Quando, dopo le elezioni del 2 giugno 1946, l’Assemblea Costituente appena eletta si riunisce per la prima volta, il 25 di quello stesso mese, ha di fronte a sé una pagina completamente bianca: non dispone di nessun progetto di Costituzione su cui iniziare a discutere e votare, e neppure di un indice di massima degli argomenti da trattare. L’unico contenuto sicuro, e anzi obbligato, è la forma repubblicana, e non monarchica, dello Stato, perché su questo punto il popolo si era già espresso nel referendum. Ma nulla più.
Non c’è, in particolare, come molti protagonisti della fase costituente hanno tenuto con orgoglio a precisare, un progetto del governo, al contrario di quanto era avvenuto per la Costituzione francese. Né i partiti politici, prima dell’elezione dell’Assemblea Costituente, avevano elaborato bozze, neppure parziali, di proposte di futura Costituzione.
Il governo, nei mesi che avevano preceduto le elezioni, aveva avuto un apposito Ministero per la Costituente che era stato sì molto attivo, ma che aveva voluto consapevolmente limitare il proprio compito alla predisposizione di studi preparatori e materiali di supporto all’attività dei deputati eletti alla futura Assemblea Costituente, in modo da lasciarli completamente liberi di riempire la pagina bianca.
Così, il Ministero, tra le altre cose, da un lato aveva curato la pubblicazione di numerosi volumi con le principali costituzioni democratiche del mondo tradotte in italiano e precedute ognuna da una breve introduzione di uno studioso; e, dall’altro lato, aveva chiesto ai gruppi di lavoro facenti capo a una ‘Commissione per gli studi relativi alla riorganizzazione dello Stato’ istituita presso il Ministero stesso, chiamata Commissione Forti dal cognome dell’accademico che la presiedeva, di stendere una serie di relazioni scientifiche su diversi argomenti relativi al riassetto dello Stato, tutti potenzialmente di interesse per l’attività della Costituente, vietando però loro di predisporre uno schema, o un insieme di schemi, che potessero poi diventare una bozza iniziale della futura Costituzione.
Una volta riunitasi l’Assemblea appena eletta, nella grande aula di Montecitorio, appare subito chiaro che un organo con così tanti componenti – i deputati erano, lo ricordo, 556 – non è adatto a stendere un progetto di Costituzione, perché si perderebbe in discussioni infinite prima di arrivare a scrivere gli articoli su cui discutere e votare. Serve invece un organo più ristretto e quindi più operativo che stenda una proposta di testo redatto in articoli, a seguito della quale l’Assemblea possa poi provvedere, con il consueto modo di procedere di ogni parlamento, alla discussione generale e poi a quella sui singoli argomenti, alla votazione articolo per articolo con gli eventuali emendamenti e, infine, alla votazione finale sull’intero testo.
Si decide quindi immediatamente di istituire la ‘Commissione per la Costituzione’ – che viene chiamata anche ‘Commissione dei 75’, perché quello era il numero dei suoi componenti – alla quale si affida questo importante compito preliminare, che in quel momento si immaginava fosse di tipo prevalentemente tecnico.
In realtà, invece, fin dalle prime sedute ci si accorge che la Commissione dei 75 sarebbe stata la sede degli accordi politici decisivi sulle linee fondamentali della Costituzione e sui singoli articoli.
Ciò accade per due motivi. Innanzitutto la sua composizione la rende, in scala uno a otto, una piccola Assemblea Costituente, con la medesima composizione politica, sia pure parzialmente corretta a favore dei partiti minori. In secondo luogo, sono i partiti a scegliere chi inserire nella Commissione dei 75, e tutti i partiti scelgono i migliori tra i loro deputati, sia dal punto di vista tecnico e intellettuale che dal punto di vista della capacità di visione politica.
La Commissione dei 75 rappresenta dunque, come ha scritto qualche studioso, quanto di meglio, in termini di élite, poteva esprimere l’antifascismo, se si escludono le personalità che negli stessi mesi erano impegnate in compiti di governo.
Ecco cosa dice sulla composizione della Commissione Meuccio Ruini, che era stato eletto dai 75 a loro presidente, e che dunque si trova da quel momento in poi a ricoprire la funzione individuale di fatto più importante e influente di tutto il processo costituente, nel suo discorso al plenum dell’Assemblea del 12 marzo 1947, a chiusura della discussione generale sul progetto di Costituzione.
Nella Commissione dei 75, ricorda Ruini con qualche ironia nella frase finale, “i partiti hanno designato essi i loro membri; potevano scegliere; hanno scelto gli uomini che credevano adatti a questa bisogna. Nella Commissione vi erano i capi, i dirigenti di quasi tutti i partiti. Vi erano gli esponenti alla testa delle organizzazioni operaie; ed anche dell’associazione delle società per azioni; vi erano giuristi – il fiore dei costituzionalisti italiani – vi erano economisti; basta che ricordi il nome del maggiore economista italiano: Einaudi. Non era una Commissione di incompetenti”.
La Commissione dei 75 si riunisce per la prima volta il 19 luglio del 1946 e consegna il progetto di Costituzione all’Assemblea Costituente il 31 gennaio 1947. L’Assemblea, nella sua formazione plenaria, inizia la discussione generale sul progetto il 4 marzo 1947, e la chiude il 12 marzo, per passare poi alle discussioni sui singoli temi e alle votazioni sugli articoli, fino alla votazione finale sul testo dell’intera Costituzione il 22 dicembre 1947
Si può dire quindi che la vita della Costituente è nettamente divisa dal punto di vista temporale in due fasi: in una prima fase, durata circa sei mesi, lavora quasi esclusivamente la Commissione dei 75, al completo e nei suoi vari gruppi di lavoro, mentre l’Assemblea si riunisce poche volte e soprattutto per svolgere gli altri suoi compiti minori (quelli legislativi e di controllo sul governo: sul tema si veda la prefazione di Giuseppe Valditara); in una seconda fase la Commissione dei 75 non si riunisce più, e tutto si svolge in Assemblea.
Il mandato iniziale dell’Assemblea alla Commissione dei 75, nella seduta del 15 luglio 1946, è un mandato in bianco, perché l’Assemblea non svolge nessuna discussione preliminare sulle linee generali che la futura Costituzione avrebbe dovuto avere, ma passa subito la mano alla Commissione.
La Commissione dei 75, a sua volta, rinuncia a svolgere la discussione generale, che avrebbe fatto perdere tempo e avrebbe creato certamente inutili contrapposizioni ideologiche tra i suoi membri, e preferisce entrare immediatamente nella fase operativa, creando alcuni gruppi di lavoro incaricati ognuno di discutere su una grande area tematica e proporre poi alla Commissione la formulazione degli articoli.
In particolare sono subito istituite tre Sottocommissioni, incaricate di occuparsi la prima dei diritti e doveri dei cittadini, la seconda dell’organizzazione costituzionale dello Stato e la terza dei rapporti economici e sociali.
Si decide di dare piena pubblicità alle discussioni tenute nel plenum dell’Assemblea Costituente – abbiamo infatti la riproduzione stenografica di tutto quello che viene detto, e anche la segnalazione delle proteste, delle risate e dei rumori indistinti provenienti dall’una o dall’altra parte dell’aula di Montecitorio – e una pubblicità più ridotta ai lavori della Commissione dei 75 e delle sue tre Sottocommissioni, per le quali il resoconto che abbiamo è un riassunto – pare fedele, perché nessuno dei protagonisti lo ha mai contestato – di tutti gli interventi dei singoli commissari.
Nella parte dei Lavori del sito Come nasce la Costituzione si può leggere e navigare tutto quello che esiste, e cioè sia la riproduzione stenografica che il resoconto sommario.
Il presidente Ruini decide di non inserirsi in nessuna delle tre Sottocommissioni, ma preferisce presiedere un altro organo, ancora più ristretto nel numero dei componenti, la cui creazione era apparsa subito necessaria per evitare sovrapposizioni tra le tre Sottocommissioni: il ‘Comitato di coordinamento’, detto anche ‘Comitato dei 18’ appunto dal numero dei suoi membri.
In questo caso è lo stesso Ruini a scegliere di rinunciare alla verbalizzazione delle discussioni per fare in modo che il lavoro del Comitato dei 18 si svolga nel modo più veloce e informale possibile. Il Comitato, infatti, si riunisce a qualsiasi ora, e alle riunioni non partecipano solo i deputati che formalmente vi sono inseriti, ma di volta in volta qualunque componente della Commissione dei 75 particolarmente interessato alla formulazione di questo o di quell’altro articolo.
Dei lavori del Comitato dei 18, quindi, non resta purtroppo nessuna traccia, e di conseguenza anche sul sito Come nasce la Costituzione non si trova il resoconto delle discussioni tenute in quella sede.
Questo è un vero peccato soprattutto perché il Comitato dei 18 a un certo punto assume formalmente una veste differente, in quanto da organo di coordinamento dei lavori delle tre Sottocommissioni viene trasformato, il 29 novembre 1946, in ‘Comitato di redazione’, e cioè in organo incaricato di procedere alla scrittura degli articoli del progetto di Costituzione man mano che ognuna delle tre Sottocommissioni termina il suo lavoro.
Da quel momento, dunque, il Comitato dei 18 ricopre un ruolo veramente decisivo, perché diventa la sede in cui si affrontano tutti i conflitti politici, mascherati da problemi di formulazione del testo degli articoli, anche se il Comitato era tenuto a sottoporre alla Commissione dei 75 in formazione plenaria tutti i dubbi e le questioni più importanti.
Il Comitato dei 18, inoltre, manterrà il suo ruolo chiave per tutto il 1947, provvedendo alla stesura finale degli articoli esaminati e votati dallo stesso plenum dell’Assemblea Costituente, e si occuperà anche del coordinamento finale e della stesura del testo definitivo della Costituzione che poi l’intera Assemblea voterà, come si è detto, il 22 dicembre 1947.
Gli studiosi ritengono, quindi, che di fatto il vero ‘organo motore’ di tutta la Costituente fu proprio quel Comitato dalla composizione così ristretta, e in particolare lo fu la forte personalità del suo presidente, il nostro Ruini.
Non a caso, quando il 4 marzo del 1947 si apre finalmente la discussione generale in Assemblea Costituente sul progetto di Costituzione presentato dalla Commissione dei 75, nell’aula di Montecitorio i membri del Comitato dei 18 prendono posto al centro dell’emiciclo, nei banchi che oggi sono riservati ai membri del governo quando si presentano alla Camera dei deputati, e manterranno quella posizione fino alla fine dei lavori della Costituente.
In definitiva, le grandi scelte di fondo – sulla struttura e sui principi fondamentali della Costituzione e sui contenuti essenziali dei singoli articoli, salvo che in relazione ad alcuni specifici argomenti (in particolare le regioni e la Corte costituzionale) – non sono state compiute nell’aula di Montecitorio, dal plenum dell’Assemblea, ma prima. Il vero ‘momento costituente’ si colloca addirittura nelle sedute della Commissione dei 75, e in particolare nelle riunioni dei suoi sottogruppi: le tre Sottocommissioni e il Comitato dei 18.
Se così è, si deve purtroppo constatare che, essendo la pubblicità dei lavori crescente al crescere del numero dei componenti dell’organo, le sedi dove le decisioni più importanti sono state prese sono le sedi più ristrette, per le quali era stato deciso di non rendere note le discussioni (il Comitato dei 18) o di renderle note solo per sunto (la Commissione dei 75 e le sue tre Sottocommissioni).
Leggendo gli atti che ci sono stati consegnati, che sono comunque ricchissimi, oggi noi abbiamo comunque la possibilità di individuare tanto i temi più conflittuali e i motivi dei contrasti, quanto i punti, molti dei quali racchiusi oggi nei Principi fondamentali della nostra Costituzione, su cui invece l’accordo tra tutte le forze politiche e sociali rappresentate in Assemblea Costituente fu reale, forte e duraturo.