislativa su parecchie materie.

LACONI rileva, circa la proposta dell’onorevole Grieco ricordata dall’onorevole Ambrosini, che la dizione dell’articolo 4 va intesa alla luce di quanto disponeva l’articolo 3 del medesimo progetto.

PERASSI dichiara di votare contro l’ordine del giorno Laconi e di accettare la formulazione del progetto; del resto tale accettazione poteva ritenersi implicita nel fatto di aver egli presentato un emendamento aggiuntivo all’articolo 3 del progetto proposto dal Comitato.

PICCIONI domanda che si proceda alla votazione per appello nominale.

PRESIDENTE, aderendo alla richiesta fatta dall’onorevole Piccioni, pone in votazione per appello nominale l’emendamento proposto dall’onorevole Laconi e da altri colleghi:

Rispondono sì: Bocconi, Bozzi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini.

Rispondono no: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fuschini, Lussu, Mannironi, Mortati, Perassi, Piccioni, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

(Con 11 voti favorevoli e 16 contrari, non è approvato).

ZUCCARINI ritira la sua proposta di emendamento.

BULLONI ritira la sua proposta di emendamento.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo 3 del progetto proposto dal Comitato di redazione:

«Compete alla Regione la potestà legislativa nelle seguenti materie, in armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali».

(È approvata).

Pone in votazione l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Parassi e così formulato: «e degli obblighi internazionali dello Stato».

(È approvato).

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Einaudi.

Assenti: Di Giovanni, Farini, Grieco, Patricolo, Porzio, Targetti.

SABATO 16 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

48.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 16 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Bozzi – Tosato – Ambrosini, Relatore – Zuccarini – Mortati – Laconi.

La sedata comincia alle 9.20.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE dichiara aperta la discussione sull’articolo 3:

«Compete alla Regione la potestà legislativa nelle seguenti materie, in armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali:

agricoltura e foreste;

cave e torbiere;

strade, ponti, porti, acquedotti e lavori pubblici;

pesca e caccia;

urbanistica;

antichità e belle arti;

turismo;

polizia locale urbana e rurale;

beneficenza pubblica;

scuole professionali;

modificazione delle circoscrizioni comunali».

BOZZI osserva che l’esame dell’articolo 3 non può andare disgiunto da quello dell’articolo 4, che è così concepito;

«Compete alla Regione la potestà legislativa di integrazione delle norme direttive generali emanate con legge dello Stato per le seguenti materie:

industria e commercio;

acque pubbliche ed energia elettrica;

miniere;

riforme economiche e sociali;

ordinamento sindacale;

rapporti di lavoro;

disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio;

istruzione elementare;

e per tutte le altre materie indicate da leggi speciali».

Propone quindi di concentrare per ora l’attenzione sul primo comma di ciascuno dei due articoli, ove si disciplina la potestà normativa delle Regioni, c di esaminare successivamente le due elencazioni di materie.

TOSATO aggiunge che va tenuto presente anche l’articolo 12, relativo all’interferenza dello Stato a tutela dell’interesse delle altre Regioni e della Nazione, così formulato:

«I disegni di legge approvati dall’Assemblea regionale devono essere comunicati al Governo centrale. Essi acquistano valore di legge trascorso il mese da tale comunicazione, salvo il caso in cui il Governo, ritenendo che eccedano dai limiti di competenza della Regione o che contrastino con l’interesse nazionale o di altre Regioni, li rimandi, entro il termine suddetto, all’Assemblea regionale con le sue osservazioni.

«I disegni di legge in questione possono essere ripresi in esame dall’Assemblea regionale e diventano senz’altro leggi, se questa, respingendo le osservazioni governative, li approva nuovamente con un numero di voti che raggiunga la maggioranza assoluta dei suoi componenti.

«Il Governo centrale può in questo caso ricorrere alla Corte costituzionale per chiederne l’annullamento parziale o totale.

«Le leggi della Regione devono essere inserite nella Raccolta Ufficiale delle leggi e decreti dello Stato e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

AMBROSINI, Relatore, aderisce a quanto è stato proposto, rilevando che le disposizioni citate sono integrate altresì dal capoverso dell’articolo 8, che pure dovrà essere tenuto presente per avere una visione d’insieme del fondamentale potere legislativo delle Regioni. Tale capoverso dice:

«Non potranno essere istituiti dazi di importazione, di esportazione o di transito fra una Regione e l’altra, né essere presi provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale».

ZUCCARIN si associa, in quanto ha già sostenuto la stessa tesi nel Comitato di redazione del progetto. Entrando nel merito, osserva che non si possono creare due competenze diverse e soprattutto non si possono fare due classificazioni per materie, senza stabilire con ciò limiti di competenza molto dubbi, che darebbero luogo a contrasti.

Con la costituzione dell’ente Regione ci si prefiggono due scopi: in primo luogo consentire alle Assemblee legislative nazionali un lavoro più semplice e più efficace; cioè, non tanto decentrare, quanto semplificare l’opera del potere legislativo centrale dello Stato ed aumentarne così la competenza e l’autorità; in secondo luogo si pensa di lasciare agli interessati la risoluzione dei loro problemi particolari. Basterebbe tenere presente che normalmente il 90 per cento del lavoro del Parlamento riguarda appunto problemi particolari, per comprendere quanto esso ne guadagnerebbe in snellezza ed in efficacia.

Nel suo progetto è a questo che egli ha mirato, sostenendo il concetto che la Regione dovesse assorbire, per tutta quella che è materia di legislazione particolare, l’attività e i compiti che appartengono allo Stato, provvedendovi con mezzi propri, con organizzazioni proprie, con funzionari propri. In tal modo, mentre si riduce al minimo indispensabile la funzione legislativa dello Stato, si determinano anche due limiti di competenza ben distinti.

Viceversa coi due articoli in esame si dà alla Regione una competenza esclusiva su alcune determinate materie, ed una potestà di semplice integrazione su altre che sono le più importanti e in maggior numero. In questo modo il lavoro legislativo centrale si ridurrà di pochissimo e resterà enorme come prima.

Osserva inoltre che è difficile intendere l’esatta portata del termine «integrazione». Nella stessa elencazione delle materie si è caduti nell’arbitrario. Non si capisce, ad esempio, perché l’agricoltura sia stata inclusa nell’articolo 3 (potestà legislativa esclusiva) e l’industria invece nell’articolo 4 (potestà di integrazione). Agricoltura ed industria sono due branche della vita economica che, per quel che riguarda le norme direttive generali, possono considerarsi di competenza dello Stato, ma che poi, per tutto ciò che è norma particolare, devono essere di competenza della Regione.

Quello che egli ha detto nei riguardi dell’agricoltura potrebbe dirsi anche per la pesca, per l’antichità, per il turismo, ecc.: necessariamente per tutte potranno esservi alcune leggi di carattere generale, che naturalmente dovranno essere, in quanto generali, emanate dall’Assemblea legislativa nazionale.

Per queste regioni, esprime l’avviso che si debbano riunire gli articoli 3 e 4 in un solo articolo sotto la dizione dell’articolo 3, eliminando ogni specificazione delle materie, e in modo da attribuire effettivamente alle Regioni relativamente ad esse una funzione autonoma. La potestà legislativa non dovrebbe limitarsi a quelle materie che sono già delle vecchie amministrazioni provinciali, quando non addirittura di quelle degli enti locali. Stabilendo che ciò che è generale spetta all’Amministrazione centrale e spetta quello che è particolare alle Regioni, si eviterebbe il determinarsi di conflitti, che si avrebbero, invece, in conseguenza di tale doppia classifica, fra il potere centrale, il quale è per sua natura accentratore, e le Regioni. La pratica consentirebbe poi alle Regioni di svolgere la loro opera con piena utilità e di sgravarsi da se stesse, quando il compito fosse troppo vasto, delle attribuzioni che non fossero di loro spettanza.

Se non si entrerà in quest’ordine di idee, se non si determineranno due definiti ordini di competenza e di attività tra la Regione e lo Stato, l’Assemblea nazionale continuerà a sfornare di continuo leggi, come ha fatto per il passato, e rimarrà incombente sulle Regioni il pericolo della invadenza del potere esecutivo nei loro compiti particolari.

Nota pure un’altra deficienza nelle disposizioni in esame: la mancanza cioè di un accenno alla ricostruzione postbellica. Anche in tale campo ritiene che, una volta fissate le direttive generali, nessun organo sarebbe più competente e più utilmente operante della Regione. L’errore principale di tutto l’attuale programma di ricostruzione, che non si riesce a mettere ancora in atto, a suo avviso, è proprio nell’aver voluto il Governo accentrare la risoluzione di una infinità di problemi i quali, lasciati invece alla competenza dei Comuni e di altri enti d’iniziativa locale, avrebbero già potuto essere risolti.

Conclude augurandosi che il principio della autonomia regionale, nel quale crede, non come in una forma di indebolimento dello Stato, ma come in una forma di maggiore efficienza politica, economica e ricostruttiva della Nazione, resti affermato e si realizzi. Esprime altresì il voto che il progetto presentato all’esame della Commissione, pur con le sue manchevolezze, non finisca con l’offrire il fianco alle critiche e alla offensiva contro il regionalismo e contro il decentramento da parte di organi desiderosi di continuare la loro opera accentratrice, ma sia migliorato in modo da soddisfare il più possibile tutte lo esigenze, facendo sì che i cittadini si sentano effettivamente parte della Nazione e concorrano, colla amministrazione dei loro enti locali e attraverso essi, all’opera di rinnovamento della vita nazionale.

MORTATI confessa che, per quanto abbia attentamente esaminato gli articoli 3 e 4, non si è reso conto del loro criterio informatore.

Si trovano in essi quattro diversi tipi di legislazione, riuniti forse un po’ confusamente:

1°) una potestà legislativa esclusiva della Regione (articolo 3), dalla quale l’intervento dello Stato in forma normativa sarebbe inibito;

2°) una potestà legislativa di integrazione delle norme direttive statali;

3°) una potestà legislativa di integrazione delle norme generali;

4°) una potestà legislativa per delegazione da parte dello Stato (ultimo comma dell’articolo 4).

Trova non persuasive alcune di queste disposizioni, e anzi tutto non si rende conto – come già l’onorevole Zuccarini – del perché nel primo caso si debba escludere lo Stato da ogni possibilità di intervento normativo. La Regione può fare ciò che vuole; lo Stato può intervenire soltanto ex post per far annullare le norme che fossero contrarie agli interessi nazionali. Non vi è quindi luogo ad una valutazione integrale fatta anteriormente, ma ad una valutazione a posteriori, caso per caso, che trova la sua definizione ultima attraverso il giudizio della Corte costituzionale; e tutto ciò può essere dannoso agli interessi dello Stato e agli interessi della Regione.

Dannoso agli interessi dello Stato, perché è evidente che esso – come ha rilevato l’onorevole Zuccarini – potrebbe avere un indirizzo da segnare in queste materie (agricoltura, strade, pesca, ecc.) e le legislazioni particolari dovrebbero essere uniformate ad un criterio d’insieme. Solo così può dirsi che il regionalismo non disintegra l’unità nazionale, ma la rende più concreta ed efficiente.

Dannoso, inoltre, agli interessi delle Regioni, perché esse, pur avendo ampia potestà in certe materie, in realtà si trovano inceppate dal sindacato del potere esecutivo, che può far annullare, caso per caso, tutte le deliberazioni che siano contrarie agli interessi nazionali. Quindi, sotto l’apparenza di una migliore tutela degli interessi regionali, si finisce col pregiudicare gli interessi stessi e metterli alla mercè dell’arbitrio del potere esecutivo, sia pure corretto da un organo giurisdizionale, sul cui intervento però non può farsi eccessivo affidamento. L’esperienza mostra come sia poco efficiente affidare valutazioni di convenienza ad organi giurisdizionali, a meno di non volerne trasformare l’indole facendoli divenire politici.

Ritiene altresì inopportuno considerare unitamente la potestà legislativa di integrazione di norme direttive e quella di integrazione di norme generali così come fa l’articolo 4. A parte il fatto che tecnicamente è inesatto parlare di integrazione di norme direttive, si tratta di due rapporti differenti e bisogna distinguere le norme direttive dalle norme generali, ai fini del sindacato sulla costituzionalità della normazione regionale. Forse il Comitato ha voluto affermare un diritto da parte della Regione, garantito costituzionalmente, a pretendere che la legge dello Stato si limiti semplicemente a dare le direttive, senza entrare nei particolari; ma non si è reso conto del fatto che, parlando promiscuamente di norme direttive e di norme generali e conferendo allo Stato il potere direttivo e il potere di legiferare in via generale, si faceva venir meno la possibilità di far valere la pretesa di limitare l’intervento dello Stato nel senso accennato.

Altra disposizione che trova non sufficientemente chiara è quella dell’ultimo comma dell’articolo 4, a tenore del quale parrebbe che da parte del legislatore ordinario, con legge speciale, si potesse deferire al potere normativo delle regioni qualunque materia. Non resterebbe quindi in alcuna materia la competenza esclusiva dello Stato, su tutte potendo la Regione legiferare in virtù di una delega. Mentre si è ritenuto che la delega legislativa a favore di altri organi dovesse essere limitata in modo tanto rigoroso da annullarne perfino l’efficienza, qui si ammetterebbe che il legislatore potesse dare direttive su qualunque materia, lasciando poi un largo campo di attività normativa delegata alla Regione. Posta, inoltre, questa mancanza di esclusività di competenza dello Stato, diverrebbe difficile decidere con sicurezza anche della presunzione di competenza per i casi non contemplati.

Su tutti questi argomenti chiede delle delucidazioni al relatore.

AMBROSINI, Relatore, comincia col rispondere all’onorevole Mortati che veramente il Comitato ha previsto solo due tipi di legislazione. La prima è quella che in un primo tempo chiamò legislazione primaria o diretta, e che poi pensò – in vista delle ripercussioni che l’espressione avrebbe potuto provocare sull’opinione pubblica – di definire semplicemente «potestà legislativa»; la seconda è la «legislazione di integrazione». Circa il significato di quest’ultimo termine – che l’onorevole Zuccarini ha trovato incerto – ritiene che non possano sorgere dubbi. Non ne sorsero infatti in seno al Comitato. L’onorevole Grieco, anzi, nel proporre la fusione degli articoli 3 e 4, sostenne che si dovesse adottare proprio tale formula: «la Regione ha potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con leggi dello Stato».

Quanto all’obiezione che l’articolo 3 verrebbe a configurare una ipotesi dannosa per lo Stato e forse anche per le Regioni, poiché non è concepibile che esistano materie sulle quali la Regione abbia una competenza esclusiva. Fa presente che il Comitato partì dal principio che le Regioni dovessero avere un qualche campo – di interesse particolarmente locale – in cui potessero legiferare in modo autonomo, ma che d’altra parte dovesse evitarsi che l’esercizio di questa potestà legislativa esclusiva causasse un qualche nocumento agli interessi generali dello Stato. Fu appunto nel desiderio di conciliare le due esigenze, che il Comitato ritenne, nell’affermare questa competenza esclusiva della Regione in determinate materie, di salvaguardare nel contempo l’interesse generale dello Stato, integrando la disposizione con l’aggiunta che la Regione dovrà esercitare il suo potere normativo «in armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato», nonché «nel rispetto degli interessi nazionali».

Conviene con l’onorevole Mortati che qui si entra in un campo particolarmente delicato, in quanto sarebbe estremamente difficile dare una definizione precisa dell’interesse nazionale. Spiega quindi che il Comitato si rese conto della necessità di regolare la materia in modo da contenere nei giusti limiti la potestà legislativa della Regione. All’uopo indugiò nell’esame dei vari sistemi, che egli, come relatore e come incaricato della redazione del primo progetto, aveva prospettati, proponendo in modo alternativo ben cinque articoli su questo punto. Il Comitato prescelse quello che costituisce l’articolo 12 dell’attuale progetto. Gli altri quattro sono riprodotti come «varianti» alla fine del progetto.

Riservandosi di ritornare sull’argomento quando verrà in discussione l’articolo 12, crede opportuno di avvertire fin d’ora, che – appunto per la considerazione, fatta dall’onorevole Mortati e da altri colleghi, che la valutazione degli «interessi nazionali» porta necessariamente ad un giudizio di merito – egli aveva, in una delle suddette «varianti», distinto il giudizio di legittimità da quello di merito, proponendo di affidare il primo alla Corte costituzionale ed il secondo al Parlamento Nazionale. Il Comitato deliberò a maggioranza di non accogliere questo sistema. Personalmente egli ritiene che sarà opportuno ripigliarlo in considerazione.

Riguardo all’altra osservazione dell’onorevole Mortati, sull’espressione «norme direttive e generali emanate con legge dello Stato» adoperata dall’articolo 4, rileva che il Comitato non intese configurare due ipotesi, ma una sola. Le parole «direttive» e «generali» debbono considerarsi come integrantisi a vicenda in modo da dar luogo all’affermazione di un unico concetto: lo Stato detta le norme generiche, fondamentali, nell’ambito delle quali le Regioni possono poi dettare le norme integrative, in base alle particolari condizioni locali; norme, queste ultime, che non debbono ridursi a norme di «attuazione», secondo proponeva l’onorevole Lami Starnuti, ma che rappresentano qualcosa di più, in corrispondenza al significato della parola «integrazione», secondo intese il Comitato e secondo affermò l’onorevole Grieco quando propose di fondere gli articoli 3 e 4, attribuendo alla Regione, per tutte le materie in essi espressamente indicate e per le altre che il legislatore potesse in avvenire determinare, la «potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con leggi dello Stato».

Dichiara infine che non condivide le preoccupazioni manifestate dall’onorevole Mortati riguardo all’ultimo comma dell’articolo 4, giacché è il legislatore che di volta in volta deciderà di attribuire qualche altra materia alla competenza legislativa di integrazione della Regione; e ciò sarà fatto a mezzo di leggi speciali. Bisogna pur concedere al legislatore ordinario la possibilità di muoversi liberamente in questo campo a seconda che ritenga opportuno in corrispondenza a sopravvenute necessità. Una eccessiva e pregiudiziale sfiducia nei suoi riguardi non gli sembra opportuna. D’altra parte sarebbe troppo complicato, e per ciò stesso inefficiente, richiedere sempre l’intervento dell’organo costituente.

LACONI domanda se si è inteso ammettere questa delega legislativa alle Regioni per determinate materie o non piuttosto per determinati oggetti. Nota infatti che il termine «materie» è già usato nel primo comma con un significato molto più ampio e forse, nel caso in esame, si sarebbe dovuto parlare di «oggetti».

AMBROSINI, Relatore, non vede quale differenza possa esserci fra le due parole.

MORTATI ribadisce il pensiero già espresso, mostrando su degli esempi la larghezza di intervento consentito alla Regione in virtù di delega legislativa, in contrasto con il principio generale restrittivo fatto valere in occasione della disciplina della delegazione legislativa al governo.

AMBROSINI, Relatore, replica che non si deve avere una diffidenza preconcetta verso il futuro legislatore e non bisogna incatenarlo con disposizioni costituzionali particolareggiate che lo spingano ad evadere la Costituzione o ad ottenerne la modifica. Ricorda che la Costituzione americana è in vigore ormai dal 1787 appunto in virtù delle larghe possibilità di adattamento che ha lasciato al legislatore.

La seduta termina alle 10.35.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Tosato, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Calamandrei, Terracini.

Assenti: De Michele, Di Giovani, Einaudi, Farini, Grieco, Leone Giovanni, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Targetti, Uberti.

VENERDÌ 15 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

47.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 15 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Fuschini – Ambrosini, Relatore – Piccioni – Laconi – Perassi – Lussu – Mannironi – Mortati – Bordon – Conti – Nobile – Fabbri – Finocchiaro Aprile – Vanoni – Castiglia – Rossi Paolo – Bozzi – Codacci Pisanelli – Zuccarini – Lami Starnuti – Tosato – La Rocca.

La seduta comincia alle 16.25.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Ambrosini ha chiesto che sia stralciata dalla sua relazione la parte speciale. Poiché è convinto che anche la parte anzidetta della relazione sull’ordinamento regionale costituisce un prezioso apporto di idee alla risoluzione del problema in esame, sicuro di interpretare il pensiero di tutti i componenti la Sottocommissione, invita l’onorevole Ambrosini a recedere dalla sua richiesta.

FUSCHINI assicura che la richiesta di spiegazioni da lui rivolta all’onorevole Ambrosini, nella riunione precedente, a proposito dell’articolo 17 del progetto sull’autonomia regionale non era ispirata ad alcun motivo di critica dell’opera veramente egregia prestata dal Relatore. Si associa pertanto al voto espresso dal Presidente.

AMBROSINI, Relatore, ringrazia ed afferma che la sua opera, per quanto modesta, è e sarà sempre a completa disposizione della Sottocommissione.

PRESIDENTE avverte che la discussione verte ancora sull’articolo 2 del progetto sull’autonomia locale.

PICCIONI dubita che lo spirito dell’ordine del giorno, approvato dalla Sottocommissione all’inizio dei suoi lavori, sia stato tenuto presente nella formulazione del secondo comma dell’articolo 2. In quell’ordine del giorno si faceva richiamo alle situazioni particolari esistenti in alcune Regioni, relativamente, però, alla necessità di una formulazione di progetto di ordinamento regionale avente carattere generale. Ciò poteva significare, o la necessità di coordinare in un solo testo gli Statuti regionali già esistenti e il provvedimento di carattere generale sull’ordinamento regionale, o l’altra di considerare gli Statuti regionali già esistenti come guide per la formulazione del progetto generale dell’ordinamento regionale. Si trattava, cioè, di inquadrare gli Statuti già esistenti nel nuovo ordinamento regionale, nel senso che, riconoscendosi l’esistenza di particolari condizioni in talune Regioni, tali condizioni avrebbero dovuto essere precisate obiettivamente nel testo generale dell’ordinamento regionale, in modo che unica rimanesse pur sempre la fonte costituzionale. Ciò non è stato fatto dal Comitato, e con l’articolo 2 si creano due tipi ben distinti di Regioni: quelle per cui ha valore il testo generale dell’ordinamento regionale e quelle, in tutto quattro, a cui invece si lascia un’assoluta autonomia di ordinamento nei confronti della legge fondamentale. Ciò non gli sembra opportuno, onde non crede che il secondo comma dell’articolo 2 possa essere approvato.

Avrebbe poi gradito che si fosse compiuto un esame comparativo fra il progetto di carattere generale sull’ordinamento regionale e i due Statuti speciali già esistenti, allo scopo di individuare le condizioni particolari delle Regioni a cui tali Statuti si riferiscono. Così, se da questo esame comparativo fosse risultata l’opportunità di tener presenti tali condizioni particolari, esse avrebbero potuto essere specificate nel testo fondamentale dell’ordinamento regionale, e ciò non solo per consacrare i motivi che possono giustificare un diverso trattamento fatto a quelle Regioni, ma anche per evitare che ad esse possa essere dato un ordinamento eccessivamente e ingiustificatamente diverso da quello comune. Ancor meno può essere favorevole alla formula proposta dall’onorevole Laconi, con la quale, assai più chiaramente, si prevedono due distinte categorie di Regioni; argomento che non ha mai formato oggetto di discussione e tanto meno di convergenza di opinioni.

LACONI si richiama, circa le affermazioni dell’onorevole Piccioni, sull’opportunità di specificare alcune particolari situazioni regionali nel testo della Costituzione, al progetto dello Statuto regionale sardo, preparato dal Partito della democrazia cristiana, in cui si fanno rivendicazioni di tale natura, che indubbiamente non potrebbero trovar posto in una Carta costituzionale.

PERASSI riconosce che esistono determinati problemi per alcune Regioni, ma non ha mai pensato che l’ordinamento regionale in Italia debba essere attuato soltanto per far fronte alle particolari esigenze di talune Regioni. Qualcuno ha voluto ricordare Mazzini; ma lo stesso Mazzini, che nel 1861 propose l’istituzione della Regione come organo intermedio fra il Comune e lo Stato, voleva un ordinamento regionale, non già in vista di un maggiore o minore coordinamento delle varie nostre Regioni provenienti da Stati diversi, bensì da un punto di vista generale, come un nuovo modo, cioè, di organizzazione dello Stato italiano. Si tratta quindi, con l’ordinamento regionale, di realizzare in Italia una democrazia effettiva e di dare allo Stato una struttura più rispondente alla varietà delle Regioni. Avuto riguardo, però, ad alcune particolari condizioni geografiche, storiche ed economiche, è da considerare la possibilità di dare a talune Regioni un ordinamento in qualche punto diverso da quello fissato per tutte le altre. A tale proposito resta da risolvere il problema, giuridico-formale, dell’inquadramento di tali particolari ordinamenti nell’ordinamento regionale dello Stato. Si può quindi esaminare la possibilità di apportare qualche modifica al secondo comma dell’articolo 2, nel senso di affermare che gli ordinamenti regionali speciali non debbano essere nettamente distinti dall’ordinamento generale regionale. A suo avviso, anziché parlare di Statuti speciali, si potrebbe parlare di ordinamenti autonomi stabiliti con legge costituzionale.

LUSSU ritiene che, per giungere ad una soluzione univoca del problema in esame, sarebbe opportuno che gli onorevoli Nobile e Laconi ritirassero le loro proposte di emendamenti all’articolo 2, e ciò per dissipare alcune preoccupazioni che possono essere anche giustificabili. Da qualcuno, infatti, si teme che con l’adozione di Statuti speciali per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, possano essere adottati principî in contrasto con quelli fondamentali della Carta costituzionale. Ora, questo timore è infondato, tanto più che nell’articolo 3 è detto assai chiaramente che l’autonomia di ogni Regione deve essere in armonia con la Costituzione e con i principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato. Solo se ciò non fosse, le preoccupazioni manifestate da qualche collega avrebbero una ragion d’essere, perché si avrebbe non più uno Stato unitario democratico, ma uno Stato anarchico, ed allora veramente sarebbe il caso di parlare di separatismo. Ma è chiaro che nessuno in Italia, tranne forse l’onorevole Finocchiaro Aprile, può pensare, nemmeno lontanamente, a una simile impostazione dell’ordinamento regionale.

Aderisce, quindi, alle giuste osservazioni dell’onorevole Perassi sull’autonomia regionale intesa da un punto di vista generale, come un nuovo modo di organizzazione dello Stato italiano. Non è il caso di nutrire alcun timore circa il disposto del secondo comma dell’articolo 2, tanto più che gli Statuti speciali ivi previsti, dovranno essere sottoposti innanzi tutto all’esame della Sottocommissione e poi a quello della Commissione, per essere infine discussi in seno all’Assemblea costituente, alla quale soltanto spetta il compito di dire su di essi l’ultima parola. Si hanno così tutte le garanzie per premunirsi da ogni eventuale sorpresa.

D’altra parte giova riconoscere che esistono condizioni particolari nelle quattro Regioni menzionate nella seconda parte dell’articolo 2, ed è necessario tenerle presenti, anche e soprattutto per necessità politiche. Si potrà discutere in seguito su alcune norme contenute, ad esempio, nello Statuto per la Sicilia, o su alcuni particolari problemi riguardanti l’economia regionale sarda, od anche sulla già avvenuta concessione di una zona franca alla Val d’Aosta; ma quando ciò dovrà farsi, si dovrà tener presente che per la Sicilia e la Val d’Aosta non si potrà ritornare su talune disposizioni già prese, che rappresentano ormai un diritto acquisito, come anche non potranno essere ostacolate alcune aspirazioni della popolazione sarda, perché sono legittime e profondamente sentite. Ciò non sarebbe assolutamente opportuno per ragioni politiche, come anche sarebbe un grave errore, per lo stesso motivo, modificare la formulazione del secondo comma dell’articolo 2, non menzionando espressamente la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige secondo quanto, ad esempio, ha proposto anche l’onorevole Rossi. Si tratta in fondo di un problema di forma, ma che ha grande importanza nel momento attuale.

Per queste considerazioni ritiene che la formulazione dell’articolo 2, così come è stata proposta dal Comitato possa senz’altro essere approvata.

MANNIRONI è del parere che innanzi tutto occorra risolvere il problema da un punto di vista generale; è necessario, cioè delineare un tipo di ordinamento regionale che possa servire per tutte le Regioni d’Italia, e quindi anche per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige. Con ciò non intende negare i diritti quesiti della Sicilia e della Val d’Aosta, che hanno ormai uno Statuto speciale, o le condizioni particolari delle quattro Regioni menzionate. Ciò che importa, una volta che sia stato fissato l’ordinamento regionale per tutte le Regioni italiane, è di adattare in sede costituzionale a tale ordinamento gli Statuti speciali già concessi per legge, e le esigenze particolari delle quattro Regioni. Si tratta, in altri termini, di creare prima la regola e poi, se sarà necessario, l’eccezione e non già questa prima di quella.

Il concetto da lui esposto non è dettato dalla preoccupazione, come alcuno potrebbe credere, che con il futuro ordinamento regionale dello Stato possa essere indebolita l’unità dello Stato stesso, bensì dal timore che si voglia attuare una riforma regionale soltanto per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, e non già per tutta l’Italia. E proprio a ciò, secondo il suo avviso, sembra tendere il disposto dell’articolo 2, che in sostanza riproduce la proposta fatta, in sede di Comitato di redazione per l’autonomia regionale, dall’onorevole Grieco, con la quale proposta si creavano due distinte categorie di Regioni, quelle aventi soltanto uno status di enti autarchici, senza un potere normativo primario, quindi senza una vera e propria autonomia, e quelle aventi effettivamente una tale autonomia, ossia le quattro Regioni già ricordate. Se tale criterio dovesse essere posto a base dell’ordinamento regionale, verrebbe meno in realtà ogni ordinamento regionale nel senso di una nuova organizzazione dello Stato, adottata per giungere ad una più schietta e radicale democrazia. È proprio ciò che egli, regionalista convinto, vuole assolutamente evitare.

Per tali considerazioni è del parere che dovrebbe essere adottata la originaria formulazione dell’articolo 2 proposta dall’onorevole Ambrosini.

MORTATI, per mozione d’ordine, osserva che è inutile procedere nell’esame del secondo comma dell’articolo 2, se prima non sia deciso l’ordinamento delle varie Regioni. Occorre prima risolvere il problema della creazione dell’Ente Regione da un punto di vista generale, e poi preoccuparsi del trattamento speciale da riservare a determinate Regioni. Propone pertanto di rinviare la discussione sull’ultimo comma dello articolo 2.

PRESIDENTE nota che, con l’approvazione della proposta di rinvio fatta dall’onorevole Mortati, si verrebbe in realtà a pregiudicare, o quanto meno ad affrettare la soluzione dell’importante problema in discussione. È chiaro, infatti, che coloro che sono favorevoli a due distinte categorie di Regioni, voteranno contro la proposta di rinvio dell’onorevole Mortati, mentre voteranno a favore di essa coloro che vogliono un ordinamento di carattere generale per tutte le Regioni, che consenta soltanto la regolamentazione di alcune determinate situazioni particolari, se ciò risulterà necessario. Comunque, se l’onorevole Mortati insiste nella sua proposta, la metterà in votazione.

MORTATI insiste nella sua proposta, osservando che con l’eventuale accoglimento di essa non si verrebbe affatto a pregiudicare la possibilità di riprendere in esame, al momento opportuno, il disposto del secondo comma dell’articolo 2 e di inserirlo definitivamente nel progetto sulle autonomie locali. Si tratta soltanto di una semplice proposta di sospensiva.

BORDON non ritiene opportuno sospendere la discussione sul secondo comma dell’articolo 2. Se si dovesse arrivare ad una simile decisione, sarebbe anche necessario rinviare l’esame della prima parte dell’articolo suddetto, perché non possono essere fissate norme generali per l’ordinamento di tutte le Regioni, quando esistono già Statuti speciali per alcune Regioni o determinati territori, come ad esempio la Valle d’Aosta. Ciò potrebbe essere inteso nel senso che si vogliano pregiudicare i diritti già acquisiti dalle quattro Regioni menzionate; ed egli, come rappresentante della Valle d’Aosta, che ha già uno Statuto speciale, dichiara di essere decisamente contrario alla proposta fatta dall’onorevole Mortati.

PICCIONI non trova esatto ciò che ha affermato il Presidente a proposito della proposta dell’onorevole Mortati. Il rinvio della discussione sul secondo comma dell’articolo 2 non può avere altro significato che quello di consentire, al momento opportuno, un più approfondito esame di quanto dispone il comma anzidetto. Se il voto dato, in un senso o nell’altro, a una proposta di rinvio della discussione di un dato problema dovesse avere il significato di voler pregiudicare la decisione sul merito, non sarebbe più possibile fare alcuna proposta di sospensiva.

Per tali considerazioni dichiara di essere favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati.

CONTI fa presente che, con il mantenimento della formulazione dell’articolo 2, si può pregiudicare il futuro ordinamento regionale dello Stato, perché evidentemente, quanto dispone il secondo comma dell’articolo anzidetto tende a ridurre la portata di ciò che si stabilisce nel primo. Sarà bene quindi rinviare la discussione sul secondo comma al momento in cui tale discussione potrà sembrare più opportuna. A suo avviso, la proposta dell’onorevole Mortati ha appunto tale significato e non può essere presa in altro senso.

AMBROSINI, Relatore, non ritiene che il disposto del secondo comma indebolisca quello del primo, visto che con esso si mira soltanto a regolare alcune situazioni particolari rispetto alle disposizioni di massima riguardanti le regioni in generale.

NOBILE è del parere che innanzi tutto occorrerebbe decidere se si voglia o pur no uno Stato unitario, perché, mentre nel primo comma dell’articolo 2 si parla di unità e indivisibilità dello Stato, nel secondo tale principio viene ad essere inficiato, attribuendosi a determinate Regioni forme e condizioni particolari di autonomia. Nonostante che per mentalità ed educazione sia contrario ad ogni forma di regionalismo, può benissimo ammettere che si voglia un ordinamento regionale, specialmente se ha lo scopo di decentrare l’amministrazione statale. Ciò, però non dovrebbe in nessun caso implicare la creazione di uno speciale ordinamento autonomo per alcune determinate regioni.

LACONI è perfettamente d’accordo con quanto ha affermato il Presidente. Chi, infatti, interpreta il disposto del secondo comma dell’articolo 2 come un’eccezione al principio di un ordinamento regionale attuabile per tutte le regioni, può essere favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati; è invece contrario ad essa chi considera la situazione delle quattro Regioni menzionate in quel comma come parte integrante di tutta la concezione del riordinamento, su base regionale, dello Stato italiano. Per tale motivo, se l’esame del secondo comma dovesse essere rinviato, si risolverebbe automaticamente la questione di merito in ordine al problema in discussione. Non ritiene quindi opportuno accogliere la proposta dell’onorevole Mortati; al più potrebbe essere presa in considerazione quella dell’onorevole Ambrosini, di rinviare, cioè, la discussione di tutto l’articolo 2.

MORTATI si associa alla proposta dell’onorevole Ambrosini, di rinviare l’esame dell’intero articolo 2.

LUSSU non crede opportuno nemmeno il rinvio della discussione su tutto l’articolo 2, perché ciò costituirebbe un errore da un punto di vista politico. Suggerisce piuttosto di mettere in votazione l’articolo anzidetto con riserva di sottoporlo a revisione al momento opportuno.

PRESIDENTE, poiché la proposta dell’onorevole Mortati è stata modificata, nel senso di sospendere, come è stato poi suggerito dall’onorevole Ambrosini, la discussione di tutto l’articolo 2, dichiara che personalmente vi è contrario, perché dietro di essa si nasconde una ragione politica; il che, del resto, è naturale che avvenga in un’assemblea formata di rappresentanti politici.

PICCIONI è favorevole alla proposta di sospendere l’esame di tutto l’articolo 2, e dichiara di respingere decisamente il significato politico che ad un voto in tal senso è stato dato dal Presidente. Nessun significato politico particolare rivestono la proposta dell’onorevole Mortati ed il voto favorevole che ad essa viene dato. I rappresentanti del suo partito hanno apertamente e recisamente affermato di essere favorevoli all’instaurazione di un ordinamento regionale, come hanno sempre ammesso la necessità di tenere presente la particolare situazione delle quattro Regioni menzionate nel secondo comma dell’articolo 2. È proprio per un più approfondito esame della situazione particolare delle Regioni anzidette che è stato proposto il rinvio della discussione sull’articolo in questione. Quell’esame non è possibile, se prima non sia risolto il problema dell’ordinamento regionale da un punto di vista generale. Questo e non altro è il significato del voto favorevole che egli darà alla proposta di sospensiva.

FABBRI è contrario alla proposta di sospensiva, perché crede opportuno che si proceda subito all’esame dell’articolo 2, a cui per altro dovrebbe essere apportata qualche modificazione di forma. Tiene a dichiarare, in ogni modo, che è favorevole ad un ordinamento regionale di carattere uniforme per tutte le Regioni, pur riconoscendo che debbano essere tenute presenti le particolari condizioni della Sicilia, della Sardegna, della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di sospendere la discussione dell’articolo 2.

(Con 12 voti favorevoli e 14 contrari non è approvata).

FINOCCHIARO APRILE osserva che l’onorevole Nobile è stato nel giusto quando ha dichiarato che, con l’instaurazione di un ordinamento regionale, si viene a disintegrare l’organizzazione unitaria creata al tempo del Risorgimento. Ciò, in fondo, corrisponde al pensiero degli onorevoli Einaudi, Nitti ed altri, i quali hanno sempre affermato che, tutt’al più, si potrebbe concedere alle Regioni un certo decentramento burocratico; non mai l’autonomia, in quanto questa avrebbe l’effetto, appunto, di scardinare l’unità dello Stato italiano. Ora, dal suo punto di vista, non ha che a confermare ciò che già ebbe occasione di proclamare in seno all’Assemblea costituente e nella stessa Sottocommissione, vale a dire che il «Movimento per l’Indipendenza della Sicilia», che ha l’onore di rappresentare, non può considerare l’autonomia come fine a se stessa, ma come mezzo al fine di raggiungere la tanto auspicata indipendenza della patria siciliana.

Non crede che, ammettendo forme speciali di autonomia per la Sicilia, per la Sardegna, per la Valle di Aosta e per il Trentino-Alto Adige, si venga a stabilire una qualche cosa di anormale, una situazione che contrasti eccessivamente con l’ordinamento generale dello Stato, una posizione di privilegio di alcuni Paesi in confronto di altri, perché la realtà è la seguente: in Italia si è cominciato a parlare della possibilità di attuare un ordinamento autonomistico soltanto dopo la grandiosa agitazione indipendentista siciliana e come antidoto contro di essa. Prima, dopo il fallimento del progetto Minghetti e dei successivi tentativi, se n’era parlato come di un’esigenza dottrinale de jure condendo. All’agitazione siciliana seguirono le richieste della Sardegna, della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, sia pure in forme alquanto diverse tra loro. Nessun’altra regione espresse mai il desiderio dell’autonomia. Quella che si vuole dare alle altre Regioni, e ne è molto discutibile la necessità, è un’autonomia che si vuol far piovere dall’alto, non un ordinamento germinato, sia anche a titolo di transazione, dalla viva espressione della volontà popolare. Da ciò dipende quella pretesa contraddizione che si vuole rimproverare all’oratore per essersi regolato in conseguenza, di essere cioè indipendentista in Sicilia e centralista a Roma. Tale contraddizione è solo apparente, in quanto l’autonomia bisogna darla a quelle Regioni che la desiderino, non imporla a quelle che non sanno che farsene, specie poi nella forma che è in gestazione. Per questo non può essere soppressa la menzione delle speciali forme di autonomia da attribuirsi alle quattro Regioni, perché, se ciò venisse fatto, verrebbe meno la vera ragione della discussione in ordine al problema autonomistico.

Nel progetto presentato dal Comitato, frutto evidentemente di molti compromessi, non è previsto un completo, vero e proprio ordinamento autonomo per tutte le altre Regioni, diverse dalle quattro specificate.

Si hanno, così, due distinte categorie di Regioni: quelle a tipo decentrativo e quelle autonomiste. Qui non si vogliono considerare che le prime, in quanto, per le seconde, le cui popolazioni hanno già fatto valere le loro aspirazioni in senso autonomista, esistono già o saranno presto stabiliti ordinamenti speciali.

Per ciò che riguarda la Sicilia è stato promulgato, com’è noto, uno Statuto che è insufficiente ai bisogni delle popolazioni siciliane, ma che dovrà, ciò che è peggio, essere coordinato con la Costituzione, secondo una norma contenuta nello Statuto medesimo. Ora c’è da osservare che il termine «coordinamento» si presenta già in modo assai equivoco. Che cosa si vuole intendere con esso? Forse la revoca di alcune facoltà considerate eccessive, come ad esempio – così si è detto – l’autonomia tributaria? Ma queste facoltà sono giudicate invece insufficienti alle esigenze delle popolazioni siciliane. Comunque, sono state già concesse dal legislatore. Si potrebbero aumentare, non diminuire o modificare. Se si volesse fare ciò, si commetterebbe un grave errore non solo da un punto di vista giuridico, ma anche da un punto di vista politico; sarebbe assai pericoloso, infatti, togliere alla Sicilia ciò che ormai le è stato attribuito. E poi necessario che si sappia presto e con sicurezza se lo Statuto siciliano dovrà far parte integrante della nuova Costituzione o resterà una legge a sé, coordinata alla Costituzione dal solo punto di vista formale: ed è pure necessario sapere quando infine debba entrare in esecuzione. Un chiarimento in questo senso sarebbe opportuno che fosse dato dall’onorevole Ambrosini e dal Comitato, se hanno chiesto notizie al Governo e sono stati informati.

Anche la Valle di Aosta, come la Sicilia, ha ormai un suo Statuto speciale. Ora, per quanto lo Statuto della Valle di Aosta, a differenza di quello siciliano, sia già entrato in attuazione, esso non ha soddisfatto punto le popolazioni valdostane, come del resto quello per la Sicilia, approvato ma non attuato, ha scontentato le genti siciliane. Nella riunione precedente l’onorevole Bordon, che è un nobile rappresentante ed un innamorato della sua terra, ha detto che le popolazioni della Valle di Aosta non hanno alcuna intenzione di richiedere una garanzia internazionale. Ciò non è esatto. La verità è che la Valle di Aosta aspira a qualcosa di assai diverso dall’autonomia e di più sostanziale. A tale proposito basta considerare il programma dell’Unione Valdostana, movimento antifascista di resistenza al nazionalismo centralizzatore di Roma, che si basa sui seguenti quattro punti: 1°) un regime cantonale di tipo svizzero; 2°) una zona franca totale e permanente; 3°) l’istituzione di un demanio regionale valdostano comprendente le acque, le miniere e il sottosuolo; 4°) la garanzia internazionale dei diritti del popolo valdostano, cioè a dire la garanzia della Carta delle libertà valdostane, che deve sanzionare in un modo indissolubile i tre punti precedenti. Le suddette aspirazioni delle popolazioni valdostane gli sono state manifestate espressamente da autorevoli rappresentanti di quella Regione quali il presidente del Consiglio Caveri, il professore Deffeyes e l’avvocato Page, venuti a lui per dirgli fra l’altro che sono costretti settimanalmente a recarsi a Roma perché, anche per le questioni ormai rientranti nell’ambito dell’autonomia, l’amministrazione centrale oppone un deplorevole ostruzionismo. Ora ciò deve cessare. La Valle di Aosta è una terra benedetta da Dio che ha incomparabili bellezze naturali, che ha possibilità eccezionali di sviluppo industriale, che è ricca di boschi, di sorgenti e di miniere, che ha, soprattutto, una magnifica popolazione intelligente, piena d’iniziative ed operosa. La Valle di Aosta ha, dunque, diritto che le sue aspirazioni siano riconosciute. Non farlo sarebbe atto di suprema ingiustizia.

Quanto alla garanzia internazionale, giova ricordare che essa formò oggetto di un’esplicita richiesta anche da parte del «Movimento per l’Indipendenza della Sicilia» al tempo della occupazione anglo-americana. Fu allora dichiarato dagli Alleati che i siciliani avevano perfettamente il diritto di richiederla.

Occorre anche tener presente la situazione dell’Alto Adige. Come è noto vi è colà il «Südtiroler Volkspartei» che aveva lo scopo principale di ottenere, in virtù di autodecisione, la riunione con il Tirolo del nord dal quale gli altoatesini furono staccati nel 1920 dal trattato di pace di San Germano, mentre l’unione era durata quasi 15 secoli. Ma, negato dai «Quattro Grandi» l’accoglimento di tale richiesta, gli altoatesini aderirono alla convenzione, tra l’Italia e l’Austria onde avere almeno una larga autonomia, garantita internazionalmente, in modo, in caso di diniego, di potere ricorrere all’O.N.U. oppure alla Corte internazionale dell’Aia.

Gli altoatesini sono ora decisi a tenersi strettamente alle clausole di questa convenzione, nonché alle lettere interpretative scambiate fra i ministri De Gasperi e Gruber e chiedono l’immediata riunione di tutte le zone facenti anteriormente parti integranti del Sudtirolo, ma staccate nel 1926 dalla provincia di Bolzano, come il territorio mistilingue che va da Bronzolo a Salorno, il territorio ladino di Livinallongo e l’Ampezzano.

La riunione di queste sparse membra di un unico corpo non può essere negata, come è giusto sia accolta la domanda degli altoatesini di immediata partecipazione all’amministrazione pubblica in tutti gli uffici statali, parastatali, provinciali e comunali in relazione almeno alla popolazione.

Nello stesso tempo gli altoatesini ricusano decisamente il progetto di uno Statuto di autonomia regionale per le provincie di Bolzano e di Trento, redatto, d’ordine del Governo, dal consigliere di Stato Innocenti. Essi hanno preparato un disegno di organizzazione cantonale, pubblicato nel giornale «Volksbote», meritevole della maggiore attenzione e considerazione; disegno nel quale la vera e piena autonomia dovrà essere garantita internazionalmente. Anche, dunque, dalle popolazioni altoatesine si avanzano le stesse richieste che vengono da altre parti.

Occorre assolutamente tener presente tale situazione di fatto.

È da augurarsi che i voti delle popolazioni suddette trovino comprensione e soddisfazione nell’Assemblea costituente. Sarà atto di saggezza politica, specie in un periodo in cui l’Austria avverte, ancor più dell’Italia, le funeste conseguenze della guerra e si accentuano le simpatie di quelle popolazioni verso di noi.

Ma il problema fondamentale dell’autonomia della Sicilia, della Sardegna, della Valle di Aosta e del Trentino-Alto Adige non si risolve con la formulazione di norme più o meno generiche, sibbene creando le condizioni necessarie perché veramente l’amministrazione centrale si persuada di attuare sul serio l’ordinamento autonomistico. È chiaro che il Governo non è affatto animato da tale proposito, come dimostra il suo contegno in rapporto alla Sicilia, e ciò offende le popolazioni che oggi esigono di reggersi autonomamente ed invocano una garanzia internazionale.

(La riunione, sospesa alle 18.30 è ripresa alle 18.45).

PRESIDENTE avverte che al secondo comma dell’articolo 2 sono state presentate due proposte di emendamento: una dell’onorevole Bozzi, del seguente tenore: «Con legge costituzionale possono essere attribuiti alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta e al Trentino-Alto Adige e alle altre Regioni che ne facciano richiesta, condizioni diverse di autonomia»; l’altra degli onorevoli Tosato, Piccioni, Cappi e Fuschini, così concepita: «In relazione alle loro particolari esigenze, alle Regioni mistilingui della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, come a quelle insulari della Sicilia e della Sardegna, sono riconosciute forme e condizioni speciali di autonomia, che in quanto divergano dalle norme seguenti, sono stabilite con legge costituzionale».

LUSSU crede che i colleghi rappresentanti i vari partiti sentiranno l’opportunità di non procedere nella discussione dell’articolo 2, come se essi fossero per la prima volta chiamati a prenderne conoscenza. Il Comitato di redazione per l’autonomia regionale, infatti, era composto di rappresentanti di tutti i partiti e quindi nella formulazione ha tenuto conto delle varie opinioni in contrasto, ed un certo grado d’intesa dovrebbe sussistere nella riunione odierna.

PRESIDENTE è d’accordo completamente con l’onorevole Lussu, e fa presente quindi ai colleghi la necessità di terminare nella seduta odierna la discussione sull’articolo 2.

AMBROSINI, Relatore, risponderà brevemente all’onorevole Finocchiaro Aprile, che gli ha domandato se lo Statuto siciliano dovrà o pur no essere inserito nella Costituzione, e quali sono le ragioni per cui esso non ancora è entrato in esecuzione. Circa quest’ultima domanda, osserva che andrebbe rivolta al governo. Comunque nota che lo Statuto siciliano ha già avuto un principio di esecuzione, con la nomina della Commissione paritetica che è prevista dall’articolo 43 di esso Statuto che è chiamata a «determinare le norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione, nonché le norme per l’attuazione dello Statuto».

Circa la prima domanda, rispondendo a titolo semplicemente personale, rileva che l’attuale Statuto siciliano potrà esser preso in esame – e soltanto per quanto riguarda il suo «coordinamento» con le norme della Costituzione – dopo che queste norme saranno deliberate dall’Assemblea costituente, e non prima, giacché fino a-quando tali norme non sono deliberate manca il presupposto stesso a cui riferirsi per il coordinamento. Il che naturalmente non deve impedire che lo Statuto siciliano abbia per intanto attuazione, specialmente con l’apprestamento della legge elettorale e la successiva immediata convocazione dei comizi per l’elezione della Assemblea regionale. Se poi, dopo il «coordinamento» suddetto, lo Statuto dovrà essere aggiunto alla Costituzione come un allegato o essere lasciato a parte come un testo autonomo, a sé stante, è questione di forma, che potrà risolversi in un senso o nell’altro. Quello che conta è la sostanza, e la sostanza è questa: che in ogni caso lo Statuto ha carattere e valore di legge costituzionale.

Quanto alle altre considerazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile, manifesta il suo netto dissenso, rilevando che l’autonomia regionale va considerata ed attuata non solo e non tanto nell’interesse particolaristico delle Regioni, quanto nell’interesse generale dello Stato, a cui le Regioni potenziate daranno un apporto più volonteroso ed efficace nel difficilissimo compito della ricostruzione. Proprio come siciliano, dichiara inoltre recisamente che non sarebbe mai e poi mai da chiedere o da accettare qualsiasi, anche minima, garanzia internazionale, la quale ripugna e contrasta non solo col sentimento, ma anche con la ferma convinzione che, per risorgere, il Paese non può fare appello che alle sue proprie forze.

VANONI dichiara che le poche osservazioni che intende svolgere saranno fatte da lui a titolo puramente personale e in un campo strettamente tecnico, ossia quello economico.

Al riguardo l’onorevole Piccioni ha insistito più volte sulla necessità di esaminare in concreto le esigenze particolari di quelle Regioni, per le quali alcuni colleghi vogliono che siano formulati Statuti speciali. Ciò non è stato fatto, per quanto la richiesta dell’onorevole Piccioni fosse perfettamente logica, perché non può essere dubbia la necessità di stabilire quali siano le esigenze locali che possono consigliare particolari soluzioni dei problemi economici di determinate Regioni. Soltanto l’onorevole Lussu ha rapidamente accennato, a titolo esemplificativo, ad alcuni problemi che, secondo lui, dovrebbero essere risolti in un modo particolare per le quattro Regioni menzionate nel secondo comma dell’articolo 2. Ad esempio, egli ha affermato che i beni demaniali in Sardegna dovrebbero essere di proprietà della Regione. Ma se ciò fosse opportuno per la Sardegna, non si comprende perché non si dovrebbe adottare un’eguale misura per le altre Regioni. Lo stesso si può dire per le miniere: una materia che dev’essere regolata uniformemente, tanto è vero che la formazione di un diritto minerario è stata imposta proprio dal fatto che in questa materia oggi non è più possibile fare una politica regionalistica.

Un altro problema da risolvere è quello del regime delle acque; ma in questo campo o si adotta una regolamentazione di tipo svizzero, secondo cui la proprietà delle acque spetta agli enti autarchici rivieraschi, o si deve fare ricorso alla norma per cui le acque sono di proprietà dello Stato. Anche qui, dunque, bisogna sapere a che cosa si vuol giungere, ed egli crede che si possa trovare il modo di contemperare le esigenze locali con quelle di carattere nazionale, senza creare situazioni profondamente diverse nelle varie Regioni.

Il progetto in esame stabilisce che compete alla Regione la potestà legislativa in materia di strade, e trova giusto che la soluzione dei problemi della viabilità sia affidata alle Regioni, perché là dove esiste un godimento deve anche essere un concorso alla spesa. È sperabile che sarà così contrastata la tendenza a centralizzare le spese, per cui i Comuni hanno sempre cercato di far classificare le loro strade fra quelle provinciali, e le Provincie di far classificare le loro fra quelle nazionali.

Altri due problemi assai importanti sono quelli della zona franca concessa alla Valle d’Aosta e dell’autonomia tributaria riconosciuta alla Sicilia. Circa il primo, osserva che potrebbe essere risolto senza includere una specifica norma al riguardo nella Costituzione, in analogia a quanto è avvenuto in casi consimili. Ad esempio, il comune Livigno gode ormai da lungo tempo di una forma speciale di zona franca, creata con apposita legge. Egualmente importante, ma assai più grave, è la disposizione contenuta nello Statuto siciliano, con la quale si riconosce alla Sicilia l’autonomia tributaria, nei confronti della quale reciso è il suo dissenso, perché la misura dell’autonomia di un ente è data sempre dalla sua autonomia in materia finanziaria; e appunto perché si deve cercar di creare un sistema di autonomia che non distrugga ma integri l’unità dello Stato, è doveroso adottare un ordinamento tributario regionale che non indebolisca, ma rafforzi l’ordinamento tributario del Paese. Una Regione autonoma che continui a far parte di tutto il complesso nazionale non può mai porsi in una situazione tale da diminuire le possibilità di percezione delle imposte da parte dello Stato. L’attività tributaria di ogni Regione dev’essere contemperata con l’attività tributaria generale dello Stato. La forma di autonomia finanziaria prevista dall’articolo 8 del progetto, cioè di un’autonomia finanziaria coordinata con la finanza dello Stato, è l’unica che possa essere concessa; l’altra, quella stabilita nello Statuto siciliano, per cui lo Stato è subordinato, nell’esercizio della sua attività tributaria, all’attività tributaria della Regione, è un elemento di anarchia nel sistema dell’organizzazione statale. Si tratta di un grave problema, che dev’essere senz’altro riesaminato, perché altrimenti si arriverebbe alla deprecabile conseguenza che lo Stato non potrebbe, in caso di necessità, integrare le spese della Sicilia, verso cui ha il dovere di intervenire per riparare alle gravi ingiustizie che da decenni sono state commesse ai danni della sua popolazione, proprio per la posizione di quasi completa indipendenza che sarebbe assunta dalla Sicilia nei confronti del sistema tributario generale del Paese. Bisogna rendersi conto di queste esigenze di carattere tecnico senza suscettibilità politiche, perché tali suscettibilità passano e la Costituzione resta, se veramente si vuole che lo Stato autonomistico si affermi e prosperi.

Ritiene perciò opportuno esaminare, prima di ogni altra questione relativa alla determinazione di un ordinamento regionale dello Stato, le situazioni particolari di alcune determinate Regioni, allo scopo di rendersi conto se esse veramente siano tali da imporre nella Costituzione una regolamentazione speciale, o se esse non possano rientrare nel quadro di quell’autonomia generale che si ha in animo di concedere a tutte le Regioni d’Italia.

NOBILE riconferma la sua avversità per qualsiasi soluzione del problema dell’autonomia regionale, che possa, anche per una minima parte, compromettere non solo l’unità politica, ma anche quella economica dello Stato. È assurdo nel mondo moderno parlare di un’economia regionalistica. In Francia, sebbene vi siano fautori dell’autonomia regionale, non si è fatta parola nella nuova Costituzione di un ordinamento regionale autonomo.

L’onorevole Finocchiaro Aprile ha apertamente dichiarato che l’autonomia siciliana è da lui considerata come un primo passo verso l’indipendenza della Sicilia. Ciò è una riprova che il problema regionalistico in Italia non può non destare, quale che sia la soluzione che ad esso si intenda dare, serie preoccupazioni. Non riesce a simpatizzare col movimento regionalistico, forse perché non è attaccato ad alcuna particolare Regione d’Italia e si sente soltanto italiano; o forse anche perché è convinto che come conseguenza della rivoluzione meccanica tutte le comunità umane debbono tendere verso l’unificazione. Comunque, non può capire come si voglia da taluno disunire la stessa nostra Patria, la cui unità è costata tanti sacrifici.

La sola esigenza che può ammettere è quella di provvedere a concedere una conveniente autonomia alle zone mistilingui di confine, per le quali l’autonomia può anche essere imposta da accordi internazionali, come sta avvenendo per l’Alto-Adige, o da considerazioni di opportunità internazionale. Si tratta, infatti, in tal caso di concedere Statuti speciali per la protezione delle minoranze etniche. Ma non può assolutamente comprendere le esigenze prospettate dagli onorevoli Finocchiaro Aprile e Lussu relativamente all’autonomia della Sicilia e della Sardegna, terre italianissime. Non è certo la difficoltà delle comunicazioni con la Sardegna che può consigliare, come ha affermato l’onorevole Lussu, l’autonomia di questa Regione. Si tratta di difficoltà di carattere contingente, destinate rapidamente a sparire, sicché probabilmente fra qualche anno si impiegherà, per recarsi da Roma a Cagliari, molto minor tempo di quello che oggi sia necessario per spostarsi da un punto all’altro di Roma.

CASTIGLIA è favorevole all’emendamento dell’onorevole Bozzi, con la riserva però che la formulazione dell’articolo 2 proposta dal Comitato abbia valore di riconoscimento dei diritti acquisiti dalla Sicilia, dalla Sardegna, dalla Valle d’Aosta c dal Trentino-Alto Adige. In ogni modo, quale che possa essere la formulazione definitiva dell’articolo 2, occorre che in esso si faccia menzione delle particolari condizioni delle quattro Regioni suddette, a cui è necessario riconoscere un’autonomia più ampia per la loro speciale situazione geografica ed economica.

Non crede di poter controbattere con altrettanta perizia le eccezioni di carattere economico o finanziario sollevate dall’onorevole Vanoni: può soltanto rilevare che è bene rinviare la soluzione del problema dell’autonomia finanziaria al momento in cui si dovrà affrontare l’esame dei singoli Statuti speciali, per un’evidente esigenza di coordinamento con il testo della Costituzione. In ogni modo non crede che le osservazioni fatte dall’onorevole Vanoni possano costituire una ragione valida perché debba essere soppresso il secondo comma dell’articolo 2.

L’onorevole Nobile si è mostrato seriamente preoccupato che, con l’adozione di particolari Statuti per la Sicilia e la Sardegna, possa essere disintegrata l’unità dello Stato e a riprova dei suoi timori ha fatto riferimento ad alcune affermazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile. Può dichiarare, nella maniera più esplicita, che egli è decisamente contrario alle opinioni espresse dall’onorevole Finocchiaro Aprile. Non solo, ma può affermare categoricamente, come rappresentante del popolo siciliano, che la maggioranza dei siciliani non aspira affatto a quella indipendenza di cui ha fatto parola l’onorevole Finocchiaro Aprile. Ciò, del resto, è stato ampiamente dimostrato dall’esito delle elezioni del 2 giugno, con le quali il popolo siciliano ha inviato all’Assemblea costituente deputati che in maggioranza, pure appartenendo a diversi partiti, sono di sentimenti unitari. La Sicilia è unitaria: lo è sempre stata e lo sarà, anche se ha dovuto subire ingiustizie ed incomprensioni da parte delle altre Regioni d’Italia e dei vari Governi che si sono succeduti al potere. Non teme di essere monotono ripetendo l’abusato motivo che la Sicilia vanta un diritto di priorità nel grande movimento rivoluzionario che condusse, nel secolo scorso, il popolo italiano all’unità della Patria.

PRESIDENTE ricorda che al primo comma dell’articolo sono stati presentati due emendamenti nella riunione precedente dall’onorevole Laconi e dall’onorevole Mortati.

Quello dell’onorevole Laconi dice:

«Nel quadro dell’unità ed indivisibilità dello Stato, le Regioni sono costituite in enti autarchici secondo i principî fissati negli articoli seguenti.

«Alle Regioni sono delegati tutti quei servizi statali che possono utilmente essere decentrati secondo la legge sulla riorganizzazione dei servizi dello Stato».

Quello dell’onorevole Mortati è così formulato:

«Nel quadro dell’unità ed indissolubilità nazionale, le Regioni sono costituite in enti autonomi con poteri e funzioni propri, secondo i principî generali o speciali, fissati nei seguenti articoli».

Poiché l’emendamento dell’onorevole Laconi è quello che più si discosta dal testo proposto dal Comitato, lo mette in votazione, con l’intesa che, ove sia respinto, prima di passare alla votazione sull’emendamento dell’onorevole Mortati, questi dovrebbe chiarire il suo pensiero, dato che l’emendamento in questione mira a sostituire non solo il primo, ma anche il secondo comma dell’articolo 2.

Mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Laconi.

LUSSU dichiara di votare contro, perché ritiene che il testo proposto dal Comitato risponda maggiormente a criteri d’ordine generale, dato che alla redazione dell’articolo 2 hanno collaborato i rappresentanti di tutti i partiti.

(Non è approvato).

MORTATI dichiara di ritirare la sua proposta di emendamento.

PRESIDENTE mette in votazione il primo comma dell’articolo 2 nel testo proposto dal Comitato:

«Nel quadro dell’unità e indivisibilità dello Stato le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati negli articoli seguenti».

(È approvato).

Ricorda che al secondo comma sono stati presentati vari emendamenti, nella riunione precedente, dagli onorevoli Rossi, Nobile, Fabbri, Laconi e Bordon; nella riunione odierna dagli onorevoli Bozzi e Tosato unitamente agli onorevoli Piccioni, Cappi e Fuschini.

L’onorevole Rossi ha proposto la seguente dizione:

«Alle Regioni insulari ed a quelle di confine mistilingui possono venire attribuite, ecc.».

L’emendamento dell’onorevole Nobile è il seguente:

«Per le Regioni mistilingui potranno concedersi particolari condizioni di autonomia, con Statuti speciali di valore costituzionale».

L’onorevole Bordon ha proposto:

«Alla Val d’Aosta e alla Regione Tridentina, dato le loro condizioni geografiche, economiche e linguistiche, nonché alle Regioni insulari verranno attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali di valore costituzionale».

L’onorevole Fabbri:

«Alle Regioni mistilingui di confine, quali la Val d’Aosta ed il Trentino-Alto Adige, ed a quelle insulari, quali la Sicilia e la Sardegna, sono attribuite, in relazione a queste circostanze, forme ecc.».

L’onorevole Laconi:

«Alla Sicilia, alla Sardegna e alle Regioni mistilingui di confine sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali di valore costituzionale».

Ridà infine lettura delle due proposte odierne:

Bozzi: «Con legge costituzionale possono essere attribuiti alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta e al Trentino-Alto Adige e alle altre Regioni che ne facciano richiesta, condizioni diverse di autonomia»,

Tosato, Piccioni, Cappi e Fuschini: «In relazione alle loro particolari esigenze, alle Regioni mistilingui della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, come a quelle insulari della Sicilia e della Sardegna, sono riconosciute forme e condizioni speciali di autonomia, che in quanto divergano dalle norme seguenti, sono stabilite con legge costituzionale».

FABBRI dichiara di voler sopprimere nel testo dell’emendamento da lui proposto la parola «quali», riferita alle Regioni mistilingui della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige e alle Regioni insulari della Sicilia e della Sardegna, perché potrebbe far pensare a una menzione fatta soltanto a titolo esemplificativo.

CONTI domanda se con l’espressione di «Regioni insulari», contenuta nell’emendamento proposto dall’onorevole Rossi, si debbano intendere soltanto la Sicilia e la Sardegna.

ROSSI PAOLO risponde che egli intendeva riferirsi soltanto alla Sicilia e alla Sardegna. In ogni modo, affinché non possano sorgere equivoci in proposito, dichiara di mutare la forma del suo emendamento facendo espressa menzione delle isole anzidette.

PRESIDENTE mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Nobile, come quello che più si differenzia dal testo del secondo comma proposto dal Comitato.

(Non è approvato).

Fa presente che, fra i vari emendamenti proposti al secondo comma, occorre distinguere quelli che prevedono soltanto la possibilità di un’attribuzione di particolari forme di autonomia a determinate Regioni e quelli che stabiliscono categoricamente di concedere a date Regioni tali particolari forme di autonomia. Nel primo gruppo rientrano gli emendamenti degli onorevoli Rossi e Bozzi, nel secondo, quelli degli onorevoli Fabbri, Laconi, Bordon e Tosato.

LACONI osserva che occorrerebbe adottare anche un altro criterio di distinzione a proposito dei vari emendamenti proposti, vale a dire quello per cui si ammette, oppur no, la concessione di forme particolari di autonomia con Statuti speciali. Di ciò, ad esempio, non si fa menzione nell’emendamento proposto dall’onorevole Tosato. La questione è assai importante, perché esiste evidentemente una notevole differenza fra l’attribuire condizioni particolari di autonomia per mezzo di una legge, sia pure costituzionale, e il concedere tale forma di autonomia per mezzo di uno Statuto speciale. Una legge, infatti, è sempre emanata dal potere centrale, mentre uno Statuto è formulato dagli organi della Regione, anche se poi dovrà essere riconosciuto dallo Stato.

BOZZI vuol chiarire la ragione per cui egli ha usato la parola «possono» nel suo emendamento. Tale termine sta ad indicare la possibilità che siano attribuite forme particolari di autonomia non solo alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta e al Trentino-Alto Adige, ma anche a tutte le altre Regioni che ne facciano richiesta. Inoltre l’adozione del termine suddetto è dovuta anche ad un’altra ragione: più volte è stato affermato, in seno alla Sottocommissione, che potrà aversi una legge costituzionale che stabilisca in materia di autonomia una disciplina diversa da quella generale. Si potrà quindi avere una legge costituzionale diversa dalla Costituzione, salvo che non si vogliano allegare alla Costituzione stessa gli Statuti speciali per le quattro Regioni anzidette, nel qual caso ogni questione sarebbe risolta e, invece di usare il termine «possono», potrebbe essere adottato quello di «sono». In ogni modo si dichiara pronto a sostituire la parola «sono» all’altra «possono», purché sia fatta salva la possibilità per altre Regioni di chiedere una diversa forma di autonomia.

PRESIDENTE invita la Sottocommissione a pronunciarsi sulla questione, se l’indicazione delle Regioni a cui si dovrà concedere uno Statuto speciale debba formare oggetto di un’elencazione tassativa o di un’elencazione che lasci la possibilità a tutte le altre Regioni di fare richiesta di condizioni particolari di autonomia, attribuibili sempre con Statuti speciali.

CODACCI PISANELLI fa presente che il Comitato ha preferito adottare nell’articolo 2 l’indicazione delle Regioni, a cui si dovrà concedere una forma speciale di autonomia, per mezzo di un’elencazione tassativa, allo scopo di evitare che richieste del genere possano essere fatte da altre Regioni. Se la concessione di una speciale forma di autonomia si è dovuta fare alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta e al Trentino-Alto Adige in un momento critico della nostra storia nazionale, è bene per l’avvenire garantirsi da altre simili concessioni. Per tale ragione è favorevole al mantenimento del secondo comma dell’articolo 2.

ZUCCARINI è stato l’unico, in seno al Comitato, a non approvare la formulazione del secondo comma in esame. Benché egli fosse il rappresentante, in seno al Comitato stesso, della tendenza favorevole alla forma più larga di autonomia, si rifiuta di ammettere che possano esservi due tipi di autonomia. È pericoloso, a suo avviso, stabilire due forme di autonomia, una eguale per la grande maggioranza delle Regioni, l’altra, differenziata e più larga con speciali Statuti, per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, perché le altre Regioni potrebbero essere incoraggiate a richiedere quelle forme particolari di autonomia che venissero concesse alle quattro Regioni suddette. Si cadrebbe così in quel particolarismo che si voleva evitare e non si otterrebbe quel coordinamento delle autonomie già concesse e riconosciute nell’ordinamento generale dello Stato.»

Poiché è convinto che non si debba dare motivo alle altre Regioni di dolersi che ad esse non sia concessa un’autonomia eguale a quella che verrebbe ad essere attribuita soltanto a quattro Regioni, voterà contro il mantenimento del secondo comma, pur non intendendo con tale voto esprimersi contro le autonomie già riconosciute. A suo avviso tali diritti di autonomia dovrebbero essere estesi a tutte le Regioni d’Italia.

LAMI STARNUTI è favorevole al mantenimento del secondo comma; si riserva tuttavia di sollevare il problema del Trentino-Alto Adige quando sarà posto in discussione l’articolo 22, sulla costituzione delle Regioni secondo la tradizionale ripartizione geografica dell’Italia.

MANNIRONI è pure favorevole al mantenimento del testo del secondo comma proposto dal Comitato, poiché l’onorevole Ambrosini non ha creduto opportuno insistere sulla formulazione originaria dell’articolo 2.

PRESIDENTE mette ai voti il principio che si debba fare un’elencazione tassativa delle Regioni a cui si dovranno concedere con Statuti speciali condizioni particolari di autonomia.

(È approvato).

TOSATO fa presente che sarebbe bene risolvere, prima di procedere alla votazione dell’intero secondo comma, una questione puramente tecnica, relativa all’espressione «Statuti speciali di valore costituzionale». Non comprende, infatti, perché soltanto gli Statuti delle quattro Regioni indicate nel comma suddetto debbano avere valore costituzionale. Appunto per questo ha presentato l’emendamento di cui il Presidente ha dato lettura.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Tosato che la diversità fra gli Statuti delle varie Regioni è data proprio dal fatto che si avranno Statuti speciali per le Regioni elencate nell’articolo 2. Non vede poi perché anche le altre Regioni debbano avere ciascuna un proprio Statuto, quando esse dovranno tutte essere assoggettate alla stessa disciplina stabilita dalla Costituzione in materia di ordinamento regionale. È vero che l’articolo 21 del progetto accenna al fatto che ogni Regione avrà un proprio Statuto, deliberato in armonia ai principî informatori della legge sull’ordinamento regionale, ma evidentemente tali Statuti non dovranno contenere disposizioni che possano far pensare ad una diversità di diritti fra una Regione e un’altra. Anche ai Comuni verrà attribuita l’autonomia, ma sarebbe assurdo consentire che ogni Comune deliberasse un proprio Statuto. Tanto l’ordinamento comunale come quello regionale non potranno discendere che da una sola fonte: dalla Costituzione dello Stato. Una eccezione a tale principio è quella costituita dagli Statuti speciali per le quattro Regioni menzionate nel secondo comma.

TOSATO osserva che non è detto che gli Statuti delle singole Regioni debbano essere eguali per tutte. Difatti, l’articolo 6 del progetto stabilisce che spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie di propria competenza legislativa, e in quelle altre materie che sono di competenza dello Stato, ma che lo Stato intenda affidare ad essa. Nulla, quindi, impedisce che lo Stato trasferisca a una Regione l’amministrazione di alcune determinate materie e non la trasferisca ad un’altra; onde ogni Regione dovrà avere un proprio Statuto, deliberato dalla Regione stessa e sottoposto per la ratifica al Parlamento.

PERASSI ritiene che l’accenno fatto agli Statuti, nel secondo comma dell’articolo 2, possa dar luogo ad equivoci, perché nell’articolo 21 si ha un altro accenno agli Statuti regionali. È del parere, tuttavia, che l’articolo 21 non debba essere modificato, perché gli Statuti ivi menzionati non hanno altro scopo che quello di disciplinare, per ciascuna Regione, l’attuazione dei principî costituzionali concernenti la Regione stessa, soprattutto nell’ipotesi, accennata dall’onorevole Tosato, che ad una data Regione venga attribuita dallo Stato una competenza non ammessa per un’altra. L’idea, quindi, di uno Statuto che sia sottoposto, ai fini di una certa garanzia, all’approvazione del Parlamento è perfettamente logica, e non deve turbare gli scrupoli dei più ferventi fautori di un ordinamento regionale autonomo. Nella stessa Svizzera, che è uno Stato federale, la Costituzione stabilisce che le Costituzioni cantonali debbono essere sottoposte alla approvazione dell’Assemblea. Dove non conviene parlare di Statuti, visto che se ne parla nell’articolo 21, è nell’articolo 2, e ciò perché, fra l’altro, con tale articolo si mira a stabilire che occorre una legge costituzionale per attribuire a certe Regioni un ordinamento regionale diverso da quello comune. Non si tratta qui di Statuti deliberati da appositi organi costituiti e poi sottoposti all’approvazione del Parlamento, bensì di norme speciali, poste in essere dalla stessa deliberazione del Parlamento.

Per tali considerazioni sarebbe bene parlare nell’articolo 2 soltanto di condizioni particolari di autonomia stabilite con legge costituzionale.

LUSSU non è favorevole all’emendamento dell’onorevole Tosato, perché a suo avviso le parole «Statuti speciali» devono restare nel testo della Costituzione. Ritiene inoltre, che le dichiarazioni fatte dallo stesso onorevole Tosato a proposito dell’espressione «Statuti speciali con valore costituzionale», non abbiano reale consistenza, perché è chiaro che anche gli Statuti speciali dello quattro Regioni indicate nell’articolo 2 non potranno non avere un valore costituzionale, visto che saranno sottoposti all’approvazione dell’Assemblea costituente.

LA ROCCA è del parere che non si possa assolutamente accettare l’idea di una diversità di Statuti fra Regione e Regione, fatto salvo naturalmente il principio che, in vista di situazioni particolari, dovranno essere riconosciute forme speciali di autonomia alle quattro Regioni indicate nel secondo comma dell’articolo 2.

AMBROSINI, Relatore, si rende conto delle varie obiezioni mosse relativamente alla questione in esame, tanto più che esse furono fatte da alcuni colleghi anche in seno al Comitato. Si pensò di eliminarle col sistema di allegare alla Costituzione gli Statuti speciali per le quattro Regioni elencate nel secondo comma. Ciò considerato, ritiene che possa senz’altro essere messo in votazione il testo del secondo comma proposto dal Comitato.

PRESIDENTE crede che la formulazione proposta dall’onorevole Tosato esprima più chiaramente la possibilità a cui ha accennato l’onorevole Ambrosini.

LACONI osserva che, per quanto riguarda gli Statuti speciali, non si tratta di leggi che siano emanate dallo Stato ed estese alle Regioni, ma di norme formulate dalle Regioni e che hanno riconoscimento da parte dello Stato. In altri termini, si tratta di dare alle Regioni la facoltà di riorganizzarsi dall’interno, secondo le loro particolari esigenze. Altro è invece il significato della parola «Statuto» nell’articolo 21, ossia di norma regolamentare interna. Sarebbe bene pertanto uscire dall’equivoco: coloro che non vogliono riconoscere alle quattro Regioni menzionate nel secondo comma una speciale forma di autonomia, dovrebbero dirlo chiaramente. Adottare una formula che riduce a nulla la disciplina speciale prevista per le quattro Regioni suddette, pur mantenendola apparentemente, non gli sembra cosa opportuna.

VANONI rileva, con preoccupazione, che nel corso della discussione si è accentuata la distinzione fra due tipi di autonomia; per il primo si hanno quattro Regioni con un vero e proprio ordinamento autonomo; per il secondo, tutte le altre Regioni dovrebbero avere soltanto un ordinamento decentrato.

Viceversa, gli sembra che il concetto politico, da cui la maggioranza almeno dei componenti la Sottocommissione è partita, fosse quello di ammettere un’effettiva autonomia per tutte le Regioni. Ed è per questo che l’articolo 21 del progetto prevede uno Statuto per ciascuna Regione, che non è già un regolamento interno, secondo quanto ha affermato l’onorevole Laconi, bensì il vero e proprio atto costitutivo della Regione; l’atto che, attraverso la parola dei cittadini viventi nella Regione, determina il sorgere della Regione stessa. Le norme che a tal proposito debbono essere fissate nella Costituzione sono semplicemente quelle che riconoscono la capacità dei cittadini a costituire la Regione. Se così non dovesse essere, si avrebbe soltanto un decentramento amministrativo.

Ora, se si tratta di riconoscere, a causa di motivi particolari, una forma diversa di autonomia per alcune determinate Regioni, una volta che si sia convinti dell’obiettività di tali motivi, si può accedere al concetto di ammettere speciali Statuti che divergano dalla media degli altri. Ma se si dovesse arrivare alla conclusione che soltanto quattro Regioni abbiano diritto di formularsi uno Statuto per propria iniziativa, che lo Stato poi riconosce, mentre le altre dovrebbero soltanto accettare lo Statuto dato ad esse dallo Stato, crede che tale conclusione non risponderebbe al concetto di autonomia che si ha in animo di realizzare.

LUSSU pensa che le preoccupazioni dell’onorevole Vanoni non abbiano ragione d’essere, visto che il Comitato non ha adottato la formulazione proposta dall’onorevole Grieco, secondo cui veramente si faceva una distinzione fra Regioni autonome e Regioni non autonome. I colleghi poi possono testimoniare che egli, in seno al Comitato ha sempre sostenuto il principio dell’autonomia per tutte le Regioni d’Italia.

PRESIDENTE mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Tosato.

(Non è approvato).

AMBROSINI, Relatore, propone di mettere in votazione il testo del secondo comma dell’articolo 2 presentato dal Comitato, con la seguente modifica: sostituire alle parole «Statuti speciali di valore costituzionale» le seguenti: «Statuti speciali approvati con legge costituzionale».

PRESIDENTE mette in votazione il secondo comma dell’articolo 2 che, emendato secondo la proposta dell’onorevole Ambrosini, risulta così definitivamente formulato:

«Alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta o al Trentino-Alto Adige sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali approvati con legge costituzionale».

(È approvato).

La seduta termina alle 21.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vannoni e Zuccarini.

In congedo: Calamandrei, Leone Giovanni.

Assenti: Di Giovanni, Einaudi, Grieco, Patricolo e Porzio.